L'Orologio della Vita

di Yoan Seiyryu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** TicTac ***
Capitolo 2: *** Una nuova missione ***
Capitolo 3: *** Il mantello rosso ***
Capitolo 4: *** La notte senza stelle ***
Capitolo 5: *** Il Lupo ***
Capitolo 6: *** Minacce reciproche ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** L'Isola dei Tulipani Neri ***
Capitolo 9: *** Tia Dalma ***
Capitolo 10: *** Nodi ***
Capitolo 11: *** I Ghiacci di Norda ***
Capitolo 12: *** Sinbad ***
Capitolo 13: *** Sinbad II ***
Capitolo 14: *** Prima della battaglia ***
Capitolo 15: *** Luna di sangue ***
Capitolo 16: *** Distanze ***
Capitolo 17: *** Figlia della luna ***
Capitolo 18: *** Il palazzo di Biancaneve ***
Capitolo 19: *** Il Coccodrillo ***
Capitolo 20: *** Fiducia ***
Capitolo 21: *** Milah ***
Capitolo 22: *** Verso Siracusa ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** TicTac ***


Questa fanfiction è dedicata a Wilwarind86, per avermi convinta a scriverla e per i suoi fondamentali suggerimenti. 

 

 

I. Tic Tac

 

 
-Non permetterò che muoia-
-Dovrai pagare un prezzo molto alto per salvarla- le labbra affusolate si arricciarono in un ghigno.
-Quanto alto?-
-Tanto quanto ciò che desideri salvare-
-Mi avevano avvertito dei tuoi inganni. Qualunque cosa io faccia per salvarla, non potrò mai starle accanto- un sospiro troppo lungo uscì a seguito di quelle parole –dunque, prendi la mia vita-
-I miei inganni?- una risata acre ruppe l’improvviso silenzio –Io non inganno nessuno, tutti coloro che hanno un desiderio devono affrontare questo rischio: il riceverlo-

 
Le lancette dell’orologio scorrevano incessantemente, non vi era modo di fermarle e arrestarne il corso. Avrebbero perpetrato nell’andare avanti, seguendo una marea inarrestabile. Divagavano nel quadrante, come ignare di quanto il loro destino fosse legato al mio.
 Le studiavo, quasi volessi sfidarle, prendendomi su di loro una rivincita. Ma l’azzardarmi a sfiorarle sarebbe stato un errore troppo grave, avrei compromesso maggiormente il peso che tenevo sulle spalle. E se si fossero fermate? Se avessero smesso di scorrere prima del tempo?

No, sarebbero state troppo clementi, togliendomi il totale controllo della mia vita.
La mia vita. La mia vita aveva bisogno di tempo, lo bramavamo in modo così profondo da averne fatta un’ossessione, non vi era giorno che non pensassi ad esso, all’orologio, alle lancette che giravano.

Avrei desiderato che ruotassero in senso antiorario, eseguendo perentoriamente i miei ordini, come se avessero loro stesso un’anima da sottomettere e comandare.

Tutto il mio destino era rinchiuso all’interno di quell’orologio, la fine della mia storia era composta dallo scoccare di quelle lancette e di conseguenza si generava un’impotenza nell’impossibilità di controllarlo.


-Non riesco a capire. Il togliermi la vita non sarebbe un inganno?-
-No, certamente no. Per realizzare il tuo desiderio si creerà uno squilibrio tra le leggi naturali, esse prendono sempre ciò che hanno perduto. Se nessuno pagasse il proprio prezzo, questo mondo non esisterebbe affatto-
-Chi sei? Sei tu che mi hai cercato, sapevi che avevo bisogno di aiuto. Qual è il tuo scopo?-
-Avevi bisogno di me, trovo sempre le persone che hanno bisogno di realizzare le proprie brame e i propri desideri. Mi piacciono tutti coloro che desiderano diventare degli eroi, ma vanno sempre incontro al proprio destino, prima o poi.-

 

L’eternità, tutto ad un tratto, mi sembrò il desiderio più auspicabile da raggiungere, l’unica cosa a cui avrei potuto ambire. Vivere per sempre, per chi di vita ne aveva poca, era come la ricerca dell’oro.  Quanto mi rimaneva, quanto potevo ancora avere la speranza di sopravvivere? Sentivo  ancora l’orologio, malato di una malattia incurabile, afflitto dalla consapevolezza che forse, non avrei avuto abbastanza tempo.
Un uomo non dovrebbe conoscere le ultime pagine del proprio libro, né avere il potere di controllare ogni istante. Piuttosto il non sapere mai quando la propria vita finirà, è un dono che ho invidiato a tutto il resto dei comuni mortali.  

Non ero un uomo qualunque, uno di quelli che non avevano mai vissuto, che non aveva avuto modo di crearsi un’aspirazione di vita degna di essa. No, io ero sempre stato ciò che volevo essere e nel modo in cui desideravo.

Ma non avevo previsto che sarei stato affetto da una maledizione che mi avrebbe fatto cadere così in basso, prosciugandomi l’anima e gettandola in un baratro oscuro.
 
-Io ti servo a qualcosa, non è vero?-
-Sì, ma non ora. In futuro avrò bisogno dei tuoi servigi-
-Non so se voglio venirti incontro-
-Non temere, sarà il tuo destino a condurti lì dove desidero- un sorriso increspato sulle labbra, terribile, seducente, rosso come il fuoco.

 

Ancora una volta ricadde lo sguardo sulle lancette moventi, un vizio che non potevo togliermi, mi comandavano da così tanto tempo che non potevo farne a meno, distaccarmene avrebbe provocato un abisso di perdizione ancora maggiore: perdere il controllo del controllo stesso.

Mi rendevo sempre più conto di quanto la vita avesse uno spropositato valore, di quanto desiderassi con tutto me stesso aggiungere ancora altri giorni, altri mesi, anni ad una vita sin troppo breve per poterla godere come avrei desiderato.

Colto da una rabbia improvvisa scaraventai via il coltello che tenevo sulla scrivania, colpendo il centro della porta di legno. La lama si conficcò all’interno e scricchiolò come se ne fosse stata addolorata.
Battei ripetutamente un pugno sul tavolo e feci scivolare via tutte le carte nautiche che avevo recuperato dai miei diversi viaggi di speranza.

Posai la mano destra sul bordo, afferrandolo con forza, avevo i intenzione di mandare tutto per aria, crollando sulle ginocchia con un peso che non ero in grado di sopportare. La mano monca, sostituita dall’uncino, si infilò sul legno del tavolo per scorticarlo, come a volerne fare una cicatrice.

Un lampo del mio vecchio temperamento freddo e razionale risalì prontamente nel corso dei pensieri, così inarcai la schiena e feci scivolare una mano sugli occhi azzurri, chiudendone le palpebre per ritrovare la calma persa.
 
 
-Allora, cosa devo darti in cambio?-
-Ti concederò ancora qualche anno da vivere, un bel viso come il tuo ha il diritto di maturare ancora un po’- un’altra risata risuonò tra le labbra sottili, prima che la mano bianca e affusolata si avvicinò al suo mento –Fammi vedere la tua mano-
-Vuoi portarmi via anche questa, come pegno?- sogghignò, prima di consegnarle il palmo rivolto verso l’alto
-Voglio leggerne il futuro- sussurrò prima di afferrarla per poterne disegnare le linee –sembra che tu abbia una vita longeva, ciò basterà alla tua amata-
-Che intendi dire?- ritirò immediatamente la mano, avvertendo un’improvvisa freddezza.



Riaprii gli occhi nel momento stesso in cui udii entrare in coperta uno dei miei uomini.
-Capitano- si accertò di non avermi disturbato in qualche particolare riflessione, poi proseguì - a breve attraccheremo al porto. Siamo tutti in attesa dei vostri ordini- la voce del mio secondo riecheggiò gravemente, come se provenisse dall’oltretomba in cui mi ero rifugiato, accanto ad un’ombra che stava per essere risucchiata.

In quel momento mi resi conto del mio egoismo così spiccato, come se fino ad allora avessi avuto sulle spalle soltanto il mio destino. Ma mi apparteneva anche quello dei miei uomini, che continuavano fedeli a seguirmi  durante tutti i viaggi intrapresi fino a quel momento. La Jolly Roger aveva bisogno del suo Capitano e io non potevo evitare di fornirgliene uno.

Abraden spalancò i suoi occhi consumati da notti insonne, portando le mani composte dietro la schiena e tentò di inclinare il viso verso di me, era sordo da un orecchio  a causa di una delle battaglie che portò via i migliori dei nostri uomini.

-Quando non sono sul ponte, Abraden, hai il diritto di prendere tu il mio posto- risposi mentre mi chinai per raccogliere le carte da terra e arrotolarle con cura prima di posarle sulla scrivania con una certa cura.

-Sono il vostro secondo, Signore. Non il Capitano della nave, non prenderò impegni che non mi spettano- rispose con tutta la dovuta calma, tirando su col naso e guardarmi con occhi colmi di commozione. Detestavo quando la ciurma mi guardava a quel modo, consapevoli loro stessi del mio destino.

- Ma potresti diventarlo da un momento all’altro, ed allora cosa farai? Lascerai che l’anarchia prenda il sopravvento? Ci sono voluti anni per creare uno stato di diligenza su questa nave, non permettere che tutto vada perduto per un tuo sciocco pregiudizio- lo rimproverai, prima di avvicinarmi a lui, superarlo ed estrarre il pugnale dalla porta per poi posarlo su un soprammobile.
Abraden solleticò le labbra secche con un sorriso marcio e rigurgitò una risata –Sapete bene che non ho timore di dare ordini, so darli assai bene. Non voglio mancarvi di rispetto, Capitano. Finchè sarete su questa nave e ne sarete il Comandante, non tenterò nessun ammutinamento-.

Il tempo di pronunciare quelle brevi e fedeli parole che si udì un urto sul ponte, il rumore di una botte sganciata dalle altre e un colpo di pistola lanciato in aria. Vidi sparire Abraden in meno di un secondo, avevo compiuto un’ottima scelta nel portarlo con me sulla nave, dandogli un incarico piuttosto ambito.
 
-Puoi donare cinquant’anni alla donna che ami, sono quelli segnati nel tuo destino-
Un rinnovato silenzio spense le parole di lui, che iniziò a sfiorare la mano e le dita, disegnandone ogni linea, come se potesse scorrere tutti i suoi anni in quel modo e leggerne un futuro che non avrebbe avuto.
-Sia. Le donerò gli ultimi anni della mia vita. Quanto mi rimarrà da vivere, una volta stretto l’accordo?-
-Posso concederti solo dieci anni, né uno di più né uno di meno-
-Dieci anni?- la lingua scoccò con un moto di speranza.

 
Era tempo di rimandare indietro i desideri e gli spasmi, dovevo tornare in me e assumermi le responsabilità che mi ero preso. Quindi risalii sul ponte immergendomi di nuovo tra i miei uomini, avrei dovuto dimostrare loro che il Capitano non avrebbe perso le speranze, ora che si trovava così vicino alla soluzione.
Killian Jones non si sarebbe lasciato sopraffare.

Lo sparo che vi era stato poco prima era stato rivolto ad una delle vele da cui comparve un buco, provai un moto di dispiacere nel vederle sventolarle in quel modo, mutilate da coloro che dovevano tutto a loro.
Abraden aveva disposto alcuni ordini affinchè gli altri pirati dividessero i due litiganti a cui erano state tolte le armi di mano. Era riuscito a fermare il possibile scompiglio che ne sarebbe venuto fuori.

Il silenzio cadde improvvisamente non appena si accorsero della mia presenza, erano giorni che non uscivo alla luce del sole che in quel momento mi ferì lo sguardo, costretto a divagare tra le ombre malcelate dalle vele.

-Portatemi qui coloro che hanno dato inizio alla controversia, la risolveremo immediatamente- appoggiai un piede su una delle botti che erano state slegate ed erano rotolate via dal loro posto, facendo soppesare il braccio sul ginocchio e osservando tutti con attenzione. Si erano forse dimenticati che vi ero anche io a bordo della nave? Dovevo tornare a prendere il mio abituale modo di agire.

Abraden afferrò per le orecchie due tra i ragazzi più giovani e li fece inginocchiare a terra tra le lamentele prodotte dalla sua presa ferrea che non sembrava volersi staccare.
-Eccoli qui, gli attaccabrighe-

Lanciai uno sguardo d’intendimento al mio secondo, prima di volgere l’attenzione sui due ragazzi. Li osservai accuratamente, attraversando le linee dei loro visi, nascoste dalle ombre della polvere e dall’abbronzatura forte ed intensa.

 
-Sei pronto?-
Una risposta affermativa, prima di consegnare ancora una volta la mano da cui iniziò a cavarne il sangue, incidendo una piccola ferita. Il sangue evaporò in una nuvola viola che iniziò ad infilarsi nelle vene,  scorreva all’interno del corpo e poi tornare di nuovo indietro. Un lungo sospiro spirò dalle labbra, una grande stanchezza avvertiva all’improvviso.
-Ora lei è salva. Potrà tornare in vita e vivrà per tutti gli anni che le hai donato-
Strinse la mano in un pugno, mentre il sangue colava lento e caldo sul tavolo di legno.
-Ed io come saprò quando saranno scaduti i miei ultimi anni di vita?-
La donna si strinse nelle spalle e alla fine decise di concedergli quel piccolo dono, in fondo il ragazzo gli sarebbe presto tornato utile. Intinse le dita nel sangue e si alzò in piedi, aggirando il piccolo tavolo, prima di arrivare da lui ed aprirgli lentamente la camicia bianca. Iniziò a disegnargli sul petto un orologio dal quadrante tondo in cui si formarono gli indicatori dei mesi e degli anni, insieme alle lancette. Sembrava che emanasse luce, ma era solo il contrasto della candela.
-Così non ti dimenticherai mai del prezzo che hai scelto di pagare-

 

-Non ho alcun interesse nell’ascoltare le motivazioni del vostro risentimento reciproco, ma se non erro non è la prima volta che voi due create problemi sulla mia nave. Mi pare di ricordare di esser stato pregato in ginocchio, molto tempo fa, affinchè vi portassi con me, togliendovi dall’afflizione di una vita dedita alla povertà e alla fame. Non è così?- sospinsi la botte vuota a metà, avviandomi a breve passi verso di loro e chinandomi su entrambe le ginocchia per poterli guardare negli occhi, vista la loro caduta terrena provocata dalla forza impressa dalla stretta di Abraden.

-E’ vero, Capitano. Ma dovete ascoltarmi, questa volta io…-

Fermai immediatamente l’inizio di uno sproloquio per cui non avevo interesse, dunque mi rialzai immediatamente, appoggiando una mano sul pomo della sciabola che avevo legata al fianco prima di uscire sul ponte.

-Ti ripeto, ragazzo, che non ho interesse ad ascoltare le tue motivazioni, né quelle di altri. Sono stanco e annoiato da questi insistenti battibecchi, dunque che sia d’esempio per tutti- li feci alzare, afferrando l’uno e l’altro per le maniche delle camicie ingiallite e sospingendoli  verso l’albero della nave.

-Vi dovrei gettare in mare, legati, senza possibilità di salvezza. Sono certo che una volta arrivati in fondo non avreste voglia di discutere per delle sciocchezze- li feci voltare alla fine, conducendoli verso prua da cui si apriva il trampolino ligneo utilizzato svariate volte quando erano stati catturati nemici di cui era bene liberarsi –invece oggi sento di dovermi comportare come un gentiluomo, perciò vi getterò in mare, ma senza legarvi-.

Feci segno ad Abraden di occuparsi degli immediati preparativi, prima che i due giovani potessero ribellarsi ed arrivare ad uno scontro aperto, perciò in men che non si dica si ritrovarono a dover saltare giù dalla nave, accolti dall’apertura delle acque nel momento di ingresso, conducendo le onde ad infrangersi sul legno del vascello.

Le varie risate della ciurma iniziarono ad ingigantirsi, nel vedere i due giovani a mollo che tentavano invano di risalire in qualche modo, come se avessero avuto paura di affrontare le onde del mare.
Mi affacciai dalla balaustra sfoderando un ghigno soddisfatto –Vi concederò persino un’altra possibilità: se riuscirete ad arrivare a nuoto fino al porto, vi riprenderò sotto la mia custodia-
 
-Capitano non lasciateci qui! Vi prego, abbiamo imparato la lezione!- gridò uno dei due prima di ingurgitare acqua salata che lo fece tossire, mentre le risate della ciurma aumentavano ancora di più di fronte a quello spettacolo.

-In tal caso, che gli Dèi vi accolgano con benevolenza- risposi con un segno d’omaggio, prima di voltarsi verso gli altri pirati che improvvisamente smisero di rumoreggiare in svariati modi , timorosi di ricevere lo stesso benservito.

 
-Non ti ho detto tutto, Killian Jones-
-Cos’altro avresti dovuto dirmi?-
-C’è un altro modo per poter raggiungere il tuo scopo. Puoi tenere in vita la tua amata e al contempo riprendere i tuoi anni di vita in un solo modo: strappare il cuore a colui che ha ucciso il tuo vero amore e donarlo a lei.
-Tremotino!- ringhiò con rabbia mentre stringeva la mano in un pugno.
-Portami il suo cuore, ti aiuterò a riprendere tutti gli anni di vita che hai perso-
-Quindi è questo ciò che desideravi da me? Cos’hai contro Tremotino?-
-Non  è questo il momento di parlarne. Ora và, la tua amata è salva, non farla attendere troppo- un altro ghigno si delineò, come se fosse a conoscenza di tutta la sua vita.
Non ebbe modo di fermarla che scomparve in una nuvola viola, come quella in cui si era trasformato il suo sangue.
Sentiva battere le lancette sulla carne, come se la stessero masticando. Sapeva che avrebbe iniziato a detestare ciò che era marchiato a fuoco sul petto.
Si ritrovò fuori dalla taverna, con la mano segnata dal suo sacrificio e dalla maledizione stessa che si era verificata.
Aveva ottenuto ciò che desiderava, ma ad un prezzo che non sapeva ancora sarebbe stato eccessivamente alto.


Disposi immediatamente l’ordine di proseguire verso la terraferma, presi dalla tasca destra il cannocchiale che srotolai velocemente per potervi guardare all’interno.
Un sorriso comparì sulle labbra esili, eravamo vicini, presto avrei ricevuto le risposte che stavo cercando da così tanto tempo che avevo quasi perso le speranze.

Abraden si avvicinò al timone, non appena ripresi il comando per poter guidare il vascello verso il luogo predestinato e nascondendo un mezzo sorriso sussurrò –Sapevate che il porto non era poi così distante dalla nostra tratta-.

-Non so davvero a che cosa tu ti riferisca- finsi di guardarlo con aria del tutto innocente.

-Ottima mossa, Capitano. In questo modo avete ristabilito l’ordine, in più non avete perso un gran numero di pirati- aggiunse prima di afferrare una delle corde che andavano serrate.

-C’era bisogno di una lezione, ammetto di esser stato sin troppo di buon cuore. Credevo di averlo perso per sempre. Invece, Abraden, lo sento battere qui sotto- afferrai la camicia tra le dita della mano, le lancette batterono di nuovo.
Sembrava che il sangue pompato dal cuore si confondesse con il meccanismo stesso dell’orologio.

-Facciamo in modo che continui a farsi sentire, Capitano. La Ciurma ha bisogno di voi, la Jolly Roger ha bisogno di voi, tutti gli oceani non sarebbero gli stessi se Killian Jones decidesse di arrendersi- legata la corda mi lanciò un ultimo sguardo, poi scomparve nella mischia che si era creata tra gli altri compagni che erano pronti per raggiungere il porto.

Gli occhi azzurri si persero nell’orizzonte che riuscivano a scrutare, il sole volgeva al tramonto ed era ormai ora di raggiungere il luogo a cui avevo desiderato attraccare da troppo tempo per non desiderare di affrettare ogni cosa.

Sentivo il legno del timone scorrere e vibrare sotto le dita, il vento che scostava i capelli neri e mi rinfrescava il viso coperto di una barba curata e corta.

Disceso dal Jolly Roger, forse sarei tornato a vivere. Una volta risalito, avrei affrontato una nuova vita.
Il rumore della lancetta infine, spezzò il silenzio.
 


 
 
 
//NdA:

Salve a tutti! Ho deciso di scrivere questa storia prendendo spunto da un improvviso flash momentaneo, sulla possibilità di raccontare una parte della storia di Hook decisamente diversa da OUAT.
Questo capitolo funge da prologo, il vero inizio ci sarà già dal prossimo in cui scoprirete un altro personaggio che ha tutta l’intenzione di inerpicarsi nella magia per salvare qualcuno a cui tiene.
Spero possa piacervi!


Yoan. 

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Capitolo 2
*** Una nuova missione ***


II. Una nuova missione




Recuperare altri elementi dell’equipaggio è ciò che al momento mi premeva di più, una volta raggiunto il porto. Dovevo racimolare del denaro per poter ripartire il prima possibile, le fermate a terra dovevano durare poco ed essere fruttuose.

Attraccare ad un qualunque porto e scendere sulla terraferma mi aveva prodotto sempre qualche male, ero evidentemente destinato a trascorrere una vita sugli oceani, ad assaporare il vento fresco della mattina e le tempeste ogni volta che ve ne era una all’orizzonte.

-Capitano, i turni sono stati organizzati. Possiamo avviarci- Abraden mi comunicò che aveva eseguito i miei ordini.
Annuii e gli feci segno di prendere un piccolo gruppo con sé per scendere a terra.





Arrivare a Wonderland per ottenere ciò che desiderava non era stato facile, ma nemmeno impossibile da realizzare. Il fagiolo magico utilizzato l’aveva comprato ad un caro prezzo, ma non poteva certo rinunciare ad una possibilità simile.
Tornare ora sulla Jolly Roger era tutta altra storia, ma la Regina di Cuori l’aveva aiutato in questo e non fu difficile raggiungere di nuovo la sua ciurma.
-Capitano, siete riuscito a tornare!- Spugna lo accolse con fervore non appena lo vide.
-Dubitavi delle mie qualità, Spugna?- singhiozzò qualche risata prima di raggiungere il timone.
-Avete trovato il modo per…?- domandò con una certa impazienza.
-Sì, siamo diretti a Neverland. Con la speranza di non esser stato ingannato-.





 
Qualche anno prima mi ero fermato in quella città, giravano diverse voci incomprensibili su dei mostri che terrorizzavano gli abitanti.
Storie di marinai, mi dicevo sempre.
In tutti i porti vi è una mescolanza di culture diverse, non sarebbe stato strano trovare un animale mitologico appartenete a popolazioni molto più lontane di quella stessa.

Il primo ombreggiare della sera si faceva pallido e meno intenso, il sole era svanito all’orizzonte mentre la luna iniziava ad ergersi nel cielo.
La notte era la parte della giornata che preferivo, riuscivo a sentirmi enormemente vivo in ogni istante in cui potevo costeggiare il mare assieme ai riflessi lunari, come a volerne seguire la traccia per poterla raggiungere.

Ma in realtà le baldorie che nascevano di notte erano ciò che più interessavano, non certo momenti poetici da condividere con la ciurma, la quale non era affatto interessata a vaneggiamenti simili.
In fondo, ero pur sempre un gentiluomo.

Usciti dal porto, portandoci dietro la maleodorante puzza di pesce e pescatori che sonnecchiavano accanto alle canne da pesca, ci dirigemmo in un piccolo gruppo verso il centro cittadino, alla ricerca di un luogo dove poterci abbeverare.

Ci fermammo di fronte ad una taverna dalla cui insegna si leggeva:”Il lupo di mare”.
Si formò una smorfia di disgusto sulle labbra, in ogni porto aveva incontrato quasi sempre la stessa scritta, l’originalità delle città marittime era sempre stata di pessimo gusto. Ma in fondo, non era il nome a fare la tavola.





“Non appena giungerai dalla tua amata, dovrai risvegliarla con il Bacio del Vero amore. L’incantesimo più potente di tutti. Così le rilascerai gli anni di vita che le hai donato”.
Erano state queste le parole che la Regina di Cuori aveva sussurrato a Killian Jones prima che partisse. Se le ricordava bene, non vi era dubbio su ciò che avrebbe dovuto fare.
Il viaggio per Neverland era stato faticoso, affrontare di nuovo il vortice aperto dal fagiolo magico gli toglieva quasi tutte le energie e averlo compiuto per due volte ad una distanza così ravvicinata, gli aveva tolto più di quanto non desiderasse.
La Jolly Roger era riemersa alla Baia delle Sirene, dove era rimasto custodito il corpo di Milah.
Killian afferrò una conchiglia ed iniziò a soffiare all’interno, così da richiamarne il Custode.





-Qui di sicuro troveremo qualche pazzo disposto a lasciare la propria vita per salpare con voi, Capitano- intervenne immediatamente Abraden, per convincermi a fermarci in quel posto.
-Non so se ho ancora voglia di fare della mia ciurma un agglomerato di folli. Un po’ di razionalità farebbe bene, di tanto in tanto- mugugnai a denti stretti, prima di scostare la porta d’ingresso ed entrare nella taverna.

Il puzzo di uomini di mare accresceva a dismisura, confondendosi con quello del rum versato a terra da ubriachi che venivano stesi sui tavoli o gettati a terra per fare spazio.
Le grida e le risate si innalzavano a dismisura, a seconda di ciò per cui si brindava.

Le giovani locandiere erano perennemente infastidite dagli sguardi degli uomini avvolti nel loro mondo di ubriachezza, tant’è che spesso erano costrette ad allontanarsi dalle loro mani che cercano di allungarsi il più possibile nelle parti che essi desideravano vedere più da vicino.

Solo alcune si lasciavano corteggiare e la scelta non era certo difficile da fare. Una buona locandiera sa sempre quale sia il miglior cliente da accontentare.
Sorrisi di fronte a tutto ciò che stavo guardando, non era cambiato proprio nulla dall’ultima volta che misi piede in quella città.


 


 
L’acqua limpida della Baia costeggiava la nave, inumidendola come svariate volte era accaduto. Il canto delle Sirene non inneggiava ancora nell’aria, stavano dormendo e non sempre erano disposte a farsi vedere.
Ma Killian le conosceva bene, era riuscito a sopravvivere, nonostante molti altri sventurati erano caduti nelle loro grinfie.
Il richiamo della conchiglia aveva prodotto il suo effetto, un corpo sinuoso nuotava attorno alla nave, accompagnato da una lunga coda verde che si agitava assieme ai piccoli mulinelli d’acqua che ancora volteggiavano per aver ricevuto la Jolly Roger da altri mondi.
-Ariel!- chiamò a gran voce Killian, prima di saltare in piedi sulla balaustra ed aggrapparsi ad una fune per sorreggersi.
Una sirena dai lunghi capelli rossi uscì dal ciglio dell’acqua, mostrandosi in tutto il suo fascino ammaliante.
-Eccomi qui, Capitan Hook- gli occhi lucidi ed azzurri lo fissarono attentamente.
-Portami da Lei- sussurrò prima d tuffarsi e  lasciarsi ricadere in acqua.

 




 
Poiché non scorgevo l’ombra di un tavolo che fosse libero, decisi di appropriarmene io stesso di uno ancora occupato. Presi per le orecchie due ragazzini ancora imberbe che fingevano di sentirsi grand’uomini e li spinsi via per potermi sedere comodamente sulle loro sedie.
Tentarono di ribellarsi di fronte a quella maleducazioni, ma Abraden capì bene che era il momento di occuparsene da solo e farli allontanare.

Tirai fuori i dadi truccati dalla tasca interna della giacca e li lanciai sul tavolo.
-Presto verranno qui a fare delle scommesse, intanto facciamoli incuriosire-.

Mettemmo in mostra uno spettacolo divertente, io ed Abraden, come ogni volta che desideravamo accaparrarci i soldi degli stolti che se ne stavano nelle taverne a bere fino alla mattina seguente, svuotati di tutti i loro averi.

-Stai forse cercando di dire che sono un truffatore?- mi alzai in piedi inferocito, sputando il rum che avevo nel boccale –Di certo non sono uno sciocco, non ti restituirò nulla di ciò che ho vinto!- lo afferrai per il colletto con l’uncino per avvicinarlo al mio viso.
-Sei ancora convinto di volermi sfidare?-
Lo lasciai andare spingendolo sulla sedia, prima di volgere lo sguardo verso gli astanti che si erano voltati verso di me.
-Allora, qualcuno vuole sfidarmi o siete tutti dei cacasotto?-.

Uno di loro si alzò barcollante dal suo tavolo da gioco e si avvicinò al nostro, spostando via Abraden perché  gli facesse spazio.
-Vediamo che sai fare bel faccino. Scommetto che una volta che ti avrò ripulito per bene piangerai come una bambina- la risata aspra squillò per qualche istante, prima di farmi sorridere e tornare al posto.

-Questo è ciò che ho da offrire- mandai avanti una metà dei guadagni vinti da Abraden, mentre attendevo la controfferta.





Un improvviso vortice d’acqua gli annebbiò la vista, Ariel lo aveva afferrato per la vita, così da poterlo condurre nelle oscurità marine. Aveva poco tempo, ne aveva avuto sempre terribilmente poco.
Una volta riaperti gli occhi si accorse che erano già arrivati nei pressi della grotta dove era custodita Milah, protetta da qualunque evento naturale che potesse distruggere la sua bellezza.
La sirena lo condusse fino al suo capezzale, mostrandole come era rimasta intatta da quando si era allontanato.
Milah indossava un lungo abito bianco che sospirava assieme alle onde, rami di alghe le avvolgevano le braccia, il petto e le gambe per poterla tenere ferma su una lunga pietra scura.
Ariel lasciò libera la presa, prima di soffermarsi di fronte a lui e avvicinatasi alle sue labbra per potergli lasciare un soffio d’aria che gli consentisse di avere ancora aria nei polmoni.
La piccola bolla fu prontamente ingerita, non avrebbe avuto problemi di tempo, quella volta.
Killian nuotò fino al giaciglio di Milah, le accarezzò i capelli per poterglieli scostare dal viso, prima di immergersi in un lungo bacio.
Le labbra fredde ed umide iniziarono a diventare più colorite, il rossore delle guance si faceva più vivo ed una nuvola viola iniziò a sommergerla, finchè non scomparve nel momento in cui riaprì gli occhi chiari.







Stavo vincendo, senza alcun dubbio. Con i dadi truccati era un gioco da ragazzi sbeffeggiare quegli sciocchi, non si sarebbero mai accorti di nulla.
Sorrisi con veemenza accorgendomi di quanti altri giocatori si erano avvicinati al tavolo, era una malattia irrinunciabile quella del gioco.

-Ed ancora una volta la vincita è aggiudicata a me!- esclamai con soddisfazione, afferrando una parte del denaro.
L’avversario non sembrò affatto soddisfatto e anzi si alzò dal tavolo con un moto di rabbia.
-Che tu sia maledetto, pirata!- inveì con forza prima di abbandonare il gioco ed uscire dalla taverna in fretta.

La serata sembrava esser diventata fruttuosa, forse una delle migliori di quegli ultimi tempi, quando i bottini iniziavano a scarseggiare e gli uomini erano diventati meno astuti e più sciocchi.
In quel momento entrò un uomo incappucciato che sorvolò la sala per poter attaccare dei fogli di carta alle pareti, sembrava un qualche avvertimento.
Mandai Abraden a scoprire di cosa si trattasse.

Tornò subito con il foglio sventolante nella mano destra che mi porse in gran fretta.
-Questi sciocchi hanno bisogno di aiuto Capitano, la ricompensa sembrerebbe fare al caso nostro-.
-Di che si tratta?-
Lessi ciò che vi era scritto, sembrava proprio che da qualche mese a quella parte un lupo si aggirasse ai confini del bosco della città e ad ogni notte di luna piena attaccasse delle persone, sbranandole quasi interamente.

-Un lupo…- sussurrai pensieroso –abbiamo affrontato mille altri pericoli, molto più insidiosi di una bestia simile. Ci meritiamo questa ricompensa. Quand’è la prossima luna piena?- gli domandai piegando il foglio in due e infilandolo all’interno del soprabito nero.
-Dopodomani, Capitano-.

-Ottimo, non dovremo nemmeno togliere troppi giorni al nostro viaggio. Massacreremo quel lupo e ci rifaremo di questi ultimi mesi- mi ripresi d’animo, quella notizia non poteva capitare in un momento migliore.
-Stranieri che tentano ancora una volta di uccidere il Lupo?- una voce femminile interruppe il corso dei miei pensieri.
Una giovane ragazza dai lunghi capelli neri si avvicinò al tavolo per poter lasciare un nuovo boccale di rum.

-In quanti ci hanno provato senza riuscirci, bellezza?- un rinnovato sorriso si palesò sulle labbra, finalmente mi sarei potuto rifare gli occhi con la presenza di una bella donna.

-Tanti, quasi quanto le vostre monete- indicò il piccolo bottino, prima di appoggiare una mano sullo schienale della sedia. –Siete davvero convinti di voler affrontare quel mostro? Ne ha uccisi parecchi, è un animale molto scaltro-.





 
Era riuscito nel suo intento. Finalmente avrebbe potuto riabbracciare la donna che amava, vederla respirare davanti ai suoi occhi.
Avrebbe voluto piangere, ma non poteva permettere a se stesso di cadere così in basso con i sentimentalismi.
Ariel nuotò velocemente verso di loro e donò a Milah una bolla d’aria che le permise di non bere l’acqua salata, poi la aiutò a districarsi dalle alghe per permetterle di muoversi.
Killian sorrise, dopo tanto tempo poteva dirsi felice. Non importava il sacrificio che aveva compiuto, per lei lo valeva tutto ed altre mille volte lo avrebbe fatto.
La prese per mano, sfiorandone il dorso dolcemente con le labbra, prima di condurla via da quella grotta per poterla riportare in superficie.
Non appena entrambi riaffiorarono dall’acqua, la ciurma esclamò unanime: -Milah, Milah è tornata in vita-.
La donna del Capitano era riuscita a farsi amare dall’inizio e l’avrebbero protetta in ogni modo.






Le afferrai la mano prima di farla voltare e poi condurla verso di me, per farla sedere sulle mie gambe e guardarla meglio negli occhi.
-Non sai con chi stai parlando, sono certo di poter affrontare una sfida del genere e tornare integro-.

Mi rivolse uno sguardo carico di ironia, prima di volgere lo sguardo sull’uncino con cui le stavo distogliendo i capelli dal viso.
-Pare proprio che qualcuno sia riuscito a strappare via un pezzo di voi, intrepido condottiero-.
Si rialzò immediatamente, prima di recuperare i boccali vuoti ed appoggiarli sul vassoio di legno.

Lo sguardo azzurro si incupì per qualche istante, ma sparì subito dopo che avvolsi la mano nel boccale appena riempito.
-In ogni caso, spero che riusciate a tornare vivi. In quanto al Lupo, non lo trovo un animale così fastidioso. Sono gli altri che lo cercano per ucciderlo, altrimenti sarebbe mansueto-.
La ragazza si dileguò immediatamente dietro al bancone per tornare a servire gli altri clienti.

-Hai per caso sentito il suo nome, mentre si presentava?- domandai ad Abraden tornando improvvisamente pensieroso.
-Non si è presentata, Capitano- si volse anche lui a guardarla –ma prima ho sentito qualcuno chiamarla Red-.
Mugugnai qualcosa di incomprensibile, prima che il rumore della lancetta tatuata sul petto, non scoccò verso un altro minuto. Sussultai, prima di tornare a bere.





NdA:

Salve a tutti! Ecco qui il nuovo capitolo della storia. Qui, come avete visto, compare per la prima volta Cappuccetto Rosso, che diventerà più presente nei prossimi capitoli. 
Lascerò ancora spazio ai flashback di Hook, per capire a quale punto attuale della storia si trovi al momento. 
Non ho saputo resistere alla presenza di Ariel, dovevo inserirla in qualche modo! 
Nella speranza che possa piacervi, 


Yoan. 

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Capitolo 3
*** Il mantello rosso ***


III. Il mantello rosso





Racimolai il piccolo bottino vinto alla taverna “Il lupo di mare” che valeva delle bottiglie di rum in più per il mio equipaggio e tornai alla nave. I turni notturni si diedero il cambio, la maggior parte dei pirati discesero a prendere informazioni riguardanti il mostro che osteggiava la città, incutendo un timore quasi surreale.
Ancora non mi capacitavo del motivo per cui nessuno fosse riuscito ad uccidere quell’animale, in fondo il Regno abbondava di cacciatori esperti.

Due notti ancora e sarei riuscito ad ottenere molto più di semplici vincite a tavolino, manipolate da tanta fortuna e trucchi che anche i bambini avrebbero scoperto.
Ero ancora sopracoperta, attendevo il rientro di Abraden da un momento all’altro e di certo mi stavo annoiando nel non fare nulla. Forse sarei dovuto andare anche io alla ricerca di qualche notizia, ma di notte nei porti brulicavano solo ubriachi e malfattori.
Sorrisi, come se io mi sarei potuto definire in maniera diversa.



 
 
Il viaggio non era stato facile da affrontare, riuscire a riportare in vita Milah gli aveva consumato la maggior parte delle sue energie. Ma alla fine era riuscito ad ottenere ciò che più desiderava al mondo. Ed ora, chi avrebbe potuto dire che il Capitan Hook non sarebbe stato in grado di realizzare qualunque cosa?
Milah non gli aveva rivolto la parola da quando si era risvegliata, si era rinchiusa nella sua cabina, desiderando di riposarsi. Ma quale riposo poteva esserci dopo aver attraversato la morte? Insomma, non aveva già affrontato un riposo molto più lungo e pericoloso?
Tutto questo lo faceva impazzire, in più quel tatuaggio sul petto lo infastidiva come non mai. Il sentir muovere le lancette di continuo lo mandava ai matti, ma si sarebbe dovuto abituare in fretta.




 


Con i gomiti appoggiati sulla balaustra osservavo il movimento dei pescatori che sonnecchiavano sul ponte di attracco, in attesa di risollevare le reti nel momento in cui ce ne sarebbe stato bisogno.
Volsi lo sguardo altrove e vidi un componente della ciurma tirare per le orecchie i due ragazzi che avevo gettato dalla nave quello stesso pomeriggio.

-Dunque sono ancora vivi!- sorrisi divertito nel vedere come venivano trascinati su, arrabattandosi su loro stessi.
-Sì, Capitano! Li ho pescati con le mani nel sacco: credevano di poter fuggire senza che ve ne accorgeste- rispose Christian mentre risaliva sulla nave, conducendomeli davanti.

-Un comportamento audace, ma molto…stupido- infittii lo sguardo su di loro, staccandomi dalla balaustra e parandomi davanti ad entrambi con aria di ammonizione.
Tentarono di dire qualcosa in propria difesa, ma li feci ammutolire immediatamente.

-Silenzio!- feci segno a Christian di scostarsi, cosicchè potessi girare intorno ai due come un avvoltoio affamato. –Quali erano le regole che vi sono state elencate una volta che siete entrati a far parte dell’equipaggio?- li rimproverai con una certa foga, prima di chinarmi verso di loro e appoggiare la punta dell’uncino accanto al collo di quello che stava per rispondere.

-Co…co…- balbettò uno di loro –completa fedeltà al Capitano. Anche in caso di abbandono della nave, siamo legati a voi dal patto che abbiamo stretto. Il patto può essere sciolto solo con…-

-La morte- interruppe Chirstian elargendo una risata divertita, avrebbe gradito un po’ di azione.

-Giusto- confermai le parole del pirata, prima di proseguire –Quindi, se foste morti nel momento in cui vi ho abbandonati in mare, sareste stati liberi di non essere più al mio servizio- comprendevo perfettamente la contraddizione che stavo esponendo –poiché siete tornati a terra sani e salvi, sareste dovuti tornare qui immediatamente. E come viene punita questa mancanza?- mi rivolsi sempre verso il pirata.

-Con la morte, Capitano- un’altra risata proruppe dalla dentatura nera.

I due cercarono invano di invocare il mio perdono, ma amavo sinceramente non permettere agli altri di esprimere i propri pensieri in parole. Troppo spesso avevo concesso agli esseri umani di farlo e per ascoltarli, avevo perso tanto. Non ero più disposto a rendermi disponibile con nessuno.

-Porta via questi topi tremolanti, Christian. Non vale la pena sporcarmi le mani del loro putrido sangue, tanto meno desidero averli sulla mia nave. Ho bisogno di uomini, non di uccellini pigolanti- così facendo gli feci segno di portarli via, in fondo spaventarli mi aveva dato qualche soddisfazione.

Un tempo probabilmente li avrei fatti scorticare, ma al momento non era di mio interesse giocare con le vite altrui, visto che da solo mi ero inflitto una pena enormemente difficile da affrontare per quel poco che mi rimaneva da vivere.
Sentivo battere ancora le lancette sul petto, era un’agonia indesiderabile. Mi procuravano un perenne fastidio, sentirle muovere sulla pelle, non mi abbandonavano mai.
 



 
Era rimasto sveglio tutta la notte con gli occhi aperti, chiuso in cabina con la donna a cui aveva donato la vita, nel vero senso della parola. In attesa che lei si risvegliasse, pensava quasi paura di aver fallito, di esser stato ingannato dalla Regina di Cuori. Ma il viso di lei era ancora tinto di rosa, le labbra erano rosse e ogni tanto la vedeva muoversi e rigirarsi nel letto come se i sogni la disturbassero.
Era bella, proprio come prima di morire. Proprio come se ne stava tra le sue braccia, quando Tremotino le strappò il cuore. Strinse il pugno sano della mano con ferocia, presto avrebbe avuto la sua rivincita.
La prima luce del sole penetrò caldamente all’interno della cabina, illuminandole il viso, così iniziò a risvegliarsi poco a poco, assieme al torpore del giorno.
-Non hai fatto altro che guardarmi per tutta la notte?- i suoi occhi chiari sembravano incupiti mentre si aprivano ed incontrarono i miei, affannati e stanchi.
Si alzò dalla sedia per dirigersi al suo capezzale e sedersi accanto a lei, prendendole una mano.
-E queste sono le prime parole che mi rivolgi?- la rimproverò con un sorriso sulle labbra.
-Sono le prime che mi sono venute in mente- rispose alzandosi lentamente per mettersi a sedere anche lei.







Abraden ancora non faceva ritorno, mi decisi dunque ad andare a dormire in cabina, avevo bisogno di riflettere e di starmene da solo, avrei parlato con lui il giorno dopo.
Mentre volsi i passi indietro, lo sguardo fu colpito da un mantello rosso che volteggiava al ritmo del vento proprio poco distante dal porto, dove le case basse e grigie si alternavano alle stradine che portavano all’interno della città.

Mi aveva incuriosito, aveva il colore del sangue e chi lo indossava era di certo una donna. Sapevo riconoscere certe fisionomie interessanti, la curiosità era troppa e il desiderio di dormire era d’un tratto calato.

Mi accorsi anche che portava con sé un sacchetto scuro che dondolava dalla mano, probabilmente doveva contenere delle monete.
Sorrisi inconsapevolmente, avrei potuto seguirla. Nel migliore dei casi, se avevo intuito il contenuto del sacchetto, avrei racimolato altro denaro per il viaggio. Nel peggiore, avrei potuto corteggiarla per trascorrere la notte accanto ad una donna… e ad un profumo migliore di quello che c’era sulla nave.

Scivolai giù dal ponte per non perdere di vista il mantello rosso che iniziava a costeggiare le stradine interne della città. Dovetti superare i pescatori che mi intralciavano la strada e  alcuni ubriachi che chiedevano l’elemosina. Quella città non andava mai a dormire?
Mi intromisi nella rete di stradine che sembravano farsi sempre più strette, poi si ingrandivano non appena andavano a confluire verso il centro, finchè non tornavano a collegare le piccole case tutte accanto alle altre. Quel posto sembrava una tela di ragno.
 




 
La guardava con attenzione, come per recuperare tutti quei mesi che aveva perduto per trovare una soluzione alla malattia della sua anima. Si era quasi dannato per lei.
-Perché lo hai fatto?- domandò con gli occhi lucidi.
Killian corrugò la fronte, come se la domanda non meritasse una risposta, non era abbastanza ovvio?
-Perché ti amo, Milah- ripeterlo era quasi una convinzione per se stesso.
Lei rimase immobile, inclinando appena il viso di lato, prima di abbassare lo sguardo.
-Capisco- si alzò dal letto prima di avvicinarsi  alla scrivania, per accarezzare le carte nautiche.
-Ti ringrazio per avermi riportata  in vita. Immagino che tu abbia dovuto pagare un prezzo molto alto per questo, non è così?- gli dava le spalle, la sua voce non sembrava affatto affettuosa, né calorosa.
-Milah- la rimproverò con una certa enfasi –e’ davvero questo ciò che hai da dirmi? Dopo quello che è accaduto!- si fermò dietro di lei, in attesa di una risposta.

 






Fortunatamente la ragazza dal mantello rosso non andava di fretta, in più riuscii a sentire ogni tanto il tintinnio delle monete nel sacchetto, dunque i miei ragionamenti erano esatti.
I raggi della luna sembravano seguirla ad ogni passo ed illuminare ogni strada inerpicata che stava attraversando.
Quasi per un attimo non fui scoperto, quando si voltò all’improvviso, sembrava avesse cambiato strada.

-Guardate un po’ che abbiamo qui…- delle voci confuse provenienti da un vicolo uscirono per tagliare la strada alla ragazza, che sussultò e si arrestò all’istante.
-Una bambolina indifesa, la merce migliore. Cos’hai lì, dolcezza?-
Erano in tre e la accerchiarono, lei tentava di indietreggiare. Non riuscivo a guardarli in viso, l’oscurità della notte sembrava aver perso tutto ad un tratto la luminosità della luna.

-Niente che possa interessarvi- la ragazza nascose dietro la schiena il sacchetto di monete.
Sarebbe stato un ottimo momento per tagliare la corda assieme al bottino, ma lasciarla indifesa non sarebbe stato un comportamento da gentiluomo e a me piaceva esser definito tale, non potevo certo far discutere sulla mia reputazione.

-Non mentirci, tesoro. Ti aspettavamo…- uno di loro fece squillare una risata viscida prima di tossire rumorosamente.
Alzai gli occhi al cielo, detestavo quei topi di fogna.

-Ma io non stavo andando a nessun appuntamento!- detto questo la ragazza si voltò velocemente per iniziare a correre nella mia direzione, ne approfittai, mi staccai dalla parete di una casa per afferrarla non appena mi passò davanti. La presi per il polso e la scaraventai con forza dietro di me, prima di sfoderare lo stiletto che tenevo stretto alla vita.
Maledetto me che avevo deciso di non girare armato a dovere per quella notte, speravo di non attaccar briga con nessuno e invece mi ci ero ritrovato in mezzo.




 
-Sembri molto agitato- si voltò verso di lui, incassando la testa tra le spalle, come se la cosa non la toccasse affatto.
-Agitato!- la sbeffeggiò con una rinnovata cattiveria che non credeva di poter avere verso di lei.
Non è ciò che si aspettava, non era la reazione che desiderava. Lui le donava la vita e lei nemmeno gli rivolgeva le meritate attenzioni.
-Tremotino ti ha strappato il cuore ed io ho fatto di tutto per farti tornare qui da me- le prese una mano e gliela appoggiò sul petto, lì dove batteva il cuore, per farle ricordare che cosa era accaduto.
-Io non sento niente- rispose sentendosi confusa, guardando la mano appoggiata al petto.
Killian improvvisamente comprese. Tremotino le aveva strappato il cuore, stritolandolo davanti ai suoi occhi: ciò voleva dire che aveva ridato la vita ad una donna che non possedeva più un cuore.
Rimase attonito, avvolto da mille pensieri che gli penetravano nella testa come se fossero stati spilli incontenibili.
Dare la vita ad una persona senza un cuore era forse la punizione peggiore che avesse potuto ricevere.







-Allora, Signori. Mi sembra di aver capito che la fanciulla non abbia intenzione di fare conversazione, perciò sarebbe meglio che ve ne andiate subito. Non vorrete assaggiare la vendetta di un Pirata?- inarcai un sopracciglio, puntando lo stiletto verso l’uomo che stava al centro del terzetto.

-E questo chi diavolo sarebbe?- uno dei tre mi sputò davanti ai piedi.
Sentivo il respiro della ragazza farsi più affannato per la preoccupazione, mi sarei distratto dicendole di fuggire, se solo quell’azione sprezzante non mi avesse fatto rivoltare il sangue.

-Facciamolo fuori e prendiamo la ragazza- ordinò quello contro cui continuavo a tenere lo stiletto e sfoderarono tutti e tre delle sciabole smorzate.

-Proprio non ci siamo capiti. Non vi lascerò andare finchè non avrete chiesto scusa alla signora e…a me- senza lasciargli il tempo di contraddirmi tirai un mandritto verso colui che mi stava di fronte, mentre conficcavo con l’uncino il braccio di quello accanto che voleva infilzarmi al fianco.
Spinsi quello sulla sinistra con un calcio, ma si rialzò immediatamente.
Con il solo stiletto non sarei andato molto lontano. Indietreggiai in fretta e mi voltai quell’attimo adatto per strappare via il mantello della ragazza per potermelo arrotolare sul braccio sinistro.

-No, il mio mantello!- stridette infastidita mentre mi si aggrappava alle spalle.

-Stà ferma, stupida! Se vuoi salvarti la vita fatti da parte, te ne comprerai un altro- la spinsi via.
-Non puoi capire, quello mi serve per…- continuò a dire, ma fu interrotta da un nuovo cozzare di lame.

Fermai in parata un nuovo colpo che sopraggiunse con forza al braccio sinistro, lo posizionai avanti essendo avvolto dal mantello e contrattaccai senza perdere tempo. Lanciai la cappa sul malcapitato, avvolgendolo interamente, prima di far leva sul suo polso ed acquistare la sciabola. Feci scivolare lo stiletto dietro di me perché potesse afferrarlo la ragazza, se si fosse dovuta difendere.
Riflettendoci, era stata davvero una gran maleducata. Stavo cercando di trarla in salvo e continuava a lamentarsi della sua mantella? Donne!
 



 
Si gettò a sedere sulla sedia, appoggiando la mano sana sulla fronte. Ecco cosa non gli aveva detto la Regina di Cuori, ecco quale sarebbe stato l’altro prezzo da pagare nel riportare in vita una persona morta. Lo aveva messo in guardia, ma non poteva immaginare.
Come poteva credere di vivere in quel modo? Non solo il tempo rimastogli era poco, in più la donna che amava non poteva nemmeno ricambiarlo come una volta, in assenza di un cuore.
Agganciò l’uncino al tessuto dei pantaloni, quasi arrivando a strapparne una parte.
-Tremotino, che tu sia dannato per sempre- mugugnò con rabbia, prima di uscire dalla cabina sbattendo la porta e lasciando una Milah affatto interessata a tutto ciò che stava accadendo.

 





Ora che avevo una sciabola non c’era più bisogno di usare la cappa, quindi tornai all’attacco verso gli altri due per poterli disarmare.
Dopo una fila di stoccate riuscii a far cadere l’uno, per poi finire l’altro ferendolo alla spalla.
Era evidente che tenessero  un’arma soltanto per difesa, non erano in grado di utilizzarla.

Tutti e tre iniziarono a strisciare all’indietro, disarmati.
-Ne volete ancora?- domandai puntando nuovamente l’arma verso di loro.
Si guardarono l’un l’altro e con una decisione unanime si rialzarono per fuggire lontano.

-Mpf, dilettanti- li sbeffeggiai, prima di voltarmi con estrema soddisfazione verso la ragazza che avevo appena tirato fuori dai guai. La vidi correre verso il mantello che era rimasto a terra, aveva riportato un solo squarcio nel mezzo.

-Tutto qui, non mi ringrazi nemmeno?- le domandai con un incredibile risentimento nel tono di voce.

-Ringraziarvi? E di cosa?- si alzò furiosa mostrandomi il mantello squarciato –Guardate cosa avete fatto! Avreste dovuto rimanere da parte, me la sarei cavata da sola-.
Nel momento in cui mi presi il tempo di guardarla in viso, la riconobbi subito. Era una delle locandiere che avevo visto la sera stessa al Lupo di mare.

-Ah! Io ti salvo la vita e  tu te la prendi  per un po’ di tessuto strappato? Sei una donna, puoi ricucirlo senza troppi affanni- ribattei prima di infilare la sciabola degli assalitori nella guaina che tenevo appesa alla cintura.

-Ve lo ripeto: me la sarei cavata da sola. Inoltre- si avvicinò con un certo disprezzo negli occhi –questo mantello non posso ricucirlo io, è fatto di un tessuto particolare. La prossima volta, fatevi gli affari vostri- mi ringhiò contro, da un momento all’altro mi sarei aspettato di veder spuntare fuori delle zanne.
Si voltò con furore e preoccupazione, dandomi le spalle e riprendendo a camminare nella direzione che aveva preso.

-Un momento!- totalmente stupito da quella reazione così inspiegabile iniziai ad andarle dietro, serrando il pugno sano. –Non permetto a nessuno di parlarmi in questo modo, con chi credi di avere a che fare, ragazzina?-

-Con un Pirata- mi rispose continuando a darmi le spalle –uno dei più sciocchi, a quanto mi sembra di vedere-.

Dunque insisteva nello sbeffeggiarmi! Mi parai davanti a lei, camminando all’indietro per poterla guardare negli occhi.
-Cosa ti fa credere che dopo questo non ti ucciderò?-

-Perché potrei benissimo essere io ad uccidere voi- insisteva nel camminare, nonostante cercassi di farle rallentare il passo. Mi accorsi che il sacchetto di monete era stato legato alla vita, l’unico pensiero confortante era quello di poter prendere una ricompensa dalla gentilezza appena compiuta.

-Allora perché non ti sei difesa da sola, prima, invece di fuggire?- continuavo a tormentarla, non mi andava a genio che qualcuno rifiutasse di ringraziarmi.

-Non amo far del male alle persone, preferisco starmene per conto mio, senza esser disturbata- si fermò all’improvviso, appoggiando le mani ai fianchi –volete lasciarmi andare? Non credete di aver fatto abbastanza?-

Decisi di optare per un’altra strada. Sorrisi sghembo, avvicinandomi a lei e appoggiando la punta dell’uncino sulla sua guancia.
-Hai un bel caratterino, questo mi piace. Ma non mi sembra di aver udito nessun ringraziamento da parte tua- ammiccai subito dopo –sono aperto a tutte le possibilità, non devi per forza usare le parole, potresti anche approfittarne per farlo in un altro modo-.

Mi rivolse uno sguardo carico di disprezzo, che poi si trasformò in un sorriso dolce. Una metamorfosi assai veloce e strana.
-In un altro modo?- si avvicinò sensibilmente, tanto da farmi girare la testa –Spiegati meglio-.

-E’ molto semplice…- sorrisi soddisfatto, pensando di averla già intrappolata. Non era stato poi così difficile –Avrai l’onore di trascorrere una notte con il Capitano Killian Jones-.

Continuava a sorridere, sembrando decisamente interessata.
-Una notte soltanto?- fece un piccolo broncio –E’ un vero peccato, una sola notte per lasciarmi poi insoddisfatta in tutte le altre?-

-Il frutto del piacere, dolcezza, è buono soltanto la prima volta che lo si assapora. Poi rischia di perdere tutte le attrattive- ormai non ci sarebbe voluto molto a convincerla.

-Davvero?- inclinò la testa di lato, mostrandomi uno sguardo ammaliante prima di appoggiare le sue mani sul petto. Non appena avvertii le dita sfiorare l’orologio tatuato sul cuore ebbi un fremito leggero, che lei doveva aver avvertito. –Vi svelerò un segreto Pirata…- si avvicinò al mio orecchio prima di sussurrare –non mi faccio comprare dal primo frutto maturo della stagione-.

Così facendo si allontanò in fretta per iniziare a correre via, sempre più lontana da dove mi aveva lasciata.
Corrugai la fronte, decisamente insoddisfatto per aver perso un’occasione così deliziosa.
Alzai gli occhi al cielo, osservando la luna che si lasciava nascondere dalle nuvole: almeno avevo ancora un motivo per rimanere in quel posto, uccidere il lupo mi avrebbe permesso di guadagnare ciò di cui avevo bisogno.

Abbassai lo sguardo verso l’uncino, sollevando il sacchetto di monete che avevo sottratto alla ragazza di nascosto, mentre tentavo di corteggiarla. Almeno in questo, uno dei due si era alleggerito da un peso. 




//Nda: 

Saaaalve a tutti! 
Eccomi qui con il terzo capitolo. Per ora non sono ancora entrata nell'azione vera e propria, ma dal prossimo credo proprio che Hook dovrà affrontare la paura della città e molto probabilmente riuscirà a capire che si tratta proprio di Cappuccetto Rosso. 
Sto andando un pò a rilento con la storia e sto selezionando solo poche fasi d'azione perchè voglio capire meglio come strutturarla, per migliorarla più avanti. 
^_^ spero che vi piaccia, al prossimo capitolo! 

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Capitolo 4
*** La notte senza stelle ***


IV. La Notte senza stelle






Incubi. Per tutta la notte. Continuavo a rivoltarmi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Il viso di Milah era sempre nei miei pensieri, mi tormentava ogni notte ed ogni notte non riuscivo a dimenticare quello che era accaduto.
Tremotino mi aveva rubato molto più della donna che amavo, aveva portato alla rovina la mia vita, la mia serenità.

Serrai gli occhi con forza, nella speranza di cancellare il suo volto ripugnante dai ricordi, ma come potevo dimenticare colui di cui ero alla ricerca? Tutti quegli anni erano trascorsi in virtù della mia missione: trovarlo, per potermi appropriare di quel cuore che bramavo più di ogni altra cosa. Avrei salvato me stesso, forse anche Milah.

Quando avvertii una delle lancette scoccare di nuovo ebbi un fremito incontrollabile e mi dovetti alzare in piedi, abbandonando il giaciglio ancora caldo. Mi sedetti sulla sedia di fronte alla scrivania dove tenevo le carte nautiche, vi appoggiai sopra i piedi rivestiti degli stivali migliori che avevo comprato in quegli ultimi tempi, mentre incassavo la testa tra le spalle per trovare un po’ di requie.

L’unica consolazione che avevo era quella di aver tenuto stretta la Jolly Roger, senza la mia nave avrei perso qualunque tipo di speranza e al momento non avevo nulla a cui potessi tenere maggiormente.



 
-Capitano, non vi sembra che la vostra Milah sia cambiata?- Spugna si fermò accanto al timone, lanciando uno sguardo in tralice ad Hook, che continuava a guardare davanti a sé, per riflettere sulla velocità di avanzamento.
Hook sussultò, mordendosi il labbro inferiore.
-Cambiata?- non aveva avuto il coraggio di informare nessuno della ciurma della problematica che era venuta fuori –A me non sembra. Come vuoi che si comporti una persona che ha affrontato la morte ed è ritornata in vita poco dopo? Non farti domande sciocche, Spugna- lo rimproverò con una certa veemenza.
Spugna rimase ad osservarlo con fare sospetto, non era convinto di quello che gli veniva detto, ma il Capitano era il Capitano e non aveva intenzione di contraddirlo…al momento.  
-Eppure ha assunto uno strano atteggiamento. Sapete che ha preso il comando a prua?- sghignazzò, in fondo non resisteva a stuzzicarlo.
-Come?!- Hook si voltò infuriato verso di lui, come se fosse responsabile di quel che stava accadendo.
-Esattamente Capitano. La vostra Milah, che a parer vostro è sempre la stessa, sta dando ordini ai vostri uomini…diversi da quelli che avete dato voi poco fa-.


 
Sentii battere tre volte alla porta, doveva essere Abraden, solo a lui era concesso entrare nella cabina ad un’ora simile.
In realtà era soltanto l’alba, ma negli ultimi tempi avevo preso il brutto vizio di alzarmi a qualunque tipo di orario, a seconda di quanto desiderassi farmi vedere sopracoperta.
-Avanti, entra pure- bofonchiai sprofondando nella sedia e appoggiando la mano sana dietro la nuca.

-Capitano- entrò il mio secondo, togliendosi il cappello dalla testa in segno di deferenza, prima di rimetterlo al suo posto –speravo di trovarvi sveglio e non disturbare il vostro sonno-.

Gli lanciai uno sguardo carico di ironia.
-Sai bene che non riesco a dormire. Cosa c’è?-

-Ho le informazioni che cercavate sul Lupo, Capitano. Sono tutte molto confuse, inoltre non credo siano molto utili. Propongo di agire alla vecchia maniera: sfoderiamo i pugnali e massacriamolo- sembrava estremamente convinto delle sue parole.
Apprezzavo la sua semplicità e il suo modo di fare così diretto, era qualcosa che non aveva Spugna, con lui bisognava sempre porre attenzione ad ogni parola, rischiava sempre di poter dire esattamente il contrario.

-Allora non farmi aspettare, raccontami quello che hai scoperto- sbrigativamente gli feci segno di avvicinarsi, mentre aprivo il cassetto della scrivania per tirare fuori l’uncino e montarlo all’attaccatura del polso.


 
 
-Perché sono state liberate queste cime?- Hook urlò  verso il primo della ciurma che gli capitò a tiro, afferrandolo per il colletto della camicia sgualcita –Chi vi ha dato l’ordine di farlo?-
-Milah, Capitano! Credevamo riportasse i vostri ordini- il ragazzo scrollò le spalle, come se non ci trovasse nulla di strano.
-No che non li  riportava, sciocco!- si voltò verso tutto il resto della ciurma che si era riunita intorno a lui –E voi, siete qui per eseguire i miei ordini. Poco fa vi ho detto di legare le cime, non di liberarle!-.
L’equipaggio si mostrava più confuso ad ogni parola che veniva pronunciata. Spesso Milah riportava gli ordini del Capitano e loro eseguivano con diligenza, senza nessun tipo di lamentela.
Eppure in quel momento Killian Jones sembrava totalmente fuori di sé.
-Legate di nuovo le cime- cercò di calmarsi, prima di portare la mano sul cuore ed accartocciare il tessuto dell’abito nel pugno. Non era ancora abituato al movimento dell’orologio, era un vero e proprio supplizio.


 
 
-Come già sapevamo il Lupo agisce durante la notte di luna piena, si sfama principalmente di pecore, raramente si fa scorgere vicino alle abitazioni cittadine. Si tiene ben lontano da esse, piuttosto si aggira ai margini del bosco- riferì Abraden mentre lanciava uno sguardo veloce alle carte nautiche senza comprendere il motivo per cui fossero disposte in quel modo, avrebbe desiderato leggere di più, ma le ricoprii appoggiandovi sopra gli stivali. Non rivelavo mai all’equipaggio la meta del viaggio, almeno non da quel che accadde molto tempo fa.

-Mi stai dicendo che gli abitanti del villaggio si lamentano di un lupo che si sfama una volta al mese di qualche pecora e che pagheranno chiunque sia disposto ad ucciderlo?- arricciai il naso e incrociai le braccia al petto –Ho già perso l’entusiasmo, penso proprio che possano tenersi il loro denaro-.

-No, Capitano. Il Lupo attacca anche gli esseri umani, si dice che qualche tempo fa fece strage di un’intera famiglia. Ritrovarono i corpi di due fratellini sbranati al margine del bosco, dei genitori non vi fu traccia-. Ribadì Abraden, sollevando improvvisamente lo sguardo dalle carte e posizionando gli occhi nei miei.

Mi inumidii le labbra prima di far schioccare la lingua con soddisfazione.
-Questo lo rende un po’ più interessante, anche se non mi capacito di come un cacciatore qualunque non sia riuscito a farne carne da macello- mi alzai in piedi e raccolsi le carte sparse sul tavolo per arrotolarle con cura e riporle nel cassetto. –Fai preparare gli uomini migliori che abbiamo, stanotte festeggeremo con il bottino che ci guadagneremo-.


 
 
-Ve l’avevo detto- Spugna si affacciò alla balaustra per potersi sporgere e guardarmi negli occhi.
-Avresti dovuto fermarla- rispose Killian che aveva appena assunto un’aria corrucciata e poco incline alla conversazione.
La situazione gli stava sfuggendo di mano ed essere governato dal sentimentalismo non era affatto qualcosa  di cui andava fiero.
Si voltò verso Spugna, come per tentare di trovare una risposta alle sue molte domande.
-Forse non vi ama più- si azzardò a dire.
-E tu cosa ne sai dell’amore?- gli tirò un pugno sulla spalla che lo fece discostare dalla balaustra, abbastanza perché potesse passargli accanto.
Spugna lo guardò con rammarico, i suoi occhi dicevano molto più di quanto non avesse mai osato dire prima.
Killian avrebbe dovuto parlare direttamente a Milah per chiarire la questione. Non era più lei, non vi era dubbio, ma era pur sempre lui il Capitano della Jolly Roger e nessuno avrebbe mai preso il suo posto.



 

Avevo lasciato ai miei uomini la libertà di prendersi un intero giorno libero, come accadeva ogni volta che attraccavamo ad un porto.
Le leggi della ciurma erano ferrate, non permettevo a nessuno di eludere la mia vigilanza, avevo occhi ed orecchie aperti di fronte a qualunque situazione.
Una volta mi fidavo dell’equipaggio, era la mia famiglia, ma proprio in virtù di quella mia debolezza non ero stato in grado di andare oltre e vedere qualcosa che mi stava sfuggendo da davanti agli occhi.

Mentre mi incamminavo per le strade del piccolo paese non facevo che ripensare a quel mantello rosso che sembrava quasi colorato di sangue quella sera prima che l’avevo visto indosso alla ragazza della locanda.
Ripensando a quegli istanti ebbi un fremito di collera, disdegnavo coloro che osavano contraddirmi, ma al tempo stesso traevo la sfida che mi veniva lanciata.

Lo scorrere delle lancette sul petto mi destavano ancora fastidio tutte le volte che dimenticavo di avere quella maledizione dipinta sul corpo, non avrei mai avuto via di fuga, dovevo trovare Tremotino e non avevo molto tempo per farlo.

Raggiunsi la prima bottega di un fabbro che incontrai per poter far riaffilare la sciabola e lo stiletto, mi sarebbero stati utili per quella notte.
Sentivo il sangue ribollire nelle vene, avrei assaggiato un po’ di sangue, un po’ di sana avventura, cosa che mi mancava da tanto tempo, troppo.

Conclusi i miei momenti di riflessione sulla condizione interiore che continuavo a portare avanti, mi avviai verso la piccola radura che costeggiava il villaggio rispetto all’entrata del bosco.
Nel raggiungere quella parte del paese avevo rubato una mela verde dall’albero di un contadino, era troppo facile agire indisturbati in un posto in cui tutti si chiudevano nelle proprie case nell’avvicinarsi della notte di luna piena.

Sorrisi con spavalderia mentre mi appoggiavo al tronco di una quercia, in attesa dell’arrivo dei miei uomini.
Il tramonto stava ormai terminando e il sole lasciava spazio ad una luna che poco a poco avrebbe riunito la luce notturna del cielo.
Notte senza stelle, la chiamavano. Il momento in cui la pienezza della luna raggiungeva il suo apice, rassomigliando quando alla perfezione del sole.

-Capitano, ci siamo procurati tutto quello di cui avevamo bisogno- avvertii la voce di Abraden farsi strada nelle orecchie.

Mi voltai, distaccandomi dal tronco di quercia, per osservare soddisfatto i miei uomini armati fino ai denti.

-Ottima balestra, tenete pronte le frecce, ci serviranno- ordinai mentre addentavo la mela, mordendone il succo che mi scivolava tra le labbra.


 
 
 
-Milah- la sua voce, più calda del solito, cercava un approccio sincero.
Lei si voltò dalla sua parte, offrendogli una mela verde che teneva all’interno di un cesto, proponendogli uno dei suoi sorrisi ammalianti.
Osservò il frutto che gli veniva porto, con gentilezza lo prese per poterlo assaggiare.
-Grazie- fece mentre sollevava verso di lei la mela, prima di tornare ad addentarla –Temo che vi sia bisogno di un piccolo chiarimento-.
-Io non credo che ve ne sia bisogno, Hook- rispose mentre appoggiava il cesto a terra.
Non lo aveva mai chiamato in quel modo, lasciava che lo facessero soltanto i suoi nemici e lei non ne faceva certo parte.
-Invece ritengo che sia il momento di parlare- sputò un pezzo di mela a terra.
-Il mozzo aveva appena ripulito il ponte- lo rimproverò con un moto di disgusto.
Quelle ultime parole gli fecero saltare la pazienza, gettò via la mela che ricadde in acqua.
-Basta così, Milah! Tu non dai ordini a nessuno, sono io il Capitano della nave e qualunque mio desiderio è un ordine, questo è il contratto stipulato per far parte della Jolly Roger!- alzò la voce di modo che anche gli altri avessero chiaro che la situazione non era da prendere sottogamba.
-Se non sai controllare i tuoi uomini, Hook, non te la prendere con me.  Sono solo una donna in fondo- scrollò le spalle prima di aggiungere –la tua mancanza di polso non puoi imputarla alla mia presenza, sei tu che mi hai rivoluto con te-.
Ormai non aveva più il controllo di sé, vedersi sbeffeggiare davanti alla ciurma era troppo. Si avvicinò a lei minacciosamente prima di puntarle l’uncino sotto il mento e afferrarle il polso con l’altra mano.
-Sei la donna a cui ho donato la vita, cerca di rispettarmi. Se non come tuo compagno, almeno come Capitano- sputò una dopo l’altra quelle parole, prima di rilasciarla.
-E voi cos’avete da guardare? Tornate a lavoro!- urlò furente verso l’equipaggio, prima di voltarsi per dare le spalle a Milah e rintanarsi nella sua cabina.


 
 
-Ecco Capitano, la luna inizia a fermarsi al centro del cielo- sussurrò Abraden nel mio orecchio, come a voler incoraggiare quella missione.
Lo guardai alzando un sopracciglio, non avevo bisogno di certi avvertimenti per accorgermi di quello che mi stava accadendo attorno.

-Lo vedo bene- risposi stizzito, prima di sfoderare lo stiletto dalla guaina raccolta nella cinta ed iniziare a giocarci lanciandolo in aria e riprendendolo dal manico. Avevo ancora il sapore amaro della mela che mi batteva contro il palato, mi aveva aperto lo stomaco e al momento non potevo pensare di riempirlo.

Uno schioccare di rami ci fece voltare tutti alle spalle, eravamo forse stati colti di sorpresa? In fondo i carnivori attaccavano spesso alle spalle delle prede e noi ne avevamo tutta l’aria.
Quando mi accorsi che si era trattato solo di un falso movimento di uno dei miei uomini lo rimproverai con lo sguardo, prima di tornare a fissarlo lì dove era posto prima, ai margini della foresta.

Avevo fatto liberare un agnellino perché risvegliasse il mostro, belava in cerca di una madre che non avrebbe più rivisto. In fondo tutti noi andiamo incontro a dei sacrifici e per quella volta sarebbe toccato ad un elemento innocente che però ci avrebbe aiutati.

Trascorsero diverse ore, ma del lupo non vi fu la minima traccia. L’agnellino continuava a pascolare ai margini del bosco, ignaro di quello che gli sarebbe toccato fare.
Annoiato da quell’assenza, iniziai a domandarmi se la storia del lupo non fosse stata un’invenzione raccontata da qualcuno per approfittare della debolezza degli abitanti.
Molte volte era accaduto qualcosa di simile, altrimenti come spiegarsi la mancanza del lupo proprio in quella notte?

Infuriato per la fame, per la stanchezza e per quella che si stava rivelando una perdita di tempo, mi distaccai dal gruppo ed iniziai a correre verso l’agnellino, fino a raggiungerlo.

-Allora, trovi che io sia più appetitoso di lui?- iniziai ad urlare al nulla che mi presentava davanti, facevo volteggiare lo stiletto sopra la testa, come ad invitare qualunque cosa ad aprire lo scontro.
-Forza, non avrai paura di un Pirata?- urlare a squarciagola mi dava la forza per caricarmi di energia.

-Capitano, fate attenzione!- gridarono i miei uomini, ma nessun’ombra si scorgeva, nessuna presenza oscura che desiderasse fare alcuna strage raccontata dagli abitanti del paese.

-Qui non c’è nessun mostro- mugugnai infastidito prima di voltarmi verso l’agnellino che pascolava poco dietro di me, ma nel momento in cui cacciai via lo sguardo dal bosco, si avvertì un ringhio profondo.
Lentamente tornai ad osservare nella mia direzione, osservando con attenzione fra gli alberi frastagliati ed illuminati dalla luce della luna.
Degli occhi rossi e assetati mi guardavano con vigore, con forza, come se volessero sbranarmi da un momento all’altro.

Sorrisi sghembo:-Finalmente, ti sei fatto aspettare cucciolotto- lo schernii, impavido e senza paura, forse più scioccamente di quanto credessi.

Una freccia fu scoccata da uno dei miei uomini, per poco non mi sfiorò il braccio, andò a conficcarsi sul suolo proprio davanti al lupo che stava uscendo dalla sua tana.
-Fermati, sciocco! Così rischieremo di colpire il Capitano- si inalberò Abraden strappando la balestra al compagno.


 
 
La situazione gli stava sfuggendo di mano, aveva bisogno di riflettere e decidere sul proprio agire. Avrebbe voluto tornare a Wonderland per torcere il collo alla Regina di Cuori. Avrebbe voluto tornare indietro nel tempo per uccidere Tremotino. Avrebbe voluto troppe cose, soprattutto non perdere il controllo.
Entrato nella cabina iniziò a scaraventare a terra tutto ciò che incontrava, mandando per aria ogni cosa.
Per caso gli capitò sotto mano un pendente fatto di una pietra particolare che aveva rubato ad uno dei reali e che aveva donato a Milah come pegno d’amore.
Lo strinse nella mano sana. Quel pendente lo aveva al collo il giorno della sua morte, le abbelliva ancora il viso quando i suoi occhi potevano dimostrare i sentimenti che possedeva. Eppure lo aveva tolto, abbandonato sul tavolo come un qualunque altro pendaglio.
Alzò gli occhi al soffitto basso della cabina, mordendosi le labbra. Poi lo infilò lui stesso al collo, nascondendolo all’interno della camicia prima di sedersi sul giaciglio e far sprofondare il viso sulla mano destra.
Avrebbe dovuto fare qualcosa, recuperare se stesso prima di ogni altra cosa.




 
Sfoderai anche la sciabola, invitandolo a farsi avanti.
Il lupo uscì dal fitto del bosco, mostrandosi in tutta la sua bellezza. Era molto più grande di un lupo normale, i movimenti erano fluidi e leggeri, quasi non sembrava potesse fare del male.
Ma non appena sollevai l’arma verso di lui, quest’ultimo iniziò a ringhiare sporgendo le zanne in segno d’attacco, prima di iniziare a correre verso di me per potermi agguantare come una preda.

Si avventò su di me con forza e rabbia, ringhiava furiosamente mentre mi gettava a terra con tutto il suo peso. Cercai di liberarmene colpendolo con l’elsa della spada sulla testa, quest’ultimo non si diede per vinto ed iniziò a mordermi il braccio sinistro con foga.
Urlai per il dolore e in quel momento avvertii gli altri compagni farsi strada verso di me, aizzando le torce infuocate contro di lui.
La notte si stava rischiarando ancora di più per mezzo dei fuochi che volteggiavano nell’aria.

Il lupo, forse stanco di assaggiare il tessuto del mio braccio e più desideroso di conoscere altro, lasciò la presa e saltò verso uno dei miei uomini, azzannandolo alla gamba e stritolandola finchè con i denti non raggiunse le ossa.
Poi si avventò sugli altri, nel mentre che mi rialzai da terra potei capire perché veniva definito un mostro.

Si aizzava contro gli uomini con ferocia assassina, sembrava aver bisogno di sangue, azzannava ogni parte del corpo e molti caddero a terra tra spasmi e dolori.
Abraden continuava a destreggiarsi con la torcia, il fuoco gli faceva paura, era evidente.

-Lanciami la balestra, Abraden!- gli ordinai mentre riprendevo possesso delle mie altre armi.
Questo obbedì all’istante prima di tornare a tenere a bada il lupo.

Afferrata al volo quasi malamente incoccai subito una freccia e la scoccai appena dopo verso l’animale, ma questo era troppo veloce e troppo furbo per farsi prendere in giro da qualunque uomo desiderasse la sua pelliccia in premio.

-Dannazione, il cucciolotto ci sa fare- riafferrai un’altra freccia, il lupo riuscì a farsi gioco di Abraden ed azzannò il suo polso, la torcia cadde a terra e si spense provocando un leggero fumo grigio che si innalzava per aria.
Abraden riuscì a liberarsene grazie all’intervento repentino di un altro, quando il lupo si accorse di esser circondato sfrecciò di nuovo verso la foresta, trascinando con sé la parte di una gamba mozzata dell’uomo che era riuscito ad uccidere.

-Non ti lascerò scappare via!- gli gridai contro, senza nemmeno ascoltare i lamenti degli uomini rimasti in piedi, mi inoltrai nel fitto del bosco. La luce della luna penetrava perfettamente tra le foglie degli alberi.
Lo vidi correre veloce verso un cespuglio, incoccai immediatamente la freccia, mi inginocchiai e presi la mira. Nel momento in cui quello spiccò un salto per saltare oltre il cespuglio, lo presi.
Ricadde subito dietro di quello.

-Ah! Te l’avevo detto cucciolotto, nessuno sfugge al Capitan Hook- mi rialzai subito e corsi verso quella direzione. 








//Nda:
Ed eeeeecco il quarto capitolo! 
Qui ho dato un pò di spazio a quello che è accaduto tra Milah ed Hook, che ovviamente si chiarirà meglio nel prossimo capitolo. Le cose non vanno affatto bene, Milah sembra proprio che voglia prendere il comando senza portare rispetto per l'uomo che un tempo amava e lui di certo non ha la mente fresca per poter prendere una decisione. 
Nel presente invece Hook incontra finalmente il lupo e nonostante lui tenti di scappare non si dà per vinto, vuole ucciderlo a tutti i costi. 
Spero vi sia piaciuto, nel prossimo capitolo Hook scoprirà le vere sembianze del lupo ^_^ che tutti sanno essere proprio Red. 

Yoan 

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Capitolo 5
*** Il Lupo ***


Questo capitolo è dedicato a lilyachi, Lady Deeks e Wilwarind86
che continuano a seguirmi fedelemente.  
 


V. Il Lupo




Tic Tac.
Tic Tac.
Tic Tac.
Riuscivo ad udire soltanto lo scoccare delle lancette disegnate sulla pelle, insieme al respiro affannato e leggermente preoccupato. I boschi, di notte, sono sempre più temibili. O vi è la completa assenza di rumori, o si ode una burrasca di movimenti che sembrano volerti seguire fino all’oltretomba.
In quel caso non riuscivo ad ascoltare altro che il rumore del respiro.

Avvertivo un leggero fastidio al braccio dell’uncino, il dolore di una ferita aperta, ma non sarebbe stata quella a fermare la mia missione. Avrei ucciso il Lupo, nessuno me lo avrebbe impedito.

Tenevo la balestra carica di una freccia, la prudenza non era mai abbastanza. Con la schiena china iniziavo ad avviarmi verso il cespuglio nel quale doveva essere nascosto il lupo, ferito poco prima.

Non appena mi avvicinai e aggirai la piccola macchia verde, mi ritrovai di fronte qualcosa che non aveva nulla a che fare con quello che avevo immaginato.
-E questo che significa?- sussurrai tra me e me, mentre gettavo la balestra a terra, prima di inginocchiarmi di fronte alla giovane figura di una donna riversa sull’umida terra.

Mi accorsi del sangue che era sgorgato dalla ferita che riportava sulla coscia destra, all’interno era conficcata la freccia che avevo tirato poco prima. Ma ero piuttosto certo di aver mirato verso un lupo, non verso un essere umano.
Che avessi sbagliato mira colpendo la giovane ragazza nascosta dietro al cespuglio?

Sciocchezze, avevo visto bene. Eppure quella situazione non mi convinceva minimamente. Con lo sguardo risalii su tutto il corpo della giovane, le spalle erano avvolte da un mantello rosso che ben riconoscevo ed un viso che non mi era affatto sconosciuto.

-Lei!- sussultai mentre mi spinsi in avanti per sollevarle la nuca dal cuscino di terra, mi resi conto che le labbra erano colorate di sangue e che il collo ne era inumidito.
Compresi ogni cosa.





 
 
Il vento correva leggero intrecciandosi tra i lunghi capelli di Milah. La osservava di nascosto, mentre continuava a disobbedire ai suoi ordini.
Eppure nessuno osava contraddirla, sembrava aver acquisito una forza del tutto nuova, prorompente e di una seduzione inimmaginabile.
Avevamo lasciato Neverland per affrontare nuovi viaggi, per scovare altri tesori. Avevamo bisogno di denaro, soprattutto dovevamo recuperare le vivande necessarie per sopravvivere.
Con l’ultima tempesta che vi era stata avevamo perso molti uomini e la maggior parte dei rifornimenti, vi era bisogno di rinnovamenti.
-Capitano, tra qualche giorno dovremmo arrivare a destinazione- lo informò Spugna, avvicinandosi di soppiatto.
-Davvero?- lo canzonò leggermente infastidito, detestava chi interrompeva il corso dei suoi pensieri –So bene quanti giorni mancano, non ho bisogno di qualcuno che me lo ripeta-.
Spugna sospirò alzando gli occhi al cielo.
-Siete molto suscettibile ultimamente, Capitano. Non so cosa sia accaduto tra voi e Milah, ma di certo non sembrate più lo stesso- corrugò la fronte –posso solo dirvi che l’equipaggio se ne è reso conto-.
Erano parole di minaccia?






 
Continuavo a guardare la ragazza con stupore, non poteva essere stata lei a fare strage di famiglie, di viandanti, ad aver appena sbranato parte dei miei uomini.
Sembrava così impossibile che un viso candido come quello potesse esser in grado di compiere simili barbarie. Eppure mi era stato insegnato tutto questo, un tempo: tutto ciò che sembra puro ed innocente può rivelare macchie oscure e profonde.

Con l’uncino le scostai una ciocca di capelli per poterla guardare meglio, i raggi della luna piena penetravano appena tra le fronde degli alberi e le illuminavano la fronte bianca.
Silenziosa così com’era appariva di certo più amabile.

Ma a che stavo pensando! Scossi il capo leggermente, prima di riprendere in mano la situazione. Accanto a lei vidi che vi erano delle corde lacerate, non sapevo a che cosa fossero servite, ma le avrei potute utilizzare per legarla. In fondo non sapevo quanto lei fosse cosciente della trasformazione animalesca, non volevo rischiare di ritrovarmi in una pessima situazione.

Le legai i polsi con i resti delle corde e feci lo stesso con le caviglie, poi la raccolsi afferrandola per la vita con la mano sana e la sollevai da terra prendendola tra le braccia.
Feci attenzione al suo adorato mantello che avevo utilizzato come cappa da combattimento e ritornai sui miei passi per uscire indenne dal bosco.

Dannazione! Tutto questo mi impediva di prendere il denaro che avrei ottenuto con l’uccisione del lupo, non potevo consegnare una ragazza al posto di un mostro feroce. Arricciai il naso: oppure avrei potuto semplicemente svelare la verità.

Ma prima avrei desiderato sentire la sua strana storia, poi avrei potuto consegnarla a chi di dovere, in fondo io volevo soltanto essere pagato per il servizio svolto.
 
 



 
 
Attraccarono al porto di Royal Island, lì molti erano intenzioni a salire a bordo di una nave pirata, la vita marittima non era desiderabile ma di certo avrebbe riempito quei vuoti che molti uomini possedevano.
Killian aveva lasciato liberi, come ogni volta, gli uomini della ciurma perché si prendessero il meritato riposo a terra, avvolti nella lascivia e nelle passioni, nelle scommesse e nella conoscenza di nuove possibili avventure.
Lui era rimasto chiuso nella sua cabina, mentre Milah e gli altri discesero dalla nave senza porsi alcun problema a riguardo.
Milah intanto aveva riunito gran parte della ciurma all’interno di una delle taverne, aveva delle comunicazioni da fare di cui solo Spugna era al corrente.
-Compagni, Pirati- esordì mentre sollevava il boccale di birra –tutti quanti conoscete la mia storia. Sapete a quale destino sono andata incontro e sapete anche come Killian Jones mi abbia riportata alla vita. Ma a quale prezzo? Un uomo che dona se stesso per la vita di una donna non è un Pirata, è un ragazzo innamorato. Un bambino che crede ancora ai sogni d’amore, che non desidera altro che una felicità personale. Ma ha pensato al suo equipaggio quando ha venduto i suoi anni per la donna che amava?- si era fatta raccontare tutto da Spugna, nei minimi particolari.
–Non lo ha fatto. Piuttosto ha preferito riportarmi in vita, invece che assicurare alla sua ciurma un Capitano. Quanto potrà ancora vivere? Quindici anni, forse meno. Ebbene, lo avete visto, sembra del tutto diverso dal Capitano che una volta governava la Jolly Roger. Non sa nemmeno quali ordini impartire-scoppiò a ridere fragorosamente mentre tutti gli altri accoglievano con gusto quelle parole, erano stanchi di sottostare ad un uomo che invece di comportarsi come un Capitano giocava ancora con il suo cuore.
-Siete convinti di voler rimanere sotto la sua custodia?-


 





-Capitano, state bene?- urlò  Abraden, facendo risuonare la voce nel cupo silenzio della notte.
Non risposi, ero ancora lontano e la ragazza aveva bisogno di cure, la ferita alla gamba continuava a perdere sangue, anche se si era rappreso e non sgorgava a fiotti.

-Dobbiamo portarla sulla nave, è ferita- dissi non appena raggiunsi Abraden, appoggiandola nuovamente a terra.
-Una vittima del Lupo?- domandò uno degli uomini che era ancora in vita mentre si avvicinava con curiosità.
Non alzai la testa, rimasi a guardarla  con un margine di incredulità.
-No, lei è il lupo- sussurrai prima di far segno ad Abraden di chinarsi vicino a me.
Rimasero stupiti di fronte a quell’affermazione, non si aspettavano di certo vedere una fanciulla di bell’aspetto confondersi con un mostro assetato di sangue.

Mi feci passare lo stiletto che avevo gettato a terra durante lo scontro, afferrai il lembo della lunga gonna e lo strappai con un colpo secco fino ad arrivare a scoprirle la coscia ferita.
-Tieni stretta l’estremità della freccia, dobbiamo spezzarla- gli dissi, non potevo farlo con una mano sola. Non appena Abraden avvolse la parte del gambo ligneo coincidente con la coscia ferita, arrotolai la mano sana fino alla metà e la spezzai in due.

-Prendetela, dobbiamo portarla via da qui- sussurrai prima di alzarmi in piedi.

 Avevo il braccio sinistro ferito, mi pulsava appena ma il fastidio era sopportabile. Doveva avermi azzannato con forza durante lo scontro, i denti si erano infilati a fondo nella carne, probabilmente sarebbe rimasta una vistosa cicatrice.
Mentre due dei miei uomini andarono avanti trasportando la ragazza, mi volsi verso quelli che era caduti.
Erano stati massacrati brutalmente, tutti allo stesso modo: azzannati alla gola, morsi al petto e smembrati.

In fondo le storie che ne erano nate non sembravano così distanti dalla realtà, quelli che avevo scelto di far venire con me erano stati selezionati accuratamente, conoscevo tutte le loro potenzialità.

-Mandate a chiamare degli altri, i corpi vanno sepolti degnamente. Non voglio che si sappia di questo scontro, almeno per ora. Voglio chiarire sulla questione- ordinai ad Abraden di occuparsi lui stesso della questione.
Mi si affiancò annuendo di aver ricevuto l’ordine.
-Siete certo Capitano che non vi siate sbagliato? Quella è una ragazzina, una locandiera. Non credo che possa trattarsi di un mostro- mi disse seguendo i miei passi.

-So quel che ho visto. Aveva le labbra sporche di sangue, le mani e le dita ferite, la freccia che avevo scoccato si era conficcata nelle carni del lupo- mi voltai a guardarlo –le maledizioni sono spesso incomprensibili Abraden, ma c’è chi è destinato a portarsene dietro il peso-.
Appoggiai una mano sulla sua spalla, come per fargli comprendere che doveva fidarsi di me e delle mie conclusioni.
 
 



 
-Milah ha ragione- intervenne Spugna mentre ingurgitava la birra che si era appena fatto versare –il Capitano non è più in grado di governare né noi, né la nave. Lo avete visto? Sembra un fantasma. Io non voglio qualcuno che sia così preso dai propri problemi anziché prendersi cura degli interessi di tutti. Mi sono imbarcato sulla Jolly Roger per essere un Pirata e per i sette mari io voglio esserlo!-.
-Ottimo discorso, Spugna- si complimentò Milah lanciandogli uno sguardo ammiccante che lui accolse immediatamente, brindando alla sua salute.
-Inoltre non vivrà abbastanza, ormai i suoi anni di vita sono andati perduti- continuò, osservando gli elementi della ciurma uno ad uno.
In generale sembrava che tutti acconsentissero a tale visione della storia, finchè uno non intervenne in senso contrario.
-E cosa proponete di fare?- domandò uno tra i più anziani a cui mancavano tre dita della mano sinistra.
-Tornerete ad essere Pirati, sotto il mio comando e su una nave di gran lunga più veloce- sorrise di sottecchi Milah.
Tutti fecero silenzio, non sembravano affatto soddisfatti della proposta.
-Non voglio sottostare agli ordini di una donna, non si è mai visto un Capitano di una nave senza il…- fu interrotto dalla lama del coltello che Spugna tirò fuori e puntò alla gola del malcapitato.
-Non tentare più di offendere il Capitano Milah o ti taglierò la gola- sussurrò con ferocia.

 


 
 


Raggiungemmo in fretta il porto per salire poi sulla Jolly Roger, non vi fu nessuno che ci scorse tra le stradine del paese, erano tutti chiusi nelle proprie case, impauriti di poter incontrare il lupo.
Avevano timore che potesse avvicinarsi, che potesse mangiare vivi i bambini e fare strage degli adulti.
Tutto questo volgeva a nostro vantaggio.

Saliti a bordo indicai ai miei uomini di portare la ragazza nella mia cabina, perché potesse ricevere le cure necessarie.
Domandai ad Abraden di rimanermi accanto, affinchè potesse sorvegliare la situazione, se mai mi fosse sfuggita di mano.
La feci distendere sul letto, ma nel momento in cui provai a sfiorarle la parte ancora esterna della freccia, si svegliò di soprassalto. Non riuscì a coordinare i movimenti, poiché continuava ad essere legata e sembrava completamente disorientata.
Si guardò intorno senza riuscire a darsi una motivazione, vide le corde attorno ai polsi, incontrò poi il mio sguardo colmo di interesse per la sua storia e infine quello di Abraden ancora poco convinto della situazione.

-Perché sono qui?- fu la prima cosa che disse, mentre cercava di liberarsi. –Cosa volete da me, mi avete rapita?- ringhiò con voce aspra.

-Rapirti non frutterebbe nessun riscatto di mio interesse- le indicai la freccia che aveva conficcata nella coscia, non appena la vide, mi risolve uno sguardo ancora più ignaro di quello avuto al suo risveglio.

-Non ricordi niente vero?- la stuzzicai prima di inumidirmi le labbra –dicevi il vero, avresti potuto uccidermi con facilità.- mi riferivo alle parole che mi erano state rivolte quando la salvai dall’imboscata notturna -L’ho provato sulla mia pelle poco fa, hai quasi rischiato di farmi a pezzi- le mostrai la ferita riportata sul braccio.

Mi guardò con occhi lucidi di lacrime che si trattennero dallo sgorgare in un pianto fastidioso, piuttosto le tratteneva con grande forza e coraggio.
-E’ accaduto di nuovo- sussurrò mordendosi le labbra –questa volta quante persone sono morte? Quanti innocenti?-.

Scrollai le spalle, piuttosto stupito dal fatto che non ricordasse minimamente l’accaduto. Dunque non era cosciente durante la trasformazione, ed in effetti non vi era nulla di umano in quello che era successo.

-Pochi uomini, erano miei compagni- feci avvicinare Abraden, non potevo lasciare la freccia ancora all’interno della gamba, dovevo estrarla e richiudere la ferita il più fretta possibile.

-Mi dispiace- sussurrò sinceramente pentita –liberatemi, la trasformazione è conclusa, non sarò più un pericolo per stanotte- ci rassicurò.
Abraden attese il mio segnale d’assenso prima di tagliare le corde ai polsi e alle caviglie, la ragazza corse a massaggiarsi non appena furono libere.

-Ora fai silenzio, dopo avrai tutto il tempo per fare un’amabile conversazione- le misi tra le labbra cosparse di sangue secco un pezzo di stoffa.
-Mordilo appena sentirai dolore, soffrirai parecchio ma non conosco soluzioni migliori di questa-.
 
 



 
 
Infine avevano preso tutti una decisione. Milah offriva tesori e terre inesplorate, denaro che si sarebbe diviso equamente, invece di dividerlo nel forziere della nave per consumare altri inutili viaggi.
Non fu difficile convincere la ciurma ad abbandonare il vecchio Capitano, Milah e Spugna erano riusciti senza troppa violenza a far passare tutti dalla loro parte.
Di Killian Jones non si preoccupò più nessuno, soprattutto quando capirono che Milah possedeva un carisma ineguagliabile che prima non aveva mai tirato fuori.
Trafugare il forziere della Jolly Roger fu un gioco da ragazzi, Spugna possedeva i doppioni delle chiavi e di conseguenza riuscirono a trasportare tutto l’oro che era rimasto, insieme alle mappe che indicavano i tesori che avevano sepolto in passato.
Abbandonare la Jolly Roger non compromise nessuno, Killian Jones era troppo preso da se stesso per potersene rendere conto, durante quella notte, quando tutti lo lasciarono da solo.

 
 
 



Non ebbe il tempo di replicare che con una pinza inumidita di acqua e sale (per cicatrizzare più velocemente la ferita) estrassi la punta della freccia facendo attenzione a non smorzare ancora la pelle.
Poi afferrai la lama dello stiletto che avevo fatto arroventare da Abraden per schiacciarla immediatamente sopra la ferita per evitare che sgorgasse ancora dell’altro sangue.
La lasciai il tempo necessario appoggiata sulla superficie, ma senza che rischiasse di ustionarla.

L’urlo che cacciò la ragazza mi invase le orecchie, sembrava quasi che fosse stata lei ad esser stata smembrata da un lupo assetato di sangue.

-Ti avevo detto di mordere- la rimproverai mentre scuotevo la testa per scacciare il fastidioso urlo che si era infilato nelle orecchie.

-Siete abituato a curare i malati gettando sulle loro ferite il sale e cuocendoli come se fossero dei cosci di pollo?- mi rivolse contro uno sguardo furioso, si leggeva tra le righe della sua espressione la sofferenza appena provata.

-Sono abituato ad esser un ottimo cerusico, lupacchiotto. Invece tu ti ostini a non ringraziarmi per averti salvata, questa è già la seconda volta- la rimproverai con una certa enfasi.

-Curare una ferita non equivale a salvare una vita, così come aiutarmi contro dei malviventi e rubarmi subito dopo il denaro che ho guadagnato in questo mese- disse in un filo di voce mentre riabbassava la testa sul cuscino, mentre cercava di riprendere le forze e lanciava a terra il pezzo di stoffa che si era dimostrato decisamente inutile.

-Ho solo preso il mio giusto compenso, mi sarei accontentato di un po’ di gentilezza- le rinfacciai mentre mi alzai per lasciare posto ad Abraden, affinchè ripulisse il sangue che si era seccato attorno alla ferita.

Non riuscivo davvero a comprendere il motivo per cui quella ragazzina fosse così ostile nei miei confronti. Prima le salvavo la vita, poi nonostante avesse fatto strage di alcuni dei miei uomini, la salvavo ancora. E questo era il ringraziamento!
Spazientito iniziai a ripulire lo stiletto dal sangue che si era raggrumato attorno alla lama, dovevo ripulire anche la mia di ferita prima che si infettasse.


Appoggiai la lama rovente sui fori da cui sgorgava il sangue, stizzito per il fastidio mi morsi il labbro inferiore e mugolai appena, ma ero abituato a certe sofferenze, quelle fisiche poi non mi destavano quasi più alcun problema.
Mi voltai per poter chiedere di più alla giovane ragazza, ma mi accorsi che si era appena addormentata o semplicemente aveva di nuovo perso i sensi.
Abraden le avvolse la fronte con una pezza umida, prima di alzarsi e guardarmi.

-Sarà meglio lasciarla riposare Capitano, domani sono certo che sarà in grado di rispondere alle vostre domande. Riposate anche voi-.

Alzai gli occhi al cielo, la curiosità mi bruciava quasi quanto la ferita al braccio, ma Abraden aveva ragione. Gli feci segno di congedarsi, mentre mi avvolgevo un pezzo di stoffa chiara attorno al braccio.
Quella ragazzina mi aveva anche rubato il giaciglio su cui dormire, mi sarei dovuto accontentare della sedia davanti alla scrivania, per quella notte. 



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Capitolo 6
*** Minacce reciproche ***



VI. Minacce reciproche







Milah era tremendamente bella nei miei sogni, mi guardava sempre con quegli occhi chiari e grandi che mi ricordavano la passione di un tempo e la rinfocolavano come se fosse ancora accesa.
A volte mi domandavo se fosse rimasto nel mio cuore un briciolo di compassione nei suoi confronti, o se invece l’odio che ne era emerso oscurasse la parte migliore dei miei sentimenti.

Nei sogni era tutto diverso, lei aveva ancora un cuore a cui potevo aggrapparmi, potevo riconoscerla come la donna che avevo scelto di far rimanere al mio fianco.
Ne avevo viste tante, prima e dopo di lei, ma Milah aveva sempre avuto la capacità di trattenermi a sé, come le api con i fiori.

Avrei potuto sopportare qualunque cosa, persino la maledizione che mi ero richiamato addosso, se solo avesse ricambiato il mio amore.
Avrei vissuto i miei ultimi anni di vita immerso nel piacere di aver fatto qualcosa di buono, di aver agito da eroe.
Già, ma io non ero  mai stato un eroe.

Non ero un Principe Azzurro, né uno di quegli uomini che tutte le donne avrebbero voluto sposare. Il matrimonio non mi era nemmeno mai passato per la testa.
Mi sarei accontentato di poco, di una vita felice, quale avevo prima che il Coccodrillo la distruggesse.

Ero stanco di non avere pace e di non riuscire ad addormentarti per tutte quelle notti, mi rifugiavo nei sogni, cercando di trovare un modo per tornare indietro e difendere Milah, combattendo contro il Signore Oscuro.

Ma così non era stato, non solo l’avevo persa,  non avevo nemmeno idea di dove fosse andata. Se mai fossi riuscito a strappare il cuore del Coccodrillo, avrei dovuto navigare per i sette mari per ritrovarla e riportarla da me.



 
 
Accadde tutto in una notte: l’ammutinamento era avvenuto. Non vi erano più rumori sulla nave, non si udivano i rantoli della ciurma ubriaca, dei pirati che tornavano dopo aver scombussolato la vita notturna delle taverne.
La cassa di denaro era stata trafugata, non vi era rimasto più niente, né le vivande per continuare il viaggio.
Killian Jones era stato abbandonato a se stesso, sulla nave che un tempo era stata pregna di avventure e di ricchezze di ogni tipo.
Killian Jones non era più il Capitano di nessuno, era rimasto da solo ad un timone che non aveva bisogno più di essere guidato da qualcuno.
Quell’alba, quel risveglio, furono la coltellata al cuore più terribile della sua vita.
Non poteva credere di esser stato lasciato a Royal Island senza più la sua ciurma, senza più la sua Milah.
Stringeva i pugni mentre camminava sul ponte della nave con aria assorta, masticando sotto di sé le assi di legno che si consumavano al passare dei suoi stivali.
Eppure non riusciva a provare nulla, nemmeno un’emozione di rancore, di rassegnazione o persino di odio.
Non vi era nulla sotto il torace che pulsava assieme all’orologio incastrato sulla pelle,sembrava assorto in un silenzio religioso e riflessivo.


 




Il corso dei miei pensieri fu interrotto nel momento in cui avvertii il rumore di alcuni passi concitati che si muovevano silenziosi verso l’uscio della cabina.
Sollevai le palpebre, mostrando così che il mio riposo non era altro che un semplice inganno, un inganno che proponevo a me stesso ad ogni alba.

-Sfuggirmi non sarà facile, lupacchiotto- la schernii, quando piantai gli occhi di ghiaccio sulla figura della ragazza che si era avvicinata alla porta e aveva la mano ferma sulla maniglia.

Quest’ultima si voltò verso di me, avvolta nel mantello rosso squarciato nel mezzo e con la gonna strappata all’altezza della coscia che mostrava le linee morbide del suo corpo. La ferita era stata accuratamente fasciata, avevo fatto un ottimo lavoro.

-Volete tenermi prigioniera?- mi rimbeccò mentre incrociava le braccia al petto, mostrandosi impettita e per nulla incline alla conversazione.

-Audace- sussurrai mentre mi alzavo velocemente dalla sedia, fissando l’uncino al polso prima di raggiungerla lì dove si era arrestata.
-Continui a mancarmi di rispetto, non credi che sia giunta l’ora di mettere fine a questa questione?- proposi allungando la mano destra verso di lei.

Mi osservò per qualche istante, sembrava che volesse studiarmi per comprendere le mie intenzioni.
-Non ho nessuna questione da risolvere, soprattutto con un Pirata- arricciò il naso con un certo fastidioso, come se stesse annusando l’aria –inoltre qui dentro c’è puzza di rum-.
 
 
 


Si era comportato da sciocco, mostrandosi cieco agli eventi e a tutti gli avvenimenti che gli erano capitati davanti agli occhi.
Spugna, quasi involontariamente, lo aveva messo in guardia. Avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti, essere più presente a se stesso, invece di lamentare la sua sorte così ingiusta e rinchiudersi in cabina come un fantasma avvolto dalla non riuscita delle sue azioni.
Spregevole. Era davvero stato spregevole un ammutinamento simile. Perché non lo avevano ucciso? Perché non gli avevano portato via la nave? Perché non lo avevano gettato su un’isola deserta?
In tutti questi casi avrebbe messo fine ad ogni sofferenza, quasi non se ne sarebbe accorto.
Invece lo avevano lasciato in vita, da solo come un folle a vagare sulla nave alla ricerca di una spiegazione che nessuno poteva dargli.
Codardi. Erano stati dei codardi a lasciarlo completamente da solo, facendolo sopperire ad un baratro di nullità.
Per intere notti si era rifugiato sui pennoni della Jolly Roger, attraccata ancora a quel porto maledetto, ridendo con furia e con sarcasmo verso se stesso.
Non mangiava, non beveva. Forse si sarebbe lasciato morire, se solo non fosse giunto da lui qualcuno che gli portò un barlume di salvezza. 

 
 
 




Nel momento in cui abbassò la maniglia della porta e tentò di aprirla, spinsi la mano che avevo teso in segno di pace  per chiudere l’anta semi-aperta.
Sospirai a lungo, mentre la allontanavo dalla via d’uscita, segregandola nella cabina. Davvero voleva andarsene via senza darmi una spiegazione? Stava giocando con il fuoco.
Appoggiai la schiena alla porta incrociando le braccia al petto e sollevando appena il mento per osservarla dall’alto in basso.

Lei mi osservò indispettita, con il labbro inferiore che sporgeva appena in fuori, in un’espressione contrariata. Decisamente accattivante, avrebbe potuto persino tirare fuori le zanne, come la notte appena trascorsa. Aveva gli occhi cerchiati, arrossati, doveva aver pianto in silenzio.

-Perché vi interessa tanto ascoltare la mia storia?- mi domandò con voce arrendevole, aveva compreso che non l’avrei lasciata andare con facilità.

-Ho rischiato la vita per uccidere il Lupo, alcuni dei miei uomini sono morti. Vorrei avere la mia ricompensa, ma non ho nessun lupo da mostrare come trionfo. Almeno vorrei colmare la mia fame di curiosità-. Risposi continuando a tenere la schiena ferma a bloccare l’uscita.

Si fermò a riflettere per qualche istante, come se stesse pensando ad un modo per trarre profitto da quella situazione. Mi diede le spalle e rimase in quella posizione per così tanto tempo che stavo quasi per perdere la pazienza, avrei forse dovuto minacciarla di strapparle la lingua per farle parlare?

-Ad una condizione- si voltò mentre abbassava il cappuccio per scoprire la fronte alta e pallida –io vi racconterò la mia storia, ma voi dovrete aiutarmi con questo- si sfilò il mantello dalle spalle ed indicò lo squarcio centrale –ho bisogno di trovare colui che è in grado di ricucirlo-.

Non fu spontanea la mia risata di risposta, piuttosto era calcolata e serrata tra i denti, era molto più simile ad uno sbeffeggiamento.
-Stai scherzando? Non sono la fata Turchina, inoltre non sarà un problema mettere una toppa al mantello, sembrerà come nuovo- feci un segno vago con l’uncino, infastidito da tutta quella perdita di tempo.
Tempo che avevo sempre meno.

-Non posso farlo sistemare da una persona qualunque! Devo trovare il mago che lo ha tessuto con le sue stesse mani, questo mantello mi protegge durante la trasformazione- continuava a stringerlo con forza tra le mani, accarezzandolo come se fosse il lenzuolo caldo del proprio letto –ho bisogno del vostro aiuto e di un mezzo veloce per arrivare nel posto in cui devo cercare questa persona-.

Adirato, quasi fuori di me, mi avventai su di lei afferrandola per il collo e sbattendola contro la parete di legno, puntandole l’uncino contro la guancia bianca.
-La Jolly Roger non è un semplice mezzo di trasporto, non salirà nessuno sulla mia nave che non ne sia degno e che non mi offrirà un qualche servigio. E a meno che tu non possa darmi qualcosa in cambio… non ti aiuterò. Sono un pirata, non un principe- sussurrai con veemenza, potevo leggere il timore nei suoi occhi, quasi riuscivo a vedere la mia immagine riflessa racchiusa nelle sue iridi.

Quando lasciai la presa sulla sua gola e allontanai la minaccia dell’uncino dal viso, la ragazza corse a massaggiarsi il punto arrossato in cui avevo costretto il suo respiro ad essere smorzato.
-Continuerò ad uccidere senza il mantello. Continuerò ad essere un’assassina, scorrerà ancora del sangue e  nessuno riuscirà a fermarmi- aveva gli occhi colmi di lacrime, le labbra arricciate in una smorfia sofferente, voleva supplicarmi? Le suppliche non avrebbero ricevuto risposta, detestavo le persone che si inginocchiavano a domandare favori che non volevo concedere.

-Avete il mio denaro- d’improvviso le si illuminarono gli occhi –lo avete rubato la notte scorsa, come un ladro. Ebbene, lo lascerò a voi come pagamento per aiutarmi a rimediare al danno che mi avete procurato. In fondo siete stato voi a creare lo squarcio nel mio mantello-.

-Ti ucciderò- risposi senza nemmeno pensarci troppo, quella ragazzina mi stava facendo impazzire e avevo perso tutto l’interesse nell’ascoltare quello che aveva da dirmi sulla notte precedente, sulla notte del lupo.
-Ti ucciderò, getterò in mare il tuo stupido mantello e dirò a tutti gli abitanti di questo sporco paese  che il lupo non era altro che la locandiera della taverna. Porterò loro la tua pelliccia e avrò il premio che merito, tenendomi anche il tuo denaro-.


 Improvvisamente vidi il suo viso pallido colorirsi come una pesca appena maturata, stringeva i pugni graffiati con forza mentre gli occhi si riempivano di furia sanguinaria. Senza che ebbi modo di rendermene conto si avventò su di me con uno scatto animalesco e feroce, tanto da inchiodarmi a terra tenendomi per il collo come io avevo fatto poco prima con lei.
Si sedette sul torace per bloccarmi ancora di più il respiro, quella maledetta ragazzina continuava a prendersi gioco di me.

-Io ucciderò te. Non ricordi? Ieri notte ho fatto strage dei tuoi uomini, questa notte attaccherò ancora e non sarò cosciente delle mie azioni. Ti sbranerò e getterò le tue carni in mare- la stretta al collo si fece ancora più intensa, dovetti inchiodare l’uncino sotto il suo orecchio, come ulteriore minaccia. La sua forza non era quella di una normale donna, aveva qualcosa di bestiale. Aveva persino abbandonato l’idea di parlarmi con referenza, eravamo già diventati amici?
-Sono certa che riusciremo a trovare un accordo: salperò con te, mi porterai dalla persona di cui ho bisogno e poi ti lascerò andare senza averti ucciso. In compenso avrai il denaro che mi hai rubato con l’inganno, così te lo sarai guadagnato in modo onesto, come fanno tutti-.

-…mi hai convinto- soffocai quelle poche parole con grande fatica, mi mancava l’aria e non riuscivo più a respirare. D’improvviso abbandonò la presa e si rialzò in piedi, riacquistando tutta la sua seducente femminilità.
Mi rivoltai di lato tossendo per aver inspirato troppo in fretta, la guardavo di sottecchi con un certo fastidio e un po’ di rancore che iniziava ad accumularsi.
Detestavo esser preso in contropiede, soprattutto non potevo permettere ad una ragazzina di trattarmi in quel modo.
Gliel’avrei fatta pagare, non c’era dubbio.
 
 


 
-Vuoi smetterla di ridere?- gracchiò la voce di un uomo che stava salendo a bordo della Jolly Roger, incurante del fatto che non facesse parte dell’equipaggio fantasma.
Killian Jones era da poco disceso dai pennoni per poter rovinarsi a terra accanto ad un barile di birra, appoggiato ad esso con la schiena.
-Questa è la mia nave, posso fare quello che voglio- aprì gli occhi di ghiaccio verso la figura che si era appena appollaiata davanti a lui, mostrando un volto fiero e imbrunito dal sole, di certo doveva trattarsi di un marinaio.
-Non se continui a disturbare tutti i pescatori del porto che stanno cercando di riposare- lo rimproverò prima di tirare su col naso –sei il Capitano Hook, non è così?-.
Killian si strofinò le palpebre per poter mettere meglio a fuoco quell’ombra protetta dall’oscurità della notte.
-Sono io, o lo ero fino a qualche  giorno fa. Non sono più il Capitano di un bel niente. Sei qui per depredare la mia nave?- scoppiò a ridere con fragore –Accomodati pure, non troverai né tesori né meraviglie delle terre selvagge. Hanno portato via tutto, tutto!- si alzò in piedi grattandosi la nuca con la punta dell’uncino –Ma ti farò da guida, vieni a vedere, qualcosa l’hanno lasciata-.
-Per favore, non sono qui per accalappiare i tuoi ultimi ricordi- gli rinfacciò prima di sputare di lato –sono qui per un altro motivo. La scorsa notte ho udito la tua ciurma mentre discorreva sul suo ammutinamento, capitanati da una donna a dir poco controversa- arricciò il naso –e da un uomo di dubbie origini. Sono qui per offrirti una via di fuga: tu hai bisogno di una ciurma, io ho bisogno di una nave-. 

 
 
 
 


Si sentivano dei passi poco fuori dalla mia cabina, sembrava che qualcuno si stesse precipitando sottocoperta, difatti quello stesso rumore maldestro entrò senza preavviso all’interno della camera.
La ragazza storse il naso quando vide Abraden appoggiato allo stipite della porta con una bottiglia di rum tirata su verso il soffitto, come se volesse brindare con noi.

-Cap…capita…- Abraden socchiuse gli occhi scuri con forza, prima di passare la mano libera sulla fronte per scacciare la confusione dalla testa  -capitano, ecco. Capitano- si fermò di nuovo, grattandosi il mento con un accenno di barba bionda. –Ah sì: la ciurma ha sentito strani rumori provenienti da qui, va tutto bene? Abbiamo avuto timore che il lupo avesse ripreso la sua forma-.

Inarcai un sopracciglio, mentre lo guardavo ancora sdraiato sulle assi di legno. Mi alzai quasi a tentoni, ancora adirato per esser stato così vilmente incastrato.
-Il lupo non si è trasformato- indicai la ragazza con l’uncino mentre mi avvicinavo a lui per potergli strappare di mano la bottiglia di rum –sei ricaduto nel solito vizio, non ti è permesso di bere durante il giorno- lo rimproverai, pur conoscendo le sue motivazioni.

Ricevetti lo stesso sguardo che mi lanciò molti anni prima, privo di calore, totalmente avvolto nei pensieri più lugubri e malinconici.
Conoscevo alla perfezione quei sentimenti, sapevo che cosa Abraden si trascinava dietro ma al tempo stesso non potevo permettergli di dimenticarsi chi fosse.
Si sarebbe perso in un labirinto senza via d’uscita.

Si asciugò il naso tirandoci al di sotto la manica della camicia, prima di bofonchiare: -Questa volta mi serviva per sopportare il dolore della cucitura, sapete bene che non sopporto che mi si tocchino le ferite-.
Gli occhi castani ricaddero sulla ragazza, analizzandola da capo a piedi, come se volesse masticarla tutta insieme per comprende da dove fosse arrivata tutta quella brutalità incontrollabile.
Lei si sentì addossarsi tutte le colpe del mondo, carica di dispiacere abbassò gli occhi senza avere il coraggio di risollevarli.

-Lo so, ma le tue ferite non sono quelle che hai sul corpo- risposi prima di appoggiare la bottiglia sul tavolo. –Cerca di riprenderti, domani mattina se il vento sarà favorevole salperemo per il nostro viaggio-.

-Cosa ne faremo del lupo?- domandò immediatamente Abraden, continuando ad appoggiarsi allo stipite della porta, con la frangia di capelli biondi che ricadeva sugli occhi, pretendendo di nascondere quello che vi era racchiuso all’interno.

-Verrà con noi- mi strinsi nelle spalle, avrei finto che la decisione sarebbe stata semplicemente la mia. In fondo poteva esserci utile un mostro del genere.

-Siete un folle, Capitano- mi rispose ricacciando in gola un grugnito –trasportare sulla nave una donna non porta mai a nulla di buono: voi lo sapete, io lo so. In più questa  in particolare è in grado di diventare una belva feroce, rischierete di metterci tutti quanti a morte quando non riuscirà a controllarsi- sputò quelle parole con accidia, senza permettersi nemmeno di credere che la ragazza potesse essere suscettibile.

-Questi sono i miei ordini, Abraden non ti è dato discuterli- gli ringhiai contro mentre mi avvicinavo alla soglia della porta –ora va’ a dormire, non sei in grado di ragionare. Quando ti sarai ripreso potrai tornare a porgermi le tue scuse-.

Lui si fermò per qualche istante ad osservare la punta dei miei stivali, senza dire niente. Tirò su col naso e senza aggiungere nessuna replica, annuì con la testa prima di fuggire via dalla mia cabina.
Alzai gli occhi al soffitto per poi tornare a quello che era stato il centro di tutte le mie attenzioni fino a quel momento.




Killian non riusciva a capire, era confuso e tutte quelle parole insieme non riuscivano ad entrargli in testa.
-Chi sei? E perché vuoi la mia nave?-
-Non voglio la tua nave, voglio un Capitano che sappia guidarla. Un Capitano mosso dalla vendetta e dall’audacia. Ho sentito parlare di te e sono piuttosto sicuro di aver fatto un’ottima scelta- si schiarì la voce prima di porgergli la mano destra –mi chiamo Proteo[1], ma tutti qui mi conoscono come Abraden. Persi il mio nome tanto tempo fa e fui costretto a cercarmene uno nuovo, per rifuggire dalla vergogna che mi ero attirato addosso-.
Killian non sapeva se fidarsi di un uomo dal doppio nome, dal passato sconosciuto e dal desiderio di avere proprio lui come Capitano.
Ma in fondo quella notte era troppo preso dalla sua follia per poterla discernere dal raziocinio. In fondo non se ne sarebbe pentito in futuro e ringraziò quel goccio di rum in più che gli fece accettare la proposta.
-Sarò il tuo Capitano, procurarmi una ciurma e ti porterò dove vorrai-.
Avrebbe ritrovato Milah, avrebbe ritrovato Spugna e tutti gli altri, poi li avrebbe fatti soffrire uno ad uno nel modo in cui più si meritavano.
Si strinsero la mano con forza, da lì sarebbe nata la loro alleanza. 

 
 


-Solitamente i Pirati amano che gli si porgano le proprie scuse di continuo? Ed amano anche esser ringraziati per qualunque cosa?- mi rinfacciò la ragazza mentre teneva le braccia conserte.
Potevo leggere nei suoi occhi la stanchezza e il desiderio di fuggire da se stessa.
Anche lei portava con sé un male da cui non poteva fuggire. Certo, sarebbe stato facile vagare per tutti i mondi conosciuti per dimenticare la propria sorte, ma questa troppo spesso ci segue e non ci dà tregua.

-Chi è il mago che può aiutarti?- domandai senza rispondere alla sua provocazione, non avevo intenzione di instaurare un rapporto collerico e litigioso, ora che avevo deciso di portarla con me.

-Tremotino- rispose con un voce cauta, come se avesse pronunciato un nome terribile e temibile allo stesso tempo.

Mi inumidii le labbra per qualche istante, sollevando le sopracciglia scure, fingendo di non aver mai sentito parlare di lui. Tutto questo poteva volgere in mio favore, avrei approfittato di quella ragazza per ottenere ciò che desideravo. Avrei distratto il Coccodrillo e gli avrei strappato il cuore, così come mi aveva insegnato a fare la Regina di Cuori.

-C’è solo un piccolo problema…- ritirò fuori la voce, mordendosi le labbra mentre stringeva il mantello al petto –questa notte mi trasformerò di nuovo, come accadrà sempre durante il tempo del lupo. Non saprò controllarmi-.

Sogghignai con una certa soddisfazione.
-Non sarà un problema, abbiamo delle celle qui sulla nave e sono invalicabili: sono state costruite con la magia, nessuno può uscirvi senza possederne la chiave-. 





Note: 
[1] Proteo, Principe di Siracusa, migliore amico di Sinbad il marinaio 






//Nda: 
Salve a tutti! 
Ebbene, in questo capitolo avete potuto vedere come Abraden ha incontrato Killian Jones. 
Non so se conoscete il film animato di Sinbad, ma il personaggio di Abraden è ispirato a Proteo, amico del pirata. Ovviamente Proteo/Abraden non corrisponde perfettamente a quel personaggio, avrà dei contatti con Sinbad (ebbene, spoiler in vista, sarà presente anche lui!) e in futuro spiegherà le motivazioni per cui ha chiesto a Killian di salire a bordo della sua nave. 
Vi lascio qui l'immagine di quello che ho immaginato essere Abraden (guardare a fine pagina), con il prestavolto di Matthew Modine. 
Come avrete capito Red non ha ancora il controllo del Lupo, questo vuol dire che non ha incontrato sua madre perciò...evito di spoilerare anche questo. 
Buona lettura e alla prossima ^_^


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Capitolo 7
*** Rivelazioni ***


VII. Rivelazioni 







La Jolly Roger era salpata con la marea, aveva lasciato il porto poco dopo l’alba, il momento migliore per intraprendere un viaggio.
Solitamente era quello  che preferivo, mi sembrava di buon auspicio iniziare qualcosa proprio alle prime luci del sole, abbandonando a se stessa l’oscurità della notte.

Quasi nessuno era riuscito a dormire a causa degli ululati del lupo che distraevano tutti dal sonno, impauriti che potesse trovare un modo per scatenare la sua ferocia.
Ma avevo fiducia in quelle celle magiche, le avevo fatte costruire appositamente, così da assicurarmi che nessun prigioniero avrebbe mai potuto valicarle.

Dormire, non dormire, ormai era divenuto talmente normale non prendere mai sonno che la stanchezza quasi non si faceva più sentire.
Ero diventato ancora più pallido e le occhiaie che cerchiavano lo sguardo azzurro mi rendevano un’aria più tetra, ma non ero in dubbio sul fatto di continuare lo stesso ad affascinare le fanciulle dei porti in cui attraccavamo, anche con il mio aspetto leggermente trasandato.

Abraden si era ripreso, aveva tutta l’intenzione di non abbandonarsi a se stesso. Nelle sue vene scorreva molto di più che il sangue di un semplice marinaio.
Ne ero lieto, fino ad allora era stato uno dei pochi compagni in grado di farmi da secondo, sostituendomi nei periodi in cui preferivo starmene chiuso in cabina.

Ma presto Killian Jones sarebbe tornato quello di una volta, avrei consumato la mia vendetta e poi avrei riconquistato ciò che mi apparteneva.

-Capitano- si schiarì la voce Christian [1] mentre avanzava imponente tra tutti gli altri, sistemandosi la bandana che gli copriva la testa –non credete che dovreste liberare la ragazza?- mugugnò arricciando il naso.

Corrugai appena le sopracciglia, mi ero dimenticato che lei fosse ancora nella cella. In fondo non era facile distinguerla dal lupo feroce in cui si era presentata la volta precedente.

-Trovo che sia più divertente lasciarla lì, almeno eviterà di infastidirmi con la sua mancanza di rispetto-.
Ripensai al modo in cui mi aveva risposto tutte quelle volte in cui ci eravamo scambiati delle battute, non riuscivo a capacitarmi di quanto potesse esser stata poco educata. Mi ero comportato da perfetto gentiluomo, non l’avevo nemmeno consegnata al villaggio, salvandole la vita.

-Se fossi in voi non mi dimenticherei della sua natura, non vorremmo farla innervosire, vero Capitano? Certe creature non hanno il minimo controllo di sé- rispose con tutta l’intenzione di darmi un consiglio che avrei dovuto seguire.
Lo osservai a lungo, catturandone pienamente l’immagine.
Christian era un Pirata vagabondo,  era stato sempre al servizio di se stesso, anche quando era entrato a far parte di altri equipaggi.
Teneva particolarmente al modo di vestirsi, come se la vita da pirata gli permettesse di rendersi sempre impeccabile. Nessuno poteva azzardarsi a sfiorare i mantelli che aveva collezionato in tutti i suoi viaggi, mantelli che ovviamente si era fatto confezionare dalle donne a cui regalava una parte del suo cuore. Perché lui le amava tutte senza distinzione per nessuna.

-Ha ragione, tenerla in gabbia non è l’idea migliore per assicurarci la salvezza. Prima o poi dovrà uscire da lì e se non sarà soddisfatta della permanenza sulla nave potrebbe anche decidere di smembrarci tutti, uno ad uno- intervenne Abraden mentre saliva in piedi sulla balaustra per afferrare una cima e legarla stretta all’anello di tenuta.

-Un vero peccato…- mormorai mentre riflettevo sul da farsi –avrebbe imparato tanto rimanendo segregata nel suo piccolo angolo buio, come ad esempio la buona educazione. Ma è meglio non rischiare, non vogliamo far arrabbiare il Lupo- sogghignai, come per impaurirli -Andrò a liberarla e se per caso dovesse infastidirmi, come è solita fare, ne risponderete voi del suo brutto caratteraccio- li indicai prima con la mano sana e poi con l’uncino, affinché la minaccia fosse più colorita.

Disposti gli ordini di comando lasciai l’equipaggio al proprio lavoro, mentre discendevo sottocoperta per poter raggiungere le celle.
A volte dimenticato persino di avere dei prigionieri, essendo totalmente immuni da una possibile fuga, non vi lasciavo nessuno a guardia di esse e spesso ritrovavo  i carcerati abbandonati a se stessi, senza il minimo contatto umano.
In fondo se si trovavano lì, perché avrei dovuto averne pietà?

Fui ingoiato dall’ombra di quel luogo, lì si avvertiva molto di più il movimento delle onde che si infrangevano sulla nave, forse avrei dovuto avere qualche riguardo in più nei confronti della ragazza.
Non appena mi avvicinai alla cella in cui l’avevo segregata, appoggiai l’uncino ad una sbarra di acciaio facendolo scivolare in alto e in basso, provocando uno stridio fastidioso.
Riuscivo ad intravedere le forme della ragazza che si assottigliavano nella penombra, seduta con le gambe raccolte accanto al petto e il viso ancora più pallido di quando l’avevo lasciata.

-Lupacchiotto- sorrisi appoggiando l’altro braccio alle sbarre –sei ancora sicura di voler proseguire questo viaggio?-.
La domanda era sorta non tanto da una speranza, quanto da una provocazione.

D’improvviso la vidi sollevarsi da terra e battere le mani sulle sbarre, non appena le sfiorarono un lampo violaceo si avvinghiò attorno ad esse, costringendola con dolore ad allontanarsene, come un lupo impaurito.

-Attenzione. Non sei riuscita ad imparare in questa notte che non puoi uscire di qui?- la canzonai, mentre continuavo a sfiorare le sbarre esterne, quelle non erano potenziate dalla magia e potevo rimanerne incolume.

Mi rivolse uno sguardo animalesco, quasi furibondo, probabilmente mi avrebbe sbranato se ne avesse avuta la possibilità, ma gli servivo e potevo ancora tenerla sotto scacco.
-Ho bisogno d’aria, non respiro- arricciò il naso, infastidita da tutti quegli odori acri a cui non era abituata –non vuoi tenermi rinchiusa per tutto il viaggio, vero?-

Scrollai le spalle, tenendola ancora un po’ sulle spine, prima di inumidirmi le labbra.
-In realtà sono tante le cose che vorrei al momento- le mie continue e sottili proposte non mancavano mai, in nessuna situazione, ma sapevo che lei le avrebbe rifiutate ancora una volta, non potevo rinunciare a far emergere quella parte costante di me.
-Ti libererò soltanto ad un patto- l’uncino oltrepassò le sbarre, afferrandole una ciocca di capelli neri con cui iniziai a giocare, attorcigliandola intorno alla punta acuminata –dovrai eseguire tutti i miei ordini, senza contestare e cercando di comportarti come una fanciulla educata-.

Lei, evidentemente esausta dall’intera notte e dalla mezza giornata trascorsa in una cella, si abbandonò ad un semplice movimento affermativo della testa. Tanto mi bastava, il gioco era tutto nelle mie mani, o almeno in quella sana. In caso contrario avrei sfoderato l’uncino.
Le lasciai la ciocca di capelli sfilandola lentamente, prima di tirare fuori le chiavi appese alla cintura ed infilare quella giusta nella toppa.
Mi inchinai in modo teatrale, permettendole di uscire e facendole capire che poteva fidarsi di me.

Raccolse frettolosamente il mantello rosso ed uscì dalla gabbia, mostrandosi disorientata, ma bastò arricciare il naso e tirare su il mento per usare l’olfatto per farle comprendere dove sarebbe dovuta andare per ritrovare un po’ di libertà. Richiusi la cella e le indicai di seguirmi, portandola sopracoperta.

Non appena risalii sul ponte della nave, attesi che lei facesse lo stesso, ma sembrava quasi volersi nascondere dalla ciurma, colma di vergogna per il suo segreto che era ormai di dominio pubblico. Lasciò il mantello da parte, ormai inutilizzabile.
Lentamente uscì compiendo piccoli passi avanti, poco a poco i raggi del sole iniziavano ad affannarsi per raggiungere le forme del suo corpo.
Il lungo spacco della gonna evidenziava sempre meglio le forme morbide e sinuose che esprimevano un’eleganza quasi maestosa.
La ferita doveva farle ancora molto male, solo allora mi accorsi che stava zoppicando e le costava fatica avanzare ad un passo normale.
Sarebbe guarita in poco tempo, finchè avrebbe potuto sopportare il dolore non sarebbero emersi altri problemi.
Si guardava intorno, come se avesse avuto bisogno di tempo per comprendere in che tipo di posto si trovasse, non era in grado di decifrare tutto ciò che le stava accadendo intorno.

La abbandonai alla sua curiosità, tornando al timone dove avevo lasciato Abraden intento a solcare i mari e a guidare la Jolly Roger.

-Ha causato altri problemi?- mi domandò con un sogghigno, ironizzando sulla vicenda.

-Per ora non mi ha dato motivo di fastidio, mi auguro che la notte trascorsa in gabbia le abbia dato uno spunto di riflessione- mi strinsi nelle spalle, prima di accarezzare il timone con la mano sana.

-Le donne sono sempre portatrici di guai, in un modo o nell’altro ci conducono verso un baratro da cui è difficile poter riemergere- sospirò Abraden portando le mani ai fianchi e osservando l’oggetto della nostra conversazione.

-Eppure smaniamo così tanto per loro- gli lanciai uno sguardo in tralice, durò solo un istante, come a voler carpire la reale risposta che si celava all’interno dei suoi occhi scuri.

-Forse riponiamo semplicemente male le nostre speranze. O ancora meglio, non meritiamo ciò che ci viene dato e per questo ci viene tolto-.

Questa volta indugiai sul suo sguardo, quella risposta mi istigò un moto di furore, avrei potuto prenderlo a pugni ripetutamente.
-Come ti viene in mente di dire una cosa simile?- lo afferrai per il collo allungato della camicia abbandonando la guida –Nessuno al mondo meriterebbe mai nulla di quello che ha, perché va conquistato. Se non lottiamo non potremo mai tenere stretto ciò che più desideriamo al mondo. Non dimenticarti chi sei, Proteo. Non continuare a nasconderti dietro ad una maschera di sofferenza e a rifugiarti in discorsi simili-.

Abraden corrugò la fronte, si lasciò tenere stretto dalla mia presa senza ritirarsi. Da quanto tempo non lo chiamavo con il suo vero nome?
Forse non lo avevo mai fatto, era stata una sua esplicita richiesta. Ma non avevo dimenticato la storia del suo passato, non avevo dimenticato chi fosse davvero e non potevo permettergli  di perdere se stesso e tutto ciò che era stato.
Quasi sarei scoppiato a ridere, che illuso! Io non stavo forse facendo lo stesso? Non stavo compiendo gli stessi errori?
Un’altra volta la lancetta compì la sua rotazione, sussultai infastidito mentre abbandonavo la stretta dalla sua camicia, prima di chiudere la mano in un pugno.

-Io non voglio nascondermi. Voglio recuperare ciò che mi appartiene- sussurrò prima di allontanarsi da me e tornare a mescolarsi con il resto dell’equipaggio.

Sospirai, nella speranza di potermi perdere nei miei pensieri e riflettere sul da farsi, riflettendo su quale sarebbe stata la via marittima più breve per arrivare alla meta desiderata.
Quel momento fu interrotto dal sopraggiungere della ragazza che nascondeva il viso all’interno di un fazzoletto bianco.
Sollevai un sopracciglio, l’avevo lasciata per pochi istanti e tornava in una condizione così incomprensibile?

-E quale sarebbe la funzionalità di quel fazzoletto?- domandai mentre continuava a tamponarsi il naso ed inalare un leggero profumo di sandalo.

-Christian, credo si chiami- mi indicò il pirata che stava sistemando la polvere da sparo nei barili che erano scivolati lungo il ponte –mi ha consigliato di inspirare il profumo di sandalo, ne ha inumidito il fazzoletto per comodità. Dice che calmerà la nausea. [2]-.

Aggrottai le sopracciglia, soffrire di nausea il primo giorno di viaggio voleva dire soffrirne ancora per qualche settimana, prima che lo stomaco riuscisse ad abituarsi al rollio della nave.

-Io avrei inumidito il fazzoletto di lavanda, ha un profumo più delicato- sfoggiai uno dei miei soliti sorrisi, volti semplicemente ad indorare la situazione.

Non mi rispose, continuò a tenere il fazzoletto adagiato alla parte inferiore del viso, mentre osservava il braccio che mi ero fasciato per le ferite riportate.
-Mi dispiace per quella- indicò la ferita prima di abbassare lentamente il fazzoletto, aveva compreso di essersi resa ridicola. Lo ripiegò in quattro, prima di stringerlo all’interno di una mano.

-Sono abituato a molto più che artigli conficcati nella carne, lupacchiotto- tornai a guardare davanti a me, accarezzando il timone con amorevolezza, tenevo alla mia nave più di ogni altra cosa.
-Perché nessuno al villaggio ha mai scoperto la tua vera natura?- le domandai, facendo riemergere la mia curiosità.

Lei si morse l’interno della guancia, affiancandosi a me, come a voler capire quale fosse la direzione esatta in cui stavamo andando.
Poi, come sciolta dal desiderio di parlare, di sfogare tutta la sua rabbia, iniziò a raccontarmi la sua storia.

-La mia natura è questa [3]. Mi sono trasferita lì relativamente da poco. Sono fuggita via, non potevo tornare indietro, nel posto in cui sono nata-.
Anche se non potevo guardarla in viso riuscivo a sentire le lacrime di commozione che si affollavano negli occhi, prepotentemente volevano scendere ad inumidirle il viso, ma il suo orgoglio le impedì di concedersi al pianto.
-Non sapevo nulla sulla mia trasformazione, mia nonna mi ha sempre nascosto la parte peggiore di me, per proteggermi dai pericoli esterni. Non voleva che ne fossi a conoscenza, per non cacciarmi nei guai. Ma non aveva compreso che il pericolo ero io, era dentro di me. Rimanere lì avrebbe voluto dire mettere a rischio tutti coloro che conoscevo, non potevo permettere al mostro che è in me di prendere il sopravvento- si voltò a guardarmi, ricercando nei miei occhi una risposta che non potevo darle.
-Sono fuggita soprattutto perché…- si morse il labbro, come se volesse assaggiare il suo stesso sangue, per offrirlo a quelli a cui lo aveva tolto –ho ucciso l’uomo di cui ero innamorata-.

-Lo hai ucciso tu?- incontrai i suoi occhi colmi di rammarico e di risentimento, conoscevo molto bene quello che poteva esservi racchiuso all’interno e non mi stupivo di riuscire a comprenderla mentre continuava a raccontare.

-Sì. Davamo la caccia al lupo, quando ancora non sapevo di essere io. Tutti gli indizi riportavano a Peter, sembrava proprio che fosse lui. Così nella notte di luna piena lo legai ad un albero, perché non attaccasse di nuovo e compiesse ancora un’altra strage. Ma…- strinse le labbra per mordere quel singulto che stava venendo fuori –ma non era lui. Ero io. Ero io e l’ho ucciso, senza che potesse difendersi. Sono un mostro, non riesco a controllare il lupo, non ricordo mai niente dopo la mia trasformazione-.

Una storia avvincente, senz’altro doveva aver sofferto molto e ancora portava con sé gli strascichi di quegli accadimenti.
-Eravate molto innamorata di questo Peter?- le domandai, sapendo di non aver scelto discretamente il momento adatto.

-Dovevo fuggire via con lui, mia nonna non voleva che ci vedessimo, perciò riuscivamo ad incontrarci solo di nascosto. Capii  in un secondo momento che voleva proteggerlo da me ed evitarmi quello che invece è accaduto- scrollò le spalle asciugandosi gli angoli degli occhi –Farei qualunque cosa pur di riportarlo in vita, qualunque. Anche dare la mia vita. In fondo, la vita di un’assassina non ha alcun valore-.

Avvertii una morsa allo stomaco nell’udire parole di quel genere, proprio perché io stesso anni prima avevo riflettuto sulla medesima questione.
La vita di un pirata non valeva quanto quella della donna che amavo. Ma invertire il corso della natura non aveva portato a nulla di buono e l’avevo provato sulla mia pelle.

-Un’assassina non potrebbe mai piangere per le sue vittime o rammaricarsi di quel che ha fatto. Non sei consapevole di ciò che fai, non dartene una colpa-. Era la prima volta che mi preoccupavo, dopo Abraden, di porgere parole di consolazione verso qualcuno.
-Non vivere nel passato, sono certo che ci sia un motivo per cui la vita ha deciso di metterti davanti determinate prove. Guarda avanti, troverai il modo per espiarti-.

Non ero convinto di quello che le dicevo, io per primo non potevo e non volevo accettare ciò che mi era capitato, anche quelle stesse azioni che io stesso avevo procurato volontariamente.
Mettersi in gioco comportava la perdita di qualcosa ed io avevo perso molto più che i miei anni di vita, avevo perso l’unica ragione che mi spingeva a vivere quegli ultimi come avrei voluto.

-Ed ora puoi anche finirla di piagnucolare, piuttosto renditi utile, c’è molto da fare sulla Jolly Roger. Lì troverai un secchio ed uno spazzolone per pulire il ponte. Lo voglio lucido come la superficie di un diamante, in caso contrario stanotte dormirai di nuovo in gabbia- la incitai a farsi da parte.

Lei non reagì immediatamente e continuò a guardarmi stupita per quell’improvviso cambiamento d’umore.
-Pulire tutto il ponte?- ora che le lacrime erano state asciugate aveva ripreso il suo solito contegno.

-Sì, quante volete dovrò ripeterlo?- questa volta lo dissi bruscamente, volevo mandarla via, mi aveva scatenato sensazioni troppo forti per poter essere trattenute tutte assieme.
-Abbiamo un patto, disobbedisci ai miei ordini e tornerai in gabbia- la intimai.

 Si irrigidì, sciogliendo di nuovo il fazzoletto dal pugno della mano e portandoselo al viso, come se alla sola idea di essere di nuovo rinchiusa le tornasse la nausea.
Annuì con una certa enfasi prima di aggiungere: -Sì, Capitano!-.
Detto questo sfoderò un sorriso lungo tutte le labbra rosse e si allontanò lentamente dal posto di comando, prima di voltarsi a guardarmi con aria soddisfatta.
-Mi ero fatta un’idea diversa sui Pirati, credevo che fossero senza principi morali. Invece mi sbagliavo- così si voltò di nuovo e claudicante andò a procurarsi tutto il materiale per rendere il ponte uno specchio.

Sospirai alzando gli occhi al cielo, non avrei dovuto portare con me quella donna, avrebbe reso tutto molto più difficile.
Le lancette ripreso a scorrere sulla pelle, tracciando il loro percorso con veemenza. Infastidito da quella sensazione deglutii a vuoto, prima di riappropriarmi dei miei pensieri.







Note:  
 
 
[1] Christian lo immagino come Oliver Platt (Porthos) ne I tre moschettieri.

 
[2] Sandalo : Il profumo intenso fa sparire la nausea causata dal rollio della nave, si mette qualche goccia su un fazzoletto per poi inspirare profondamente


[3] Si tornerà sull’argomento, quando Red accetterà la sua doppia natura. 









//Nda:

Saaalve!
Ed eccoci qui al 7° capitolo. 
Come avete potuto notare questa volta non ho inserito la parte del flashback in alternanza con il presente, per il semplice fatto che tornerà nel momento in cui Abraden/Proteo rivelerà il proprio passato. 
Per questa volta quindi c'è solo un bagno nel presente, più presente di così è impossibile xD. 
Non ho altro da aggiungere se non: buona lettura!

Yoan 

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Capitolo 8
*** L'Isola dei Tulipani Neri ***


VIII. L'Isola dei Tulipani Neri

 



Trascorsero sette albe dalla partenza della Jolly Roger, sette albe in cui Red –come si faceva chiamare- si diede da fare lavorando sodo per lustrare la nave come fosse  uno specchio.
Tutti avevano iniziato ad apprezzare la sua presenza, grazie alla seducente femminilità che esprimeva in ogni movimento e ai sorrisi che regalava ad ognuno, con una naturalezza quasi inspiegabile.
Si trovava su una nave di Pirati, come poteva fidarsi di tutti loro?
Probabilmente la sua confessione mi fece ragionare sulla questione, indicandola come punto di partenza per capire il suo comportamento.
Non poteva essere altrimenti, Red aveva affrontato una storia a dir poco unica, dipinta con il sangue e circondata di morte.
Non avevamo vissuto tutti noi il medesimo passato da cui non si poteva tornare indietro?
Uccidere, non era solo una qualità bestiale come lo credeva lei.
Uccidere era umano, così umano da far parte della propria essenza, in cui tutti vi si radicalizzavano.

Evitavo di rivolgerle la parola tutte le volte che tentava un approccio al dialogo, sentivo di doverle stare lontano.
Nonostante lei avesse le mani sporche di sangue, non aveva ancora un cuore annerito e consumato dalla vendetta. Era pura, così come le sue intenzioni e il non potersi controllare la rendeva più fragile di quanto già non fosse.
Per questo preferivo tenerla a distanza, soprattutto perché non volevo un’altra donna che mi girasse attorno ricordandomi i giorni trascorsi con Milah.
Lei era un ricordo troppo duro da affrontare per poterlo rivivere ancora una volta e in quei sette giorni spesso avevo confuso i capelli scuri di Red per quelli della donna che amavo.
Sì, l’amavo ancora.

Mentre srotolavo la carta nautica, per poter controllare che la direzione fosse esatta, avvertii il fruscio del mantello rosso  arrivarmi accanto.
Volsi gli occhi di lato, per poter afferrare tutta la sua immagine.

-Stai cercando di spiarmi?- domandai prima di richiudere la carta.

Red scrollò le spalle, prima di iniziare a giocare con le dita tra il tessuto rosso del mantello.
-No, non era mia intenzione. Volevo sapere dove siamo diretti, nessuno della ciurma sa quale sia il posto da raggiungere-.

Corrugai la fronte e sollevai appena le sopracciglia.
-L’equipaggio non è a conoscenza della meta, mai. Una scelta personale, preferisco prevenire a certi abbagli che potrebbero capitare- mi voltai a guardarla per intero. –Non riesci mai a separarti dal tuo mantello?- la domanda sorse spontanea.

-Non dare fiducia alla ciurma non è un buon inizio per essere un Capitano che desidera essere rispettato- piegò appena il capo di lato, come se avesse voluto rimproverarmi, poi si rabbuiò. –Non sono abituata a non averlo indosso, anche se ora è del tutto inutile, mi fa sentire più sicura-.

Quasi non scoppiai a ridere, perché trasmettere ad un oggetto così tanta importanza? Si proteggeva con esso senza provare mai a dare spazio alla sua natura. Tralasciai la prima parte del discorso riguardo alla fiducia, non avevo intenzione di affrontare l’argomento né di raccontarle cosa accadde tempo fa, quando avevo dato troppa fiducia all’equipaggio.
-Molto bene- esordii dopo qualche istante di silenzio, srotolano di nuovo la carta nautica, ero certo che lei non sapesse interpretare i segni che vi erano posti sopra. –Dovresti tornare a spazzare il ponte, ho notato delle macchie che mi convincono poco della tua predisposizione alle faccende domestiche-.

Red portò le mani ai fianchi, segno pericoloso che ogni donna compieva quando era infastidita.
-Sono giorni che non faccio altro, vorrei avere una diversa occupazione e che possibilmente non riguardi la pulizia del ponte- mi rimproverò con convinzione.

Alzai gli occhi al cielo, sapevo che portarla a bordo della nave mi avrebbe riservato soltanto seccature, ma non avevo avuto altra scelta.
-Ti rifiuti di intrattenere il Capitano, non credo tu abbia altre qualità da mettere in pratica-.

Abraden si era appena avvicinato per darmi delle comunicazioni e sentì quello che avevo appena detto.
Red sciolse la presa sui fianchi, abbassando le mani all’altezza delle cosce per chiuderle a pugno.

-E’ evidente che tu non abbia idea di come parlare ad una donna, non mi stupisco della solitudine che ti si legge negli occhi- sputò quelle parole con veemenza, quasi con acidità e si ritirò tornando sui suoi passi, per scivolare via sottocoperta.

Abraden scosse il capo, incrociò le braccia al petto e mi rivolse uno sguardo carico di disapprovazione.
-Dovreste ricordarvi le buone maniere ogni tanto, Capitano-.

Sollevai appena l’uncino verso di lui in segno di ammonizione, non amavo essere richiamato per qualcosa che avevo fatto e non volevo ammettere di aver sbagliato.
-Io invece vorrei ricordarti che non è stata una scelta libera e spontanea quella di farla viaggiare assieme a noi, quindi non trovo alcun motivo per mostrarmi rispettoso-.

-Permettetemi di dire, Capitano, che nessuna donna merita di ricevere parole così offensive. Siete un gentiluomo, non cercate di dimenticarlo solo perché avete sofferto-.
Abraden stava riprendendo la sua rivincita, visto che una settimana prima ero stato io a coglierlo sul fatto e rimproverarlo per quelle parole che non avrebbe dovuto pronunciare.

-Ero un gentiluomo, un tempo. Mi piaceva definirmi tale, ma ultimamente non ho più motivi per essere…- mi inumidii le labbra passandovi sopra la lingua –gentile-.

Abraden alzò gli occhi al cielo, visibilmente più contrariato di prima. Lui aveva ricevuto un’educazione ben diversa dalla mia, faceva ormai parte dell’essere se stesso e non vi poteva rifuggire.

-In ogni caso avete combinato un bel guaio, una donna offesa è un vero e proprio pericolo. Soprattutto se si tratta di una che ha le zanne al posto dei denti-.
Appoggiò una mano sulla mia spalla, stringendola appena.
-Sarà il caso che facciate ammenda, intanto vi lascerò riflettere sulle vostre azioni per trovare un compromesso ed andare a scusarvi con lei-.

-Non ne ho proprio alcuna intenzione! – risposi sempre più infastidito, mentre lo vedevo allontanarsi dal posto di comando per tornare a destreggiarsi con le cime da legare.

Detestavo quando i membri dell’equipaggio venivano meno al rispetto nei miei confronti, non erano loro a dovermi dire cosa dovevo fare, ero il Capitano della Jolly Roger e tutti mi appartenevano una volta che entravano a farne parte.
Gli occhi azzurri si incupirono, mentre dirigevo il timone a babordo, tirandolo con una forza non necessaria.
Le lancette ancora una volta mi ricordavano ciò a cui avrei dovuto pensare: dovevo salvarmi la pelle, in un modo o nell’altro.
Era stata un’idea sciocca donare i miei anni di vita per qualcosa che non ho ottenuto in seguito e dovevo riprenderli.

 



~*~*~





 
L’isola a cui dovevamo attraccare iniziò a farsi sempre più viva ai nostri occhi, l’equipaggio esultava nel vedere la terraferma così presto.
I viaggi per mare erano faticosi da affrontare e nonostante la caparbietà dei miei uomini era sempre un sollievo poter calpestare la terra dura sotto gli stivali.

-Ammainare le vele!- ripeteva Christian dopo aver udito i miei ordini –Forza banda di cialtroni, vogliamo calare l’ancora o farci sorprendere dalle secche?- sputava contro la ciurma che senza quell’enfasi non avrebbe lavorato a dovere.

-L’Isola dei Tulipani Neri?- mi si affiancò Abraden mentre ticchettavo con l’uncino sul legno della balaustra, come a voler incidere segni profondi. –Cosa ci porta qui?-

-C’è solo una persona in grado di rivelarci dove si trova Tremotino- sussurrai prima di appoggiare i gomiti sul parapetto –Tia Dalma [1] saprà darci una risposta-.

Abraden scosse leggermente il capo –Non avete imparato che la magia porta sempre un prezzo?-.

-Sono disposto a pagare qualunque cosa pur di uccidere Tremotino, la mia vendetta non avrà fine finchè non gli strapperò il cuore dal petto e non  lo distruggerò come lui ha fatto con Milah-. Non avevo alcuna intenzione di rinunciare proprio ora alla mia missione, nessuno avrebbe potuto farmi tornare indietro.

-La vendetta ci accomuna, Capitano- rispose Abraden stringendo i pugni con forza –se questo viaggio mi porterà lì dove desidero, farò di tutto per aiutarvi-.

-Una promessa è una promessa: condurrò la Jolly Roger verso ciò che il tuo cuore brama. Sarai ripagato per la tua fedeltà- gli assicurai, anche se una parte di me sapeva che appena ce ne sarebbe stato bisogno, non lo avrei più rivisto.
Abraden apparteneva ad un mondo diverso dal mio, conciliarci era realmente difficile e soprattutto il nostro destino era scritto su un cammino diverso.

L’ancora fu calata, le scialuppe tirate in basso per sfiorare il pelo d’acqua che iniziava ad ingurgitare una parte del legno.
Avevo scelto come al solito gli uomini migliori, la via che conduceva da Tia Dalma era densa di pericoli, almeno così ricordavo dall’ultima volta che mi diressi da lei, la quale mi aveva indicato il modo per trovare la Regina di Cuori.
Stavo per calarmi giù anche io sulla scialuppa, lasciando le ultime disposizioni prima della partenza ai miei uomini, quando vidi che Christian stava aiutando Red a scendere sulla scialuppa, con tutte le accortezze che avrebbe avuto un gentiluomo.

-Non ti ho dato il permesso di seguirci sull’isola, devi rimanere sulla nave finché non faremo ritorno- una volta che giunsi sulla barca mi avvicinai a lei, appoggiandole una mano sulla spalla, per farle intendere che non avevo alcuna intenzione di permetterle di venire con noi.

-Sono piuttosto certa di non averti chiesto nulla, verrò sull’isola. Non puoi confinarmi sulla nave a fare da guardia come se fossi un cane. Non c’è nessuno qui intorno, è un posto desolato, non avranno bisogno di me sul ponte- così facendo si sedette accanto a Christian che stava cercando di nascondere una risata piuttosto eloquente.

-Ha il fuoco sulla lingua, la fanciulla- questa volta ridacchiò, non era riuscito a resistere di fronte al mio sguardo carico di disapprovazione.

-No, ha le zanne di un lupo- bofonchiò Abraden, lui stesso era divertito dalla situazione che si era creata.

Dunque dovevo davvero sottostare ai capricci di una donna?
…Sì.
In fondo non era un mio problema pensare alla sua incolumità, avrebbe rischiato molto ma se le fosse accaduto qualcosa non avrei avuto il minimo riguardo nei suoi confronti.
Aveva scelto da sé quella strada, ognuno è padrone di se stesso e non avevo intenzione di discutere ancora con lei.
Ordinai di iniziare a remare, mentre rimanevo in piedi per osservare la distanza che dovevamo coprire fino all’arrivo sull’Isola dei Tulipani Neri.
Ogni tanto volgevo uno sguardo a Red per comprendere quale fosse la sua attuale situazione emotiva.
Era visibilmente adirata per quello che le avevo detto, ma non per questo mancava di far raggiungere la sua gentilezza verso Christian e gli altri che si affannavano a trattarla come una Principessa.

Alzai gli occhi al cielo, preferivo rimanermene in disparte, a contemplare di tanto in tanto il ritratto di Milah per non tradire quello che provavo ancora verso di lei.
Spesso avevo tentato di odiarla per quello che avevo fatto, ma sapevo che era tutta colpa mia e non potevo davvero dimenticare ciò che vi era stato tra di noi.

Davanti a noi si proponeva un paesaggio particolare, al centro dell’isola sorgeva una collinetta verde in cui erano rifugiati una miriade di tulipani neri che ombreggiavano completamente la foresta che vi era alle pendici.

-Non avevo mai visto dei tulipani di questo colore- sentii la voce di Red spezzare il silenzio che si era creato.

-E mai ne vedrai altri- rispose un membro dell’equipaggio intento a remare, lo sforzo nella voce era evidente.

-Cosa intendi dire?- si voltò a guardarlo, proponendogli silenziosamente di darle una spiegazione.

-Questi tulipani sono particolari, il loro colore originario era molto diverso.- si schiarì la voce ed iniziò a raccontare.
 
 






La leggenda narra di una giovane donna proveniente da un mondo molto lontano, la quale strinse un patto con uno Stregone in cui le fu garantita la vita eterna a patto che si prendesse cura dell’isola. Un giorno, il Capitano di una nave al servizio di un Regno vicino, si avvicinò all’isola in cui dimorava questa splendida fanciulla, poiché era a conoscenza della sua folgorante bellezza desiderava poterla vedere con i propri occhi.
Quando i due si incontrarono finirono per innamorasi, di un amore sincero e duraturo che andava anche oltre il tempo.
Il Capitano non fece più ritorno nel suo regno, mandò via il suo equipaggio assieme alla nave, affinché potesse trascorrere tutta la sua vita insieme alla donna che amava.
Vissero insieme degli splendidi anni, ma lui iniziava ad invecchiare, ricordando alla bellissima donna che presto sarebbe scaduto il loro tempo insieme.
Come simbolo del loro amore piantarono miriadi di tulipani rossi come il sangue lungo tutta la collina, perché chiunque avesse attraversato l’isola fosse a conoscenza della loro felicissima unione.
Non riuscì più ad incontrare lo Stregone con cui aveva stretto il patto, nonostante lei avesse acquisito poteri di un certo tipo, non era in grado di regalare al suo amato il dono dell’eternità.
Dopo tutti i tentativi resi vani, il Capitano morì di vecchiaia, accanto alla sua amata ancora giovane e bella.
La donna, addolorata per una perdita così grave, si fece consumare dall’odio. Il suo dolore fu talmente grande che al suo passaggio tutti i tulipani iniziarono a perdere il loro colore, consumandosi e diventando neri come la notte.








Avevo udito quella storia almeno un centinaio di volte, non vi era marinaio che non conoscesse l’Isola dei Tulipani Neri, come monito per ognuno di coloro che bramavano di vivere in eterno.
La magia ha sempre un prezzo.
Red era rimasta assorta durante tutto il tempo del racconto, non riusciva quasi a credere alle sue orecchie, nonostante fosse lei stessa la protagonista di una storia assai particolare.

-Una donna che si è consumata per amore…- deglutì a vuoto –ed è da lei che stiamo andando?-

-Sì, o da quel che è rimasto di lei- bofonchiò Abraden infastidito.
Non amava particolarmente andare a trovare Tia Dalma, nonostante ci avesse fornito sempre un grande aiuto per risolvere i problemi che ci venivano posti innanzi. Gli incuteva un certo timore, forse perché era in grado di leggergli l’anima.

-Smettetela di frignare, siamo arrivati- li rimproverai una volta che ormeggiammo sulla riva dell’isola.
Discesi immediatamente dalla scialuppa, tracciando per primo le orme che si rifugiavano sulla sabbia bianca.

-Dobbiamo attraversare la foresta?- domandò Red spezzando nuovamente il silenzio, mentre scendeva anche lei dalla scialuppa, aiutata da Christian che era sempre pronto a darle una mano.

-La dimora di Tia Dalma si trova esattamente dall’altra parte dell’isola, non potevamo arrivare lì con la nave, ci sono dei guardiani molto pericolosi- sorrise di sottecchi Christian, prima di sistemarsi le maniche della camicia per tornare ad essere impeccabile come sempre.

-Guardiani dell’isola?- continuava a chiedere Red che si era affiancata al pirata, sempre avvolta nel suo mantello rosso –Perché non ve ne sono altri anche da questa parte?-.

-Perché noi attraverseremo la foresta, dove ci sono pericoli altrettanto funesti. E’ semplicemente una scelta, o affrontiamo gli uni o affrontiamo gli altri- risposi voltandomi con un sorriso a mezza bocca, spaventarla sarebbe stato divertente, così almeno avrei messo fine alla sua curiosità.
Intanto appoggiai la mano sul pomo della spada, non amavo particolarmente l’Isola dei Tulipani Neri ed ogni volta diventava un supplizio attraversarla.

-Non credevo di aver chiesto spiegazioni a te- mi rimbeccò Red decidendo di sorpassarmi per potersi avvicinare all’ingresso della foresta, come se avesse appena trovato la sua dimora perduta.

-Non avrai le mie scuse, in ogni caso!- le gridai dietro iniziando ad innervosirmi, quante volte avevo già detto che portarla sulla nave era stato un errore? L’avrei rinchiusa in gabbia un’altra volta, se fosse riuscita a tornare incolume sulla Jolly Roger.

-Fai attenzione lupacchiotto, in quella foresta non sei tu ad essere l’animale più spaventoso- la avvertii, concedendole una possibilità  di salvezza.
In fondo quel suo modo di fare così avventato mi piaceva e potevo perdonarle quasi tutto il resto, per il semplice fatto che fosse una vera meraviglia per gli occhi il guardarla.

-Continui a mancarmi di rispetto, Killian Jones?- si voltò appena per lanciarmi uno sguardo di fuoco, prima di tornare diritta ed iniziare ad avvicinarsi alla foresta.
Sembrava davvero convinta di quel che stava facendo, come se avesse avvertito l’odore di qualcosa che la richiamava. In un batter d’occhio la persi di vista, si era intrufolata nella macchia verde senza nemmeno che attendesse il nostro arrivo.
Sciocca ragazzina, si sarebbe fatta uccidere!

Iniziai ad affrettare il passo assieme a tutti gli altri compagni per immergerci nella foresta che permetteva al sole di entrare soltanto tra pochi rami che si intrecciavano tra loro come corde fittissime e impossibili da sciogliere.
Il terreno era vischioso, la terra era inumidita dall’acqua che scorreva sotto di essa, la fanghiglia e la melma iniziarono ad immergere gli stivali quasi fino alle caviglie e i movimenti diventavano sempre meno stabili.
Red avanzava capeggiando il gruppo, sfiorando i tronchi scuri degli alberi da cui sorgeva del muschio verde, per poi guardarsi intorno e prendere una decisione sul come muoversi.

-Non dobbiamo andare da quella parte!- le sussurrai, ma non mi dava il minimo ascolto.
Dannazione, detestavo le donne così caparbie e al tempo stesso ne ero affascinato.

-Fidati Killian Jones, so dove vi sto portando- si voltò giusto quell’attimo che le servì per rispondermi, poi continuò a scorrere velocemente tra gli alberi che diventavano sempre più scuri, lì dove il sole iniziava a diventare buio.

-Sciocchezze! Così ci farai ammazzare tutti- adirato per quell’eccesso di sicurezza mi posi alle sue spalle e le afferrai il polso per arrestare il suo passo –ho segnato il percorso la scorsa volta che sono stato qui, vedi?- le indicai sui tronchi le cicatrici inflitte con l’uncino a forma di triangolo.

Lei osservò le incisioni e si strinse nelle spalle.
-Hai fatto un errore, quelle incisioni portano esattamente dove troveremo i pericoli che avete già affrontato. Posso avvertire l’odore delle fiere che si nascondono in questo posto e so esattamente come evitarle- tolse il polso dalla mia presa, nascondendolo dietro la schiena –non sto conducendo nessuno di voi alla morte, devo far ricucire il mio mantello e ho bisogno di un Capitano  e del suo equipaggio che mi aiuti a raggiungere la terra in cui trovare Tremotino-.

Le appoggiai l’uncino sull’incavo del collo, prima di alzarlo lentamente fin sotto al suo mento, per poterla guardare meglio negli occhi.
-Se per qualche motivo perderò ancora qualcuno dei miei uomini per aver seguito i tuoi suggerimenti, ti lascerò qui sull’Isola dei Tulipani Neri e non potrai invocare pietà a nessuno che possa liberarti-.

Lei mi rivolse uno sguardo affatto spaventato, si morse il labbro inferiore ed annuì con una certa sicurezza.
Lasciai la presa su di lei e mi allontanai, prima di farle segno con l’uncino di farci strada.
 


 
 
Note:

[1] Tia Dalma, non credo ci sia bisogno di spiegazioni, proviene da “Pirati dei Caraibi” anche se le ho dato una storia mooolto diversa.





///Nda: 

Salve! Prometto, dal prossimo capitolo avremo molta più avventura e azione, mi sono dilungata decisamente tanto in questa introduzione della storia, mi stanno proprio cadendo le braccia xD. 
Mi scuso per i possibili numerosi refusi, sono in periodo di esami e ho poco tempo sia per scrivere che per ricontrollare più volte. 
Grazie ancora per chi mi sta seguendo! ^^

Yoan 

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Capitolo 9
*** Tia Dalma ***


IX. Tia Dalma






Sì, devo ammetterlo. Detestavo il modo in cui quella ragazza era riuscita ad ottenere la stima dell’equipaggio.
Vi rimuginai per tutta la tratta all’interno della foresta, era bastato così poco perché tutti si affidassero a lei.
Come poteva avere quel potere? Quale era il suo stratagemma per rendersi così amabile?
Ogni tanto mi inumidivo le labbra, osservandola di sottecchi mentre capeggiava l’intero gruppo, continuando a chiedermi come una donna qualunque potesse porsi con così tanta forza su un branco di Pirati con poca educazione.
Aveva qualcosa di animalesco nel suo comportamento, di bestiale, ma al tempo stesso di estremamente femminile e sensuale.

Attraversavamo la macchia verde e fangosa con molta fatica, il terreno era malleabile e gli stivali spesso sprofondavano nei solchi lasciati dalle pozzanghere ancora umide e piene.
Gli alberi possedevano rami fitti e foglie molto più grandi del normale, la vegetazione cresceva in maniera rigogliosa ma il colore era sempre più tendente al grigio, o al marrone scuro, come se il fango ne avesse succhiato la linfa vitale.
Red avanzava con passi leggeri e sicuri, la ferita che le avevo procurato alla coscia era migliorata molto grazie ad alcuni unguenti particolari che aveva preparato Abraden appositamente per lei. Riusciva a camminare meglio e non le doleva più quando si muoveva con la sua naturale agilità.
I segni delle zanne posti sul mio braccio invece avevano lasciato due piccole cicatrici che affondavano all’interno, ma non avevano raggiunto l’osso.


Il silenzio che vigeva tra i membri della ciurma era quasi religioso, non lasciavano trapelare nemmeno il respiro che iniziava ad affannarsi.
Era eccessivo il desiderio di arrivare al rifugio di Tia Dalma senza incontrare nessuna fiera sulla strada.
Christian di tanto in tanto mugugnava qualche parola di ringraziamento per la presenza di Red che sapeva guidarci in modo così impeccabile; Abraden faceva lo stesso, anche lui era già stato sull’Isola dei Tulipani Neri una volta e conosceva i pericoli che vi erano.
Ad ogni loro sussurro storcevo le labbra, io non ero mai stato in grado di guidarli in un posto sicuro.

Red si fermò improvvisamente, voltando la testa prima da una parte e poi dall’altra, annusando l’aria per cercare il sentiero da prendere.

-Credo che così possa bastare, questo è il sentiero che ci conduce da Tia Dalma- intervenni spazientito, passando davanti a lei e scostandola, per poter capeggiare davanti a tutti.

Avvertii un certo malcontento dietro di me, infatti Red disse immediatamente con tono stizzito:
-Vi ho condotti fino qui e non ricevo alcun ringraziamento?-

Mi voltai e la vidi con le mani piantate ai fianchi, cosa che faceva sempre quando era infastidita.
Scrollai le spalle, voltandomi quasi subito dopo.

-Non ricordo che tu mi abbia ringraziato tutte le volte in cui ti ho salvato la vita- così facendo ripresi a camminare, nella speranza che non mi seguisse per ribattere ancora una volta.
Invece accadde proprio questo. La sentii correre verso di me, rimanendo poco distante ma non abbastanza perché potessi ascoltarla.

-Hai soltanto portato sventura, non ho alcun motivo per ringraziarti-.

Questo era ciò che meritavo. Continuai a camminare, con quelle parole intrappolate nella mente. Come io le avevo lanciato una risposta immotivatamente crudele a bordo della Jolly Roger, così lei aveva fatto la medesima cosa, ripagandomi allo stesso modo.
Deglutii a vuoto, riflettendo sul significato che quelle parole avevano per me. Le avevo portato sventura? Ero stato io la causa dei suoi  problemi?
Morsi il labbro con forza, persino Milah quando aveva scelto di seguirmi era stata colpita dalla sventura.
E se davvero fosse stata causa mia? Se tutti coloro che mi rimanevano accanto erano destinati al dolore e alla sofferenza?

Corrugai la fronte, più nervoso di quanto già non fossi, quando sopraggiungemmo finalmente di fronte al laghetto precisamente al centro dell’isola.
Proprio su quelle acque sorgeva una palafitta su cui emergeva la dimora di Tia Dalma, circondata da un tetto di foglie e tulipani neri che si intrecciavano tra loro, come a voler creare un motivo particolarmente lugubre..

-Ecco, questo è il luogo. Christian, tu e gli altri rimanete qui: io, Red ed Abraden andremo da Tia Dalma- sentenziai prima di far cenno con l’uncino ai tre che avevo nominato di seguirmi e di fare silenzio.
Le acque di quel lago erano abitate e non volevo far risvegliare nessuno spirito affamato di carne umana.

Attraversammo il ponte di legno che cigolava ad ogni minimo passo, l’odore di melma era sempre più forte mentre ci avvicinavamo all’ingresso della casa da cui pendevano i tulipani neri come se fossero stati corone di fiori.
L’ingresso era costituito di una tenda di tulipani profumati che andai subito a spostare per poter entrare all’interno della dimora buia e dal colore giallastro del legno e della paglia.
Così mi seguirono anche gli altri due, rimanendomi accanto e senza pronunciare alcuna parola.

-Ti stavo aspettando Killian Jones…- una risata lugubre e gutturale sopraggiunse dall’antro scuro e dalla luce fioca, proveniva dall’altra estremità della stanza.

Una donna dai lunghi capelli neri ed intrecciati, dalla carnagione scura e gli occhi neri come la pece si fece avanti, mostrando un sorriso ingiallito e consumato.
Lunghe occhiaie giacevano sotto quegli occhi accattivanti ed intraprendenti.
Si fece avanti, continuando a ridere come se si stesse prendendo gioco di tutti noi.

-Sapevi che sarei venuto a trovarti?- sorrisi bonariamente, avevo bisogno del suo aiuto, l’avrei trattata con il massimo dei riguardi.

-Io so sempre tutto Capitano della Jolly Roger. Conosco ciò che è stato scritto nelle stelle, nelle vostre mani, negli intestini degli esseri viventi- la risata iniziava a diventare gracchiante.
Si avvicinò appoggiandomi una mano sulla spalla, prima di girarmi attorno come un avvoltoio.

-So cosa sei venuto a cercare questa volta- si leccò le labbra con fare sensuale, prima di tornare davanti a me per afferrare l’uncino e sollevarlo, specchiandosi all’interno. –Sei qui per trovare una persona, una persona molto speciale-.

Mi strinsi nelle spalle, poi annuii, sperando di riuscire ad ottenere in fretta le informazioni. Tia Dalma tendeva sempre a trattenere i suoi ospiti troppo a lungo, per eliminare quella solitudine eterna da cui non avrebbe avuto scampo con facilità.

-Cos’hai da offrirmi questa volta?- mostrò un’espressione insoddisfatta e da bambina piena di capricci.

In quel momento Abraden si fece avanti tirando fuori dalla tasca una boccetta di vetro contenente un liquido trasparente che consegnò direttamente nelle mani di Tia Dalma, la quale lo afferrò in tutta fretta, per analizzarlo con attenzione.

-Lacrime di sirena- sghignazzò prima di infilare la boccetta nell’incavo dei seni –sai sempre come ottenere i miei favori, Killian Jones-.

Sorrisi ancora accompagnato dal mio solito fascino ammaliante –Semplicemente conosco i tuoi gusti, Tia Dalma-.

Dunque ero pronto ad ascoltare la sua risposta, se solo non si fosse avvicinata per appoggiare una mano sul mio petto, all’altezza del cuore. Era lì che sorgeva l’orologio calcato sulla pelle, infliggendomi un fastidio perenne e quotidiano.
Strinse le labbra, con un certo dispiacere, ma si poteva ben comprendere che non fosse un dispiacere reale.
Era un’anima in  pena, privata del suo amore, di tutto ciò che potesse renderla felice. Non aveva alcuna pietà verso coloro che andavano incontro ad un pessimo destino.

-Ti manca così poco tempo, davvero poco. E’ un vero peccato dover rinunciare ad un giovane bello ed aitante come te- mi rivolse una smorfia compiaciuta, in fondo mi aveva avvertito del prezzo che avrei potuto pagare stringendo un patto con la Regina di Cuori.

Avvertii lo sguardo di Red fissarsi dietro la nuca, doveva aver immaginato che una sorta di maledizione si era abbattuta su di me e probabilmente si stava domandando di che cosa si trattasse.
Tia Dalma si allontanò, colta da un improvviso interesse per Abraden che se ne stava in piedi poco dietro di me, a cui ripropose quasi la medesima scena, iniziando a girargli attorno.

-E qui cosa abbiamo? Il coraggioso Proteo!- sorrise mostrando di nuovo i denti ingialliti e scuri.

-Non esiste più nessuno che si ricordi di lui, ormai il mio nome è Abraden- rispose con veemenza, ma senza guardarla negli occhi, temeva di poterne essere risucchiato.

-Un nome non cambia la sostanza, caro principino [1]. Inoltre c’è ancora qualcuno che ti sta aspettando, lì dove hai lasciato il tuo cuore- sussurrò Tia Dalma prima di accarezzargli il mento con la mano.
Abraden a quel punto spostò gli occhi scuri altrove, non desiderava sentir parlare di casa sua, né di ciò che vi aveva lasciato.
Tia Dalma, annoiata da quel piccolo gioco, spostò  subito l’attenzione su Red.
Si comportava come un camaleonte, trascinandosi ovunque, per poter carpire tutte le informazioni su un futuro che avrebbe o meno potuto riguardarla.

-Oh…- annusò l’aria, così come aveva fatto Red stessa appena entrata nella scura dimora –sento odore di maledizione. Una delle peggiori, a mio avviso- le sfiorò i capelli con le dita, immergendole tra le lunghe ciocche nere.

Nel vederla così vicina a lei appoggiai istintivamente la mano sul pomo della spada, Tia Dalma non era una donna pura, aveva venduto l’anima per poter rimanere in vita per l’eternità. Non che io mi fossi comportato da meno, ma al contrario non desideravo macchiare Red di colpe che non aveva, trascinandola in un baratro senza ritorno.
Ebbi l’istinto involontario di proteggerla da quella vicinanza che non mi piaceva affatto.

-Tranquillo Killian Jones, non voglio accusare il pericolo della sua maledizione standole troppo vicino, non le farò nulla- si leccò le labbra ancora una volta –noto molta curiosità nei tuoi occhi, bambina. Tu non sai nulla riguardo al Capitano senza mano, né del suo fedele compagno. Vorresti conoscere la loro storia?- la invitò a cogliere il frutto della conoscenza, allontanandosi appena per tornare a volteggiare tra me e lei.

-Non sono una bambina- si morse rovinosamente le labbra, evidentemente molti avevano usato quell’appellativo nei suoi confronti e doveva detestarlo -Innegabilmente mi piacerebbe conoscere chi siano, ma non lo desidero: ho a cuore soltanto il mio scopo- rispose Red con una freddezza che non le avevo mai visto negli occhi.

Lei si era aperta verso di me, concedendomi la narrazione del suo passato. Io invece non avevo mai accennato a raccontare come mi fossi procurato quella mancanza diventata perenne.
Forse desiderava che fossi io, spontaneamente, a raccontarle ogni cosa.

-Deliziosa!- esclamò Tia Dalma prima di tornare da me e sussurrarmi  in un orecchio –Ottima scelta Capitano, lei sarà la chiave per condurti da Tremotino-.

Aggrottai le sopracciglia, dunque il destino per una volta mi era stato favorevole.

-Ti ho consegnato le lacrime di sirena, ora dimmi dove posso trovare il Coccodrillo-.

Red evidentemente aveva annusato qualcosa nell’aria, il suo istinto le diceva che io non ero totalmente indifferente nel trovare Tremotino.
Christian le aveva raccontato che era stato proprio un Coccodrillo a staccarmi via la mano, perciò non vi fu alcun dubbio, aveva compreso che le due cose coincidevano.
Ma quanto aveva capito che il mio interesse per esso andava ben oltre la sua immaginazione?

-Non sarà facile- si strinse nelle spalle la donna mentre intrecciava i lunghi capelli annodati –qualcuno ha pensato di catturarlo ed imprigionarlo. Non sarà facile raggiungerlo, si trova nella Foresta Incantata, nelle segrete del Palazzo reale dove regnano il Principe James e la sua sposa Biancaneve-.

Red fece un passo avanti, mostrando un’aria luminosa e colma di speranza:  -Non sarà affatto un problema! Biancaneve è una mia cara amica, quando le dirò che mi serve l’aiuto di Tremotino per ricucire il mantello ci darà sicuramente il suo consenso-.

Ecco, la chiave di cui Tia Dalma parlava, glielo leggevo negli occhi. Di lei si fidavano, erano suoi amici ed io sarei  potuto entrare nelle segrete del Palazzo per recuperare ciò che era mio: il cuore del Coccodrillo.

In quel momento udimmo un sibilo assordante che ci fece piegare tutti su noi stessi, qualcosa doveva essere accaduto al di fuori della dimora di Tia Dalma.
Le urla degli uomini che avevo lasciato lì fuori crescevano a dismisura, sentimmo il cozzare delle lame e sibili ancora più forti.
Spalancai le labbra incredulo, quando Tia Dalma ci disse: -Temo proprio che un Pirata lì fuori abbia disturbato il mio piccolino…- scoppiò a ridere quasi con ferocia.

Senza perdere più altro tempo prezioso scossi Abraden e Red perché mi seguissero, abbandonando alle spalle la casa di Tia Dalma, a cui rivolsi prima di uscire uno sguardo carico di risentimento. Lei sapeva, sapeva che sarebbe accaduto eppure non ci aveva messo in guardia.

-Affrettiamoci! Maledetta strega, sapevo che non sarebbe stato così facile arrivare da lei o andarsene- mugugnai con fastidio mentre ripercorrevo il ponte che avevamo attraversato.

Dal centro del lago emergeva un lungo serpente dalle grandezze spropositate, stringeva nella sua morsa un paio dei miei uomini che tentavano di liberarsi colpendolo con le loro sciabole.

-Mirate alla testa!- urlai verso Christian che tentava di sferruzzarlo a colpi di lama ma che non provocava altro che sibili striduli, segno di un semplice fastidio più simile ad un solletico.

Sfoderai la spada dalla guaina, afferrando poi Red per il mantello e avvicinandola a me con uno strattone.
-Non fare cose stupide, stanne lontana- le ringhiai con forza prima di abbandonarla sul ponte e fare segno ad Abraden di seguirmi.

-Cerca di distrarlo, portalo sulla riva destra del lago, ho un’idea- gli dissi mentre correvo a nascondermi dietro uno degli alberi che costeggiava il laghetto.

Christian continuava ad agitare la spada in modo quasi insensato mentre uno degli uomini fu ingurgitato dal mostro che lo mandò giù intero con tutta la carne e le ossa.

-Maledetto! Ti ucciderò, mostro!- sentivo le grida di Christian farsi sempre più roche.

Red cercava di mettere in guardi gli altri che tentavano di attaccarlo ai lati, sembrava che la lunga coda fosse in grado di schiacciare persino una montagna. Era affacciata al ponte, lanciando indicazioni continue perché la ascoltassero.

-Rimanete fermi, può vedervi soltanto se vi muovete!- gridava Red nel tentativo di salvare quelli che si precipitavano nel combattimento.

-Ehi, vieni da questa parte! Sono qui, stupido serpente!- lo incitò Abraden mentre muoveva le braccia sopra la testa, perché fosse riconosciuto.

Il serpente voltò appena la testa, sibilando ed iniziando a muoversi sinuosamente verso di lui, sciogliendo la presa sui malcapitati che ricaddero nelle acque logore del lago.
Sembrò aver colto la sfida, tant’è che si erse in quasi tutta la sua altezza per poterlo colpire.
Vidi Abraden deglutire a vuoto e chiamarmi a squarciagola: -Killian, qui si sta mettendo male! Dovevo distrarlo non diventare la sua cena!-.

-Rimani fermo, ancora pochi istanti, fidati di me!- la mia voce gli giunse appena, sembrava lontana ed irraggiungibile.

Non appena vidi che il serpente si gettò su di lui per poterlo bloccare tra le fauci, scatenai ciò che avevo preparato in quel poco tempo.
Due tronchi di albero caddero contemporaneamente, staccandosi dalla radice, e si frantumarono proprio sopra la testa del serpente.
L’acqua provocò un’onda alta che sommerse quasi tutti, Red per poco non cadde nel lago, se non si fosse stretta con forza al ponte.

Accorsi immediatamente alle sponde del lago, cercando di tirare fuori Christian che si sollevava a stento dall’acqua colma di melma e fanghiglia.

-Quel mostro mi ha rovinato la camicia, era una seta particolare!- bofonchiò con rabbia cieca mentre si stendeva sulla riva per riprendere aria e appoggiare un braccio sugli occhi, ripentendo quanto fosse costata quella stoffa. Una vera assurdità, visto che erano le sue amanti a rifornirgli il guardaroba.

-Killian, da questa parte: Abraden non è ancora riemerso!- gridò Red che era scesa dal ponte per poter aiutare i sopravvissuti che a fatica si tiravano fuori dalle acque.

Iniziai a guardarmi attorno, per cercare le tracce di Abraden, non riuscivo a vederlo da nessuna parte.
Mi accorsi che la coda della sua giacca ingiallita galleggiava sul bordo dell’acqua, immediatamente mi precipitai verso la riva destra del lago.
Era ancora vivo, aveva una gamba incastrata sotto il peso del serpente che si era accasciato lungo tutta la sponda, stava cercando di liberarsi.

-Fermo, così combinerai qualche guaio- gli dissi con tono di voce preoccupato, ci era mancato davvero poco, se fosse morto mi sarei addossato tutta la colpa. In fondo sarebbe stata colpa mia, io gli avevo detto di fare da esca.

-Un giorno vi ucciderò Capitano, o come minimo dovrò ricevere una lauta ricompensa. Un debito per la vita- mugugnò con il viso che esprimeva fastidio e dolore.

-Non che mi rimanga molto da vivere, forse non riuscirò mai a ricompensarti per la tua lealtà- gli dissi mentre lo afferravo per le braccia, inchiodando l’uncino alla manica del soprabito, e lo tiravo fuori da quella gabbia viscida.

Rimanemmo stesi sulla riva per qualche istante, socchiudendo gli occhi, stanchi per tutta l’adrenalina che avevamo consumato. Abraden era un compagno troppo prezioso, sarebbe stata una gravissima perdita da poter affrontare.
Ma ancora una volta la fortuna fu dalla mia parte. Forse era davvero scritto nel destino che sarei riuscito a riprendermi i miei anni di vita, scongiurando la maledizione che mi ero inflitto.
Lo sentii tossire l’acqua che aveva mandato giù, mi lasciai sfuggire una risata nervosa, prima di rimettermi a sedere sulla fanghiglia.
Con il fiato corto osservavo davanti a me quello che avevo provocato: i due alberi si erano quasi intrecciati nello schiacciare il serpente che giaceva davanti a noi privo di vita.
Mi tirai indietro i capelli che iniziavano a crescere, li avrei dovuti sistemare. Scossi appena la testa, quello era un ragionamento di Christian, non mi apparteneva di certo una preoccupazione simile.
Vidi Red che si destreggiava con cura nell’aiutare i sopravvissuti, accompagnandoli a fatica sulla riva.
Si era dimostrata un aiuto prezioso, alla fine di tutto. 




Note: 

[1] Per alcuni potrebbe trattarsi di uno spoiler, se conoscono il film di Sinbad. Per altri, posso solo dire che a breve ne sapranno molto di più a riguardo. 




// Nda: 

Ecco qui il nuovo capitolo, prima rispetto alle mie previsioni. 
Devo dire che sto facendo molta fatica a continuare ad analizzare il punto di vista di Hook, la prima persona mi manda un pò ai pazzi, soprattutto nelle scene d'azione. 
Spero di migliorare andando più avanti, mi scuso se la narrazione a questo punto possa sembrare smorzata o poco coerente ._. 

Ringrazio le mie lettrici assidue: Lilyachi, LadyDeeks e Ally M che si è aggiunta da poco e tutti gli altri che  hanno inserito la storia nelle seguite. 
Grazie mille! ^^

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Capitolo 10
*** Nodi ***


X. Nodi







Salpammo dall’Isola non appena salimmo sulla Jolly Roger, riportando ferite e maledizioni dirette alla strega o qualunque cosa fosse Tia Dalma.
Avevamo perso un solo uomo, magra consolazione a dire il vero.
Ogni uomo dell’equipaggio era un tassello importante, non vi era nessuno che valesse meno degli altri.
Preferivo che tutti fossero alla pari, piuttosto che sottoposti di sottoposti, rischiando di creare discordie.
Avevo già affrontato una situazione simile in passato e non desideravo essere abbandonato di nuovo sulla mia nave come un povero farabutto.

Abraden zoppicava verso di me, con una mano appoggiata alla coscia, il peso del serpente schiacciato su di essa doveva esser stato traumatico e non si sarebbe ripreso molto presto.
Si fermò accanto al timone, tirando indietro i capelli biondo miele e puntando lo sguardo fisso sul mio.

-Dovresti farti controllare la gamba- dissi senza tanti mezzi termini, mentre aprivo la bussola che avevo tirato fuori dal taschino per prendere la direzione esatta.

Il sole del tramonto scemava all’orizzonte, iniziando a nascondersi alla nostra vista, regalandoci un gioco di luce perfetto sullo specchio dell’acqua.
Quello era il momento che preferivo, in un solo istante vi era il cambio tra il giorno e la notte. La luce sarebbe scomparsa per dare spazio all’oscurità, ma un’oscurità che poteva essere trapuntata di miriadi di piccole luci.
Il giorno ed il sole sono così puri e pallidi che basta poco ad oscurarli, una nuvola o una tempesta sarebbero pronte a sporcare il loro chiarore.
La notte e la luna invece, nella loro oscurità, hanno quel briciolo di salvezza portato dalla luce delle stelle che riescono ad illuminare ogni angolo buio.
Dunque perché desiderare la luce, quando l’oscurità può essere così luminosa?

-Non mi importa se diventerò zoppo- sputò Abraden prima di incrociare le braccia e spostare il peso sull’altra gamba –mi hanno già  tolto troppo, non potranno togliermi nulla di più-.

-Forse il vantaggio di non avere niente è proprio questo, nessuno può portarti via quello che non hai- risposi mordendomi le labbra.

Milah non era più con me, non potevo perderla di nuovo, era già accaduto. Le perdite spesso portano dei benefici, ci conducono verso strade migliori, ci fanno comprendere la caducità della vita e soprattutto ci insegnano ad apprezzare ciò che abbiamo e a tenerlo stretto il più possibile.

-La frugalità non è mai stata una vostra virtù- sorrise Abraden tirando su col naso –in ogni caso, vorrei parlarvi di quello che ci ha rivelato Tia Dalma. Il Coccodrillo si trova al castello della Foresta Incantata…- sussurrò, come se avesse timore di farsi udire dagli altri –questo vorrà dire che attraverseremo i Ghiacci di Norda-.

Sapevo che prima o poi saremmo giunti a quel punto, che il passato di Abraden si sarebbe fatto vivo ancora una volta e che io avrei dovuto lasciare indietro quegli ultimi anni in cui avevamo attraversato i mari insieme.
Deglutii appena, mantenendo una serietà che non mi apparteneva.
Avevo fatto una promessa e l’avrei mantenuta a tutti i costi. Abraden aveva un compito da portare a termine, aveva delle responsabilità da prendere a carico. Io cos’avevo oltre al mio orgoglio e alla mia nave? Nulla, non ero altro che un Pirata che fuggiva dalla propria ombra, con la scadenza di un orologio tatuato sul petto che mi ricordava quanto poco mi rimanesse da vivere e una ciurma di cui non mi fidavo.
Prospettive allettanti.

-Sì, prenderemo il passo di Norda per arrivare fino alla Foresta Incantata. E’ il tratto più breve e meno pericoloso da affrontare. In fondo, te l’avevo garantito, no? Prima o poi ti ci avrei portato- sorrisi a mezza bocca, stringendomi nelle spalle.

Abraden doveva aver avvertito il mio malcontento, ma conoscevo la sua storia, non si sarebbe fatto sfuggire nulla di più che un segno di assenso.
Né un segno di amicizia, né qualunque altra dimostrazione di sensibilità.
Aveva perso molto anche lui, forse più di quanto avessi perso io.

-Grazie, Capitano- eccolo lì il segno d’assenso che aspettavo, semplice e indiscutibile.
-Se permettete, prenderò io il posto al timone, voi avete un impegno a cui non potete rinunciare- mi disse prima di indicarmi con lo sguardo la figura di Red, che  appoggiata alla balaustra della nave, cercava di farsi spiegare da Christian come legare i nodi delle cime.

-Ti ripeto, non ho intenzione di…- non ebbi il tempo di rispondere che Abraden mi scostò, alzando gli occhi al cielo e facendomi un segno sbrigativo nella direzione di lei.

Sospirai, se c’era una cosa che non mi andava giù era proprio rendermi conto di aver attraversato il limite.
Preso però dal rimorso di coscienza di averla tratta in pericolo, decisi di tentare un approccio quanto più simile alla ricerca del perdono, per rabbonire la sua anima di lupo.
Non appena Christian si allontanò per risolvere altre questioni sul ponte, mi avvicinai a lei appoggiando l’uncino sul bordo del parapetto.
Lei non si era resa conto della mia presenza, era concentrata nell’annodare le cime perché non sfuggissero.
Sembrava spazientita, quasi infastidita da quel lavoro.
Le appoggiai la mano sano sulle sue, scostandole lievemente.

-Vedi, lupacchiotto, questi non sono nodi- afferrai le due estremità che aveva stretto in malo modo e gliele mostrai –si chiamano groppi. I groppi sono quei legami che è difficile sciogliere, sono confusi e casuali, formano un intreccio inestricabile e sono a dir poco fastidiosi- le feci notare che ciò che aveva stretto insieme non si riusciva a sciogliere ma che fui costretto a rigirare più volte le estremità per liberarle.
-I nodi invece non solo sono sicuri e resistenti, ma basta poco per tirare via l’intreccio. Te ne mostrerò uno-.
Era difficile destreggiarmi in quel modo con l’uncino, ma imparare ad usare ogni qualità di quell’oggetto mi aveva aiutato nei momenti di difficoltà.
Non appena terminai di creare il nodo, ripresi la descrizione di quello che stavo facendo.
 -Questo si chiama nodo di bitta, ora prova a tirare le estremità-.
Quando le prese entrambe e le tirò, il nodo si sciolse.

Lei sorrise quasi senza rendersene conto, era stato così facile slegare quel nodo che sembrava impossibile essere vero.
-Non deve essere difficile, non avevo idea che esistessero dei nodi così facili da sciogliere- rispose con stupore, lanciandomi uno sguardo in tralice con quei suoi occhi chiari e pieni di vita.

-Tutti i nodi possono essere sciolti, è quando incorre il groppo che sorge la difficoltà, creando una matassa inestricabile- aggiunsi semplicemente, prima di restituirle i lembi della corda.
-Prova ad eseguirlo nuovamente, se mi dimostrerai di aver capito, ti affiderò questo nuovo impegno-.

Questa volta lasciò prolungare lo sguardo su di me, tenendo strette le corde tra le mani, mostrando un’espressione fiera e al tempo stesso restia a volermi credere.

-Hai ancora un debito con me, Killian. Ti ho fatto arrivare sano e salvo fino da Tia Dalma, non mi hai nemmeno chiesto scusa per le tue parole prive di rispetto- mi disse prima di abbassare lo sguardo ed iniziare a creare il nodo molto leggero che andava costruendo.

Avrei avuto voglia di alzare gli occhi al cielo, di girare i tacchi e andare via, per non ascoltare quelle lamentele prettamente femminili.
Eppure, una parte di me, sapeva che non mi ero comportato in modo degno. Dall’altra, Red non mi aveva mai ringraziato per averle salvato la vita da quegli uomini che avevano avuto intenzione di derubarla.
Quindi perché prostrarmi ai suoi piedi?

-Il Capitano di una nave non è mai in debito con nessuno- dissi con voce sottile ma profonda abbastanza perché le giungesse chiaro che non avrei fatto alcun passo indietro.

Lei doveva aver compreso che non c’era modo di addomesticarmi, né di addestrarmi al suo volere.
Eppure non sembrava essere delusa dalla mia sfacciataggine, piuttosto si era rassegnata di fronte alla mia parvenza di orgoglio quasi violenta ed inarrestabile.
Ero la tempesta, lei la quiete.

-In tal caso dovrò ignorarti e fingere la tua non esistenza, non che mi dispiaccia poi molto- rispose stringendosi nelle spalle e finendo il lavoro.

-Prima di tutto, hai annodato ancora una volta un groppo- le dissi cercando di scioglierlo con molta difficoltà –riprova, forse entro domani riuscirai a fare un nodo come si deve. Inoltre, è davvero difficile ignorarmi, dolcezza- aggiunsi a questo il tocco dell’uncino che andò a cercare una ciocca dei suoi capelli neri da arrotolare sulla punta acuminata.

-Non sono mai stata brava in queste cose, anzi, a dirla tutta non ho mai trovato la mia vocazione. Temo che nella mia vita sarò costretta a servire manciate di uomini ubriachi in una locanda scadente.- così facendo sfilò la ciocca di capelli dall’uncino, arrotolandola intorno al dito per sfuggire dalla mia vicinanza –Mi dispiace, davvero, ma non trovo alcun motivo per cui dovrei apprezzarti in qualche senso-.

-Ne basterebbe solo uno, a dire il vero- tentai di provocarla, sospingendomi appena verso di lei, tanto da coprire quella breve distanza per ammirare ancora quegli occhi profondi che sembravano lamine di fuoco.

Indietreggiò lentamente, scuotendo leggermente il capo, con quel sorriso seducente e marcatamente compiaciuto.
Sospirai, appoggiando la schiena alla balaustra e sollevando l’uncino all’altezza degli occhi, per creare un lieve gioco di luce con gli ultimi raggi del sole.

-Servire in una locanda non ha nulla di poco onorevole, piuttosto essersi imbarcata con dei Pirati potrebbe rovinarti la piazza, lupacchiotto- sorrisi sghembo, stringendomi nelle spalle.

Lei non disse nulla in proposito, sembrava più che altro concentrata ad osservare il giocattolo che avevo al posto della mano.


-Qual è il nodo della tua storia?- mi domandò mentre mi si affiancava, si era decisa a non continuare l’impresa, era evidente che mancasse di coraggio.
Iniziare qualcosa e non portarla a termine, un fatto che conoscevo molto bene.
A quella domanda inspirai profondamente, volgendo gli occhi sull’ultimo tratto del tramonto che stava ormai calando, regalando le prime ombre chiare della sera.

-Io non ho nodi nella mia storia, ho soltanto groppi. Groppi che difficilmente potranno essere spezzati. Nemmeno un taglio netto può sciogliere un legame simile- dissi con un leggero tono di rammarico.

-Allora dimmi quali sono i tuoi groppi- insistette, soffermando ancora lo sguardo su ciò che voleva sapere.
In fondo le dovevo una parte di riconoscenza, non mi costava nulla ricordare quello che mi portavo dietro da tanto tempo.

-Immagino di sapere quale sia la tua domanda: come hai perso la mano?- mi voltai dando le spalle al ponte e conficcando l’uncino sul parapetto di legno, incastrandolo come se fosse stato un chiodo.

Le raccontai parte della mia storia, iniziando dall’incontro con Milah che aveva portato ad un periodo di enorme felicità, ad uno di completa miseria.
Le raccontai del Coccodrillo, senza accennare a svelare la sua identità, e di come aveva ucciso la donna che amavo.
Sembrava particolarmente stupita da quella mia confidenza, forse non aveva idea che io fossi in grado di amare qualcuno allo stesso modo in cui lei aveva fatto tempo prima.
Le raccontai di come quest’ultimo mi strappò via la mano, per ottenere ciò che desiderava e di come avevo deciso di portare con me l’uncino per strappargli il cuore.
Le raccontai di come avevo deciso di salvare Milah e di riportarla in vita, con tutte le conseguenze che avevo dovuto affrontare.

Red parve ancora più stupita e quasi senza parole, mentre ascoltava la mia storia.
Non si era ancora pronunciata, quando ero giunto alla conclusione del racconto. Piuttosto calò gli occhi, sprofondando in un silenzio così assordante che avrei preferito rifugiarmi nella mia cabina, all’ombra di tutti, come avevo fatto per diverso tempo.

-Hai perso molto nella tua vita, non ne avevo idea. Ma quello di cui più mi compiaccio è che hai un cuore, Killian Jones. Hai dimostrato di essere un uomo di carne e sangue, ma anche di estrema sensibilità. Non sei solo un Pirata predatore di tesori e portatore di razzie, nascondi dentro di te qualcosa che non tutti possono vedere.- mi disse, lasciando questa volta me senza parole –Credevo di essere l’unica a portare con me un enorme peso, invece non è così. Hai perso la donna che amavi ma con coraggio hai deciso di riprendertela, il Fato è stato crudele decidendo di strappartela per una seconda volta-.
Leggevo la compassione, quella pietà che non tutti erano stati disposti a darmi. Ma io non la volevo, non era quello che andavo cercando.

-Sono un mostro, il mio egoismo crudele lo dimostra ogni giorno- aggiunsi in un filo di voce.

-Tu non sei un mostro, vai alla ricerca di una felicità che dovrebbe esserti dovuta. Il mostro sono io, che ho ucciso la persona che amavo e che ho sempre messo a rischio chiunque  volesse rimanermi accanto-.
Le sue parole erano dure e poco propense al perdono di se stessa. Navigava in un’ombra piena di tenebre e baratri senza via d’uscita.
Un labirinto che si era creata appositamente per tenere a distanza tutti coloro che desideravano avvicinarsi.

-Non avevi il controllo di te stessa in quel momento, come potevi sapere di agire in modo errato? Non sapevi di essere un lupo- a volte mi stupivo, cercare di tirare gli altri fuori dalla propria oscurità mi faceva sentire meglio, come se fosse stato quello il mio compito.

-E’ questo ciò che importa: io non merito di vivere, non finché avrò questa maledizione addosso. Tu hai cercato di riscattarti attraverso il passato, io sto cercando di fuggirlo per dimenticare ciò che è stato-.
Scosse velocemente il capo, chiudendosi all’interno del mantello.

La sera si era ormai inoltrata, la luce della luna illuminava la nave e le stelle sembravano voler riempire quegli spazi esageratamente vuoto attraverso la loro luce. Il cielo era ancora chiaro, ma nell’immensità del mare tutto era più limpido e lo sguardo poteva arrivare lì dove non era possibile sulla terraferma.
La brezza leggera ci scostava appena i capelli, inoltrandosi tra le vesti e appropriandosi dei tratti del viso accarezzandoci con carezze quasi studiate.

-Dimmi una cosa- aggiunse mentre volgeva lo sguardo alla luna, sua fedele compagna –stai cercando Tremotino perché ti aiuti a trovare un modo per riportare da te Milah, non è così?-.

Annuii appena, quello era il motivo apparente, ma c’era molto di più. Il cuore di Tremotino serviva per ridarne uno alla donna che amavo, ma anche per riprendermi quegli anni di vita che mi erano stati portati via.
In più, le mie intenzioni erano ferme sull’idea di uccidere il Coccodrillo e approfittare di Red nel momento in cui ci saremmo avvicinati a lui.
Non desideravo aiutarla, volevo solo raggiungere i miei scopi. Dovevo guardare ai miei fini, non ai mezzi scelti per arrivarci.

-E…- disse ancora, con titubanza- quanto tempo ti manca?- lasciò ricadere lo sguardo sul petto ricoperto dal tessuto della camicia sgualcita, dove non si intravedeva  nulla anche se al di sotto nascondeva il mio sacrificio.

-Poco, per questo dobbiamo affrettarci- risposi conclusivamente, prima di staccare l’uncino dal parapetto e risistemarlo a dovere all’interno del polso.

Mi congedai da lei con un leggero fastidio all’altezza del petto, quella volta però non erano le lancette a provocarmi la sofferenza che avvertivo, era qualcosa che stava avvenendo all’interno. Un meccanismo molto più forte, molto più difficile da comprendere.
Un nodo facile da sciogliere o un groppo inestricabile?
Non volevo indagare più a fondo nella mia interiorità, preferivo rimanerne ignorante e senza desiderio di sprofondare l’abisso.
Lasciai Red a contemplare le prime stelle, mentre scivolavo nella mia cabina, concedendomi quella rinnovata solitudine in cui mi ero rinchiuso per un’infinità di tempo.






// Nda: 

Allora, prima di tutto devo ringraziare il mio ragazzo che mi ha spiegato la differenza tra nodi e groppi e la funzionalità diversa che hanno (in realtà la funzione reale l'hanno i nodi e basta), mi ha dato l'idea di scrivere questa scenetta tra Red e Hook in cui finalmente lui si confida raccontandole parte della storia. 
Dal prossimo capitolo invece approfondiremo Abraden, perchè ci sarà l'incontro con il suo passato. 
Ringrazio  ancora  tutti quelli che mi seguono! 

Yoan 

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Capitolo 11
*** I Ghiacci di Norda ***


XI. I Ghiacci di Norda






I Ghiacci di Norda volgevano ormai davanti alla Jolly Roger, che era stata indirizzata all’estremo Nord, per recuperare poi verso Est e raggiungere la Foresta Incantata.
Era il passo più breve da prendere, ma anche uno tra i più pericolosi.
Non avevo mai attraversato quel luogo particolare, avvolto nelle leggende. Era lì che Abraden avrebbe dovuto affrontare il suo destino, dopo così tanto tempo alla fine stavo mantenendo la prima promessa.
Durante quei giorni di viaggio si era dimostrato sempre più pacato e taciturno, aveva persino abbandonato la bottiglia di rum agli altri membri della ciurma, senza spillarne nemmeno un goccio.
Voleva rimanere lucido ed essere cosciente di quello che avrebbe potuto trovare.

Per tutta la notte, prima dell’arrivo del gran giorno, sognai il contorno delle labbra di Red che continuavano a domandarmi quali nodi fossero intrecciati nel mio passato.
Avrei voluto dirle molto di più, tra cui il non fidarsi di un Pirata quale ero.
I suoi occhi mi ricordavano una passione che mi bruciava nel petto molti anni prima, quando il Coccodrillo non aveva ancora portato via tutto ciò che avevo.

Non appena andai ad aprire la porta della cabina, per dirigermi sul ponte, mi ritrovai davanti Red che era quasi intenta a bussare ma si sbilanciò in avanti, nel momento in cui le avevo tolto il punto di appoggio.
Con un movimento agile la afferrai per la vita, portandola a stringersi al mio petto perché non perdesse l’equilibrio.

-Non riesci proprio a starmi lontana, non è così?- sorrisi ammiccante senza avere la minima intenzione di lasciarla andare.

Lei unì appena le sopracciglia, ma questa volta non colsi nella sua espressione un reale disappunto.
-In realtà ero venuta per un altro motivo- dopo qualche istante in cui ci scambiammo uno sguardo di cui entrambi dubitavamo del significato, si schiarì la voce –sono in grado di sorreggermi da sola, ora, ti pregherei di lasciarmi andare-.

Alzai gli occhi al cielo, era ritornata la Red inavvicinabile che si era dimostrata essere fin dall’inizio.
Dal giorno in cui era entrata a far parte della ciurma, a modo suo, mi ero chiesto il motivo per cui si comportasse in modo così distaccato.
Con Christian, Abraden e molti altri aveva un atteggiamento  diverso, più solare e sereno.
In mia compagnia invece tendeva sempre di più a nascondersi, come a voler scomparire sotto il suo mantello rosso per non farsi vedere.
Forse voleva solo evitare di essere trascinata in un vicolo cieco.

-Come desideri, lupacchiotto- sciolsi la presa su di lei, in quel momento provai un lieve rammarico nel farlo. Sentirla così vicina a me mi aveva procurato una strana ed inspiegabile sensazione di serenità.
Dopo Milah avevo colto l’abbraccio di molte altre donne, ma Red mi instillava purezza, quella purezza che io non avevo.
-Allora, qual è il motivo del tuo disturbo?-

-Dopo che attraverseremo i Ghiacci di Norda ci recheremo nei mari di Sinbad. Voglio essere pronta per ogni evenienza, Christian mi ha accennato ad una possibile battaglia ed io sono sprovvista di armi- disse con un tono della voce decisamente soddisfatto.

Inarcai un sopracciglio, appoggiando un braccio allo stipite della porta e la mano destra al fianco, inclinandomi appena di lato.
-Sai usarne qualcuna in particolare?- domandai inumidendomi le labbra, in realtà non ero propenso a lasciarle maneggiare qualcosa di acuminato. Chi non sa usare un’arma rischia di ferirsi più facilmente rispetto a chi non ne possiede.

Red mi rivolse uno sguardo improvvisamente vuoto, si strinse nelle spalle e scosse leggermente il capo.
-Non credo di sapere usare una sciabola, mi potrei accontentare di un pugnale-.

Riflettei per qualche istante, non aveva tutti i torti a desiderare di portare un’arma con sé. Se si fosse presentata una battaglia avrebbe avuto bisogno di qualcosa per difendersi ed io non ero di certo in grado di proteggerla, se Sinbad avesse infuriato contro la Jolly Roger.
Si diceva che fosse protetto dalla Dea della Discordia, Eris [1], e contro gli dèi sarebbe stato difficile vincere.

-Forse ho qualcosa che fa per te, entra pure- mi distaccai dallo stipite della porta, lasciandola entrare nella mia cabina.
Non era la prima volta che si trovava in quegli interni, ma non si era più avvicinata da quella sera in cui l’avevo trascinata sulla nave per sistemare le cose.
Da quando le avevo garantito un alloggio personale, un vero e proprio privilegio su una nave pirata, non l’avevo più vista aggirarsi per i corridoi della nave.

-Ti darò un’arma che ho trafugato da un re dell’Oriente, ho quasi rischiato la vita per ottenerla. La teneva agguantata, al suo fianco- mi avvicinai alla parete di legno su cui tenevo appese alcune armi e afferrai quello che aveva l’aria di un essere un pugnale.
Mi voltai e tornai verso di lei, porgendoglielo con una certa cura.
-E’ un kriss, non c’è possibilità di salvezza per chi viene ferito da quest’arma. Se ne avrai bisogno, usala con intelligenza e cerca di non farti male-.

Red afferrò con delicatezza il kriss, rigirandolo con meraviglia tra le mani. Si trattava di un pugnale a lama doppia, la punta era ondulata e poteva infliggere ferite profonde. Se la lama penetra all’interno del corpo, non produce un taglio netto, ma una lacerazione dei tessuti che impedisce spesso alla ferita di rimarginarsi.

-E’ bellissima- sussurrò mentre iniziava a rigirarla tra le mani, con un’attenzione sin troppo minuziosa, come se avesse timore di farsi male. Poi si fermò per un attimo, sollevandola con entrambe le mani a mezz’aria.
-Non conosco questa lingua, che cosa indicano le parole che sono incise sulla lama?-.

Corrugai appena la fronte, mi avvicinai e senza toglierle il kriss dalle mano, ne accarezzai semplicemente la linea ondulata che sporgeva verso di me, per poter leggere l’incisione.
-“Diventa ciò che sei” [2]- sorrisi spontaneamente, non ricordavo che vi fosse un significato simile, sembrava proprio che quell’arma la stesse cercando, per ricordarle chi fosse.

Red non ebbe cuore di rispondere, era evidente che non sapesse minimamente da quale parte stare: doveva dare ascolto alla sua natura umana o a quella bestiale?
-Ti ringrazio, lo apprezzo molto- abbassò lentamente il kriss, stringendolo con poca forza nella mano.

Inspirai profondamente, mentre la guardavo interamente. Aveva bisogno di abiti nuovi, non poteva affrontare una battaglia (se vi fosse stata)in quelle condizioni: con la gonna strappata e lunga.
-Prestami ancora un po’ del tuo tempo, ho un’idea- sussurrai mentre mi voltavo di nuovo e mi dirigevo verso un angolo della cabina.

Mi inginocchiai di fronte a dei bauli, ne aprii lentamente uno, sfiorandolo con delicatezza come se fosse stato  una reliquia. All’interno c’erano degli abiti che avevo fatto confezionare per Milah, ma lei non aveva mai avuto modo di indossarli. Intatto com’era, presi il primo completo composto da un paio di pantaloni di pelle, una camicia bianca dalle spalle scoperte ed uno stringivita scuro.

-Questi ti potranno essere utili, non riuscirò a soccorrerti ogni volta che rischierai di inciampare- si delineò un sorriso sulle labbra prima di lasciarle tra le mani gli indumenti.

-Io non inciampo mai, sono un lupo. Gli altri, piuttosto, rischiano di inciampare ai miei piedi- ricambiò appena il sorriso, prima di stringere al petto il regalo che le avevo concesso –grazie, sei stato molto gentile-.

Quell’affermazione mi lasciò vagamente stupito, fino ad allora non mi ero mai mostrato in modo diverso.
La gentilezza era una parte di me.
Forse era vero quello che mi diceva sempre Milah, i cattivi rimangono cattivi fino a quando non raccontano la propria storia. Ed io mi ero aperto a Red, narrandogli parte del mio passato.
Milah non aveva avuto bisogno di conoscere ciò che ero, semplicemente si era innamorata di quel che mostravo di essere.
Strinsi leggermente i pugni delle mani, prima di lasciarle il tempo di cambiarsi nella cabina.
Mi congedai per risalire velocemente sul ponte, ormai eravamo a poca distanza dai Ghiacci di Norda ed il pericolo si poteva nascondere ovunque.
Il giorno prima ci eravamo tutti rivestiti di pellicce, il freddo che avremmo affrontato avrebbe potuto causare diverse morti e avevo già perso troppi uomini, non desideravo rimanere di nuovo da solo.

Non appena giunsi al posto del timone, vidi Abraden guardare insistentemente verso un punto lontano, al di là dei Ghiacci.
Volsi anche io lo sguardo in quella direzione, apprendendo il paesaggio che avevamo tutti davanti.
Vi erano due montagne di ghiaccio incastonate all’interno della profondità marina, legate da un arco sottilissimo che avrebbe rischiato di staccarsi da un momento all’altro.
Proprio lì si ergeva una nuvola bianca che adombrava le montagne bianche, tutti però avevamo compreso che non si trattava affatto di quello che sembrava.

-Abraden…- sussurrai senza distaccare gli occhi da quella nuvola minacciosa.

-Sì, Capitano. Quello è il Roc [3] di Sinbad- rispose quasi boccheggiando, mentre stringeva con forza il timone, quasi a volerlo stritolare.

Credevo che il Roc fosse una leggenda, uno di quegli animali mitologici così appartenenti al passato che non avrei mai incontrato nel corso della mia vita.
Ma a quanto pare non sembrava possibile attraversare i Ghiacci senza affrontarne il Guardiano.
Sinbad aveva garantito la massima sicurezza all’ingresso delle sue terre, era evidente che volesse tenere il proprio tesoro per sé.

-Uomini! Alle armi, caricate i cannoni, mettevi in posizione! Ci prepariamo allo scontro: questa sera mangeremo la carne di Roc!- urlai a gran voce perché tutti mi ascoltassero.

Quando la ciurma realizzò che cosa avremmo dovuto affrontare, per un attimo rimase ammutolita. Allora fu Christian a prendere in mano la situazione, inveendo contro tutti:
-Forza, cialtroni! Non voglio diventare il pasto di un uccello, ho ancora troppe cose da portare a termine- iniziò a scaraventare i membri dell’equipaggio sui parapetti, perché preparassero la polvere da sparo.

Io, intanto, alzavo lo sguardo verso il Roc che aveva intuito le nostre intenzioni  poco convenienti per lui.
Sfoderai la sciabola, puntandola verso la sua direzione. L’uccello dalle ali bianche come la neve, lungo quasi diciotto metri, iniziò a muoversi verso la Jolly Roger per iniziare ad attaccarci.
Dovevamo agire in controtempo, usare la velocità per riuscire ad attraversare i Ghiacci prima di rimanerne uccisi.
In quel momento vidi Red uscire sopracoperta, rivestita dalla pelliccia che si era procurata il giorno prima, ma non si era minimamente resa conto dell’attacco che stavamo per subire.

-Red!- le urlai con un moto quasi inspiegabile di preoccupazione, quando vidi il Roc planare poco sopra la nave per vomitare stalattiti di ghiaccio che andavano conficcandosi sul ponte.

Lei non ebbe quasi il tempo di reagire che in un istante si ritrovò circondata da spille di ghiaccio solide e voluminose. Con uno scatto fulmineo accorsi nella sua direzione, afferrandola per il polso e trascinandola via da quella pioggia di ghiaccio che continuava ad incalzare ripetutamente.

-Che cos’è quello?- mi urlava contro mentre cercavo di schivare le stalattiti che cadevano sul ponte.

-Qualcosa che potrebbe ucciderci tutti, cerca di non muoverti e non distrarmi!- le dissi immediatamente mentre la conducevo da Christian perché fosse lui ad occuparsene.

Non appena mi sentii libero di agire, saltai sulla balaustra ed iniziai ad ordinare di ammainare le vele. Dovevo cambiare strategia, le lame di ghiaccio stavano squarciando le vele e in quel modo non saremmo mai potuti accrescere di velocità.

-Allora, uccellino, quanta fame hai? Forza, sono qui, vienimi a prendere!- gridavo verso la sua direzione, perché mi prendesse di mira. Non avevo un piano preciso, ma qualcosa mi sarebbe venuta in mente. Intanto tenevo stretta nella mano sana una delle cime e con l’uncino puntavo in alto verso di lui.

-Capitano, cosa state facendo? Sono io che devo superare questa prova!- mi rimproverò Abraden che non poteva lasciare il timone incustodito e senza qualcuno che guidasse la nave verso la direzione giusta.

Guardai per un solo attimo il mio compagno di viaggio, mordendomi le labbra, fino quasi a ferirmi.
-La morte è già scritta nel mio destino, non sarà differente morire ora o morire tra poco tempo. Tu invece hai ancora un motivo valido per andare avanti, devi portare a termine la tua missione!-.

Abraden mi rivolse uno sguardo carico di compassione, potevo avvertire la sua contrarietà in quello che aveva sentito.
Non era forse quella la mia occasione per dimostrare al mondo che Killian Jones, conosciuto come Capitan Hook, fosse in grado di sacrificarsi ed amare?
Killian Jones non sarebbe più stato il personaggio cattivo di una storia, sarebbe diventato l’eroe nel passaggio delle labbra di genitori che raccontavano ai bambini le sue disavventure.

-Non ti permetteremo di morire da eroe, Capitano!- la voce suadente e femminile di Red si intrufolò nelle orecchie, colsi immediatamente la sua figura che si arrampicava sulla balaustra dall’altra parte del ponte mentre afferrava l’altra estremità della cima che tenevo tra le mani –Tutti noi desideriamo una fine gloriosa e se non l’avremo tutti, non l’avrà nessuno-.
Con un gesto del capo mi indicò l’idea che le era balenata in mente, la cima era legata alla vela più alta che era ancora spiegata sulle nostre teste, proprio lì sul pennone si era arrampicato Christian che aveva sfoderato il coltello ed era pronto a recidere le corde che la sostenevano in alto.
Sorrisi a mezza bocca, un’idea grandiosa.

-Tentiamo questa follia- sussurrai prima di tornare a concentrarmi sulle lame di ghiaccio che il Roc continuava a sputare sul ponte, ferendo alcuni degli uomini.
In quel momento vidi l’animale sorreggersi in volo proprio sopra la Jolly Roger, iniziando a battere con violenza le ali, creando un turbinio di neve che ci investì tutti.

Molti degli uomini finirono per cadere all’esterno della nave, affogando tra le braccia del mare che era divenuto gelido ed iniziava a congelarsi.
Il Roc aveva creato una tempesta insormontabile, Abraden si strinse al timone per avere la presa su qualcosa. Io e Red fummo costretti a tenerci saldi alle cime, mentre gli altri cercavano appigli da qualunque parte per non volare via a causa della forza sovrumana che si era scatenata.

-Non avere paura, io ti sto aspettando!- continuavo ad inveire contro il mostro dalle ali bianche, che colto da quella minaccia e al tempo stesso sfida, iniziò a planare verso il centro del ponte per poterci spazzare tutti via.
Non gli bastava portare via il Capitano, desiderava distruggerci tutti e scaraventarci nell’oscurità del mare.

-Red, ora!- la incitai a tagliare la cima che si legava alla grande vela, la voce era macchiata dalla neve che aveva iniziato ad appoggiarsi prepotente sul ponte e confusa dal vento formidabile che ci girava attorno.
Quasi contemporaneamente recidemmo la cima, Christian riuscì ad agire nello stesso tempo facendo altrettanto. 

In un battito d’ali il Roc fu sormontato dalla vela che lo aveva avviluppato come in trappola, quello che non avevo previsto era stata l’idea seguente che Red aveva comunicato solo all’equipaggio, perché fosse attuata.
Il pennone fu segato dai restanti membri della ciurma che lo fecero ricadere al di sopra del Roc intrappolato, così da togliergli la vita.
Un grido entusiasta fu lanciato da tutti coloro che erano rimasti con il fiato sospeso, nulla si muoveva ormai sotto la vela, il Roc era stato sconfitto.
Discesi velocemente dalla balaustra per poter andare a controllare io stesso, iniziai a scostare il tendaggio strappato, arrotolandolo intorno al pennone per poter scoprire la carcassa dell’animale.
Era davvero privo di vita, le ali bianche erano accartocciate su se stesse, mentre gli occhi grandi e spenti guardavano davanti a sé.

-Red ci ha salvato la vita!- iniziò ad esultare Christian, mentre parte della ciurma si avvicinava a lei per poterla sollevare e ringraziare per la magnifica idea che aveva avuto.

Ci era mancato davvero poco, se avessimo fallito ci saremmo ritrovati tutti in fondo al mare, con una nave sommersa dalle acque.
Eppure non ero soddisfatto della riuscita di quella missione, anzi mi dimostrai piuttosto imbronciato e visibilmente infastidito.

-Capitano, non venite a festeggiare?- mi incitò uno dei pirati che teneva sollevata Red tra le acclamazioni di tutti gli altri. Vestita in quel modo mi aveva ricordato Milah, così tanto che fui costretto a volgere lo sguardo altrove.

-Festeggiare? Guardate qui! Ci vorranno settimane prima di risistemare la nave!- infuriai con rabbia indicando il pennone ricaduto sul Roc e la vela che continuava ad avvolgerlo in parte.

Tutti si stupirono di quella mia esclamazione, non sembravano riuscire a comprendere quale tipo di rabbia mi rendesse così furioso.
La Jolly Roger era tutto ciò che mi rimaneva, vederla cadere in pezzi era l’ultima cosa che volevo vedere.
Certamente potevano esserci altri modi per sconfiggere il Roc, senza distruggere nulla.
Fui avvolto dallo sguardo di Red, spazientito quanto deluso da quella mia reazione inspiegabile.
Discese dalle braccia che la sollevavano, lasciando scivolare a terra la pelliccia e coprendo la nostra distanza attraversando le lame conficcate nel ponte e i grumi di neve che si erano creati.

-Saremmo morti, senza questo piccolo sacrificio. E’ soltanto una nave! Non varrà più della vita di tutti noi?- mi domandò portando le mani ai fianchi, colma di rimprovero.

Boccheggiai per qualche istante prima di grugnire ed iniziare a camminare attorno alla carcassa del Roc.
-Ma guarda, guarda che cosa è successo! Il legno della nave è uno dei più pregiati di Istma, non ne troveremo più di questa qualità, come dovrei rimpiazzare tutto quello che è andato perduto?!-  mentre parlavo battevo la mano sul pennone, poi su una parte della balaustra che era rimasta toccata dallo schianto.

Red incrociò le braccia al petto, sollevando il sopracciglio.
-Il legno della nave. E’ questo il problema?- alzò la voce anche lei, per contrattaccare allo stesso modo –Bene, la prossima volta che un uccello cercherò di ucciderci tutti, cavatela da solo con la tua nave!- si voltò spazientita per allontanarsi.

-Bene!- replicai, giusto perché non fosse lei l’ultima ad uscire dalla conversazione.

-Benissimo!- insistette Red voltandosi per lanciarmi un altro sguardo carico di rassegnazione e rabbia.

Quando scomparve sottocoperta, scossi leggermente il capo, ancora adirato per i problemi riportati alla nave.
Mi accorsi solo allora che era calato il silenzio su tutta la ciurma, che aveva iniziato a guardarmi con aria di rimprovero.

-E ora che cosa c’è?- allargai le braccia verso di loro –Avete qualcosa da dire? Forza, fatevi avanti!-

Christian si scrollò le spalle, trovando il coraggio di rispondermi.
-Red ci ha salvato la vita, è una donna in gamba ed è anche molto carina- sorrise con una certa malizia, per sottintendere che avrei dovuto apprezzare maggiormente le sue qualità.

Portai una mano sulla fronte, facendola scivolare leggermente fino alle labbra, per evitare di rispondere.
Donne, riuscivano sempre a conquistare il cuore degli uomini. Ecco perché non dovevo portarne una a bordo, avrebbe condotto con sé soltanto fastidi, come poi si era rivelato.
Lasciai che tutti gli altri si occupassero di trascinare via dal ponte il Roc perché fosse trascinato in mare, ci sarebbe stato bisogno di tempo, ma ormai ne avevamo abbastanza.
Potevamo attraversare finalmente i Ghiacci di Norda ed inoltrarci nei mari di Sinbad.
Tornai al timone, dove avevo lasciato un Abraden poco compiaciuto del mio comportamento.

-Anche tu sei arrabbiato con me?- gli domani con stupore, mentre prendevo posto al timone.

-Non proprio. Sapete bene che superati i Ghiacci c’è una penisola con alberi forti e robusti, non ci impiegheremo molto a risistemare la nave con resina e legno nuovo- mi disse scuotendo leggermente il capo, per rimarcare ancora che la mia reazione era stata eccessiva.
-Siete infastidito perché vi ha messo in ombra? O perché l’idea non è stata vostra?- sorrise in tralice, prima di stringersi nelle spalle –E così, questa è già la seconda o la terza volta che siete in debito di scuse con lei?-.

Gli lanciai un’occhiata inferocita, per nulla incline allo scherzo.
-Io non sono in debito con nessuno- sussurrai tra i denti.

-Invece io lo sono con voi. Stavate per sacrificarvi per me, questo non lo dimenticherò facilmente- il tono della voce sembrava essere particolarmente carico di devozione, come mai l’avevo sentito fare prima.

Annuii appena, per la prima volta ero stato disposto a compiere un sacrificio che non rientrava nei miei interessi egoistici.
Quello che avevo fatto tempo prima riguardava soltanto i miei scopi ed ero stato punito.
Per una volta, invece, avevo acquistato la fiducia di un amico. Forse l’egoismo non era del tutto un principio di vita ottimale. Forse per una volta, sarei stato disposto a cambiare.

 


 
 
 
Note:

 [1] Nel film Eris stringe un patto con Sinbad.

 [2] Ammonimento di Pindaro vicino al “Conosci te stesso” di Delfi

[3] Il Roc è un uccello leggendario di cui si parla nel racconto di Sinbad il marinaio. 




//Nda: 


Qualcuno di voi potrebbe uccidermi. Avevo detto che in questo capitolo avrei raccontato il passato di Abraden, invece tempo che dovremo scalare ancora. Mi ero fatta una mezza idea per raccontarlo, ma poi ho deciso di modificare tutto e riniziare. Ma a breve si svelerà! 
Grazie ancora per coloro che continuano a leggermi ^^

Yoan

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Capitolo 12
*** Sinbad ***


XII. Sinbad 
Parte I







Eravamo vicini alla penisola adiacente ai Ghiacci di Norda, inoltrati ormai nei mari di Sinbad, lì dove il marinaio possedeva i suoi territori custoditi gelosamente.
Gettammo l’ancora ad una certa distanza, era rischioso attraversare anche l’entroterra ma dovevamo riparare i danni riportati alla Jolly Roger il prima possibile.
Scendemmo sulla scialuppa con Abraden, Christian ed altri tre compagni della ciurma, portando dietro secchi per la resina, accette e tutto l’occorrente per il taglio della legna.
Nel momento in cui ordinai di tirare via la scala pieghevole, vidi discendervi Red priva del suo mantello rosso, accompagnata questa volta dal kriss che teneva stretto nella fodera legata alla cintura.

-Non ti ho dato l’ordine di seguirci, potrebbe essere pericoloso- le dissi nel momento in cui atterrò sulla scialuppa riuscendo a tenersi in equilibrio.

-Chi rompe paga, non è così? Spetta anche a me dare una mano per sistemare il guaio che ho combinato- mi rispose con il suo tono usuale, sprezzante ma non denigratorio.

-Siete una donna d’eccezione, cara Red- sbuffò Christian mentre iniziava a remare –non tutte si darebbero la pena di eseguire lavori pesanti- detto ciò mi lanciò un’occhiata in tralice che però non mi trasmise alcun significato. Forse semplicemente, volevo non rendermene conto.

-Dovevo insegnarvi il rispetto verso il Capitano di una nave prima ancora di farvi entrare tutti nella ciurma- mormorai infastidito nel ritrovarmi sempre in discussione con l’equipaggio.

Tutti soffocarono una risata sarcastica, in fondo la mia crudeltà era soltanto una leggenda, ciò che mi spingeva ad andare avanti era solo la vendetta ed un egoismo spropositato. Di tutto il resto, avevo poco interesse.
Red aveva la grande capacità di farsi amare da tutti, sotto quell’ombra che aleggiava sul suo vissuto, si nascondeva un sorriso sempre garantito e la disponibilità che aveva nel mostrarsi gentile verso l’equipaggio la rendevano piacevole.
Raggiungemmo la terraferma quasi immediatamente e trascinammo la scialuppa sulla sabbia bianca e la posizionammo in modo che l’acqua non potesse richiamarla a sé.
Ognuno di noi si munì dell’attrezzatura necessaria per poter recuperare tutto il materiale disponibile, non poco preoccupati di aver appena sfiorato la terra di qualcuno che avrebbe potuto scoprire lì la nostra presenza.
Ma Sinbad era imprevedibile, poteva trovarsi sulla penisola, come in mare, in cerca di un’avventura o di tesori da scovare.
Abraden si accostò a me, per poter chiarire qualcosa di cui avevamo già parlato.

-Capitano, ricordate quali sono i patti, vero?- mi domandò, appoggiando il manico della scure sulla spalla.

-Li ricordo bene, Abraden, ma non sono sicuro di volerli accettare- risposi iniziando a torturarmi il labbro inferiore, mordendolo rovinosamente.

Io ed Abraden avevamo avuto  una discussione accesa poco prima di scendere dalla Jolly Roger, in cui non mi ero affatto dimostrato d’accordo, se non alla fine, quando ero stato preso dalla stanchezza.

-Questo non è un mio problema. Vi ho servito degnamente fino ad ora, adesso spetta a voi ripagare i miei anni di servizio. Quindi vi prego di non comportarvi diversamente da quanto stabilito, se le cose dovessero mettersi male- insistette nel dire, prima di voltarmi le spalle ed iniziare a risalire verso una piccola collina da cui emergevano diversi alberi che ci sarebbero stati utili.

Sospirai, quell’uomo era testardo quasi quanto me. Possibile che fino ad allora non ero riuscito ad apprendere nemmeno un briciolo della sua onestà? Non mi aveva mai influenzato quella vicinanza così carismatica e positiva?
Probabilmente ero troppo preso da me stesso per accorgermi che gli altri a volte possono darci ciò che ci manca.
Quando ripresi a camminare, Red mi passò accanto senza prestare la minima attenzione ai suoi movimenti e mi colpì ai reni con il secchio che stava trascinando.

-Cosa stai aspettando?- mi disse Red mentre portava una mano al fianco –Non siamo qui per perdere tempo, cerchiamo di fare in fretta.- mi rimproverò prima di alzare una spalla e voltarsi di nuovo.

-Oh, bene! Adesso ci mancava anche la ramanzina da parte di una ragazza-lupo!- sbuffai prima di iniziare a seguirla per raggiungerla ed accostarmi a lei.

Non ci eravamo più rivolti la parola da quando si era chiusa in cabina, in realtà non avevo provato alcun rimorso verso quello che avevo fatto.
La Jolly Roger rappresentava molto di più che un mezzo di navigazione, la mia anima era legata ad essa e tutto ciò che rimaneva di me si trovava proprio su di essa.
Decidemmo comunque di non interagire, almeno per quel momento, evitandoci inutili battibecchi che non avrebbero portato alla conclusione di nulla.
Diverse volte Red si era risentita per le parole che le avevo rivolto, ma non si chiudeva mai nel suo angolo buio per più di qualche ora. Poi tornava alla luce, dandomi l’occasione di chiederle perdono per i miei comportamenti incomprensibili.
Ed ogni volta io non la coglievo, rintanandomi nell’idea di aver agito nel modo migliore possibile.
Iniziavo a credere che Red riuscisse quasi a comprendermi, ad accettare la mia natura che faceva parte di me e se anche spesso ciò la infastidiva, se ne faceva una ragione e cercava di avanzare a piccoli passi per tentare di comprendermi.
Io, al contrario, non le andavo mai incontro. In fondo, cosa mi legava a lei se non una sciocca occasione di fortuna? Lei mi serviva per uno scopo.
Trascorremmo svariate ore a raccogliere resina dagli alberi, ad abbattere solo i tronchi migliori da poter utilizzare al posto del pennone che era caduto.
Red sembrava infaticabile, mentre si accingeva a raccogliere e a sistemare tutto il materiale prezioso e a trascinarlo verso la spiaggia insieme all’aiuto di Christian, che al contrario si lamentava per aver lacerato l’abito regalatogli da una delle sue compagne preferite.
Red rideva mentre lui gli narrava le sue mirabolanti avventure amorose con donne di ogni estrazione sociale, che gli procuravano le migliori stoffe dei regni conosciuti e lo facevano vivere da re quando sfiorava la terraferma.
Sembrava estremamente fragile e delicata, quando lei sorrideva. Ma al tempo stesso sapevo bene che dietro quella maschera di gentilezza si nascondeva una natura ostile e difficile da affrontare.
Quando metà della mattina finì e tutto il materiale fu depositato accanto alla riva, richiamammo gli altri membri dell’equipaggio che rimanevano in attesa di ordini sulla nave e che si precipitarono con le scialuppe verso la spiaggia per poterci aiutare nel trasporto delle parti in legno che ci eravamo procurati.
Nel momento in cui sembrava di esser riusciti a scampare al pericolo, agendo nella massima tranquillità, una voce punse le orecchie di tutti noi. Una voce dall’accento orientale, la cui lingua avevo imparato a parlare durante uno dei miei molti viaggi.

-Il Capitano senza una mano che ha il coraggio di farsi scorgere sulle mie terre e di attraversare il confine dei miei mari. - la voce insisteva nel sembrare a tutti fastidiosa  – Con quale coraggio approda qui, prelevando il legno dei miei alberi? Rubare non si addice, ad un pirata gentiluomo-.

Mi voltai lentamente, cercando di mantenere una calma serafica ed uno sguardo  meno provocatore possibile. Avvertivo un leggero tremolio alla mano sana che andava a stringersi in un pugno leggero, non riuscivo a chiuderlo completamente.

-Invece si addice ad un marinaio che non è né tale, né un pirata?- gli rivolsi un sorriso di sfida, mentre mi capitava di guardare la sua figura poco al di là di noi.

Se ne stava con le braccia conserte ad osservarci, con la sua assurda corazza piazzata sul petto, come a voler far emergere la sua corporatura robusta ancora di più, per incutere timore.
Gli occhi verdi come smeraldi ci guardavano tutti con una freddezza esasperante e un’ironia delineata sulle labbra che gli avrei tolto volentieri di dosso.
Nessuno dei due si era mai incontrato prima, avevamo ascoltato entrambi le voci riguardanti l’altro, ma non c’era stata occasione di percorrere la medesima strada.
Era quasi incredibile, incontrarsi faccia a faccia con il terrore dei sette mari.

-Io sono ciò che gli altri dicono di me- sorrise all’angolo delle labbra.

Era vestito secondo la moda orientale, intorno alla cintura girava una fascia rossa che pendeva da una parte. Le armi di cui era in possesso, due scimitarre, erano riposte nei foderi dietro le schiena e legate con delle cinghie che sorpassavano le spalle.
 
-Curioso, farsi tessere una personalità che probabilmente non si merita di avere-.

Molti sapevano che Sinbad era divenuto tale grazie ad Eris, con la quale aveva stretto un apposito patto per conquistare i mari e le terre che desiderava governare.
Cercavo di prendere tempo, per comprendere quali sarebbero state le sue intenzioni. Volgevo gli occhi sul gruppo di uomini che possedeva, quelli che erano usciti allo scoperto erano di numero inferiore rispetto al mio equipaggio, se ci fosse stato uno scontro probabilmente avremmo vinto.
Ma se, al contrario, ne nascondeva degli altri, non avremmo avuto alcuna speranza.
Dubitavo però che le intenzioni di Sinbad fossero quelle di aprire una battaglia, sembrava piuttosto certo di desiderare soltanto una cosa e difatti i suoi occhi si soffermarono su quelli di Abraden, che rimaneva dietro di me.
Lo sentivo agitarsi, batteva i denti per il nervosismo.
Accanto al marinaio emergeva la figura alta di una donna, che mascherava metà del viso con un velo ambrato. Gli occhi erano profondi e scuri, come un pozzo che non aveva fine.
Mi soffermai a guardarla più del dovuto, tanto che quella, alla fine, si costrinse a distogliere gli occhi da me.
Doveva essere Lei, la donna di cui Abraden mi aveva fatto cenno.
Dietro quel velo prepotente si nascondeva una bellezza unica ed irripetibile, non mi stupivo che fosse diventata la compagna di Sinbad.
Non poteva scegliere una donna meno bella di lei.

-Queste sono parole che ho già sentito da qualche parte. Non è così, Proteo?- Sinbad iniziò a farsi avanti, distaccandosi dal suo gruppo di compagni per potersi avvicinare al nostro ed osservarci uno ad uno, come se avesse voluto mangiarci con gli occhi. Occhi profondi, intensi, pieni di curiosità.

-Non offendetemi, Sinbad. Sono io il Capitano, colui con il quale dovete intrattenere questa conversazione. La mia ciurma non è stata autorizzata ad intervenire- risposi, frapponendomi tra lui ed Abraden, avevo timore che potesse compiere qualche sciocchezza. 

Sinbad mi rivolse uno sguardo in tralice, sapeva esattamente che non tutti sarebbero stati disposti a darmi ascolto. Infatti Abraden aggirò lentamente la mia figura, facendosi avanti e mettendosi di fronte al suo nemico, per riprendersi la posizione che gli aspettava.

-Oh, degli ammutinati- sorrise di nuovo Sinbad, prima di iniziare a girare intorno ad Abraden, come un vero e proprio avvoltoio.

-Ho rispetto verso il mio Capitano, ma al tempo stesso non posso lasciare alle spalle ciò che sono. Questa storia non riguarda loro, Sinbad, cerchiamo di concluderla tra di noi - rispose Abraden, facendo un passo avanti ancora una volta e fermandosi davanti a lui, i loro occhi erano irrimediabilmente vicini.
Quelli miele di Proteo furono risucchiati da quelli verdi di Sinbad che parve volerlo sfidare.

Sinbad iniziava ad annoiarsi, infatti coprì uno sbadiglio con la mano, era tutto troppo facile per lui. Forse immaginava che non sarebbe stato semplice prendere Proteo sotto la propria ala, ma al tempo stesso sapeva che non tutti erano disposti ad entrare in guerra con lui.
Scrollò appena le spalle e poi si rivolse di nuovo a me.

-Proteo, per l’incolumità vostra e di tutta la ciurma- mi propose.

Sinbad non aveva alcun interesse nell’intraprendere una battaglia che gli avrebbe fatto solo perdere tempo. Sulla Jolly Roger non era nascosto alcun tesoro ed io non potevo rappresentare un pericolo, a causa del mio destino tragicamente vicino.
Lui sapeva della mia condizione, era a conoscenza del mio sacrificio e al tempo stesso  non aveva voglia di infierire maggiormente. Ero già un uomo morto, accelerare quel processo gli avrebbe soltanto portato via uomini preziosi e il gioco non valeva la candela.

-No, nessuno del mio equipaggio verrà con voi- risposi con sentimento, sin troppo, poiché tutti compresero che la mia amicizia con Abraden era ormai sigillata da un patto invisibile ma tangibile.

Abraden stesso si voltò, lanciandomi uno sguardo colmo di furia omicida. Gli occhi erano contornati da una stanchezza quasi millenaria, l’espressione del viso era contorta e poco desiderosa di reagire contro di me. La tensione era eccessiva, per occuparsi anche di qualcuno che non voleva sottostare al suo volere.


-Io scelgo di mia spontanea volontà di seguire Sinbad, vi prego di non intromettervi in questa storia. Avete promesso, non venite meno ai patti e dimostrate di essere un uomo di parola- sussurrò con veemenza prima di affiancarsi a Sinbad che iniziò a mostrarsi sempre più compiaciuto e soddisfatto.

I membri della ciurma iniziarono a mormorare il loro disappunto per quella trovata poco piacevole, nessuno desiderava veder andare via Abraden, faceva parte della Jolly Roger come tutti noi e meritava di salvarsi.
Cosa sarebbe stato di lui, una volta abbandonato?

Red, che fino a quel momento era rimasta a guardare, si avvicinò per poter replicare.
-Abraden, non potete andare! Perché lo state facendo? Per salvare tutti noi? Killian, fermalo, ti prego- poi rivolse uno sguardo carico di compassione verso Sinbad, intenzionata ad implorarlo con tutta se stessa –Perché vi interessa tanto, cosa volete da lui?-

Gli occhi erano imperlati di lacrime, le guance arrossate e le labbra tese su un’espressione addolorata di chi non comprende quello che sta accadendo.

-La ragazza ha ragione, Capitano. Combatteremo, se necessario. Non possiamo abbandonare un nostro uomo- mi si affiancò anche Christian, appoggiando una mano sul pomo della sciabola, pronta perché fosse estratta.

Tutti gli uomini avversari misero mano alle scimitarre, nel caso si fosse arrivati ad uno scontro, ma fui costretto a far segno a Christian di non tirare fuori l’arma e di rimanere al suo posto.
Sinbad si lasciò andare ad una risata calorosa, scura, profonda. Appoggiò un braccio intorno al collo di Abraden per poi portaselo accanto ed abbracciarlo, prima di ricacciarselo accanto.


-Non lo sapete? Proteo è il Principe di Siracusa, spetta a lui tornare nel suo regno e governare come un vero monarca- continuava a ridacchiare, senza il minimo riguardo nei confronti di Abraden che tentava di mantenere la calma.

Ovviamente tutti e tre sapevamo che non sarebbe tornato a Siracusa, se fosse rimasto con Sinbad. Lui stesso era certo che Abraden avesse in mente qualcosa, per aver deciso di offrirsi spontaneamente, in cambio della vita di tutto l’equipaggio.
Red rimase stupita, cercò una risposta dentro gli occhi di un Abraden che non aveva di reale nemmeno il nome. Si strinse per un attimo al mio braccio, volgendomi uno sguardo significativo, comunicandomi silenziosamente di agire, almeno di provare a fare qualcosa.
Ma ciò che mi disse Abraden in quel momento fu molto più forte, molto più convince delle smanie di Red di salvarlo dalle grinfie del nemico.

-In nome della nostra amicizia, andate via.- bisbigliò Abraden, prima di rivolgersi a Sinbad –Avanti, fai di me quello che desideri. Sono tuo prigioniero-.

Sinbad dispose ai suoi uomini di legarlo e di trascinarlo via dalla vista di tutti, Red cercò in tutti i modi di accorrere in suo aiuto, ma fui costretta a trattenerla con me, afferrandola per un braccio ed arrestare la sua furia.
I nostri nemici si dileguarono salendo sulla collina di alberi che avevamo attraversato quella mattina per procurarci il materiale da costruzione, Sinbad si allontanava lentamente, senza voltarci le spalle.
Una volta che raggiunse il punto più lontano, ma non abbastanza, ci urlò:

-Ottima scelta, Capitano! La vita di Proteo non vale poi così tanto, soprattutto non quanto un’intera ciurma. Il sangue blu non è superiore a nessun altro- così facendo si voltò e scomparve insieme ai suoi uomini.

Abraden dopo che fu legato ed imbavagliato, fu trascinato con forza insieme a loro, in un rifugio lontano, un nascondiglio che non avremmo mai trovato.
Quando non vi fu più alcun pericolo, potei udire soltanto la delusione di Christian e di tutto l’equipaggio, insieme al pianto soffocato di Red. Lasciai la presa su di lei, ormai non poteva fare più nessuna sciocchezza.
Lei si voltò verso di me, iniziando a prendermi a pugni sul petto e costringendomi ad indietreggiare lentamente ad  ogni spinta.

-Come hai potuto lasciarlo andare? Era tuo amico! Che razza di codardo sei, per comprare la tua libertà con quella di un compagno? Abraden non lo avrebbe mai fatto. Lui avrebbe combattuto fino alla fine per salvarti la vita, non ti avrebbe lasciato andare via- mi accusava ed io non facevo nulla per controbattere. Non compievo passi indietro, non avevo rimorsi, non provavo più nulla.

La fermai, quando fui stanco di ascoltare quelle accuse, afferrandola per i polsi e stringendola con una forza inaudita.

-Ora basta, Red! Non credere che io non abbia un cuore, tengo ad Abraden molto più di te, tu non sai nulla. Non puoi giudicare quello che è accaduto attraverso i tuoi occhi. Smettila, non ho intenzione di lasciare qui anche te- detto ciò, mi accorsi che anche tutto il resto dell’equipaggio mi guardava come stava facendo Red.
 I miei ordini erano stati disposti, non avevo intenzione di tornare indietro. Pregai tutti di comportarsi da uomini veri e di rifugiarsi sulla Jolly Roger prima che Sinbad avesse potuto cambiare idea.
Il silenzio regnò durante tutta la tratta che andava dalla penisola al veliero, che attendeva con fiducia il ritorno di metà dell’equipaggio.
Ritornati sul ponte della nave, disposi di sistemare il pennone, intagliare il legno procurato e di usare la resina per saldare tutto il materiale a disposizione perché potesse resistere ad un altro possibile attacco.
Non desiderai ascoltare le richieste di nessuno, ormai avevo preso una decisione e non ero intenzionato a tornare indietro sui miei passi.
Avevo promesso ad Abraden che sarei rimasto fuori da quella storia e che non avrei messo in pericolo nessuno.
Sinbad voleva soltanto la sua vita, le nostre strade si sarebbero divise e  chissà che non fosse riuscito nei suoi intenti.
Eppure qualcosa vagava all’altezza dello stomaco, come un fastidio, un rimorso di coscienza che volevo trascinare via per non sentirlo più.
Mi diressi a prua, per poter salire sulla polena, dove era raffigurata una sirena, una di quelle che avevo conosciuto sull’Isolachenonc’è.
Mi sedetti lì, gettando lo sguardo in basso, dove l’acqua sfiorava la linea di galleggiamento.
In quel momento, sentii dei passi avvicinarsi, potevo immaginare di chi si trattasse. Perciò, mi volsi appena per guardare indietro e dire con voce sussurrata:

-Ho già detto che non desidero ascoltare altre ramanzine. Ti pregherei di lasciarmi  solo. Ho bisogno di riflettere-.

Ma lei non ebbe alcuna intenzione di allontanarsi, anzi, decise di sedersi poco dietro di me, intenta a starmi accanto.

-Mi dispiace,  prima mi sono lasciata trasportare dall’emotività- disse stringendosi nelle spalle, mentre cercava di affacciarsi con la testa verso di me, per potermi guardare.

La accontentai, facendo attenzione nel voltarmi per potermi posizionare di fronte a lei.

-Ho dato per scontato che Abraden per te non fosse altro che uno dei tanti della ciurma- si morse leggermente il labbro –puoi raccontarmi esattamente chi è davvero? Perché Sinbad voleva lui? E perché non hai fatto nulla per aiutarlo?-.

Ora, si ragionava.
Apprezzavo molto la disponibilità di Red nel tentare di ascoltare una storia lontana da quella che riguardava lei e le sue emozioni.
La possibilità che aveva nel dimostrarsi aperta e sensibile, la faceva risplendere molto di più rispetto alle altre donne che avevo conosciuto.
Così, decisi di accontentarla e raccontarle ciò che era accaduto ad Abraden prima che diventasse un Pirata.
 




Il suo vero nome non era Abraden, come Sinbad aveva già svelato, ma Proteo.
Era il figlio del re di Siracusa, una delle terre che faceva parte dei Sette Regni del Sud, sin da bambino era stato educato per solcare i mari e diventare un ottimo marinaio.
Siracusa era la città con il più importante porto mercantile dei Sette Regni, tutta la sua ricchezza si basava sul commercio, sulle entrate e le uscite di produzione che quella terra era in grado di fornire.
Proteo salvò Sinbad quando avevano entrambi otto anni, rubacchiava nei mercati e si intrufolava nelle navi appena attraccate per appropriarsi dei tesori che sarebbero stati condotti nel Palazzo reale.
Ebbe pietà di lui, consigliò a suo padre di lasciarlo andare e da allora divennero amici per la pelle. Vissero insieme avventure, visitarono i posti più reconditi del mondo, finché qualcosa non incrinò la loro amicizia.
Proteo era destinato a diventare il re di Siracusa, avrebbe dovuto prendere in moglie una donna, per poter avere la certezza di garantire al regno una continuità stabile.
Un giorno, approdò a Siracusa la nave dei Signori di Cartagine, su cui vi era la futura moglie di Proteo.
La sua bellezza era decantata in tutti i sette regni, così come in altri, Proteo non poteva avere una fortuna migliore.
Si innamorò di lei, ma ciò che non considerò, fu il medesimo impatto che ebbe Sinbad di lei.
Anche lui si infatuò della giovane fanciulla, ma non rivelò mai nulla  al suo migliore amico.
Semplicemente abbandonò Siracusa, dopo aver racimolato uomini per la sua ciurma, appropriandosi di un veliero per allontanarsi per sempre da quel luogo.
Dopo pochi anni, Proteo avrebbe dovuto prendere in moglie Marina, la donna destinata a lui, ma prima aveva una missione importante da compiere: portare il Libro della Pace a Siracusa.
Quest’ultimo legava i Sette Regni sotto un patto sancito davanti agli Dèi, in cui non vi sarebbe mai stata alcuna guerra se il libro fosse rimasto sempre aperto e sotto la custodia di ognuno dei regnanti, con una scadenza di sette anni l’uno.
Proteo sembrava aver compiuto la sua missione, portandolo al Palazzo di Siracusa.
Ma Sinbad  era cambiato e stava tornando nella sua terra natia. Aveva stretto a lungo patti con la Dea della Discordia, Eris, che bramava più di ogni altra cosa ottenere il Libro della Pace.
Sinbad riuscì a trafugare il libro e consegnarlo nelle mani di Eris, cosicché potesse scaraventare i Sette Regni nel disastro più totale e riuscire ad ottenere il dominio su tutti quegli uomini.
Il marinaio fu catturato ed imprigionato, sarebbe stato condannato a morte il giorno dopo. Ma quando Proteo andò a trovarlo, chiuso nelle celle del palazzo, si lasciò convincere dalle parole di lui, in ricordo della loro antica amicizia.
Sinbad gli disse che era stata Eris a rubare il libro, che non avrebbe mai potuto compiere un atto simile.
In virtù di questo, Proteo gli credé e gli diede la possibilità di tornare ad essere un uomo di valore.
Davanti a tutto il Consiglio dei Sette Regni, Proteo offrì uno scambio di prigionieri. Lui avrebbe preso il posto di Sinbad, per garantire le modalità di giustizia previste dal regno, così il marinaio avrebbe potuto riportare il libro a Siracusa, sottraendolo ad Eris e dimostrarsi innocente.
Il Consiglio accettò lo scambio di persona, Proteo sarebbe stato giustiziato allo scadere del decimo giorno, se Sinbad non fosse tornato con il Libro della Pace, dimostrandosi innocente.
Il re tentò in ogni modo di mettere in guardia il figlio, di non sottostare ad una cosa simile, non poteva rischiare la sua vita per un vecchio amico che era stato consumato dall’odio e dalla vendetta.
Marina, che allora sembrava innamorata del suo futuro marito, salì a bordo della nave di Sinbad, probabilmente per assicurarsi che tornasse.
Ma nessuno dei due tornò mai a Siracusa, nessuno dei due fu più visto da allora.
Proteo sarebbe stato giustiziato al posto di un altro. Il re tentò più volte di convincerlo a fuggire, ma lui aveva troppa fiducia in Sinbad, non poteva credere che il suo cuore fosse diventato nero e pieno di ombre.
Il decimo giorno giunse, il boia era pronto a calare la lama sul collo di Proteo,inginocchiato nella piazza della città, in attesa dell’esecuzione.
Se non fosse stato per l’intervento del re, sarebbe morto. Ingaggiò dei briganti perché potessero rapire Proteo, sottraendolo al boia e alla morte.
Ma l’onore, non aveva pensato all’onore e alla parola che aveva dato al Consiglio.




 
Red deglutì, non appena terminai di raccontare sinteticamente la storia del passato di Abraden.

-Non è più tornato a Siracusa da allora? E’ sempre stato alla ricerca di Sinbad?- aveva compreso, quale fosse diventata da allora la sua missione.

Annuii. Ognuno di noi aveva delle missioni da portare a termine, spesso intrise di vendetta e per quella mancata fiducia in cui tutti eravamo incappati.




// Nda: 
Salve a tutti! Ecco, come promesso, la vita di Proteo è stata raccontata. Ho quasi rischiato di non farcela ad inserirla in questo capitolo ma ho deciso di tagliare alcuni pezzi per ricucirli in seguito, così da non dover rimandare ulteriormente. 
Avverto che in questo mese sarò senza connessione, ma continuerò a scrivere, quindi cercherò se possibile di aggiornare una volta a settimana non appena riuscirò a trovare una connessione. In fondo vi lascio Proteo e Sinbad :P 
Spero che il capitolo vi piaccia ^^ alla prossima!



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Capitolo 13
*** Sinbad II ***


XIII. Sinbad 





Ci guardammo intensamente, io e Red, sospesi com’eravamo sulla polena di legno, mentre l’acqua continuava ad affiorare poco sotto di noi.
Red ormai si era abituata a tutto quel movimento che all’inizio poteva risultare fastidioso, il senso di nausea le era passato e non aveva più bisogno dei trucchetti di Christian per sentirsi meglio. 


Persino la carnagione si era imbrunita, per la costanza che aveva  nel rimanere sotto il sole, ad aiutare tutti noi durante la navigazione.
Quel colore ambrato la rendeva ancora più attraente. Appena un pensiero simile mi sfiorò per la mente, lo ricacciai immediatamente via, facendolo tornare lì da dove era arrivato.
Mi soffermai sulle sue iridi cerulee, osservandole attentamente: il suo sguardo era mutato dalla prima volta che era salita a bordo della Jolly Roger. Molte cose erano cambiate, troppe sembravano non avere fine. 

-Abraden o Proteo, qualunque sia il suo nome, è stato già abbandonato dal suo migliore amico- disse, scostando i capelli neri dietro le orecchie, facendo emergere le guance arrossate per il vento –non puoi comportarti allo stesso modo di Sinbad-.

Scossi appena il capo, voltando altrove gli occhi, per non immergermi in quelli di lei.
-E’ inutile affrontare questo discorso, capire cosa c’è dietro il comportamenti di due uomini che si ritengono amici è difficile, soprattutto se letto dal punto di vista di una donna sentimentale-.

Red inarcò un sopracciglio, decisamente stupita da quell’affermazione.
-Sentimentale?- sbuffò prima di trarre un lungo respiro –Io non sono mai stata sentimentale, piuttosto ho a cuore coloro a cui voglio bene. Forse non posso comprendere le dinamiche di cui parli, ma di una cosa sono certa: non ti sei comportato da meno di Sinbad. Che tu abbia eseguito o meno i desideri di Proteo, hai assecondato solo la parte egoistica del tuo orgoglio. E il senso di giustizia?-

Scoppiai a ridere, tornando a guardarla, per poi riabbassare lo sguardo sulle onde che colpivano la nave.
-Un pirata non conosce alcun senso di giustizia, lupacchiotto. Noi viviamo secondo le nostre leggi e per inciso, ce le scriviamo da soli- sussurrai con convinzione.

-Sei un bugiardo, Killian Jones- mi rispose con tono quasi inferocito –se  così fosse non mi avresti tratta in salvo da quei delinquenti, non mi avresti salvata da morte certa durante il tempo del lupo. Non sarebbero avvenute molte cose, se  tu non avessi avuto alcun senso di giustizia. Quindi, cos’è che ti ferma davvero?-

Scrollai le spalle, non riuscivo ad afferrare il concetto e soprattutto non capivo dove volesse arrivare con quel discorso.
-Non c’è nulla che mi trattenga, eccetto l’onore, o quel briciolo che mi è rimasto. Ho promesso a Proteo che non sarei intervenuto e che non avrei infranto il nostro patto: lui avrebbe affrontato Sinbad da solo-.

Red mi lanciò uno sguardo sorridente che non aveva nulla a che fare con l’aria adirata di poco prima.
-Hai timore di esserti affezionato a qualcuno, non è così? Tu hai paura- mormorò, soddisfatta della sua analisi –hai paura- ripeté con maggiore convinzione –di non poter sorreggere tutto quello che ti è capitato. Proteo è tuo amico, faresti qualunque cosa pur di salvarlo, ma non vuoi interferire per timore di perderlo davvero, di perdere la sua fiducia-.

Voltai di scatto la testa dall’altra parte. Era la prima volta che non riuscivo a guardare qualcuno negli occhi, soprattutto una donna. Rimasi in silenzio, cosicché lei comprese di aver centrato il punto.
Si alzò in piedi, facendo attenzione a non sbilanciarsi, era breve la superficie su cui poter camminare.

-Molto bene, allora non abbiamo tempo da perdere: andremo a salvare Proteo!- esclamò con sicurezza.

Sgranai gli occhi e spalancai le labbra, confuso a causa di tutta quella esagitazione che mi impediva di rimanere al seguito di una velocità degli eventi che mi aveva preso in contropiede.

-Non se ne parla! Non tradirò la promessa fatta ad un amico- dovevo impormi, rifiutarmi di sottostare al volere di una donna. Mi alzai in piedi anche io, bilanciandomi con attenzione per trovare l’equilibrio.

-Dal racconto che mi hai narrato, Proteo è stato già tradito da un amico. Non vorrai comportarti allo stesso modo anche tu, lasciandolo in balia di colui che potrebbe condurlo alla morte?- inarcò un sopracciglio, portando le mani a stringersi in pugni –Se davvero sei suo amico, devi dimostrarti tale. Non c’è patto che tenga in situazioni simili. A volte stringiamo dei compromessi solo per rifugiarci nella nostra ombra, per non affrontare noi stessi. Ma sappiamo cosa è giusto fare. Ti ho visto, mentre lo portavano via. Ti ho visto, mentre veniva fatto prigioniero. So che vuoi salvarlo- sussurrava ancora Red, facendo attenzione ad ogni passo che compieva davanti a sé, tenendosi in equilibrio il più possibile per non cadere.

-Tu non sai nulla di me, non sai quali sono i miei desideri, non puoi leggere la mia anima- mormorai quasi con cattiveria, come se avessi voluto creare una barriera insuperabile.

Red strinse le labbra e con coraggio si fece avanti, allungando una mano e appoggiandola sulla mia guancia, gelida a causa del vento che spirava impietosamente su di noi.
-Non hai bisogno di comunicarli, Capitano. I tuoi occhi parlano per te, tutto ciò che devo sapere è scritto lì dentro- sorrise a mezza bocca –in fondo non siamo così diversi come vorremmo credere-.

Proprio quegli occhi a cui accennava si voltarono, nascondendosi di nuovo al suo sguardo. Quante volte ormai avevo evitato il suo viso? Quante volte cercavo di fuggire, nascondermi e non riemergere più? Red sembrava essere davvero in grado di leggermi dentro, anche se spesso non accettava ciò che ero, potevo capirlo.
Come biasimarla? Lei era pura, io non ero altro che un’ombra.
In quel momento avvertii lo scatto della lancetta comprimersi vorticosamente sul petto, questa volta la forza che impiegò fu tale da farmi perdere l’equilibrio. Un altro mese, un altro mese ancora era scattato ed io stavo sempre perdendo più vita. Mancava così poco, ormai!
Mi ritrovai con una mano appesa alla polena, stretta sui capelli di legno della sirena, mentre le gambe penzolavano verso il basso, lì dove confluivano le onde.

-Killian!- gridò Red,mentre si chinava in ginocchio per potermi allungare la sua mano –Avanti, non mollare la presa!-.

Per un attimo fui quasi tentato di lasciare la presa. Lo ammetto, sarebbe stato un atto privo di coraggio. Avrei potuto abbandonare tutti, senza creare vuoti attorno a me. Non avrei più sofferto, semplicemente sarei riuscito a colmare quella mancanza che mi ero creato da solo.
Eppure non potevo. L’attaccamento alla vita era ciò che più mi spingeva a vivere, non potevo perdere coraggio in quel momento, dovevo essere forte e mostrarmi meno egoista di quanto non avessi sempre dimostrato.
Per una volta, scelsi di fare qualcosa per gli altri. Non potevo morire, non nel momento in cui avrei dovuto salvare Proteo.
Afferrai la mano di lei, fredda ma rassicurante, mentre andava a stringere la mia per potermi sollevare fin sopra alla polena.

-Fidati di me, non mollare la presa- aggiunse Red, continuando a spingersi indietro nel tentativo di aiutarmi.
Così riuscì a riportarmi sull’asse, con un po’ di fatica. Mi distesi su di essa, appoggiando la testa sulle gambe di Red che si era inginocchiata, completamente esausta per lo sforzo fatto.
Sollevare un peso come il mio non era cosa facile per una donna, anche se sapevo che non si trattava di una donna qualunque.
Iniziai a riprendere aria, boccheggiando e socchiudendo gli occhi. Mormorai qualche parola di ringraziamento, prima di appoggiare una mano sul petto, lì dove sorgeva l’orologio.
Red aveva compreso che cosa  mi avesse fatto perdere l’equilibrio, avvertivo uno strano moto di compassione nel momento in cui andò ad accarezzarmi la fronte, scostandovi i capelli.

-Non ho bisogno di una rassicurazione per questo. So da tempo qual è il mio destino, non devo essere accudito da nessuno- ringhiai a denti stretti, come un cane colpito dal padrone. Mi sentivo schiavo, schiavo di qualcosa che andava oltre le mie possibilità.

Mi costrinse a riaprire gli occhi, sollevando appena il viso dalla sua parte. Potevo guardarla dal basso, con quei suoi lunghi capelli neri che ondeggiavano davanti alle mie guance, circondandole come se fossero in gabbia.

-Tutti sappiamo badare a noi stessi, Killian. Ma gli amici ci sono per questo, per alleviare le sofferenze ed aiutarci nei momenti di difficoltà- mi sorrise con candore, appoggiando la sua mano sulla mia mentre la tenevo stretta al petto.
Avvertivo un leggero fastidio nel sentire premere in quel modo sull’orologio, ma al tempo stesso provai una sensazione di calore così forte che non riuscivo quasi a credere a quello che mi stava accadendo.
-Troveremo una soluzione, dopo che salveremo Proteo, toccherà a te essere salvato-. 

Avrei dovuto rispondere qualcosa, qualsiasi cosa. Ma non trovai le parole. Mi limitai a sorridere, per la prima volta dopo tanto tempo sentivo di potermi affidare a qualcuno.
Red non mi era mai stata vicina come in quel momento, così come io non lo ero mai stato con lei.
Sapevo che portare una donna sulla nave avrebbe creato gravi problemi.
In quel momento Christian si affacciò dalla prua, incrociando le braccia al petto.

-Allora, se voi due piccioncini avete finito di amoreggiare, la ciurma vorrebbe sapere dove siamo diretti- inclinò appena la testa di lato, facendomi l’occhiolino.

Brontolai qualcosa che nessuno riuscì a comprendere e mi sollevai in piedi, dando una mano anche a Red perché si alzasse con estrema attenzione.

-Qui nessuno perde tempo con queste sciocchezze- lanciai uno sguardo verso di lei, che era improvvisamente arrossita. Non mi era mai capitato di vederla in quel modo e non potei che apprezzare quel colore che le donava una nuova luce sulle guance.
-Abbiamo una meta- continuai – andremo a salvare Abraden-.

Red si illuminò, scacciando via quel rossore che la rendeva ancora più affascinante, lasciando spazio ad un sorriso ampio e sereno, quasi grato. Risalii sul ponte della nave, scavalcando il parapetto e tornando su un equilibrio stabile, mentre le tendevo una mano perché si aggrappasse alla mia.

-Fidati di me- quasi senza volerlo le rivolsi la medesima frase che mi aveva rivolto poco prima, quando penzolavo giù verso la linea di galleggiamento.
Mi sorrise, più di prima, come se le avessi appena fatto dono della cosa più bella al mondo.

Milah non avrebbe acquistato il buon’umore con così poco. Milah non mi avrebbe spinto a salvare Proteo. Io e lei ci assomigliavamo troppo, entrambi circondati dal nostro egoismo. Avevamo trascorso momenti felici insieme, ma solo in quell’istante mi resi conto quanto fosse diversa la compagnia di Red.
Avevo amato Milah più che mai, avevo donato parte della mia vita per lei. Ma mi accorgevo troppo tardi di quanto avessi scelto una donna così simile a me. Era come amare se stessi ed io bastavo già da solo per farlo.
La sollevai sul ponte, sentendo gli occhi di Christian puntati su di noi, come se volesse studiare ogni nostro comportamento. Si stava chiedendo che cosa fosse accaduto tra noi, lì sulla polena. Ma la verità è che non vi era stato nulla di particolare, avevo semplicemente trovato un’amica su cui contare.

-Quindi vi siete deciso a tornare indietro, salveremo il giovane Abraden. Come agiremo? Ci serve un piano d’attacco- ci domandò il pirata, con estrema soddisfazione.
I compagni erano compagni, i membri dell’equipaggio valevano la vita di tutti.

-Agiremo domani notte- si intromise Red prima di lasciarmi parlare, guardandomi subito dopo –domani sera ci sarà la luna piena. E’ il tempo del lupo-.

Compresi immediatamente quale sarebbe stato il nostro asso nella manica. Avremmo atteso il sorgere della luna per attaccare la nave di Sinbad, costringendolo la resa nel momento in cui il lupo avrebbe fatto a pezzi la maggior parte dell’equipaggio.

-Riuscirai a controllarlo? Potresti non distinguere il nemico dalla nostra ciurma- gli domandai, non del tutto certo di voler sguinzagliare quella forza mostruosa che si racchiudeva in lei.

-Mi hai già catturata una volta, so che saprai guidarmi- disse fiduciosa, dandomi la speranza di una vittoria.

 

 

~*~*~

 

Non aveva mai odiato tanto il mare, prima di quel momento. Essere rinchiuso nelle segrete del vascello di Sinbad lo stava conducendo alla follia. E da quanto tempo? Era trascorsa soltanto mezza giornata, eppure stava uscendo di senno.
Non era la prigione a fargli quell’effetto, l’aveva sopportata per tanto tempo. Era la presenza di Sinbad, una vicinanza così ostile e velenosa, che lo facevano capitombolare nel buio e nella nausea di una prigionia non desiderata.
Doveva recuperare il Libro della Pace che il marinaio aveva custodito con gelosia in tutti quegli anni per poterlo riportare a Siracusa e se possibile, riprendersi  il trono che per diritto apparteneva a lui.
Anche se, non era del tutto certo di volersi assumere di nuovo quella responsabilità. In fondo era svanito nel nulla per anni, senza far giungere sue notizie, chi avrebbe potuto riconoscerlo come Principe?
Suo padre, stanco e ormai troppo vecchio per prendersi cura del regno, attendeva quasi invano il ritorno di suo figlio, legittimo erede.
Una fioca luce penetrò lenta dalle scale di legno che conducevano fino alle celle della nave, inglobavano una figura ambrata, cosparsa di veli che coprivano il viso di chi li indossava.
Proteo non ebbe timore nel riconoscerla, certi ricordi ormai si erano cicatrizzati ed era giunto il tempo di comprendere.
Alzò appena il viso, rimanendo seduto, per poter guardare la lucerna rinchiusa tra le mani lunghe e affusolate di Marina.

-Proteo- sussurrò lei, inginocchiandosi a terra senza avere paura di inumidirsi le vesti dell’unto che giaceva su quella superficie.

-Nessuno mi chiama più in quel modo- rispose, continuando a rimanerle a distanza, come se non volesse farsi guardare in viso, lì dove la luce non poteva arrivare.

-Ma questo è il tuo nome e non puoi rinnegarlo- disse con voce dolce, appoggiando una mano alle sbarre  di ferro, afferrandone una con le dita.

-C’è chi ha rinnegato se stesso, in questa vita. Non saresti una brava predicatrice- le sussurrò, voltando appena gli occhi castani dall’altra parte, non voleva cadere sotto il suo fascino.

Eppure era bella così come la ricordava: quei capelli lunghi e castani, quella carnagione del colore del miele, quegli occhi neri e profondi che si allungavano alla fine, regalandole uno sguardo freddo e forte, ma al contempo dolce quando il sorriso si stendeva sulle labbra.
Avrebbe potuto avere molta influenza su di lui, se solo ne avesse avuta l’occasione.

-La predica che voglio fare riguarda il tuo futuro, non il tuo passato. Non ti saresti dovuto offrire così facilmente, devi andare via da qui Proteo. Io posso aiutarti a fuggire- mormorò Marina, nella speranza di non essere udita da alcuno che avrebbe potuto compromettere la sua posizione.

Proteo inarcò un sopracciglio, totalmente annebbiato dalla confusione. Lo stava aiutando a fuggire? Per quale motivo? Si trattava forse di una trappola? Se così fosse stato, ci sarebbe cascato.

-Perché vuoi aiutarmi?- un moto di speranza si intravide nei suoi occhi, si avvicinò alle sbarre, strisciando con le ginocchia fino a raggiungere più da vicino il viso di lei che si affacciava dall’altra parte.
-Dunque non sei fuggita via con Sinbad perché ne eri innamorata, è stato lui a rapirti?- avvolse l’asse di ferro con forza, mostrando una rabbia improvvisa.

Alla sparizione di Marina sorsero due teorie : o una fuga d’amore, o un rapimento. Ma prevalse sempre la prima, poiché non fu richiesto  mai nessun riscatto.
Marina scosse il capo, timorosa di raccontare la verità, ma non era lei a trovarsi nella situazione peggiore.
Sospirò, facendo ricadere i veli dal viso e scoprendolo completamente. Non era affatto mutato, la giovinezza dei suoi tratti era maturata, si era trasformata da fanciulla in una donna vera e propria.

-Sinbad non mi costrinse a salire sulla sua nave, fui io a volerlo perché ti amavo, o almeno ero quello che desideravo credere. Riuscii ad imbarcarmi con lui il giorno della partenza, il mio intento era quello di controllarlo e spingerlo a riportare indietro il Libro della Pace, così da poterti trarre in salvo. Ero sicura dell’amicizia che provavi per lui, tanto da non farmi dubitare del suo carattere così avverso alla giustizia. Ma mi ero sbagliata, Proteo. Eris lasciò a Sinbad il Libro, cosicché lo custodisse fedelmente, ma non tornò mai indietro- il suo breve racconto fu narrato con le lacrime agli occhi, che però erano prive di innocenza.
Non era tornata indietro sui suoi passi, non aveva fatto nulla per ribellarsi al marinaio.

-Vieni via con me- gli occhi di  Proteo si infuocarono mentre andavano a stringere la mano di lei, lo desiderava più di ogni altra cosa.

Marina era tutto ciò che era rimasto del suo passato, di quell’antico Proteo che ormai non aveva nulla a che fare con la nuova persona che era diventata.
E gli mancava, gli mancava tremendamente la sua vita. Non erano i vizi, né i diritti che possedeva a volere riacquistare, era ciò che aveva lasciato alle spalle. La vita in mare quando ne era lui alla guida, la vita a Palazzo che era contornata dagli intrecci politi, la sua famiglia di cui era sempre andato fiero.
Marina era un barlume di speranza, senza di lei non sarebbe più tornato ad essere lo stesso e lui desiderava più di ogni altra cosa tornare indietro e ridiventare il vecchio Proteo, abbandonando le vesti di Abraden.
Ma lei non disse nulla. Anzi, gli lasciò la mano, con così tanta freddezza che sembrò addirittura innaturale.
Certo, che sciocco. Aveva detto “ti amavo”, l’uso del passato non era stato un caso.
Proteo si ripulì gli occhi dall’improvviso umido che sorse su di essi e si agganciò alle sbarre con veemenza, come a volerle far cadere via.

-Non verrai via con me- rispose al suo posto, con voce strozzata e malinconica - Tu lo ami, non è così? E’ evidente, avrei dovuto pensarci prima. Allora perché vuoi aiutarmi a fuggire, Marina?- inarcò un sopracciglio, mentre tutto il veleno che aveva in corpo gli consumava gli occhi, brucianti di odio –E’ per riscattarti, per un voto di coscienza?- scoppiò a ridere, di una risata estremamente lugubre.

Marina chinò appena il viso, abbandonando la lucerna a terra e appoggiando le braccia al grembo. Non rispose nemmeno ora, avvolta nel suo religioso silenzio, come se non conoscesse nemmeno lei la risposta e avesse avuto bisogno di riflettervi.

-Non desidero la tua pietà- sibilò Proteo prima di sollevarsi in piedi e guardarla dall’alto, si leggeva nel tono della voce un grande rammarico e al contempo un rancore inespugnabile. –Il tuo cuore è nero come quello di Sinbad. Noi siamo chi decidiamo di amare e tu non sei da meno di quell’infedele. Vattene via da qui, potrei soffocarti con le mie stesse mai- continuava a sussurrare, avvolto dalle emozioni negative di quel momento.

Marina alzò appena gli occhi colmi di lacrime, le labbra tremavano mentre pronunciavano pochi mormorii:
-Non ne saresti in grado. Tu non sei quel tipo di uomo e so che mi ami ancora-.

-Và via!- le urlò contro, aggrappandosi alle sbarre ancora una volta, avrebbe potuto valicarle se solo avesse impiegato maggiore forza.

La giovane donna si erse in piedi, completamente impaurita e fuori di sé. Le lacrime insorsero mentre fuggiva nelle sue stanze, condannandosi per esser andata a trovare Proteo.
Lui, invece, tornò a sedersi a terra portando le mani a coprire la fronte e ad appoggiare i gomiti sulle ginocchia, chiudendosi su se stesso, come a voler scomparire del tutto.
Proteo era molto diverso da Hook, non desiderava la vendetta per quel che gli era stato portato via, voleva solo riconquistare il suo onore e riportare alla luce  il Regno che era stato costretto ad abbandonare.
Non aveva intenzione di uccidere Sinbad, né di strappargli via Marina. Non poteva amare una donna innamorata di un uomo che aveva a cuore solo se stesso e che era in grado di calpestare intorno a lui tutte le anime che gli giravano attorno.
Si distese lentamente, chiudendo le palpebre. Avrebbe desiderato rimanere da solo, se solo Sinbad non si decise a comparire al suo cospetto.
Il marinaio dalla pelle ambrata e dagli occhi verdi si appoggiò alle sbarre di schiena, incrociando le braccia e scostando la lucerna che era rimasta accesa ai suoi piedi.

-Qualcuno è venuto a farti visita- disse e Proteo spalancò gli occhi.


 

 

 

 

 

// Nda:

Ed ecco qui la seconda parte del capitolo XII! Come avete potuto vedere ho deciso di spezzarlo in due, per poter inquadrare anche quello che sta vivendo Proteo, visto che è diventato QUASI un co-protagonista. Ma durerà poco, dopo la fase-Sinbad tornerà al suo posto ed Hook avrà tutta l’attenzione del lettore.
Insomma…Hook è abbastanza egoista da voler reclamare tutto lo spazio per sé, no?
Come sempre ringrazio coloro che mi seguono, al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** Prima della battaglia ***


XIV. Prima della battaglia









Sinbad e Proteo si scambiarono uno sguardo pregno di ogni ricordo, come se in quel solo istante fossero riusciti a ricordarsi l’uno dell’altro, avvicinandosi di nuovo a quelle anime che avevano perduto da tempo.
Da bambini non avrebbero mai potuto credere che si sarebbero lasciati andare, ognuno comprato dal proprio desiderio di tirare fuori la reale natura.
Proteo osservava la lucerna appoggiata davanti alla sua piccola cella, poi lanciava uno sguardo a Sinbad, cogliendo in quegli occhi verdi un velo di rammarico.

-Sapevo che sarebbe venuta a trovarti, non le ho impedito di farlo. Ho immaginato che avreste dovuto dirvi molte cose- lo incalzò Sinbad, continuando a tenere poggiato il braccio sulle sbarre e appoggiandovi la fronte, come stanco dalla lunga giornata trascorsa.

-Non le hai voluto risparmiare nulla a quanto sembra. L’hai fatta accostare ad una realtà cupa, che forse non aveva accettato, almeno fino ad ora- lo rimproverò Proteo, quasi bonariamente.

-Marina ha un grande spirito, questo lo sai bene. E’ stata dura per lei rimanermi accanto, se non si fosse innamorata di me probabilmente sarebbe tornata a nuoto a Siracusa, anche se non gliel’avrei permesso- tornò a spiegare il marinaio, accennando ad un mezzo sorriso.

Proteo increspò le labbra in una smorfia, agguantando ancora una volta le sbarre, come se fossero state delle armi.
-Stai cercando di giustificarti per lei?- sorrise appena mentre gli poneva quella domanda – non serve, lo sai bene. Non sono adirato con voi due perché vi siete innamorati. In fondo è inevitabile, la vittima si innamora sempre del proprio carnefice-.

Sinbad inarcò un sopracciglio, leggermente sconcertato. Come, Proteo non mostrava alcun risentimento?
-Lei ti ha abbandonato, come ho fatto io e ci siamo uniti- tentava di incalzarlo, forse desiderava farlo innervosire, come al suo solito.

Proteo ridacchiò, divertito. Perché rideva se si trovava in una situazione simile? Non aveva alcun senso quel loro dialogo così improntato sulla normalità, come se tra loro non fosse accaduto mai nulla.
-Se foste tornati indietro rimanendo leali a Siracusa, anche da innamorati, vi avrei accolti a braccia aperte. Ora non dirmi che avevi intenzione di salvarmi Sinbad e che hai cambiato idea quando ti sei reso conto di amarla, non volendo darmi un dispiacere-.

-Detesto questo tuo modo di fare!- Sinbad si scagliò con un pugno sulle sbarre, la sua rabbia iniziava a risalire in gola provocando un urto con le corde vocali che si piegarono in modo da creare un suono rauco e fastidioso.
-Dovevo distaccarmi da te, Proteo. Tu sei sempre stato il più onesto, il più amato, il più leale e buono. Il principe di Siracusa! Che speranza avrei avuto io, un umile figlio di nessuno, di fare strada in quel mondo colorato d’oro? No, non potevo più sottostare alle regole. Le regole ti impongono di essere qualcuno che non sei, mentre qui in mare ho trovato me stesso e quello che stavo cercando. Ti ho abbandonato perché desideravo rompere i ponti, sacrificarti sarebbe stato un passo avanti, mi avrebbe trasformato in un uomo che sapeva accettare una perdita e non guardare mai indietro con rancore-.

Proteo corrugò la fronte, questa volta sentiva le membra in agitazione, accaldato e improvvisamente al colmo del furore. Avrebbe potuto benissimo strangolarlo, se non fosse sempre stato in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Chiamasi educazione, chiamasi carattere, sapeva controllarsi.

-In questo modo hai solo perso te stesso, Sinbad!- gli ringhiò contro, con gli occhi che sfavillavano di una nuova luce, quella luce che un tempo l’aveva reso un grand’uomo. – Io credevo in te, credevo nella possibilità che tu potessi diventare un uomo nuovo. Ti ho dato la mia fiducia, ti ho affidato la mia vita e tu mi hai ripagato dimostrandomi che avevo compiuto un grandissimo errore. Il tuo cuore è nero, non c’è modo di tirarlo fuori dal buio, persino quello di Marina si sta macchiando rimanendoti accanto-.

Sinbad sorrise all’angolo della bocca, con quel suo solito sorriso sghembo che aveva sempre attratto le giovani fanciulle siracusane. Quel discorso non lo toccava minimamente, ormai era diventato ciò che desiderava essere, il rancore era per gli sciocchi e lasciarsi abbindolare dal passato lo avrebbe reso meno potente.

-Infatti il tuo eccessivo altruismo non ti ha portato a molto, o sbaglio? Sei diventato il valletto di un pirata senza mano, uno che ha il cuore nero quasi quanto il mio. Per cosa? Recuperare il libro della pace e tornare vittorioso nel tuo regno?- alzò appena le spalle – Trovo tutto questo molto interessante, temo però che non verranno a cercarti. Per un momento avevo sperato che il tuo Capitano non accettasse la resa, facendo scatenare una battaglia per tenerti al suo fianco. Ma è evidente che non vali abbastanza per lui- lo stuzzicò di nuovo, amava mettere il dito nella piaga.

Proteo alzò gli occhi al cielo, sganciandosi dalle sbarre e rifugiandosi nel suo angolo buio.
-Il Capitano Hook non ha un cuore nero, Sinbad. Finge solo di averlo, per mostrare agli altri la sua forza. A volte si comporta come un cucciolo indifeso- sorrise appena, ricordando il modo in cui aveva accettato di far rimanere Red sulla Jolly Roger. – Gli ho chiesto io di non intromettersi e lui mi ha obbedito alla lettera. Questa è amicizia, Sinbad. Il rispetto, cosa che tu non conosci-.

Sinbad emise una risata gutturale, staccandosi lentamente per indietreggiare anche lui, scrollando le spalle.
-Come preferisci credere, mio ingenuo Proteo-.
Non aveva più intenzione di rimanere lì con lui, gli aveva già dato abbastanza tempo e non voleva trattenersi ulteriormente. Lo salutò, portandosi via la lucerna e lasciandolo al buio più totale. Soltanto la fioca luce del tramonto penetrava da un foro quadrangolare sulla parete della sua cella. Vi si affacciò, potendovi vedere le onde che sormontavano la linea di galleggiamento.
Aveva una strana sensazione, come se quella giornata non sarebbe terminata in quel modo, chiuso in una rinnovata solitudine.







~*~*~

 


 
 
 
Il tramonto stava ormai volgendo al termine, eravamo riusciti a raggiungere la nave di Sinbad piuttosto in fretta rispetto ai calcoli che ci eravamo fatti con Christian. Di certo il vascello nemico era più grande, più sontuoso, costruito in maniera tale da essere una vera e propria macchina da guerra.
La Jolly Roger al contrario era più snella, lunga, con meno spazio, la vita di ogni pirata era pubblica e c’era ben poco da nascondere.
Per questo amavo la mia nave, essendo leggera, quasi spensierata poteva sorvolare le onde senza difficoltà. Rapida, era in grado di raggiungere l’orizzonte.
In quel momento mi trovavo sul ponte, avevo lasciato il timone ad uno dei più giovani, cosa che non lasciavo mai fare ma quel giorno mi sentivo sapientemente pronto ad affrontare qualunque sfida, ponendomi persino in svantaggio.
Osservavo il nuovo equipaggio, in realtà era già qualche anno che navigavo assieme a loro, ma per me rimaneva sempre qualcosa di diverso dal passato, come se ogni volta fosse in grado di rinnovarsi.
Quando avevo intrapreso il viaggio con Abraden, era stato lui a procurarmi una ciurma composta da sconosciuti a cui ci affidammo.
Il mio vecchio equipaggio invece constava di amici, amici di cui avrei fatto meglio a non riporre alcuna fiducia. Troppo ambiziosi, troppo pirati.
Quelli che avevo ora invece erano uomini semplici, che desideravano solcare i mari senza manie di protagonismo e soprattutto sembravano provare un grande rispetto per Abraden.
Anche lui era stato Capitano di una nave a Siracusa.
Scacciai quel pensiero, volgendo un’occhiata a Christian che al momento aveva preso il suo posto, per impartire gli ultimi ordini prima della battaglia.
Aveva indossato un farsetto decisamente vistoso, ricamato d’oro e finemente cucito da una delle migliori sarte dei continenti.
Sorrisi, non sarebbe mai cambiato. Ostentare se stesso faceva parte della sua vita e a volte questo mi rallegrava.
Per un attimo, finii per ripensare all’orologio marchiato sul petto, insieme alle lancette violacee simili a fulmini. In quel mese avevo imparato a distogliere l’attenzione dalla mia fine, avevo imparato a fidarmi degli amici, di una persona che era riuscita a spronarmi per diventare migliore.
Forse, se non sarei riuscito a sopravvivere ancora, avrei sicuramente trovato un motivo di soddisfazione per la mia vita.
Lasciarla, non sarebbe stato poi così doloroso.
Distolto ancora da ciò, mi misi a cercare con gli occhi la figura di Red che però non riuscivo ad incrociare da nessuna parte.
In quegli ultimi tempi la sua presenza era stata motivo di allegria a bordo della nave, tutti l’adoravano e desideravano che rimanesse sul ponte ad aiutarli.
Oltre ad essere molto bella (considerazione che aumentava strada facendo) possedeva anche la capacità di farsi amare dai più, con la sua disponibilità e forza d’animo.
Eppure anche lei aveva i suoi demoni interiori, anche nei suoi occhi si celava un certo rancore che non riusciva a tirare fuori.
E’ vero, lo ammetto. A volte avevo sognato di trarla in salvo dalla sua oscurità, ma al tempo stesso sapevo di essere avvolto anche io in quella situazione e non potevo salvare entrambi.
Lei avrebbe trovato la sua strada, io se possibile avrei continuato la mia.
Spesso, alcune notti, quando ero immerso nel mio sonnambulismo mi ritrovavo sempre davanti alla sua porta, con la mano appoggiata al pomo per poterla aprire. Mi svegliavo nel momento in cui stavo per entrare, stupito da quei desideri inconsci.
Ed ammettiamo anche questo, in quel mese avevo persino tentato di sedurla quando ero troppo ebbro. Le chiedevo di accontentarmi, di lasciarmi passare e di accomodarmi nel suo giaciglio per trascorrere la notte insieme.
E lei, ogni volta che accadeva, invece di respingermi malamente mi sfiorava la fronte con un bacio e mi chiudeva la porta davanti agli occhi.
Perché fino ad ora non ho mai narrato tutto questo? Semplice, adesso avrei affrontato una battaglia in cui sarei potuto non uscirne affatto e questi pensieri mi affollavano la mente.
Non sono mai stato un sentimentale, ma ho scelto il momento adatto per ricordarmi qualcosa di piacevole.
Mi decisi a cercarla, varcando la porta che portava alle cabine sottocoperta e mi diressi davanti a quella porta che spesso mi aveva visto.
Bussai per due volte con l’uncino per poi nascondere il braccio dietro la schiena, in attesa di vederla comparire davanti.

-Puoi entrare- mi arrivò la sua voce e non persi tempo, mi feci spazio per entrare nella cabina, richiudendo la porta dietro di me senza far alcun rumore.

La vidi seduta sul letto, con il kriss stretto tra le mani e gli occhi lucidi. Corrugai appena la fronte, ma preferii non indagare subito sulla questione.

-Come facevi a sapere che ero io?- domandai di tutto punto, basandomi su un’impronta banale di conversazione.

-Il rumore dell’uncino è perfettamente riconoscibile sul legno- accennò lei ad un sorriso, appoggiando il kriss accanto a sé e indicandomi di raggiungerla.

Lo feci senza pormi troppi problemi, sedendomi lì, forse in modo improvvisamente impacciato.
-Certo, che sciocco- mi stavo davvero comportando come tale, quasi non riuscivo a riconoscermi.

Red non aggiunse altro ed io nemmeno, eravamo troppo tesi e al tempo stesso non sapevamo quali parole scambiarci. Il silenzio prima di una battaglia era forte, quasi assordante e rischiava di farti uscire di testa.
Ad un certo punto mi decisi e mi alzai in piedi, dirigendomi di nuovo verso la porta, in fondo non volevo continuare a subire un supplizio simile.

-Ero venuto solo a controllare che stessi bene- mi imposi di rimanere calmo, iniziavo a stringere la mano sana in un pugno, la sentivo addormentarsi lentamente.

-Aspetta, Killian- mi fermò, alzandosi in piedi e lasciando una volta per tutte il kriss sul giaciglio, coprendo la distanza che ci divideva.
-Se dovesse finire male, se non riuscissimo a sconfiggere Sinbad… - deglutì appena, spostandosi i capelli dietro le orecchie – vorrei solo dirti che mi dispiace di aver capito troppo tardi che tu non sei affatto un mostro. Ti chiedo sc … -.

Non glielo permisi. Le appoggiai l’indice sulle labbra, appena reduce da un forte senso di colpa. Non ero un mostro? Oh, lo ero eccome. Se fossimo sopravvissuti, l’avrei usata per arrivare da Tremotino e nulla mi avrebbe fermato, nulla avrebbe cancellato i miei sogni di vendetta, nemmeno lei.

-Non farlo. Non mi hai chiesto scusa quando avresti dovuto, più o meno mille volte in questo mese- sorrisi appena – non iniziare adesso, finiresti per inabissarti- le scostai l’indice dalle labbra, sollevandole poi il mento per guardarla meglio negli occhi azzurri.
-Hai paura?-.

Red scosse appena la testa, quasi grata per non averle fatto mancare il suo orgoglio. Sciolsi la presa, tornando sulle mie.
-No, ho solo timore di quello che potrei fare. Se non dovessi controllarmi, potrei far del male anche agli amici-.

Aggrottai le sopracciglia, scuotendo leggermente il capo.
-Ti ho promesso che avrei badato a te e se mai qualcosa dovesse andare storto, ti proteggerò da te stessa. Andrà tutto bene. E poi, non dobbiamo sconfiggere Sinbad, siamo qui solo per salvare Proteo- la incoraggiai, prima di tornare serio.
-Rimarrai qui sulla Jolly Roger finché la luna non sarà alta nel cielo, in quel momento potrai sbizzarrirti-.

Mi rivolse un cenno d’assenso, non sembrava del tutto convinta, ma non ero in grado di incitare una donna ad una battaglia. Con Milah non avevamo mai affrontato nulla di simile, ma contavo sul fatto di trafugare il libro prima di finire per essere spacciati.
Sinbad poteva controllare il Kraken, dono di Eris, se avesse dovuto chiamarlo non avremmo avuto scampo.
Uscii dalla sua cabina, nella speranza di averla rincuorata e mi mossi velocemente sul ponte per dare le ultime disposizioni.
Il primo cielo della sera era avanzato su di noi, il tramonto si era concluso e l’ultima luce violacea scompariva all’orizzonte.
Le onde del mare si rasserenavano, iniziavano a calmarsi e non disturbavano il fluire della nave. Sarebbe stato un problema, il vento si placava e questo indicava che la Jolly Roger avrebbe perso velocità.
Mi inumidii le labbra, la nave di Sinbad iniziava ad essere più visibile agli occhi, non era più solo un puntino lontano, potevamo vederne le vele e di certo loro ci avevano adocchiato da un po’.
In fondo non contavamo su un aspetto a sorpresa, desideravamo solo trarre in salvo Proteo e il libro di cui aveva bisogno.
Christian si avvicinò lentamente, sistemandosi la bandana calata sulla testa circondata dai lunghi capelli neri. Si grattò la barba curata, inclinando la testa da una parte, come se le sue parole non fossero direttamente rivolte a me.

-Chi onora il codice della pirateria è un grande pirata. Chi onora il proprio cuore è un grande uomo- disse con convinzione.

Scrollai le spalle, creando una smorfia sulle labbra. Ora avevano tutti iniziato a credere che io
fossi un grand’uomo? Cielo, mai e poi mai! Tenevo alla vita di un amico, ma non ero affatto onorevole. Quello che avrei fatto alla Foresta Incantata, ingannando Red, non mi avrebbe restituito un appellativo simile. Milah avrebbe riso nel sentire un discorso simile, lei amava quel lato da birbante che mi apparteneva e quel coraggio che perennemente dimostravo di avere. Ma il mio non era coraggio, era solo avventatezza.

-Non diventare una femminuccia, Christian. Stanotte abbiamo bisogno di uomini forti e poco sentimentali- lo rimproverai bonariamente.

Sapevo bene che Christian non era mai stato quel tipo di uomo dalla reale galanteria, tutt’altro, aveva a volte un comportamento da vero villico ma al tempo stesso amava quelle finzioni dettate dalla società che lo divertivano ampiamente.
Ed in fondo, vederlo in quel modo faceva divertire anche me.

-Ma non sono mica io il pesce lesso innamorato, al momento- mi scoccò un sorriso ebete che mi lasciò senza parole.

Che voleva dire? Non potei replicare che corse via a dare gli ultimi ordini, lasciandomi da solo a frugare nella mia interiorità. Canaglia, si divertiva a giocare in quel modo.

Questi erano stati i momenti prima della battaglia, questo era ciò che mi sarebbe aspettato dopo. La ricompensa sarebbe stata la vita, o quel poco che me ne rimaneva.
La nave di Sinbad era sempre più vicina, potevamo udire le grida dei suoi uomini vestiti alla maniera orientale che correvano freneticamente sul ponte della nave.
Lanciai uno sguardo alle cime che avevo fatto tagliare appositamente per poter saltare sul ponte della nave avversaria, nella speranza di saccheggiarla velocemente e ritornare prontamente.
Tutto l’equipaggio si ritrovava dietro di me, riuscimmo ad accostarci alla nave di Sinbad sfruttando l’ultimo vento della sera, così da trovarci paralleli ai nemici.
Salii sulla balaustra aggrappandomi ad una corda, così da risultare più alto. La afferrai con l’uncino, per avere l’altra mano libera.
Sentivo i respiri affannati dei miei uomini, con le mani calate sulle guaine delle sciabole e i coltelli nascosti tra gli effetti.
Davanti a noi vi era la nave avversaria, i nemici si erano posizionati in linea di attacco, i nostri cannoni erano puntati verso di loro.
Sinbad era uscito insieme alla donna che avevo già visto, questa volta con il viso scoperto e sembrava terrorizzata da quell’attacco. Le strinse le mano, le sussurrò qualcosa nell’orecchio e sparì immediatamente da dove era venuta.
Non mi persi d’animo, gettai lo sguardo al cielo che ormai iniziava ad imbrunire poco a poco, la luna piena si ergeva lenta verso il centro per poter illuminare lo scontro.
Ecco, mancava poco. Sentivo la tensione irrigidire i muscoli, probabilmente avevo anche una smorfia come espressione del viso, con un sorriso tirato.

-Dunque avete scelto di morire?- domandò urlando Sinbad dall’altra parte.

-Abbiamo scelto di vivere, salvando il nostro compagno!- risposi con lo stesso tono di voce, con convinzione.

Sinbad irruppe in una risata gutturale, al limite della derisione.

-Non avete scampo- fu un sussurro, ma per qualche strano motivo, riuscii a leggerglielo tra le labbra.

-Ora, fuoco!- gridai con tutta la voce che avevo in corpo, estraendo con furia la sciabola e fu allora che i cannoni si ersero per puntare verso la nave avversaria, sputando palle di fuoco che finirono per spezzare l’apparato ligneo.

-Per Proteo, per la Jolly Roger, per il Capitano Hook!- gridò Christian, incitando il mio equipaggio di modo che tutti fossero pronti allo scontro vero e proprio.

La luna era viva, luminosa, splendente. Lo scoppio dei cannoni era assordante, poi ciò che fendette l’aria fu l’ululato di un lupo che sembrava tremendamente lontano.








// Nda: 

Ed ecco il 13° capitolo! Questa sarà l'ultima parte dedicata a Proteo, con il suo piccolo spazio, per capire meglio le dinamiche che sono venute fuori. Un pò mi dispiace non dargli spazio come ora, ma in fondo la storia è incentrata su Hook e non posso certo concentrarmi su di lui u_u. Ho preferito non iniziare subito la battaglia :D ma dal prossimo ci sarà eccome e spero di fare qualcosa di decente e non troppo stupido. 
Come al solito vi ringrazio per aver continuato a leggere ^^ grazie!

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Capitolo 15
*** Luna di sangue ***


XV. Luna di sangue








Le palle di cannone perforavano la Jolly Roger, così come la nave di Sinbad. Ad ogni colpo sussultavo, avvertivo il veliero fatto a pezzi, poco a poco, come era accaduto a me molto tempo fa.
Insieme all’equipaggio avevamo deciso di mantenere il fuoco basso e di affrontare subito una battaglia sui ponti delle navi, non eravamo mai stati forti sotto il punto di vista dei cannoni che avrei dovuto far rinnovare prima o poi.
Afferrammo tutti le nostre cime, arrampicati sul bordo del parapetto.

-Sai cosa dovrai fare una volta arrivato lì, vero?- domandai a Christian, che aveva già sfoderato la sciabola per prepararsi allo scontro.

-Certo Capitano. Andrò dritto da Proteo per trarlo in salvo- rispose, a conoscenza degli ordini.

Si sistemò la bandana sulla testa, era davvero pronto. Annuii soddisfatto, potevo lasciargli quel compito mentre avrei combattuto contro Sinbad. Era alquanto ovvio che mi sarei scontrato con lui.
Cosa provavo in quel momento? In realtà non molto. Attendevo il solito formicolio poco prima di una battaglia, il respiro corto e il battito del cuore accelerato.
Invece non riuscivo a sentire nulla, come se all’improvviso il tempo si fosse fermato. Avevo assistito a molte altre battaglie, ma quella che avrei affrontato ora era molto diversa.
Non aprivo lo scontro per qualcosa che riguardava me stesso, lo facevo per un amico, per il mio equipaggio e per Red. Per dimostrare che non ero solo un bambino egocentrico.
Rompemmo le cime e sorvolammo sul breve tratto di mare che divideva le due navi per poi ritrovarci tutti dall’altra parte.
I nemici sciolsero dalle guaine le scimitarre, tutti tranne Sinbad, che sorrideva con le braccia incrociate accanto all’albero maestro.

-Finalmente potrò affrontare il valoroso Capitan Hook- ghignò il marinaio, rimanendo fermo sul ponte in attesa che mi avvicinassi.

Il mio equipaggio aveva già iniziato a dar battaglia contro i nemici, il primo sangue aveva iniziato a colare dai corpi esanimi, nessuno veniva risparmiato.
Le urla diventano più silenzioso, nel mentre che mi avvicinavo.
Gli arti mozzati, le urla dei compagni in difficoltà. Quella luna sarebbe stata tinta di rosso. Avevo già perso molti uomini in precedenza, ma valeva la pena di affrontare quell’avventura, anche  per uno solo di loro.
Lo stridio delle spade iniziava a farsi suadente ed in fondo amavo sentirne il suono leggero, era come una musica per le mie orecchie.
Certo, se solo non mi fossi reso conto di una circostanza particolare che mi annebbiò la mente. Mi ritrovai davanti a Sinbad, a pochi passi da lui, continuava a prendersi gioco di me senza accennare a sfoderare alcuna arma.

-Possiedo il mostro più temuto di tutti gli oceani e fai rischiare alla ciurma di esser distrutta per un capriccio?- mi domandò, piantandomi addosso gli occhi verdi.

-Ne ho affrontati in abbondanza, non ho paura di un calamaro che potrei mangiare per cena- gli puntai la sciabola contro, tenendo l’uncino dietro la schiena, per sfidarlo –inoltre credo proprio che anche tu abbia agito per un capriccio-.

Sinbad non accennò ad alcuna risposta, mi osservava per capire quali mosse avrei attuato.
Detestavo non gettarmi nella mischia e rimanere a guardare, mentre i miei uomini si battevano per gli ideali che avevo insegnato loro. Dunque che cosa stava aspettando? La sfida era stata lanciata.

-Audace. Ma fin troppo sciocco…- gli occhi gli brillarono quando si vide puntata l’arma alla gola. Fu in quel momento che portò le braccia indietro, sfoderando le scimitarre legate alla schiena.

Se c’era una cosa che detestavo al mondo, era proprio chi utilizzava le armi orientali. Il modo di combattere era del tutto diverso e molto spesso non vi era modo di uscirne fuori illesi.
Con la scimitarra sarei stato attaccato con colpi di taglio, io avrei potuto soltanto parare e affondare la lama nella carne dell’avversario, se fatto nel tempo giusto.

-Vorrei concederti un’altra arma, ma temo che tu non abbia abbastanza mani- sogghignò Sinbad divertito dalla situazione.

-Credi davvero che l’uncino non sia un’arma? Io non lo sottovaluterei, se fossi in te- lo mostrai di modo che potesse capire le mie intenzioni piuttosto serie di farlo a pezzi.  

Fu proprio allora che non mi diede altro tempo per parlare, le scimitarre di Sinbad si scontrarono contro la mia sciabola che andò a parare i colpi di taglio per evitare di farmi staccare la testa.
Si susseguirono diversi colpi laterali che fui costretto a schivare, non fu facile stare al suo passo, era eccessivamente veloce e non dava mai tregua all’avversario.
Vi fu un momento in cui avvertii il sangue colare dal braccio, mi aveva ferito in superficie. Non riuscii a contrattaccare abbastanza velocemente, tutti i miei colpi non andarono a fondo.
Sospirai con un certo fastidio, iniziavo a stancarmi e non c’era modo di colpirlo. La sua velocità e la tecnica che possedeva era ineguagliabile, io avevo imparato da me e di solito riuscivo sempre a cavarmela.
Corrugai la fronte spazientito mentre tentavo un affondo abbastanza pericoloso, ma lo bloccò con l’incontro delle due scimitarre.

-Tutto qui quello che sai fare?- tentò più volte di farmi distrarre e perdere la pazienza, ma dovevo rimanere lucido se desideravo sopravvivere.

-Concentrati meglio su di te, stai perdendo pezzi!- lo rimproverai nel momento in cui si era distratto, fu in quel momento che saltai su una botte che rotolava verso la mia parte, da lì mi spinsi abbastanza in alto per poter tirare un calcio alla sua mano sinistra, facendogli perdere la presa su una delle scimitarre. Non appena fu a terra gliela scansai il prima possibile.

-Ed ora siamo pari- sussurrò Sinbad che aveva perso il suo sorriso, a breve avremmo cominciato a fare sul serio.

Le cose non si stavano mettendo bene, il mio equipaggio non era riuscito ad avere la meglio sui nemici, ma avevo intravisto Christian fuggire sottocoperta alla ricerca di Proteo. Mi augurai che ce l’avesse fatta a trovarlo, dovevamo andare via il prima possibile. Ordinai che le vele fossero squarciate e che gli alberi fossero danneggiati per evitare una rincorsa in cui avremmo sicuramente perduto.  La nave di Sinbad era troppo veloce.
Fu in quel momento che ci fermammo, che mi accorsi che eravamo in svantaggio. Gli uomini di Sinbad erano sensibilmente più forti, mi ritrovai a scavalcare alcuni dei cadaveri che non riconobbi, ormai non avevo idea di quello che stesse accadendo.
Finii per scivolare sul sangue fresco di qualcuno, ritrovandomi con la schiena a terra e il viso rivolto in alto, dove la luna continuava ad illuminare il cielo.
Era forse quella la fine? La lancetta dell’orologio penetrò fino in fondo alla carne, procurandomi l’ennesima fitta.
Fu allora che Sinbad si avvicinò e con la punta della scimitarra iniziò a scoprirmi il petto, lacerandomi la camicia per poter intravedere il tatuaggio che avevo sulla parte sinistra del petto, sopra il cuore.

-Quindi è proprio vero, non deve mancarti molto- scrollò le spalle con indifferenza –e’ quasi un peccato doverti togliere gli ultimi istanti della tua vita, ma in fondo dovrai comunque morire. In realtà ti farò un favore- tornò di nuovo a sorridere prima di sollevare la scimitarra fino al mio collo, per poi bloccare il braccio della spada con il piede, per evitare il mio sopravvento.

Sarei potuto morire, se non fosse stato che l’ululato di un lupo fendette l’aria come la lama di una spada.
 Fu in quel momento che vidi arrivare l’animale che due mesi prima avevo cercato di uccidere in un qualunque villaggio di un qualunque paese.
Fu  in quel momento che il lupo iniziò a sbranare i nemici, facendoli a pezzi. Non riuscii a rendermi conto se Red fosse improvvisamente cosciente di sé durante la trasformazione, ma al momento non era il problema più grave.
Sinbad, piuttosto incredulo, si era voltato lasciando la presa su di me per capire che cosa fosse accaduto, dandomi il tempo di rialzarmi in piedi.
Nel momento in cui si girò di nuovo verso di me, gli tirai un colpo che gli ferì la guancia lasciandogli un solco profondo fino al mento.
Una voce femminile si intromise, richiamando il suo nome. Non vi diedi importanza, non avevo idea nemmeno da dove provenisse.
Sinbad non si lasciò turbare dal dolore che doveva avergli provocato quella ferita e fece per sollevare la scimitarra per infliggermi il colpo finale con una ferocia animalesca.
Ed allora qualcuno agì alle sue spalle, l’elsa di una sciabola batté contro la nuca del nemico, facendolo svenire.
Il corpo di Sinbad rimase a terra, unto dallo stesso sangue in cui ero finito io. Quando sollevai gli occhi incontrai lo sguardo di Proteo, carico di soddisfazione.
Si ripulì la faccia passandovi il dorso della mano. Certo, non era stata una mossa onesta da compiere, non si dovrebbe mai attaccare un nemico alle spalle.
Ma eravamo pirati, giusto? Potevamo permetterci certi trucchetti e Proteo ormai era diventato uno di noi.

-Noi due non avevamo un patto?- mi rinfacciò, ma senza alcun moto di rabbia.

Mi limitai a sorridere, inclinando appena la testa da una parte.

-Che vuoi farci? Pirati!- quell’affermazione lo fece scoppiare a ridere, togliendogli quell’espressione indurita e severa che mi aveva quasi spaventato. –Avanti, corri a prendere il Libro della pace e andiamocene via. Non voglio rischiare che si risvegli- gli ordinai senza perdere tempo.

-Impossibile, il Libro della pace non è qui. Richiamate tutti gli uomini e fuggiamo- mi disse prima di tirare una gomitata ad uno che tentava di avvicinarsi silenziosamente per coglierci di sorpresa.

Una donna, quella Marina di cui Proteo mi aveva parlato, corse verso Sinbad disteso a terra e privo di sensi. Subito fu pronta a richiamare gli uomini perché si arrendessero, non potevano continuare la battaglia con il Capitano che era ormai impossibilitato a combattere.
Per un attimo mi persi nei suoi occhi scuri, chiedendomi che cosa fosse accaduto tra lei e Proteo. Ma non era il momento di preoccuparsi di sciocchezze simili.
Io feci lo stesso, in brevissimo tempo i sopravvissuti tornarono sulla Jolly Roger, malridotti  e stanchi. Molti, troppi corpi erano rimasti a bordo della nave di Sinbad, privi di vita.
Tutte quelle anime mi erano state accanto, credendo in me. Non potevo deluderle, non potevo permettere che il loro sacrificio fosse stato vano.
Quando ci ritrovammo sulla Jolly Roger, con Proteo al mio fianco, ci accorgemmo che Red era rimasta dall’altra parte.
Se non fosse stato per lei, Sinbad non si sarebbe distratto e le avevo promesso che l’avrei fermata. La battaglia si era conclusa in nostro favore proprio grazie al suo arrivo, era riuscita a sbranare molti dei nemici e il mare si era colorato di sangue.

-Red!- tentai di richiamarla a gran voce, gli uomini di Sinbad non osavano avvicinarsi, avevano troppa paura di affrontare quel lupo.

Fu allora che si voltò verso la mia nave, ringhiando ferocemente. Insoddisfatta del sangue che aveva sparso, balzò sulla Jolly Roger con furia, oltrepassando il piccolo ponteggio sistemato per passare da una nave all’altra ed osservando i sopravvissuti della ciurma in modo famelico. Continuava a ringhiare, gli occhi gialli erano incattiviti e probabilmente non si sarebbe fermata. Tutti iniziarono a spaventarsi, c’era chi aveva assistito alla sua forza animalesca.

-Red, calmati. Non mi riconosci?- cercai di avvicinarmi, ma Proteo mi afferrò per il polso, facendomi capire che avrei dovuto fare attenzione.

Non era riuscita a mantenere il controllo di sé, non aveva idea di che cosa stesse accadendo. Ma non potevo permetterle di fare del male agli altri, né a se stessa. Tentai un approccio diverso, distolsi la presa di Proteo,  rivoltando il palmo della mano verso l’alto e abbassandolo all’altezza del suo muso ringhiante per poterla convincere che non le avrei fatto nulla.


-Tu non sei così, non sei un’assassina. Sei migliore di tutti noi, lo sei sempre stata. Non lasciarti governare dal lupo, il tuo cuore è forte abbastanza da comandare sull’istinto di questa trasformazione- le parlavo, come se avessi davanti lei stessa.

Il lupo mi guardava ancora con rabbia e fame, con i denti che stridevano per la voglia di squartarmi. Abbaiò e per un momento ne fui spaventato, stavo quasi per indietreggiare, ma non potevo tirarmi indietro. Le avevo fatto una promessa, l’avrei mantenuta.

-Ricordati chi sei- tentai ancora, finché non mi avvicinai a lei e poggiai un ginocchio a terra. In quel momento pensai davvero che sarebbe giunta la mia fine.

Inaspettatamente il lupo smise di ringhiare, anzi iniziò a rilassare i denti lunghi e acuminati, chiudendo le fauci poco a poco. Avvicinò il muso verso la mia mano, per poterne sentire l’odore. Fu in quel momento che vi appoggiò il mento, perché potessi accarezzarlo.
Sorrisi, era riuscita a controllarsi e a seguire la sua volontà. Fu allora che si sdraiò a terra, accanto a me, come a volermi tenere lì con lei. Non potevo fare altro che concederle quel piccolo spazio, iniziando a sfiorare il pelo morbido tra le orecchie.
Tutti trassero un sospiro di sollievo e ne approfittai per ordinare a Christian di spiegare le vele per allontanarci il più possibile dal mare di Sinbad. Per un po’ non avrebbe potuto raggiungerci, ma era meglio non approfittare della fortuna che ci era stata concessa.
Red si era addormentata, la coda non si muoveva e chiudeva parte del corpo per proteggersi da tutto ciò che vi era all’esterno. Non ero intenzionato a lasciarla nemmeno un attimo.
La ciurma si ristabilì, brindando la vittoria con il rum, festeggiando per tutto il resto della notte. Proteo si avvicinò solo dopo qualche tempo, portando con sé un boccale pieno che mi passò, prima di sedersi su una delle botti che erano ancora piene.

-Allora, Sinbad ti ha trattato piuttosto bene. Ti trovo in forma- dissi a Proteo mentre continuavo ad accarezzare il lupo, il respiro era diventato regolare e riuscii a tranquillizzarmi.  Red doveva essersi stancata molto e aveva bisogno di riposare. Non l’avrei disturbata, rischiando di ritrovarmi in una situazione spiacevole.

Proteo si strinse nelle spalle, svanendo dietro al boccale per poi ricomparire scuotendo velocemente la testa. Erano settimane che non beveva, in quegli ultimi anni aveva bevuto più del dovuto fino a diventare un vero e proprio straccio. Ma da quando lo avevo ripreso si era sentito in dovere di comportarsi a modo, almeno a bordo della nave.

-Non ha avuto il tempo di maltrattarmi, siete arrivati prima che ne avesse il tempo- disse senza guardarmi negli occhi, come se avvertisse un peso. –Perché avete deciso di salvarmi?- la domanda non giunse come una sorpresa.

Inclinai appena la testa verso Red in forma di lupo, il respiro lento si alzava e si abbassava producendo un gioco leggero che mi faceva sorridere.

-Inizialmente mi ero deciso a mantenere i patti. In fondo non erano affari miei, fin da quando sei arrivato hai sempre puntualizzato che non mi sarei dovuto intromettere nella vita che ti appartiene e che sarei dovuto rimanere a distanza. Così ho fatto per tutti questi anni, così avrei voluto fare fino alla fine. Mi sono comportato come un uomo d’onore, non è così?- mi inumidii appena le labbra, sussurrando ciò che dissi di seguito –Eppure c’è stato qualcuno in grado di farmi cambiare idea. Mi ha ricordato che gli amici vanno tenuti stretti e non esistono patti che tengano, se l’altro rischia la vita stessa-.

Proteo non poté che sorridere, appoggiando il pollice sulle labbra, sembrava divertito.
-Dunque esiste una persona in grado di convincervi ad ammettere i vostri errori!- esclamò con soddisfazione.

Per un attimo strinsi appena il boccale nella mano sana, tamburellandovi le dita per frenare un po’ di agitazione che iniziava ad assalirmi.

-Il nostro Capitano è innamorato, lo capirebbe persino un allocco- si intromise Christian che si era avvicinato alle mie spalle per potermi fasciare la ferita riportata al braccio.  

-E tu che diamine ne sai?- gli rivolsi appena incattivito, disturbato dal bruciore della ferita che veniva sfiorata.

Mi resi conto che anche Christian era spossato, proprio come gli altri. Aveva il viso coperto di sangue e non si era ancora preso cura delle sue ferite. Non solo lui, ma anche tutti gli altri erano nelle medesime condizioni.
Christian e Proteo si scambiarono uno sguardo pieno di comprensione, come se avessero capito tutto. Perché io invece non riuscivo a leggere alcun significato attraverso i loro occhi?
No, non ero così sciocco da rimanerne tagliato fuori. Solo che ero ben consapevole di me stesso e non ero innamorato di Red, non lo ero stato fino a quel momento, non avrei cambiato idea in futuro.
In verità da quando era salita a bordo della Jolly Roger mi ero ripromesso di non cadere in quegli stupidi compromessi degli innamorati. Non l’avrei guardata in modo diverso dalle altre donne che mi erano capitate in quegli anni. Non l’avrei considerata più di un semplice membro della ciurma.
Perché? Perché sapevo che Red  non era una donna qualunque. Sin da quando la incontrai alla locanda del “Lupo di mare” avevo intuito la sua particolarità, il suo animo orgoglioso e forte macchiato da una debolezza che lei era ben consapevole di avere.
Lei mi teneva testa, molto più dei membri dell’equipaggio. Non aveva paura, il suo animo era puro e candido ed io l’avrei solo condotta insieme a me nel baratro.
Non potevo permettermi di rischiare così tanto, non potevo concedere a me stesso di amare un’altra donna.
Quando era accaduto, quella donna mi era stata tolta. Perché rischiare ancora? Ero un codardo e questo lo sapevo. Ma preferivo rimanere un vile codardo piuttosto che rimanere ancorato ad una possibile sofferenza.
Inoltre vi era qualcosa di molto più importante dell’amore, quale la vendetta e il desiderio di continuare a vivere.
Raggiungere Tremotino era il mio obiettivo, recuperare i miei anni perduti e ricominciare dall’inizio. Non potevo distrarmi, né permettermi di ascoltare i consigli di una donna che portava con sé già abbastanza problematiche.

-Non ho bisogno di saperlo, lo vedo da come la guardate. Anzi, da come vi guardate. Se foste un po’ più maturi probabilmente riuscireste a vederlo anche voi due- disse semplicemente Christian, prima di terminare la fasciatura e darmi un colpetto sulla spalla.

-Tu credi che lei possa provare qualcosa per me?- gli domandai, quasi in ansia di conoscere la risposta. Mi sentivo come un adolescente alle prime armi e mi vergognavo di continuare a trattare quell’argomento.

Christian si limitò ad alzare le spalle e a roteare gli occhi al cielo.
-Per tutti i sette mari, Capitano! Siete più cieco di quanto credessi- detto questo si allontanò, evidentemente sapeva che avrei continuato a controbattere.

Lanciai uno sguardo a Proteo, inarcando un sopracciglio.
-Anche tu la pensi allo stesso modo?- gli domandai leggermente preoccupato dalla risposta.

Annuì senza nemmeno pensarci.
-Certo. Da quando Red è qui siete un’altra persona. Avete riacquistato il sorriso, sembrate più vivace e la voglia di vivere è aumentata. Prima ve ne stavate sempre chiuso nella vostra cabina a rimuginare sulla sfortunata sorte che vi è capitata. Ora invece non vi lamentate più, tentate di combatterla. Forse avete semplicemente trovato un motivo per farlo-.

Roteai gli occhi al cielo, incontrando per un attimo la luna che tra qualche ora avrebbe lasciato il cielo. Ormai ci stavamo avviando verso la prima alba del nuovo giorno, ma le stelle ancora ci concessero di lasciarsi guardare.
-Dunque credi che questo cambiamento sia dovuto a lei- scrollai le spalle, tirando su col naso. –Sai bene che cosa devo fare alla Foresta Incantata, non ho tempo per dedicarmi a certe sciocchezze-.

Proteo scosse leggermente la testa, a volermi dire che non era affatto d’accordo.
-Forse avete ragione, non vi ha insegnato ancora a superare il vostro dramma interiore. A volte mi chiedo se scegliate di essere sciocco o se invece usiate questo mezzo per ripararvi da qualunque cosa-.

-Non farmi la predica, sono due mesi che tutti avete iniziato a criticare ogni cosa che faccio. Sono il Capitano e pretendo un po’ di rispetto- cacciai fuori quelle parole con un certo risentimento.

Era vero, da quando Red aveva dato il cattivo esempio, tutti gli altri l’avevano emulata.
In fondo non aveva torto, ma non potevo abbandonare il progetto che avevo deciso di affrontare. Era troppo tardi per tornare indietro.
Proteo non aggiunse altro, sapeva quando era il momento di non aprire bocca.

-Discutiamo invece di cose serie: dove si trova il Libro della Pace?- domandai, più che per curiosità per fuggire da quella conversazione che aveva preso una pessima piega.

-Credevo che lo custodisse Sinbad a bordo della sua nave, ma temo proprio che non sia così. La questione è molto più seria Capitano. Si trova all’interno della sua creatura marina, il Kraken- lo disse proprio nel modo più adatto possibile, enfatizzando quell’informazione.

Trassi un lungo sospiro, compresi in quel momento che sopravvivere avrebbe significato dover affrontare di nuovo Sinbad e il Kraken stesso. Lo dovevo a Proteo, in un modo o nell’altro c’era ancora un patto che dovevo rispettare. Non dovevo riportarlo dal suo nemico, lo avrei aiutato a tornare a Siracusa e senza quel libro non sarebbe stato possibile.
Ma non era ancora il momento di affrontare una simile avventura, all’orizzonte c’era molto di più e adesso sarebbe toccato a me rincontrare i fantasmi del passato. 







// Nda: 

Saaalve a tutti! Questo capitolo è stato particolarmente faticoso, soprattutto perchè continua a non piacermi nulla di quello che scrivo. Ma non mi fermerò qui, ho già scritto i capitoli successivi e posso dire che dal prossimo Hook e Red saranno sulla terraferma e che finalmente inizieranno ad aprirsi l'un l'altra. 

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Capitolo 16
*** Distanze ***






XVI. Distanze






Il mattino non tardò a giungere, la luna si era nascosta per lasciare spazio ai primi raggi di sole che comparvero all’orizzonte. Proteo mi aveva consigliato di andare a riposare, ma non volevo in alcun modo lasciare Red da sola sul ponte della nave. Non me la sentivo di svegliare il lupo, non era sicuro e preferivo attendere il giorno seguente per alzarmi da lì.
Quando sorse l’alba Red compì la sua trasformazione, tornando in forma umana, dormiente sulle mie gambe come se non si fosse resa conto di nulla.
Aveva gli occhi chiusi, il respiro era meno forte e più regolare, il calore del corpo era scomparso ed era iniziato a diventare più freddo.
L’espressione del viso era tranquilla, doveva aver sognato molto durante la parte rimanente della notte ed  io non mi ero addormentato, proprio per poter vegliare su di lei.
Avevo concesso alla ciurma un lungo riposo, avremmo perduto un giorno di viaggio avanzando lentamente, ma meritavamo tutti di fermarci per riprendere le forze.
Eravamo esausti e feriti, rimetterci in sesto ci avrebbe aiutato molto. Si poteva udire solo il soffio del vento sulle vele e il canto del mare che si infrangeva sulla linea di galleggiamento.
Fu allora che Red si risvegliò, aprendo lentamente gli occhi per non essere infastidita dal sole. Quando si rese conto di avere il capo appoggiato alle mie gambe, si mise a sedere in fretta, con aria spaesata.

-Ti sei addormentata questa notte, eri stanca per la battaglia- le suggerii la risposta prima che potesse chiedermi spiegazioni.

I suoi occhi azzurri si fermarono a lungo nei miei, con le labbra che tremavano timorose di domandare altro. Sapevo ciò che non voleva sentirsi dire, ma non si può affrontare se stessi se non ci si conosce fino in fondo.

-Ho fatto del male a qualcuno dei nostri?- alla fine non riuscì a resistere.

Scossi il capo. In realtà non ero del tutto certo, ma di sicuro aveva spazzato via molti dei nemici e tanto bastava.
-No, sei stata molto brava. Hai quasi tentato di sbranarmi ma alla fine sei riuscita a controllarti. In realtà incuti più timore in questo modo che non trasformata in lupo- cercai di scherzare per spezzare l’atmosfera che si era appesantita.

Le strappai un mezzo sorriso, ma quando si accorse del sangue che si era attaccato alla mia camicia, si adombrò nuovamente.
-Non sono stata brava. Non ricordo nulla di quello che è accaduto, ho ucciso di nuovo senza rendermene conto-.

Roteai gli occhi al cielo, mentre mi sollevavo per tornare in piedi e sgranchirmi le gambe, facendo rotolare via il boccale vuoto.
-Hai salvato i tuoi compagni da morte certa, senza il tuo intervento probabilmente ci troveremmo tutti in fondo al mare. Per una volta non angustiarti, prova a guardare il lato positivo- le suggerii fermamente convinto.

-E quale dovrebbe essere?- si mise in piedi anche lei, incrociando le braccia. Si sentiva indolenzita e aveva bisogno di riposare, glielo leggevo negli occhi, ma la sua testardaggine le impediva di ammettere quella debolezza.

-Ti sei fermata quando ti ho detto di farlo, hai ubbidito agli ordini senza fare storie. Per un attimo ho creduto che avresti posto fine alla mia vita prima del dovuto- risi di gusto a quella battuta priva di senso, tant’è che fui l’unico a farlo.

Lei rimase in silenzio, sollevando appena un sopracciglio, come a voler dire che non avrebbe riso su una questione simile, visto che mi mancava davvero poco tempo per vivere.
Perché tutti sembravano così presi da quella storia? Non ero io ad esserne il protagonista? L’apprensione mi infastidiva più di ogni altra cosa, per non parlare della compassione.

-In ogni caso, raccontami cosa è accaduto. Proteo è salvo?- domandò speranzosa.

Annuii e mi ritrovai a raccontarle i minimi particolari del salvataggio. Ovviamente fu entusiasta di come si era svolta la questione, ma non le accennai al problema del Libro della Pace, le nostre strade si sarebbero sicuramente divise molto prima.

-Allora voglio andare a vedere come sta- fece per andare via, estremamente curiosa di sapere che cosa aveva affrontato sulla nave di Sinbad, ma prima di farlo ci ripensò e tornò sui suoi passi.
Spostò una ciocca lunga dei capelli scuri dietro l’orecchio e aggiunse –Grazie per avermi fermata, mi hai evitato un grande dolore-.

Inarcai un sopracciglio, non avevo proprio capito a che cosa si riferisse e non riuscii nemmeno a fermarla per spiegare cosa intendesse, tanto era desiderosa di andare da Proteo ad accertarsi che stesse bene.
Io ne approfittai per dirigermi verso il timone, in quel momento sul ponte non vi era quasi nessuno, amavo il momento che si susseguiva ad una battaglia appena conclusa.
Certo, ciò che era accaduto non rappresentava la fine, ma per il momento mi accontentavo di non pensarvi. Assaggiai il legno intagliato del timone, accarezzandolo con l’unica mano con cui avevo conservato il tatto. Davanti a me non c’era che mare e il sole che batteva chiaro nel cielo, era quella la vita che avevo desiderato fin dal principio e così avrei sperato fino alla fine dei miei giorni. Che mancasse poco o meno non mi importava, ero stato libero e nemmeno quella maledizione mi avrebbe incatenato.
Tremotino era vicino, presto avrei compiuto la mia vendetta. In realtà c’erano molte cose da sistemare, Milah insieme al mio vecchio equipaggio era ancora libera tra i mari, senza il suo cuore.
Provai spesso a cercarla, a scoprire informazioni su di lei, ma sembrava essersi nascosta ai miei occhi. Credeva che avrei potuto farle del male? Già gliene avevo procurato, non vi era bisogno di aggiungere altra sofferenza.
Trascorsero quattro settimane dallo scontro con Sinbad, impiegammo più di un mese prima di riuscire ad attraccare sulla terraferma, lì dove sorgeva la Foresta Incantata.
Tutti eravamo stanchi, per ben tre mesi non avevamo fatto altro che affrontare qualcosa che andava oltre le nostre possibilità. Era incredibile, nonostante fosse trascorso così poco tempo, Red ormai faceva parte dell’equipaggio a tutti gli effetti.
Fortunatamente quell’ultimo periodo fu privo di disastri, la vita sulla nave si era dimostrata tranquilla, organizzammo svariate serate di festeggiamenti per accogliere di nuovo Proteo tra noi, anche se era stato via solo per una notte.
Si decise allora di dichiarare la propria identità, non voleva nascondersi più dietro il nome di Abraden e nonostante tutti ormai sapessero delle sue origini regali, nessuno aveva cambiato modo di comportarsi.
Non esistevano re o principi sulla Jolly Roger, eravamo tutti uguali, tranne il Capitano. Non potevo permettere nuovi ammutinamenti.
Grida di felicità esplosero nel momento in cui riuscimmo a vedere la terraferma, aprii il cannocchiale e verificai che ci trovassimo davvero al nostro punto d’attracco.
Ottimo, non avevamo perso tempo, soprattutto dovevamo recuperare vivande e tutto ciò che era utile per un prossimo viaggio.
Mi affrettai ad arrotolare una mappa della Foresta Incantata e ad infilarla nella cintura, sarebbe stata utile una volta lì. Da quando il principe James e Biancaneve avevano preso possesso del Palazzo reale erano riusciti a rendere quel luogo privo di pericoli ed insidie, questo sarebbe stato piuttosto utile.


-Capitano, siamo pronti per gettare l’ancora- mi comunicò Christian in lontananza, pronto ad eseguire gli ordini.

Gli confermai che era il momento giusto e così fece. Calammo le scialuppe e ci dirigemmo sulla terraferma, una spiaggia dalla sabbia bianca antistante ai primi alberi della Foresta. L’equipaggio si divise, ogni gruppo era organizzato in modo tale che compiesse il proprio dovere. Christian e Proteo sarebbero andati avanti, per raggiungere il Palazzo prima di me e Red, per studiare la situazione e le vie di fuga, in caso di insuccessi. Io e Red li avremmo seguiti con qualche giorno di distanza, lei ovviamente non sapeva nulla di tutto quello che sarebbe accaduto né del vero motivo per quella separazione.
Mi resi conto che non indossava più gli abiti che avevo fatto confezionare per Milah ma che era tornata ad indossare i suoi vecchi vestiti e che aveva indossato di nuovo il mantello rosso squarciato al centro.
Corrugai la fronte, ebbi quasi la sensazione che non desiderasse confondersi con noi pirati una volta raggiunta la corte di Biancaneve.
Perché allora quel pensiero mi infastidì? Red era stata con noi tre mesi, tutti la elogiavano e si comportavano con lei come se fosse un membro della Jolly Roger a tutti gli effetti, ma avevano dimenticato la motivazione che l’aveva spinta a seguirci.
La vita di mare non le interessava e forse nemmeno le piaceva.

-Perché mi fissi in quel modo?- mi domandò spezzando il silenzio.

Da quando ci eravamo inoltrati nella Foresta non ci eravamo scambiati nessuna parola, ognuno avvolto nei propri pensieri. Mi resi conto allora che continuavo a guardarla, come a voler comprendere che cosa le girasse per la testa.

-Io non ti fisso in nessun modo- volsi subito lo sguardo altrove, scrollando le spalle.

Lei si limitò a sorridere, ormai era abituata ai miei modi di fare e non trovava strano il comportamento che avevo sempre.
-E così manca poco-.

Era la prima volta che le nostre frasi risultavano corte, smezzate, come se non volessimo parlarci. Probabilmente avremmo preferito fuggire, salutarci frettolosamente e dirci addio, senza badare ai convenevoli.

-A cosa ti riferisci?- mi sentii costretto ad assecondare quella situazione, non potevo fare altro. Avremmo affrontato il viaggio da soli, dovevamo pur interagire.

-Quando arriveremo al Palazzo di  Biancaneve il nostro accordo avrà fine. Non sarai più in debito con me- mi disse, forse riuscii a leggere una sfumatura di dispiacere, ma doveva trattarsi sicuramente di una mia impressione.

Avevo ancora il denaro che le avevo rubato, lo portavo dietro, in realtà difficilmente me ne ero separato. Un po’ mi sentivo in colpa per averle tolto quello che aveva racimolato lavorando alla locanda del Lupo di mare, ma ne avevo bisogno e inoltre le avevo salvato la vita più di una volta, quindi meritavo una degna ricompensa.

-Non mi piace avere debiti, solitamente sono gli altri ad averne con me- mi limitai a rispondere.

Le nostre strade si sarebbero presto divise e non ci saremmo più visti. Da quel che avevo compreso Red desiderava rimanere alla corte di Biancaneve, era l’unico luogo in cui forse non sarebbe stata considerata un pericolo.
Le avrei voluto dire che c’era posto anche sulla Jolly Roger, ma l’inganno che le avrei teso sarebbe stato eccessivo, non mi avrebbe mai perdonato.

-In fondo non sarai più solo, Tremotino ti aiuterà a portare in salvo la tua Milah e potrete ricongiungervi-anche quelle parole avevano un sapore di rancore che si rigirava sul palato come un gusto amaro.

Red non aveva idea che io volessi strappare il cuore di Tremotino per donarlo a Milah e che quindi non avrebbe potuto ricucire il suo mantello. Non sapeva nemmeno che era stato lui a portarla via da me. Avrei rischiato troppo, non potevo permettermi di dire una parola di più.
Però c’era stata una questione che non ancora avevo affrontato: il ritorno di Milah.
Vivere accanto ad una donna completamente diversa da lei mi aveva fatto dimenticare per un momento che la mia missione non era solo volta a salvarmi la vita, ma anche a riportare indietro la donna che amavo più di ogni altra cosa.
E l’amavo? L’amavo ancora come una volta? O mi ero solo crogiolato nell’idea di un fantasma che vorticava nella mia testa?
Per un attimo fui assalito dall’incredibile dubbio che forse non provavo più nulla per Milah. Ma durò così poco che mi costrinsi a scacciare quel pensiero.
Quante sciocchezze mi avevano messo in testa Proteo e Christian riguardo ai miei sentimenti!  Come potevo concedermi di amare un’altra donna che non fosse Milah?

-E’ vero, se tutto andrà per il meglio riuscirò a ricondurla da me. Christian sarà molto dispiaciuto quando saprà della tua decisione di rimanere alla Foresta Incantata- tentai di cambiare argomento, nella speranza di uscirne il prima possibile.

-Mi mancheranno le nostre chiacchierate, mi piaceva ascoltare le sue avventure. Mi mancherà anche Proteo e tutti gli altri. Sarà difficile abituarsi di nuovo ad una vita diversa, ma io non appartengo al mare- aggiunse prima di fermarsi per qualche istante, annusando l’aria. Forse avvertiva qualcosa di strano.

Non diedi troppa importanza alla sua improvvisa aria circospetta, la lasciavo fare, ma sapevo bene che la Foresta Incantata era popolata da tante creature diverse e non sarebbe stato strano incontrarne qualcuna.
Avrei voluto chiederle se le sarei mancato anche io, ma mi sembrò una domanda sin troppo sciocca e fanciullesca per permettermi di farla.

-Credo di aver avvertito qualcosa…- sussurrò Red, iniziando prima a guardarsi intorno, per poi avvicinarsi al cespuglio più vicino per guardare che cosa si fosse nascosto lì, perché aveva avuto l’idea che qualcuno ci stesse seguendo.

Ovviamente non trovò nulla, come avevo immaginato, la Foresta Incantata poteva giocare brutti scherzi e non era il caso di fermarsi. Non volevo perdere tempo, dovevamo incamminarci con il giusto passo verso il Palazzo per appropriarmi di quello che mi spettava.

-Killian- quando ritornò dalla sua perlustrazione mi ritrovò annoiato a scagliare piccoli sassi sui tronchi degli alberi – questa notte preferirei dormire da sola. C’è un fiume nelle vicinanze, andrò lì-.

Sapevo bene che era giunto di nuovo il tempo del lupo, ma non ero così sicuro di volerla lasciare da sola nella Foresta. Dividerci non era una buona idea.

-Per quale motivo vuoi rimanere da sola?- le domandai, anche se conoscevo già la risposta.
Incrociò le braccia al petto,stringendosi nel mantello come se fosse stato uno scudo.
-Preferisco essere certa che non ti accadrà nulla. Non sono sicura di riuscire a controllarmi durante la trasformazione e sarò più tranquilla sapendo che non sei in pericolo. Ci rincontreremo domani mattina al fiume, d’accordo?- la sua voce era così risoluta che non mi imposi, almeno per una volta volevo lasciarla fare.

-Va bene, se proprio insisti- sorrisi, sapendo di farla contenta.

Mi conoscevo bene, sapevo perfettamente che sarei rimasto a dormire nella vicinanze per controllare la situazione e all’alba mi sarei fatto trovare lì da lei come se non l’avessi mai lasciata da sola.
Quando il tramonto sopraggiunse e la luna iniziò a sorgere, fummo costretti a dividerci. Io mi rifugiai in un posto tranquillo, sopra i rami di un albero, per controllare la situazione sotto di me e tenere d’occhio il lupo che sembrava dormire tranquillo accanto alle rive del fiume.
Indisturbato com’era, non somigliava più alla belva feroce che avevo conosciuto le scorse volte. Red si sottovalutava senza alcun motivo, le sarebbe bastato fare uno sforzo di volontà e credere in se stessa per superare quella che era solo una paura.
Le maledizioni possono corromperti l’anima, ma non trascinartela via.
Finii per addormentarmi, la stanchezza che provai mi fece scivolare in un sonno profondo e ciò che sognai fu quasi più simile ad un incubo.
 
 
 


Milah mi guardava con quei suoi occhi di ghiaccio, con una mano appoggiata al fianco e l’altra lasciata pendere lungo la gamba. Era sulla Jolly Roger, come ai vecchi tempi. Il suo sorriso comparve come il sole dopo la tempesta, per rischiarare le mie giornate. Le piaceva tracciare le rotte sulle mappe che le avevo concesso di usare, si divertiva a scegliere i luoghi da vedere ed io, se possibile, cercavo di accontentarla.
Le mancava suo figlio, se non fosse stato per lui, non avrebbe più avuto quello sguardo carico di risentimento. Un giorno glielo avrei riportato indietro, così le avevo promesso. Eppure non ero riuscito a fare nulla di quello che le avevo detto.
Non l’avevo condotta fino ai confini del mondo, non le avevo restituito suo figlio, non ero nemmeno stato in grado di proteggerla.
La vidi scivolare improvvisamente  a terra, quando comparve come un’ombra il Coccodrillo che le strappò il cuore con violenza.
La sua risata mi distruggeva ed io non potevo ribellarmi, non potevo sciogliere le mie catene.
Milah mi era stata portata via in un istante e non avevo cambiato il suo destino, l’avevo condotta soltanto alla morte. Che razza di uomo ero?
Il suo corpo gravava sul ponte della nave, con gli occhi chiusi e le labbra che pronunciavano il mio nome come ultimo respiro.
Poi, accanto a lei comparve la figura di Red. Fresca, con il suo mantello rosso scarlatto che ricordava quasi il colore del sangue, il sangue che avrei dovuto versare per riprendere l’amore della mia vita.
Mi sorrideva come Milah non aveva mai fatto.
Questo ormai lo avevo imparato a mie spese. Milah ed io ci somigliavamo troppo, avevamo gli stessi desideri, la stessa modalità di pensiero, non entravamo mai in conflitto e l’egoismo che ci caratterizzava ci aveva unito così tanto da dimenticarci di tutto il resto del mondo.
Red invece era così diversa, così distante da me, così pura e priva di peccato. Nonostante le sue mani grondassero di vite strappate, il suo cuore era limpido e sincero.
Non si era mai dimostrata egoista, se non per difendere gli altri,  non mi aveva mai concesso un momento di pace quando si rendeva conto che stavo errando.
Grazie a lei avevo imparato ad amare qualità di me stesso che non conoscevo. Aveva tirato fuori la parte migliore di me, quella che credevo non esistesse.
Un velo di rammarico mi passò davanti agli occhi. Come potevo amarla, sapendo che non l’avrei mai meritata?
Dovevo impedirlo, dovevo costringermi a rimanerne distante, a proteggerla dal fantasma che ero diventato.
Fu allora che il Coccodrillo si avvicinò a lei, circondandole il collo con le sue lunghe mani scheletriche, sfiorandolo sensualmente per poi tirare fuori la lama di un coltello. La aggirò, prima di puntarglielo sul cuore, per poterlo estrarre e distruggere al tempo stesso.
Urlai con tutto me stesso di non farlo, sentivo le forze abbandonarmi, non potevo sopportare di perdere anche lei.
Quel sorriso adorabile, quello sguardo di rimprovero che aveva sempre, non doveva sparire. Perché non strappava il mio cuore? Perché non poneva fine alla mia sofferenza?
E quasi senza crederci, riuscii a spezzare le catene. Ripresi tutte le mie forze, scaraventando la mia furia sul Coccodrillo per assalirlo e farlo a pezzi.
L’avevo salvata, lui non l’aveva portata via. Ma avevo ucciso ancora, la vendetta era compiuta.
Red non fu affatto felice come credevo, le avevo dimostrato di non essere cambiato. Ero sempre il Capitano Hook, l’uomo dal cuore nero.
Si allontanò da me, svanendo in una nuvola di fumo.

 
 
 
 
-Red, non lasciarmi…- sussurrai quando poco a poco stavo prendendo coscienza di me stesso, mi strofinai gli occhi per riprendermi.

Non ero riuscito nemmeno ad aprire le palpebre, che udii rumori carichi di confusione, parole sommesse e preghiere scongiurate. Quando riuscii a capire di cosa si trattasse, ripresomi da quel sogno che avrei voluto dimenticare, gettai uno sguardo al di sotto dell’albero.
Red stava parlando con qualcuno, un ragazzo molto giovane. Disse di chiamarsi Quinn e brandiva tra le mani il mantello rosso.
Continuava a tenere tra le mani il mantello , fu allora che Quinn tentò di bruciarlo, ma Red riuscì a fermarlo.

-Credi che non abbia capito chi sei?- disse il ragazzo, abbassando la fiamma.

-Cosa intendi dire?- di rimando Red iniziò ad agitarsi, gli occhi si erano inumiditi di lacrime.

-Sei un lupo- ghignò apertamente, quasi divertito, ma non sembrava una minaccia.

-E tu come lo sai?- Red fece un balzo scaraventandosi sopra di lui, affamata di conoscenza. Gli strappò il mantello tra le mani, credevo quasi che gli stesse ringhiando contro.

-So riconoscere una figlia della luna- rispose aprendo i palmi delle mani, in segno di arresa.

Cosa volevano indicare le sue parole? Corrugai la fronte, indispettito poiché non capivo cosa stesse accadendo. Le voci iniziarono a farsi sempre più confuse, entrambi si rialzarono da terra e senza che potessi fermarli, scomparvero nella foresta.
Non persi un attimo di tempo, scivolai giù dal mio nascondiglio per poterli rincorrere, ma non mi ero aspettato quel colpo alla testa che mi fece perdere i sensi.










// Nda: 

Saaalve a tutti! Questa volta l'immagine di copertina è un disegno creato dalla mia cara amica BlackFool, in cui si può vedere l'orologio tatuato sul petto di Hook. Ormai ci stiamo avvicinando alla fine, non credo di superare i 22 capitoli, ma sono ancora in corso, tutto potrebbe accadere^_^- come promesso, siamo alla Foresta Incantata! 

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Capitolo 17
*** Figlia della luna ***




XVII. Figlia della luna







Gli ululati dei lupi, per tutta la notte. Non avevo idea del motivo per cui nella mia testa rimbombasse soltanto quel rumore così estenuante da farmi diventare pazzo.
L’ultima cosa che i miei occhi avevano visto era stata Red che inseguiva quel ragazzo che sembrava sapere tanto di lei. Perché si era fidata? Perché l’aveva seguito?
Sciocca ragazza, riusciva a mettersi nei guai senza nemmeno cercarli.
Intorno a me era buio, quando riaprii gli occhi. Non potevo vedere nulla, tentavo di alzare lo sguardo ma qualcuno aveva deciso di rendermi cieco, legandomi una benda nera intorno alla testa.
Avevo le mani legate ad un palo e le gambe erano fortemente indolenzite. Chiunque fosse stato a colpirmi al fiume, aveva usato tutta la sua forza, poiché il ronzio alla testa era durato a lungo una volta sveglio.
Ma chi e perché lo avesse fatto, non lo sapevo.
Iniziava a stancarmi quella posizione, di certo avevo trascorso almeno una notte in quella stanza solitaria, poiché avevo udito l’ululato dei lupi al di fuori. Avevo provato a chiamare qualcuno, ma sembrava che si fossero dimenticati di me.
L’umidità era forte, dovevo trovarmi in un luogo sotterraneo, non vi erano altre spiegazioni. A volte riuscivo ad udire qualche parola, perennemente di voce femminile. Spesso mi sembrava di sentire Red, ma di certo doveva trattarsi della mia immaginazione.
Quando credevo che ormai sarei rimasto lì per sempre, qualcuno venne a tirarmi fuori dalla gabbia, slegando la benda che avevo sugli occhi.
Incontrai il volto di quel ragazzo che avevo visto al fiume, colui che Red aveva preso ad inseguire.

-Tu!- non persi tempo e lo attaccai –Liberami immediatamente, dov’è lei?- infuriai su di lui, cercando di slegarmi.

-E’ esattamente dove dovrebbe essere- si limitò a rispondermi, senza darmi altre spiegazioni.

Mi fece alzare in piedi bruscamente,  sistemando le corde intorno ai polsi, perché non tentassi di fuggire.
Lo minacciai mentre uscivamo da quella stanza, ma nessuna delle mie parole sortì alcun effetto. Continuavo a domandare dove si trovasse Red e lui insisteva nel rispondere sempre allo stesso modo.
Quando mi condusse in quella che doveva essere la sala principale di quel nascondiglio sotterraneo, mi gettò in avanti, per farmi vedere da tutti  i presenti.
Persi l’equilibrio e caddi in ginocchio su un tappeto circolare, rosso come il sangue.
Quando alzai gli occhi vidi la figura di Red, priva del suo mantello, osservarmi con aria spaventata.

-Red!- esclamai, per un attimo avevo creduto che le fosse accaduto qualcosa di spiacevole e in quel caso non me lo sarei mai perdonato –Che sta succedendo?- domandai, affamato di spiegazioni.

Di certo qualcosa non andava. I suoi occhi brillavano di lacrime e di paura, non ebbe nemmeno il coraggio di rispondere, tanto che al suo posto si fece avanti una donna che aveva l’aria di essere il capo di uno strano gruppo che mi attorniava.
Si fermò davanti a me, rivolgendomi un sorriso fintamente dispiaciuto.

-Te lo spiegherò io. Red è una figlia della luna, un licantropo. Fino ad ora ha indossato il suo mantello per proteggersi dal lupo, cercando di assopire la sua parte animalesca. Se entrerà a far parte di questa grande famiglia potrà imparare a convivere con il lupo, invece di nasconderlo. Questa notte ha potuto provare il vero significato di essere una di noi, uscendo insieme al branco ed imparando a prendere coscienza di se stessa- la donna si voltò verso di lei, afferrandole la mano e stringendola con vigore –inoltre erano anni che tentavo di trovarla. Lei è mia figlia-.

Lo stupore si lesse perfettamente sul mio viso. Quella donna era la madre di Red? Per quel che ne sapevo, doveva essere morta e sepolta da tempo, forse sua nonna le aveva raccontato una bugia a riguardo. Per proteggerla, immaginai.

-Tutto questo è davvero molto toccante, ma vorrei conoscere il motivo per cui sono stato catturato e portato qui senza il mio volere- la mia voce dovette sembrare piuttosto ridicola, vista la posizione in cui mi trovavo, con la testa china ed inginocchiato a terra.

-Quanta fretta!- sorrise la donna, abbandonando la mano della figlia a cui non riuscivo ancora a leggere ciò che le passava per la testa. Sembrava solo terrorizzata. –Red deve affrontare una prova per poter entrare a far parte del branco. E quale prova migliore di questa? Uccidere un pirata, la feccia dei mari, per dimostrare di essere un vero lupo-.

Deglutii a vuoto, incapace di muovermi. I miei occhi sostarono a lungo in quelli di Red, per comprendere quali fossero le sue reali intenzioni. Ma non riuscivo a percepire nulla, era totalmente soggiogata al volere della madre. L’aveva appena trovata, perché tradirla? Quello era il luogo in cui sarebbe dovuta stare, accettata da chi ne faceva parte. Ma era ciò che desiderava?

-Hai trovato qualcuno in grado di capirti, Red. Ma ricordati che se compirai questo passo, non potrai più tornare indietro- le dissi, per nulla spaventato all’idea di morire.

Forse per mano sua sarebbe stato tutto molto più semplice, addirittura più dolce. Le lancette dell’orologio batterono ferocemente sul petto, come a ricordarmi che il tempo stava ormai volgendo al termine. Mi sarei potuto sacrificare per lei, concedendole di rimanere in un luogo adatto.
Eppure ci fu qualcosa dentro di me che mi chiarificò tutto. Non sono gli altri a dover accettare chi siamo, ma è nostro dovere accettare prima di tutto noi stessi, per poter convivere con il resto dell’umanità.
Quel branco sembrava avere a cuore soltanto la parte animalesca, gli istinti più brutali, senza avere remore per quel briciolo di umanità che avevano solo di aspetto.
Quello era il possibile baratro di Red e come poteva permetterle di perdersi al suo interno?
Corrugai la fronte, avevo preso la mia decisione.

-Non farlo, tu puoi decidere di te stessa. Non lasciarti ingannare, non è questo ciò che vuoi! Uccidere non ti salverà- le dissi con una certa foga, ero riuscito a mettermi in piedi ma Quinn mi assestò un calcio al ginocchio per potermi far cadere di nuovo a terra.

Red si coprì le labbra con le mani, la tensione era giunta al massimo.

-Avanti figlia mia, uccidilo!- insistette la madre, continuando a girarmi attorno –non vedi come cambia idea in fretta? Non puoi fidarti di un uomo simile-

-Non posso ucciderlo, non ci riesco!- le lacrime di Red scivolarono sulle guance, illuminandole gli occhi chiari e carichi di rancore.

La donna parve irritarsi per quella mancanza di iniziativa, tanto che si fermò dietro la mia schiena, afferrandomi un ciuffo di capelli per potermi sollevare con forza la testa e consentire a Red di guardarmi negli occhi.

-Uccidilo, ho detto! Dimostra a te stessa di essere un vero lupo!- il suo insistere non faceva che riscaldare la situazione.

Tutti i presenti non vedevano l’ora di vedermi fatto a pezzi, alcuni di loro sembravano piuttosto eccitati all’idea di uno spargimento di sangue.
Io, visto che ero la preda, non avevo alcun voglia di diventare il pasto di un branco di lupi affamati.

-Non è in questo modo che voglio essere un lupo, preferisco nasconderlo per sempre- continuava a dire Red, mordendosi le labbra con forza per evitare di singhiozzare.

Senza rendermene conto mi feci sfuggire un sorriso, per farle comprendere che stava dimostrando a se stessa di essere forte e di potercela fare.
Non fu però una buona idea perché sua madre, alterata da quel comportamento, strinse ancora più la presa sul ciuffo di capelli.

-Molto bene. Allora lo ucciderò io, così potrai capire che cosa vuol dire far parte di un branco- nel momento in cui tirò fuori un coltello per appoggiarlo alla mia gola, Red scattò in avanti per proteggermi.

Non riuscii a vedere quello che accadde in quella manciata di istanti, poiché mi spinsero di nuovo a terra e nel momento in cui mi voltai, mi accorsi che Red aveva fatto indietreggiare sua madre fino al limite delle colonne, dove sorgeva un piccolo caminetto.

-Ti prego madre, non fargli del male- sussurrò nel tentativo di convincerla.

La donna non la ascoltò e mentre tentò di farsi avanti per spostarla, Red la spinse indietro e questa cadde a terra. Fu allora che si rese conto di esser finita su un’asta di ferro appuntita che si infilò nel corpo. Il sangue le uscì all’angolo delle labbra, macchiandole il mento.
Red cadde a terra al suo fianco, afferrandole la mano che aveva iniziato a diventare fredda.

-Dunque hai scelto lui…- sussurrò con gli occhi colmi di rancore, verso quella figlia che aveva appena ritrovato ma che non era riuscita a conquistare e a portarla dalla sua parte.

-No- pianse Red, asciugandosi lentamente le lacrime –ho scelto me stessa. Io non sono un’assassina- le rispose con una determinazione così grande da scagionare tutto quello che era accaduto.

Non poté nemmeno dare l’ultimo addio a sua madre, che gli altri componenti del branco iniziarono ad avvicinarsi con avversità verso di lei. Quando se ne rese conto si alzò velocemente e corse verso di me, aiutandomi a tirarmi in piedi e a fuggire da quel posto.
Avevo ancora i polsi legati e le gambe mi formicolavano, non ero abituato a rimanere fermo per così tanto tempo. Quando uscimmo all’aria aperta fuggimmo via velocemente, sperando di non esser inseguiti da nessuno. Ma sarebbe stato improbabile, morto il capo di un branco, se ne doveva eleggere subito un altro. La vendetta non doveva far parte del loro mondo.
-Red, fermiamoci. Aiutami a slegarmi, non posso correre in questo modo- insistetti nell’arrestare la corsa, poco sotto l’ombra di una grande quercia.

Lei fermò il passo, senza voltarsi dalla mia parte. Chinò la testa in basso ed ebbi la sensazione che avesse tratto un profondo respiro. Le lacrime continuavano a scivolarle sulle guance. Come biasimarla? Aveva incontrato sua madre e nello stesso tempo le era sfuggita di mano, per salvare uno sciocco pirata che non l’aveva saputa proteggere a dovere.
Si voltò lentamente, stringendo il mantello tra le braccia.

-Mi dispiace per quello che è accaduto- fu l’unica cosa che riuscii a dirle nel momento in cui incontrai i suoi occhi lucidi.

Scosse appena la testa, serrando maggiormente la presa sul mantello. Si avvicinò fino a quando non arrivò sotto il mio viso, senza accennare minimamente a liberarmi da quelle catene.

-Mia nonna ha sempre tentato di nascondere il lupo che è in me. Mia madre desiderava che mi dimenticassi della mia parte umana- i suoi sussurri così vicini iniziarono a bruciare, sentivo i brividi corrermi sulle braccia fino ad arrivare alle orecchie. Corrugò le sopracciglia, portando una mano a sfiorarmi la guancia, accarezzandola lì dove cresceva la barba. –Tu sei stato l’unico ad accettare la mia natura, sia quella umana che quella da lupo. Senza di te non avrei creduto in me stessa, ho imparato che nascondersi non porta a nulla. Ho fatto la mia scelta-.

E come un mare che volge alla tempesta, le sue labbra sfiorarono le mie, preannunciando qualcosa che non sarei riuscito a fermare.
Quel bacio mi avvolse completamente, avvertivo il suo sapore invadermi fino a rendermene schiavo. Durò così poco quel lieve contatto che quando lei fece per allontanarsi, mi sospinsi in avanti per poter riafferrare ciò che desideravo fare mio.
La baciai di nuovo, fino a morderle le labbra, quasi a strapparle per non lasciare che andassero di nuovo via. Il suo profumo riusciva ad inebriarmi e a farmi impazzire, come avevo potuto resisterle fino a quel momento?
Non di meno, Red ricambiava con altrettanta passione, divenne quasi famelica, tanto da circondarmi il collo con le braccia per potermi rinchiudere all’interno dei suoi desideri.
In quel momento non potevo rendermi conto di ciò che stava accadendo, mi sarei dovuto fermare, impedendo a me stesso di andare oltre.
I polsi erano ancora legati e tentavo oltre ogni dire di spezzarne le corde per poterla avvolgere con le mie braccia, per accarezzarla e sentire che sarebbe potuta davvero essere mia.
Ma non riuscivo a liberarmi, costretto a non avvolgerla, a sfiorarla soltanto con lo sguardo e con quelle labbra che scherzosamente iniziarono a sfuggirmi.
Era quella la situazione che avrei dovuto soffrire per sempre. Legato a me stesso, al mio egoismo, che tentavo di liberarmi per poter prendere una strada diversa dal mio passato.
Fermati, Killian. Fermati ora, non spingerti oltre. Questo era ciò che pensavo, a breve le nostre strade si sarebbero divise ed io avrei avuto soltanto una gran pena con me.
Quando quell’attimo di passione si disperse nei restanti baci, Red si decise finalmente a spezzare le corde che mi legavano i polsi, tagliandole con il kriss.
Che solo lei fosse in grado di liberarmi? Da solo non vi sarei riuscito? Se avessi avuto un interprete degli eventi da consultare, sicuramente mi avrebbe risposto di sì.

-Red, questa scelta non ti porterà da nessuna parte- sussurrai parole che non corrispondevano affatto a quello che stavo facendo. Le afferrai il collo, per avvicinarla di nuovo a me e guardarla negli occhi. Iniziai a sfiorarle il mento con il pollice, per poi accarezzarle la guancia con dolcezza.

-Dove vuoi che vada? Io ho scelto di essere me stessa, non esistono luoghi in cui desidero andare. Credevo che non sarei riuscita mai a trovarne uno. Da quando ti ho conosciuto Killian, da quando ho conosciuto tutto l’equipaggio della Jolly Roger, ho trovato una vera famiglia. Mi avete accettato per quella che sono, avete fatto di me molto più che una semplice ragazza di un villaggio sperduto tra le montagne. Nonostante il pericolo  che portavo con me, non mi avete trattata come un mostro. Tutti avete creduto in me, tu stesso mi hai dato la forza per farlo- rispose mostrando un sorriso così delizioso che avrei voluto rubare per poterlo avvertire sulle mie stesse labbra.

Scossi appena la testa, scostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, con una dolcezza che credevo di non possedere.
-Lupacchiotto, non devi innamorarti di chi ti accetta come sei, in questo modo finirai per amare mezzo mondo. Non credo che esista qualcuno che non riesca a vedere in te del buono, anche in ciò che non potrebbe sembrare-.

La sua espressione non fu delle migliori, tanto che si imbrunì gradualmente, con le labbra che si allungarono in una smorfia. Se prima ero riuscito a vederla sorridere con così tanta felicità, ora non era rimasto quasi nulla di quel momento così inebriante. Ero riuscito a rovinare tutto, ma dovevo farlo.

-Non sai quello che dici, Killian Jones. Tu credi che io sia innamorata di te  per il semplice fatto che mi hai accettata nella tua ciurma? Che non mi hai messo al bando come tutti hanno sempre fatto? Ho visto in te ciò che credevo non potesse esserci, qualcosa che forse nemmeno tu sai di avere- la ciocca di capelli che le avevo scostato finì per tornare davanti al viso, coprendole la guancia che avevo smesso di accarezzare.

Ora la distanza tra me e lei iniziava precipitosamente ad aumentare, nonostante fossimo strettamente vicini l’uno all’altra.

-E’ solo di un’ombra e un pensiero che sei innamorata. Non posso darti quello che cerchi [1]- istintivamente portai una mano al cuore, quando la lancetta batté ancora una volta, ricordandomi che la fine era sempre più vicina.

Red chinò leggermente lo sguardo, ora non riusciva più a guardarmi negli occhi, cosa che non era mai accaduta. Forse era la vergogna di un rifiuto o di essersi slanciata verso qualcosa di irraggiungibile che la faceva sentire privata del suo coraggio. 

-Sei tu stesso a credere di essere nient’altro che questo- si sfiorò un braccio, stringendosi in se stessa –comprendo però che tu abbia a cuore un’altra donna, il ricordo di Milah deve essere accecante. In fondo hai donato i tuoi anni di vita per lei, giustamente è ora che tu li riprenda, insieme a colei che ami-.

No, non l’amavo più. Non come prima almeno. Milah aveva rappresentato quel tipo di amore passionale che dura un momento, un istante così lungo da non poterne sopportare la perdita. Lo avevo capito già da qualche tempo, ma nonostante ciò avevo bisogno di riaverla, per fare in modo che il mio sacrificio fosse valso a qualcosa.
Proteo aveva avuto ragione, così come Christian. Anche io ne ero consapevole, ma volevo proteggere Red fino alla fine, per evitare che il dolore fosse troppo forte.
Allontanarla da me sarebbe stato l’unico modo per salvaguardarla da quel che avrei fatto in futuro. Se avessi acquistato i miei perduti anni di vita, avrei condotto una vita pericolosa e poco dissimile da quella del mio passato.
Se invece non ci fossi riuscito, sarei morto. In entrambi i casi non potevo essere libero di legarmi a lei, nemmeno per quel breve momento finché non ci saremmo divisi.
Certo, avrei potuto lasciarmi andare e non rifiutarla, ma per una volta volevo mettere da parte i miei desideri. Per una volta volevo dimostrare a me stesso che poteva esistere una persona a cui tenevo più che ad ogni altra.
Quella era la volta per farlo, proteggerla ad ogni costo era ciò che volevo.

-Sarà meglio incamminarsi, Proteo potrebbe pensare che sia accaduto qualcosa. Meglio non farlo preoccupare- tentai di dirlo con un sorriso appena accennato, per non farle capire che ero alquanto addolorato.

Freddo, calcolatore, persino approfittatore. Questo doveva credere di me perché potesse allontanarsi.
Lei, di rimando, non pose alcuna obiezione a riguardo. Dignitosamente sciolse il mantello e lo indossò, posandolo sulle spalle, infilando il cappuccio sulla testa per coprire lo sguardo accigliato.

-Spiegami perché non ti sei fermato, quando ti ho dato quel bacio- disse con voce rauca, mentre prendeva a dirigersi verso il sentiero dritto che avevamo davanti a noi.

Sarebbe stato difficile da spiegare, arrivati a quel punto. Certo Killian, perché non ti eri fermato? Perché avevi insistito?
-Sai bene che ho sempre avuto un debole per te- mi corressi immediatamente –per tutte le belle donne in genere. Non ti stupire, era da tanto che aspettavo una tua mossa- mi augurai di sembrare convincente.

Red non rispose, limitandosi a stringersi nelle spalle. Io la seguii, evitando accuratamente di parlare per buona parte del sentiero, così da non incorrere in altre problematiche simili.
Qualcosa però confermò quei pochi dubbi che mi erano rimasti: Red mi conosceva più di quanto io potessi immaginare.

-Killian, posso dirti una cosa?- mi domandò, questa volta cercando il mio sguardo. Mormorai un sì preoccupato e proseguì –Non sei davvero in grado di mentire- e mi lanciò un sorriso inaspettato.

La perplessità che provai in quel momento mi fece sgranare gli occhi, incredulo per quello che le avevo sentito dire. Che avesse compreso cosa stavo cercando di fare? Che volevo proteggerla e tirarla fuori da un mondo che non le si sarebbe mai adattato?
In modo così inspiegabile, finimmo per parlare tutta la notte, come se non fosse accaduto assolutamente nulla. Io mostravo la mia premura con naturalezza, lei non sembrò più adirata od infastidita dal mio rifiuto.
Se fosse stata un’altra donna probabilmente non mi avrebbe rivolto la parola per qualche giorno. Ne avevo conosciute tante in questo mondo ma nessuna era riuscita a rivelarsi importante quanto lo era diventata Red.
La sua energia, il suo coraggio, la sua empatia erano sempre presenti. Il suo sorriso era in grado di riempirmi il cuore, ma non era ancora giunto il momento perché questo fosse davvero possibile. 









Note: 

[1] Immagino che tutti abbiate capito che questa è la frase che Aragorn dice ad Eowyn :D.







/// Nda: 

Ed ecco qui QUEL capitolo, quello che si aspettava con ansia. Un pò ci sono rimasta male per la reazione di Hook (e voi direte giustamente che l'ho scritto io, quindi perchè lamentarsi?) ma era inevitabile, non è ancora pronto per impegnarsi davvero con Red che è molto più matura di lui al momento. Ma potete stare tranquille ragazze, capirà molto meglio tra qualche capitolo quanto non possa fare a meno di lei. 
Dal prossimo ci troveremo da Biancaneve! 
Grazie ancora per chi mi segue e grazie ad Ally M per aver trovato questa splendida immagine sulla Captain Wolf! 

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Capitolo 18
*** Il palazzo di Biancaneve ***






XVIII. Il palazzo di Biancaneve









Avevamo raggiunto il Palazzo di Biancaneve e del Principe James in poco tempo, attraversare la Foresta Incantata non ci aveva creato altri problemi.
Certo, Red era ancora visibilmente sconvolta per quel che era accaduto. Trovarvi sua madre e perderla subito dopo l’aveva devastata, ma credo che si trattasse più di una mia opinione.
Avevo l’idea che lei fosse inguaribilmente sensibile e che potesse scottarsi al minimo accenno di sole.
Ma non era così, Red era forte e usava le sue lacrime solo quando ve ne era bisogno. Non le tratteneva nei momenti giusti, non ne abusava quando era ora di smettere.
Avrei desiderato anche io quel controllo dell’emotività che non mi apparteneva per niente.
Vendetta, vendetta, soltanto vendetta. Questo era ciò che volevo più di ogni altra cosa al mondo. Avrei sistemato ogni cosa, avrei ripreso Milah e anche la mia dignità. Chissà, forse avrei giustiziato Spugna, tanto per fargliela pagare.
Ma quel desiderio iniziava a scemare, come se al momento fosse mutato, era più una sensazione che una vera e propria certezza.
Chi volevo prendere in giro, non potevo cambiare, non dopo così tanto tempo. Avevo il cuore nero e pieno di ombre, non mi era più possibile risollevarmi e tornare alla luce. Certi sogni appartengono solo ai grandi ed io non ero che un piccolo puntino nel mondo.
Quando uscimmo dalla Foresta per inoltrarci nel paese antistante al Castello, udimmo l’ululato di un lupo a poca distanza da noi, sembrava provenire da uno dei vicoli più interni.
Sorrisi a mezza bocca, scuotendo il capo.

-Christian aveva detto che avremmo riconosciuto la sua posizione una volta entrati in città- comunicai a Red sbalordita per quello strano modo di fare.

L’ironia della questione la fece sorridere, ma non troppo. Aveva ancora un grande peso da portare sulle spalle ed ebbi il dubbio che non si trattasse soltanto della perdita della madre, ma di quello che era accaduto tra noi.
Il flusso dei miei pensieri terminò quando Proteo sbucò alle nostre spalle e vi posò le mani per aiutarci a trovare la strada adatta.

-Finalmente, dove vi eravate cacciati? Siamo stati in pensiero, credevamo fosse accaduto qualcosa di spiacevole- disse mentre ci conduceva nel vicolo.

-Mi avete lasciata da sola con il Capitano, era piuttosto ovvio che dovessimo affrontare qualche disavventura- sorrise Red lasciandosi guidare verso l’altro dei compagni che era in loro attesa.

-Hai ragione, dovevi venire con noi e avremmo dovuto lasciare il Capitano da solo, sicuramente ti avrà fatto passare grandi guai- scherzò Proteo, senza notare la tensione in cui mi ero avvolto.

-Che razza di ingrati…- mormorai fintamente infastidito dal loro discorso.

Quando ci riunimmo con Christian, Proteo ci liberò dalla sua presa, così potei allontanarmi il più possibile da Red la cui vicinanza intaccava troppo il mio stato d’animo.
Ci riferirono che Biancaneve era a  Palazzo e che Tremotino si trovava davvero nelle segrete, ma che era impossibile per lui uscirne o praticare una qualche magia per spezzare l’incantesimo.
Da fuori si poteva entrare in contatto con la cella, dall’interno vi era una difesa estrema per evitare che Tremotino tentasse di uscirne.
Questo era ciò che mi serviva, non avevo bisogno di altro. La Regina di Cuori mi aveva insegnato a strappare i cuori altrui, così da poter ottenere ciò che desideravo al momento debito. Tutto sarebbe andato secondo i piani, dopo quel viaggio così lungo e faticoso non sarebbe potuto essere altrimenti.
Ci  incamminammo prontamente verso le scale che conducevano al Palazzo, non in pochi ci osservavano percorrerle, in fondo non passavamo inosservati, soprattutto un uomo con l’uncino al posto della mano.
Mi ero creato una fama abbastanza nota, senza Red non mi sarei potuto avvicinare a quel posto alla luce del sole, non era per questo che ero giunto fin lì con lei?
Proteo mi aveva chiesto di mantenere il silenzio riguardo al suo nome, non voleva far conoscere la propria identità, per motivi di riservatezza.
O forse per il semplice fatto che non si trovasse più a suo agio in luoghi simili. Ma non credevo affatto che fosse così.
Quando giungemmo all’entrata del Palazzo, vi fu qualcuno ad uscire dalla grande porta d’ingresso. Un giovane ragazzo dalla barba chiara e curata che stringeva tra le mani un lungo arco con tanta disinvoltura.
Quasi non finì per scontrarsi con Christian, che immediatamente iniziò ad attaccar briga.

-Fate attenzione! Questo farsetto mi è costato un occhio della testa- gli disse ripulendolo e sistemandoselo.

-Non che vi doni particolarmente…- rispose senza il minimo tentennamento ed avrebbero continuato entrambi a scambiarsi battute velenose, se Red non fosse intervenuta.

-Graham!- esclamò facendosi avanti per raggiungerlo e sfiorargli il braccio, di modo che terminasse la discussione con Christian.

Non mi piacque il modo in cui le rivolse quello sguardo, non mi piacque affatto. Gli occhi nocciola si illuminarono nell’incontrare il viso di Red, come accade nel rivedere una vecchia amica. Non solo, la tensione che si era appena formata tra i due pareva ancora più profonda, dovevano aver attraversato una parte della loro vita insieme, magari anche solo un accenno.
Non avevo dubbi che il loro legame fosse strettamente collegato a Biancaneve, ma in qualunque caso, continuava a non piacermi.
Graham, come lei lo aveva appena chiamato, abbandonò le parole di Chirstian al vuoto e afferrò una mano di Red per potersela avvicinare, come a volerla estrarre dal restante trio.

-Red, ti abbiamo cercata per così tanto tempo!- disse il cacciatore, non accennando a lasciare la presa su di lei.

Red parve intimidita da quelle parole, ma avevo intuito quasi tutta la storia. Doveva essere accaduto qualcosa per cui aveva messo in pericolo i suoi amici, per questo se ne era andata.

-Non potevo rimanere qui, lo sai bene. Ho messo a rischio la vita di tante persone, soprattutto di quelle a cui volevo bene- ricambiò la stretta agganciandosi al suo polso, come se desiderasse essere salvata.

Per una volta la mia scelta era stata giusta. Rifiutandola le avevo dato la possibilità di aprire una nuova possibilità di vita, rimanendo accanto a qualcuno che sembrava tenere a lei. Per quanto mi infastidisse l’idea che quella persona potesse prendere il mio posto, non potevo intromettermi né mostrare una qualche sorta di gelosia immotivata.
Red aveva bisogno di amici, di qualcuno che si prendesse cura di lei. Io non potevo darle nulla di tutto questo e mi sarei dovuto tirare indietro il prima possibile, perché chiudesse quella breve parentesi della sua vita.
Graham la tirò verso di sé, tornando ad osservare noi, di certo avrebbero parlato più tardi. Non era particolarmente entusiasta di averci tra i piedi, lo si notava sin troppo bene.

-La tua fama ti precede, Capitan Hook- mi rivolse finalmente la parola, iniziavo ad annoiarmi di non essere al centro dell’attenzione. Osservava con attenzione l’uncino che non mancavo mai di nascondere.

-Ciò che si dice di me deve essere spaventoso- sogghignai, come a volerlo sfidare –almeno me lo auguro-.

Graham non apprezzò il mio senso dell’ironia e strinse gli occhi in due fessure, ricambiando la sfida silenziosamente. Aveva intuito che fossimo in stretta compagnia con Red e per far piacere alla sua vecchia amica non si sarebbe intromesso.

-Perché siete arrivati sin qui? Non è il luogo adatto a voi- disse passando lo sguardo su noi tre che eravamo rimasti sulle ultime scale, mentre Red era salita accanto a lui.

-Non abbiamo intenzione di rimanervi, Cacciatore. Red ha stretto un accordo con me e l’ho condotta qui, inoltre c’è un favore che dobbiamo chiedere alla tua Regina- risposi cortesemente, alzando gli occhi nei suoi, intimandolo di farci passare senza opporre tante questioni inutili.

-Dice il vero Graham. Sono qui con me e possiamo fidarci, mi hanno aiutata, senza di loro non ce l’avrei fatta- aggiunse Red nel tentativo di convincerlo, doveva esser un vero osso duro, testardo abbastanza da incaponirsi.
Ma Red doveva avere un ascendente particolare su di lui.

E poi, possiamo fidarci? Perché usava il noi? Mi inumidii le labbra, decisamente infastidito da quel cambio di punto di vista. Red era così adatta a quel mondo che già vi si era adagiata, lasciando il nostro in disparte. Persino Proteo e Christian sembrarono stupiti da quel comportamento così distaccato, fino ad allora Red era stata una di noi, dimostrandosi tale per tutto il viaggio. Ora era ritornata ad essere una ragazza qualunque, di un qualunque regno, al servizio di una qualunque regina.

-Stringere un accordo con un pirata, che ti è venuto in mente?- le disse Graham, senza considerare la nostra possibile sensibilità. Tornò a guardarci, dopo averla messa alle strette, rivolgendoci uno sguardo per nulla contento. –Ciò che dovete chiedere voi tre a Biancaneve non mi riguarda, ma vi terrò d’occhio-.

Christian storse appena le labbra, decisamente infastidito.
-Per carità, non ho quel tipo di tendenze-.

Dovetti trattenermi per non scoppiare a ridere, soprattutto perché Graham si era infastidito così tanto da slanciarsi verso di lui, probabilmente per togliergli il sorriso dalla faccia. Red lo fermò in tempo afferrandolo per il braccio, così da riuscire a calmarlo.
Era incredibile il modo in cui lei fosse in grado di illuminare gli altri, conducendoli sulla retta via.

-Graham, ti prego. Biancaneve non sarà felice di sapere che i suoi ospiti sono stati lasciati fuori dalla porta così a lungo, soprattutto dopo il lungo viaggio che hanno affrontato- cercò di convincerlo e ci riuscì.

Insisteva ancora nel dividere il noi dal loro! Come poteva? Si era già lasciata alle spalle quello che era accaduto? Stupido che ero nel pensare una cosa simile. Avevo fatto di tutto per allontanarla da me e tentare di non farla soffrire eccessivamente ed ora mi stupivo che si stesse lasciando andare verso una strada diversa?
Strinsi il pugno considerevolmente. Ma perché stare così vicino a quello sciocco? Insomma, tra tutti quelli che poteva avere, proprio lui! Lo detestai all’inizio, continuai a farlo per tutto il mio soggiorno alla Foresta Incantata.
Dopo quella breve discussione poco amichevole, Graham decise di farci entrare e di condurci alla sala di ricevimento dove Biancaneve era abituata ad attendere i propri ospiti, anche se questa volta non si aspettava di ritrovare un’amica insieme a dei pirati.
Di tanto in tanto sollevavo gli occhi in alto, osservando la bellezza del Palazzo reale, soffermandosi sugli arazzi lasciati ricadere sulle pareti ad abbellire i lunghi corridoi.
Una vita del genere non mi sarebbe piaciuta, troppo spazio, il mio ego vi si sarebbe accomodato a dismisura.
Graham andava avanti insieme a Red che gli stava accanto, a volte si scambiavano sguardi complici e le risate dolci che ne susseguivano mi facevano ribollire il sangue.
Christian continuava a ripetermi che ero stato uno stupido a lasciarmela scappare e che con quel damerino non avrei avuto possibilità.
Lo zittii tirandogli un pugno sulla spalla. Ma Proteo pareva aver compreso che la situazione non era così semplice.

-Capitano, dite la verità, ne avete combinata una delle vostre?- mi domandò in un sussurro.

-Che intendi con questo?- alzai gli occhi al cielo –Non ho fatto proprio nulla. Ho solo chiarito una questione piuttosto importante-.

Proteo scosse leggermente il capo, sbuffando.
-Mi sembrava che fosse accaduto qualcosa di particolare, Red non è mai stata così distaccata prima d’ora-.

-Ti sbagli Proteo, ha solo ritrovato il suo posto- dirlo ad alta voce aveva tutto un altro effetto.

Finalmente giungemmo nella sala di ricevimento, il Principe James non aveva ancora fatto ritorno da un breve viaggio al confine del regno, aveva lasciato Biancaneve da sola ad amministrare le problematiche del Palazzo. Un’ottima notizia, avrei avuto più libertà di movimento.
Quando entrammo vedemmo Biancaneve affacciata ad una delle grandi finestre, con il viso illuminato dai raggi del sole che filtravano tra le tende leggere.
Era davvero come la sua fama affermava, bellissima e probabilmente anche buona ed onesta. Forse per questo si sarebbe lasciata convincere dalle nostre apparenti buone intenzioni.
Quando volse gli occhi verso di noi, si illuminarono e con un’espressione assolutamente sorpresa, si mosse in avanti muovendo l’abito scintillante in fretta.

-Red!- accelerò il passo fino ad arrivare da lei per prendere le mani tra le sue e stringerle con profonda amicizia –Non posso credere che tu sia qui, sana e salva. Ti abbiamo cercata per così tanto tempo, siamo stati in ansia per te!-.

Red di rimando si sporse fino ad abbracciarla in uno slancio di affetto, doveva molto a Biancaneve, almeno per quello che mi aveva raccontato.

-Perdonami se sono fuggita, ma rimanere sarebbe stato deleterio per tutti-  rivolse uno sguardo sia a lei che a Graham, che sembrava intenzionato a non perderla di vista nemmeno un attimo.

Biancaneve fece un segno di diniego, ricambiando l’abbraccio ancora incredula per aver ritrovato la propria amica. Le sorrise, sfiorandole una guancia.

-Deleterio! La tua presenza non sarebbe mai potuta essere deleteria, lo avresti dovuto capire. Ma ora sei tornata, mi racconterai tutto in un secondo momento, vedo che hai portato degli ospiti con te- nonostante sembrasse totalmente assorta nel rivolgere le proprie attenzione a Red, si era accorta di noi tre che eravamo rimasti in disparte.

-Pare che siano qui per chiedervi un favore, mia Signora- si inchinò Graham, dopo aver preso la parola.

Ed ecco che sarebbe iniziata la messinscena, avrei dovuto abbandonare i panni del pirata per trasformarmi in un gentiluomo, quale sapevo essere decisamente bene.
Mi avvicinai, distanziandomi dal gruppo, per potermi avvicinare alla sovrana ed inchinarmi con un’eleganza ricercata.  Le presi la mano e gliela sfiorai con le labbra.

-E’ così, abbiamo affrontato un lungo viaggio solo per avere udienza da voi- le dissi mentre nascondevo l’uncino dietro la schiena, era un peso così forte da essere proprio quello a farmi ricadere nella disonestà.
Ma si era accorta dell’arto mancante prima che potessi nasconderlo.

-Killian Jones, meglio conosciuto come Capitan Hook. Ho sentito parlare molto di voi, alcune storie sono decisamente avvincenti- si rivolse con un sorriso estremamente gentile, ma al tempo stesso era fiero ed attento, come se stesse studiando ogni mio movimento.

Ricambiai il sorriso nel modo più affabile possibile. Subito dopo iniziai a raccontarle del motivo per cui mi trovavo a chiederle aiuto.
Ovviamente narrai soltanto una parte della storia, quella in cui mi dimostravo un cavaliere dell’amore perduto, avendo donato i miei anni di vita alla donna che amavo.
Sembrò stupita nell’ascoltare una storia simile, di certo doveva provare lo stesso tipo di amore per il principe James, perciò poteva comprendere la scelta che avevo fatto.
Al tempo stesso rimase sensibilmente colpita dal fatto che non avevo riflettuto sulla mancanza del cuore di Milah.
Dunque cosa ero lì a fare? Tremotino poteva aiutarmi a riottenere gli anni di vita che avevo perduto e avevo bisogno di parlare con lui per tentare di salvarmi.
Graham, dopo aver ascoltato la mia storia, mi lanciò uno sguardo carico di dissenso. Potevo leggerglielo negli occhi.
“Prima doni la tua vita ad una donna e poi cerchi di riprendertela ad ogni costo?”.
Suonava decisamente male. Ma io ero esattamente così, i sacrifici che compievo non per forza dovevano risultare tali fino alla fine e se esisteva una soluzione tentavo in ogni modo di coglierla.

-La vostra storia è avvincente- disse Biancaneve, ponderando con attenzione la situazione –ma non so se posso concedervi tanto. Tremotino è un elemento pericoloso, con fatica cerchiamo di tenerlo  a bada, non sappiamo mai che cosa potrebbe avere in mente- sfiorò appena il ventre leggermente rigonfio.

Fino a quel momento non avevo notato che Biancaneve fosse in un inizio di gravidanza. Non che cambiasse la situazione, in effetti, era soltanto una pura considerazione.
Non ebbi il tempo di replicare, che continuò.

-Tuttavia mi dispiacerebbe non perorare la vostra causa, poiché siete arrivato fin qui a chiedermi aiuto. Nonostante ciò che si dice su di voi, avete un animo buono, so riconoscerlo quando ne vedo uno- mi concesse un mezzo sorriso.

Un animo buono, ma corrotto dalle ombre.

-Come posso convincervi, mia Signora?- le domandai alla fine, per saltare in fretta alle conclusioni.

Biancaneve si strinse nelle spalle.
-Certo, se vi fosse qualcuno a garantire per voi, potrei anche…-

-Lo farò io, Biancaneve- intervenne Red, facendosi avanti –ho trascorso abbastanza tempo con il Capitano Hook per poterti assicurare che non ci farà alcun male. Puoi fidarti di lui, inoltre anche io ho bisogno dell’aiuto di Tremotino- si voltò per farle vedere lo squarcio creatosi sul mantello.

Biancaneve si fidava delle parole di Red, nonostante fosse ancora incerta, dovette consentirmi la possibilità di incontrare il prigioniero.
Avrei però dovuto attendere il ritorno del principe James che mi avrebbe scortato nelle celle sotterranee, per assicurarsi della mia lealtà.
Non posi alcuna obiezione, di certo sarei andato via anche prima del suo ritorno. Avrei dovuto agire più in fretta di quanto pensassi, ma in fondo andava bene, dovevo lasciare la Foresta Incantata il prima possibile.
Così Biancaneve ci congedò, chiedendo di rimanere da sola con la sua amica. Non opponemmo resistenza ed io, Proteo e Christian ci allontanammo dalla sala scortati da Graham che aveva ancora l’arco appoggiato alla spalla.
I miei compagni non avrebbero avuto una stanza a disposizione nel Palazzo, si sarebbero rifugiati nelle cucine o negli spazi predisposti alla servitù.
Mi era stata concessa una piccola stanza dove avrei potuto attendere l’arrivo del principe, poi sarei potuto partire. Una misera stanza in un Palazzo così grande! D’altronde cosa mi aspettavo? Ero un pirata ed anzi, dovevo accontentarmi di esser riuscito a trovare un posto comodo all’interno del luogo del misfatto.
Quando mi divisi da Proteo e Christian, Graham si avvicinò, sostando davanti alla porta della mia stanza. Inarcai un sopracciglio, chiedendogli cosa desiderasse ancora.

-Biancaneve ha un cuore d’oro, la sua gentilezza molto spesso è cieca- mi afferrò per il colletto della camicia nel tentativo di minacciarmi –cerca di non tradirla o te la vedrai con me-.

-Giuro, sto morendo di paura- accennai ad un mezzo sorriso, prima di scacciargli via la presa –rilassati, Cacciatore, non ho intenzione di fare nessun passo falso-.

Non ci scambiammo più alcuna parola, almeno per quel momento. Mi lasciò entrare nella stanza a disposizione, senza accennare a disturbarmi. Dovevo fare attenzione, sembrava aver intuito che qualcosa non andasse e il fatto che non ci piacessimo rendeva la questione ancora più difficoltosa.
Ma ce l’avrei fatta, ormai Tremotino era a pochi passi da me. Avrei compiuto la vendetta che mi spettava.









// Nda: 

Poco a poco ci avviciniamo alla fine, non credo di superare il capitolo 22, al massimo però dovrei rientrare entro il 23 per volgere alla conclusione. 
Ringrazio come sempre tutti i lettori e coloro che hanno inserito la storia tra le seguite. Questo capitolo è un pò di passaggio infatti non mi piace per niente, ma è piuttosto ovvio xD non sono mai convinta. 
L'immagine di copertina è un'illustrazione di BlackFool in cui è rappresentata Red in versione pirata! 
Per chi poi volesse vedere l'album dei personaggi presenti nella storia, li ho inseriti tutti qui, anche se li conoscete già :P : 
https://www.facebook.com/giulia.esse.7/media_set?set=a.623813604319729.1073741829.100000732860484&type=3

A lunedì prossimo! 

 

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Capitolo 19
*** Il Coccodrillo ***


XIX. Il coccodrillo








Disteso sul morbido letto della mia camera osservavo il soffitto stancamente. Com’era noiosa quella vita così sedentaria, colma di discorsi e riflessioni per cui non trovavo alcun interesse. Avevo trascorso solo un pomeriggio al Palazzo e già non vedevo l’ora di andare via. Una prigione con morbidi materassi, non era nient’altro.
Avevo preferito rimanere da parte, chiuso nella mia stanza, per evitare di incontrare di nuovo Graham con il suo sguardo provocatorio. In realtà mi nascondevo soprattutto da Red che non desideravo vedere.
Parlarle sarebbe stato difficile e non mi piaceva rimanere senza parole.
Ma la segregazione iniziava ad infastidirmi, in fondo una passeggiata nei giardini non sarebbe stata una grande prova. Sarei scivolato fin lì cercando di non farmi vedere da nessuno, avrei studiato i passaggi migliori per arrivare alle segrete del Palazzo e poi sarei tornato nella camera, attendendo la notte per affrontare faccia a faccia la mia vendetta.
Scesi giù dal letto, montando l’uncino al polso per poi rivestirmi con il soprabito ed uscire dalla porta.
Percorrere quei corridoi era quasi debordante, mi era difficile muovermi con facilità, ma fortunatamente avevo una memoria visiva sviluppata ed ero in grado di ricordare i particolari che avevo impresso nella testa per non rischiare di perdermi.
Con non poca difficoltà finii per arrivare ai giardini del Palazzo, ove emergevano alte fontane colme d’acqua a seguire una linea retta costituita ai lati da alberi rigogliosi e freschi. Conducevano fino ad una piazzola con la fontana più grande di tutte, ove alcune statue emergevano angelicamente verso l’alto.
Mi diressi proprio verso di essa per cercare un po’ di refrigerio, quando vi arrivai, mi chinai per osservare il mio riflesso.
Gli occhi blu emergevano con tutto il buio che portavano con sé. La barba iniziava a diventare incolta, avrei dovuto sistemarla il prima possibile, detestavo quando faceva quel che voleva.
Distolsi lo sguardo dal riflesso quando udii alcune voci in lontananza, circolavano più avanti su un sentiero di pietre bianche che portava ad un viale alberato ai cui lati correvano lunghi cespugli geometrici.
Mi resi conto che una delle voci apparteneva a Red, avrei potuto riconoscerla ovunque. Mi diressi da quella parte cercando di non farmi vedere e mi accorsi che il suo accompagnatore era proprio il Cacciatore.
Digrignai i denti, ma non feci nulla. Mi limitai a seguirli, finché non si accomodarono su una panchina all’ingresso del piccolo viale. Così mi fermai dietro al muro di cespuglio, per ascoltare le loro parole.

-Mia nonna quindi sta bene, puoi garantirlo?- gli domandò Red con voce preoccupata.

Riuscivo ad intravedere oltre i rami del cespuglio meno fitto i loro movimenti e persino i loro sguardi, o gran parte fu la mia immaginazione a caratterizzare quel momento.

-Sì, dopo che sei andata via sono tornato al villaggio per comunicarle la notizia. Non l’ha presa molto bene, mi ha rinfacciato di non esserti stato accanto in un momento difficile- scrollò le spalle Graham.

Red chinò appena il capo, facendo scivolare i lunghi capelli neri davanti al viso.
-Io passo sempre momenti difficili- sorrise per tentare di toglierlo dall’imbarazzo delle scuse.

Dunque erano così vicini l’uno all’altra, lei e Graham? Da quel che ne sapeva, Red aveva ucciso Frederick. No, Luke? Keith…no, come accidenti si chiamava? Peter! Ecco, me l’ero ricordato. E se fosse andata via dalla Foresta Incantata per evitare a Graham la medesima fine? Corrugai la fronte, indispettito all’idea di vederli insieme. Strinsi i pugni considerevolmente, cercando di calmarmi. Avevo preso la decisione giusta e andare via avrebbe significato darle una possibilità di riniziare, non con me, ma con lui.

-In effetti non ti sei scelta nemmeno una buona compagnia per ritornare qui. Come hai potuto fidarti di un pirata?- le domandò ancora incredulo per averla vista in mia compagnia.

Che accidenti voleva dire con quell’allusione? Cos’è, ora i pirati sono rinomati solo per essere dei disonesti? Deglutii, in effetti sì. Ed io iniziavo ad innervosirmi così tanto da avere pensieri sconnessi tra loro.

Red rise di gusto di fronte a quella domanda.
-Mi sottovaluti troppo Graham! Sono un lupo, so difendermi piuttosto bene, non ricordi?-.

Ammiccava. Stava ammiccando? Dovetti tirar via un gran sospiro per evitare di farmi ribollire il sangue nelle vene, ma era difficile, più difficile di quanto potessi immaginare.

-Sei una ragazza particolare, immagino che tu non abbia avuto troppi problemi a bordo di una nave. Se così non fosse…- strinse la mano con vigore.

Red scosse la testa.
-Non ho avuto alcun tipo di problema Graham, puoi stare tranquillo. Inoltre ti chiedo di non insistere più sulla questione di fiducia verso Hook. Posso garantire per lui, ho avuto modo di conoscerlo in questi tre mesi e ti assicuro che non è quel tipo di uomo che vuol far sembrare a tutti gli altri-.

-Mi fido del tuo intuito, ma come possiamo essere certi che non ci giocherà qualche brutto scherzo? Le storie che circolano su di lui fanno quasi paura- rispose poco convinto.

-E’ solo apparenza, ma Killian ha dimostrato di avere un cuore e di conoscere i valori della morale comune- sussurrò.

Ebbi un fremito di fastidio all’altezza del cuore, dove sorgeva l’orologio assieme alle lancette che continuavano a girare lentamente, troppo lentamente.
Non era un senso di colpa quello che sentivo risalire fino alla gola, vero?

-Aspetta un attimo…- mormorò Graham –non ti sarai invaghita di lui?- pronunciò quella domanda folgorandola con gli occhi.

Red si alzò immediatamente in piedi, mostrandogli uno sguardo imbarazzato e scostante.
-Cosa ti viene in mente, Graham!- incrociò le braccia al petto, come faceva sempre quando era adirata
-Non provo niente per Killian, niente di avvicinabile a quello che credi. Ho iniziato a provare stima per lui, ma nient’altro-.

Graham aggrottò le sopracciglia, alzandosi lentamente per poterla guardare meglio e indagare davvero la sincerità delle sue parole.
-Però lui sembra essersi affezionato a te, o sbaglio?-.

-Non è così- mormorò a denti stretti –Killian tiene soltanto a se stesso e non è in grado di amare qualcuno di diverso da lui. Il suo egoismo va al di là di qualunque sentimento. Vive nel suo mondo, crogiolandosi in problematiche che non riguardano gli altri e non si cura di ciò che avviene all’esterno. Se un tempo era riuscito ad amare qualcuno, temo che ora non vi sia rimasto nulla se non dolore ed ostinazione- cacciò dalle labbra quelle gelide parole.

Per un attimo mi mancò il respiro. Dunque era questo ciò che Red pensava di me? Che fossi soltanto un povero egoista incapace di amare? Io avevo dato tutto me stesso per amore, avevo rinunciato alla mia vecchiaia, alla vita stessa!
Se avevo ancora dubbi sul strappare il cuore a Tremotino, ora non ne avevo più alcuno. Avrei preso ciò che mi spettava e sarei andato via per sempre, via dalla vita di Red.

-C’è…c’è qualcosa di strano nell’aria, come se non fossimo soli- sussurrò Red, fiutando intorno a sé.

Aveva sentito il mio odore. Mi distaccai subito dal muro di cespuglio e ritornai in fretta sui miei passi, senza badare alla possibilità di essere scoperto.
La rabbia mi montava in corpo e non ero intenzionato a rimandare di un solo istante ciò che dovevo fare.
Una volta tornato al Palazzo evitai qualunque tipo di incontro, anche se mentre facevo ritorno nella mia stanza avevo udito alcuni elementi della servitù sussurrare del ritorno del Principe e del suo malcontento riguardo alla mia presenza.
Non avevo alcun dubbio, di certo non era una sorpresa.
Incredibilmente fui invitato alla cena come un ospite di riguardo, ma dovetti declinare per ovvie ragioni, inventando la scusa dei miei uomini fuori dal Castello e che non avrei potuto lasciarli scorrazzare da soli per la città durante la notte.
Sicuramente tutti furono più sollevati nel sapere che non sarei stato presente alla cena, io avrei anche evitato di incontrare Red, motivo in più per non andare.
Attendere la notte fu più dura di quanto potessi credere, mille pensieri mi affollavano nella testa e non riuscivo a dare alcun senso a nessuno di essi.
Mi affacciai alla finestra e quando vidi che la luna era ormai alta nel cielo, decisi di agire. Sfruttai la mia memoria visiva per avvicinarmi all’entrata delle segrete, dovetti fare molta attenzione, alcune guardie erano posizionate anche all’interno del Palazzo e non solo sui torrioni, sarebbe stato ancora più difficile.
Ma non avevo mai avuto molti problemi con loro, erano sempre così tesi da non far mai reale attenzione, soprattutto quelle all’interno.
Christian mi aveva procurato un sonnifero da applicare su un fazzoletto così da poter addormentare chiunque volessi senza spargere sangue.
In realtà, prima di recarmi dove desideravo, decisi di seguire il corridoio fino all’ala ovest del Palazzo in cui risiedeva la camera di Red. Quante sciocchezze, mi avevano addirittura riservato una stanza dall’altra parte per potersi assicurare che non combinassi qualche guaio nell’ala in cui riposavano i regnanti e gli ospiti più importanti.
Mi sarei dovuto sentire decisamente offeso, ma non era il momento adatto.
Prima di andare via volevo fare una cosa su cui avevo riflettuto, avevo rubato a Red il denaro che si era messa da parte per far ritorno alla Foresta Incantata e lei me lo aveva lasciato in cambio di poterla trasportare fin lì con la mia nave.
Mi aveva aiutato, mi aveva aperto gli occhi su molte questioni. Eppure sentivo di non poter tenere quel denaro, come se non vi dovesse essere alcun pagamento per il favore che le avevo fatto.
Ora che ero davanti alla sua porta però non ero più certo di volerglielo restituire. In fondo, non era qualcosa che ci teneva legati, quel sacchetto pieno di monete? Un patto, un accordo amichevole e molto semplice. Restituirglielo per intero avrebbe voluto dire spezzare l’ultimo legame che ci univa.
Mi inumidii le labbra e presi la mia decisione: tirai fuori una delle monete sulla cui faccia era raffigurato un veliero e la lasciai sotto la porta, cosicché potesse trovarla al suo risveglio.
Sfiorai la porta con l’indice della mano, come ultimo saluto. Poi mi allontanai per tornare a fare ciò per cui ero arrivato fin lì.
Riuscii ad introdurmi nelle segrete, lasciando cadere in un sonno di qualche ora le sentinelle e le guardie che erano stanziate lungo tutto il mio percorso.
Agire di nascosto mi riusciva piuttosto bene.
Sembrava che non vi fossero altri prigionieri, anzi con ogni probabilità doveva esservi solo Tremotino in quelle stanze sotterranee e la cosa non mi stupì affatto.
Ai lati delle pareti vi erano delle torce accese, ne afferrai una per vedere meglio la strada che stavo prendendo. Feci fuori qualche guardia con il sonnifero e poco a poco iniziava ad intravedersi la cella nella quale vi sarebbe dovuto essere il Coccodrillo.
Non ci volle molto ad arrivarvi, tant’è che mi ritrovai subito davanti alla gabbia costruita appositamente per il mostro che era.

-Hai impiegato parecchio tempo per arrivare qui- la sua voce squillante mi risuonò alle orecchie, mentre gli occhi umidi e lucidi si fecero vivi nel buio della cella –ti stavo aspettando- una risata inquietante gli uscì dalle labbra, mentre saltava giù per potersi avvicinare.

-Immagino che tu conosca i motivi che mi hanno spinto ad trovarti-  feci qualche passo avanti, corrugando la fronte quasi all’inverosimile, con le sopracciglia aggrottate che mi conferivano un’espressione ombrosa e ostile. Il fuoco della fiamma che ardeva accompagnava l’improvviso pallore che si era ricreato in viso.

Il Coccodrillo si fece avanti, inclinando la testa di lato con un sorriso particolarmente compiaciuto.
-Non hai ancora imparato? Non puoi uccidermi, sono il Signore Oscuro- passò lo sguardo fino all’uncino, gioendo di quel particolare ricordo –soprattutto non puoi farlo con quello- rise di gusto.

Scossi il capo lentamente, avvicinando la fiamma al suo visto per poterlo vedere meglio.
-Mi sottovaluti troppo, Coccodrillo, non sono più sprovveduto come l’ultima volta che ci siamo affrontati-.

-Oh, aspetta! Intendi quella in cui ho strappato il cuore della mia amata Milah e l’ho stritolato davanti a te? Quello che l’ha portata via, togliendo al sangue del mio sangue la possibilità di crescere in una famiglia- il sorriso si rabbuiò considerevolmente, mentre cercava di stringere le sbarre della cella ma veniva respinto dall’incantesimo di sicurezza.

-La mia Milah!- l’esclamazione fu quasi un ruggito -Lei è venuta da me, io non l’ho costretta a fare nulla!- lo agguantai per il collo del soprabito con l’uncino, trascinandogli il volto sulle sbarre per poterlo guardare meglio –tu lo sai bene, non ne poteva più di vivere accanto ad un codardo- sussurrai con rabbia quelle ultime parole.

Tremotino rise di nuovo, come era suo solito fare, sbeffeggiando chi aveva davanti a sé.
Mi vennero in mente le parole pronunciate dalla Regina di Cuori, per ovviare alla problematica della maledizione che mi ero auto inflitto.


-C’è un altro modo per poter raggiungere il tuo scopo. Puoi tenere in vita la tua amata e al contempo riprendere i tuoi anni di vita in un solo modo: strappare il cuore a colui che ha ucciso il tuo vero amore e donarlo a lei-.


Poi avrei dovuto affrontare un nuovo viaggio per portarlo a lei che aveva lanciato un incantesimo sull’uncino perché potessi strappare via il cuore del mio nemico.

-Tictac, tictac- trovò il modo per farmi adirare.

Gettai a terra la fiaccola che finì per spegnersi. Mollai la presa sul collo del soprabito e lo colpii al petto con l’uncino, tirando fuori il suo cuore ancora pulsante.
Non potette fermarmi, a causa dell’incantesimo.

-Chi… chi è stato ad insegnartelo?- domandò a fatica, sentendo un improvviso vuoto.

Sorrisi con una certa soddisfazione mentre lo rigiravo con curiosità davanti al suo viso.
-Però, credevo che il tuo fosse un cuore nero ed oscuro- scrollai le spalle e risposi alla sua domanda –è stata una vecchia amica-.

La sua espressione improvvisamente colma di timore mi rese talmente soddisfatto che non mi accorsi di qualcosa a cui avrei dovuto fare più attenzione.
Dei passi veloci si estendevano lungo il corridoio dei sotterranei, nel momento in cui mi voltai mi ritrovai ad affrontare il pugno vigoroso di qualcuno che non riuscii a vedere in viso.
Caddi a terra, con il cuore ancora pulsante nella mano, quando mi resi conto che a scagliare quel colpo non fu altri che il Principe James.
Sentii scendere il sangue dal naso, non volli nemmeno ripulirlo o tentare di fermarne il flusso, soprattutto quando vidi che alle spalle del principe oltre ad esservi sua moglie, vi era anche Red, tremante nel suo mantello rosso.

-Non si conoscono le buone maniere?- fu l’unica cosa che riuscii a dire, concentrandomi sul Principe che mi stava davanti, spingendomi contro la parete.

-Biancaneve ti ha concesso la possibilità di dimostrare di essere un uomo onesto, pirata- strinse con vigore la presa –e tu hai tradito la sua fiducia, oltre che ad aver mentito a Red sulle tue reali intenzioni-.

-Che quadretto interessante- sghignazzò Tremotino, divertito da quello che stava accadendo –quindi sarebbe questa la fanciulla che hai tradito per strapparmi il cuore dal petto?-

-Ti stai dimenticando che ho il tuo cuore in pugno, posso stritolarlo come e quando voglio- gli rinfacciai mentre sentivo il sangue colarmi fino alle labbra.

-Non farai proprio nulla del genere- mi rimbeccò il principe, scuotendomi con forza.

Per quanto tentassi di liberarmi dalla sua presa, era ormai piuttosto difficile poter fuggire. Avevo fatto male i miei conti ed ora mi trovavo in un vicolo cieco. Le labbra di Red erano mute ma i suoi occhi dicevano più di quanto volessi sentire. Mi torturava rimanere sotto il suo sguardo colmo di biasimo.
Il principe James mi intimò di restituire il cuore al Coccodrillo e con mio grande rammarico non potetti fare altro che eseguire gli ordini. Ero in trappola e non ne sarei uscito con facilità. Avevo fallito la missione e questa volta nulla mi avrebbe salvato. Riposizionare il cuore al suo posto fu debilitante, non appena accadde, il principe mi trascinò lontano dalla cella di Tremotino, conducendomi in un’ala più lontana delle segrete, sbattendomi all’interno di quella che sarebbe stata la mia prigione.

-Un momento, non vorrete tenermi qui dentro!- mi aggrappai alle sbarre con forza.

Biancaneve si fece avanti, con sguardo tenebroso e deluso.
-Non possiamo rischiare di lasciare libero qualcuno come te-.

Subito passai a guardare Red che era rimasta da parte, continuando a non dire una parola. Era così affranta da non riuscire nemmeno a posare gli occhi su di me ed io di rimando, cercavo di evitarla, per non ricadere sotto il suo giudizio.

-E volete lasciarmi qui finché non avrete deciso come punirmi?!- sbraitai contro di loro, afferrando le sbarre con furia.

-Non temere, presto arriverà la tua punizione- mi disse il principe, allontanandosi lentamente e richiamando sua moglie insieme a Red, che voltò subito le spalle.

Vidi allontanarli velocemente, così come li avevo visti arrivare. Red e Biancaneve erano in camicia da notte, le vesti leggere quasi fluttuavano insieme ai loro movimenti veloci ed inseparabili. Red aveva gli occhi cerchiati, di chi non aveva chiuso occhio.
Mi ritrovai immerso in un vuoto incolmabile, in quel baratro che avevo tanto timore di sfiorare, ma ormai avevo toccato il fondo.
Mi stesi sul terriccio umido della cella, con una gamba accartocciata vicina e l’altra srotolata in avanti, in una posa inelegante. Poggiai la testa sulla roccia dietro di me, come cuscino naturale.
Ero arrivato così vicino alla mia salvezza, ormai avevo in pugno di nuovo la mia vita. Invece non andò come avevo prospettato.
Ma era giusto, dovevo immaginarlo. I buoni vincono sempre ed i cattivi periscono. E’ la storia che tutti conoscono, in ogni avventura che si rispetti vi sono i rappresentanti della luce e dell’ombra. Io facevo parte di quella feccia che i buoni distruggevano con la loro forza d’animo. Anch’essi soffrivano, a volte rinunciavano a qualcosa di importante e compievano sacrifici ma alla fine riuscivano a risalire le ombre.
Io non ne ero capace, troppo immerso nel desiderio di superare chiunque e di tenermi stretto una vita per cui avevo lottato fino alla fine.
Ridare la vita ad una donna che apparteneva all’Oltretomba, anziché convincermi di poter vivere senza di lei.
Donarle i miei anni di vita, pensando di poter superare quella scelta, invece di cadere nella paura di morire davvero.
Il mio sacrificio era stato vano e deludente. Vivere ad ogni costo, amare qualcuno che non poteva più darmi il suo amore, a che prezzo avevo pagato tutto quello che avevo fatto?
Ed ora avevo rischiato anche di spezzare l’ultimo legame che ero riuscito a creare con una donna che aveva tentato di tirare fuori il buono in me.
Lei aveva provato a comprendermi, a mostrare uno specchio del me stesso che non avevo mai conosciuto.
Invece le avevo dimostrato che non ero diverso, non ero ciò che lei credeva che fossi.
Io ero Capitan Hook, il cattivo delle favole.








// Nda: 

Ed ecco finalmente il confronto tra il Coccodrillo ed Hook. Non è andata proprio come il nostro amato pirata aveva sperato. Riuscirà a spezzare l'incantesimo dell'Orologio? Che cosa accadrà con Red? Nel prossimo capitolo come si può intuire, si rincontrerà con lei. 
 Ho pubblicato un giorno prima perchè non sono sicura di potermi collegare domani, ma probabilmente continuerò ad anticipare visto che siamo ormai verso la fine. 
Spero di non deludervi! ^^ Ps: ho creato un gruppo su fb dove verranno raccolte le informazioni sulle mie storie di OUAT, con spoiler e tutto il resto. Se può interessarvi e volete entrare, potete richiedere l'iscrizione! https://www.facebook.com/groups/507038592717142/

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Capitolo 20
*** Fiducia ***


XX. Fiducia







Il sangue si era fermato, anche se non vi avevo badato molto. Poteva uscirne in grandi quantità, ma non vi avrei fatto caso. Dovevano esser trascorse forse delle ore da quando ero stato rinchiuso in cella, o forse solo pochi minuti, la mia capacità del senso temporale erano improvvisamente decadute, in compagnia di un orologio che segnava solo la fine della mia vita.
Quella notte non sarebbe trascorsa affollata solo dai miei pensieri, ciò che non mi aspettavo fu quello che accadde.
Udii dei nuovi passi avvicinarsi verso la cella, passi che conoscevo abbastanza bene da saperli riconoscere. Infatti non mi stupii nel momento in cui vidi Red sistemarsi davanti alle sbarre, con i pugni serrati accanto ai fianchi.
Mi fissò in silenzio, la luce delle torce era fioca e non potevo leggere perfettamente la sua espressione, ma con un po’ di immaginazione l’avrei perfettamente compresa.
-Smettila di guardarmi in quel modo, se devi dire qualcosa fallo e basta- le dissi, torturato da quello sguardo colmo di rancore, mi avrebbe potuto bruciare l’anima se ne avessi avuta una.

Red aggrottò le sopracciglia, evidentemente infastidita.
-Non c’è bisogno che io ti dica nulla, sai perfettamente quello che hai fatto e ripetertelo non aiuterebbe molto- mi rinfacciò, ma rimasi in silenzio, chinando la testa verso il basso.

-Immagino di esser riuscito a farmi odiare- mugugnai dopo un po’ che nessuno dei due si era fatto avanti.

-Oh, se ci sei riuscito?- domandò lei ancora più adirata di come era arrivata –Ti detesto Killian Jones. Ti detesto perché mi hai usata per arrivare fin qui. Ti detesto perché hai più a cuore la vendetta che non i tuoi compagni. Ti detesto perché non avrei voluto sentire il tuo odore dietro la porta e trovare quella moneta. Ti detesto perché in quel momento tutto mi è stato chiaro: mi hai costretto a proteggere i miei amici dalla fiducia che avevo riposto in te e se sei qui è tutta colpa mia- sussurrò con meno enfasi le restanti parole.

Scrollai le spalle, rialzando lo sguardo su di lei. Dunque era stata Red a condurre i due sovrani nei sotterranei, per catturarlo ed impedirgli di compiere il misfatto. Avrebbe dovuto ricordarsi dell’olfatto sviluppato che possedeva.
-Ti sei lasciata abbindolare dall’idea che ti eri fatta di me- le dissi, come a volerla scusare.

Non le piacque affatto quella parte del discorso, tanto che batté le mani sulle sbarre, per imprimere forza al discorso.
-Io non mi sono fatta un’idea sbagliata di te, Killian! Sei tu l’unico a non voler credere che non ci sono solo ombre nel tuo cuore. Per questo ti detesto ancora di più, non posso lasciarti morire così. Non riesco nemmeno ad odiarti per quello che hai fatto e più tento di adirarmi, più non riesco-.

Poco prima non aveva elencato mille motivi per detestarmi? Ora ci ripensava?
Mi alzai in piedi, avvicinandomi alle sbarre per poterla vedere meglio negli occhi che erano terrorizzati da tutti quei sentimenti che parevano turbarla.
-Morirò lo stesso, Red. Ormai non c’è nulla che io possa fare- le risposi con calma serafica.

-Non è mai troppo tardi per rimediare ai propri errori, ma non è rimanendo qui che potrai risolvere il tuo problema- tirò fuori la chiave della cella, la infilò nella toppa e la girò facendo scattare la serratura. La aprì e si mise da parte –Vattene e non farti più vedere-.

-Red…- il suo nome non scaturì in lei alcuna reazione, rimanendo immobilizzata dov’era.

Mi stava dando la libertà, nonostante ciò che avevo fatto. Stava tradendo la fiducia dei suoi amici per potermi salvare la vita. Perché? Perché credeva così tanto in me? Ed io non avevo mai creduto nella possibilità che insieme avremmo potuto affrontare qualsiasi cosa.
Corrugai la fronte, mettendo un piede fuori, per poi fermarmi lì accanto.

-Io non ti ho potuto dare ciò che cerchi, ma qui c’è qualcuno che ne è in grado. Ho visto come ti guarda, farebbe qualunque cosa pur di vederti felice- fu la prima volta che mi resi conto di aver pronunciato parole lontane dal mio egocentrismo.

Se c’era qualcosa per cui avrei potuto provare fastidio, di certo si trattava della presenza di Graham accostata a quella di Red. Ma in fondo sapevo che lui l’avrebbe protetta, facendola sentire a casa. Io non potevo fare questa magia, non sarei mai riuscito ad assumere un ruolo simile.
Lei non rispose, chinando in basso il viso, sentivo che stava reprimendo i singhiozzi e l’idea di esser stato io a farla sentire in quel modo mi faceva impazzire.
Forse col tempo si sarebbe convinta che non sarei stato l’uomo adatto a lei. Così la lasciai, sorvolando nei sotterranei per uscirne e fuggire via quel posto.
Non avevo strappato il cuore del Coccodrillo e avevo lasciato Red per sempre. Un viaggio inutile e senza più speranza.
Non impiegai molto ad uscire dal Palazzo senza farmi vedere, avevo studiato il percorso il giorno stesso del nostro arrivo.
In poco tempo evasi da quel luogo, trascinandomi dietro catene che difficilmente avrei spezzato. Ma proprio mentre mi facevo strada all’esterno, affrontando il lungo e grande ponte di pietra che conduceva alla città, vi fu qualcosa che mi impedì di proseguire.
Una freccia scagliata con assoluta precisione perforò la terra che mi stava davanti, dovevano avermi scoperto. Quando voltai lo sguardo incontrai quello del Cacciatore, che tendeva l’arco con forza, scarico della freccia che aveva scoccato.
Ne incoccò un’altra, facendo un passo avanti e prendendo la mira su di me.

-Ti avevo avvertito, pirata. Non avresti dovuto approfittare della bontà di Biancaneve né della fiducia di Red- avanzava con passi lenti e calmi.

Incrociai le braccia al petto, guardandolo dall’alto in basso.
-Sei qui per uccidermi?- domandai, prima ancora che potesse rispondermi sbottonai la camicia, lasciando intravedere il sigillo dell’orologio sul petto –Come vedi non mi resta molto tempo, perciò se tanto lo desideri, fallo-.

Graham quando vide le lancette a forma di fulmine che scorrevano sulla carne, abbassò l’arco, ma continuando a tenerlo teso.
-Smettila con questo teatrino, Hook. Non fai che commiserarti da solo per la tua agghiacciante situazione. Ma c’è qualcosa che forse non ti entra in testa: lo hai voluto tu-.

-Io non sono un codardo- gli ringhiai, ricoprendo l’orologio per nasconderlo alla sua vista e alla mia.

-Ne sei davvero certo? Guardati! Tu hai scelto di sacrificarti per un amore impossibile e quando hai incontrato la prima difficoltà ti sei rifugiato in un angolo buio alla ricerca di qualcosa che potesse tirarti fuori. Hai paura della morte, te lo leggo negli occhi, eppure essa ti accompagna giorno dopo giorno. Il tuo sacrificio è stato reso vano per questo, gli uomini come te non possono avere un lieto fine. Hai ottenuto ciò che ti meriti- sussurrò continuando ad avanzare, prendendomi di nuovo di mira.

-Tu cosa ne vuoi sapere? Non hai idea di chi sono io!- gli rinfacciai con rabbia, avrei potuto tirare fuori la sciabola e sgozzarlo, tanto mi infastidiva il suo modo di fare così impetuoso.

-Infatti! Nemmeno Red ha capito chi sei, si è ingannata da sola, vedendo in te ciò che non può esserci- corrugò la fronte, arrestando il passo a poca distanza da me.

-Questo è vero- chinai lo sguardo –lei ha tirato fuori una parte di me che non conoscevo e non credevo potesse esserci ma al tempo stesso non sono stato in grado di portarla avanti- sollevai di nuovo gli occhi sul Cacciatore –allora, mi hai seguito per riportarmi indietro e farmi giustiziare?-.

Graham parve quasi immaginare quella scena che non gli sarebbe affatto dispiaciuta, ma riuscì a rimanere serio.
-Se lo facessi, lei non mi perdonerebbe mai- scoccò la freccia che si conficcò anch’essa sulla terra, accanto ai miei piedi –vai, prima che cambi idea-.

Un’altra possibilità. Tutti continuavano a darmi un’altra possibilità. Prima Red, a cui avevo spezzato il cuore. Poi a Graham, che mi aveva persino avvertito di fare attenzione. Perché? Una domanda a cui non trovavo risposta.
Avevo tradito tutti loro, non mantenendo la mia parola, sbeffeggiandomi della loro gentilezza. Eppure essi mi mostrarono ancora quanto l’onestà e il buon cuore potessero superare mille inganni. Persino Graham, che trovavo insopportabile, si era dimostrato migliore di me.
Nascosi un mezzo sorriso, Red sarebbe stata bene lì.

-So che non mi devi niente, ma voglio comunque che tu mi prometta una cosa- dissi prima di andare via –devi prenderti cura di Red, anche a costo della vita. Proteggila con tutte le tue forze e non lasciare che i suoi istinti prevalgano su di lei. Possiede una forza straordinaria e non deve prosciugarla-.

Graham si stupì di quella mia richiesta, evidentemente non aveva compreso che io tenessi a Red più di quanto potesse immaginare.
-Dunque provi qualcosa per lei? E nonostante questo, non hai esitato ad agire alle sue spalle-.

Gli piaceva rimarcare sulle ferite appena aperte, questo glielo concedevo, era una mossa da pirata.
-Sono ciò che faccio, Graham. Tu hai dimostrato di valere molto più di me, perciò meriti di rimanere al suo fianco-.

Mi guardò ancora con titubanza, era evidente che dovesse costargli molto il lasciarmi libero di andare via.
-Mi prenderò cura di lei- mi assicurò, appoggiando l’arco sulla spalla.

Annuii, ringraziandolo di avermi dato la possibilità di andare via. Mi rinfacciò ancora che lo faceva solo per Red e di questo non potei lamentarmi.
Mi allontanai dal Palazzo il più in fretta possibile, dovevo recuperare la ciurma e andare via prima che i regnanti si accorgessero dell’accaduto e decidessero di venirmi a prendere.
Cosa avrei fatto in seguito? Non potevo saperlo, di certo non sarebbe finita così. Nella testa aveva soltanto confusione, immagini sfuse, ricordi mescolati e un nome che continuava a torturarmi mentre scivolavo nella notte per raggiungere il centro cittadino.
In più le lancette dell’orologio non mi abbandonavano, non volevano lasciarmi in pace. Riflettere con quel rumore assordante diventava più difficile e complicato.
Trovare Proteo e Christian non fu difficile, ci eravamo accordati che si sarebbero posizionati in punti strategici della città per poter lanciare il richiamo ufficiale.
Quando arrivai alla piazza del mercato udii un ululato, seguendolo arrivai in un vicolo in cui si erano nascosti Christian e Proteo, intenti a sorseggiare sidro da alcuni boccali fuori da una locanda.
Non appena si accorsero della mia presenza mi vennero incontro, per potermi accogliere di nuovo.

-Giusto in tempo Capitano!- disse  Christian, facendosi avanti per passarmi il boccale.

-In tempo per cosa?- domandai mentre afferravo ciò che mi veniva porto per potermi dissetare.

-Christian ha perso al gioco d’azzardo e lo stanno cercando, abbiamo già sistemato alcuni bruti che hanno tentato di farci la pelle ma ne arriveranno degli altri- aggiunse Proteo, mostrando l’occhio nero che si era procurato.

Lanciai uno sguardo furibondo a Christian, avevo detto loro di non mostrarsi troppo e rimanere cauti, ma avrei dovuto immaginare che non sarebbero riusciti a rimanere nell’ombra.
Proteo ad un tratto aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi di più alle fiaccole accese per potermi guardare in viso.

-Anche voi siete stato preso a pugni, Capitano. Qualcosa è andato storto?- domandò lievemente in ansia –Siete riuscito a prendere il cuore?-.

Nascosi lo sguardo dietro al boccale da cui trangugiai il sidro in modo così veloce che per poco non mi andò di traverso. Glielo restituii prima di asciugarmi le labbra con la manica del soprabito, incurante della possibilità di sporcarlo.

-No, mi hanno scoperto. Sono stato catturato e ho rischiato di finire giustiziato sul patibolo. Perciò è meglio ritirarci da qui, non voglio tentare la sorte- ringhiai mentre mi incamminai avanti a loro, così da poter raggiungere le mura della città ed uscirne per recuperare tutto il resto della ciurma.

Christian e Proteo si scambiarono uno sguardo piuttosto eloquente ed ovviamente non si lasciarono sfuggire l’occasione per poter conoscere i dettagli.
La prima domanda era incentrata sulla reazione di Red, poi finirono per volersi far raccontare tutto il resto della storia.
Narrare ciò che era accaduto non fu semplice, soprattutto perché avvertivo i loro occhi giudicanti piantati dietro la nuca, per rimproverarmi di ciò che avevo causato.
L’allontanamento di Red causò loro uno sconforto forte e sincero, erano molto legati a lei e sapere di non poterla nemmeno salutare fu un colpo basso.
Mi rimproverarono. Mi offesero, sì, glielo permisi perché me lo meritavo. Ma in fondo sapevano che avevo fatto tutto questo per rimanere in vita e  non riuscirono a biasimarmi per quelle azioni disoneste, anche se avevano causato soltanto infelicità.
Fu allora che mi resi conto che l’insegnamento di Red era veritiero: gli amici sono la vera famiglia.
Nonostante avessi deluso tutti, Christian e Proteo mi rimasero accanto, accettando il mio lato oscuro anche a discapito di quello buono, tant’è che smisero di criticare il mio comportamento.

-Troveremo una soluzione al problema, Capitano. Vi garantisco che non lasceremo alla maledizione dell’orologio di consumarvi- intervenne Proteo, battendo i pugni tra loro per incidere più forza alla frase.

-Non esistono altri modi per salvarmi, Proteo. Avrei dovuto strappare il cuore a Tremotino, consegnarlo alla Regina di Cuori che avrebbe pensato ad occuparsi di Milah. Lei sarebbe vissuta senza l’aiuto degli anni che le ho donato ed io avrei riacquistato i miei- spiegai loro perché la questione fosse più chiara.

Christian rifiutò di credere che non ci fossero altri modi.
-La Regina di Cuori ha pensato più ai propri tornaconti, Capitano, io non credo che possa esservi solo questa soluzione al problema. Ma non ci arrenderemo- mi garantì, dandomi conforto.

Entrambi sembravano davvero convinti di potermi aiutare, io in realtà non ero molto speranzoso. Ero pronto ormai a lasciarmi andare e ad abbandonare questa vita. Se Christian e Proteo non fossero stati così insistenti nel volermi aiutare e se Red non mi avesse cacciato via per salvarmi, probabilmente mi sarei arreso.
Aveva tradito nuovamente la fiducia dei suoi amici pur di darmi la possibilità di vivere, mi aveva salvato perché potessi salvare me stesso.
Non potevo deluderla, non dovevo. Anche se non meritavo quell’occasione che mi era stata data, avrei dovuto lottare fino alla fine per riprendermi ciò che era mio.
Quando giungemmo alle mura cittadine però, qualcuno fu pronto a fermare il nostro passo. Alzai gli occhi al cielo, voltandomi per vedere di chi si trattasse.
L’alba era vicina, non avevo chiuso occhio e la giornata si era conclusa nel peggiore dei modi. Chi altro voleva ancora farmi scontare qualche pena?

-Voi, pirati, non ve ne andrete senza aver prima pagato i debiti che avete lasciato!- disse un uomo incappucciato, accerchiato da altri cinque, tutti armati di sciabola.

Lanciai uno sguardo colmo di rimprovero a Christian, che aveva causato quel guaio, il quale si voltò dalla mia parte per potermi rivolgere un’espressione del tutto innocente.

-Mi dispiace, ma non abbiamo di che ripagarvi. Fatevene una ragione e tornatevene a casa- dissi loro sbrigativamente, non avevo voglia di uno scontro dopo che ne avevo affrontato uno emotivo abbastanza forte.

-Non ci penso nemmeno a ritirarmi, quel bastardo deve restituirmi tutto quello che aveva promesso!- esclamò con furia, puntandogli contro la spada.

Sbuffai, scuotendo leggermente la testa.
-E va bene, ma che sia una cosa veloce-.

Così facendo estraemmo tutti e tre le sciabole, affrontando più di un uomo insieme, nel tentativo di sbarazzarcene per poterci ritirare e riprendere il nostro viaggio di speranza.
Non risparmiai nessuno di quelli che mi capitarono innanzi, cercai di colpirli semplicemente con il pomo della sciabola per non versare dell’altro sangue. In fondo era stato Christian a cacciarsi nei guai, chiedevano solo che fosse fatta giustizia.
Proteo se la cavava sempre egregiamente, con il suo stile pulito ed elegante, il suo fare principesco era perennemente perfetto e quasi lo invidiavo.
Christian al contrario, si divertiva durante il duello e giocava con gli avversari, arrotolandoli nei mantelli per poi spingerli con calci nel fondoschiena, per farli rotolare via.
Fu davvero più semplice di quanto pensassi, tant’è che in un attimo ci liberammo di quegli uomini, lasciandoli accatastare privi di senso in un angolo.
L’alba stava ormai sorgendo e noi non potevamo più perdere altro tempo. Ci allontanammo dalla città in gran fretta per raggiungere il resto della ciurma che si era fermata a poca distanza dalla Foresta Incantata.
Si erano procurati i viveri necessari per poter affrontare un nuovo viaggio, c’era persino chi aveva ricavato un bottino interessante ma che sarebbe rimasto personale.
Affrontammo un lungo viaggio della durata di un’intera giornata, il sonno mi dilaniava ma non potevo riposare prima ancora di aver raggiunto la nave. Dovevamo partire il prima possibile per lasciare quelle terre.
Tutto in quei sentieri non faceva che ricordarmi Red e ciò che avevamo affrontato, prima e dopo aver incontrato sua madre.
Era riuscita a maturare, comprendendo che non poteva scegliere tra due diverse nature ma che doveva arrivare a completarle entrambe.
Lei era cresciuta, io ero rimasto lo stesso. O forse riuscivo ad illuminarmi soltanto accanto a lei, tanto da farmi sembrare un uomo migliore.
Avrei tanto voluto che fosse di nuovo accanto a me, per poterle dire che mi aveva regalato momenti meravigliosi e che io non avevo fatto abbastanza per lei.
Tornare indietro sarebbe stata una sciocchezza, avevo lasciato Red nelle mani di Graham, assicurandole un futuro felice e privo di peripezie.
Nonostante fosse stata un’azione  dettata dal bene che provavo per lei, era la prima volta che facevo una scelta che non riguardasse il mio.
Mi faceva sentire meglio sapere di averlo fatto, tra tutto ciò che avevo compiuto, quell’unica azione avrebbe potuto redimere parte della mia storia.
Quando raggiungemmo le sabbie bianche all’uscita della Foresta Incantata, ci accorgemmo che al largo era presente un’altra nave. Una nave che non avevo mai visto prima, ma era issata sull’albero maestro una bandiera pirata.
Tentai di mettere a fuoco anche se non riuscii a scorgere nessuno a bordo della nave. Di certo una cosa potevo saperla: avrebbero causato dei guai. 








// Nda: 

E alla fine sì, si sono divisi. Ma quanto potrà durare questa loro separazione? Ce la faranno davvero a rimanere lontani l'uno dall'altra?
E non avreste schiaffeggiato Hook quando Graham gli ha spiegato cose che nemmeno lui era riuscito a capire?
Siamo arrivati ad una nave pirata, chi vi è sopra lo saprete nel prossimo capitolo (e voi direte: ma dai? xD), ma immaginate già di chi possa trattarsi? Ci sono due fazioni che abbiamo lasciato indietro. 
Detto questo, ringrazio come sempre per continuare a leggere. Ormai che siamo alla fine ho deciso di pubblicare due volte a settimana.
Al prossimo capitolo! Che la Red Hook sia con voi. 
 

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Capitolo 21
*** Milah ***


XXI. Milah






L’incubo peggiore che potessi vivere si stava avverando. Lì, davanti ai miei occhi, non vidi altro che colei che mi perseguitava da anni. Lei, a cui avevo donato i miei anni di vita. Lei, che amavo con tutto me stesso. Lei, che avevo dimenticato ed ora diventava sempre più reale.
Milah insieme alla mia vecchia ciurma ci accerchiò finché non fummo costretti a dare le spalle alla riva del mare. Era l’equipaggio a cui avevo dato tutto e che mi aveva tradito per seguire una donna senza cuore.
Quando i nostri sguardi si incrociarono, avvertii il cuore fare un balzo e lei sorrise.
Aggrottai le sopracciglia, conscio del pericolo che si stava avvicinando. Le lancette che si muovevano sul petto iniziarono ad accartocciarsi su se stesse, producendomi il tremendo fastidio di volerle strappare via con furore.
Lei si avvicinò lentamente, mentre la guardavo con occhi di ghiaccio, desiderosi di fuggire via. Non ci voleva proprio quell’incontro, non ora che avevo perso tutto ciò che amavo, un’altra volta. E lei era lì per rinfacciarmelo.

-Quando ho intravisto la Jolly Roger attraversare la mia stessa rotta, non ho potuto fare a meno di venire a trovarti- sorrise all’angolo della bocca, avvicinandosi a passi lenti.

-Potevi evitarmi questo immenso piacere- risposi alacremente, irrigidendomi per quella vicinanza a cui non ero più abituato.

-E per quale ragione? Volevo ringraziarti per il dono che mi hai fatto, non sono mai riuscita a dimostrarti la mia gratitudine- si lasciò sfuggire una risata sarcastica.

-Ammutinarti insieme al mio equipaggio la definiresti gratitudine? Lasciami in pace, Milah. Hai già fatto abbastanza- le ringhiai contro, sciogliendo il pugno della mano che si era serrato anche troppo.

La sua risata diventava sempre più gutturale, tanto da farmi innervosire maggiormente. Incontrai lo sguardo di Spugna che le stava accanto, con quel suo ridicolo cappello rosso, che mi guardava con fare vittorioso. Lo avrei stritolato a dovere, se si fosse azzardato ad avvicinarsi.
Compresi che le sue intenzioni erano quelle di divertirsi, quando la vidi sfoderare la sciabola e al tempo stesso tutti i membri del vecchio equipaggio che desideravano combattere contro colui che fu il loro Capitano.
Proteo non mancò di rimanermi fedele e sfoderò le sue armi, indicando a tutti gli altri di prepararsi allo scontro. Non avrebbero vinto, mai e poi mai.

-Credo proprio che ci sarà da divertirsi- continuava a sorridere Milah, prima di farsi avanti per sferrare un primo attacco.

Le avevo insegnato io a maneggiare una spada, perché potesse difendersi e aveva appreso piuttosto bene ogni movimento e ogni tecnica da usare nei momenti adatti. Lo scontro iniziò quando tentò di staccarmi la testa, parai a dovere e da quel momento non ci fermammo nemmeno un attimo. Le nostre lame si incrociarono, ma vi era qualcosa che non mi permetteva di duellare seriamente, qualcosa che mi faceva sentire incompleto.
Potevo davvero rischiare così tanto? Potevo farle del male quando volevo salvarla? Non avevo idea nemmeno del come.
Tentai più volte di farla ragionare e di raggiungere un accordo, che motivo aveva di distruggermi se mancava poco al compiersi della mia maledizione?
Lei non lo faceva per questo, il suo era solo divertimento. Come chi è guidato da qualcosa di irrazionale, di diverso, di sconosciuto ed incomprensibile.
Fermarla non sarebbe stato facile. Più volte tentai di disarmarla ma quando era il momento adatto per farlo, mi tiravo indietro. In cambio ricevo altre risate che compromettevano la mia posizione. Mi indebolivo ad ogni fendente che ricevevo, tanto da iniziare a farmi indietreggiare senza nemmeno difendermi.
Non potevo ucciderla, non potevo. Non. Potevo.
Mi resi conto che Proteo e gli altri erano in difficoltà, nessuno dei due equipaggi aveva la meglio sull’altro.
Io  non riuscii ad andare avanti, non riuscii a compiere quel passo. Senza rendermene conto, mentre indietreggiavo, lasciai scivolare la sciabola a terra, arrendendomi.

-Risparmia loro e prendi me- dissi con voce mozzata.

-No, Capitano! Non dovete arrendervi per nulla al mondo, combatteremo fino alla fine!- gridò Proteo quando udì quelle parole, mi aveva tenuto d’occhio tutto il tempo, per essere certo che non facessi sciocchezze.

-Sarebbe superfluo prendere solo la tua vita, Capitano…- mugugnò Milah con un falso broncio, mentre si avvicinava pericolosamente, con la sciabola puntata verso il basso in posizione di riposo.

Non sapevo più come comportarmi. Amavo più lei o il mio equipaggio? Desideravo salvare loro o uccidere definitivamente la donna a cui avevo dato tutto? Non riuscivo a scegliere. Mi sentivo ingabbiato e privo di forze, morire sarebbe stata la soluzione più sbrigativa.
E fu allora che la lama della sciabola brandita da Milah si conficcò nel fianco, torturandomi la carne fino a farne uscire il sangue. Il dolore fu lancinante, ma non quanto vedere che proprio lei era stata ad infliggermi quella ferita.
Nel momento in cui la lama perforò la pelle, si udì un ruggito, un grido spaventato.

-Killian!- fendette l’aria, fino a darmi la forza di voltarmi ed incontrare Red che portava le mani alle labbra per coprire paura e stupore.

Mentre mi inginocchiavo sulla sabbia, con la sciabola conficcata in corpo, lei correva verso la mia direzione con il suo mantello rosso.
Era quella l’ultima immagine che avrei visto? Il mantello rosso. Quello che avevo squarciato per salvarle la vita. Quello di cui aveva bisogno per mantenere il controllo di se stessa. Un’immagine che mi riempì il cuore in quel momento. E sorrisi, quando la vidi precipitarsi verso di me. Dunque mi aveva seguito, non era rimasta al Palazzo di Biancaneve, non aveva scelto Graham. Aveva scelto me.
Quando mi raggiunse mi avvolse tra le sue braccia, inginocchiandosi accanto a me. Rivolse gli occhi chiari e liquidi verso quelli di Milah, imperanti su di lei.

-Ti prego, non infliggergli altro dolore- sussurrò nella speranza di farla cedere e cambiare idea.

Se accennava al dolore al fianco, esso  era forte. Se si riferiva a quello che provavo, riuscivo a sentirlo molto più in profondità e faceva più male di una sciabola conficcata nella carne. Parlare sarebbe stato uno sforzo inutile, avrei  solo biascicato qualcosa di incomprensibile.

-Non ricordo cos’è il dolore, poiché non posso provarlo- le rispose totalmente incurante di quello che stava provocando.
Tutti si fermarono per osservare quella scena. Io, tra le braccia di Red, che tentava di convincere una donna senza cuore a fare una scelta per lei inusuale.
Ma lei non era più Milah, si trattava solo di una bambola che poteva camminare e parlare, ma che non aveva in sé alcun sentimento o emozione. Una macchina che non poteva scindere il bene dal male.
Fu  allora che qualcosa di più forte, qualcosa di più grande di me prese il sopravvento. Milah tirò fuori un pugnale per poter colpire Red, così da concludere ciò che aveva iniziato, ma fui più veloce di lei.
Sollevai l’uncino e con tutta la restante forza che avevo lo scagliai nel petto di Milah, perforandolo fino in fondo, tanto da creare un vuoto irrecuperabile.
La sua espressione mutò, cadendo lei stessa in ginocchio, incredula per quel gesto. Credeva che non sarei riuscito a dimenticarmi di lei, di potersi prendere gioco di me fino alla fine e torturandomi con la sua presenza. Ma avrei protetto Red da qualunque cosa, da me stesso e dalle mie ombre, per sempre o almeno per il tempo che mi era rimasto.
Milah cadde. Morì davvero, come sarebbe dovuto succedere tempo fa, quando il destino ci fu avverso e non volle farci vivere insieme. Sentii scivolare una lacrima sul viso di fronte a quella visione: ora ero stato io ad eliminare dalla terra colei che avevo amato.
Poco dopo quella considerazione mi resi conto che qualcosa in me stava cambiando, avvertii la pesantezza che mi portavo dietro iniziare a sgretolarsi poco a poco. Portai una mano sul petto e quando sbottonai con furia la camicia, mi avvidi che il sigillo dell’orologio iniziava a svanire.
Le lancette raggiunsero l’ultimo stadio del quadrante e scomparvero in una nebbia viola che si annullò completamente, lasciando un vuoto leggero alla medesima altezza.
Tornai a respirare e poi mi sentii vorticare la testa, tanto da crollare tra le braccia di Red.

-E’ strana la vita, non è vero? Riesco a spezzare la maledizione eppure sto andando incontro alla morte lo stesso- riuscii a mormorare quelle parole, prima di sorridere con quel briciolo di forza che riuscivo a mantenere, anche se un rantolo di tosse mi provocò una fitta dolorosa al fianco.

-Non dire così, ti prego- sussurrò Red mentre mi accarezzava la guancia –ora che so dov’è la mia casa, ora che l’ho trovata, non devi andartene via. Non te lo permetterò!- le lacrime scivolarono fino a raggiungerle il mento.

Non riuscii a rispondere a quello che diceva, ormai le parole uscivano senza una vera e propria razionalità.
-Sai, avevi ragione… non sono bravo a mentire- avevo consumato tutte le mie energie, per questo non fui in grado di dire altro e i miei occhi si chiusero fino a farmi sprofondare nella più totale incoscienza.

Milah era morta. Le grida di Red continuavano a risuonare nella mia testa, dunque ero davvero morto? Avevo spezzato la maledizione, l’orologio non mi affliggeva più ed ero libero di riprendermi i miei anni di vita. Ma non avevo previsto che quella ferita al fianco potesse essere così grave, mi stava trascinando via e non avrei più rivisto Red. Lei, era lei quella che amavo. Lei, quella che mi aveva liberato dalla maledizione.
Sarei morto con l’immagine del suo mantello rosso e del suo abbraccio mentre mi chiedeva di restare.
Aveva scelto me e al tempo stesso non potevo darle ciò che desiderava, ancora una volta non avevo potuto renderla felice.
Fu solo un particolare a farmi ricordare che potevo salvarmi: io ero Killian Jones. E Killian Jones non si sarebbe potuto arrendere così facilmente, neppure davanti alla morte, così come non si era arreso per la maledizione auto inflittasi.
Inoltre avevo dimenticato che i miei amici, i miei veri amici, avevano ancora qualche asso nella manica. Proteo era riuscito a curare la ferita alla perfezione, estraendo la lama senza apportare alcuna problematica interna e a ricucire perfettamente la parte lesa, somministrandomi una buona dose di ferro riscaldato.
Fortunatamente non ero cosciente, altrimenti non mi sarei fatto sfiorare con un dito. Ed è così che mi risvegliai qualche giorno dopo, febbricitante, a bordo della Jolly Roger in rotta verso una meta che avevo intuito essere una sola possibile.
Avvertivo una stretta intorno alla mia mano, un calore inconfondibile che avrei riconosciuto tra mille. Quando fui in grado di sollevare le palpebre incontrai gli occhi di Red che erano rimasti a vegliarmi a lungo, con amorevolezza.
Non appena comprese che ero davvero salvo, si slanciò su di me per abbracciarmi e stringermi a sé, anche se quel gesto mi provocò un mugugno di dolore per la fitta al fianco.

-Perdonami- sussurrò staccandosi immediatamente per lasciarmi respirare.

Tentai di sollevarmi per mettermi a sedere, ma non ne ebbi la forza e sprofondai di nuovo sul cuscino, avvertendo un dolore lancinante al fianco.

-Non muoverti, ancora non sei guarito e Proteo mi ha detto di tenerti d’occhio. Non devi fare cose stupide- mi rimproverò con un velo di preoccupazione nella voce.

Per quanto mi fu possibile riuscii a sorriderle, prima di avere un rantolo di tosse che allungò ancora il silenzio.
-Io faccio sempre cose stupide- riuscii a dire alla fine, una volta ripreso.

-Per una volta sono d’accordo con te- disse lei assolutamente convinta.

Non seppi resistere, dovevo farlo, dovevo farlo molto prima di allora. Raccolsi parte delle mie forze rigenerate e le avvolsi il collo con la mano sana per sospingerla verso di me, così da strapparle un bacio fugace e leggero, come tra due amanti che possono permettersi solo brevi momenti in solitudine. Le sorrisi continuando a baciarla, avvertendo la sua risposta che non tardava, assaporammo quel momento a lungo, desiderosi che non finisse mai.
Ero sopravvissuto. Avevo spezzato la maledizione dell’orologio, riprendendomi gli anni di vita pugnalando Milah, la quale li custodiva in sé. Se anche l’avessi saputo, non avrei mai compiuto un atto simile di mia spontanea volontà. Colpirla non fu una scelta facile, mi sarei lasciato uccidere se solo non avessi dovuto proteggere Red. Lei era più importante di qualunque altra cosa e non avrei permesso a nessuno di farle del male.
Allontanai a malincuore le labbra dalle sue, racchiudendola nei miei occhi, tenendo ancora la mano dietro al suo collo ed accarezzandolo lentamente.
Non riuscivo a credere di averla davanti, al mio capezzale, pensavo di averla persa per sempre. Invece mi aveva seguito, nonostante non ci potesse essere futuro per noi, almeno dal mio punto di vista.

-Perché non sei rimasta al Palazzo di Biancaneve?- le domandai, tentando di sollevarmi di nuovo, per poterla guardare meglio in viso.

-Non era quello il mio posto- sussurrò a denti stretti, prima di narrarmi la vicenda.



 
 
 
 
Graham raccolse le frecce e fece ritorno al Palazzo, camminando nelle ombre dell’ultimo stadio della notte, poco prima che sorgesse l’alba. Mentre rientrava, si soffermò sulle scale notando la figura di Red seduta su di esse, con lo sguardo perso nel vuoto.
Il cacciatore sospirò, sedendosi accanto a lei, tenendo le braccia appoggiate alle ginocchia.
-Un pirata, alla fine- esordì cercando di non indagare nei suoi occhi, basandosi solo sul tono della sua voce –è questa la tua scelta?-.
-Non ho compiuto nessuna scelta, Graham- sussurrò Red chiudendosi in un abbraccio solitario.
-Ma allo stesso tempo lo hai lasciato andare. Perché ti fidi di lui? Perché credi che non ritornerà per compiere la sua vendetta?- domandò cercando di capire.
-Non lo farà, ne sono certa. So leggere nei suoi occhi e so riconoscere quando mente, questa volta non farà più errori- spiegò brevemente.
Graham si morse il labbro inferiore, prima di alzarsi in piedi e porgerle una mano per aiutarla a fare lo stesso. Lei accettò e strinse la sua mano con forza, per cercare conforto.
-Dovresti seguirlo, qui stai solo perdendo tempo- le parole del Cacciatore erano colme di rammarico, ma la sua maturità e il bene che voleva a Red erano più forti dei suoi stessi desideri.
-Che vuoi dire?- si voltò stupita.
-Detesto ammetterlo, soprattutto perché non mi piace per niente. Ma lui ti ama, Red. Se così non fosse sarebbe ancora qui. Ed io so perfettamente che tu desideri la stessa cosa, quindi non rimanere qui a torturarti quando puoi seguirlo- questa volta la voce risultò opaca e scura.
Red sgranò gli occhi, si sentì avvampare per ciò che aveva appena sentito.
-Graham, io non posso andare da lui, il mio posto è questo accanto a Biancaneve e a tutti voi- non credeva nemmeno lei a ciò che diceva.
Il Cacciatore sorrise, stringendole con dolcezza la mano.
-Se così fosse non te ne saresti andata via tempo fa. Hai scelto una vita diversa, non sprecare quest’occasione e vivi nel modo in cui desideri. Parlerò io a Biancaneve- così sciolse la mano, spezzando il lieve legame che si era creato tra i due.
Red tentennava ancora, non era certa di voler seguire Killian, aveva timore di essere rifiutata ancora. Ma avrebbe dovuto rischiare, nonostante lo detestasse per ciò che aveva fatto, non poteva tirarsi indietro di fronte alle sue speranze.



 
 
 
 
 
-Mi stai dicendo che dovrei ringraziare il Cacciatore?- sputai le parole con veemenza, ora davvero avevo iniziato a detestarlo ancora di più.

Non solo aveva rischiato di essere una minaccia, ma aveva anche consigliato a Red di tornare sui suoi passi e di lasciare andare via il rancore che serbava nei miei confronti.

-Saresti troppo orgoglioso per farlo- si morse il labbro, guardandomi negli occhi in cerca di una risposta –allora, c’è posto per me sulla Jolly Roger? O vuoi cacciarmi via, di nuovo…-.

Scossi lievemente la testa, portando lentamente la mano sana a sollevarmi la nuca.
-Solo se accetterai alcune condizioni. Ad esempio non prenderai iniziative strane senza il mio permesso; non cercherai di salvarmi la vita tutte le volte che ne avrò bisogno, non posso permettermi una cattiva reputazione; devi essere pronta a subire la mia compagnia per molto tempo, ora che ne ho a disposizione e non puoi lamentartene. In più… dovrai trasferirti nella cabina del Capitano, se lo vorrai- dettai la proposta che sicuramente non avrebbe rispettato, ma mi piaceva dare l’idea di essere un vero capo che viene seguito fino in fondo.

Red sorrise allegramente, mentre le ciocche di capelli scuri le ricaddero sul viso, coprendo una parte della guancia bianca.
Più i miei occhi si fermavano nei suoi, più comprendevo quanto non potessi fare a meno della sua compagnia.
Avevo viaggiato tutta una vita in luoghi e mondi diversi, ma mai mi ero sentito a casa come in quel momento.
Le strinsi la mano, per sentirla accanto e perché non rischiassi di perderla di nuovo. Avevo fatto la mia scelta, non l’avrei abbandonata mai. Se mi ero convinto di non essere l’uomo più adatto a lei, in quel momento compresi che non spettava a me la scelta di decidere del suo destino. Se entrambi desideravamo di stare l’uno accanto all’altra, non avrei più remato contro di noi.
Red sarebbe divenuta la mia compagna. Era strano, però, ricreare un nuovo piccolo mondo. Non ero più abituato a vivere sapendo di dover proteggere qualcuno, ma ora avevo una missione più importante di tutto il resto, avrei ricominciato da capo cercando di tirare fuori ciò che Red aveva visto in me.
Non sarei diventato un santo e non avrei lasciato la Pirateria, ma i miei valori sarebbero leggermente mutati.
Il tempo per ristabilirmi fu lungo, trascorsi giorni interi sdraiato sul letto in attesa che la ferita guarisse del tutto. Proteo spesso mi canzonava, dicendomi che ero lento a tornare sano e robusto come un tempo ed io ogni volta gli rimbrottavo contro, dimenticava spesso il rispetto per il proprio Capitano. Chiesi notizie riguardo il mio vecchio equipaggio, Proteo aveva dato l’ordine di lasciar andare via tutti, compreso Spugna. Era più preoccupato di trarre in salvo me che non rincorrere una vendetta che ormai non aveva più alcun senso.
Inoltre, eravamo ormai in rotta verso Siracusa, avevo detto lui di dirigersi verso il suo regno per poter concludere quell’avventura e risistemare tutti i pezzi che si erano frantumati, per creare qualcosa di nuovo.
Proteo non sembrava essere soddisfatto, forse era solo spaventato, ma meritava di combattere per il suo passato ed era l’unico modo in cui lo avrei potuto aiutare.
Mi ritrovai sul ponte della nave, con una fasciatura a circondarmi il fianco, senza il soprabito che indossavo di solito.
Osservavo l’orizzonte, alla ricerca del luogo in cui ci stavamo dirigendo. Red si avvicinò, appoggiando una mano sulla balaustra, piegando il viso per cercare i miei occhi.

-Se hai dei dubbi in proposito, stai facendo la cosa giusta- mi sorrise come solo lei sapeva fare.

-Perché dovrei avere dei dubbi?- scrollai le spalle –Sono solo preoccupato per ciò che potremmo incontrare. Sinbad è ancora vivo-.

Red si distaccò dalla balaustra, avvolgendomi il braccio con il proprio per poi sistemare la tempia sulla mia spalla e osservare la stessa infinità del mare.
-Riusciremo a farla franca anche questa volta, sei il Capitano Hook, dico bene?-.

-Impari in fretta a quanto vedo- dissi soddisfatto, mentre mi voltavo completamente verso di lei per avvolgerle la vita tra le braccia.

Le accarezzai la guancia, saggiandone la morbidezza, prima di perderci in un bacio che avevamo tanto atteso, forse fin dall’inizio del nostro viaggio.
Questa volta non avevo catene che mi impedivano di tenerla stretta a me, non vi era nulla che mi costringesse a rimanerne lontano.
Dunque non mi tirai indietro, assaporando fino in fondo le sue labbra rosse senza avere l’intenzione di abbandonarle presto, tutt’altro, desideravo che non si allontanassero mai.
Nessuno dei due si era mai scambiato una dichiarazione d’amore esplicita, nessuno dei due si era rivolto un qualsivoglia ti amo, eravamo perfettamente consapevoli di ciò che provavamo l’uno per l’altra.
La disperazione, il desiderio di rimanere insieme, la volontà di non andare via ci rendevano uniti e le parole non avrebbero aggiunto nulla di diverso a qualcosa che già conoscevamo.
Erano stati altri a mostrarci i nostri sentimenti e preferivamo conservare qualcosa di così prezioso dentro di noi, senza che potesse perdersi nell’aria, che avrebbe agguantato parole volanti con il rischio che potessero perdersi. 







// Nda: 

Arrivati a questo punto, vi svelo la mia idea iniziale riguardo la storia. In realtà la trama apparteneva ad una originale che avevo in mente di scrivere un anno fa, ma rendendomi conto della vicinanza dei personaggi alla storia di Hook, Proteo e Red, ho preferito fare questo tentativo e ne sono piacevolmente soddsfatta. 
L'idea iniziale inoltre era che alla fine Killian sarebbe morto, perchè? Per il semplice fatto di aver compiuto un sacrificio e come tale non poteva tornare indietro, calpestando l'orgoglio. Ma alla fine la voglia di vivere era troppa, inoltre non poteva morire rischiando di portarsi dietro anche Red, visto quello che Milah stava per fare. 
Dunque alla fine si è salvato, siete più contente? Io sì xD perchè in effetti dopo quello che ha passato ci mancava solo questa!
Ad ogni modo ringrazio sempre tutte coloro che mi seguono, ormai mancano due capitoli alla fine. 
Alla prossima! 
 

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Capitolo 22
*** Verso Siracusa ***


XXII. Verso Siracusa






Un nuovo giorno stava arrivando, non come tutte le albe che si erano susseguite fino ad allora. Avvertivo la pesante assenza dell’orologio sul petto, non avere più quella sensazione mi garantì sonni tranquilli e momenti più piacevoli in quella vita che aveva ricominciato a scorrere da capo.
E’ come se il tempo avesse ripreso a battere dall’inizio, concedendomi la possibilità di ricominciare.
Spesso però in quelle notti ero stato afflitto da incubi in cui venivo risucchiato in un vortice nero, dove anche Milah girava in cerca di vendetta, finché poi entrambi non trovavamo la nostra pace interiore.
L’avevo uccisa, sporcandomi del suo stesso sangue. Non sempre riuscivo a togliermi dalla testa il suo viso morente e la smorfia di dolore con cui aveva lasciato questo mondo per la seconda volta. Era colpa mia, non seppi proteggerla da Tremotino e poi nemmeno da me stesso.
Red ogni tanto, quando di notte ascoltava i miei lamenti, mi cingeva il petto con una mano, appoggiandola lì dove un tempo sorgeva la mia maledizione.
Tanto mi bastava per riprendere a respirare e a calmare tutto ciò che avvertivo all’interno del corpo e della mente.
Sapeva darmi forza e sapeva anche quando preferivo rimanere da solo. Non ci volle molto a riprendermi da quegli incubi, lasciai passare il giusto tempo perché potessi inglobare tutto ciò che era accaduto fino ad ora.
Proprio in quel giorno, al cui tramonto avremmo raggiunto Siracusa e di conseguenza le ombre del passato di Proteo, mi trovavo di vedetta sull’albero maestro per poter controllare l’andatura del mare.
Red mi raggiunse velocemente, vestita sempre del suo mantello rosso.

-Non riesci proprio a lasciarlo andare- sorrisi quando la vidi avvicinarsi, chiusa nel manto per proteggersi dal vento.

Alla fine non aveva avuto tempo di chiedere a Tremotino di ricucirlo con la magia, preferì cercare di raggiungermi prima che potessi partire ed andare via senza di lei dalla Foresta Incantata.
Le avevo ripetuto che non vi era bisogno di indossarlo assiduamente, ormai aveva preso coscienza della sua natura ed era in grado di controllare il lupo senza bisogno di nascondersi.

-Preferisco essere sicura fino in fondo, anche se i giorni  del lupo sono lontani- ricambiò il sorriso, guardando oltre l’orizzonte –cos’è che ti preoccupa?- cambiò subito argomento.

Lasciai voltare lo sguardo sulle onde del mare, incrociando le braccia ed alzando appena il mento perché la brezza leggera potesse sfiorarmi il viso.

-Nulla in particolare, oltre agli incubi notturni, temo che possa accadere qualcosa di spiacevole quando arriveremo a Siracusa. Non abbiamo recuperato il Libro della Pace e non abbiamo idea di cosa troveremo lì- dissi semplicemente, stringendomi nelle spalle.

Red scosse il capo lentamente, tirando fuori il kriss dalla guaina che si era costruita appositamente per poterlo portare sempre dietro. Si mise in posizione di guardia puntandomi la lama ondulata contro.

-Hai dimenticato che ci sono anche io e sono un’ottima carta da giocare- mi invitò ad avvicinarmi in quello spazio stretto per avviarci in un combattimento che non sarebbe durato poi così tanto.

Scoppiai a ridere, sembrava davvero seria e non si stava solo divertendo. Coprii la nostra breve distanza e la aggirai per posizionarmi alle sue spalle, correggendole l’intera posizione che era completamente errata. Le feci piegare le ginocchia e le feci mutare l’impugnatura del kriss, perché lo afferrasse dall’alto, di modo che potesse usarlo come pugnale e non come una daga.

-Se davvero sei tu il nostro asso nella manica temo proprio che la mia preoccupazione sia più che ragionevole- le sussurrai all’orecchio, scostandole i capelli con l’uncino prima di iniziare a sfiorarle il collo con esso. Non potevo avvertire la sensazione della sua pelle morbida, ma potevo immaginarla.

-Non ti fidi delle mie capacità!- quel momento durò un istante soltanto poiché si voltò scostando l’uncino e puntandomi il kriss al fianco, lì dove era guarita con fatica la ferita.

-Chi ha parlato di fiducia?- sorrisi abbassandole lentamente il braccio armato, prima di avvolgerle la vita per portarmela accanto. Tentò di ribattere ancora ma la fermai, sfiorandole le labbra così a lungo da farle terminare il fiato.

Se avevo deciso di rilassarmi fino all’ultimo istante, dovetti ricredermi poiché ciò che stavamo raggiungendo si fece sentire più del dovuto. Un rombo di cannoni aveva squarciò l’aria finché la Jolly Roger non fu colpita dal primo dei tanti attacchi che si sarebbero susseguiti.
Io e Red ci distaccammo immediatamente, non ci eravamo accorti della profonda nebbia che si era abbassata fino a coprire l’orizzonte e le palle di cannone che venivano sparate la fendevano per raggiungerci e distruggerci.

-Caricate i cannoni, prendete posizione, ne vedremo delle belle!- gridai al di sotto della mia postazione, prima di indicare a Red di discendere fino al ponte per prepararsi allo scontro.

Avevo immaginato che Sinbad non si sarebbe arreso così facilmente e che avrebbe trovato il modo di non farci raggiungere Siracusa, anche se ormai mancava poco ad arrivare al regno.
La nebbia continuava a coprire ogni visuale e quando mi ritrovai anche io sul ponte diedi le ultime disposizioni anche se il frastuono dei cannoni avversari non permettevano la giusta concentrazione.
Iniziammo a contrattaccare ma senza risultati, non riuscivamo a vedere nulla. Feci posizionare la nave di modo che potesse attraversare la nebbia e quando la sorpassammo, incontrammo il veliero di Sinbad che ci aspettava dall’altra parte.

-Dunque ci rincontriamo- disse Sinbad alzando la voce dall’altra parte perché potessimo ascoltarlo –la scorsa volta siete riusciti a fuggire, ma oggi non vi lascerò alcuna possibilità- i suoi occhi verdi scintillavano di rabbia per quello che era accaduto.

Accanto a lui vi era Marina che sembrava anch’essa pronta a combattere. Dunque avremmo dovuto usare tutte le nostre forze per poterli battere e riuscire a vincerli. Fui in procinto di fare il mio solito discorso alla ciurma prima di una battaglia, ma non ve ne fu il tempo, poiché il mare iniziò a girare vorticosamente proprio al di sotto della Jolly Roger.
Dalle acque sorsero enormi tentacoli che iniziarono ad intrecciarsi intorno alla nave, afferrandone gli alberi e le vele, mentre l’enorme mostro che apparteneva a Sinbad si ergeva su di noi generando le paure peggiori che un uomo di mare potesse avere.

-Per tutti i sette mari, allora esiste davvero!- le parole di Christian ruppero il silenzio e l’espressione colma di stupore che ci aveva trascinati tutti nell’immobilità, mentre alzavamo gli occhi sulla piovra che tentava di stritolare la Jolly Roger.

-Presto, abbandonate la nave!- dare quell’ordine mi provocò un rantolo di tosse provocato dal desiderio reale di non farlo.

-Non possiamo lasciare la Jolly Roger, Capitano!- fu Proteo a strattonarmi per un braccio, perché ci ripensassi. Fu allora che uno degli enormi tentacoli iniziò a spazzare via molti dei miei uomini dal ponte per gettarli in mare.

-E preferisci morire in questo modo? Se il kraken stritola la nave non possiamo fare nulla contro di lui, se non metterci in fuga!- così facendo gli indicai di tagliare tutte le corde.

Sinbad voleva proprio che ci scontrassimo di nuovo sullo stesso terreno, infatti rimase fermo in attesa della nostra venuta.
Il kraken continuava a stritolare gli alberi e a spazzare via il resto dei pirati che non riusciva ad aggrapparsi in tempo ad alcuna corda per potersi lanciare verso la salvezza.
La Jolly Roger sarebbe andata distrutta e così una parte di me, ma non potevo sacrificare un intero equipaggio per una sola nave. Per quanto tutto ciò mi addolorasse, non avevo altra scelta.
Agguantai Red perché potessi condurla via con me, Proteo e Christian si erano già lanciati sulla nave di Sinbad che li accolse con i primi scontri di lame che scintillarono alla luce del sole.

-Ne sei davvero certo, Killian?- mi domandò Red, guardandosi indietro mentre osservava il kraken fare a pezzi le vele.

-Non ho altra scelta- tagliai la corda che ci condusse dall’altra parte, non appena vi scendemmo le sussurrai all’orecchio –occupati della ragazza, combatterà anche lei-.

Non perse un attimo di tempo, Sinbad doveva aver dato alla sua compagna lo stesso ordine, tant’è che Marina si scagliò con Red con voracità, come se desiderasse prendere il suo sangue per vendicarsi di ciò che era accaduto la notte di luna piena.
Red se la cavava piuttosto bene, la sua agilità era ineguagliabile e non si sarebbe lasciata sopraffare facilmente.
Io intanto sguainai la sciabola, il combattimento iniziò senza lasciarmi il tempo di respirare, avrei dovuto affrontare ancora una volta Sinbad ma questa volta non ero certo di potercela fare davvero.
Se non fosse che Proteo si avvicinò di nuovo, prima di atterrare uno degli avversari, mi prese per un braccio tirandomi via da un altro che stava tentando di colpirmi.
Una volta fatto fuori, mi sussurrò con voce carica di fuoco.

-Io mi occupo di Sinbad, tu veditela con il kraken. E’ lì che si trova il Libro della Pace e se non ci liberiamo del mostro saremmo spacciati- così facendo mi abbandonò, lanciandosi nella mischia per poter raggiungere il suo nemico che invece di sporcarsi le sangue rimaneva fermo in attesa del suo unico avversario.

Gran faccia tosta Proteo a lasciarmi il lavoro più complicato! Affrontare il kraken da solo, rischiando di perire al primo tentativo, un gesto davvero gentile da parte sua. Ma Sinbad era il reale nemico di Proteo e quello di un pirata era rappresentato dalla gigantesca piovra, se mai fossi riuscito a sconfiggerla sarei diventato l’uomo più pericoloso al mondo. La cosa mi allettava parecchio.
Uccidere quel mostro non sarebbe stato facile e non ci sarei riuscito al primo colpo, dovevo studiare la  velocità dei suoi movimenti e il modo di agire, ma intanto ne avrei approfittato per prendere tempo e sfruttare tutto a mio piacimento.
Mi sollevai sulla balaustra, agitando le mani in aria per poter richiamare la creatura marina che continuava a stritolare la mia nave.

-Allora, mi vedi? Sono qui, vieni ad affrontarmi se ne hai il coraggio! Se cerchi un  uomo da uccidere, io sono il peggiore che tu possa trovare!- gridai con forza, ottenendo subito l’obiettivo che mi ero prefisso.

Il kraken ascoltando la mia invocazione, lasciò scivolare i tentacoli fino ad immergersi di nuovo nelle acque e si scagliò contro la nave di Sinbad innalzandosi in tutta la sua grandezza.
Deglutii e quando cercò di spazzarmi via con un tentacolo, mi gettai lontano cosicché potesse colpire la nave.
Il mio scopo era quello di distruggere anch’essa per indebolire Sinbad e far fuori più velocemente i suoi marinai.
Continuai a giocare al gatto e al topo piuttosto a lungo, tant’è che molti degli alberi cedettero e alcuni degli uomini divennero il pranzo del mostro, che non si sarebbe placato finché non avesse raggiunto me.
Fu allora che una voce femminile si stagliò nell’aria della battaglia.

-Sta cercando di distruggere la nave, uccidetelo!- era stata Marina a dare quell’ordine, poiché Sinbad era troppo occupato a lottare contro Proteo che non gli dava modo di respirare nemmeno per un attimo, nonostante entrambi si stessero affannando.

-Non ti distrarre, vorrei ricordarti che devi ancora vedertela con me- Red le balzò addosso, atterrandola e sfilandole la lama che teneva stretta nella mano destra, scagliandola lontano.

Sapevo che se la sarebbe cavata bene, mi fidavo di lei. Quando però mi accorsi che uno dei tentacoli del kraken si stava dirigendo proprio verso di loro, ebbi timore che il peggio potesse accadere. Mi agganciai ad una delle corde che ancora sussisteva e mi sospinsi verso la direzione di Red, riuscendo ad afferrarla per poi farla rotolare via insieme a me, gettandomi sul ponte in lontananza per poterla salvare dalla presa del kraken che al suo posto prese Marina.
Le sue urla spezzarono il gran frastuono da cui eravamo avvolti, io tenevo stretta Red a me per poterla proteggere ancora da ulteriori attacchi, ma tutto il resto dell’equipaggio di Sinbad si ammutolì.
Persino lui fu costretto ad arrestarsi quando si accorse di ciò che stava accadendo e Proteo di rimando fece lo stesso.
La donna che amavano si ritrovava nelle grinfie del mostro marino che non ebbe remore nello stringerla nel proprio tentacolo.

-Lasciala andare, te lo ordino!- la voce di Sinbad, carica di preoccupazione, si fece più forte di tutto il resto.

Ma il kraken non parve più ascoltarlo, desiderava altro sangue e il legame che lo univa al suo padrone divenne sempre più sottile, confuso da tutto ciò che stava accadendo.
Non accennò a lasciare Marina, ma anzi iniziò a farla roteare in aria sempre tenendola stretta, come una preda.

-Sinbad fa qualcosa, devi salvarla!- Proteo lo scosse per un braccio, coprendo la loro distanza, per un attimo in tutti quegli anni si sentì di poter collaborare con lui.

Sinbad si oscurò in volto, indeciso sul da farsi. Uccidere il kraken voleva dire spezzare il legame con Eris e al tempo stesso avrebbe causato la perdita di tutta la sua forza e il suo potere. Ma non poteva permettersi di perdere Marina, l’unica luce nella sua vita. Allontanò Proteo con rabbia, corse verso il centro del ponte e staccò una delle assi di legno fino a farne uscire uno scrigno dorato.
Lo aprì e fece uscire un cuore ancora pulsante che tenne stretto nella sua mano, doveva farlo, non poteva tirarsi indietro. Proteo lo raggiunse e si inginocchiò accanto a lui.

-La tua forza non consiste nel potere di qualcun altro, ma nella scelta della strada che decidi di intraprendere- gli sussurrò come ai vecchi tempi qualcosa che però non lo aveva indirizzato verso la scelta migliore da fare.

Sinbad corrugò la fronte, socchiudendo per un attimo gli occhi, come a voler riflettere.
-Sei sempre stato il più saggio tra noi due- disse con un velo di rammarico, ad un rinnovato urlo di Marina fece ciò che era più giusto fare. Stritolò il cuore del kraken fino a farlo diventare polvere, cosicché all’istante la creatura marina  finì nel fondo degli abissi, lasciando ricadere Marina sulla nave che ormai era quasi stata distrutta. Accanto a lei giunse anche il Libro della Pace che si era materializzato con la morte stessa del mostro.

Sinbad corse immediatamente verso di lei per poterla aiutare a sollevarsi, la caduta le aveva provocato la rottura dell’osso della gamba destra e non riuscì ad alzarsi in piedi senza gridare dal dolore.
Io e Red rimanemmo immobili, così com’eravamo rimasti, osservando la scena senza dire nulla. Ci limitammo a fare del nostro centro Proteo con i cui occhi potevamo filtrare la sofferenza ed il dolore.
Il marinaio era stato sconfitto, non poteva fare più nulla contro di noi, ma aveva compiuto la sua scelta. Eppure Proteo non volle arrendersi, non poteva gettare davvero quell’amicizia alle spalle, senza nemmeno tentare di rinnovarla.
Recuperò il libro, usandolo quasi come scudo mentre rimaneva fermo davanti a Sinbad e Marina ormai sconfitti.

-Hai fatto la scelta giusta, Sinbad. Possiamo ancora provare a…- non fece in tempo a terminare di esprimere il suo desiderio, che una nuvola viola avvolse tutta la nave, fino a scomparire per lasciare al suo centro una donna dai lunghi capelli neri che ondeggiavano attorno a tutto il corpo.

-Mi hai estremamente deluso, Sinbad- la sua voce era calda come il miele e la sua bellezza incomparabile, si muoveva sinuosamente verso il suo interlocutore, scuotendo la testa.
-Ti ho dato il potere, ti ho dato la donna dei tuoi sogni, ti ho reso il più grande tra gli uomini e mi ripaghi in questo modo?- posò le mani sui fianchi, per poi circondarlo con la sua presenza, appoggiandogli il mento sulla spalla.

-Non è come credi, Eris. Ho ancora intenzione di portare a termine il mio compito- cercò di spiegare Sinbad, ma lei non volle ascoltarlo.

-Taci, non voglio ascoltare nemmeno una tua parola. Hai ucciso il mio adorato kraken, dovevi badare a lui!- si riferiva al mostro che gli aveva dato in custodia per governare sui mari –Siracusa non è ancora stata distrutta e non sei nemmeno riuscito ad uccidere Proteo- piegò le labbra in un’espressione triste e desolata –il tuo cuore è nero, lo sento, ma hai preferito salvare la donna che ami piuttosto che continuare ad essere il re dei sette mari- sibilò con forza nel suo orecchio, ma tutti riuscimmo ad udire le sue parole.
-Peccato, eri così affascinante, ma ora non mi servi più- e così facendo gli strappò il cuore dal petto per poterlo stritolare così come lui aveva fatto con quello del kraken.

Le urla di Marina e di Proteo squarciarono l’aria mentre il corpo di Sinbad cadeva a terra, privo di vita. La ragazza scoppiò a piangere, cercando di risvegliare qualcuno che ormai aveva lasciato quel mondo. Una scena simile mi richiamò alla mente ciò che accadde tempo fa, quando fui io a compiere gli stessi gesti cercando di far risvegliare Milah, senza successo.
Mi voltai dall’altra parte, non ero in grado di sopportare una visione simile, Red comprese ciò che mi stava accadendo e strinse la mia mano, ricordandomi che non mi avrebbe abbandonato.
Eris si voltò verso di noi, inumidendosi le labbra.

-Killian Jones, è anche a causa tua ciò che è accaduto- mi guardò con un certo interesse, masticando qualche strana idea che poi risultò più chiara –il tuo cuore è simile a quello di Sinbad, forse un giorno tornerò a trovarti- la sua risata rappresentò un arrivederci che minacciò il mio possibile futuro.

Non ebbi nemmeno il tempo di preoccuparmene poiché accadde qualcosa di assolutamente inaspettato. Marina, straziata dalla perdita di Sinbad, recuperò la daga che aveva usato per combattere contro Red e se la puntò all’altezza dello sterno, cercando il coraggio di compiere un ultimo gesto estremo.
Quando Proteo assistette a quella scena, si gettò su di lei togliendole l’arma di mano per proteggerla dalla sua stessa folle volontà.

-Non fare sciocchezze Marina, Sinbad si è sacrificato per te, per salvare la tua vita- quelle parole gli uscirono dalle labbra come fossero un ruggito, la afferrò per la nuca di modo che potesse guardarla negli occhi –non gettarla via in questo modo-.

Il dolore alla gamba di lei era troppo forte, tanto che fu costretta a cadere in ginocchio poiché non riusciva a reggersi in piedi. Le lacrime le soffocarono gli occhi, probabilmente non riusciva nemmeno a vedere lo sguardo addolorato del suo antico pretendente.

-Che senso ha rimanere qui, Proteo? Non posso comprare il mio passato e l’idea di vivere senza di lui mi ucciderebbe lentamente- rispose lei tra i singhiozzi, lanciando un ultimo sguardo al corpo di Sinbad che era rimasto lì accanto a loro.

-Mi prenderò io cura di te, non puoi lasciarmi anche tu, non te lo permetterò!- Proteo continuava a tenerla stretta, proprio per evitare che compiesse quella follia. Anche lui aveva le lacrime agli occhi e trattenerle non sarebbe servito a nulla.

-Lasciami andare, ti prego- gli appoggiò una mano sulla guancia, accarezzandola per pulirla dalle lacrime salate –tentare di amarti sarebbe una bugia. Aiutami- gli rispose con gli ultimi singhiozzi.

Marina non era certa di riuscire a compiere quel passo estremo, si era quindi affidata a lui, perché le dimostrasse di amarla davvero.
Proteo resistette fino all’ultimo, con la daga puntata verso di lei, poiché in quel modo Marina l’aveva direzionata approfittando di una sua debolezza. Quando si sentì pronta annuì, per potergli garantire che fosse giunto il momento. Ma Proteo non accennò a muoversi nemmeno di un sospiro, così fu lei ad andare incontro alla lama, conficcandola nello sterno per inglobarla completamente dentro di sé fino al pomo, finendo poi abbracciata al principe di Siracusa.
Proteo socchiuse gli occhi, mordendosi le labbra a sangue per non guardarla esalare l’ultimo respiro. Fu presa dagli spasmi ma non durò molto quell’agonia poiché la presa su di lui divenne più labile, fino a lasciarsi ricadere di schiena, accasciandosi in un sonno eterno. 
Sinbad era stato sconfitto, la sua compagna aveva deciso di seguirlo per evitarsi una lunga sofferenza. Esempi che avremmo dovuto tenere lontani, poiché non sempre si ha la fortuna di incontrare chi è in grado di trascinarci via dal buio.
Strinsi la mano di Red, rendendomi conto di quanto fossi stato fortunato nell’aver trovato la mia ancora di salvezza, senza nemmeno averla cercata.
Proteo rimase in ginocchio, con il viso coperto dai capelli biondi che si erano allungati e gli coprirono il viso, concedendogli un pianto solitario.
Lasciai per un attimo Red che era ormai al sicuro, l’equipaggio di Sinbad si arrese e gettò le armi sul ponte della nave, io mi diressi verso Proteo appoggiandogli una mano sulla spalla.
Non appena lo sfiorai quest’ultimo si alzò in piedi, pronto per le esequie. Ricacciò via la tristezza dal suo viso, riprendendosi come meglio possibile. Recuperato il Libro della Pace, era ormai tempo di dirigerci verso Siracusa, verso la fine di tutto ciò che era cominciato. 





// Nda

Bye Bye Sinbad! E così siamo al penultimo capitolo. Un pò mi dispiace abbandonare questa storia, è stata la mia prima pubblicazione su questo fandom e la cosa mi emoziona.
All'inizio questo capitolo doveva finire in modo diverso, infatti sarebbe dovuto morire Proteo per salvare Sinbad dalla sua triste fine, ma in tal caso Siracusa sarebbe caduta davvero nel caos più totale e quindi la storia si sarebbe allungata di parecchio. Inoltre mi sono affezionata troppo a lui per togliergli pure la vita, oltre al fatto che Killian ha anche sofferto abbastanza. W i finali disneyani, ogni tanto ci stanno. 
Rinnovo i miei ringraziamenti a  tutti coloro che continuano a seguire questa storia. Alla prossima con l'ultimo capitolo!

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


XXIII. Epilogo





La lotta con Sinbad era giunta al termine e Proteo era riuscito a recuperare il Libro della Pace. Avevo spezzato la maledizione dell’orologio e al tempo stesso mi ero creato una nuova nemica. Cancellare la vendetta contro Tremotino e dimenticare poco a poco la morte di Milah fu più semplice del previsto.
Riuscimmo a recuperare la Jolly Roger che non era affondata insieme al kraken, per quanto sarebbero servite settimane per rimetterla davvero in sesto, avremmo continuato ad avere la nostra nave. Siracusa non era più un miraggio, finalmente avrei potuto visitare quella terra di cui Proteo mi aveva spesso parlato con nostalgia.
Ormai eravamo pronti a dividerci e a prendere ognuno la propria strada. Si era deciso a tornare nel suo regno per porre fine alle guerre dei sette paesi, così da ristabilire la tranquillità e diventare  il nuovo Re dopo suo padre.
Fummo accolti con il massimo rispetto possibile tra quelle strade luminose e colme di chiarore, Proteo era entrato in città come un eroe mostrando al suo popolo il Libro che lo avrebbe salvato. Suo padre quasi non riuscì a credere ai suoi occhi stanchi quando lo vide fare irruzione nella sala del trono, vestito come uno dei peggiori tra i pirati e seguito da altrettanti poco raccomandabili.
Il pianto di bentornato si prolungò il necessario, poiché poi sovvenne il racconto di tutto ciò che era accaduto durante la sua assenza. Nessuno desiderò ricordare la messa a morte del Principe e non vi fu nemmeno uno dei rappresentanti dei sette regni che volle richiamare alla mente quel gravissimo errore, soprattutto perché ormai Proteo era tornato come un salvatore.
Il Libro della Pace fu riaperto e posizionato all’interno di un’alta torre che fungeva da faro per il porto di Siracusa, per illuminare i popoli  e porre fine a quelle assurde guerre che per anni avevano distrutto uomini e famiglie.
Quella sera stessa si sarebbe organizzata una festa in onore del Principe e tutti noi eravamo stati invitati, io non ero propenso a rimanervi ma Red insistette, non potevo andare via in un momento così importante per lui.
La festa non tardò a giungere e mi ritrovai catapultato in un mondo che avrei preferito non guardare più da vicino. Come poteva Proteo riabituarsi ad un tipo simile di vita? Aveva affrontato avventure, era stato libero di fare della sua vita ciò che desiderava ma alla fine era tornato al punto di partenza.
Il Palazzo brulicava di nobili dai lunghi abiti e i miei uomini non si risparmiarono dal trafugare qualche prezioso gioiello dal collo di  gentildonne che cedevano alle lusinghe di uomini che aveva il fascino del vissuto.  Christian ovviamente fu l’invidia di molti aristocratici, riuscì a sfoggiare il suo miglior completo da sera per conquistare le dame più ricche di Siracusa e dei regni vicini.
Io me ne stavo accanto ad una colonna, ad osservare in silenzio ciò che vedevo intorno a me. Nella mie stanze avevo trovato un abito adatto all’occasione, il re ancora in carica teneva molto alle apparenze e non desiderava che per quella sera qualcuno potesse non essere perfetto. Certo, provai a vestirmi in quel modo ma vi rinunciai subito dopo, tornando ad indossare i miei soliti abiti. Non volevo mescolarmi con quelle persone e un po’ era anche un modo per protestare contro  la scelta di Proteo di rimanere lì.
Solo una pallida visione alla fine della sala mi fece riprendere da quei pensieri, quando incontrai l’esile figura di Red che si ergeva tra tutti come la più bella. O erano i miei occhi a vederla in quel modo?
Un lungo abito scarlatto scendeva perfettamente a delinearle le forme del corpo, i capelli corvini erano per metà raccolti, così da scoprirne meglio il viso sorridente.
Iniziai ad incamminarmi verso di lei, se non fosse che alcune dame la circondarono per poter sapere di più di lei e delle sue avventure, soprattutto erano curiose di conoscere la vita a bordo di una nave.
Probabilmente nessuna di loro sarebbe riuscita a sopravvivervi. Mi avvicinai, oltrepassando la loro curiosità fino a sostare davanti a lei, inchinandomi con eleganza per poi porgere la mano in avanti.

-Mia Signora, mi fareste l’onore di concedermi questo ballo?- domandai alzando leggermente il mento, per poterla guardare negli occhi.

Red non si limitò a sorridere e ad accettare con delicatezza la mia mano, ma aggiunse:
-Solo se me lo chiederete altre due volte, così da sembrare totalmente sconveniente [1]-.

Le altre dame ci guardarono con una leggera preoccupazione, era evidente che non fossimo poi così adatti a quel luogo, ma in fondo non eravamo lì per mescolarci tra di loro, piuttosto per presenziare ad un evento importante.
La condussi dunque al centro della sala, coinvolgendola in una danza che fortunatamente conoscevo abbastanza bene, in fondo avevo sempre detto di essere un gentiluomo.
Mentre la facevo volteggiare mi rendevo sempre più conto di quanto la mia vita fosse legata alla sua. Tutti i momenti trascorsi insieme mi giunsero alla mente per rischiarare il buio che tentavo di mandar via.
La musica non era ancora terminata che colto da un improvviso desiderio di togliermi del tutto la maschera di Capitan Hook e di dimostrarmi Killian Jones, quel Killian Jones che avevo abbandonato tempo fa. La avvicinai a me, avvolgendola per la vita e lasciando che il resto della danza la proseguissero gli altri.
Red mi guardò senza capire che cosa avessi intenzione di fare, in fondo nemmeno io ne ero piuttosto certo.

-Credo di amarti- quelle parole uscirono come un fulmine al ciel sereno, non le avevo previste e non ero riuscito fino ad ora a confessare qualcosa di simile, poiché tenevo per me quel sentimento che cresceva sempre di più. Per un attimo ebbi paura persino di sembrare uno sciocco o un bugiardo.

Red per un attimo distaccò le mani dalle mie spalle, trascinandole lungo i fianchi, stupita quanto me da ciò che avevo detto. Forse lo considerò come un momento di ubriachezza, o forse no.
-E te ne accorgi soltanto adesso?- il suo sorriso esplose al culmine della felicità –E’ dalla prima volta che mi hai vista che ti sei innamorato di me-.

Sgranai gli occhi, prima di scoppiare a ridere per quel sarcasmo inaspettato. Come si poteva ridere su una cosa così seria? Lo si poteva solo con lei, che era in grado di alleggerire qualunque pesantezza al mondo.

-Non proprio dalla prima, forse la seconda, ma sono sicuro che la terza fosse stata quella più…- non mi diede il tempo di finire che mi posò un dito sulle labbra per zittirmi.

-Vogliamo tornare a quello che mi hai detto prima?- mi fece capire che mi ero lasciato prendere dal nervosismo, non che ne provassi davvero, ma che evidentemente ormai ero entrato nella consapevolezza di amarla davvero. Non che avessi dubbi in proposito, ma affermarlo ad alta voce era una grande prova.

Tutti avevano smesso di danzare poiché il re desiderava brindare al ritorno del Principe, che non ero riuscito ad incontrare per tutta la serata. Io e Red ci dovemmo distoglierci dal nostro breve momento di solitudine e ci mettemmo in disparte per assistere al brindisi.
Mentre osservavo l’innalzarsi dei calici e il discorso iniziava a farsi avanti, provai un lieve moto di rabbia. Purtroppo non riuscivo a togliermi dalla testa che Proteo sarebbe rimasto a Siracusa e che non ci avrebbe seguito nel nostro viaggio.
Vi lasciai Red ad assistere, così mi rifugiai all’esterno della sala che conduceva ad una grande terrazza che si affacciava ad un giardino interno, mentre potevo con gli occhi osservare anche il mare che si stagliava all’orizzonte. Il cielo era trapuntato di stelle e la luna crescente si innalzava alta a segnare quasi lo scadere della festa.
Tamburellai con le mani sul parapetto di marmo, saggiandone la consistenza. Dopo diverso tempo dagli applausi generali all’interno della sala e le danze che ripresero, avvertii un rumore di passi farsi sempre più vicino.
Sapevo perfettamente a chi appartenevano, quindi non mi voltai.
Mi comparve sotto il naso un calice colmo soltanto a metà, che mi fu porto da Proteo, vestito come un vero e proprio Principe.

-Ti  donano questi abiti, davvero- lo schernii cercando di trattenere il veleno che mi scorreva nel sangue, ricacciando via quel rammarico che si avvertiva nella voce.

-Non siete mai stato bravo con i complimenti- mi sorrise di sottecchi –fareste meglio a non farne, soprattutto se non ci credete-.

Come poteva rivolgersi a me come se fossi ancora il suo Capitano? Perché si ostinava a comportarsi con referenza? Sarebbe diventato il Re di Siracusa, non mi doveva più nulla. Afferrai il calice che mi porgeva, avvicinandolo alle labbra, ma quando ne sorseggiai il contenuto rimasi stupito.

-E’ rum?- domandai spostando lo sguardo su di lui –non è una bevanda da nobilastri-.

Proteo si strinse nelle spalle, lasciando subito dopo un’intera bottiglia sul parapetto, appoggiando un dito sul tappo.
-Posso dire di aver fatto un po’ di rifornimento. Non si sa mai che decidiate di tornare qui, ci sarà sempre del rum ad accogliervi-.

Allontanai lo sguardo dalla bottiglia, ricacciandolo sul calice per poter bere di nuovo e cercare di calmare i sensi, iniziavo a ribollire e non desideravo entrare in una discussione spiacevole.
Dunque Proteo non voleva accantonare il suo breve passato al bordo della Jolly Roger, non voleva dimenticare.

-Sarà difficile riuscire a tornare qui una volta partiti. Dobbiamo raggiungere mete piuttosto lontane e non è detto che Siracusa si troverà sulla nostra rotta- dissi con tono fintamente orgoglioso.

Proteo sospirò, comprendendo quanto il mio dispiacere fosse grande e probabilmente potette condividerlo.
-Io vi devo molto Capitano. Senza il vostro aiuto e la vostra guida non sarei mai riuscito ad avere fiducia in me stesso e probabilmente non avrei trovato la forza per tornare a prendere ciò che era mio di diritto. Mi avete insegnato a lottare e a rendere preziosa la mia vita e ho cercato di servirvi nel migliore modo possibile. Ma se decidessi di proseguire la strada con voi mi dimostrerei solo un codardo. Non è facile tornare a vestire i panni di un Principe che ha abbandonato il suo popolo, non sarà altrettanto facile risistemare le cose in questo Regno. Però posso assicurarvi che ci sarà sempre posto qui a Siracusa per voi, Red e tutta la ciurma della Jolly Roger- le sue parole suonavano davvero come quelle di un futuro regnante.

Mi ero comportato in modo infantile, immaturo e con il timore di perdere per sempre un caro amico a cui spesso avevo affidato le sorti della mia vita.
Lui si era dimostrato molto più consapevole di sé di quanto non lo fossi io di me stesso. Il fatto che avesse scelto il suo passato non implicava affatto il voler dimenticare ciò che aveva trascorso a bordo della mia nave. I suoi amici sarebbero rimasti tali e noi saremmo sempre stati i benvenuti.

-Cerca di comportarti come un buon re o verrò a reclamare i diritti di tutta Siracusa- comprese con quella frase che non ero più adirato con lui a causa della scelta che aveva fatto.

Allungò la mano verso di me così da poterla stringere, quella stretta sancì un rinnovato patto di amicizia che difficilmente sarebbe stato spezzato.
Mi sentivo più tranquillo all’idea di lasciarlo con quella sicurezza, nonostante avesse perso molto durante la sua strada, si era fortificato e avrebbe guidato il regno con saggezza.

-Christian mi ha confessato che partirete l’indomani all’alba, se così fosse, vi chiederei di rimanere ancora qualche settimana per sistemare la nave. Ma dubito che vi lascerete convincere- la sua affermazione confermò quello che avrei detto di seguito.

-Sai, Siracusa non possiede il legno più adatto per ricostruire la nave e la Jolly Roger merita quello migliore al mondo- feci schioccare la lingua prima di terminare il rum.

Proteo fu mandato a cercare, era sparito dal centro della festa e gli invitati più eminenti desideravano conversare con lui. Fu costretto a rientrare ma non me la presi, ormai era entrato perfettamente nella parte.
Il veleno che avevo nel sangue smise di circolare, facendomi tornare a sorridere. In fondo ero il Capitano di una nave e potevo modificare la rotta a mio piacimento.
Con quell’ultimo pensiero tornai all’interno della sala, notando come i membri della mia ciurma si fossero ubriacati con il rum che Proteo aveva fatto distribuire loro.
Le lamentele degli astanti si susseguirono quando iniziarono a creare qualche disastro, ma in fondo era divertente e avevano passato talmente tanti guai che non avrei avuto cuore di fermare la loro serata libera.
Red tornò da me, con una mano poggiata su un fianco, come faceva ogni volta che voleva rimproverarmi.

-Lasciarmi sola per tutto questo tempo, ma che ti è venuto in mente? Come minimo devi farti perdonare- ovviamente stava scherzando, lo faceva solo per tentare di stuzzicarmi ma conoscevo bene il suo modo di fare. Quando si avvicinò posò una mano intorno al mio braccio –che ne dici di ritirarci? Sono stanca della vita di corte-.

Annuii, lieto di quella richiesta.
-So esattamente come farmi perdonare, soprattutto perché non ne posso nemmeno io di rimanere ancora qui. Sarà meglio che mi tolga di mezzo o Christian perderà metà delle sue spasimanti se rimango-.

Ricevetti un amorevole schiaffo sulla spalla.
-Sei troppo fiducioso nelle tue qualità, Killian Jones-.

Risi di gusto, prima di afferrarla per la mano e condurla via da quella eccentrica sala dai colori così sgargianti che rischiavano di confondere la realtà dal sogno.
-Ora non dirmi che ho perso tutto il mio fascino- così facendo le sfiorai le labbra, per evitare che rispondesse.

Diedi inizio ad un susseguirsi di baci che continuammo a scambiarci mentre salivamo le grandi scalinate del Palazzo, per poter raggiungere la camera degli ospiti che Proteo ci aveva dato.
Non fu la prima volta che facemmo l’amore, ma per quella notte risultò tutto diverso. Entrambi avevamo gettato via le nostre maschere, lasciandoci andare per dimostrare a noi stessi di poter essere ciò che eravamo, senza nasconderci dietro un lungo mantello rosso o un uncino, simbolo di protezione uno e di vedetta l’altro.
Quella notte fummo semplicemente Killian Jones e Red Hood, consapevoli che insieme avremmo potuto affrontare mille battaglie, persino quelle contro noi stessi.
Ed il giorno della partenza poi non tardò a giungere, fummo tutti riuniti al porto per salutare Proteo con la speranza di ritornare presto.
Molti dei miei uomini erano ancora sotto l’ebbrezza del rum, ma navigare non sarebbe stato un problema. Chiesi a Christian se desiderasse rimanere a Siracusa, sapevo che era molto legato a Proteo e sapevo anche che nessuno dei pirati poteva sciogliere il contratto iniziale senza una dovuta autorizzazione.
Ma lui rifiutò quell’offerta, nonostante avesse la possibilità di vivere onestamente e senza rischiare la vita troppo spesso.
Per quanto fosse meravigliosa per lui la prospettiva di rimanere, non volle lasciare la Jolly Roger. Essere di tanto in tanto un gentiluomo era divertente, ma esserlo per sempre sarebbe stato diverso. Lui era un pirata e la sua casa era diventata la Jolly Roger, mi sarebbe rimasto fedele fino alla fine.
Di certo non mi opposi e immediatamente lo feci tornare al lavoro. Proteo salì a bordo per l’ultima volta, salutando ognuno dei membri dell’equipaggio, per poi soffermarsi davanti a me e Red.
Non avevamo bisogno di altre parole che non ci fossimo già detti per dividere le nostre strade, Red lo abbracciò, sussurrandogli qualcosa che doveva riguardare di certo un nostro possibile ritorno.
Poi toccò a me e gli poggiai una mano sulla spalla, per dargli forza come era accaduto in tutti quegli anni, così come anche lui aveva fatto con me.
Quando discese dalla nave ci mettemmo in viaggio, ma fui io l’unico a guardare verso Siracusa anche quando scomparve dai nostri sguardi.
Sapevo che quella non sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrei visitata.




***




“Sposarci? Che razza di domanda è questa!” alzò gli occhi al cielo “Ebbene, devi sapere Edward [2] che tua madre mi ha chiesto e richiesto e strachiesto di sposarci e alla fine… non lo abbiamo fatto” sorrise stringendosi nelle spalle “e questa è la fine del racconto, siete soddisfatti?”  domandò il Capitano della Jolly Roger, tenendo le gambe incrociate e facendo lo stesso con le braccia, osservando i tre bambini che aveva davanti.
“Non è assolutamente vero, io non ho mai chiesto nulla del genere!” disse Red che stava passando proprio verso la loro direzione e che sorridendo si allontanò per tornare ad aiutare il resto della ciurma per il prossimo attracco.
Edward non parve affatto soddisfatto di quel finale, infatti aggiunse subito dopo:
“Ti dobbiamo insegnare proprio tutto, ogni storia che si rispetti  finisce con un ‘e vissero felici e contenti’”.
La bambina più grande che gli stava accanto gli tirò una gomitata che lo fece sobbalzare.
Killian si stupì nel sentire una frase del genere, qualcosa che aveva sentito pronunciare soltanto per gli eroi e per tutti i buoni delle favole. Ma non si soffermò su quel particolare.
“Che intendi con quell’insegnare? Non c’è più rispetto per il Capitano di questa nave! In effetti non c’è mai stato” bofonchiò, ricordando quando era Proteo stesso a rivolgersi a lui in quel modo.
Il bambino più piccolo scoppiò a ridere, prima di biascicare poche parole che fu costretta a tradurre la maggiore.
“Chiede dov’è che stiamo andando”.
Il Capitano si alzò, prendendo in braccio il figlio più piccolo mentre Edward e sua sorella si alzavano di rimando, per poter osservare davanti a loro.
“Riuscite a vedere lì in fondo?” domandò loro indicando la terraferma che si stagliava ormai a breve sul percorso che stavano attraversando “Quella è Siracusa. Stiamo andando a trovare il re”.
 



Note: 
[1] Richiamo Austeniano!
[2] Nome scelto da mia sorella, glielo dovevo. 


// Nda. 


Ed eccoci giunti all'epilogo di questa storia. 
Non posso che ringraziare infinitamente Ally M, Lilyachi, Lady Deeks e NevilleLuna che hanno recensito tutti questi capitoli, spronandomi a continuare per arrivare alla fine.
Ringrazio Laura e Giulia per avermi sostenuta e ringrazio sempre Laura (BlackFool) per aver creato le magnifiche illustrazion di questa storia. 
In più, ovviamente, i miei ringraziamenti vanno a tutte coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite ^^. 
Che dire? La Red Hook è una coppia che ormai mi è entrata nel cuore e di certo non finirà qui. In tal caso, come avete notato, la storia è stata molto incentrata sulla tipologia di avventura ma le prossime che ho in mente non saranno così, inoltre sarà presente anche la parte di Storybrooke.
Domenica prossima pubblicherò una nuova storia sulla coppia Mad Wolf ma in cantiere c'è anche una nuova Red Hook che si intreccerà con le vicende della Mad Beauty. 
Se vi va e volete seguire gli aggiornamenti con spoiler, foto e cose del genere, ho creato un gruppo appositamente per questo scopo: https://www.facebook.com/groups/507038592717142/
 

Vi ringrazio infinitamente, 
Giulia. 

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