Il mio Maestro

di claudineclaudette_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Safer ***
Capitolo 3: *** Piccolo giglio ***
Capitolo 4: *** Conflitto ***
Capitolo 5: *** Divinità ***
Capitolo 6: *** Lifestream ***
Capitolo 7: *** Legami di famiglia ***
Capitolo 8: *** Serenità ***
Capitolo 9: *** Allieva e maestro ***
Capitolo 10: *** Addii ***
Capitolo 11: *** La prima lezione ***
Capitolo 12: *** Nomi ***
Capitolo 13: *** Behemoth ***
Capitolo 14: *** Sentimenti ***
Capitolo 15: *** Un bacio ***
Capitolo 16: *** Solo una settimana ***
Capitolo 17: *** Tornare a casa ***
Capitolo 18: *** Sorridere insieme ***
Capitolo 19: *** Omen ***
Capitolo 20: *** Stare con te ***
Capitolo 21: *** Sephiroth ***
Capitolo 22: *** Perdersi ***
Capitolo 23: *** Wutai ***
Capitolo 24: *** Maestri di spada ***
Capitolo 25: *** La Tigre di Wutai ***
Capitolo 26: *** Rimettersi in viaggio ***
Capitolo 27: *** Cosmo Canyon ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il mio nome è Yuri e diventerò una guerriera! Il mio maestro... ma cominciamo dall'inizio!

 

01. Prologo

 

Era il centesimo anniversario della caduta della Meteor invocata dal demone albino, come veniva ormai chiamato. Sephiroth.

Odiavo partecipare ai festeggiamenti, e a quel tempo non credevo che la storia potesse ancora influenzare la vita delle persone, tanto meno la mia.

Forse voi siete degli esperti conoscitori della storia di quel periodo, la dittatura di Migdar, la Shinra e tutto quel che viene citato nei libri.

In questo caso vi domanderete quel'è il mio villaggio... Forse quello stesso villaggio che aveva visto l'infanzia di alcuni degli eroi che sconfissero Sephiroth, il luogo dove ebbe inizio tutto?

No, mi dispiace deludere le vostre aspettative.

Forse credete di stare per leggere una storia fantastica, creata da me con il solo scopo di divertirmi, ma non è così.

In quest'avventura ho sofferto molto, ho gioito, ho pianto. Ho provato paura, odio, rabbia, gioia, felicità e ogni altro sentimento vi possa venire in mente, ci sono stati anche momenti in cui mi sono divertita, ma ho sofferto molto, e vorrei che lo teneste bene a mente.

 

Il nome con cui veniva chiamato il mio villaggio era Nacom.

Piccolo e insignificante, un po' come me.

Sorgeva poco distante dalle rovine di Midgar. La città non era mai stata ricostruita e costituiva solo un misero ammasso di macerie.

Mi trovavo nella mia camera, sola e annoiata.

"Bisogna rispettare le tradizioni!" sentivo ancora gli echi dell'ultima discussione con mia madre.

- Certo! Noi siamo le tradizioni! - sbuffai osservandomi allo specchio. Cercavo invano da quasi un'ora di acconciarmi decentemente i capelli in una crocchia, ma questi continuavano ostinati a cadermi sulle spalle.

- Ah! - gridai alla fine lanciando lontano il fermaglio a forma di giglio. Alla fine mi arresi e lasciai i capelli sciolti sulla schiena. Neri, lunghi, lisci e...perfettamente monotoni!

Avrei tanto voluto avere la chioma di fiamma di mia madre. Lei sì che sarebbe figurata alla festa! Chissà io, invece, da chi avevo preso...

Mi lasciai cadere pesantemente su uno sgabello. Ma cosa mi ostinavo a fare? La odiavo pure, quella festa... E odiavo il kimono.

Cioè...lo ritenevo uno degli abiti più belli del mondo, con i loro raffinati decori e l'elegante forma... questo finché non ero io quella costretta a indossarlo. Oltre a sentirmi legata in una camicia di forza, sembravo un'abat-jour fatta male.

Non che fosse una novità... avevo un corpo da maschio, un atteggiamento da maschio, un modo di pensare da maschio... perché mai il modo di muovermi non sarebbe dovuto essere quello di un ragazzo?

Inevitabile tra l'altro, essendo cresciuta in una famiglia con otto figli, di cui ero l'unica ragazza!

Sentii scoppiare il primo fuoco d'artificio, dopo un lungo fischio.

Mi affacciai alla finestra e osservai per un istante il cielo venire illuminato da tutti i colori che conoscevo. Era uno spettacolo fantastico...

E sarebbero stati tutti impegnati a guardarlo! Di certo nessuno si sarebbe accorto se mancava una singola ragazza.

Uscii lentamente dalla camera e sgusciai di soppiatto sul retro, senza che nessuno mi vedesse.

Dove potevo andare, aspettando che la festa finisse?

Non so bene cosa mi spinse in quella direzione.

Chissà, forse un presentimento. Il destino o il caso...o forse era più semplicemente l'Inevitabile.

Fatto sta che mi avventurai per un sentiero che, sapevo benissimo, conduceva tra i monti.

Alla mia destra si alzava la parete rocciosa e alla sinistra c'era uno strapiombo da cui potevo avere una perfetta veduta aerea del mio villaggio.

Forse per il buio, perché non prestavo attenzione o perché doveva semplicemente accadere, riuscii a smarrirmi per quei sentieri che percorrevo ogni giorno da quando avevo cominciato a camminare.

Non ho mai raccontato a nessun altro la storia di quel giorno, perciò ripensandoci provo ancora abbastanza imbarazzo per alcune cose che sono successe.

A tratti riuscivo ancora a sentire la festa, la musica e i fuochi d'artificio, ma in quel reticolo infinito di sentieri che iniziavano e finivano in vicoli cechi cominciavo a perdere la speranza.

Vagai per diverse ore, alla fine ero esausta.

Il mio abito era logoro e strappato in più punti, i capelli pieni di rami e polvere e gli scomodi zoccoli di legno abbandonati già da tempo: mi avevano ricoperto i piedi di vesciche.

Sconsolata appoggiai la schiena al tronco di un albero e alzai lo sguardo verso il cielo. Dal punto in cui mi trovavo non riuscivo più a scorgere i fuochi d'artificio.

- Così imparo a fare sempre di testa mia! - mugugnai chiedendomi cosa fare.

Ormai era notte fonda e la luna formava un cerchio perfetto nel cielo.

Sarebbe stato impossibile tornare al villaggio, avrei corso il rischio di smarrirmi ancora di più, e magari cadere in un fosso, o comunque ferirmi.

Sì, senza dubbio la miglior cosa da fare era trovare un rifugio per la notte e aspettare che facesse luce.

Stranamente non conoscevo il luogo dove ero giunta, non assomigliava a nessuna delle radure dove spesso avevo giocato con i miei fratelli. Mi guardai intorno irrequieta.

Non riuscivo a vedere quassi niente, i miei non erano mica gli occhi di un gatto!

Dopo un po' di tempo però scorsi, poco lontano, una specie di sperone di roccia che offriva un ottimo riparo. Senza indugiare oltre corsi in quella direzione, provocandomi nuovi tagli e ferite.

- Maledizione... - sussurrai rannicchiandomi là sotto. Stava anche cominciando a piovere.

Avrebbero interrotto i festeggiamenti per questo? I fuochi d'artificio venivano ancora lanciati nel cielo, da dove mi trovavo riuscivo a vederli bene.

All'inizio continuai a osservali attraverso le fronde degli alberi, poi decisi di riposare e, tastando con le mani, cercai di portarmi più sotto la roccia, in un punto più riparato.

Inaspettatamente le mie dita sfiorarono qualcosa di diverso dalla fredda terra e le roccie: era qualcosa di morbido e caldo. Qualcosa di vivo...

Balzai in piedi con un urlo, sbattendo la testa contro la pietra, ferendomi.

Ignorai il sangue che mi colava caldo dalla ferita sulla fronte e strisciai velocemente via. Lontano dal punto in cui mi trovavo fino a un secondo prima.

In quel momento avevo di certo molte alternative ma la mia mente si fermò alla prima: la fuga.

Correndo a piedi scalzi, in un bosco, durante una tempesta , non posso dire di aver vissuto un'esperienza gradevole. Scivolai diverse volte bagnandomi dalla testa ai piedi e ricoprendomi interamente di fango.

Cos'era quella cosa laggiù?

In realtà il mio comportamento era stato un po' esagerato.

Me ne resi conto solo dopo essermi calmata presso una sorgente.

Mi inginocchiai a terra, vicino alla pozza d'acqua limbida che si era venuta a formare e cominciai lentamente a pulirmi. Nel breve tempo in cui ero fuggita il sangue si era magicamente rattrappito, mescolandosi al fango e incollandosi ai capelli.

- Maledizione - ripetei per la seconda volta quella notte.

Nonostante tutto non sapevo bene cosa fare. Ero troppo agitata per pensare in maniera razionale.

Certo, tutto poteva essere stato un falso allarme... come poteva non esserlo! Chi mi poteva assicurare che la cosa che avevo sfiorato non fosse una volpe, per esempio, o peggio, un mostro?

Mi costrinsi a calmarmi, almeno in parte. Rallentai il respiro e immersi la testa nell'acqua gelida. Il gesto mi aiutò a schiarire un po' le idee, almeno in parte.

Probabilmente la cosa che avevo sfiorato a quell'ora doveva già essersi allontanata e io potevo tranquillamente tornare a ripararmi sotto la roccia.

In realtà questo ragionamento l'ho fatto solo col senno di poi. Credo di aver avuto in testa due soli concetti, quella notte: il primo era che quello sperone di roccia era il migliore dove trascorrere la notte.

Il secondo, il quale probabilmente è anche il fattore determinante che mi spinse a ripercorrere i miei passi, era che ero incredibilmente curiosa.

Curiosa di scoprire di chi, o cosa, avevo avuto paura.

Così feci ritorno.

 

Sembrava tutto tranquillo, da quando ero scappata non era cambiato nulla.

Sempre sul chi vive, mi accovacciai silenziosamente a terra scrutando intimorita nell'ombra del piccolo rifugio. Probabilmente mi aspettavo che una belva mi saltasse alla gola...

Dal principio non scorsi nulla.

Solo in un secondo momento mi parve di scorgere un movimento.

Sobbalzai, pronta a darmi nuovamente alla fuga, ma non successe niente.

Non capivo, quindi frugai nelle numerose tasche interne del mio vestito ed estrassi fuori una scatoletta di fiammiferi.

Ne accesi uno e utilizzai la fievole luce della fiammella per rischiarare il buio e finalmente vidi.

Vidi lì, sdraiato a terra, un uomo addormentato, rivestito solamente di un paio di calzoni di pelle.

Riposava immobile sulla fredda terra.

Doveva essere stato lui quella cosa calda e liscia che avevo sfiorato prima, e che mi aveva tanto spaventato.

Che stupida! pensai, farsi spaventare da questo poverino.

Forse in un'altra situazione avrei cercato un altro luogo per riposare, o forse avrei addirittura tentato di ritrovare la strada di casa.

Molti in seguito mi dissero che qualunque scelta sarebbe stata meglio di quella che presi quel giorno: mi stesi accanto a lui e dopo pochi secondi mi addormentai.

Non sono d'accordo con tutte quelle persone che in seguito mi hanno biasimato o mi hanno additata come folle, credo che la mia vita iniziò solamente in quel momento, quando mi addormentai accanto a un angelo caduto vestito di nero.

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Capitolo 2
*** Safer ***


02. Safer

 

Fu la luce dell'alba a svegliarmi, colpendo gli occhi.

Mi alzai lentamente, attenta a non ferirmi di nuovo colpendo la roccia.

Guardai il cielo rendendomi conto che il sole non era sorto da molto tempo. L'uomo vestito di nero dormiva ancora al mio fianco. Sorrisi, persa nei miei pensieri.

Mi domandai cosa fare, se provare a svegliarlo, ma alla fine lasciai che dormisse. Dopotutto nemmeno io avrei gradito essere svegliata da qualcuno che non avevo mai visto in vita mia.

Sopprimendo a fatica uno sbadiglio mi avventurai di nuovo nel bosco, alla ricerca della fonte che avevo trovato la notte prima. Non pensai nemmeno per un attimo che mi sarei potuta perdere una seconda volta, privandomi così dell'unico punto di riferimento che avevo: lo sperone di roccia.

Praticamente non stavo pensando a nulla, come se volessi posticipare il più possibile il momento in cui l'avrei dovuto fare. Mi limitavo a mettere un piede davanti all'altro, ripercorrendo gli indefinibili sentieri della notte appena trascorsa.

Giunta davanti a quella splendente polla limpidissima mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo. Forse il mio senso nell'orientamento non era così disastroso, dopotutto.

Sbadigliando un'altra volta, cominciai a sciogliere i nodi del kimono, che si erano già in parte allentati mentre dormivo. Srotolai la fascia che mi stringeva la vita, i cuscinetti, la fascia intorno al seno e li depositai ordinatamente lì accanto.

Un leggero soffio di vento mi fece rabbrividire, convincendomi a immergermi nell'acqua della polla. Fredda ma non insopportabile. Essa mi provoco comunque un nuovo brivido lungo la schiena.

Nonostante tutto mi sentivo molto meglio, più a mio agio. Era molto rilassante, dopotutto, e socchiusi gli occhi per un istante.

Forse mi addormentai per qualche minuto. Quando mi risvegliai con un sussulto tremavo e specchiatami nello specchio d'acqua notai distintamente il blu sulle mie labbra.

Uscii esitante dalla sorgente strofinandomi le braccia con le mani, poi mi scrollai l'acqua di dosso come fanno i cani. Mi era bastato alzarmi in piedi per recuperare i pochi gradi persi e mi sentii subito meglio.

Dopo qualche minuto però mi tornò in mente l'avvenente uomo che avevo lasciato addormentato. Che si fosse svegliato? In parte contavo su di lui per il mio ritorno a casa perciò avrei trovato veramente irritante se al mio ritorno lui fosse già scomparso.

Indossata solo la prima parte del kimono e la fascia in vita, legai i capelli con un pezzo di corda e imboccai l'ormai familiare sentiero. La disposizione degli alberi, le rocce e i rami spezzati... ormai non mi sarei più persa percorrendo quel tratto di strada.

Quando arrivai ansimavo lievemente. Dopotutto la strada era tutta in salita.

Subito i miei occhi saettarono verso lo sperone di roccia, controllando se l'uomo era ancora lì mentre distrattamente mi domandavo perché me la prendevo tanto per lui.

Ma era ancora lì. Dormiva.

- Come fa a non essersi ancora svegliato? - mi accucciai accanto a lui. - Ehi! Dico a te...hai intenzione di aprire gli occhi o hai deciso di svegliarti direttamente domani mattina?

Nessun movimento.

Forse però aveva aperto gli occhi: non potevo vederlo dato che mi dava le spalle.

Lo afferrai per un braccio e lo girai. Niente, dormiva!

Manco fosse in coma...

- Ehi tu! Svegliati! - esclamai scuotendolo. - Svegliati!!

Cominciai a preoccuparmi. Che fosse davvero in coma o roba del genere? Non mi intendevo di medicina.

Benché in parte mi seccasse quella sua nudità, gli appoggiai la testa sul petto. Proprio sopra al cuore, per sentirne i battiti.

Tutumtutumtutum.

Erano velocissimi. Normalmente il cuore non batte così veloce nemmeno dopo una lunga corsa. Come poteva essere ancora sveglio?

- Su, è tutto posto... - mi dissi cercando di calmarmi.

Tornai a guardare il volto dell'uomo: immobile.

Sembrava morto, ma allora perché il cuore gli batteva a quel modo?

E se non respira?

Per accertarmene spostai l'attenzione sul viso dell'uomo, completamente nascosto dai lunghi capelli platinati. Glieli scostai freneticamente e mi avvicinai al suo viso: respirava.

Un istante dopo però rimasi quasi pietrificata.

L'uomo aveva spalancato gli occhi e solo in quel momento mi resi conto di un particolare che mi era sfuggito.

La sua pelle candida, i capelli bianchi e l'iride degli occhi di un azzurro così tenue da confondersi col bianco dell'occhio erano macchiati di un altro colore molto più aggressivo.

Era il rosso colore del sangue che gli ricopriva quasi tutta la faccia.

- Sei sveglio? - riuscii a gridargli. - Sei sveglio?! Non mi ero accorta fossi ferito!! Cosa faccio? Oddio, cosa faccio? - strillai totalmente in preda al panico.

Nel tentativo di alzarmi in piedi sbattei nuovamente la testa contro la roccia, procurandomi l'ennesimo taglio. Sentii scorrere lentamente un rivolo di sangue caldo dalla ferita.

Mi lasciai cadere di nuovo accanto all'uomo, tremando per l'angoscia.

Non accennava a tirarsi in piedi, ma mi afferrò un braccio con le lunghe dita sottili. Non avrei pensato potessero essere così forti: mi faceva male.

Guardai il mio braccio senza capire, poi mi tirò a sé. Senza sapere bene cosa fare, lasciai che mi trascinasse vicino al suo viso.

Spalancai gli occhi per la sorpresa e la confusione, in quel momento dovevano sembrare due immensi pozzi neri. Sentivo la mano che mi stringeva tremare per lo sforzo del gesto, così non opposi resistenza, assecondandolo.

L'uomo aprì la bocca avvicinandola al mio orecchio, ma dal principio emise solo qualche lieve gemito senza senso. Lo vidi chiudere gli occhi e trarre un profondo respiro prima di provare ancora. Alla fine riuscì a sussurrarmi una singola parola, con una voce più leggera di un alito di vento.

- Acqua - mi disse.

Poi mi lasciò andare con un gemito e rimase a osservarmi con un volto inespressivo.

Anche io lo fissai per un istante. Chissà qual era la sua storia. Me l'avrebbe mai raccontata?

Mi voltai e feci alcuni veloci passi verso il luogo dove sapevo trovare acqua. Fatto poco più di un metro però mi girai di nuovo verso l'uomo che continuava a guardarmi.

- Come ti chiami? - gli domandai. Adesso so che utilizzai il tono del ricatto, una particolare inflessione nella voce che significa "se vuoi da me un favore devi prima dirmelo". In realtà non avrei voluto ma le parole mi uscirono così da sole.

L'uomo accennò ad un sorriso ironico e mosse la bocca articolando una parola.

Non so come feci a sentire la sua risposta quando prima, a pochi centimetri dalla sua bocca avevo fatto fatica ad interpretare i suoi sussurri.

Disse: - Chiamami Safer.

 

Face to face with me!! XD

Nuovo capitolo! Finalmente dopo tanto tempo l'ho rimesso a nuovo....sì, perchè in realtà l'avevo già scritto settimane fa ma era proprio orribile!

Mi sto affezionando a questa storia e mi sto impegnando un po' più del solito scrivendola! Sarà perchè c'è Sephiroth fufufufu...

Va avanti molto lentamente, eh?

Tra l'altro notavo che è un genere un po' differente da quello che faccio di solito...di certo si discosta molto dalla linea dinamica che avevo seguito con Kasumi Megami!!

Che ne dite di Yuri? (In realtà non c'è ancora molto da dire...)

Non so, non riesco a giudicarla ancora questa storia... ^^

^Ayame^

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Capitolo 3
*** Piccolo giglio ***


03. Piccolo giglio

Raggiunsi la fonte e non avendo nulla con cui trasportare l’acqua, mi limitai a immergervi l’orlo del vestito. Quando fui di nuovo da Safer lo ritrovai addormentato. Forse in realtà era semplicemente svenuto ma sul volto aveva un’espressione così pacifica che il mio primo pensiero fu davvero che stesse solo dormendo.
Mi accucciai accanto a lui come prima e gli premetti gentilmente contro le labbra la stoffa impregnata d’acqua, ma non bevve. Lo trascinai via da sotto la roccia e lo faci appoggiare con la schiena a un tronco caduto là accanto.
- Safer! - provai a chiamarlo. - Ti ho portato l’acqua, Safer!
Aprì un occhio esitante e mi guardo. Anzi, in realtà sembrava guardarmi direttamente attraverso. Doveva stare proprio male. Gli appoggiai una mano sulla guancia e con l’altra provai di nuovo a farlo bere, senza smettere mai di parlargli. Sentire la mia voce sembrava in qualche modo mantenerlo cosciente.
Dopo qualche secondo percepì che aveva cominciato a succhiare debolmente la stoffa, e continuò finché non fu poco più che umida. Con un sospiro appoggiò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, ma ora era sveglio ed ero sicura che non si sarebbe riaddormentato tanto presto.
Esitante mi avvicinai di nuovo a lui e con lo stesso lembo del vestito provai a pulirgli il viso dal sangue ormai secco.
Aprì gli occhi di scatto e mi guardò. Dovetti fare un’enorme fatica per trattenermi dall’urlare. Che occhi erano quelli? Per un secondo le sue pupille mi erano sembrate come piccole fessure verticali, brillanti, come quelle dei serpenti. Poi dopo aver sbattuto le palpebre una volta tornarono normali.
- Scusa - lo sentii dire. Si passò incerto una mano sul viso, ora riusciva a rimanere cosciente ma era evidente quanto fosse esausto. Minuscole gocce di sudore gli imperlavano la fronte e gli zigomi. - Grazie… - sussurrò. Safer tese una mano verso di me, col palmo rivolto verso l’alto. Senza capire pensai che mi stesse chiedendo qualcosa per lavarsi da solo il viso così strappai l’orlo del vestito, ancora un po’ bagnato, e glielo misi in mano.
Lo vidi sorridere.
- Molto gentile - lo prese e se lo passò sul viso diverse volte finché il sangue non andò via del tutto. - Ma io ti stavo tendendo la mano.
- Oh! - esclamai imbarazzata mentre sentivo le guance andare in fiamme e il sangue che mi affluiva tutto alla testa. Gli porsi a mia volta la mano e lui la strinse.
- Mi hai salvato la vita. Ti sono riconoscente. Come ti chiami?
- Eh… - dissi io come un’ebete. Non lo stavo ascoltando, mi ero persa ad osservarlo. Quegli occhi che prima mi aveva spaventato per ben due volte ora rivelavano tutta l’intelligenza e la sagacia nascosta dietro a quello sguardo attento. C’era anche qualcos’altro ma sul momento non riuscii a capire. Qualcosa di oscuro. Nascosto. Era abbastanza alto, lo si poteva vedere anche mentre stava seduto. Le sue spalle erano larghe, il petto ampio e muscoloso, così come lo erano le braccia. Sì, non c’era alcun dubbio: quell’uomo era un combattente. Forse un avventuriero…un guerriero!
- “Eh”? - ripeté lui alzando un sopracciglio.
- Insegnami! - strillai afferrandogli il braccio.
Safer rimase in silenzio, fissandomi. Senza staccare gli occhi dalla mia faccia, inclinò lievemente la testa di lato. Incurvò verso l’alto un angolo della bocca in un sorriso sghembo. Sorrise? Io credo fosse un sorriso, poi spostò lo sguardo da me al braccio che gli avevo brutalmente artigliato. Alzò anche l’altro sopracciglio.
- Insegnarti…cosa? - domandò tornando a osservarmi. La sua faccia era impassibile ma i suoi occhi verde acqua, per quanto bizzarri fossero, erano talmente espressivi, mentre trasmettevano quanto mi trovasse buffa, da non farne sentire l’assenza.
Mi resi conto di essere stata indiscreta.
E maleducata.
E terribilmente maschiaccio.
Ritirai la mano di scatto e abbassai lo sguardo, terribilmente imbarazzata. Rossa come un peperone.
- N-nulla… - balbettai.
- Mmh… - mugolò lui chiudendo gli occhi, con una piccola smorfia. - Sono ancora totalmente privo di forze: devo riposare.
- Ah…va bene… - dissi alzandomi.
- Ragazzina - mi voltai. - Dietro quella roccia dovrebbe esserci il mio impermeabile. È nero: prendilo.
Eseguii quello che mi aveva detto, perplessa. L’impermeabile in effetti era appallottolato sotto la roccia, mooolto in fondo. Per recuperarlo dovetti strisciare a quattro zampe come una lucertola. Lo afferrai e mi alzai in piedi.
- Di pelle! - esclamai. - Bello…!!
Peccato fosse tutto stropicciato e rovinato. Anzi, usurato. Decisamente quel cappotto era vecchissimo. Mentre glielo porgevo mi domandai quanti anni potesse avere .
Safer lo afferrò senza una parola, non aprì nemmeno gli occhi. Lo appallottolò e se lo mise dietro la testa a mo’ di cuscino. Incrociò le braccia sul petto e dopo aver chiuso gli occhi non si mosse più.
Anche io rimasi immobile a osservarlo. Si era addormentato? Era talmente silenzioso che se non fosse stato per il lento alzarsi e abbassarsi del suo petto avrei pensato che non stesse nemmeno respirando.
Mi avvicinai a lui, cercando di fare meno rumore possibile, per osservarlo meglio. Era ancora a torso nudo così ebbi modo di osservargli il busto e le braccia, erano ricoperti di tante piccole cicatrici ma nessuna grave. A parte una allo stomaco. In quel punto sembrava essere stato attraversato da parte a parte da un oggetto appuntito, probabilmente una spada. Wow, cavolo, se era davvero così allora Safer era davvero uno tosto. Mi avvicinai ancora un po’, questa volta per guardargli il viso. Aveva dei lineamenti molto belli, decisi, ma anche familiari. Ebbi una specie di flash e per un istante fui certa di aver già visto quella faccia, ma dove?
- Ragazzina - disse con voce seccata, senza aprire gli occhi. - Smettila di scocciare.
Sobbalzai. Accidenti, ennesima figura idiota: non stava dormendo!
- Smettila di chiamarmi ragazzina. Sono una donna.
- Una donna molto giovane - mi contraddì.
- Non mi interessano le tue opinioni - ringhiai, sapendo che però aveva ragione. - Anche se non avessi nemmeno dieci anni, dovresti chiamarmi per nome.
Al che Safer aprì gli occhi e si tirò su. Restò seduto a gambe incrociate e mi fissò dritto negli occhi col suo sguardo penetrante.
- Non hai ancora avuto la grazia di dirmelo il tuo nome, ragazzina - mi fece notare. Probabilmente irritato. Io sarei stata irritata, credo. Forse sì.
- Mi chiamo…Yuri.
Non rispose. Continuò a studiarmi e cominciava seriamente a darmi fastidio. Insomma, l’avevo aiutato, giusto? Perché diavolo continuava a fissarmi. Smettila! Uffa…
Naturalmente non glielo avrei mai detto. Nonostante si stesse comportando in maniera quasi cordiale, avevo capito molto presto che non era un persona con cui scherzare.
- Non è vero.
Ehhh?
- Sì che è il mio nome - protestai.
- Giglio? - sussurrò protendendosi in avanti. - Sai che dimensioni ha un giglio?
Lo guardai assolutamente basita. Cosa poteva importarmi di che dimensioni aveva un giglio??
Scrollai le spalle, per dire che non lo sapevo e nemmeno mi interessava.
- E’ grande circa così - mi spiegò, unendo le mani per mostrarmelo.
- E allora?
- E’ troppo grande per essere il tuo nome. Troppo completo.
Lo guardai adirata. Forse perché mi sentivo punta sul vivo.
- Mi stai psicanalizzando?? - domandai inviperita.
- Non puoi ancora essere un giglio, Sayuri - mi disse tornando a sdraiarsi. - Ti stanno chiamando.
Voltai la testa verso la foresta e allora sentii anche io le voci dei miei fratelli che mi cercavano. Guardai l’uomo ancora una volta prima di correre verso la mia famiglia. Lo sentii ridere mentre mi allontanavo. Quello fu l’inizio di tutto quanto.
Delle gioie e dei dolori. Dell’odio e del pregiudizio ma anche dell’amicizia…e dell’amore. Effettivamente fu grazie a quello se sono riuscita a non arrendermi. Solo per l’amore.


Ecco un nuovo capitolo...eheh  Finalmente i due hanno avuto una conversazione sensata e non solo una sequenza di rantoli XD
Temo che Sephiroth si stia avviando sempre di più sulla strade dell'OOC ditemi di nooooooooo Y_Y
Un mega grazie alla mia sis che mi segue sempre *SMACK* e anche un grazie al molto apprezzato commento di Suehila!
Continuate a commentare tutte e due...e anche tutti gli altri che leggono questa fan fiction! Pleaseeeeeeeeeeeeeee!!
Commentate commentate commentate!! A presto!
^Aya^

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Capitolo 4
*** Conflitto ***


04. CONFLITTO

Passarono due giorni prima che potessi fare ritorno da Safer. Mentre percorrevo la strada che mi avrebbe portata al luogo dove ci eravamo incontrati continuai a domandarmi ininterrottamente se lui si trovasse ancora lì. Fino a pochi minuti prima ne ero stata certa, sicura che lui non si fosse mosso, che fosse ancora lì ad aspettarmi.
Quando realizzai che effettivamente c’erano pochissime probabilità che si trovasse ancora lì mi costrinsi ad accelerare il passo, nonostante l’impervia del sentiero. Lui doveva essere ancora lì, l’idea che fosse scomparsa l’unica persona che avrebbe potuto aiutarmi a realizzare il mio sogno era insopportabile, così cercai di distogliere la mente da quei pensieri. Almeno per un po’.
Concentrai l’attenzione sulla strada. Chissà come avevo fatto a perdermi quella notte? Certo, mi ero recata in una zona della montagna a me inusuale, ma non certo sconosciuta!
Passai vicino alla sorgente d’acqua, presso la quale mi ero più volte recata appena due notti prima. La superficie appariva immobile e scintillava per i raggi del sole che la penetravano. Proseguii con rammarico perché mi sarei soffermata volentieri per immergermi nell’acqua, anzi, probabilmente in altre circostanze l’avrei fatto se non fossi stata così ansiosa di verificare se Safer era ancora in quella radura sotto il cielo aperto.
Cominciai a chiamarlo per nome molto prima di raggiungere il posto, ma non potevo più aspettare. Lui però non mi rispose: cominciai a correre.
- Safer! - chiamai ancora.
L’uomo emerse dal bosco. - Ciao, Sayuri - mi salutò, chiamandomi con quel nome che aveva scelto per me.
- Sei qui! - esclamai, mentre il mio corpo veniva scosso da sentimenti contrastanti. Sollievo, incredulità, speranza e felicità. Poi mi diedi della stupida da sola. Perché ero tanto sorpresa di averlo trovato? Avevo pregato tutti gli dei della mia famiglia affinché facessero in modo che non se ne andasse, non avrei dovuto essere tanto allibita.
- Sono qui - concordò lui annuendo impercettibilmente. Poi sorrise sarcastico: - Chiudi la bocca.
Oh cavolo… avevo spalancato la bocca dalla sorpresa. Abbassai lo sguardo imbarazzata mentre cercavo di riacquistare un minimo di dignità.
- Perché non te ne sei andato? - gli chiesi, e la domanda parve esplodermi da dentro il petto.
- Non sono ancora in grado di intraprendere un viaggio - rispose lui sinceramente, indicandosi il torace e una gamba, in effetti l’avevo visto zoppicare leggermente mentre camminava nella mia direzione. Entrambe risultavano fasciate con della stoffa su cui riconobbi la fantasia di quella parte di kimono che avevo abbandonato alla sorgente. Notai che anche la sua fronte era fasciata.
- Spero non ti dispiaccia - continuò.
Dispiacermi? Alzai su di lui lo sguardo e mi persi per un istante nel verde dei suoi occhi. Era un colore che non avevo mai visto prima d’ora, in tutta la mia vita, e feci molta fatica a distogliere lo sguardo. Dispiacermi per cosa? Lo guardai con un’espressione interrogativa, ma facendo ben attenzione a non creare più una connessione tra i miei occhi e i suoi.
- Il kimono - rispose lui semplicemente. - Non ho trovato altro.
- Non c’è problema - risposi distrattamente.
- Bene.
Tra di noi calò uno strano silenzio. Dovevo assolutamente cercare di dire qualcosa ma non trovavo le parole per farlo. Accidenti, la mia testa era travolta da mille domante che spingevano per uscire, ma quando provavo a formularle, queste non riuscivano a uscire dalla mia gola.
- Allora… - bisbigliai alla fine, senza riuscire a trattenermi - cosa hai intenzione di fare?
Safer mi guardò strano e poi sorrise. Sorrise lentamente rivelandomi la sua dentatura perfetta che sembrò scintillare pericolosa nella mia direzione.
- Perché la cosa ti interessa?
Fuggire! Non so perché ma in quell’istante percepii distintamente questo chiaro messaggio provenire dal mio cervello. Girati e scappa.
Ma non lo feci. Serrai la mascella, cocciuta, e lo guardai dritto negli occhi. Decisa a non farmi più incantare dalle sue iridi brillanti.
- Sono curiosa - risposi rigidamente. Se credeva di potermi trattare come una bambina si sbagliava di grosso. Avevo già raggiunto l’età in cui le ragazze usano sposarsi, nel mio villaggio, e questo faceva di me una donna in tutto e per tutto.
- Allora, se sei solo curiosa - mi disse calcando sul termine, - non ti risponderò.
- Che cosa? - esclamai indignata.
- Ho detto - ripeté scandendo lentamente le parole, come se parlasse ad una ritardata, - che non ho intenzione di risponderti.
Lo guardai incredula. Mi stava forse prendendo in giro? Se il suo scopo era di farmi adirare c’era riuscito benissimo!
Safer s’immerse di nuovo nella foresta. Aveva indossato il suo strano soprabito nero e vidi scintillare la sua lunga spada al suo fianco.
- Aspetta! - lo chiamai. Lui si fermò e si voltò nella mia direzione, osservandomi in attesa che continuassi. - Dove stai andando?
Di nuovo le sue labbra si incurvarono in un sorriso da lupo mentre mi chiedeva: - Sei curiosa?
Io annuii prima di rendermi conto di averlo fatto, quindi mi diede le spalle e proseguì senza prestarmi più attenzione.
- Bastardo… - dissi a voce bassa, ma non così bassa da non poter essere sentita da chi avesse un udito molto fine. Come lui, probabilmente, perché anche se non lo vedevo più, percepì la sua risata echeggiare attraverso gli alberi.
Indispettita mi voltai e me ne andai.
Poteva anche essere l’uomo più affascinante che avessi mai visto.
Poteva anche avere l’aria tremendamente sagace e intelligente.
Poteva anche essere il miglior guerriero esistito sulla faccia della Terra, per quanto ne sapevo…
Ma ciò non toglieva che potesse essere un terribile stronzo!



Ecco che continua la storia di Yuri. Oggi ho capito che non ha un capitolo così remissivo, dopotutto...è abbastanza cocciuta. Beh, in Sephiroth ha trovato un degno avversario, in questo frangente.
Come capitolo è stato abbastanza breve...ma con questa storia assegnerò ad ogni capitolo un episodio credo...un po' come sto facendo in "La Sacerdotessa di Hyne" infondo...
Nel prossimo capitolo "Lifestream" vedremo ancora un face-to-face tra i due ma tra un po' introdurrò anche la famiglia si Yuri...6 fratelli, cavolo... O.o io non resisto con una sorella!
Vabbé, sto divagando... XD 
Di nuovo grazie a Suehila per i commenti sono felice che ti piaccia ^O^!!
Rimanete sintonizzati perché sfornerò il prossimo capitolo molto presto...forse oggi stesso! ;) baci baci

^Ayame^

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Capitolo 5
*** Divinità ***


05. DIVINITÀ

Alcune volte, nella mia vita, mi ero domandata chi fossero quegli déi e quelle dee che tutti noi, al villaggio, veneravamo unito al grande culto che avevamo per i nostri antenati.
In casa avevamo un altare con le foto dei miei nonni e dei nonni di mio padre, presso il quale bruciavamo dell’incenso profumato e onoravamo la loro memoria; quello di cui invece avevo notato l’assenza era un qualcosa che potessimo identificare con il nostro dio personale. Né una statua, né un’effige, nulla.
Da piccola mi ero limitata a seguire gli insegnamenti di mia madre, che affermava di venerare Albirea, la dea cigno protettrice della famiglia e del focolare domestico. Non avevo, però, mai visto nemmeno una foto di quel candido ed elegante uccello vicino a lei.
Il dio di mio padre era Markab, dei lavoratori e protettore della tradizione. I miei fratelli avevano tutti divinità diverse, che spesso cambiavano a seconda del periodo…Ägid, dio della fortuna, Dietger, quello dell’arte, Akshat, il dio dei piaceri e tanti altri.
Per quanto riguardava me, avevo scelto come nume Ashling, la dea del sogno e della visione. Era inoltre una guerriera. Fu quando avevo dodici anni che cominciai a venerarla, senza però saper bene come fare. Nonostante l’amore proclamato da mia madre, lei non si era mai degnata di offrire qualcosa alla propria dea e lo stesso era per i miei fratelli. Riguardo mio padre, non sapevo come interagisse con Markab, che era un dio forte e rigoroso e m’incuteva timore.
Fu mio fratello maggiore Shin (il primogenito) a spiegarmi che i nostri déi non si aspettavano da noi nulla di diverso da quello che volevamo offrire loro.
In seguito a questo cominciai, una volta al mese, a intrecciare una piccola ghirlanda di fiori per poi abbandonarla in un torrente della montagna in onore di Ashling; inoltre dedicavo a lei tutti i miei sogni, sia quelli del sonno, quelli onirici, sia quelli della veglia.
Continuai così per diversi anni, felice di avere una déa alla quale dedicare ogni giorno una piccola parte di me, poi conobbi Safer.
Tornai spesso da lui, in quello spiazzo in mezzo al bosco che ormai consideravo il suo accampamento. Non gli chiesi più di insegnarmi a combattere: parlavamo, di cose più o meno futili. Litigavamo, molto spesso, ma con calma cominciai a divertirmi a portare avanti con lui veri e propri duelli verbali…dai quali uscivo regolarmente sconfitta.
Nonostante il basso livello di conversazione che poteva avere con una come me, figlia di una cultura tradizionalistica nella quale la donna occupava solamente il ruolo di moglie, impiegai davvero poco tempo a rendermi conto di quanto fosse istruito. Non c’era cosa che non sapesse.
Per questo motivo, probabilmente, mi ero auto-convinta che venerasse il dio della conoscenza: Senan.
Era pomeriggio. Il sole, dopo aver brillato sfavillante per tutta la mattinata, a mezzogiorno cominciò a fare nascondino dietro alle nuvole e a quel punto della giornata era quasi completamente coperto. Nonostante ciò continuavo a sentire il suo calore sulla nuca mentre, seduta per terra, discutevo allegramente con Safer. Non ricordo come, né perché, ma nominai Senan, parlando di lui come del suo dio personale.
- Senan? - ripeté, pronunciando la parola come se fosse la prima volta che essa usciva dalle sue labbra. - Ti ho mai detto di venerare un qualche tipo di dio?
- No - risposi - è stata solo una mia supposizione.
Mi guardò con un sorriso che mi sembrò di compatimento, ma forse era solo malinconia. - Io non credo nei vostri déi: dal luogo dove vengo io essi non esistono neppure.
- Com’è possibile? - domandai incredula. Il fatto che la mia Ashling non esistesse mi provocava una grande tristezza. Presi nota delle parole di Safer, ma per il momento scelsi di non accettarle come vere, e passai all’attacco.
- Allora tu in che cosa credi? - lo interrogai strafottente.
- Nella vita - fu la sua risposta. Al che non riuscii più a replicare. Aveva un’espressione così solenne, seria, che non me la sentivo di discutere anche su quello. Si era alzato in piedi e, lasciando lo sguardo vagare lontano, rimase immobile qualche minuto immerso nelle proprie riflessioni.
Gli accadeva, ogni tanto, di perdersi fissando il vuoto. In quei momenti anche io mi sentivo avvolgere da una calma soprannaturale e mi facevo incantare dall’ondeggiante movimento ipnotizzatore della sua chioma d’argento.
Si riscosse all’improvviso e mi guardò con quel suo sguardo penetrante.
- Vieni con me - mi disse. - Seguimi: desidero mostrarti una cosa.
Safer s’incamminò tra gli albero e lo seguii dopo pochi istanti. Che cosa voleva farmi vedere? Perché sembrava avere una certa urgenza?
Arrancai dietro di lui, cercando di mantenere il suo passo. Era molto alto e per eguagliare un suo passo, io dovevo farne almeno due.
Dopo un po’, vedendo che ero in procinto di sputare per terra un polmone, Safer rallentò fino ad adattarsi alla mia andatura.
Conoscevo quella parte della montagna, ci stavamo avvicinando alle grotte di Nibh, un profondo e intricato groviglio di gallerie scavate nella roccia che si estendevano per tutta la montagna: non capivo cosa avremmo dovuto trovarci là così, senza fermarmi o rallentare ulteriormente il passo, gli domandai: - Dove mi stai portando? Cosa vuoi mostrarmi?
- Il “mio” dio.
- Un dio…in una grotta?
- Dimentica la tua concezione di divinità, esso non è un essere ma un’essenza - mi spiegò lui, usando termini che conoscevo, ma che ebbi comunque difficoltà ad afferrare. Mi stava facendo uno strano discorso, secondo quello che era un parere molto inesperto. Non riuscivo assolutamente a concepire una visione diversa di divinità.
- Come si chiama?
- Che cosa? - fece lui.
- Questo dio che non è un dio ma un’essenza - dissi ripetendo, quasi a pappagallo, le sue parole precedenti. Safer però non si irritò, mi sorrise comprensivo (anche se non mancava la sempre presente nota divertita) e rispose: - Lifestream.

Ecco qui! Avevo detto a breve, no? E anche il capitolo in realtà è brevissimo...cos'è meglio? Capitoli corti più spesso, o capitoli lunghi meno spesso? Di solito preferisco la seconda opziona ma lo stress della scuola non mi permette di scrivere che capitoletti corti corti... ^.^
@Suehila: bene bene...sono contenta che tu sia riuscita a interpretare bene il carattere di Yuri... credo sia anche una persona abbastanza ingenua. Nonostante non sia più una bambina non ha, dopotutto, avuto una vera figura femmili a cui ispirarsi...come vedremo la madre è un po' svampita!
Grazie per i tuoi sempre puntualissimi commenti e un grazie anche alle altre persone che leggono questa fan fiction! (pochine, sigh, ma almeno qualcuno c'è! ^_^)

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Capitolo 6
*** Lifestream ***


06. LIFESTREAM

Mi condusse attraverso uno stretto passaggio nella roccia, un lungo percorso che sembrava volerci portare, attraverso la montagna, al cuore della terra. E forse stava facendo proprio quello.
Dopo soli pochi metri l’oscurità più assoluta ci avvolse. Non vedevo più niente, ma Safer continuava a camminare davanti a me, con passo spedito, come se avesse avuto in mano una torcia. Per un secondo mi domandai se i suoi strani occhi non potessero vedere attraverso la tenebra.
Lo seguivo lentamente, arrancavo con le braccia stese davanti a me come un sonnambulo, affidandomi solamente all’udito per avvertire la sua presenza. Già dalla prima volta che l’avevo visto camminare avevo capito che il suo incedere marziale poteva trasformarsi in un cauto passo felpato, impossibile da udirsi. Ma ora sembrava volermi far sentire per forza la sua presenza, mentre lo spesso mantello di pelle frusciava contro le sue gambe e i suoi stivali smuovevano rumorosamente le pietre che incontravamo al nostro passaggio.
Inoltre c’era l’olfatto. Attraverso l’odore di muschio e umido di quella strana grotta spesso, con impetuosa delicatezza, mi giungeva il profumo di Safer; e sapeva di cinnamomo.
All’inizio avevo creduto usasse applicarsi addosso l’aroma, ma non era così. Non sapevo come, ma era la sua pelle ad avere quella dolce e pungente fragranza.
Io sapevo che, diversamente da lui, il mio odore era quello dei chocobo, della paglia e della resina degli alberi dietro casa. La mia pelle non era speziata come la sua.
- Safer, dove stiamo andando? - domandai perplessa dopo molto tempo. Attraverso quella totale oscurità avevo cominciato a perdere la nozione del tempo.
Sentii che mi rispose qualcosa ma, distolta l’attenzione da dove posavo i piedi, rovinai a terra e il tonfo dovuto alla mia caduta coprì quasi completamente le sue parole.
- Ahi… - gemetti puntellandomi a terra per mettermi a sedere.
Qualcosa di caldo e viscido mi colò lungo la guancia. Al buio non capii subito cosa fosse ma, quando alzai una mano per sfiorarmi la tempia sinistra, una leggera fitta di dolore mi attraversò la testa.
- Safer - lo chiamai debolmente, - sto sanguinando.
Nel buio, lo sentii fare tre passi nella mia direzione prima di accucciarsi per terra accanto a me. Allungai un braccio, cercandolo, e gli sfiorai la spalla con la punta delle dita. Poi strinsi nella mano il suo abito di pelle.
Lui fece lo stesso, ma più lentamente. Con la mano sinistra sfiorò il braccio con cui l’avevo afferrato e ne seguì il profilo fino alla spalla. La strinse. Quel tipo di contatto fermo, deciso, mi rassicurava e forse era per questo che l’aveva fatto. Non ero spaventata, naturalmente non era la prima volta che mi ferivo, ma di certo non ero tranquilla. E continuavo a sanguinare.
- Dove ti fa male? - domandò con voce calda e tranquilla. Era lo stesso tono che usava mio fratello Yo quando parlava ai chocobo irrequieti o impauriti.
- La tempia sinistra - risposi semplicemente.
Safer non lasciò la stretta rassicurante alla mia spalla ma sollevò il braccio destro. Lo sentii cercare il mio volto. Prima mi sfiorò il mento, la guancia e infine trovò la tempia e la piccola lacerazione.
Posò con estrema delicatezza le dita sulla mia ferita, con un tocco così leggero che non provai nemmeno dolore. Non avrei mai creduto che quelle mani, piene di calli e così avvezze a maneggiare una spada potessero essere tanto delicate.
- E’ solo un taglio - mi assicurò. - Non è niente.
- Ma continua a sanguinare! - protestai.
- Stai ferma - mi ordirò allora lui.
Smisi anche di respirare. La mano di Safer si chiuse a coppa sulla mia ferita e la sentii scaldarsi sempre di più. Sentivo un meraviglioso tepore avvolgermi la testa.
- Apri gli occhi.
Non mi ero nemmeno accorta di averli chiusi. Ma che differenza poteva fare, tanto non avrei potuto vedere comunque niente…e invece non era così. Spalancai gli occhi e mi accorsi che ora c’era una luce, piccola, fievole ma c’era.
Il suo freddo colore verde acqua gli illuminava il viso facendogli risplendere la pelle chiara. I suoi capelli d’argento, a causa dell’umidità della grotta, si erano riempiti di goccioline d’acqua e sotto quella luce sembravano ricoperti di minuscoli diamanti.
Fu in quel momento, credo, che cominciai a innamorarmi di lui.
La luce scomparve insieme alla mia ferita.
- Cos’hai fatto? Eri tu a emettere quella luce?
- Era una magia Cure - mi spiegò aiutandomi ad alzarmi in piedi. - Era la mia mano ad emettere quella luce mentre la usavo.
- Grazie - gli dissi sinceramente.
- Vieni, manca poco - fece una pausa, prima di riprendere a camminare. - Aggrappati al mio cappotto se hai paura di cadere di nuovo.
Da quel momento, il percorso cominciò ad essere meno ripido e più facile da percorrere. Anche perché Saper aveva rallentato.
Era un personaggio assurdo. Non riuscivo a persuadermi del contrario. Dannatamente bello ma utilizzava le parole per esprimere solo l’essenziale…a meno che non dovesse sfottermi. Assurdo. Assurdo…non riuscivo a capirlo. Davvero non ci riuscivo e questo in parte mi spaventava: non ero mai stata innamorata in vita mia e l’inizio di un sentimento del genere non poteva provocarmi altro che confusione.
- Guarda.
Sembrò quasi uscire all’esterno ma ci trovavamo ancora sottoterra. Quella era un’altra caverna ed era interamente illuminata da una luce simile a quella sprigionata dalla magia Cure, ma molto più intensa. Al centro di quell’immensa cavità sotterranea mi parve di scorgere qualcosa, ma i miei occhi non riuscivano a capire quel che vedevano.
Appariva come una spirale di luce bianca e verde che saliva verso l’alto e riempiva l’antro.
Poi ebbi come un flash e indietreggiai intimorita, sembrava l’energia mako! A contatto con un essere umano poteva essere miracolosa…o fatale! Perché Safer mi aveva portato in un luogo simile?
La sua voce giunse rassicurante al mio orecchio mentre mi poggiava una mano sulla schiena e mi spingeva delicatamente in avanti. - Non è mako - mi disse, come leggendomi nel pensiero. - Beh, non proprio.
- Come…
- Potremmo dire che è la sua forma grezza. In questo luogo, per qualche motivo, il Lifestream filtra attraverso la terra e si rivela. Esso è chiamato anche flusso vitale, è l’anima e la vita di questo pianeta. Tutti gli spiriti degli uomini, quando muoiono, ritornano al lifestream.
Lo ascoltai, rapita, mentre continuava a parlarmi di quello che prima aveva definito l’unica “divinità” che avrebbe mai potuto in qualche modo venerare.
Safer mi prese il polso e mi condusse accanto a quella spirale di vita. Allungò con me la mano fino a sfiorarne il flusso con le dita.
E’ stata l’esperienza più meravigliosa e travolgente della mia vita.
Per un istante non sono più stata Yuri, non mi trovavo in una caverna e con me non c’era nessun altro…ma nel contempo ero mille persone diverse, in mille posti diversi con mille persone differenti. Tutto nello stesso momento. L’energia mi attraversava il corpo come una scarica benigna, la sentivo fluire attraverso le nostre mani unite, a contatto col flusso, attraverso i nostri corpi. Essa soffiava in me la vita poi andava da lui, tornava da me, tornava da lui.
Rabbrividii e mi accorsi che anche la mano di Safer, allacciata con la mia, tremava leggermente.
Poi tutto finì, tornai nel mio corpo, di nuovo me stessa: Safer aveva allontanato la mia e la sua mano dalla spirale di energia. Per un istante che durò come un battito di ciglia sentii dentro di me una mancanza incolmabile, poi passò e rimase solo un caldo senso di serenità.
Alzai gli occhi verso Safer e i nostri sguardi si incatenarono insieme, come era già successo prima. Solo che ora io piangevo.
- E’ questo il tuo dio - dissi.
Non era una domanda, ma lui rispose lo stesso: - Sì.
Ci guardammo ancora. Era una sensazione stranissima, sentivo ancora l’energia del lifestream dentro di me e guardando nei suoi occhi mi sembrava di cogliervene un frammento. Forse era lo stesso anche per lui.
Lo precedetti verso l’uscita, di nuovo nel buio della grotta. Solo che ora sembrava meno buio.
Safer si voltò ancora una volta verso la spirale di energia prima di seguirmi. Lo sentii mormorare delle parole, ma non le compresi. Così non diedi loro importanza. Le dimenticai e uscimmo dalla caverna.
Disse: - Il Lifestream, il flusso e la vita di questo pianeta; che raccoglie le anime dei defunti…e non ha voluto la mia.


E' l'una di notte acc...comunque mi piace questo capitolo. Sono progredita sul piano sentimentale, ancora non ci credo... O.o Inchinatevi a me, o poveri mortali (o qualcosa del genere). ahah non saprei spiegarmi, è un po' strano...penso che questa coppia sia assurda! (il bello è che sono io che la sto scrivendo).
Qui Sephiroth (non preoccupatevi, prima o poi gli ridarò il suo nome) è un po' strano per la vicinanza con il lifestream...aiuto mammamia, spero di non aver scritto idiozie! Comunque...come, spero, spiegherò prima o poi è stato il lifestream e catapultare Sephiroth avanti nel tempo e nello spazio dopo che è stato sconfitto da Cloud... il punto è che questa giustificazione l'ho usata anche in "Ricominciare", povero Sephy. Sarà che non ho fantasia ma mi sembra talmente plausibile che non mi viene nient'altro in mente! ^O^ sono aperta a consigli...
Yuri un po' sono io. Si muove da sola, credo, proprio perché fa quello che farei io (a volte eh, non sempre.In realtà cerco di renderla un po' più ingenuotta). Sarà per questo che non so che dire di lei...Solo vi ricordo che ha ben 6 fratelli! Ogni tanto saltano fuori quindi non vi sconvolgete! In ordine dal più grande sono: Shin, Daisuke, Yo, Taka, Ryo, Seimei e poi c'é Yuri! Così non fate confusione almeno, eh! ^_^
Prossimo capitolo, probabilmente si intitolerà "Allieva e maestro", mi fa ansia il solo pensarci sinceramente ma ce la metterò tutta!
Ahhhhhhhhh! Sono felicissima...oltre a Suehila che ormai mi ha commentato ogni capitolo (grazie! grazie! grazie!) questo giro devo i miei ringraziamenti anche a FlyGirl! I commenti fanno bene all'anima, ragazze, quindi continuate! Domo arigatoo!!
Grazie comunque a tutti coloro che leggono questa fan fiction! *inchino*
Spero di aggiornare presto!
^Ayame^

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Capitolo 7
*** Legami di famiglia ***


07. LEGAMI DI FAMIGLIA

 

Fu strano tornare a casa.

Safer ed io camminammo insieme fino al suo accampamento poi, senza scambiarci più una parola, ci separammo. Lui si sedette accanto ai resti di un fuoco mentre io imboccai il sentiero che mi avrebbe ricondotta alla valle dove sorgeva il mio villaggio.

I miei piedi si spostavano da soli, mettevo un passo davanti all'altro senza rendermene conto perché la mia mente sembrava comportarsi in modo diverso dal solito...vedevo più vivido...sentivo le cose più distintamente ma, soprattutto, percepivo ancora dentro di me il calore che avevo provato nel momento in cui la mia mano aveva toccato il Lifestream.

Cosa erano quelle sensazioni?

- Sono a casa - dissi a mezza voce, varcando la porta d'ingresso.

Quasi non mi accorsi della mano che calò violenta contro la mia guancia con uno schiocco sonoro.

Mi portai dolorante le dita al volto, mentre un velo di lacrime mi offuscava la vista. Non alzai nemmeno lo sguardo per vedere chi mi aveva colpito, non era difficile intuire chi fosse e inconsciamente cercai di farmi piccola piccola. Come un topolino messo al muro da un gatto.

- Dove sei stata? - tuonò la voce bassa e rauca di mio padre, la sua figura che incombeva su di me.

- Solo in giro...nei boschi.

Non lo guardai in faccia, limitandomi a tenere lo sguardo fisso sulla mano che mi aveva colpita, ora abbandonata lungo un fianco. Le sue dita si strinsero a pugno e tremarono. Per un secondo immaginai il suo volto e rabbrividii.

- Sei una svergognata - ringhiò lui, cercando di abbassare la voce, ottenendo però solo di renderla più minacciosa. - Non sei più una bambina, sei quasi una donna. Sgraziata, maldestra, con lineamenti troppo vistosi per essere apprezzati ma pur sempre una donna!

Trasalii. Lo ripeteva spesso, questo, di come i miei lineamenti non fossero adatti. Diceva che ero brutta, ma non era così: lo sapevo. Certo, non ero bella, ma lui intendeva un'altra cosa. Lui voleva un'altra cosa.

Come ho già detto, in questa piccola città e in alcune di quelle vicine la donna è sposa e madre. Fine. Sposa, madre.

Il mio corpo era troppo secco per essere adatto ad avere tanti figli (le donne con meno di quattro figli erano considerate un fallimento), in quanto all'essere sposa... avevo degli zigomi molto alti, altissimi, e questo non andava bene per mio padre e la gente come lui: erano considerati un simbolo di...ribellione. Desiderio di indipendenza, consapevolezza di sé...insomma, di qualcuno che non aveva intenzione di lasciarsi sottomettere. In parte era vero. Poi, le mie labbra non erano abbastanza piene e carnose come avrebbe voluto (credo non sarebbe stato contento nemmeno se le avessi riempire con della stoffa!)...il naso e la fronte erano proporzionati al resto della faccia, l'uno piccolo e minuto, ma non troppo, l'altra alta ma senza risultare esagerata. Ma non andavano bene lo stesso, per lui. Non erano bei lineamenti, ma rimanevano comunque apprezzabili!

Non qui, naturalmente.

E poi...ohhh, poi! I miei occhi erano enormi, neri come dei pozzi infiniti...più rotondeggianti che affusolati...quasi come una piccola foglia. Mio padre invece voleva una mandorla molto sottile.

Ciò che invece non mi aveva mai risparmiato una sgridata, una punizione, qualsiasi cosa, erano la leggerissima spruzzata di lentiggini castane che spuntavano sul mio naso quando appena prendevo un po' di sole. Quelle sì, che lo facevano infuriare!

Ma lui stava ancora urlando. - Cosa credi penseranno di te, tutti, se continui a vagare da sola per i boschi, come una selvaggia? Non ti sposeranno mai, non ti sposeranno mai!

Lo vidi alzare il braccio destro e tenerlo sospeso sopra la sua testa, pronto a calarlo di nuovo contro di me. I suoi occhi fiammeggiavano, ma erano lucidi. Le guance e il naso rossi. Ubriaco mi suggerì la parte di me che ancora riusciva a ragionare, mentre tutto il resto si rannicchiava, preparandosi a incassare il colpo.

- Papà! - esclamò un'altra voce. Una voce gentile di cui già il suono, da solo, sembrava avvolgermi e proteggermi. Poi comparve anche il proprietario di quella voce.

Shin! gridò il mio cuore, traboccante di gioia. Il mio fratello più grande.

- Papà, lascia stare Yuri. Se le lasci dei lividi sul corpo non la vorrà più nessuno... - disse con voce calma e suadente mentre afferrava con decisione il braccio alzato di mio padre e lo riabbassava. Il suo sguardo incrociò il mio un secondo, poi i suoi occhi saettarono verso la porta, espliciti.

Io sgusciai di nuovo fuori, senza farmi ripetere due volte il saggio consiglio, ma non potevo certo allontanarmi. Dovevo essere a portata di mano per quando papà fosse sbollito.

Entrai nella stalla dei Chocobo silenziosa come una pantera. Scorsi immediatamente mio fratello Yo, il terzogenito, intento a lisciare le piume al proprio chocobo nero. Gli strisciai alle spalle e feci di corsa tutta la lunga stalla, fino ad infilarmi nel box con il mio di chocobo. Le sue lucenti piume erano di colore smeraldo, perché nessuna parete rocciosa era troppo ripida per lei, si chiamava Lei Lin.

"Kuéé!!" cominciò felice appena mi vide, ma la zittii all'istante. Non volevo che Yo si accorgesse della mia presenza.

Lei Lin mi si accucciò accanto e mi beccò affettuosamente i capelli.

Mi appoggiai contro il suo fianco. Era calda, fu così che mi accorsi che ormai il dolce tepore donatomi dal Lifestream era scomparso. Ciò mi sconvolse più dell'attacco improvviso di mio padre, più del dolore pulsante alla guancia sinistra che presto si sarebbe trasformato in un livido violaceo, e scoppiai a piangere, in silenzio, abbandonando la testa tra le braccia.

"Kué?" fece piano Lei Lin, sfiorandomi il braccio con il becco liscio.

- Va tutto bene Lin - le dissi in un soffio, - passa presto.

Sembrò tranquillizzarsi e posò il muso tra la paglia. Io non piansi ancora a lungo, era una cosa che detestavo fare.

Il mio stomaco brontolava, la desta mi doleva e la guancia aveva bisogno di ghiaccio, perché cominciava a gonfiarsi.

Nonostante tutto non mi mossi da lì. Nonostante la mia parte razionale cercava di spingermi a rientrare a casa, perché stare lontana ancora non avrebbe che peggiorato le cose. La ignorai, come spesso accadeva del resto, e mi raggomitolai contro il fianco di Lei Lin, che sollevò un'ala e la poggiò sopra di me, come fosse una coperta. Mi addormentai molto presto.

Quella notte sognai. Non succedeva spesso, ma quando succedeva difficilmente me lo scordavo.

 

C'erano mio padre, Safer e il Lifestream. Solo che non sembravano loro...mio padre sì, in effetti, ma il Lifestream non era come quando lo avevo visto io. Percorreva tutta la Terra, dentro, intorno, attraverso... era caldo, come lo ricordavo, ma non silenzioso. Lo sentivo cantare, suoni che non erano note musicali e che risplendevano di tutti i colori dell'iride, e cantava per me. Un canto senza parole, che però aveva un senso, un messaggio, che tuttavia non riuscii a cogliere.

Safer mi guardava, seduto su quel tronco d'albero caduto dove lo avevo visto tante volte. Anche lui era diverso da quello che conoscevo, sebbene l‘aspetto non fosse cambiato. I suoi occhi scintillavano e mi suggerivano un altro nome, un nome che non era Safer.

Come per il canto del Lifestream, non riuscii a capire.

Mio padre fu una strana presenza. Stava eretto, senza il bastone che usava per camminare, per aiutare la gamba ferita, e guardava davanti a sé. All'improvviso però la sua espressione mutò, si
trasfigurò, e mi lanciò contro il bastone, comparso dal nulla. Mi ero aspettata qualcosa, non so bene che cosa, ma di certo non quello che successe.

Il Lifestream mi circondò, senza toccarmi, e Safer mi sorrise. Il suo sguardo era doppio, quello di un folle e quello di un saggio, di un amico e di un nemico, di uno sconosciuto e di un'amante. Non fece una mossa, neppure uno dei suoi bellissimi capelli ondeggiò ma quando in mano mi ritrovai una spada sapevo che me l'aveva data lui. Alzai la lama davanti a me, pronta a difendermi da quel bastone lanciato con forza.

Non so perché fosse tanto importante, l'unica cosa che mi avrebbe potuto fare quel bastone era un livido, ma potevo anche spostarmi di lato di un passo e schivarlo, con facilità.

Quello però era un sogno, non la realtà, e io dovevo assolutamente affrontare quel quasi innocuo pezzo di legno.

Quando lo feci, scomparve. Scomparvero tutti, per primo mio padre. Subito dopo la luce del Lifestream si affievolì fino a scomparire, cosa che mi provocò un dolore quasi fisico.

Ultimo rimase Safer, che in quel momento non si chiamava Safer, perché non era Safer.

L'uomo mi si avvicinò poi si lasciò cadere con le ginocchia al suolo. Ora anche io mi trovavo seduta per terra. Mi appoggiò le mani sulle spalle e avvicinò il suo volto al mio. Dapprima sfiorò con le labbra la mia fronte, dopo aver scostato i capelli. Si abbassò e mi baciò tra le clavicole e infine, dopo essersi portato alla mia altezza, poggiò le sue labbra sulle mie, con la stessa leggerezza di un soffio di brezza primaverile.

Era una cosa strana e non lo respinsi, non perché era un sogno, ma perché non era un bacio. Sembra un battesimo, sebbene non conoscessi il suo significato.

Quando Safer si staccò dalle mie labbra e si allontanò, mi svegliai.

 

Aprendo gli occhi, dal principio mi ritrovai un po' spaesata.

Mi aspettavo di essere distesa tra la paglia, magari parzialmente schiacciata sotto il peso del mio Chocobo, che aveva l'abitudine di sdraiarmisi addosso in segno d'affetto. Credevo avrei avuto tutte le ossa indolenzite... e di puzzare anche (invito chiunque ad addormentarsi in una stalla, e solo dopo storcere il naso!).

Impiegai più del dovuto a rendermi conto che invece mi ritrovavo nella mia stanza, sul mio materasso, che ormai cominciava a lasciar sfuggire la paglia dalle vecchie cuciture. Per di più il soffitto...ricoperto di un'orribile carta da parati scrostata in così tanti punti che ormai era diventato quasi impossibile riconoscerne la fantasia originale.

Ma cosa ci facevo nella mia stanza? Ero stata portata lì da uno dei miei fratelli, ma quale? Shin? Yo? Seimei?

Scrollai le spalle. In fondo non aveva importanza chi era stato.

Scesi giù dal materasso facendo attenzione a dove poggiavo i piedi, per evitare di svegliare qualcuno col rumore provocato dallo scricchiolare dalle vecchie tavole di legno. Allungai le braccia e le gambe davanti a me stiracchiandomi e lanciando una veloce occhiata fuori dalla finestra. Potevo vedere l'ombra della casa proiettarsi nel cortile ma il cielo era ancora illuminato da una tenue luce rosata, perciò ne dedussi fosse ancora molto presto.

Se mi sbrigo posso ancora andare da Safer prima che gli altri si alzino! pensai avvicinandomi al baule, sotto la finestra, dove tenevo i vestiti puliti.

Pensare a Safer, però, mi fece tornare alla mente il sogno di quella notte agitata.

Mi appoggiai sul bordo del baule ancora aperto, tenendo una camicia appoggiata sulle ginocchia, e rabbrividii al ricordo. Agitai la testa da una parte e dall'altra, come per allontanare una mosca fastidiosa e mi imposi di non pensarci troppo.

Dopotutto è stato solo un sogno...

Ma non era stato un sogno qualunque. In qualche angolo del mio subconscio lo sapevo: era troppo ambiguo, troppo nitido... e mi ripersi in esso. Rivedendo brevemente nella mente alcuni istanti, le sensazioni...già...quelle erano state molto forti.

E il Lifestream...

Il Lifestream sembrava ancora avvolgermi e come dopo la grotta, percepivo il suo calore nel petto, e ancora in quel momento, come nel sogno, se prestavo attenzione, sentivo una leggera eco del suo canto.

Scossi di nuovo la testa. Non mi era mai successo di essere tanto coinvolta da un sogno, così decisi di andare da Safer. Forse lui avrebbe saputo spiegarmi un sogno tanto strano...anche se forse in realtà l'unica cosa che volevo era non pensarci più...

Ma in fondo sapevo benissimo di avere semplicemente voglia di vederlo e, per una volta, non avere come unico argomento di conversazione i Chocobo, la stalla...e il matrimonio!

Legai i numerosi laccetti sul davanti della camicia e mi infilai un paio di pantaloni al polpaccio che facevano da completo, avendo la stessa fantasia arabescata di colore blu. Presi in mano le piccole scarpette nere che usavo di solito prima di cercare di sgusciare silenziosamente fuori dalla finestra.

Avevo già una gamba fuori dalla finestra quando fu invece la porta ad aprirsi cigolando. Con un muta preghiera ad Ashling, che non fossero mio padre o Daisuke, mi voltai.

Con sollievo lasciai andare il fiato che avevo trattenuto fino a quel momento, senza accorgermene. Non era "bene", ma avevo immaginato di peggio.

- Sorellina! - dissero nella mia direzione due volti quasi identici.

Erano i miei fratelli maggiori minori...quasi...emh... è un po' difficile spiegare i gradi dei miei fratelli...in sostanza loro erano, dopo me e Seimei, i più giovani. Gemelli... e mi odiavano.

Cioè, in realtà non mi odiavano, anzi, mi volevano bene ma erano delle pesti dispettose nonostante cominciassero ad essere un po' troppo grandi per essere così infantili.

- Dove stai andando? - mi domandò Taka giocando con un ciuffo dei suoi capelli ribelli.

- Affari miei - risposi brusca, ma rientrando in camera per fronteggiarli.

- Bella strigliata ieri, eh? - continuò Ryo lanciando un'occhiata significativa al fratello.

- Povero papà...dopotutto si preoccupa!

- Dovremmo fargli sapere che la sua ADORATA figliola non ci sarà per colazione!

- Già, non vorrei che si arrabbiasse.

Io rimasi a guardarli allibita. Erano...erano...

- Siete proprio dei porci bastardi! - esclamai infuriata, usando una di quelle parole che avevo imparato da Seimei.

La cosa sembrò farli ridere ancora di più.

- Ringrazia piuttosto che ti abbiamo riportato in camera! - ghignò Taka appoggiando una mano sul fianco e inclinando la testa di lato.

- Pensa quanto si sarebbe preoccupato papà non vedendoti nel tuo lettino... - continuò Ryo mettendosi simmetricamente al fratello.

- ...ma se scappi via sarà stato tutto inutile!

Ah, dunque erano stati loro! Se pensavano li avrei ringraziati si sbagliavano di grosso!

Per un secondo valutai le mie possibilità...andarmene con la certezza che avrebbero fatto la spia, o rimanere aspettando un'altra occasione per raggiungere Safer, occasioni che si presentavano di rado.

Alla fine però dovetti chinare il capo e seguire, con quanta dignità riuscii a raccogliere, i gemelli in cucina. Oltre a noi trovammo solo Daisuke e Shin.

- Buongiorno! - urlarono i gemelli entrando come un tornado. Io li seguii meno vistosamente.

Vedendomi entrare, Daisuke mi lanciò un'occhiata penetrante e mi si parò davanti.

Irrigidii le spalle quasi senza rendermene conto, Dai era il secondogenito ed era la copia sputata di papà da giovane. Non solo nell'aspetto, ma soprattutto nel carattere, tanto che, mentre mi squadrava con un biasimo fiammeggiante infondo allo sguardo, temetti volesse colpirmi come aveva già fatto qualcun altro il giorno prima.

- Non ho parole, Yuri - si limitò a dire, e di solito questo era solo il prologo di una lunga arringa sui doveri familiari.

- Nostro padre era sconvolto. Hai intenzione di rimanere un peso per lui per tutta la vita? Quando morirà poi cosa farai? Verrai ad elemosinare da me o da Shin? Hai diciannove anni, accidenti a te, cerca di scegliere il partito più ricco e prestigioso e togliti dai piedi.

Ah, mi sbagliavo. Niente doveri familiari... solo un misero tentativo di imporre la sua (scarsa) autorità.

Daisuke lo odiavo proprio...lo odiavo dal profondo. Cercava solo di essere la pallida copia di papà riuscendo solo ad essere uno stronzo sfigato. Dicesse almeno cose vere...la fattoria guadagnava pochissimo e la maggior parte dei soldi che avevamo erano grazie ai vari lavori che Shin svolgeva a Kalm e a quello che riuscivamo a vendere mamma ed io alle fiere di paese. Lui poteva starsene solo che zitto. Dopotutto anche quelle poche entrate dovute ai Chocobo, di cui si vantava tanto essere l'erede designato (Shin aveva detto chiaro e tondo già diversi anni fa, nonostante avesse usato altre parole, che avrebbe preferito amputarsi un piede piuttosto che ereditare un posto così fatiscente), erano grazie a Yo: l'unico a cui importasse davvero la salute dei Chocobo.

Ne avevamo tutti uno personale, e in fin dei conti ci interessava solo del nostro...a parte Yo appunto. Shin ne aveva uno azzurro (PER MARE), mamma uno giallo, normale (per camminare) ecc ecc - elenco -. Papà era l'unico ad averne uno dorato, ma era talmente vecchio e malandato che sembrava più d'oro quello della mamma.

Daisuke parlò ancora per un po' ripetendo, bene o male, le stesse cose di sempre. Il tutto rimescolato a quello che aveva aggiunto ieri nostro padre.

Dopo qualche minuto, finalmente, se ne andò. Dovetti trattenermi dal mostrargli la lingua mentre si allontanava..

Probabilmente Shin aveva intuito le mie intenzioni, perché mi lanciò un'occhiata di avvertimento mentre finiva di bere il caffé. Subito dopo si alzò e andò a sciacquare la tazza.

- Dovresti metterci qualcosa su quel livido - mi disse mentre mi dava le spalle. - Sta diventando verde.

Ahia...era già di quel brutto colore? Avrebbe impiegato poco tempo a diventare blu e viola.

Scrollai le spalle, senza dire nulla.

Shin allora si voltò a fissarmi, alzando un sopracciglio.

- Ma alla fine, dove sei stata in quest'ultimo periodo?

Fui sul punto di dirglielo, nonostante fossi ancora abbastanza indecisa, ma mi bloccai ricordandomi della presenza dei gemelli dall'altra parte della stanza. Lanciai verso di loro un'occhiata furtiva, sperando di spiegarmi abbastanza bene anche senza le parole.

Shin seguì la direzione del mio sguardo e sospirò.

- Voi due: fuori! - ordinò.

- Ma stiamo ancora facendo colazione! - protestò Taka sventolando un pezzo di pane imburrato.

- Non dire idiozie - esclamò Shin. - Questa è la terza volta che fate colazione!

I gemelli scoppiarono a ridere mentre uscivano dalla porta che dava sul cortile. Un leggero refolo di vento s'intrufolò attraverso lo spiraglio aperto e mi mosse i capelli.

- Ci vediamo! - disse ancora Taka.

- Fate solo attenzione a papà e Seimei: quei due stanno ancora dormendo.

Poi scomparirono entrambi dalla nostra vista.

- Allora? - chiese Shin, tornando a guardare nella mia direzione.

Mi strinsi nelle spalle, distogliendo lo sguardo.

- Non so se dovrei dirtelo...

Lui sgranò gli occhi, sorpreso. Non accadeva quasi mai che gli nascondessi le cose.

- E' una cosa pericolosa? - volle sapere, questa volta con un pizzico di preoccupazione nello sguardo.

- No! - esclamai subito poi, pensandoci un po' meglio... - Credo di No.

- Allora, credo, vada bene - mi sorrise, prendendomi in giro per come mi ero espressa, rilassandosi contro lo schienale della sedia.

- Non insisti per sapere?

Fece spallucce.

- Se dici che non è pericoloso va bene...so che se ne sentirai il bisogno verrai a parlarmene. Vero?

Io annuii, pensierosa.

- Quando partirai? - gli domandai all'improvviso.

- Non lo so di preciso - mi rispose, preso alla sprovvista.

Shin, come ho già detto, era il fratello maggiore. Il primogenito. Aveva 29 anni e, finalmente, aveva trovato un'ottima sistemazione a Junon. In questo modo avrebbe anche potuto riprendere gli studi all'università, che aveva dovuto sospendere per mille e uno motivi.

Dei mille non potevo farci nulla, ma sapevo bene che quell'uno ero io e la cosa mi pesava molto. Da sempre, fin da quando eravamo piccoli, Shin si era sacrificato in mille modi per me e, in qualche modo, aveva ricoperto per me il ruolo di padre come chi avrebbe dovuto non era stato capace di fare.

E dopo tutto questo...io gli stavo nascondendo di Safer? Devo essere pazza mi dissi.

Ora a volte mi domando cosa sarebbe successo se gliene avessi parlato quando eravamo tutti in quello stato di pace apparente e, soprattutto, tutti insieme.

- Basta musi! - esclamò Shin all'improvviso facendomi sobbalzare. - Vai pure a fare quello che devi: dirò a papà che ti ho mandato a Kalm a fare qualcosa...portati Lei Lin, altrimenti ci becca subito!

Mi sorrise e gli risposi allo stesso modo. Lo adoravo: era l'unico dei miei sei fratelli che si fosse mai esposto per me...a parte forse Seimei. Ma lui passava più tempo a fare casino che altro, quindi non so se potremmo proprio dire che si sia mai "esposto per me".

Corsi fuori dalla cucina come un razzo e raggiunsi la stalla dei Chocobo.

Lì trovai Yo intento a spazzolare il Chocobo di papà. Ci salutammo distrattamente con un cenno del capo e montai in sella a Lei Lin, che mi saluto felice con un lungo "Kuééééééééééééé!!!".

- Era agitatissima questa mattina - mi informò Yo senza staccare gli occhi dal suo lavoro. - Credevo quasi di doverla legare...poi quando ti ha sentita scendere in cucina si è calmata.

- Povera piccola! - esclamai allora con voce un po' in falsetto, con quel topo di voce che si usa con gli animali o con i bambini piccoli. - Eri preoccupata per me?

Mi allungai sulla sella e le battei due leggere pacche sulla base del collo.

Un secondo dopo corremmo insieme fuori dalla stalla, attraverso il cortile, dove vidi la mamma che stendeva dei panni bagnati e poco più in là, intenti a fare non so che sotto un albero, i gemelli.

- Fuggi, sorellina? - mi urlarono.

- Vi piacerebbe... - sibilai sottovoce. Poi aggiunsi più forte, in modo da essere certa che sentissero: - Shin mi ha chiesto di fargli una commissione a Kalm!

Poi scomparsi dietro la casa. Ora, per quanto scarsa fosse la mia conoscenza geografica, sapevo tre cose: la prima, Midgar è a nord; seconda, Kalm è a nord est di Midgar e per finire, i monti di Safer sono a sud.

Per questo dovetti fare un lungo giro per raggiungere l'accampamento di Safer, ma almeno non avevo fatto la strada a piedi!

Balzai giù da Lei Lin solo quando mi trovai a pochi metri dal punti in cui Safer era solito accendere il fuoco, la notte, ma come spesso accadeva lui non c'era.

- Fatti un giro! - consigliai a Lei Lin dandole una pacca su un fianco.

Mi sedetti davanti ai resti del fuoco, lasciando sfocare lo sguardo mentre guardavo fisso i legni inceneriti. Non andavo mai a cercarlo io, perché tanto non avrei saputo da che parte girarmi, per cui avevo preso l'abitudine di aspettarlo presso il suo accampamento. Alle volte, come in quel momento, non facevo nulla. Altre volte, invece, occupavo il mio tempo come meglio potevo...intrecciando ghirlande per Ashling, per esempio.

Non passava mai molto tempo prima che lui comparisse però.

- Yuri? - lo sentii dire dopo poco.

Sentendo la sua voce, bassa e profonda, calda in quel momento, il mio cuore fece un balzo.

- Safer! - esclamai io, felice anche se non sapevo perché, scattando in piedi e correndogli incontro.

 

Ciaoooo!!

E' un po' che non aggiorno, ma sono stata via per un po'... Allora! Che ve ne pare? eheh perdonate questo capitolo *aya si prostra* spero di non avervi annoiato troppo ma la famiglia di Yuri svolgerà un ruolo importante nella storia...per questo è necessario spiegarne bene i processi.

Ahah...il PROSSIMO capitolo si chiamerà sicuramente "Allieva e maestro"...sorry, alla fine ci metto sempre un altro titolo ahah...ero quasi tenntata di continuare anche a scrivere di Sephiroth ma sono un bel po' di paginette anche così, quindo non male!

Sephiroth: ma...ma...il mio nome! Rivoglio indietro il mio nome!

Aya: Anche io...bwaaaaahhhh!!

Yuri: .........

Aya: ahhhh! non leggere! *aya copre il nome di Sephiroth e ci scrive sopra Safer*

Purtroppo per quello ci vorrà un bel po' di tempo...soffro molto a chiamarlo Safer ma devo resistere...se proprio vedo che non ce la faccio scrivo Sephiroth e poi faccio "sostituisci" dopo aver finito il capitolo ahah

Sephiroth e Yuri: ........

Aya: ahhhhh non guardare!

Vabbé...idiozie a parte.

Fin'ora avete qualche domanda? Daaaaaaaiii...LO SO che avete qualche domanda! *w*

Ora credo andrò a dormire...sono le tre di notte accipicchia! Però di notte scrivo tanto più facilmente....ah ho anche cominciato a mettere musica in sottofondo mentre scrivo...al momento ho la playlist per scrivere!! In successione: Why - ayaka (la colonna sonora di Crisis core per intenderci), Dozing Green - Dir En Grey, Mind Forest e Redemption di Gackt, Neverending story di Limahal e per finire Leave out all the rest e Numb dei Linkin Park! ahah (rido tanto perché sto per addormentarmi sulla tastiera, scusate... almeno c'è il mio cricetino che mi tiene sveglia... - si chiama Zack! ^^)

Scusate, ho divagato! Commenti Please!! 

E come al solito un ringraziamento a Flygirl...e anche a Suehila, anche se al momento è dispersa! ^^/

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Capitolo 8
*** Serenità ***


09. SERENITA’

Credetti di svenire.
Se non fossi stata già seduta per terra…probabilmente l’avrei fatto.
- Grazie! - urlai e mi appesi al suo collo, euforica.
Safer mi afferrò i polsi con delicatezza e mi allontanò da sé.
- Calmati - mi suggerì.
- Come posso calmarmi? - continuai io, balzando in piedi. - Questo è… è…è quello che ho sognato per tutta la mia vita! Non sarò mai così felice in tutta la mia vita!
Safer non rispose altro, ma scoppiò a ridere e prima di riuscire a fermarsi passarono alcuni minuti, nei quali cominciò addirittura a dondolarsi avanti e indietro sul posto nascondendosi il volto con una mano.
- Cosa c’è da ridere! - sbottai, incrociando le braccia.
- Niente, niente… - rispose lui smettendo gradualmente di ridere.
Lo osservai per qualche secondo. L’eccitazione stava lasciando spazio all’incredulità, e con quella sorse il dubbio.
- Aspetta! - gli dissi, avvicinandomi a lui. - Sei serio, vero? Non stai scherzando, non mi stai prendendo in giro, vero?
- Sono mortalmente serio - mi rispose lui guardandomi negli occhi. Non avrei mai potuto dubitare di quello sguardo.
Sorrisi. - Prenditi cura di me! - lo pregai con un inchino. Quando tornai dritta, anche lui si era alzato in piedi.
- Posso farti una domanda? - gli chiesi, muovendo qualche passo davanti a lui, invitandolo a seguirmi.
Mi imitò e cominciammo a camminare, quasi passeggiando per quell’immenso prato di fiori. Safer non rispose, ma osservandomi con sguardo interrogativo mi fece capire che stava aspettando cominciassi a parlare.
- Ecco…posso chiederti di te?
- Di me?
- Sì, di te…del tuo passato…la tua vita… - spiegai cominciando a balbettare lievemente.
Safer rallentò, probabilmente senza nemmeno rendersene conto, mentre ripensava a quello che gli avevo appena detto. - Perché? - mi domandò alla fine.
- Io non so niente di te…So solo il tuo nome, nient’altro. Anche se è passato tanto tempo da quando ti ho incontrato per la prima volta…per me sei ancora poco più di un estraneo! - gli spiegai con voce spezzata. Era evidente che stavo entrando in una zona rossa, fin dal primo momento mi era stato chiaro che era una persona estremamente riservata…ma io dovevo sapere.
- Va bene - mi rispose con una scrollata di spalle.
- Davvero? - gli domandai incredula.
- Davvero - mi assicurò lui. - Porgi le tue domande, io risponderò come potrò… ma non aspettarti che risponda a tutto.
- D’accordo! - accettai io sorridendo. Mi sembrava un buon compromesso.
Camminammo ancora un poco, senza parlare, mentre pensavo a cosa chiedergli senza ricevere in cambio il suo silenzio.
- Dove sei nato? - fu, alla fine, la mia prima domanda.
Subito Safer si accigliò e strinse le labbra in una smorfia. Cioè, non ne facevo una giusta! Ero riuscita a sbagliare anche la prima domanda!!
- Non ne sono sicuro… - mi disse, continuando a guardare davanti a sé.
- Qualche ipotesi? - lo incoraggiai io.
- Qualcuna - concesse, ma non sembrò voler aggiungere altro.
Provai a cambiare domanda. - Allora…dove sei vissuto fin’ora?
- Ho viaggiato tanto - mi spiegò. - Ma una buona parte della mia vita l’ho passata a Midgar.
- Midgar? Intendi questa Midgar?
- Perché me lo chiedi?
- Beh, ma è un ammasso di rovine! Dopo il crollo del piatto la gente ha continuato a vivere negli ex-bassifondi, ma solo per qualche decennio. Non più di una ventina d’anni: alla fine se ne sono andati tutti.
- Forse qualcuno è rimasto, non credi? - mi suggerì Safer, sollevando impercettibilmente un lato della bocca in quello che poteva sembrare un mezzo sorriso.
- Hai ragione…
Forse era meglio cambiare domanda.
- Qualche tempo fa, hai parlato di alcuni tuoi vecchi compagni, o qualcosa del genere…chi erano?
- Ma non ti dimentichi ma niente? - mi fece lui, fingendosi irritato. Rifletté a lungo sulla domanda, tanto che per un istante credetti decidesse di non rispondere.
- Ricordo quello che ti ho detto…due ragazzi di campagna, vero?
Annuii.
- Uno dei due si chiamava Zack. Tu me lo ricordi molto…il suo sogno più grande era di diventare un eroe.
- C’é riuscito?
Sorrise tristemente. - Io credo di sì.
- E l’altro?
- L’altro…era molto giovane. Aveva…credo sedici anni la prima volta che l’ho incontrato…era un disastro. Sempre appiccicato a Zack… Aveva anche un aspetto buffo…i capelli biondissimi e tirati all’insù come un piccolo punk.
Mi immaginai un ragazzo con la faccia di Seimei ma con i capelli biondi e ritti: dovetti trattenermi per scoppiare a ridere.
Vedendo la mia espressione, anche Safer sorrise.
- Avevi altri compagni oltre a loro?
- Non è che loro siano mai stati miei compagni. Il piccolo punk ebbi modo di conoscerlo solo molto tempo dopo.
Mi chiesi perché non voleva dirmi il nome del ragazzo biondo.
- Zack alla fine fu mio amico, oltre che un compagno, ma coloro che ho sempre considerato miei amici, sin da quando ero giovane…si chiamavano Genesis e Angeal. Era un rapporto strano il nostro…e portò enormi conseguenze nella vita di tutti noi…
Lo vidi incupirsi, perdendosi in ricordi lontani e dolorosi. Il suo viso era una maschera di sofferenza, così provai a spostare il discorso. Non sembrava aver avuto una vita facile…
- Dove hai imparato a combattere? Chi ti ha insegnato? Quanto ci sei stato? Perché sei diventato un guerriero?
- Non sarebbe meglio provare a chiedere una cosa alla volta? - mi sorrise.
- Scusa…
- Vediamo…come risponderti. Più che un guerriero, io ero un soldato e come la maggior parte dei soldati sono stato addestrato presso una…beh, diciamo una guarnigione. Ma non chiedermi dove si trovava, perché è una di quelle domande a cui non risponderò. Riguardo al resto…nei miei ricordi, mi sono sempre visto con una spada in mano…alcune volte fu… fu mio…
Si bloccò.
- Cosa c’è? - volli sapere, preoccupata.
- N…non è niente… - fece lui, passandosi una mano sul viso. Aveva la fronte imperlata di leggere gocce di sudore. - Dicevo…fu mio padre. Usava sottopormi a sezioni speciali di addestramento, test e cose del genere, ma non direi che sia stato lui a insegnarmi. Non ricordo di aver mai avuto un maestro…imparai molto presto, e lo feci da solo.
Distrattamente, mi chiesi perché era passato al passato remoto.
- E i tuoi genitori? Tuo padre?
- Lui? - rise amaramente, sembrava una risata sarcastica ma era così satura di dolore e rancore da non poterla quasi chiamarla una risata. - Era uno scienziato. Un pazzo…ma se sono qui è a causa sua.
A causa? Non avrebbe dovuto dire “grazie a”? “per merito di”? Evitai di chiederglielo, naturalmente e invece nominai sua madre.
- Mia madre? - ripeté lui.
Forse…non avrei dovuto chiederglielo.
Ci mise molto per decidere di rispondermi.
- Cos’é per te una madre?
- Generalmente una madre è colei che ti mette al mondo, che di cresce, che ti protegge, che ti capisce, ti incoraggia…queste cose qui. Credo.
Non è che mia madre seguisse proprio tutti quei canoni…
- Diciamo che, fermandoci alla tua prima definizione, mia madre era una famosa scienziata e ricercatrice. Lavorava nello stesso campo di…mio padre. Si chiamava Lucrecia.
Fece una lunga pausa.
- Ma ho avuto anche un’altra madre, nella mia vita.
- Davvero? In che senso? Chi era? Come si chiamava?
- Basta così - disse lui a questo punto, girandosi per tornare indietro.
- Perché? Cos’ho detto?
- Niente, lascia stare. Torna domani.
Decisi di lasciare perdere. Dopo qualche minuto di completo silenzio fummo di nuovo nei pressi dell’accampamento.
- Devo procurarmi un’arma?
A questa domanda, Safer scoppiò a ridere.
- Passeranno secoli prima che tu possa usarne una!

Capitolo più corto, come risposta al capitolo 8... The neverending chapter! ahah
Avete presente all'inizio....quando lei dice "questa è la cosa più bella che mi succederà in tutta la vita" o qualcosa del genere? ^____^ Allora, a livello di trama era naturalmente impossibile ma per un istante mi sono vista Sephiroth che la prendeva e le dava un bacio alla francese con casquet!! *ç* XDXDXD Che ne dite, ci stava?
@Nemeryal: E chi non lo ama Sephy? XDXD Parlando di Gackt...più che piacermi ormai credo di idolatrarlo...come dice una mia amica..ormai il mio blog è diventato un tributo a Gackt! XD ( http://promisedland90.spaces.live.com/ ) Anche secondo me Last song è una delle sue canzoni più belle! *_*
@Chihiro: Dolce nell'altro capitolo, eh? XD eheh ho sfruttato la lontananza per far mutare un po' i suoi sentimenti, sìsì!! XD
Grazie mille per i vostri commenti e a tutti coloro che leggono la mia storia...e sono tanti! ^______^

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Capitolo 9
*** Allieva e maestro ***


08. ALLIEVA E MAESTRO

 - Ma non ce l’hai una casa? - mi domandò venendomi incontro.
Risposi con una linguaccia, buttandola sullo scherzo. Ce l’avevo eccome, dannazione (almeno per il momento), ma di certo quello non era il momento migliore per sollevare l’argomento.
Fummo uno davanti all’altro e lo vidi chinarsi verso di me, stringendo gli occhi.
Le immagini del sogno, ancora molto vivide, mi sfrecciarono attraverso la mente  come saette prima che le scacciassi e mi rendessi conto che invece Safer stava fissando qualcosa sulla mia faccia.
Il livido pensai irrigidendo la mascella. A quell’ora doveva essere diventato un po’ troppo vistoso.
- Su, vieni - mi ordinò facendomi segno di seguirlo.
Per un fugace istante credetti mi stesse portando di nuovo dal Lifestream, ma la direzione non era quella.
Mentre camminavamo, lui avanzava al mio fianco, mostrandomi la direzione che dovevamo prendere e in questo modo non ero nemmeno costretta ad arrancargli dietro.
- Ti sei dato da fare! - constatai dopo un po’ che camminavamo, riferendomi al suo girovagare tra quei monti.
- Non è che abbia molto altro da fare, qui - rispose lui con una scrollata di spalle.
- Come stai?
Si voltò a guardarmi, perplesso. -Bene grazie e tu? - rispose tutto d’un fiato, come se stesse recitando male la frase da un copione.
- No, intendevo… - mi spiegai, alzando gli occhi al cielo. - Le ferite.
Lo vidi ridacchiare. - Sto meglio, ti ringrazio.
Tornammo in silenzio, ma questa volta fu lui a spezzarlo.
- Credi riuscirai a ricordarti questa strada?
- Perché?
- Ho trovato un punto migliore dove fermarmi finché non starò meglio. Voglio essere sicuro che riuscirai a raggiungerlo.
Sorrisi, cercando di nascondere la mia espressione. - Non preoccuparti di questo. Io non mi perdo mai!
Mi guardò, alzando un sopracciglio. - Sayuri… - sospirò.
- Beh, di solito non lo faccio.
Lo vidi scuotere la testa, sospirando ancora.
- Eccoci.
Alzai lo sguardo, impegnato fino a quel momento a registrare elementi chiave che mi permettessero di imparare velocemente la strada. Safer mi aveva portato in una valle bellissima, chiusa tra le montagne. Si estendeva in un prato immenso e verdissimo, che faceva mostra di sé con brillanti macchie di colore, grazie alla vasta varietà di fiori.
Non riuscii a trattenermi dal correre tra l’erba, abbastanza alta da arrivarmi al ginocchio. Saltai un piccolo ruscello che attraversava la valle e mi voltai verso Safer, che mi osservava dal limitare della foresta.
- E’ bellissimo! - urlai, ridendo come una bambina. Chissà cosa doveva pensare vedendomi comportare in quel modo assurdo.
- Io mi accamperò qui - mi informò spaziando intorno a sé con un braccio. Nonostante la distanza che ci separava non ebbe difficoltà a farsi sentire, anche senza alzare la voce. - Torna qui.
Lo raggiunsi, obbediente.
Quando gli fui di fronte, Safer mi fece pressione sulle spalle affinché mi sedessi per terra. Subito dopo fece lo stesso.
- Cosa ti sei fatta alla faccia? - mi chiese, cercando qualcosa sotto il cappotto.
- Eh? - sobbalzai, cercando di fare la finta tonta.
- La faccia - ripeté lui, scuro in volto.
- Oh…niente. Ho litigato col Chocobo.
Safer levò un sopracciglio, come a dire “non me la dai a bere”. Lo faceva spessissimo…adoravo quell’espressione, se non fosse che significava guai.
- Quello con cui sei venuta? L’hai lasciato al vecchio accampamento, non hai paura che se ne vada?
Scossi la testa. - Questione di fiducia. Hai mai letto “Il piccolo principe”? E’ il mio chocobo, l’ho cresciuto da quando è uscito dall’uovo: è addomesticato.
Acci…fregata.
- E ti ha fatto questo? - mi chiese sarcastico, sfiorandomi lo zigomo con la punta delle dita. Sussultai.
- N-No…è stato il chocobo di mio fratello… - cercai di spiegare, ma lui mi zittì con un gesto irritato della mano.
- Non mi interessa, non dirlo se non vuoi. Almeno non farai la figura della stupida inventando scuse poco credibili.
Mi morsi la lingua. Non sapevo se definirlo ancora stronzo o solamente troppo acuto.
- Guarda - continuò lui come niente fosse, - ti mostrerò una cosa che credo ti piacerà molto.
E mi porse una specie di grossa biglia verde. Fui io, questa volta, ad alzare un sopracciglio.
- Che è?
- Questa è una materia.
- Una ma-che?
- Una materia - ripeté lui, paziente. - Possibile che tu non abbia mai sentito parlare delle materia?
Mi strinsi nelle spalle.
- Siamo un piccolo paese di campagna… - cercai di giustificarmi.
Safer scosse la testa.
- Questo non vuol dire niente - mi contraddisse corrucciandosi, lo sguardo che si perdeva indietro in un passato che non conoscevo. - Due dei più grandi guerrieri che abbia mai conosciuto venivano proprio dalla campagna.
- Davvero?! - esclamai, entusiasta. - Chi sono?
- Erano - mi corresse, stringendo le labbra in una linea sottile. - Non ha importanza.
- Quindi questa sferetta serve per combattere? - chiesi, tornando su un argomento più sicuro. Non mi piaceva quando era così corrucciato…mi faceva paura.
- Con le materia - mi spiegò - si evocano le magie.
In quel momento, ne sono certa, i miei occhi brillarono.
- Posso provare??
- Non scherziamo - mi sgridò lui facendo schioccare la lingua sul palato. - Non darei mai in mano una materia a chi non sa nemmeno tirare un cazzotto.
- Ah, vogliamo scommettere?! - strillai io, balzando in piedi, la guardia alta.
- Rimettiti immediatamente a sedere - ingiunse Safer a voce bassa. - Vedrai solo come funziona.
Obbedii docilmente.
Safer prese la sferetta tra le mani e la vidi luccicare come una piccola stella. Poi alzò una mano, che in quel momento brillava di una luce simile a quella del Lifestream e me la passò sul viso, come se mi stesse salutando.
- Cos’hai fatto?
- Questa materia è un’Energia. Ho guarito la tua ferita.
Mi nacque un sorriso sulle labbra. Ero indecisa se crederci o No. Forse era uno scherzo… ma quando mi sfiorai lo zigomo con le dita tremanti non sentii alcun dolore. Provai a premere un po‘ più forte ma il livido era scomparso.
- Fantastico… - sussurrai.
Safer sorrise, appoggiandosi con le braccia indietro. - Non vedevo tanto entusiasmo in una persona dai tempi della guarnigione.
Guarnigione? E che cos’era una guarnigione?
- Chi? - volli sapere.
- I guerrieri di cui sopra - rispose lui, ma con l’evidente desiderio di non continuare quella discussione. Perché allora continuava a sollevare l’argomento, mi chiedevo.
- Ora cosa farai?
- Intendi nell’immediato futuro?
Annuii.
- Quello che faccio sempre in questi tempi…nulla. E devo dire che comincio a trovare la cosa estremamente seccante. Presto diventerò molto irritabile. Avessi almeno qualcosa da leggere!
- Perché non uccidi qualche mostro? - suggerii. Quella spada non poteva essere solo coreografia.
Safer mi guardò sottecchi, come se non credesse alle sue orecchie.
- Sarebbe più soddisfacente affrontare una carota che i mostri di qua - replicò lui con profonda irritazione.
Mi domandai se fosse serio o se stava solo scherzando… per quanto ne sapevo io i mostri delle montagne di Midgar erano tutt’altro che deboli.
- Ma…va bene che tu passi tutto il tempo nei boschi? - mi domandò all’improvviso. - Presumibilmente sola?
Scrollai le spalle, perché temevo che la voce potesse tremare a quel punto, ripensando al pugno di mio padre.
- Sì, perché dovrebbe essere un problema?
- Mai sentito parlare di cappuccetto rosso?
Scoppiai a ridere, non riuscendo a trattenermi, sentendomi dire quella frase proprio da lui.
- Cappuccetto Rosso? - ripetei sbalordita, asciugandomi le lacrime ai lati degli occhi. - Cosa accidenti centra Cappuccetto Rosso? Non ci sono i lupi tra queste montagne.
Safer si chinò verso di me, con un sorriso pericoloso sulle labbra. - Non lo sai che i lupi si nascondono, piccola?
Lo spinsi via, arrabbiata. Detestavo essere presa in giro, soprattutto da lui.
- E questo cos’è? Il lupo e l’agnello? Sembri un dannatissimo professore di scuola!
- E tu ti esprimi come un maschio - controbatté Safer alzandosi in piedi e cominciando a sistemare le cose che si era portato dietro.
- Non centra niente. Perché ti sei messo a fare metafore? E poi, dai! Fratelli Grimm? Esopo?
- Ho letto molto quando era giovane.
Ingoiai la risposta che stavo per sparagli. Giovane? Ma alla fine, quanti anni aveva? Era senza dubbio più grande di me, ma di quanto? Non sembrava tanto più grande di Shin, ma era la sua espressione a trarre in inganno. Il suo volto portava il segno di moltissimi anni.
- Safer, quanti anni hai?
Mi guardò pensieroso, come se ci stesse riflettendo. Ponderando la domanda.
- Attualmente credo di avere con esattezza 24 anni.
La stessa età di Yo. Sembrava impossibile da credere.
- E lo dici in questo modo? Che cavolo vuol dire che credi di avere?
- E’ una cosa molto, troppo complicata. Soprattutto, legata ad una storia troppo lunga per essere raccontata qui e ora.
- Insomma, hai o no ventiquattro anni?
- Per certi versi potrei dire di averne circa centotrentadue…ma considerami un ventiquattrenne.
Decisi di non indagare oltre, tutt’al più per mantenere la mia sanità mentale.
- Stai per tornare a casa? - mi chiese.
Io guardai verso il sole, che stava cominciando a calare. Era decisamente il momento per rientrare, altrimenti avrei passato nuovi guai.
- Sì, credo sia il caso.
- Ti accompagno - si offrì lui, tendendomi una mano per aiutare ad alzarmi. - Fino al tuo Chocobo.
- Grazie - dissi, mentre imboccavamo il sentiero per Nacom.

La porta si aprì cigolando lievemente quando passai la soglia di casa. Il lungo corridoio che attraversava longitudinalmente il piccolo edificio e terminava con la porta che dava sul retro era deserto, immerso nel silenzio.
Per un istante fui tentata di chiamare qualcuno ad alta voce, giusto per accertarmi che ci fossero…ma subito mi diedi della stupida e mi trattenni. Non credo avrei guadagnato nulla di buono nel segnalare il mio rientro a casa. Ma continuavo comunque a domandarmi dove si trovassero… Anche la stalla, quando vi avevo portato Lei Lin, era deserta.
Scrollai le spalle, cacciando il pensiero.
Sarebbero tornati quando sarebbero tornati…anche se, in effetti, era molto strano che nessuno fosse rimasto a casa. Non eravamo certo una famiglia poco numerosa, anche per i canoni della nostra comunità.
Salii le scale, che scricchiolavano rumorosamente sotto il mio peso, senza dovermi preoccupare, per una volta, di disturbare qualcuno. Entrai nella mia piccola camera e mi lascia cadere sul letto come un peso morto, rimbalzando un pochino sul materasso. Era rozzo e a volte puzzava…spesso era anche abbastanza scomodo ma quando pensai invece a dove dormiva Safer da un bel po’ di tempo a questa parte mi sentii come una principessa posata su un materasso imbottito di raffinate piume d’oca e avvolta da lucide lenzuola di seta.
Forse era proprio a causa delle scomodità che doveva subire se le sue ferite tardavano tanto a guarirsi completamente. Dovrei portargli qualcosa…magari della paglia per creare un giacciglio…coperte? Pellicce? Era estate e faceva ancora caldo, ma come avrebbe fatto col sopraggiungere dell’inverno? Beh, sempre che ci fosse ancora stato, in inverno.
La stagione delle nevi non era poi così lontana, ma era pur sempre molto lontana.
Probabilmente le sue ferite sarebbero guarite ancora prima dell’arrivo dell’autunno…e se invece non fosse stato così?
Mi persi in quei pensieri contradditori, mentre mi preoccupavo che se ne andasse troppo tardi e subito dopo desiderando che invece rimanesse ancora a lungo. Mi addormentai.
Stavo sognando lui, che mi mostrava l’utilizzo della materia Energia…solo che nel mio sogno mi insegnava anche ad usarle. Non so di preciso cosa mi svegliò, fatto sta che quando riaprii gli occhi mi ritrovai a fissare la faccia truce di mio padre, che a sua volta mi osservava dall’altra parte della stanza. Teneva qualcosa in mano ma, a causa del buio, non riuscii a capire cosa fosse.
Mi buttò giù dal letto, imprecando e urlandomi contro. Molto di quello che diceva non lo capivo, altro non me lo ricordo, ma non credo fosse molto importante il significato delle sue parole.
Un po’ spingendomi, un po’ trascinandomi, mi portò sul retro di casa. Io neppure mi opponevo, anche se un angolo della mia mente si domandava dove fosse il resto della mia famiglia.
Non erano rari i colpi di testa di mio padre. Spesso erano violenti e venivano sfogati su di me, ma se potevano i miei fratelli cercavano di contrastarli. Almeno, qualcuno dei miei fratelli.
Mentre mi spingeva contro il muro e stringeva con entrambe le mani la cosa che avevo già intravisto nella mia stanza capii che stava per usare la cinghia di cuoio con cui puniva i nostri cani. Cominciò a calarla sulla mia schiena con uno schiocco secco. Erano vere e proprie frustate, sentivo il tessuto del mio vestito lacerarsi e mi ritrovai stupidamente a pensare di esserne dispiaciuta perché mi piaceva molto…ogni volta che la cinghia mi colpiva la schiena, urlavo. Il dolore era intenso, troppo intenso…questo finché l’ultima frustata non lacerò anche la pelle, oltre che il vestito. Quel dolore fu insopportabile.
Molto tempo dopo, quando avrei appreso cosa invece avevano fatto a Safer, che, almeno per me, non era più Safer, mi sarei data dell’insensibile mille e mille volte. Quel misero dolore che provavo in quel momento non era nulla se paragonato a quello sia fisico e mentale a cui erano stati sottoposti lui e i suoi amici, tanto e tanto tempo prima.
Quando la furia di mio padre fu sbollita se ne andò semplicemente, senza una parola. Si girò e tornò dentro casa. Un istante dopo fu mia mamma a schizzare fuori dalla porta, correndo nella mia direzione in lacrime.
- Amore…piccola…tesoro…scusa…scusalo, sai com’è fatto…ti vuole bene…ti comporti così…ti vuole bene…scusalo…tesoro… - farfugliava mentre cercava di trascinarmi dentro casa di peso. Non ci riuscii e fu costretta a chiamare Daisuke per farsi aiutare.
In quel momento non potevo sopportare nessuno dei due. Li odiavo quasi quanto odiavo mio padre (che nonostante tutto non sono mai riuscita a chiamare in altro modo…).
Odiavo lei per essere una debole: era stata là ferma sulla soglia di casa a guardare, forse a piangere ma senza trovare un briciolo di forza per opporsi. Sapevo che mia madre mi voleva bene, ma se l’unico modo che aveva per dimostrarlo era di supplicarmi di perdonare colui che mi aveva squarciato la schiena, allora poteva anche tenerselo il suo affetto.
Daisuke invece era Daisuke…né più né meno. Era l’ombra di mio padre, il suo sosia incompleto…se nostro padre avesse detto che la luna era fatta di formaggio lui avrebbe annuito convinto combattendo chiunque avesse provato a fargli notare che la cosa era un po’ più complessa di così.
Avrei voluto spingere via lei e sputare in faccia a lui.
Purtroppo ero troppo debole anche per mandarli al diavolo, così mi lasciai adagiare bocconi sul materasso di paglia. Il dolore che provavo alla schiena era ancora molto intenso e la pelle lesa pulsava dolorosamente, mentre sentivo rivoli di sangue scorrermi giù lungo i fianchi.
L’unica cosa che fu in grado di fare mia madre, fu di darmi da bere un intruglio di erbe per indurmi il sonno. Mi addormentai subito, avvolta in un sonno senza sogni. Non sapevo se esserle grata o no per questo, probabilmente lo fui.
Scoprii solo due giorni dopo, quando mi svegliai, ciò che era successo. Almeno, ciò che aveva scatenato tanta ira.
Quello che era successo l’avevo ben capito da sola, e gli stretti punti sulla mia schiena che erano stati messi dal medico di famiglia testimoniavano l‘avvenimento. Tiravano ad ogni minimo movimento e dolevano: il medico mi ordinò di non muovermi dal letto finché non fosse stato il momento di togliere i punti, altrimenti sarebbe rimasta la cicatrice. A me la cosa non interessava assolutamente: volevo diventare una guerriera e le cicatrici sarebbero state all’ordine del giorno ma…naturalmente a qualcun altro interessava enormemente lo stato della mia pelle…non erano molti i mariti a cui piaceva avere consorti deturpate da lunghe cicatrici. Che potesse metterli dove dicevo io, i consorti.
In fondo era stata proprio questa la causa scatenante…tanto per cambiare!
Mio padre era andato da una delle importanti famiglie di Nacom (anche noi lo eravamo, anche se può non sembrare) per propormi in sposa al figlio maggiore…Takashi, mi sembra. Com’è intuibile la cosa non era andata a buon fine…un po’ per gli stessi motivi di sempre. Mio padre allora era tornato a casa come una furia accompagnato da mia madre e Daisuke…poi è successo quel che è successo.
Tutti gli altri miei fratelli erano fuori, altrimenti sono certa che lo avrebbero impedito. Per come li conoscevo, Seimei e Shin si sarebbero lanciati davanti a Chocobo imbizzarrito pur di aiutarmi, e anche di più. Ora vorrei non fossero stati così devoti…soprattutto uno di loro due.
L’affetto che mi legava agli altri tre…Taka, Ryo e Yo era diverso e meno profondo ma nemmeno loro sarebbero rimasti a guardare come aveva fatto Daisuke che, per come invece conoscevo lui, non aveva provato il ben che minimo rimorso.
Vorrei dire che quando finalmente ebbi la mia “rivincita” fui solo felice, anch’io senza provare rimorso…non è così. Dopotutto la famiglia è una sola.

Rimasi in quel letto per…quanto? Non lo so, ma sembrava quasi che ci avessi passato tutta la mia vita. E le ferite non accennavano a migliorare. Doveva sentirsi così Safer, mentre aspettava. Aspettava e aspettava senza poter fare nulla a riguardo. Durante quel lungo periodo di convalescenza mi ero domandata più volte perché non avesse usato su di sé la materia per curarsi, come aveva fatto con me. Quando glielo chiesi, in seguito, la sua risposta mi lasciò senza fiato, indecisa se l’esserne felice o affranta.
Ed ero di nuovo sola. Abbandonata a me stessa. Shin stava cominciando a prendere tutti gli accordi necessari per trasferirsi a Junon ed era spesso fuori casa. Seimei doveva recarsi dal suo insegnante ogni giorno per diverse ore e dopo passava la maggior parte del tempo con i suoi amici, non capiva quanto mi sentissi sola relegata a casa senza nemmeno la compagnia del mio migliore amico. In quanto agli altri non so, ma di certo non avevano remore a lasciarmi a casa.
Approfittando del momento provai a sollevarmi in piedi. Il periodo di immobilità era stato abbastanza lungo da stancare i miei muscoli e la cosa non fu facile. Quando provai a distendere un braccio la pelle sulla schiena si tese di riflesso e lo fecero anche i punti, facendomi gemere dal dolore.
Arrivai fino alla finestra con estrema lentezza, anche se la distanza da coprire non superava i tre passi. Aprii le imposte e lasciai che l’aria fresca nel pomeriggio mi investisse con una dolce carezza.
Poi guardai in basso, verso il cortile e rimasi senza fiato.
C’era Safer.
Safer che, con l’eleganza che lo contraddistingueva, avanzava velocemente verso di me. Vestito del suo completo nero e con la lunga spada che gli pendeva da un fianco.
- Cosa ci fai qui? - gli domandai in un soffio, così leggero che io stessa faticai a sentire le mie parole.
- Sayuri - disse lui, venendo sotto la finestra e alzando la testa verso di me.
Così, disse il mio nome e basta. Anzi, il mio nomigliolo. Sentendolo pronunciare dalle sue labbra, sentii con un misto di vergogna e confusione il sangue salirmi alla testa, arrossandomi le guance.
Mi immobilizzai e lo fece anche lui che, più precisamente, si irrigidii. Perché?
Safer chinò la testa, lasciando lo sguardo vagare intorno a sé osservando la stalla, la casa e il cortile in cui si trovava. Non si stava realmente guardando intorno, ma rifletteva su qualcosa che non mi era dato sapere.
Avrei desiderato parlargli. Era tanto che non lo vedevo. Più di due settimane.
Questa volta ero stata certa che se ne fosse andato, così sicura che quasi non speravo di trovarlo ancora una volta, tornata al suo nuovo accampamento, presso il campo di fiori.
Naturalmente l’avrei fatto, senza ombra di dubbio…ma probabilmente anche senza nutrire molte speranze in merito.
Invece era venuto lui.
Lui, da me.
Aprii la bocca per parlare ma tutto ciò che ne uscì fu un gemito soffocato mentre mi sentivo cadere all’indietro, indebolita dalla lunga inattività e da tutte le medicine che mi affibbiavano.
Aspettai di cadere sul pavimento, magari anche di perdere i sensi, ma quando effettivamente colpii qualcosa non era duro come mi ero aspettata. E non ero neppure distesa.
Voltai la testa con fatica, forzando la schiena a una torsione che mi tolse il fiato per il dolore, e mi resi conto che erano state le braccia di Safer a trattenermi.
Safer mi ripetei nella mente.
Era in cortile…
Era nella mia stanza…
Ma era in cortile…
Scossi la testa, troppo stanca per pensare alla cosa, per quanto strana potesse sembrare.
In fondo, adesso, non so proprio di cosa mi sorpresi, quella volta. L’avevo capito subito che l’uomo che avevo incontrato non era certo come gli altri.
Mi lasciai sollevare senza alcuno sforzo e mi posò sul letto. Non sapeva delle mie ferite e lo fece in completa buona fede. Dovetti mordermi la lingua per impedirmi di urlare come una bambina e mi limitai a emettere un gemito sofferente.
Capendo immediatamente che qualcosa non andava mi riprese in braccio, facendo scivolare un braccio sotto il collo e l’altro sotto le ginocchia.
- Sayuri?! - mi domandò con una punta di allarme nella voce, ma talmente lieve che l’avrei potuta solo immaginare.
- La schiena… - mormorai mentre la macchia nera di dolore si ritirava dalla mia vista.
- La schiena…? - mi incoraggiò.
- Male - dissi. Complimenti, davvero come una bambina piccola. Ancora una volta avevo fatto sfoggio delle mie perfette cognizioni linguistiche.
Mi depositò di nuovo sul letto con delicatezza e mi scoprii la schiena.
Non potei vedere la sua espressione, avendo la testa girata dall’altra parte, ma non lo sentii emettere un suono.
Le sue dita si avvicinarono alla mia pelle, ma senza sfiorarla. Percepivo solo vagamente il calore della sua mano. - Chi…? - ora come ora, sono certa che aggrottò la fronte, cercando di darsi una risposta da solo.
Scossi la testa o, almeno, ci provai. - Non è niente…
Fermò la mano, me ne accorsi, prima di alzarsi in piedi e allontanarsi dal letto. Misurò ad ampi passi la stanza poi si voltò verso di me, che intanto avevo voltato la testa nella sua direzione.
Safer aprì la bocca per parlare, poi cambiò idea e la richiuse. Non so a cosa stesse pensando, probabilmente non a quanto carina fosse la mia stanza (che naturalmente carina non era, essendo ben poco diversa dalla stalla, a mio parere).
Alla fine si accostò nuovamente al letto e tirò fuori la materia energia.
Senza che potessi dirgli niente mi curò. Ci posso credere che era stato un eroe ai suoi tempi, in tutta la mia vita non ho mai più incontrato qualcuno così abile nell’utilizzo della magia. Non è rimasto neppure un graffio a testimoniare quelle ferite.
- Chi è stato? - mi chiese poi in tono piatto. La sua voce non era minacciosa, ma la sua espressione bastava da sola a chiarire il suo malcontento.
Mi alzai a sedere e mi strinsi nelle spalle, contenta che il gesto non mi provocasse più nessun dolore anche se sentivo ancora la fastidiosa presenza dei punti nella mia pelle.
Ero restia a rispondere. Non so perché, dopotutto a quel tempo Safer era per me soltanto…beh, soltanto Safer. Un uomo insomma.
In quel momento sentimmo entrambi il rumore di un piccolo gruppo di Chocobo che si stava avvicinando. Chiunque fosse non importava, non era una bella idea che trovassero un uomo nella mia stanza. La cosa sarebbe stata ragionevolmente fraintesa.
Mi voltai verso Safer per pregarlo di andare via prima che lo vedessero ma lui era già sul davanzale della finestra.
- Ne riparleremo - disse cupo. Poi sparì, come se non ci fosse mai stato.
Immediatamente, mi voltai e andai a sdraiarmi sul letto, nella stessa posizione in cui ero stata lasciata. Non ero una stupida: sarebbe stato impossibile per me spiegare quella guarigione miracolosa, così feci finta di niente.
I tre giorni che mi separavano dalla visita del medico furono i più duri da passare. Ora il mio corpo, non più sofferente, era pronto per scattare, le mie gambe desideravano correre, le braccia agitarsi freneticamente.
In quei tre giorni successero due cose.
La prima, fu che venne fissata la data in cui mio padre, accompagnato da Daisuke e Yo, sarebbe andato alla Fattoria di Chocobo nell’area delle grandi pianure, dall’altra parte del nostro continente. Sarebbe stato un viaggio molto lungo, avrebbero impiegato almeno due mesi per andare, diverse settimane per portare a termine tutti gli accordi e gli scambi e almeno altri due mesi per tornare.
Usava farlo qualche anno, l’ultima volta era stato quando ne avevo appena compiuti quattordici (ben cinque anni prima) ed erano stati i mesi più belli della mia vita!
Appresi che sarebbe partito in capo al mese successivo.
La seconda cosa che accadde in quei tre giorni dal principio mi parve completamente irrilevante. Ah, se solo lo fosse stata!
Seimei stava preparando una specie di esame di storia e, approfittando del fatto che ormai ero costretta a letto da tanto di quel tempo da aver ormai perso il conto, mi strappò la promessa di aiutarlo a studiare.
Fu così che trascorsero anche quei tre giorni, con Seimei che mi perseguitava affinché mantenessi la promessa e col progressivo raffinarsi delle mie tecniche da attrice tragica (dovendo fingere di avere ancora la schiena devastata).
Quando poi sentii la voce del dottore avvicinarsi, mentre lui saliva le scale, dovetti trattenermi dal lanciare un grido euforico, seguito da una danza al centro della stanza o sul letto.
- E’ permesso? - domandò con voce educata. Borbottai una risposta affermativa pregandolo di entrare: a differenza di certa gente quell’uomo trattava tutti nello stesso modo, che fossero uomini, donne o bambini finché avevano bisogno di essere curati non faceva differenza.
- Hai avuto qualche fastidio? - mi domandò trascinando uno sgabello accanto al letto.
- Per niente - risposi, sorridendo interiormente: presto sarei stata libera di muovermi. - Anzi - aggiunsi, - negli ultimi giorni sono stata sempre meglio. Non mi fa quasi più male!
Avrei volute vedere la sua espressione, cosa impossibile per me essendo sdraiata sulla pancia, ma quando parlò la sua voce suonò un po’ perplessa, un po’ irritata: - Questo lo verificherò io.
Poi mi denudò la schiena e gli si mozzò il respiro, boccheggiando alla ricerca di aria.
- Cos’è… cos’è successo? - volle sapere con urgenza.
Corrugai la fronte prima di rispondere. C’erano problemi di qualche tipo? Da quando ero stata guarita da Safer l’unica cosa che mi aveva dato fastidio era la presenza invadente dei punti, rimasti a tirarmi la pelle ad ogni respiro. Optai per fare la finta tonta.
- Niente… - dissi, infondendo quanta più perplessità potevo in quella risposta. - Ho semplicemente seguito le sue istruzioni…sono stata a letto immobile senza neppure sollevare la testa.
- Miracoloso…miracoloso… - lo sentii borbottare. Poi sembrò riscuotersi quando si voltò verso di me per spiegarmi.
- La ferita è scomparsa completamente, come se non ci fosse mai stata: l’unico segno che rimarrà sarà quello dei punti che ho messo io.
- Bene! Quindi posso alzarmi?!
- E’ meglio aspettare ancora qualche giorno prima…sei ancora molto debole.
- Sì, ma dopo potrò alzarmi?
- Certo che sì… ora però è meglio che ti tolga i punti. Incredibile…incredibile…
Continuando a mormorare tra sé e sé l’avvenuto miracolo (ah, se solo avesse saputo!) tirò fuori uno alla volta tutti i suoi strumenti da lavoro e cominciò a tagliare il filo nero con cui mi aveva ricucito tutta la schiena.
Prima di cominciare mi aveva chiesto se preferivo qualcosa che mi facesse dormire o un semplice lenitivo. Stavo quasi per rispondere la prima opzione, ma avevo dormito più che abbastanza in quelle settimane. Preferivo sentirmi indolenzita che stordita.
Alla fine, però, il lavoro fu così lungo, lento e accurato, che finii per addormentarmi quando il lavoro non era ancora finito.

Quando riaprii gli occhi il dottore se n’era già andato, ma trovai Seimei nella stanza, seduto per terra a gambe incrociate.
- Preparati alla più grande dimostrazione d’affetto paterna - mi disse appena si accorse che avevo aperto gli occhi.
- Eh? - borbottai.
- La cicatrice sulla tua schiena quasi non esiste - mi ricordò Seimei. - Appena papà lo verrà a sapere sarà così contento da mettersi a ballare.
Già, me lo immaginavo proprio mio padre abbandonato ad una gioia folle.
- Ho dormito tanto? - domandai provando a cambiare argomento.
Seimei fece spallucce. - Un’oretta scarsa.
Si alzò in piedi e si tuffò con la testa nel mio baule dei vestiti.
- Cosa stai facendo? - esclamai irritata, scendendo incerta dal letto.
- Ah, ma riesci già a camminare? - mi disse il mio fratellino, anche se aveva un anno più di me lo trattavo come se lo fosse, voltandosi a guardarmi reggendo una vecchia coperta tra le braccia.
- Non proprio. Ehi cosa vuoi fare con quella?
Senza degnarmi di una risposta, Seimei mi avvolse bruscamente in quella coperta e mi prese i braccio.
- Seimei! - mi lamentai dibattendomi e cercando di costringerlo a posarmi a terra, invano.
- Datti una calmata, Yu. Ti sto solo portando a prendere una boccata d’aria. E poi è giunto il momento di mantenere la promessa che mi hai fatto!
- Quale promessa? - mi arresi, lasciando ciondolare la testa sul suo petto.
- Devi aiutarmi a studiare, ti ricordo!
- Ohh, Sei… - gemetti sconsolata. - Non dirai sul serio, vero?
- Sono mortalmente serio - mi assicurò. - Eccoci qui…
Mi adagiò gentilmente per terra, assicurandosi che ci fosse la coperta a tenermi calda la schiena e le gambe. In realtà non credevo che quelle attenzioni fossero necessarie, ma le accettai di buon grado.
- Allora, sorellina! Capitolo uno! - annunciò sedendosi accanto a me, gambe incrociate.
Ci trovavamo nei campi dietro la fattoria, un prato immenso con qualche rado albero che cresceva solitario qua e là. In quel momento ci trovavamo all’ombra di uno di quelli.
- Seimei, davvero, ti sembro avere la faccia di una che ha voglia di mettersi a studiare…studiare cosa, poi?
- Storia. Sorellina, tu hai sempre la faccia di una che non ha voglia di fare niente, quindi non mi impietosirai per così poco. Capitolo uno! - ripeté.
Scossi la testa, sospirando. Non conoscevo nessuno che sapesse essere insistente più di Seimei, che quando si metteva in testa qualcosa era impossibile fargli cambiare idea, tanto che più di una volta ero stata convinta che sarebbe stata un’impresa più facile bloccare un Chocobo imbizzarrito.
Sbadigliai, quanto meno per mostrargli che non ero certo entusiasta. - Va bene, di cosa parla questo capitolo?
- Mmh… della caduta della Meteor.
- Va bene… - biascicai chiudendo gli occhi e appoggiando la testa al tronco dell’albero. - Che cosa sai di questo argomento?
Non lo stavo guardando, ma dalla pausa che fece dedussi che stava riflettendo.
- Beh, a grandi linee i fatti li conosco… - rispose dopo un po’. - Dopo sette anni dalla sua presunta morte, l’eroe dei SOLDIER Sephiroth fece la sua comparsa e cominciò ad uccidere un sacco di gente…di una grande multinazionale… ma dato che era pazzo voleva anche distruggere il mondo…umh…così evocò la Meteor che doveva distruggere il pianeta ma altri eroi, a capo dei quali c’era l’ex SOLDIER di prima classe Cloud Strife, impedirono che il disastro accadesse e la Meteor distrusse solo la città di Midgar… ehm…
Aprii gli occhi sconcertata.
- Hai fatto almeno lo sforzo di leggerlo quel capitolo o aspettavi che lo facessi io per te?
- Emh… la seconda? - mi disse con un sorriso a trentadue denti.
- Beh, immaginavi male - gli risposi scocciata, tornando ad appoggiare la testa all’indietro. - Se vuoi leggi tu, io ti ascolto…
Lo sentii sbuffare poi, dopo pochi secondi e un frusciare di pagine, cominciò a parlare.
- Nell’anno xxx la società energetica della Shin-Ra deteneva il monopolio…
Forse la sua voce lenta e calda, forse la brezza che mi soffiava sul viso, forse la spossatezza per essere rimasta immobile per tanto tempo, mi addormentai. Dormivo molto in quei giorni e la cosa mi infastidiva non poco.
- Yu! Yuri! - mi svegliò dopo poco. O almeno dopo quello che mi parve poco tempo.
- Hai già letto tutto?
- Sì! - rispose entusiasta. - Sorellina, Sephiroth era fantastico!
- Cos’ha di tanto fantastico un uomo che prova ad ucciderti? - domandai infastidita per essere stata svegliata, così richiusi gli occhi.
- Ma quello solo dopo che è impazzito! Prima era fantastico! Un vero eroe! C’è un capitolo su di lui! Ti racconto? Vuoi che ti racconto?
- Se proprio ci tieni… - risposi ascoltando solo una parola sì e due No.
- Sephiroth era il guerriero perfetto! Entrato nei SOLDIER da giovanissimo e raggiunta la prima classe in meno di un anno! Oh, Yu, ti piacerebbe un sacco… era abilissimo nell’utilizzo di qualunque arma ed era un maestro del kenjutsu!
- Del che?
- L’arte della spada! Pensa, usava una spada dalla lama lunghissima, chiamata Masamune. E’ una spada leggendaria, non dirmi che non ne hai mai sentito parlare.
- Seimei, cosa vuoi che mi interessi del nome della spada di un guerriero vissuto più di cento anni fa! Non vedi che sto cercando di riaddormentarmi?
Era proprio da lui, assillarmi con un personaggio morto e sepolto da un secolo. Sephiroth, come no, chi non ne aveva sentito parlare? Perfetto, fin troppo perfetto, finché un giorno BUM! Gli è saltata qualche rotella e ha cominciato a distruggere tutto quello che aveva contribuito a creare, novità…!
- Dai Yuri, ascoltami, per favore! C’è anche una sua foto, guarda! Ehi, era anche un bell’uomo!
- Senti - sbottai aprendo gli occhi e tirandomi a sedere. - Seimei, ho detto che ti avrei aiutato a studiare, ma se l’unica cosa che vuoi fare è continuare a parlarmi di un uomo grosso, brutto e muscoloso che è morto cercando di ucciderci tutti, allora dillo subito. Mi alzo e me ne vado, anche se dovessi strisciare fino in camera mai.
Seimei chiuse il libro di scatto, l’espressione imperscrutabile.
- Scusami… - mi disse.
Solo allora mi resi conto di come lo avevo trattato. Aveva solo cercato di tirarmi su, parlandomi di un guerriero leggendario pensando che mi sarebbe piaciuto, e io gli avevo risposto acida come un limone avariato. Sospirai prendendogli il libro dalle mani.
- No scusami tu, Sei… è solo che essere stata costretta a letto per tutto quel tempo mi ha completamente scombussolato l’umore! Se vuoi continuiamo a studiare, parleremo di Sephiroth un’altra volta, va bene?
Lo vidi annuire, sollevato che il mio scoppio d’ira si fosse già esaurito.
- Ti leggo il capitolo due, va bene?
- Vai sensei! - mi disse lui sdraiandosi sulla pancia e osservandomi con la testa appoggiata sulle braccia. - Argomento del capitolo?
- Mmh…direi gli eroi che combatterono il tuo adorato Sephiroth!
- Cattivoni! - rispose lui ridendo. - Vai, parti!
E cominciai a leggere. Non passò molto tempo prima che tornassi ad aprire le pagine di quel libro di storia e ancora oggi non so se pentirmi o essere felice di non aver guardato la fotografia di Sephiroth quel giorno.

Successivamente, non ebbi più opportunità di studiare con Seimei e l’intera casa era in fermento.
Mio padre si accingeva a partire, accompagnato da Daisuke e la cosa comportava numerosi cambiamenti (anche comportamentali) in tutti noi. I gemelli non si spostavano più di casa (in attesa della libertà che ci sarebbe stata per tutti noi con la partenza del capofamiglia), mia madre era insieme felice e preoccupatissima di non essere in grado di gestire la casa da sola e mio padre stesso sembrava più allegro del solito.
Da parte mia, non potevo fare molto (ancora). Le visite del medico si facevano sempre più frequenti, per accertarsi che non ci fossero strane ricadute o chessò io.
Poi le Belle notizie, con la B maiuscola, arrivarono tutte insieme. Una mattina mio padre e Daisuke partirono e quello stesso pomeriggio il dottore venne a togliermi i punti.
La visita più noiosa di tutte! Sembrava quasi non volermi più togliere quei maledetti punti!

La mattina dopo, mentre il sole aveva appena cominciato a comparire oltre le montagne, stavo già camminando lungo il sentiero che portava al prato dei fiori. Dovevo avanzare più lentamente di quanto mi fosse abituale, dato che i muscoli delle mie gambe avevano perso un po’ di quell’esercizio acquisito in tanti anni.
Mancavano ancora una decina di minuti prima che arrivassi a destinazione, ma all’improvviso Safer Safer da dietro un albero.
Quando mi vide, sorrise, e la sua espressione mi sciolse il cuore. Era stato cos’ strano e frustrante non poterlo vedere per un tempo così lungo…ero talmente felice che le mie gambe, già stanche per la fatica di arrivare fin lì, cedettero.
Proprio come l’ultima volta che ci eravamo visti, Safer mi prese al volo tra le braccia.
- Se non stavi ancora bene, avresti dovuto rimanere a casa ancora per un po’ - mi rimproverò rimettendomi in piedi.
- Avevo paura che te ne andassi! - mi lamentai io, appoggiandomi a lui in cerca di equilibrio.
- Credevo ti averti detto che ti avrei aspettato.
- Avresti potuto cambiare idea.
- Di solito - mi disse duro, - tendo a non rimangiare la parola data. E’…una questione di onore.
- Onore? - domandai seria. - Cosa rappresenta per te l’onore?
Safer abbassò lo sguardo verso di me. Non era poi così alto, ma comunque abbastanza più alto di me.
- L’onore è… - cominciò, ma poi si interruppe e scosse la testa. - Lascia stare…
Aggrottai la fronte, infastidita. Stavo per lamentarmi quando Safer mi prese in braccio e cominciò a camminare.
- Cosa fai? - esclamai mentre mi sollevava da terra.
- Ti trasporto - rispose, infastidito. Non voglio arrivare all’accampamento questa notte.
Così mi lasciai portare da lui. Il suo petto era così ampio, le braccia forti…stanca appoggiai la testa sulla sua spalla e mi addormentai senza accorgermene.
- Sayuri… - mi chiamò lui un po’ dopo, quando fummo arrivati, per svegliarmi.
Aprii gli occhi e mi resi conto di dove mi trovavo, di preciso.
Safer era seduto di fianco a me; mi aveva adagiata su quello che doveva essere il luogo dove dormiva e poi mi aveva posato sopra una coperta.
Mi tirai su a sedere e gli sorrisi.  - Grazie, ma non occorreva.
- Non devi ammalarti… - mi disse, rigidamente, con gli occhi che si guardavano intorno.
Il suo sguardo si fece duro all’improvviso e i suoi occhi chiarissimi mi immobilizzarono.
- Quella ferita. Chi è stato?
- Safer, io… - cominciai.
- Non tirare fuori scuse! - esclamò lui. Era arrabbiato. Non sapevo perché ma era arrabbiato, a tal punto che la forma dei suoi occhi mutò e le pupille si assottigliarono fino a diventare una fessura verticale, come quella di un serpente.
- Non posso dirtelo! - risposi coprendomi il viso con le mani, ritraendomi.
Ero terrorizzata, non me ne era neppure accorta, ma mi aveva terrorizzata, guardandomi con quello sguardo gelido.
Vedendo la mia reazione, chiuse i denti di scatto, con uno schiocco, e si alzò in piedi.
Cominciò a camminare velocemente avanti e indietro, davanti a me, respirando affannosamente, come se stesse cercando di calmarsi.
- Lascerò perdere - affermò dopo qualche minuto. Il suo respiro si era normalizzato e mi fissava di nuovo con i suoi occhi di sempre. - Per ora - e mi si risedette accanto.
Ci guardammo a lungo in silenzio.
I suoi pensieri, come sempre, erano imperscrutabili, ma tutto il mio essere di protendeva verso di lui. Certo, mi aveva terrorizzata un istante prima, ma era stato un qualcosa di talmente strano e istintivo che era già dimenticato…invece lo strano calore che avevo avvertito appena lo avevo rivisto, e che sentivo ancora in quel momento, mi aveva dato coscienza di quel nuovo sentimento che stava sbocciando in fondo al mio animo.
- Ti insegnerò - mi disse lui, dopo un po’.
Le sue parole mi colpirono all’improvviso, ma dolcemente. Mi avrebbe insegnato…cosa? Mi avrebbe aiutato a realizzare il mio strano, bizzarro, buffo sogno?
- Cosa mi insegnerai?
- Ti insegnerò a combattere…anzi no, ti insegnerò a difenderti.


Santo cielo...questo capitolo non è lungo...DI PIU'! Non so come abbia fatto a diventare così lungo...anzi in realtà credo di saperlo... XDXDXD volevo per forza dare il titolo "allieva e maestro" e quindi ho dovuto continuare finché non toccavo l'argomento desiderato! AHAHAH
Beh almeno così mi scuso per un'assenza tanto prolungata!!! ^_^
Ringraziate il mio nuovo "muso" XD sulle cui note ho prodotto più di metà capitolo: Gackt!
Si ormai sto diventando un po' fissata... XDXDXD
Beh, baci e lasciate un commento!
Un grazie a Nemeryal, FlyGirl e CHIHIRO che mi hanno commentanto anche il capitolo 7!! Godetevi questo luuuuuunghissimo capitolo, spero che vi piaccia! (^^)V

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Capitolo 10
*** Addii ***


10. ADDII

Tornare a casa non fu mai più difficile di quel giorno. Era come se qualcosa di indistruttibile mi avesse legata a Safer, così allontanarmi da lui mi sembrava quasi qualcosa di profondamente sbagliato.
Entrando in cucina trovai solo Seimei e i gemelli.
Subito dopo individuai anche Shin, ai fornelli. - Wow! - esclamai. - Che cosa si festeggia?
- Shin ha ottenuto il trasferimento a Junon! - esclamò Taka mimando un inchino.
- Che cosa? - domandai. Feci un’immensa fatica a mantenere ferma la voce: la notizia mi aveva colpita come avrebbe potuto fare una valanga.
- E’ arrivata questa mattina presto, ma tu te ne eri già andata - spiegò Shin. Si voltò verso di me tenendo lo sguardo abbassato, probabilmente sentendosi in colpa.
Shin era il membro della mia famiglia cui ero più legata, era come se se ne stesse per andare una parte di me e lui lo sapeva benissimo.
Decisi di assumere un atteggiamento pragmatico. - Quindi, quando parti?
- La prossima settimana.
Incassai un altro colpo, solo di poco meno forte del precedente.
- Yuri… - cominciò Seimei, ma non gli lasciai finire la frase. Non avevo certo bisogno di essere consolata.
- Beh, una bella notizia, no? - esclamai il più entusiasta possibile. - Sentite…io non ho fame. Credo che andrò a strigliare Lei Lan.
Uscii velocemente dalla cucina, dalla porta che dava sul cortile.
Cercavo di allontanare il pensiero della partenza di Shin. La consapevolezza di quanto fosse vicina la data della partenza mi schiacciava e, ormai lontana da occhi e orecchie indiscreti, permisi ad alcune lacrime di scivolarmi sulle guance.
Presto i lievi sospiri si trasformarono in singhiozzi e a quel punto non fui più in grado di arrestare un pianto disperato. Come risposta Lei Lan arruffò le piume ed emise un suono gracchiante.
- Non rompere, stupida gallina! - esclamai dandole un buffetto affettuoso sul lato del collo.
- E’ preoccupata per te…Yuri, mi dispiace.
Mi voltai, sentendo la voce di Shin.
- Ti stai scusando - lo accusai. - Se pensassi che quello che stai facendo è giusto, allora non avresti il bisogno di scusarti con me. - Stavo diventando sottile come Safer.
- All’inizio credevo lo fosse, ma visto come sono andate certe cose, ultimamente, non ne sono più sicuro…
- Ashling! - esclamai, alzando gli occhi al cielo. Già sapevo come sarebbe andata a finire: io che consolavo lui, anziché il contrario.
- Yuri, possiamo parlare?
- Stiamo già parlando… - non ero sottile: ero acida. Nonostante non gli attribuissi nessuna colpa, non ero proprio dell’umore adatto per essere gentile con chicchessia.
- Intendevo fuori, magari facendo due passi - rispose Shin sistematicamente. Ormai mi conosceva troppo bene e sapeva come prendermi. Parte della mia irritazione si sciolse come ghiaccio sul fuoco.
Uscimmo dalla stalla e insieme ci allontanammo nella notte.
Arrivammo fino ai piedi della montagna, all’imbocco del sentiero che prendevo per andare da Safer.
Prendendolo come fosse un segno, decisi di fermarmi.
- Shin, chiariamo una cosa - gli dissi. - Io credo che partire per te sia la cosa migliore.
- Ma come posso lasciarti qui da sola? - ribatté lui abbattuto.
- Già, poverina: sola al mondo! Ultima di sette figli…
- Sai bene cosa intendo. Nostro padre diventa ogni giorno più violento, nostra madre più debole e i nostri fratelli più indifferenti. Ho davvero paura che ti succeda qualcosa.
- Shin! - lo rimproverai. Era proprio da lui addossarsi tutta la responsabilità. Gli piantai un dito davanti al naso e ripresi a parlare: - Uno, con me c’è sempre Seimei. Due, impara ad essere un po’ egoista: Junon è il posto migliore per andare a studiare. Tre, non sono più una bambina di cinque anni. So cavarmela da sola!
- Yuri…è proprio questo il punto: non è così! Hai già dimenticato cosa ha dovuto subire la tua schiena di recente?
E come avrei potuto dimenticarlo?
Mi chiesi come avrebbe reagito Shin se avesse saputo che la vera causa della mia guarigione miracolosa era stata la magia di Safer.
- Saprò cavarmela - gli promisi, - ma tu devi partire. E’ un’occasione importante per te, non ti permetterò di lasciartela scappare.
Lo guardai dritto negli occhi, minacciosa: - A costo di doverti chiudere in un sacco e portartici io stessa!
Shin mi rivolse un sorriso triste e radioso allo stesso tempo e mi abbraccio stretta.
- Puoi venire da me quando vuoi, sorellina. Per tutto il tempo che vuoi - mi disse nell’orecchio.
- Non credo che ne sentirò il bisogno tanto presto - lo assicurai, sorridendo.
Shin si sciolse dall’abbraccio e mi allontanò da sé quanto necessario per potermi scrutare in viso. Stava ridendo.
- Cos’hai trovato in quel tuo bosco, eh, furbetta?
Gli sorrisi, facendo spallucce.
Tornammo insieme a casa. Era bello sapere che, per me, qualcuno ci sarebbe sempre stato.


Diciamo che il vero titolo di questo capitolo è: voglio che tutti i membri della famiglia di Yuri scompaiano.
Capitolo breve brevissimo e ne vado fiera. So che sembra strano detto da me visto che sono io che sto scrivendo (ed è anche la ventesima volta che lo dico credo), ma non ne posso più dei problemi familiari di Yuri. Questa faccenda della famiglia era nata per dare un po' di profondità alla storia e ai personaggi ma sta cadendo nel ridicolo! Voglio Sephiroth, chi se ne frega di Shin che parteee! Y_Y
Comunque! La trama dei successivi capitoli è stata una vera e propria Epifania! Giurin giurello che tra un due capitoli circa la "relazione" Yuri-Seph farà un ulteriore passetto in avanti! *_*
Grazie mille per tutti i commenti e della pazienza accordatami! (^_^)/
Se non sto andando molto avanti a scrivere in questo periodo è perché questo è il mio anno della matura e sono mooooolto impegnata! ||O_O||
Pensate che questo misero capituncolo l'avevo cominciato a Natale! Poi è arrivato "Assassin's creed" e trovo a malapena la forza di volontà necessaria per andare a studiare! (^///^)
Grazie ancora, comincerò subito il prossimo capitolo! La prima lezione di combattimento! (o che prova a essere cmq!)
^Ayame^

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Capitolo 11
*** La prima lezione ***


11. LA PRIMA LEZIONE

Ero innamorata. Non importava quanto la cosa apparisse nuova alla mia mente e al mio spirito, ma lo amavo. Amavo Safer.
Me ne resi veramente conto durante quella che fu la mia prima lezione.
Nonostante avesse detto che avrebbe cominciato a farmi usare un’arma solo dopo molto tempo, mi fu subito chiaro che mi stava preparando allo scopo.
- Purtroppo sei completamente digiuna di ogni qualsivoglia tecnica di combattimento. Dovremo cominciare dal principio… - mi disse, dopo avermi osservata con attenzione.
Io rimasi immobile, in piedi, al centro della radura. Al pari di lui, anche io lo stavo osservando.
Sembrava molto concentrato, immerso in chissà quale sua speculazione… Ero certa di non essere la sua prima allieva: sapeva benissimo come istruire qualcuno all’arte del combattimento ma era come se un muro invisibile lo frenasse.
- Siediti - mi ordinò dopo qualche minuto di silenzio.
Si sedette con me e mi ingiunse di chiudere gli occhi. Cosa dovrei fare adesso? mi chiesi con curiosità. Un attimo dopo mi prese il viso tra le mani e mi disse qualcosa, ma non sentii una parola.
Le sue mani erano grandi e caldi, mi stringevano il viso delicatamente. Per un minuto tutta la mia coscienza sembrò concentrarsi solo su quel contatto fisico. Mi sentivo il viso in fiamme e mai prima di allora il mio cuore aveva battuto così forte.
Cominciai a prendere coscienza dei miei sentimenti ma nonostante questo, per me era così strano. Fin da quanto ero una bambina, avevo sempre avuto ben presente quale sarebbe stato il mio ruolo nella famiglia: al contrario dei miei fratelli, che godevano di una certa libertà, io sarei stata data in moglie a chiunque avrebbe favorito gli affari di mio padre.
Naturalmente ero sempre stata contraria alla cosa ma più per un fatto di principio, senza una vera motivazione. Quel giorno cominciai a pensare che, piuttosto che sposarmi con qualcuno che non amavo, avrei preferito morire. Anche se così distante e irreale, almeno per il momento, l’idea di separarmi da Safer era troppo penosa da sopportare…
- Concentrati, Yuri! Non stai facendo attenzione.
Aprii gli occhi e trovai il viso di Safer a pochi centimetri dal mio che mi fissava. Il mio stomaco fece una capriola.
- Scusami… - mormorai, sentendo tutto il sangue salire ad arrossarmi le guance.
Safer sospirò e con un gesto mi fece richiudere gli occhi: - Devi aguzzare la tua mente ed osservare il flusso del tuo spirito. Quando avrai fatto questo non ci sarà nulla che non potrai tagliare.
Cercai di fare quel che mi aveva detto…ma come potevo osservare il mio spirito, ne non sapevo nemmeno che cosa fosse?
Quando glielo dissi, mi fisso allibito.
- Ma cosa insegnano ai giovani, oggi? - chiese, e il suo tono non conteneva la ben che minima traccia di sarcasmo.
- Non certo a combattere… - risposi io stringendo le labbra. - Soprattutto non alle ragazze.
Mi guardò, sollevando impercettibilmente un sopracciglio.
- Che assurdità - commentò schioccando la lingua, irritato.
Aprii la bocca per sommergerlo di domande, come era mio solito. Safer però mi precedette, rispondendomi ancora prima che potessi parlare: - Sì, ho conosciuto molte donne guerriere e no, non ho intenzione di raccontartene. Non ora comunque.
Richiusi la bocca di scatto sorpresa e irritata allo stesso tempo. E cos’ero, un cane?
- Fatto sta - dissi incrociando le braccia sul petto, - che non ho idea di che cosa tu stia parlando.
Safer puntò lo sguardo su di me, ma il suo volto era inespressivo.
Il mio atteggiamento sembrava spazientirlo…come se si aspettasse che sapessi già fare tutto quanto!
- Vieni qui - disse.
Mi fece sedere per terra e dopo un secondo mi raggiunse anche lui, ponendosi a gambe incrociate davanti a me.
- Ascoltami attentamente. Puoi considerare lo spirito immanente al Lifestream. Non solo è parte di esso, ma ne è parziale manifestazione. Mi segui?
Annuii.
- Lo spirito è quella parte del Lifestream che pervade ogni cosa in questo mondo. Esso però non è immobile ed è cogliendo questo, istintivamente, che imparerai a muoverti in una battaglia.
Quello che disse…sembrava avere senso, ma non riuscivo a collegarlo a niente di reale che potesse permettermi non solo di capire il concetto, ma ti applicarlo a livello pratico.
Mi morsi il labbro, frustrata. Allora Safer rise serenamente.
- Mi stai dicendo che sono partito da qualcosa di troppo complicato? Evidentemente ti avevo sopravvalutata!
- No! No! Non è difficile, ci posso arrivare!
- Ne sono certo - mi sorrise e guardando la sua espressione, mi sentii sciogliersi il cuore.
All’improvviso mi lanciò una cosa e io mi destai dal mio sogno ad occhi aperti, afferrandola.
- Cos’è? - domandai. Un secondo dopo dischiusi le mani e vidi una sferetta verde, piccola e fredda, che sembrava di vetro. Ormai avevo ben imparato a conoscere quell’affascinante oggetto.
- Cure? - chiesi ancora.
- Dopotutto, credo che potremmo iniziare da qui - disse assorto. - Due cose devi sapere, per poter usare questa magia. La prima è che nulla si crea e nulla si distrugge: ciò significa che per poter sfruttare l’energia di questa Materia, dovrai attingere alla tua propria energia. La seconda cosa, invece, è che questa energia è lo spirito che si trova dentro di te. Puoi attingere ad esso finché non si esaurisce, poi dovrai aspettare del tempo affinché esso ti colmi nuovamente.
- Ma come faccio ad attingere a questo spirito, se non so come trovarlo?
- E’ questo che devi imparare a fare. Concentrati: stringi forte la materia e guarda, cerca dentro di te.
Feci come mi aveva detto. Se avessi stretto ancora di più le mani, la materia mi sarebbe penetrata nelle carni.
Guardavo dentro di me, guardavo e cercavo, disperatamente, ma non riuscivo a riconoscere ciò che Safer aveva chiamato spirito.
Avendo chiuso gli occhi, sobbalzai lievemente quando sentii che mi appoggiava una mano sullo sterno. Subito qualcosa di simile a un suono sordo cominciò a vibrare dentro di me, ma non avrei saputo ben dire da dove.
- Cosa…?
- Shhhhh… - mi sussurrò lui vicino all’orecchio e il mio corpo fu percorso da un brivido. - Non aprire gli occhi, concentrati. Riesci a sentirlo?
- E’ come un tamburo silenzioso - dissi.
- Quello è lo spirito che è dentro di te, l’hai trovato?
- Io…credo di sì.
Safer allontanò la mano e il tamburo cessò.
- Cos’è successo? Cosa hai fatto?
- Ho trasferito parte del mio spirito in te, che ha cominciato a pulsare. Ora dovresi essere in grado di attingervi per usare ma Materia. Prova.
Lo guardai, pietrificata, impugnare la sua katana con la mano destra, mentre con la sinistra afferrava il filo tagliente della lama e la faceva scivolare verso l’alto, procurandosi un lungo taglio sul palmo della mano. Subito cominciò a sanguinare.
Ancora immobile dallo stupore, lo guardai porgermi la mano insanguinata dicendo semplicemente: - Cura questo.
- Ma cosa…? Come puoi…? Tu…!?
- Vuoi fermarti a parlare di questo? - mi chiese sollevando un sopracciglio, serenamente. - Qui c’è qualcuno che sta perdendo sangue…
Era incredibile, sembrava che la cosa non lo toccasse minimamente! Come se tagliarsi la mano con una spada affilatissima fosse cosa da tutti i giorni. Una sciocchezza!
Sapere che tutto quel sangue era il suo sangue, mi faceva tremare, invasa da un’ondata di freddo.
- Sayuri - mi chiamò lui dopo un secondo. La sua voce era calda e soave e sembrava avere l’effetto di un balsamo sulla mia agitazione. - Non preoccuparti. Stai calma. Pensa solo a concentrarti sulla magia e a guarire la ferita.
Annuii, fermando immediatamente il tremito ai denti.
Chiusi gli occhi e cercai di nuovo lo spirito. Non pulsava più ma, spinta dal desiderio di guarire l’uomo che si trovava davanti a me, avvertii un lieve formicolio al torace e capii che era quello l’energia che cercavo.
Ne attinsi e la infusi nella materia che convogliò una nuova forza nelle mie mani.
Aprii gli occhi di scatto, piacevolmente stupefatta. I palmi delle mie mani erano calde e brillavano di un’intensa luce verde.
- Ora, avvicinale alla ferita… - mi suggerì Safer, guardandomi con orgoglio.
Continuando a stringere la Materia, presi la mano di Safer tra le mie. Sentii che lo spirito che avevo infuso nella materia, lentamente, si trasferiva sulla ferita, che cominciò a rimarginarsi.
Compresi che dovevo continuare a infondere nuova energia nella materia e poi nella ferita, se volevo che questa si rimarginasse del tutto. Lo feci fino a quando non mi ritrovai quasi completamente esaurita.
Alla fine allontanai le mani con un sospiro. Tremavo, non tanto per lo sforzo fisico, quanto per l’allentarsi della tensione.
Quando alzai lo sguardo su Safer, mi dedicò il suo sorriso più bello. In quel momento, solo per un istante, desiderai buttargli le braccia al collo e baciarlo.
- Sei stata bravissima.
Fu lui, allora, che mi abbracciò con calore. Ripetendomi ancora quanto ero stata brava.

Ringraziate il venerdì, oh seguaci di Sephiroth! Perché è grazie ad esso se potete leggere un nuovo capitolo! ;)
Obiettivo uno raggiunto: Yuri è partita persa di Sephiroth! (^^)V
Spero solo che questo capitolo non sia stato troppo noioso... (^///^) mentre lo rileggevo per correggere, mi è sembrato di ascoltare un'interrogazione di filosofia! O///O
Sono stata molto felice di leggere i vostri commenti! Grazie infinite! <3 Avevo quasi dimenticato quanto mi piace leggere i vostri commenti!
E' bello anche sapere che continuate a leggere questa storia...e che tanti altri continuano a unirsi alla lettura! ahah
Sephiroth: Ma cos'é, una lettera di ringraziamento?
Yuri: Lasciala perdere, per una volta che scrive avanti la storia.... (=_=)
Cmq! anche se questa sembra davvero una lettera di ringraziamenti...credo di dover anche ringraziare tutti coloro che hanno aggiunto la storia ai loro "preferiti". Non me ne ero accorta, ma sono davvero molti! *_* Grazie mille!
Ora è tardissimo! Buona notte!! (^_^)/

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Capitolo 12
*** Nomi ***


12. NOMI

Il tipo di allenamento cui mi sottoponeva, con i giorni, diventò sempre più vario.
Impiegai poco tempo a perfezionarmi nell’uso delle materia e ne andavo molto fiera. Safer però non mi permise di tenere con me materia con caratteristiche offensive. Tra l’altro, precauzione del tutto inutile, secondo me, dato che al momento non ero in grado di invocare una magia più di due volte di seguito.
Lui stesso mi aveva detto: “La quantità di spirito che il tuo corpo può accogliere aumenterà con l'allenamento”. Personalmente, ero convinta di non poter fare molti danni con la mia attuale preparazione.
In ogni caso, anche per questo Safer mi spingeva ad allenarmi ancora e ancora.
Un giorno decise di portarmi con sé nel folto della foresta. Ricordo molto bene quella giornata: il sole era completamente nascosto dalle nubi, che si facevano man mano sempre più scure e minacciose. Avremmo dovuto capire cosa era in arrivo. In realtà forse ne eravamo coscienti entrambi, ma non ci facemmo caso.
Eravamo sereni, avvolti da una coltre di incoscienza e spensieratezza.
Quando l’avevo raggiunto, era stato proprio come tutti gli altri giorni.
Safer sedeva sempre sullo stesso grosso masso. Teneva tra le mani la sua bellissima spada e la puliva con un panno.
- Buongiorno - mi disse, sentendomi arrivare.
- Buongiorno! - lo salutai io allegramente. - Cosa facciamo oggi?
Safer alzò lo sguardo verso di me e scorsi una strana scintilla nei suoi occhi, quando mi sorrise.
- Vedrai - rispose rinfoderando la spada e alzandosi in piedi. - Seguimi.
Io subito gli fui dietro. Non era insolito che si prendesse e se ne andasse, aspettandosi semplicemente che lo seguissi. Ormai era diventata una specie di abitudine.
Era bello stare con lui, non solo per il rassicurante tepore che mi avvolgeva quando gli ero accanto, ma perché ci si capiva anche senza parlare. Spesso capitava che ce ne stessimo semplicemente seduti l’uno accanto all’altro, guardando lo scorrere dell’acqua di un ruscello.
All’inizio, in realtà, per me era stata una vera tortura. Sono come un piccolo scoiattolo, che corre senza sosta, saltando da un ramo all’altro alla ricerca di qualcosa di indefinito. Stare seduta a non fare niente la trovavo un’inutile perdita di tempo e questi sentimenti erano cresciuti di molto dentro di me dopo quel lungo periodo di costrizione a letto.
Le prime volte mi ero trovata a protestare. Safer si limitava ad alzarsi in piedi e accontentare le mie richieste.
Però, col tempo avevo imparato a conoscerlo meglio. Era molto di più di quel che mostrava di essere. Non so dire precisamente quando me ne accorsi, ma un giorno capii che sotto quei suoi atteggiamenti di sarcasmo e di scherno, si nascondeva un cuore irrequieto e ferito.
Ancora adesso, non posso dire di aver compreso tutto ciò che lo affligge. Già quella volta, però, avevo capito che quei momenti di calma assoluta gli servivano a risanare almeno in parte quelle ferite che non facevano altro che lacerargli il cuore.
- Ti prego, dimmi dove stiamo andando!
- Sayuri, le tue domande continuano ad essere poste solo per poter dar aria alla bocca.
- Non è vero!
Sorrise. - Allora perché non aspetti semplicemente di arrivare? Non ti fidi di me? Pensi che sia un modo per ingannarti?
Spalancai gli occhi. Erano in momenti come questi in cui mi chiedevo veramente che tipo di uomo fosse Safer. Quale passato poteva spingere una persona a pensarla in questo modo?
Scacciai debolmente quei pensieri e decisi di contrattaccare, come ormai era mia abitudine. In effetti, avevo pensato a lungo alla risposta che gli avrei dato, se mai avesse tirato di nuovo fuori questo argomento.
- Non c’è niente che non valga la pena di sapere - risposi, mentre un sorriso mi si allargava sul volto, - e mi piace sentirmi pronta per quello cui vado incontro.
Mi fissò intensamente e disse: - Quando sei con me, non devi preoccuparti di questo.
Aveva vinto di nuovo lui. Ingoiai la risposta tagliente che mi balzò sulla punta della lingua.
Alla fine non mi disse niente.
Dopo un po’ci lasciammo alle spalle il brutto tempo, che aveva rallentato la sua avanzata, e qualche raggio di sole cominciò ad accarezzarci la pelle. Quella di Safer era talmente chiara che sembrava brillare come la luna.
- Questa è per te - disse, voltandosi improvvisamente.
Dapprima rimasi a bocca aperta per lo stupore poi, calde lacrime cominciarono a scorrermi lungo le guance per la contentezza. Tra le mani reggeva il fodero di una katana. Era scarlatto, con dei decori a forma di giglio per tutta la sua lunghezza. L’elsa della spada era rosso e argento.
Si inginocchiò e me la porse. Io non osavo muovermi e potevo solo perdermi nell’intensità del suo sguardo.
- Lo so che è ancora presto per questo - mi disse con il suo tono di voce più caldo, - ma desideravo essere io a donarti la tua prima spada. - Rise. - Conoscendoti, presto saresti andata a commissionarti una katana per conto tuo!
- Ecco dove sei andato la settimana scorsa! - esclamai singhiozzando come una stupida.
- Dove altrimenti? Ora smettila, e prendila.
Impugnai l’elsa con una mano tremante e l’estrassi. La lama risplendeva come un diamante.
Superato lo stupore iniziale, capii immediatamente perché fino a quel momento avevo usato spade di legno, quelle poche volte in cui mi aveva dato lezioni di scherma, e soprattutto perché la lama della mia spada era molto più corta della sua: era pesantissima e senza poterci far nulla, mi fece sbilanciare in avanti.
Safer intanto si era rialzato in piedi e mi diede una carezza sulla guancia. - Non ha ancora un nome. Sarai tu a darle uno, quando vi sentirete pronte.
Spalancai gli occhi sorpresa, avevo sentito di spade e armi leggendarie con un nome proprio, ma non credevo ci fosse ancora l’usanza di dare un nome alla spada. Soprattutto, non credevo che la mia spada potesse mai avere un nome.
- Anche la tua spada ha un nome?
Lui indietreggiò di un passo, nello sguardo di nuovo quell’ombra malinconica, ed estrasse la lunghissima katana. - Oh, sì. - Disse osservandone la lama.
Non aggiunse nient’altro. Rimase immobile in quella posizione per qualche secondo, poi la rimise nel fodero. Capii che era una di quelle cose di cui non aveva intenzione di parlare.
Mi chiesi, come facevo sempre in questi casi, se un giorno avrebbe mai deciso di raccontarmi la verità. Quando successe, avrei preferito avvenisse in modo molto diverso.


Credevate potesse accadere? Un nuovo capitolo!! °_°
In realtà visti i pochi commentino Y_Y non trovavo lo sprint per scrivere… (un po’ perché d’estate la gente fa altro, un po’ perché anche io facevo altro! Hihi)
Comunque! Capitolo breve breve ma solo perché ho deciso di tagliare a metà quello che stavo scrivendo! A breve il prossimo! (spero ^_^)
Per il resto mi sento in crisi…. *_* come diavolo dovrebbe finire questa storia? (non vi preoccupate, la fine non è lontana… E’ LONTANISSIMA!) Ieri mi sono messa a buttare giù qualche schema e a un certo punto mi sono ritrovata nel panico!
Come al solito, ringrazio tutti coloro che mi hanno lasciato i commenti! ;)
Nemeryal, tu ci sei sempre! *corre in contro con i luccichini agli occhi* e Lirith sembra sul buon punto per seguirti a ruota! *corre incontro pure a lei*
E un grazie anche a Wicked Soul e a Shiva Fuyu, naturalmente! ;)
Capitolo 12: Behemoth. E sarà da divertirsi….

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Capitolo 13
*** Behemoth ***


O mio dio o mio dio…E’ un miraggio? Sarà dovuto al caldo?? NOOOOOO è un nuovo capitoloooo! Per questo ringraziate tutti ribrib20 che ha avuto la grazia di venire a prendermi a calci! xD scherzo scherzo… cmq ecco qui, magia!
E doppia magia, appena avrò finito di correggerlo…arriverà anche il capitolo 14! Già pronto per le stampe! (e per questo dovete ringraziare la mia non-voglia di studiare che farebbe qualsiasi cosa pur di tenermi lontana dai miei libri di letteratura francese! Argh.

 

13. BEHEMOTH

Qualche minuto dopo vidi il primo dei motivi per cui Safer mi aveva portato lassù.
Piano piano eravamo giunti in uno dei punti più alti di quelle montagne. Senza proferir parola, si limitò a indicarmi con un braccio lo spettacolo davanti a sé: potevo vedere tutta la vallata! Anche il mio villaggio, che non era più di un piccolo ammasso di casette ai piedi della montagna, e oltre ad esso …
- La riconosci?
Annuii. - Midgar. E’ bellissima.
Ma bellissima in un modo perverso. Il cielo grigio, la nebbia, l’acciaio e il ferro della decaduta città sembravano avvolgerla di una grigia solitudine.
- Avresti dovuta vederla…cento anni fa - mormorò a mezza voce. Più parlando a se stesso che con me.
Non era la prima volta che diceva cose del genere, apparentemente senza senso. Era il suo passato che premeva per emergere senza che lui potesse fare niente per fermarlo. Di questo ne ero certa. Così come ero certa che esso avesse qualcosa a che fare proprio con Midgar.
- Grazie per avermi mostrato questo posto - gli dissi, socchiudendo gli occhi e respirando a fondo l’aria densa di umidità a causa del temporale che si avvicinava.
- Una volta conoscevo molto bene queste montagne. Credo siano l’unica cosa rimasta così come l’avevo conosciuta.
Safer… - Mi parlerai mai del tuo passato?
Lo vidi irrigidirsi. - Forse - rispose piatto. - Se non avrò altra scelta.
- Cosa? Perché? Cosa puoi aver fatto per non volerne raccontare?!
- Tu non le puoi capire certe cose - mi disse con un tono di voce freddo e distaccato.
Io invece mi stavo decisamente scaldando.
- Beh, mettimi alla prova! - esclamai alzando la voce.
Presto mi sarei messa urlare…a causa di una lieve isteria ereditata da mia madre. Odiavo mettermi a urlare: mi faceva sentire una persona debole, come lo era lei, ma in quel momento non potevo proprio farne a meno.
- Non ho intenzione di farlo - disse dandomi le spalle.
Ma io non avevo intenzione di lasciargli cambiare argomento. Mi sentivo ferita e confusa e così arrabbiata da non rendermi conto che stavamo litigando. Un litigio serio. Il primo che avessimo mai avuto.
- Codardo! - gli gridai contro. - Idiota! Bastardo!
Lui mi ignorò e lacrime di frustrazione cominciarono a scendermi lungo le guance. In seguito una vampata di calore mi fece capire che la mia faccia era diventata tutta rossa per la rabbia e la vergogna.
Non avevo nessun diritto di voler sapere del suo passato! Tanto meno di arrabbiarmi se lui si rifiutava di raccontarmene! Io stessa non gli avevo mai raccontato di mio padre…anche se forse qualcosa lo aveva già dedotto per conto suo.
Però… però…
- Ti odio! - strillai con la voce stridula. Gli diedi uno spintone e corsi lontano da lui, nella foresta.
Prima di essere troppo lontana mi voltai a guardarlo, una volta sola. In quel momento anche lui si girò, lentamente. I capelli gli vorticavano intorno a causa del vento mentre la luce cremisi del sole al tramonto sembrava trasformarli in lingue di fuoco. Circondato dalle fiamme.
Non mosse un passo verso di me. Non mi corse dietro, non mi chiamò, non cercò di fermarmi.
Lo odiai ancora di più per questo e continuai a correre.
Avanzavo letteralmente alla cieca, le lacrime mi offuscavano la vista e non avevo idea di dove stavo andando. Come se non bastasse, scoppiò il temporale.
Non passò molto tempo prima che l’acqua trasformasse il terreno in una palude fangosa. Scivolai e caddi, sbattendo sulle rocce.
- Merda… - gemetti.
Mi misi a sedere, muovendomi con circospezione. Il colpo mi aveva mozzato il respiro e un’improvvisa fitta al fianco destro mi fece temere di avere qualcosa che non andava.
Respiravo profondamente: ogni minimo movimento mi procurava un immenso dolore. Appoggiai la testa all’indietro, contro la radice di un immenso albero e chiusi gli occhi.
Anche così però non riuscivo a togliermi dalla mente l’immagine di Safer circondato dalle fiamme.
Per un istante avevo avuto come la sensazione di averlo già visto da qualche parte, tantissimo tempo prima. In realtà non era niente più di un presentimento, ma non era un bel presentimento: mi dava una pesante sensazione di disagio.
- Safer… - sospirai.
Mi sentivo così in colpa per avergli urlato contro. Non c’era da meravigliarsi se non si era nemmeno sognato di venirmi a cercare.
- Sono una stupida - dissi a voce alta. Non avevo nessun diritto di urlargli contro!
In quel momento sentii un rumore alle mie spalle, come di legno che si spezzava.
- Safer! - chiamai, ricolma di gioia.
Dopotutto era venuto!
Cercai di alzarmi, aggrappandomi alla radice e puntellando i piedi.
- Safer, sono qui!
Respiravo a piccoli rantoli e ogni nuova soffiata d’aria mi procurava una bruciante fitta al fianco.
Finalmente in piedi, azzardai un passo verso Safer quando qualcosa di duro e velocissimo mi colpi in pieno petto e mi mandò a sbattere contro il tronco dell’albero.
- Safer?! - esclamai, spaventata.
Aprii gli occhi e vidi che davanti a me non c’era Safer, ma un immenso mostro dalla pelle squamosa e violacea, con una lunga coda ricoperta di aculei.
- Safeeeeeer! - strillai terrorizzata e sentii la mia voce riecheggiare per la foresta.
Dimentica del dolore cercai di strisciare al sicuro, mi lasciai scivolare sotto a una delle grosse radici dell’albero, nascosta alla vista.. Tremavo visibilmente. E…mi sentivo ancora più stupida.
Con tutte le mie idiozie sul come volevo diventare una guerriera… e invece ero poco più di un cucciolo bagnato. Anzi, ero esattamente un cucciolo bagnato, tremante che aspetta di essere soccorso.
Facevo fatica a respirare. Per il dolore e la paura. Non riuscivo nemmeno a pensare.
Il mio istinto non mi era di nessun aiuto, mi diceva di rannicchiarmi e di aspettare che tutto si risolvesse ma sapevo, da qualche parte nel mio “io” ancora cosciente, che non era quella la soluzione!
Il mostro per il momento mi aveva perso di vista ma potevo sentirlo aggirarsi a pochi metri da me. Dibatteva furiosamente la coda e batteva il suolo con le zampe.
Il mio corpo fu scosso da un tremito, subito dopo sentii un denso grumo salirmi in gola. Lo sputai per terra immediatamente, ma questo non impedì al suo forte sapore metallico di rimanermi in bocca. Era sangue.
Uh-Oh…c’è più di qualcosa che non va…
Cercai di fare leva sulle mie braccia per sollevarmi ma fui nuovamente sconquassata dalla tosse e vomitai altro sangue. Questo non andava per niente bene. Sapevo cosa poteva significare…una lesione interna.
Ricordo i numerosi tentativi che feci per calmarmi. Respirare lentamente e a fondo, cercando di muovermi il meno possibile per non farmi scoprire dal Behemoth, che ancora cercava poco lontano da me, e di non provocare altre emorragie. Cosa che non fu facile dal momento che ogni respiro suonava più come un rantolo e che il mostro si faceva sempre più vicino, con la pericolosa coda che ondeggiava nervosamente e il suo enorme muso che annusava l’aria e il terreno. In quel momento inviai una silenziosa preghiera di ringraziamento ad Sadachbia, dea della pioggia e delle cose nascoste: se non ci fosse stato il temporale a coprire il mio odore, il mostro mi avrebbe già trovata.
Alla fine presi in mano la materia di cura e la strinsi forte tra le dita fino a che le nocche non mi diventarono bianche. La mia unica speranza era di riuscire a curarmi le ferite, almeno parzialmente, e di riuscire a scappare in un attimo di distrazione da parte del mostro…sapevo anche di dover agire molto, molto velocemente perché nel momento in cui il bagliore sprigionato dalla materia avesse attirato la sua attenzione, non avrei avuto che pochi secondi per alzarmi e correre via, al sicuro.
Presi fiato un’ultima volta: questa volta il respiro era più profondo, regolare e mi concentrai sulla piccola sfera che stringevo spasmodicamente nella mano sinistra. Lentamente, sentii la materia riscaldarsi a contatto con la mia pelle, il calore si propagò lentamente lungo il braccio e in tutto il mio corpo, segno che stava funzionando. Potei sentire la magia lenire e rigenerare i miei tessuti man mano che il bagliore si faceva più intenso.
Ancora un poco…ancora un altro poco… pregavo.
Purtroppo non ebbi tempo di finire: il Behemoth mi aveva individuato e si era avventato verso di me con le zanne snudate. Scivolai di lato, più per fortuna che per riflesso, terrorizzata. Sentivo la paura che si stava impadronendo delle mie gambe, immobilizzandole, ma questa volta non glielo permisi.
Approfittando del mancato attacco da parte del mostro, scattai nella direzione opposta. Non sapevo dove stavo andando, l’importante era allontanarsi il più possibile.
Se solo non mi fossi lasciata sfuggire di mano la materia… pensai digrignando i denti. Non ero riuscita a guarire del tutto la mia ferita, potevo sentire ancora delle lievi fitte mentre correvo. Avevo solo paura che se si fosse riaperta, questa volta sarei stata spacciata.
Adesso però la mia mente, non più offuscata dal dolore, era un po’ più lucida.
Ero riuscita a mettere una buona distanza tra me e il Behemoth ma potevo ancora sentirlo dietro di me mentre ruggiva e abbatteva la vegetazione lungo il cammino.
Non potevo continuare così ancora per molto, e lo sapevo. Dov’era Safer quando avevo bisogno di lui?
Raccolsi quanto più fiato potevo e urlai il suo nome una, due, tantissime volte sperando che mi sentisse. Safer era la mia unica speranza, altrimenti sarei stata spacciata.
Lo chiamai un’altra volta, correndo sempre più forte. Poi, lo vidi. Si trovava a pochi metri da me, teso in avanti come se anche lui stesse correndo fino a un attimo prima.
Feci uno scatto verso di lui e lo sentii invocare il mio nome nello stesso momento in cui io urlavo il suo; ma le nostre voci ebbero un timbro molto diverso. La mia era carica di sollievo e rinnovata speranza: ora che c’è lui non ho più niente da temere, pensò subito una parte di me. Quella di Safer, invece proruppe come un tuono, vibrante di paura.
Prima di riuscire a capire il perché di quel tono, sentii uno strano, improvviso, dolore alla spalla. Abbassai gli occhi, senza capire, e vidi qualcosa di bianco e acuminato fuoriuscirvi: uno degli aculei del Behemoth mi aveva perforato la carne.
Un improvviso strattone all’indietro mi vece vacillare: il mostro aveva estratto l’aculeo e un secondo dopo il sangue, senza più niente ad arginarlo, cominciò a sgorgare copioso dalla ferita.
Ricordo tutto molto chiaramente, soprattutto, ricordo che non ero lucida.
Vedevo le cose con gli occhi di un’osservatrice esterna, come se niente di tutto quello che stava succedendo mi riguardasse realmente.
Vidi Safer scattare in avanti e afferrarmi tra le braccia proprio mentre le ultime forze mi abbandonavano e stavo per cadere a terra; fece un balzo all’indietro, fuori dalla portata della lunga coda del mostro.
Mi accarezzò il viso, senza lasciarmi andare, allontanandomi i capelli dalla fronte.
- Un incantesimo di cura… - lo sentì mormorare a se stesso la parte cosciente di me.
I miei occhi erano persi nell’azzurro dei suoi e fu con grande rammarico che li chiusi per qualche istante, aspettando che il familiare calore della magia mi pervadesse. Invece mi sentii cadere, di nuovo, ma ancora tra le braccia di Safer: il Behemoth era partito a nuova carica e non gli aveva lasciato il tempo di compiere l’incantesimo.
Aprii debolmente gli occhi e lo vidi sopra di me, a farmi da scudo per proteggermi dagli attacchi del mostro.
- Sayuri! Yuri, riesci a capire quello che sto dicendo? - mi disse con un tono di premura nella voce.
Annuii con difficoltà. Questa volta, cadendo, avevo sbattuto la testa e tutto si era fatto ancora più confuso.
- Devi resistere, hai capito? Devi resistere un po’, solo un altro po’. Farò il più presto possibile.
Fece per alzarsi ma gli afferrai una manica, nel vano tentativo di trattenerlo: quel mostro era troppo forte, nemmeno lui sarebbe riuscito a sconfiggerlo. A quell’epoca credevo così.
- Lasciami qui e vattene - provai a dire, ma non mi uscì altro che un gorgoglio confuso. Sputai un po’ di sangue.
- Resisti - mi ripeté invece lui con un tono molto diverso da quello che aveva usato prima. Non una supplica, un ordine.
Mi scostò ancora una volta i capelli dalla fronte e vi posò un leggerissimo bacio.
Quando fu di nuovo in piedi, stagliandosi imponente e terribile davanti al mostro, estrasse la sua lunghissima katana dal fodero e si preparò ad affrontare il Behemoth. Anche il mostro sembrò cambiare atteggiamento: appariva più cauto, ora. Snudò le zanne e ruggì.
Safer cominciò a muoversi circospetto intorno al mostro ma anche nelle mie condizioni potevo percepire l’aura di impazienza che irradiava da lui.
Cambiò posizione: lasciò scivolare un piede indietro, preparandosi ad attaccare. Per un attimo la lama della spada mi sembrò scintillare di un bagliore sinistro. Poi lo scontro iniziò, e io persi definitivamente i sensi.

 

 

 Eccolo qui, che ve ne pare? Ha anche una lunghezza di tutto rispetto, eh! In realtà doveva comprendere anche il capitolo quattordici ma questi due hanno attaccato a parlare e non c’entrava più niente con “Behemoth” e quindi ho tagliato in due e ho continuato a farli parlare!
Tra parentesi…ritengo che Sephiroth non venga l’ora di venire allo scoperto perché rileggendo ho scoperto che avevo scritto appunto “Sephiroth” invece di Safer almeno 4 volte! Santo cielo….
Ebbene…A PRESTO CON IL CAPITOLO 14!!

@Lirith: nooooooooo!! Y_Y non è una mia usanza è una mia maledizioneeee! Mi perdo in buchi neri e in depressioni varie! Finché mi convinco di non essere capace di scrivere e quindi non ho cuore di mettermi a rovinare una storia! Poi mi dico e vabbé chissene! Poi mi metto e non mi ricordo più cosa volevo scrivere!! E allora devo rileggermi gli ultimi 3 capitoli e intanto passano altri 3 giorni! È una maledizioneeeeeeeeeeeeee! xD à quindi mi potete cazziare quanto volete, per dirlo con un termine elegante!!!
@Yue Ichijo: posso svelarti un segreto? (pssss… Io a Final fantasy 7 ci ho giocato 10 minuti nel lontano 2000 e poi, una volta compreso di non capire la storia visto che a 10 anni l’inglese praticamente non lo sapevo c’ho rinunciato! A volte ora ci riprovo ma la grafica è talmente brutta che proprio non ci riesco!!) Ma non dirlo a nessuno! =P Infatti, tra parentesi, vedrete che nel prossimo capitolo parlerò un po’ di geografia. Ti pare che ho dovuto fare una ricerca su final fantasy wikipedia? E qui stendiamo un velo pietoso.




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Capitolo 14
*** Sentimenti ***


14. SENTIMENTI

Non so per quanto tempo rimasi incosciente. Forse sognai, ma non ne sono  certa. Ricordo solo uno strano rumore, come un fruscio, e una rassicurante sensazione di calore.
Aprii gli occhi a fatica, la mia mente era ancora confusa. Aveva smesso di piovere ma per qualche secondo tutto fu ancora annebbiato e indistinto. Strinsi i pugni e gemetti di frustrazione.
Eh? Capelli? Solo allora mi accorsi di cosa stessi stringendo con forza nella mano destra.
All’improvviso fui di nuovo perfettamente lucida e vidi Safer, chino sopra di me. Immobile, in silenzio.
- …ho creduto… - disse a voce talmente bassa che riuscii a malapena a sentirlo. - …ho creduto… che fossi morta…Troppo lento a uccidere il mostro…e a curare le ferite…
I suoi occhi…
Mi sentii stringere il cuore in una morsa. La sua espressione…così tormentata! Come se volesse piangere ma non fosse in grado di farlo, ciò mi fece provare una sensazione di intenso dolore. Un dolore quasi fisico.
- Ma per fortuna hai ripreso i sensi… Sayuri…
La mia vista si fece di nuovo annebbiata. Pensai che fosse per la ferita alla testa ma quando sbattei le palpebre capii: stavo piangendo. Safer era lì, a pochi centimetri di distanza da me, tesi le braccia verso di lui e lo abbracciai, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e lasciandomi andare ai singhiozzi.
- Sayuri… - disse lui stringendomi a sé. - Perché stai piangendo?
Sto piangendo per te…dal momento che tu non puoi farlo, pensai, ma non gli risposi nulla.
Quel rumore che avevo continuato a sentire, quella bellissima sensazione di calore… Era rimasto al mio fianco per tutto il tempo.
- Non piangere - pregò lui, accarezzandomi dolcemente i capelli.
In quel momento mi resi conto di come dovevo apparire sporca e miserabile, ricoperta di sangue e fango ormai asciutti. - Non permetterò più a niente e a nessuno di farti del male. A nessuno, te lo prometto.
Smisi di piangere, ma restammo in quella posizione ancora a lungo, stretti l’uno nelle braccia dell’altro mentre Safer mi cullava dolcemente.
- Mio fratello Shin partirà per Junon tra qualche giorno - gli raccontai.
- Ah, sì? - rispose lui pacatamente, appoggiando la guancia sulla mia testa.
- Ci va per studiare - spiegai. - Pensavo di accompagnarlo e restare da lui qualche giorno.
- E’ molto tempo che non vado a Junon. Non so se è ancora come la ricordo io.
- Non so risponderti, - dissi - non mi è mai stato permesso allontanarmi da Nacom.
- Non è un paese molto liberale il tuo, non è così?
- Direi che è così in tutto il continente…ma ho sentito che in quello occidentale, Corel, le donne sono al pari degli uomini. Sembra addirittura che il governatore di South Corel sia una donna.
La mano di Safer si fermò per un secondo, poi ricominciò ad accarezzarmi i capelli.
- Sembra?
- Questo è un continente molto chiuso. Non abbiamo rapporti con Corel da prima che nascessi. Credo da ancor prima che nascesse Shin - spiegai. Nonostante non volesse raccontarmi del suo passato, avevo capito ormai che le sue conoscenze del Pianeta erano un po’ distorte. Talvolta “antiquate”.
- Mmh… - mormorò lui. - Un giorno ti ci porterò, se vorrai.
Cercai di sorridere: per fortuna non poteva vedere il mio viso, perché non ci riuscii. Sarei stata in grado di dirgli che il mio destino era di sposare un uomo scelto da mio padre? Come potevo spiegargli che la disobbedienza a tale precetto autorizzava la famiglia a punire la figlia con qualsiasi mezzo, anche la morte?
Istintivamente, mi rannicchiai contro di lui.
- Cosa c’è? - volle sapere.
- Devo andare adesso, - mentii.
Lentamente, dolorosamente, ci sciogliemmo dal nostro abbraccio e ci alzammo in piedi.
Le nostre spade erano una accanto all’altra, come eravamo stati noi fino un attimo prima. La spada di Safer era infilzata al suolo mentre la mia le era stata appoggiata accanto.
Quando avevamo litigato ed ero scappata via da lui, non mi ero nemmeno ricordata di prenderla. L’afferrai e la soppesai con entrambe le mani, osservandola.
- Safer - dissi alla fine, - puoi tenerla tu per me? Almeno fino a quando non tornerò da Junon? Non vorrei che mia madre la trovasse rassettando la mia stanza.
- Certamente - assentì lui.
Sospirai e la riappoggiai per terra. Poi mi concessi un attimo per osservare la lunga spada di Safer: era perfetta. Continuavo a paragonare la mia alla sua: mentre l’elsa della mia spada era tutta decorata e colorata, la sua appariva spartana, quasi anonima se non fosse stato per una piccola incisione sulla lama, vicino all’attaccatura con l’elsa.
Erano due ideogrammi che si leggevano Masamune. Mi accigliai, dove avevo già sentito questo nome? Perché mi era familiare?
Le mie riflessioni furono interrotte dalla voce pacata di Safer alle mie spalle.
- Quando partirai?
Feci un breve calcolo. - Tra due giorni - risposi, voltandomi verso di lui. Mi si era fatto di nuovo vicino.
- Ti aspetterò.
Su di noi cadde un silenzio carico di tensione.
Safer fece un ulteriore passo in avanti, i suoi occhi fissi nei miei. Alzò una mano e me la appoggiò alla base del collo, accarezzandomi delicatamente la guancia con il pollice.
Infine, si chinò su di me e mi baciò.


Eeeeeeeeeeeecco qui…come mi ero ripromessa: a quota 4 recensioni nuovo chappy!! Riveduto e corretto! ;)
Posso dire ti essere molto compiaciuta di me stessa? Forse la mia è un’impressione totalmente sbagliata….ma ho come la sensazione di essere riuscita ad arrivare al momento top (vedi tre righe sopra) senza sconvolgere il carattere di Sephiroth! Ci sono volute 45 pagine, ma credo ne sia valsa la pena ahah!
Oh, che bello xD sono stata premiata dalla comparsa di due nuovi recensori! Oohooh
 @KiaElle: Però adesso ho le tue sedute sulla coscienza!! O_O Sì lo so passa talmente tanto tempo tra un capitolo e l’altro che si potrebbe pensare che sono morta! :/ per continuare la continuo sempre…anche quando non scrivo per tanto tempo sto comunque lavorando alla trama… certo questo non è di consolazione! xD E per il venirmi a cercare non fartene un problema…. =P come ho già detto nel capitolo 13, il principale motivo dell’aggiornamento è che ribrib20 è venuta a minacciarmi di morte ahah
@the one winged angel: chiedo venia per i vaghi ricordi! In realtà anche io mi sono dovuta andare a rileggere gli ultimi 4 capitoli, giusto per rimettermi un po’ in pari aah aah per esempio ho scoperto che avevo già fatto partire il padre di Yuri! Cosa che non ricordavo per niente e se non fossi andata a ripassare probabilmente l’avrei fatto partire di nuovo XDXDXD
@ribrib20: ahhhh la mia sgio xD tipo allenatrice da film sportivi ahahahah :-*
@Pinkbe: aiuto…minacciosa! xD Zaaaack proteggimi tu!
Zack: ma io cosa c’entro? Chiedi a Sephiroth, che la storia è sua!
Angeal: Zack, dovresti proteggere il tuo onore!
Ok ok basta, se no parto in 4 e non finisco più ahah
Per il resto…chi non adora Sephiroth????? XP Scenette osé….umhh sinceramente non credo ma non si può mai sapere in quanto purtroppo la mia trama arriva fino a un certo punto e poi diventa vaga…quindi ancora non so che tipo di evoluzioni ci saranno! Quanto meno ORA sono finalmente arrivati a un punto di partenza! Cominciavo io a stufami di vederli così mosci, posso immaginarmi voi ahah ^_^ Ma sei vuoi farti i flash sei liberissima! xD A volte me li faccio anche io mentre scrivo…poi mi rendo conto che non sarebbe per nulla verosimile…ma per esserci ci sono! (tipo il famoso bacio con caschet! Ahah)
Su msn ti aggiungo volentieri ma ti avverto che ultimamente non ci passo molto tempo! ;)

Adesso però con tutta la più buona volontà ci starò sicuramente un po’ per cominciare a scrivere il prossimo capitolo…più che altro devo capire come reagirà Yuri al bacio e le eventuali implicazioni di tutto ciò (ecco, mi faccio più pare di loro!!). Poi sinceramente portare Sephiroth fino a questo punto di maturazione non è stato troppo difficile…lungo magari, ma non difficile. Il problema è che Sephiroth in LOVE LOVE MODE io non ce lo vedo proprio! E Yuri è una persona che ha bisogno di vedere dimostrati i propri sentimenti, non con un amore “perché sì e basta, ti ho baciato quindi vuol dire che mi piaci”: così non andrebbe a finire da nessuna parte. Dopotutto con la famiglia che si ritrova e le loro grandi dimostrazioni d’affetto alla fine è plausibile che uno cresca con le pare…. ARGH.
Ah dimenticavo....VOOOOI 4...non credete di essere esonerate dal commentare questo capitolo, ehhhh!!! xD

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Capitolo 15
*** Un bacio ***


15. UN BACIO
 

Il mio primo bacio fu come il battito d’ali di una farfalla. Delicato, timido, esitante.
Le sue labbra si posarono sulle mie come una carezza.
Potevo sentire il mio cuore battere così forte che avrei temuto che si potesse fermare, se solo avessi potuto pensare chiaramente.
Aprimmo gli occhi e lui mi fissò, vidi qualcosa di completamente diverso nei suoi occhi. Non avevo mai visto in nessun uomo quel tipo di sguardo ma da qualche parte dentro di me lo conoscevo.
Di nuovo, le nostre labbra si incontrarono. Safer schiuse le sue, la sua lingua si protese a sfiorare la mia. Dopo di che divenne tutto più veloce, la timidezza iniziale svanì. Safer si fece più irruente, esuberante.
Quello fu un bacio diverso. Era il bacio di un uomo.
Si staccò da me, ansimante. Mi protesi di nuovo verso di lui, la mia bocca in cerca della sua. Ne volevo ancora.
Bocca, labbra, lingua erano di nuovo un vorticante tutt’uno. Le sue mani si mossero, si spostarono dal mio collo e scesero a toccarmi la schiena, la vita. Le mie, timide in un primo momento, si erano appoggiate sulle sue braccia tornite tanto che potevo sentire i suoi muscoli tendersi sotto la pelle ad ogni movimento. Mi strinse, facendomi avvicinare a sé ancora di più. Un ultimo guizzo della sua lingua contro la mia, mi appoggiò le mani sulle spalle e ci separammo definitivamente.
Ci guardammo, il respiro veloce. Quel bagliore nel suo sguardo, ora, si era fatto più intenso.
Tentò di schiarirsi la gola. - Vai ora - mi disse, aveva la voce roca.
Mi voltai e, stordita, mi allontanai dirigendomi verso casa.
 

Il cuore non smetteva di martellarmi nel petto. Avrei voluto avere con me Lei Lan: forse così non mi sarei dovuta preoccupare del fatto che avevo ancora le gambe molli, che dovevo fare attenzione ad ogni passo per non finire per terra e avrei potuto semplicemente pensare.
Fu un sollievo scorgere finalmente Nacom ai piedi della montagna. L’ultimo tratto, tutto in discesa, fu il più faticoso tanto che una volta giunta a valle non ebbi la forza di fare la strada più lunga, girando intorno al villaggio, per raggiungere casa così decisi di attraversarlo.
Non c’era molta gente per strada, per fortuna. Conoscevo a malapena le persone che incontravo; loro mi ignoravo e io potevo fare altrettanto.
Sebbene quella per il villaggio fosse la strada più breve, non sempre capitava che fosse anche la più piacevole. Poteva capitare di fare incontri davvero poco gradevoli.
Quella volta, per fortuna, andò tutto liscio.
Raggiunsi casa come un automa, la mia mente era completamente vuota, incapace di formulare alcun pensiero coerente.
Entrai dalla porta della cucina. Dentro vi trovai mia madre che preparava la cena.
- Ciao tesoro - mi salutò allegramente. - Cosa hai fatto di bello oggi?
- Sono rimasta a studiare nei boschi dietro casa - risposi automaticamente. Quella era diventata la scusa ufficiale per giustificare il mio tempo trascorso con Safer.

Safer al solo pensiero di lui tutto il mio corpo fu attraversato come da una scarica che mi lasciò senza fiato, ancora una volta.
- Seimei è venuto a cercarti oggi ma non ti ha trovato - spiegò mia madre mantenendo il suo tono colloquiale. Questo mi costrinse a ridestarmi e a pensare.
- Ah, oggi non ero nel mio solito posto. Mi sono spinta un po’ più all’interno quando ha cominciato a piovere, dove gli alberi sono più fitti.
Sai, per non bagnarmi.
- Sì, certo, certo - disse lei annuendo, ma senza voltarsi - anche io gli avevo detto la stessa cosa ma non mi aveva voluto credere! - rise.
- Vado in camera mia - mi limitai a dire, salendo le scale.
Attraversai il corridoio e raggiunsi la mia stanza.
Mi chiusi la porta alle spalle e rimasi lì, immobile, nella semioscurità. Feci tre passi e mi fermai ancora.
Chiusi gli occhi e lasciai andare il fiato che mi sembrava di aver trattenuto fino a quel momento.
Improvvisamente la mia mente tornò più attiva che mai, fu attraversata da mille pensieri, dal ricordo di ciò che era appena successo.

Oh Ashling, oh Ashling, oh Ashling!
Mi sedetti sul baule sotto la finestra. Mi rialzai, feci il giro della stanza e spalancai la finestra. Lasciai che la fresca brezza della sera mi investisse, insinuandosi nella camera.
Sentii di essermi calmata. Mi voltai, mi sdraiai sul letto supina e incrociai gli avambracci sugli occhi.

O - cavolo.
Mi aveva baciata. Safer - mi aveva - baciata.
Mi aveva abbracciata, mi aveva toccata, mi aveva baciata!
E con frustrazione realizzai che con i preparativi per la partenza non sarei riuscita a rivederlo prima di una settimana.
Bussarono alla porta.
- Yuri? - disse Seimei attraverso la porta. - E’ pronta la cena.
- Non ho fame - sbraitai coprendomi la testa col cuscino, desiderando in realtà prendere a pugni qualcuno.

Una settimana dannazione!

O santo cielo….quello è…quello è…è un miraggio?!
Eh no è proprio un capitolo u.u
Un capitolo che se ne è uscito molto più…più di quello che avevo calcolato. Insomma…Sephy che mi combini? Si stava lasciando trasportare un po’ troppo eh…e pensare che doveva essere un casto bacetto con Yuri che se ne scappava via sconvolta come l’eroina di un manga. Eh…invece no se ne è uscito un po’ più verosimile! Beh…bene dai! Ihih. Sono super presa…oggi ho scritto questo, ieri ho continuato con un’altra storia… o.o cerco di godermela il più possibile finché mi dura l’estro!
Prossimo capitolo penso che si intitolerà o “Junon” oppure “Solo una settimana”.
Poi diciamo le cose come stanno, in teoria Sephiroth la nostra Yuri non doveva baciarla affatto questo capitolo, doveva aspettare il ritorno da Junon e invece si è lasciato prendere dai feromoni. Personaggi che prendono l’iniziativa… :’) *me commossa*
Comunque contiamo sulle dita di una mano i giorni felici perché ancora due o massimo tre capitoli e saranno uccelli senza zucchero, tanto per fare una citazione!
Bacioni dalla vostra Ayame!!

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Capitolo 16
*** Solo una settimana ***


Ok…sono una brutta persona. Innanzitutto perché è passato tipo un anno dall’ultimo aggiornamento. In secondo luogo perché, già sentendomi in colpa per non aver aggiornato per così tanto tempo mi ero ripromessa di scrivere fino al capitolo 25 e poi di postare un capitolo a settimana con cadenza costante…Al momento devo scrivere il capitolo 19 (cosa che comincerò a fare da Luglio) ma domani ho un esame e un altro poi giovedì e sono così depressa che mi son detta “dai ne posto giusto uno così se lasciano qualche commentino mi tiro su di morale!” E quindi eccolo qua! u.u

 

16. SOLO UNA SETTIMANA

 

Partire fu strano, lo ammetto. Era sempre stato uno dei miei sogni segreti quello di partire e non voltarmi mai più indietro. Beh, non proprio un sogno…un piccolo desiderio. Quel tipo di pensieri che ti attraversa la mente una volte, due volte. Cominci ad accarezzarlo, a conservarlo, a volte arrivi addirittura a fantasticarci sopra.

Non era esattamente quello che stavo facendo però, era molto diverso. Non me ne stavo andando, mi stavo allontanando e la cosa si era dimostrata molto più difficile di quanto avessi mai pensato e naturalmente la più grande differenza tra la realtà e quel mio piccolo sogno era che non la smettevo di guardarmi alla spalle. Lo facevo in continuazione. A volte addirittura mi fermavo e restavo a osservare le montagne dietro Nacom. Continuai a farlo finché montagne e villaggio non furono diventate troppo lontane, dopodiché il viaggio proseguì senza intoppi.

Giunsi a Dolnam dopo diverse ore e da lì presi il treno per Junon.

Il viaggio fu abbastanza lungo e principalmente noioso: a un certo punto mi addormentai e arrivai alla stazione la mattina dopo.

Mi ero aspettata molte più persone. Dopotutto Junon era diventata la capitale del continente! Invece dal treno scendemmo solo io e altre sei persone. Due erano una coppietta, uno era sicuramente un impiegato o un uomo d’affari visto il rigido completo grigio. Furono gli altri tre passeggeri a incuriosirmi e dopo essermi seduta sopra al bagaglio, in attesa che mio fratello venisse a prendermi, cominciai a osservarli. Erano due giovani ragazzi e una ragazza. A prima vista non sembravano avere niente di strano: avevano i capelli neri, probabilmente avevano solo due o tre anni più di me e vestivano normalmente. Sul polso si erano tatuati tutti e tre lo stesso identico tatuaggio. Da lontano non riuscivo a vedere bene i dettagli ma assomigliavano a un angelo. Restammo tutti e quattro in stazione per una buona mezzora poi una donna li venne a prendere. Strinse loro la mano, e in quel momento vidi che anche lei aveva lo stesso tatuaggio a forma di angelo, e li condusse via.

Quando mi passarono vicino cercai di vedere meglio quegli strani tatuaggi ma riuscii solo a scorgere due lettere che prima non avevo notato. La prima non riuscii a vederla, poteva essere una “i” o una “l” forse, mentre la seconda era una P.

Passarono altri quindici minuti, durante i quali cambiai posizione sul bagaglio, mi stiracchiai e cominciai a camminarci intorno, terribilmente annoiata. Poi finalmente vidi Shin che si avvicinava alla stazione a passo veloce, non correndo ma quasi, e balzai in piedi aspettando che mi raggiungesse: ero restia ad abbandonare il bagaglio. Mi avevano fatto tutti terrorismo riguardo ai furti in treno e in stazione.

Shin mi raggiunse pochi secondi dopo e mi abbracciò. – La mia sorellina – disse sorridente. – Hai viaggiato bene?

- Ho dormito tutto il tempo!

- Beata te – sospirò afferrando la mia valigia e facendomi segno di seguirlo. – Io non ci sono mai riuscito.

Questo fu il mio arrivo a Junon. Come uscii dalla stazione dimenticai dei tre ragazzi con l’angelo tatuato e la sensazione di stranezza che mi avevano percepito. Così iniziò il mio soggiorno a Junon.

 

Non successe nulla di straordinario durante la settimana che passai con mio fratello. Mi portò in giro per la città, mangiammo ogni schifezza che ci passava davanti e restammo svegli fino a tardi, cosa che per me rappresentava una specie di atto di estrema ribellione viste le abitudini di casa.

Tuttavia ci sono un paio di episodi che farei meglio a raccontare.

Due giorni dopo il mio arrivo Shin decise di portarmi alla fiera annuale che Junon organizzava in onore delle Weapon. Era un’antica tradizione legata al risveglio di non so quali creature mistiche che si erano levate dai cannoni un sacco di tempo prima. Shin me l’aveva spiegata molto meglio ma non ci avevo capito quasi niente.

Queste fiere erano abbastanza diverse da quelle che organizzavamo a Nacom. Qui c’era cibo, immensi stand che vendevano alcolici, dolciumi e ninnoli vari, così come succedeva a Nacom a parte la parentesi degli alcolici, ma in più c’erano le giostre e c’erano delle baracchette dove si poteva giocare e vincere dei premi. Quella sera tornai a casa con un enorme behemoth di peluche; a pensarci la cosa era un po’ inquietante visto l’ultimo piacevolissimo incontro che avevo avuto col mostro…questo però aveva degli occhi grandissimi e le ciglione e a conti fatti assomigliava più a un cucciolo di chocobo che a un mostro assetato di sangue e morte. Quel peluche lo conservo ancora adesso.

Tornammo alla fiera anche il giorno dopo. C’era ancora più gente, immagino perché fosse la serata dedicata ai fuochi d’artificio.

Era stato bello passare di nuovo la giornata con Shin. Averlo tutto per me per così tanto tempo mi sembrava incredibile, dopotutto venivamo da una famiglia con sette figli.

A pranzo avevamo mangiato a casa, cucinando insieme. Parlando del più e del meno.

- Quella cosa non pericolosa che facevi – disse con un tono di voce volutamente casuale – continui a farla?

Lo guardai in silenzio, sbattendo ripetutamente le palpebre, sorpresa. Non sapevo cosa rispondere. Prima di partire Shin mi aveva domandato cosa facessi nei boschi “da sola”. Quella volta non gli avevo voluto rispondere e lui aveva lasciato stare.

Avevo avuto modo di pensare alla risposta che gli avevo dato quella volta, una vaga rassicurazione di non fare nulla di pericoloso. Quello che avevo finito per chiedermi più avanti, senza ancora aver trovato una soluzione, era perché non gli avevo voluto parlare di Safer. Cosa c’era di male perché dovessi tenerlo nascosto? Credo che una piccola parte di me fosse gelosa di lui, non volevo dividerlo con nessuno dal momento che nemmeno lui sembrava interessato a conoscere altre persone.

So che non è questo il vero motivo e lo sapevo anche allora. La verità è che avevo percepito qualcosa in Safer, qualcosa di pericoloso, aveva la stessa aura degli animali feroci che sono stati addomesticati. Non sai mai quando potrebbero rivoltartisi contro. Lo sapevo. La verità non è che avevo paura di condividerlo con il mondo, la verità è che avevo paura che se l’avessi condiviso con il mondo, l’avrei perso per sempre.

Dopo aver mugolato una vaga risposta affermativa, rimasi in silenzio per diversi minuti. Intrecciai le mani tra di loro, poi le sciolsi, poi le riallacciai. Ero combattuta. Abbassai lo sguardo, all’improvviso trovavo le venature nel legno del tavolo estremamente interessanti e cominciai a parlare.

Gli raccontai come avevo trovato quest’uomo ferito, di come l’avevo curato e di come, infine, avevo cominciato a passarci del tempo insieme.

Shin rimase in silenzio, non mosse nemmeno un muscolo finché non finii di parlare. Allora spostò una sedia e si sedette di fronte a me, dall’altra parte del tavolo.

- Yuri… - sospirò, mortalmente serio. – Ma come diavolo ti è venuto in mente? – il suo tono di voce rimase calmo e controllato.

Mi corrucciai. – Io…

- No, ascoltami un secondo – mi interruppe. – Un uomo adulto, uno sconosciuto, per di più un mercenario da quanto mi hai raccontato.

Sospirò e allontanò la sedia dal tavolo, alzandosi di nuovo in piedi. Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. – Non sto dicendo che avresti dovuto lasciarlo là. Non sto dicendo questo. Ma una volta appurato che non era morto o in procinto di farlo avresti dovuto venire a cercare aiuto al villaggio. Si può sapere cosa ti è saltato in mente? Avrebbe potuto ucciderti o peggio! Sei una bambina, per l’amore del cielo.

- Shin! – esclamai sbattendo le mani sul tavolo e alzandomi in piedi a mia volta. – Innanzitutto ho diciannove anni, quasi venti, e non credo sia necessario specificare che non sono più una bambina da molto tempo. Secondo, non ti ho raccontato questa storia in cambio di consigli paternalistici da parte tua né da parte di nessun altro. Sono grande abbastanza per decidere da sola, contrariamente a quanto sembra pensi tutto il resto del mondo. – A parte Safer, pensai tra me e me. - Ho agito come ho agito perché mi è sembrata la cosa giusta da fare. Ora, puoi essere felice per me, puoi far finta che non ti abbia raccontato niente di niente oppure puoi riaccompagnarmi in stazione.

Feci un giro del tavolo per cercare di calmarmi e poi tornai a sedermi. In tutto questo, Shin rimase in silenzio. L’avevo spiazzato, lo vedevo. Per quanto fosse il migliore dei miei fratelli e mi volesse bene, purtroppo era inevitabile che alcuni tratti della nostra tradizione avessero attecchito in lui…anche se non ne era consapevole. Ma ci volevamo bene, e lo perdonavo.

Mi osservava, creandosi un’immagine di me completamente diversa. Ero cambiata, nemmeno io me ne ero accorta fino a quel momento. Safer mi aveva cambiata. Non erano solo gli allenamenti, le lezioni…o il trovarmi in pericolo di vita, se è per questo. Era la sua stessa vicinanza. Mi aveva fatto evolvere e credo che anche Shin in quel momento l’avesse capito. Capì quanto bene mi faceva, e avrebbe continuato a farmi, la vicinanza di quell’uomo meraviglioso.

- Hai ragione – disse alla fine. Si passò una mano nei capelli. Era di nuovo rilassato, più sereno. – Sono felice per te. Quando tornerò a Nacom me lo farai conoscere, d’accordo?

Gli sorrisi. Gli andai incontro e ci abbracciammo. – D’accordo.

 

Ad ogni modo, la cosa più strana e più importante, anche se ancora non lo sapevo, accadde durante il mio ultimo giorno di permanenza. Mancavano ancora diverse ore prima che il mio treno partisse e avevo supplicato Shin di portarmi di nuovo alla fiera, così avevamo lasciato i miei bagagli al sicuro in stazione e avevamo raggiunto la via della fiera.

Notai subito che qualcosa non andava, ancora prima che lo facesse Shin. Sul momento pensai che fosse qualcosa di strano nell’aria, adesso so che l’addestramento con Safer mi aveva permesso di sviluppare sensi più sviluppati. Non sto parlando dei cinque sensi naturalmente, ma di quelli che si attivavano imparando a usare la magia.

- Cos’è quella folla? – domandò Shin indicando davanti a sé. Io stavo già guardando in quella direzione. Qualcosa mi aveva fatto venire la pelle d’oca.

- Andiamo a vedere. – Mi prese per un braccio trascinandomi dietro di sé. Avrei voluto dirgli di no, che non era il caso di immischiarci ma non riuscivo a trovare una giustificazione plausibile neppure con me stessa.

Non mi piacque quello che vidi e non piacque nemmeno a Shin che velocemente mi riafferrò e mi trascinò via. Ero riuscita a vedere la scena solo per pochi secondi, ma era bastato. C’erano i tre ragazzi che avevo visto in stazione quando ero arrivata, la donna che era venuta a prenderli e altri due. Erano tutti vestiti di rosso, con delle specie di tuniche con il cappuccio. I tre della stazione stavano picchiando due ragazzi mentre gli altri tre guardavano. La gente restava a guardare. Perché non faceva niente? Cosa mai potevano aver fatto di male quei ragazzi?

Cercai di tornare indietro per capire, per aiutarli, ma la presa di Shin sul mio braccio era ferrea e non mi avrebbe lasciata andare per nessuna ragione.

- Shin! Si può sapere che ti prende?

Quando finalmente fummo abbastanza lontani, Shin acconsentì di fermarsi. – Lascia stare – mi disse.

- Lascia stare? – ripetei. - Stavano picchiando a sangue dei ragazzi che non avevano fatto niente, ne sono sicura. Perché dovrei lasciar stare? Anzi, perché tutti lasciano stare?

Shin mi rivolse uno sguardo duro, severo. – Ma chi vuoi aiutare, che non riesci nemmeno a difendere te stessa?

Arrossii: era vero.

- Spiegami almeno chi sono.

- Quelli sono il Progetto Jenova.

- Jenova? – lo guardai sbalordita. Quel nome aveva qualcosa di terribilmente familiare.

- E’ una specie di setta – era contrariato, glielo leggevo in viso. – Per quel che ho capito è molto antica…sono dei fanatici o comunque qualcosa di molto simile. Hai presente Sephiroth, vero?

Annuii. Tutti sapevano chi era Sephiroth. E se anche così non fosse stato, ci aveva pensato Seimei a farmi una testa così a riguardo ben più di una volta.

- In sostanza credono che Sephiroth sia destinato a tornare a camminare sulla terra – fece sprezzante. Allargando le mani davanti alla faccia come se mi stesse raccontando una storia di fantasmi. – Dicono addirittura che è già successo e che ne hanno le prove. Una cosa del genere. So che hanno il loro quartier generale a Cosmo Canyon. Altro non so. Quello che posso dirti è che sono dei bulli. Hanno pregiudizi verso gli albini, solo perché pare che Sephiroth fosse un albino.

Lo ascoltavo in silenzio, rapita. Non avevo mai sentito di una cosa del genere. Distrattamente, mi domandai se anche Seimei ne era a conoscenza.

- Sai perché stavano picchiando quei ragazzi? – mi chiese quasi ringhiando.

Scossi la testa.

- Perché avevano i capelli troppo chiari. Capisci che tipo di persone sono? E nessuno osa fare niente perché vengono pure addestrati in quel fottuto Cosmo Canyon. Imparano a combattere corpo a corpo, a distanza e qualcuno mormora che venga insegnato loro anche l’uso della magia!

Sbattei ripetutamente le palpebre. Non avevo mai sentito Shin esprimersi in quel modo. Inoltre il discorso sull’addestramento del Progetto Jenova mi puzzava troppo e non sapevo nemmeno il perché.

Shin sospirò, scrollò le spalle. – Vieni, ti accompagno in stazione. Non ha senso tornare là a questo punto.

Lo seguii docilmente. Qualcosa dentro di me era infastidito. Questa faccenda del Progetto Jenova…c’era qualcosa che non riuscivo proprio a digerire. La mia curiosità congenita mi spingeva a scoprirne qualcosa di più. Ma dovevo tornare a casa…casa!

Mi illuminai tutta. Tornare a casa! Tornare da Safer!

Arrossii al suo solo pensiero. Al pensiero di cosa era successo tra di noi l’ultima volta che ci eravamo visti. Mi poggiai una mano sulla guancia. Ero bollente, potevo sentire il sangue che mi arrossava tutta la faccia.

Anche Shin lo notò e sorrise. – Sei contenta di tornare a casa?

E incredibilmente. Contro ogni previsione, era così. Sì. – Sì. Non sto più nella pelle.

 

 

Per il capitolo 17 (che si intitola “Tornare a casa” ed è già stato scritto) ci sarà da aspettare ancora un pochino anche se credo che entro la fine di luglio sarò riuscita ad arrivare al sospirato capitolo 25 quindi posterò con cadenza settimanale (o bisettimanale, a seconda degli impegni). Spero che vi sia piaciuto questo capitolo dopo tanto tempo…

Un super ringraziamento a giulia (mi dispiace so che mi hai ricordato cento volte qual è il tuo nickname su EFP ma non riesco assolutamente a ricordarmelo!!) e onewingedangel che mi fanno da pre-reader! Oltre che alla mia dolce Macci che di questa storia non gliene potrebbe fregare di meno eppure continua ad ascoltare tutte le mie paturnie e le mie elucubrazioni! <3

Nel mentre ho anche fatto una specie di fan art su Sephi e Yuri…magari vi metto il link all’immagine col capitolo 17 o col 18 (che ci sta ed è più a tema!)

Un bacione e tutti quelli che ancora si ricordano di questa mia storiella anche se io sono così negligente nell’aggiornare! Vi adoro tutti! *_*

Aya

p.s. incrociate le dita per me domani!! D:

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Capitolo 17
*** Tornare a casa ***


17. TORNARE A CASA

 

Non dormii il viaggio di ritorno. Non riuscii nemmeno a chiudere occhio. Non è cambiato assolutamente niente, non c’è nessun motivo per essere così agitata, continuavo a dirmi. Ma sapevo che non era così.

Mi aveva baciata, dopotutto. Safer mi aveva baciata. Il mio primo bacio in assoluto. E niente come un viaggio in treno riesce a spingerti a pensare e ripensare ossessivamente alle cose che ti sono appena successe.
Una settimana…era passata una lunga, lunghissima settimana. Cosa aveva fatto? Dove era andato? La mia mente non era mai stata affollata con queste domande prima di allora. Se non fossi stata così agitata, probabilmente avrei riso.

A Dolman scesi dal treno e noleggia un Chocobo. In un paio d’ore sarei stata a casa. Casa…è strano che per me “casa” ormai significasse Safer? Passi tutta la vita in un luogo, con le stesse persone, con la tua famiglia nondimeno e non riesci a sentirti a casa. Incontri una persona, ti innamori, e finalmente capisci cos’hai cercato per tutta la vita.

Sull’ultimo tratto di strada, mentre mi avvicinavo a Nacom, mentre riuscivo a vedere la nostra fattoria…per un secondo accarezzai l’idea di non passare nemmeno per casa, di girarmi e dirigermi direttamente verso i boschi. La scacciai. Un po’ di coscienza, per favore.

Riuscii lo stesso a sbrigarmela molto in fretta. Seimei e i gemelli erano fuori quindi fu questione di un attimo salutare mia madre e andarmene.

- Non vuoi riposarti un poco prima di uscire? – mi domandò quando ormai ero già sulla porta d’ingresso.

Roteai gli occhi. – Ho dormito in treno tutto il tempo – risposi. Anche se non era vero.

Sospirò. – Anche a me sarebbe piaciuto essere così avventurosa alla tua età. I tuoi nonni non mi lasciavano avere la libertà che hai tu.

Bella libertà, pensai, ma in fondo aveva ragione. In confronto a lei ero la persona più fortunata del mondo. Tornai in casa e la raggiunsi in cucina, stava lavando i piatti nel lavello. Le diedi un piccolo bacio sulla guancia e me ne andai.

 

Corsi all’inizio. Corsi per quasi tutta la strada, non avrei mai creduto di esserne capace: fino a qualche mese prima non sarei nemmeno stata in grado di arrivare fino al sentiero correndo. Avevo sottovalutato gli allenamenti che avevo fatto con Safer, evidentemente.

Rallentai solo quando lo vidi.

Mi aveva sentita arrivare e mi stava venendo incontro. Camminava, ma molto più in fretta di come l’avevo sempre visto fare. Avanzava per lunghe falcate, veloce, facendosi sempre più vicino. Guardandomi dritto negli occhi. Avrei voluto cancellare la distanza che ancora c’era tra di noi correndogli incontro a mia volta ma Safer fu così veloce che mi aveva raggiunta ancor prima che riuscissi a terminare quel pensiero. Senza una parola mi sollevò e mi premette contro il tronco di un albero, appoggiandosi contro di me. Abbracciandomi. Affondando il viso nell’incavo del mio collo.

Sorridevo. Non potevo fare altro se non sorridere. Stringendolo a me.

Gli passai una mano tra i capelli, cielo, come erano morbidi.

Alzò la testa e per un lungo momento ci guardammo negli occhi. Non avevo mai provato un’emozione così forte in tutta la mia vita. Il cuore sembrava volermi uscire dal petto quanto batteva forte. Come un tamburo. Anche quello di Safer faceva lo stesso.

Si avvicinò ancora di più, per quanto fosse possibile. Per un lungo istante respirammo l’uno l’aria dell’altro, le bocche semi-aperte in cerca di ossigeno, e mi baciò.

La sua lingua seguì il contorno del mio labbro superiore. Le bocche unite.

Le sua braccia intorno a me mi tenevano leggermente sollevata da terra, con la schiena ancora appoggiata contro il tronco. Mi accarezzò il fianco con la mano sinistra, poi me l’appoggiò sul lato del collo.

Era come se tutto il mio corpo stesse andando in fiamme. La mia mente sembrava galleggiare, sospesa. Come avevo fatto senza di lui fino a quel momento?

Gli strinsi le braccia dietro al collo, le mani che gli accarezzavano la nuca.

- Yuri – disse. Solo una parola. Solo il mio nome. Un’onda di calore mi attraversò tutto il corpo dalla punta dei piedi fino alla testa, poi di nuovo giù lungo la schiena come un brivido. Tutto il suo corpo a contatto con il mio, non c’era parte di me che non era stata sfiorata dal suo tocco. E bruciavo. Lo volevo. Mi sembrava di impazzire.

Era mio. Mi apparteneva. Safer. Mio.

Strinsi piano tra i denti il suo labbro superiore. Gemette. Safer.

Ci allontanammo dal tronco, ancora abbracciati. Ancora sollevata da terra. Incrociai le gambe dietro la sua schiena.

Sollevò lo sguardo. Ci fissammo negli occhi, il respiro irregolare, e in quel momento vidi amore. E desiderio. Uno specchio di ciò che c’era nel mio sguardo.

Di nuovo, mi appoggiò una mano sulla nuca. Era abbastanza forte da riuscire a tenermi sollevata con un braccio solo. Mi avvicinò a sé e premette leggermente le labbra sulle mie. Così, semplicemente. Un’eco del primissimo bacio che mi aveva dato.

Mi abbracciò, continuando ad accarezzarmi il retro del collo. Piegò le gambe, fluidamente, i suoi movimenti sono sempre fluidi, e ci fece sedere per terra.

Eravamo uno davanti all’altro, le mie gambe ancora incrociate dietro di lui.

Safer si chinò in avanti e appoggiò la fronte sulla mia spalla. Limitandosi a respirarmi. Le sue mani appoggiate sulla mia vita.

Lo imitai, appoggiando la testa sul suo petto. Il battito del suo cuore mi rimbombava nelle orecchie attraverso la cassa toracica.

Aveva un odore così buono. Strofinai il naso contro la sua camicia: candida, leggermente aperta sul davanti. Ne scostai un lembo e poggiai le labbra sul suo petto, all’altezza del cuore. La sua pelle bruciava.

Safer non emise un suono ma sentii le sue dita contrarsi in maniera quasi impercettibile.

Lo baciai ancora, nello stesso punto. Sollevai le mani per liberare uno, due, tre bottoni. Era così difficile. Le mani mi tremavano un poco, ma non di paura. Tutto il mio corpo era scosso da lievi tremori.

Safer mi baciò sul lato del collo, dove fino a un momento prima aveva appoggiato la fronte, e i tremori aumentarono. Con la mano destra si insinuò sotto la mia maglietta, mi accarezzò una volta lungo la colonna vertebrale, mandandomi un brivido di piacere lungo tutto il corpo. Per un attimo mi sfiorò la parte inferiore della schiena e mi sfilò la maglietta da sopra la testa. Dopo un secondo si tolse la camicia.

Alzai la testa verso di lui. Safer sorrise e ricominciò a baciarmi. Il suo braccio destro stretto intorno alla mia vita, la sua mano sinistra mi carezzò lo stomaco e si strinse piano sul mio seno.

Boccheggiai mentre il mio corpo rispondeva al suo tocco. Il gemito che mi stava nascendo in gola fu catturato dalla sua bocca di nuovo sulla mia.

Le mie mani giacevano abbandonate lungo i miei fianchi. Le alzai e le appoggiai di nuovo sul suo petto, seguendo le linee dei muscoli con le dita. Appoggiai le labbra sul suo capezzolo sinistro e succhiai forte.

Un suono forte, gutturale, gli nacque dal retro della gola. Le sue dita si strinsero su di me.

- Yuri – mi sussurrò all’orecchio. Il suo respiro, caldo, sul mio collo. Le sue labbra sfiorarono il mio lobo dell’orecchio. E i suoi denti.

Con una mano ancora mi stringeva a sé, con l’altra mi sfilò piano la gonna. Mi stava di nuovo guardando negli occhi, ora. Lo baciai strascinandolo su di me.

 

- Hai freddo? – mi domandò Safer, allungando una mano per raccogliere una coccia di capelli e spingermela dietro un orecchio.

Scossi la testa, arrossendo leggermente. – Sto bene.

- Vieni qui. – Mi prese per un braccio e mi strinse a sé. – Meglio?

- Grazie – lo circondai con le braccia a mia volta. – Mi sei mancato.

Appoggiò la guancia sulla mia testa. – Anche tu mi sei mancata – disse, dopodiché rimase in silenzio per un lungo momento. Avrei voluto poterlo vedere in faccia.

- Quando tu non ci sei… - si interruppe. Lo sentii sospirare pesantemente, strofinò gentile la guancia contro i miei capelli. – Ogni giorno che passo lontano da te…

Mi sciolsi dal suo abbraccio. Non del tutto, quel che bastava per poterlo guardare in viso, e la sua espressione…la sua espressione non era qualcosa che ero in grado di interpretare. Non capivo cosa potesse renderlo così angosciato e la cosa mi addolorava. Sarebbe passato molto poco tempo prima che lo scoprissi.

- E’ come se sentissi la mia umanità che si allontana da me, ogni giorno un po’ di più, quando tu non sei con me – mi confidò alla fine.

Mi pizzicavano gli occhi. Non volevo piangere. – Sono qui – gli dissi prima di baciarlo leggermente sulle labbra. – Non ho intenzione di andarmene da nessuna parte. Resterò al tuo fianco per il resto della mia vita.

Safer sorrise. – Anch’io.

Questa volta fu lui a baciare me.

 

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E finalmente…esami finiti. Almeno per questa sessione estiva! :)

Anche se non so come mi sono ritrovata a dover fare la tesina per la matura di mia sorella :/

Per il resto sono di buon umore…mi son messa a scrivere il capitolo 19…e quindi ho deciso di postare anche il capitolo 17! Per farmi perdonare dell’anno di assenza!

Che ve ne è parso di questo capitolo? Io lo giuro…sono quasi morta mentre lo scrivevo. Ero una cosa ridicola xD spero comunque che sia uscito bene… Poi già che c’ero ho anche finalmente scannerizzato il disegno di Sephiroth e Yuri…e prima di mettervi a farmi i complimenti vi assicuro che ho scopiazzato il 98% di questo disegno da un manga. L’unica cosa per la quale potete battere le mani è che sono riuscita a trasformare Cloud in Yuri…e i vestiti da militare in vestiti da donna. Ecco xD Mamma mia com'è venuta male questa scan xD decismente troppo grande eheh...va beh...pietà! Un bacione alla prossima <3

E ricordate…i commenti sono una dimostrazione di amore! xD su su non siate timidi :-P

Aya

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Capitolo 18
*** Sorridere insieme ***


18. SORRIDERE INSIEME

 

- Più in alto le braccia – esclamò con forza e mi diede un colpetto sul retro del gomito mentre lo diceva.

Non sembrava mai riuscire a essere soddisfatto.

- Ma sono esattamente come un secondo fa! – esclamai stizzita.

Estrasse la spada. - Anche la più piccola differenza può essere determinante – mi si posizionò di fronte. – Adesso para!

Strinsi con forza le mani intorno all’elsa della katana (ormai non usavo più il bokken) in attesa del colpo. Fece un repentino movimento con una mano sola calando la spada su di me obliquamente da sinistra. Mossi un passo indietro e parai, persi quasi l’equilibrio ma all’ultimo riuscii a mantenermi in piedi.

- No. No. No – disse esasperato. Era la sesta volta che ripetevamo l’esercizio. Infilzò la spada al suolo e mi venne incontro. Mi corresse la posizione delle braccia e mi si posizionò alle spalle. - Le gambe devono stare più divaricate, non stai pescando. Inoltre devi piegare le ginocchia, abbassare il baricentro, altrimenti rischi di finire per terra ogni volta che ti muovi.

Mentre parlava mi mise le mani sui fianchi per tenermi ferma e mi spostò le gambe dandomi dei colpetti con i piedi.

Si chinò in avanti, poggiandomi per un secondo le labbra sul lobo dell’orecchio. - Pensi di riuscire a ricordarti questa posizione? – mi sussurrò. Fece scivolare la mano destra dal fianco al mio stomaco e la lasciò appoggiata lì. Sentii tutto il sangue defluirmi alla faccia, dovevo essere diventata rossa come un pomodoro.

- Concentrati – mi disse sottovoce. Le sue labbra mi baciavano il collo. Le sentii incresparsi e capii che stava sorridendo.

In quel momento non avevo nessun controllo sulla mia voce, quindi mugolai in assenso.

- Bene – disse. Con una mano mi fece girare la testa verso di sé e mi baciò sulla bocca prima di lasciarmi subito andare.

- Su – esclamò sorridendo. Aveva una voce bellissima. L’ho già detto che aveva una voce bellissima? Profonda, baritonale. Non potevo fare a meno di squagliarmi ogni volta che apriva bocca. – Fammi vedere come ti difendi.

Afferrò la spada e balzò in avanti. Scartai di lato, come mi aveva insegnato a fare, e tornai in posizione di difesa ma lui era di nuovo davanti a me. Fece un affondo che mi sfiorò la guancia. Non mi ferì: aveva usato il dorso della spada. Voleva solo che fossi consapevole che altrimenti starei sanguinando.

- Ferita – mi fece notare mentre colpiva di nuovo. Questa volta parai il colpo e feci un salto indietro, di nuovo pronta a riceverlo.

Guardarlo era bellissimo. Non sembrava nemmeno che stesse combattendo…non che io fossi in nessun modo un avversario per lui, ma sembrava non sentisse nemmeno la forza di gravità. Come i rami di un albero: per un attimo mossi dal vento e poi di nuovo immobili. E sorrideva.

Il suo colpo successivo mi sorprese, arrivò dal basso. Riuscii a pararlo all’ultimo momento ma scivolai, persi l’equilibrio e infine caddi per terra di schiena.

Avrei dovuto rotolare su un fianco e tornare in piedi. Ma ero lenta. Chiusi gli occhi e mi strofinai la testa. Quanto li riaprii Safer incombeva su di me puntandomi contro la punta della spada.

- Sei morta – disse. Come un lampo si chinò su di me fino a baciarmi la punta del naso, quando si rialzò in piedi mi trascinò su con sé. Gli brillavano gli occhi.

- Facciamo una pausa – mi prese per mano e ci andammo a sedere insieme a cavalcioni di un tronco caduto. La mia schiena contro il suo petto.

- Come sono andata? – gli domandai.

Mi accarezzò i capelli. – Bene – mi assicurò.

Roteai gli occhi. – Quello non mi sembrava proprio “bene”.

- Bene per uno standard normale – si corresse.

- E questo cosa vorrebbe significare? – mi girai parzialmente verso di lui, in modo che riuscissimo a guardarci in viso.

Fece una pausa, guardandomi. Alzò una mano e mi carezzò il lato del viso.

- Sai cos’è il mako, vero?

- Certo.

- Ormai non si usa più come una volta – cominciò, giocherellando con una ciocca dei miei capelli. – Quando ero giovane si usava iniettare l’energia mako in alcuni soggetti selezionati in modo fa farli diventare superguerrieri. Lo sapevi questo?

Annuii. Ne avevo sentito parlare, una volta. Ma credevo che fosse storia molto più vecchia.

- Quei soldati erano potenti. Quei soldati acquisivano una forza che era difficile ottenere altrimenti. Quei soldati barattavano la loro umanità per il potere.

Lo fissai, pensierosa. Con la mente tornai a ciò che ci eravamo detti solo poche ore prima.

- Ma questi soldati non erano caratterizzati dal bagliore mako?

- Sì – confermò. Non mi staccava gli occhi di dosso. Sapeva che tipo di ragionamento stavo facendo.

- I tuoi occhi non hanno il bagliore mako, però. Hanno solo una strana pupilla. – Ormai mi ci ero così abituata che non ci facevo quasi più caso, ma la sua pupilla era affusolata, quasi come quello di un gatto, o di un serpente, e si stringeva ancora di più quando era in preda all’ira. Non mi spaventava più ormai, però era così.

- Una volta lo facevano – mi spiegò, lentamente. Si umettò le labbra. – Stare con te mi cambia, molto più di quanto potrai mai comprendere.

Sbattei le palpebre, confusa. Non riuscivo a capire cosa volesse dire.

- Inoltre – aggiunse – il mako per me è stato solo un di più. Ciò che mi costituisce è molto diverso, in realtà mi puoi a malapena definire umano.

Gli tappai la bocca con le mani. Istintivamente, prima ancora di riuscire a realizzare cosa stavo facendo.

Mi guardò, confuso.

- Smettila – gli comandai. – Smettila subito – mi aveva spaventata. Qualcosa nei suoi occhi mi aveva spaventata, il modo in cui guardavano lontano. Indietro. Forse il passato, ma non me. Non noi. Non il presente e sapevo che non andava bene – Non voglio sentirti fare discorsi del genere.

Mi scostò gentilmente le mani e le trattenne tra le sue. Si portò la mia mano sinistra alle labbra e la baciò. – Pensavo volessi saperlo.

- Voglio saperlo – lo assicurai. – Ma voglio che resti con me mentre lo fai.

Mi guardò. Capì di cosa stavo parlando. Mi girò la mano e me ne baciò il palmo, facendomi il solletico.

- Va bene.

- Vuoi continuare? – gli chiesi, cauta.

- Non c’è molto altro da dire. Esperimenti sui neonati. Cellule non umane impiantate in un feto in via di sviluppo – non so come facesse a mantenere un tono colloquiale. – Davvero una storia triste, non credo tu voglia sentirla.

Distolse lo sguardo e lo lasciò vagare davanti a sé. Non mi lasciò le mani.

Riflettei. Sembrava qualcosa di familiare.

 - Come Sephiroth? – gli chiesi dopo qualche secondo.

Sentii il respiro mozzarglisi in gola, come un rantolo. Voltò la testa. Lentamente, molto lentamente. Mi fissò. Dritta negli occhi per un tempo che mi sembrò infinito. Le labbra strette, ridotte a una linea sottile. Le pupille leggermente dilatate.

- Una specie – disse infine. La voce gli uscì stridula, come se gli si fosse bloccata in gola.

Fui io a restare in silenzio allora. Cosa puoi dire a una persona che ti confida una cosa del genere? “Mi dispiace”? Niente sembra adeguato, così lo abbracciai. Mi strinsi a lui, affondando il viso nel suo petto.

Safer mi lasciò le mani e mi abbracciò a sua volta, con una mano intorno alla schiena e una sulla nuca per accarezzarmi i capelli.

Restammo così, in silenzio, per diversi minuti.

- Devi andare a casa – mi ricordò dopo un po’.

- Non voglio andare a casa.

Rise piano. – Sarò ancora qui – sciolse l’abbraccio per guardarmi in viso. – Domani. Dopodomani. Il giorno dopodomani.

Sorrisi. – Va bene.

Ci baciammo ancora una volta, poi mi avviai verso casa. Dopo pochi passi mi voltai verso di lui. Mi stava guardando andar via.

- Safer? – lo chiamai.

- Mm?

- Lo sai che ti amo, vero?

Sorrise. – Lo so.

Sorridemmo insieme. Sorridevamo tanto in quei giorni. Ancora per poco, anche se non lo sapevamo, ma in quei giorni semplicemente sorridevamo amandoci a vicenda. Ed era abbastanza.

 

 

Siamo tornati su binari più tranquilli qui…eheh. Un po’ di allenamento che non guasta mai…mi dimentico sempre di ricordare che Sephiroth e Yuri non si limitano a guardarsi nelle palle degli occhi ma si allenano anche! :)

Poi…CHIACCHIERE. Sinceramente non avevo idea di ciò che sarebbe saltato fuori in questo capitolo…ovviamente sapevo che sarebbe cominciato con l’addestramento di Yuri…il resto è stato assolutamente spontaneo. Soprattutto quel discorso serioso… O.o hanno fatto tutto loro. Com’è? Ci siete rimasti male a vedervi una discussione su un ipotetico Sephiroth-terza-persona? Eheh…ma poi…perché continuo a dare del voi al maschile in generale se tanto so che siete tutte ragazze?? Mistero xD

E poi parole :) perché le parole sono importanti…Yuri che più che dichiararsi, rincara la dose! Ahah e poi cattivi presentimenti…che come avrete notato adoro.

Ci vediamo nel prossimo capitolo (sì tranquille l’ho già scritto…tra un poco lo pubblico xD magari vedrò di stabilire un giorno della settimana così potrete sapere che se non esce – metti caso – di mercoledì allora bisogna aspettare settimana prossima…oppure anche no. Potrei semplicemente farvi dannare *risata sadica*

Que sera sera

Aya

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Capitolo 19
*** Omen ***


19. OMEN

 

Avrei dovuto capire immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Dal momento in cui la mattina dopo, scendendo le scale, sentii qualcuno muoversi freneticamente in cucina. Poi il rumore di una tazza che si infrangeva. Quando varcai la soglia della cucina vidi mia madre china a terra, intenta a raccoglierne i cocci.

- Buongiorno – dissi, ancora mezza addormentata. – Vuoi che vada a prendere la scopa?

- Non ce n’è bisogno. Sono tutti pezzi grossi, li raccolgo a mano – mi rispose. Non mi accorsi che la sua voce tremava leggermente, se avessi solo prestato un po’ più di attenzione alle sue mani, però, avrei visto che stavano tremando.

- Dove sono gli altri? – chiesi prelevando un biscotto dalla scatola aperta sul tavolo.

- Lo sai – fece lei alzandosi in piedi e dandomi subito le spalle, - in giro.

Ridacchiai piano. – Penso che li imiterò molto presto! – e presi un altro biscotto.

Nel frattempo lei aveva finito di pulire per terra e si era seduta di fronte a me. Una mano appoggiata sopra l’altra e gli occhi che guardavano ovunque tranne che verso di me.

Mi corrucciai. Questo no, non era normale. – Mamma? Cosa c’è?

Si alzò di scatto. – Niente, niente, cosa vuoi che ci sia? – esclamò.

Tuonò, c’era aria di tempesta. Il rumore improvviso la fece sobbalzare, solo che mentre lo faceva diede un colpo alla scatola dei biscotti, che cadde dal tavolo. Riuscii ad afferrarla al volo e la rimisi cautamente sul tavolo ma a quel punto mia madre se n’era già andata dalla stanza.

Ero confusa. L’euforia che mi aveva pervaso fino a quel momento scomparve, oscurata da un profondo senso di disagio. Mi alzai in piedi e feci il giro del tavolo, posizionandomi nel punto dove era stata mia mamma quando ero entrata in cucina. Aveva fatto cadere una tazza, che doveva essere stata sul tavolo. Era caduta per terra e destra, quindi probabilmente anche la mano, o il braccio, con cui l’aveva urtata doveva essere quello destro. Feci un passo verso sinistra e l’occhio mi cadde sulla pianta appoggiata al centro del tavolo. Cosa diavolo…? Sbirciai dentro il vaso (la pianta era dentro un altro vaso e solo quello era appoggiato dentro il vaso di terracotta, molto più grande) e scorsi una carta tutta stropicciata. Ero sempre più confusa. Allungai una mano e la afferrai. Una lettera?

In quel momento sentii mia madre muoversi al piano di sopra: non volevo che mi sorprendesse con una cosa che aveva palesemente cercato di nascondere. Rimessi a posto la pianta e corsi fuori dalla porta che dava sul retro. Aveva cominciato a piovere e mi diressi velocemente verso la stalla. Mi infilai in uno spazio tra un covone di grano e il muro e tirai fuori la lettera.

Era di mio padre. Era arrivata due giorni prima, mentre ero ancora a Junon. Perché mia madre avrebbe dovuto nasconderla? Sì può sapere perché era così nervosa? e aprii la lettera con una forza tale da strapparla in due. Nell’istante in cui lo facevo un freddo presentimento aveva cominciato a corrermi lungo la spina dorsale. Cercai di scacciare la sensazione con un brivido autoindotto, scrollai le spalle cercando di scrollare di dosso anche quella sensazione di inquietudine e cominciai a leggere.

In quel momento mi immobilizzai. Smisi di respirare, smisi di sbattere le palpebre, credo che anche il mio cuore avrebbe smesso di battere se solo avesse potuto.

Mi lasciai scappare un singhiozzo. Non era possibile. Com’era possibile? Continuavo a ripetermi. Eppure lo sapevo. L’avevo sempre saputo. Me lo ero sempre aspettata…e in realtà da qualche parte nel profondo del mio cuore sapevo quale era il vero scopo del viaggio di mio padre. Ma lo sapevo veramente? Con un moto di rabbia scagliai la lettera lontano da me. Mi girai da un lato e diedi un calcio al covone di grano. Ormai piangevo.

 

“Il signor Kenai e figlio hanno acconsentito a prendere in moglie nostra figlia. Stiamo per partire. Saremo a casa entro una settimana. Porterò anche il figlio del signor Kenai. Abbi la decenza di renderla presentabile.”

 

Ovviamente era firmata da mio padre.

Ancora un calcio. Poi afferrai la lettera e corsi di nuovo in casa. Salii precipitosamente le scale e stavo per scagliarmi contro la porta chiusa della camera di mia mamma quando un rumore mi fece arrestare a metà del gesto. Piangeva. La sentivo singhiozzare attraverso la porta. Basto questo per togliermi il coraggio di affrontarla. Urlarle contro e sbatterle in faccia la lettera non sembrava più la soluzione giusta. Lasciai cadere la lettera per terra, ormai ridotta a un straccio tanto era stata spiegazzata e strappata. Girai sui tacchi e lasciai la casa. Di corsa, verso Safer. Chiamai Lei Lan con un fischio che subito mi raggiunse. Le saltai in groppa e insieme cavalcammo velocissime verso la montagna, ignorando l’acqua che mi sferzava il viso.

 

Ogni volta che andavo da lui, sempre, finivo per domandarmi come avrei fatto a trovarlo. Sapevo dove teneva le sue cose, questo sì, ma spesso lui vagava per la foresta. Non era sempre negli stessi posti. Eppure trovavo sempre la strada per raggiungerlo. Non mi era mai capitato di dover vagare per più di dieci minuti prima di trovarlo, e la foresta era grande, molto grande. Era come se sapessi esattamente dove andare.

Quella volta non fu diverso. Lasciai Lei Lan presso il suo “accampamento”  e mi inoltrai ancora di più tra gli alberi. La pioggia non accennava a voler smettere, anzi, se possibile cominciò a scrosciare ancora più fitta. Mi pentii di non essermi acconciata i capelli sulla testa: ormai fradici mi si incollavano sul viso e lungo il collo.

Ebbi la conferma di star andando nella direzione giusta quando sentii in lontananza un rumore metallico che in questi ultimi mesi mi era diventato dolcemente familiare: si stava allenando con la spada. Lo capii ancora prima di riuscire a vederlo, oltre un albero caduto.

Sapevo che era bravo…ma bravo ormai non mi sembrava più il termine adatto. Era qualcosa di straordinario. C’era qualcosa di inumano nelle sue movenze, tanto che sospettai che fino a quel momento si era sempre trattenuto quando si era trovato a impugnare la spada in mia presenza.

Feci qualche passo in avanti, quasi ipnotizzata dai suoi movimenti. Ormai c’erano solo il tronco dell’albero caduto e alcuni metri a dividerci. Safer stava eseguendo alcune delle stesse posizioni che aveva insegnato a me in quell’ultimo periodo e improvvisamente capii tutte le correzioni che a me sembravano inutili. Sembrava…anzi, sono certa che fosse consapevole di ogni muscolo del suo corpo, che potevo veder guizzare e contrarsi ogni qual volta che cambiava posizione.

Rimasi a osservarlo in silenzio per alcuni minuti, finché, improvvisamente, non si fermò. La pioggia continuava a scendere rumorosa, su di me, su di lui. Anche i suoi capelli ormai erano fradici, gli si erano appiccicati sul viso come avevano fatto i miei, ma non sembrava che gli dessero fastidio. Non credo che se ne fosse nemmeno accorto.

Appoggiai le mani sul tronco dell’albero per scavalcarlo e farmi avanti ma in quel momento Safer si mosse di nuovo, repentinamente, con una rabbia trattenuta che non potei fare a meno di notare. Roteò su se stesso e scagliò una palla di energia contro una roccia, mandandola in mille pezzi. Quasi contemporaneamente si voltò ancora una volta e fendette l’aria con la Masamune. Dalla lunga lama della spada si crearono delle lame di luce che vorticarono attraverso gli alberi di fronte a lui. Li tagliarono nettamente, come se fossero stati fatti di gesso anziché di solido legno. Scricchiolarono forte prima di rovinare rumorosamente al suolo. Da lì fu un attimo capire che anche l’albero su cui mi stavo appoggiando aveva subito la stessa sorte.

Il mio primo istinto fu di correre subito da lui. Abbracciarlo, baciarlo. Ma qualcosa mi fermò, la realizzazione che avrebbe odiato più di ogni altra cosa essere visto da me in quello stato. Non l’avrebbe sopportato. Così indietreggiai silenziosamente, mi voltai e recuperai Lei Lan. La sua angoscia aveva la precedenza sulla mia, avevo tempo per dirgli della lettera di mio padre. Sarei tornata da lui quella sera. Dopotutto, avevamo ancora tutto il tempo del mondo.

 

E daghe con gli hint nefasti! Mi dispiace, non resisto. Cmq OMEN, il titolo, deriva dal latino e significa presagio, viene usato in inglese come termine corrente per esempio “Bad Omen”…che ne so un gatto nero. Poco Sephiroth…e quel Sephiroth che c’è è circondato da fanghirlaggio. A un certo punto non sapevo più se ero io o se era Yuri a fanghirlare! Tant’è che ho tagliato tipo un intero paragrafo in cui mi perdevo a descrivere gli addominali scolpiti di Sephiroth bagnati dalla pioggia…poi mi sono ricordata che non era un harmony! ;)

Spero di essere riuscita a scuotervi un po’ dall’atmosfera fluffeggiante dei capitoli precedenti e che il capitolo vi sia piaciuto anche se c’è stato poco Seph :)

Un ringraziamento speciale va a onewingedangel che mi ha supervisionato durante la stesura di questo capitolo, morendosela dal ridere e sconvolgendosi del fatto che riuscissi a parlare con lei e scrivere! <3

Per finire un saluto a Pino Giulivo…Pino, sarai sempre nelle nostre menti e nei nostri cuori. So che la nostra conoscenza è stata breve e che avresti voluto avere un ruolo più importante ma ti amiamo anche per questo…ti auguriamo tutta la felicità possibile con Salice Scoiattola. Con amore,

Aya

(so che non avete idea di cosa sto parlando…ma giuro sto morendo dal ridere xD)

Un bacio a tutti <3

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Capitolo 20
*** Stare con te ***


20. STARE CON TE

 

Tornai quel giorno stesso, qualche ora dopo pranzo. Ormai aveva smesso di piovere ma ogni tanto continuava a cadere qualche goccia dalla chioma degli alberi.

Quella mattina avevo corso spinta dall’impulso, dalla paura. Non avevo avuto tempo di pensare a niente…cosa dirgli o cosa raccontargli. Avrei voluto preparare un discorso ma la realtà è che ancora non sapevo se avrei dovuto dirgli della lettera. Anche in quel momento, comunque, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare è che volevo vederlo.

Lo trovai facilmente, era al suo solito posto, seduto su un tronco di albero e stava legando i suoi lunghi capelli in una treccia che gli svendeva fin sul petto, appoggiata su una spalla. Quando mi vide sorrise e fece spallucce. – Comincia a fare caldo – fu il suo unico commento.

Aveva ragione. Da un paio di giorni le giornate avevano cominciato ad allungarsi e la temperatura a salire. Notai che aveva abbandonato il suo completo in pelle preferendo indossare una normale camicia e dei pantaloni neri. Gli stavano molto bene.

Si alzò in piedi e mi venne incontro. Ci abbracciammo. Mi tenne stretta a sé per un lungo momento poi mi sollevò da terra e mi portò con sé.

Riuscì a farmi ridere, per quanto fosse pesante il mio cuore, riuscì a farmi ridere. – Mettimi giù – mentre lo dicevo mi aggrappai a lui.

Mi appoggiò di nuovo a terra. Mi spinse una ciocca di capelli dietro l’orecchio e ci baciammo.

Era così facile stare con lui. Così felice. Perché mi volevano portare via questa felicità? Perché dovevamo venir separati? E io? Perché lo stavo permettendo?

Mi irrigidii. Giusto: perché lo permettevo? Ero una bambola forse? Un giocattolo?

Fissai Safer, una scintilla di determinazione nello sguardo che non potevo vedere ma che sapevo fosse lì. Anche Safer mi guardava, lo stava già facendo da un po’. Doveva aver capito che c’era qualcosa che non andava. Il mio Safer.

- Yuri? – disse.

- Devo parlarti – risposi. Non sapevo da che parte cominciare, ma in qualche modo l’avrei fatto. Non sarebbe stata una storia lunga, complicata forse, ma non lunga.

Ci sedemmo per terra e cominciai a dirgli di quella mattina e della lettera che mia madre aveva nascosto, mentre non gli dissi di averlo visto allenarsi sotto la pioggia. Sapevo che non avrebbe gradito.

Safer non disse niente né durante il racconto, né dopo. Stava fermo, l’unico movimento era fatto dalle sue mani con le quali mi accarezzava distrattamente i capelli, il collo, il viso.

Mi accoccolai contro di lui. – Non voglio separarmi da te.

- Yuri – cominciò lui dopo qualche altro istante. – Yuri. Ci sarebbe una soluzione, se volessi.

Fece un'altra pausa, durante la quale mi rimisi seduta dritta per guardarlo meglio in viso.

- Sarà dura, per te, all’inizio. Ma forse – continuò guardandomi negli occhi, sorridendomi leggermente, - potresti venire via con me.

- A te…andrebbe bene?

Mi posò una mano sulla guancia. – Nemmeno io voglio separarmi da te.

- Allora…è ok? – domandai. – E’ fatta?

Si chinò in avanti per baciarmi. – Andiamo via insieme.

- Devo solo andare a prendere Lei Lan dalla stalla. Non posso lasciarla qui – sorrisi a mo’ di scusa. – E qualche abito – aggiunsi dopo un momento.

- Vai se non puoi farne a meno – rispose Safer facendo un gesto con la mano. – Anche io preparerò le mie cose. Ci rivediamo qui? Tra un’ora?

- Anche meno! – esclamai balzando in piedi. Prima di correre via, li buttai le braccia al collo e lo baciai. – Ti amo.

- Ti amo – rispose.

 

Partire. Partire con Safer. Io e lui, insieme! Ero al settimo cielo, non riuscivo a crederci…non avevo nemmeno mai immaginato che potesse succedere una cosa del genere. Avrei passato la mia vita con lui, lo sapevo.

Attraversai il cortile come un fulmine. Riuscivo a malapena trattenermi dal saltare, gridare dalla gioia.

Spalancai la porta sul retro senza preoccuparmi di non fare rumore. Mancava ancora qualche ora per la cena e non era strano per me entrare per poi riuscire poco dopo. Sarei anche riuscita a dire addio alla mia famiglia, anche se loro questo non l’avrebbero saputo, ovviamente. Magari avrei potuto lasciare loro un messaggio nella mia camera…così che non mi credessero morta in fondo a qualche precipizio. Sì, avrei fatto così.

Cominciai a salire le scale, sempre di corsa. Non riuscivo ad aspettare, volevo di nuovo essere con Safer il prima possibile. Prima i vestiti, dunque. Poi Lei Lan.

Non riuscii a fare più di tre gradini che una voce mi chiamò, alle mie spalle. E gelai.

Volevo muovermi. Dovevo muovermi. Era assolutamente necessario che mi muovessi. Finire di salire le scale, tornare indietro, sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Chiusi gli occhi e contai cinque respiri. Avevo affrontato un Behemoth: potevo riuscire a muovermi.

Girai prima la testa, poi mi voltai.

Mio padre. Mio padre, in fondo al corridoio che mi fissava. Accanto a lui un ragazzo: non molto alto, magro ma muscoloso, gli occhi scuri e stepposi capelli color paglia.

Questa volta non ebbi bisogno di contare fino a cinque. Non ebbi proprio bisogno di contare. Mi lanciai verso la porta da cui ero appena entrata, più veloce che potei.

Due braccia mi afferrarono, mi fermarono. Alzai gli occhi e era Daisuke.

 

Mi dispiace…mi dispiace tanto! Era già stato stabilito…e non ditemi che non vi avevo avvertita! <3 Un parto come al solito comunque…e non so se si è visto…ma non sono minimamente capace di scrivere del fluff decente! E un’altra piccola nota…io odio le domande retoriche. Giuro, non le posso vedere…non so come mi sia sognata di inserirle qua! Se le odiate anche voi stringiamoci la mano con comprensione e andiamo avanti!

E’ tornato il paparino…un po’ prima del previsto. E adesso sarà bella. Il prossimo capitolo sarà non lungo…di più. E sinceramente ci starà un bel po’ sia per scriverlo sia per pubblicarlo…come vi ho accennato tra qualche giorno parto e tornerò per la fine di agosto quindi mi sa che ci sentiremo direttamente lì! Prossimo capitolo….SEPHIROTH! E finalmente avremo indietro il nostro silver-haired demon. O one winged angel. Che ora che mi viene in mente…dovrò fargliela spuntare quell’ala a un certo punto della storia…no? Molto bene…respiriamo, teniamoci per mano…creiamo un gruppo di sostegno. Ci vediamo per il capitolo svolta della trama! Sephiroth *_*

Un bacione a tutti!! <3

Aya

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Capitolo 21
*** Sephiroth ***


Attenzione: non che la mia abilità nella scrittura sia tale da sconvolgere nessuno (né tantomeno esplicito) ma mi sento in obbligo di avvertirvi che in questo capitolo troverete violenza (molta violenza, sebbene come al solito di bassa lega) e un tentativo di stupro. Detto questo, buona lettura!

 

21. SEPHIROTH

 

Mi stringeva così forte che le dita quasi mi penetrarono nelle carni. Mi costrinse a rientrare in casa torcendomi un braccio dietro la schiena nel processo, poi mi spinse contro mio padre. Non ebbi nemmeno il tempo di riacquistare l’equilibrio che mi colpì in faccia col dorso della mano, così forte che mi buttò per terra. In qualche modo riuscii a mettere le mani in avanti per attutire la caduta. Mi fischiavano le orecchie. Tossii e sputai a terra un po’ di sangue. Com’è possibile che stia davvero succedendo? mi domandai mentre vagliavo velocemente con la lingua l’interno della bocca cercando l’origine di quel sangue e finendo per individuare un molare che traballava.

- Merce avariata, come avevo detto – mio padre mi diede un altro calcio mentre cercavo di tirarmi in piedi. Un secondo dopo era accovacciato accanto a me, mi prese rudemente il mento tra indice e pollice per costringermi a guardarlo in faccia. – Dove credevi di andare, eh?

- Vaffanculo – soffiai tra i denti e ricevetti un altro schiaffo. Niente sangue questa volta ma certo avrei avuto presto un occhio nero. Approfittai di quel momento in cui sembrava aver abbassato la guardia: con un unico, rapido colpo di reni, come mi aveva insegnato Safer, fui in piedi ed ecco che di nuovo scattavo verso la porta della cucina, dal momento che quella da cui ero entrata era ancora occupata da Daisuke. Scivolai oltre mio padre agilmente ma di nuovo fui buttata per terra, questa volta dal mio “promesso sposo”.

- Bastardo – urlai calciando e cercando di morderlo – Mollami, stronzo. Tanto non ti sposerò mai! Mai! Hai capito? Scordatelo!

Un altro calcio. Questa volta nello stomaco. Questa volta non da parte di mio padre.

- Credi di avere una qualche scelta? – disse il ragazzo. La sua voce era piatta, un po’ stridula. Fastidiosa. Non mi fece alzare di nuovo in piedi.

- Siete già sposati – si curò di spiegare mio padre. – Nessuno aveva intenzione di sprecare tempo o denaro dietro a questa cerimonia. I documenti sono già stati firmati.

Mi prese per un braccio, mi trascinò di forza fino al bagno e mi ci gettò dentro.

- Preparala – disse con tono freddo e con quella si chiuse la porta alle spalle. Dopo un attimo sentii il rumore della chiave che veniva girata nella toppa. Ero chiusa dentro.

Mi voltai. Seduta su uno sgabello c’era mia madre.

- Mamma – esclamai, correndole incontro, accucciandomi accanto a lei. – Mamma! Aiutami! Mamma! Aiutami a scappare! Ti prego – le mie mani si aggrapparono disperate alla sua gonna. – Non puoi lasciargli fare questo. Aiutami!

Non rispose. Mia madre non emise nemmeno un sospiro. Tra le mie suppliche, che si erano rapidamente trasformati in singhiozzi, le mie preghiere, mentre tornavo a sentirmi una bambina, mentre chiedevo aiuto alla mia mamma, cominciò a muoversi. Si spostò alle mie spalle e cominciò a pettinarmi i capelli. La spinsi via con una gomitata e balzai lontano da lei.

Questa donna. Questa donna che mi aveva dato al mondo.

- Mamma – dissi per l’ultima volta, le guance bagnate dalle lacrime, - aiutami.

Lei girò la testa, evitando il mio sguardo. – Mi dispiace – disse.

Mi sentii male. Fu come ricevere un nuovo pugno nello stomaco. Volevo vomitare. Mia madre mi abbandonava al mio destino. Ma in realtà è semplice, vero?

Risi. Una risata amara, quasi ultraterrena, mi nacque nel petto. Non era un suono umano, se fossi stata più padrona di me stessa forse me ne sarei spaventata.

- “Bisogna rispettare le tradizioni” – dissi. Un’eco di una discussione che avevamo avuto tanto, tanto tempo prima. Così tanto tempo prima che sembrava appartenere a un’altra vita. Ma dopotutto cosa era cambiato? Niente.

La donna fece un passo in avanti cercando di finire di acconciarmi i capelli. Le diedi un altro spintone che la fece quasi cadere per terra. – Non ci pensare nemmeno. Non pensare mai più niente che abbia a che fare con me. – ringhiai. Una rabbia folle mi annebbiava lo sguardo. – Vorrei dirti di dimenticare di avere una figlia, ma sarebbe inutile. È evidente che è una cosa che hai dimenticato molto tempo fa.

Mi frugai nelle tasche e tirai fuori la materia Cura. La tenni stretta in pugno mentre si illuminava. Curai il molare che traballava rendendolo di nuovo stabile nella mia bocca. Rimarginai un taglio che mi si era aperto sopra lo zigomo destro, rendendomi conto solo in quel momento che sanguinava, e la rimisi in tasca. Avrei voluto poter continuare, ma la mia energia non permetteva tanto. Almeno l’occhio avrebbe evitato di diventare troppo gonfio, adesso.

Quella donna mi guardava con la bocca spalancata, non so se sapesse o meno cosa avessi appena fatto ma non mi interessava. Per me era morta. Mi tolsi i vestiti e mi infilai in un paio di pantaloni bianchi di lino e una camicia simile, ma solo perché ormai i miei vestiti cadevano a pezzi.

Mi mossi verso la porta e calai forte il pugno per tre volte.

- Fammi uscire. Non abbiamo più niente da spartire qui dentro.

Dopo un attimo la porta si aprì e mi trovai faccia a faccia con mio padre. Cercai di tirargli un pugno sul naso. Safer non mi aveva addestrata nel combattimento corpo a corpo ma mi aveva spiegato che un colpo ben assestato poteva stordire una persona abbastanza a lungo da permettermi di scappare.

In effetti gli ruppi il naso, ma non ottenni il risultato sperato.

Con una mano si tenne il naso sanguinante, con l’altra mi colpì. Poi mi colpì ancora e il dente che avevo appena rinsaldato mi schizzo fuori dalla bocca.

- Non – un pugno – osare – un altro pugno, caddi per terra – mai più – un calcio nello stomaco – cercare – un altro calcio – di colpirmi.

Mi inarcai presa dai conati e vomitai sangue.

Safer pensai. Le lacrime che tornavano a offuscarmi la vista. Come ti sbagliavi. Non sono capace. Non sarò mai capace. Sono solo una ragazzina. Cosa posso fare contro queste persone? scoppiai a piangere. Vorrei che tu fossi qui.

Mi scappò un gemito quando sentii un dolore improvviso e inaspettato al cuoio capelluto. Mio padre mi aveva afferrata per i capelli e ora mi stava trascinando verso la stanza matrimoniale.

Sapevo cosa stava per succedere. Non volevo pensarci.

Sono solo una ragazzina.

Mi buttò dentro come prima mi aveva buttata nel bagno e come prima chiuse a chiave la porta dietro di sé.

- Se provi solo ad avvicinarti ti uccido – gli dissi ma ottenni in cambio solo una risata amara.

- Credi davvero di poter fare qualcosa? – mi domandò mentre si abbassava lentamente i pantaloni fino a sfilarli, senza distogliere lo sguardo. Si lanciò in avanti e mi afferrò per un braccio dove già spiccavano lividi i segni delle dita di Daisuke e di mio padre. – Se nemmeno io ho potuto fare niente per impedirlo.

Cercai di scalciare ma fu inutile, ottenni solo un altro pugno in faccia. Mi afferrò per il collo per tenermi fredda, stringendomi più del necessario, fino quasi a strozzarmi. Le mie mani, che fino a quel momento avevano cercato di colpirlo, corsero al collo cercando inutilmente di allentare la pressione. Mi sovrastava.

- Ti prego – rantolai – lasciami.

- Oh, lo vedrai papà – fece il ragazzo. Non mi aveva sentito. Sembrava a malapena consapevole della mia presenza mentre parlava da solo. – Se non sono in grado di scoparmi una ragazza. Lo vedrai.

Non potevo muovermi. Non potevo urlare. Potevo solo piangere lacrime silenziose mentre lo fissavo. Lo fissavo mentre con la mano libera si liberava degli ultimi indumenti. Lo fissavo mentre si prendeva in mano il pene molle e cominciava a muovere freneticamente la mano su e giù cercando di provocare una risposta di qualche tipo attraverso la frizione. Cosa che palesemente non stava funzionando.

Con un grugnito cambiò leggermente posizione, senza smettere di muovere quella mano.

- Dannazione – esclamò. Mi guardò con uno sguardo carico d’odio. Mi tolse la mano dal collo e mi afferrò i capelli tirandomi brutalmente in avanti, verso di sé. Ebbi a malapena il tempo di riprendere fiato prima di capire cosa stava cercando di fare. Feci appena in tempo a serrare la bocca quando mi urtò con il prepuzio. Scordatelo, pezzo di merda. Vallo a ficcare in gola al tuo fidanzato, pensai. Avrei voluto urlarlo ma non avevo ancora abbastanza fiato.

Prima mi prese a schiaffi, poi mi diede un pugno nello stomaco così forte che rischiai di vomitare. Spalancai la bocca in cerca di aria e approfittò di quel momento per ficcarmi il pene in bocca. Glielo morsi. Non abbastanza forte da staccarglielo, purtroppo.

- Puttana – urlò e riprese a malmenarmi. A quel punto mi pulsava la testa. Sanguinavo dal naso e dalla bocca e non ci vedevo più da un occhio. Sentivo la coscienza che lentamente cominciava ad abbandonarmi. Scossi la testa, cercando di ritrovare un po’ di lucidità ma ottenni solo di essere investita da una nuova ondata di nausea.

Questa volta mi afferrò i polsi tenendoli fermi sul pavimento giusto sopra la mia testa, usò le ginocchia per costringermi a restare per terra mentre con la mano libera continuava a masturbarsi febbrilmente. Per quanto facesse il suo membro non sembrava voler reagire e restava molle e flaccido nella sua mano. – Fanculo – ringhiò affondandomi con rabbia un ginocchio nel fianco. – E’ tutta colpa tua, puttana!

Io ormai non avevo più la forza di fare niente. Fino a un momento prima avevo urlato e gridato. Ormai piangevo sull’orlo dell’incoscienza, sapevo che stava continuando a picchiarmi ma non riuscivo più nemmeno a sentire dolore. Con un ultimo colpo mi mandò a sbattere contro un muro e mi lasciò lì, sanguinante.

Cercai di muovermi. Quello era il momento giusto per scappare, con il ragazzo distratto forse avrei avuto qualche possibilità, ma non riuscivo a muovere nemmeno un dito. Tutti i miei sforzi erano concentrati nel semplice atto di continuare a respirare e di rimanere cosciente.

Potevo vedere il ragazzo muoversi agitato avanti e indietro per la stanza. Il ragazzo. Non ricordo nemmeno il suo nome. In realtà non sono sicura di averlo mai saputo. A volte mi sento il colpa per questo. Poche volte. Penso solo che avrei almeno dovuto sapere il suo nome. Dopotutto non era nemmeno colpa sua. Come per me, nemmeno lui aveva avuto una scelta di sorta: l’unica differenza è che la sua alternativa non era stata bella come la mia. O forse non c’era proprio stata.

Sentii battere dall’altra parte della porta. Concentrandomi riuscii a sentire la voce di Seimei che urlava, quella di mio padre che rispondeva. Andarono avanti per un po’ poi il rumore di uno schiaffo. Altre urla, altri colpi. Nostro padre stava picchiando Seimei. Stava picchiando a morte il mio fratellino e l’unica cosa che potevo fare era giacere immobile contro un muro. Piangendo. Dopotutto non era cambiato niente. Ero ancora inerme come l’ultima volta che mi avevano picchiata.

Se non fosse stato che in quel momento il ragazzo era tornato a concentrare la sua attenzione su di me mi sarei accorta dell’irreale silenzio che era calato dal momento che più nessun rumore proveniva dall’altra parte della porta.

- Dov’è lei? – sentii poi. E riconobbi la voce imperiosa.

Un attimo dopo la porta venne buttata giù e Safer entrò nella stanza. Avrei voluto chiamarlo, baciarlo, abbracciarlo ma riuscii a malapena a gemere nella sua direzione. Voltò la testa verso di me e mi guardò. Vidi le fiamme dell’inferno attraverso i suoi occhi.

All’improvviso i suoi lineamenti cambiarono, divennero duri, gli occhi ardevano di una rabbia indescrivibile che li facevano brillare come fiamme verdi, non erano mai stati più simili di così agli occhi di un serpente.

- E tu chi cazzo saresti? – disse il ragazzo alzandosi in piedi belligerante.

Safer voltò la testa verso di lui e sfoderò la spada con un movimento così repentino che non riuscii a vederlo e il ragazzo cadde a terra morto, infilzato dalla Masamune.

Senza dire una parola tornò a guardare verso di me. I lineamenti ancora deformati dalla rabbia ma più umani come mi vide. Mi si accucciò accanto, per un secondo il suo viso mostrò solo dolore, la rabbia cancellata dai suoi occhi.

- Cosa ti hanno fatto? – gemette accarezzandomi delicatamente i capelli. Per un attimo cercò di studiare come fare a sollevarmi senza farmi ancora del male. – Adesso ci sono io qui con te, non avere più paura. - Fu in quel momento che mio padre decide di irrompere nella stanza, furente, stringendo in mano un bastone di legno.

- Si può sapere chi cazzo è lei? – non credo avesse ancora visto il corpo senza vita del ragazzo. Guardò Safer e me e ci sputò addosso. – Ma certo, è tutto chiaro! Quindi sei davvero una puttana! Tutto questo tempo nei boschi! Avrei dovuto sapere cosa stavi facendo! Non sei niente di meglio di una prostituta!

Mi accorsi del pericolo. Perché solo io mi accorsi del pericolo? Perché conoscevo Safer meglio di chiunque altro? Non credo fosse questo, ma gli occhi di Safer scintillarono di una luce folle quando mio padre parlò.

Si alzò in piedi a una velocità tale che non lo vidi muoversi, aveva una mano stretta intorno al collo di mio padre, tenendolo sollevato da terra. – Umani – sibilò con una voce che non aveva più niente di umano. – Inutili, stupide creature. Come osate? – la sua mano si strinse ancora finché non si sentii un suono orribile, secco, il rumore di un collo che si rompe. Scagliò il corpo senza vita dell’uomo che era stato mio padre contro la parete alle mie spalle, che crollò sotto la sua forza. Ormai più niente separava la stanza dal corridoio.

Safer fece un passo, come se avesse tutto il tempo del mondo, e lasciò vagare lo sguardo sulla mia famiglia. Erano tutti lì, mancava solo Shin: Seimei sdraiato a terra con la faccia deformata dai lividi, i gemelli quasi pietrificati accanto a lui mentre i loro occhi non abbandonavano Safer neppure per un secondo, così come si fissa un animale feroce, poco più in là c’era Daisuke e infine mia madre e Yo, che si trovavano ancora vicino alla porta. Fu su di loro che si fermò lo sguardo di Safer, o meglio, su mia madre.

- La madre – disse in un sibilo, con quella voce che non riuscivo a riconoscere. – Non c’è nulla di più abominevole di una madre che abbandona i propri figli.

Sollevò la spada davanti a sé, puntandola verso mia madre. Yo fece coraggiosamente un passo in avanti, ponendosi fra la donna e la Masamune, ciò che ottenne però fu una risata. Una risata spaventosa, ancora di più perché per l’attimo che durò deformò il viso di Safer completamente, facendolo assomigliare un po’ di più al viso di un demone. – Fuori dai piedi – aggiunse gelido – voglio guardarla bene, questa madre – balzò in avanti e li infilzò.

Vidi, e sentii, la lama attraversare le loro carni. Sollevò la spada e i due corpi, che ora avevano l’aspetto di due macabre marionette, con essa. Con un altro, rapido movimento lanciò i corpi a terra, privi di vita. Il sangue che sgorgava dai i loro corpi e che ormai imbrattava quasi tutto il pavimento. Io non vedevo più il sangue però, non sentivo risuonarmi nelle orecchie il gemito, così simile a un gorgoglio, che aveva emesso Yo quando la lama l’aveva trafitto, non vedevo i capelli rossi di mia madre sparsi intorno a lei come una corona assorbire il rosso scuro del sangue: vedevo solo l’uomo che amavo che sterminava la mia famiglia.

Cercai di chiamarlo, ma sembrava che la voce mi si fosse bloccata infondo alla gola, quasi come fosse stata imprigionata laggiù da un incantesimo. Non riuscivo nemmeno a muovere un muscolo. L’unica cosa che potevo fare era odiare ogni singola lacrima che mi bagnava il viso e odiare me stessa per non essere mai riuscita a essere la persona che avrei voluto.

In quel momento Ryo e Taka ritrovarono la capacità di muoversi e cercarono di fuggire attraverso la cucina ma ancora prima che si rendessero conto di quello che stavano facendo, Safer aveva lanciato loro contro una palla di fuoco che li investì. Furono avvolti dalle fiamme, i loro capelli avvamparono, i loro vestiti bruciarono. Furono morti prima ancora di cadere a terra, o almeno è ciò che sperai e pregai, ciò che spero ancora adesso.

Daisuke era ancora lì, non si era mosso di un passo, nonostante le fiamme avessero cominciato a lambire le travi di legno del pavimento e del soffitto. Fissava Safer con un’espressione vuota, aveva raccolto il bastone che aveva lasciato cadere mio padre e lo stringeva così forte che potevo vedergli sbiancarsi le nocche. Come Safer spostò l’attenzione su di lui, tentò di attaccarlo, ma non riuscì mai a raggiungerlo. Safer si limitò ad alzare una mano verso di lui e a stringere il pugno, come se cercasse di afferrare l’aria. Daisuke non fu più in grado di muoversi.

Safer lo fissava, la testa leggermente piegata di lato: i suoi occhi erano freddi come lame di ghiaccio ma la sua espressione era indagatrice, come se lo stesse analizzando.

Un sorriso spaventoso gli comparve sulle labbra. – Inginocchiati. - Abbassò il pugno e Daisuke fece lo stesso, non era più padrone del proprio corpo. – Voglio sentirti supplicare per la tua vita.

- Ti prego – gemette Daisuke, piangendo. – Non uccidermi, ti prego.

- Non riesco a sentirti – strinse il pugno così forte che sentii la pelle di guanto stridere sotto quella morsa. Daisuke si contorse in preda alle convulsioni prima di tornare immobile e cadere al suolo, morto. Potevo vedere la materia cerebrale uscirgli dagli occhi e dalle orecchie.

Seimei si lasciò sfuggire un singhiozzo, solo allora Safer spostò l’attenzione su di lui.

- Stupidi umani – lo schernì. – Creature senza uno scopo, senza un’utilità, di cosa dovrei essere triste? E tu, perché soffri? Non erano forse un morsa velenosa che continuava a uccidervi ogni giorno un po’ di più? – usò la parte piatta della spada per costringerlo a guardarlo negli occhi. Si fissarono per un lungo istante, poi Safer sospirò e gli diede le spalle per tornare da me.

- Sephiroth… - gracchiò Seimei, gli occhi spalancati dall’impossibilità di quella realizzazione. – Sephiroth – ripeté, come per convincere se stesso. – No…com’è possibile?

Safer volse di nuovo lo sguardo su di lui, poi guardò verso di me e ci fissammo. Seppi all’istante che Seimei aveva detto la verità. Quello era Sephiroth. Il mio Safer era Sephiroth, il demone albino. Il distruttore del pianeta. Il mio Safer era considerato la peggior calamità che avesse mai colpito questa terra.

La casa ormai era avvolta dalle fiamme, il fumo ne aveva invaso ogni angolo e i miei polmoni, già compromessi dalle violenze subite, avevano cominciato a cedere. Cominciai a tossire e ad annaspare in cerca di aria. In qualche modo riuscii a rovesciarmi su un fianco mentre un nuovo attacco di tosse mi percuoteva con tanta violenza che ogni colpo di tosse assomigliava marchiar misi a fuoco nel petto.

In quel momento, solo in quel momento, lo vidi tornare in sé. I suoi occhi tornarono normali mentre la follia lo abbandonava. La sua espressione era di nuovo quella dell’uomo che conoscevo. Mi raggiunse e mi prese in braccio, quasi urlai dal dolore come mi sollevò, ma non c’era tempo per essere delicati.

Strinsi le dita intorno al suo braccio ma era così poca la forza che mi restava che non sono sicura che le sentì. – Seimei – sussurrai – no…qui… - e ricominciai a tossire sangue.

Mi portò fuori dalla casa e mi appoggiò a terra, sull’erba. Lo guardai correre di nuovo dentro per uscirne un secondo dopo con Seimei tra le braccia. Lo appoggiò accanto a me: era cosciente.

Mi guardò, ci guardammo. Non so cosa lesse nel mio sguardo, ma nel suo vidi paura e tradimento.

Sa… Lui, mi riprese tra le braccia. Sentii un fruscio alle sue spalle, dolorosamente mi costrinsi a girare la testa e la viti: un’ala. Un’ala nera, lucida, immensa. La sbatté una volta con forza e ci sollevammo da terra. Volavamo. Ci allontanammo dalla casa in fiamme e da Seimei. Era come se anche la mia vita fosse stata bruciata dalle fiamme.

L’aria fresca e pulita mi aveva pulito la gola e i polmoni, riuscivo di nuovo a respirare naturalmente.

- Sephiroth… - riuscii a dire con un singhiozzo prima di svenire.

 

 

Eccolo qua…chiedo venia per il ritardo ma…è stato un parto. Un parto che è finito con un cesareo o una cosa del genere. Ho cominciato a scriverlo il 10 agosto. E nel mentre ho riscritto la seconda parte almeno tre volte. E ancora sarebbe da riscrivere secondo me, soprattutto l’ultimissima parte (dopo che Seph la porta via dalla casa) ma andava a finire che non pubblicavo più.

E insomma…che ve ne pare? Un po’…crudetto forse. Mi dispiace :) spero che vi sia piaciuto e spero di essere riusciva a trasmettervi tutto quello che volevo trasmettervi.

Ora…per il prossimo capitolo non so quanto ci vorrà. Sono piena di esami fino a ottobre, poi il 10 parto e vado in Irlanda per tre settimane…quindi ve lo dico col cuore che, salvo qualche miracolo di qualche tipo, sarà improbabile vedere aggiornamenti fino a novembre!

Ah, una piccola nota: a qualcuno viene in mente un termine migliore per definire il rumore che fa la pelle? Dopo lunga riflessione ho messo stridere ma non mi convince molto… grazie <3 e ora un grande bacione! Vado a dormire (che in tre giorni avrò dormito sì e no 8 ore – in totale).

Aya

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Capitolo 22
*** Perdersi ***


Ok, mi dispiace. Ho fatto di nuovo passare dei mesi ma ho avuto problemi di salute. Ho passato un bel po’ di tempo a fare risonanze magnetiche ed esami del sangue e sinceramente non avevo nessuna voglia di scrivere (alla fine non avevo niente, ma l'umore non era esattamente dei migliori). E da gennaio sono sotto esame quindi anche se la voglia c’è, è il tempo che manca ma davvero non potevo lasciare ancora in sospeso questo capitolo. Quindi eccolo qui!

Ancora non l’ho riletto (devo davvero rimettermi a studiare): lo ricontrollerò appena avrò tempo ma almeno ecco qui la prima stesura! Un bacio a tutti!

 

E’ strano svegliarsi. Apri gli occhi e per un momento è come se fluttuassi, come se non fossi veramente sveglia. Ci stai un attimo a tornare completamente alla realtà e per me, quella volta, fu più lenta di tutte le altre.

Aprii gli occhi e vidi solo buio. Dovetti sbattere le palpebre un paio di volte prima di capire che non ci vedevo perché era notte, e ancora perché i miei occhi cominciassero ad abituarsi all’oscurità. Sopra di me il cielo stellato, dovetti girare la testa verso sinistra per capire che il calore che sentivo era dovuto a un fuoco che scoppiettava dolcemente.

Cosa ci faccio qui? Riuscii a pensare prima che i ricordi del giorno prima mi colpissero come una valanga. Mi buttai di lato e vomitai sull’erba. Ci volle un po’ perché i conati si attenuassero e mi tirassi di nuovo a sedere, ma non ero sicura di aver finito. Mi strinsi nella coperta nella quale mi ero trovata avvolta. Sotto ero nuda. O mio Dio. Mi scappò un singhiozzo. Sephiroth. Safer era Sephiroth. O mio Dio. Ero con lui quando avevo perso conoscenza, questo lo ricordavo chiaramente, dopo che… ma fermai quel pensiero. Non riuscivo nemmeno a pensarci. Dov’era? Sentii un sospiro alle mie spalle e mi voltai. Ma certo.

Sephiroth si trovava dall’altra parte del fuoco. Seduto per terra, si reggeva la testa tra le mani, ma riuscivo ancora a vederlo in volto. Era pallido come un fantasma con delle scurissime occhiaie sotto gli occhi. Quando si rese conto che lo stavo fissando, alzò lo sguardo e mi guardò negli occhi.

Fece un lieve movimento, come per alzarsi, ma si immobilizzò a metà del gesto.  – Vuoi…? – chiese esitante.

- Non ti avvicinare – gli ordinai scattando in piedi. La voce rischiò di bloccarmisi in gola e uscì molto più stridula di quanto non mi fossi aspettata.

Al di là di quel primo gesto iniziale non si era mosso e non riuscivo a smettere di fissarlo. Il viso, la linea tirata delle labbra, la postura delle spalle, il modo in cui stringeva e distendeva le mani…tutto in lui mi diceva che quello era Safer. Era l’uomo che amavo.

E l’uomo che amavo era Sephiroth. Il demone albino.

- Oh mio Dio – gemetti mentre un altro conato di vomito mi piegò in due. – Oh mio Dio, oh mio Dio… - caddi in ginocchio e vomitai di nuovo. – Cazzo – dissi con un altro singhiozzo. Adesso piangevo pure. – Cazzo – ripetei. Non mi ero mai lasciata andare a quel tipo di linguaggio ma in quella situazione mi sentivo pienamente autorizzata.

Una volta che i conati si fermarono e i singhiozzi furono messi sotto controllo, tornai a guardare verso Sephiroth, che non mi aveva ancora staccato gli occhi di dosso.

- Come hai potuto – sibilai velenosa.

- Ti prego – disse. Spostò una gamba in avanti, cominciando ad alzarsi, e le mani tese davanti a sé come in un gesto di supplica. – Lascia che ti spieghi.

Lo guardai mentre si alzava in piedi e faceva un passo, esitante, verso di me. Io mi rifiutai di muovere un muscolo. – Cosa c’è da spiegare, esattamente? – replicai gelida, con una calma nella voce che non sentivo. Avevo ancora davanti a me l’immagine delle fiamme. E del sangue.

Prese un respiro profondo, come per prendere coraggio prima di iniziare a parlare. Dopo un secondo lo lasciò andare senza dire una parola. Immagino fosse difficile, per lui. Giustificarsi. Spiegare. Non credo abbia mai dovuto farlo in tutta la sua vita e anche allora una parte di me, una piccola parte di me, nascosta e messa da parte sotto tutto quel dolore e quel cordoglio, lo sapeva. Quella piccola parte che per un istante che durò meno di un battito del mio cuore, volle andare da lui e abbracciarlo.

Chiuse gli occhi e prese un altro respiro. Scosse la testa. – Sei la cosa più importante per me – disse alla fine. - Più importante di qualsiasi cosa e se… - abbassò lo sguardo, come se guardarmi negli occhi fosse troppo difficile. – Se potessi tornare indietro lo rifarei. Farei di tutto per tenerti in salvo.

- Stai zitto. Non voglio starti a sentire! – urlai mentre sentivo gli occhi bruciare e riempirsi nuovamente di lacrime. Perché doveva essere così difficile?

Sephiroth fece un altro passo verso di me. – Hai tutto il diritto di odiarmi… - mi disse con voce rotta. – La verità è che non sono stato in grado di pensare razionalmente a quel punto.

- La verità è che mi hai mentito! – strillai facendo a mia volta un passo verso di lui. Le mani strette a pugno. – Per tutto questo tempo, mi hai mentito!

I suoi occhi furono attraversati da un lampo. – Io sono Sephiroth – disse con durezza, cominciando ad alzare la voce. – Come avrei potuto dirtelo? Sono un mostro, sono il “demone albino”. Non volevo uccidere la tua famiglia ma quando ti ho vista a terra, ricoperta di sangue, non sono più stato in grado di pensare. Io SONO il demone albino. Per quanto avessi voluto illudermi di poter essere un uomo con te, un uomo normale, rimango un mostro. – parlando mi si era avvicinato. Ormai mi stava solo a pochi passi di distanza.

Non sapevo cosa rispondergli e la cosa mi faceva arrabbiare ancora di più. Ero divisa, lacerata da desideri opposti. Perché non potevo odiarlo e basta? Perché dovevo combattere tra il desiderio di piangere, quello di scappare e quello, piccolo e quasi irriconoscibile, che mi diceva di correre tra le sue braccia e farmi stringere, farmi consolare da lui? Farmi dire che mi amava e che tutto sarebbe andato bene da quel momento in avanti.

L’unica cosa di cui ero certa è che dovevo vomitare di nuovo ma ero troppo testarda per farlo così restammo in silenzio, uno di fronte all’altro.

Proprio quando sembrava avesse deciso di dire ancora qualcosa, quando fece quell’ultimo passo che ancora ci separava, alzando una mano, come per toccarmi, trattenendola solo a pochi centimetri dal mio viso, scorgemmo delle luci in lontananza.

- Sono gli abitanti di Wutai – mi disse quieto, senza abbassare la mano. Voleva toccarmi, sfiorarmi, qualunque tipo di contatto gli sarebbe bastato, potevo leggerlo nei suoi occhi, nella posizione del suo corpo. – Lì vive un uomo, uno dei guerrieri più forte di tutto il pianeta. Ti insegnerà a combattere, se vorrai. Oppure ti porterà ovunque tu voglia.

Forse si aspettava una risposta, ma io non potevo fare altro che guardare lui, i suoi occhi…la sua mano. Sarebbe bastato un lievissimo movimento, sarebbe quasi potuto succedere per sbaglio, per farsi toccare. Abbandonarsi al suo tocco. Prendergli la mano e non lasciarlo andare, supplicarlo di non lasciarmi. Ma non potevo farlo, e lo sapevo. Mi costrinsi a fare un passo indietro e a distogliere lo sguardo, con tutta la volontà che avevo ancora in corpo.

Strinse la mano a pugno e abbassò il braccio. – Hai tutto il diritto di odiarmi – ripeté. – Io ti amo. Ti amo, non dubitare di questo, ti prego. Se mai vorrai vendicare per la tua famiglia, se mi vorrai uccidere…io ti aspetterò. – Spalancò quella splendida, maestosa ala nera e mi guardò un'ultima volta prima di alzarsi in volo.

Girai su me stessa per seguirlo con lo sguardo. Stavo piangendo di nuovo. Ancora, un singhiozzo mi percosse e nascosi il viso tra le mani. Mi abbandonai a quel pianto con tutta me stessa perché, mi promisi, quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei fatto. Mi asciugai il volto con un lembo della coperta e mi voltai verso le luci, in attesa.

Dopo poco vidi delle persone emergere dagli alberi. Erano cinque e ognuno di loro reggeva una torcia. Raddrizzai la schiena e aspettai che si avvicinassero, osservandoli.

Quattro di loro erano vestiti con abiti simili, che mi ricordavano gli abiti da cerimonia del mio villaggio. La cosa non mi stupì, sapevo che Nacom era stato fondato da gente che era immigrata a Midgar da Wutai. Era l’uomo al centro che catalizzò la mia attenzione. Vestiva abiti neri e stivali di pelle, a destra, appesa alla cintura, teneva una pistola con tre canne. Gli mancava il braccio sinistro. Aveva i capelli neri e la pelle pallidissima tanto da farlo assomigliare a un fantasma e, mi resi conto quando ormai mi stava a pochi passi, aveva gli occhi rossi come il sangue.

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Capitolo 23
*** Wutai ***


Non furono scambiate parole. Era come se fossimo tutti sotto incantesimo…o forse ero solo io. Le uniche cose che possedevo erano la coperta che mi copriva e la spada, letteralmente. Mi strinsi nell’una e andai a recuperare l’altra vicino ai resti del fuoco prima di seguirli di nuovo nel bosco.

Mi diedero della scarpe, per fortuna, perché impiegammo diverse ore ad attraversare quell’immensa distesa di alberi e non sarebbe stato facile farlo da scalza. Non sapevo cosa pensare. Ora come ora non so nemmeno se ero effettivamente in grado di pensare coerentemente: la perdita della mia famiglia, la perdita di Sephiroth, mi avevano lasciata vuota.

Tutto ciò su cui la mia vita si era basata fino a quel momento era sparito. L’unica cosa che mi era rimasta era il desiderio di imparare a combattere e Sephiroth si era assicurato che potessi concentrarmi su quello. Ma era davvero così importante? Di fronte a tutto ciò che era successo negli ultimi giorni, non sembrava altro che lo stupido sogni di una ragazzina.

Sephiroth aveva ucciso la mia famiglia. Sephiroth era vivo e aveva ucciso la mia famiglia. Sephiroth era vivo, mi amava e aveva ucciso la mia famiglia. Per quanto ci provassi non riuscivo a distogliere la mente da questo fatto. Da questo pensiero fisso.

La cosa peggiore era che non ero in grado di decidere come mi sentivo a riguardo. Era come se in me vivessero due persone completamente diverse…e non ero in grado di riconoscere nessuna delle due.

Scossi la testa. Riprenditi, mi dissi. Solo allora mi accorsi del quieto rumore di un corso d’acqua presente già da un po’. Un fiume, dedussi, anche se non potevo vederlo.

Finalmente emergemmo dagli alberi e lo vidi: Wutai. Questo villaggio dai colori accesi sorto ai piedi di una montagna. Tutte le case costruite con un incredibile legno rosso fuoco mentre gli intarsi, i decori, le cornici delle finestre erano d’oro. Forse non oro oro, realizzai, ma non faceva nessuna differenza per me. Non avevo mai visto niente del genere: non potei fare altro che guardarlo a bocca aperta e ancora di più il monte. Era spettacolare, diverso da tutto ciò che avessi mai potuto immaginare: tutto il lato era stato scolpito con immense statue incassate nella roccia e raffiguranti, dedussi, delle divinità. Occupavano tutto un lato del monte per non so quanti metri, era incredibile.

- E’ il monte Da Chao – mi disse una voce alla mia sinistra. Voltai la testa e mi trovai faccia a faccia con il leader del gruppo, l’uomo dagli occhi rossi. Tentai di ringraziarlo, ma sembrava che la voce mi si fosse bloccata in gola e mi uscì solo un verso strozzato. Mi schiarii la gola un paio di volte ma alla fine mi limitai ad annuire. L’uomo ricambiò il mio sguardo in silenzio e varcammo la soglia del villaggio.

Camminammo ancora un paio di minuti prima di fermarci al centro di una grande piazza.

- Grazie per essere venuti – disse l’uomo con gli occhi rossi. – Potete andare a casa adesso.

Fummo lasciati soli.

- Seguimi – fece rivolto a me e mi scortò fino a una delle tante costruzioni. Una casa, chiaramente, un po’ più grande e maestosa delle altre forse, ma non di tanto: lo stile variava poco da una casa all’altra, erano tutte molto simili, e non riuscii a individuare nessun particolare che potesse distinguerla dalle altre. A parte forse una placca dorata posta all’entrata, sopra l’arco di colonne, ma era scritto in una lingua che non ero in grado di leggere.

Aprì la porta e la tenne aperta per me mentre lo superavo.

Ci ritrovammo in una grande sala. Anche qui, quasi tutto era in legno. Al centro esatto della stanza si trovava un braciere e tutto intorno delle poltrone. La prima cosa che notai però non furono i mobili in legno o il fuoco scoppiettante nel braciere ma una ragazza che se ne stava seduta in una di quelle poltrone: ci stava chiaramente aspettando.

I suoi capelli erano neri, liscissimi, come i miei, ma tagliati corti appena sotto il mento. In tutto il resto eravamo completamente diverse: aveva il tipo di fisico che avevo invidiato tutta la vita, curvilineo e sensuale. E i suoi occhi…beh, i suoi occhi erano rossi.

- Kurenai – disse l’uomo al mio fianco, il tono di voce era duro ma la sua espressione rilassata mi suggerì che se l’era aspettato. – Ti avevo detto di non aspettarci.

La ragazza si lasciò scappare una lieve risata, confermando i miei sospetti. – Nemmeno tu ci hai creduto nemmeno un secondo.

L’uomo sospirò, ma si vedeva che anche lui stava sorridendo.

– E va bene – rispose. – Vieni qui, ti presento Yuri… - fece una pausa per guardare verso di me con aria interrogativa.

Anche io lo guardai, a corto di parole. Ci pensai per poco più di un secondo prima di rispondere. – Solo Yuri – dissi.

L’uomo annuì, un lampo di comprensione gli attraversò lo sguardo. – Yuri, questa è Kurenai: mia nipote. Ti preparerà un letto in camera sua, così potrai riposarti. Domani mattina parleremo.

Strinsi la mano di Kurenai sforzandomi di sorriderle.

– Se non è un problema – la voce mi uscì più ferma di quanto non mi fossi aspettata – preferirei parlare subito.

L’uomo sospirò, di nuovo, e abbassò la testa rassegnato. Mandò Kurenai a preparare la stanza e mi fece cenno di sedermi accanto a lui presso il braciere. Tesi le mani verso le fiamme in cerca di un po’ di calore: dopotutto non era estate e io stavo indossando solo una coperta da diverse ore ormai.

Io continuai a fissarmi le mani, lui continuò a fissare me. Rimanemmo in silenzio per diversi minuti prima che mi arrendessi al fatto che toccava a me cominciare a parlare. Aveva avuto ragione a suggerire di parlare domani, non ero certo dell’umore per una lunga chiacchierata. D'altronde, non lo sarei stata nemmeno il giorno dopo. Il problema è che non avevo idea da che parte cominciare.

Mossi le mani un po’ più vicino alle fiamme. – Cosa ci faccio qui veramente? – dissi alla fine senza distogliere lo sguardo dal fuoco. Quella era stata una domanda che mi aveva tormentata da quando avevo visto lui e gli altri uomini emergere dal bosco, subito dopo che Sephiroth mi aveva abbandonata.

- Sei stata portata qui per darti l’opportunità di allenarti – fu la pronta risposta, come se fosse ovvio.

Passarono diversi secondi. Questa volta toccò a me sospirare. Mi spinsi lontana dal fuoco e mi lasciai cadere contro lo schienale della poltrona.

Finalmente, mi costrinsi a guardarlo negli occhi. – Perché?

- Perché mi è stata fatta una richiesta ed io ho acconsentito.

Spalancai gli occhi, confusa. Mi passai velocemente la mano sulla fronte, cercando di pensare. – Chi è lei per accettare una richiesta fatta da Sephiroth?

Fu l’uomo a guardarmi in silenzio, muovendosi leggermente. Accavallò le gambe nell’altro verso e appoggiò il mento sull’unica mano che aveva. Mi osservò sorridendo lievemente. – Sono Vincent Valentine.

Rischiai di strozzarmi con la mia stessa saliva. Cosa aveva detto? Lo guardai con gli occhi fuori dalle orbite, la bocca spalancata. Non so nemmeno perché, poi, visto che negli ultimi mesi avevo vissuto più che a stretto contatto con Sephiroth stesso.

Esclamai lo stesso: - Ma non è possibile! Come può essere ancora vivo?

Il sorriso che gli era comparso sulle labbra poco prima scomparve. Chiuse gli occhi.

– Vivo non è esattamente il termine con cui mi descriverei – rispose quietamente, ma non sembrava stesse parlando con nessuno in particolare. Certo non sembrava avere intensione di approfondire.

- Ma davvero, com’è possibile? Non l’essere ancora vivo – mi corressi. – Com’è possibile che un giorno Sephiroth si presenti alla sua porta e le chieda un favore? Lei è stato uno degli eroi che ha aiutato a ucciderlo!

- Non mi prenderei tutto questo merito della faccenda.

Mi limitai a fissarlo. Se credeva che saremmo andati avanti a indovinelli tutta la serata non aveva capito con cui aveva a che fare. Avevo avuto abbastanza risposte enigmatiche da Sephiroth che mi sarebbero bastate per il resto della mia vita, e ora capivo anche il perché.

Vincent sembrò capirlo.

– Ho incontrato Sephiroth qualche tempo fa. Non per caso, ovviamente, era venuto a cercarmi. Aveva immaginato che a causa delle varie… – fece una pausa, cercando la parola giusta, lasciando vagare lo sguardo per la stanza, prima di optare con tono quasi divertito per – …“mutazioni” che avevo subito nel corso della mia vita, c’erano buone probabilità che fossi ancora vivo…ed è stato incredibilmente percettivo a capire che mi sarei trovato proprio qui. Non per niente era una leggenda ancora prima di scoprire le sue origini e impazzire.

- Ma come…insomma, come avete fatto a…parlare?

- Naturalmente non è venuto a bussarmi alla porta. Ci siamo trovati in una condizione particolare. E non ho accettato subito di ascoltarlo ma alla fine abbiamo parlato. A lungo. - Mi guardò dritto negli occhi, fisso, come se fosse davanti a un mistero che non riusciva a risolvere. – Abbiamo parlato di te.

Il silenzio si allungava tra le pause. Non era una conversazione facile, nessuno dei due si trovava a suo agio ma quello che avevo davanti…era davvero Vincent Valentine! Ancora non riuscivo a crederci.

Dopo un po’, proprio quando credevo che non avrebbe aggiunto altro, parlò di nuovo. – E dopotutto, chi sono io per non concedere una seconda possibilità?

- Ma Sephiroth… Intendo, come può proprio lwi… Insomma… - balbettai, cercando di fare chiarezza in tutto ciò che stavo pensando e provando.

- Sai, a conti fatti, quello che è successo – mi rispose quietamente – sarebbe potuto essere impedito ancora prima che cominciasse. Se solo non fossi stato un tale codardo.

Di nuovo il silenzio ci avvolse come un manto. Ancora risposte enigmatiche. Perché nessuno di loro sembrava in grado di spiegare chiaramente qualcosa?

Sospirai e abbandonai la testa tra le mani, passandomi ripetutamente le dita nei capelli. Avevo un’improvvisa voglia di prendere a calci qualcosa.

- Accetterai di rimanere, dunque?

Continuai a tenere la faccia abbassata, fissando il pavimento, le mani nei capelli.

- Non lo so – bisbigliai, più a me stessa che a lui. – In questo momento non so niente di niente. Ho bisogno…credo di avere bisogno di tempo.

Lo vidi annuire distrattamente, con la coda dell’occhio.

– Puoi rimanere qui per tutto il tempo che vuoi. Quando ti sentirai pronta a prendere una decisione, in un senso o nell’altro, basterà farmelo sapere.

Si alzò in piedi, facendo stancamente leva sul braccio. – Kurenai – chiamò a bassa voce. – Mostrale la tua stanza.

Capii subito perché non aveva avuto bisogno di alzare la voce. Kurenai balzò subito fuori da dietro un pannello di legno con aria colpevole. Doveva essere stata nascosta lì per tutto il tempo. Non mi ero accorta di niente…ma evidentemente non è così facile ingannare Vincent Valentine.

Seguii Kurenai attraverso una serie di corridoi fino ad arrivare alla sua stanza. Era spaziosa e accogliente, con dei motivi floreali bianchi e viola sulle pareti. Non avevo mai visto una stanza così carina, non aveva niente a che fare con…con la mia…vecchia stanza.

Il pensiero mi procurò un’improvvisa fitta allo stomaco mentre realizzavo che quella stanza di cui mi ero sempre tanto lamentata, quella stanza che assomigliava al fienile dei chocobo, non esisteva più. Era bruciata, insieme a tutto il resto.

- Mi dispiace per la sistemazione improvvisata – disse Kurenai, distogliendomi dai miei cupi pensieri. – Di solito abbiamo una stanza per gli ospiti ma…capita che…l’abbia distrutta due giorni fa durante un allenamento. – Rise imbarazzata. Aveva una risata splendida. Così gioiosa. Era tanto che non sentivo nessuno ridere così. – Quindi per ora sei incastrata qui in camera con me!

Lasciò vagare lo sguardo su di me, analizzandomi. Potevo leggere la curiosità nel suo sguardo. Poi i suoi occhi si spalancarono, realizzando all’improvviso che cosa stavo indossando.

- Non ci posso credere – esclamò indignata girando su se stessa. Spalancò un armadio a muro e ci sparì dentro. – Sei avvolta in quella coperta da quattro dannatissime ore e nessuno si è preoccupato di darti dei vestiti? – la sentì urlare da là dentro. – Ecco! Questi te li puoi mettere domani. – esclamò dopo qualche secondo, emergendo dall’armadio. Mi lanciò una maglietta blu scuro con dei fiori bianchi disegnati sopra, senza maniche, e un paio di pantaloncini così corti che mi fecero arrossire. Si rituffo nell’armadio e quando tornò fuori stringendo tra le mani una lunga camicia bianca. Mi lanciò anche quella.

- Che aspetti? Mettitela su! – esclamò indicando la camicia. – O preferisci restare nuda? – domandò come ripensandoci. – E’ così che usate dormire dalle vostre parti?

- No, no, no – la corressi velocemente dandole la schiena per infilarmi la camicia. – Stavo guardando gli altri vestiti…E’ solo che non lasciamo mai tutta questa pelle scoperta dalle mie parti. – Mi accucciai e mi misi a mia volta sotto le coperte.

Fece spallucce. – Non credo di aver mai avuto restrizioni riguardo al modo di vestire. E poi sono più comodi per combattere, non ti limitano nei movimenti – voltò la testa verso di me per osservarmi meglio. – Nemmeno quei capelli sono molto pratici. Te li possono afferrare o tirare…o si possono semplicemente incastrare. Li taglierei se fossi in te.

Presi in mano una ciocca di capelli e abbassai lo sguardo per contemplarli. Erano diventati molto lunghi ormai: mi arrivavano a metà petto.

Per un attimo considerai il consiglio di Kurenai di tagliarli ma avevo affrontato troppi cambiamenti ultimamente, uno dopo l’altro. Ne aveva abbastanza, almeno per un po’.

– Non me la sento di tagliarli – le spiegai. –Li ho sempre legati quando mi dovevo allentare.

Kurenai sorrise e si tirò su, appoggiandosi su un gomito. – Allora, che hai deciso di fare?

Sospirai. Non era una domanda difficile, vero? Ma tutti continuavano a farmela e io, in quel momento, volevo solo rannicchiarmi su me stessa e piangere. Non lo sapevo cosa volevo fare! Non sapevo nemmeno se avrei mai più potuto avere una risposta a qualcosa. Cosa avrei fatto della mia vita da quel momento in avanti?

Gli occhi cominciarono a riempirmisi di lacrime. Basta piangere, pensai con disperazione. Ma questo non fece altro che peggiorare il mio stato d’animo.

- Scusa Kurenai – le dissi cercando di controllare la voce, senza successo - ma in questo momento…proprio non ce la faccio – mi lasciai sfuggire un singhiozzo silenzioso.

- Non ti preoccupare – rispose lei.

Allungò una mano verso la mia e la strinse. Dopo un secondo restituii la stretta. Non la lasciò andare finché non mi addormentai, solo diverse ore dopo, con le lacrime che mi rigavano la faccia.

Credo che la nostra amicizia cominciò quella notte.

 

La mattina dopo mi svegliai prestissimo. A dire il vero fui sorpresa di essere riuscita anche solo ad addormentarmi. Sospirai voltandomi verso Kurenai. Stava ancora dormendo.

Per un momento meditai di rimanere sotto le coperte e aspettare che si svegliasse anche lei ma avevo bisogno di un po’ d’aria fresca, così mi alzai e in silenzio uscii dalla stanza.

Kurenai mi aveva lasciato quei vestiti striminzissimo e un paio di scarpe più della mia taglia, così li indossai. Non mi ero mai messa niente del genere addosso. Lacci sulle scarpe, tutte le gambe scoperte…e si intravedeva anche la pancia! Se avessi messo vestiti anche solo simili a quelli, a Nacom mi avrebbero preso per una prostituta. Quasi risi al pensiero perché dopotutto mi piacevano. E Kurenai aveva ragione: erano davvero comodi.

Mi diressi verso l’ingresso. Attraversai la grande sala e mi fermai davanti alla porta. Sospirai, era davvero il caso di andarmene così, senza dire niente? Ma infondo che importava?

Allungai la mano verso la maniglia della porta quando lo sguardo mi cadde sulla mia katana. L’avevo appoggiata lì la notte prima, anche se abbandonata sarebbe un termine più corretto. Restai lì, divisa tra il desiderio di portarla con me e il bisogno di lasciarla lì. Era un pezzo di Sephiroth dopotutto, era stato un suo regalo: non ero ancora pronta a riaverlo con me.

Aprii la porta senza toccare la spada e uscii. Sapevo che sarebbe stata ancora lì quando fossi tornata.

Per lo più, la città era ancora deserta. Mi aggirai senza meta per le grandi strade acciottolate, meravigliata da tutto ciò che mi trovavo davanti. Avevo già notato la struttura in legno rosso che tutte le case avevano in comune, con decorazioni e intarsi dorate, ma vederle in quel momento, con il sole che sorgeva da dietro il monte e tingeva tutto di una tonalità rosata, trasmetteva una sensazione quasi magica.

Incontrai solo un paio di persone durante il mio girovagare, gente che doveva cominciare a lavorare prima degli altri, e ognuno di loro sembrò riconoscermi. Per un attimo pensai che fossero i vestiti, solo dopo realizzai che il mio arrivo era stato preannunciato. Perché? Quante volte Sephiroth era stato qui? Forse aveva pensato di liberarsi di me? Ma no, no: non aveva senso. E poi, quanto tempo ero rimasta senza conoscenza? Per quanto ne sapevo aveva mandato allora un messaggio a Vincent che a sua volta aveva avvertito tutta la città. Era così improbabile?

Mi fermai. Camminando senza meta, ero arrivata ai piedi del monte Da Chao, come l’aveva chiamato Vincent. Perché quando avevo bisogno di pensare, o scappare, sembravo sempre finire ai piedi di una montagna? Anche se questa montagna non aveva niente a che spartire con quella vicino a casa mia: era grande e imponente e le immense statue che la adornavano le conferivano un alone di sacralità.

Potevo continuare o tornare indietro e con una scrollata di spalle cominciai a risalire il sentiero.

Camminai diverse ore, l’attività fisica, se pur minima, riusciva a tenermi la mente libera da pensieri indesiderati, e alla fine arrivai alla fine del sentiero. Di nuovo, potevo continuare o tornare indietro.

Sporsi la testa oltre l’orlo del sentiero, guardando in giù. Certo era uno strapiombo di tutto rispetto.

E’ una fortuna che non soffra di vertigini, mi dissi. Ma era una battuta che non fece ridere nemmeno me.

Cominciai ad arrampicarmi, camminando sui corpi e sulle braccia delle immense statue. Era molto meno complicato di quanto avessi creduto all’inizio e sicuramente non ero la prima ad affrontare la scalata. Arrivata in cima, dopo molte altre ore, mi sedetti sulla mano protesa verso il cielo della statua più alta. Da lì potevo vedere tutta Wutai senza rischiare di cadere.

Il sole ormai era alto nel cielo, doveva essere qualcosa intorno a mezzogiorno. Non che avesse importanza. Restai lì tutto il giorno, a pensare alla mia famiglia, a Sephiroth…a quello che provavo, al senso di colpa, senza sentire il bisogno di mangiare, di bere, di muovermi.

L’avevo capito ormai. Mi sentivo in colpa. Perché di qualcuno doveva essere la colpa se le cose erano andate come erano andate, no? E non potevo dare la colpa a Sephiroth, lui era venuto per me. Solo per me. Perché ero in pericolo, perché gli avevo chiesto di scappare insieme. E lui aveva accettato. Aveva accettato di fare tutto ciò che gli avevo chiesto, non è così? Insegnarmi a combattere, restare, andarcene. Era tutta colpa mia. Se solo non fossi tornata a casa per…per cosa poi? Non riuscivo nemmeno a ricordarmi il motivo che mi aveva spinta a tornare a casa! Se non l’avessi fatto ormai sarei stata lontana, con lui. Oh, certo, ero lontana. Ma lui non c’era. L’avevo allontanato. L’avevo cacciato. E lui era venuto solo per salvarmi.

Mi ero arrabbiata perché non mi aveva detto chi era veramente? Ma cosa potevo aspettarmi altrimenti? Era come aveva detto lui, non è esattamente il modo in cui poteva presentarsi.

Risi amaramente e mentre ridevo realizzai una cosa. Una cosa che mi colpì come un fulmine, così forte, così violentemente che sentii il bisogno di reggermi a qualcosa. Mi girava la testa, ma non a causa delle vertigini.

Mi mancava. Mi mancava Sephiroth. Mi mancava terribilmente, avrei dato qualsiasi cosa per averlo ancora accanto a me. Anche se aveva ucciso la mia famiglia. Anche se aveva dato fuoco alla mia casa. Anche se era Sephiroth. Io lo amavo. Che qualsiasi divinità esistente mi perdonasse, io lo amavo. Nascosi il viso tra le mani e piansi.

 

Passò ancora molto tempo. Il sole cominciò la sua lenta discesa verso l’orizzonte e io ancora non riuscivo a trovare un motivo plausibile per tornare a Wutai. Avevo visto la città toccata dall’alba e ora la vedevo illuminata dalla rossa luce del tramonto. Al di là dei miei problemi, non riuscivo a distogliere lo sguardo.

- E’ uno spettacolo splendido, vero? – girai la testa in direzione della voce e lasciai che Kurenai si sedesse accanto a me, guardandola in silenzio.

– Non sembra nemmeno di stare più sulla terra – risposi dopo un momento con un sospiro.

- Sì, immagino di sì – concordò con un sorriso triste. – Anche io sono venuta spesso qui quando mia nonna è morta.

- Mi dispiace – risposi automaticamente.

- Sì, beh…ero l’unica che riusciva a riportare il nonno al villaggio. Per un po’, almeno. Alla fine tornava sempre qua su. Ci è rimasto per quasi un anno.

- Tuo nonno è… - feci con tono interrogativo. Volevo evitare una gaffe. Il signor Valentine aveva presentato Kurenai come sua nipote, ma sembrava così giovane.

- Vincent Valentine, sì – confermò lei con un sorriso.

- Chi era lei? – chiesi esitante. Non riuscivo nemmeno a immaginare chi potesse essere la donna in grado di essere amata da un eroe come Vincent Valentine.

- Yuffie Kisaragi – rispose Kurenai. – Potresti aver sentito parlare di lei.

Mi cadde la mascella dalla sorpresa e mi limitai a fissarla con la bocca spalancata per almeno dieci secondi prima di riuscire a ricordarmi come parlare. – Erano…?

- Oh, sì. – Kurenai corrucciò la fronte pensando a qualcosa. – Bada, ci sono voluti quasi dieci anni. La nonna non smetteva di tormentarlo per questo.

E cominciò a raccontarmi la loro storia. Non sono mai stata ferrata sugli avvenimenti di quel periodo ma a quanto pare, dopo aver sconfitto i Deepground, Vincent aveva deciso di “allontanarsi dalle scene”, o qualcosa del genere, e in un modo o nell’altro era finito a Wutai…rimanendo invischiato nelle faccende della città. Secondo Kurenai, questo “invischiamento” aveva molto a che fare con Yuffie.

Yuffie era sempre stata innamorata di Vincent e un giorno, semplicemente, fu come se anche lui si fosse svegliato. Come se si fosse finalmente liberato da ciò che lo tratteneva, da ciò che lo teneva ancorato al passato. Sono stati felici, alla fine. Anche dopo che erano stati costretti ad amputare il braccio di Vincent (gli esperimenti che aveva dovuto subire l’avevano mandato in un semi stato di cancrena o qualcosa del genere) e Yuffie continuava a invecchiare. Hanno anche avuto un figlio e quel figlio ha avuto Kurenai.

Dopo la morte di Yuffie, Vincent era stato tentato di andarsene ma aveva deciso di restare a prendersi cura di suo figlio e di sua nipote…e di tutti coloro che sarebbero venuti dopo.

- Dopo che i miei genitori sono morti, Vincent ha di nuovo preso il comando come reggente. Lo sarà ancora per tre anni, fino a quando avrò ventun’anni. Allora sarò io a salire sul trono.

Non sapevo davvero cosa dire dopo una confessione come questa. Kurenai si era aperta con me e mi aveva raccontato tutta la storia della sua famiglia…perché l’aveva fatto? Cosa ci vedeva in me da spingerla ad aprirsi? Non erano certo cose che si andavano a raccontare alla prima persona che passava.

- Mi sono sempre chiesta che tipo di donna possa essere amata da un eroe – ammisi dopo un po’, più per rompere il silenzio che per altro.

- Dovresti saperlo.

- E come esattamente? – risposi caustica.

La vidi sobbalzare visibilmente. Credo si fosse resa conto della “gaffe”. Abbassò lo sguardo con vergogna, scusandosi.

– No - sospirai – non è colpa tua. Te l’ha raccontato tuo nonno?

- No io…ho origliato – confessò. – Quando è venuto qui la prima volta, sai – fece un’altra pausa, cercando le parole migliori per spiegarsi. – All’inizio il nonno non voleva nemmeno vederlo visto che…beh, lo sai. Sephiroth gli ha raccontato come faceva a essere ancora vivo…sai che…beh…forse questo faresti meglio a chiederlo al nonno – si schiarì la gola con un colpo di tosse. - Comunque, gli ha parlato di te. A lungo. Credo che sia stato questo a convincere il nonno che poteva fidarsi di lui. Ed è per questo che il nonno ti ha accettata tra i guerrieri di Wutai. Che se una donna è stata in grado di farsi amare da un essere come lui allora questo  è solo il minimo per ringraziarti. Questo ha detto.

Non sapevo cosa dire. Cosa potevo dire? Sapere quanto mi amava…proprio quando io stessa avevo di nuovo realizzato quando ne fossi innamorata…Non riuscivo a smettere di pensare a lui. A quando eravamo stati insieme. A quando eravamo stati felici.

 

Eravamo sdraiati per terra, sopra il suo cappotto. Ci eravamo sistemati all’ombra di un albero: era una di quelle giornate calde e non volevamo stare sotto al sole. Mi ero liberata della maglietta e mi ero sistemata parzialmente sopra di lui in modo da poter appoggiare la testa contro il suo petto. Era una delle cose che mi rassicuravano di più al mondo, il battito forte e regolare del suo cuore, l’alzarsi e abbassarsi del suo petto mentre respirava.

Poggiai le labbra sopra il suo cuore, abbandonandoci alcuni teneri baci.

Lui mi teneva stretta a sé: un braccio intorno alla vita mentre con l’altro mi accarezzava i capelli.

Mi stava raccontando di un posto dove era stato da giovane, durante una missione di quando era un SOLDIER, immagino. Faceva solo delle brevi pause per darmi dei piccoli baci sulla fronte.

“E quando la neve cade e ricopre tutto, sembra di stare in una foresta di cristallo.”

“Mi piacerebbe poter vedere questi posti.”

Lo sentii sorridere contro i miei capelli. Si mosse gentilmente per guardarmi negli occhi. Mi prese il mento tra le dita e si chinò in avanti per baciarmi sulle labbra. “Ti ci porterò un giorno, se vorrai.”

Mi baciò di nuovo e gli buttai le braccia intorno al collo. Mi fece rotolare di lato, spostandosi sopra di me senza smettere di baciarmi. Eravamo solo noi due. Eravamo felici.

 

Poi di nuovo le fiamme. Perché non riuscivo a smettere di pensare alle fiamme? E di nuovo il senso di colpa. Continuerò a sentirmi così per il resto della mia vita? Mi chiesi con disperazione.

Era il momento di decidere cosa fare. Certo non potevo passare il resto della mai vita seduta tra le mani di un dio di pietra.

Non potevo tornare da Shin, o andare a cercare Seimei. Non avrei nemmeno avuto il coraggio di guardarli negli occhi.

Kurenai mi prese di nuovo la mano e la strinse. Nemmeno mi rendevo conto del conforto che riusciva a darmi quel semplice gesto. Stavo di nuovo piangendo.

- Hai deciso cosa fare? – mi domandò di nuovo, comprensiva. Sapeva già la risposta, glielo leggevo negli occhi…così come lei aveva appena letto nei miei.

- Io…resterò qui. Non è che abbia un altro posto dove andare dopotutto.

- Andiamo a dirlo a mio nonno allora! – balzò in piedi battendo le mani. – Comincia a fare freddo qua su!

Mi tese una mano per aiutare ad alzarmi e insieme, continuando a tenerci per mano, discendemmo il monte e rientrammo a Wutai.

 

 

………………………………….

 

È passato quasi un mese dall’ultimo capitolo…tanto rispetto agli standard comuni (certo non i miei come sappiamo bene) ma molto poco rispetto al tempo che avevo previsto. Mi aspettavo un serissimo blocco dello scrittore per questo capitolo…cosa che accadrà sicuramente per il prossimo, sappiatelo. Ho una vaga idea in testa ma tra nuovi personaggi e confessioni e tutto un po’ impiegherò un bel po’ per mettere tutto a posto. Inoltre sto lavorando a una nuova long su Doctor Who (oltre a varie one-shot) che mi sta prendendo tempo e fatica (e fiducia in me stessa, oserei aggiungere. La chiamo Ansia da Prestazione Letteraria Depressiva. APLD. Consiste nel non ritenersi in grado di fare niente!).

Parliamo invece di questo capitolo…Che ve ne pare? Personalmente mi ha quasi uccisa. E io che mi lamentavo del capitolo in cui muore la famiglia di Yuri…questo non è niente in confronto. E’ stato un incubo. Un vero incubo. L’ho dovuto riscrivere sei volte e continuava a fare schifo! Stavo quasi per mettermi a piangere ieri mentre lo rivedevo per l’ennesima volta! Non ne sono soddisfatta nemmeno adesso ma o lo pubblico oppure resterà lì a guardarmi male e farmi sentire in colpa per il resto della mia vita.

L’ho fatto anche un po’ più lungo del solito, per farmi perdonare per la mia incostanza nel pubblicare…oltre al piccolo bonus fluff. Se riesco ne inserirò uno anche nel prossimo capitolo…e un po’ più lungo se riesco.

Parlando di personaggi…abbiamo Vincent! (E qualche vago riferimento a Yuffie! Sempre stata una fan del Yuffentine, io! Ma non ne ho mai scritta una…questo è il mio modo per rimediare…circa). E Kurenai! Nuovo personaggio originale! Nel prossimo ce ne saranno altri…com’è, vi piace? Certo, ancora non ha detto o fatto molto, ma spero di renderla un personaggio di spessore…e che piaccia! Siamo un po’ stufi di personaggi stronzi! Almeno, io lo sono! ;)

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Capitolo 24
*** Maestri di spada ***


- Mi dispiace di dover ancora approfittare dei tuoi vestiti – mi scusai con Kurenai mentre ci dirigevamo al campo d’addestramento di Wutai. Oltre agli abiti che mi aveva imprestato il giorno prima, ora mi aveva anche dato la sua divisa di allenamento di riserva. O meglio, solo la parte di sopra visto che a quanto pare i pantaloni avevano preso fuoco a un certo punto. Non ero sicura se dovevo cominciare a preoccuparmi o se essere divertita dal numero di incidenti che sembrava affliggere Kurenai. Come risultato, comunque, continuai a indossare i suoi shorts che cominciavo ad apprezzare sempre di più.

Avevo con me la katana che mi aveva dato Sephiroth. Era la mia spada dopotutto ed ero finalmente riuscita ad accettare di nuovo il legame che rappresentava tra me e lui. La mia bellissima spada senza nome.

- Tranquilla! – mi rassicurava intanto Kurenai, camminando al mio fianco. – Uno di questi giorni ti accompagno a fare shopping così potrai farti tutto il guardaroba nuovo!

Arrivammo al campo d’addestramento. La maggior parte degli allievi erano già tutti lì e si voltarono a fissarmi ma non si limitarono a quello: mi squadrarono da capo a piedi. Kurenai mi aveva avvertito che sarebbe successo. A quanto pare Wutai era stata una meta turistica per un lungo periodo ma sotto Yuffie e Vincent le cose erano cambiate e ora era diventato il luogo dove venivano addestrati i più abili guerrieri del mondo: non erano abituati a vedere gente estranea.

- Ragazzi! – si fece avanti Kurenai con un tono nella voce che suggeriva a tutti di darci un taglio. – Questa è Yuri. Vive a casa con me e mio nonna. Si allenerà con noi da oggi in avanti!

La folla fu attraversata da un brusio di voci. Riuscii a cogliere solo qualche frase ed erano tutte domande. Rimasi lì impalata a lasciarmi osservare per diversi minuti, potevo capire la loro curiosità. Sapevano tutti che Vincent era venuto personalmente a prendermi nel cuore della notte solo pochi giorni prima, non era certo un segreto. Non era la prima volta che coglievo gli abitanti di Wutai a fissarmi così li lasciai fare.

Ero timida, rimasi sulla difensiva per un po’, rigida sotto il loro scrutinio ma presto cominciai a innervosirmi. Mi stavano seccando. Sospirai e raccolsi il coraggio per farmi avanti e parlare, ancora non sapevo cosa avrei detto, se una presentazione amichevole o un’ingiunzione a smetterla. Aprii la bocca e feci un passo in avanti quando un ragazzo mi si parò davanti con un sorriso a trentadue denti. Era molto bello: alto, aveva un fisico compatto, gli occhi azzurri e dei capelli color nocciola tagliati corti.

Mi porse la mano. Allungai la mia e gliela strinsi. – Il mio nome è Andrej Checov! – Si presentò. – Ed ecco la misteriosa ragazza! Abbiamo parlato di poco altro in questi giorni, sai? – mi chiese facendomi l’occhiolino.

- Avreste potuto farvi avanti allora. Non ero certo nascosta da nessuna parte – risposi facendo roteare gli occhi e riappropriandomi della mia mano.

- Beh, potresti farci contenti e rispondere a qualche domanda!

Incrociai le braccia, ma rimasi in silenzio. Stavo aspettando.

- Da dove vieni?

Non sapevo bene fino a che punto potevo rispondere. – Midgar.

- Hai una spada – provò lui ma non avevo intenzione di rendergliela facile.

Sorrisi. – Questo è evidente.

- E’ solo per far scena o ti ha allenata qualcuno?

Ed ecco che ci avvicinavamo a un argomento più pericoloso. – No, non è solo per far scena – risposi anche se di questo non ero ancora del tutto sicura. Sapevo quale sarebbe stata la sua prossima domanda, il modo in cui avevo evitato di rispondere un secondo prima lo aveva incuriosito ancora di più, glielo leggevo negli occhi.

Fu una fortuna che il maestro scelse proprio quel momento per arrivare. Se Andrej mi avesse chiesto qualcosa riguardo chi mi aveva allenata non avrei avuto la più pallida idea di cosa rispondere. Non volevo nascondermi ma avevo come l’impressione che presentarmi come l’allieva di Sephiroth non sarebbe stata la scelta più intelligente che potessi fare.

- Buon giorno a tutti – disse il maestro avvicinandosi. Noi ragazzi eravamo più o meno una ventina. Si voltò verso di me e mi strinse la mano. – Il mio nome è Toshihiro. Sono il maestro di spada – mi disse, poi si rivolse agli altri ragazzi. – Questa è Yuri, da oggi si allenerà con noi. Diritto che le è stato concesso da Vincent Valentine in persona che le ha offerto asilo grazie a delle situazioni…piuttosto straordinarie. Inoltre – mi lanciò un’occhiata complice – pare abbia avuto un insegnante eccellente.

Che strano. Lui non sembrava avere alcun problema con la mia vicinanza a Sephiroth. Mi chiesi perché…ancora oggi non sono stata in grado di trovare una risposta se non che Toshihiro è l’uomo dalla mente più aperta che abbia mai conosciuto. L’ho sempre rispettato molto per questo.

Si rivolse di nuovo a me. – Sei versata in qualche altra pratica di combattimento oltre alla spada?

Spostai il peso da un piede all’altro, nervosa. – Ho cominciato a studiare con le Materia. Ma non posso dire di essere un’esperta a riguardo.

Toshihiro mi guardò a bocca aperta. Lo stesso fecero tutti gli altri. Spalancai gli occhi, confusa. Avevo detto qualcosa di male?

- Materia nel senso di…magia? – indagò il maestro.

Corrugai le sopracciglia. In che altro senso potevo intendere? – Certo magia. Perché? C’è qualcosa di male? – domandai sospettosa.

- No! No! Anzi…è straordinario!

 - E’ una conoscenza andata quasi perduta ormai – mi spiegò Kurenai. - Non che non si conosca la teoria ma…non si è semplicemente più in grado. Il nonno ha cercato di insegnarmelo per un sacco di anni ma niente da fare. Riesco a malapena a fare reagire le Materia alla mia presenza, figuriamoci usarle.

- Ed è comunque uno dei risultati maggiori ottenuti negli ultimi anni – specificò Toshihiro. Scrollò le spalle. – Bene. Che ne dici di essere messa alla prova? Fammi vedere cosa sai fare – disse facendo cenno a uno dei ragazzi di farsi avanti. Questo estrasse la spada e si posizionò al centro del campo.

Ero nervosa. Ero estremamente nervosa. Non potevo certo rifiutare eppure…come potevo essere in grado di affrontare qualcuno? Non avevo mai realmente combattuto contro un avversario: non eravamo ancora arrivati a quel punto. L’unica persona con cui mi ero mai scontrata era stato Sephiroth e le nostre capacità erano così divergenti che li si poteva a malapena chiamare incontri.

 

“Ora, colpiscimi” mi aveva detto una volta durante un allenamento. Mi sorrideva raggiante, eravamo così felici all’epoca, e quel giorno più degli altri perché ero riuscita a non farmi colpire nemmeno una volta dai suoi attacchi (controllati, sia ben chiaro). Stavamo passando al livello successivo.

“E se poi ti faccio male?” scherzai mettendomi in posizione, impugnando la spada a due mani e tenendola davanti a me.

Si chinò in avanti, senza smettere di sorridere. “Voglio proprio vederti provare.”

Approfittai di quel momento per attaccarlo con un affondo che naturalmente schivò come se prima l’avessi avvertito. “Prevedibile?” gli domandai piegando le gambe e alzando la spada all’altezza della mia testa, pronta ad attaccare di nuovo.

“Affatto” rispose lui con tranquillità. “Ho visto la tensione nei tuoi muscoli” mi confidò.

Sospirai. Sapevo di non potevo batterlo con la forza. Un attacco sferrato singolarmente non sarebbe mai andato a buon fine. Concentrata a pensare mi lasciai sfuggire una breve risata.

“Cosa?” mi chiese curioso.

“Mi sembra di giocare a poker” e balzai in avanti. Lui fece un passo di lato, poi uno in dietro, muovendo elegantemente le spalle e il busto quanto bastava per non venire colpito. Non sarei mai stata in grado di raggiungere il suo livello.

“E’ così” mi confidò continuando a evitare i miei colpi. “In parte. Un avversario più debole lo puoi battere con la forza. Un avversario più lento con la velocità. Ma quando un avversario è di pari bravura? E se è più abile di te?”

“Se posso fuggo. Me l’hai insegnato tu” riuscii a rispondere tra un colpo e l’altro.

“E se non puoi?”

Abbassai la lama della spada su di lui, sapevo che avrebbe schivato anche quell’attacco, ma all’ultimo lasciai la presa della mano sinistra riuscendo a modificare la direzione del colpo all’ultimo secondo. Non riuscì a schivarlo e fu costretto a pararlo con la spada.

Fischiai tra i denti irritata.

“Molto brava” disse lui. “Sei quasi riuscita a sorprendermi.” Con un movimento circolare del polso mi fece volare via di mano la katana, poi con un unico movimento lasciò cadere a terra la Masamune e mi prese tra le braccia.

“Sarebbe un nuovo tipo di attacco?” gli chiesi allacciando le mani dietro la sua nuca.

“Nuovo? No” mi sfiorò le labbra con le sue. “Attacco? Nemmeno” mormorò lasciando una scia di baci lungo la mascella e giù per il collo. Gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi a guardarmi di nuovo negli occhi. Chinai la testa su di lui, lo baciai e mi lasciai adagiare dolcemente a terra.

 

Sarei stata soddisfatta se fossi riuscita a non farmi colpire. Andava bene. Posso farcela, cercai di convincermi anche se un’altra parte di me continuava a urlarmi che non era vero.

Il ragazzo si inchinò e io lo imitai. La sua spada era diversa dalla mia, non sapevo come veniva chiamata ma Sephiroth me ne aveva parlato, era tipica di queste parti e veniva utilizzata con un metodo di combattimento diverso da quello che mi era stato insegnato, un metodo che si basava sulla velocità più che sulla potenza. In qualche modo la cosa non mi mise molto a mio agio. Poi il ragazzo mi attaccò e fu tutto diverso.

Era lento. Ancora più che lento, il suo corpo sembrava urlarmi la sua prossima mossa. Come avrebbe roteato la spada, in che direzione avrebbe provato a colpirmi. In quel momento realizzai fino in fondo la bravura di Sephiroth. Lo avevo visto combattere come Safer e avevo saputo che spadaccino eccellente fosse: la sua tecnica, la sua velocità…erano cose impossibili da ignorare. Poi l’avevo visto combattere come Sephiroth e avevo visto qualcos’altro che non aveva niente a che fare con la tecnica nel combattimento. Il fatto è che avevo sempre basato i miei standard su di lui, su quello straordinario guerriero. Non mi ero mai resa conto di quanto essi fossero alti.

Continuai a schivare i suoi colpi per un po’, a volte optavo per pararli con la spada, e cominciai a leggere una certa irritazione e impazienza sul viso del mio avversario. Sorpresa com’ero dalla mia stessa abilità non volevo comunque compiacermi troppo, non volevo tormentare il mio avversario…un insegnamento che, per quanto strano possa sembrare, mi era stato insegnato proprio da Sephiroth.

Il ragazzo lasciava sempre il fianco scoperto quando attaccava, lo notai quasi subito. Attesi che si facesse di nuovo avanti: lasciai scivolare un piede indietro evitando obliquamente la lama della spada, girai su me stessa (mi stavo pavoneggiando e lo sapevo) e lo colpì tra le costole con il gomito. Fu costretto a chinarsi in avanti per il dolore e approfittai di quell’opportunità per disarmarlo con un fendente dal basso. La sua spada volò via. Agganciai il suo piede con il mio, lo feci scivolare in avanti facendolo cadere per terra. Subito mi posizionai sopra di lui, puntandogli la spada alla gola senza ferirlo. Avevo vinto io.

- Chi diavolo l’ha allenata? – sentii qualcuno esclamare alle mie spalle.

- Ok, basta così – fece il maestro. Feci un passo indietro e rinfoderai la spada. Toshihiro mi stava guardando interessato. Lo vidi estrarre la spada. – Prova ad affrontare me adesso.

Accettai. Come prima, ci posizionammo uno di fronte all’altro. Di nuovo, aspettai che fosse lui il primo ad attaccare. Il maestro era molto più veloce, molto più forte del suo allievo, ma non c’erano confronti con Sephiroth, anche quando si stava trattenendo per i nostri allenamenti, e se riuscivo a evitare lui, potevo evitare quasi chiunque. No, non era la difesa il problema. Toshihiro era molto colpito dalla mia abilità nel prevedere gli attacchi ma il suo approccio era differente da quello del ragazzo. Non era superbo. Non era impaziente e soprattutto, non lasciava punti scoperti. Provai un affondo un paio di volte ma lo parò senza difficoltà. Non mi illudevo di poterlo battere. Per un momento pensai di tentare la mossa che avevo usato con Sephiroth durante quell’allenamento ma non mi fidavo. Avevo la prova di quanto fosse semplice disarmarmi una volta lasciata la presa con una mano.

Dopo un po’ che andavamo avanti in questo modo, con nessuno dei due che riusciva a superare la difesa dell’altro, lo vidi sorridere. Fece un passo indietro e subito si lanciò in avanti, come se stesse prendendo la rincorsa, e fece roteare la spada davanti a sé con un movimento a otto che si chiamava, scoprii in seguito, Katate Hachi no Ji Gaeshi. Riuscii a pararlo ma non mi ero resa conto di quanto si fosse avvicinato e non potei fare niente quando bloccò la mia spada con la sua e mi colpì sulla fronte con la testa stordendomi e facendomi cadere all’indietro. L’incontro era finito.

Mi accorsi che i ragazzi stavano applaudendo. Il maestro si fece avanti e mi tese una mano per aiutarmi ad alzarmi, la accettai con riconoscenza.

- Eccellente – si congratulò. Dammi un paio d’anni con te e diventerai una spadaccina davvero eccezionale.

Dopo di che cominciò l’allenamento vero a proprio.

 

Era stato fantastico allenarsi con altre persone. Non vedevo l’ora di tornare il giorno dopo ma…mi mancava Safer. Sephiroth.

Sospirai. Avevo bisogno di farmi una doccia. Mi allontanai dal campo insieme agli altri, qualcuno addirittura rallentò per potersi complimentare con me. Sorrisi. Ero felice di aver deciso di rimanere.

Kurenai balzò fuori dal nulla e mi afferrò il gomito. Si mise un dito davanti alle labbra per dirmi di non parlare e mi fece cenno di seguirla. Attraversammo il campo e raggiungemmo la pagoda dei maestri.

“Cosa succede?” le mimai con la bocca ma lei mi fece cenno di stare zitta e mi indicò l’albero su cui aveva cominciato ad arrampicarsi. La seguii. Dalla cima riuscivamo a scrutare attraverso una delle finestre della pagoda. I quattro maestri stavano parlando tra di loro: Toshihiro, il maestro di spada, Kyoshi, la maestra ninja, Victor, il maestro d’arma da fuoco ed Ekaterina, la maestra di combattimento corpo a corpo. Stavano parlando di me.

- Abbiamo visto mentre combatteva, Toshi. E’ incredibile che possa essere così abile a quest’età – esclamò Ekaterina scettica.

- Eppure sono stato io stesso ad affrontarla e posso assicurarti che è possibile. Almeno per lei. Non riuscivo a prenderla alla sprovvista.

- Essere addestrata da Sephiroth può essere stato così determinante nel formare la sua abilità? – si interrogò Victor grattandosi una basetta.

- Parliamo piuttosto di questo – intervenne Kyoshi. – Sephiroth. Perché ricordiamo che lei non è stata solo l’allieva di Sephiroth. Lei è stata la sua amante. Siamo sicuri che possiamo fidarci di lei? E se diventasse una minaccia in futuro?

- No – fece deciso Toshihiro. – Vincent Valentine stesso si fida di lei. Non le avrebbe permesso di stare qui altrimenti. Il suo legame con Sephiroth non deve né pregiudicarci né preoccuparci.

- Anzi – aggiunse Ekaterina con un sorriso complice. – Direi che il fatto che sia giunta ad avere un simile rapporto con Sephiroth, non solo romantico ma anche di insegnamento…proprio lui che non ha mai insegnato a nessuno…la rende una donna piuttosto straordinaria.

- Mettiamo che sia il caso – concesse Kyoshi. – Lo vedremo col tempo.

- Piuttosto…siamo tutti d’accordo di non far sapere agli altri allievi di Sephiroth? – volle sapere Victor.

Li vedemmo annuire.

“Andiamo via” sillabò Kurenai a quel punto. Avevamo sentito abbastanza. Ridiscendemmo l’albero il più silenziosamente possibile e ci allontanammo.

- A quanto pare sei “piuttosto straordinaria” – si complimentò Kurenai sorridendo.

- Non si fidano di me – sospirai.

- Ma lo faranno. Vedrai.

Continuammo a camminare in silenzio per un po’, non avevo voglia di parlare. Stavo pensando.

- Tutto bene? – mi domandò Kurenai preoccupata. – Alcuni ragazzi dell’allenamento ci hanno chiesto di unirci a loro per cena…se ne hai voglia. Se no possiamo lasciar perdere se preferisci tornare a casa.

Mi fermai. – Non è questo – mi voltai per guardarla in faccia. – Possono anche dirlo a tutti, i maestri. Non mi interessa. Non permetterò a nessuno di infangare quello che c’è stato tra me e Sephiroth.

Kurenai si limitò a guardarmi, comprensiva. Non mi stava dando la sua pietà, questa è una cosa di lei che ho sempre amato.

- E’ successa una cosa terribile alla fine e non la dimenticherò. Non la posso dimenticare ma non posso lasciare che una tragedia cancelli tutto quello che c’è stato tra di noi. Perché lui mi ha salvata, molto prima che mio padre mi vendesse…e anch’io credo di averlo salvato. Nessuno saprà mai cosa siamo stati l’uno per l’altro. Cosa siamo ancora. Non sarò mai sulla difensiva su questo. Nessuno ha il diritto di giudicarmi. Nessuno sa la verità.

 

Passammo per casa prima di raggiungere gli altri a cena così potei farmi finalmente la doccia che tanto desideravo. Poi fu di nuovo il momento di saccheggiare l’armadio di Kurenai, cosa che fece lei stessa. Non avevo mai indossato vestiti così belli. Erano abiti di città…avevo visto alcune donne vestirsi così a Junon e, oh, quanto le avevo invidiate. Indossavo un tubino blu elettrico e un paio di decolleté col tacco. Non avevo mai indossato dei tacchi in tutta la mia vita!

Arrivammo un po’ in ritardo al ristorante ma nessuno sembrò farci caso. A quanto pare Kurenai non era famosa per la sua puntualità. Tra tutti, riconobbi sono Andrej.

- Ma vieni, vieni a sederti! – mi disse facendo posto per me e Kurenai.

- Sei stata fenomenale oggi! – fece una ragazza dall’altra parte del tavolo. Si chiamava Daria, ma tutti la chiamavano Dasha.

- Grazie – feci io quasi imbarazzata.

- E la Materia? Eri seria quando hai detto che sapevi usare le Materia? – volle sapere Haru, il ragazzo seduto accanto a Dasha.

- Sì, certo. Ma è tanto che non mi esercito.

- Non potresti mostrare come la usi?

Mi incupì. Non ci avevo mai pensato fino a quel momento ma… - L’unica Materia che possedevo – esitai – l’ho perduta in un incendio.

- Non ci sono problemi! – esclamò Andrej al mio fianco. Si infilò una mano in tasca e tirò fuori dopo qualche secondo una sferetta di colore azzurro. Riconobbi subito la Materia.

- Dove l’hai trovata? – esclamò Haru sporgendosi in avanti, oltre al tavolo, per poterci dare un’occhiata più da vicino.

- Dai miei. E’ un vecchio cimelio di famiglia. Non se ne accorgeranno, ormai nessuno di noi sa più utilizzarla.

- Puoi farci vedere come fai? – insistette Dasha con un sorriso.

Presi la Materia nel palmo della mia mano che subito si illuminò di un tenue colore azzurro. – E’ una ICE Materia – spiegai - Non ne ho mai usata una prima.

- Non ti vorrai tirare indietro proprio adesso – esclamò Andrej coprendomi la mano con la sua e carezzandomi lentamente l’interno del polso. Io ritirai la mano. Non ero sicura di quello che stava facendo ma mi stavo creando un’idea ben precisa.

- Posso farlo – afferrai la brocca d’acqua e riempii un bicchiere. Tenendo stretta la Materia nella mano destra attinsi al mio spirito, come mi aveva insegnato Sephiroth tempo prima, e sentì la magia scaturire dalle mie mani. Il bicchiere diventò di ghiaccio.

Tutti i ragazzi al tavolo cominciarono ad applaudire. Io sorrisi. Ero stata cauta, non avendola mai usata non sapevo esattamente la sua potenza, ma adesso…

Riempii un altro bicchiere d’acqua e questa volta lo porsi a Kurenai.

- Al mio tre, lancia il contenuto per aria, d’accordo?

Kurenai sorrise raggiante. Si stava divertendo come tutti gli altri.

- Uno…due…tre…

Kurenai fece come le avevo detto. Io usai la magia ICE e l’acqua si cristallizzò a mezz’aria, rimanendo sospesa come una scultura grazie a quella piccola quantità che era rimasta ancora nel bicchiere.

Questa volta l’intero ristorante scoppiò in un applauso fragoroso. Io non ero mai stata così lusingata e imbarazzata allo stesso tempo. Mi feci piccola piccola seduta tra Andrej e Kurenai, rossa come un pomodoro.

- Fenomenale! – Andrej fischiò tra i denti la sua approvazione. Sono davvero curioso di sapere chi è questo tuo maestro tanto misterioso! – si chinò verso di me avvicinandosi un po’ troppo per i miei gusti. – Ce l’hai il ragazzo? – volle sapere credendo di cambiare argomento.

Ok, questa domanda proprio non me l’ero aspettata. Lo guardai con la bocca spalancata. Non avevo mai pensato a Sephiroth in termini di “mio ragazzo”, la definizione era così bizzarra che mi veniva quasi da ridere.

Mentre stavo ancora cercando di capire cosa gli avrei risposto, fu Kurenai a intromettersi. – E’ impegnata Andryusha, quindi dacci un taglio. Anzi, se proprio vuoi saperlo il suo ragazzo è anche il suo maestro… quindi smettila di provarci con lei, non è a suo agio con le tue avance, non lo vedi? Altrimenti verrà lui stesso a farti il culo!

La fissai con gli occhi spalancati. Allora ci stava provando con me! Non potei fare a meno di guardarlo compiaciuta mentre alzava le mani e si allontanava dal mio spazio personale. Kurenai mi piaceva sempre di più…anche se ero consapevole del fatto che avrei dovuto imparare a cavarmela da sola in quel tipo di situazioni.

Il resto della sera passò tranquillo. Mi divertii un mondo. Non avevo mai fatto nulla del genere a Nacom…raramente avevo avuto una compagnia diversa dai miei fratelli.

Cominciai anche a capire vagamente in metodo con cui alcuni di loro creavano i soprannomi…anche se ancora non riuscivo a capire come facesse il nome Alexander a diventare Shura. Ancora adesso non ho idea di che criterio adoperino…ma adoro i loro nomi. Ho anche scoperto che a Wutai Yuri è sia un nome femminile, com’è da me, che un nome maschile.

Sulla via del ritorno Andrej si offrì ti accompagnarci a casa. – Siamo grandi e forti – gli risposi scherzando. – Possiamo cavarcela da sole. Ma grazie.

Andrej accettò e ci salutò togliendosi un cappello immaginario per renderci omaggio. Avrebbe continuato a provarci con me per un bel po’ prima di trovare la donna giusta per lui…e quando accadde, nessuno se l’era aspettato meno di lui. Io personalmente avevo cominciato a raccogliere scommesse già da un paio di mesi. Con quei soldi sì che mi sono fatta il guardaroba nuovo.

- E’ uno stupido – mi disse Kurenai sulla strada di casa, sorridendo. – Non farci caso.

- Lo trovo divertente – le confidai. – Ma non è il mio tipo.

- No…a te piacciono alti e con i lunghi capelli argentati.

Arrossii violentemente. Mi sembrava così strano poterne parlare liberamente con qualcuno. – Non è tanto più alto di Andrej.

- Quanto più alto? – volle sapere curiosa.

- Più alto di Andrej…di tutta la testa credo.

- Beh è un gigante! – commentò Kurenai poi, tornando seria: - Non ti sei offesa vero? Che mi sia intromessa nella tua conversazione con Andrej?

- No, anzi. Ti ringrazio. Non sapevo davvero come reagire. Sai, da dove vengo io le donne non hanno molta libertà. Non ho mai avuto a che fare con molti uomini…beh, a parte i miei fratelli. Ma come puoi immaginare loro non ci provavano con me.

Kurenai mi osservò pensierosa. – E con Sephiroth? Com’è successo?

- Con Sephiroth è differente. Ci siamo avvicinati in modo completamente diverso all’inizio…e poi…mi sono innamorata di lui molto presto.

- Non ti andrebbe… - esitò. La guardai con sguardo interrogativo. – Non ti andrebbe di parlarmene?

- Come…di Sephiroth? – le domandai allibita.

- Ti te e di lui. Insieme.

Sospirai. – E’ una storia lunga.

Lei fece spallucce. – Domani abbiamo allenamento al pomeriggio.

Sorrisi e cominciai a raccontare.

 

Arrivammo a casa che era notte inoltrata. – Kurenai – feci esitante. – Sei sicura che non dia fastidio a impormi a casa vostra in questo modo?

- Ma scherzi? Questa casa è così grande…è bello averti qui con noi. E’ come avere una sorella! Se preferisci naturalmente puoi spostarti nella stanza degli ospiti non appena sarà ricostruita – spalancò la porta senza preoccuparsi di non fare rumore. – Oh, non occorre che parli sotto voce. Il nonno non dorme quasi mai. Sarà vicino al fuoco intento a leggere un libro.

In effetti Vincent era sveglio. Come entrammo dalla porta appoggiò il libro sul bracciolo della poltrona e si alzò in piedi. – Yuri – disse venendo verso di noi. – Posso chiederti di scambiare qualche parola con me?

Spalancai gli occhi. – Certo.

Diedi la buona notte a Kurenai e lo seguii di nuovo fuori dalla porta. Aveva suggerito di fare una passeggiata. Camminammo in silenzio per alcuni minuti, sotto le splendide stelle nel cielo di Wutai.

- Come ti stai trovando qui?

- E’….fantastico. Sono tutti fantastici – risposi sinceramente.

- Ho sentito del tuo allenamento oggi.

- Già.

Lo vidi sorridere con la coda dell’occhio. – I miei complimenti. Non mi aspettavo niente di meno.

- Ho sentito i maestri parlare. Non sanno se fidarsi di me.

- Si fideranno. Su questo non ho nessun dubbio - mi assicurò lui. – Cosa ti ha fatto decidere di restare? – mi chiese poi andando direttamente al motivo per il quale mi aveva chiesto di parlarmi.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, sembravano soltanto a me un’eternità? Ma non volevo dare una risposta insincera.

– La paura – dissi all’inizio. – Non posso affrontare i miei fratelli. Non posso guardarli negli occhi e spiegare che è colpa mia se la loro famiglia è morta. Ho pensato di scrivere una lettera a Shin, sa, mio fratello maggiore, ma non posso fare nemmeno quello. Credo di preferire che pensino che sono morta.

- E poi?

- Cosa poi?

- Cos’altro ti ha fatto rimanere?

Sospirai. Tutta la verità, mi ero promessa. Ecco la verità. – Lo voglio rivedere. Ma voglio poterlo fare come sua pari.

- Sephiroth? – annuii.

- Ha detto che mi avrebbe aspettato. Prima di andarsene…ha detto che mi avrebbe aspettato. Anche se non ho idea di dove possa essere, quando sarà il momento giusto lo andrò a cercare.

- Hai qualche idea?

Mi sfregai la fronte con le dita, cercando di riflettere. – Prima di tutto tornerò a Nacom, tra le montagne dietro il villaggio, dove viveva quando stavamo insieme ma se non è lì… allora non ho idea di cosa potrei fare.

- Quanto combattemmo Sephiroth eravamo in nove – fece una pausa. – Beh, otto – si corresse. – Uno di noi si chiamava Red XIII ma il suo vero nome era Nanaki. Una razza felina senza nome molto intelligente, con la capacità di parlare e con una vita lunghissima. E’ l’unico altro membro dell’AVALANCHE ancora in vita. Diversi anni fa, ormai credo di aver perso il conto,  ha creato questa specie di fratellanza a Cosmo Canyon e l’ha addestrata, rendendola pronta nel caso in cui Sephiroth fosse tornato.

Lo guardai confusa. – Ma non capisco. Com’è possibile che si aspettassero il ritorno di Sephiroth? Io stessa ancora adesso non so come sia possibile che sia qui oggi, vivo.

Vincent sospirò, aveva un’espressione molto stanca. – Non so quanto sia giusto che sia io a dirti queste cose. Dovresti chiederle a lui quando lo ritroverai. Ti dirò solo questo. Sephiroth non è umano, non del tutto, come dovresti sapere è il risultato di un esperimento della Shinra Corporation che gli ha infuso cellule di un alieno chiamato Jenova quando era ancora un feto. In seguito Sephiroth è morto, molto prima di  affrontare noi dell’AVALANCHE. E’ morto durante una missione a Nibelheim ed è stato Cloud Strife a ucciderlo.

- Aveva ventiquattro anni – realizzai.

Vincent mi guardò sorpreso. – E’ così. Come fai a saperlo?

- Un giorno…oh, sembra così tanto tempo fa ormai, gli ho chiesto quanti anni avesse e lui mi ha dato la più strana delle risposte. Me lo ricordo come se fosse ieri: “Attualmente credo di avere con esattezza ventiquattro anni” mi disse e quanto gli chiesi spiegazioni si limitò a rispondere “Per certi versi potrei dire di averne circa centotrentadue…ma considerami un ventiquattrenne.”

- E’ tornato, in seguito. L’hanno riportato in vita come clone. Quel Sephiroth è morto a ventiquattro anni ma il suo clone, creato sei anni dopo, ha vissuto fino a trentadue anni.

- E il giorno in cui l’ho incontrato era il centesimo anniversario della caduta di Meteor – compresi meravigliata.

- Ha i ricordi di tutta la sua vita…ma ha l’età che aveva il giorno in cui il suo corpo originale è morto. Sorprendente.

Continuammo a camminare in silenzio. Questa volta era Vincent che sembrava perso in una profonda riflessione. All’improvviso sembrò ridestarsi, voltò la testa verso di me per un secondo poi ricominciò a parlare come se non si fosse mai interrotto.

- I guerrieri di Cosmo Canyon sono diventati dei fanatici nel corso degli anni. C’è addirittura stata un’operazione, ironicamente chiamata Progetto Jenova, da cui alla fine hanno preso il nome, con la quale hanno cominciato a sterminare tutti gli albini e tutte le persone entrate a contatto con l’energia Mako, tranne loro stessi, che vengono in questo modo potenziati e tenuti sotto controllo.

Si fermò di colpo. A quel punto lo vidi stringere le palpebre, chinandosi in avanti per guardarmi bene negli occhi. Aveva una strana espressione. Dovetti impormi di non indietreggiare davanti al suo scrutinio. Dovevo ancora abituarmi al suo sguardo rosso come il sangue. I suoi occhi e quelli di Kurenai erano dello stesso colore…ma i suoi mi ispiravano qualcosa di diverso. Una sorta di timore riverenziale. Non volevo dirglielo, non glielo avrei detto, ma mi ricordavano gli occhi rossi dei ratti da laboratorio. Ancora adesso, ogni tanto, quando lo guardo mi vengono in mente: sangue ed esperimenti.

- Tu non sei entrata a contatto con l’energia Mako,vero?

Sbattei le palpebre sorpresa, presa alla sprovvista dalla domanda. – No, non proprio.

- Spiegati.

- Safer… - cominciai. Mi schiarii la voce, correggendomi. – Sephiroth una volta mi ha portata in una grotta. In quella grotta, lui diceva, filtrava il Lifestream nella sua forma più pura.

Vincent sollevò un sopracciglio. – Hai toccato il Lifestream?

- L’abbiamo toccato insieme.

Vincent si raddrizzò, senza smettere di osservarmi meravigliato. – Ma perché Sephiroth avrebbe dovuto…? – mormorò tra sé e sé. – Lasciamo stare.

Riprese a camminare.

- Cosa? Spiegami! – cercai di convincerlo ma non disse più una parola mentre ci giravamo e tornavamo verso casa.

In seguito scoprii da sola quello che Vincent mi aveva taciuto. Passarono quattro anni prima che mi decidessi finalmente a lasciare Wutai. Tra le lunghe ore di addestramento e le nuove amicizie finii lo stesso per passare molto tempo nella grande e antica biblioteca di Wutai: fu lì che ottenni la mia risposta: toccando insieme il Lifestream anche le nostre anime si erano toccate. Per un istante si erano fuse insieme e ci eravamo capiti nella nostra interezza. Nessuno di noi sarebbe stato in grado di comprendere di nuovo, così completamente, così profondamente, l’anima di un’altra persona. Si era creato un legame difficile da spezzare.

 

 

Eccolo! Eccolo! Un nuovo capitolo tutto per voi! Un capitolo lungo lungo! *_* Aspettatevi capitoli lunghi lunghi d’ora in poi ed esultiamo perché ho finalmente capito come finire questa storia! Hurray! Dunque...questo è il capitolo 24! Vediamo Yuri ambientarsi a Wutai…e naturalmente il bonus Sephiroth che ci sta sempre. Ci tengo a precisare che non finiscono a fare sesso ogni volta che fanno un allenamento insieme…solo che Yuri sembra preferire quel tipo di flashback ma che ci vogliamo fare?
Prossimo capitolo: La Tigre di Wutai
E questa volta magari cercherò di non farvi aspettare un mese. Domani sarebbe stato un mese preciso! Assurdo!! E già che ci sono mi faccio pubblicità… perché sì u.u ho cominciato a scrivere fic su Doctor Who quindi se avete solo una vaga conoscenza della serie…filate a leggere! Che con questa storia mi avete viziata! Ormai mi aspetto un minimo di 4 a un massimo di 7 commenti a capitolo…lì mi fanno pensare! xD Detto questo…un bacione e alla prossima! Con una Yuri che diventa più cazzuta ogni capitolo che passa! *_*

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Capitolo 25
*** La Tigre di Wutai ***


Fu facile integrarsi. Facile iniziare a considerare Wutai una nuova casa. Facile trovare una famiglia in Vincent e Kurenai.

Ciò che mi fu completamente inaspettato fu trovare la più grande della amicizie in Andrej, quello strano e invadente ragazzo che nei primi mesi non aveva fatto altro che schernirmi, scherzare con me e provarci in maniera più o meno scontata. Quello stesso ragazzo che dopo un anno si era innamorato di Kurenai e l’aveva sposata nel giro di pochi mesi.

Quattro anni sono tanti…ma passarono felici. Mi permisero di crescere, di diventare veramente indipendente, la donna che dovevo essere come, forse, non sarei mai stata se fossi rimasta con Sephiroth. Ricordo ancora così vividamente il giorno in cui lo realizzai per la prima volta…che stavo cambiando.

Erano passati solo pochi mesi dal mio arrivo a Wutai…sei, forse sette, quando uno dei ragazzi che si addestravano con noi si mise tra me e Andrej, interrompendo il nostro allenamento. Estrasse la spada e me la puntò contro.

- Amico, si può sapere cosa diavolo stai facendo? - domandò Andrej allerta ma cercando di mantenere un tono scherzoso. Alzò una mano per fargli abbassare la spada ma Dimitrij, quello era il suo nome, lo ignorò completamente. Io mi limitai a fissarlo, senza indietreggiare: sapevo di essere più forte di lui. Più veloce di lui. Se avesse provato a fare qualunque cosa non avrei avuto nessun problema a prevaricare ma non rinfoderai la spada.

- Stavo passando davanti alla porta dei maestri – mi ringhiò contro ma a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutto il campo. – Indovina di chi stavano parlando.

Sbuffai. La vicinanza di Andrej mi aveva fatto riacquistare quel sarcasmo che avevo perso negli ultimi tempi. – Di te? – chiesi in tono di scherno.

- No – rispose Dimitrij, o Dima come lo chiamavano tutti. In quel momento non avevo nessuna intenzione di pensare a lui con un amichevole soprannome. Mostrava un ghigno malevolo sulle labbra, come se mi tenesse in pugno. – Di te. O meglio…del tuo maestro.

Non battei ciglio. Sapevo esattamente dove stava andando a parare e non mi interessava. L’avevo già detto a Kurenai alcuni mesi prima: non avrei permesso a nessuno di infangare quello che c’era tra me e Sephiroth.

- Oh – gli risposi quindi, per nulla impressionata. Tutti gli altri ragazzi però erano stati attirati dalle sue parole e si erano avvicinati, curiosi di sapere chi fosse stato l’uomo che mi aveva insegnato a combattere in quel modo.

- E’ inutile che fai finta di niente – Dimitrij si girò per farsi vedere da tutti e urlò: - Il suo maestro è Sephiroth.

Tutti si voltarono a guardarmi. Qualcuno aveva un’espressione confusa, qualcuno spaventata, qualcuno forse un po’ ferita. Anche Dimitrij si voltò di nuovo verso di me, dopo aver osservato compiaciuto le espressioni di stupore dei miei compagni.

- E quindi? – gli domandai a quel punto.

Lui scoppiò a ridere. Non mi piaceva il suo modo di ridere. Mi stavo seriamente trattenendo dal dargli un pugno sul naso.

- E quindi ti abbiamo sentita tutti il primo giorno! Il tuo maestro è anche il tuo “ragazzo”. Sei l’amante di Sephiroth!

- E quindi? – ripetei mostrando i denti. Feci un passo in avanti, minacciosa. Lo stavo odiando. Come osava. Come OSAVA.

- E-e-e…quindi… - balbettò lui facendo un passo indietro. Si fece piccolo piccolo all’inizio sotto il mio sguardo, poi lo vidi raccogliere quel poco di coraggio che gli restava, se si poteva chiamare coraggio, e rizzò di nuovo la schiena per un attimo. – Quanto si può essere perversi per arrivare a tanto? – mi accusò.

Con un unico movimento lo disarmai e rinfoderai la spada. Un istante dopo l’avevo afferrato per il colletto della camicia e lo strattonai con violenza. – Vi ho mai dato un motivo per dubitare di me? – gli ringhiai contro, quasi sollevandolo da terra: ero diventata forte.

- N-no.

- Di temermi?

- N-n-o…

- E allora dacci un taglio! – gli ruggii in faccia spintonandolo lontano da me e facendolo cadere per terra. Lo degnai di un ultimo sguardo disgustato prima di voltarmi verso la schiera di spettatori che si era formata. – Nessuno di voi lo conosce. Nessuno di voi l’ha mai incontrato. Non è più un mostro. Ha fatto cose terribili, nessuno lo sa meglio di me, ma è cambiato. E’ un uomo ed è l’uomo che amo. Se qualcuno ha qualcosa da dire è meglio che si faccia avanti subito. Dopo di che…non ho più intenzione di sentire nemmeno una parola a riguardo!

Nessuno poteva permettersi di giudicarmi. Li vidi indietreggiare sotto il mio sguardo furente.

- Allora?

Molti di loro evitarono il mio sguardo e tutti rimasero in silenzio. Mi rivolsi ad Andrej, che non si era ancora mosso e non aveva ancora detto una parola. – Tu?

Ma Andrej stava sorridendo e finalmente scoppiò a ridere, spezzando la tensione. Mi si avvicinò e mi batté amichevolmente una mano sulla spalla, senza smettere di ridere. – Ma certo! – esclamò meravigliato. – Chi altri potresti amare se non il più grande guerriero del mondo? – fece un passo indietro e sollevò la spada per riprendere l’allenamento. – Quando sei pronta…fatti sotto tigre.

Anch’io gli sorrisi. Estrassi la spada e mi misi in posizione.

Fu quel giorno, immagino, che cominciarono a chiamarmi la Tigre di Wutai.



Dan dan dan daaaaaaaaaaaan!!! Un altro capitoloooo! *_* Si vede che sono ispirata? Questo, mi dispiace, è solo un capitoletto di passaggio breve breve. Forse un giorno (se mai sarò ispirata) scriverò un capitolo da inserire tra questo e il precedente...in cui analizzo meglio il modo in cui il rapporto di Yuri con i vari personaggi di Wutai (tra cui, soprattutto, Kurenai, Vincent e Andrej...mettendo l'accento su come Kurenai e Andrej si sono avvicinati l'uno all'altro) ma per ora ce li teniamo così! La nostra Yuri è cresciuta...si è fatta grande...e salva la Cina. (No! Quella è Mulan! Yuri non salva la Cina ma si ritrova con un soprannome super cazzutissimo! mwahah)
Prossimo capitolo si chiamerà "Rimettersi in viaggio" o qualcosa del genere e non sarà lungo...di più. Potrei addirittura decidere di dividerlo in due! Vedremo. Vedremo. Gioite o fanciulle perchè già sento "estuans interius ira vehementi" eccheggiare in lontananza. Sephiroth è sempre più vicino!
Un bacione, alla prossima! ^_^
p.s. e non dite che Andrej non vi piace D: gli vogliamo bene ad Andrej! <3

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Capitolo 26
*** Rimettersi in viaggio ***


Nota prima di iniziare: Ero piuttosto sicura di averlo scritto nei capitoli precedenti ma non sono riuscita a trovare il punto in cui dovrei averlo scritto…e mi è venuto il dubbio che forse ho lasciato fuori un pezzo di trama: Vincent Valentine è il reggente di Wutai in quanto era sposato con Yuffie Kisaragi che in vita aveva tenuto il comando. Alla sua morte la reggenza è passata a loro figlio. Morto pure lui la reggenza dovrebbe passare per via ereditaria a Kurenai ma! Essendo Kurenai stata troppo giovane, la reggenza è stata ripresa temporaneamente da Vincent. Una volta raggiunta l’età giusta è salita al trono. Ecco. Se l’avevo già detto meglio, piccolo ripasso…altrimenti vorrà dire che dovrò andare a inserire questa piccola info nei capitoli precedenti. Avrei potuto inserirlo qui ma credo che avrebbe dato un po’ di fastidio alla narrazione.

 

Sparai l’ultimo di una serie di colpi contro il bersaglio del poligono, poi mi voltai e raggiunsi Vincent, che mi aveva osservato poco distante. Appoggiai Byakko sul ripiano in legno in modo da pulirla in seguito. Era la mia pistola personale: era stata un regalo di Vincent il giorno in cui ero riuscita a centrare tutti i bersagli del poligono.

Erano passati ormai quattro anni dal giorno in cui ero arrivata a Wutai per la prima volta e da allora avevo cominciato ad allenarmi seriamente in tutte le discipline, guidata dai maestri di Wutai e da Vincent stesso, che mi aveva insegnato a sparare. Avevo imparato il combattimento corpo a corpo, anche se non sarei mai stata brava come Andrej, come pure le basi per le abilità ninja che mi ha permesso di avvicinarmi a Kurenai ancora di più. Ormai eravamo praticamente inseparabili.

È stata proprio Kurenai a darmi finalmente il coraggio necessario a dare un nome alla spada che mi aveva donato Sephiroth: Jinsei no Nagare. Lifestream. Ed è stata sempre Kurenai, quel giorno, ad aiutarmi a prendere un’altra decisione, forse più banale all’apparenza ma cruciale per me perché segnava ancora un altro punto di svolta nella mia vita: mi sono tagliata i capelli. Quei capelli che per la mia famiglia erano uno dei miei pochi punti di forza, l’unica cosa bella di me. Li ho tagliati il più corto possibile e li ho mantenuti così, lunghi solo qualche centimetro. Mentre mi tagliava una ciocca dopo l’altra, non avevo potuto fare a meno di pensare come avrebbero reagito i miei genitori vedendomi gettare via “l’unica mia fonte di bellezza”. Mi ero chinata in avanti per raccoglierne un ciuffo da terra e me lo ero rigirata tra le dita. Credo che mia madre si sarebbe messa a piangere vedendomi in quel momento. Non voglio pensare a come avrebbe reagito mio padre, esattamente. Quello che so è che non l’avrebbero accettato. So che non avrebbero capito il perché di quel gesto. Perché se non sei bella, cosa puoi sperare di ottenere dalla vita? Avevo sorriso, se solo avessero potuto sapere quello che una donna può diventare. Dopo un attimo Kurenai aveva esclamato: - Finito! – e mi aveva porto uno specchio. Ricordo la sensazione che provai nel passarmi le dita tra i capelli, ravvivandoli. Mi sentivo sopraffatta e non ero più riuscita a trattenermi. Scoppiai in una risata scrosciante. Mi sentivo libera. Dopo tanto tempo, forse per la prima volta da quando ero nata mi sentivo libera. Mi sentivo veramente solo padrona di me stessa, sentivo di poter fare qualunque cosa, come se quei lunghi capelli che avevo appena tagliato avessero rappresentato l’ultimo legame che mi teneva legata alle tradizioni della mia famiglia e a tutto il male che mi avevano fatto. Ero solo me stessa adesso. Non ero Yuri da Nacom, non ero la sorella minore, non ero la figlia dell’allevatore. Ero solo Yuri. Yuri, la tigre di Wutai.

- Non so perché continuo ad assistere ai tuoi allenamenti – commentò Vincent con un sorriso malcelato. – Ormai non credo di avere più niente da insegnarti.

Sapevamo entrambi che veniva qui per tenermi compagnia. Per parlare. Nel corso di questi quattro anni, lentamente, con cautela, avevo cominciato ad aprirmi con lui, a confidarmi. Vincent Valentine sarebbe sempre stato un nonno per Kurenai ma per me? Era diventato ciò che mio padre non era mai stato.

Mi sedetti accanto a lui sperando che riprendesse il discorso che aveva interrotto quando avevo smesso di sparare. Mi stava parlando di Yuffie, di come gliela ricordavo a volte. Non era una cosa che faceva spesso, parlare di Yuffie, ma quando succedeva mi trovavo letteralmente a pendere dalle sue labbra. Attraverso le sue parole era diventata il mio modello, la mia aspirazione…avevo anche cominciato a vestirmi come lei, inconsciamente o meno.

Vincent si schiarì la gola. – Ha continuato ad amarmi fino all’ultimo battito del suo cuore. Io non potevo fare a meno di amarla, dopo essermi lasciato alle spalle i fantasmi del passato, non potevo fare a meno di metterla al centro del mio mondo. L’ho amata fino alla fine, la amo ancora adesso, anche se non ho mai creduto davvero di meritarla – guardò dritto davanti a sé, sembrava osservare i fori dei proiettili nelle sagome di cartone. Io aspettai che riprendesse a parlare, paziente. – Quando Sephiroth è venuto da me, all’inizio non potevo fidarmi. E come poteva essere altrimenti – riprese continuando a guardare in lontananza. – Avrei potuto capire subito che era cambiato, se solo avessi avuto la volontà di starlo a sentire, ma lui era così insistente…ostinato come non l’avevo mai visto, che mi costrinse a guardare più da vicino. Sono stati i suoi occhi a convincermi, alla fine. Lo sguardo che aveva quando parlava di te… fu allora che capii. Non era più il mostro che avevo conosciuto, ma il Soldier di prima classe, eroe di Midgar…anzi, no – si corresse voltandosi finalmente a guardarmi. – Non era più nemmeno quello. Era un uomo. E la cosa che lo rende un uomo più di tutto il resto è proprio il fatto che adesso, con te, lui si consideri tale.

Ripensai all’ultima volta in cui avevo visto Sephiroth, alle ultime parole che ci eravamo detti. Potevo rivivere tutta la scena alla perfezione nella mia mente, non era passato un giorno senza che ci pensassi. “Per quanto avessi voluto illudermi di poter essere un uomo con te, un uomo normale, rimango un mostro” mi aveva detto.

Sbattei le palpebre nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Chissà cosa aveva fatto durante quei quattro anni. Aveva viaggiato? Stava bene?

- Ti sta aspettando – mi disse Vincent come se mi avesse letto nel pensiero.

Lo fissai. Non sapevo cosa rispondere. Afferrai Byakko e cominciai a pulirla con movimenti automatici. Un pensiero aveva cominciato a formarsi nella mia mente e mi diceva che era arrivato il momento.

- Stai partendo, vero? – esclamò Kurenai, balzando fuori alle mie spalle. Ero così abituata al suo brutto vizio di origliare certe conversazioni che non sobbalzai nemmeno. Non sapevo nemmeno come facesse a sapere con tale precisioni quali conversazioni ascoltare e quali no.

- Ho aspettato anche troppo tempo – ammisi finendo di pulire la pistola. Mi alzai in piedi e la rimisi al suo posto, nella fondina che avevo fissato intorno alla vita, sul fianco destro.

- Vorrei tanto venire con te – confessò Kurenai lanciandomi le braccia intorno al collo per abbracciarmi. Tirò su col naso, quasi in lacrime. – Ma…

La strinsi a mia volta e annuii. Da un anno era salita al trono di Wutai al posto di Vincent, aveva delle responsabilità verso il suo paese. Lo capivo.

Vincent fece qualche passo e coprì la distanza che ci separava. Appoggiò una mano sulla spalla della nipote e la strinse affettuosamente. – Vai – le disse serio. È importante per tutti noi, dicevano i suoi occhi. Negli anni avevo imparato a sentire anche le parole che Vincent non pronunciava con la bocca, dopo un po’ diventava impossibile non leggere nei suoi occhi quello che non diceva.

Kurenai sorrise e lo abbracciò. Poi abbracciò di nuovo anche me prima di correre via per parlare con Andrej. Ormai non c’era nessuna forza al mondo che avrebbe potuto trattenere quei due a Wutai.

Mi rivolsi a Vincent, approfittando di quegli ultimi momenti da soli. – Grazie. Di tutto – dissi e mi avvicinai timidamente per abbracciarlo, come aveva fatto Kurenai. Avrei voluto dirgli che per me era il stato il padre che non avevo mai avuto. Lo guardai negli occhi ma alla fine mi trattenni. Lo sapeva.

 

- Ti presento l’Highwind IV! – esclamò Kurenai facendomi entrare nell’aeronave di famiglia. – Veloce! Affidabile! Resistente!

La seguii ridacchiando. – La fai sembrare un prodotto pubblicitario!

- Abbi pazienza, tigre! – mi disse Andrej da dietro il timone. – È da quando è nata che vuole impossessarsi di questa nave e finalmente c’è riuscita.

Kurenai gli fece una smorfia poi si rivolse verso di me. - Dove dobbiamo andare?

Sospirai. – Non so dove sia adesso…ho sempre pensato di tornare a Nacom, nei boschi dietro al paese dove usavamo incontrarci. Forse mi ha lasciato qualche indizio.

- Dopo quattro anni? – domandò Andrej subbioso mentre accendeva i motori dell’aeronave. Era perplesso, potevo vederlo. Nemmeno io ero certa di quello che avrei trovato dopo tanto tempo ma era l’unica cosa che potevo fare.

Scrollai le spalle. – Al momento non ho altre opzioni.

Andai a sedermi in uno dei sedili imbottiti, quello da cui potevo guardare meglio fuori. Ero così nervosa che dovetti trattenere un brivido. Ero quasi certa che Sephiroth non si sarebbe trovato lì. Perché mai avrebbe dovuto aspettarmi nello stesso punto da quattro anni? Ma se invece l’avesse fatto? Se la ricerca fosse stata così facile e l’avessi incontrato subito? Cosa gli avrei detto? Chiusi gli occhi e appoggiai la fronte contro lo spesso vetro dell’oblò. Non importava quanto tempo avrei dovuto impiegare per trovarlo, decisi, anche se avessi dovuto impiegare mesi ci sarei riuscita. Dopotutto lui mi aveva aspettato per quattro anni: me l’aveva promesso, non avevo nessun dubbio a riguardo.

Sospirai e mi strinsi le braccia intorno al busto. Ma cosa sarebbe successo quando finalmente ci saremo ritrovati una di fronte all’altro?

 

Il viaggio durò diverse ore e più il tempo passava e più diventavo nervosa. Quando finalmente l’aeronave si fermò, mi era salita una tale nausea che non sapevo dire come mai non mi trovavo con un secchio in mezzo alle ginocchia. Ignorai il malessere e mi alzai in piedi, non avevo tempo per quello, e raggiunsi Kurenai che stava guardando fuori da uno degli oblò più grandi. Ci eravamo fermati sopra il bosco.

- Dovrete calarvi lungo il cavo d’ancoraggio – spiegò Andrej incrociando il mio sguardo. – Non c’è abbastanza spazio per atterrare.

- E che problema c’è? – esclamò Kurenai, che stava già scivolando verso il suolo. Andrej ed io ci scambiammo un sogghigno e la seguimmo.

Una volta toccato il suolo nessuno disse più una parola. Non potevo e Kurenai e Andrej lo capivano, rimanendo in silenzio a loro volta. Ero tornata in questo luogo per la prima volta dopo tanto tempo…ed era cambiato così tanto. Non il posto. Potevo ancora riconoscere ogni roccia, ogni albero. Intravidi anche i resti di quell’albero che Sephiroth aveva abbattuto durante quel suo allenamento solitario tanti anni prima. No, era la situazione a essere cambiata. Noi eravamo cambiati. Io ero cambiata. Ero diventata una donna e quello che avevo sempre desiderato da tutta la vita: una guerriera. Solo diventandolo ero riuscita a capire che non era tutto quello che volevo, nella mia mente di ragazzina diventare una guerriera aveva rappresentato acquisire la capacità di diventare indipendente, di liberarmi dalle pastoie che mi legavano alla mia famiglia. Non avevo capito che avrebbe significato tutto questo e ancora mi mancava qualcosa.

Impiegai poco tempo a capire che lì non avrei trovato niente. Stavo per girarmi verso Andrej e Kurenai per suggerire di tornare all’Highwind quando un rumore attirò la mia attenzione. Un chocobo mi stava osservando da poco lontano, il suo becco di un giallo brillante e le penne un po’ arruffate, di un intenso colore nero. Feci per balzare in piedi ma mi bloccai a metà del gesto, non volevo rischiare di spaventarlo e farlo scappare. Il chocobo mi squadrò da capo a piedi poi con un “kwhèèèè!” cominciò a camminare verso di me senza esitazione.

Quando solo mezzo metro ci divideva l’una dall’altra, alzai una mano per accarezzarlo e anche qui, il chocobo non sembrò avere problemi.

- Lei Lan? – dissi esitante e ottenni subito un entusiasta “kwéé” di risposta. Non potevo crederci che fosse rimasta lì per tutti quegli anni, da sola nel bosco si era inselvatichita ed era riuscita addirittura a cambiare colore, da rosso a nero. Mi voltai verso Kurenai e Andrej. – Era il mio chocobo – spiegai commossa.

Kurenai mi sorrise. – Posso? – domandò indicando Lei Lan. Annuii e la lasciai avvicinare. Kurenai toccò le morbide piume del collo dell’animale. – Non avevo mai visto un chocobo così da vicino – mi confessò. A Wutai non li usiamo per spostarci e li ho sempre visti solo da lontano.

Lasciai Kurenai con Lei Lan per qualche minuto mentre mi costrinsi a fare un altro giro della radura, anche se ormai sapevo che non vi avrei trovato nessun indizio.

Andrej mi si affiancò. – Dove pensi di andare adesso? – mi domandò notando i miei scarsi risultati.

Scrollai le spalle e guardai verso ovest, dove sapevo trovarsi Nacom. – Si torna a casa a quanto pare.

 

- Non ho capito cosa vorresti scoprire qui – disse Kurenai portandosi dietro Lei Lan con una cavezza che avevamo improvvisato con un pezzo di corda.

- È inutile continuare ad aggirarsi alla cieca tra gli alberi. Probabilmente non sapranno niente di Sephiroth, ma forse sapranno dirmi qualcosa di Shin o di Seimei. Glielo devo dopotutto.

Feci un respiro profondo, cercando di scacciare via il nervosismo che mi stava assalendo, e mi inoltrai nella piazza cittadina, certa che qualcuno avrebbe riconosciuto e mi si sarebbe avvicinato. Passarono diversi minuti, qualcuno ogni tanto mi lanciava un’occhiata e credevo stesse per riconoscermi, prima di capire che non l’avrebbero fatto. Mi squadravano, certo, così come squadravano Andrej e Kurenai. Dopotutto eravamo due ragazze e un ragazzo vestiti con abiti da combattimento e armati fino ai denti. Avrei dovuto capirlo subito che non saremmo passati inosservati in un paesino dalla mentalità arretrata come Nacom, soprattutto Kurenai ed io.

Avvistai dall’altra parte della piazza una ragazza che conoscevo. Feci cenno ad Andrej e Kurenai di aspettarmi e la raggiunsi. – Keira – la chiamai per attirare la sua attenzione.

La ragazza si voltò verso di me e mi squadrò un paio di volte, lanciò un’occhiata dietro di me verso Andrej e Kurenai, poi fece tornare l’attenzione su di me. – Ci conosciamo? – mi domandò.

Rimasi di stucco. Va bene non riconoscermi vedendomi passare per strada, ma nemmeno parlando faccia a faccia nessuno era in grado di ricordarsi di me?

Per un attimo temetti di aver sbagliato persona ma no, era proprio Keira. Non eravamo state amiche da giovani. Non ero mai stata amica di nessuno nel villaggio ma lei la ricordavo bene. Era stata il mio ideale di bellezza per anni, avevo invidiato i suoi capelli, il suo viso, la forma dei suoi fianchi…tutto. Avevo creduto che se fossi diventata come lei, se fossi stata lei, sarei stata felice.

Adesso i suoi capelli avevano cominciato a sbiadirsi, non erano ancora striati di grigio ma avevano perso quel colore pieno di un tempo. Il suo viso era sciupato, con una grossa ruga che le solcava la fronte. Era incinta e anche il suo corpo aveva, prevedibilmente, perso la linea di un tempo.

- Volevo sapere – cominciai ma venni interrotta da due bambine che mi sfrecciarono davanti e andarono ad appendersi al vestito di Keira. Due bambine e un terzo in arrivo, quindi. – Volevo avere notizie di due ragazzi che vivevano qui – ripresi una volta che fu riuscita a zittire le figlie.

- Ah – sospirò Keira capendo subito di chi stavo parlando. – Seimei e Shin. Quattro anni fa c’è stata una tragedia. La casa dove vivevano ha preso fuoco. Non sanno come sia successo. Shin viveva già lontano quando è successo. Seimei è stato l’unico sopravvissuto. Gli altri fratelli, la sorella, la madre e il padre…sono morti tutti. Suppongo che non potesse più restare qui – fece una pausa lasciando vagare lo sguardo verso dove era sorta la mia casa.

- Keira! – urlò qualcuno poco lontano. Lei sobbalzò, afferrò le bambine per mano e cominciò a dirigersi velocemente verso l’uomo che la chiamava.

- È mio marito – mi disse in tono di scusa. – Devo proprio andare.

- Aspetta – la fermai, visto che aveva già cominciato ad allontanarsi. – Non mi hai detto dove sono adesso Shin e Seimei.

Keira rallentò senza però fermarsi. Scrollò le spalle, come se non capisse che importanza potesse avere. – Sono anni che nessuno ha più notizie di loro. Quando Seimei se n’è andato da qui so che aveva intenzione di raggiungere Shin a Junon.

Cercai di ringraziarla ma ormai non era più portata d’orecchio. Raggiunsi Andrej e Kurenai che mi avevano pazientemente aspettata dove li avevo lasciati. Lanciai loro un sorriso di ringraziamento. In quel momento non credevo di riuscire a parlare.

Keira, la ragazza che per anni avevo desiderato essere, adesso ricopriva il ruolo che mio padre aveva voluto per me. Era invecchiata, più dei venticinque anni che doveva avere, sembrava stanca e triste.

Nessuno mi aveva riconosciuta. Nel villaggio dove avevo passato quasi tutta la mia vita nessuno era stato in grado di riconoscermi, anzi, mi credevano morta.

Mi passai stancamente una mano sulla faccia. Avevo difficoltà a processare tutto quanto in pochi secondi. E ancora non avevo idea di dove potesse trovarsi Sephiroth.

Mi sentii appoggiare una mano sulla spalla. – Tutto bene? Hai scoperto qualcosa? – mi sorrise Kurenai.

- Credono tutti che sia morta – dissi in un soffio, abbandonando le braccia lungo i fianchi.

Kurenai spalancò gli occhi ma non disse niente. Non credo ci sia niente che uno possa dire dopo una cosa del genere.

- Quindi, che si fa? – si intromise Andrej a braccia conserte. Odiava aspettare e non ne poteva più di girare in tondo senza sapere cosa fare.

- Andiamo a Junon – risposi sbuffando. – È l’unica cosa che mi viene in mente in questo momento.

Gli occhi di Kurenai si illuminarono. – Possiamo andarci in sella a dei chocobo?

Scoppiai a ridere, tornando immediatamente di buon umore. – Siete sempre sicuri di voler venire con me?

- Non possiamo certo lasciarti divorare metà della popolazione di Midgar mentre cerchi il tuo amato – sbottò Andrej mentre si dirigeva verso il negozi d’oggetti per comprare dell’erba ghisal. Il suo tono era brusco ma sapevo che stava ridendo sotto i baffi. A Wutai lui era l’unico che mi chiamava col soprannome che avevano scelto per me la “Tigre di Wutai” per prendermi affettuosamente in giro e non perdeva occasione per creare nuove battute o nuovi giochi di parole. Lo adoravo per questo.

Raggiungemmo la pianura fuori del villaggio per catturare due chocobo per loro. Volevano provarci loro stessi, quindi li lasciai fare. Mi limitai a restare un po’ in disparte a osservarli, sarebbe stato uno spasso vedere cosa si sarebbero inventati ma dopo un po’ non fui più in grado di concentrarmi sui miei amici. Le parole di Keira mi avevano molto colpita. Mi credevano morta. Tutti quanti, per anni, avevano pensato che fossi morta. Ripensai all’ultima volta che Seimei mi aveva vista, pestata a sangue e tra le braccia dell’uomo che aveva appena ucciso la nostra famiglia e dato fuori alla nostra casa.

Il senso di colpa mi colpì con una fitta allo stomaco. Era colpa mia: perché non avevo mai trovato il coraggio per scrivere loro? Eravamo rimasti solo noi tre, perché non avevo potuto far loro sapere che ero viva? Mi avevano fatto un funerale? Nascosi il viso tra le mani sentendomi bruciare gli occhi.

Qualcuno mi poggiò una mano sulla spalla. Alzai lo sguardo e mi trovai a fissare Kurenai. Non disse una parola, mi strinse in un abbraccio strettissimo e non mi lasciò andare. Dopo un attimo un altro paio di braccia ci circondò e mi ritrovai stretta in mezzo ai miei due migliori amici. Dopotutto anche loro erano la mia famiglia. Mi lasciai andare a un pianto vigoroso e una volta cominciato sembrava non fossi più in grado di smettere. Quand’era stata l’ultima volta che avevo pianto così? Non riuscivo a ricordarmelo. Piansi e piansi. Per tutto quello che avevo passato e per tutto quello che avevo tenuto stretto dentro di me. I miei amici non si mossero finché non mi fui calmata ed ero così grata per il conforto che mi davano senza volere niente in cambio, nemmeno una spiegazione.

Mi lasciarono andare ed entrambi mi sorrisero senza dire una parola. Non potei fare a meno di ricambiare. Soddisfatti, si girarono e ricominciarono a inseguire i loro futuri chocobo. Finalmente serena, sollevato l’ultimo peso dal cuore, scoppiai a ridere. Erano così imbranati, ma li lasciai fare.

Dopo aver visto fallire i loro tentativi per più di un’ora li raggiunsi continuando a ridere. Presi l’ultima erba ghisal che ci era rimasta e tornai dopo poco con due esemplari per loro due.

- Dopotutto ero la figlia di un allevatore di chocobo! – esclamai spronando Lei Lan alla corsa, partendo tutti e tre in direzione di Junon.

 

- Come sai che vive ancora qui? – domandò Andrej salendo dietro di me le scale per l’appartamento di Shin.

Digrignai i denti. – Non lo so, And. Lo sto solo sperando tanto tanto altrimenti dovremo appena metterci a cercarlo.

- A che piano hai detto che si trova? – si intromise Kurenai prima che lui ed io cominciassimo a litigare, come spesso accadeva in queste situazioni.

- Secondo piano – ripetei. – Ci siamo. Si trova in fondo a questo corridoio.

Mi fermai sull’ultimo scalino. Mi sentivo un groppo alla gola. Cosa sarebbe successo una volta percorsi quegli ultimi metri e avessi bussato a quella liscia porta verde. Avrebbe aperto mio fratello o uno sconosciuto? E se Shin davvero viveva ancora lì, mi avrebbe riconosciuta? Avevo immaginato questa situazione così tante volte nella mia mente nei quattro anni passati, avevo vagliato ogni possibilità.

Vedendo che non sembravo avere intenzione di muovermi, Kurenai mi spinse con forza sulla schiena e solo i miei riflessi mi permisero di mantenere l’equilibrio senza aggrapparmi alla balaustra.

Mi girai a fissarla con rimprovero. – Un attimo – sibilai tra i denti.

- Guarda che è inutile tergiversare – mi rimproverò Kurenai salendo gli ultimi scalini e appoggiandosi alla balaustra per guardare in basso, verso la strada, dove avevamo lasciato Lei Lan e gli altri due chocobo ad aspettarci. – Se aspetti un’illuminazione o qualcosa del genere non arriverà, e lo sai.

Andrej invece fece spallucce. - E poi magari non abita nemmeno più qui.

Raddrizzai la schiena. – Ora vado – dissi e raggiunsi la porta dell’appartamento senza nemmeno respirare. Ripresi una boccata d’aria solo dopo aver suonato il campanello.

Sentii dei passi avvicinarsi dall’altra parte della porta. Il cuore mi martellava una piccola marcia nel petto. Lanciai un’occhiata veloce verso Kurenai e Andrej: erano di fianco a me ma avevano comunque lasciato un paio di passi di distanza tra di noi, in modo da lasciarmi un po’ di spazio.

La porta si aprii e davanti a me c’era Shin. Fino a un momento prima non avrei saputo dire che emozione avrei provato vedendolo di nuovo dopo tanto tempo, che tipo di reazione avrei avuto. In quel momento, l’unica cosa che mi sentii di fare fu sorridergli. Nonostante l’imbarazzo, nonostante quel soffio di paura che provavo per quello che era successo, ero felice di rivedere mio fratello maggiore.

L’espressione sulla sua faccia però non cambiò. Rimase freddamente cordiale, con un filo di curiosità, forse un po’ confusa: l’espressione di chi si trova davanti a un estraneo. Non mi aveva riconosciuta.

Da mio fratello mi ero aspettata qualcosa di più, ma una parte di me lo capiva. Negli ultimi anni ero diventata una donna: gli ultimi tratti infantili erano svaniti, i lunghi capelli con i quali mi aveva sempre visto erano spariti, sostituiti da un corto taglio che nel nostro villaggio raramente si vedeva anche addosso agli uomini, e i miei occhi… beh, i miei occhi erano diventati verde acqua.

- Shin – gli dissi. – Sono io – feci una pausa, sperando che bastasse quello per accendere un bagliore di riconoscimento nel suo sguardo. – Sono Yuri – aggiunsi quando questo non successe.

Solo allora Shin sbarrò gli occhi. – Com’è possibile? – esclamò con la bocca spalancata ma già con le braccia distese per stringermi in un abbraccio. Sorrisi ancora più di prima e lo abbracciai a mia volta.

– Credevamo che fossi morta! – mi spiegò guardandomi in viso, registrando tutti i cambiamenti che erano avvenuti in me. Mi sfiorò i capelli con un sorriso ironico, se c’era una persona che poteva capire perché li avevo tagliati, era lui, ma quando si rese conto del colore dei miei occhi, la sua espressione si scurì.

- I tuoi occhi sono di un colore diverso – notò con tono piatto.

Mi sciolsi dal suo abbraccio. – Oh, sono solo lenti a contatti – gli spiegai sforzando una breve risata. Non potevo certo dirgli la verità. – Sono molto di moda a casa.

Feci un gesto verso Kurenai. Notando i suoi occhi color rubino, Shin sembrò accettare la mia spiegazione e mise l’argomento da parte. La fissò ancora per un lungo istante, prima di tornare a guardare verso di me. Sapeva di aver già visto Kurenai da qualche parte, dopotutto avevano trasmesso l’incoronazione per televisione quando era successa. Trovai assurdo che mio fratello avesse più facilità a riconoscere un’estranea che aveva visto in televisione piuttosto che me. Credo comunque che non collegò Kurenai alla reggente di Wutai, non in quel momento comunque, e con una leggera scrollata di spalle spostò di nuovo l’attenzione su di me.

- Sì, ma dove sei stata? – volle sapere notando certamente la scelta che avevo fatto del termine ‘casa’ visto che entrambi sapevamo che non stavo parlando di Nacom.

- A Wutai.

Corrugò la fronte ancora di più. – Perché non hai mai scritto?

Distolsi lo sguardo, spostandolo sul muro dietro di lui. Tornai a guardarlo. – Non ci sono riuscita.

Shin fece un passo in avanti afferrandomi per le spalle. – Dov’è Sephiroth? Quel…quel mostro.

Mi irrigidii. Non mi piaceva quando le persone diventavano così fisiche con me. – Non lo so. Dov’è Seimei?

Sentendo il nome dell’unico altro membro della nostra famiglia ancora in vita, Shin mi lasciò andare e fece un passo indietro, tornando sotto lo stipite della porta. Si passò una mano sul viso e sospirò. – Ti ricordi quattro anni fa, quando sei venuta a trovarmi?

Feci un verso affermativo.

- Ricordi quelle strane persone che abbiamo incontrato alla fiera?

Sospirai e mi coprii gli occhi con una mano, massaggiandoli con indice e pollice. Questa davvero, davvero, davvero avrei preferito evitarla, pensai. Avevo saputo dal primo momento in cui li avevo visti che mi avrebbero portato guai. – Le truppe di Nanaki – conclusi stancamente.

Shin mi guardò sorpreso dal modo in cui li avevo chiamati. Tutti li conoscevano come Progetto Jenova o, ancora più semplicemente, come le truppe di Cosmo Canyon. Erano poche le persone che le conoscevano con quel modo.

- Sì. Come fai a saperlo?

Abbassai la mano e riaprì gli occhi. – Me ne ha parlato Vincent Valentine.

- Vincent Valentine? – ripeté mio fratello, sempre più confuso. – Il reggente di Wutai?

- Non è più il reggente di Wutai – lo corressi e a quel punto non me ne fregava niente di non essere chiara. Di trovarmi faccia a faccia con una setta di fanatici non era mai stato nei miei piani. – Seimei? – insistetti.

Shin era tornato a fissare Kurenai. Dopo un attimo spalancò gli occhi. L’aveva riconosciuta ma non disse una parola a riguardo.

- Dopo – fece una brevissima pausa, in cerca del termine giusto – “l’incidente” è venuto qui, naturalmente. All’inizio non ero nemmeno riuscito a capire di cosa stava parlando. Ci sono voluti due giorni prima che riuscisse a spiegarmi cosa era successo.

Si fermò a guardarmi, ripensando a chissà cosa. – Ancora adesso, non so quando bene sia stato di ricordarsi i fatti. Quello che so è che era certo che fosse tutta colpa di Sephiroth. – si lasciò scappare una risata nervosa. – Sephiroth, capisci? Un uomo morto da cento anni era venuto a casa nostra per uccidere la mia famiglia e dare fuoco alla mia casa. Non riuscivo a credergli ma lui ne era così certo – sospirò, cominciando a tormentarsi l’orologio che aveva legato al polso. – e ha deciso che l’avrebbe trovato per ucciderlo.

Shin scosse la testa con una smorfia. – Non potevo andare con lui. Avevo un lavoro, mi sto per sposare, io… non potevo lasciare tutto per andare a inseguire un fantasma. Poi ha incontrato il progetto Jenova. È andato a Cosmo Canyon, è entrato a far parte delle truppe. Lo hanno addestrato, credo. Sono dalle tracce di Sephiroth da quella volta. Io ormai sono anni che non lo vedo più. Ogni tanto mi invia delle lettere ma non parliamo più tanto. – Scrollò le spalle. – L’ultima volta che ho sentito Seimei, più di tre settimane fa, sembravano sulla buona strada.

Sentii un brivido scendermi lungo la schiena. Se le truppe di Nanaki fossero riusciti a trovare Sephiroth ci sarebbe certamente stato uno scontro. Sephiroth avrebbe combattuto. Non credevo che un branco di soldatucci potesse essere in grado di sconfiggerlo, ma se anche fosse stato, il numero delle vittime sarebbe stato alto. – Come faccio a trovarlo? – scattai preoccupata.

- L’unica è andare a Cosmo Canyon ma, Yuri, non credo sia una buona idea – mi disse mentre avevo già cominciato a girarmi per tornare dai chocobo e rimetterci in viaggio.

- Devo andare. Seimei potrebbe essere in pericolo – gli spiegai cominciando ad allontanarmi.

Shin mi afferrò un braccio, fermandomi. – Hai tutto il diritto di volerti vendicare – mi rassicurò condiscendente. – Ma devi essere realistica. Non è compito tuo questo. Devi lasciar fare a chi ne è in grado.

- Io… - cominciai, per spiegargli la situazione. Si stava preoccupando per me non sapendo che erano anni ormai che ero in grado di occuparmi di me stessa.

- Devi capire che non è qualcosa di cui si dovrebbe occupare una ragazza – continuò lui senza ascoltarmi. – Devi lasciare che se ne occupino gli uomini.

Sentii distrattamente Andrej fischiare tra i denti e annotai tra me e me di dargli un bel pugno più tardi. “Non stuzzicate la tigre” borbottava sempre in quelle situazioni.

Ero una persona diversa. Non avrei più permesso a nessuno di mettermi i piedi in testa, di dirmi quello che potevo o non potevo fare. Pensare di potermi dire cosa dovevo fare.

Gli sorrisi dura, forzatamente. Appoggiai una mano sulla sua facendo una lieve pressione. – Lasciami andare – gli dissi. Aspettai un momento, quando lui non lo fece, mi tolsi la mano dal braccio e feci per allontanarmi ma Shin mi afferrò ancora una volta, con più forza di prima. Fino a qualche anno prima, mi avrebbe lasciato dei lividi della forma delle sue dita su tutto il braccio.

- Non ti permetto di andartene.

Per un attimo, vidi rosso. Alzai lo sguardo per fissarlo con gli occhi che mi scintillavano d’ira.

- Tu non hai idea di come stanno le cose – gli ringhiai contro. – È una cosa che posso fare io e soltanto io. È una cosa che devo fare da sola – afferrai il braccio con cui mi stava trattenendo, utilizzando senza fatica la stessa forza che stava usando lui, non di più o avrei potuto fargli dei danni permanenti, e costringendolo a mollare la presa. Mi guardò allibito. – Non permetterò più a nessuno di pormi su uno scalino più in basso di loro. Nessuna donna, nessun uomo. Nessuno. Mai più.

Solo allora Shin capì, glielo lessi nello sguardo. Realizzò che la katana e la pistola che portavo con me con tanta disinvoltura non erano né per bellezza né per fare scena. Capì che non poteva cercare di usare su di me i metodi che si erano sempre usati nella nostra famiglia, perché non lo avrei permesso. Vidi un’ombra di vergogna in lui quando realizzò che aveva cercato di comportasi con me come nostro padre aveva sempre fatto, ma lo perdonai: non si può crescere in una famiglia come la nostra e uscirne intatto, ma se solo ci avesse provato un’altra volta gli avrei spezzato il braccio. Lo sapevo io e lo sapeva anche lui.

Gli presi la testa tra le mani e gli appoggiai un bacio sulla fronte prima di girarmi per andarmene. Infilai due dita tra le labbra e fischiai, richiamando i chocobo. Appoggiai una mano sulla balaustra e mi tirai su, mantenendomi in equilibrio sul ginocchio, pronta a saltare. Mi girai a guardarlo un’ultima volta.

- Non sono più la piccola ragazza del villaggio. Sono la tigre di Wutai. Lo decido io il mio destino!

Saltai e atterrai in groppa a Lei Lan. Andrej e Kurenai mi seguirono un attimo dopo. Incitammo i chocobo e partimmo di corsa. Destinazione: Cosmo Canyon.

 

 

Eccolo qua. Come al solito mi scuso per il ritardo -.- la vita, la pigrizia e uno splendido blocco dello scrittore si sono messi in mezzo. Per farmi perdonare (per l’ennesima volta) ecco un bel capitolo lungo lungo. E una notizia! …mancano solo due capitoli alla fine. Ebbene sì, mi sono messa e ho fatto quattro calcoli con la trama e in due capitoli (belli lunghi anche loro, eh!) avrò finalmente finito Il mio maestro. Dai che manca poco!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Un super ringraziamento a “the one winged angel” che è stata così gentile da leggere il capitolo in anteprima e mi ha dato dei preziosi consigli per migliorarlo e renderlo più omogeneo. Un bacione :-*

Negli appunti mi ero segnata una scena da mettere subito dopo che Yuri, Andrej e Kurenai saltano in groppa ai chocobo ma scrivendo ho realizzato che…questa storia è in prima persona xD Lo so, dopo ventisei capitoli avrei dovuto accorgermene :-p e insomma, ho dovuto tagliare questa scena… mi dispiace un po’ quindi ve la ripropongo qui, dal punto di vista di Shin. Sono solo poche righe, non emozionatevi ;) Un bacio a tutti. Alla prossima!

 

Shin corse alla balaustra e guardò dabbasso. Vide sua sorella allontanarsi cavalcando fieramente un chocobo nero. La seguivano il ragazzo e la ragazza che l’avevano accompagnata fino a quel momento. Ricordandosi l’aspetto di entrambi realizzò la loro identità. Andrej Carpov e Kurenai Kusaragi Valentine.

Ma allora chi era sua sorella? Chi era la donna che gli era comparsa davanti? La fiera guerriera seguita dai regnanti di Wutai?

- Yuri, chi sei diventata?

 

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Capitolo 27
*** Cosmo Canyon ***


27. COSMO CANYON


Se potessi… viaggerei. Vorrei vedere tutto il mondo.”

Era notte. Il cielo un mare brillante di stelle. Stavamo distesi sulla schiena, uno accanto all’altro, il mio fianco contro il suo. Lui mi stringeva la mano e, mentre parlavo, mi sfiorava il dorso con le labbra. Le sentii inclinarsi verso l’alto in un lieve sorriso.

Da sola?” Il suo respiro mi scaldò la pelle.

Girai la testa verso di lui e strofinai la fronte contro la sua spalla. “Immagino che qualcuno potrebbe venire con me, se volesse.”

Lui si girò su un fianco per potermi guardare negli occhi. “Io credo che vorrebbe.” Poi si chinò per baciarmi.


Mi svegliai con un sussulto. Non aprii gli occhi, respirai a fondo un paio di volte per prendere tempo. Cercai di trattenere nella mente le immagini che avevo visto in sogno ma i ricordi stavano già cominciando a scivolare via. Quanti anni erano passati.

Aprii gli occhi, il cielo sopra di me era ancora scuro ma cominciava a mostrare i primi segni dell’alba.

Voltai la testa verso sinistra, Kurenai e Andrej stavano ancora dormendo beatamente nei loro sacchi a pelo. Sorrisi, felice di averli lì con me. So che avrei potuto benissimo portare a termine la mia ricerca anche senza di loro ma sapere che erano venuti con me per aiutarmi e sostenermi mi dava la consapevolezza di non essere da sola. Una sensazione che avevo provato poche volte nella mia vita, prima di aver incontrato Sephiroth.

Mi alzai facendo attenzione a non fare rumore. Arrotolai il sacco a pelo e caricai le nostre provviste sui Chocobo in modo da dare loro qualche minuto in più di sonno.

Pochi minuti dopo Andrej grugnì e seppi che si stava svegliando. Uso il termine grugnire generosamente: era più simile al rumore che faceva un Behemot quando moriva.

- Porca vacca cos’era quello? – esclamò Kurenai balzando in piedi. Si guardò intorno allarmata, quando posò gli occhi su di me capì. Si batté una mano sulla fronte. – Andrej, alzati prima che ti faccia rotolare a calci fino al fiume.

Scoppiai a ridere.


- Non... me lo immaginavo così. – commentai quando ci trovammo di fronte a Cosmo Canyon. Davanti a noi c’erano solo terra e roccia rosse. Brulle. Solo qualche ciuffo d’erba cresceva ogni pochi metri ma non si poteva parlare di vera vegetazione e Cosmo Canyon era una specie di piccolo ammasso di case di pietra accatastate sulla cima di una formazione rocciosa. Il cancello di acciaio era l’unica cosa che donava al posto un’aria vagamente autoritaria.

Andrej diede voce ai miei pensieri. - Non è il posto in cui mi aspetterei di trovare un esercito.

- Perché, Wutai? – Kurenai buttò la testa all’indietro con quella risata chiara e squillante che la caratterizzava.

- Wutai ha delle mura? – sorrisi inclinando la testa. – E delle case con, non so, due piani e un cortile?

- Chi se ne frega – ci interruppe Andrej cercando di mantenere sotto controllo la propria cavalcatura, non era molto portato. – Tanto dobbiamo trovare Siamei, mica unirci a loro.

- Seimei – lo corressi sovrappensiero.

Kurenai catturò il mio sguardo e mi indicò con un cenno della testa una delle due torri di pietra che circondavano il cancello. Due uomini ci stavano fissando.

Smontai da Lei Lan, dopo un momento Kurenai ed Andrej mi imitarono. Avrei preferito evitare di farmi sparare addosso prima di riuscire a parlare con qualcuno.

Carezzai Lei Lan e le diedi due pacche sul collo. – Vai a riposarti, ragazza. E portati dietro questi due – le indicai gli altri due Chocobo. – Appena avrò bisogno di te ti chiamerò.

Lei Lan gorgheggiò felice e si allontanò di corsa, gli altri due Chocobo subito dietro di lei.

Mi avvicinai al cancello ma prima che potessi provare a richiamare l’attenzione di qualcuno, due uomini uscirono da una porticina laterale.

- Cosa volete?

Feci un passo avanti. – Sto cercando mio fratello. Si chiama Seimei. Mi hanno detto che si trova qui.

- Lo conosco Seimei – disse il primo uomo. – Ma sì, dai – girò la testa verso il secondo. – Quel giovane a cui ha sterminato la famiglia.

- Anche tu vuoi unirti a noi? – il secondo uomo mi si avvicinò. Mi sovrastava in altezza e stava deliberatamente incombendo su di me. Cercava di intimorirmi, senza dubbio. – Ti capisco. Anche io vorrei vendicarmi. Ma questo non è il posto adatto a delle ragazzine.

Gli sorrisi. Dietro di me, sentii Andrej trattenere una risata.

Tirai indietro la testa e lo colpii in mezzo agli occhi. L’uomo cadde a terra come un sacco di patate e Andrej scoppiò in una risata fragorosa.

Sorrisi all’uomo ancora in piedi che mi guardava a bocca aperta. Era così allibito che non aveva nemmeno pensato di tirare fuori un’arma.

- Penso di potermela cavare.

L’uomo mi fece entrare senza dire una parola prima di soccorrere il compagno che si stava contorcendo atterra con le mani sulla fronte.

- Ti prego, Ti – Andrej fece il gesto di asciugarsi le lacrime dagli occhi – se continui a farmi ridere così non ci torno vivo a Wutai. E non per i motivi che credi tu.

- Il motivo che credo io è che ti lancio giù da un dirupo se continui a fare l’idiota. Quanto sono lontana?

- Non siete divertenti. Nessuna delle due! – Andrej puntò un dito accusatore contro Kurenai. – Ricordo benissimo cosa hai detto questa mattina. Questo gioco di “buttiamo Andrej giù da qualcosa” sta diventando vecchio molto in fretta – incrociò le braccia sul petto e mise il muso.

Attraversammo la grande piazza sabbiosa che costituiva il centro del villaggio. Alla nostra sinistra cominciava una scala che si arrampicava sul nostro lato creando la struttura a cono che avevamo riconosciuto avvicinandoci. In cima si stagliava quello che sembrava un osservatorio.

- Sarà lassù? - ipotizzo Andrej facendo un gesto con la mano.

- La tua ipotesi vale tanto quanto la mia – risposi cominciando a salire la scalinata.

Man mano che avanzavamo, fummo in grado di vedere sempre più persone. Erano di tutte le età, o quasi, tutti loro erano abbastanza grandi o abbastanza giovani da poter brandire un’arma. Tutti ci fissarono, alcuni di loro ci indicarono. In realtà, indicavano soprattutto me.

Davanti alla porta dell’osservatorio c’erano altre due guardie che questa volta non ci fermarono. Ci diedero una lunga occhiata e poi ci fecero cenno di entrare.

Vincent mi aveva raccontato di tutti i suoi compagni di squadra, per fortuna, perché anche sapendo chi stavo per incontrare, trovarmi faccia a faccia con Red XIII rimase fu un’esperienza stranissima. Red, o Nanaki, era un’immensa bestia dal pelo fulvo simile a un cane o a un leone. Nonostante l’aspetto feroce, i suoi occhi brillavano di un’acuta intelligenza.

Con un balzo, scese dal soppalco su cui stava riposando e ci si piazzò davanti. Ci girò intorno, proprio come un felino, poi si fermò davanti a Kurenai.

Avvicinò il muso al suo viso e la annusò per alcuni lunghi secondi. Annuì, sembrava compiaciuto.

- Ti ha mandato tuo nonno? Bene, era ora che prendesse una posizione a riguardo – spostò lo sguardo su di noi. - Chi hai portato con te?

- Sono due dei nostri migliori guerrieri. Andrej e Yuri – Kurenai ci indicò. - Potresti aver sentito parlare di Yuri. Abbiamo saputo che suo fratello Seimei si è unito a voi.

Nanaki spostò su di me il suo unico occhio ambrato. - Sì, ho sentito molto parlare di te – si voltò verso una delle guardie. - Andate a chiamare Seimei, ditegli che sua sorella è qui.

- Che cos’è che fate qui, esattamente? - gli domandai senza lasciarmi intimidire dal modo con cui mi fissava.

- Valentine non vi ha detto niente?

- Sappiamo che avete qualcosa a che fare con Sephiroth.

Nanaki fece un verso simile a uno starnuto. - Tipico suo. Lasciare le spiegazioni agli altri. Sì, ho creato questa organizzazione tanti, tanti anni fa. Le persone hanno dimenticato, ma noi no. Nella sua follia Sephiroth ha quasi distrutto il pianeta, è stato sconfitto. E poi è tornato. Per tutti questi anni abbiamo cercato di scoprire tutti i modi, tutti i luoghi che potrebbero farlo tornare, e fermarlo prima che possa di nuovo provare a distruggerci tutti.

Il mio primo impulso fu di scoppiare a ridere, ma mi trattenni. Mi limitai a una smorfia. - Beh, mi sembra che abbiate mancato l’obiettivo di circa tre chilometri.

Nanaki mi guardò, pensai che forse stava cercando di intimidirmi. Ricambiai duramente lo sguardo.

- Qual è il piano adesso? - si intromise Kurenai, percependo chissà che tipo di ostilità tra di noi.

Nanaki spostò l’attenzione su di lei. - Dobbiamo distruggerlo – sospirò – prima che diventi un nuovo potente semidio.

Sollevai un sopracciglio. - Come fate a sapere che non lo sia già? È già in giro da anni. Perché aspettare fino a questo momento?

- Perché è rimasto nascosto. Abbiamo saputo della sua ricomparsa proprio da tuo fratello in seguito agli eventi di quella notte. Sono anni che lo cerchiamo e solo poche settimane fa, per la prima volta dopo anni, ci è giunto un indizio su dove trovarlo.

- Dove?

Nanaki mi fissò, il suo sguardo era cauto, realizzai. Mi domando cosa stesse pensando su di me. Aprì la bocca per rispondere quando un rumore di passi richiamò la nostra attenzione.

Ci voltammo verso la porta da cui eravamo entrati e lì vidi Seimei per la prima volta dopo così tanti anni. Feci un passo verso di lui, improvvisamente a corto di parole.

Anche lui mi guardava, muto. Lo vidi corrugare la fronte. Feci ancora qualche passo verso di lui, ormai eravamo vicini, quasi uno di fronte all’altro, e da quella distanza potei vedere i lineamenti del suo viso mutare nel momento in cui mi riconobbe. Almeno, pensai amaramente, ci ha impiegato meno tempo di Shin.

- Yuri – sussurrò incredulo. Senza aspettare una risposta da parte mia, fece un balzo in avanti e mi circondò con le braccia. - Yuri – ripeté, la voce carica di emozione.

- Va tutto bene – gli appoggiai una mano sulla nuca e gli accarezzai i capelli.

Ci allontanammo quel tanto che bastava per poterci guardare negli occhi, ancora uno tra le braccia dell’altro. Seimei trattenne un singhiozzo. - Credevamo che ti avesse ucciso, - mi disse, ripetendo quello che mi aveva già detto Shin.

Ignorai il suo ultimo commento. - Sei, questa… questa è una setta. Come ti sei sognato di unirti a loro? - gli domandai sottovoce. Era una delle domande che aveva continuato a girarmi in testa da quando avevo avuto la notizia da Shin.

Lo scrutai negli occhi mentre attendevo una risposta, e quello che vidi mi lasciò a bocca aperta. Un brivido freddo mi percorse la schiena. Alzai le braccia e gli afferra i lati del volto. Avvicinai il mio viso al suo, osservandogli gli occhi. Non potevo crederci. Forse non volevo crederci.

- Mako? - la voce mi uscì strozzata. - Hai perso il lume della ragione?

Seimei alzò il mento, orgoglioso. - Tutti noi siamo stati esposti all’energia Mako. - Era così fiero. Volevo vomitare. - È l’unico modo per poter avere una speranza di sconfiggere quell’assassino.

Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e feci un passo indietro. Scossi la testa. - Oh, Sei. Capisci così poco…

- Proprio tu parli.

Sollevai un sopracciglio e incrociai le braccia, aspettando che mi dicesse il resto.

Lo vidi deglutire. - Proprio tu parli, - ripeté – ma anche i tuoi occhi sono cambiati.

Mi strinsi le spalle, tornando per un secondo indietro con la mente, a Sephiroth e al Lifestream. Scossi la testa. - Questo non è Mako, Sei. È una cosa del tutto diversa.

Restammo tutti in silenzio. Potevo sentire gli occhi di Kurenai e Andrej che ci osservavano e, suppongo, anche quelli di Nanaki, ma in quel momento non riuscivo a staccare gli occhi da mio fratello.

Nemmeno Seimei sembrava più sapere cosa dire per un lungo momento. - Non ti ho chiesto cosa ci fai qui – mi disse dopo aver raccolto i pensieri.

- Ti stavo cercando – ero consapevole di quanto la mia risposta potesse sembrare elusiva. Vedevo che anche Seimei se ne era reso conto ma per qualche motivo, decise di non insistere.

- Cosa farai adesso? - mi chiese invece.

- Il mio piano consisteva quasi completamente nell’arrivare qui – mentii. - Ma, - aggiunsi dopo un secondo, chiedendomi se stavo dicendo le cose giuste. - Lo sto cercando anche io. Venire con voi mi da maggiori probabilità di trovarlo.

Vidi negli occhi di Seimei il momento in cui realizzò che la sua presenza qui, che l’esserci ritrovati, non era che una felice coincidenza. Che era solo uno scalino verso il mio vero obiettivo: Sephiroth.

Il suo viso è sempre stato un libro aperto e potevo vedere uno per uno i pensieri che si susseguivano nella sua mente. Aiutarmi? Non aiutarmi? Certo, voleva vendicarsi ma ormai anche il desiderio di gloria era presente in lui. Forse la mia presenza lo avrebbe messo in ombra in qualche modo? Sono sicura che capisse più di quello che lasciava trasparire, su quello che era successo tra me e Sephiroth.

Alla fine, però, decise in mio favore. Si voltò a guardare Nanaki - Faccio io da garante per Yuri.

Nanaki annuì. Sospirò. - Preparatevi allora. Lo abbiamo trovato, finalmente. Sephiroth si trova alle rovine di Midgar.

Seimei scattò sull’attenti e corse via.

Io mi girai verso Kurenai e Andrej. Ci scambiammo uno sguardo d’intesa e ci incamminammo di nuovo verso l’entrata di Cosmo Canyon per partire con le truppe.


È un aereo? È un uccello? NO! È un capitolo. Il cui sottotitolo potrebbe essere “non importa che sia bello, importa che sia scritto”: nuova filosofia di vita.

Scherzi a parte, chi non muore si rivede eccetera. Ve lo dico, il prossimo capitolo è l’ultimo, quindi...altri sei anni? (ma come NON sono divertente). Ci provo, giuro ma ormai scrivere questa storia è come cavare il sangue da una rapa. Spero comunque che vi piaccia e ci vediamo col finale!

(ps. Yuri che va in giro a dare testate alla gente KroganStyle è la mia nuova cosa preferita).

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