Il mio amico d'infanzia

di IamShe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mio amico d'infanzia ***
Capitolo 2: *** Il pediatra ***
Capitolo 3: *** Il nome ***
Capitolo 4: *** Il caso ***
Capitolo 5: *** Il bisogno di lui ***
Capitolo 6: *** Il passato che ritorna ***
Capitolo 7: *** Il momento più bello ***
Capitolo 8: *** Il puzzle completo ***
Capitolo 9: *** Il mio fratellino ***



Capitolo 1
*** Il mio amico d'infanzia ***


Ehm... ciao ^///^
Sono tornata XD
Sì, dopo un’estate da dimenticare, sono tornata. Non so a chi possa far piacere, ma sono ancora qui XD
Questa fan fiction l’avevo in mente da un bel po’, e già durante la stesura di Your Lies avevo cominciato a scriverla. La pubblico adesso, che è già completa nel mio computer. È una fan fiction più particolare rispetto alle altre. La prima cosa che salta all’occhio è il genere. È la prima volta che mi cimento in una vera hot, dunque non ho idea del risultato. Devo ammettere che sono anche un po’ imbarazzata, di questo genere ne ho trovate davvero poche in questo fandom. Inoltre non sono ben sicura del rating: potrebbe facilmente sforare nel rosso, per questo, vi chiedo di darmi un parere per i capitoli che verranno. Se lo riterrete necessario, muterò il rating ;)
Al momento, posso dirvi che è una fan fiction molto breve – solo nove capitoli – e che è ciò che spero che NON accada in Detective Conan, essendo io un po’... come dire, sognatrice ed anche abbastanza... banale, sull’aspettativa del finale. È tutto narrato dal punto di vista di Ran, ed ovviamente ci sarà anche Shinichi. Ma non solo lui... XD Dato il rating e il genere, forse è il caso che i minorenni e i puritani non leggano... ma tanto lo so, che alla fine, un’occhiata gliela darete tutti XD
Ovviamente spero in commenti positivi, ma se avete intenzione di dirmi che sono una malata, una sadica, una pazza schizofrenica, vi accetterò lo stesso XD
E... niente. Ci vediamo di sotto. :)

 



 
#1 Il mio amico d’infanzia
 
 
Sono una donna, e Dio solo sa quanto questo già questo basti a complicare le cose. Sono sposata ed ho un figlio di circa un mese, Conan. Sono la realizzazione del più grande sogno di molte adolescenti, l’incarnazione dell’invidia di molte mie coetanee. Sono una karateka affermata nazionalmente, e sono riuscita anche ad aprirmi una scuola tutta mia, dove tutti i pomeriggi formo e plasmo nuovi combattenti. Non c’è niente che manchi alla mia vita, non c’è nulla che non va nella mia esistenza. Mi chiamo Ran, e secondo mia madre, mio padre avrebbe scelto questo nome dopo essersi sdraiato in un campo di vaniglie.
Disse che erano morbide, piacevoli, rasserenanti.
«Sono orchidee» lo aveva avvisato, e lui se ne era innamorato. Delle orchidee e di me, nove mesi dopo.
I miei genitori sono particolari, credo si siano fidanzati litigando. Si sono conosciuti da piccoli, sono amici d’infanzia, ed hanno passato il resto della loro vita a vedersi crescere, l’uno con l’altro. Dicono d’odiarsi, ma conosco bene quella bugia. Gli amici d’infanzia non potranno mai farlo: sono legati per sempre nel filo fragile e indissolubile della vita, come anelli di una stessa catena. Ma loro hanno trovato il modo di arrugginirla, di spaccarla, e poi di saldarla di nuovo. Non so come abbiano fatto, eppure ci sono riusciti.
«Non si dovrebbe mai smettere di credere nell’amore, nemmeno quando è troppo tardi» dice lei, dopo aver trascorso dieci anni della sua vita lontana da lui.
E se ha incontrato altri uomini nel frattempo nessuno lo sa. E se si è innamorata di altri occhi, si è ubriacata di altri sorrisi non lo rivelerà mai, nemmeno sotto tortura. Perché gli adulti hanno la grande abilità di mescolare le carte anche quando il mazzo è già stato spaccato, anche quando il destino è già stato scritto.
Un tempo pensavo di sapere tutto della vita, credevo di essere la protagonista di una favola a lieto fine, travestita da principessa in attesa che quello lì col mantello azzurro mi venisse a salvare da una torre in fiamme. Ma la vita non è un film per bambini, la vita non è lieta in sé. È cruenta, difficile e traditrice. È tutto ciò che non vorresti mai che accadesse, tutto quello che non immagineresti mai succedesse. Eppure, in un modo o nell’altro, tutti i sognatori come me vi si rassegnano. Frenano i loro istinti, spezzano le loro ali, e si adattano.
Una volta un saggio mi disse: «non continuare a sognare, ma impara a vivere dai tuoi sogni», che tradotto per un’ingenua come me avrebbe dovuto significare più o meno “smettila di comportarti come una ragazzina, c’è il mondo lì fuori, e non è quello che credi”.
Ma perché nessuno mai te lo dice così? Tutti amano usare le metafore, i proverbi, i detti; tutti adorano rimanere sul vago. Sarebbe più facile capire le cose anziché che provare ad interpretarle. Perché ogni testa è a sé, ed ognuno crede quello che vuole credere; perché il mondo non ha proprio nulla di oggettivo, non possiede niente di universale. È tutto relativo, re-la-ti-vo. Odio questa parola, mi dà sui nervi. Relativo significa ‘in relazione di’, cioè tutto dipende da tutto. Non c’è niente che possa esistere se non collegato a qualcosa. L’angoscia. Mi sale così tanto che quasi trovo questi scatoloni di fronte a me meno deprimenti. Vi piacerebbe pensare che non possiate esistere se non dipendenti da qualcosa? Vi credete capaci di decidere, ed invece no, c’è qualcosa che decide per voi. Non è asfissiante?
Mi avvilisco al solo pensiero, perché so che anche per me è così.
Il mio matrimonio, la nascita di mio figlio, i miei studi all’università e quelli al liceo, il mio karate e le mie sofferenze, i miei dolori e le mie gioie, le mie sconfitte e le mie vittorie. Tutto, tutto quello che apparentemente potrebbe appartenermi è di proprietà di qualcos’altro, o di qualcun altro, nel mio caso.
Sento la chiave nella serratura girare e farla scattare. So che è arrivato.
Mio marito entra in casa con aria sbuffante, ma si accende alla mia vista e a quella del piccolo Conan. Si avvicina, mi dà un bacio sulla fronte e con dolcezza mi accarezza i capelli.
«Credo che dovremmo prendere in considerazione l’idea di prendere la roba dagli scatoloni» dico. Effettivamente dovremmo. È una settimana che è lì, abbandonata dalla nostra frenetica e problematica vita e dall’inguaribile pigrizia che lo contraddistingue.
«Non abbiamo fretta» mi dice, deludendomi un po’.
«Abbiamo tutta la vita davanti, no?»
Lui sorride, rinfrancato. «Sì» e mi dona un bacio sulle labbra.
Ci si può fare l’abitudine ai baci, alle labbra, alla lingua di una persona? Credo sia normale dopo un po’ mettere da parte tremolii e tachicardie varie, almeno penso che quando si è vicini ai trent’anni lo sia. Almeno credo.
«A proposito», lo vedo posare le chiavi su uno scatolo, togliersi le scarpe e sedersi sul letto insieme a me e Conan. Accanto a noi un cuore con due iniziali “S e R” appoggiato ad uno scatolone bianco dallo scotch nero. «Ha chiamato Kaori, sai, quello che lavora al comune. Mi ha detto che ci troverà un buco la settimana prossima per andare a firmare.»
Già, dobbiamo ancora farlo. Deglutisco, accarezzando il viso addormentato di mio figlio. Se sono riuscita ad abituarmi ai baci di mio marito, di certo non finirò mai di stupirmi della sconfinata bellezza del mio bambino.
«Perfetto» dico, distratta. Gli occhi sono a Conan: piccolo, fragile ed indifeso. Occhi azzurri e capelli spettinati, un po’ ribelli, di un profondo nero. Apre le palpebre lentamente, quasi con stanchezza. Stringe le mani in deboli pugni, e nel guardarmi mi sorride.
«Ciao tesoro» lo saluto, baciandolo sulla fronte leggermente sudata. Mezz’ora fa ha avuto un’altra crisi di pianto. Ma adesso sguazza, felice, e mi fa battere il cuore all’impazzata.
«Credo che sia l’unico neonato che appena sveglio sorride.»
Io annuisco, fiera. Ha ragione: Conan non fa altro che ridere quando è sveglio. I muscoli del suo piccolo e meraviglioso viso si contraggono in un’espressione favolosa, che metterebbe il buon’umore a chiunque. 
«Però prima mi ha fatto preoccupare. Non la smetteva più di piangere.»
«Forse aveva fame.»
Io scuoto il capo. «No, l’ho allattato mezz’ora prima.»
Mio marito fa un sospiro, socchiudendo gli occhi.
«Ah, sono comparsi ancora...» appoggia la testa sul cuscino, ridendo quasi.
«Cosa?» chiedo, mentre Conan protrae le sue braccia verso l’alto, quasi come se volesse toccare qualcosa. I suoi ditini si avvolgono intorno al mio mignolo destro, e facendolo dondolare un po’, permetto che rida di nuovo.
«I biglietti anonimi.»
Lo guardo, inarcando un sopracciglio. «Cosa diceva l’ultimo?»
«“E smettila di giocare sognatore, il tuo cervello ti porterà alla realtà. Figlio, guarda, il gioco finisce ora. Alza gli occhi: una stella a cinque punte ti illumina ed oscura per te ciò che non dovresti vedere.”»
Sbatto più volte le palpebre, stranita. Ma che razza di indovinello è?
«Chi sarà il pazzo che pensa a queste cose...» dice poi, guardandomi.
«Un tipo che non ha nulla da fare» rispondo io, scettica.
«Bah» si lamenta. «Sai, casomai le cose andassero male, avevo intenzione di chiamare quel tuo amico.»
Una fitta mi apre il cuore e lo lacera da dentro, così che sia impossibile da guarire.
«Mio amico?» deglutisco a fatica, avvertendo le braccia indebolirsi. Ma non posso cedere. La ragione della mia vita è tra le mie braccia.
«Sì, sì... quel tuo amico d’infanzia» dice lui, abbandonandosi di nuovo al materasso. «È un detective, no? chiederò a lui... casomai.»
Già, anche io ne ho uno, di amico d’infanzia; siamo cresciuti insieme, proprio come i miei genitori. Ma io non lo vedo da quasi un anno, e l’ultima volta che ci siamo incontrati, è stato dopo dieci lunghi anni di assenza da parte sua. Dieci anni.
«Certo, Shirai. Puoi... puoi chiamarlo.»
Io deglutisco, timorosa, pare gli stia dando un ordine. Stringo sempre più forte a me Conan. Mi nutro del suo profumo, mi innamoro del suo battito; ripulisco il mio cuore e ci pianto dentro il viso del mio piccolo. Il mio braccialetto col pendente ad infinito struscia sul suo viso. Conan lo prende e ci si mette a giocare. Ho un brivido di freddo, e sono costretta a spostarmi per non imbambolarmi a fissare il diamante che vi è infisso sopra. Mi procura solo dolore. Solo immenso dolore.
«Allora vado a prendere l’elenco telefonico...» si allontana leggermente Shirai, e poi mi sorride: «come si chiamava?»
La relatività del mondo, ecco l’esempio lampante. Lui non ricorda quel nome ed io non riesco a scordarlo. Non è buffo? È mio marito e padre di mio figlio, ma non conosce quel qualcuno che è la causa scatenante delle mie azioni; quel qualcosa a cui la mia vita si relaziona per essere tale. 
«Shinichi Kudo» dico.
Non lo conosce, sa soltanto che è il mio amico d’infanzia.
Sorrido, afflitta. Di che mi lamento? In fondo è davvero così.

 
 
 


 
Rieccomi! Sconvolti, turbati, straniti? Lo so, ne ho combinata un’altra delle mie XD Pensate che il mio ragazzo mi ha chiesto “cosa t’hanno fatto di male ‘sti due?”, ed io gli ho semplicemente detto che sono la coppia più bella del mondo, e che non era di certo colpa mia. Non mi è sembrato contento comunque. Bando alle ciance, e pensiamo alla fan fiction XD
Questo può essere considerato come prologo, infatti è molto più corto rispetto agli altri. So che può sembrare strano pensare a Ran sposata con un altro e con un figlio da un altro, ma spiegherò tutto nel corso dei capitoli. Anche perché il bimbo si chiama Conan, che lo so, può sembrare ancora più strano!
La storia si sviluppa tra presente e passato, e attraverso i pensieri di Ran capiremo che fine abbia fatto Shinichi. Dato che la storia è già tutta scritta, pubblicherò ogni 5 giorni, e alla fine di ogni capitolo metterò uno spoiler del seguente. Poi vedrete ;)
Be’, spero solo che vi piaccia abbastanza. Con le altre sono stata fortunata, che la dea bendata mi assisti anche adesso. :)
La dea bendata però siete solo voi, che mi avete sempre sostenuta. Quindi, vorrei mandare un grande bacio a tutti i recensori di Your Lies e a quelli delle altre fan fiction. Grazie, vi voglio bene.
Vi lascio allo spoiler, buon proseguimento di vacanze. 



#2 Il pediatra

«So che non sono fatti miei» esordisce Shinichi, con ancora in braccio il mio Conan. Siamo in auto, in ritorno verso casa, con il Sole che va a nascondersi dietro i grattacieli di Tokyo. «Ma posso farti una domanda?»
Io annuisco, stringendo più forte le mani sul volante in pelle nera. «Certo, dimmi.»
«Credevo che i primi mesi di matrimonio fossero i più belli...», lo sento appoggiare il capo al poggiatesta. «Ma a guardarti non si direbbe. Come mai?»





A martedì 27 agosto,
Tonia

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Capitolo 2
*** Il pediatra ***


I periodi in grassetto corsivo sono flashback! :)



#2 Il pediatra
 
 
Conan piange, e non riesco a farlo smettere. Le sue lacrime sono coltelli affilati nella mia pelle, e l’impossibilità di capire da cosa siano causate non fa altro che allargare una piaga già aperta: quando è nato è stato costretto a rimanere due settimane nell’incubatrice. Secondo la dottoressa, durante la gravidanza è stato portato ad attorcigliarsi intorno al collo il cordone ombelicale. Così al momento del parto era asfittico, di un colore violaceo. Ero sul punto di perdere mio figlio ancora prima di vederlo. Per fortuna è andato tutto per il meglio: Conan è riuscito a respirare coi suoi polmoni, e dopo quasi un mese dal parto, siamo tornati a casa. Ecco perché è tutto in disordine qui. È solo una settimana che abbiamo traslocato, e mille problemi ci hanno travolti. Mio figlio è nato durante il mio matrimonio, ancora prima che potessi pronunciare il fatidico . È nato prematuro, perché lo aspettavo per il mese successivo, verso la fine di ottobre. La dottoressa non è riuscita a spiegarci il perché; ha detto che probabilmente, essendo stato un feto abbastanza vivace, ha rotto le acque molto prima del tempo.
Sarà impossibile dimenticare le facce impallidite di Shirai, mia madre e mio padre in quei momenti. Il mio sgomento e la mia paura, il sangue che sgorgava da me a fiotti. La sirena dell’ambulanza che echeggiava lontana e la corsa in ospedale. L’impossibilità di sentire le voci altrui, e la voglia di ascoltarne solo una, che quel giorno però non c’era. Sebbene l’abbia invitato al mio matrimonio lui non si presentò. Ma in fondo me l’aspettavo. L’ultima volta che ci vedemmo, un anno fa, mi disse che era felice per me. Felice che io avessi trovato l’uomo da amare, e non l’uomo da aspettare. È sempre stato così teatrale lui, sempre così misterioso ed enigmatico. È sparito per dieci anni, e solo al compimento dei miei ventisette ho scoperto che fine avesse fatto. M’ero immaginata chissà quale giro intorno al mondo, o magari chissà quante donne che avessero provato a strapparmelo. Invece era sempre stato a casa mia. L’ho avuto per dieci anni in casa mia e non lo sapevo. Ricordo di essermi arrabbiata, di avergli detto che non aveva fatto altro che mentirmi, che non ci si poteva fidare di lui. E lui non fece che annuire. Come se le colpe avesse voluto spiarle in quel modo, dandomi ragione. Ma poi capii di essere stata una stupida, anche solo a credere che non l’avesse fatto per una giusta ragione.
Bussano alla porta. Mi alzo a fatica, mentre il pianto del mio bambino è ancora nelle mie orecchie. Giro la chiave e scatta la serratura, affondo gli occhi nella figura di fronte a me.
Il cuore fa una capriola all’indietro e i polmoni sembrano chiudersi, bloccandomi il respiro. Rimango per qualche secondo lì, inerme, senza più attitudine a muovermi.
Shinichi Kudoè di fronte a me, ma quasi fatico a vederlo.
«Che fai? Mi fai entrare?»
La sua voce è un tuffo nel fuoco. Mi brucia gli organi, i tessuti e la gola. Mi tappa le orecchie e mi ustiona il sistema nervoso. Sono un fascio di fiamme e di scintille pronte a divorarlo.
«Oh... sì. Sì. Entra.»
Mi faccio da parte, permettendogli di scivolare dentro casa, come un cobra che comincia a studiare il terreno in cui attaccare.
«Come stai?» mi chiede, forse un po’ scontato.
«Bene», rispondo con altrettanta banalità. «Tu?»
«Bene.»
Alzo gli occhi su di lui, adesso è di schiena. Indossa una maglia scura che si appoggia con dolcezza sulle sue spalle larghe, molto più muscolose di come le ricordavo. Il suo organismo avrà anche debellato per sempre gli effetti di quel farmaco, ma io non noto neanche un tratto di invecchiamento in lui. Ha sempre lo stesso viso fanciullesco, dai lineamenti fini fatti per essere accarezzati e dagli occhi azzurri e splendenti di un tempo. Rimarrà per sempre l’uomo più bello che conosca, con la sua voce forte dai toni quasi arroganti e saccenti. Con la sua aria misteriosa e particolare, circondato da quella sensazione speciale che sembra dirti “ti proteggo io”. Spesso e volentieri è stato grazie a lui che son riuscita ad andare avanti, nella sua stessa apparente assenza. Quella lacerante assenza che mi ha rovinato la vita.
Il telefono squilla incessantemente, facendo salire in me il nervosismo e la paura di dover riascoltare ancora quella maledetta segreteria telefonica. Accavallo le gambe, snervata, in attesa che risponda. Quanto tempo è che non lo sento? Un mese, due? E l’ultima volta che l’ho visto quand’è stato? Al solo pensiero mi viene l’angoscia: quattro anni fa.
Ed oggi, a San Valentino, non faccio altro che chiedermi se anche lui un po’ stia pensando a me. Se gli manco come lui manca a me, se tra un caso ed un altro abbia un attimo libero per chiedersi che stia accadendo. Eppure non posso far altro che essere pessimista: a volte mi convinco che non mi chiami perché si sia scordato di me e di tutto quello che abbiamo passato.
Altre mi ricredo, eppure il dolore non si affievolisce. Mai possibile non abbia voglia di vedermi? Possibile non riesca a trovare un secondo libero per noi? L’attesa è frustante.
Risponde, quasi quando stavo per staccare.
«Pronto?» Comunque, la sua voce è sempre la più bella da ascoltare.
«Shinichi? È tantissimo tempo che non ti fai sentire! Ma cosa stai facendo? Perché non torni?», non ho la massima voglia di utilizzare gentilezza al momento.
«Ran... lo sai. Sono impegnato con quel caso. Non posso.»
«Impegnato talmente tanto da non telefonare neppure?» sbotto, in preda ad una crisi di nervi. E come al mio solito, le palpebre si riempiono di lacrime. «Dove sei, Shinichi?»
Ci mette qualche attimo a rispondere, e credo si sia accorto della mia voce. È rotta dai singhiozzi.
«Se mi vuoi... sono sempre vicino a te, Ran.»
Una lacrima cade e si frantuma sul mio petto. «Lo sai che giorno è oggi?»
«Il 14 febbraio.» Anche la sua voce è leggermente triste.
Annuisco, anche se lui non può vedermi. «San Valentino.»
«Hai preparato il cioccolato?» chiede, ed io riesco a sorridere, ironica.
La sincerità si impossessa di me: «Per darlo a chi?»
Risponde dopo qualche secondo di troppo. «Al piccoletto con gli occhiali, Conan. Si chiama così, no?»
«Conan-kun?» chiedo, stranita, con un sopracciglio incurvato.
Lui conferma, ed io prendo il coraggio necessario per formulare la frase seguente. Le guance cominciano ad accaldarsi.
«Mi stai chiedendo... di donare il mio cuore ad un ragazzino di 11 anni?»
Shinichi scoppia a ridere, poi aggiunge: «Ti sto chiedendo di fargli mangiare il tuo cioccolato. È come se lo mangiassi un po’... anche io.»
Arrossisco violentemente, ma la sua frase ha il potere di farmi smettere di piangere. Riesco quasi a sorridere.
«Perché?»
«Perché lui mi somiglia.»
Annuisco in cuor mio. «...E tu vorresti mangiarlo?»
«Be’, è da un po’ di tempo... che ho voglia di dolce.»
Sorrido, stringendo più forte il cellulare fra le mie mani. È come se potessi toccarlo, come se fosse il suo corpo. Come se riuscissi a sfiorarlo...
«Mi manchi, Shinichi. Torna presto.»
Lo sento sospirare. «Ciao, Ran. Buon San Valentino.»
«No, aspet...» ma è inutile. Guardo il display: ha staccato la chiamata. Quando si toglierà questo brutto vizio? È possibile che non capisca che non mi basta sentirlo per cinque minuti? Vorrei vederlo, ho un bisogno incessante di abbracciarlo di nuovo.
Qualcuno apre la porta alla mia destra, quella della mia stanzetta. È Conan, cresciuto di circa trenta centimetri negli ultimi anni. Shinichi ha pienamente ragione: gli somiglia così tanto...
«L’Oji-san non c’è?» domanda, girandosi intorno a cercarlo.
«No, è uscito.» Rispondo, poi lo guardo, e sorrido. «Piuttosto... ti va di mangiare un po’ di cioccolato?»
E quasi come se s’aspettasse quella domanda, risponde nel giro di qualche istante: «Assolutamente sì.»
Sorridiamo insieme.
La sua voce interrompe i miei ricordi: «Sono venuto per tuo marito. Mi ha detto che doveva parlarmi...»
Ah già. Shirai lo ha contattato in mattinata per via di quei pazzi biglietti anonimi.
«Lo so» dico semplicemente, e superandolo, faccio incontrare i nostri sguardi. «Vieni, entra.»
Attraversiamo il corridoio in silenzio, interrotto dal pianto del mio bambino. Per alcuni minuti sono stata capace di isolarlo dal mondo, meriterei l’ergastolo solo per questo. Corro a guardarlo dimenarsi nella culla, con le manine strette in piccoli pugni che sbattono ai bordi del cuscino.
«Che c’è, tesoro? Perché piangi?», lo prendo nelle mie braccia, ma la situazione non sembra migliorare. Continua a piangere, e credo quasi che con quei muscoli così piccoli si faccia anche male a farlo.
«No, no, amore...» La sua carnagione si è sfumata di rosso, è quasi tendente al viola.
«È lui... vero?», mi si avvicina Shinichi, dopo aver dato una fugace perlustrazione alla casa con i suoi occhi da falco. Con quegli occhi azzurri da falco.
Ma io non rispondo, e lui insiste. «C’è qualcosa che non va?»
«Non lo so...», comunque non lo guardo, preoccupata come sono per Conan. «Non riesco a farlo smettere di piangere. Non riesco a capire cosa voglia dirmi.»
«È un episodio sporadico o continuo?» mi chiede, osservando il bambino tra le mie braccia.
«Be’... i-io non so. In realtà non fa altro che ridere e dormire quasi tutta la giornata» lo avviso, mentre Conan lancia altri gemiti strazianti. «A-anche se... a dire la verità, a quest’ora lo fa spesso. Non so, forse è una mia impressione.»
Shinichi lo osserva ancora un po’. «Credo che... che soffra di colichette.»
La mia faccia terrificata lo diverte leggermente.
«No, non preoccuparti, non è nulla di grave. Molti bambini ne soffrono. Potrebbe essere a causa di qualche allergia, magari di un’intolleranza al lattosio... prende il tuo latte, giusto?»
Io annuisco, stringendo un po’ più forte la presa su mio figlio.
«Non è che in questo periodo sei particolarmente stressata? Il tuo latte ne risente, lo sai?»
Abbasso gli occhi, sentendomi la peggiore delle colpevoli. A causa delle mie paranoie sto avvelenando il mio piccolo? Come posso anche lontanamente essere definita una madre saggia se per colpa della mia stupidità non faccio altro che far del male a Conan?
«È così, giusto?» chiede conferma lui, avvicinandosi lentamente. «Devi cercare di stare bene, sennò sarebbe meglio che lo nutrissi con del latte farmaceutico.»
Annuisco ancora, incapace a dirgli altro.
«Vuoi andare dal pediatra? Di certo io non sono un medico e lui potrà fornirti delle informazioni più dettagliate per farti stare più tranquilla.»
Vorrei, ma mio marito non c’è, è ancora a lavoro. In effetti lui non c’è mai stato durante le crisi di pianto che ha avuto Conan in questi giorni, proprio perché sono capitate tutte allo stesso orario.
«Shirai non è ancora tornato» avviso Shinichi, che alla mia voce si morde un labbro. Quasi come se gli avessero dato fastidio le mie parole.
«Ti accompagno io se vuoi» si offre, simulando un sorriso. «Ho l’auto giù.»
«Davvero lo faresti?» gli domando, mentre Conan continua a dimenarsi tra le mie braccia, irrequieto.
«Sì, perché non dovrei?» sorride, e per un attimo avverto di amare ancora quella curva delle sue labbra.
«Oh, sei gentilissimo!» lo ringrazio. Lui fa un breve cenno di assenso.
«Puoi tenermelo un momento? Devo solo mettermi le scarpe!» lo avviso con frenesia, impaziente di raggiungere il medico il prima possibile. Perché non c’ho pensato prima? Era ovvio che quei pianti così periodici dovessero significare qualcosa!
Shinichi strabuzza un po’ gli occhi, poi annuisce. Credo di averlo visto arrossire. Conan passa dalle mie alle sue braccia e, in un attimo, tace. Sono incredula. Torno a guardarlo e, per assurdo, sta ridendo.
«Ma come hai fatto?» gli chiedo, con gli occhi serrati. Mio figlio riprende man mano il suo colorito naturale, e stende le braccia verso il viso di Shinichi, cercando di toccarglielo. Curva i muscoli del suo viso in un sorriso, quello solito che fa ogni volta che si sveglia.
«Io... non ho fatto nulla» dice, altrettanto stupefatto.
«Wow!», i miei occhi sono lucidi. «Mi sa che gli sei simpatico.»
«Così sembra», adesso ride anche il detective. Vorrei avere una fotocamera per bloccare questo momento nell’eternità. Sono una visione paradisiaca, che va al di là di ogni immaginazione. È come se riuscissi ad avvertire tutti i miei nervi sciogliersi e stendersi su un tappeto di emozioni.
«Ci sai fare coi bambini» ammetto, mentre lo guardo scherzare con mio figlio. Conan prova a stringergli il pollice in pugno, ma è troppo grande per lui. E mentre i suoi ditini ci riprovano con l’indice, Shinichi alza lo sguardo a me, sorridendomi enigmatico: «sarà che lo sono stato due volte.»
Il sorriso mi prende e non mi lascia più: è più forte di me.
«Vuoi ancora andare dal pediatra? Magari per maggiore sicurezza» mi dice lui, ed io annuisco.
«Certo, arrivo subito.»
Mi infilo le scarpette e torno da loro, ancora impegnati a scherzare. Shinichi sembra divertito da Conan, ed è meraviglioso osservarlo fargli una carezza al viso, al massimo della dolcezza. Provo a riprenderlo tra le mie braccia, ma appena mio figlio non avverte più il contatto col mio amico, contrae il viso e comincia a singhiozzare. Oddio. Piange se non è in braccio a lui!
«Vuoi che lo tenga ancora io?» si propone lui, sorridente.
«Ehm... sì», glielo ripongo nuovamente tra le braccia, e come m’aspettavo, tace di nuovo. «Incredibile. Vuole stare con te.»
Shinichi annuisce, posizionandogli la testa sulla sua spalla.
«Però adesso mi è impossibile guidare» dice, ed infilandosi una mano in tasca, ne trae fuori un mazzo di chiavi, che mi lancia al volo. Lo afferro con un po’ di titubanza.
«Dovrai farlo tu», si gira e comincia a camminare verso l’uscita. Ma prima di scendere le scale mi lancia un ultimo sorriso: «E vedi di non sfasciarmi l’auto.»
 
«Non si preoccupi... si tratta di semplicissime colichette.»
Alla voce del pediatra rilascio un nuovo sospiro di sollievo, ma ero già abbastanza sicura della diagnosi di Shinichi. Il mio amico è accanto a me nello studio del medico, dato che Conan non pare avere nessuna voglia di staccarsi dalle sue braccia. Come biasimarlo?
«Lo nutre col suo latte, giusto?», arriva la voce del pediatra a ridarmi un contegno. Sono impazzita ormai per fare certi pensieri. Dovrei ricordarmi di essere una moglie ed una madre, moglie e madre. Moglie e madre.
«Sì. È che è stato un periodo un po’ stressante» aggiungo, precedendo la domanda del dottore, su ciò che mi ha detto Shinichi poco prima a casa mia.
«Oh, dunque saprà che ha bisogno di stare serena. Le suggerirei di rilassarsi, magari si faccia aiutare anche da suo marito...» conclude, indicando Shinichi. Mi sfumo di rosso e vedo lui fare altrettanto.
«Ehm... no, io non...» abbassa gli occhi il detective, come se non riuscisse a continuare. Ma è il medico a bloccarlo, lanciandogli un’occhiata nervosa e truce.
«Mi sta dicendo che non può aiutare sua moglie perché non c’è?» sbotta il pediatra, visibilmente infastidito. «Forse non ha capito che per la signora è essenziale stare bene, soprattutto psicologicamente!»
Mi batte il cuore all’impazzata all’idea che si sta sviluppando nella mente di questo matto. Io e lui, sposati? Era il finale della mia favola, il sogno della mia adolescenza, erano le piume delle ali che mi hanno spezzato. Che ci siamo spezzati, da soli. E lui non può tirarlo fuori così dal mio cuore, come se nulla fosse. 
«No, no, è che...», Shinichi mi guarda e fa uno strano sorriso, quasi amaro. «Io non sono suo marito.»
«Ah», riduce gli occhi in puntini l’uomo, imbarazzato. «Però è il padre del bambino?»
«No» risponde lui, abbassando il capo. «Non è mio figlio.»
Solo a me questa conversazione dà i brividi? Qualcuno la interrompa, per favore.
«Oddio. Mi scusi. Ho frainteso. Sa, è che il bimbo è in braccio a lei. Sono mortificato», si porta una mano alla bocca il medico, visibilmente impacciato.
«No, no, non si preoccupi» sorride il mio amico d’infanzia.
«Può capitare» dico. Sarebbe stato meglio di no.
«Va be’, comunque, anche lei può aiutare la signora a rilassarsi. Le farà bene.»
Sì, peccato che la presenza di Shinichi non mi faccia proprio rilassare. Ma è meglio sorvolare, dato che tra poco ci fermiamo a cena dal pediatra a raccontargli tutta la nostra vita.
Il mio amico annuisce, facendo un debole sorriso. «Farò quel che posso.»
Ecco. È il ‘posso’ che mi preoccupa.
 
 
«So che non sono fatti miei» esordisce Shinichi, con ancora in braccio il mio Conan. Siamo in auto, in ritorno verso casa, con il Sole che va a nascondersi dietro i grattacieli di Tokyo. «Ma posso farti una domanda?»
Io annuisco, stringendo più forte le mani sul volante in pelle nera. «Certo, dimmi.»
«Credevo che i primi mesi di matrimonio fossero i più belli...», lo sento appoggiare il capo al poggiatesta. «Ma a guardarti non si direbbe. Come mai?»
Sospiro, tentando di mantenere un tono sicuro che non lasci trapelare nulla. «Il giorno del mio matrimonio mi si sono rotte le acque, con un mese d’anticipo. Ho dovuto partorire d’urgenza perché mio figlio era sul punto di morire asfissiato dal suo stesso cordone ombelicale. È rimasto nell’incubatrice due settimane.»
«Ah», Shinichi abbassa lo sguardo su Conan. «Per questo è nato prematuro?»
«Secondo la dottoressa era un bambino troppo vivace fin dalla placenta» dico, rilasciando un altro sospiro.
«Per il resto?» domanda ancora, e non riesco a non notare il suo tono curioso.
«Resto?», cerco di guadagnare secondi preziosi nonostante sappia che è tutto inutile.
«Sì... stai bene, dico?», sospira, abbassando gli occhi. «Sinceramente...»
«Certo...», tento di fingere. «Va bene... va tutto bene.»
Lui annuisce, ma non credo di averlo convinto.
«E a te?», credo che la domanda sia più che lecita.
«A gonfie vele» risponde. Non ha convinto nemmeno me.
Arriviamo sotto casa mia, e nel parcheggiare l’auto di Shinichi noto quella di Shirai. Dev’essere tornato da qualche minuto. Scendo, accompagnata da lui, che porta sul petto il viso di mio figlio, addormentatosi durante il tragitto. Glielo sfilo dolcemente dalle braccia e lo porto nelle mie, rallegrandomi per non averlo fatto svegliare. Prendiamo l’ascensore e, sotto la spinta dei pesi, saliamo. Al decimo piano del mio grattacielo le porte si aprono: un piccolo corridoio, e l’entrata a destra è casa mia. Giro la chiave nella toppa, e mentre osservo le stanze vuote, avverto i passi di Shirai raggiungermi di corsa. Era in cucina.
«Ohi? Ma dov’eri?», ha un’espressione preoccupata che, alla vista di Shinichi, muta in fastidio. «E lui...?»
Presentazioni in arrivo. Ridicolo pensare che già si conoscano, ma né io né l’altro possiamo rivelarlo.
«Shirai, lui è Shinichi Kudo...» dico, rivolgendomi a mio marito, facendo oscillare il braccio da l’uno all’altro. «Shinichi, lui è...»
Mio marito, alto, castano, occhi scuri tagliati alla giapponese, con i capelli rivolti all’indietro... avrei voluto dire.
«Ma allora sei tu il famoso investigatore?» si accende di gioia il mio consorte, non concedendomi nemmeno il lusso di concludere. Comincio a credere che sia proprio lui a fare quest’effetto.
«Piacere di conoscerti! Ho sentito parlare molto di te... hai davvero una gran fama.»
Il detective fa un breve sorriso, pronto a stringergli la mano come se lo stesse conoscendo per la prima volta. Mi volto a guardarlo e cerco di decifrare le sue emozioni: sembra a disagio.
«Piacere» dice semplicemente, facendo incontrare le loro mani. «Grazie.»
«Sei sicura che possa piacere?»
Guardo Shirai con un sorriso a trentadue denti. Adoro quando fa il timido. «Certo, non devi preoccuparti! Mio padre è un po’ burbero, però ha un gran cuore. Mia madre è molto cordiale, e il mio fratellino è un genio, io lo adoro» lo avviso con evidente eccitazione, ma credo di essere leggermente di parte. Gli afferro il polso e lo trascino verso le scale dell’agenzia, incitandolo a salire.
«Dai, Shirai!»
Lui sbuffa, ma le sue guance arrossite non mi sono sfuggite.
«Non hai niente che non va, forza, sali.»
E così lo convinco: in un attimo ci ritroviamo di fronte la porta dell’appartamento, tant’è che ci è possibile già udire la televisione accesa, probabilmente su un programma di Yoko Okino. Entro per prima, dato che il mio fidanzato non fa altro che nascondersi. Conan è sul salotto a mangiare delle patatine, con un’espressione indelebile e seccata sul viso. Ha sedici anni ormai. Ogni volta che lo vedo è un tuffo al cuore: sono irrimediabilmente due gocce d’acqua. Mi guarda e mi sorride, facendomi l’occhiolino.
«Tuo padre ne ha combinate un’altra delle sue» mi dice, avvicinandosi. È probabile che ancora non abbia visto Shirai, coperto dal muro d’entrata. «Ha speso altri 50000 yen* in corse di cavalli.»
Ecco. Bella figura che mi farà fare col mio ragazzo. Ridacchio, cercando di stemperare il nervosismo.
«E adesso dov’è?»
«In cucina. Credo che tua madre stia cercando di minacciarlo con un coltello in mano» ride lui, e affondando la mano nella busta estrae un’altra patatina. «Vuoi?» cerca di mettermela in bocca, ma io mi scanso, un po’ nervosa. Spero che Shirai non abbia frainteso le parole del mio fratellino.
«No, Conan-kun» dico, poi torno a guardarlo. «Senti, me li vai a chiamare un attimo? Devo dir loro una cosa importante.»
Lui si insospettisce, ma non si muove. Si limita soltanto ad inarcare un sopracciglio. «Che cosa?»
Io sorrido. «La dirò anche a te se vai a chiamarli.»
Sbuffa, lanciandomi un’occhiata strana. Quegli occhi mi danno i brividi, fortuna che son coperti dagli occhiali. Lo vedo aprire la porta e sgranocchiare un’altra patatina, poi sparire oltre il muro. Approfitto di questo attimo per indietreggiare e assicurarmi che Shirai sia ancora lì.
E c’è, appoggiato con la schiena al muro.
«Su su, razza di fifone, entra» lo invito, afferrandogli il polso. «Hai sentito che bella famiglia che siamo?» ridacchio, ma lui non fa altro che abbassare la testa. Riesco a farlo entrare in casa, e lo sento accostarsi a me, terrorizzato.
Due minuti dopo, dalla cucina, fuoriescono mio padre e mia madre. L’avvocato appare ancora turbato, tant’è che continua a borbottare qualcosa di indecifrabile. Alla mia vista sorride, mentre Kogoro assottiglia gli occhi. Pochi secondi dopo li raggiunge Conan, stavolta con un bicchiere di Coca Cola in mano. La sta sorseggiando, quando mi vede a fianco al mio ragazzo, e si blocca.
«Ehm...», ammetto che l’imbarazzo sta prendendo anche me adesso. «Volevo presentarvi Shirai Tendo. È... è il mio ragazzo.»
Silenzio assoluto, se non fosse per il bicchiere di Conan, che scivola a terra e si frantuma. In mille pezzi.
«Scusami se ho fatto tardi, ma purtroppo mi hanno trattenuto in riunione» avverto la voce di mio marito, che mi riporta al presente. È come se per qualche secondo il mondo si fosse oscurato. «Ho bisogno di parlarti dei biglietti.»
«Non preoccuparti, non fa nulla» dice Shinichi, con leggera freddezza.
«Ma come mai eri con Ran?» gli chiede poi, leggermente curioso.
Il detective pare in difficoltà, quando io riprendo possesso della mia voce: «siamo andati dal pediatra. Ricordi i pianti che ti dicevo? Ecco. Erano coliche.»
Mio marito strabuzza leggermente gli occhi, poi si avvicina a me e nostro figlio.
«Dannazione... e cosa ha detto il medico?»
«Niente di grave, devo solo calmarmi io» dico, sentendomi infinitamente colpevole.
«Oh», Shirai si intenerisce. «E come siete andati? L’auto ce l’avevo io.»
«Mi ha accompagnato Shinichi» gli confido, osservando il mio amico d’infanzia. Si è discostato da noi, quasi come se volesse tenere le distanze. Mio marito porta gli occhi a lui e sorride.
«Grazie mille. Ti devo un favore.»
Lui fa un gesto largo con la mano. «Di nulla.»
«Be’, perché non rimani a cenare da noi? Ran è una cuoca eccezionale, vedrai che ti stupirà.»
Non ha niente da stupirsi, perché sa esattamente come cucino. Gli ho preparato da mangiare per tutta la vita, anche quando era se stesso e restava nella sua villa da solo, lontano dai suoi genitori. A ripensarci mi vengono i brividi. Incredibile, quanto tempo è passato...
«No, scusami, ma non posso» dice, cercando di simulare un sorriso.
«Parliamo anche del caso» riprova Shirai, ma io mi ritrovo concorde col mio amico d’infanzia. Non mi piace l’idea di averlo a cena da noi a fingere quelli che non siamo stati.
«No, davvero», e come mi aspettavo non cambia idea.
Shirai alza le spalle in segno di resa e rilascia un sospiro.
«Come vuoi. Però ho il bisogno urgente di parlarti di quel caso.»
Shinichi annuisce, mentre io ripongo Conan nella culla, stando bene attenta a non svegliarlo.
«Io domani sono di nuovo da queste parti...» dice lui, mentre abbassa gli occhi e scarabocchia su un foglietto alcuni numeri. «Ti faccio sapere se riesco a venire. Ok?»
«Perfetto. Davvero... perfetto», fa mio marito, sorridente. Gli porge la mano e se la stringono, come due vecchi amici.
«Ti aspetto domani.»
Shinichi fa un breve cenno d’assenso, e mentre indietreggia verso la porta, io avanzo verso di lui.
Mi lancia un’occhiata e alza la mano, mentre l’altra è sulla maniglia della porta.
«Ciao» dice, e poi rivolgendosi ad entrambi: «buona cena.»
Shirai gli regala un saluto. Lo vedo sparire oltre la porta di casa mia, senza che io riesca a trovare la forza di regalargli anche un misero e stupido ciao.
 
 
 
 
 
L’acqua scivola sulla mia pelle con delicatezza, mentre lo sgrassatore agisce sulle macchie di unto e di incrostato che non tendono a staccarsi dalla padella. Oggi ho meno voglia del solito di occuparmi della cucina. Ripenso a Shinichi, a quanto il destino o il caso sia stato beffardo con me, e con noi. Solo un anno fa ci dicevamo addio, e adesso ci ritroviamo a ripercorrere giorni e ricordi andati, con la consapevolezza di non poter mai essere l’uno estraneo all’altro.
La stessa convinzione che mi porta a credere che, allo stesso modo, non potremo mai appartenerci come vorremmo. È come se la nostra storia fosse stata congelata e bloccata, senza possibilità di svilupparsi. Né in bene, né in male. Il mio cellulare squilla e vibra sul tavolo, distogliendo i miei stupidi pensieri. Mi affretto a raggiungerlo, asciugandomi le mani col primo panno che trovo. Rispondo frettolosa, ignara dell’identità del mio interlocutore. Il numero non lo conosco.
«Pronto?»
«Ran... sono io.»
La sua voce mi spiazza per qualche secondo. «Shinichi...»
Mi prendo fin troppo tempo per reagire e riassumere un atteggiamento normale. Restiamo zitti per un po’.
«Volevo avvisarti che... cioè... avvisa tuo marito che domani vengo io da te. Cioè, da lui...», noto nella sua voce un forte imbarazzo. Forse sta provando le mie stesse sensazioni o emozioni. Avvampo al solo pensiero.
«Ok. Va bene... Sono qui io, cioè... siamo qui.» Sospiro, imponendomi un certo autocontrollo. Non riesco a formulare una frase che non abbia lui come soggetto. «Sì, insomma. Ti aspetto
Mi mordo la lingua appena lo pronuncio. Viro lo sguardo verso la porta: spero che Shirai non stia ascoltando le mie paranoie.
«A domani sera allora.» Dice lui, e dopo qualche secondo aggiunge: «Ah, questo è il mio numero.»
«L’hai cambiato.»
«Sì» afferma, mentre io mi aggrappo alla vana speranza di poter parlare con lui ancora. Come una bambina capricciosa e stupida, domani sera mi pare troppo tardi per risentirlo. «Da un po’.»
«Hai fatto bene.» Vorrei aggiungere che quello che aveva prima mi ha procurato solo dolore e pianti: con quel numero mi chiamava per dirmi che non ci sarebbe stato, dovunque l’avessi voluto.
«Lo so», e dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, aggiunge: «buonanotte, Ran.»
«Buonanotte, Shinichi.» Sospiro, cercando di trattenermi. So che non dovrei pensarlo, né tantomeno dirlo. Ma prima che possa riagganciare, mi animo del coraggio necessario: «Mi ha fatto piacere rivederti.»
Lui non risponde, sento solo il suono ripetuto della chiamata interrotta. Non so nemmeno se mi ha sentito. Socchiudo gli occhi, dandomi della stupida. Mi guardo il braccialetto con l’infinito e il diamante, che luccica con tenacia nella fioca luce fredda della mia cucina.
«...In qualche modo, un mio per sempresarà comunque con te.»
Le mie lacrime spingono per uscire, come intrappolate da una morsa letale di rimpianti e delusioni. Aveva ragione: un suo, perché un nostro era impossibile anche solo da immaginare. E lo è tuttora. Fortunatamente, i miei ricordi sono interrotti bruscamente da un tonfo sordo. È provenuto dalla camera da letto, ma non ho la minima idea di cosa possa essere stato. Il mio primo pensiero va a Conan. Giungo lì velocemente, mentre Shirai si avvicina dall’altra entrata, quella che sbuca sul corridoio.
«Cos’è stato?» chiedo a lui, che alza le spalle.
«Non lo so.»
Entrambi raggiungiamo il letto, dove troviamo uno scatolone a terra. Shirai lo prende e lo poggia su uno dei tanti che sono ancora in casa mia. Poi guarda la finestra, è aperta.
«Era già così prima?»
Scuoto il capo. «Mi sembra di averla chiusa.»
Mio marito mi guarda profondamente, stranito.
E conosco la sua domanda, prima ancora che la formuli.
«È entrato qualcuno

 
 
 
 
 
* 50000 yen sono circa 400 euro

 
 
 
 
Ehilà, ciao a tutti! Eccomi qui, puntuale puntale, solo per voi :)
Iniziamo ad entrare nel vivo della storia, con ripetuti e continui flashback da parte di Ran... ma andiamo per ordine: Shinichi e la karateka si rivedono. Credo che i sentimenti di Ran siano chiari, e non è difficile capire chi ama e chi no. Questo non sarà un mistero... va be’ che parlando di Ran non lo è mai... XD Vi starete chiedendo allora... e perché ha sposato quell’altro e c’ha un figlio con quell’altro? Be’, poi lo scoprirete... XD
Cooomunque! Shinichi e il piccoletto non sono dolcissimi? E il pediatra che scambia Shin per il marito di Ran? E lei che va in fibrillazione?
Devo ammettere che ho adorato scrivere il flashback sulla presentazione di Shirai alla famiglia Mouri. Il momento in cui a Conan cade il bicchiere è il mio preferito: credo che sia molto simbolico... è come se il suo cuore si fosse frantumato, più che il bicchiere! Spero di aver dato questa sensazione anche a voi :)
Il flashback di San Valentino è più dolce... non so se mi sono spiegata bene, ma ovviamente temporalmente viene prima di quello con Shirai :) spero di essere chiara con questi continui sbalzi tra passato e presente... perché sono essenziali per capire il rapporto tra Shinichi/Conan e Ran!
Bene, vi lascio allo spoiler per il momento. Debbo però ringraziare tutti coloro che hanno creduto in me e che hanno fiducia nelle mie parole, lasciandomi tutte quelle bellissime recensioni! Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite o ricordate. Grazie grazie grazie! Siete tutti dolcissimi! Vi amo.
 
 
*
Spoiler #3 Il nome
Gli mollo uno schiaffo sul volto. Ma nello stesso istante che tocco la sua pelle fredda, comincio ad avvertire le lacrime pizzicarmi gli occhi e qualcosa di caldo e soffocante farsi spazio nel mio corpo.
«V-vattene via! Non continuare a rovinarmi la vita, ti prego» sbotto, ho gli occhi bassi e non riesco a vederlo. «Sparisci, lasciami in pace.»
«Come vuoi» dice, freddo. Va’ verso la tavola dove recupera il suo cellulare. Poi si dirige verso il salone.
Se ne sta andando sul serio...
*
 
A domenica, 1 Settembre!
Tonia

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Capitolo 3
*** Il nome ***


Lo so! Lo so! Avrei dovuto aggiornare domani, ma il fatto è che non ci sarò tutta la giornata... e per non rimandare a lunedì, ho pensato di approfittare di adesso :)
Spero non vi dispiaccia, ed ovviamente spero che il capitolo vi piacerà. Ma ho il vago presentimento che... sarà così. :)

Buona lettura ♥ ♥



#3 Il nome
 
 
Ero innamorata di Shinichi dieci anni fa. Provavo quel tipo di amore smisurato ed incontrollabile, quel tipo di sentimento che ti consuma da dentro, come il peggiore dei batteri. L’ho aspettato per nove anni ininterrottamente, con la stessa voglia di vederlo del primo giorno. L’ho aspettato finché ho creduto che per noi, e tra noi, ci fosse davvero qualcosa di speciale ed unico. L’ho aspettato fino al mio compleanno di ventisei anni, l’ennesima festa che avrei dovuto festeggiare senza di lui. A casa mia c’erano tutti: mio padre e mia madre, Sonoko – la mia migliore amica, il dottor Agasa – uno scienziato un po’ pazzo che ci ha fatto compagnia fin da piccoli, Kazuha ed Heiji – nostri amici di Osaka, i detective boys al completo – Ayumi, Ai, Mistuhiko e Genta, ed infine Conan. Già, sotto una forma diversa, ma lui c’era lo stesso. Il problema è che io non lo sapevo e non l’ho mai saputo. Che l’abbia sospettato sì, ma non sono mai riuscita a formulare una teoria concreta, qualcosa simile ad un castello di carte che non cadesse al primo soffio di vento.
Come ero solita farlo, e sempre io, lo chiamai: mi disse che non sarebbe potuto venire, perché aveva ancora da risolvere quel caso a cui lavorava da tempo. Ricordo che scoppiai a piangere, che la chiamata si interruppe, e che in camera mia entrò lui, o meglio Conan.
«Ti dico solo una cosa» mi guarda con un bellissimo sorriso sulle labbra, che man mano che cresce diventa sempre più attraente. «Tuo padre si è talmente ubriacato che ha incominciato a ballare la macarena, e lo devi assolutamente vedere.»
Cerco di ripulire le mie lacrime con l’aiuto del maglione, ma mi è particolarmente difficile. Allora abbozzo un riso, che avrebbe dovuto risultare spontaneo e divertito. Conan sembra accorgersene, perché non fa altro che fissarmi.
«Quanto sei brutta quando piangi» mi dice, e dalla scrivania afferra un pacchetto di fazzoletti. Ne estrae uno, ed avvicinandosi, me lo passa sotto le palpebre. Sussulto, alzando gli occhi a lui.
«Un pochino» sorrido finalmente, divertita, e lui lascia il fazzoletto tra le mie dita. Non c’è dubbio: se lui è il mio dolore, Conan è la mia felicità.
«Chi è che ti fa piangere? Se lo prendo lo ammazzo» mi sorride, ironico, ed io faccio altrettanto. Sa perfettamente chi è, ma nemmeno lui, come me, sa dov’è.
«È questo il problema. È difficile proprio prenderlo.»
Stavolta Conan ride più forte, poi il suo riso si affievolisce, e diventa man mano più serio.
«Ma non c’è bisogno che tu lo insegua. Se ti vuole bene, troverà il modo di starti vicino, sempre
Perché non mi ha detto che il suo modo per starmi vicino era proprio quello? Io non lo capii. Interpretai le sue parole in modo diverso, come se fossero uno sprone ad andare avanti, a girare quella maledetta pagina che leggevo da quasi dieci anni. Così incominciai ad uscire più spesso. Feci particolare amicizia con un gruppo di karateka ai quali insegnavo da poco la disciplina, ed una di quelle sere incontrai Shirai, che era il fratello di uno dei miei amici. Mi stette fin da subito simpatico, e credo di avergli fatto la stessa impressione. Legammo come amici: lui era appena uscito da una storia importante e non aveva particolare voglia di parlarne, ma col mio aiuto riuscì a voltare pagina. Ed io con lui. Due mesi dopo avemmo il nostro primo appuntamento, ma non dissi nulla a casa né al mio migliore amico di allora, Conan. Avevo paura che la rinascita si celasse dietro il mistero, e così mi zittii per cinque mesi. Cinque mesi fin quando non lo portai a casa mia, e Conan fece cadere quel bicchiere di Cola.
 
Il suono del campanello arriva alle mie orecchie, riportandomi al presente dei miei giorni. Accanto a me, sul divano, il mio bambino gioca con una palla che gli ha regalato Sonoko il giorno che è nato. Assonnata mi alzo, non curandomi nemmeno del mio aspetto. Sono le dieci del mattino e sono ancora in pigiama, senza né trucco né parrucco. Mi guardo allo specchio simulando una smorfia: spero che sia Sonoko, o magari mia madre. Ed invece ci ritrovo Shinichi, o Conan, o come diavolo debba chiamarlo.
Insomma, è lui, ed il mio cuore comincia a palpitare.
«Ciao Ran. Scusami se arrivo a quest’ora. Il cliente da cui dovevo andare mi ha avvisato all’ultimo minuto che non poteva più incontrarmi, e visto che ero da queste parti ho pensato di venire...prima.»
Sorrido, ma chiudo nell’immediato la bocca, rendendomi conto in che stato mi trovo. Sembro uno zombie, e non devo affatto essere un bel vedere. Dannazione, non ho nemmeno lavato i denti!
«Oh, entra, entra», provo a comportarmi spontaneamente ma non faccio altro che portarmi una mano sui capelli per lisciarli.
«Ma ti ho svegliato?» mi domanda, osservandomi da capo a piedi. Bene, perfetto, meraviglioso. Si starà chiedendo perché assomiglio ad un panda col pigiama.
«No, no», e la mia mano cerca di sostituire il lavoro della piastra. «Ero di là a guardare la televisione. Entra.»
Shinichi obbedisce e chiude la porta alle sue spalle, mentre io raggiungo Conan, mio figlio, in salotto. Aspetto che il mio amico d’infanzia arrivi, e nel frattempo lancio occhiate allo specchio di fronte a me. Dio, sono impresentabile.
«Come sta il piccolo oggi?» chiede, avvicinandosi al mio bambino. Si siede sul salotto a fianco a lui, e lo stuzzica con il dito, fingendo di rubargli la palla. Conan squittisce, cercando di riprendersela.
«Molto meglio», è una benedizione che il suo sguardo sia attratto dal mio piccolo e non da me. «Come vedi anche lui adora la palla come te.»
«Già», e mentre lui scherza e gioca con mio figlio, mi rendo conto che è il momento di darmi un’aggiustata. Indietreggio, e fingendo un sorriso spontaneo, lo richiamo col fischio.
«Me lo guardi un attimo? Vado in bagno.»
Lui annuisce ed io fuggo in gabinetto, chiudendomi all’interno. Ok. La faccia è orribile, le occhiaie sono mostruose. Mi guardo le gambe: ci sono dei peli superflui. Le ascelle sono a posto, ma è sempre meglio dare una ripassata. I denti sono tendenti al giallastro. Mi vorrei sotterrare. Gli ho sorriso con questi denti?
Cerco di calmarmi. In fondo lui è Conan, e quante volte Conan mi ha vista appena sveglia? Non c’è di che preoccuparsi. Però... però è meglio darmi un po’ di contegno. Non sarà più abituato al mio orrore mattutino. Trascorro in bagno la bellezza di venti minuti, e tra spazzolini, dentifrici, pennelli, profumi e altri cosmetici, riesco anche a tagliarmi con la lametta. Il sangue schizza dalla mia gamba, ed io impreco tutti i cieli. Il taglio è lieve, ma esteso per circa cinque centimetri. Ho bisogno di un cerotto, e la mia gamba appena depilata perde tutta la sua sensualità. Perfetto: peggio di così non potrebbe andare.
Aspetta... ho parlato di sensualità?
«Eccomi qui.»
Shinichi è ancora sul salotto a giocare con Conan, che adesso è a gattoni sui cuscini con le braccia protese verso il mio amico, tentando di riprendersi la sua palla. Il detective mi guarda, sorridente.
«È simpatico questo bimbo» dice, mentre io mi siedo vicino a mio figlio. «Gli ho rubato la palla, ma non si è messo a piangere. Anzi, sta facendo di tutto per riprendersela.»
«Te l’ho detto... piange pochissimo, tranne a causa delle coliche che il mio latte gli ha causato» ribatto con un’evidente nota di rammarico. Per fortuna ho capito che non devo più star male per il passato, almeno non adesso che allatto Conan. Ci ripenso, è vero, ma tento comunque di tenerlo lontano dal mio umore.
«Sei riuscita a rilassarti?» mi chiede, mentre io affondo lo sguardo nel mare azzurro dei suoi occhi. Ecco, diciamo che rilassare non è proprio il termine adatto.
«Sono riuscita a separare il mio latte dai miei pensieri» rispondo, interrompendo il contatto e osservando la televisione.
«Perché non provi proprio a non pensare più alla sua nascita? In fondo è passata» mi dice, e per qualche secondo rimango spiazzata. Ma poi ricordo: lui sa che io sto male a causa delle due settimane di incubatrice. Da una parte è vero, ma dall’altra c’è proprio il suo pensiero a tormentarmi.
«Ci proverò.» Dico semplicemente, sorridendo.
«Ma tuo marito quando torna?» mi domanda poi, tornando a giocare con Conan.
«Come al solito... alle sei del pomeriggio.»
«Ah», lancia di nuovo lo sguardo a me. «Quindi passi le giornate da sola.»
«Be’, spesso viene o mia madre o Sonoko a farmi compagnia» lo avviso, e lo vedo annuire. Ma non mi fermo lì, ho bisogno di certe spiegazioni. «Tu non sei mai venuto.»
Lui mi osserva e raddrizza la schiena, sbattendo più volte le palpebre. «Vorresti che fossi venuto?»
«Be’...» alzo le spalle, fingendomi divertita. In realtà ci sto male per davvero. «Sei scomparso e non sei venuto nemmeno al mio matrimonio.»
Shinichi rilascia un sospiro, abbassando gli occhi. «Avevo da fare.»
«Cosa?» chiedo, ma il mio tono comincia a farsi un po’ troppo insistente, e tutto questo non sembra più un gioco.
«Riprendermi la mia vita da Shinichi Kudo, per esempio.»
Accovaccio le gambe sul divano, portandole a me. «E ci sei riuscito?» 
Lui alza le spalle, e tornando a giocare con la palla e con mio figlio, sospira. «Più o meno.»
«Ho letto di te su molti giornali», rido, e simulo davanti a me la testata di un quotidiano. «Shinichi Kudo è tornato, Shinichi Kudo risolve un altro caso...»
Si limita a ridere, ed io faccio altrettanto.
«Per il resto? Oltre a fare il detective di fama nazionale che combini?», ho paura che si noti un po’ troppo la mia curiosità.
«Nulla. Sono andato a trovare i miei genitori a Los Angeles qualche mese fa. Ogni tanto mi sento con l’FBI per le ultime faccende legate all’organizzazione, sciocchezze comunque.»
Sospiro, sentendo il mio cuore battere più forte. Ho bisogno di chiederglielo. «Ti sei fidanzato?»
Lui mi guarda e si gira al rallentatore, colpito da quella domanda. «Eh?»
«Non puoi dirmelo?» mi intristisco leggermente, ma la curiosità è lampante nella mia domanda.
Sorride, poi torna ad osservare Conan. «Certo, è che non me l’aspettavo. Comunque no.»
Il mio stomaco comincia a ballare insieme al mio cuore, festeggianti. «Come mai?»
Si gira di nuovo a me, e di nuovo mi sorride. «E tu come mai tutta questa curiosità?»
Se ne è accorto! Alzo le spalle, ma distolgo lo sguardo da lui, imbarazzata. Forse sto esagerando, ma è che pretendo di sapere cosa abbia fatto, chi abbia sentito e chi abbia visto in quest’anno.
«Non ci vediamo da un anno, ed è strano per noi due visto che ci siamo visti per tutta la vita» ribatto, poi gli faccio l’occhiolino. «Da Conan e non...»
Sorride di nuovo, e nel farlo mi ricorda tanto il mio fratellino. «Non ne sento la necessità.»
«E se incontrassi la donna perfetta?» insisto, voglio che mi dia delle risposte sicure.
«Non esiste né la donna perfetta né l’uomo perfetto.»
«Se incontrassi l’amore?», mi vengono i brividi a domandarglielo.
Mi guarda e lascia che la palla cada nelle manine del mio bambino. «L’amore...» ride, mentre lo dice.
«Che c’è?»
«È da un pezzo che non credo più nelle favole.»
Favole, per lui, è sinonimo d’amore. Le mie braccia cadono lungo il mio corpo, lasciandomi interdetta per parecchi secondi. Ma come non ci crede? E quello che c’è stato tra di noi lui come lo definisce?
Comunque non glielo chiedo, o almeno non ne ho il coraggio. «Vuoi rimanere single a vita?»
«Perché no?» accavalla una gamba sull’altra. «Avrei molti meno problemi a cui pensare.»
«Ok, ma... vuoi dirmi che non hai incontrato nessuna nel frattempo?»
Lui mi guarda e si mette a ridere di nuovo. «Mi stai chiedendo se sono andato a letto con qualcuno?»
«No!» Arrossisco, abbassando gli occhi. «È solo che... be’, hai ventotto anni...»
«Già, e me ne sento ottanta. Mi pare di esser stato ibernato negli anni più belli della mia vita.»
«Suvvia, Shinichi...» sorrido. «Sei ancora giovane e abbastanza desiderato da non avere compagnia.»
Lui si gira, divertito. «Sempre lì vai a parare.»
«Figurati, non che mi interessi molto» e gli faccio la linguaccia.
Sorride, ma non mi risponde. Dà nuovamente attenzione a mio figlio, quasi come se volesse sviare la domanda.
«Ah, c’è una cosa che non mi hai detto» mi dice lui, rubando nuovamente la palla a Conan. «Come si chiama il piccoletto?»
Dannazione, non l’avevo proprio previsto questo momento. Il cuore è un tamburo nello sterno e le mani cominciano a sudare. Devo perdere parecchio tempo in questa fase di incoscienza, tanto che Shinichi si volta, quasi preoccupato.
«Ti sei scordata il nome di tuo figlio?»
Mi riprendo, sorridendo nervosa. «No, no, non è questo.»
Mi guardo le mani, e so perfettamente che lui è in attesa di una risposta. Ma come gli spiego che ho chiamato mio figlio come il suo alter-ego? Potrebbe fraintendere, o peggio ancora, potrebbe capire...
«Si chiama...», il mio cuore accelera e la mia faccia si sfuma di rosso. «Si chiama Conan.»
Lo vedo sbattere più volte le palpebre, e il suo stupore è talmente grande che mio figlio riesce a rubargli la palla tra le mani. «Stai scherzando?»
«No», scuoto il capo.
«A-anche tuo marito è un fan di Holmes?»
Lo guardo incredula, con gli occhi ridotti a puntini. Certe volte è davvero ottuso. «No, non credo.»
«Vuoi dirmi che...», quasi riesco ad avvertire la sua lingua seccarsi. «L’hai chiamato come... me?»
Lo guardo e anche lui sta facendo altrettanto: il suo è il sorriso più bello che abbia mai visto.
«Macché. M-mi piaceva il nome.» Non ho il coraggio necessario per rivelargli la verità. Incrocia gli occhi con i miei e per un po’ rimaniamo a fissarci, quasi incantati. Ma un gemito di Conan mi richiama, facendomi sussultare. Guardo mio figlio: si sta lamentando perché non riesce a prendere la palla dalla mano di Shinichi, che è troppo stretta per permettergli di giocare. Il detective se ne accorge e la lascia andare, cosicché il mio bambino ride di nuovo. Mi sbagliavo prima: sono due i sorrisi più belli che io abbia mai visto.
«Quindi ti chiami Conan? Che bel nome che hai...» si rivolge a mio figlio, fingendo di rubargli di nuovo la palla. Conan alza gli occhi azzurri e sorride, divertito. «Quando ti farai più grande ti farò leggere i libri di Conan Doyle. Con un nome come questo non possono non piacerti.»
Sorrido, dandogli un colpetto sulla spalla. È il primo contatto fisico che ho con lui dopo un anno.
«Cerca di non rendere mio figlio un maniaco di gialli come te.»
«Se diventasse intelligente come me non vedo il problema» ammicca, facendomi l’occhiolino.
«Mouri-kun», la professoressa Takumi è invecchiata parecchio da quando mi sono diplomata. Nemmeno le tinte sembrano dare colore ai suoi capelli ormai spenti e secchi. «Che dirle! Edogawa-kun è uno dei ragazzi più intelligenti che io abbia mai seguito. Mi ricorda molto Kudo-san, sa? Il suo amico... vero? Mi pare che andaste molto d’accordo anni fa.»
Io annuisco con titubanza, ma avrei preferito evitare tale confronto. Si somigliano, è vero, e tanto, e su molti fronti.
«Certo, come dimenticarlo» dico con voce bassa, inclinando anche il capo al pavimento.
Lei fa una smorfia un po’ contrariata. «Appunto... e proprio come Kudo-san, nonostante l’intelligenza sopraffina, non è mai attento in classe. È come se... si scocciasse.»
«Be’, professoressa, credo che sia la caratteristica del novanta per cento dei liceali non voler seguire le lezioni» provo, ma la donna alza uno sguardo di fuoco su di me.
«Lo sta difendendo?» mi chiede, minacciosa.
Io strabuzzo le palpebre. «No, no, si figuri.»
«Le ripeto, Mouri-kun. È senza ombra di dubbio una specie di genio, ma questo non crede che possa minare il suo futuro? Lo dico per la sua educazione, insomma... quando viene alla lavagna lo fa con quell’espressione seccata dell’ Adesso-ti-insegno-io-qualcosa, e mi dà molto sui nervi. È un po’... sbruffone, a mio parere.»
Cerco di rimanere calma sulla mia sedia, stringendo la mano sul bracciolo. «Mio fratello non è sbruffone.»
«Sì, Mouri-kun», comincia ad alzare il tono la donna. «Io credo che, a causa dei continui complimenti sulla sua intelligenza, si sia montato la testa. Non mi stupirei se a casa vostra ci fosse una sua statua a mo’ di Dio.»
Questa ha delle paranoie vere e proprie.
«Non c’è nessuna statua, professoressa. Mi risponda solo ad una domanda: Conan le ha mai mancato di rispetto?»
«No, signorina, però...» prova ancora a lamentarsi, ma io la blocco.
«E allora si limiti a giudicarlo per quanto concerne l’ambito scolastico. È un ragazzo d’oro e non ha proprio nessun problema di vanità. E se questo le crea fastidio, cominci a pensare che ce l’abbia lei», mi alzo dalla sedia con lentezza, indietreggio ma non vado via. Le rivolgo un ultimo sguardo: «E se le vuole insegnare qualcosa, lo ascolti. Ne sa veramente più di tutto il corpo docenti messi insieme. Saluti.»
Scivolo fuori dall’aula, adirata per tanta stupidità. Come si può giudicare male un ragazzo perché è troppo intelligente? Ok, forse sarà un po’ saputello, ma niente di che. Al confronto di Shinichi è l’umiltà fatta persona.
«Ohi, ma che voleva la strega?»
Guardo mio fratello con un’espressione seccata, ma allo stesso tempo avverto il cuore battere più forte: i suoi capelli ribelli, i suoi occhi. Tutto di lui mi ricorda Shinichi.
«Ma che le hai fatto?» gli domando, ridacchiando.
«Nulla, si lamenta di sciocchezze, vero?»
Annuisco, e prendendolo sotto spalla, gli accarezzo l’altra spalla. Ormai ha la mia stessa altezza.
«Ti metti a fare lo sbruffoncello tu, eh?» rido e lo attraggo a me, dandogli un bacio sulla guancia. Socchiudo gli occhi e mi gusto il suo profumo, è intenso, forte e dolce nello stesso istante. Mi piace.
«Peste!» gli scompiglio i capelli e lo stringo a me. Avverto i suoi muscoli sciogliersi al mio contatto: mi lascia fare, si rilassa. Rimaniamo ancora un po’ così, nel corridoio del Teitan, e per un istante sembriamo molto più che fratelli.
La mia mano è ancora sulla sua spalla, la stessa spalla di quel giorno, ed io quasi non me ne rendo conto. Al tatto avverto i suoi muscoli e quasi riesco a percepire il calore della sua pelle, nascosta sotto il tessuto. I suo pori emanano profumo; quanto vorrei avvicinarmi e constatare che sia lo stesso di quel giorno. Oggi indossa dei jeans tendenti al blu, una cintura ed una camicia grigio scuro. Sul petto penzola una cravatta nera dal nodo allentato di qualche centimetro. Dovrebbe essere il suo vestire formale, il suo modo di presentarsi ai clienti. E allo stesso modo dovrebbe risultare impostato su alcuni regimi, circondato da quell’aria di professionalità che di solito allontana le persone. Eppure non lo è: quel modo di vestire combacia alla perfezione con la sua personalità, quasi la evidenzia. Non sembra per nulla rigido, né tantomeno a disagio. Mi ricorda i tempi del liceo: sia da Shinichi che da Conan, la divisa gli calzava alla perfezione, pareva fatta apposta per lui.
«Ti ricordi quando venni a parlare con la professoressa Takumi? Quella che ti odiava?»
Lui si gira verso di me, sorpreso. Poi si lascia andare ad un sorriso. «Vagamente.»
«Non so perché ce l’aveva con te... mi disse che crescendo la tua personalità ti avrebbe dato problemi.»
«Ah, sì?» fa lui, inarcando un sopracciglio, divertito.
Annuisco.
«Aveva ragione» dice, ed io lo guardo con ferocia.
«Certo che no! Era solo invidiosa di te. Io la zittii.»
Inclina la schiena un po’ più verso di me, appoggiando la testa sulla spalliera del divano. Le distanze si accorciano, e quasi avverto la tensione e il nervosismo creatisi prima calare a picco sotto la nostra ritrovata confidenza. D’improvviso è come se quest’anno non fosse passato, come se fossimo in camera mia a parlare del più e del meno, della scuola e di quanto i miei litigassero.
«Mi difendesti?» mi sorride.
«Io avrei sempre difeso il mio fratellino.» Arrossisco, e non riesco più a reggere il peso dei suoi occhi su di me. Tossicchio, imbarazzata, ed anche leggermente scossa. Ho come la sensazione che stia per accadere qualcosa di strano, proibito, illecito, meschino e deplorevole. Qualcosa che io non dovrei nemmeno pensare o immaginare. In realtà non dovrebbe neanche attraversarmi o sfiorarmi l’anticamera del cervello.
Mi alzo brusca, dirigendomi in cucina.
«Cosa vuoi per pranzo? Io avevo in mente di mangiare un po’ di pasta. Ti va?»
«Sai cucinare anche italiano?» mi chiede, imitandomi e lasciando Conan a giocare da solo con la pallina.
«La madre di Shirai è italiana. Mi ha insegnato qualche piatto caratteristico.»
«Be’, allora sì. Sono curioso.»
Mi accovaccio sulle ginocchia, aprendo un cassetto situato sotto il lavabo. Ne estraggo due piatti fondi, mentre poco più a destra recupero due bicchieri di vetro. Li poggio a tavola, e vedo lui avvicinarsi.
«Ti aiuto?»
Scuoto il capo. «No, non preoccuparti. In realtà preferirei dessi un’occhiata a Conan. Ti dispiace?»
«Certo» mi sorride e si allontana, ma prima di varcare la porta si gira di nuovo: «ma solo perché si chiama così, eh.»
Sorrido di rimando e mi metto a lavoro. Per fortuna, essendo in casa con un mezzo italico, gli scatoli di pasta sono all’ordine del giorno. Ci impiego un po’ per cucinare il tutto, non essendone una gran esperta. Alla fine ho deciso di condire con dei pomodorini freschi e del basilico, ricordo che a casa dei genitori di Shirai mi piacque tantissimo. Dopo una mezz’oretta finisco di addobbare la tavola, e per qualche secondo mi fermo sopra a pensarci. È la prima volta che pranzo con un uomo in questa casa, e quell’uomo non è Shirai. Però, in fondo che fa? Non significa nulla. E poi mio marito non torna mai a pranzo, è anche ovvio che non sia lui. Torno in salotto dai due, e mentre recupero Conan tra le mie braccia, invito Shinichi a sedersi. Scruta per un po’ il piatto di pasta, e mi sorride.
«Ha un bell’aspetto.»
«Credevi non ci riuscissi, scemo?», mi pento subito di averlo detto. Non dovrei prendermi tutta questa confidenza ed usare questi termini affettuosi.
«L’apparenza però a volte inganna» dice, un ghigno sul viso.
«Invece di prendermi in giro perché non assaggi?»
Annuisce ed inforchetta un po’ di pasta, e quell’aria titubante mi fa saltare i nervi. Fa una serie di smorfie strane e tirate, guadagnandosi la mia peggior occhiata.
«Non ti piace?» gli domando con evidente rammarico. Ho sbagliato qualcosa nei condimenti? Mi pare di aver messo tutto... olio, sale... aspetta, quante volte ho messo il sale?
Lui abbassa il capo, come per non farsi vedere. Mi sporgo un po’ e capisco che sta ridendo.
«E dai! Ti piace o no?» mi lamento, mettendo il broncio. «Com’è? È venuta male?»
Non risponde, continua a sogghignare, ma non ha intenzione di darmi il suo giudizio. Però addenta un’altra po’ di pasta, e poi ancora un po’.
«Mi dici com’è?» insisto, ferita nel mio orgoglio di cuoca provetta.
«E tu...», intavola, beffardo. «Mi dici perché hai chiamato tuo figlio come me?»
Deglutisco, presa alla sprovvista: che colpo basso! Sospiro, e dopo aver steso Conan nel passeggino, comincio a mangiare anche io. Di fronte a lui, occhi negli occhi.
«Perché vuoi saperlo?»
«Ci dev’essere pur sempre un motivo.»
«In questo caso no» ribatto brusca, scuotendo il capo.
«No?»
«No.»
Sbuffo, passandomi la mano libera sulla frangetta. Perché è venuto? Perché Shirai ha avuto bisogno di lui? Sarebbe stato più facile non vederlo! Non posso affrontare questo genere di conversazioni con lui, non in un momento come questo.
«Non ti è mai piaciuto il nome Conan, mi hai sempre detto che ti rompevi di ascoltare le mie manie per Holmes...» riprende il discorso quando io ho già sperato che fosse finita lì. «Ad un tratto però hai cambiato idea, e addirittura hai chiamato tuo figlio in quel modo. Ma ovviamente... non c’è un motivo.»
«Ovviamente, bravo» annuisco solo per tentare di zittirlo. Non lo guardo, ma ho paura ad ascoltare.
«Ovviamente non c’entra nulla che per dieci anni hai avuto un Conan in casa tua, e quel Conan ero io.»
«Ovviamente, no.» Ribatto, brusca.
«È ovvio perché sei sposata?», la sua voce pungente mi infastidisce. Comincio a sentirmi oppressa.
«Per favore, Shinichi.»
«Domandavo.» Risponde con naturalezza e sicurezza. Per un po’ sta zitto, poi torna a parlare. Preferivo quando era Holmes il suo argomento preferito. «Che cosa strana però, eh? Tuo marito non sa nulla di me. E di conseguenza... non sa nulla di te.»
Alzo finalmente gli occhi ai suoi, scontrandomi col suo sorriso spavaldo. Mi è sempre piaciuto con quelle labbra all’in su e quegli occhi scintillanti... ma adesso non posso più permettermi di farlo.
«Questo lo dici tu.»
«Lo dici anche tu.»
Mi metto a ridere, ironica. «Fino a prova contraria, tu sei mancato dalla mia vita per dieci anni. Eravamo migliori amici al liceo, poi sei scomparso.»
Ride anche lui, inarcando un sopracciglio. «Già, peccato che c’ero lo stesso, anche quando non sembrava.»
«Ma non da Shinichi, appunto. Il rapporto che avevo con te l’ho instaurato con Conan. Se tu fossi lui adesso, so che lo sei, ma se avessi quella funzione di “fratellino” che avevi, di certo potevi affermare di essere parte della mia vita.»
«C’è sempre stata anche la mia parte adulta nella tua vita, e lo sai.»
Scuoto il capo, non volendo ascoltarlo. Ma cosa vuole dalla mia vita? È troppo tardi adesso anche solo per ricordare.
«Lascia perdere.»
«No, spiegati.»
«Non ne ho voglia. Per favore, Shinichi.»
Mi alzo dalla sedia, cammino verso i lavabi. Ma lui lascia stare la pasta, ormai raffreddata, e si avvicina. Sono costretta ad allontanarmi di qualche passo.
«Chiariamoci, no?» dice, afferrandomi il polso all’istante.
«Ti ho detto che non ho voglia di parlarne» sbotto, tentando di lasciarmi andare dalla sua stretta. È forte, ma lo è altrettanto la mia voglia di avvicinarmi. Devo lottare contro il mio stesso corpo che risponde a stimoli diversi di quelli della mia mente.
«Voglio solo parlare.»
«Io no! Adesso mi lasci?» ci riprovo, ma è difficile, quasi impossibile, resistere ad una tentazione.
«Perché non vuoi? Hai paura di dire qualcosa di sconveniente?», la sua voce spinosa mi stizza. Finalmente trovo la forza che ho cercato nella rabbia: riesco a spingerlo all’indietro, permettendo che lasci la presa al polso.
«Non mi parlare così, hai capito? Come ti permetti?»
«Perché ti scaldi tanto, eh?»
Gli mollo uno schiaffo sul volto. Ma nello stesso istante che tocco la sua pelle fredda, comincio ad avvertire le lacrime pizzicarmi gli occhi e qualcosa di caldo e soffocante farsi spazio nel mio corpo.
«V-vattene via! Non continuare a rovinarmi la vita, ti prego» sbotto, ho gli occhi bassi e non riesco a vederlo. «Sparisci, lasciami in pace.»
«Come vuoi» dice, freddo. Va’ verso la tavola dove recupera il suo cellulare. Poi si dirige verso il salone.
Se ne sta andando sul serio...
La sua figura è sempre più lontana, ed io già muoio dalla voglia di rivederla. Mi manca e mi strazia il cuore. Mi fa male al petto, tanto che sono costretta ad accovacciarmi a terra.
Il mio pianto diventa una crisi irreparabile, un grido che trova ipocentro nel mio cuore e che stabilisce il suo epicentro in tutto il mio corpo. Il mio fisico diventa vibrante, scosso da continui brividi, da immagini ripetute e strazianti, da ricordi che in quest’anno ho provato con tutta la mia forza a dimenticare.
I passi di Shinichi si fermano. Si gira, mi guarda, sbuffa.
«Quanto sei complicata.»
Lo sento avvicinarsi, avverto la sua mano sollevarmi ed attrarmi a lui. Porta le dita sul mio viso e fa scontrare le nostre labbra. Velocemente, all’improvviso. I respiri affannosi di entrambi coprono i tormenti del mio animo, e quando avverto la sua lingua insinuarsi nella mia bocca mi godo per un attimo l’edenica sensazione di non sentire nient’altro se non la sua saliva confondersi tra i miei denti. All’improvviso mi sento debole, il capo mi gira e la stanza fa altrettanto, l’unico punto fermo è Shinichi. Per qualche istante ricambio il piacere, ma un lampo di lucidità mi coglie e mi porta ad allontanarlo da me. La violenza con cui lo lancio via è tale da farci barcollare entrambi all’indietro, ma io mi rialzo subito. E dal mio occhio non cadono più lacrime, ma pioggia fitta, come quella dei temporali estivi.
«Sparisci» gli indico la porta d’ingresso, ma lui non si muove di un millimetro. Si limita a sorridere, perché adesso lo sa: è conscio di quello che provo e che non ho mai smesso di sentire.
«Ti ho detto di andare via, ti prego» tento di fargli capire, cercando di marcare ancora più il tono. Ma lui si avvicina invece di allontanarsi.
«Sta’ zitta.»
La sua voce autoritaria e sicura spazza via la mia, frantumando ogni tentativo di scordare quello che siamo e siamo sempre stati, sotto i miei e i suoi occhi. Cerco di ripararmi, di fuggire da lui, ma è tutto così ridicolo e inutile. Sto scappando con la mente, ma il cuore e il corpo gli rimangono appiccicati, senza spostarsi di un centimetro. Non ci vuole molto a bloccarmi di nuovo il polso, e ad attrarmi al suo profumo inebriante. Non riesco più a fare un passo, il mio corpo è come calamitato da qualcosa che c’è nel suo. Provo a reagire ma mi risulta impossibile: il cervello è disconnesso da tutto il sistema nervoso e i miei organi cominciano a sentirsi privi di comandi. Sono in tilt.
Mi tiene stretta a sé, ma adesso è la mia schiena ad appoggiarsi ai suoi pettorali. La sua lingua è un pezzo di ghiaccio che scivola con fastidiosa bellezza sul mio collo ardente, mentre le sue mani mi strappano via la camicetta da notte che stamattina, per pigrizia, non ho voluto cambiarmi. Cade a terra ed io rimango in biancheria intima, ma il reggiseno è abbastanza largo da scivolare in pochi istanti. Shinichi mi accarezza il seno... lo adula, lo assapora, ci gioca. Ma il suo spirito è troppo famelico per indugiare oltre, è come se fosse assetato della mia carne. Le sue mani cadono sempre più giù, fin quando non raggiungono la mia intimità, perforandola con intensità. Emetto un gemito che sento echeggiare nella casa per parecchi secondi, a cui si aggiungono i suoi respiri affannati. È come se fossimo vissuti solo per raggiungere questo momento, per aspettarlo, per ricongiungerci. Inclino la mia testa sulla sua spalla, socchiudo gli occhi e avverto il cuore accelerare a dismisura. Struscio le mie dita sulla sua pelle, quando lo sento girarmi verso di lui e prendermi in braccio. Lego le gambe dietro al suo fondoschiena, mentre gli afferro la cravatta, che vola in un punto indeterminato della casa, e poi i bottoni della camicia, strappandoglieli. Ne sento qualcuno rimbalzare a terra, ma sono troppo impegnata a crucciarmi coi polsini della camicia per importarmene, che proprio non hanno voglia di lasciargli le braccia libere. Il letto è vicino, ma Shinichi inciampa in un giocattolo di Conan, e cadiamo entrambi a terra: non mi sfuggono le sue braccia dietro la mia schiena per proteggermi, che rilascia andare solo quando ha la certezza che riesca ad aderire bene al pavimento. Riprende a baciarmi, ad accarezzarmi e leccarmi, ma ciò non fa altro che aumentare il desiderio: distraendomi, i miei gesti diventano talmente rapidi e maldestri che togliergli la cintura dei pantaloni pare un’impresa titanica. Finalmente se ne accorge, perché mi blocca e mi butta il polso altrove. Semplicemente la sbottona, così come i suoi pantaloni. Non li toglie, ma mi strappa da dosso le mutandine. L’istante dopo lo sento entrare in me con decisione e profondità. Rilascio un altro gemito, stavolta più acuto e forte, a cui si sussegue uno nuovo che sfuma nella dolcezza. Si tiene sui gomiti, ma struscia le labbra sul mio collo, rilasciando piccoli sospiri che prendono la forma di ansimi. Ho le palpebre chiuse e quando provo ad aprirle i miei occhi non riescono a mettere a fuoco nulla, nemmeno il suo viso poggiato sotto il mio. Potrei passare le ore a farlo con lui. Ansimo e sento il suo respiro grosso posarsi sulla mia spalla. Me lo godo, ne impazzisco: la presunzione di pensare che possa piacergli mi sconvolge l’animo e il cervello. Continua a muoversi dentro di me, alternando i ritmi, quasi come se non volesse farmi abituare a nessuna sensazione o emozione. Poi si aggrappa a me, i suoi movimenti diventano sempre più violenti e rapidi, e i miei gemiti molto più forti. In un attimo sento qualcosa nascermi da dentro, un calore espandersi per tutto il corpo come fuoco, e la bellezza di non voler nemmeno più respirare devastarmi. Non so quanto sia durato, non so per quanto tempo sia rimasta in quello stato di incoscienza divina. Dopo qualche secondo riesco ad avvertire i battiti dei nostri cuori nel petto, e la stanza riemerge man mano dagli occhi. Lui è ancora sopra di me, ma non si muove più. Non riesco a guardarlo in faccia perché ha il viso affondato nell’incavo della mia spalla, ma so per certo che sta respirando con affanno. Lo stesso che sento io.
«Meglio della pasta, direi» sogghigna, ed io scoppio a ridere. «E dicono che il cibo italiano sia il migliore.»
«Quanto sei idiota...» Socchiudo di nuovo gli occhi e sorrido. A polmoni aperti e cuore vivo, giuro di aver provato la felicità. Quella vera, quella che dura un attimo, quella che solo lui può donarmi. Credo di adorarlo, ma non posso permetterlo, e lo capisco troppo tardi. Il riso scema ed io focalizzo meglio il soffitto della stanza.
«Ho fatto una cazzata, Shinichi.»
«Se ne fanno molte, ma questa è stata meravigliosa.»
«Dai...» Rido di nuovo e gli do un colpo dietro la schiena. «Sto cercando di essere seria, e sto cercando di spiegarti che sarei grata se ti togliessi di dosso adesso.»
«Prima non eri grata però...» alza lo sguardo su di me, ironico.
Ha ragione, e per questo non riesco a non abbracciarlo. Rivoglio sentire il suo corpo su di me, la sua pelle fredda strusciarsi sui miei bollori. Ne inspiro il profumo, me ne drogo.
Sbuffo: «Hai proprio deciso di rovinarmi la vita, vero?»
Lui sorride, mi da un bacio sull’orecchio. «Mi riesce bene.»
Tento di avvicinare di nuovo le nostre labbra, ma uno scatto di serratura mi frena: la porta d’entrata si è aperta, e solo una persona ha le chiavi. Shirai.

 
 
 

Eccomi qui! *tira un profondo respiro* Allora? Com'era... il capitolo?! 
Mi avete chiesto di farlo più lungo... e vi ho accontentato. Mi avete chiesto di farli...riappacificare... e vi ho accontentato. Volevate sapere qualcosa in più su Conan e Ran, e vi ho accontentati. Adesso lascio a voi tutti i giudizi! Ebbene, dovete dirmi cosa ne pensate dei due flashback: il primo, con Conan/Shinichi che tenta di tirar su di morale la poveretta che, al suo compleanno, sperava ancora in un ritorno del suo alter-ego. Lo fa senza rendersi conto che, quelle parole, la inducono a credere che Shinichi non potrà mai trovare tempo per lei... perché non vuole. Ed invece non è così =( ma lei non lo sa, e comincia ad uscire... e conosce Shirai...
Il secondo è decisamente più soft, ma l'ho inserito per darvi un'idea del rapporto che c'era tra Conan e Ran prima che lei incontrasse Shirai, ma quando lui era già abbastanza grande da non essere considerato più un bambino. Dovete dirmi cosa ne pensate della tonnaggine di Shinichi della questione del nome, che Ran ancora si tiene per sé... però Shinichi insiste, vuole sapere (anche se in realtà il suo primo commento è stato "anche tuo marito è fan di Holmes?" *facepalm*)
E poi... ovviamente... dovete dirmi cosa ne pensate della scena. L'hot c'è nella storia, vi avevo avvisati, e vi avevo anche detto che sarebbe potuto facilmente sforare nel rosso. Ebbene, ditemi se debbo cambiare il rating (le scene descritte non andranno oltre questo livello di dettagli). E ditemi anche cosa ne pensate, se vi è piaciuta, se è apparsa abbastanza passionale, se anche voi volevate essere al posto di Ran avete esultato a quel "sta' zitta". E ditemi se vi è preso un piccolo infarto nel leggere come ultima parola il nome di Shirai.
Insomma, ditemi se il capitolo vi è piaciuto. 
Io, se lo volete sapere, mi sono divertita un mondo a scrivere della parte di Ran che si rade e si tira a lucido, ed anche la parte della professoressa acida. Ovviamente, mi sono emozionata nella parte finale *_*
Vi lascio allo spoiler, e vi dico che ci vediamo il 6 settembre.



Spoiler #4 Il caso
«Certo, immagino» annuisce mia madre, sorridente. «E allora? Come stai? Dove sei stato? Non immagini mia figlia quante volte t’abbia cercato in tutti questi anni.»
Lo sa già, mamma. Non c’è bisogno di ricordarglielo. E grazie per mettermi in imbarazzo di fronte ad uno che credi che non veda da dieci anni.
«Bene, bene. Un po’ in giro per il mondo...» dice, e poi mi guarda, sorridendo. «Anche io l’ho... pensata.» 




A big hug!
Tonia

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Capitolo 4
*** Il caso ***


Pronte per un nuovo capitolo? In questo scopriremo chi è alla porta, avremo approfondimenti sul caso, avrete la risposta ad una delle domande più frequenti ed un nuovo e dolcissimo flashback, mentre nuove ondate di calore colpiranno i due malcapitati. 
Ci vediamo di sotto! :D



#4 Il caso
 
 
 
Lancio via Shinichi. Corro a prendere la mia camicetta, la indosso più velocemente riesca. Il reggiseno è a terra, e mentre decido cosa farne, i passi di Shirai sono vicinissimi; sono talmente nel panico che nemmeno guardo se lui si sta rivestendo. Afferro il reggiseno e lo lancio in un cassetto della stanza, uno di quelli che si usano poco. Shirai è di fronte a me, talmente vicino che mi vede chiuderlo.
«Ehi, ciao amore», mi saluta sorridente, si avvicina e mi da un bacio. Sono sconvolta: avrò il viso pallido e tirato, il respiro affannoso. Non riesco a rispondergli liberamente, non dopo aver toccato le labbra del mio amico d’infanzia. Mi sbagliavo ieri: non ci si abitua alle labbra della persona che si ama, almeno non mi abituerò mai alle sue. Shirai si gira e nota Shinichi. Grazie al cielo è vestito. Ma non ha la cravatta. Dannazione, dove l’ho buttata prima? Mentre mio marito tende la mano al mio amico d’infanzia, io ricerco gli indumenti che potrebbero incastrarci.
Cosa... ho... fatto?
«Sei già qui? Oggi ho fatto prima del solito.»
Il detective ricambia la stretta con titubanza, sorridendo. «Bene.»
«Allora? Cos’ha combinato la peste oggi?» chiede mio marito, riferendosi a Conan. Lui nulla – mi verrebbe da rispondergli – sapessi io...
«T-tutto bene. Sembra stare già meglio.» Gli dico con un sorriso falso ma abbastanza convincente.
Shirai annuisce, sollevato, e poi sbuffa, posando le chiavi dell’auto e di casa su uno scatolone.
«Kudo... ti consiglio di non fare mai figli, portano solo guai e preoccupazioni.»
Sebbene sia ancora molto intontita e frastornata, mi infastidisco a quell’affermazione: ma che diavolo dice?
È questo che pensa di nostro figlio? Certo, sono rimasta incinta involontariamente, ma ho sempre pensato che Shirai lo desiderasse con la stessa voglia che ho provato io un anno fa, quando lo scoprii.
«Anche se volessi» ride il detective, e mi lancia un’occhiata maliziosa. «Non ho la materia prima.»
Arrossisco, distogliendo lo sguardo e imbambolandomi a fissare una statuetta. Adesso mi lancia anche le frecciatine!
«Di donne che cercano di incastrarti con le gravidanze ce ne sono a bizzeffe. Poi, soprattutto per tipi come te, ricchi e conosciuti, la scelta si amplia...», Shirai gli fa un sorrisetto fastidioso. Li osservo di nuovo, o meglio, guardo mio marito: ma che dice? È impazzito?
«Starò attento» ridacchia Shinichi, ed io gli vorrei lanciare un vaso appresso.
«E non ti sposare mai», ingrana la marcia mio marito, e pare anche divertito. «I problemi quadruplicano. Guarda qui, una schifosa firma dovremmo mettere, e non ce lo permettono...» sbuffa poi, dirigendosi in salotto. Lo imitiamo, ed insieme ci sediamo sul divano.
«Firma?» chiede Shinichi, incuriosito. «Che firma?»
«Al comune. Conan è nato il giorno della cerimonia e non ci ha permesso di arrivare alla fine. La settimana prossima dovremmo andare, finalmente, per legalizzare ufficialmente il matrimonio.»
Il mio amico strabuzza le palpebre a dismisura. Non gliel’avevo ancora detto...
«Cioè... quindi voi... non siete sposati... a tutti gli effetti...» indica me e Shirai con sguardo perso.
«No, cioè... lo siamo, però... per legge ancora no.» Risponde mio marito, poi si rimbocca le maniche della camicia. «Comunque questi sono problemi nostri. Vogliamo parlare del caso?»
Ancora qualche attimo di titubanza, che Shinichi sembra vivere in un altro mondo. Poi si riprende, dice: «sono qui per questo» e allarga le braccia, sorridente.
Ma Shirai non continua subito: ha lo sguardo dritto sul tavolino basso. Si china, e perplesso, ne afferra una... cravatta?
«È tua questa?» domanda, mentre a me viene un micro infarto. Era lì?
Shinichi annuisce, sicuro. «Sì, scusami, l’ho tolta perché mi dava fastidio.»
Shirai sorride, sembra convinto. Se lo conoscesse sapesse che cravatte e papillon non gli creano alcun disturbo, dato che le ha sempre indossate fin dall’infanzia. Ma è meglio così.
«Allora... ti piacciono i misteri, Kudo?»
È una battuta? No, perché lo sembra. Shinichi mangia misteri più del pane e del riso, e non è una metafora.
«Abbastanza.» Risponde, cercando di trattenere al suo interno la straripante voglia di manifestare anche quanto sia bravo... a risolverli.
«Ok», Shirai prende dalla tasca alcuni biglietti tenuti insieme in una busta di cellophan. Glieli porge, mentre io cullo Conan tra le mie braccia. Il mio cuore sta tornando ad un battito normale.
Shinichi scruta per un po’ la busta, poi ne estrae fuori il contenuto: sono due biglietti rettangolari, della grandezza di un palmo di mano. Li legge velocemente.
«Ovviamente non sai chi li manda» dice poi, sorridendo a mio marito.
«Ovviamente, no.»
Mi sporgo anche io un po’ più verso il mio amico, riuscendone così a leggere il contenuto. Sono scritti tutti a computer, forse per sviare probabili riconoscimenti.
Uno recita: “Sono adesso al singolare senza persona per parlare, ma se intendi proprio me, be’ allora si giunge a 3+3+3. Non dimenticare di mozzarne una, quella serve solo per la rima. Però una cosa te la dico, ed è anche vera: al futuro faccio più paura della passata notte nera.”
Il secondo è quello che mi lesse Shirai ieri, sul letto.
«Sono rivolti a te?», il tono dell’investigatore è mutato notevolmente. Sembra quasi... preoccupato.
«Sono stati trovati all’entrata della mia azienda. Non so dirti. Potrebbero essere rivolti a me come a chiunque. Io li ho solo presi per farteli leggere.»
«Ah, ok» dice dopo un po’ Shinichi, lo sguardo fisso su quei foglietti. «C’è qualcuno che si diverte a fare gli indovinelli.»
«Riesci a capirne qualcosa?» chiedo dopo un po’ io, arrossendo nell’istante in cui lui si gira a guardarmi.
«Sì.» Asserisce lui. «Il primo è semplice, sembra una filastrocca per bambini.»
«L’hai già risolto?» domanda Shirai, seriamente sconvolto. Io non lo sono più di tanto: il mio amico d’infanzia è un vero genio, e non è di certo una novità.
«Sì, il primo ti riconduce ad una parola» risponde lui, dopo un po’. «...e la parola è: ucciderò.»
Per un attimo anche le lancette dell’orologio sembrano fermarsi.
«Ucciderò?» chiediamo all’unisono io e mio marito.
Shinichi annuisce, poi, con voce chiara e precisa, ci spiega per filo e per segno cosa voglia dire l’indovinello. «“Sono adesso al singolare”... già parte come presupposto che sia un verbo, anche se potrebbe essere pensato anche come un sostantivo. Ma l’ho escluso per un motivo: c’è specificato anche la persona, è la prima, perché è lui stesso a parlare in quel modo. Avrebbe potuto essere seconda o terza, magari anche senza soggetto, ma si è tradito. Il periodo: “...ma se intendi proprio me, be’ allora si giunge a 3+3+3. Non dimenticare di mozzarne una...” serve per identificare le lettere. 3+3+3=9-1=8. È un verbo di otto lettere alla prima persona singolare. E l’ultimo passo: “Però una cosa te la dico, ed è anche vera... al futuro faccio più paura della passata notte nera”, ci rivela anche il tempo, e lui stesso dice che è certo. Ora c’è solo da pensarci su. Qual è il verbo al futuro che fa più paura espresso in quel modo che al passato, composto da otto lettere? A me viene in mente solo uccidere... al futuro: ucciderò.»
Io e Shirai lo guardiamo allibiti. Il mio cuore tamburella gioioso: è un fenomeno e lo è sempre stato.
«Come fai?» chiede mio marito, dalle pupille divaricate.
«Oh, no, era semplice» risponde lui, sorridendo. «Più che altro è il secondo indovinello che non mi convince, è come se ci mancasse qualcosa. Già il fatto che parte con una congiunzione mi fa credere che ci sia qualcos’altro da scoprire prima.»
«Questi sono gli unici biglietti che abbiamo trovato.»
«Va be’, cercherò di concentrarmi su questi. Piuttosto, c’è qualcuno nella tua azienda che potrebbe essere il destinatario del messaggio?»
Shirai scrolla le spalle, scuotendo il capo. «Non ne ho idea. Se vuoi puoi venire a dare un’occhiata per far loro delle domande.»
Shinichi sembra pensarci un po’ su. «Certo, ok. Buona idea.»
«Comunque sono rimasto allibito! Sei un portento, complimenti.»
Shirai sembra avermi tolto le parole di bocca, perché il suo complimento arriva a frenare il mio, che già penzolava nell’aria. Il mio amico d’infanzia alza lo sguardo, regalandoci un altro sorriso. «È il mio lavoro.»
Io mi infiammo. «Sei molto più intelligente di quanto ricordavo. Sei geniale.»
Sia mio marito che lui mi guardano: io avvampo, rendendomi conto d’aver pronunciato quelle parole con fin troppo entusiasmo. Ma non sono riuscita a trattenermi. Sono troppo fiera di lui.
«Grazie» dice soltanto lui, facendomi l’occhiolino.
Shirai si alza dalla poltrona, ed in contemporanea lo vedo fare a Shinichi.
«Ti faccio sapere appena ho novità.»
«Certo, per... quanto riguarda il pagamento, preferisci che ti paghi prima o dopo?»
Shinichi si sorprende per qualche attimo, poi fa un risolino. «No, non mi devi nulla.»
Non vuole essere pagato? Shirai sembra avere la mia stessa reazione. «Cosa? No, dai, è il tuo lavoro. È giusto ti paghi.»
Lui scuote il capo, cominciando ad allontanarsi verso la porta. «Non preoccuparti. L’hai detto prima, no? Sono ricco...»
«Ma...», Shirai sta per dire qualcosa ma forse non sa bene come rispondergli. Shinichi se ne sta andando ed io non so bene come sentirmi. Mi alzo e lo accompagno insieme a mio marito, non riuscendo a staccargli gli di dosso. Quando stamattina è apparso dalla porta non avrei mai pensato che sarebbe successo tutto questo. L’ho baciato e c’ho fatto l’amore... gli ho praticamente fatto capire che non l’ho ancora dimenticato. Sa del nome di mio figlio, ed a conoscenza di quanto mi manchi avere il mio fratellino accanto.
«Grazie mille allora» dice Shirai, stringendogli di nuovo la mano. «Ma adesso ti devo due favori.»
Shinichi fa l’occhiolino, ricambiando la stretta. «Figurati.»
Si gira verso di me e mi dona un sorriso bellissimo. Non riesco a non ricambiarglielo.
«Ciao Ran», sento il cuore ricominciare a battermi all’impazzata.
«Ciao Shinichi.»
La porta si chiude, e lui già mi manca da morire.
 
Sono un paio di mesi che la mia vita va a gonfie vele: l’aver conosciuto Shirai, l’aver capito che non sono solo io l’unica a soffrire d’amore, e l’acquisita consapevolezza che, insieme, si può superare tutto, mi hanno nutrito di una forza che ignoravo. Ormai Shinichi è un ricordo passato. Non voglio dimenticarlo (non ci riuscirei comunque), ma piuttosto pensare a lui come qualcosa che mi ha cambiato la vita, ed in bene. Certo, mi ha praticamente abbandonata qui senza una reale spiegazione, ma in fondo non avrei mai dovuto pretendere nulla di più. Io e lui eravamo amici, intimi e affezionati... ma solo amici. Sono stata io a credere che tra noi potesse esserci altro, io ad insistere per portare avanti qualcosa che non è mai nato. Ho impiegato parecchio a capirlo, ma adesso ne sono certa: dovunque sia stato, Shinichi non è mai stato davvero mio. Conan aveva ragione: se avesse voluto davvero, mi sarebbe stato vicino, anche da lontano. Ma è ovvio che lui ha sempre avuto altro a cui pensare. Che siano i casi, che siano altre ragazze, che sia il successo. Scommetto che adesso è con qualche sensuale bionda dalle curve vertiginose che poco ha da offrirgli, se non le sue gambe. Chissà con chi è adesso, con chi sta parlando, chi sta baciando... Ho sempre sognato fosse lui a darmi il primo bacio, ma non è stato così. Che fosse lui la mia prima volta, ma non è stato così. Ho imparato ad accertarlo, ho imparato a credere nel mio ragazzo, a pensare che lui sarà meglio di quel detective stacanovista. Pensandoci, a Shirai non ho parlato di lui in particolare. Gli ho raccontato di aver sofferto per un ragazzo per molti anni, proprio come lui, ma nulla di più. Ma in fondo, è meglio così.
Entro in camera mia stando attenta a non fare troppo rumore: potrei svegliare Conan. Ormai, da quando mia madre è tornata a vivere qui, il mio fratellino è stato costretto a trasferirsi da me, e mio padre ad acquistare un letto a castello. Fin da subito mi disse che avrebbe voluto dormire sopra e, nonostante avesse a quel tempo solo otto anni, glielo concessi senza problemi.
Alzo lo sguardo sul suo letto e noto che è sveglio: ha in mano il cellulare, e sta scorrendo il dito sul display con fare apparentemente interessato. Non si è girato nemmeno a guardarmi, di solito lo fa; in realtà è un po’ strano da un paio di giorni, o meglio, da quando gli ho presentato Shirai. Ho paura che non gli piaccia, e sono assolutamente curiosa di conoscere il suo parere.
Mi metto a letto nel silenzio fastidioso della camera, ma dopo un paio di minuti lo chiamo.
«Che c’è?» sembra più un grugnito che una risposta.
Mi alzo leggermente e arrampicandomi con le mani, mi affaccio sul suo letto. Conan mi nota e si gira: è senza occhiali, e quell’espressione leggermente seccata mi manda in fibrillazione.
«Che ne pensi di Shirai?», più schietta non sarei potuta essere. «Non mi hai detto nulla dopo l’incontro di sabato.»
Lui torna a guardare il display del cellulare, prestandomi troppa poca attenzione.
«Perché non c’era nulla da dire.»
Inarco un sopracciglio, stranita. «Non ti piace?»
«Non deve piacere a me» replica, ma credo di aver avvertito una vena di fastidio nelle sue parole.
«Certo che sì» ribatto, un po’ delusa. «A me importa della tua opinione.»
Lui sbuffa, e si gira dall’altra parte, dandomi le spalle. Il fruscio dei lenzuoli e delle coperte si unisce alla sua voce: «Se te ne fosse importato me l’avresti detto prima.»
«Che vuoi dire?»
«Da quanto tempo state insieme? Cinque mesi. Cinque mesi e non mi hai detto nulla.»
«Sei arrabbiato per questo?», mi arrampico un altro po’ e mi siedo sul suo materasso, facendo oscillare le gambe all’aria. Lui non risponde, né fa alcun cenno.
«Scusami... è che volevo essere sicura di me e di lui prima di parlartene. Non ho fatto altro che riempirti di lamentele e lacrime per Shinichi, per una volta volevo provare a camminare da sola.»
Non risponde subito, ed io non posso nemmeno cercare di interpretare la sua espressione: è voltato verso il muro e non sembra avere intenzione di girarsi.
«Già», il suo tono di voce è evidentemente più basso. «Gli avevi promesso che l’avresti aspettato.»
Sento il cuore battermi forte in petto. Non me l’aspettavo, soprattutto da lui.
«Sei arrabbiato perché non ho aspettato Shinichi?», gli poggio una mano sulla spalla e tento di farlo girare.
«Figurati. A me non importa nulla» sbotta, ed io sbatto le palpebre per qualche secondo.
«Sai meglio di me che lui non c’è mai e che non ha nessuna intenzione di tornare. Me lo dicesti tu, ricordi? “Se ti vuole bene troverà il modo di starti vicino, sempre”.
Be’... mi pare chiaro come il Sole che non si è nemmeno sforzato di trovarlo!»
Conan non risponde, continua a fingersi interessato al cellulare.
«Per nove anni l’ho aspettato senza ripensarci. L’ho cercato ininterrottamente, invano. Tu pensi che abbia sbagliato a non sperarci ancora?» lacrimo quasi, e finalmente vedo mio fratello sospirare.
«No, è giusto che tu... abbia la tua vita.»
«E allora perché sei arrabbiato?»
Conan finalmente si gira e mi dona un sorriso. «Non sono arrabbiato, ma un po’ stressato per la scuola. Dopo la tua chiacchierata con la professoressa Takumi, lei non fa altro che cercare di beccarmi impreparato.»
Riprendo a respirare normalmente, rincuorata. «Non ci posso credere!»
«Non preoccuparti», ridacchia. «Non ci riuscirebbe mai.»
Gli scombino i capelli e scoppio a ridere anche io. Mi lascio cadere sul mio materasso, osservando per un po’ la rete di quello di sopra. Conan sembra immobile, ma ho la vaga sensazione che non stia ancora dormendo.
«Ehi» lo chiamo con voce flebile.
«Mmh?»
«Secondo te devo dire a Shinichi che...»
Lui m’interrompe, brusco. «Non ce n’è bisogno.»
«Ma...» provo a ribattere, ma la sua voce è più veloce.
«Buonanotte Ran-neechan.»
Sospiro, socchiudendo gli occhi. «Buonanotte, Conan-kun.»
 
Mercoledì, ultimo giorno d’ottobre. Fa freddo, e non riesco a capire in che modo debba vestire Conan: non vorrei soffocarlo con tute lunghe e coperte varie, ma spesso in casa vi sono degli spifferi di vento micidiali. A differenza di ieri, stamattina mi sono alzata prima dal letto. Alle otto ero già sveglia, ed ovviamente non ho visto Shirai, dato che lui va a lavoro verso le sette. La maternità mi sta impigrendo tantissimo: qualche mese fa ero davvero attiva, e in poche ore ero capace di smontare una villa, adesso non ho nemmeno la voglia di tirar fuori la roba dagli scatoloni. Però ho fatto dei progressi: uno grande, ma davvero grosso e pesante – probabilmente vi sono dentro gli aggeggi vari di Shirai – l’ho strisciato fino al punto in cui, ieri, ho tradito mio marito. Era asfissiante dover passare di lì e trattenermi dal non guardare, come se poi ci volessi trovare Shinichi, bello e magari nudo, un’altra volta per me. Mi chiedo quando lo rivedrò, ma mi impongo che dovrei smetterla di domandarmelo. In fondo, se non ci vediamo, è meglio per tutti.
Essendo una situazione difficile ed intricata, quasi impossibile da risolvere, sarebbe preferibile che tra me e lui sia finito tutto ieri. Ma l’idea di non doverlo rivedere mi massacra, perché ieri sono stata davvero bene con lui – e non solo sul pavimento – ma proprio nel parlarci, nel guardarci e nel relazionarci.
È adorabile quando scherza, quando mi prende in giro, quando a suo modo mi rassicura e quando si interessa come sto. Shirai non mi ha nemmeno chiesto perché sono così stressata in questo periodo da aver quasi avvelenato nostro figlio, e non so nemmeno se se ne sia accorto. Gli voglio indubbiamente bene, e mi da fastidio che non faccia altro che lavorare tutta la giornata ignorando quasi la sua famiglia. Nemmeno Shinichi è tanto stacanovista!
Il suono del campanello arriva ancora una volta a distrarmi dai miei pensieri. Credo che sia mia madre, in fondo qualche giorno fa mi disse che appena avesse risolto quella pratica di divorzio sarebbe venuta a farmi compagnia.
«Arrivo», corro verso l’entrata, avvertendo il campanello suonare una seconda volta.  Giro la chiave ed apro la porta, convinta di trovarci chiunque, tranne che lui.
«Shinichi...», devo avere le palpebre talmente divaricate da far impressione.
Lui mi sorride, ed io mi sciolgo. Sono un ghiacciolo sotto il suo Sole cocente.
«Buongiorno signorina», entra in casa senza complimenti, ed io non intendo farglieli. «Suppongo che il suo quasi marito non ci sia.»
«Che ci fai qui?» la mia voce è fin troppo brusca, ho paura ad affrontarlo.
«Sono venuto a trovarti. Ieri mi hai detto che avresti voluto l’avessi fatto più spesso» spiega con un sorriso largo, ma che definirei subdolo. Non credo che il motivo sia proprio quello, ed io incomincio a tremare.
Sbuffo, abbandonandomi alle mie tentazioni. «Certo», raggiungiamo la mia camera da letto, dove Conan sta dormendo nella culla con le manine chiuse in pugni verso l’alto.
«Verrai ogni mattina?» gli domando, ma il mio tono di voce è particolare: è un misto tra speranza, paura e insicurezza.
«Nah», ride lui, forse per cercare di rasserenarmi, appoggiandosi alla porta. «Il lunedì, il giovedì e il venerdì sono in agenzia, ricevo soltanto.»
Quindi domani non verrà a trovarmi... mi rabbuio per un attimo, poi riesco a riprendermi. Io non dovrei pensarlo.
«Già, ogni tanto devi pur lavorare...» lo prendo in giro, consapevole che gli dia fastidio.
«Io lavoro sempre, scema», appunto. «Infatti posso restare solo per pranzo, poi dovrò scappare.»
Controllato che Conan non sia sudato, usciamo dalla stanza e ci dirigiamo in salotto. Ci sediamo entrambi, e a differenza di ieri, siamo già troppo vicini. Qua finisce male, ed io non ho il coraggio di evitarlo...
«Dove vai?» gli chiedo, poggiandomi con la schiena.
«Dal cliente da cui sarei dovuto andare ieri» comincia, ed io sussulto un attimo. Se ci fosse andato, non avremmo fatto l’amore... e non so se esserne felice o triste. La palla con cui Conan giocava ieri è ancora qui; Shinichi la prende e comincia a farla saltellare tra le mani. «E poi vorrei fare una visita all’azienda di Tendo. Vedremo un po’ che ne uscirà fuori.»
«A proposito», lo richiamo a me, facendolo voltare. «Potrei sapere perché non vuoi farti pagare?»
Mi sorride, buttandomi la palla in faccia. «Secondo te perché?»
Sbuffo, dato che mi si sono scompigliati tutti i capelli. «Non lo so... perché sono la tua amica d’infanzia? Non è giusto comunque, stai lavorando.»
«Facciamo così», riprende la palla e ricomincia a giocarci. In questo momento mi sembra tanto il suo alter-ego bambino. «Mi pagherai tu in altri modi. D’accordo?»
Arrossisco nel giro di un nano secondo. «Eh?»
Alcune volte riesce ad essere talmente veloce che non ho nemmeno idea di come reagire: con un solo gesto del braccio mi trascina su di lui, facendomi appoggiare le ginocchia sui cuscini del salotto in pelle. Sono a cavalcioni sul suo corpo, e lui è sotto di me con un sorriso tanto bello quanto irritante. Credo abbia capito che non riesco a fare a meno di lui, e se ne stia approfittando.
«Non mi avevi detto che non sei ancora sposata» mi ricorda, mentre le sue mani accarezzano i miei fianchi. Dovrei spostarmi da questa posizione, è decisamente pericolosa ed equivoca. Ed invece, succube della sua attrazione, io penso a rispondergli. 
«Lo sono.» Rispondo, immobilizzata.
«Non legalmente.»
«È soltanto una firma.»
«È importante.»
«No, ormai.»
«Sì» dice, sicuro, e vedo il suo viso avvicinarsi. Comincio ad avere paura di come potrei reagire. Intreccia le sue dita alle mie, ma non dopo avermi sfiorato il polso. Sorride, e lo alza, mostrandomelo.
«E allora perché lo porti ancora?» mi chiede, ironico, sfiorando il braccialetto a forma di infinito col diamante infisso sopra. Arrossisco, distogliendo lo sguardo. Non mi da il tempo di replicare, che lo sento strisciare sul mio collo con la sua bocca. Deglutisco, tentando di racimolare tutte le forze sperdute della mia volontà per non tradire di nuovo Shirai.
«No, Shinichi» mi stacco con violenza, allontanandomi da lui e sbattendo all’altro lato del divano. «Non posso.»
«Non puoi o non vuoi?»
Mi alzo, preferisco allontanarmi da lui. Può aiutarmi a resistergli.
«Non posso e non voglio. Non è bello tradire il proprio partner, non mi sento granché bene a farlo.»
Raggiungo la cucina, ma il mio amico d’infanzia non sembra avere voglia di lasciarmi stare. Apro il frigorifero, ma non so nemmeno io cosa ci stia cercando dentro.
«C’è ancora qualcosa tra noi.» Soffia dolcemente, senza che io me l’aspettassi. «L’hai notato anche tu, ieri.»
Le sue parole mi mettono in difficoltà, mi imprigionano. Non voglio ascoltarle. «Non c’è nulla, Shinichi. Non c’è più nulla... te lo dissi anche un anno fa.»
In realtà, anche quello che gli dissi un anno fa era una bugia, uno smorzato tentativo di credere che un giorno potessi finalmente vivere senza di lui, ma non posso rivelarglielo.
«Lo so. So che non sei più innamorata di me, però...», si prende una minima pausa. «So anche cos’è stato ieri.»
«Un errore.» Replico velocemente, prima che la mia mente possa pensare a dire altro. «Ho sbagliato. Te l’ho detto ieri, te lo ripeto adesso.»
«Quindi per te è stato solo un errore?» mi rimprovera, ed io abbasso gli occhi. Lui sembra prenderlo come un . Quanto vorrei dirgli la verità e smettere di mentire a lui, a Shirai, a me stessa.
«Forse è meglio che me ne vada.» Shinichi si gira e comincia a camminare verso l’uscita, e un senso d’angoscia mi prende il corpo. Sale fino a spingermi a bloccarlo per il polso. A bloccarlo.
«No, non te ne andare» lo supplico quasi, con voce flebile. «È stato un errore, sì. Ma... lo rifarei.»
Lui si ferma a guardarmi, si avvicina a me, e lascia che le nostre labbra si sfiorino. Dei brividi corrono lungo la mia schiena, le gambe cominciano ad essere pesanti e la voglia di saltargli addosso mi conquista il cervello. Avverto le nostre bocche unirsi, e mentre Shinichi mi circonda la schiena con le braccia, io affondo le mani nei suoi capelli corvini. I nostri profili si scontrano e strusciano tra di loro, così come le lingue, che cominciano ad accarezzarsi e a bagnarsi. Avverto la sua saliva calda scivolare nella mia bocca e socchiudo gli occhi, lasciando che siano gli altri sensi a godere del suo bacio.
Inaspettatamente lo vedo sottrarsi, e per qualche attimo temo d’aver sbagliato qualcosa. Poi sento la sua lingua sul mio collo che scende con tormentosa lentezza e comincio a respirare velocemente, rilasciando dei sospiri spezzati dai miei stessi sussulti. Impaziente mi aggrappo a lui, saltandogli addosso. Shinichi indietreggia per un po’, sorpreso, tentando di stabilizzarsi, e comincia a guardarmi.
«Questo è perché non volevi, vero?» mi sorride, ma non mi permette di replicare. Con i denti mi afferra le labbra e mi strappa un morso, portandomi verso di lui.
«Sappi che ti odio.» Rilascio un gemito che sbatte sul suo ghigno. Si impossessa di nuovo delle mie labbra, e lascia scivolare la lingua nella mia bocca. Ricambio, e dopo pochi secondi mi ritrovo poggiata su qualcosa di morbido: apro gli occhi, e scorgo la spalliera del divano.
Sprofondo nell’azzurro delle sue iridi, per un attimo, temo di star facendo una stupidaggine.
«No. No. Io non dovrei.»
Lui mi sorride, sistemandosi sopra di me. Struscia la bocca verso il collo, e mentre un brivido mi percorre la schiena, i suoi denti cominciano a mordermi il lobo dell’orecchio.
«Shhhh» mi sussurra ed improvvisamente mi passa la voglia di lamentarmi. Faccio scorrere le mie mani sulla sua schiena, e all’altezza del bordo della maglia, comincio ad alzargliela. Gliela sfilo velocemente, lasciando che per qualche secondo rimanga intrappolato nel colletto. Se ne libera facilmente, e a petto nudo torna su di me: il suo corpo è uno spettacolo. Sembra scolpito da qualche grande artista del Cinquecento, a differenza che per lui non è marmo freddo, ma carne vera, ed anche calda. Quella visione è idilliaca e mi manda in tilt. Credo che nel mio corpo si siano risvegliati tutti i feromoni, perché l’attesa mi snerva, e non ho intenzione di pazientare ancora per averlo. Alzo il capo e lo attraggo a me, baciandolo, mentre le sue mani mi alzano la camicetta e mi accarezzano il sedere. Il suo tocco mi surriscalda: vorrei velocizzare le cose, ma un certo orgoglio mi frena e mi impone di aspettare. Fortunatamente sento gli slip scivolarmi sulle cosce e cadere sui piedi, da dove li scaccio via con forza. Non devo certo obbligarlo a continuare: la sua bocca si sposta dalle mie labbra alla mia pancia, sino ad arrivare alla mia intimità. Serro le palpebre come colta da una scossa e spontaneamente alzo il capo verso l’alto. La mia bocca non riesce a trattenere un gemito, e credo che a lui abbia fatto piacere sentirlo. Passa qualche attimo che lo risento di nuovo su di me, con le labbra a sfiorarmi il mento, e poi dentro di me. Il dolore iniziale mi porta a gemere, ma velocemente avverto il fastidio divenire calore e goduria. Inarco la testa all’indietro e lascio che le unghie struscino sulla pelle della sua schiena, graffiandola. Dapprima lento, il ritmo di Shinichi aumenta man mano che passano i secondi; lo guardo e vedo lui fare altrettanto, e quando i nostri occhi si incrociano, le nostre bocche si ricongiungono. Un braccio mi solleva la testa dal cuscino e mi porta a poggiarla su di esso, mentre l’altro va ad alzarmi le gambe e a portarle dietro le sue. Torno ad intrecciargli il collo con le braccia, al quale mi aggrappo, succube dei suoi movimenti. Il mio respiro aumenta, la circolazione del sangue si velocizza, il cuore prende a correre nel mio sterno. Shinichi libera qualche bottone della camicetta, facendo scivolare una mano sopra il mio seno rovente. I suoi movimenti dentro di me cominciano ad accelerare, e il mio fiato non fa altro che trasformarsi in nuovi gemiti, sempre più forti. Socchiudo gli occhi e gli mordo il collo, deliziandomi del suo profumo. Ogni secondo che passa è un’emozione in più, e provo l’inspiegabile sensazione di non essere mai stata più completa prima d’adesso. O meglio, prima che suonasse il campanello.
E quel suono così acuto e penetrante non solo va a rompere tutta la magia che c’aveva circondati, ma mi riempie anche di vero terrore. Scaglio Shinichi lontano da me, e brusca mi rialzo. Lo guardo con occhi allucinanti, e lui mi scruta per qualche istante con la stessa espressione. Poi decido di muovermi: ho bisogno di rivestirmi, ed anche lui.
«Dannazione! E se è Shirai?!» sbotto, alla ricerca del mio intimo. Dove diavolo l’ho buttato poco fa? Mai possibile non si trovi?
«Non credo che suoni se fosse lui...», Shinichi riprende la maglia dal pavimento e se la infila, facendosela scivolare addosso. Comunque ha ragione: Shirai ha le chiavi di casa, non avrebbe senso suonare.
«Sì... effettivamente», sconvolta vado ad aprire, dando un’ultima occhiata a lui: è finalmente completamente vestito. Passo davanti allo specchio del corridoio e gli occhi cadono sulla mia faccia: sembro una pazza. Cerco di darmi una sistemata ai capelli, e per quel posso tento di calmarmi; ma purtroppo ho un colorito abbastanza acceso, ed il mio fiato è ancora grave. Al secondo suono del campanello cerco di darmi una svelta: giro la chiave, e davanti casa mia, ci trovo mia madre.
«M-mamma!» esclamo, quasi sorpresa. In realtà avevo completamente dimenticato che dovesse venire. Lei entra in casa guardandomi con aria strana e sospetta.
«Ciao tesoro... ma che hai fatto? Sembri sconvolta.»
Ecco, lo sapevo che se ne sarebbe accorta. Tento di fingere: non posso permettermi che capisca qualcosa.
«Eh? Io... no, cosa dici! È che sento caldo...» ridacchio in modo stupido, ma simulo una smorfia nell’esatto momento in cui mia madre volta lo sguardo altrove. Insieme ci dirigiamo in salotto, dove Shinichi è seduto sul divano a guardare la televisione. Mia madre lo nota e per qualche istante non crede ai suoi occhi: allarga le palpebre e spalanca la bocca, atterrita.
«S-Shinichi-kun!» lo chiama, in realtà urla quasi il suo nome. Il detective la guarda e le rivolge un sorriso, alzandosi e raggiungendoci. Perché solo io sembro quella appena uscita da un manicomio di pazzi? Il mio amico appare talmente calmo e rilassato che quasi stento a credere cosa stessimo facendo un minuto fa.
«Per tutti i templi!», mia mamma comunque non sembra interessata a me quanto a lui. «Non ti vedo da una vita! Cavolo... quanto sei cresciuto! Sei un vero uomo!»
Già, mia madre non sa che Conan, il bimbo intelligente vissuto in casa nostra per dieci anni, in realtà era proprio lui. Ne sono soltanto io a conoscenza, e non credo che lo verrà mai a sapere qualcun altro.
Intanto lui ridacchia, grattandosi la testa. «Ne è passato di tempo. Come sta, Eri-san?»
«Io bene!» esclama mia madre, sembra entusiasta di rivederlo. «Anche tu sembra! Non credo ai miei occhi... ti avevo dato per disperso! Certo, sapevo che eri tornato in città grazie agli articoli sui giornali, ma... rivederti è un’altra cosa. Wow!»
Mi intrometto io, approfittando del silenzio del mio compagno: «Shinichi è venuto a salutarmi stamattina. Era da tempo che non ci vedevamo.»
Dannazione, non so proprio recitare. Meglio mi stia zitta.
«Certo, immagino» annuisce mia madre, sorridente. «E allora? Come stai? Dove sei stato? Non immagini mia figlia quante volte t’abbia cercato in tutti questi anni.»
Lo sa già, mamma. Non c’è bisogno di ricordarglielo. E grazie per mettermi in imbarazzo di fronte ad uno che credi che non veda da dieci anni.
«Bene, bene. Un po’ in giro per il mondo...» dice, e poi mi guarda, sorridendo. «Anche io l’ho... pensata
Io abbasso gli occhi, paonazza. Non può farmi vacillare con una frase.
«Già, da piccoli sembravate destinati a stare insieme. Ma adesso Ran è sposata con un ragazzo d’oro, l’hai conosciuto?»
«Ehm... sì» risponde lui, un po’ titubante.
«Credo che siano davvero perfetti. Ed hanno un bimbo, Conan! Ah, lo sai, quel ragazzo che viveva da noi è morto un annetto fa... non sai quanto mi sia dispiaciuto... mi ci ero affezionata tantissimo.»
In realtà è di fronte a te, mamma. Shinichi sembra in imbarazzo, e risponde con semplicità: «Mi dispiace.»
Per qualche secondo cale un silenzio fastidioso.
«Comunque io... devo andare, adesso» lo spezza lui, cercando di sorridere. «Ho delle questioni da risolvere e non posso restare.»
«Oh, mi dispiace...» si lamenta mia madre, ma vorrei farlo più io. Quando lo rivedrò adesso? Lo sento già lontano, e per stare bene ho bisogno di lui. «Ma vieni a trovarci uno di questi giorni. Ti aspetto.»
«Certo. Arrivederci.» Lui annuisce e comincia ad indietreggiare verso il corridoio d’entrata, ma si ferma, in attesa che lo segua.
«Ciao Shinichi-kun.»
«Mamma... lo accompagno all’uscita» le dico frettolosa, lanciandole un’occhiata, e raggiungendolo. Cammino accanto a lui con lentezza, quasi sperando che la porta si allontani sempre un po’ di più. Ho voglia di parlargli ancora, di baciarlo ancora, di farci ancora l’amore.
«Che tempismo, eh?» ridacchia, abbassando il capo al pavimento. Non gli rispondo perché non ho alcuna intenzione di ammettere di esser anch’io dispiaciuta per l’interruzione.
Shinichi apre la porta descrivendo un angolo acuto, lasciando che la luce del pianerottolo invada il mio corridoio.
«Ci vediamo allora», alza gli occhi su di me, permettendo che la mia figura si rifletta nelle sue iridi. La luce giallastra delle finestre lo illumina superbamente.
«Non venire a trovarmi troppo spesso», avrei dovuto essere seria, ma non riesco a trattenere un debole sorriso. Shinichi esce fuori, ma si ferma dinanzi a me, dopo la porta.
Il brutto è che sorride anche lui, ma la curva delle sue labbra descrive un ghigno malizioso e sicuro di sé.
«Solo quando vorrai.»
Inspiro con forza, e grattandomi il capo, lo guardo un’ultima volta.
«È questo il problema.»
Gli sbatto la porta in faccia e non gli lascio l’opportunità di replicare. Mi appoggio al pilastro e socchiudo le palpebre, rilasciando un sospiro.
Lo so, amo complicarmi la vita.
 

 
 
Eccomi! Ebbene? Vi è piaciuto il capitolo? Molti di voi avevano ipotizzato che non fosse Shirai, ed invece....... solo lui ha le chiavi XD
Be', in realtà mi serviva per introdurre il caso. Ditemi un po'.... non è intelligentissimo Shin-chan? *-* No, ma mica sono di parte ù.u
Ehm... però Shirai non lo è altrettanto. Insomma, ragazzo mio, trovi una cravatta che gironzola per la casa... e non ti preoccupi? Ma ti devo dire proprio tutto?
Credici, credici che non le sopporta. Come no! *devil* piuttosto.... chi voleva sapere se fossero sposati o meno? Adesso avete la conferma! XD
Passiamo avanti, ed immergiamoci nella dolcezza che più diabetica non si può! Ma Conan-kun, non è troooooppo bello e puccioso nel dire "avevi detto che l'avresti aspettato"? Amore bello! Vieni da mamma ç___ç Ran, per tutti i templi shintoisti, ma sei tonna o cosa!? Perché non capisci che mi fai soffrire il cucciolo!?
Basta, ho deciso... ti spodesto dal ruolo di protagonista femminile! Scherzo o forse no.
Andiamo avanti, che è meglio! Ran soffre di caldo ogni mattina ormai, e mentre Shinichi la viene a trovare, lei ricomincia con le paranoie. Diciamo che, però, Shinichi la convince con un solo "forse è meglio che me ne vada". XD 
E mentre i due si danno da fare, arriva... Eri! Chi meglio di lei può mettere in imbarazzo Ran?
L'ultima frase doveva essere "Lo so, TONIA ama complicarmi la vita" ma non mi piaceva come suonava xD
Torniamo seri u.u
Spero che il chap vi sia piaciuto, ringrazio tutti i recensori dello scorso, anche se un GRAZIE speciale va ad Assu.... e lei sa perché XD
Niente... vi lascio allo (esilarante) spoiler! ;)



Spoiler #5 Il bisogno di lui
“Buongiorno. Ha un appuntamento?” mi saluta, cordialmente. Per qualche attimo interminabile il mio cervello non connette: che ci fa questa ragazza qui? Perché mi saluta? Cosa vuole?
Poi comprendo. Sarà la sua segretaria. Aspetta. Ha una segretaria? E perché non me l’ha detto?
La giovane mi guarda un po’ titubante, stranita dal mio sguardo spaesato e palesemente diffidente.
“Buongiorno” ribatto, un po’ brusca. Avverto uno strano calore bruciarmi e risalire su per gli organi vitali. Mi avvicino con lentezza, ma il mio passo mi tradisce. Sono irrequieta, e l’ira sale nel guardare questa giovane, decisamente troppo carina, aspettare che io spieghi che ci faccia lì.
“Sei... la sua...” mi mordo la lingua, imponendomi una sorta di razionalità. “Sei la segretaria del detective?”
È ovvio che non s’aspettasse la mia domanda, che suona terribilmente ovvia. Mi guarda come a dire e-secondo-te-cosa-sto-facendo-qui? ma si guarda bene dal riferirmelo.

 
 
 
Ci vediamo l'11 settembre.
Kisses,
Tonia

 
 

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Capitolo 5
*** Il bisogno di lui ***


Rieccomi, puntuale come sempre! xD Mentre fuori diluvia, io vi presento il nuovo capitoletto... che già dal titolo, è tutto un programma!
Avremo il ritorno di Sonoko, avremo ben due flashback (che io ho adorato scrivere), avremo Ran alla prese con la segretaria di Shinichi...
e con lui, ovviamente :) Vi lascio immaginare!

Pronti?
 
 
#5 Il bisogno di lui

 
Conan schiamazza nella culla alle prese con una fastidiosa pallina gommosa musicale regalatogli da mio padre. Ride nel comprimerla e nel sentirla suonare, ed io sorrido nel vederlo divertirsi farlo. Mia mamma mi raggiunge dalla cucina con due piatti di riso al curry, poggiandoli sul tavolo del salone. Ho l’impressione che sia migliorata a cucinare, lo dice anche mio padre, e lo sosteneva anche Conan – o meglio, Shinichi. Distolgo per un po’ lo sguardo da mio figlio, addentando una fetta di pane.
“Però Shinichi si è fatto proprio un bell’uomo” dice all’improvviso, senza guardarmi. “Conan-kun gli assomigliava assai, vero? Anche lui era così carino.”
Ci mancavano solo i complimenti subdoli e mirati di mia madre. Ho sempre pensato che, a dispetto di me e della mia insolita cecità nel notare quanto quei due si somigliassero, mia madre l’abbia sempre saputo in cuor suo. Non che abbia manifestato chissà che perplessità, ma pare che le mamme sappiano già cose che noi a stento riusciamo ad intravedere. Fu lei, infatti, un anno fa ad illuminarmi. In realtà si comportò più da fulmine in cielo, che non era per nulla sereno. Pochi giorni prima che io e Shinichi ci dicessimo addio, mia madre venne da me e cominciò a parlarmi. Mi disse che mi notava strana, che ero più silenziosa del solito, che non le piaceva stessi così...
“Continui a non mangiare? Continui a dimagrire, brava.”
Sbuffo, assottigliando gli occhi e riponendo il bicchiere sul tavolino. Vedo papà alzarsi e raggiungere la scrivania, accavallando i piedi su di essa e sdraiandosi, mettendosi comodo. Si affretta ad accendere la televisione, alzando il volume al massimo. Guardo l’orologio e mi accorgo che sta per iniziare un programma di Yoko Okino.
“Aveva ragione Conan-kun? C’è qualcosa che ti turba?”
La fisso, e a stento riesco a controllare le mie emozioni. Come dirle o spiegarle quello che mi sta accadendo?
“Non c’è nulla, mamma. Già te l’ho detto.”
“C’è qualche problema con Shirai-kun?” domanda, spinosa. “È tornato dall’Hokkaido, no?”
Scuoto il capo velocemente.
“E allora che c’è? Non penserai ancora a quel detective, vero?”
“Ma che dici, mamma!” sbotto, paonazza.
Lei sospira, si avvicina leggermente e tende ad abbassare la voce. “Ho notato che sei molto vicina a Conan-kun in questo periodo. Non è che lo fai perché lui è molto simile a Shinichi-kun, vero? L’hai notato anche tu, no? Potrebbe quasi essere lui.”
Il respiro si ferma, mentre le sue parole prendono spazio nella mia mentre. Potrebbe quasi essere lui. Potrebbe. Essere lui.
“Non dire stupidaggini.” Sorrido, volendo smorzare quella tensione. Nel frattempo mi alzo, non riesco a stare ferma. Ho un bisogno improvviso di raggiungerlo, di chiederglielo. “Conan-kun è solo mio fratello.”
“Certo, ovviamente.”
“Piuttosto, sai dov’è? Non c’è in casa.” Domando velocemente, frenetica. Sento le gambe muoversi ancora prima che io glielo comandi. Mia madre mi fissa stranita, poi alza le spalle.
“Mi ha detto che andava ad allenarsi a calcio.”
Non ha il tempo di dirmelo, che io già sono fuori casa. Riesco ad avvertire l’eco della sua voce lontana che mi chiede dove io stia andando, ma lo ignoro volutamente. Non voglio che sappia quello che sta succedendo, non voglio che scopra qual è il significato del braccialetto che porto al polso. Lo guardo, luccica come sempre, come tutte le ore della giornata.
“...un mio per sempre sarà comunque con te” mi ha detto, senza troppi complimenti, senza troppi indugi. Corro velocemente verso il campo di calcio del Teitan, ringraziando me stessa per essere allenata ed abituata alle corse. Nel tragitto urto due o tre persone, schivo le spalle di qualche passante, senza nemmeno fermarmi a chieder loro scusa. Raggiungo la mia vecchia scuola con l’affanno, appoggiandomi ad un pilastro dell’edificio a riprendere fiato. Percorro altri cento metri, affacciandomi al campetto. Una fitta mi prende lo stomaco, spingendomi a stringere i denti: non torno qui dalla scomparsa di Shinichi. Noto cinque ragazzi esercitarsi a tirare rigori, con delle tute bluastre addosso, mentre un altro gruppetto è a fare flessioni e riscaldamenti. Lui è lì, accovacciato a terra, poco più distante degli altri. Scendo le scale e percorro il campo, sotto lo sguardo curiosi dei liceali e di alcune ragazze. Lo raggiungo, guardandolo dall’alto, e lo obbligo a fermarsi.
“Che ci fai tu qui?” mi sorride, sembra contento di vedermi.
Lo incinto ad alzarsi: “Ho bisogno di parlarti.”
“Adesso?” si gira intorno, scontrandosi coi volti delusi dei suoi compagni di classe.
“Adesso.”
Si alza, mentre alcuni dei suoi amici lo prendono in giro con frasi ironiche e stupide: “ti piacciono le donne adulte, Edogawa-kun?!”, lui ridacchia ed io arrossisco. Nel girarmi, mi scontro col viso rattristito di Ayumi. Dimentico sempre che lei è innamorata di lui, e mi chiedo come faccio, perché mi assomiglia. In lei vedo me dieci anni fa. Recito un dolce “ciao”, ma non me lo ricambia. E so anche il perché. Abbasso il capo, le passo avanti.
“Mi dispiace davvero, Ayumi-chan...” le sussurro. Lei lo sente, si gira, ed una lacrima le solca il viso. Gocce amare invisibili agli occhi della persona che ama. Che ama in silenzio.
Io e Conan risaliamo le scale, e quando noto alcune ragazzine mandarmi occhiate torve e sinistre, altre quasi tentano di raggiungermi e bloccarci. Sento una sussurrare all’amica - con fin troppa poca discrezione: “ma chi è questa?”, e vedo l’altra scuotere il capo. Le ignoro, e mi rallegro che lo faccia anche lui. Dopo circa due minuti, raggiungiamo un piccolo spiazzale coperto da un muro a destra, e da alcuni cipressi a sinistra. Spero solo che quella mandria di adolescenti in calore non c’abbia seguiti. Ci fermiamo all’unisono, ed io non riesco a fare a meno di notare le goccioline di sudore che gli cavalcano il viso e il corpo.
“Che c’è? Non potevi aspettare che tornassi a casa per parlarmi?” mi domanda, poi si sfuma di malizia: “Non vedevi l’ora di rivedermi?”
Le mie labbra si arricciano in una smorfia involontaria. “Ho aspettato abbastanza, non credi?”
Lui non parla per qualche istante, mi fissa soltanto. Poi si asciuga il sudore con il lembo della maglia, strofinandosela sulla fronte.
“Che vuoi dire?”

“Merito la verità. Ho bisogno di sapere la verità, adesso.”
“La verità?”, vedo Conan deglutire ed appoggiarsi al muro. “Su cosa?”
Sospiro, mentre stringo le mie dita intorno al braccialetto che mi ha regalato. Lo sento muoversi, come se avesse vita propria, come se cercasse di dirmi cose che nessuno di noi due ha mai avuto il coraggio di accettare.
“Voglio da te l’ultima conferma che lui davvero mi ha abbandonata e non ha mai pensato a me come qualcosa in più. Voglio la conferma che le mie sono state tutte illusioni, che lui è solo e sempre stato un grande stronzo.”
Ride. “Di chi stai parlando?” chiede, in un soffio.
“Lo sai.” Replico, non ho più forza di sopportare questo peso mortale. Io ho il diritto di sapere. Lo guardo, e noto lui fare altrettanto. “Di Shinichi.”
Conan non risponde per qualche secondo di troppo. Poi sospira: “è ancora importante?”
Respiro velocemente, con fatica e affanno. A stento riesco ad annuire.
“Sei...tu?” Conan si asciuga un altro po’ la fronte, che luccica ai raggi solari.
Penetra con gli occhi azzurri nei miei, mi dice: “sì, sono io.”
E la mia vita ha di nuovo un senso.
Riemergo dal passato come folgorata da una scossa. Ho il palato secco e le fauci aride, gli occhi in fiamme, pronti a scoppiare. Ho bisogno d’acqua, mi sento strozzare.
“Da quant’è che non lo vedevi?”
La voce di mia madre mi capacita di dove sono e mi sveglia ancor di più. Mando giù un sorso e metto via il bicchiere. Cerco di mantenermi vaga, ma non oso nemmeno io alzare il capo dal piatto.
“Una... una decina d’anni, direi.”
“Ed è venuto a trovarti così? All’improvviso?”, il suo tono curioso mi terrorizza.
“No... è che... Shirai gli ha chiesto un favore riguardo un caso. E allora...” mi blocco, avvertendo il suono del campanello. In questi giorni sta suonando un po’ troppo spesso. Mi pulisco le labbra e corro ad aprire la porta. Non dovrei farlo, ma un brivido mi scorre sulla schiena: sto sperando sia lui.
Ed invece è Sonoko, gioiosa e pimpante come sempre.
“Amica! Ho comprato un’altra pallina al pargoletto... è firmata Fendi, eh!”, me la mostra roteandola tra le dita, con un sorriso indelebile sul viso.
“Non dovevi, Sonoko”, riesco a sorridere anche io. “Lo stai viziando troppo.”
“A questo servono le zie” mi fa l’occhiolino, ed io le rispondo con un semplice sorriso. Camminiamo insieme verso la sala da pranzo, dove mia madre è ancora intenta a mangiare il riso. Alza il capo e con un cenno saluta la mia amica, donandole un bacio sulla guancia.
“Grazie comunque, eh”. Mi fa un gesto largo con la mano, poi osserva i piatti.
“C’è un po’ di riso anche per me?” mi chiede poi, strofinandosi la mano sullo stomaco. “Non ho mangiato nulla, ho una fame da lupo!”
Annuisco e le dico di sedersi. Corro in cucina e preparo un piatto anche per lei, portandoglielo nel giro di qualche minuto. Mi siedo con loro due a tavola, dando un’occhiata a Conan che sembra essersi addormentato nella culla con le gambe all’aria. Riesce a trovare sempre le posizioni più strane!
Poi torno a guardare loro: e a pensare che adesso dovrei essere a mangiare con lui...
“Ran, dicevamo?”, mia madre beve un sorso di acqua e si mette a fissarmi. “Perché Shirai ha bisogno di un detective?”
Sonoko smette di mangiare per qualche istante, ed io stessa lascio andare le ultime forchettate nel piatto.
“A causa di alcuni biglietti anonimi che giungono a lavoro.”
“Detective?”, mangia un po’ di pane la mia amica. “E a chi si è rivolto?”
Il mio cuore accelera. Immagino già la sua reazione. “A... a Shinichi Kudo.”
Alcuni chicchi di riso cadono dalla bocca di Sonoko, precipitando sulla tovaglia. Lei nemmeno se ne accorge: le labbra sono dischiuse ed immobili, lasciando intravedere i suoi canini.
“L-lui?”, la forchetta a mezz’aria incute una certa paura. “Quel... S-Shinichi Kudo?”
“Sì... lui.” Ammetto velocemente, tornando a masticare quel po’ di riso freddo che è rimasto. Non la guardo più, ma so per certo che non si è mossa di un millimetro. E con lei, anche mia madre.
“Quindi... è tornato? Cioè, sì” dice, con voce ambigua. “È tornato, ma... cioè... vi siete riparlati?”
Annuisco senza alzare il capo.
“Oddio! Dopo dieci anni vi siete riparlati?”
La lingua mi si appiccica al palato, non riesco a pronunciare parola.
“Certo! Prima Shinichi-kun era qui! È andato via un po’ prima che arrivassi tu!” la informa mia madre con spontaneità, anticipando ogni mia possibile mossa.
“Era qui!?” sbotta Sonoko, incredula.
“Sì, è venuto per parlare con Shirai... del caso” aggiungo, sperando di aver usato una voce abbastanza convincente. Vorrei dirle tutto, sfogarmi con qualcuno... ma cosa penserebbe di me? Sono una madre adultera...
“Oh”, la mia migliore amica mi guarda e si zittisce. Abbassa il capo e non dice più nulla sulla questione e, per fortuna, nemmeno mia madre.
 
 
Cammino nel viale alberato, cercando di mantenere il mio passo calmo e tranquillo. Conan non c’è: il nonno materno l’ha voluto con sé, ed io ho acconsentito a lasciarlo per un po’ con lui, sotto le cure protettive di mia madre. Ho dato loro il biberon e il latte in polvere, e li ho pregati di chiamarmi qualsiasi cosa succedesse. Guardo in su: le nuvole grigio scuro nel cielo non promettono nulla di buono. Spero solo non venga a piovere, anche perché non ho portato l’ombrello. Giungo alla fine del viale col cuore in gola. Che ci faccio qui? Perché sono venuta a trovarlo? È il suo ultimo giorno d’ufficio della settimana, ed io ero troppo curiosa di sapere dove lavorasse, cosa guardasse appeso ai muri ogni giorno, che tipo di profumo sentisse. Ho cercato l’indirizzo sull’elenco e l’ho raggiunto nel giro di dieci minuti. Sono davanti alla porta e non ho il coraggio di suonare. Sarà libero? Non importa. Busso, e la porta si apre davanti a me, in un gesto meccanico e in un ronzio tecnologico. Mi faccio avanti nella sala d’attesa, o quella che credo essere tale, dove mi imbatto in due uomini di età differente, l’una sulla trentina e l’altro sulla cinquantina, una donna sulla quarantina, ed in una ragazza. Quest’ultima è dietro il bancone.
“Buongiorno. Ha un appuntamento?” mi saluta, cordialmente. Per qualche attimo interminabile il mio cervello non connette: che ci fa questa ragazza qui? Perché mi saluta? Cosa vuole?
Poi comprendo. Sarà la sua segretaria. Aspetta. Ha una segretaria? E perché non me l’ha detto?
La giovane mi guarda un po’ titubante, stranita dal mio sguardo spaesato e palesemente diffidente.
“Buongiorno” ribatto, un po’ brusca. Avverto uno strano calore bruciarmi e risalire su per gli organi vitali. Mi avvicino con lentezza, ma il mio passo mi tradisce. Sono irrequieta, e l’ira sale nel guardare questa giovane, decisamente troppo carina, aspettare che io spieghi che ci faccia lì.
“Sei... la sua...” mi mordo la lingua, imponendomi una sorta di razionalità. “Sei la segretaria del detective?”
È ovvio che non s’aspettasse la mia domanda, che suona terribilmente ovvia. Mi guarda come a dire e-secondo-te-cosa-sto-facendo-qui? ma si guarda bene dal riferirmelo.
“Sì. Posso aiutarla?” tenta di essere comunque gentile, ed il suo tono finto non fa altro che stizzirmi. Perché Shinichi ha voluto una segretaria? Sono sicura che poteva farne a meno.
“Il detective è libero?”
“No, al momento è occupato con un cliente. Ha un appuntamento per vederlo?”
Le vorrei rispondere che io non ho bisogno di appuntamenti, ma mi rendo conto io stessa della mia stupidaggine. Sono sposata e mi ritrovo a ingelosirmi per una tizia sconosciuta che siede ogni giorno dietro il bancone dell’agenzia di Shinichi. Ogni giorno.
Deglutisco. “No.”
Lei annuisce col capo. “È qui per una consulenza?”
Mando giù altra saliva. “Ehm... sì” fingo, pensando sia la cosa più giusta da fare.
“Ok” sorride lei. “Si accomodi, prego. Aspetti qualche istante che le dirò se il detective può riceverla quest’oggi.”
Tutto questo è molto imbarazzante. Mi siedo, notando gli sguardi dei presenti su di me. Staranno pensando che sono pazza. La ragazza fa qualche passo e bussa ad una porta di fronte a me, ma leggermente spostata sulla destra. È di vetro satinato, permette che la luce entri ma che non vi si veda nulla attraverso.
Sento la sua voce. “Avanti.”
Per un attimo il cuore mi tamburella. La ragazza apre la porta di qualche centimetro, gli rivolge qualche parola che io non riesco a sentire. Dopo qualche istante la chiude di nuovo e mi guarda, sorridente.
“Sarebbe così gentile da dirmi il nome?”
“Ran... Ran Mouri.”
“Il detective si libererà tra un’ora. Se vuole, può tornare dopo.”
Un’ora, un’ora ancora per vederlo. Scuoto il capo, sospirando.
“No, aspetto qui.”
Lei annuisce e scrive velocemente il mio nome su un foglio, poi torna a sedersi dietro la scrivania. Il tempo passa lentamente, e mentre tento di non lanciarle occhiate omicida, cerco di distrarmi nell’ascoltare la radio e i suoi speaker. Dopo venti minuti, dalla porta in vetro opaco ne fuoriesce il primo cliente. È un uomo molto robusto ed in carne, di circa sessanta anni. Recita un fievole “arrivederci” e poi scompare dalla stanza.
La segretaria porta lo sguardo sulla donna e l’uomo più giovani.
“Prego, potete entrare.”
Li vedo alzarsi ed afferrare una bottiglia di vino alla loro destra. Entrano nel suo studio, e passano altri venti minuti. Mentre aspetto mi torturo le mani, cercando di non fissare troppo la ragazza dietro il bancone. È giusto che abbia una segretaria in fondo, con tutta la clientela che ha non riuscirebbe mai a tenere a mente ogni appuntamento. Però perché mi da così fastidio? Forse perché è giovane, avrà circa venti anni, è decisamente troppo carina, e potrebbe facilmente sostituirmi. Deglutisco, rendendomi conto che non potrebbe mai farlo, perché io per lui non sono nessuno. Sono la moglie di un altro, o peggio ancora, la sua vecchia amica d’infanzia. Cosa dovrebbe sostituire allora? Non riesco ad immaginare di saperlo nelle braccia di un’altra, ma è un pensiero così sciocco che lo elimino subito dal mio cervello. Guardo l’orologio. Sono le dodici e quaranta. È passata quasi un’ora, e tra poco lo vedrò. Come debbo comportarmi? Cosa gli dirò? Sicuramente mi domanderà perché sono qui, e purtroppo non lo so nemmeno io. Volevo solo vederlo, voglio solo... baciarlo.
Baciarlo... mi sfioro le labbra, immergendo lo sguardo nel vuoto.
Mi alzo dal materasso ricercando la bottiglietta d’acqua che ripongo sempre ai piedi del letto, senza trovarla. Ieri sera ho dimenticato di prenderla. Sbuffo, stropicciandomi gli occhi con il dorso della mano. Ho i capelli scompigliati e legati in una coda allentata, che lascia piena libertà ai miei ciuffi ribelli. Cammino con le palpebre leggermente dischiuse e con la bocca impastata dal sonno.
Arrivo in cucina, dove trovo Conan. Lui mi sente, -ho sempre pensato abbia l’udito più sviluppato della norma-, e si volta a guardarmi. Qualche secondo d’incertezza, poi torna a tuffarsi nel frigo.
“Cosa cerchi?” gli chiedo, avvicinandomi a lui. La luce accesa del frigo va a creare un fascio di luce nell’oscurità. Ciò mi costringe ad aprire un po’ di più le palpebre e a focalizzarlo meglio: è seminudo, coperto solo da dei boxer neri molto attillati. Avverto le mie guance imporporarsi all’istante, anche perché non riesco a staccargli gli occhi di dosso: non c’avevo mai fatto caso, ma il suo fisico... è bellissimo. È magro al punto giusto, mentre i muscoli si sviluppano nei posti più strategici. Ha delle belle spalle, le gambe muscolose -per via delle innumerevoli ore ad allenarsi a calcio-, ma soprattutto ha la pancia piatta, scolpita da addominali. Deglutisco, imponendomi di ignorarlo: è mio fratello, dannazione!
“Nulla” risponde, con la solita freddezza che lo contraddistingue in questo periodo. Chiude il frigo e sembra andarsene, quando io lo blocco per il polso.
“Che hai, Conan-kun?”
“Che intendi?”
“Lo sai. Non parliamo più... non ci confidiamo più come un tempo. Ti ho fatto qualcosa?”
Lo vedo deglutire e credo che la mia domanda l’abbia messo un po’ in difficoltà.
“No, nulla” dice poi, cercando di convincermi. Non mi guarda negli occhi, ed io sono costretta ad alzargli il volto con due dita.
“Per favore. Non voglio che tra me e te ci siano incomprensioni.” Lo supplico quasi, mentre accarezzo debolmente il suo mento: ha la pelle liscia, liscia come seta. Non smetterei mai di toccargliela...
“Non ce ne sono” dice, e con un gesto secco mi sposta le dita dal suo viso.
Ma io insisto: “Dai. Perché sei così freddo?”
I suoi occhi azzurri si posano sui miei. Ho un tuffo al cuore: sono uguali a quelli di Shinichi. Non indossa gli occhiali, e ciò non fa altro che approfondire il contatto e farmi stare sempre più male. Le sue iridi cristalline sembrano emanare scintille di cui si cibano le mie pupille.
“Mi vuoi più... caldo?”chiede poi, lasciandomi interdetta. Che vuole dire?
Si avvicina, mi afferra i fianchi, fa scivolare la mano dietro la mia nuca, e improvvisamente... mi bacia. Le sue labbra sono bollenti sulle mie, eppure lungo il mio corpo scorrono milioni di brividi di freddo. Lascia che la lingua scivoli nella mia bocca aprendomela, e mi stringe ancora un po’ di più a lui, come se non volesse farmi staccare. Ci metto un po’ a capire cosa sta accadendo: si appoggia a me, mi schiavizza contro il muro, ed io non ho la voglia necessaria per fermarlo. Il cuore è impazzito nel mio sterno, ma prima che possa fuoriuscire, lo caccio via da me, sbattendolo qualche metro lontano.
Ho il fiatone e gli occhi spalancati, ma non smetto un secondo di fissarlo.
“C-Conan-kun!”
Lui mi sorride. “Questo... era abbastanza caldo?”
Io non lo sapevo, ma quello fu il primo vero bacio tra me e Shinichi. Non lo sapevo, ma era quello che avevo sempre sognato di ricevere. E sì, era abbastanza caldo.
Escono anche gli altri due, costringendomi a tornare nel presente. Improvvisamente mi ritrovo ad esultare, e mi alzo dalla sedia di scatto, spontanea. Ho un’irrefrenabile voglia di abbracciarlo. Poi mi rendo conto che dovrei almeno chiedere il permesso d’entrare, dato che non sono a casa mia.
“Posso?” mi rivolgo alla ragazza, imbarazzata. Lei mi lancia un’occhiata strana, credo si stia domandando se mi manca qualche rotella.
“Aspetti solo un secondo.”
Poi la vedo tornare dentro quella stanza, e chiudersi completamente la porta dietro le spalle. La scruto con profondità: cosa starà facendo? Mi avvicino di qualche passo, frustata per non poter guardare, ma altrettanto infastidita dal poter scorgere le loro ombre. Poi guardo l’orologio, e mi accorgo che è ora di pranzo, e che quindi la ragazza dovrebbe stare per andarsene. E forse è entrata lì per salutarlo, per dirgli che sarebbe andata via. Magari lo sta baciando, gli sta dicendo che non vede l’ora di tornare per il suo turno pomeridiano.
Scuoto il capo, cercando di tener lontani questi pensieri. Sto girando un vero e proprio film. Shinichi mi ha detto che non è fidanzato ed io voglio crederci.
La ragazza esce fuori, si dirige alla scrivania, prende la sua borsa e la mette sulle spalle.
“Può entrare, prego.” Mi dice, avanzando verso la porta d’entrata. La vedo scomparire dietro la soglia, mentre i miei timori rimangono a farmi compagnia, insieme alla scia di profumo che ha lasciato. Mi aggiusto i capelli prima d’entrare, e mi metto a posto la camicetta rosa dai ricami in pizzo. Il pantaloncino di jeans lo sento stretto e scomodo, ma debbo impormi un certo autocontrollo. Lui mi sta aspettando. Magari sarà anche seccato di dover rimanere fino a quest’ora, si starà chiedendo quando potrà finalmente mangiare. Cammino verso la porta, ma le mani mi tremano nell’afferrare la maniglia. Sgrano un po’ gli occhi, mentre una scintilla di genio mi attraversa il cervello. Mangiare! Sì, gli dirò che non volevo mangiare sola, ed essendo senza Conan, sono venuta a trovarlo. Dovrebbe andare, sì. Però ho paura a rivederlo. Cosa farò? Gli salterò addosso? Lo bacerò? Lo abbraccerò? O dovrei – sì, dovrei – essere più fredda? Magari potrei solo salutarlo. Una stretta di mano. La sua mano...
Persa nei miei pensieri, nemmeno mi accorgo che la porta si apre, e che, irrimediabilmente, sbatte contro la mia faccia. Avverto un dolore tremendo espandersi sul labbro, che mi induce ad indietreggiare e a perdere l’equilibrio, mentre cerco di coprirmi il volto con una mano.
“Ran!”, Shinichi sembra avermi visto, e repentinamente mi afferra un polso per non farmi cadere. Mi attrae a lui ed io vado a sbattere contro il suo petto, a contatto con la sua camicia di lino bianco. È profumata e fresca, ma quando apro gli occhi e la metto a fuoco, noto che è sporca. Sporca di sangue.
“Ran? Stai bene?” mi domanda, mentre io mi guardo le dita. Il mio labbro sta sanguinando, l’impatto è stato tremendo. Deglutisco, avvertendo un po’ del sapore acido del sangue scivolarmi in bocca ed infastidirmi.
“Sì, sì” dico, frettolosa, eppure un po’ intontita. Poi alzo gli occhi su di lui, e mi perdo nel suo sorriso. Mi sta prendendo in giro, come al solito.
“Fa’ vedere... ti sei fatta male?” mi chiede, ridacchiando, scostando la mia mano dalle labbra e posandoci lo sguardo sopra. “Ma che ci facevi lì dietro? Ho pensato che fosse qualche cliente che non sapesse dove andare e stesse cercando di interpretare il difficile movimento dell’apertura di una porta...”
Avverto le sue mani sfiorarmi il viso per quantificare il danno, ma il suo volto è talmente vicino che quasi ignoro la sua provocazione.
“No, salutavo la tua segretaria...” gli dico, volutamente ironica. Lui alza lo sguardo su di me e assume un’espressione strana. “Non mi avevi detto d’averne una...”
“Be’, non credevo fosse importante” risponde lui, ed io subito mi ritiro in difensiva.
“Certo, non lo è. Era per curiosità.” Poi guardo la sua camicia e mi rabbuio. “Mi dispiace, ti ho sporcato.”
Lui abbassa lo sguardo e si mette a ridere nel notare il bel bianco della sua camicia macchiato da una viva chiazza di rosso sangue.
“Dovrò cambiarmi.”
“Se te la levi...” comincio, ma la mia lingua frena nel recepire il doppio senso della frase che stavo per pronunciare. Lui alza di nuovo lo sguardo, ridacchiando, ed io arrossisco.
“P-posso pulirtela” mi affretto a dire, mentre lui continua a ridere.
Annuisce, poi comincia a giocherellare vicino ai bottoni della camicia. Ne toglie uno, poi ancora un altro, ed io mi imbambolo a guardar venire fuori il suo petto allenato.
“Non ho ancora capito che ci fai qui” mi dice, mentre gran parte dei bottoni sono ormai tolti. E la sua pelle lucida e perfetta risplende alla luce dei raggi solari, rassomigliando a seta.
“Be’, vedi...” dico, cercando di impormi un certo autocontrollo. Sembro una ragazzina alle prime prese con l’altro sesso. “Conan è dai suoi nonni, ed io ho pensato di venirti a fare compagnia per pranzo.” Butto lì, provando ad essere più spontanea possibile.
Lui non risponde subito. Sfila i polsi dalla camicia e rimane a petto nudo davanti a me. Sono sempre più convinta che lui non sia pienamente cosciente dell’effetto che mi fa. Non posso guardarlo, così mi metto a girovagare per l’agenzia, alla ricerca di qualcosa da osservare sui muri.
“Va bene” risponde, sorridente. “Vuoi mangiare qui o andiamo fuori?”
Il mio volto vira automaticamente verso di lui. “Perché? Qui hai da mangiare?”
“Be’, sì” dice, poi mi fa un cenno con la mano, invitandomi a seguirlo. Entriamo nel suo studio privato. È una stanza rettangolare con due bei finestroni ai lati, che permettono alla luce di entrare in qualsiasi momento della giornata.
“Quando comprai questo locale, ebbi la premura di riservarmi uno spazio tutto mio.”
Mi dice di guardare in alto, dove intravedo un soppalco, a circa tre metri da terra.
“Perché?” chiedo.
“Perché spesso non ho il tempo di tornare a casa per mangiare, o peggio ancora per dormire.” Sale una piccola scalinata che pareva nascosta da un muro, ed io lo imito. Dopo una ventina di scalini, mi ritrovo a camminare su un pavimento largo circa due metri e lungo cinque, con di fronte un materasso adagiato a terra, coperto da un lenzuolo bianco, e alla mia sinistra un frigorifero e un piccolo armadietto. Lo vedo aprire il mini frigo ed estrarne da dentro una formina per ghiaccio. Poi pesca nell’armadio una pezza, dove ci rinchiude i cubetti d’acqua gelati. Me la porge, mentre getta la sua camicia sul letto.
“Tieni, mettila sul labbro.”
“Grazie” sorrido, e l’appoggio sulla bocca, avvertendo all’istante un leggero sollievo.
“Hai mica anche un po’ di detersivo lì dentro?” gli chiedo, indicandogli la camicia.
“Sì” dice, mettendosi a ridere.
Io strabuzzo gli occhi. “Davvero?”
“La signora delle pulizie lascia sempre il suo arsenale qui, una volta finito” mi informa, passandomi la bottiglietta da un cassetto che scivola fuori dall’armadio. Lui si china di nuovo nel frigo, dove ne scruta il contenuto. Dentro vi sono delle uova, degli affettati e un po’ di insalata. Nell’armadio accanto, Shinichi recupera un po’ di pane ed una busta di patatine.
“È tutto qui” dice, leggermente deluso.
“Non fa nulla. Va bene.”
Shinichi annuisce, ma non ho il tempo di dire altro che mi supera e scende di nuovo le scale. Velocemente giunge alla sua scrivania, dove recupera la bottiglia di vino che i suoi clienti gli hanno regalato.
“Abbiamo solo questo da bere” mi avvisa dal basso, mentre l’eco della sua voce risuona nella stanza. Io sorrido, e con la mano lo incinto a raggiungermi.
“Va bene così” gli urlo di rimando, mentre lo vedo risalire le scale.
“Ti porto a pranzo nel migliore ristorante di Tokyo se vuoi” mi dice, mentre stappa la bottiglia e ne versa il contenuto in due bicchieri. Uno me lo porge, invitandomi a berlo.
Non riesco a non ridere, mentre assaggio un po’ di vino. È buono. “Sbruffone.”
“Davvero.” Lui ridacchia, e mi imita. “Ti basta un panino e mortadella?”
Lascio scivolare giù ancora un po’ del liquido violaceo, poi lo guardo. “Mi basti tu.”
Silenzio. E solo dopo mi rendo conto di ciò che ho detto. Shinichi mi scruta con le labbra leggermente dischiuse e gli occhi fissi su di me, mentre le sue orecchie sono incapaci a credere cos’abbiano sentito. Ed anche le mie. Cosa mi è passato per la testa?
Il cuore mi batte forte nel petto e non riesco a trovare la forza per smentirmi, scusarmi, o anche solo cercare di riparare al guaio che ho combinato. Evito il suo sguardo, poso il bicchiere, e cammino verso il letto, mantenendo ancora il ghiaccio a contatto con la ferita. Recupero la camicia e ne spruzzo un po’ del liquido schiumoso sopra, giusto per distrarmi nel fare qualcosa.
“Alla fine sei andato all’azienda di Shirai?” chiedo, nel tentativo di distrarlo.
Ma non ottengo l’effetto desiderato: sento le sue braccia stringermi da dietro e le sue labbra strusciare sul mio collo.
“Sì, bel posticino. Perfetto per fare l’amore con te.”
Arrossisco all’istante, mentre inciampo coi piedi sul bordo del materasso. “Cretino! Non ho la minima intenzione di tradirlo dove lavora.” Gli rispondo, mentre tento di staccarmi dal suo petto nudo.
“E qui?” sussurra all’orecchio, ed un brivido mi percorre la zona interessata. Miliardi di tentativi di resistergli cadono miserabilmente al tocco della sua bocca, che scivola velocemente sino ad arrivare sulla mia calda guancia. Le sue mani si spostano sulle mie e mi inducono a far cadere la camicia sul letto.
“Shinichi...dai...” cerco di dire qualcosa, quando in realtà non saprei nemmeno da dove cominciare. Il mio amico d’infanzia lascia andare la pezza col ghiaccio, buttandola a terra, e poggia le mani sul lembo della mia maglia, alzandola con torturante lentezza. Mi spoglia, portando nuovamente le dita su di me. Mi stringe a lui, e vengo a contatto con la pelle del suo petto, nudo come il mio. Sbottona il reggiseno, lasciandolo scivolare sulle mie spalle, mi accarezza il seno e torna a baciarmi il collo. Mi appoggio a lui, alla ricerca del suo viso e delle sue labbra. Aiutandosi con la mano, Shinichi gira il mio volto verso il suo. Incontro la sua bocca e scordo all’istante ogni timore. La sfrego alla sua, fin quando non avverto la sua lingua leccare quelle gocce di sangue che ancora mi tormentano la bocca.
“Shinichi...” ansimo il suo nome, socchiudendo gli occhi.
Lascio che mi sdrai sul materasso, senza più alcuna voglia di fermarlo. Gli scompiglio i capelli con le mani e lo attraggo a me, completamente in balia del suo odore. Stringo i denti, mentre avverto un calore eccitante percorrermi il corpo. Sprofondo nei suoi occhi azzurri, senza più riuscire a capire cosa sia giusto o meno.

 
 
 
Sono qui, sono qui! Ebbene, siamo già a 5! O.O Vi posso confidare una cosa? In questi giorni mi era bazzicata l’idea di modificare la periodicità degli aggiornamenti ad una settimana... non volevo che la storia finisse così presto XD Considerato che ci spettano altri quattro capitoli, saremo insieme per altri venti giorni. Ditemi, se la passassi ad una settimana, sareste d’accordo?
*coro di insulti in arrivo*
Ehm... passiamo ad altro. Il capitolo vi è piaciuto, sì? :D Dite di sì, che sennò vi ammazzo XD No, scherzo! Ditemi che ne pensate...!
So... lo so che avreste voluto vedere Sonoko più attiva, ma lo sarà, non adesso... ma lo sarà xD Parlatemi dei flashback, dove abbiamo scoperto che Shinichi/Conan aveva ragazzine appresso anche nanizzato (ovviamente!)... e che il nostro magnifico Shirai, le corna, non se l’è procurate adesso... ma un anno fa! È vero che Ran è stata presa alla sprovvista, però... insomma... ci è stata XD
E poi, che dire della segretaria? Ran ha qualche problema di gelosia, impiega ore per aprire una porta, e si ritrova pure con il labbro rotto. Ma ovviamente... Shirai non si tradisce dove lavora, ma da altre parti sì! Hahaah! XD Mi sembra cosa buona e giusta, Ran u.u
Va be’, sti due ci stanno proprio prendendo il vizio. xD
Ma se il cornuto Shirai scoprisse qualcosa?

 

Spoiler #6 Il passato che ritorna
“Era lui il ragazzo per cui stavi male quando ti ho conosciuta?”
Socchiudo le palpebre. Colpita ed affondata.
“Non mi hai mai rivelato il nome del fantomatico uomo che ti ha spezzato il cuore.”
Inspiro l’aria necessaria per racimolare le parole nella mia gola: “Era lui, sì.”
Lui scoppia a ridere. “Lo sapevo... me lo sentivo... perché non me lo hai detto?”
“Non... non lo so. Non mi piaceva parlare di lui, a quel tempo.”

 
 
Ahi ahi... mi sa che Ran avrà qualche problemino da risolvere!
Ci vediamo il 16! Ed allora deciderò se cambiare periodicità. :)


Besos,
Tonia

 

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Capitolo 6
*** Il passato che ritorna ***


#6 Il passato che ritorna
 
 
Cammino in fretta verso casa dei miei genitori, e strofinandomi le braccia con le mani tento di diffondere in me un po’ di calore. Dopo che quelle di Shinichi mi hanno lasciato, è difficile riuscire a credere di potermi riscaldare senza di lui. Ci sono ricascata, e non ho fatto nulla per impedirlo: per la terza volta non sono riuscita a resistergli. Avrò mai la forza necessaria per risolvere questa situazione? Sarò mai capace di lasciarlo completamente, senza più ripensamenti o tentazioni, senza più dubbi? Sospiro. So già qual è la risposta. Salgo le scale dell’agenzia, velocizzando leggermente il passo. Mille immagini mi attraversano la mente, proiettandomi in un passato che, per assurdo, pare molto più roseo di questo presente. Mi fermo e lascio che scorrano davanti a me: rivedo i passi di me e Conan scivolare su per le scale, le sue braccia attrarmi a lui ed aiutarmi a salirle quella sera che ero troppo stanca per camminare ancora sui tacchi. Oppure quella mattina che ero così assonnata per andare all’università, che mi prese in braccio ed gli circondai il collo con le mani, assaporando il suo profumo. Più passavano gli anni, più Conan prendeva la fisionomia di Shinichi, e più io avevo bisogno di lui. Il nostro rapporto divenne sempre più profondo, più intimo, più diretto. Sapevo d’amarlo, di adorarlo, ma non credevo di vederlo come un uomo. Fin quando conobbi Shirai, e poi lo feci conoscere ai miei, ero convinta che Conan fosse il fratello che aveva allietato con la sua dolcezza le ferite che Shinichi mi aveva inferto. Ma quando Shirai cominciò a venire sempre più spesso a casa, il rapporto che avevo instaurato con il mio fratellino si disintegrò nel giro di poche settimane. Nonostante c’avessi parlato, ed avessi provato a chiedere cosa avesse, Conan non rispose più a nessuna domanda. La notte, quando tornava in camera mia a dormire, non mi rivolgeva parola, e se io provavo a chiedergli com’era andata la giornata, lui dissolveva ogni mia curiosità con un “ho sonno, parliamo domani”. Ma quella chiacchierata, il giorno dopo, non arrivava mai. Poi ci fu quel bacio. Quel bacio caldo e passionale che mi tormentò l’anima per il resto delle ore che passavo a casa, lontana da lui. Non riuscivo a togliermelo dalla testa, e sulle mia labbra erano sempre più marcati i segni che c’avevano lasciato le sue. Shirai non mi aveva mai baciata così, io non ero mai stata baciata così. Un bacio come quello, penetrante, sconvolgente, violento, forte e sicuro, era tutto ciò che avrei dovuto evitare in quel periodo. E le sue occhiate maliziose non facevano che peggiorare la situazione.
La forza che impiego nello sbattere a terra il mio allievo è un po’ troppa, ma me ne accorgo tardi: un sonoro applauso giunge sino alle mie orecchie, quando i miei occhi guizzano sul corpo gracile del ragazzino che sto allenando. Dolorante, si contorce su se stesso, mantenendosi il fianco con un mano.
“Unpei-kun!” mi accovaccio su di lui, preoccupata. “Scusami, non volevo farti del male. Tutto apposto?”
Gli poggio una mano sulla sua, quando lo vedo alzarsi poco a poco, ancora un po’ affaticato.
“Certo, che botta!” esclama.
Sorrido, aiutandolo a rimettersi all’in piedi. “Pensavo che saresti riuscito a schivarlo” gli dico, rallegrandomi del tono convincente che assume la mia scusa: in realtà sono io quella distratta, che ha altro da pensare ed è incapace a trattenere la propria forza.
“Mouri-san... sono solo cintura verde. Mi sopravvaluta.”
“Dieci minuti di pausa, ok?” annuncio a lui e agli altri ragazzini, sorridente. I miei allievi si muovono verso gli spalti, sedendosi a gruppo, e bevendo litri di acqua ed integratori. Mi giro verso il mio borsone, poco più in là, intravedendo Shirai, che mi saluta, ed una figura vicino a lui. Il tempo si ferma.
“Oddio!” mi lascio scappare, senza riuscire a trattenermi, col cuore che mi batte all’impazzata. Ma è solo qualche istante: la mente finalmente si decide a mettersi in moto, e mi capacita dell’ennesimo scherzo che mi ha teso la memoria. Non è Shinichi. È soltanto Conan senza occhiali, soltanto quello che mi ha baciato l’altra notte. Così passionale, così bello, così diretto. È soltanto quello identico a lui, quello che indossa la divisa del Teitan allo stesso modo, quello che assiste ai miei allenamenti.
“Che c’è? Hai visto un fantasma?” mi domanda il mio ragazzo, stranito per il mio improvviso sussulto.
“Più o meno...” gli rispondo, mentre mando un sorriso stentato al mio fratellino. Posso più continuare a chiamarlo così? Due fratelli non fanno quello che facemmo noi in cucina poche sere fa, ed inoltre, non provano questa strana sensazione di appartenersi uno all’altro, come noi due. Accanto a lui c’è Ayumi, la sua adorabile amichetta d’infanzia. Quella che ha una cotta per lui, ma che l’unico che sembra non essersene accorto, o fa finta di non saperlo, è proprio Conan.
Lui mi guarda ed io lo fisso con insistenza: dannazione, rimettiti quegli occhiali, ora.
“Avevi intenzione di uccidere quel ragazzino? Vacci piano, bellezza!” mi abbraccia dolcemente Shirai, poi avvicina le labbra al mio orecchio: “amore, la settimana prossima parto per l’Hokkaido. Starò circa due settimane... però purtroppo dovremo passare Natale lontani.”
Colgo al volo l’occasione per distogliere lo sguardo dal mini Shinichi. Lo distanzio, facendo l’offesa: “devi andare per forza?”
Lui annuisce. “Non dirmi nulla. È importante... potrebbe farmi salire di livello. Tu, piuttosto, non farmi stare in pensiero. Cerca di non uccidere nessuno durante la mia assenza.”
Alzo le spalle, sedendomi accanto ad Ayumi, mentre Conan mi fissa con un’espressione indecifrabile sul viso. Tremo, e quasi sento il cuore bloccarsi, quando dice: “non preoccuparti, Tendo. Ci penserò io a lei, durante la tua assenza.”
Gli sguardi corrono su di lui frenetici, intrappolati da quella nota di malizia che albergava la sua voce. Shirai alza un sopracciglio, Ayumi lo aggrotta, ed io non riesco a togliergli gli occhi di dosso.
“Be’, stai attento, che poi io sono geloso.” Replica il mio fidanzato, sorridente. Ma Conan non impiega molto a smorzare il suo entusiasmo, e pungente, reclama: “figurati... al massimo posso darle qualche bacetto ingenuo...” mi guarda malizioso, e poi sorride: “tutto, per consolare la mia sorellona.”
Arrossisco all’istante, interponendomi tra i due. Shirai non sa cosa pensare, mentre io non so dove guardare. È una situazione imbarazzante. Ayumi mi fissa truce, ma non osa chiedere all’amico se stesse scherzando o meno. Considerato che nessuno prende parola, mi giro verso Conan e lo prendo per la cravatta. Lo spingo ad alzarsi, ed una volta all’in piedi, lo trascino per qualche metro.
“Come è dolce il mio fratellino” ridacchio, rivolgendomi agli altri due. Ayumi ha gli occhi pieni di lacrime, ma Shirai è quello che meno di tutti sta capendo cosa stia accadendo. “Vi dispiace se gli dico una cosa in privato? Si tratta di mia mamma.”
E senza nemmeno attendere la loro risposta, fuggo via verso gli spogliatoi. Consapevole che non ci sia nessuno all’interno di quello femminile, apro la porta e la chiudo dietro di me, furibonda.
“Sei impazzito!?” gli urlo contro, mentre lui ride. Si appoggia ad un lettino, e pianta gli occhi azzurri nei miei.  “Preferirei che quello che è successo l’altra notte rimanesse tra noi due!”
“Il tuo ragazzo la prende male se baci il tuo fratellino?” mi sfotte, abbassando il capo. Fa qualche passo e si avvicina, mentre io indietreggio.
“Io non ho baciato te” mi affretto a dire. “È l’inverso.”
“Tu me l’hai lasciato fare, però.”
Comincio a stizzirmi, non voglio che s’accorga che mi è piaciuto. “Come, scusa? Non mi hai dato nemmeno il tempo di rendermi conto di quello che stavi facendo!”
“Non hai fatto nulla per liberarti” insiste, ed io sbuffo.
“Mi hai bloccata al muro!”
“Sei una karateka... credo che tu riesca a liberarti, se vuoi...”
Il suo atteggiamento mi fa storcere il labbro. È vero, avrei potuto interromperlo molto prima, ma qualcosa mi ha bloccato. Poco prima che mi baciasse ho rivisto gli occhi di Shinichi nei suoi ed ho perso qualsiasi facoltà mentale o motoria. Per un attimo, ho pensato di star baciando lui.
“...o no?”
Alzo lo sguardo, e mi rendo conto che persa nei miei pensieri non mi sono nemmeno accorta di quanto s’è avvicinato. Le sue labbra sono di nuovo vicinissime, il suo corpo è attaccato al mio. Il suo peso mi spinge di nuovo contro il muro, dove il mio polso destro è tenuto fermo dalla sua mano.
Ho il cuore che comincia ad accelerare, in sintonia col fiato, che prende a mancare.
“Conan-kun!”
Butto lo sguardo sulla porta, è ancora socchiusa.
Sento il mio cuore tamburellare all’impazzata, ma non ho la forza necessaria per fermarlo. C’è qualcosa che mi impedisce di dare una fine a questa stupidaggine, ma ignoro cosa sia...
“Ran...” sussurra il mio nome, troncandone il suffisso che di solito utilizzava. Solo il mio nome, come mi chiamava Shinichi. In quel modo particolare come solo lui ci riusciva, che ogni volta che il mio nome fuoriusciva dalle sue labbra, io rimanevo per ore a sentirne l’eco nel mio cervello. Quanto mi manca... quanto avrei voluto averlo al mio fianco, quanto vorrei sapere dov’è...
“...perché non capisci?”
Conan mi gira il capo e mi bacia. Lecca le mie labbra come fossero crema ed apre la mia bocca con la stessa tenacia di quella notte. Permette ai nostri denti di sbattere l’uno contro l’altro, di ubriacarci del sapore della salive di entrambi. Ed io non lo fermo, non voglio, non posso. Sono in balia delle sue sensazioni, del suo straordinario potere di portarmi indietro nel passato, di dare luce alle mie speranze, quando la porta dello spogliatoio si apre.
 “Ran-neesan, dov’è Con...” la voce di Ayumi si frantuma come sabbia che cade da un polso poco stretto. Sembra cadere a terra, sembra avere consistenza per poi distruggersi alla nostra vista. Gli occhi della ragazzina si riempiono di lacrime e di speranze morte, di illusioni spezzate. Le mie stesse illusioni, speranze e sogni. Deglutisce, indietreggia e fugge via.
“Ran?” chiede lui, ancora con quel tono adulto, ancora come Shinichi, mentre io non riesco a togliermi lo sguardo deluso della piccola nel vederci. Era come se fossi io, dieci anni prima.
“Sei un cretino!” gli urlo contro, mentre avanzo verso la porta e velocizzo il passo. Voglio raggiungerla, voglio trovarla, voglio parlarle.
Arrivo all’uscita della palestra in pochi secondi, e mentre tento di scorgerla, giro il capo a destra e a sinistra: la trovo lì, che sta andando via, con le mani a stringersi le braccia, e col passo veloce. Dimezzo la distanza che c’è tra noi, e capisco che sta piangendo. La fermo con un braccio, obbligandola a girarsi.
“Ayumi-chan, per favore, non fare così!”
Lei cerca di liberarsi; ma sia per la debolezza, sia per il pianto, sia per i singhiozzi che la obbligano a respirare con fatica, non riesce a farlo. “P-perché!? Perché proprio lui?! P-perché tra tanti?! N-non è giusto, t-tu sei già f-fidanzata!”
“Ayumi-chan...” la blocco alle spalle di un tronco d’albero, forzandola a guardarmi negli occhi.
“Lasciami! Lo sapevi! Lo sai cosa provo per lui!! Perché?!”
Respingo le lacrime all’interno, consapevole che debba essere prima io a dare forza a lei.
“Ehi... alla tua età ero innamorata pazza di un ragazzo, che poi è sparito nel nulla. Ayumi-chan, tu sei ancora in tempo, non ripetere il mio stesso errore, per favore. Se ciò che senti non è corrisposto non vivere nella speranza che non sia così. Vai avanti, perché sennò ti ritroverai come me. A cercare il suo fantasma nel riflesso degli occhi di qualcun altro.”
A cercare il suo fantasma nel riflesso degli occhi di qualcun altro. Da quel giorno, ho sempre sperato che Ayumi sia riuscita in ciò che io ho sempre fallito: dimenticarlo, cancellarlo, e cercare un’altra sfumatura di occhi.
Apro la porta dell’agenzia di mio padre, interrompendo finalmente il flusso dei miei ricordi. È martoriante entrarci e non saperne più come uscire.
“Papà? Mamma?” li chiamo, dirigendomi verso la cucina. Non aspetto neanche che rispondano, che li ritrovo lì, vicini al tinello, intenti a cambiare il pannolino a mio figlio. È mio padre a farlo, e sembra anche entusiasta. Non so come, ma diventare nonno l’ha migliorato. Litiga di meno con mia madre, e ciò non può farmi che piacere.
“Come si è comportato?” domando, avvicinandomi alla cosa più bella che abbia fatto in vita mia. Mi curvo verso di lui, ed accarezzandogli il viso, gli lascio un bacio sulla fronte. Lui schiamazza e fa alcuni versi strani. Credo sia felice di rivedermi.
“Benissimo” risponde mia madre. “Anche tu da piccola eri molto tranquilla. Non piangevi mai.”
Io abbozzo un sorriso, pensando che stessi risparmiando tutte le mie lacrime per Shinichi.
“Ha mangiato?”
“Sì” replica mio padre, sorridente e fiero. “Ha bevuto tutto il latte.”
“Bene” dico, soddisfatta.
“Tu dove sei stata?” mi domanda l’avvocato, con ingenua curiosità.
“Oh... sono andata a fare dei servizi. Dovevo comprare alcune cose per la casa” butto lì, quasi spontanea. Sto diventando brava anche a mentire.
“Se me l’avessi detto ti avrei accompagnato” continua mia madre.
“Non preoccuparti, non ce n’era bisogno” insisto.
Comincia a fissarmi, mettendomi in imbarazzo. Distolgo lo sguardo, incapace a sostenere il suo, così indagatore e curioso.
“Tutto bene?” chiede. So che sta sospettando di qualcosa.
“Certo” dico, con un tono lievemente ambiguo. Devo impormi d’essere convincente. Essere convincente.
Lei si zittisce, almeno per il momento sembra che sia riuscita a persuaderla.
“Tua madre mi ha detto che Shirai-kun aveva bisogno di un detective”, il silenzio è dissolto dalla voce di mio padre. “Potrei sapere perché... non ha chiamato me?”
Deglutisco, cercando d’utilizzare il massimo della sensibilità che possegga.
“Be’... credo che si senta leggermente in imbarazzo con te. Sai... sei mio... padre.” Azzardo, ma in realtà il suo ragionamento stranisce anche me.
“E allora?” fa lui, leggermente infastidito.
“Su, Kogoro!”, mio madre sembra salvarmi dalle sue grinfie, con la sua voce divertita. “Shinichi-kun è più bravo di te, bisogna ammetterlo.”
“E questo chi lo dice?” continua lui, con un sopracciglio inarcato.
“Non fare il suscettibile, dai” tenta di graziarlo mia madre, ed io vorrei solo dileguarmi. “Sono giovani, sono cose loro.”
Mio padre brontola qualcosa di incomprensibile, lasciando la cucina e prendendo in braccio Conan. Mia madre lo guarda uscire, poi porta gli occhi su di me. Temo che voglia iniziare qualche discorso sconveniente.
“Ran... va tutto bene, vero?”
“Sì, mamma.”
“Con Shirai-kun?”
“Sì, bene.”
Continua a fissarmi, poi abbassa gli occhi e fa qualche passo verso l’ufficio.
“Hai lo stesso sguardo di quello che avevo io quand’ero lontana da tuo padre, lo sai?”
Mando giù un po’ di saliva, mentre una gocciolina di sudore mi cavalca la fronte. “Che vuoi dire?”
“Hai lo sguardo di una donna che aspetta, che aspetta che succeda qualcosa che risolva la situazione. Ma non succederà mai nulla, se non sarai tu a fare in modo che accada.”
Non rispondo, la sento muovere dei passi verso il salone.
“Domenica è il compleanno di tuo padre, vorrei organizzargli una festa a sorpresa. Invita un po’ di gente...” Si volta di nuovo verso di me, con gli occhi penetra nei miei: “anche Shinichi-kun, se vuoi.”
Con un effimero luccichio negli occhi capisco che è riuscita a leggermi nella mente. Non ho più niente da dirle, e lei va via dalla cucina, lasciandomi da sola. Sola, in compagnia dei miei più fastidiosi ricordi. Sola, nella stessa cucina di quella notte del primo bacio.
 
 
Sono le sette passate e Shirai ancora non è tornato. Le voci dalla televisione accesa in salotto mi arrivano con un certo fastidio mentre allatto il mio piccolo Conan, aggrappato alla mia mammella con gli occhi chiusi. Quasi dorme. Mi strappa un sorriso ogni volta che lo fa. Lo cullo tra le mie braccia e lo riscaldo col mio petto. Lui apre leggermente le palpebre, mi guarda e schiamazza, divertito dalle mie smorfie. Capisco che è abbastanza sazio per non volerne più, e pulendolo un po’, lo tengo sulla mia spalla per farlo digerire. Gli batto dolcemente la mano dietro la schiena, mentre lo sento rilassarsi sul mio corpo e abbandonarsi al mio calore. Nel frattempo do un’occhiata alla televisione: stanno trasmettendo un programma pomeridiano che si occupa delle news del momento, ma principalmente tende a farsi gli affari dei personaggi famosi.
La voce stridula della conduttrice mi infastidisce, ma rimango ad ascoltarla.
“Dicono gli studiosi” annuncia lei, rivolgendosi ad altri due dello staff, con un irritante sorriso sulle labbra. “Che i mariti tendono a tradire le loro mogli dopo aver avuto un figlio, a causa dell’impossibilità di ritrovare un equilibrio sano con la propria compagna.”
Tradimenti.  Che meraviglia: l’argomento del secolo. Mi avvicino al telecomando, ma prima che possa afferrarlo ascolto un’ultima frase fastidiosa.
“Mentre le donne tradirebbero molto di più prima della nascita di un pargolo...” cambio programma, sbuffando. Gli studiosi dicono? Che importa a me di cosa dicano, non è una questione scientifica, e non c’è bisogno di una laurea: se ami non tradisci. Ed io purtroppo non amo Shirai, e lo so fin dal primo momento in cui scoprii d’esser incinta. Ricordo bene quel giorno: io e Shinichi, o meglio, io e Conan in quel periodo ci parlavamo davvero poco. Avevo scoperto la sua vera identità da un po’, e l’idea di averlo in casa mia, a gironzolare e a far finta d’essere mio fratello mi creava non pochi problemi. Da quanto capii però sarebbe dovuto durare ancora per poco: la sua amica, Ai Haibara, era riuscita nella formulazione dell’antidoto definitivo, quello che gli avrebbe ridato la sua vita. Non sapevo se esserne felice o triste: lo odiavo per avermi mentito, ma finalmente avrei potuto averlo tutto mio, come da sempre speravo e desideravo. Ero fidanzata con Shirai da un bel po’, ma quando Conan mi rivelò la verità, sapevo già in cuor mio cosa desiderassi davvero. Ma non glielo dissi. Ero orgogliosa ed arrabbiata, frastornata per tutto quel tempo passato. Passarono i giorni e più mi sentivo male: giramenti di testa e senso di nausea continuo albergavano nelle mie giornate, e quando mi resi conto del ritardo di cinque giorni, mi decisi a correre in farmacia. Non dissi nulla a nessuno. Comprai il test e lo feci, a casa. Era positivo.
Avverto la chiave girare nella toppa della serratura, annunciando la venuta di Shirai. La sua vista interrompe il fiume in piena dei miei ricordi, e per un attimo lo ringrazio mentalmente d’averlo fatto. Odio ripensare a quegli istanti. È lì che la mia vita è cambiata, che si è innescato un ingranaggio che ha deciso ogni scelta che mi sarebbe dovuta appartenere. Ero incinta quindi dovevo sposarmi. Quando lo dissi a Shirai lui apparve dapprima un po’ sconvolto, poi cominciò a balbettare. Organizzammo il matrimonio velocemente, non c’era scelta. Non ebbi il coraggio di dirgli che amavo un altro, qualcuno che era scomparso per dieci anni ma che era sempre restato con me, in realtà.
Avrei dovuto privare a mio figlio un padre, per uno sciocco e stupido amore adolescenziale? Non ce la feci.
“Oh?” mi richiama mio marito, spazientito. Credo di essere di nuovo naufragata nei miei pensieri, scordandomi completamente della sua presenza.
“Oh, bentornato.”
“Grazie” replica, leggermente brusco. Credo che sia arrabbiato con me, perché ultimamente non gli sto dedicando nessun’attenzione particolare. So che meriterei d’essere fucilata come moglie.
“Sei stralunata da un po’ di tempo”, ecco, appunto. Come temevo. “Cosa ti turba?”
Per un attimo il mondo si oscura. Quella domanda, quelle parole...
“Ran, non stai mangiando troppo poco, ultimamente?”
La voce di mia mamma Eri mi risuona nelle orecchie, costringendomi a lasciar andare via quelle labbra per qualche secondo, per far sì che me le ritrovi a pochi centimetri di distanza, sedute a tavola con me.
Non faccio che ripensare a quei due baci. Mi chiedo cosa stia accadendo, e mi domando come sia possibile che io non riesco a resistergli.
“Figurati, è una tua impressione”, cerco di essere gentile, ma non la guardo. Ho gli occhi fissi su di Conan, sulla bocca di Conan. Quasi mi incanto a guardarlo masticare.
“Sarà, ma a me sembra che tu stia dimagrendo.”
Abbasso il volto sulla mia porzione di riso al curry, addentandola con disgusto. Effettivamente, dopo quei bacio, non riesco a trovare la voglia di mandar giù cibo. Mi hanno sconvolta, disorientata. Baci da vero uomo, ed inoltre, io... mi sono sentita donna. Una vera donna, per la prima volta. Perché non mi accade quando bacio Shirai, quando faccio l’amore con Shirai?
“Forse qualcosa la turba...”
Alzo gli occhi su di lui con la giusta lentezza per notare il suo  ghigno malizioso stampato sul viso, che non fa altro che aumentare vertiginosamente la temperatura delle mie guance. Allargo le palpebre, impaurita. Non voglio che i miei sappiano ciò che è successo tra noi!
“Davvero, tesoro? Problemi con Shirai-kun?”
“Eh?” mi volto verso mia madre, e all’istante scuoto il capo. “No, non mi turba nulla.”
Il mio tono è un po’ troppo forte, e mentre parlo fisso Conan, che abbassa il capo, ridente.
“Va be’, io vado di là. Non ho più fame.”
Quello che credevo il mio ingenuo fratellino si alza dal tavolo e posa il tovagliolo accanto al suo piatto, mentre mia madre gli urla contro che anche lui mangia pochissimo. Rimango un altro po’ in salotto con i miei. Papà si alza e si mette davanti alla tv, alla ricerca di un programma di Yoko Okino. Aiuto mia mamma a sparecchiare, ma vicino al lavabo mi dice di andare a dormire, che mi vede troppo stanca. Provo ad obiettare, ma appurata la sua tenacia, sbuffo e mi arrendo. Intenta a mettermi comoda, mi chiudo in bagno e mi metto il pigiama. Entro in camera mia: è al buio, e neanche so se Conan è qui o se è giù vicino al computer. Mi rimbocco le coperte e mi copro, socchiudendo leggermente gli occhi. Dopo qualche minuto, avverto una presenza intrufolarsi nel mio letto, ed abbracciarmi da dietro. Sobbalzo, impaurita, quando un risolino mi arriva alle orecchie.
“Sono... un... fantasma...” lo sento ridere, con voce frivola e camuffata, mentre cerca di impaurirmi e scuotermi le braccia.
“Conan...-kun!” urlo, col cuore in tachicardia. “Mi è preso un infarto! Sei impazzito?”
Sento il suono della sua risata senza la possibilità di ammirarla. Nell’oscurità dell’ambiente, riesco ad intravedere soltanto un leggero luccichio azzurro. È quello dei suoi occhi.
“Buuuuh” fa il verso del fantasma, ma al mio pugno sul suo petto, la smette e scoppia di nuovo a ridere.
“Sei un idiota.” Gli dico.
“Non ero un cretino?” chiede ironico, ricordando ciò che gli urlai contro nello spogliatoio, qualche giorno fa.
“Soprattutto.” Sembra che lui aspetti che continui la frase. Perciò aggiungo: “Ayumi-chan ci ha visti.”
“Mmmh” rilascia un mugugno, poi vedo i suoi denti aprirsi un varco nell’oscurità, brillando alla fioca luce della luna. “E allora?”
“E allora?” mi avvicino a lui, minacciosa, ma me ne pentendo un istante dopo. Siamo nella stessa stanza, nello stesso letto, sotto le stesse coperte. “Ci è rimasta malissimo, poverina!”
Lui sbuffa, poi allunga una mano verso il mio fianco. Comincia ad accarezzarlo, ed io rabbrividisco.
“Non posso farci nulla.” Si avvicina, mi lascia un bacio sul lobo dell’orecchio, e scende lungo la guancia.

“No, Con...” sto per dire, ma la sua voce mi blocca. Sento il suo fiato sul lobo, sembra quasi rendersi conto che amo quel tipo di baci.
“Vuoi fare l’amore con me, Ran?” Mi giro verso di lui, ma a parte la luce nei suoi occhi, non riesco a vedere nulla.  Il cuore mi tamburella nel petto, impazzito e irrefrenabile. Ha usato di nuovo solo il mio nome. Proprio come Shinichi. Come se me lo stesse chiedendo lui.
“Eh?” rispondo con un filo di voce.
“Con me, Ran...” ripete dolcemente, ho quasi voglia di piangere. Sento in lui Shinichi, vedo in lui Shinichi, riesco quasi a toccarlo e convincermi che non sia mai andato via. Conan mi gira la testa, e lascia che le nostre labbra si uniscano di nuovo, proprio come qualche giorno fa.
Mi prende il capo tra le mani, mentre avverto la sua lingua scivolare sulla mia, leccando la saliva nella mia bocca. La mia temperatura aumenta vertiginosamente, senza più voglia nemmeno di fermarlo: è così simile a Shinichi, così lui. Per la prima volta, potrei averlo tutto mio.
Socchiudo gli occhi, mentre gusto il sapore dei suoi denti farsi spazio nella mia bocca. Sento le sue mani ricadere sul mio corpo, e scivolare sui miei fianchi. Ci lasciamo cadere sul materasso, dove Conan mi alza la camicetta: percorre le mie gambe, sfiora i glutei e risale sino alla vita. Si aggrappa e si struscia a me, mi stringe a lui, aumenta il ritmo dei suoi baci.
«Ti sto chiedendo di fargli mangiare il tuo cioccolato. È come se lo mangiassi un po’... anche io.»
Arrossisco violentemente, ma la sua frase ha il potere di farmi smettere di piangere. Riesco quasi a sorridere. 
«Perché?»
«Perché lui mi somiglia.»
Lui stesso lo disse quel giorno di tanti anni fa: gli somiglia, e tanto. Lascio scivolare le mani sulla maglia del suo pigiama. Porto le dita sotto, e rabbrividendo, gli sfioro la pancia allenata e piatta. Ha un fisico meraviglioso: rimango incantata nel scrutarlo, ma sebbene sia accaldata, avverto le lacrime gonfiare le mie palpebre. Sta per alzarsi e togliermi la camicia, quando io lo blocco. E il sangue finalmente mi confluisce al cervello, permettendomi di ragionare.
Mi alzo, accendo la luce e mi allontano. Oddio...
“Tutto... questo... non... ha... motivo d’essere!” balbetto, incredula. Lui mi guarda, non sbatte nemmeno le palpebre. Comincio a piangere, ininterrottamente: il ricordo di quel detective mi tartassa ancora adesso. Ma non voglio pensarlo o cercarlo ancora, non prima di sentire il soffio della voce del ragazzino che è sdraiato sul mio letto:
Dev’esserci per forza un motivo?”
Lui me lo chiede, ed io non riesco a fare a meno di pensare che il destino sembra prendersi gioco di me. Quella frase, la sua frase, quella che mi ha fatto innamorare... riascoltata a distanza di dieci anni, quando tutto è cambiato, con la stessa voce, con lo stesso tono, con gli stessi occhi azzurri. Ma non ho più forze per affrontare altro, non ho più voglia di sentirlo invadere la mia vita così. Attraverso qualcun altro.
“Perché?” mormoro, poi alzo il tono e lo ripeto: “perché?”
Conan mi guarda, imperterrito, ma non risponde. Aspetta che sia io a dirlo:
PERCHÉ SEI UGUALE A LUI?!”
Ho le lacrime agli occhi, ma non posso più mostrargliele. Apro la porta e la sbatto dietro di me, fuggendo via.
Ritorno al presente, e dopo essermi quasi dimenticata la domanda, rispondo col primo nome che mi viene in mente. “A Conan” butto subito lì, in difensiva.
“Già” replica, secco.
Shirai non mi bacia neppure e posa le chiavi sul solito scatolone. Conan dorme a pancia all’ingiù sul mio divano, nella totale spensieratezza delle sue giornate, e lui nemmeno lo calcola.
“È comparso un altro biglietto.”
Strabuzzo un po’ gli occhi. “Ah, davvero?”
“Eccolo” me lo lancia, ed io lascio che ricada sul salotto, non riuscendo a prenderlo a volo.
Lo leggo velocemente.
- Incrocio le dita per scaramanzia quando vedo i cartelli per i sordi. Non ne esistono? Eppure, io, in Italia, li ho visti 16 volte. Però una volta sola mi basta per quelli inglesi. Il peggio è con quelli grechi: 13 volte, prima che io possa capire. Per fortuna che in Giappone non sembrano esserci. -
“Noto che... il nostro Mr X si diverte molto con gli indovinelli.”
“Ci capisci qualcosa?” mi chiede lui.
Scuoto il capo. “No... vuoto totale. Però... sono sicura che Shinichi ci riuscirà. Dobbiamo avvisarlo di questo nuovo indizio.”
Shirai mi guarda per alcuni interminabili secondi, poi sorride: “Certo, avevo già in programma di chiamarlo.”
Deglutisco. Per un attimo ho avuto il timore che possa aver cominciato a sospettare della mia ambigua tendenza a fidarmi del detective.
“Ci sei molto legata, vero?”
Appunto. La sua domanda suona ancora più acuta nel sostanziale silenzio dell’ambiente. Mi volto a guardarlo, e spero con tutte le mie forze che il mio corpo non mi tradisca in un momento simile.
“È... un mio caro amico.”
“Non mi hai mai parlato di lui” continua, non sembra demordere. Diciamo che non ho proprio voglia di cominciare una discussione del genere. “Come mai?”
“Non c’era molto da dire...” sono a disagio. Molto a disagio. Non so fino a che punto io riesca a mentire.
“Be’, se ci sei così affezionata ci sarà un motivo.”
Deglutisco. “Ci conosciamo fin dall’infanzia... abbiamo frequentato tutte le scuole insieme. Credo sia normale.”
Sembra esserci un attimo di pace, ma il mio idillio dura ben poco. Mio marito sgancia una bomba, ed è anche mortale: “Era lui il ragazzo per cui stavi male quando ti ho conosciuta?”
Socchiudo le palpebre. Colpita ed affondata.
“Non mi hai mai rivelato il nome del fantomatico uomo che ti ha spezzato il cuore.”
Inspiro l’aria necessaria per racimolare le parole nella mia gola: “Era lui, sì.”
Lui scoppia a ridere. “Lo sapevo... me lo sentivo... perché non me lo hai detto?”
“Non... non lo so. Non mi piaceva parlare di lui, a quel tempo.”
“Quindi l’amavi?” chiede. Prego il cielo che un fulmine colpisca casa mia ed interrompa questa assurda e stupida conversazione.
“Sì, Shirai, ma ero piccola e ingenua. Sono cresciuta con lui e credevo che tra noi potesse esserci qualcosa in più. Non è successo.”
Il mio vano tentativo di concluderla è andato in fumo, perché mio marito questa sera sembra avere molta voglia di parlare: “E lui? Anche lui ti amava?”
“Non... non lo so.”
“È per questo che soffrivi per lui?”
“Lui era... lontano.” Mi guardo le dita e le attorciglio uno nell’altro, cercando di distrarmi in qualcosa. Provo anche a farmi male: il dolore può mascherare la più forte delle emozioni. “Ma è una storia vecchia ormai, Shirai.”
“Sì, ma è comunque stato il tuo primo amore. Mi sarebbe piaciuto saperlo. A quanto pare ignoro gran parte della tua vita.”
“Non è vero. E poi lui non c’entra con noi.”
Mio marito inarca un sopracciglio, poi fa un sorriso sadico. “Ah, no?”
Alzo gli occhi a lui e sento il cuore. Vorrei dirgli la verità, ma non è questo il momento. Non so che parole usare, cosa dirgli. Non so nemmeno io cosa voglio farmene della mia vita. “N-no.”
“Tutto quello che ha a che fare con te, ha a che fare anche con me. È stato il tuo primo amore... non credi che io avrei dovuto saperlo?”
Annuisco leggermente. So che ha ragione.
“Sarai sincera con me, da adesso in poi?”
Lo guardo, e a stento riesco ad annuire.
“Mi dispiace averti mentito. E scusa se... se ti sto trascurando” dico, dopo qualche minuto, in preda ad una crisi di pianto che però non trova la forza per uscire. So per certo d’essere in torto marcio, che lui non meriterebbe tutto questo, eppure non trovo la forza di dare una svolta alla situazione. Io ho bisogno di Shinichi, ed è un bisogno fisico e mentale. Ho bisogno del suo sorriso e del suo profumo per addolcirmi le giornate, e delle sue mani per renderle più sicure. Riuscirò mai a trovare in Shirai tutto questo? Forse sono io ad esagerare. Forse sto davvero tentando di cedere ad una tentazione che ho arginato per troppo tempo, forse è solo un capriccio. Ma allo stesso tempo credo che forse potrei davvero chiedere il divorzio, forse un giorno Conan capirà quando gli spiegherò perché i suoi genitori non vivono insieme. Ma è la scelta giusta? Io so cosa significa vivere coi genitori separati e non potrei mai far sì che patisca le stesse pene anche mio figlio.
“Ah, te ne sei accorta?” sorride, ma non è per nulla divertito.
“Sì... mi... mi dispiace.”
“Non dirmi che sei entrata nella depressione post-parto” mi guarda, tentando di sorridere.
Io scuoto il capo. “Sono solo un po’ stanca.”
“Lascia che ti rilassi, allora...” sussurra. “
Lui si avvicina, sedendomi accanto. Mi sfiora la guancia con le labbra, socchiudendo gli occhi a quel contatto. Io rabbrividisco. Mi sembra tutto così finto, costretto. Non voglio, o almeno sento che il mio corpo non chiede lui. Chiudo anche io le palpebre, tentando di assaporarmi il momento. Shirai mi attrae a lui con le mani dietro la schiena, e il mio volto va a sbattere sul suo. Adesso le sue labbra mi prendono la lingua, e con i denti vanno a stuzzicarla. Sono restia a cedere, non è il tocco di Shinichi questo. Lo sento, lo avverto, è diverso dal suo. Non è lui ed io vorrei tanto che non fosse così. Ma non posso fermarmi, non posso sottrarmi per sempre ai miei doveri coniugali. Così cerco di fingere. Lascio che mi baci e lascio che mi tocchi. Debbo lottare contro una forza sconosciuta crescente in me che tende a contrastare la sua voglia di farmi sua per continuare, ma non demordo. Lascio che mi prenda in braccio e che mi trascini sul letto. Lì mi libera del mio vestito, lo getta in alto, verso la spalliera del letto. Sono nuda di fronte a lui ed ho paura. Ma non glielo dico, non lo fermo. Shirai sembra non accorgersi di nulla, e quando è dentro di me, stringo i denti dal dolore. Non so quanto duri quest’incubo: non sento nulla, né piacere né voglia di provarci. Giro il capo e guardo la finestra, stringendo sotto i miei pugni la stoffa delle lenzuola. E mentre lui raggiunge il massimo piacere, lascio che una lacrima scorra sul mio viso.

 







Rieccomi! Bene xD Diciamo che ero tentata di aggiornare direttamente domani, però poi ho trovato il tempo e il modo di farlo adesso e...insomma...l'ho fatto xD Abbiamo un capitolo dedicato al passato, a quello che è stato, a quello che (apparentemente) sembra non esserci più: scopriamo dunque perché Ayumi si è comportata in quel modo freddo nello scorso chap (primo flashback) e che le corna di Shirai erano davvero, ma davvero, ben radicate prima ancora che questi si sposassero. Piaciuta la famosa frase, rivisitata in questa chiave? xD Ran comincia a capire qualcosina....
C'è da aggiungere che Eri ha capito tutto XD (le mamme sanno sempre tutto u.u) e che Shirai chiede informazioni/spiegazioni su Shinichi. Eppure... non sembra sospettare di nulla. Anzi, si riprende anche tutti i diritti che ha su Ran... e la povera decide di accontentarlo, sebbene che più che un rapporto era una violenza. Spero di non aver reso le cose troppo crude, cioè... si deve capire lo stato d'animo di Ran e la sua riluttanza, ma senza esagerare xD 
Debbo avvisarvi che ho deciso di cambiare la periodicità ad una settimana, quindi per questi ultimi tre chap ci rivedremo 23, 30 settembre e 7 ottobre. 
Vi lascio allo spoiler, e... alla prossima. <3


Spoiler #7 Il momento più bello
“Si può sapere che ti prende?” le domando, e il mio tono è tutt’altro che gentile.
“No, dimmelo tu che ti prende.” Sbotta lei. “Devo forse ricordarti la tua vita?”
“Ma di che stai parlando?” alzo un po’ la voce, ma me ne pento all’istante: non voglio che Shinichi senta questa conversazione.
“Ran, ti svegli? Il tizio che è nella stanza accanto è la causa di tutti i tuoi pianti! Dieci anni fa è scomparso senza una ragione precisa, e tu lo accogli così? Come se nulla fosse!?”
“Non è scomparso...” mormoro, ma lei mi blocca: “Ah, giusto. Ti telefonava una volta ogni cinque sei mesi, quando gli andava. Ti rendi conto che io ho visto la mia migliore amica piangere per quel tipo ogni giorno?! Poi torna, e tu che fai?”
“Senti, Sonoko...” provo a parlare, ma lei copre di nuovo la mia voce: “E ti rendi conto che sei riuscita a riprenderti un po’ solo grazie a tuo marito? Come puoi perdonarlo, Ran?”



Al 23 settembre! Buon inizio scuola a tutti!
Tonia

 

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Capitolo 7
*** Il momento più bello ***


#7 Il momento più bello
 
 
Apro gli occhi scontrandomi col soffitto beige di casa mia che la luce solare mette in chiaro attraverso le tende delle finestre. Sbatto più volte le palpebre per abituarmi, poi mi alzo e mi metto a sedere. Le coperte mi coprono metà corpo, dato che l’altro lato è quasi fuori dal materasso. Lancio lo sguardo alla mia destra: Shirai non c’è, è già andato a lavoro. Sospiro, ripensando alla nostra conversazione, ripensando al rapporto di ieri sera. Si sarà accorto che non ero a mio agio? Che non volevo, che era tutto -troppo- forzato? Comunque sia, non posso di certo dargli nessuna colpa. Sono io quella stramba, quella cattiva. Sono io quella che tradisce e che è ancora innamorata di Shinichi. Sono io quella che sbaglia, non lui. Dopo un paio di minuti mi alzo e raggiungo la culla di Conan. Dorme ancora, con le manine chiuse in pugni. Gli lascio una carezza ed un bacio, poi fuggo in bagno. Dopo circa dieci minuti riesco a svegliare anche il mio cervello, e sebbene ancora un po’ intontita, mi lascio andare alla caffeina mattutina. Rimango per un po’ di tempo a fissare la mia casa, ancora in disordine. Oggi rivedrò Shinichi. Shirai l’ha chiamato ieri per avvisarlo dell’ultimo biglietto e per invitarlo da noi in pomeriggio. Chissà se verrà prima.
Sembra quasi che qualcuno mi stia ascoltando oltre le mura. Il campanello suona ed io sobbalzo, macchiandomi anche un po’ di caffè. Guardo la porta in lontananza: potrebbe essere lui. Un sorriso mi si apre spontaneo sul volto al pensiero di rivederlo, ma quando corro all’entrata, debbo scontrarmi con la dura realtà. È solo Sonoko.
“Ehilà, migliore amica.” Dice, ed io la saluto con un bacio e la lascio entrare, mentre lei smuove i muscoli facciali in un profondo sbadiglio. “Che ne dici di venire a fare shopping con me?”
“Shopping?” chiedo, ritornando verso il salone. Lei mi imita e si siede sul divano, accavallando le gambe. Posa la borsa di pelle sui cuscini, poi torna ad osservarmi:
“Sì, sai quelle uscite che ogni tanto si fanno tra amiche alla ricerca di abiti scontati sparlando del più o del meno?”
Sorrido, affiancandola. “Tu non hai bisogno di abiti scontati.”
Mi guarda da capo a piedi, notando la mia vestaglia sporca di caffè. “Però tu sì.”
Scoppio a ridere, dandole uno spintone. “Sto bene così, grazie.”
“Dai! Mi manca uscire un po’ con te. Sono mesi che non succede.” Effettivamente è da quando sono rimasta incinta che la mia vita ha subito una scossa d’elettricità che l’ha sconvolta e cambiata. È da un bel po’ che non mi dedico agli altri seriamente. Fortuna che Sonoko mi conosce e mi vuole bene, e che non ha mai polemizzato sul mio assenteismo mentale.
“Non so. C’è Conan.”
“Lascialo ai tuoi. Ha dei nonni, che servano a qualcosa!”
“La fai facile tu.”
“Sennò lo porti con noi. Che male fa? Prima o poi dovrà imparare a fare shopping!”
“Ma se non ha nemmeno due mesi!” scoppio a ridere, e noto che lo fa anche lei.
“Meglio educarli bene fin da piccoli.”
Non ho nemmeno il tempo di replicare che sento, di nuovo, il suono del campanello. Il cuore mi prende a battere più forte del solito, mentre avverto un brivido scorrermi lungo la schiena.
“Chi è che rompe alle nove del mattino?” dice Sonoko, alzandosi dal salotto. Mi guarda ancora seduta e mi da le spalle. “Vado io.”
La saliva nella mia bocca si riduce notevolmente. È come se sentissi che dietro quella porta c’è lui, come se percepissi la sua presenza. Non so se sia possibile o se siano ancora le mie fobie. Seguo lentamente la mia amica verso l’entrata, consapevole che, nel vederlo, Sonoko girerà un film degno di dieci premi oscar. Consapevole che mi tormenterà per sapere se c’è qualcosa tra noi, ed altrettanto certa che ci manderà mille occhiate maliziose e ci renderà protagonisti delle sue battutine. Ma il bello è che non mi importa nulla. Perché questo è quello che accadeva dieci anni fa, e perché per una volta, voglio vivere come se non fossero mai passati.
La vedo aprire la porta, mentre io mi sorreggo al pilastro all’inizio del corridoio.
E come sospettavo, è lui. Mi lascio andare ad un sorriso. È venuto per me, prima. È venuto per stare con me, e non solo per il caso. I miei peli rabbrividiscono mentre io cado in uno stato di shock. Ho giusto l’accortezza di notare le reazioni di entrambi nel vedersi.
Sonoko ha bocca e occhi spalancati, Shinichi non reagisce, sorride soltanto.
“Shinichi Kudo in persona. Quale onore.”
“Sonoko Suzuki in persona. Nessun onore.”
La mia amica sorride enigmatica, forse non sa nemmeno che io sono a spiarli dietro il pilastro.
“Noto che dieci anni non hanno migliorato la tua simpatia.”
Vedo il mio amico d’infanzia ghignare. Shinichi non vede Sonoko da un anno, non da dieci. Ma lei non lo sa.
“Noto che lo stesso vale anche per te” dice lui. Poi si avvicina col viso al suo. “A proposito, ma cosa sono queste?.. Rughe?”
Questo non doveva dirlo, ma io sto ridendo come una pazza dietro il pilastro.
“Non ho nessuna ruga, razza di imbecille.”
“Ah, scusa, è solo la vecchiaia. Piuttosto, ti levi e mi fai entrare?”
Sonoko stringe forte la maniglia nelle sue mani, mentre lui si fa spazio nel corridoio. La mia amica ha il viso tirato ed infastidito, ma so per certo che, in fondo, si sta divertendo.
“Preferirei di no.”
Ma lui è già entrato, ed insieme si stanno avviando verso di me. È il momento di correre al salotto e far finta di non essermi mai mossa. Nel momento esatto in cui mi siedo, sopraggiunge Sonoko.
Si avvicina a me velocemente, mentre Shinichi sbuca dopo qualche secondo.
“Senti un po’ tu, non mi avevi detto che Mr Sotuttoio dovesse venire qui stamattina! È per questo che non volevi uscire?”
Normalmente mi avrebbe imbarazzato una domanda del genere, il problema è che non riesco a smettere di ridere. “Non lo sapevo, scema.”
“Quindi le hai fatto una sorpresa?” chiede a lui, con voce melensa. “Che dolce.”
“Ho bisogno di avvisare per venirti a trovare?”, Shinichi si rivolge a me, e i suoi occhi catturano i miei senza aver voglia di lasciarli andare. Per qualche istante mi scordo della presenza di Sonoko.
Lei tossicchia, ed io rispondo, avvampando: “Certo che no.”
“Mi sono persa qualcosa?” domanda ad entrambi, guardandoci allusiva, ma Shinichi spezza di nuovo la sua ironia: “Sì, il cervello in corridoio. Ti capita spesso, vero?”
“Ah ah ah. Sto morendo dalle risate.” Si irrita lei, ma io sto ridendo sul serio. Li guardo e mi rendo conto che tutto questo mi è mancato tantissimo. Perché nemmeno quando c’era Conan vi era quest’atmosfera: Sonoko che ci prende in giro, noi che cerchiamo di negare. È bellissimo e mi riempie di gioia. Ho le lacrime agli occhi talmente che sono felice. Tiro su col naso, e il rumore fa voltare Shinichi, che sembra preoccuparsi.
“Tutto bene?”
Anche Sonoko me lo domanda, ma evidentemente non riusciranno mai a capire quanto mi siano mancati insieme. Quanto loro mi siano mancati. Quanto tutto ciò mi sia mancato. Mi alzo e li attraggo a me, entrambi. Li abbraccio, stritolandoli. So che non se l’aspettavano, perché rimangono per parecchi secondi zitti. E mentre loro tentano di capire cosa mi stia accadendo, io comincio a lacrimare... a lacrimare sul serio.
“Ran?” mi chiama lui, mentre Sonoko sbiascica uno strano: “Ti senti bene, vero?”
Rido, poi mi allontano di qualche centimetro. La giusta distanza che ci permette di guardarci negli occhi. Ritiro le mie lacrime all’interno.
“Vi voglio bene” sussurro. Poi, notando i loro sguardi esterrefatti, sorrido: “Sono solo felice che siate qui, adesso, entrambi. Tutto qui.”
Li lascio andare, rilasciando un profondo sospiro di serenità. Mi sento come una ragazzina.
“Anche io ti voglio bene amica mia, ma i segni dell’età cominciano a farsi sentire. Vero?” mi prende in giro Sonoko mentre Shinichi si siede sul salotto, ridacchiando.
“Uffa” mi lamento, fingendomi delusa. “Volevo soltanto dimostrarvi un po’ d’affetto. Come siete cattivi.”
“Ho l’impressione che questo tsunami di dolcezza sia dovuto al ritorno del qui presente detective. E sarò sincera, come lo sono sempre stata con te... non mi fa piacere.”
Le sue parole sono dure come sassi. In un primo istante ho pensato stesse scherzando, come sempre, ma nel girarmi a guardarla, ho capito che era seria. Sonoko ha mutato espressione, Shinichi anche ne è rimasto colpito. Ma perché l’ha detto? Perché ha rovinato un momento così bello?
“Che vuoi dire?” le chiedo, incredula. Ero al settimo cielo cinque minuti fa.
“Possiamo parlare... in privato?” mi domanda, ed è estremamente seria. Guardo Shinichi e sembra impassibile, ma so che dietro quella corazza di indifferenza e freddezza nasconde fastidio. Lo vedo alzarsi ed avviarsi verso la mia stanza. Per un attimo ho temuto che stesse andando via.
“Vado dal bambino.” Dice, e sparisce dietro la porta della mia camera matrimoniale, chiudendola.
Guardo Sonoko. Sono inferocita. Ero felice, come ha potuto rovinare una sensazione così bella? Erano anni che non la provavo.
“Si può sapere che ti prende?” le domando, e il mio tono è tutt’altro che gentile.
“No, dimmelo tu che ti prende.” Sbotta lei. “Devo forse ricordarti la tua vita?”
“Ma di che stai parlando?” alzo un po’ la voce, ma me ne pento all’istante: non voglio che Shinichi senta questa conversazione.
“Ran, ti svegli? Il tizio che è nella stanza accanto è la causa di tutti i tuoi pianti! Dieci anni fa è scomparso senza una ragione precisa, e tu lo accogli così? Come se nulla fosse!?”
“Non è scomparso...” mormoro, ma lei mi blocca: “Ah, giusto. Ti telefonava una volta ogni cinque sei mesi, quando gli andava. Ti rendi conto che io ho visto la mia migliore amica piangere per quel tipo ogni giorno?! Poi torna, e tu che fai?”
“Senti, Sonoko...” provo a parlare, ma lei copre di nuovo la mia voce: “E ti rendi conto che sei riuscita a riprenderti un po’ solo grazie a tuo marito? Come puoi perdonarlo, Ran?”
“Mi lasci parlare?”
Finalmente si zittisce, ed io rilascio un sospiro.
“Shinichi non è affatto quello che credi. Ci sono cose che tu non sai, e che io ho scoperto molto tardi, che mi hanno fatto capire chi è davvero. E se ti dico che è la persona più bella che conosca, mi devi credere.” L’ho quasi mormorata l’ultima frase. È che non voglio che ci si faccia un’idea sbagliata di lui. Mi è sempre stato accanto, ed anche se nessuno può saperlo, io so quello che è successo.
Sonoko, però, è ancora scioccata. Ha gli occhi divaricati, e sembra pensare che io sia pazza.
“Non credo alle mie orecchie. La persona più bella che conosci?” Ripete le mie parole con la voce spezzata dalla sorpresa.
“Sì, Sonoko.”
“E quelli che ti sono sempre stati accanto? Quelli che non ti hanno lasciato nemmeno una volta?”
“Anche lui... mi è stato sempre accanto.”
“Cosa?”
Inspiro, socchiudendo gli occhi. “Non posso dirti altro, però credimi. Davvero.”
“Ran, che razza di lavaggio del cervello ti ha fatto? Perché non puoi dirmelo? Lui ti ha lasciato da sola per dieci anni! Cosa ti ha detto per abbindolarti? Sentiamo!”
“Non ha mai fatto nulla per abbindolarmi. Mi ha soltanto detto la verità.”
Sonoko si ferma ad osservarmi negli occhi. Io glielo permetto senza indugi. Passano molti secondi, il tempo sembra quasi fermarsi. Poi lei riprende parola, senza staccare i nostri sguardi.
“Ci sei andata a letto, Ran?”
Deglutisco, distogliendo il contatto visivo. Ma la mia reazione scatena in lei la consapevolezza che sia andata proprio così. Perché ripete la domanda poi, ma il tono è molto più incredulo.
“Ma che vai a pensare...” cerco di negare, ma sono tutt’altro che convincente.
“Ran... ci sei andata a letto!? Cavolo! Sei sposata, hai un figlio!”
Il suo giudizio mi uccide. Perché si sta comportando così? Lei non sa nulla di me e Shinichi, di tutto quello che c’è stato quand’era Conan, di tutti i problemi affrontati insieme. Sento nuovamente le lacrime abbondarmi sulle palpebre, ma stavolta non sono di gioia.
“Lo so, ma tu non puoi capire!” sbotto, asciugandomi le lacrime col polso. Spero solo che lui non stia ascoltando tutto questo.
“Ma perché non me l’hai detto? Io avrei potuto darti un consiglio, un aiuto! Non mi va che continui a sbavargli dietro facendoti prendere per i fondelli!”
Io continuo a piangere e lei continua a non percepire il senso del discorso. È così difficile decifrare quello che provo?
“Non è così... davvero...”
“E allora cos’è?” mi chiede, esasperata.
Do uno sguardo alla porta, è ancora chiusa. Abbasso la voce: “Sono innamorata di lui, Sonoko.”
Lei strabuzza gli occhi ed io continuo: “Non ho mai smesso, e credimi se ti dico che lui non avrebbe mai voluto farmi del male. Credimi se hai un po’ di fiducia in me. Ti prego.”
Sonoko si zittisce. Credo di non averla mai vista come adesso. È sconvolta e disorientata, ma noto che sta facendo di tutto per comportarsi da vera amica. Noto nei suoi occhi una paura mai vista prima, come se temesse che il fuoco con cui sto giocando possa bruciarmi ed uccidermi.
La porta della camera da letto si apre. Shinichi si appoggia allo stipite e ci guarda entrambe, e quando i suoi occhi si incrociano con quelli di Sonoko, li assottiglia.
“Si può sapere che sta succedendo?” chiede lui.
Cerco di ripulirmi delle lacrime all’istante, non voglio mi veda piangere. E mentre sto per rispondere uno stentato “nulla”, Sonoko avanza verso di lui con preoccupante sicurezza.
Si ferma ad un metro di distanza, ed io non ho la più pallida idea di cosa voglia fare.
“Giurami sulla cosa più cara che hai che ci tieni a lei e che non la farai mai più soffrire.”
“Prego?” Lui arrossisce. Io arrossisco.
“Hai sentito bene.”
Mi affretto a raggiungerli, non oso continuare una discussione del genere.
“Ok, adesso basta. Perché non usciamo un po’?”
Ma nessuno dei due mi ascolta. Si stanno fissando talmente intensamente che sembrano legati da qualche strana calamite.
“Allora?” chiede Sonoko.
Shinichi sorride: “Vale se la cosa più cara che ho è lei?”
Il silenzio. Poi soltanto il rumore del battito del mio cuore che accelera e si fa spazio nel mio petto. Ho sentito bene o me lo sono immaginato? La lentezza con cui mi giro a guardarlo è tanta che sembro farlo al rallentatore. Sta ancora fissando Sonoko, ma credo che lei non sia più capace a rispondergli. E nemmeno io.
Poi la mia amica prende parola, e risponde: “S-sì.”
“Lo giuro.”
Passano secondi che sembrano ore. Io non ho il coraggio di fare un passo che possa smuovere questo silenzio. È il momento più imbarazzante della mia vita, e sembra anche durare in eterno. Non posso saltargli addosso perché c’è Sonoko, non posso parlare perché sennò scoppierei di rosso in viso, non posso guardarlo perché mi incanto a sentire l’eco delle sue parole scivolarmi nella mente. Praticamente, non posso fare nulla.
Finalmente, dopo quelli che sembrano secoli, la mia amica torna a spezzare l’attimo. Mi guarda, e notando il mio rossore, guarda lui. Anche lui è leggermente arrossito, ed è ancora più adorabile del normale.
“Ehm... detto questo, mi sono completamente dimenticata che dovevo fare una cosa. Ehm...sì, vi lascio alle vostre cose.” Dice, fuggendo velocemente verso il salotto. Ci guarda un’ultima volta, e finalmente ci mostra un sorriso. Non è falso né stentato, è grande e radioso e le occupa tutto il viso.
“Ehm... ci... ci vediamo in questi giorni. Ok? Fate i bravi e cercate di... insomma... cercate di non farvi beccare dal padrone di casa.” Sono paonazza. “Dai... un bacio al cucciolo da parte mia. Va bene? Ciao!”
Poi sparisce. Dopo due secondi sento la porta di casa aprirsi e chiudersi con un tonfo.
Lei è andata via, ma l’imbarazzo tra me e Shinichi è rimasto. Non so come comportarmi: potrebbe avere sentito le mie parole, ma senza ombra di dubbio io ho ascoltato le sue.
...La sua cosa più cara...
Mi brillano gli occhi al solo pensiero d’essere definita così. E poi ha giurato. Ok, sarà banale, ma lui ha giurato di tenerci a me. Mi ama ed io lo amo.
Riesco finalmente a guardarlo: è leggermente rosso in viso, ma il suo sorriso accecante spegne qualsiasi altro colore.
“Se il buongiorno si vede dal mattino...” Dice, ed io riesco a lasciarmi andare. Rido anche io.
Poi abbasso lo sguardo, imbarazzata: “Hai ascoltato...?”
“Solo qualcosa.” Ammette poi, deglutendo.
Mi avrà sentito dire «sono innamorata di lui, Sonoko»? Mi guardo dentro e penso che mi farebbe piacere. Perché non so se ho il coraggio di ripeterlo.
“Perché piangevi?” mi domanda, ed io torno ad osservarlo.
“Lo sai...” cerco di sorridere. “Io piango sempre.”
“Sì”, è concorde. “Ma perché?”
“Perché è difficile che qualcuno capisca questa situazione... da fuori.”
“Non importa degli altri, Ran.”
E mentre lo dico so già che sto per piangere di nuovo. Shinichi forse se ne accorge, perché mi si avvicina. Sfiora la sua fronte con la mia e mi prende il viso tra le mani, in un tocco calmo e delicato. Ci accarezziamo per un po’ i profili, senza alcuna fretta di andare avanti. Socchiudiamo entrambi gli occhi, mentre ci avviciniamo col corpo, uno contro l’altro. E mentre lui mi tiene il volto, io lascio scivolare le mani dietro la sua schiena, tastandone il tessuto della maglia.
“Cosa hai sentito, Shinichi?” gli chiedo, tornando a guardarci. I suoi occhi azzurri sono a circa tre centimetri dai miei.
“Nulla.” Sorride. “Avrei dovuto sentire qualcosa?”
“No” scuoto il capo. “Non ce n’è bisogno.”
“No?”
Prendo un grosso respiro, uno di quelli che ti riempiono i polmoni e il cuore di vita. Ho bisogno di tutta l’energia che ho in corpo adesso, e solo l’ossigeno non basterà ad aiutarmi. Ma poi mi rendo conto che è semplice: che basta guardare i suoi occhi e lasciarsi andare, che basta aprire il mio cuore e lasciarlo entrare...
“Sono davvero la cosa più cara che hai?”
“Dopo la mia copia originale di A Study In Scarlet?”
Alzo gli occhi a lui, e lo vedo ridacchiare. Rido anche io, scuotendo il capo.
“Che idiota...”
È ormai una settimana che vivere in casa mia rientra tra le più grandi fatiche di Ercole. Il motivo è tanto banale quanto ridicolo: dentro c’è la fotocopia della persona che più ho amato a questo mondo, e che ultimamente sembra aver bevuto litri di tisane al testosterone. Oggi, però, non posso dileguarmi o fingere di dormire: è la notte di Natale. Ed io gli ho fatto comunque un regalo. È stato difficile per me sceglierlo: ogni volta che pensavo a Conan tornavo con la mente ai suoi baci, e concentrarmi sull’ingenuità di un dono natalizio era più difficile di scalare una montagna. Ma alla fine sono riuscita nel mio intento... per uno strano gioco della fortuna. I miei genitori hanno festeggiato il Natale lontani, in albergo, a causa di un viaggio vinto da me al gioco. Ho deciso di regalarlo a loro, cosicché possano stare un po’ da soli a rilassarsi. Ignoravo che il rapporto tra me e Mr Ormoni degenerasse così tragicamente da un momento all’altro, perché sennò li avrei seguiti, tanto per stargli lontano. Entro in casa, rabbrividendo al freddo che fa fuori. Appendo il cappotto al chiodino del muro, poi cammino verso il salone. L’albero e le sue luci illuminano con grazia l’ambiente, e mi permettono di scorgere la figura di Conan, seduta sul salotto, a leggere un libro. Sarà Doyle o qualche altro giallo. Tanto per somigliare a qualcuno.
“Ciao.” Lo saluto, avvicinandomi a lui. Lo fisso negli occhi azzurri ed avverto già le mani sudare. Ogni minuto che passa diventa Shinichi un po’ di più. Adesso è la sua fotocopia, non porta neanche più gli occhiali. Potrebbe essere lui. Già, potrebbe...
“Ciao.” Risponde, sorridendomi. È un sorriso malizioso, lo intuisco. “Dove sei stata?”
Mi siedo a fianco a lui, immergendo lo sguardo nel trionfo di luci dell’albero.
“Ho portato i regali a Sonoko e alla mamma di Shirai.” Gli rispondo, mentre ripenso al fatto che il mio ragazzo abbia avuto da lavorare proprio il periodo di Natale. E in Hokkaido, inoltre!
Lui annuisce, tornando ad osservare il libro. “E a me, niente?”
“Ecco.” Glielo porgo, ma non lo guardo. “Dovrebbe piacerti.”
Ma lui non prende il mio pacchetto. Anzi, tutt’altro: si alza e si avvicina all’albero, dove ne tira fuori uno simile dalla carta regalo rossa e argentata. C’è anche un fiocchetto sopra.
“Prima il mio.” Dice. Non so proprio che aspettarmi: se è davvero identico a quel maledetto detective stacanovista, sarà l’inedita copia di un altro romanzo di Doyle. Ma ragionandoci, è un po’ piccolo per essere un libro.
“Cos’è?” chiedo, esaltata. Lo ammetto: sono felice che abbia pensato a qualcosa per me. Forse anche lui, come me, è stato tormentato da quei baci che mi ha dato...
“Chiudi gli occhi” ordina.
“Eh?”
“Dai, chiudili” dice ancora, sorridente. Io sospiro ed obbedisco, aspettando l’ignoto. Passano alcuni secondi, poi sento le sue mani scivolare sul mio polso. Un brivido mi spinge ad aprire le palpebre, e subito mi accorgo che non è più di fronte a me, ma dietro di me. È seduto sullo schienale del divano, con i piedi appoggiati ai cuscini ai miei lati. Ma ciò che mi colpisce è qualcosa di luccicante sul mio braccio, vicino all’orologio: è un braccialetto con al centro un ciondolo a forma di infinito. Infisso sopra di esso un piccolo diamante. Me ne innamoro all’istante.
“È bellissimo, Conan-kun!”
“Sono felice che ti piaccia.”
Ho un sorriso a trentadue denti e non riesco a spegnerlo. Non faccio che guardarlo.
“Ti sarà costato una fortuna!” obietto, e lo vedo sbuffare.
“Non preoccuparti. Ho abbastanza soldi da spendere.”
“Non dovevi, stupido.” Mi rendo improvvisamente conto che sommando tutti i regali che ho fatto non avrei comunque potuto spendere quanto lui.
“Non sono il tuo ragazzo e non posso regalarti anelli. Ma in qualche modo, un mio per sempre sarà comunque con te.”
Lo osservo, mentre il fiato mi muore in gola. Per fortuna lui distoglie il contatto, mentre torna a prendere il suo regalo da parte mia.
“E vediamo tu a cosa hai pensato.”
Avvampo. “Oddio, non ti aspettare chissà che. Dopo il tuo regalo...”
Lo sento ridere, mentre afferra il pacchetto. Lo scarta velocemente, ed io ho l’imbarazzo alle stelle. E se non gli piacesse? No. Impossibile, conoscendolo. Mi volto verso di lui, e lo vedo strabuzzare gli occhi.
“È... è quello che penso?!”
Scoppio a ridere. Immaginavo avrebbe reagito così. Meglio.
“Sì, la prima copia di A study in scarlet, in versione originale. È la stessa che quel tipo, dieci anni fa, offrì come premio alla riunione dei fan di Holmes. Quello che morì, ricordi?”*
“Come... come l’hai avuta?!” Il suo atteggiamento mi fa sorridere, ma da una parte mi ricorda incredibilmente Shinichi. E mi fa male.
“Pensa un po’, è rimasta ad ammuffire in un negozio dell’antiquariato di Tokyo fin dalla morte del primo proprietario. Chi me l’ha venduta non ne capiva molto di gialli. Pensava fosse un semplice libro straniero.”
Ha le palpebre talmente divaricate che le iridi azzurre potrebbero cadergli giù da un momento all’altro. “Non ci credo!”
“Non so cosa te ne faccia di una copia ammuffita e vecchia di un romanzo che come minimo hai riletto settecento volte, e per di più in inglese, ma ero abbastanza sicura ti avrebbe fatto piacere averlo. Ricordo la faccia che facesti dieci anni fa quando quel tipo mise in premio questa copia!”
Conan alza gli occhi su di me, con le palpebre assottigliate e un sopracciglio tremante. “Ripeti quello che hai detto.”
“Che... ricordo... della... faccia...” ma non riesco a concludere, a causa della sua espressione. Scoppio a ridere. “Dai, non prendertela!”
Ma non ho il tempo di difendermi ancora: Conan mi salta addosso e mi blocca sul divano,affondandomi la testa sotto i cuscini. Ne prende uno e me lo tira contro, scompigliandomi tutti i capelli. Mi ha tirato una cuscinata! Faccio la finta offesa e cerco di colpirlo anche io, ma non ho successo: lui mi blocca i polsi e me ne tira un’altra.
“Come osi, ragazzina?”
Non riesco a smettere di ridere, sebbene senta arrivare sul mio corpo un’altra cuscinata.
“Io sono la ragazzina? E tu... moccioso?” lo sfotto, ignorando le conseguenze della mia frase: Conan si ferma, lascia andare il cuscino dietro di lui, e si avvicina a me. Mi bacia sulle labbra, di nuovo, e con la stessa passione che ho la contraddistinto le altre volte. Ma per un attimo si ferma.
“Però ti fai baciare da un moccioso...” mi soffia sulle labbra, mentre il mio cuore torna a battere come un forsennato nel mio petto. Ci risiamo...
Socchiudo gli occhi e con tutta la forza di volontà che ho in corpo, lo discosto un po’ da me.
“Forse è meglio se... andiamo a dormire.”
Lui si avvicina di nuovo e mi strappa un altro bacio. “Insieme?” sussurra al mio orecchio, sempre più malizioso.
Ma non si ferma: torna a tormentarmi il lobo, mordicchiandolo con avidità. Socchiudo gli occhi, e mi rendo conto di non possedere la necessaria voglia di fermarlo. Ogni volta che mi ricorda Shinichi, ogni azione che lo può ricondurre a lui, ogni gesto o parola che mi riporta al passato, mi sottrae la forza per resistergli. Non ho conteggiato quei baci come tradimenti a Shirai, eppure lo so che lo sono. Perché è come se io lo stessi tradendo con l’ombra di qualcosa, con il fantasma di qualcuno che non c’è. È come se non fosse materiale tutto questo, come se stesse accadendo solo nei miei pensieri.
Avverto la sua mano scivolare sui miei fianchi e accarezzarli piano, mentre la sua bocca risale lungo il mio collo mandando in tilt la mia respirazione. I suoi baci si fermano all’altezza della mia bocca. Lì Conan me la apre con la lingua, mentre io sono inerme e del tutto fusa sotto di lui. Si struscia sul mio corpo, mentre le sue dita scivolano sul mio ventre e risalgono verso il petto. Poi mi protrae verso di lui, mettendomi quasi seduta. Ci fissiamo negli occhi, ma le sue mani non sono ferme: mi liberano della maglietta, ed io non faccio nulla, neanche quando vanno a sganciare il reggiseno. I suoi occhi fissano il mio seno scoperto, ne sembra rapito ed incantato. E solo ora mi rendo conto di quello che sta succedendo: mi copro per quel che posso con le mani, cercando di allontanarmi da lui.
“Oddio... che sta succedendo?” chiedo, più a me stessa che a lui. “Tu hai dieci anni in meno a me! Sei mio fratello, dannazione!”
“Non sono tuo fratello. Non dire eresie.”
“Sei comunque troppo piccolo per me!”
“Davvero lo credi?”
In realtà no. È molto più maturo della maggior parte degli uomini della mia età, ma questo non dovrebbe avere rilevanza. Conan è da sempre... più maturo ed intelligente degli altri.
“Comunque non possiamo. Lo sai.”
Lui sorride. “Perché non possiamo?”
“Perché... perché io sono fidanzata!” titubo un po’. Ammetto che suona come una scusa.
Lui mi guarda qualche secondo, poi torna a parlare:
“Dimmi che non provi piacere nel baciarmi e me ne vado via.”
Trasalgo, presa alla sprovvista. “Eh?”
Lui avvicina di nuovo il viso al mio. “Dimmi che non senti nulla nei miei confronti e me ne vado.”
Deglutisco, dato che lui mi impone di guardarlo negli occhi. È ancora più vicino, i nostri nasi possono quasi toccarsi.
“Dillo.”
Come posso? Come posso ignorare il fatto che avverto un uragano in me ogni volta che si avvicina e mi bacia? Ogni volta che mi tocca, che mi guarda o che mi parla? Non so se sia a causa della sua straordinaria somiglianza con Shinichi, ma qualunque sia la ragione, non posso mentire sui miei istinti. Lui mi piace. Mi piace troppo, talmente tanto che non credo sia solo un’attrazione fisica. C’è qualcosa di molto più profondo tra noi due, qualcosa che ci lega da tantissimo tempo ma che non riesco a spiegarmi. Qualcosa, che io, avvertivo con Shinichi. Solo con lui.
“Io...” abbasso gli occhi, stringendo le dita intorno ai suoi polsi. Ma non ci riesco. Lo guardo e lo bacio: stavolta sono io a volerlo di più. Mi aggrappo a lui e lo trascino su di me, sdraiandoci sul salotto. Lui risponde con la stessa passione, e in un attimo si lascia togliere la maglia e la getta via, sul pavimento, accanto all’albero. Succede tutto molto velocemente: mi toglie la gonna, si sfila i pantaloni e rimaniamo in mutande, entrambi.
Non servono più parole ormai: senza nemmeno la biancheria intima a fermarci, Conan ed io diventiamo una sola cosa. E credo di essere una pazza. Sì, sono una pazza.
Perché mentre lui mi fa sua, io sento di esserlo sempre stata.
Ed io lo sono stata solo di una persona. Shinichi.

 
 
 
 
* Ho ripescato un vecchio ricordo. Nell’episodio “Il Club di Sherlock Holmes”, l’organizzatore della riunione (prima di morire) promette in premio la prima copia originale del primo romanzo di Doyle. Ricordo bene la reazione del piccolo Shin-chan...
 



Ciao a tutti! Eccomi qui, giusto dopo una settimana :D
Spero che l'attesa del capitolo sia stata ricompensata dal capitolo stesso!
Finalmente abbiamo avuto la Sonoko che aspettavamo, il confronto tra le due, ed il tanto atteso flashback principale, dove viene a galla anche la storia del braccialetto! So che stavate aspettando questo momento, e già so i filmini che vi farete! Parlando d'altro: Shinichi si è dichiarato "vale se la cosa più cara che ho è lei?" *___* Non è dolcissimo? Sì, lo è u.u Inoltre vuole tanto fare il finto tonto, ma in realtà ha sentito tutto! Stava origliando, sì sì u.u
Ma non sono fantastici lui e Sonoko che si punzecchiano? E l'ereditiera che se ne va tutta imbarazzata!?
Fatemi sapere cosa ne pensate, come sempre :) 
Vi lascio allo spoiler, ci vediamo il
29 settembre, con il penultimo capitolo!



Spoiler #8 Il puzzle completo
“Ran...” mi chiama Shinichi, dalla voce rotta e fredda. Non mi guarda, ma il suo tono ha interrotto il diverbio fra me e Sonoko. Mi volto verso di lui, incuriosita, e penso che m’abbia bloccato per non rivelare qualcosa di troppo alla mia amica. Ma io non l’avrei mai fatto.
“Comunque è storia vecchia ormai.” Concludo, rivolgendomi a Sonoko con un sorriso.
Lei inarca un sopracciglio, non sembra soddisfatta.
“Ran...”
Adesso lui mi guarda. Ha gli occhi velati da un infinito senso di terrore.
“Che succede?”
“I biglietti.” Deglutisce mentre mi parla. “Sono per Tendo. Siete in pericolo: vogliono uccidere te e Conan.”



Ohi ohi, guai in vista! *devil*
A lunedì,
Tonia

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Capitolo 8
*** Il puzzle completo ***


#8 Il puzzle completo

 
Shinichi lascia scivolare le sue dita fra le mie, accarezzando dolcemente la mia bocca con le sue labbra. Ho chiuso gli occhi e non lo vedo, ma permetto agli altri sensi di giocare con la sua presenza. L’udito ascolta il suo lieve ansimare, il tatto disegna la linea del suo corpo, l’olfatto annusa il profumo mascolino e forte della sua pelle, mentre il gusto assapora il piacere della sua lingua sulla mia. Con la mano libera sfioro la sua schiena, ma non ho voglia di indugiare oltre: lascio che le mie dita scivolino sino all’orlo della sua maglietta, e gliela alzo, sfilandogliela. Lui sorride, poi torna ad agganciarsi alle mie labbra. Mi spinge verso il muro e mi blocca ad esso. Avverto le sue mani sui miei fianchi, mentre io vado a circondargli il collo con le braccia. Non smetto di baciarlo e non ho alcuna intenzione di farlo. Adesso so cosa farò. Vivrò a pieno il mio amore, crescerò Conan come meglio potrò, accanto al padre ma anche accanto alla persona di cui più ho bisogno al mondo. È inutile mentire, è stupido sperare che un giorno io possa lasciarmelo alle spalle. Non ci sono riuscita in dieci anni e non ci riuscirò mai. E adesso so che questa sarebbe dovuta essere la prima scelta, fin dal principio. Fin da quando feci l’amore per la prima volta con Conan, in quella notte di Natale di quasi un anno fa. La stessa scelta che avrei dovuto fare nel momento in cui scoprii la sua vera identità e negli istanti in cui avevo paura potesse mentirmi ancora. La stessa che avrei dovuta fare nel momento in cui scoprii d’essere incinta, e lo dissi a lui...
Esco dal bagno gettandomi la porta alle spalle con incuranza. Ho già la nausea e sospetto che nel giro di qualche minuto tornerò a vomitare. Sono incinta. Aspetto un bambino. E allora Shinichi, o Conan, o chi diavolo sia, resterà davvero il sogno lontano della ragazzina liceale che lo sta ancora aspettando.
L’ecografia l’ha confermato. La ginecologa l’ha confermato. Sono incinta. Cosa posso fare altrimenti? Non so cosa pensare, ed il peggio è che i miei pensieri virano ad una sola persona: Shinichi non può più appartenermi. Come posso privare al bambino che porto in grembo la presenza di suo padre? Per cosa poi? Per una cotta finita male anni fa? Se in questi giorni avevo creduto, sperato almeno di trovare le parole giuste per parlare a Shirai e dirgli che, in fondo, gli volevo bene, ma non lo amavo, adesso mi ritrovo a cercare di confessargli che aspetto un bambino. Per un po’ rimugino su quando possa essere successo.
“Il feto è di due settimane” mi ha detto il medico. Tre settimane, circa venti giorni.
Con un po’ di sforzo riesco a ricordare quella sera a casa sua, il giorno prima che Shinichi si rivelasse a me. Ci spogliammo e facemmo l’amore, dimentica d’essere nel periodo proficuo alla semina. Dev’essere stato lì, indubbiamente.
Alzo lo sguardo, e mentre gli occhi si inumidiscono, incontro Shinichi nel corridoio che lega la toilette alla mia camera. Lui dorme ancora lì, con me.
Non ci parliamo da tantissimo tempo. Non riesco più a dirgli nulla da quando ho scoperto d’esser stata presa in giro per dieci lunghi anni. Lui mi lancia un’occhiata profonda, preoccupata. Ha di sicuro notato la mia cera poco vivida. Entriamo insieme in camera, mentre io tento di ignorarlo. Sembra essersene accorto. Mi blocca il polso e mi costringe a guardarlo.
“Stai bene?” mi chiede, ma so per certo che conosce già la risposta. Esito qualche minuto ancora, e nel frattempo riesco a liberare il mio polso dalla sua mano. È giusto che lui sappia la verità.
Lo guardo e recuperando tutto il fiato che possiedo, lo butto fuori: “Sono incinta, Shinichi.”
Lui non si muove, probabilmente ha perso l’uso degli arti e della parola. Le lancette dell’orologio scoccano diversi minuti e parecchi secondi, prima che torni a parlare.
“...Incinta?” , il suo tono è talmente incredulo che fa dubitare anche me di quello che dico.
Annuisco, tentando di convincermi. “Incinta” ripeto.
Mi guarda con gli occhi divaricati e le labbra dischiuse. “Di chi...?” prova, ma io lo fermo.
“È di Shirai. Il feto è di due settimane.” Rispondo. Avrei potuto aggiungere “ed io e te siamo stati insieme solo una volta, e più di un mese fa” ma non credo sia il caso. Adesso non è il caso di far nulla. Shinichi abbassa le palpebre e stringe i pugni, deglutendo saliva.
“Cosa... cosa farai?” mi chiede poi. Noto che i suoi occhi sono lucidi e che la sua voce è tutt’altro che sicura.
Adesso sono io a deglutire, sperando di liberarmi del nervosismo e del senso di paura che mi opprime.
“Shirai mi ha chiesto di sposarlo.”
È un’altra bomba, un’altra esplosione che distrugge quel poco di speranza che i nostri cuori avevano covato in questi giorni. Il destino è stato davvero cattivo per noi.
Lui mi guarda, incredulo, ed io aggiungo rapidamente: “Gli ho risposto di sì.”
È la fine di tutto quello in cui avevo sperato. Le lacrime mi riempiono gli occhi ma so per certo che io non posso cedere, non voglio fargli capire che alla fine ci ho davvero sperato ancora in noi. Shinichi non parla, sembra perfino non respirare.
“Dimmi una cosa...” intavola, con un filo di voce. “Mi avevi detto che ero ancora importante. È vero? Mi ami, Ran?”
Non rispondo subito. Devo trattenermi dall’urlargli: sì, ti amo. Ti amo da impazzire. Ti amo da sempre e per sempre. Ma è tutto così complicato adesso. Tutto così difficile, tutto così sbagliato. Penso al bambino dentro di me, sento che gli devo molto più di quello che posso offrirgli. Lo faccio solo per lui, pensando a lui.
“No. Non più.”
Shinichi deglutisce, si prende qualche istante per metabolizzare. Sospira, poi abbassa gli occhi e stringe i pugni.
“...sono felice che tu abbia trovato l’uomo da amare e non l’uomo da aspettare.”
Si avvicina, mi prende il viso e mi bacia la fronte. Rimaniamo per un po’ così, senza parlare, senza muoverci. Una lacrima mi attraversa l’occhio e cade sulla mia guancia, scivolando velocemente verso il pavimento. Proprio come noi, come la nostra storia, precipitata non appena cominciata.
Ho l’incessante bisogno di aprire gli occhi e guardarlo. Non riesco a credere che da quel giorno sia mutato tutto ma che per l’ennesima volta il fato non si sia solo fermato a guardare. Ha messo in moto altri momenti ed ha cambiato ancora le carte in tavola. In quell’istante credei che non l’avrei mai più rivisto in vita mia, e il fatto che il giorno dopo fosse scomparso me lo assicurò. In camera mia trovai un biglietto quella mattina. C’era scritto «farò finta di morire», e per i primi minuti non capii a cosa si riferisse. Ma qualche giorno dopo sì: non mi preoccupai quando il dottor Agasa diede ai miei genitori la triste notizia.
Fu quella scomparsa, a farmi capire che avrei dovuto chiamare mio figlio come il suo alter-ego.
Shinichi mi sta trascinando verso il letto, ma credo abbia notato il mio esitare. Mi sono immersa così tanto in quei ricordi che quasi ho dimenticato il presente. Mi guarda e si ferma, preoccupato.
“Che succede, Ran?”
Le lacrime tornano di nuovo, tornano incombenti. Ho bisogno di abbracciarlo e tentare di dimenticare tutto ciò che ha ostacolato la nostra vita. Gli salto addosso e lui mi prende in braccio, con atteggiamento spaesato. Affondo il mio viso nell’incavo della sua spalla e lo stringo forte a me, come se niente potesse staccarci.
“Mi sei mancato. Mi sei mancato tantissimo.”
Lui mi sta accarezzando i capelli, ma non smette di stringermi. “Adesso sono qui.”
“Ero innamorata di te quando cercavo un modo per dimenticarti, lo ero quando incontrai Shirai e quando Conan cominciò a mostrarsi diverso. Ero innamorata di te quando baciai per la prima volta Conan e quando feci per la prima volta l’amore con lui...”
“Con me.” Mi corregge, sorridendo.
“Ma io ero innamorata di te, e non di Conan! Lo feci con lui perché mi ricordava te. E poi scoprii che eri tu, che eri sempre stato tu! E quella è stata la prima volta, dopo anni, che ho sperato che le cose si risolvessero davvero. Ma non te lo dissi perché ero arrabbiata e allora rimandai! E rimasi incinta e lì tutto cambiò...” scoppio a piangere di nuovo, ma Shinichi torna a guardarmi negli occhi.
“Ran...”
“Scusa se non ho scelto te sapendo comunque di amarti.” Dico poi, lasciandolo leggermente di stucco. “Sono stata una vigliacca! Non ho saputo decidere, ho intrapreso la strada più semplice... quella che, almeno all’apparenza, avrebbe dato meno problemi. Ti mentii un anno fa, io ti amavo, ma come potevo dirtelo? Mi dicesti che eri felice che avessi trovato l’uomo da amare e non da aspettare. Scusa se non ti ho detto che quell’uomo eri sempre tu.”
“Ran... non importa.” Mi prende le spalle e mi guarda fisso. “Di quante cose mi hai perdonato tu?”
“Non c’entra. Avrei dovuto scegliere te... ed invece sono stata pessima! Con te, con Shirai, con me stessa! Tu eri costretto a mentirmi, lo facevi per proteggermi.”
“Ma ti ho comunque mentito per dieci anni.” Lui sorride. “E tu mi hai comunque perdonato. Mi hai aspettato più di quanto credessi. Hai sperato che io tornassi tutti i giorni. Non hai nulla da rimproverarti.”
“Ma ho sposato un altro, ho un figlio con un altro! Ieri... ieri ho fatto sesso con lui. È stato orrendo, ma... tu... come puoi perdonarlo?”
Mi poggia un dito sulle labbra. “Ran... a volte c’è bisogno di sbagliare per trovare la strada giusta.”
Rimango per un po’ zitta ad ammirarlo. Mi sento diversa, mi sento libera di un peso. È come se dirgli la verità avesse purificato il mio spirito.
“Lo credi davvero?”
Annuisce. “Sei la donna migliore che potessi incontrare, Ran.”
Il mio cuore si ferma, o forse solo adesso ha ricominciato a battere. Nell’incapacità di dire qualsiasi cosa ho solo la certezza di amarlo davvero, di amarlo come pochi fanno. Ciò che ci unisce è qualcosa di unico. Qualcosa che appartiene solo a noi e che decidiamo solo noi.
“Ti amo, da sempre” dico.
Sento le nostre labbra scontrarsi e i nostri respiri unirsi di nuovo, in un unico grande circolo. Accarezzo la sua pelle meravigliosa, il suo petto allenato, scivolo lungo i suoi bei capelli corvini. Mi lascio trascinare sul letto, dove lo aiuto a spogliarmi. Intreccio le nostre lingue, assaporando la sua saliva e stringendomi alla sua schiena. Mi alza la maglietta, mi bacia la pancia con dolcezza, e mentre io sorrido ed inarco la testa all’indietro, il campanello di casa suona. Ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
“Ho il presentimento che l’erede della Suzuki Corporation sia tornata.” Mi dice, donandomi un bacio sulle labbra, prima di alzarsi.
“Cosa te lo fa pensare?” gli chiedo, inarcando un sopracciglio. In contemporanea con lui mi alzo anche io. Mi infilo di nuovo la maglia, mentre lui copre i suoi addominali con la sua, gettata a terra da me, prima.
“La borsa. L’ha dimenticata qui, prima.” Rivela, ridacchiando.
Rido anche io, mentre raggiungo la porta. La apro, ed ovviamente lui aveva ragione. Sonoko entra in casa col viso paonazzo.
“Ehm... non voglio assolutamente interrompere i due piccioncini, solo è che...”
“Hai dimenticato la borsa.” Sorrido, anticipandola.
Mi guarda, deglutendo ed annuendo. “Sì. Scusa. Vi ho disturb...? No, non me lo dire. Non lo voglio sapere.”
Scoppio a ridere. “Sonoko... non preoccuparti.”
La lascio entrare ed insieme arriviamo in salotto, dove lei si copre gli occhi con le mani.
“Ci sono detective nudi in casa? Non vorrei imbattermi in visioni spiacevoli.”
“È vestito, puoi guardare.” Le levo le mani e lascio che guardi l’ambiente e si imbatta in Shinichi, a mezzo metro da noi.
“Oh, bene.” Lo squadra, poi torna ad osservare me. “Spero che non sia veloce a farlo quanto a rivestirsi, perché sennò sei messa male, amica mia.”
Shinichi scoppia a ridere, mentre io mi passo una mano sugli occhi, imbarazzata. “Sonoko...”
La mia amica si avvicina al salotto dove aveva posato la borsa stamattina, la prende e si gira di nuovo verso di noi. Precisamente, vira verso Shinichi.
“Devo chiederti scusa.”
“Per averci disturbato?” sorride malizioso lui. Io arrossisco ancora di più.
“A parte”, ride lei. “Scusa per come mi sono comportata prima. Ran dice che hai avuto delle buone ragioni per sparire...ed io le credo.”
Sorrido anche io adesso. Shinichi annuisce soltanto, sempre ridente.
“E poi, in fondo... ma proprio in fondo... mi è mancato prenderti in giro.” Dice, con tono più dolce. “Bentornato ufficialmente.”
“Grazie.” Risponde lui. “Ma mi fai paura quando sei così... sopportabile.”
“È solo adesso, non abituarti.” Sonoko si gira a guardarmi, spegnendo man mano il suo sorriso. “Shirai-kun lo sa?”
Scuoto il capo. “No. Glielo dirò stasera appena torna. Domani avremmo dovuto firmare la legalizzazione del matrimonio e vorrei dirglielo prima.”
“Be’, quando si dice i colpi di fortuna! Menomale che il piccoletto è nato proprio quel giorno. Era un segno del destino, secondo me.” Poi si volta verso Shinichi. “Tu non c’eri quel giorno. Lo devi sapere: le si sono rotte le acque proprio prima che pronunciasse sì. Ti giuro che all’inizio ho creduto stesse fingendo” ride, e contagia anche lui.
“Perché?”
“Sembrava fatto apposta! Poi però si è accasciata a terra, e tutti siamo corsi con lei in ospedale. Conan è nato dopo circa due ore, ma purtroppo è stato in incubatrice tantissimo tempo. Che cucciolo... un bambino bellissimo costretto alla respirazione artificiale. Mi piangeva il cuore.”
“Vedessi a me” rispondo io, al ricordo di quei giorni. Vedere mio figlio lì dentro mi abbatteva ancora più di quanto già lo fossi.
“Ah, Ran. C’è una cosa che non ti ho detto. Ricordo che in uno di quegl’infernali giorni, vidi Shirai particolarmente agitato. Certo, era normale ovviamente. Però ricordo della sua figura uscire dall’ospedale e calciare contro un cestino e gettarlo a terra. Stava malissimo, povero.”
Abbasso lo sguardo, sentendomi profondamente in colpa. Dopo la nostra discussione di ieri, sarà difficile rivelargli la verità. Non vorrei ferirlo, ma lo farei anche mentendogli. Sarebbe inutile.
“Be’, comunque non pensiamoci più.” Sorride lei.
“Già, ormai è passato.” Dico.
Sonoko rimane per un po’ silenziosa. “M- meglio che vada, no?”
“Non vuoi restare a pranzo, dai?” La invito, pregandola con gli occhi. “Stiamo un po’ insieme.”
Tossisce, maliziosa. “Credo che il tuo amore abbia altri progetti per voi per pranzo...”
Shinichi ride, poi scuote il capo. “Non ho fretta.”
“Sonoko, dai!” avvampo nel frattempo. “Rimani.”
Lei sospira e socchiude gli occhi. “Mmh...”
Ci supera e posa la borsa sul tavolo del soggiorno, poi torna a guardarci, mandandoci occhiate strane e spiritose.
“Lo faccio ad una condizione” dice, poi.
“Quale?” mi interesso io, tentando di leggere la sua mente attraverso la conoscenza che ho di lei. Ma non mi viene in mente nulla.
“C’è una cosa che vorrei vedere da più di dieci anni.”
“Sarebbe?” stavolta lo chiedo insieme a Shinichi.
“Vi date un bacio davanti a me!?” schiamazza, incrociando le mani in pugno.
“Eh?” arrossiamo all’istante noi, mentre lei guizza felice come un bambino.
“Ho sempre desiderato vedere un vostro bacio. Su, su.”
“Ma sei impazzita?!” grido, paonazza.
“Dai, Ran! Per favore!” mi prega, illuminando i suoi occhi. “Sennò me ne vado! E sarà colpa tua.”
Sbuffo, mandando un’occhiata al mio detective. Anche lui è leggermente rosso in viso, ma è meno imbarazzato di me. Mi osserva ridacchiando, poi si avvicina. Mi prende il viso e mi bacia, unendo le nostre labbra in un altro dolce tocco. Socchiudo gli occhi nell’istante in cui avverto il suo profumo vicino e la sua bocca sulla mia, ma li riapro appena qualche secondo dopo. Ho la certezza che questo basti a Sonoko, e infatti, continua a schiamazzare.
“Ooooh! Siete perfetti!”
Ci abbraccia forte, e poi sorride: “Siete la coppia più bella che esiste!”
 
 
 
 
Quasi con l’abilità dei migliori camerieri, porto a tavola tre piatti di ravioli al vapore. Conosco i gusti di entrambi i miei ospiti, e sono abbastanza certa che rimarranno felici del pranzo. Seduti a tavola uno di fronte all’altro, Sonoko non fa altro che cercare di storcere a Shinichi informazioni sui suoi dieci anni di assenza. Lui gioca con mio figlio, facendo rimbalzare la palla sulle sue gambe. Ignora la mia amica ereditiera, essendo comunque impossibilitato a raccontarle la verità. Io posso solo rimanere zitta e perdermi ad osservarlo. Stasera dirò a Shirai ogni cosa, e probabilmente questo porterà ad odiarmi da parte sua. Ed anche se fosse l’ultima cosa che vorrei, non posso decidere i suoi sentimenti. Avrebbe tutte le ragioni per farlo. L’ho tradito prima e dopo, senza rendermi conto di star distruggendo ciò che avevamo sperato di costruire. Ma mentirgli ancora sarebbe inutile e dannoso, soprattutto per Conan. Se prima avevo qualche dubbio, adesso sono certa che sia meglio per mio figlio vivere con genitori separati piuttosto che con genitori che non si amano. Lascerò che Shirai abbia tutti i diritti e doveri su Conan, lascerò che si amino come avrebbero fatto se non fosse successo tutto questo e lascerò che il mio amore per Shinichi non pesi al mio bambino.
Nel guardarlo così, giocarci con tutta questa spontaneità, non posso fare a meno di pensare che sarebbe potuto essere un padre perfetto per il piccolo. Che la speranza che ebbi mesi fa che il figlio fosse suo non era del tutto stupida, ma guidata da un principio più razionale: Shinichi è un esempio di comportamento per molti, sebbene non tutti lo sappiano.
“Ecco a voi” porgo a loro i piatti, mentre ripongo il mio davanti al mio posto.
“Almeno una cosa devi dirmela!” continua coi suoi intenti persuasivi Sonoko, impugnano la forchetta. “Quante volte sei tornato ed io non lo so?”
Shinichi mi guarda e sorride, ed io lo imito. “Mai tornato, ma son sempre stato vicino.”
Strabuzzo gli occhi, mandandogli un’occhiataccia. Sonoko potrebbe capire tutto! Lui sembra leggermi nel pensiero, al che mi fa l’occhiolino.
“L’ha detto anche Ran, ma che significa? Io ricordo solo che lei si lamentava che tu non ci fossi mai.”
Guardo male Sonoko e distolgo il viso dal suo, imbarazzata. Non c’è bisogno di ricordare sempre e solo la stessa cosa di quei dieci anni.
“Questo è un segreto.” Risponde lui, ridacchiando, e lei ringhia.
“Questo è straziante!” insiste ancora lei. Poi posa le sue dita sulla mia mano, stringendola. “Sappi che stai deliberatamente mentendo alla tua migliore amica, e non te lo perdonerò.”
Rido, poi le indico il piatto. “Mangia, che si raffredda.”
Lei borbotta qualcosa, poi comincia ad addentare la sua porzione di ravioli. Shinichi ha ancora in braccio Conan, perciò decido di prendere il suo posto nel distrarre mio figlio. Mangiamo in allegria, ridiamo insieme senza curarci più dei problemi che ci circondano. Sonoko dice d’essere intenzionata a scoprire il grande segreto che nascondiamo io e lui, ma so per certo che non ci arriverà, come non ci è arrivata in dieci anni. Mi alzo e prendo la frutta, distribuendo una mela ciascuno. La mangiamo e volto lo sguardo alla mia amica.
“Verrai alla festa di papà, domenica?”
“Tuo padre da una festa...?” chiede, stupita. Anche Shinichi ha un’espressione strana in viso.
Sorrido. “Domenica compie cinquanta anni. Mia madre vorrebbe organizzargli una piccola festicciola. Ha dato a me il compito di spargere la voce tra parenti e amici.”
“Figo!” schiamazza lei. “E... dirai loro di...?” gira il volto verso il detective, allusiva.
Arrossisco leggermente, ma lancio un’occhiata a lui. “Vuoi venire tu?”
Shinichi deglutisce, mentre Sonoko osserva il tutto con fare malizioso. “Speriamo solo che la festa non si tramuti in omicidio.”
“Oddio... dovrai dire a tuo padre che hai una relazione con lui? Non vorrei essere nei tuoi panni!” ci prende in giro la mia amica, mentre io sbuffo e Shinichi ride appena.
“Non sono più una bambina. Capirà.”
Sonoko si alza, vira verso lui e gli da una pacca sulla spalla. “Goditi questi ultimi attimi di vita. Ti mancheranno.”
“Che esagerata”, sbuffo. “Mio padre non lo ucciderà di certo. Magari si arrabbierà un po’.”
“Si arrabbierà solo...?” chiede lei, con un sopracciglio inarcato.
“Ran, a proposito di uccidere...”, la voce dell’uomo che amo mi porta a guardarlo e lasciar andare le smorfie della mia amica. “...I biglietti? Tendo mi ha chiamato dicendo che ne era sbucato un altro.”
“Biglietti?” chiede Sonoko, rimettendosi a sedere. “Uccidere...?”
Io annuisco, mi alzo nello stesso momento in cui finisco di masticare uno spicchio di mela. Corro verso la camera da letto, raggiungendo un comodino ancora avvolto dalla carta in cellophan. Il biglietto che ieri Shirai mi fece leggere è ancora lì, appoggiato vicino ad una lampada ancora inscatolata. Lo prendo e fuggo verso la cucina, dove trovo Sonoko ancora intenta a spulciare un filo di verità a Shinichi. Lo salvo io, consegnandogli il foglietto con l’indovinello stampato sopra.
“Me l’avevi accennato se non sbaglio. Cosa sono?” chiede la mia amica, mentre noto il mio detective immergersi nella lettura del codice. So per certo che ne caverà qualcosa fuori, proprio come l’altro giorno.
“Biglietti anonimi. Arrivano a lavoro da Shirai da un paio di settimane. E lui ha ingaggiato Shinichi per decifrarli.”
Sonoko mi guarda come se avessi appena detto un’eresia. Ha gli occhi spalancati, ma improvvisamente si mette a ridere. “Cioè... è stato lui a farvi rincontrare? È stato lui stesso la causa di tutto?”
Guardo Shinichi e noto che non ci sta minimamente calcolando. Piuttosto sembra essere entrato in un mondo tutto suo, fatto di indovinelli e misteri. Sposto gli occhi su Sonoko e rilascio un debole sospiro.
“Be’, Shirai sapeva soltanto che lui era il mio amico d’infanzia. Nulla di più.”
“Ahia! Sarà una bella batosta per lui. Sapere di averti messo in contatto con quello con cui l’hai tradito...”
Abbasso gli occhi. I sensi di colpa stanno divorando per me la mia mela.
“Be’, io non posso nemmeno rivelargli tutta la verità. In realtà, io... l’avevo già... tradito...”
Sonoko si strozza quasi con il suo spicchio di pera. “COSA?!”
Deglutisco, e rilascio un’altra occhiata a Shinichi. È davvero immerso in qualche altro mondo: sembra non sentirci proprio. Ma sul suo bellissimo viso noto una vena di preoccupazione. Che stia risolvendo l’intricato puzzle di indovinelli?
“Lo so... non te l’ho detto.” Riprendo il discorso, mordendomi un labbro.
“Cosa non mi hai detto!?” chiede. Sembra impossessata.
“Io e lui...” indico con la testa il detective, per niente interessato alla discussione. “...l’anno scorso...”
“Aspetta! Un momento!” Sonoko sposta lo sguardo da me a Shinichi come indemoniata. “Ma da quanto dura questa cosa!?”
“Una settimana” rispondo, prontamente. “Però... non è stata la prima volta che io e lui...”, non riesco a completare la frase, dato che le fiamme ardono sul mio viso.
“E ti sei tenuta questo segreto dentro per tutto questo tempo?” mi rimbecca, avvicinandosi a me.
“Cosa avrei dovuto fare, secondo te?” imito il suo tono, sospirando.
“Parlarne con qualcuno, per esempio?”
“Ran...” mi chiama Shinichi, dalla voce rotta e fredda. Non mi guarda, ma il suo tono ha interrotto il diverbio fra me e Sonoko. Mi volto verso di lui, incuriosita, e penso che m’abbia bloccato per non rivelare qualcosa di troppo alla mia amica. Ma io non l’avrei mai fatto.
“Comunque è storia vecchia ormai.” Concludo, rivolgendomi a Sonoko con un sorriso.
Lei inarca un sopracciglio, non sembra soddisfatta.
“Ran...”
Adesso lui mi guarda. Ha gli occhi velati da un infinito senso di terrore.
“Che succede?”
“I biglietti.” Deglutisce mentre mi parla. “Sono per Tendo. Siete in pericolo: vogliono uccidere te e Conan.”
 
 
Chi ha mai provato la tachicardia? Quella sensazione di tremolio generale, accompagnato ad un battito accelerato ma debole allo stesso tempo, che ti priva di ogni forza che possiede il tuo corpo. È quello che sento io in questo momento, all’ascolto di questa notizia.
Shinichi si è alzato, è visibilmente agitato. Sonoko stenta a crederci: continua a chiedergli perché ritiene sia così. Lo vedo poggiare i pugni sulla tavola non ancora sparecchiata, e per un attimo apro le orecchie alla sua voce.
“I tre biglietti costituiscono una frase: Ucciderò Ran e tuo figlio.” Comincia a spiegare, guardandoli. Noi lo imitiamo. Prima che possa continuare, li rileggo velocemente, cercando di trovare un senso alle sue parole.
Ci mette davanti quello che parla degli stati e dei cartelli per i sordi.
“Come sospettavo, l’altro biglietto era strettamente correlato a questo.” Poggia l’indice sulle lettere, strisciandole con lentezza. “Incrocio le dita per scaramanzia quando vedo i cartelli per i sordi. Nel linguaggio dei segni, ovvero quello per i sordi, l’incrociare le dita, nel solito gesto scaramantico, è equivalente alla lettera R. Ora, il codice non può essere risolto se non ci si affida all’ultimo verso: Per fortuna che in Giappone non sembrano esserci. Parlando di lingua e linguaggi, è chiaro che si riferisca all’alfabeto. Dunque, continuando con l’indovinello: Non ne esistono? Eppure, io, in Italia, li ho visti 16 volte. In Italia, ovvero... nell’alfabeto italiano, qual è la sedicesima lettera? La R. Il non esistono è una conferma della lettera precedente. Inoltre: Una volta sola mi basta per quelli inglesi. La prima lettera dell’alfabeto inglese è la A. Il peggio è con quelli grechi: 13 volte, prima che io possa capire. L’alfabeto greco... la tredicesima lettera è la N. Unisci, e ottieni... RAN.”
Io e Sonoko strabuzziamo le palpebre, ma lasciamo che lui prosegua con la spiegazione. Shinichi prende l’altro biglietto, quello delle stelle e dei sogni, e fa la medesima cosa.
“Questo messaggio è strettamente legato al precedente, lo conferma la E iniziale. Dunque, il mistero dell’enigma si basa sull’ultima frase. Una stella a cinque punte ti illumina ed oscura per te ciò che non dovresti vedere. Se, partendo dalle E iniziale, saltiamo 5 parole, ovvero le cinque punte, ed ignoriamo ciò che non serve, ne esce fuori: E smettila di giocare sognatore, il tuo cervello ti porterà alla realtà. Figlio, guarda, il gioco finisce ora. Il gioco finisce ora, quindi lì si conclude. La frase subliminale è chiara: Ucciderò Ran e tuo figlio.”
“Ma... chi può essere tanto crudele?” chiede la mia amica, mentre io sono ancora persa nei meandri delle mie paure. Chi è che vuole far del male al mio bambino? Non m’importa molto di me, no. Ma chi è che può avercela con una creatura così innocente, così dolce ed indifesa?
Shinichi mi raggiunge e mi mette le mani sulle spalle.
“Stammi bene a sentire. Ultimamente... è successo qualcosa di strano?”
“Io... non... non lo so.”
“Ran, per favore! Pensa!”
Chiudo gli occhi, ripensando alle ultime settimane come se fossero un film velocizzato proiettato nella mia mente. Shinichi...Conan...Shirai...Mamma...Sonoko...la palla...papà...l’agenzia...e...
“Non so se può essere rilevante...” sospiro, riaprendo gli occhi.
“Tutto è rilevante!” rimbecca lui, agitato. “Parla!”
“L’altro giorno... io e Shirai sentimmo un rumore provenire dalla camera da letto. Quando andammo a vedere notai che la finestra era aperta, e che uno scatolo era a terra. Ma non credo che...”
“Uno scatolo!?” chiede Shinichi, stringendo più forte le dita sulle mie spalle. Poi indietreggia e vira verso gli scatoloni che affollano casa mia. Quelli che avrei già dovuto svuotare, da più di una settimana.
Lo vedo frugarci dentro, e ciò mi insospettisce. Ma quando lo vedo estrarne fuori una piccola videocamera nera, il mio cuore perde un battito. Shinichi la stringe in pugno e la distrugge, ma non si ferma. Nel giro di dieci minuti, porta all’esterno altre quattro cinque videocamere. Le rompe tutte.
“Ma che scherzo è questo?” chiedo, mentre Sonoko struscia con le mani il suo viso, incredula.
“Eri spiata! Eravate spiati!” urla Shinichi, dagli occhi infuocati. Mi fissa e noto nel suo volto preoccupazione seria, che mai sono riuscita a scorgere.
“Come ho fatto a non capirlo prima...” abbassa il capo, annunciando un tono fin troppo rammaricato. Non è certo colpa sua se qualche pazzo ha preso di mira me e Conan, e magari anche Shirai! Neanche a pensarlo, che il mio quasi marito si fa spazio in casa. Non avevo sentito la porta aprirsi, né i suoi passi avvicinarsi. Ci guarda tutti un po’ spaesato, poi inarca un sopracciglio: “C’è una vecchia riunione di liceo in corso?”
Shinichi non bada alla sua frase, ma si affretta a raggiungerlo.
“Senti, Tendo, i biglietti sono per te!” Spiega lui quello che significano e perché, con la stessa accuratezza di prima, senza tralasciare il problema delle telecamere. “Ran e il bambino sono in pericolo!”
“Ma... com’è possibile? Non ho nemici mortali io.” Replica Shirai, cominciando a preoccuparsi. Noto che sta sudando, perché delle gocce d’acqua gli cadono lungo la fronte e le tempie.
“Non so chi possa essere, ma è il momento di attivare i neuroni. Mi devi dire tutto quello che sai, così potrò cercare di scoprire chi è il colpevole. È importante, potrebbe essere un pazzo!”
Si guardano profondamente per qualche attimo, poi Shirai si volta verso di me.
“Perché non andiamo via di qui? L’assassino non può trovarci! Sei d’accordo con me, vero, Ran?” mi chiede, spingendomi a deglutire. Sono imbarazzata. Vorrei affidarmi pienamente a Shinichi, credo in lui e mi fido di lui, ma come faccio a dirlo a Shirai? Avrei anche dovuto parlargli, ma come posso farlo adesso?
Socchiudo gli occhi e mi volto verso Shinichi. “Tu che vorresti fare?”
“Penso che sia giusto che veniate messi sotto custodia dalla polizia. Parlerò io con l’ispettore Megure, sono sicuro che capirà. Nel frattempo ho bisogno di tutte le informazioni possibili.”
“Sotto custodia?”, Shirai sembra stizzito. “Come i criminali?”
Shinichi si avvicina e lo fissa negli occhi con tenacia. “Forse non hai capito che c’è qualcuno che ha voglia di uccidere la tua famiglia!”
“Sì, ma se noi scappassimo nel frattempo, daremo alla polizia la possibilità d’agire...”
“No!” urla il detective. “In questo momento, questo pazzo, potrebbe star controllando le vostre mosse. Ha messo già diverse videocamere, chi ci conferma che non ha posizionato qualche rilevatore gps nella tua auto?”
Shirai sorride, annuisce, concorde. “Be’, allora dammi le chiavi della tua.”
“Eh?” Shinichi sembra sorpreso, proprio quanto me e Sonoko.
“Andremo tutti e tre in un posto stabilito, lì verremmo scortati dai poliziotti e aspetteremo che il criminale venga preso. Ci stai ad aiutarci?”
Il detective manda giù saliva e aria, poi annuisce, debolmente. “Ok.”
“Bene. Ran, prepara un po’ di roba da portare... cibo, bevande e vestiti. Io intanto chiamo la polizia.”
Annuisco e, dopo aver dato un’occhiata a Shinichi, viro verso la porta della mia camera. Quando tutto sembrava risolto, quando tutto pareva accelerare e filare liscio, interviene qualcosa a distruggere quel po’ di tranquillità che ho agognato. Recupero qualche maglietta e dei pantaloni, ma mi curo più di Conan che di me e Shirai. Prendo tutto ciò che può servirgli per stare bene, medicine comprese, e getto tutto in una borsa abbastanza capiente, con la tracolla. Torno in salotto e mi scontro con Sonoko, che mi abbraccia e quasi mi soffoca.
“Ti prego. Sta’ attenta. Chiamami.”
Annuisco, ricambiando la stretta. “Non preoccuparti.”
Ci lasciamo andare e noto che ha le lacrime agli occhi. Le do un bacio sulla guancia e provo a rincuorarla, sebbene ci sia bisogno di qualcuno che sollevi me di morale.
Shirai mi viene incontro, ma la mia attenzione è alle sue spalle: Shinichi mi guarda da lontano, consapevole di poter fare poco o nulla. Ha gli occhi fissi su me e il mio quasi marito, con l’espressione di chi si rende conto d’essere di troppo. Perché questo è un problema nostro, un problema della mia famiglia. E lui, per quanto mi dispiaccia e mi faccia male, non c’entra.
“Abbiamo chiamato la polizia, arriveranno tra circa mezz’ora al luogo stabilito.”
“Dov’è?” Chiedo, osservandolo.
“È la mia villa in campagna, Ran. Quella che ha comprato da poco mio padre” si intromette nella discussione la mia amica. “Credo che sia abbastanza sicura, nessuno ne è a conoscenza.”
“Grazie, davvero.”
“Di nulla, amica mia.”
Io annuisco, mentre Shirai prende il borsone e si infila la tracolla. Raggiungo Conan e lo prendo in braccio, Shinichi afferra il suo passeggino. Mi lancia una breve occhiata che vale più di mille parole. Ci accompagna alla sua auto, in cui avevo già viaggiato giorni fa, e porge le chiavi al mio compagno. Shirai si mette al posto guida ed io lo affianco, con ancora il mio piccolo tra le braccia. Il mio detective mi guarda ancora, poi si appoggia al finestrino con i gomiti, e vira il volto verso lui: “Sta’ attento. Il tempo non predice nulla di buono.”
Guardo il cielo, è colorato di grigio scuro. Ha proprio ragione.
Shirai struscia le mani sul volante: “Be’, il tuo suv è previsto anche di catene. Non avremo problemi.”
Shinichi annuisce con debolezza, quasi distratto e confuso dalle sue parole, poi mi lancia un’ultima occhiata. “Ciao, Ran.”
Gli sorrido, debolmente. “Ciao, Shinichi.”
Shirai chiude il finestrino e parte, lasciando lui indietro. Lui, che girandomi a guardarlo, sta ancora lì, fisso, a vedermi andare via. Lui che, per la prima volta, non ha nulla a che fare con ciò che mi sta accadendo.
Guardo il mio quasi marito, osservandolo aprire una bottiglietta d’acqua che ha portato da casa. La mette alla bocca, ma prima di berla, mi fissa.
“Che c’è? Hai sete anche tu?”
Sospiro. Questo non è il momento per parlare. “Sì” fingo.
Trangugio un po’ d’acqua e stringo forte a me Conan, mentre appoggio il capo al poggiatesta dell’auto comoda e confortante di Shinichi. Qui dentro c’è impregnato il suo profumo, che inspiro a più non posso. Nessuno può capire quanto lo amo, forse solo quel cielo grigio e tetro ha la vera risposta. Sembra essere in pena per noi. Ed imbambolandomi a guardarlo scorrere davanti a me, divenire sempre più nero e sconfortante oltre il vetro del finestrino scuro dell’auto, avverto le forze abbandonarmi.
“Ran, prima che ti addormenti...” sento la voce di Shirai lontana, ma è talmente gelida, fredda e sicura da scuotermi ad ascoltarlo. “Dimmi un po’... secondo te...”
Man mano socchiudo gli occhi.
Quanto ci impiegherà l’amore tuo a capire che i biglietti non erano per me... ma per lui?
Un secondo di puro oblio. Poi le forze mi abbandonano, e il suo ghigno sfuma. Mi lascio andare in un mondo tutto mio, quello dove io e Shinichi siamo felici.

 
 
 
 
 
Ebbene sì, siamo al penultimo! ç__ç La settimana prossima ci saluteremo per vederci chissà fra quanto! Però per il momento basta piagnistei ed occupiamoci del chap, che porta alla luce tutti (quasi) i misteri nascosti! Abbiamo scoperto il senso dei biglietti, e quindi abbiamo uno Shinichi preoccupato... eppure le cose non sembrano stare come dice lui. Sebbene nel flashback d'addio, Ran dica all'amico che il figlio è di Shirai... l'autrice le ha voluto fare un regalino 3:) E va be' che si sapeva che Conan piccino fosse figlio di Conan grande alias Shinichi Kudo... però ho tentato comunque di sdeviarvi xD 
Adesso Shirai è con Ran e col bambino, nella macchina di Kudo.... cosa starà tentando di fare? A voi i commenti! xD
Vi lascio lo spoiler dell'ultimo chap, e vi dico che ci rivediamo, per l'ultima volta, il 7 ottobre.



Spoiler #9 Il mio fratellino
“L’ho scoperto solo qualche giorno fa, questo... però adesso andiamo per ordine: due settimane fa ottenni il nome. Ed era anche familiare dato che il signorino era abbastanza famoso per via del suo mestiere. Lì mi venne l’idea di incastrarlo. Non ero sicuro di quello che sospettavo, ma dovevo provare... volevo sapere.”
“Ecco perché non hai chiamato mio padre.” Lo interrompo per un attimo, senza più fiato. Non avrebbe avuto senso il contrario: adesso capisco. Ma lui sembra non ascoltarmi, e prosegue: “Realizzai tre indovinelli che lui avrebbe dovuto decifrare, e posizionai in casa telecamere negli scatoloni per spiarvi mentre io non c’ero. Immagina la mia faccia nel vederti...” ride, sarcastico. “...scopare con lui... solo due giorni dopo averlo chiamato. Eri tutta sciolta con lui, e con me eri un pezzo di legno. Cravatte in aria e vestiti scombinati... mi hai preso per idiota, forse? Però diciamocelo, abbiamo fatto tutti la nostra parte. Quindi... complimenti, Ran, complimenti vivissimi. Sei un’ottima attrice.” Mi prende in giro, mentre le mie labbra si seccano dal terrore.

 

Baci,
Tonia

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Capitolo 9
*** Il mio fratellino ***


#9 Il mio fratellino
 
Un inteso odore di metallo mi sale dalle narici, destandomi da un profondo e lungo sonno. Ho la testa che sembra un macigno che non fa altro che girare intorno ad un punto, mentre il corpo è fermo, quasi legato. Apro le palpebre con lentezza, stanche ed intontite dalla dormita. Intorno a me si schiarisce una stanza: è scarna, tetra e decisamente fredda, con un tavolo, qualche sedia e alcuni mobili abbastanza vecchi. Una lampadina collegata al soffitto senza lampadario illumina con distacco l’ambiente, e permette che le mie pupille si abituino man mano. Una porta di legno scadente e usurata di fronte a me lascia spazio a qualche filo di luce proveniente dall’esterno. Il rumore della pioggia batte sulle imposte in vetro, accompagnato da un fastidioso sibilo del vento. Quando la mia testa smette di girare e comincia a ragionare, mi rendo conto che la sensazione d’essere legata non era soltanto percezione. Istintivamente guardo in basso: il mio corpo è stretto ad una sedia con dei grossi lacci che mi bloccano le mani dietro la schiena. Non riesco a muovermi. Comincio a dimenarmi nella vana speranza di liberarmi, ma non faccio altro che far scricchiolare la sedia. L’ansia mi assale, mentre l’assurdità del momento mi mangia, spingendomi a chiedere cosa stia accadendo. Guardo ai miei lati e non c’è nessuno. Né Shirai, né il mio piccolo Conan.
“Shirai!?” Lo chiamo, in preda al panico. Ho il cuore che mi batte all’impazzata. Questa non è villa Suzuki, è impossibile. “Shirai?! Conan!?”
Alcuni passi giungono con tormentosa lentezza da un corridoio alla mia destra. Respiro a fatica, ma i polmoni si riaprono nel vedere entrare il mio quasi marito.
“Shirai! Ma cos’è successo?! Dove siamo? Dov’è il bambino?!”
“Finalmente ti sei svegliata.” Dice lui, con tono freddo e calmo. Io trattengo un gemito, mentre lo fisso con incredulità. I suoi occhi sono inquietanti: profondi e penetranti, sembrano perforarmi l’anima.
“Shirai... ma che...?”
Lui sorride crudele, e rimembra in me le sue ultime parole.
“Ran, prima che ti addormenti...” avverto la voce di Shirai lontana, ma è talmente gelida, fredda e sicura da scuotermi ad ascoltarlo. “Dimmi un po’... secondo te...”
Man mano socchiudo gli occhi.
“Quanto ci impiegherà l’amore tuo a capire che i biglietti non erano per me... ma per lui?”
“C-cosa?”, il mio tono di voce lascia trasparire tutta l’incredulità che vive in me in questo momento. Ignoro cosa stia accadendo, ignoro perché stia accadendo.
Lui ride adesso, ride sempre più sadico.
“Sono io il mittente dei biglietti anonimi.”
Non riesco a recuperare un respiro normale. Il cuore mi fa male tanto veloce è.
“Ma... ma cosa stai dicendo, Shirai? Se è uno scherzo non è divertente!”, mi guardo il corpo e torno ad osservare lui. “Liberami! Che aspetti?”
Lui sbuffa, scuotendo il capo a destra e a sinistra. Si stacca, lasciandomi andare il mento.
“Ma allora non capisci? Sei scema, per caso? O sei solo capace di scopare con lui, eh?”
Non credo alle mie orecchie. Lui sa? Shirai mi si avvicina di nuovo, ma la sua espressione è del tutto cambiata. Non sembra più divertirsi, adesso ha contratto i muscoli del viso per la rabbia e la frustrazione. Ho l’impressione che non sia uno scherzo.
“Shirai... tu...”
Lui mi stringe di nuovo il mento, ma adesso con molta più forza di prima. “Pensavi che non me ne accorgessi? Credevi che non notassi il tuo arrossire costantemente nel vederlo? Eri davvero convinta che non scoprissi nulla... di voi?”
I miei occhi sono imprigionati nel suo sguardo oscuro. “Come... come hai fatto...”
“Lui non è il solo a saper indagare, sai?” dice, lasciandomi andare ed indietreggiando. “Ma ammetto di non aver mai sospettato di niente fino ad un mese fa. Fin quando tuo figlio non era sul punto di morire, in quell’ospedale, un mese fa.”
Lo guardo imperterrita, incapace a dire niente.
“Ero stravolto per via di Conan. Così, un bel giorno, vado a chiedere all’infermiera se il problema potesse essere genetico. Lei mi rimanda da un dottore. L’uomo mi dice che non dipende dal DNA, ma fa comunque parecchie domande su di me, su di te e sul concepimento. E sai cosa mi rivelò? Che per lui quello non era un feto di otto mesi, perché lui ne aveva visti e ne capiva.”
“Che vuoi dire?” gli domando, sempre più spaesata.
“Che per lui era un feto di nove mesi, ed anche abbondanti. Be’, diciamo che la notizia all’inizio non mi toccò più di tanto. Poi nei giorni a seguire ragionai: vuoi vedere che il bimbo non era nato prematuro, ma piuttosto, era stato davvero concepito prima? Plausibile, certo. Peccato che, nove mesi prima, io fossi in Hokkaido per lavoro.”
Deglutisco, ripensando per un attimo a quel Natale. È vero.
Lui mi si avvicina di nuovo, mi prende il mento e me lo stringe.
“E ciò equivaleva a credere che tu mi avessi tradito, e non ti fossi nemmeno resa conto di quanto fosse successo. Quel pensiero mi snervò per circa due giorni. Poi decisi: feci fare l’analisi del DNA tra me e il bimbo, tenendoti all’oscuro di tutto.” Ho il fiato sospeso. “Indovina? Era negativo.”
Il mio cuore si ferma d’un botto. Shirai mi ha appena dato la notizia più importante della mia vita. Non ero incinta di lui, ma di Shinichi. Di Shinichi. Conan è figlio di Shinichi.
“Conan è figlio di... di Shinichi?” lo ripeto a voce alta, per convincermene meglio anche io.
Finisco per qualche attimo in un mondo tutto mio. Nel mondo che avevo sperato e sognato da adolescente, e per qualche istante mi vedo vivere in pace con lui e nostro figlio. Poi la mano di Shirai mi riporta alla realtà, stretta più che mai.
“Sapevo che non eri a conoscenza della realtà. Ed io ho deciso di tenertela bene nascosta.”
“Il giorno in cui Sonoko ti vide dare quel calcio...” sussurro, guardandolo, ripensando alle parole della mia amica qualche ora fa.
“...avevo appena scoperto che tu mi avevi messo un bel paio di corna. Il bello era che non avevo la minima idea chi fosse il bastardo con cui mi avevi tradito. Tu non mi avevi mai dato alito di sospettare.”
Inspiro forte, imponendomi la calma.
“Così, io... sono impazzito. Dovevo scoprire chi fosse il padre del bimbo. Odiavo te, odiavo quel moccioso ed odiavo questo fantomatico uomo. Ti dicevo d’essere a lavoro, lo so, ma in realtà indagavo sulla tua vita, sul tuo passato, suoi tuoi amici. In preda alla disperazione, mi aggrappai all’unico ricordo che potesse servirmi a sciogliere la matassa: il misterioso ragazzo per cui avevi sofferto anni prima, di cui mai mi hai voluto rivelare il nome.” Spiega tutto con terrorizzante chiarezza. “Faticai per trovare alcuni tuoi amici del liceo, ma non realizzai nulla. Decisi di andare al Teitan a chiedere notizie riguardo la tua classe. La segretaria mi fece vedere solo l’elenco. In quell’elenco, notai il nome dell’amico d’infanzia di cui qualche volta avevo sentito parlare da te, in quel modo tanto sofferto quanto distratto: Shinichi Kudo. E mi si accese una bella luce: perché questo grande e caro amico, io non l’avevo mai visto?”
Deglutisco nervosismo. Ho gli occhi sbarrati fissi su di lui, ma non potrei fare altrimenti. Shirai continua a mantenermi il mento, ed io non posso muovermi di un millimetro.
“L’ho scoperto solo qualche giorno fa, questo... però adesso andiamo per ordine: due settimane fa ottenni il nome. Ed era anche familiare dato che il signorino era abbastanza famoso per via del suo mestiere. Lì mi venne l’idea di incastrarlo. Non ero sicuro di quello che sospettavo, ma dovevo provare... volevo sapere.”
“Ecco perché non hai chiamato mio padre.” Lo interrompo per un attimo, senza più fiato. Non avrebbe avuto senso il contrario: adesso capisco. Ma lui sembra non ascoltarmi, e prosegue: “Realizzai tre indovinelli che lui avrebbe dovuto decifrare, e posizionai in casa telecamere negli scatoloni per spiarvi mentre io non c’ero. Immagina la mia faccia nel vederti...” ride, sarcastico. “...scopare con lui... solo due giorni dopo averlo chiamato. Eri tutta sciolta con lui, e con me eri un pezzo di legno. Cravatte in aria e vestiti scombinati... mi hai preso per idiota, forse? Però diciamocelo, abbiamo fatto tutti la nostra parte. Quindi... complimenti, Ran, complimenti vivissimi. Sei un’ottima attirce.” Mi prende in giro, mentre le mie labbra si seccano dal terrore.
“Shirai...”
Lui mi blocca, e aggiunge: “Ma, aspetta... senti, senti... la parte più bella fu quando lui disse «l’hai chiamato come me?» e poi ripeté «Ovviamente non c’entra nulla che per dieci anni hai avuto un Conan in casa tua, e quel Conan ero io.»”
Allarga la bocca, simulando una faccia sorpresa. Io chiudo le palpebre: l’ha scoperto.
“Rivelazione delle rivelazioni! Quel ragazzino saccente che mai avevo sopportato in vita mia, era lui! E allora si spiegava tutto, anche quegl’atteggiamenti nei tuoi confronti...non proprio da fratello, diciamocelo. Non mi interrogai su come fosse possibile, ma piuttosto pensai ad un’altra cosa: avevi avuto il coraggio di mentirmi anche sul nome di quello che credevi fosse nostro figlio, chiamandolo come? Come lui! Non ti offendi se ti dico che mi fai schifo, vero?” urla adesso, gonfiando una vena sul suo collo, che pulsa con violenza e preoccupazione.
“Shirai... quello che è successo tra me e Shinichi è molto più complicato...Io...” provo, ma lui mi blocca.
“Zitta!” urla, infuriato. Poi continua: “Era il momento di far entrare in scena i biglietti. Il bello è che li avevo ingegnati in modo che si riferissero sia a lui che a me. Ovviamente lui avrebbe dovuto credere che erano rivolti a me, dato che era ignaro d’essere padre, e dunque avrebbe dovuto lasciarti andare per salvarti. La ciliegina sulla torta è stato inventare uno sconosciuto che possa essere entrato in casa nostra e gettato scatoli a terra. In realtà ero sempre io, sai? mi serviva per depistarvi. Certo, ammetto di esser rimasto strabiliato quando ha risolto il primo in cinque secondi. C’avevo messo ore per pensarlo. Però sapevo che il pezzo forte, quello contenente la parola RAN, sarebbe dovuto uscire per ultimo. Così è stato. Ho aspettavo il giorno che lo risolvesse, poi sono corso a casa di fretta. Non volevo che capisse il trucco. Ed il mio piano è andato liscio come l’olio.”
“Shirai...”, ho le lacrime agli occhi, ma lui non sembra per nulla scosso dalla mia inquietudine. “Lo so... so di aver sbagliato. So di averti mentito, ma davvero... non ho mai avuto intenzione di farti soffrire...io...”
“Non hai mai avuto intenzione?” scimmiotta le mie parole, schernendomi. “Non ti sei fatta scrupoli nell’andarci a letto, per favore! Né un anno fa, né adesso!”
“Io... io ho provato a resistere... ma...”, singhiozzo, spezzando il periodo in più punti. “...non volevo... non volevo assolutamente mancarti di... di rispetto...”
“L’hai fatto!” replica, in un misto di acidità e rabbia. “Hai accettato di sposarmi, sebbene amassi un altro! Perché?!”
“Perché credevo d’essere incinta di te! Non volevo privare a nostro figlio una vita serena, volevo solo il meglio per lui. E... e inoltre... inoltre ero convinta che tra me e Shinichi non ci potesse mai essere nulla di serio. Io...”
“E per lui hai deciso di prendere in giro me! Be’, grazie...”
“No, Shirai... io ti voglio bene, davvero tanto... non avrei mai voluto arrivare a tanto...”
“Bene... non è abbastanza.” Replica, storcendo le labbra in una brutta smorfia. Poi si allontana da me, indietreggia e sparisce di nuovo verso quel corridoio. Fa ritorno due secondi dopo, con in braccio il mio bambino. Sussulto nel vedere Conan, già piagnucolante tra le sue braccia.
“Conan!” Lo chiamo, cercando di liberarmi. “Ti prego, Shirai! Non fare pazzie!”
“Pagherai per i tuoi errori. Dovrai soffrire quanto hai fatto soffrire me!”
“No, Shirai!” urlo di nuovo, ma lui pare non sentirmi o non volermi sentire. Fatto sta che appoggia Conan sul tavolo di legno, lasciando che si contorci su se stesso e non smetta un secondo di piangere. Si avvicina ad un mobiletto e ne estrae fuori un coltello, dalla lama affilatissima. Il fiato mi si mozza in gola, mentre le lacrime scendono copiose sul mio viso. “Shirai!? Che hai intenzione di fare!? Lascia stare Conan! Shirai!”
Si volta verso di me e mi mostra i suoi occhi lucidi e rossi di ira. “Come hai potuto?”
“Non prendertela con Conan, per favore...” stringo i denti mentre penso ad un modo per liberarmi.
“Lui non c’entra. Che male ha fatto? Per favore. È solo un bambino!” La persona con cui domani avrei dovuto firmare la certificazione del nostro matrimonio è totalmente fuori di sé. So che lui non vorrebbe, che è soltanto spinto da un impulso omicida dettato da rabbia, rancore e dolore, ma il suo stato d’animo è tutt’altro che innocuo. Devo cercare di fermarlo, di prendere tempo. Shinichi potrebbe venirci a salvare, se solo capisse come stanno le cose...
Shinichi...
Al suono del suo nome nella mia mente l’anima mi si squarcia in due. Perché deve sempre andare a finire così? Perché ogni volta che abbiamo la possibilità di stare davvero insieme, succede qualcosa che ce lo impedisce?
“Peccato, sai... peccato che il tuo amico d’infanzia non possa godersi la paternità. Chissà quando capirà come stanno realmente le cose, e quando riuscirà a trovarci...”
“Trovarci?” balbetto, cogliendo a volo l’occasione di prendere tempo. “Dove siamo, perché?”
Lui ride, sadico, mentre affila la lama del coltello. “In un luogo abbastanza lontano da lui, e sconosciuto anche a te. L’acqua che hai bevuto in auto era alterata sai: c’era un sonnifero dentro.”
Strabuzzo gli occhi.
“Non potevo permettermi che lo avvisassi del cambio di rotta.” Risponde con tranquillità, mentre si avvicina con la lama splendente del coltello verso di me.
“Shirai... non farlo. Ragiona. Ti prego.”
“Zitta, zitta... non ti sopporto...” stringe i pugni, attorcigliando le dita della mano destra intorno al manico grigio in ferro lavorato del coltello.
“S-Shirai...”
“Zitta...” lo soffia appena, sputando fuori saliva velenosa. “Che delusione che sei...”
“T-ti prego! Vuoi passare il resto della tua vita in prigione? La polizia... Shinichi... ti troverà... ci troveranno!”
“Lui non potrà trovarmi!” urla, terrorizzandomi. Poi inarca le labbra in un altro sorriso, sfumato di ironia: “...non adesso che gli ho rubato l’auto...”
“L’hai... l’hai fatto apposta?”, ripenso allo sguardo preoccupato del mio amico d’infanzia di qualche ora fa, alle sue premure nei miei confronti e alla sua instancabile voglia di proteggermi.
“Devi solo... solo dirmi perché. Perché hai scelto lui, e non me.”
Deglutisco, fissandolo e annullando per un po’ il mondo intorno a me. “Non lo so. Non c’è un motivo.”
Nelle mie orecchie risuona la voce di Shinichi, che mi chiede dev’esserci per forza un motivo? E  mi rendo conto di capire solo adesso cosa intendesse dire.
Il mio ex compagno impiega parecchio tempo a reagire.
“E allora non so nemmeno io perché voglio ucciderti.” Dopo un silenzio di trenta secondi, abbassa il viso, e lancia il coltello verso di me. Ma non ha il tempo necessario per continuare, che la lampadina appesa e traballante si frantuma, improvvisamente, lasciandoci al buio totale. Le mie orecchie recepiscono un rumore di sfondamento, che apre la via alla luce di fronte a noi. Da quel fascio, una figura in penombra corre verso di me. Si fionda su Shirai, catapultandolo a terra e bloccandogli gli arti. Nel misto di buio e luce, due occhi azzurri si fanno spazio nell’ambiente. Li riconosco all’istante.
“Shinichi!”
Shirai lotta per liberarsi, si dimena contro il corpo del mio amico. Vedo il coltello volare in aria, e temo che possa colpirlo e fargli del male, ma rilascio un sospiro di sollievo nel vederlo giungere abbastanza lontano da non poter più essere utilizzato come arma. Il castano afferra il detective per il colletto, lo strattona e gli tira un pugno in pieno viso. Io sussulto, gemendo. Shinichi cerca di liberarsi, fa forza sulle braccia per allontanarlo, ma riceve un calcio nello stinco. Stringe i denti e, approfittando della momentanea distrazione dell’altro, riesce a ricambiargli il piacere: la mano del moretto vola sull’altro volto, permettendogli di tornare all’in piedi. Ma nemmeno Shirai si da per vinto: sorreggendosi il labbro, si fionda di nuovo verso di lui. Shinichi cerca di ripararsi con le braccia che si arrossano a furia di colpi e pugni, ma Shirai riesce a farlo cadere a terra di nuovo. Dalla sua sinistra afferra il coltello di prima, lo alza in volo con forza.
“NO!” urlo con tutto il fiato che ho in corpo, cercando di liberarmi da queste funi che mi legano. Riesco a rotolarmi a terra, e ad avvicinarmi a dei pezzi di vetro rotti. La lama dell’arma si infilza sul parquet malandato della villetta in cui ci troviamo, Shinichi trattiene la sua mano su quella di Shirai, lo spintona con l’altra e lo allontana. Entrambi si rimettono all’in piedi.
“Brutto sudicio figlio di puttana!”, il mio quasi marito trascina via il sangue che gli cola da un labbro. “Gente come te dovrebbero mandarla al patibolo! Come cazzo hai fatto a trovarci?!”
Shinichi sorride. “Hai detto «l tuo suv è previsto anche di catene. Non avremo problemi» poco prima di andartene. Adesso spiegami a cosa ti sarebbero servite le catene, se la villa di Sonoko è in campagna. Ti sei tradito con le tue stesse parole, ma soprattutto con i tuoi stessi gesti. Sulla mia auto vi è un dispositivo GPS, è stato facilissimo per me arrivare a te.”
“È incredibile. Riesci sempre a soffiarmi tutto.” Shirai scoppia a ridere e si circonda di un’aura minacciosa e sadica. “Ma adesso sono io quello che ti priverà di tutto.” I suoi occhi rimpiccioliscono, si caricano di un odio profondo e represso. Le sue sopracciglia si aggrottano, la pelle si tira e si colora di rosso.
“Tu sei solo mezzo matto, Tendo.” Replica Shinichi.
Io striscio sino a dove mi è possibile recuperare un po’ di vetro: con le mani lo capovolgo e cerco di segare la fune. È tutto più difficile del previsto.
“Ma sono anche...” aggiunge Shirai, e con un sorriso diabolico si apre il giubbotto e ne infila la mano dentro. Ne estrae un pugnale, molto più grosso dell’altro coltello, e decisamente più pericoloso. “...quello armato.”
Sussulto, mentre sfrego sempre di più la seghettatura del vetro vicino alla fune. Shinichi stringe i denti, mentre lo vede lanciarsi su di lui, con la punta del pugnale verso il suo petto. Il detective la schiva, con il gomito lo induce ad abbassare il braccio e a perdere il controllo dell’arma. Questa rotola qualche metro distante, fermandosi sotto il tavolo. Sopra, vi è Conan che piange.
Shirai tenta di riappropriarsene, ma Shinichi lo trattiene per le caviglie, lo avvicina a lui e gli si avvinghia al collo.
“Ragiona, imbecille!” Gli dice, mentre la mia fune sembra sempre più allentata. “Cerca di calmarti e pensa alla tua vita! È giusto rovinarla così... con dei tentati omicidi?”
Shirai tenta di liberarsi, e si dimena sotto la stretta di Shinichi. Si sforza, ma per quanto ci provi, il detective sembra avere il suo corpo sotto controllo. Come se l’avesse legato a mille funi.
“Mi fate schifo!”
“Capisco il dolore e il rancore. Ma se Ran si è fidanzata con te tempo fa, un motivo ci sarà. Non sei un assassino, Tendo, sei solo accecato dall’odio.”
“Se tu ti fossi fatto i cazzi tuoi, tutto sarebbe andato diversamente!” sbraita Shirai. “Se il figlio fosse stato mio, avrei anche avuto un motivo per vivere. Ma tu mi hai tolto tutto!”
Shinichi deglutisce, poi allarga con lentezza le palpebre. Mi guarda, poi posa gli occhi sul tavolo. Per qualche istante tutti si fermano, anche il tempo. Poi la scena riprende colore, Shinichi perde la stretta sul corpo di Shirai. Mio marito riesce ad alzarsi, raggiunge il pugnale sotto il tavolo e afferra Conan. Glielo punta contro. Il mio bambino piange, si smuove con le manine qua e là. I miei occhi sgranano:
“Giuro che lo uccido” lo sento dire.
“NO!” urla Shinichi, mentre le mie dita si liberano finalmente di quella morsa fastidiosa. Lascio scivolare le gambe fuori dalle funi, mi alzo e raggiungo Shirai. Lui nemmeno si accorge di me, e della sedia a cui ero legata, che gli si rompe in testa. Perde la presa su Conan, che precipita insieme a lui verso il basso; Shinichi lo afferra e lo attrae a sé. Shirai sbatte al pavimento, socchiudendo gli occhi.
Passa qualche secondo di sgomento, di paura, senza cognizione del momento.
“Stai bene?” Sento la voce di Shinichi muoversi echeggiante nella casa, con paura e stanchezza. Lo vedo respirare a fatica, come appena di ritorno da una maratona universale.
Annuisco semplicemente, lasciando cadere a terra la sedia ormai distrutta.
“Non ti ha fatto nulla?” mi domanda, quasi sussurrandolo. “Prima che arrivassi io?”
Scuoto un po’ i polsi nel tentativo di far scorrere meglio il sangue nelle mie mani, e prendo a sospirare, ancora un po’ scossa. Sposto lo sguardo su Shirai: è ancora steso a terra.
“No. Nulla.”
“...E al bambino?” chiede, ed io noto in lui una nota di nervosismo mista ad imbarazzo.
Scuoto il capo, arrossendo leggermente. “Shinichi...”
Lui mi sorride e, a suo modo, mi zittisce.
“Non c’è bisogno di spiegare nulla.” Mi fa l’occhiolino, sfiorandomi il polso. Al suo tocco, il braccialetto col ciondolo luccicante tintinna sulla mia pelle. Come a volerci marchiare, come a dirci che, nonostante tutto, siamo sempre stati infiniti.
Portiamo gli occhi su Conan, arrampicato sulla spalla di suo padre. Quello vero. Nostro figlio ci guarda, stende le manine verso di noi. Finalmente non piange più. Schiamazza come solo lui sa fare, si contorce e mi invita a raggiungerli. Ci sorride, sembra dirci “sciocchi... avevo già capito tutto, io”.
 
 
 
“Ma dove ti ha portato? E tu non te ne sei accorta? Ti ha legato? cioè, e alla fine voleva uccidervi!?”
Sospiro, mentre spingo uno scatolo all’interno dell’ascensore. Un altro, più piccolo, lo poggio su quello dove ho riposto tutti i miei libri e le mie fotografie. Gli affianco vicino le due valigie con i miei vestiti, e quella più piccola che funge da beauty case e trucchi generali. Sonoko ha in braccio il mio tesoro, gioioso e pimpante come sempre, che trattiene tra le mani la pallina che lei gli ha regalato qualche giorno fa. Le porte si chiudono con lentezza, e la voce della mia amica non smette di torturarmi.
“E il padre di questa meraviglia sarebbe Mr Sotuttoio?! E lui lo sapeva!?”
Dall’ingresso principale del palazzo dove abitavo, fino a tre giorni fa con Shirai, spunta Shinichi. La sua voce mi strappa un sorriso.
“Mr Sotuttoio avrebbe un nome.” Dice, seccato, mentre si avvicina a noi. Afferra uno scatolo con una mano e la valigia con l’altra, ricevendo un’occhiata truce e maligna da parte di mio padre: “Preferisci Mr Porta-guai-a-Ran?”
Shinichi abbassa lo sguardo, sentendosi colpevole. Sa che ci metterà tempo per farsi accettare. Dal giorno in cui siamo scampati per un pelo alla furia omicida di Shirai, mio padre è venuto a conoscenza della mia relazione – adultera, per giunta – con il mio amico d’infanzia. Ed ha cominciato a dire che lui era sbagliato, che mi aveva abbandonata per dieci anni, che non faceva altro che giocarsi di me. Mi ha chiesto anche: “sei sicura sia proprio figlio suo?” con aria leggermente dispiaciuta. Ci ha messo parecchie ore ad assimilare la notizia più importante: Shirai non era affatto il ragazzo che pareva essere. Di quel giovane mite e sconvolto che conobbi anni fa non è rimasto nulla: adesso è sotto sequestro dalla polizia, in attesa della sua sentenza.
“Papà, non ricominciamo! Shinichi mi ha salvato la vita ed è il padre di mio figlio.”
“Questo è quello che mi preoccupa” recita melodrammatico lui, aiutando – seppure non lo faccia per Shinichi, ma solo per me, ha asserito – il mio compagno a collocare scatoli e valigie nelle varie auto. Sonoko si fa avanti, ridacchiando, con un’espressione furbetta sul viso. Pare dirmi che me l’aveva detto che avrebbe reagito così. Ma io non voglio più sentir parlare di Shinichi come il mostro da cui fuggire. È piuttosto il faro a cui aggrapparsi durante una tormenta, la luce da seguire in fondo al tunnel.
“Papà, io lo amo.” Cerco di essere persuasiva, come ho tentato di farlo in questi giorni. Come faccio a spiegargli tutto quello che Shinichi ha fatto per me, se non posso dirgli la verità? Mi limito ad essere vaga, e so che è proprio questo a non convincerlo. Infatti mi rivolge un’occhiata cupa e insoddisfatta.
“Sì, lo amo. È la persona migliore che conosca.” Ribadisco, mentre affianco il detective maggiore alla prima auto, lontana dagli altri due.
“Quello lì?” mio padre inarca un sopracciglio, puntando Shinichi esterrefatto, poi alza gli occhi al cielo. “Figlia mia, in quanto a gusti lasci proprio a desiderare. Ti sposi un assassino schizofrenico, adesso sei fidanzata con uno che va e viene.”
“Shinichi non va e viene.”
Papà sbuffa. “Non voglio che soffri ancora per lui. Non lo voglio proprio.”
“Lui non mi farà soffrire.” Sposto lo sguardo su di lui, e per qualche istante mi perdo ad osservare la sua bellezza. Ogni suo movimento,ogni muscolo irrigidito, ogni sforzo che compie, per me è spettacolare.
“Sicura che lui ti ami?”
Boccheggio quasi. “Sì, lui mi ama.”
Mio padre  annuisce, ma non sembra convinto. “Se ti becco a piangere per lui di nuovo, anche una sola volta, gli mozzo le mani.”
La sua voce giunge sino alle orecchie del detective. Si gira, ci guarda, ma non sa che fare. Lo sento a disagio. Papà avverto il suo sguardo su di lui, comincia a stizzirsi. Chiude la portiera dell’auto, gli dice: “uomo avvisato, mezzo salvato”.
 
 
Butto giù un po’ di aranciata nel mio bicchiere, portandolo alla bocca e gustandone il sapore a poco a poco, senza fretta. L’agenzia di mio padre non è mai stata così piena. Io e mia madre ci siamo date davvero da fare ieri e stamattina: la festa per mio padre è un vero successo. Abbiamo invitato molti suoi ex amici poliziotti, e parecchi agenti adesso di ruolo in questura. Ci sono i suoi compagni di bevute, quelli inseparabili di mahjong ed anche alcuni ragazzini che, in questi dieci anni, gli hanno chiesto di divenire suoi allievi. Dall’altra stanza vedo chiacchierare Sato con Megure. Noto con piacere che gli anni passati le hanno conferito solo più bellezza e carisma. Adesso è mamma di due bambini: uno di otto anni e l’altro di tre. Lei rivendica la sua somiglianza, indispettita, ma tutti sappiamo che sono identici a Takagi.
“Ciao, Ran-san.” Conosco la voce, ma mi fa strano risentirla dopo tutto questo tempo. Ayumi è dinanzi a me, in un adorabile vestito rosa che le cinge i fianchi e le scolpisce le forme. È davvero una bella ragazza, ormai è quasi alla soglia dei diciotto anni. “Come va?”
“Ayumi-chan...” mi sembra quasi strano ripeterlo. Non ci parliamo da un anno, e non abbiamo una seria conversazione da quando mi vide baciare il suo, e mio, amico d’infanzia. Credo che c’abbia messo molto a metabolizzare quell’immagine, e ancora di più la successiva scomparsa di Conan. È assurdo quello che provo. So per certo che era innamorata follemente del mio stesso uomo, ma non mi provoca nessun fastidio. Anzi, solo tenerezza ed infinita comprensione. Non smetterò mai di pensarlo: lei mi assomiglia. “Tutto bene. A te?”
Annuisce, sembra in imbarazzo. Rivolge gli occhi a Conan, sdraiato nel passeggino di fronte a me. Sta dormendo, ma la sua bellezza è comunque sconfinata. Anche io vorrei rivendicare la mia somiglianza, come Sato, ma purtroppo so per certo a chi assomiglia. E non riesco a capacitarmi di non averlo notato prima.
“Che bellino! È tuo... figlio?”
“Sì. Stupendo, vero?” l’assecondo, fiera, rendendomi conto che il mio giudizio è tutto fuorché oggettivo.
“Adorabile!” replica. “Come si chiama?”
Sono in dubbio se rivelarle o meno la verità. Non vorrei risvegliarle brutti ricordi, però potrebbe comunque venirlo a sapere da Agasa, o magari da qualcuno presente in sala. E non so se sia meglio per lei.
“Conan” in un soffio le ricordo il nome della persona di cui era innamorata, abbassando il capo.
Lei alza la testa strabuzzando gli occhi. Mi aspettavo questa reazione, riesco quasi a leggerle il pensiero.
“Come lui.” Mormora, mordicchiandosi il labbro.
Per non dimenticarlo” proseguo io, ma troppo tardi mi rendo conto d’aver sbagliato. Le sue iridi chiare si sfumano di lucido, mentre le palpebre sbattono più volte e sempre più velocemente. La osservo impietrita, senza sapere cosa fare, sebbene io stessa abbia provato il suo dolore. Non potrò mai sapere come avrei reagito se mi avessero detto che Shinichi fosse morto, che non c’era più nessuna possibilità di vederlo.
Vedo il mio compagno avvicinarsi da lontano, con un bicchiere di coca-cola in mano. Mi raggiunge lentamente, mi sorride, si ferma dietro Ayumi. Credo quasi non l’abbia riconosciuta, e lei non l’abbia notato.
“Tuo padre è già alla terza bottiglia di saké, ha cominciato a ballare” dice. “C’è da dire che adesso non mi manda occhiate omicida, però.”
Se è riuscito a sembrare Conan ai miei occhi, che si preoccupa e ride a modo suo di Kogoro il Dormiente, non oso immaginare ai suoi. La ragazza si gira di scatto, mantenendosi la bocca con una mano. Recita un “oddio” silenzioso, che solo io riesco a percepire per quel che voglia davvero dire. Come io un anno fa rividi in Conan Shinichi, lei adesso rivede in Shinichi Conan. So cosa sta provando: crede di averlo sul serio di fronte, che non è mai passato neanche un giorno da quello maledetto in cui l’ha visto per l’ultima volta, e sente le forze venire meno. Poi si rende conto di sbagliarsi, di essere una sciocca, e riprende a respirare. Si rende conto che non è lui, ma si sbaglia. A volte la verità è talmente vicina ai nostri occhi che per vederla dovremmo soltanto allontanarci.
Shinichi nota Ayumi, e so che non sa come comportarsi. Deve ricordarsi di non imitare l’atteggiamento del suo alter-ego se non vuole incappare in grossi equivoci. La piccola è ancora imbambolata a guardarlo, quando io le risveglio le cellule celebrali.
“Ayumi-chan, ti voglio presentare Shinichi Kudo.”
“Oh...”, so per certo che sta tentando con tutte le forze di capire come sia possibile che quella persona assomigli così tanto a Conan. “P-piacere. A-spetta. Sei tu il famoso...Kudo?”
Shinichi ricambia il saluto, ma Ayumi è presa da tutt’altro. Si gira verso di me, e coprendosi la bocca, mi sussurra: “...il ragazzo che aspettavi?”
“È lui” dico, mentre il mio compagno cerca di capire di cosa stiamo parlando.
“È tornato?” chiede, quasi lacrimando.
Annuisco, e lei deglutisce. “È uguale a...”
“Conan-kun.” Rispondo per lei, notando la sua fatica nel pronunciare quel nome, all’apparenza così semplice e breve. I suoi occhi lasciano scivolare giù una lacrima, che si ferma sul colletto del suo vestitino. Respira un po’ con tremore e affanno, ma non ha il coraggio di voltarsi verso Shinichi.
“Mi manca Ran-san, sai. Però lui era innamorato di te, ed io l’ho capito fin troppo tardi.” Mi confida, facendo scivolare la lingua sui suoi denti. Sta cercando di trattenere le lacrime, e lo fa con un mezzo sorriso.
Non ho la minima idea di cosa debba risponderle. Per qualche istante non riesco a pronunciare parola, bloccata da un insolito senso di colpa. Come se Conan non ci fosse più, per lei, per colpa mia. Poi lo guardo, dietro di lei, appoggiato al tavolo, con lo sguardo su nostro figlio. “Tu... tu sei ancora innamorata di lui?”
Ride. “Che domanda, Ran-san.” Risponde e poi prende un lungo respiro. Ricevo la risposta tra le righe: sì. Poi mi guarda e sorride: “Toglimi una curiosità... lui... lui ti ricordava Kudo-san, vero?”
Annuisco semplicemente. “Da morire.”
“Ma tu... lo amavi?”
Sorrido rivolgendo uno sguardo a Shinichi, e di un colpo lo vedo ringiovanirsi di dieci anni. Immagino Conan a giocare con mio figlio, da zio e non da padre. Lo vedo cercare di farmi ridere, come un vero fratello che ti sta accanto nei momenti più difficili. Non Shinichi, ma soltanto Conan. “Sì, lui è stato la luce che fuoriusciva dalle continue crepe della mia vita. ”
Ayumi sorride, annuisce. Lo guarda.
“D’altronde, come si faceva a non amare il mio amico d’infanzia?” sussurra, poi abbassa lo sguardo e punta gli occhi su di me. Ride di se stessa: “Già, è solo questo. Ma di che mi lamento? In fondo, è davvero così.”
 
 
 
“Sì, mamma, ho capito. Il volo arriverà a mezzogiorno, mi farò trovare qui” sento la voce del mio detective espandersi dai lati della stanza, con il cellulare appoggiato all’orecchio destro e l’altro braccio a sorreggere nostro figlio. Lo guarda, e mentre Yukiko smette di parlare, ridacchia: “E poi, devo presentarti una persona.”
Rido, e mentre mi immagino la reazione della baronessa nello scoprirsi nonna, lascio cadere il mio corpo sul letto matrimoniale della stanza che un tempo fu sua e del marito. La stessa in cui dormiamo e facciamo l’amore noi. Guardo il soffitto e ne ispiro il profumo, facendo scivolare le mani sulle lenzuola di seta, fresche e rasserenanti.
“Domani scoprirai chi è” dice ancora, con aria divertita, per poi salutarla e riattaccare: “A domani”.
Il materasso scricchiola leggermente, inducendomi a voltare lo sguardo verso il mio compagno. Shinichi ha Conan in braccio, che sbatte i piedini in aria e che rivendica il possesso della sua pallina a strisce dei Tokyo Spirits: il padre gliel’ha regalata dicendo che suo figlio sarebbe cresciuto amante del calcio e dei gialli, proprio come lui.
“Come credi la prenderà tua madre?”
Lui fa una smorfia allegra. “Sicuramente pretenderà di non essere mai chiamata nonna.”
Annuisco, concorde. Shinichi sorride e Conan schiamazza con lui, mentre fa svolazzare la pallina dietro alla testa del padre.
 “A guardarvi adesso mi sembra impossibile che prima non l’abbia notato” si girano entrambi, come se anche il piccolo abbia capito che stia parlando di lui. Sorrido, mentre mi spingo verso mio figlio e gli lascio un bacio sul piedino nudo. “Vi assomigliate tanto tanto.”
“Vero, eh?” fa Shinichi, fiero. “È la mia fotocopia.”
Assottiglio gli occhi, e indispettita, racimolo tutte le mie forze nella rivendicazione del mio DNA.
“Incominciamo col dire che ha il mio stesso mento.”
“Ha il mio colore degli occhi, però.” Ribatte lui.
“Ma il taglio è il mio” glieli indico, e lui li guarda. “Ti pare il taglio dei Kudo? Voi avete gli occhi più lunghi, noi più rotondi.”
“Se va be’...” mi osserva e assume un’espressione furba: “Ha i miei stessi capelli però. I tuoi sono più castani.”
“E le guance? Sono proprio come le avevo io da piccola.”
“Anche io avevo le guanciotte” replica, quasi offeso.
Ripenso per un attimo alle sue fotografie da neonato. “Ok, quello sarà in comune. Però il naso, quello è mio!”
“Non dire fesserie! È proprio uguale al mio!”
“E la fronte? È ampia come la mia.”
“L’attaccatura dei capelli è mia, però.”
Faccio la finta offesa, mantenendomi il fianco con una mano, mentre protraggo un braccio verso il mio compagno. Tento di trattenere la mia risata, in modo che il gioco continui ancora un po’. Giusto il tempo che serve. Giusto tutta l’eternità.
“Quando è nato, mamma ha detto che era la mia fotocopia” spiego, con fare convincente, indicando il nostro bambino. Conan ci osserva stranito e perplesso. Starà pensando che siamo due pazzi.
“Tua madre non ci vede, è risaputo” ribatte lui, ironico. “E poi sono più tendente a credere che abbia pensato...” prende una pausa e continua con un tono più melodrammatico, che dovrebbe imitare quello di Eri: “...assomiglia a qualcuno, ma adesso mi sfugge... ah, come si chiamava quel moccioso? Conan-kun...mmmh! Ran, non è che mi devi dire qualcosa?
Scoppio a ridere, incapace a controllarmi. “Spiritoso.”
Lui assume un’espressione furba. “Di’ la verità. Quando hai visto il bimbo hai subito pensato a me. Non hai pensato che potessi essere io il padre?”
Sospiro, abbattuta. “No, Conan stava per morire, Shinichi... io ero distrutta. Per uno stupido errore di calcolo, capisci?... il feto era troppo grande per rimanere ancora in gestazione. Così il bambino ha cominciato a girare su se stesso e ad attorcigliarsi intorno al cordone ombelicale, rischiando il soffocamento. Ero talmente presa da lui da non far caso al fatto che potesse esser stato concepito prima, con te.”
Lui abbassa lo sguardo sul piccolo, che continua a giocare con la sua palla. La comprime e la rilascia, stupendosi di come questa riesca a cambiare forma.
“Mi dispiace” dice poi, silenzioso, in un mormorio. “Di non esserci stato.”
Sorrido, e con le dita gli accarezzo la spalla. “Non è colpa tua, lo sai. Sono stata io ad allontanarti, sebbene non lo volessi.”
Shinichi mi guarda, assottigliando un po’ gli occhi. Assume un’espressione curiosa. “Allora toglimi una curiosità. Se non avevi dubbi riguardo la paternità, perché l’hai chiamato proprio... Conan?”
La pancia nella quale sta crescendo mio figlio, è ormai clamorosamente evidente: gente che mi incontra per strada me l’accarezza e mi fa i complimenti, i bambini rimangono stupefatti nel guardarla. È come una specie di attrazione. Tutti si girano e sorridono, e riescono a ricordare anche a me come si fa. Sono sei mesi che sembro averlo dimenticato ormai, sei mesi che non vedo Shinichi. Non so dove sia, cosa faccia, con chi si stia vedendo. Mi manca come il primo attimo in cui fui costretta a dirgli addio.
“Ran, tu e Shirai-kun avete pensato ad un nome?” mi chiede mia madre, dal vetro di un negozio per bambini. “Ormai sei al sesto mese.”
Prendo una tutina azzurra tra le mani e me la studio un po’: è davvero carina, e sono sicura che al piccolo starà una meraviglia. “No, in realtà. Lui ha proposto nomi come Higo, Kaito, Tastuo... però non so. Non mi convincono.”
“Kaito è molto carino come nome.”
Annuisco, distratta. “Be’, sì. Però... è come se non gli appartenesse.”
Dovrei dire a mia madre che ho pensato di chiamare mio figlio Shinichi, ma credo che mi prenderebbe per pazza. Lei come mio padre, Sonoko, ed il resto delle persone che sanno cosa ho provato per lui. Pago la tutina ed esco dal negozio seguita da mia madre, che regge per me il sacchetto. Mi affianca e mi indica un’altra destinazione:
“Che ne dici se diamo un’occhiata anche ai vestiti da sposa?” suggerisce. “Non hai ancora visto nulla, ed il matrimonio è tra 40 giorni!”
Volto appositamente lo sguardo altrove, lasciandomi andare ad uno sbuffo sincero. Non ho voglia di andare negli atelier a far finta di essere felice di tutto ciò: per il momento preferisco dedicare tutte le mie attenzioni al bambino, l’unica ragione che mi da la forza di andare avanti.
“Mamma, dai, è ancora pr...” sto per dire, quando la mia attenzione è attratta da un foglio di giornale svolazzante a terra, calpestato da centinaia di persone, e sporco di fango e polvere. Il mio cuore perde un battito, quando mi accascio a terra e tento di prenderlo. Mia madre crede mi senta male, mi avvicina e mi chiede cos’abbia, ma io la ignoro. Scritto a caratteri neri e grandi, un foglio di carta riapre nel mio cuore la più grande delle ferite.
«Serial killer arrestato: è di Shinichi Kudo la gloria.»
Porto le dita sulla mia bocca nel tentativo di fermare gemiti di sorpresa e angoscia, parole che potrebbero tradirmi come la peggiore dei criminali. Shinichi è a Tokyo, fa il detective, ed è la salvezza della polizia giapponese. Come lo è sempre stato, d’altronde.
Quasi non me ne capacito: sposto lo sguardo in alto, alla ricerca della data. Il giornale è di stamattina. Guardo in basso, cercando di leggere tra caratteri sbiaditi e altri cancellati, un po’ della sua intervista.
“Ran, ma che fai? È tutto sporco, lascialo a terra.” Tenta di persuadermi mia madre, ma tutti i tentativi sono vani: le mie mani tremano, ma non hanno nessuna voglia di lasciare andare questo foglio di carta. Leggo le parole, mi immergo quasi in esse. Il giornalista dice «il serial killer, che la polizia stava cercando da circa tre mesi, è stato catturato ed incastrato all’alba da un noto amante della giustizia, attivo perlopiù anni e anni fa. Si tratta di un ragazzino, adesso cresciuto, che non sembra aver perso la stoffa del detective. Il suo nome è Shinichi Kudo», poco più in là c’è una foto sua nel luogo dell’arresto, alcune parole d’elogio del giornalista, ed in fondo una domanda rivoltagli: «Gli ho chiesto che fine avesse fatto e se fosse tornato per sempre. Kudo ha risposto “sono stato impegnato a risolvere un caso difficile e complicato che mi ha rovinato la vita. Ma adesso sono andato avanti, e del mio passato non ne vedo più ombra. È come morto, per me”.»
Come morto. Ha cancellato dieci anni della sua vita, l’ha assassinati. Così leggendo, capisco che lui ha finalmente raggiunto ciò che voleva: liberarsi una volta per tutte di quel Conan, quell’alter-ego che ha preso il suo posto ed annientato l’esistenza. L’ha fatto pensando a se stesso, ma non ha mai capito che quel ragazzino occhialuto e saputello è la sua parte migliore, ciò che mette in evidenzia tutti i suoi pregi ed oscura i suoi amabili difetti. Perdo la presa sul giornale senza curarmene.
Adesso so come voglio chiamare mio figlio.
“Capisci, adesso? Tu ha sempre ignorato il fatto che Conan Edogawa fosse una persona e che avesse la sua vita, i suoi amici, la sua storia... che erano diversi da quelli di Shinichi Kudo. Io no...” finisco di raccontare quell’aneddoto, meravigliandomi di riuscire a trattenere le lacrime di fronte a quel ricordo. “L’ho chiamato Conan per tenere in vita un po’ di quel bambino saputello che con il tuo ritorno è scomparso del tutto. Quando c’era lui tu eri presente, ma non accadeva l’inverso. Tu eri tornato, ma Conan no. Lui era davvero morto. Ed io non volevo che, la persona che m’ha aiutato in tutto e per tutto in dieci anni, scomparisse così.”
Lui fa per prendere parola, ma io lo anticipo: “Io amavo Conan, Shinichi. So che eri sempre tu, ma io vi vedevo come due persone diverse. Io non ce l’avrei fatta senza di lui.”
Lui sorride, sarcastico: “dovrei essere geloso del mio alter-ego?”
Rido. “No. Io... sono felicissima di come siano andate le cose, di come io e te stiamo adesso sullo stesso letto a litigare di chi abbia preso i capelli nostro figlio. Però sarei ancora più felice se ad aspettarmi, nell’altra stanza, ci fosse il mio Conan-kun, il mio fratellino. Vedila così: mi mancherà per sempre quella parte di te che non era te.”
Shinichi simula una smorfia con le labbra, e fissa lo sguardo sul nostro bambino. Soltanto a lui ho spiegato il vero motivo della scelta del nome, costatomi un’occhiataccia di Shirai, a cui prontamente risposi che era per il mio fratellino morto, che non potevo ignorarlo. Era vero e falso solo in parte.
“Hai ragione, ho sempre detestato Conan. Era l’unica persona che avrei ucciso volentieri” dice il mio amico d’infanzia, sorridente. “Avrei ucciso me stesso, che paradosso. Ho fatto di tutto per dimenticarlo, ma sbagliavo a credere di poterlo abbandonare seriamente. Conan Edogawa non è mai scomparso davvero.”
“Credi?” gli chiedo, poggiando il viso sulla sua spalla. Inspiro il suo profumo mescolato a quello del nostro piccolo.
“Lui è nella mente di chi l’ha conosciuto, nei cuori di chi gli ha voluto bene e negli occhi chi l’ha odiato. Ma se adesso è ancora qui, di fronte a te, è grazie all’unica persona che lui ha mai amato.” Sfiora il mio polso e il nostro bracciale. Un suo per sempre sarà comunque con me.
 “Tu, Ran-neechan.”
 






Aaaaah! ç___ç È l'ultimo chap, tristezza tristezza tristezza! :( Mi dispiace aver già concluso con gli aggiornamenti, mi ero ormai abituata a leggere le vostre bellissime recensioni. <3 Mi strappavate sempre un sorriso! Grazie per avermi accompagnata in quest'ultima storia, grazie per esserci stati e per aver creduto sempre in Shinichi e Ran! Siamo i fan migliori del mondo :3 Ai due piccioncini non potevo non dare un finale lieto, sono troppo, ma troppo, carini insieme! 
Non è quello che pensa Kogoro, però... be', Shinichi ci farà l'abitudine XD
Si sono finalmente risolti tutti i misteri (tra cui il nome del bimbo, mi pare che solo una o due persone l'avessero azzeccato il motivo! XD), e Shirai se n'è finalmente andato a quel paese in prigione :D 
Ayumi-chan è ancora innamorata di Conan, mi dispiace tanto per lei ma... Shinichi è solo di Ran XD Se ne farà una ragione! 
E mentre mamma e papà litigano su a chi somiglia di più il pargolo (io dico a Shin <3), vi abbandono e vi lascio un solo e triste
Arrivederci


Vi voglio bene,
Tonia-neechan. <3

 

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