Good life

di Fish_789
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova vita ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Una nuova vita ***


                                                        Capitolo 1
                                                   Una nuova vita
            

Santana era esausta. Aveva camminato per chilometri, concedendosi poche, accurate pause. Ma non c’era mai stato il tempo di riposarsi. Se si fosse fermata troppo a lungo in un luogo, il suo odore avrebbe attirato spiacevoli incontri: era sola, quasi disarmata e non aveva la più pallida idea di dove le sue gambe la stessero conducendo. Cambridge non è esattamente un posto adatto nel quale cercare rifugio, quando ci si trova in mezzo a un agglomerato di villette che si estendono per miglia e sei consapevole che uno di quei cosi, potrebbe assalirti da un momento all’altro. Uno zombie. Era strano come  il solo pronunciare quella parola nella propria mente, ti condizionasse. Per questo motivo, Santana, aveva semplicemente smesso di pensare. Altrimenti avrebbe rischiato che le immagini scioccanti delle scene a cui aveva assistito, prendessero a scorrerle nella testa come un fiume in piena, inarrestabili. Un misto tra urla, sangue, rantoli, fughe, lacrime, paura….ebbe uno spasmo al capo. Un tic nervoso. Doveva smetterla con i suoi monologhi interiori. Sbattè violentemente il piede atterra, stizzita, colta da un involontario movimento del braccio destro, che picchiò sulla sua gamba e iniziò a tremare. Sapeva di essere sull’orlo della pazzia. Non aveva contatti con un essere umano da giorni. La notte non riusciva a prendere sonno, li sentiva che si muovevano, in cerca di vittime. Allora aspettava, seduta sul tetto di qualche costruzione, rannicchiata su se stessa, le braccia a raccogliere le gambe e il viso insaccato, attendendo l’alba, la luce, impaziente di poter tornare a vedere. Non mangiava dalla mattina precedente. Il suo stomaco era totalmente disabilitato: l’ultima volta si era nutrita di tonno e salsa di pomodoro scaduta rimediata da alcune scatolette rinvenute nello scheletro di un piccolo negozio di alimentari. Era stata perseguitata da crampi laceranti e fitte continue, vomitando tutto ciò che aveva ingurgitato. Con sé non aveva nulla. Portava una mazza da baseball, appartenuta a suo fratello, grazie alla quale adesso poteva dirsi ancora viva. Il legno duro con cui era fatta la rendeva un’arma micidiale. Ma a forza di spaccare crani, la parte terminante dell’oggetto era andata in frantumi, e ogni volta che la maneggiava, doveva accurarsi di non avvicinarla al volto, per non rischiare di essere ferita da qualche scheggia. C’era un caldo torrido che la perseguitava, rendendo la sua pelle umida al minimo movimento. Puzzava. Brutalmente. Ma oramai il suo odore non lo riusciva più a distinguere dal fetore dell’aria, causato dai corpi in decomposizione che puntellavano i bordi delle strade. L’ultima volta che si era fatta una doccia??tre giorni prima…forse. Non lo sapeva neanche lei, non sapeva da quanto tempo vagava per le strade in quello stato. Sentiva i piedi bruciare fastidiosamente e le gambe pulsare di dolore. La testa aveva smesso di funzionare correttamente. Sperava solo che non l’abbandonasse il suo cuore, senza il quale non avrebbe più potuto camminare, senza il quale non avrebbe più potuto salvarsi, perché sapeva che c’era un centro di sopravvissuti a Boston, lei doveva solo avere la forza di resistere…
Cadde sulle ginocchia, senza avvertire realmente l’impatto con l’asfalto. Era per caso la fine, quella? no. No, perché altrimenti non avrebbe camminato così tanto; non avrebbe ucciso ogni volta che aveva dovuto; non avrebbe continuato a pregare durante le notti insonni, piangendo silenziosamente in preda a attacchi di panico, soffocando i gemiti nella maglietta per non farsi sentire, per non farsi trovare. Perché altrimenti si sarebbe fermata. In mezzo alla strada, attendendo la morte. Infilò una mano nella canottiera, sfilando la fotografia che teneva tra il seno destro e il reggiseno, dove i battiti del suo cuore scandivano il lento passare del tempo. I bordi erano sbiaditi e sbeccati, l’immagine era sciupata. Raffigurava tre ragazzi, abbracciati sullo sfondo di un prato verde smeraldo. Avevano gli stessi lineamenti del viso: tre adorabili paia di fossette si disegnavano sul volto di ognuno, mentre sorridevano all’obbiettivo. Un bel ragazzo sulla quindicina stringeva le sue due sorelle, tra le quali spiccava Santana, più grande rispetto all’altra. I tre Lopez. La giusta combinazione di litigi, pianti, urla e risate che portavano i loro genitori all’esasperazione più totale. Erano inseparabili. Chissà dov’ erano…. La ragazza sospirò frustrata, tremolante, alzando gli occhi al cielo, l’unico elemento che sembrava non essersi mutato. E poi qualcosa attirò la sua attenzione. Non un movimento. Bensì un rumore. Un suono che Santana era sicura di aver udito migliaia di volte, ma che in quel momento non riusciva a identificare. Rimise al suo posto la fotografia. Rizzò le orecchie e aguzzò la vista. Davanti a sé, un puntino nero, procedeva nella sua direzione. Qualcosa di simile a un’ondata di speranza si fece largo nel suo petto e senza sapere come, le gambe trovarono la forza di sollevarla nello stesso istante in cui la sua testa si risvegliò dallo stato di trance in cui era piombata e le dava la risposta al quesito. Un motore. Quello era il borbottio di un motore. L’auto si faceva sempre più vicina. Istintivamente Santana prese a camminare verso la macchina alzando le braccia e agitandole sopra il capo, per farsi notare. E quando la piccola gip si arrestò a pochi metri da lei e fu certa di vedere un essere umano scendere dal mezzo, l’emozione fu troppa. Svenne. Svenne con l’ombra di un sorriso sul volto, sentendo i muscoli tendersi per un movimento al quale non era più abituata. Perse i sensi, ma fu come trovare sollievo dopo una lunga agonia. Strinse le dita attorno alla mazza, prima che tutt’attorno, piombasse l’oscurità.
                                                                                                                                              
                                  *********
 
Non si è ancora svegliata?”    
“No. È in condizioni pietose. Dorme da quando l’ho portata qui. Si sveglia solo a tratti, ma penso abbia la febbre, è delirante. Ho provato a darle un po’ d’acqua. Però per adesso non ragiona. E puzza come una fogna.”
“Puck!”
“Scusa. Speriamo tenga duro.”
“Non aveva ferite?”
“No, a parte qualche contusione e un po’ di lividi.  Chissà da dove arriva.”
“Deve aver camminato un bel po’, cavolo le hai visto i piedi? Sono gonfissimi.”
“ Le ho spalmato una pomata per aiutarla, ma non ho medicinali. Ci vorrebbe qualcosa per abbassarle la temperatura."
“ E dove ce lo procuriamo? è già tanto se abbiamo cibo a sufficienza.”
                                      
                                  *********
 
Stava correndo. Lungo una strada totalmente deserta, se non per i resti delle macchine diroccate e il disordine degli oggetti che puntellavano il percorso come ostacoli. Degli infetti la stavano inseguendo ed erano sempre più vicini. Attorno a se ombre sfuggenti la attorniavano e le tenebre circondavano la sua fuga. Allungò il passo, ma il vuoto la inghiottì improvvisamente. Si sentì afferrare bruscamente da tutte le parti e sbattere violentemente al suolo: le si gettarono addosso come un’unica cosa e…
“Mamma! noo!!!”
Scattò a sedere, svegliandosi di colpo. Un’ondata di calore la investì, i vestiti appiccicati alla pelle, il fiatone per quell’incubo orrendo… dove si trovava? Aspettò che la testa smettesse di girare, accorgendosi della superficie morbida che le sue dita sfioravano. Un divano. Gli occhi misero a fuoco lentamente una stanza e tra il buio indistinto delle cose scorse una poltrona, un televisore, degli abiti ammucchiati in un angolo….una figura fece capolino dal corridoio che fronteggiava il suo giaciglio. La gip! L’uomo che scendeva dall’auto…. ma poi cos’era successo?
“Ehi.”
Un sussurro dolce le giunse alle orecchie. Una ragazza entrò discretamente nella camera e si avvicinò a una sedia che Santana non aveva notato. Accese una abat-jour appoggiata sullo sgabello, e le si avvicinò cauta.
“Io sono Brittany, faccio parte di un gruppo di sopravvissuti rifugiati a Boston. Puoi stare tranquilla, qui sei al sicuro.”
Santana sgranò gli occhi. Era salva.
“Oh, Dio….non ci posso credere.”
Si portò una mano alla fronte, che trovò madida di sudore.
“D-“ si schiarì la voce “ da quanto tempo dormo?”
“Da quando sei arrivata, circa mezza giornata. Ti sei svegliata a tratti, ma eri delirante.”
“Oh.”
Incapace di aggiungere altro, si accorse come la gola le stesse bruciando e la testa pulsasse insistentemente.
“Potrei avere dell’acqua?”
“Certamente.”
La ragazza sparì nell’oscurità del corridoio. Santana iniziò a percepire lentamente la sensibilità del corpo, e con essa il dolore. Le gambe le sembravano due aste di legno rigide, i piedi  che sbucavano dalla coperta che la copriva erano due meloni gonfi, deformati e palpitanti…. Con un gesto veloce della mano si scoprì, era già rovente come un forno. Indossava gli stessi abiti che aveva quando l’avevano trovata, sporchi e stracciati. Nei punti rotti, si intravedeva la pelle graffiata e recisa da tagli evidenti. La maglietta era piena di sangue secco incrostato. Tanto era impegnata a osservare il sudiciume che la copriva, con smorfie di evidente disgusto, che non si accorse che Brittany aveva fatto capolino nella stanza.
Le poggiò una mano sulla spalla, facendola sobbalzare di sorpresa. Lei sembrò non notarlo.
“Tutto bene? Sembri un po’…pallida.”
Santana bevve d’un fiato l’acqua dal bicchiere che le aveva sporto; in quel momento il suo corpo reagì come se gli avessero somministrato la più potente delle droghe. Il bruciore alla gola si calmò, così come il dolore che provava all’altezza del petto, dovuto forse al fatto che non ingurgitava quasi nulla da giorni. La testa smise di pulsare fastidiosamente e le sembrò che la patina attraverso la quale stava interagendo fosse scivolata via.
“Adesso sto molto meglio.”
Sbattè le palpebre un paio di volte stringendo il bicchiere con entrambe le mani. Un improvviso borbottio gorgogliò dalla sua pancia.
“Penso che il tuo stomaco reclami cibo.”
Sorrise imbarazzata.
“Si. Non mangio da un bel po’.”
“Bene. Vedo di rimediarti qualcosa in cucina.”
“Grazie.”
Brittany sorrise, allontanandosi nuovamente.
Santana si stese, sentendo la schiena scricchiolare sonoramente. Si sentiva bene. Si sentiva al sicuro. Si sentiva anche stanca e un po’ rincoglionita, ma hei, aveva appena parlato con un essere umano. Sorrise nella semioscurità. Il suo sguardo scivolò sulle pareti bianche della stanza, si fermò su un poster rovinato dei OneRepublic accarezzando la scritta a caratteri cubitali sopra le teste dei cantanti. Good life. Che titolo adatto a una situazione come quella. Fece scorrere gli occhi lungo il muro e la sua attenzione fu catturata da un tavolino nell’angolo della stanza. Vi ci si poggiavano delle foto incorniciate, oltre a un mazzo di chiavi. Assottigliò la vista per cercare di scorgerne i soggetti. Individuò il profilo di una donna, probabilmente giovane, un gruppetto di ragazzi che si stringevano e due bambini accovacciati su un  pavimento, abbracciati. Si chiese che fine avessero fatto quelle persone. La pace che regnava apparentemente in quegli scatti le faceva pensare che dovessero risalire a prima dell’epidemia. Si accorse che il silenzio veniva spezzato ritmicamente dal ticchettio di un orologio, appeso sopra l’ingresso del corridoio. Era mezzanotte. Si domandò perché la ragazza ci mettesse così tanto, erano passati ormai dieci minuti da quando l’aveva lasciata. Forse non aveva trovato nulla e le stava frettolosamente preparando un sandwich con ciò che le finiva a tiro. O magari l’attesa era dovuta al fatto che era mezzanotte e non aveva niente di pronto. Udì il cigolio di una porta e il suono di passi. La figura comparì un istante dopo nel suo campo visivo e un odorino stuzzicante raggiunse le sue narici.
“Ti ho portato della minestra. Ho dovuto scaldarla un minimo, era gelida, l’ho tirata fuori dal frigo.”
Santana si issò a sedere ignorando una fitta spiacevole al fianco. Mangiò lentamente, sotto lo sguardo di Brittany, che si era seduta a terra poco distante da lei ,con la schiena poggiata al muro. A ogni cucchiaio la fame si affievoliva e dovette ignorare l’istinto animale di ingurgitarla in un solo sorso.
“Da dove vieni?”
“Lima” Prese un altro cucchiaio di minestra “Oh…”
“Ohio. Già, anch’io arrivo da quella cittadina.”
Santana le sorrise debolmente.
“Io e la mia famiglia siamo scappati per trovare rifugio da qualche parte in America e siamo giunti fin qui; delle persone avevano allestito un campo di sopravvissuti in un parco a Cambridge, mi pare fosse… il Kingsley park, si. Ha resistito una manciata di giorni prima di essere travolto e distrutto. Io sono scappata, sono riuscita a salvarmi e adesso…”Posò il piatto vuoto ai piedi del letto “adesso sono qui…..e tu?”
Brittany strinse i denti. Santana scorse la mascella risaltare sul suo volto con maggiore forza. Aveva gli occhi chiari.
“Io….” abbassò il capo.
Rialzò la testa. Sembrava che la freddezza con la quale l’avesse guardata un attimo prima fosse sparita.
“Io posso dirmi fortunata ad avere ancora le gambe e le braccia al loro posto. A differenza di qualcos’altro.”
Santana non battè ciglio. C’era un doppio senso nelle sue parole?
“Ti vedo stanca. Vorresti riposare ancora un po’?”
“Si, dormirei volentieri.”
 Si stese. Aveva i muscoli totalmente indolenziti, ma si sentiva rinata. Chiuse gli occhi. Percepì il tocco delicato di Brittany sul suo viso. Le stava bagnando la fronte con una pezza umida, scostandole i capelli appiccicati alla pelle. Si domandò dove l’avesse presa.
“Hai avuto un incubo? prima?”
Un sussurro appena accennato.
Aprì gli occhi. Deglutì sorpresa. Il viso dell’altra era a pochi centimetri dal suo. Le sue iridi erano azzurre…come il cielo. Ma un occhio…era decisamente diverso dall’altro, quasi coperto da una velo chiaro….era ceco.
Brittany la guardò non udendo una risposta. Scorse la mano di Santana sollevarsi piano e posarsi sulla sua guancia.
“Tu…sei ceca?”
“Si.”
Rimase ipnotizzata sotto il tocco delicato delle dita della ragazza che le stavano sfiorando dolcemente la pelle. Erano ruvide.
“Ma solo in parte.”
 Santana aveva smesso di respirare.
“Com’è vedere il mondo a metà?”
“Un po’ strano. Ma…finisci con l’abituarti.”
“Deve essere…differente. Ma magari tu riesci a vedere cose a cui io non presto attenzione.”
Brittany sorrise. Il pollice di Santana si piegò spontaneamente a lambire  la curvatura alta delle sue labbra. Un sorriso timido si fece spazio anche sul suo viso.
“Solitamente le persone quando lo vengono a sapere esordiscono con un ‘mi dispiace’.”
“Non è nel mio stile. È una risposta troppo banale.”
Brittany continuò a sorridere. Mosse la pezza sollevandola e buttandola dentro a un secchio ai piedi del divano. Santana, senza riuscire a resistere, le riavviò una ciocca di capelli biondi sfuggita all’elastico dietro all’orecchio e lasciò scivolare la mano.
“Grazie. Per tutto.”
“Figurati.”
Si fissarono per alcuni secondi.
“Torna a dormire.”
La coprì come fosse una bambina. Santana si assopì quasi subito. Avvertì un paio di labbra poggiarsi sulla sua fronte e indugiarvi un paio di secondi.
“Buona notte.”
                         
       

                                  

Angolo del pesce.
E rieccomi! Questa volta mi voglio cimentare in una fanfiction a capitoli, nonostante il fatto sia un tanto negata in questo tipo di storie, ma insomma è più una sperimentazione. L’idea mi è venuta dopo aver visto un film a tematica zombie al cinema (col risultato che ho passato un paio di notti insonni) e ho pensato “diamine la mia prima vera Brittana deve essere qualcosa di scoppiettante”, perciò…. Il primo capitolo me lo sono trascinato per un mese, l’ho stravolto e rivoltato finche non l’ho mandato a farsi un giro e ho preso in mano il seguito. Sono totalmente sommersa dallo studio e la mia preoccupazione è di non riuscire a postare regolarmente ma cercherò di essere puntuale. Spero la storia vi abbia stuzzicato, grazie a tutti coloro che leggeranno e/o mi faranno sapere se è stato un inizio di gradimento;)  alla prossima
 
                                                                        Fish

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


                                                    Capitolo 2

Rimase a fissare il cielo per qualche minuto. L’alba aveva conquistato la notte e il rosso acceso risplendeva sulle strade deserte di Cambridge. Un nuovo giorno. L’inizio dell’ennesima lotta. Si chiese cosa avesse fatto di male l’umanità per meritarsi un piaga di quel tipo. Per caso era stata una punizione divina voluta dal cielo? Era da ormai quattro mesi che infuriava l’epidemia e ancora nessuno era riuscito a trovare una cura o un antidoto per fermare l’infezione. Non si capiva da dove fosse partita. Qualcuno bofonchiava qualcosa riguardo l’Africa, altri blateravano su un virus che era arrivato dall’Europa, i più fantasiosi sostenevano che fosse il risultato di un test condotto su un paio di soggetti in Giappone che non era andato a buon fine. Ma erano tutte parole, ipotesi infondate. Non c’era nulla di basilare in quelle affermazioni. E lui era stanco di lottare. Come tutti, dal resto. Stanchi di fuggire, di dover passare il tempo costantemente armati, di uccidere senza sosta. Si grattò la nuca e poggiò il bicchiere sul davanzale. Si pulì le labbra col dorso della mano. Quando quella guerra, avrebbe conosciuto una fine?
 
 Le prime volte che Brittany aveva usato una pistola, pensava che si sarebbe sentita sporca. Pensava che avrebbe vissuto con il tormento di aver ucciso, per il resto della vita. Ma non fu così. Sensazioni di questo tipo non la sfiorarono nemmeno. Si accorse che uccidere le veniva tanto naturale, che dopo pochi giorni era diventata una routine. Uscivi di casa? Ti portavi la pistola dietro. Sempre. Anche se alla fine l’allarme generale e il coprifuoco erano durati circa un paio di giornate e poi era scoppiato l’inferno ed era stato un continuo fuggi-fuggi. I suoi genitori non li aveva più visti. Erano usciti una mattina per fare la spesa e non erano più tornati. Letteralmente. Lei si era presa cura di suo fratello e capito l’andazzo, aveva imbracciato il fucile da caccia di suo padre e insieme a Puck erano scappati.  Senza una meta ben precisa, ma con la certezza di voler continuare a vivere. E quello era bastato.

“Britt?”

“Mmm?”

“Chi è la ragazza che è arrivata?”

“Una ragazza.”

Il piccolo storse il naso e si girò verso la sorella, alla ricerca del suo volto immerso nel buio della stanza.

“Lo so che è una ragazza. Ma da dove arriva?”

“Da Lima. Come noi.”

“Veramente? Come me, te e Noah! Magari ha visto mamma e papà. Forse li ha incontrati. Britt gliel’hai chiesto?”

Brittany sorrise. Matthew chiedeva sempre, ogni qualvolta ci fosse l’occasione, notizie sui loro genitori. La ragazza non poteva semplicemente dirgli che probabilmente non li avrebbe mai più rivisti e che a quest’ora, sempre ammesso che fossero ancora vivi, non vagassero per le strade alla ricerca di carne umana. Lo avrebbe traumatizzato. Aveva appena sette anni.

“No, ma tra un pò potrai domandarglielo tu. Ora dormi pulce.”

“Non ho sonno.”

“Conta le pecore.”

“Le pecore sono noiose.”

“Prova con i canguri.”

“I canguri? Mi stanno antipatici.”

“Gli ippopotami?”

“Troppo grassi.”

“Le libellule?”

“Si, le libellule mi piacciono!”

“Ecco allora. Buona notte.”

…….

“Ho sete.”

“Dio, che strazio! Vado a prenderti un bicchiere di latte, poi però o ti metti a dormire o ti soffoco con le mie stesse mani!”

“Grazie Britt.”

Il piccolo sorrise soddisfatto nelle tenebre; la ragazza sospirò e si alzò dal materasso. Tastò l’aria strizzando gli occhi. Non si vedeva nulla. Raggiunse lo stipite della porta, e la aprì. Infilò il naso nel corridoio. La cucina era illuminata.  Sgattaiolò sul tappeto cercando di fare il meno rumore possibile e sporse il viso nella stanza.

“Puck, tutto bene?”

“Ehi Britt. Si, mi ero alzato per un po’ di latte. Tu?”

“ Stesso identico motivo. Da quando hai rifilato questo vizio a Matt, credo che nell’arco di un paio di settimane riuscirà a sostituire il latte all’acqua.”

“Be, fa bene alle ossa.”

Il ragazzone sorrise all’occhiata lancinante di Brittany.

“Dobbiamo fare un salto a Boston. Abbiamo quasi finito le riserve di cibo.”

“Posso andare io, se vuoi. È già l’alba, se uscissi adesso farei un viaggio meno movimentato.”

La ragazza riemerse dal frigo col cartone di latte in mano.

“Si, sarebbe una buona idea. Ti scrivo una lista delle cose da prendere. Tu intanto porta il latte a Matt, o rischia di avere una crisi epilettica.”

Puck ridacchiando sfilò il contenitore dalle mani della ragazza, riempì un bicchiere e scivolò fino alla camera del bambino. Noah era possente, ma sapeva muoversi in modo silenzioso. Quando erano fuggiti dall’Ohio, avevano girovagato per alcune settimane, prima di stabilirsi a Cambridge. Il ragazzo aveva imparato a sue spese che più si era rumorosi, più si avevano grattacapi. Sapeva gestire la sua mole almeno quanto Brittany sapeva muoversi in modo aggraziato.

“Ehi campione!” sussurrò.

“Zio Puck!”

“Ti ho portato il latte”

Il bambino scese dal letto zompettando  e ingoiò in una sola sorsata tutto il contenuto del bicchiere.

“Ma così ti farai venire mal di pancia.”

Si leccò le labbra e scosse la testa.

“No, tanto sono abituato. Zio Puck?”

“Si?”

“Sai per caso qualcosa su quella nuova?”

“Quella nuova?”

“La ragazza che dorme sul divano.”

“Oh….no, perché ti interessa?”

“Magari lei ha visto i miei genitori. Magari sa dove sono.”

Noah vide gli occhietti del piccolo riempirsi di speranza.

“Sono sicuro che li ha incontrati, sai?”

Matthew si ravvivò subito.

“Davvero?”

“Certo. Ora però torna a letto, io esco per fare un paio di commissioni, non fare arrabbiare Britt e comportati da ometto.”

“Poi torni vero?”

“Sicuro. Qua il pugno.”

Matt battè il pugno contro quello del ragazzo. Puck gli lasciò un bacio in fronte e lo spedì sotto le coperte.

 *********
 
“Noah, tieni il foglietto.”

Brittany  gli porse un post-it giallo.

“Allora, cerca di prendere quanta più frutta e verdura, specialmente adesso che siamo uno in più, raccimola acqua, pane e pasta e se riesci scova un pacco di gelati, che Matthew rompe da due settimane; non ti scordare i medicinali e un flacone di detersivo che altrimenti il bucato ce lo scordiamo. Queste erano le cose principali, ma è comunque tutto scritto qua.”

“Va bene. Altro, hai controllato se ci servono vestiti, sapone, dentifricio…?”

“Si ho guardato, per il resto abbiamo scorte sufficienti. Ah magari prendi alcune uova dal contadino, non le mangiamo da settimane. Vai e mi raccomando, per favore” gli prese il viso tra le mani di modo che la guardasse “non fare cavolate.”

Puck si sistemò il fucile a tracolla e mise il biglietto nella tasca posteriore dei jeans.

“Tranquilla mia donzella. Entro mezzogiorno sarò da te.”

Le lasciò un bacio sulla guancia e in un attimo si era già riversato in strada, lasciando Brittany con il solito stato d’ ansia.
 
*******

“Blainnnn!”

“Dimmiiiii.”

“Zio Puck è uscito e Brittany è in salotto a leggere. Io mi annoio, da solo. Puoi giocare con me?”

“Non adesso Matt. Ho alcune cose da fare.”

“Che barba! Posso giocare ai videogiochi?”

“Mezz’ora, non un minuto di più! Sai che poi Britt si arrabbia.”

“Si lo so. Grazie.”

Matthew si appollaiò sul pavimento della sua stanza e accese la console collegata al televisore. Blaine si sporse in salotto.

“Britt, Matt è in camera, io scendo nello scantinato a fare un po’ di esercizi” lanciò un occhiata alla ragazza stesa sul divano “non sarebbe il caso di svegliarla?”

Brittany volse lo sguardo alla figura addormentata placidamente.

“Adesso ci penso io. In effetti sono le dieci, magari se non si alza entro mezz’ora la sveglio. Almeno non salterà il pranzo.”

Blaine annuì,  si voltò e canticchiando, sparì in fondo al corridoio.
Brittany rimase a guardare la sagoma incappucciata sotto le coperte.

“Così però morirà di caldo.”

Si alzò lasciando il libro a terra e si avvicinò al fagotto accovacciato scompostamente sul divano. Delicatamente cercò di liberare la ragazza dalla coperta aggrovigliata disordinatamente al suo corpo, senza svegliarla.

“Mmmmm….Brittany?”

Brittany sorrise dolcemente.

“Mi dispiace, non volevo svegliarti.”

La mora aprì gli occhi e Brittany potè giurare di aver sentito lo stomaco sprofondarle inspiegabilmente dentro la pancia in un gesto spiazzante.

“Buongiorno. Riposata?”

“Assolutamente” rispose soffocando uno sbadiglio e dedicandole un leggero sorriso. Strizzò gli occhi facendoli abituare alla semioscurità della stanza, rischiarita da qualche spicchio di luce.  Era sicura di aver dormito abbastanza tempo da trovare il sole sorto al suo risveglio. Ma allora perché la stanza sembrava buia?

“Bene. Perché…”

“Britt?”

La bionda si voltò verso la voce del fratello.

“Che c’è?”

“La console non va. Deve essersi scollegato qualche filo. Puoi venire a…Oh! Si è svegliata!”

Il bambino si avvicinò corricchiando al divano.

“Io sono Matt. Come ti chiami?”

La mora sorrise sorprendendosi anche della presenza di un bambino: le sembrava di vederci sua sorella, sempre allegra e spigliata.

“Ciao. Io sono Santana.”

“Mi piace il nome Santana….” disse scrutandole il viso alla ricerca di qualche particolare interessante “hai gli occhi neri…” esclamò sorpreso “sono proprio scuri. Io invece ce li ho chiari, come Brittany.”

Santana sorrise facendo passare lo sguardo tra i due: oltre a qual particolare avevano anche gli stessi capelli biondi e la stessa fisionomia del viso.

Matthew sembrò ricordare all’improvviso qualcosa. Alzò le sopracciglia e distese la bocca in un espressione sorpresa.

“Hai per caso visto i nostri genitori? ” domandò mentre stringeva i bordi della maglietta tra le mani “da quando siamo partiti da Lima, non li abbiamo più rivisti ”

Brittany gelò sul posto. Santana corrucciò la fronte notando che si fosse irrigidita come aveva fatto la notte precedente.

“Giusto” mormorò Matt con aria instupidita portandosi una mano alla fronte, “non sai come sono fatti. Allora sono entrambi alti, magri….”

Mentre parlava mimava ciò che le stava descrivendo con gesti enfatici e la ragazza, accigliata, guardò Brittany interrogativamente che, con l’aria seria, mosse lievemente il capo in verticale. Come a imitare un si. Santana riportò lo sguardo su Matthew che stava elencando concentrato le caratteristiche dei loro genitori e lo interruppe sentendo su di se l’intensità dello sguardo della bionda.

“Li ho visti.”

Il bambino si bloccò spalancando gli occhi e mettendosi a saltellare sul posto visibilmente eccitato.
 
“Davvero, davvero, davvero?” domandò a raffica.
 
Santana si sforzò di sorridere annuendo.

“Visto Britt?”

Brittany piegò le labbra in una smorfia intraducibile.

“Sei sicura che fossero loro?”

“Si insomma coincidono alla tua descrizione, biondi, alti, magri…”

“E dov’erano? Com’erano, stavano bene?”

“Be…. ecco li ho visti solamente, ehm…di sfuggita, ma posso assicurarti che stavano bene.”

“Ma dove li hai visti?”

“Matthew basta, frena l’entusiasmo. Santana è ancora stanca e tu la stai sottoponendo a un questionario.”

“Si ma…” protestò lui.

“Niente ma, torna in camera, quando arriva Puck gli faremo dare un occhiata alla console.”

“Ma ci sta parlando di mamma e papà, tu non vuoi sapere se stanno bene e quando torneranno?” le chiese con le guance in fiamme e la maglietta strizzata sotto la presa dei suoi pugnetti.

Brittany sospirando si accovacciò alla sua altezza, gli scostò con dolcezza i ciuffi che gli ricadevano sulla fronte e parlò con calma.

“Certo che lo voglio sapere, ma Santana è ancora instabile, ha fatto un viaggio duro e stancante, non puoi piombare dal nulla e martellarla di domande. Dopo pranzo avrai modo di chiederle qualcosa se vuoi, ma solo allora.”

Santana vide il suo sguardo vacillare per un momento a quelle ultime parole, ma fu un attimo e subito tornò fisso in quello del bambino, tanto che si chiese se non fosse stato tutto uno scherzo giocatole dalla mente.
Matt sembrava sull’orlo delle lacrime, si stava mordendo un labbro e sembrava indeciso se parlare o meno. Alla fine tacque, abbassò il capo e lanciando un’ ultima occhiata a Santana, scivolò dalla presa della ragazza e uscì dal salotto. Brittany rimase ferma in quella posizione.

“Tutto bene?”

Si schiarì la voce e si alzò rivolgendole un sorriso tirato. Aveva gli occhi umidi.

“Si” disse portandosi una mano a stuzzicare la coda di cavallo in modo nervoso “insomma…”

Santana capì la sua difficoltà e cercò di togliersi da quel fastidioso momento di imbarazzante silenzio.

“Se non ti dispiace avrei bisogno di una doccia, non mi lavo decentemente da un po’.”

“Oh,” rispose sollevata per il repentino cambio d’argomento “ assolutamente, ti preparo alcuni abiti puliti e ti mostro il bagno. Ce la fai ad alzarti da sola?”

Santana si diede un’occhiata chiedendosi, ora che era perfettamente lucida, come fosse riuscita a camminare in quelle condizioni. Brittany vedendo la sua preoccupazione provò a farla sorridere. Le era sempre piaciuto far star bene la gente. Sua madre le diceva continuamente che Brittany S. Pierce era nata per due motivi: l’ amore dei suoi genitori e il bisogno di un angelo che donasse sollievo alle ansie umane. Era cresciuta fantasticando su un Mondo in cui si vivesse in pace e armonia e si era impegnata ogni giorno, anche nelle piccole cose, per portare a termine la sua opera. Era come un riflesso. Se le persone le domandavano perché si sforzasse così tanto lei rispondeva che la faceva stare bene.

“Quando sei arrivata ho notato che le scarpe che indossavi sembravano letteralmente deformate, così te le ho sfilate per far respirare i piedi…”

“Oddio immagino che fetore…” mormorò l’altra nascondendo il viso dietro le mani.

Brittany rise divertita. Santana liberò il volto e rimase imbambolata a fissarle il viso. Le piaceva la sua risata. Aveva un suono cristallino e limpido che le illuminava gli occhi.

“Non ti preoccupare, posso assicurarti che ho sofferto di peggio. Un mio compagno è riuscito a recuperare una vecchia pomata che per fortuna ha iniziato lentamente a fare effetto.”

Santana si stese in una smorfia ricordando cosa avesse subito nel corso di quei giorni: il dolore le si era impresso in testa come una zecca e più cercava di sradicarlo, più questo affondava le sue radici; ciò che la sua mente rigettava ogni notte negli incubi terribili che la scuotevano nel profondo, tanto da farle desiderare una vita senza sonno. Ferite guaribili solo col tempo, nella pazienza, col supporto di altre persone. Perché era molto più fragile di quanto la gente pensasse. Brittany sorrise malinconica sentendo l’impulso di aiutarla: le si avvicinò porgendole una mano.

“C’era un certo uomo saggio che mi diceva che c’è sempre un momento in cui pensiamo che sia finita. Spesso mi è capitato di pensare che tutto ciò per cui ho lottato non è servito a nulla. Ma se abbiamo la forza di continuare a perseverare anche quando in fondo non ci crediamo più” aiutò la ragazza a sollevarsi dal divano e la sorresse facendole passare un braccio attorno alla vita “ allora sapremo che ce l’abbiamo fatta. Indipendentemente dal risultato finale.”

Santana alzò un braccio posandolo sulle sue spalle facendo legare non solo i loro corpi, ma anche i loro sguardi. E ci fu un momento in cui entrambe furono sicure di aver scorso una lieve scintilla nelle reciproche iridi, un fondo di qualcosa che sembrò sprigionare luce propria, una sensazione che fece aumentare il loro battito cardiaco.

“Non si può vincere perdendo” disse Santana con lo sguardo perso negli occhi dell’altra.

“Si invece. Non sempre il traguardo è costituito dalla vittoria ” sussurrò meccanicamente Brittany, alzando il braccio libero e andando a stringere la mano che le giaceva posata sulla spalla.

Santana sciolse lo sguardo dal suo e lo fece scorrere sui capelli biondi illuminati dalla fioca luce solare che filtrava dalla finestra sbarrata, che li colorava di riflessi brillanti e li faceva risplendere come oro. Poteva percepire la forma ben delineata della spalla attraverso il tessuto della maglietta. La presa sul suo fianco era sicura e delicata allo stesso tempo e sentiva il profumo che emanava, circondarla completamente. Brittany sapeva di fresco e pulito, un’ odore tanto piacevole quanto familiare. Le veniva voglia di affondare il viso nel suo collo, di inspirare a pieni polmoni quella fragranza. Ma poteva udire qualcosa di terribilmente strano e fastidioso nell’aria, come quando si ha un granello nell’occhio che non ne vuole sapere di andare via. Un suono….

“Lo senti anche tu?” domandò corrucciandosi.

“Sentire cosa?”

“Questo…rumore.”

Le due tacquero. Nel totale silenzio, si distingueva un brusio sottomesso. Una chiacchiera continua che si faceva sempre più insistente, fino a diventare velocemente chiara e confusionaria. Solo allora Santana si rese conto della lugubre colonna sonora che faceva loro da sottofondo. Lamenti. Gemiti e versi strascicati di cui aveva ben memoria.
Brittany strabuzzò gli occhi allarmandosi, mentre il putiferio avanzava inesorabilmente. Riuscì solamente a mormorare il nome di Noah prima che la porta si aprisse dietro di loro con un colpo secco e la luce del giorno investisse prepotentemente le due sagome, ancora abbracciate.
 
 
Angolo del pesce.
E ecco il secondo capitolo. Nulla da dire, ho introdotto presso che i personaggi principali della storia e ovviamente concluso con questo finale suspence, giusto per movimentare le acque, d’altronde si parla di zombie no? Grazie a tutti coloro che seguono la storia:)
 
                                                               Fish
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


                                                                   Capitolo 3
“Britt!”

Santana si voltò spaventata, sentì la stretta di Brittany venir meno e in un attimo la vide precipitarsi ad aiutare il ragazzo che aveva praticamente fatto irruzione nella casa. Si era appoggiato alla porta e sembrava stesse spingendo con tutte le sue forze, mentre questa veniva percossa da potenti scossoni. Brittany lo imitò, ma la forza che causava quelle spinte sembrava tanto violenta che entrambi si trovavano qualche centimetro indietro ogni volta che colpiva. Santana ingoiò a vuoto mentre si guardava freneticamente attorno alla ricerca di qualcosa che potesse essergli d’aiuto.

“Santana….” la voce di una Brittany alquanto affaticata la fece voltare “Sposta la credenza.”

Si girò verso il mobile addossato al muro. Faticosamente, ignorando le fitte di dolore che le attraversavano le gambe, iniziò a spingerlo con tutta la forza che aveva verso i due ragazzi.

“Sbrigati!”

“Ci sto provando ma è troppo pesante!”

Matthew osservava la scena dal corridoio, con fare preoccupato, spostando il peso da un piede all’altro e torturando nervosamente il joystick stretto tra le mani. Dall’esterno provenivano lamenti strascicati che aveva imparato ad attribuire alla parola “pericolo” e in caso di allarme sua sorella gli aveva insegnato una cosa; cerca aiuto.

“La finestra!”

Santana si lanciò verso l’apertura afferrando il piccolo televisore e scagliandolo contro la testa dell’essere che sbucava dalle travi spezzate. Il sangue schizzò a ridosso delle pareti e il buco formatosi permise ad altri cadaveri ambulanti di insinuare le loro braccia putrefatte verso la ragazza.

“Spostati!”

Una voce proveniente alle sue spalle le intimò di scansarsi e Santana indietreggiò appena in tempo ad evitare una raffica di proiettili che le sfiorarono il braccio. Le orecchie iniziarono a sibilare e la vista le vacillò per un momento, prima che un braccio la riportasse fermamente coi piedi per terra. In un attimo si ritrovò il viso sudato di un ragazzo riccioluto a pochi centimetri dal suo. Non capì molto di ciò che le disse, si concentrò maggiormente sull’espressione tesa che aveva e sulla stretta salda che esercitava sul suo gomito, stringendo fino quasi a far male. Udì poi il contatto con qualcosa di levigato e stranamente famigliare contro la mano, prima di abbassare gli occhi sulla mazza di suo fratello. Forse fu grazie a quello che riprese conoscenza di ciò che le accadeva attorno, ma quando rialzò lo sguardo l’estraneo non c’era più, un morto stava per entrare dalla finestra e l’aria esplodeva di suoni. Così alzò il braccio e lo colpì ripetutamente, ancora rintronata, senza curarsi del resto e andò avanti fino a che non fu sicura che dal varco non sarebbe potuto più entrare nessuno, perché gli aveva sterminati tutti. Solo allora si voltò.

Brittany giaceva inginocchiata vicino al corpo dell’uomo che probabilmente aveva causato l’attacco alla casa. La porta era sbarrata dalla credenza e dal divano e Matthew piangeva silenziosamente tra le braccia di…

“Blaine, corri a prendere dell’acqua ossigenata, garze e cerotti per favore.”

“Ok.”

Blaine si alzò lasciandole il bambino e sparì in corridoio, senza degnarla di uno sguardo.

“Tutto bene?”

Santana spostò l’attenzione a Brittany che carezzava la testa del fratello in modo quasi assente, passandogli le dita tra i ciuffi biondi scompigliati, mentre il piccolo affondava il viso contro il suo petto.

“Io…non mi sento molto… a posto.”

Barcollò scompostamente scontrandosi contro al muro, chiuse gli occhi con forza e aspettò che la testa smettesse di girare.

“Devi sdraiarti.”

Scivolò lungo la parete lasciandosi cadere a terra e poggiò distrattamente la mano su qualcosa di umido e molliccio. La ritrasse spaventata imponendosi di non guardare, perché probabilmente aveva schiacciato un pezzo di cervello o di qualche altro organo. Il pavimento vicino a lei ne era puntellato.

“Blaine occupati di Noah. Matt, che ne dici stenderti anche tu un po’?”

“Va bene” sussurrò ancora scosso sfregandosi gli occhi “però non voglio, n-on voglio dormire da solo. Ho paura.”

“Allora prendi una coperta e torna qui.”

“Ok.”

Matthew tirò su col naso e zompettò fino alla sua stanza. Brittany si alzò impugnando il fucile di Puck e affacciatasi dalla finestra freddò alcuni cadaveri ancora coscienziosi, uccidendo i pochi rimasti vivi. Attirati dal rumore, quelli rimasti chiusi fuori dalla porta comparirono da dietro l’angolo gemendo una lingua morta, coi volti spaccati, la pelle dilaniata e le braccia tese verso il loro pasto, inciampando, cadendo, trascinando i piedi o ciò di quanto più simile rimaneva. Le munizioni però erano finite.

“Merda. Blaine dammi la pistola, non ho più colpi!”

“Non ne ho neanche io.”

“No, no, no.”

Santana aprì gli occhi, ingoiò un conato di vomito e soffocando la nausea, si tiro su.

“Fatti da parte.”

Brittany si voltò.

“Non sei in grado di farlo…”

“Oh, si invece. Spostati.”

“Dammi la mazza, posso…”

“Io sto bene. Ora se permetti…”

Senza darle il tempo di replicare, le passò di fianco conficcando le schegge taglienti dell’arma ormai distrutta, nel cranio di un giovane ragazzo in boxer con una grezza penna conficcata nell’ avambraccio. Con un lamento ricadde senza vita all’indietro, piombando su altri corpi e facendoli crollare. Santana balzò fuori dall’edificio e si avventò sugli altri, cogliendoli nel momento in cui cercavano di rimettersi in piedi, mentre Brittany col fiato sospeso e il battito del cuore accelerato la osservava destreggiarsi tra le salme.

“Che succede?”

Si voltò scontrandosi contro l’esile figura del fratello, ancora segnato dal pianto e dalla paura: osservava disgustato i resti dei corpi sfracellati lungo la stanza.

“Niente Matthew, solo non guardare.”

Il bambino spinto dalla curiosità, allungò il collo cercando di superare la figura della sorella che tentava di coprirgli la visuale dello sterminio che si stava compiendo pochi metri addietro.

“Matthew vieni qui.”

Blaine lo richiamò facendolo voltare.

“Dammi una mano a disinfettare le ferite di Noah, Britt mi ha detto che ti ha insegnato come si fa.”

Il piccolo soppesò l’offerta.

“Va bene.”

Il ragazzo alzò il viso e le mandò un’occhiata eloquente.

Brittany si girò constatando che Santana aveva fatto piazza pulita di qualsiasi insidia. E si accorse anche che non stava affatto bene. Era ferma in piedi con gli occhi fissi nel vuoto e l’aria di una persona che sta per svenire. Oltrepassò il buco scavalcando i corpi senza vita che avevano colorato di un macabro rosso il giardino attorno l’abitazione costringendosi a respirare solamente con la bocca per non sentirsi male. Era strano come anche in quell’occasione non potesse non notare la bellezza di quella ragazza. Era la perfezione: i capelli arruffati, i vestiti stracci, logori e imbrattati e l’espressione intontita. Le poggiò una mano sul braccio.

“Come ti senti?”

Santana non si mosse.

“Non hai una bella cera.”

Ancora nulla.

“Santana?”

“Mi han…”

“Cosa?”

“Io…”

“Santana? Che è successo?”

“Brittany….”

“Si, sono qui.”

“Brittany…mi hanno morsa” mormorò sollevando il braccio sinistro e lasciando scivolare la mazza. La pelle sul polso era squarciata e sfregiata da un segno curvilineo irregolare.

“Non so come è successo, stavo colpendo uno di quei cosi e non me ne sono nemmeno accorta e…”

Il cuore di Brittany si fermò. Forse anche solo per una manciata di secondi, ma si fermò, ne fu sicura. Sentì un’ondata di timore, apprensione e affanno assalirla, mentre la sua mente cercava inutilmente di elaborare una soluzione. Inutilmente, perché quando vide Santana annaspare, ruotare improvvisamente gli occhi all’indietro, smettere di respirare e scivolare a terra, perse ogni facoltà mentale. La prese prima che potesse impattare col suolo, si precipitò in casa e adagiò il corpo al suolo, strappando dalle mani di Blaine una bottiglietta di disinfettante e svuotandola sulla ferita infetta della mora. Per cinque lunghissimi minuti non accadde nulla. Santana non si muoveva. Non respirava. Ma perlomeno la mutazione non sembrava in corso. Puck era seduto sul divano, fasciato e stanco e osservava gli occhi di Britt fissi in quelli chiusi dell’altra, con la testa di Matt adagiatagli sulle gambe e la mano poggiata sul suo piccolo e esile corpicino che si alzava e abbassava velocemente.

“Britt, devi allontanarti.”

“No.”

“Potrebbe svegliarti e assalirti.”

“Ho detto che non mi muoverò da qui e non lo farò.”

“Potrebbe diventare uno zombie!”

“Potresti avere un po’ di ritegno e ricordarti che senza di lei probabilmente a quest’ora saresti morto!”

Blaine allargò le braccia e finì di inchiodare l’ultima asse alla finestra.

“Va bene. Ma se si alza e prova a mangiarti” sbottò buttando il martello sopra la pila di vestiti ammucchiati contro un polveroso angolo della stanza “io la uccido” concluse afferrando l’ascia piantata nel palchetto.

********

Puck si sollevò dal materasso lentamente, mettendosi seduto e aspettando che la solita fitta alla testa gli attraversasse il cranio da parte a parte. Ma non arrivò. Aggrottò le sopracciglia tastandosi le tempie, ma incredibilmente non sembrava avere mal di testa. Rincuorato, si alzò e andò a sciacquarsi il viso in bagno, cercando di tenere le palpebre aperte. Aveva dormito male, assalito dagli incubi e dalle urla che provenivano dalla cucina. Brittany e Blaine avevano litigato, ne era sicuro. Avevano litigato per colpa sua e della sua stupida arroganza, anche se questa volta non c’entrava niente. Si era comportato bene, non aveva fatto lo stupido, ma evidentemente non era bastato. Si asciugò con l’asciugamano e dandosi un’occhiata allo specchio notò il taglio che gli percorreva la testa. Ci passò cautamente le dita sopra, sfiorandone le imperfezioni, la linea irregolare e i punti più profondi.

“Noah!”

Sbuffò.

“Che c’è?”

“Trascina il tuo culo qui, ora, dobbiamo parlare!”

Abbassò il capo scuotendolo leggermente poi, mettendo su l’espressione più ottimista che aveva, si diresse verso il patibolo. La prima cosa che notò era che Blaine era assolutamente nero di rabbia. Lo conosceva da tempo e sapeva che la posizione braccia incrociate, busto rigido, fronte aggrottata e sguardo basso, per lui volevano dire “potrei ucciderti a mani nude.”

“Come è successo?” chiese neutralmente Brittany.

“Io non ho fatto nulla di male, ve lo giuro. Stavo guidando e a un certo punto è sbucata un’orda da una viottola e cazzo, sembrava non mangiassero da mesi, erano decine, incazzati e scattanti, mi hanno seguito per un centinaio di metri prima di raggiungermi, poi hanno assalito la gip e io di conseguenza ho perso il controllo dell’auto.”

“E per quale mistico motivo non gli hai sentiti arrivare?”

“Perché non hanno fatto rumore. Un attimo prima era silenzioso e a un certo punto…è scoppiato l’inferno.”

“Non è possibile Puck, lo sai meglio di me che fanno un casino bestiale” commentò con voce stizzita Blaine “si lamentano e gemono e altre robe da film porno, perciò non mi venire a dire che non li hai sentiti perché non ti crederei.”

“Ma è la verità! E poi erano strani! Dopo che mi sono schiantato non mi hanno degnato di uno sguardo” replicò avvicinandosi al bancone e poggiandovi l’indice sopra come a rimarcare il concetto “non erano normali, mi hanno lasciato scappare per tutta la strada davanti ai loro occhi, finche sono arrivato a una decina di metri dalla casa, poi hanno preso a correre.”

“Perché l’avrebbero fatto?”

“Non chiedetelo a me, ma se non si fossero comportati cosi a quest’ora sarei morto e sepolto.”

“Quindi…il cibo è rimasto fuori. Col resto della roba. E siamo senza macchina, il che vuol dire che non possiamo più muoverci, ne raggiungere Boston, ne rifornirci” mormorò Brittany con voce stanca.

“Il che vuol dire che siamo fottuti” concluse Blaine.

“Si. Lo siamo.”

Per un paio di minuti regnò il totale silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

“Va bene. Puck non fartene una colpa, tu hai fatto del tuo meglio è inutile rimanere a piangersi addosso, così non risolviamo nulla. Abbiamo appurato che abbiamo scorte per circa due settimane. Poi si vedrà. Dovremo muoverci per forza e trovare rifugio possibilmente a est, li ci dovrebbero essere dei gruppi di resistenza.”

Noah si passò una mano sul viso.

“D’accordo” bofonchiò “ inizio a preparare la cena. Dov’è la tua amica?”

“Blaine l’ha voluta legare con delle corde in salotto, per essere sicuro che non faccia danni.”

“Veramente?”

“Io non voglio girare in casa sapendo che c’è uno zombie sotto il mio stesso tetto.”

“Ma non ha nemmeno mutato!”

“Ma questo non vuol dire che non lo possa fare in seguito, Britt” obbiettò passandosi una mano tra i riccioli folti.

“Io sinceramente ho assistito a molte trasformazioni e posso testimoniare che la mutazione avveniva in una manciata di secondi.”

“Sentito Blaine?”

“Ma allora perché non si sveglia?”

“Forse ha il sonno pesante.”

I due si voltarono contemporaneamente a fissarlo.

“Cosa? Che c’è?”

Brittany lo liquidò con un cenno.

“Magari sta succedendo qualcosa dentro il suo corpo. Io l’ho vista smettere di respirare quando è svenuta. Non ha preso aria per dei minuti.”

“Non lo so, è tutto un casino. Sentite, io mi stendo un po’, sono distrutto, chiamatemi per quando è pronto” annunciò staccandosi dal lavello.

“Va bene. Notte Blaine.”

Il ragazzo grugnì un saluto e sparì nella sua stanza.

“Io le vado a dare un’occhiata.”

“Ok, ma fa attenzione.”

Brittany uscì dalla cucina fermandosi sulla soglia della camera. Era completamente oscurata, se non per quei pochi punti rischiarati dalla luce proveniente dalle fessure tra le travi di legno.

“Santana? Sei sveglia?”

Udì un suono.

“Santana?”

Sentì distintamente bofonchiare.

“Sono Brittany, non so se ti ricordi qualcosa ma” mosse incerta dei passi rimproverandosi per non essersi munita di torcia “sei stata attaccata e…”

Battè contro un oggetto duro e soffocò un urlo. Strinse le mani a pugno e zoppicando si mise a cercare la lampada, che costituiva l’unica fonte di luce.

“Dove diavolo è?”

Improvvisamente una figura scura si stagliò in un angolo della stanza facendola sobbalzare. Indietreggiò spaventata inciampando all’indietro e cadendo. “Santana?” domandò insicura. La sagoma si immobilizzò per scagliarsi con uno scatto contro la ragazza, in un’andatura bizzarra e scoordinata. Brittany tastò il pavimento alla ricerca di qualcosa col quale potersi difendersi; le sue dita si chiusero attorno a un oggetto levigato, ma prima che fosse in grado di alzare il braccio e colpirla, questa le si era già lanciata contro, facendola cozzare violentemente contro il pavimento e sbattere la testa. Rotolò su se stessa per invertire le posizioni, ma l’aggressore sembrava non avere il controllo delle proprie azioni: si dimenava come se non avesse padronanza del proprio corpo. La schiacciò nuovamente al suolo facendo piegare in modo innaturale il suo braccio: Brittany liberò un urlo di dolore inarcando la schiena e prima che tutto si facesse indistinto e piombasse nel mondo dei sogni riuscì solo a scorgere due occhi neri come la pece, scintillare nell’oscurità.



Angolo del pesce.

Voilà, eccoci! Io l’avevo detto che si sarebbero movimentate le acque no? Perciò si, gli zombie hanno fatto il loro sporco lavoro, sono tutti stanchi e feriti e in più Santana…be avete letto no? Stanno per esaurire il cibo a loro disposizione quindi prepariamoci a colpi di scena. Grazie a tutti coloro che seguono la storia e commentano, ho postato un po’ tardino ma ho fatto il possibile;) alla prossima Fish

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


                                                                                            Capitolo 4
“Blaine, che diavolo fai?”

“Mangio?”

“Quello è il panino numero?”

Il ragazzo lo squadrò in modo accigliato sollevando il suo pranzo.

“Tre?”

“Ecco, lo sapevo.”

Puck si allungò sul bancone e glielo strappò dalle mani.

“Ma che fai?”

“Non puoi mangiare più di due sandwich, altrimenti non ce n’è più per gli altri.”

“Stai scherzando??Tu ne hai presi quattro!”

“Io sono più alto, più robusto e ne necessito.”

“Oh, non ci credo. Andiamo ridammelo.”


“Non ci penso nemmeno.”

“Noah, non sono in vena di litigare ok?”

Puckerman alzò un sopracciglio e lo squadrò con aria di insufficienza.

“Abbiamo la luna storta?”

Blaine soffiò scocciato e intrecciò le mani dietro la testa. Ormai si conoscevano così bene che ognuno di loro era capace di tradurre i gesti dell’altro con estrema facilità.

“Ma come fai ad essere così ottimista?”

“Scusa?”

“Intendo…andiamo, siamo senza cibo e non sappiamo dove andare.”

“Non ti seguo” mormorò Noah fingendosi pensierioso.

“Dobbiamo iniziare a far girare le rotelle del cervello…dobbiamo…dobbiamo organizzare un piano di fuga!”

Puck continuò a masticare il pane con fare concentrato. Appoggiò il bicchiere sul ripiano e sfoggiò un sorriso a trentadue denti.

“Sai che ti dico? Hai ragione.”

Blaine gli si avvicinò.

“Hai in mente qualcosa?”

Il ragazzo annuì in modo soddisfatto.

“Spara!” esclamò l’altro facendosi attento.

Noah fece aderire i palmi e piantò lo sguardo alle sue spalle, verso un punto indefinito.

“…vado a letto.”

Si alzò dallo sgabello, accartocciò il bicchiere e lo fece cadere nel cestino nell’angolo. Riservò un’ultima occhiata all’amico che lo fissava con la bocca aperta e il viso dipinto dallo stupore più totale, prima di voltarsi e dirigersi in camera.

Blaine digrignò i denti, afferrò ciò che rimaneva del suo panino abbandonato da Puck, lo gettò nell’immondizia in un gesto di stizza e si nascose tra le sue stesse braccia, cercando di soffocare quell’opprimente sensazione di smarrimento. Si passò le dita tra i riccioli, lasciando che la mente vagasse a cercare il ricordo di un solo paio di occhi, di un solo profumo, di una sola persona. Le gambe si mossero da sole, portandolo in salotto, dove l’odore acre di morto aleggiava nell’aria e il pavimento, spaccato in più punti, era macchiato di un rosso indelebile. Osservò le foto incorniciate appoggiate sul tavolino scheggiato. Prese in mano quella che raffigurava due bambini abbracciati stesi su un pavimento, ripassandone per l’ennesima volta tutti i particolari, anche se li sapeva a memoria. L’epidemia aveva distrutto ogni cosa. Si era portata via ciò che non le apparteneva, la vita, la gioia, la pace. Anche l’amore.

*******

Brittany era stanca, terribilmente spossata. Ma non le importava. Aveva la testa di Santana poggiata sulle gambe e lo sguardo perso sul quel viso dai tratti angelici. Ogni tanto staccava gli occhi dal libro e lo poggiava sulla ragazza. C’era un’ insolita tranquillità in casa. Molto inusuale. Solitamente sentiva le urla di Puck e Blaine scontrarsi in offese concitate.

“Hey studiosa.”

Abbassò il viso inciampando nel sorriso di Santana.

“Hey.”

“Che leggi?”

“Qualcosa di leggero, giusto per tenere la mente occupata.”

“Mmm.”

“Come ti senti?”

“Lo sai che da quando sono arrivata qui non hai fatto altro che chiedermi se sto bene?”


“Questo perché sembri avere un’attrazione naturale verso il pericolo.”

“Ti sbagli, è il pericolo che è attratto da me.”

Brittany piegò le labbra in una smorfia divertita.

“Veramente. Qualche sintomo particolare?”

“A parte un’emicrania continua e un terribile bruciore di stomaco?”

“Non mi ci raccapezzo più” mormorò la bionda sollevando lentamente il capo per far riposare il collo.

“Cioè?”

“Dovresti esserti trasformata. O dovresti essere morta. Invece sembri stare bene.”

“Meglio così.”

“Si, ma tutto ciò non ha un senso.”

“Forse il virus sta mutando.”

“Il virus sta impazzendo, ecco cosa.”

Santana sospirò socchiudendo gli occhi.

“Mi manca la mia famiglia. Mi mancano i miei fratelli. I pomeriggi d’estate passati a inzupparci d’acqua e quelli in inverno a fare battaglie a palle di neve fino a che non sentivamo più le mani e non riuscivamo più a parlare tanto ci battevano i denti. Le domeniche spese in campeggio coi miei genitori, gli abbracci di mio padre, le carezze di mia madre, le risate degli amici…mi mancano queste piccole cose.”

“Non sono piccole cose. Era la tua vita, come quella di tutti noi.”

“E ci è stata sottratta.”

Quell’ultima frase rimase sospesa nella stanza come il puzzo opprimente che si respirava dopo l’attacco alla casa.

“Non sono ancora riuscita ad abituarmi a svegliarmi in un altro mondo. In un altro modo. Hai presente quando apri gli occhi dopo un sonno ristoratore e ti sembra tutto ok, anche se percepisci che c’è qualcosa di sbagliato?” mormorò osservando l’altra.

Brittany annuì.

“Ecco. All’improvviso ti colpisce l’ondata di ricordi e torni coi piedi per terra. Rimani a fissare il soffitto perché non vuoi alzarti. Non avrebbe senso iniziare una giornata uguale alla precedente, identica a sua volta a tutte le altre.”

Santana si zittì.

“Però alla fine ti alzi. Lo fai perché speri che tutto ciò possa vedere una fine, un giorno.”

Gli occhi color pece si fissarono nei suoi.

“Un giorno si… ma quando?”

********

Matthew stava sfogliando un fumetto. Era uno dei tanti che aveva già letto e riletto centinaia di volte, ma la console si era definitivamente rotta e per quanto Puck fosse bravo ad aggiustarla e l’avesse fatto spesso, questa volta aveva alzato bandiera bianca. Gli piaceva colorare, costruire e sbizzarrirsi in tutti i modi possibili e immaginabili ma dato che era vietato uscire, i pennarelli si erano consumati cosi come i pastelli e le poche matite che gli rimanevano, non aveva più colla o scotch, era definitivamente arrivato al punto di iniziare a sbattere la testa contro il muro, giusto per avere qualcosa con cui tenersi occupato. Oltretutto i grandi da un paio di giorni tenevano costantemente il muso, il che lo deprimeva maggiormente. Vociferavano su una fuga, sparivano sempre in cantina e ne tornavano più depressi di prima, stavano attenti a tutto ciò che usavano e si rintanavano in camera per ore.
E come se non bastasse lui provava da un po’ di tempo una fitta fastidiosa ogni qual volta masticava a destra. Odiava il mal di denti.

“Britt!” chiamò a gran voce.

Una figura si affacciò.

“Matt, Brittany è in bagno. Hai bisogno?”

Il bambino si sollevò dal pavimento lasciando che il giornaletto si chiudesse. Si avvicinò con fare preoccupato a Santana.

“Mi fa male quando mangio, qui” farfugliò aprendo la bocca e indicandone un punto in fondo.

La ragazza si abbassò e avvicinò il viso assottigliando la vista.

“Così mi sembra di non vedere nulla. Però qua c’è poca luce, spostiamoci in cucina.”

Lo prese istintivamente per mano sentendo come la sua pelle morbida si scontrasse contro la propria, ruvida e irregolare, segnata da tagli e sbucciature. Lo fece sedere  sul ripiano di marmo del bancone e poggiandogli due dita sotto il mento, gli sollevò delicatamente il capo.

“Apri più che puoi.”

Matthew fece come gli era stato detto.

“Hai male sopra o sotto?”

“Fopra” balbettò.

Santana piegò la testa e controllò l’arcata superiore. A sinistra sembrava pulita, ma a destra si vedeva chiaramente una macchietta nera su un molare. Aggrottò la fronte.

“Ho calcosa?”

“Ecco…puoi chiudere la bocca…diciamo che dovremo fargli dare un’occhiata a Brittany.”

Il bambino sgranò gli occhi.

“Non ho qualcosa vero? Ti prego, se Britt vede che non mi sono lavato bene i denti come mi aveva detto di fare mi sgrida…”

“Fidati, è meglio una sgridata in questo caso.”

Santana picchiettò con gli indici sulla superficie levigata, continuando a guardarlo apprensivamente.

“Ma tu hai visto davvero mamma e papà?” domandò Matthew velocemente fissandosi i piedi.

Santana si bloccò. Ingoiò a vuoto e si inumidì le labbra.

“Eccomi peste, qual è il problema?”

Brittany si avvicinò loro, asciugandosi le mani umide sui pantaloni.

“Stai bene?” domandò all’amica, insolitamente pallida.

“S-si. Si, tutto a posto è Matt quello da controllare.”

La bionda le riservò una lunga occhiata inquisitrice, affatto convinta.

“Mi fa male qui.”

“Ok, fa vedere. Oh, no. No, no, no! Quante volte ti ho detto di lavarti bene i denti?”

“Ma io l’ho fatto!”

“Non mi raccontare balle Matthew, non è possibile che a sette anni ti debba stare dietro come fossi un neonato, se ti dico di fare una cosa è per il tuo bene, non perché mi piace stuzzicarti!”

“Ma…”

“Ma niente!” sbottò arrabbiata la sorella.

Lo fece scendere dal bancone e gli ordinò di filare in camera e di non uscirne più fino all’ora di cena.

“Eh adesso?”

“Eh adesso non lo so. Quella è una carie.”

Brittany si massaggiò le tempie. Santana scorse il livido dell’ematoma che le aveva procurato sul braccio quando si erano scontrate, persino più visibile; il segno del morso sul suo polso sinistro le pizzicava ancora. Si sentiva terribilmente in colpa per averla attaccata. Quando aveva ripreso conoscenza si era trovato un’ascia e gli sguardi assassini degli altri ragazzi puntati contro. Non si ricordava nulla dell’aggressione a Brittany, ne del perché avesse agito in quel modo. Inizialmente i rapporti tra di loro erano stati freddi e distaccati proprio a causa dell’incidente e l’unica che le si era avvicinava senza timore era stata proprio Britt. Erano passati cinque giorni da allora. Nessuno era riuscito a trovare una risposta plausibile a ciò che le era successo. Ognuno si stava mentalmente impegnando a cercare di sopravvivere a quella situazione.

“Non ce la faccio più. Sono esausta.”

“Ti sei svegliata da mezz’ora.”

“Non riesco a tenermi in piedi.”

“Hai mangiato a pranzo?”

“Più o meno.”

“Come più o meno?”

Brittany sospirò.

“Ho dato il mio panino a Matthew.”

Santana le prese le mani interrompendo il suo massaggio.

“Devi mangiare la tua parte.”

“Ne ha più bisogno  lui.”

“Ne avete bisogno entrambi.”

Si fissarono per alcuni istanti, senza parlare. Santana dovette distogliere lo sguardo dal suo; se c’era una cosa che le dava fastidio, era proprio non riuscire a reggere lo sguardo delle persone. Non era mai stato un gran problema per lei. Ma con Brittany le cose si capovolgevano. I suoi occhi la attiravano di continuo, forse perché erano belli, profondi e limpidi e ogni volta che si incrociavano non riusciva a reggere la vista di quell’azzurro così forte, quasi come se le facesse male alla vista.

“Perché non mi guardi?”

Santana alzò il viso, sentendo il battito del cuore accelerare in modo spaventoso.

“Perché rischierei di baciarti” pensò tra se e se.

“Oddio ragazze ho una notizia non importante, di più” ululò Blaine piombando nella stanza accompagnato da un enorme sorriso.

Le due si separarono sentendo la tensione del momento scivolare via. Brittany percepiva quel fastidioso buco allo stomaco attorcigliarle le viscere e si chiedeva se fosse opera della fame o di qualcos’altro. Santana si sfregò le mani sudate sulla tuta. Si lanciarono uno sguardo nervoso.

“Ho recuperato questa vecchia radio sotto un cumulo di macerie nello scantinato” esclamò alzando in modo plateale l’oggetto mezzo sfasciato “e l’ho accesa. E funzionava! Poi ci ho armeggiato e mi sono imbattuto in un annuncio!”

“Che annuncio?” chiese Brittany.

“A pochi isolati da qui, un vecchio offre cibo e riparo per un’intera famiglia! Dice di avere abbastanza viveri per assicurare la sopravvivenza di un paio di persone per alcune settimane. Secondo me dovremmo organizzare un piano d’attacco domattina e lasciare questo posto al più presto.”

“Ok, è una bella notizia ma sarebbe meglio chiamare Puck e discuterne anche con lui. Oltretutto è da escludere di partire domani. Ci serve almeno una giornata per organizzarci.”

“Va bene, chiamo Noah.”

Il ragazzo uscì lasciandole sole.

“Non saprei.”

“Mm?”

“Lasciare la casa vuol dire affrontare ciò che c’è fuori. E fuori c’è la morte. Come facciamo a camminare per alcuni isolati con un bambino, poche armi e una superiorità numerica costituita dall’avversario?”

“In qualche modo faremo, Brittany. D’altronde non possiamo stare qui.”

“Lo so.”

Seguirono alcuni attimi di fastidioso silenzio. Quel silenzio imbarazzante che si può tastare con le dita e che vorresti spezzare dicendo qualsiasi cosa; solo che non riesci a spiccicare parola.

“…e quindi potremmo tentare.”

“Non so Blaine” commentò Noah entrando in cucina seguendo l’altro che conversava senza neanche prestargli attenzione, agitando le mani con fare eccitato.

“Come sarebbe a dire? È la nostra unica possibilità.”

“Sai cosa vorrebbe dire uscire là fuori?”

“Andiamo, Santana l’ha fatto ed è ancora splendidamente viva.”

“Io ero sola, facevo attenzione a ogni singolo passo che muovevo e la notte non ho mai dormito. Mai. Senza contare che ho spaccato un cinquantina di crani. Oltretutto adesso l’epidemia sembra stia subendo dei cambiamenti, perciò non sappiamo cosa aspettarci una volta che saremo usciti.”

“E allora che altro possiamo fare?”

“Sicuramente è un’ipotesi da prendere in considerazione ma bisogna prima accertarci della posizione del vecchio e capire come poter muoverci in cinque senza attirare l’attenzione” mormorò Brittany.

Santana annuì.

“Giusto. E Matthew ha anche una carie abbastanza profonda, il che vuol dire che ha bisogno di cure. Se il dente gli da già noie adesso, figuriamoci tra un paio di giorni. Il punto è..”

“Dove lo troviamo un dentista?” terminò la frase Puck.

I ragazzi si guardarono. Nessuno in realtà, sapeva dare una risposta positiva a quella domanda.

“Ok. A questo ci penseremo più tardi.”

Blaine prese la radio e fece per andarsene.

“Facciamo la lista di ciò che ci rimane da mangiare e degli oggetti necessari per la sopravvivenza, ci occorrerà portare solo lo stretto indispensabile. Puliamo e racimoliamo tutte le armi e le munizioni e prepariamo le valigie.”

“Sono con te fratello.”

“Perfetto, vieni con me, cosi iniziamo a controllare le riserve di cibo in cantina e poi passiamo al resto. Voi intanto potete preparare la cena.”

“Va bene, vi chiamiamo quando è pronto.”

I passi lenti dei due uomini sfumarono indistintamente, attutiti dal tappeto e coperti dai loro frenetici borbottii.

“Inizio a fare la pasta.”

“Aspetta, in freezer dovrebbe esserci una grigliata di pesce surgelata.”

Brittany aprì lo sportello tirando fuori dal vano brinato una scatola ricoperta di ghiaccio. La passò a Santana facendo inevitabilmente scontrare le loro dita: gli sguardi si incatenarono e entrambe persero un battito prima di voltarsi frettolosamente da parti opposte.

“È l’ultima che ci rimane, perciò finche possiamo mangiare qualcosa che non sia pane secco farcito con marmellata ammuffita o pasta….”

“Britt?”

“Si?”

“So che…ah niente, lascia stare.”

“No dimmi.”

“Niente.”

“Adesso lo voglio sapere.”

“Ho detto che non è nulla, stai tranquilla.”

“Ma dimmelo lo stesso.”

“No.”

“Si.”

Santana rovesciò il pesce in padella e accese il fuoco, girandosi a osservare l’altra. Si morse la lingua e parlò prima che riuscisse a fermarsi, dimenticando l’argomento del quale avrebbe voluto discutere.

“Mi piaci. Insomma, sono contenta di averti incontrata”

Passarono attimi inesorabili.

“Anche io.”

Brittany si era aperta in un sorriso tanto splendente da poter illuminare tutta la città. Il resto della serata passò tranquillamente tra le risate e quel poco di spensieratezza che il gruppo riusciva a concedersi solo a tavola, riunito davanti a un piatto, dimenticando per un attimo i problemi. E mentre Puck sorrideva alla battuta di Blaine, notò lo sguardo chiaro di Brittany perso negli occhi neri di Santana.
 
 
Angolo del pesce.
Evvai sono riuscita a postare! Saranno anche le nove di sera, ma grazie al cielo sono riuscita a ritagliarmi questo spazio di tempo. Il capitolo è questo, oramai siamo giunti al buono, i ragazzi devono lasciare tutto e imbarcarsi verso la salvezza, che però presenta qualche difficoltà. Grazie a chi legge e chi ha inserito la storia tra le preferite, da seguire o da ricordare:) Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto!
 
                                                                                                     Fish

 

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