On the way of a smile

di Mariam Kasinaga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Nick EFPFORUM: Mariam Kasinaga/Mariam_Kasinaga Titolo: On the way of a smile
Generi: Triste, drammatico
Rating: Giallo

Avvertimenti: Nessuno
Note: Ho deciso di considerare la figura del ribelle contro la società e le istituzioni, ma ambientando la vicenda nel passato, visto che nella Storia ci sono molti esempi di donne che hanno scelto di mentire sul proprio sesso per perseguire un obiettivo.
Numero capitoli: Prologo, tre capitoli, epilogo
Breve introduzione: La storia è ambienta nella Venezia settecentesca, quando alle donne era severamente vietato poter esser gondoliere. Il racconto segue le vicende di una ragazza che decide di fingersi maschio per ottenere, nella sua mente, l’approvazione della madre morta di malattia.

ONE THE WAY OF A SMILE

Prologo

Venezia, 1854
La pioggia primaverile picchiettava dolcemente sulle lapidi marmoree del cimitero, bagnando le persone che si attardavano a trovare un riparo sotto i portici circostanti. Soltanto un uomo continuava imperterrito il suo lavoro, continuando a strappare le piante infestanti che si erano attorcigliate ad una misera croce di legno tarlata.
Il becchino sfiorò con la punta delle dita i solchi rovinati che, quasi un secolo prima, declamavano l’identità della vittima. Le intemperie e l’usura del tempo la stavano facendo completamente marcire, insieme alla storia che era diventata solo un ricordo sbiadito nella mente dei veneziani più anziani. L’uomo finì di estirpare le erbacce e, dopo essersi avvolto nella mantella nera, corse verso il porticato. Una coppia di uomini lo salutarono con un cenno del capo:“Presti molta cura a quella tomba”commentò uno, fermandosi un attimo davanti a lui. Il becchino si tolse la mantella fradicia:“Sì, signore”rispose semplicemente. L’uomo insistette:“Si direbbe molto vecchia, certamente gli eredi sono tutti morti!”insistette, lanciandole un’occhiata veloce. L’altro scrollò le spalle:“In verità, signore, mio nonno conosceva la famiglia e ha promesso alla figlia di prendersi sempre cura della tomba della madre. Vuole sentire perchè non sono sepolte insieme?”domandò.

1° Capitolo- Morte

Venezia, 1750
La ragazza correva lungo le calle, cercando di farsi largo attraverso la folla che popolava il mercato a quell’ora del mattino. Evitava di farsi trascinare dalla folla impegnata a sentire le grida dei mercanti di seta e dei venditori, che declamavano le meravigliose qualità dei propri prodotti. Il cuore le scoppiava nel petto, mentre stringeva convulsamente tra le mani il sacchetto del droghiere:era terrorizzata dall’idea di inciampare in una pietra o, peggio ancora, che qualcuno potesse spingerla a terra. “Devo fare in fretta” continuava a ripetersi mentalmente, dirigendosi verso una delle zone più miserabili della città. Si fermò a prendere momentaneamente fiato davanti ad un palazzo fatiscente, abitato principalmente da stranieri, prostitute e persone che la Serenissima aveva bollato come indesiderate. Stette per qualche momento a contemplare l’intonaco scrostato e cadente, gli infissi rovinati e le grandi macchie di umidità della facciata, causando un odore disgustoso che le penetrava fin dentro al cervello.
Salì faticosamente le numerose rampe di scale e, imprecando sottovoce contro i ratti, entrò in un angusto appartamento poco illuminato. Tirò delicatamente fuori dal sacchetto una polverina biancastra e la fece sciogliere dentro un bicchiere d’acqua, mescolandola dolcemente con il cucchiaio più pulito che riuscì a trovare. Lentamente aprì la porta di legno sulla sua sinistra ed entrò nell’unica camera riscaldata dell’appartamento, dove in un vecchio letto matrimoniale una donna respirava affannosamente. La ragazza si sedette sulla sponda del letto:“Bevi”ordinò, aiutando l’altra a compiere quel semplice gesto che sembrava costarle immani sforzi. La donna aprì gli occhi, prima di accasciarsi nuovamente sul cuscino:“Tuo fratello non è ancora tornato?”domandò debolmente, prima di essere interrotta da un eccesso di tosse. Sua figlia cercò di sorridere, stringendole la mano:“No, mamma. Tornerà presto, vedrai. Va tutto bene”sillabò meccanicamente, pronunciando l’ultima frase soprattutto a se stessa. Le ripeteva da quando era una bambina ed aveva continuato a mormorarle mentre giaceva con molti uomini per procurarsi i soldi necessari per comprare la medicina o quando sua madre sembrava aggravarsi. Rimase seduta in quella posizione per un tempo interminabile, continuando a stringere la mano dell’unica persona che, ancora per poco, le era rimasta:“Ho deciso di entrare nella corporazione dei gondolieri”annunciò, tentando di controllare il tremore della voce. L’altra rispose come se non avesse compreso a fondo il significato di quella affermazione:“Tuo fratello era un bravo gondoliere...se l’acqua è nostra amica perchè me l’ha portato via?”farfugliò, cominciando a piangere. La ragazza distolse lo sguardo, ma rimase immobile, sentendola disperarsi per l’unico figlio a cui avesse voluto bene. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


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2° Capitolo- Nuova vita

Tre anni dopo
Guardò il suo riflesso nell’acqua del canale, sfiorando quei capelli che da molto tempo non riconosceva più:lei, la sua essenza, era morta il giorno in cui aveva seppellito la madre nel modesto cimitero fuori città. Aveva guardato i becchini buttare la cassa di legno in una fossa e ricoprirla di terra, ascoltando distrattamente le parole di condoglianze dei pochi amici che si erano presentati alla cerimonia. In ogni granello di terra che aveva ricoperto il corpo di sua madre aveva impresso il suo giuramento:una volta le aveva promesso che un giorno sarebbe stata fiera di lei e, ora, era giunto il momento di tenere fede all’impegno preso.
Aveva dovuto cambiare il suo corpo e fingersi un ragazzo per poter essere ammessa alla corporazione:non solo si era tagliata i lunghi capelli neri che avevano fatto impazzire per anni i suoi clienti, ma era costretta a fasciare ogni giorno il suo corpo per non lasciar trapelare le proprie forme femminili. Si trattava di una sorta di rito, un dolore che doveva affrontare ogni mattina in solitudine, stringendo il seno ed i fianchi nelle fasce candide che nascondevano agli occhi di tutti la sua vera identità. Alcuni allievi la schernivano prendendo in giro la sua corporatura esile ed il volto efebico, ma nessuno avrebbe mai potuto sospettare che Zeno Carcereri non era chi diceva di essere. Rinunciare alla sua identità era stato il prezzo da pagare per poter realizzare il sogno di sua madre:avere un figlio gondoliere che, un giorno, avrebbe condotto la propria imbarcazione lungo il Canal Grande.
“Zeno! Con un nodo del genere la gondola sarà al largo tra meno di un’ora!”le gridò il suo maestro, raggiungendola sul pontile. Lei annuì con forza, cercando di stringere più saldamente la fune:“Sto facendo del mio meglio”replicò, tentando di ignorare il dolore causato dalle escoriazioni e vesciche che le deturpavano le mani. L’uomo si avvicinò a lunghi passi, strappandole di mano la corda ed assicurando velocemente la cima:“Zeno, in questo lavoro serve anche forza, non solo abilità. Sant’Iddio cerca di assomigliare ad un gondoliere qualche volta”borbottò. La ragazza continuò a tenere gli occhi bassi, fissi su quel nodo che non era riuscita ad eseguire:“Io ci provo...”cominciò, tentando di ricacciare indietro le lacrime. L’altro sbuffò:“Sono tre anni che sei il mio apprendista! Smetti di limitarti a provare e comportati da uomo”concluse lapidario, cominciando ad armeggiare intorno all’imbarcazione. Lei rimase ad osservare ogni movimento, ma la sua mente vagava altrove:in quegli anni aveva dovuto subire umiliazioni e derisioni, oltre al doversi “comportare da uomo”. Non soltanto si era dovuta abituare a sopportare l’alcool, bevendo ogni sera nella sua camera e vomitando senza che gli altri compagni potessero vederla, ma si era attirata la derisione di molti evitando sistematicamente i bordelli ed i bagni di gruppi nella laguna. Per loro Zeno era “lo strano”, quello a 
cui, forse, era più gradita la compagnia di altri ragazzi che delle puttane. Strinse forte i pugni, fino a farsi sanguinare i palmi, ricordando gli innumerevoli scherzi di cui era stata vittima od i momenti in cui aveva trattenuto il fiato in preda al panico, temendo che l’avessero scoperta. “La prego maestro mi dia un’altra occasione! Diventerò un bravo apprendista, sarà fiero di me!”urlò, tirandolo per la manica. L’altro sospirò, liberandosi facilmente da quella stretta:“Hai una settimana per imparare ad assicurare le funi come si deve! Dimostrami che non sei una stupida ragazzina”acconsentì. Lei annuì, cercando di sorridere:“Non la deluderò!”esclamò. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3° Capitolo- Rinascita

Si sedette solo il leone di piazza San Marco, osservando i marinai scaricare le merci dalla loro nave. Un pensiero l’attanagliava da giorni, impedendole di dormire:ormai aveva quasi vent’anni e non sarebbe riuscita a fingere di essere un uomo per tutta la vita. Non sarebbe passato molto tempo prima che qualcuno si accorgesse che le manie ed i vizi di Zeno nascondevano qualcos’altro, il disperato tentativo di condurre un’esistenza così diversa da quella che avrebbe dovuto. Aveva infranto la legge cardine della corporazione “Alle donne è proibito diventare gondoliere”, offeso il buon nome della Repubblica di Venezia e, fingendosi un ragazzo, aveva compiuto tutto ciò che ad una donna era severamente proibito. “L’avessi almeno fatto per me stessa”mormorò, appoggiando la schiena alla colonna di marmo.

“Mamma, oggi papà mi ha portato alla corporazione e hanno detto che diventerò un gondoliere come lui!”
“Bravo Marco, sono fiera di te! Laura, lascia perdere la cena per un attimo e vieni qui a complimentarti con tuo fratello. Lui porterà alto l’onore della famiglia, ne sono sicura!”

Onore, quanto odiava quella parola. C’era stato onore nella vita che avevano vissuto, nelle sere in cui suo padre tornava a casa ubriaco dopo una serata nei bordelli, nei debiti di suo fratello che li aveva costretti a vendere tutto per poter pagare i creditori, negli sguardi di sua madre che si domandava perchè sua figlia fosse sopravvissuta al suo “adorato ragazzo”? Sentì delle lacrime bollenti scorrerle lungo le guance, senza controllo:“Se soltanto tu mi avessi voluto bene così com’ero!”singhiozzò, correndo via dalla piazza per evitare che qualcuno potesse vederla in quello stato.

Percorse le tortuose calle senza meta, perseguitata dal ricordo doloroso dei volti di chi l’aveva derisa per tutti quegli anni. Aveva sempre odiato la sua vita precedente, fatta di espedienti per racimolare denaro e di tentativi per conquistare l’affetto di una donna che l’aveva sempre considerata solo come la sorella del suo figlio prediletto. Eppure, persino quell’esistenza che si era ritagliata la stava rigettando, come un organismo che tenta di espellere un corpo infetto. Non poteva andare avanti, non poteva andare indietro, era rimasta bloccata in un limbo che si era costruita con le sue stesse mani.

Si era illusa di essere forte, coltivando l’infantile fantasia di potersi ribellare a quella stupida regola che si era sempre frapposta tra lei e la felicità di sua madre. Aveva provato a vivere una vita che sarebbe spettata a suo fratello cercando di diventare chi non sarebbe mai potuta essere, ma si era dovuta scontrare contro l’amara realtà. Si appoggiò alla balaustra del ponte e guardò

le cupole delle chiese brillare alla luce del sole, rivelando la città in tutto il suo splendore.
Fu un attimo, il tempo di vedere il sorriso di sua madre che le era sempre stato negato e l’abbraccio di Venezia l’avvolse dolcemente cullandola fino al mare.

Epilogo

Venezia, 2013
Il becchino interruppe il suo lavoro, notando la ragazza che apriva il pesante cancello in ferro battuto del cimitero:“Dovresti essere a scuola!”le urlò, facendole cenno con la mano di andarsene. L’altra fece finta di non averlo sentito e cominciò a girovagare tra le tombe, cercando qualcosa nella tasca dei jeans. L’uomo riprese a lucidare le lapidi in marmo, aspettando che le si avvicinasse:“Questo è un camposanto, dovresti venire vestita in modo più decorosa”la rimproverò, alludendo ai pantaloni strappati in più punti e alla maglietta di qualche gruppo punk-rock sconosciuto. L’altra giocherellò con un pacchetto di sigarette:“Ti arrabbi se ne fumo uno?”domandò, tirandone fuori una. Il vecchio gliela strappò di mano:“Questo è un luogo sacro”ripetè, scandendo le parole. La ragazza sbuffò rumorosamente:“Nonno ero venuta soltanto per salutarti, non per litigare con te”cercò di replicare. L’espressione del becchino si addolcì:“Vuoi che ti accompagno fino a scuola?”domandò, cercando di convincerla a non perdere l’anno a causa delle numerose assenze. Sua nipote fece nuovamente finta di non averlo sentito, dirigendosi verso la zona più vecchia del cimitero:“Pulisci ancora questa croce? Ormai è completamente marcia, dovresti toglierla!”esclamò, indicando un vecchio pezzo di legno completamente ammuffito. Il becchino si avvicinò lentamente, guardando la tomba con tenerezza:“Ho promesso a mio nonno che me ne sai preso cura. Sai, in realtà le tombe dovrebbero essere due”commentò, inginocchiandosi davanti. L’altra alzò le sopracciglia:“Perchè?”volle sapere. 

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