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Benvenuti a tutti voi… Questa
è la mia prima
long-fic su “Card Captor Sakura”! Ebbene sì, alla fine ce
l’ho fatta a scriverne una… E se devo essere sincera, mi è
piaciuto moltissimo scriverla… Tanto che, visto che l’ho già
completata, spero di poterne iniziare presto un’altra…
Allora, lo spunto è la
splendida canzone degli Studio 3. Ogni capitolo si sviluppa su un verso o due,
o su una strofa intera. Si tratta, inoltre, di una What-if: Li non ha ancora
trovato il coraggio di dichiarare a Sakura i suoi sentimenti, e in più
le nasconde che a breve dovrà tornare a Hong Kong…
All’inizio di questa storia, i due ragazzi partono insieme a Tomoyo per
passare un fine settimana al mare, festeggiando il compimento della missione di
Sakura. Provate a immaginare cosa succederà…
Dedico questa song-fic a tutte
quelle assidue lettrici che hanno espresso il desiderio di vedermi cimentare in
una storia a più capitoli. Spero di poter soddisfare le vostre
aspettative, ragazze…
Buona lettura!
Forse un angelo
Capitolo 1
- Il viaggio -
“Ti
vedo ridere, sei così semplice
Mi
sembra facile capire che sei unica…”
«Tomoyo, ti vuoi
dare una mossa?»
«Arrivo… Oh,
no!…»
«Che cosa
c’è?»
«Catastrofe!
Guardate, si è scucita la tracolla con la videocamera!»
«Dai, non è
niente di grave…»
«Vuoi scherzare? E
se perdo la videocamera? Qui bisogna correre ai ripari, prima di causare una
perdita del genere…»
«Tomoyo, scusami, ma
se perdiamo il treno giuro che…»
«Ehm…
Ragazze…»
«E adesso che c’è?»
«Il treno sta per
partire.»
Iniziammo a correre nella
stazione ferroviaria. Fui il primo a saltare a bordo. Mi voltai a tendere la
mano a Sakura; lei si aggrappò a me per entrare nel treno, e fu seguita
da Tomoyo, che si chiuse alle spalle il portello nello stesso istante in cui il
treno iniziava la sua corsa sui binari.
Mi affrettai a lasciare la
mano di Sakura, sentendomi arrossire. Non sembrò accorgersi del mio
imbarazzo; si incamminò tranquillamente nel corridoio trascinandosi
dietro la borsa da viaggio.
«Dai, cerchiamo dei
posti», disse, ancora ansante per la corsa. «Non preoccuparti,
Tomoyo, sistemeremo la tua tracolla.»
Feci per seguirla, ma
all’improvviso mi sentii tirare la maglietta. Mi voltai e incrociai lo
sguardo estremamente serio di Tomoyo.
«Li, quando hai
intenzione di dirglielo?»
Ricambiai il suo sguardo,
perplesso.
«Di che cosa stai
parlando?»
«Lo sai
benissimo.»
Feci finta di niente, ma
il mio cuore era già in tumulto. Mi sistemai lo zaino in spalla e
iniziai a camminare nel treno, evitando lo sguardo di Tomoyo, ma sentendomela
costantemente al fianco.
«Non so.» Mi
uscì solo un sussurro. «Vorrei parlarle subito… Ma è
così difficile…»
Lei mi si portò
accanto.
«Devi trovare il
coraggio. Ora che la storia delle Carte sembra finita, devi cogliere
l’attimo.»
Continuai a non guardarla.
Lei non poteva capire. Non era solo questione di dire a Sakura ciò che
provavo per lei… C’era anche qualcos’altro che avrei dovuto
cercare di dirle. E forse era ancora più difficile.
La testa di Sakura si
affacciò da uno scompartimento alla mia destra. Mi voltai e me la
ritrovai tanto vicina da farmi sobbalzare. Feci un passo indietro, rischiando
di inciampare in Tomoyo.
«Ragazzi, entrate
qui, questo scompartimento è vuoto…»
Come al solito non si
accorgeva di quello che mi faceva provare…
Possibile che fosse
davvero così cieca? O forse fingeva solamente di non vedere?
Pensare che mi sentivo un
perfetto idiota ogni volta che la guardavo… Di sicuro lo davo anche a
vedere…
Tomoyo mi passò
accanto lanciandomi un’occhiata sfuggente. Entrò nello
scompartimento seguendo Sakura, e io mi sforzai di ricompormi. Andai a prendere
posto in un sedile vuoto, appoggiando lo zaino su quello accanto.
Sakura venne a sedersi di
fronte a me e mi sorrise allegramente.
«Beh, eccoci qua. La
nostra prima vacanza insieme. Anche se è solo un fine settimana…
Ma sempre meglio che niente, non credi, Li?»
Mi limitai ad annuire.
Averla così vicina, ed essere condannati a non poterla avere, era una
sofferenza immane, che mi toglieva il fiato e le parole.
Tomoyo sedette accanto a
Sakura, ma quasi subito si rialzò, frugando nella tracolla ed
estraendone l’inseparabile videocamera.
«Beh, ragazzi, io vi
lascio. Scusatemi, ma ho intenzione di filmare ogni singolo istante di questi
due giorni, perciò vado subito a fare una bella panoramica del
treno.»
«Vuoi che veniamo
con te?», si offrì Sakura, ma Tomoyo la immobilizzò con un
gesto.
«No, no, voi state
qui. Così potrete prendere qualcosa da mangiare anche per me quando
passerà il carrello…»
Ancora una volta mi
guardò di sfuggita, poi si diresse alla porta dello scompartimento e ci
salutò con la mano prima di chiudersela dietro.
E solo quando fu uscita
capii che aveva fatto in modo di lasciarmi solo con Sakura.
Mentre me ne rendevo
conto, Sakura mi guardò e sorrise di nuovo, per poi rivolgere lo sguardo
al finestrino.
Accidenti.
E adesso?
Dovevo dirglielo.
Assolutamente. Non potevo sperare in un’altra occasione.
No, un momento, non era
vero: per due giorni saremmo stati insieme, noi due e Tomoyo, in un albergo in
una cittadina in riva al mare, per rilassarci dopo la conclusione della
missione di Catturacarte di Sakura che aveva coinvolto tutti noi… Le
occasioni non sarebbero mancate.
Sì, però
Tomoyo aveva ragione. Dovevo cogliere l’attimo.
Ma come potevo dirglielo?
Cosa diavolo dovevo dirle?
Perdonami, Sakura, ma ho perso la testa per
te…?
Scusami, ma mi sono completamente innamorato di
te…?
Ti amo…?
Questa poi era la
più difficile… Anche se era la più vera.
Ma… E poi?
Ti amo, ma devi sapere che tra poco dovrò
tornare in Cina dalla mia famiglia…?
Decisamente spiazzante.
Non potevo farle questo.
Era troppo difficile per me, e lo sarebbe stato anche per lei.
La guardavo in silenzio,
sentendo il rossore salire sul mio viso fino alla radice dei capelli.
Ma perché,
accidenti, era così bella?…
Lei si voltò di
colpo verso di me.
«Ehi, ma che
cos’hai?»
Mi scossi.
«Niente»,
bofonchiai confuso.
«Oh.» Sakura
abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia. Sembrava imbarazzata quanto
me. «Senti, Li… Devo dirti una cosa.»
Il cuore mi mancò
almeno tre battiti.
«Ah…
Dimmi…»
«Ecco…»
Alzò di nuovo gli occhi su di me, e quel verde me lo sentii dentro
l’anima. «Io… Non credo di averti ancora ringraziato per quel
giorno. Sai, quando… Quando mi hai aiutato a vincere la sfida con Clow
Reed. Quando ti sei rialzato e mi hai dato le tue ultime energie perché
tutto finisse bene… Senza di te non ce l’avrei mai fatta.»
Mi sentii mancare un altro
battito mentre cercavo di sorriderle.
Mi ricordavo bene di quel
giorno. Sì, mi ero rialzato, anche se ero sul punto di svenire, e mi ero
rialzato per lei, per salvarla, per aiutarla a salvarci tutti, perché la
mia forza stava in ciò che mi legava a lei, proprio come valeva per le
Carte, per Kero-chan e per Yue. E l’avevo tenuta stretta e avevo
condiviso con lei tutto ciò che mi restava, e alla fine la luce aveva
sconfitto il buio. E alla fine avevo cercato le parole adatte, perché
era il momento, perché dovevo dirglielo…
Ma come al solito non ce
l’avevo fatta.
Ecco, adesso, dovevo
farcela adesso.
«Non devi
ringraziarmi, Sakura…», esordii, senza sapere bene se e dove sarei andato a finire.
«Invece sì,
Li, devo ringraziarti. Perché… Perché tu ci sei sempre
stato. E ci sei ancora. E questo è molto importante per me… Questa
è la nostra amicizia. E ci sarà sempre.»
Oh, no…
E adesso, come avrei
potuto parlarle? Come avrei potuto rivelarle che l’amavo da sempre, e poi
dirle che, pur odiando quella prospettiva, presto avrei dovuto lasciarla?
Perché, purtroppo,
le cose stavano così. Non avevo più alcun compito in Giappone, e
le mie sorelle mi avevano già contattato per chiedermi di tornare a
casa. Avevo deciso di rivelarle i miei sentimenti perché non sopportavo
l’idea di andarmene senza parlarle… Ma ora? Ora cosa dovevo fare?
Ora non potevo fare
più nulla.
Distolsi lo sguardo. Mi
alzai e mi affacciai al finestrino, lasciando che il vento mi frustasse il viso
e sperando che si portasse via tutto il rossore che mi sentivo addosso. Dopo
pochi istanti, sentii un movimento accanto a me, e mi ritrovai Sakura al
fianco. Vicinissima. La guardai e la vidi sorridere, con lo sguardo che vagava
lontano, fuori dal treno. Quanto era bella… Mi costrinsi a toglierle gli
occhi di dosso; ma poi, lentamente, lei scese a posarmi la testa sulla spalla.
Mi sentii evaporare.
Restammo lì per un
bel pezzo, in piedi, l’uno accanto all’altra, con il vento sul viso
e tra i capelli.
Sarebbe stato davvero il
momento perfetto…
Ma cosa sarebbe successo
dopo?
Ero davvero in grado di
affrontare la sua reazione?
Ed ero davvero in grado di
farle capire quanto disperatamente l’amassi?
Così passò
il tempo e passò buona parte del viaggio, tra domande senza risposta e
parole che avevano paura di uscire allo scoperto. E così, quando Tomoyo
tornò nello scompartimento, io avevo sprecato l’occasione, come
mille altre volte.
Al sentirla entrare,
Sakura si sollevò dalla mia spalla e si voltò.
«Ehi, Tomoyo…
Alla fine ce l’hai fatta! Credevo non tornassi più…»
Tomoyo sorrise
allegramente mentre spostava lo sguardo da lei a me.
«Oh, ci ho solo
messo un po’ più del previsto. Ma comunque immagino che siate
stati bene anche senza di me.»
Avvampai, rendendomi conto
che doveva aver visto Sakura con la testa sulla mia spalla. Chissà che
cosa diavolo aveva capito… Sakura, dal canto suo, non fece una piega.
Rise serena, mi guardò e disse poche parole, luminose come un fiotto di
luce nella nebbia.
«Sì, sono
stata benissimo qui con Li.»
La guardai sedersi di
nuovo nel suo posto e mettersi a trafficare con la borsa. Quel suo sorriso mi
incantava ogni volta. Era come se tutto intorno sparisse nel nulla,
perché tutto diventava nulla in confronto a lei. Lei era speciale, era
unica; ed era ormai da una vita che lo sapevo, che sapevo di amarla. Continuai
a guardarla finché mi accorsi che, da dietro le sue spalle, Tomoyo stava
cercando di attirare la mia attenzione.
“Gliel’hai
detto?”, articolò solo con le labbra.
Scossi la testa.
Lei sembrò
decisamente contrariata. O sconfortata.
Sospirai tra me e me e
tornai a guardare fuori dal finestrino. Per Tomoyo era tutto troppo semplice.
Ma lei non sapeva, non poteva capire come mi sentivo. Non sapeva dei miei
dubbi, dei miei ripensamenti, delle mie aspettative e delle mie paure. Non
poteva sapere, perché nemmeno io avevo le idee chiare…
Sarebbe stato un lungo
weekend.
Come avrete constatato, questo
capitolo è solo una sorta di prologo, quindi non è che succeda
chissà che… Però, se decidete di continuare a leggere,
vedrete che la storia si farà man mano più dinamica.
Prometto di inviare il secondo
capitolo molto presto. Io ho già tutta la storia pronta, ma se la
pubblicassi subito tutta, dove sarebbe il bello della long-fic? Comunque non
voglio essere troppo cattiva, non vi lascerò troppa suspense…!
Un grazie in anticipo a chi
deciderà di recensire…
Ecco pronto il secondo
capitolo… Innanzitutto ringrazio chi ha commentato il primo capitolo,
ossia: SakuraBethovina, Sakura93thebest, Evans Lily, Sakura93, Ponpone Sakura182blast…
Siete troppo gentili, spero non mi farete montare la testa!!
Per rispondere alle domande della mia ormai amica (diciamo che ormai ci
conosciamo!!) Evans Lily, la
storia prevede 10 capitoli, tutti dal punto di vista di Li.
Come promesso, qui ci sarà
senz’altro un po’ più dinamismo che nel primo capitolo,
senza contare una situazione molto imbarazzante, direi quasi tragicomica, in
cui Li si ritroverà coinvolto. Non voglio
anticiparvi troppo, però…
Buona lettura!
FORSE UN ANGELO
Capitolo 2
- La stanza -
“E
quante notti spese per immaginarmi insieme a te…”
«Scusi, signore, abbiamo
prenotato qualche giorno fa per questo weekend e…»
L’addetto alla
reception alzò distrattamente gli occhi e studiò Sakura,
tranquilla di fronte a lui, prima di tornare a concentrarsi sui fogli che aveva
davanti.
«Certamente. A nome
di chi?»
«Beh, è stato
mio fratello a telefonare… Toy Kinomoto…»
Finalmente l’uomo
diede ascolto a Sakura e consultò un registro, scorrendo con il dito una
lista di nomi.
«Ah, sì. Ecco
qui. Tre persone. Kinomoto, Daidouji e Shaoran, giusto?»
«Giusto.»
Il receptionist si voltò,
prese una chiave tra quelle appese al muro e la consegnò a Sakura.
«Ecco qui,
signorina. Stanza 118, secondo piano. Divertitevi, ragazzi.»
Prima che Sakura potesse
aggiungere qualcosa, l’uomo si era precipitato a rispondere al telefono.
«Stanza 118?»,
ripetei io lentamente. «Cioè una sola stanza?... Ehi, ma voi due
lo sapevate?»
Mi sentivo arrossire
sempre più intensamente. Vidi che anche Sakura era a disagio. Scosse la
testa ed evitò il mio sguardo.
«No. Deve esserci
stato un errore.»
Tomoyo ridacchiò.
«Dai, Li, mica ti
mangiamo…!»
«Non ho
paura», sbuffai, cercando di dissimulare il nervosismo. «Solo che
questa cosa non è molto normale…»
«Li ha ragione,
Tomoyo», mormorò Sakura piano. «Ad essere sincera, non vedo
il lato comico.»
Ero perfettamente
d’accordo con lei…
Tomoyo rise di nuovo e mi
afferrò un braccio, incamminandosi verso l’ascensore. Mi impuntai.
«Ehi, molla! Molla,
ho detto! Tanto non ci vengo, non mi puoi costringere!»
«Allora dove pensi
di dormire per le prossime due notti?»
«Ah, non preoccuparti,
troverò un posto, io mi adatto facilmente…»
Tomoyo smise di tirarmi a
sé e si sporse a sussurrarmi all’orecchio.
«Li, lo vuoi capire
che ti si stanno presentando le occasioni migliori per parlare con
Sakura?»
La fissai sconcertato.
Quella ragazza era incredibile. In quella situazione così imbarazzante,
andava a pensare che io potevo parlare con Sakura? Certo che era davvero
un’amica…
In quel momento anche
Sakura ci arrivò accanto. Entrammo tutti e tre in ascensore. Sbirciai
Sakura di sottecchi, e sul suo viso vidi riflesso il mio stesso imbarazzo. Solo
Tomoyo sembrava davvero serena, se non entusiasta…
Il viaggio in ascensore
durò fin troppo poco. In men che non si dica ci ritrovammo al secondo
piano. Tomoyo uscì per prima; io aspettai che Sakura la seguisse. Quando
mi passò davanti, alzai gli occhi da terra e vidi che mi guardava. E
provai il solito vuoto allo stomaco, quello che ti prende quando salti in un
precipizio, con un elastico o meno.
Mi incamminai dietro di
loro, maledicendo mentalmente Toy, che a mio parere era l’unico
responsabile dell’errore dell’albergo: evidentemente non aveva
specificato la necessità di una stanza a parte per il
sottoscritto…
Poi arrivammo alla nostra
stanza, e mentre Sakura apriva la porta, io fui praticamente spinto dentro da
Tomoyo.
La 118 era spaziosa e ben
illuminata, con una grande finestra che dava dritto sul mare. Mi soffermai solo
superficialmente sull’arredamento; guardai invece con più
attenzione i posti letto. Un singolo e un letto a due piazze.
«Beh», fece
Tomoyo, affiancandosi a me e guardandosi intorno con aria critica, «direi
che io e Sakura possiamo dormire nel lettone, così Li non rischia
l’infarto per arrossimento eccessivo…»
Le scoccai un’occhiataccia,
ma mi sentii avvampare ancor più di prima.
Sakura sedette sul letto a
due piazze e mi guardò. Anche lei era un po’ rossa, ma sicuramente
era più tranquilla di me. Sorrise timidamente.
«Non so cosa diavolo
abbiano combinato con la nostra prenotazione», disse. «Comunque,
sono contenta di stare qui con voi. Mi basta questo.»
Ricambiai il suo sguardo.
E mi dissi che sì,
anch’io ero contento. Al di là di tutto il resto.
Era notte fonda.
Mi giravo e rigiravo in
quel letto accostato al muro, ma non riuscivo a prendere sonno.
Beh, che scoperta. Come
potevo dormire, in quella situazione?
Non era solo il fatto di
dover dividere la stanza con due ragazze. Era anche la pura e semplice
vicinanza di lei a togliermi il sonno.
Sakura respirava piano,
nella parte del letto a due piazze più vicina a me. Dalla finestra
proveniva una lama di luce che calava direttamente sulla sua guancia,
così che, a meno di non darle le spalle, potevo vedere perfettamente il
suo viso illuminato dalla luna. Anche nel sonno, era l’immagine stessa
della grazia e della bellezza. Non riuscivo a smettere di guardarla e di
sognare, di illudermi che anche lei mi stesse sognando.
Quante volte avevo vissuto
notti simili?
Ore e ore passate al buio
nel mio letto a pensare a lei, a chiedermi se fosse sveglia, a pensare a come
sarebbe stato dirle che l’amavo, che l’avevo amata fin dal primo
istante e che l’avrei amata per sempre…
Per l’ennesima volta
ripercorsi la nostra storia.
Era iniziato tutto come un
caso, un incontro voluto dal destino. Lei era la Catturacarte, la
prescelta di Clow Reed; io avevo una missione che la comprendeva. Ci eravamo
incontrati, ci eravamo scontrati, e inizialmente non mi era piaciuta,
perché era una rivale, perché io dovevo dimostrare di essere
più in gamba di lei. Ma poi era cambiato tutto. Con la sua dolcezza, lei
aveva iniziato a farsi strada nel mio cuore, ad arrivare lì dove nessuno
aveva mai messo piede, a capirmi e a farmi capire se stessa. Ci eravamo
ritrovati più vicini che mai, uniti, amici. E inevitabilmente mi ero
innamorato di lei.
E quante volte avevo
sognato di dirglielo… Ma c’era sempre stato qualcosa a frenarmi.
Prima le mie naturali difficoltà di esprimere ciò che avevo
dentro. Poi la consapevolezza che lei amava un altro. Ma anche adesso che avevo
imparato a conoscere i miei sentimenti, e che sapevo che l’altro in questione non occupava
più quel posto speciale nel cuore di Sakura, ugualmente non riuscivo a
dichiararmi. Forse avevo paura di soffrire per una sua reazione, di perdere la
sua amicizia. Forse ero solo incapace di ammettere una cosa tanto forte. Non lo
sapevo nemmeno io. Sapevo solo che era dura, insostenibile, e che ora che stavo
anche per tornare in Cina la cosa era ancora più difficile da gestire.
Ripensai alle parole di
Tomoyo, che continuavano a ronzarmi nelle orecchie con insistenza costante.
«Li, lo vuoi capire che ti si stanno
presentando le occasioni migliori per parlare con Sakura?»
Lei voleva solo vederci
felici. Lei era una vera amica.
Quella sera aveva fatto di
tutto per lasciarmi solo con Sakura il più possibile, come quello stesso
pomeriggio in treno, e probabilmente si era addormentata con la speranza che io
approfittassi del suo sonno per parlare con Sakura.
Ma io ero rimasto
lì ad occhi spalancati nel buio sempre più fitto, mentre il
respiro di Sakura si faceva regolare, ascoltandola scivolare nel mondo dei suoi
sogni, sempre sperando che lì ci fosse un piccolo posto anche per me.
Senza il coraggio né le parole di prendere un’iniziativa e aprirle
il mio cuore.
E anche adesso la
ascoltavo dormire e guardavo la luna riflettersi sul suo viso e sognavo senza
alcun bisogno di dormire.
Tomoyo aveva ragione.
Dovevo parlarle, e dovevo farlo al più presto.
Poco importava che stessi
per tornare a Hong Kong. Questo era meno importante, gliel’avrei detto in
seguito. Ma al più presto dovevo assolutamente dirle che
l’amavo… Perché non aveva senso continuare a fingere, e
perché se l’avessi fatto, ben presto sarei morto dentro.
La guardai un’ultima
volta e poi chiusi gli occhi.
L’indomani avrei
smantellato tutto: dubbi, paure ed esitazioni.
Già… Ma come
accidenti avrei fatto?
Ve l’avevo detto che la
situazione sarebbe stata tragicomica… Povero Li, eh? Però vedrete
che questa cosa gli servirà…
Ancora grazie a chi continua a
seguirmi… A prestissimo!
Terzo capitolo: continuano le
situazioni imbarazzanti per Li… Ma non mancano i suoi dolci pensieri
verso Sakura, che è ciò che rende questo personaggio davvero
speciale… (Giusto per inciso, esiste un fan club di Li Shaoran? Io mi
iscriverei subito!)
Tornando a noi, grazie per essere
ancora qui. E di nuovo buona lettura!
FORSE UN ANGELO
Capitolo 3
- La spiaggia -
“Un
viso angelico, mi basta un attimo e
Diventa
un brivido sognarti qui vicino a me…”
«Sakura…
Ascolta, è importante… Io…»
«Li, che ti prende?»
«Ti prego, ascolta,
devo dirtelo…»
«Ehi, Li, tutto
bene? Dai, apri gli occhi!»
Una luce improvvisa mi
ferì le palpebre ancora chiuse. Mi svegliai, stringendo gli occhi
davanti ai raggi di sole che entravano a fiotti dalla finestra. Era stato solo
un sogno…
Perché nei sogni
sembra tutto più facile?
Con un gemito mi portai
una mano al viso e mi sollevai su un gomito. Quando alzai la testa, vidi una
sagoma stagliata contro la finestra.
Sakura aveva ancora
indosso una vestaglia, se ne stava appoggiata con una mano sul davanzale, e mi
guardava. Io mi persi nell’osservare i suoi contorni indistinti nella
luce del sole già alto.
Un angelo… Doveva
essere un angelo. Quella ragazza non poteva essere umana, era troppo bella,
troppo bella per me che continuavo a sognare di poterla avere…
«Allora, ti senti
bene?» La voce di Sakura sembrava preoccupata. «Parlavi nel
sonno…»
Ops!
«Ah… No,
niente… Stavo sognando.» Distolsi subito lo sguardo da lei.
«Cosa… Cosa dicevo?»
«Non so, non ho
capito bene… Però continuavi a ripetere il mio nome…»
Imbarazzo a mille.
«Non ti ricordi cosa
stavi sognando?», continuò Sakura, esitante.
Scossi con energia il
capo.
«No. Evidentemente
non era importante.»
«Oh. Beh, meglio
così…» Lei si allontanò dalla finestra e si diresse
in bagno. «Ehm… Io vado a vestirmi», mormorò,
lievemente imbarazzata, come se solo in quel momento si fosse resa conto di
trovarsi sola in camera con un ragazzo, in vestaglia.
Mi sentii arrossire come
al solito e subito guardai altrove. Non volevo farla sentire in imbarazzo come
lei aveva involontariamente fatto sentire me.
Nello stesso istante in
cui si chiudeva alle spalle la porta del bagno, sembrò leggermi nel
pensiero e mi gridò attraverso il muro: «Tomoyo è
già scesa. Ha detto che voleva fare una “panoramica dell’albergo”,
o qualcosa del genere.»
Accidenti, Tomoyo…
Stava facendo proprio di tutto per lasciarci soli. Avrei dovuto esserle
grato…
Recuperai i vestiti dalla
borsa ai piedi del letto, poi sentii scorrere l’acqua della doccia.
Oh, no, cavolo. Stava per
venirmi un infarto. Ma come le saltava in mente?...
Per fortuna la tortura fu
relativamente breve. Alla fine Sakura uscì dal bagno, già vestita
e con i capelli un po’ umidi. Schizzai in piedi senza guardarla.
«Tutto tuo»,
disse passandomi accanto e tenendomi aperta la porta.
Mi rifugiai in quei due
metri per tre sospirando di sollievo. Mi guardai allo specchio, e mi venne
voglia di tirare un pugno alla mia immagine riflessa.
Perché, perché avevo accettato di andare
a passare quel weekend con lei? Ero davvero disposto a fare il martire in quel
modo? La situazione stava diventando insostenibile.
E intanto pensavo che
prima o poi avrei dovuto dirle tutto…
Quando finii di provvedere
alle mie incombenze, tornai nella stanza infilandomi una felpa sulla maglietta.
Mentre emergevo con la testa dalla felpa, vidi Sakura seduta tranquilla sul
letto, che mi guardava.
«Li, ma davvero hai
bisogno della felpa? Con questo bel tempo?»
Evitai di nuovo il suo
sguardo.
«Beh, lo sai che
soffro il freddo…»
«Già,
scusami.» Percepii un sorriso nella sua voce, anche se continuavo a non
guardarla. «Non ci avevo pensato. Beh, comunque non l’avevo mica
dimenticato… Ti ricordi che ti ho fatto una sciarpa proprio per questo
motivo, no?»
Un pugno allo stomaco.
E come potevo non
ricordare?
In quei giorni veniva a
scuola completamente assonnata. Più di una volta ero stato sul punto di
alzarmi a sostenerla, durante quelle lezioni in cui sembrava esausta. Mi
preoccupavo da morire, pensavo a chissà quale problema potesse avere in
quel periodo; invece lei semplicemente non dormiva più, perché di
notte era impegnata a preparare una sciarpa per me, perché mi aveva
invitato ad una festa all’aperto e sapeva che non tolleravo il
freddo… E l’aveva fatto anche per ringraziarmi, perché in
quel periodo le avevo dimostrato che anch’io potevo ascoltare lei, che
anche lei poteva contare su di me, che il nostro rapporto di complicità
non era a senso unico come era sembrato spesso…
Come potevo dimenticare?
Come potevo dimenticare come mi ero illuso che in quel gesto, in quella sciarpa
ci fosse qualcosa in più della riconoscenza e dell’amicizia?
Basta, basta ricordi, ora
bisognava guardare al presente.
Mi sedetti sul letto, di
fronte a lei. Sakura mi guardò allegramente. Ogni traccia del precedente
imbarazzo sembrava sparita.
«Sakura,
senti…»
Oddio. Avevo iniziato.
Avevo iniziato davvero.
«Dimmi»,
sorrise lei tranquilla.
Cadde il silenzio.
«Ecco…»,
feci alla fine…
Ma prima che potessi
aggiungere qualsiasi cosa, si sentì un leggero bussare alla porta.
«Servizio in
camera», giunse una voce femminile.
Sakura si alzò,
andò ad aprire e ringraziò gentilmente la ragazza che ci aveva
portato la colazione.
Quando la congedò,
si voltò di nuovo verso di me e venne a sedersi al mio fianco, posando
il vassoio tra di noi.
«L’ho chiamato
io, così quando tornerà Tomoyo potremo fare colazione insieme.
Cosa stavi per dirmi?»
La guardai. Così
terribilmente vicina, così tremendamente lontana. E così ingenua.
E forse proprio per questo così bella e pura…
Scossi lentamente la
testa.
«Niente.» Cercai
di sorriderle. «Volevo proporti di scendere per la colazione, ma visto
che hai già provveduto tu…»
Sakura rise.
«A quanto pare sono
stata previdente.» Prese una fetta biscottata, una confezione di
marmellata in miniatura e un piccolo coltello da pane. «Beh, buon
appetito, Li.»
Circa due minuti più tardi Tomoyo si riaffacciò nella nostra
stanza, ed ogni mia eventuale intenzione di provare di nuovo a parlare a Sakura
uscì pian piano dalla porta che si chiudeva alle sue spalle.
«Ma è
meraviglioso!»
Sakura si portò la
mano agli occhi e guardò verso l’orizzonte, dove il mare sembrava
stendersi all’infinito. Io mi voltai a guardare lei. Il vestito leggero
era dilatato dal vento, e i capelli svolazzavano come piccole onde a definire i
contorni del suo viso.
“Tu sei meravigliosa”, avrei voluto
dirle…
Tomoyo lasciò
cadere la borsa da spiaggia e si portò la videocamera all’occhio.
«Questo posto sembra
quasi una favola», mormorò in tono sognante.
Sakura si voltò
sorridendo verso di me.
«Tu che ne pensi,
Li?»
Tanto per cambiare,
distolsi subito lo sguardo da lei.
«Sì,
è…È molto bello.»
Ci incamminammo lentamente
lungo il bagnasciuga. Ad un tratto, Tomoyo si fermò.
«Direi che qui
è perfetto.» Lasciò per un istante la videocamera, giusto
il tempo di sfilarsi il vestito e di emergerne in costume da bagno.
«Forza, ragazzi, comincia la vacanza.»
No, Tomoyo, non
esattamente.
Non era la vacanza, ad
iniziare…
Iniziava il momento
più imbarazzante di quei due giorni.
Cercavo disperatamente di
non pensare. Eppure devo riconoscere che è difficile mantenersi lucidi,
quando sei al mare, in una spiaggia semideserta, solo con due ragazze, una
delle quali è quella di cui ti sei innamorato da sempre e per sempre.
Cercavo di non pensare e
di concentrarmi sugli scherzi che si facevano Sakura e Tomoyo. Guardavo Tomoyo
che per vendicarsi di uno schizzo troppo alto cercava ridendo di affogare
Sakura…
Poi Sakura riemerse in
superficie. A due centimetri dal mio viso.
Si spostò dagli
occhi i capelli bagnati e mi guardò mentre riprendeva fiato.
La sorpresa e
l’imbarazzo furono tali che io stesso rischiai di affogare, mentre mi
allontanavo precipitosamente. Lei mi fissò con un sorriso intimidito.
«Scusami, Li…
Non volevo spaventarti.» Si voltò di nuovo verso Tomoyo. «E
tu, questa me la paghi!»
Nuotò velocemente
nella sua direzione, mentre Tomoyo se la filava via ridendo come una matta. Il
suono delle loro risate si perse in un eco nella mia mente.
No, Sakura… Non mi
avevi spaventato… Non più del solito.
Solo che era così
difficile averla così vicina e non riuscire a dirle quanto io…
Sospirai, poi presi fiato
e mi immersi.
L’acqua fredda
sembrò placare il caldo che sentivo sulle guance.
«Mamma mia, che
nuotata!»
Tomoyo si lasciò
cadere, ansante e soddisfatta, sulla sabbia al mio fianco. I capelli raccolti
in due code si erano fatti crespi per via della salsedine, ma lei sembrava non
farci caso: sorrideva con l’aria di una bambina felice.
«Sakura sta cercando
delle conchiglie. Vuole portarne a casa una bella collezione.» Mentre
terminava la frase, smise di sorridere e mi guardò. «Ancora non le
hai parlato, vero?»
Arrossii e tuffai la testa
nel libro che tenevo aperto sulle gambe e che da un pezzo avevo smesso di
leggere.
«Accidenti, Li,
questa mattina sei stato solo con lei per un’ora almeno… Possibile
che tu non abbia trovato il modo per…?»
«Senti»,
mormorai a denti stretti, «ma perché ti sei fissata con questa
storia?»
Lei non rispose. Mi sentii
subito un ingrato.
«Oh… Scusami,
Tomoyo. So che stai cercando di aiutarmi. Però… Ecco…»
«Sakura è la
mia migliore amica», disse lei tranquillamente, senza accuse né
risentimenti, «e tu sei il mio migliore amico. Io non sopporto di sapere
qualcosa che Sakura non sa, così come non sopporto di vedere te star
male e rigirarti per sempre in questo dubbio, senza trovare il coraggio di
rischiare. Li, devi farlo per te, non per me. Per te e per lei. Perché
è giusto così.»
Sospirai e feci scorrere
lo sguardo lungo la spiaggia. Sakura era lì, lontanissima, intenta a cercare
conchiglie, in quel suo costume da bagno verde, della stessa sfumatura dei suoi
occhi. Una visione nella luce del sole…
«Questa sera qui in
spiaggia ci sarà una festa», mi giunse di nuovo la voce di Tomoyo.
«Me lo ha detto il receptionist stamattina. Magari sarà
l’occasione adatta. Non credi?»
Mi limitai ad annuire.
Chissà, forse aveva
ragione anche stavolta.
Quella sera avrei dovuto
correre il rischio.
Perché era giusto
così.
Spero abbiate notato che, come vi
avevo promesso, la storia si sviluppa, non resta statica e introspettiva come
sono di solito le mie one-shot… E visto che siamo in tema, cosa ne
pensate di questa mia svolta?
Avrete anche notato che Tomoyo ha
un ruolo di una certa importanza in questa storia. In effetti, credo che lei
sia la tramite perfetta tra Li e Sakura. Ce l’avessi io, un’amica
così!
Spero che vogliate pazientare fino
al prossimo capitolo… E spero che non rimaniate troppo delusi.
Ehilà, eccomi di nuovo qui!
Ci tengo a scusarmi per il ritardo… Il fatto è che con la scuola
che è ricominciata, mi è stato più difficile
collegarmi… Spero non vi siate spazientite troppo, voi che mi aspettavate!
Questo sarà un capitolo un
po’ malinconico, nel senso che il mio povero dolcissimo Li subirà
un brutto colpo (ma del resto anche Sakura soffrirà, per motivi
analoghi…) e giungerà ad una decisione diversa da ciò che
ci si poteva aspettare alla fine del capitolo precedente. Ma tranquille, amiche
mie, vedrete che col tempo…
FORSE UN ANGELO
Capitolo 4
- La festa -
“Ma
forse è giusto sia così, conoscerti ed illudersi…”
Aspettavo in piedi
nell’ingresso dell’albergo, cercando invano di non sentirmi un
perfetto idiota.
È difficile non
sentirsi un idiota, quando si indossa uno stupido abito tradizionale per andare
ad una stupida festa in spiaggia.
Un momento: non era certo
l’abito, né la festa in sé, a farmi sentire così.
Era più il fatto che era la prima volta che indossavo un vestito del
genere per un’occasione che non fosse la cattura di una Carta di Clow.
Però Tomoyo era stata a dir poco categorica.
«Si tratta di una
festa elegante, perciò niente maglioni e pantaloni sformati, ma abiti
come si deve.»
Alla fine avevo dovuto
arrendermi, e adesso me ne stavo lì con quel vestito cinese che di
solito indossavo solo per aiutare Sakura nelle sue battaglie contro il cosmo,
sentendomi completamente sbagliato.
La sensazione si
acuì quando le mie due amiche uscirono dall’ascensore.
Tomoyo era fantastica. Sul
serio. Il lungo kimono bianco risaltava in modo quasi innaturale contro i
lunghi capelli neri che aveva lasciato sciolti. Quando mi vide, sollevò
allegramente un braccio e mi salutò, con uno sguardo del tipo: Niente male, ottima scelta.
Dal canto mio, allargai le
braccia, come a dire: Avevo solo questo,
che ti aspettavi?...
Poi Tomoyo si voltò
e tirò qualcuno a sé.
Sakura uscì
impacciata dall’ascensore e si guardò intorno.
Era un sogno ad occhi
aperti.
Aveva un kimono rosa, del
colore dei fiori di ciliegio, ma con ricami di mille altri colori dalle mille
sfumature. Lei non aveva nulla di particolarmente diverso: era sempre la
stessa, con la stessa pettinatura, senza trucco, naturale come sempre;
però aveva comunque qualcosa in più, qualcosa di magico. E non dipendeva
certo dal vestito. Il vestito sbiadiva se la guardavo negli occhi.
Mi sentii riempire il
cuore da quel senso di vuoto, di inadeguatezza, che mi assaliva sempre
più frequentemente negli ultimi tempi. Decisamente, non potevo sperare
di averla, non potevo sognare di lei, era una creatura al di fuori della mia
povera portata… Era un angelo o anche qualcosa di più…
Solo in quel momento mi
accorsi che Sakura mi aveva visto, e che mi fissava.
Lei e Tomoyo si diressero
tranquille verso di me. Ad ogni suono di passo, un battito del mio cuore
saltato.
«Scusa il ritardo,
Li», disse Tomoyo.
Io mormorai un «Non
fa niente…» e continuai a fissare Sakura. Che mi guardava a sua
volta.
«Li…»
«Eh…
Che… Che c’è?»
Sakura mi sorrise.
«Niente. Sono
contenta che tu abbia messo questo vestito. Ti sta benissimo.»
Stavo per evaporare.
In teoria avrei dovuto
essere io a farle dei complimenti.
Ma Sakura mi sorprendeva
sempre.
Lei si voltò verso
le porte dell’albergo.
«Beh, allora
andiamo?»
Tomoyo la seguì;
percepii distintamente una sua risatina mentre mi passava accanto.
Io le andai dietro come un
automa, sentendomi non più in grado di connettere.
Era solo il tramonto, ma la
spiaggia era già piena di gente.
«Andiamo a sederci
laggiù», disse Tomoyo, indicando una fila di tavoli
all’ombra di una pineta poco lontana. «Potremmo prendere qualcosa
da mangiare e poi fare un giro. Ovviamente ho con me la videocamera, non potevo
rinunciarci proprio stasera…»
Vidi Sakura voltarsi
assolutamente interdetta verso di lei, che mostrava orgogliosa una borsetta.
«Tomoyo, sei
incredibile, non ti smentisci mai…»
Lei si limitò a
ridere. Io scossi la testa sorridendo, ma di colpo le parole che Tomoyo aveva
detto mi sembrarono assumere un nuovo significato, solo per me.
«… Non potevo rinunciarci proprio
stasera…»
Era così sicura che
finalmente avrei parlato a Sakura?
Beh, io non lo ero. Per
niente.
Ci incamminammo verso la
pineta, dove la lunga fila di tavoli si stendeva fino ad un piccolo chiosco.
Quando arrivammo, Sakura
si voltò verso me e Tomoyo.
«Voi andate a
cercare un tavolo libero. Io vado al chiosco a prendere qualcosa.»
«Se… Se
vuoi…» Esitai per un istante, poi mi ripresi. «Posso
aiutarti.»
Sakura mi guardò
sorridendo.
«Sei gentile, ma non
occorre che…»
«Secondo me è
un’ottima idea», intervenne subito Tomoyo. «Andate in due,
così potrete prendere più cose, no? Io invece cerco un
tavolo.»
«Oh… Bene,
allora», fece Sakura, senza accorgersi dello sguardo complice che Tomoyo
mi scoccò.
Quella pazza l’aveva
fatto di nuovo.
Ero di nuovo solo con Sakura.
Ci dirigemmo al chiosco
delle ordinazioni; io mi scervellavo per trovare qualcosa da dirle. Certo, non
era affatto il momento adatto per una dichiarazione, ma potevo almeno dirle
qualcosa di carino. Solo per farle capire quanto ero contento di essere lì
con lei.
Ma le parole non
arrivarono mai.
Vicino al chiosco
c’era una schiena fin troppo familiare. Quando la persona in questione si
voltò, vidi che anche il viso era fin troppo familiare. E lo vide anche
Sakura.
«Yuki!»
Lui si voltò verso
di noi e ci vide. Sorrise apertamente.
«Ma guarda, è
la mia piccola Sakura!»
Solita fitta di gelosia
allo stato puro.
Sakura gli corse incontro.
Yuki si chinò su di lei.
«Che ci fai
qui?», dissero nello stesso istante, per poi scoppiare a ridere
contemporaneamente.
Rimasi indietro ad
osservarli.
Io avrei mai avuto quella
complicità con lei?
«Prima tu…»
«Sono qui di
passaggio. Sono solo venuto a trovare un amico. E tu, invece?»
«Io sono qui per il
weekend con Tomoyo e Li.» Sakura si voltò verso di me. «Ehi,
Li, vieni!»
«Ci sei anche tu,
Li», sorrise Yuki mentre mi avvicinavo con riluttanza. «Sono
contento di vederti.»
Avrei voluto poter dire la
stessa cosa. Ma proprio non lo pensavo. Così mi limitai a salutarlo
freddamente.
«E così siete
venuti alla festa del paese, eh?» Yuki non sembrò preoccuparsi
della mia freddezza e si concentrò di nuovo su Sakura. «Beh,
è una bella coincidenza.»
«Sì, è
vero», rise Sakura. «Senti, vuoi unirti a noi?»
La guardai di sottecchi,
sperando di non incenerirla con lo sguardo.
«Ti ringrazio, Sakura,
ma sono già con quel mio amico…»
Musica per le mie
orecchie.
«Oh… Beh, ad
ogni modo ci vediamo in giro, va bene?»
«Va bene. A presto,
Sakura. Salutami tanto tuo fratello, appena lo senti… Ciao, Li.»
«Ciao,
Yuki…»
«Ciao»,
biascicai io.
Non appena Yuki si
allontanò, lo sguardo di Sakura si intristì. La fissai
sconfortato. Ora in me oltre alla gelosia c’era la preoccupazione. In
realtà non sopportavo di vederla così. Quel ragazzo le aveva
rifilato la sua prima delusione d’amore, accidenti, e lei doveva soffrire
ancora terribilmente.
Quando si accorse che la
guardavo, cercò di sorridere.
«Tranquillo. Non sto
male. Te l’ho già detto una volta che non sono più
innamorata di lui, e che forse non lo sono mai stata. È solo
che…» Si guardò i piedi. «Beh, è così
strano…»
La capivo. Come sempre. Le
posai una mano su una spalla, esitante.
«Dai, non pensarci.
Perché non vai a sederti con Tomoyo? Ci penso io alle
ordinazioni.»
Sakura mi guardò e
sorrise in modo più sincero.
«Grazie, Li…
Sei proprio un amico.»
Scostai la mano dalla sua
spalla e le sorrisi. Poi lei si allontanò verso i tavoli, cercando
Tomoyo.
Io sospirai e mi misi in
fila per ordinare.
Era inutile. Non sarebbe
mai cambiato nulla.
Sakura diceva di non
amarlo più, e probabilmente lo pensava davvero, ma la verità era
che sarebbe sempre rimasta legata in modo indissolubile a Yuki. Era stato il
suo primo vero amore, non poteva sperare di dimenticarlo davvero. Proprio come
io non avrei mai potuto dimenticare lei…
E non potevo nemmeno
sperare di poter essere tanto importante per lei da far sì che
dimenticasse Yuki…
Era stato bello illudersi,
per quella giornata, e anche per quella precedente, e dirmi che presto le avrei
parlato dei miei sentimenti più nascosti e che forse avrei scoperto che
lei mi ricambiava. Era stato bello, ma tutte le illusioni finiscono.
In quel momento persi ogni
intenzione di parlarle.
Tanto non sarebbe servito
a niente.
Non mi restava che tornare
in Cina così come ne ero venuto, in silenzio, e senza dirle quanto era
stato importante per me stare in Giappone, perché vi avevo trovato lei,
e perché forse quando l’avevo conosciuta già l’amavo,
pur senza saperlo, e già mi illudevo.
Forse era questa la cosa
giusta. Forse Tomoyo sbagliava, e l’unico modo per non soffrire era
quello con cui ero sempre andato avanti: fingere e tacere.
Quando arrivò il
mio turno e ordinai qualcosa da mangiare e da bere, ero deciso.
Non dovevo dirle niente.
Non sarebbe servito a
niente.
Non sarebbe cambiato
niente.
Mai.
Mi dispiace molto aver distrutto Li
in questo modo. Se fosse per me, non lo farei mai soffrire… Ma come lo si
può trovare, un ragazzo dolce come lui?... Però guardate che
Sakura non è in mala fede, è sincera quando dice di non amare
più Yuki, e nel prossimo capitolo dimostrerà a Li qualcosa di
importante… Vedrete… Se continuerete a leggere! E spero di farvi
aspettare meno, stavolta…
Bentornati e grazie di essere
ancora qui! Questo è un altro capitolo in cui sembra che Li si arrenda alla certezza che non potrà mai sperare
nell’amore di Sakura… Tuttavia, come vi avevo accennato, qui lei
gli dà un segno, una dimostrazione di affetto che non ha bisogno delle
parole, e vi assicuro che questo sarà molto importante per
entrambi…
FORSE UN ANGELO
Capitolo 5
- La scogliera -
“Ti
regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla
Luce
dopo la tempesta, un desiderio resterai
Semplicemente
stupenda, unicamente te
Forse
un angelo sei…”
«Hai visto
Sakura?»
Si stava facendo tardi. La
festa era quasi finita, e di lì a poco ci sarebbe stato lo spettacolo
finale, i fuochi d’artificio. Sakura sembrava sparita, in quel mare di
gente, e io iniziavo a preoccuparmi sul serio.
Tomoyo mi guardò
con occhi allarmati e scosse la testa.
«Non la vedo da un
pezzo. Credo che rivedere Yuki l’abbia scossa parecchio, anche se si
sforza di non darlo a vedere.»
Strinsi i pugni e guardai
per l’ennesima volta lungo il bagnasciuga, su e giù, più
volte, sperando di vedermela comparire al fianco all’improvviso, a
cancellare ogni mia preoccupazione.
Mi sentivo malissimo.
Sakura stava soffrendo in silenzio, ed io non ero con lei. Si era allontanata
con il suo dolore e la sua confusione, e io non potevo fare niente per farla
star meglio. Avevo voglia di prendermi a schiaffi, ma non avrei risolto nulla.
«Li, penso che
dovresti andare a cercarla.»
Mi voltai. Tomoyo mi
guardava seria e inflessibile.
«Non fraintendermi.
In questo momento non mi riferisco a quel che devi dirle. Penso solo che le
farebbe bene averti accanto adesso. Le ha già fatto bene una
volta… Ricordi?»
Abbassai lo sguardo. Certo
che ricordavo. Sakura mi aveva già detto che, se non fosse stato per me,
non sarebbe riuscita ad affrontare la delusione nei confronti di Yuki…
Allora avevo saputo consolarla, e dovevo farlo anche adesso. Ne sarei stato in
grado. Sollevai di nuovo gli occhi su Tomoyo.
«Va bene, ma come
faccio a trovarla?», sbottai sconfortato.
Con mia grande sorpresa,
Tomoyo sorrise.
«Perché non
ti lasci guidare dal tuo cuore?»
Mi sedetti sulla cima
della scogliera e guardai in basso, sempre più scoraggiato. La spiaggia
si stendeva sotto di me, piena di persone e voci e colori, ma vuota,
perché lei non c’era. O almeno, io non l’avevo trovata.
Non era bastato cercarla
in ogni punto di quella maledetta spiaggia. Se dovevo ascoltare le parole di
Tomoyo, e farmi guidare dal mio cuore, beh, io l’avrei cercata in cielo,
da dove credevo fosse venuta… Ma questo era impossibile, riflettei mentre
alzavo gli occhi e guardavo la luna.
«Dove sei finita,
Sakura?», mormorai nella notte.
E poi,
all’improvviso, un’ombra lontana oscurò una stella, poi
un’altra, e un’altra, finché si fece sempre più
vicina. Volteggiò intorno al faro, alto sulla mia testa, e poi
iniziò a scendere sulla scogliera.
Sbarrai gli occhi. Non
riuscivo a crederci.
L’avevo cercata
lassù, e l’avevo trovata.
Grande, Tomoyo.
Sakura smontò dallo
Scettro che aveva trasformato grazie alla Carta del Volo, e su cui aveva volato
all’amazzone, impacciata dal kimono; poi saltò sulla scogliera,
poco distante da me. Tramutò di nuovo lo Scettro della Stella in Chiave
del Sigillo, infine si voltò e mi vide.
«Li? Che fai
quassù?»
Cercavo lei… Come al
solito…
Non dissi nulla. Mi
limitai a guardarla, sperando che finalmente si sfogasse, che riversasse tutto
quel che aveva dentro, dandomi il modo di ascoltarla, capirla, consolarla.
Sakura si avvicinò
lentamente e venne a sedersi accanto a me. Quando mi fu vicina, anche se il
cuore mi arrivò in gola, potei vedere alla luce della luna che sul viso
aveva tracce di lacrime.
Non mi guardava in viso.
«Mi dispiace di
essermi allontanata senza dirvi nulla. Volevo solo… pensare.»
Annuii in silenzio. Non
volevo metterla sotto pressione con domande inutili e stupide frasi di circostanza.
Se voleva sfogarsi, doveva essere lei a parlare. Portai di nuovo lo sguardo
sulla spiaggia, aspettando.
Lei però non disse
nulla. Forse non sentiva il bisogno di parlare, forse le bastava aver pianto
sola lassù nel suo mondo di stelle, forse io non le servivo.
Per un istante quel
pensiero mi fece male. Avrei tanto voluto dimostrarle quanto le ero vicino. Ma
non potevo, se lei non me lo permetteva, se lei non lo voleva.
Ma non era così.
Lei aveva bisogno di me come io avevo bisogno di lei. E me lo dimostrò
senza parole, prendendo la mia mano nella sua e stringendola forte,
lassù su quella scogliera a un passo dal cielo.
Quando sentii la sua
stretta, abbassai lo sguardo sulla sua mano e mi sentii avvampare. Ma per
fortuna questa volta la penombra sarebbe stata mia complice, e non avrei avuto
bisogno di nascondere il mio rossore. Al contrario, in quel buio potevo
ricambiare la sua stretta senza paura.
Restammo così per
molti, lunghi minuti. E mi bastava questo per essere felice. Avrei voluto che
quella notte non finisse mai, se mi permetteva di stare lassù con lei e
trasmetterle attraverso il tocco di due mani tutto ciò che non ero in
grado di dirle e di darle altrimenti.
Alla fine, Sakura fece per
alzarsi.
«Sarà meglio
che andiamo. Tomoyo sarà preoccupata.»
Ci alzammo insieme, e
Sakura non lasciò andare la mia mano.
Mi sentivo al di sopra
della luna.
Nel momento esatto in cui
fummo in piedi, il primo fuoco d’artificio partì dabbasso ed
esplose sopra le nostre teste. Lo seguimmo con gli occhi, e osservammo quella
pioggia di colori scendere a bagnare il mare.
Mi voltai a guardare
Sakura. Se ne stava lì con il capo reclinato, gli occhi persi nel cielo;
il blu si specchiava nel verde. Nei suoi occhi rilucevano tutte le stelle che
avrei voluto saperle regalare.
Sarebbe stato il momento
ideale per…
Ma ripensai a ciò
che avevo deciso poche ore prima, quando l’avevo vista correre incontro a
Yuki.
Io non sarei mai stato per
Sakura ciò che lei era per me. E lei per me era tutto. Era il mondo
intero, era la speranza, era la vita giunta all’improvviso quando meno me
l’aspettavo, era l’arcobaleno dopo la pioggia.
Ed era inutile parlarle,
non sarebbe servito a niente.
Lei era solo un sogno, il
mio sogno più grande, e tale sarebbe rimasta per sempre.
E in quella luce sembrava
ancor di più l’angelo che credevo che fosse…
Distolsi lo sguardo. Avevo
deciso, non le avrei detto nulla. Perciò, perché continuare a
sognare? Avrebbe fatto ancora più male, poi, il risveglio.
Però la sua mano
sulla mia non era certo un sogno, era vera, era meravigliosamente reale…
Prima che me ne rendessi
conto, lo spettacolo pirotecnico era già terminato.
Sakura sembrò
riscuotersi. Si voltò a guardarmi e sorrise lievemente.
«Dai,
andiamo.»
Lasciò la mia mano,
lentamente, come se nemmeno lei lo volesse… Poi si voltò e si
incamminò per scendere dalla scogliera e tornare in spiaggia.
Sospirai. Avevo deciso che
non mi sarei più illuso, e invece ci ero cascato ancora, ci cascavo
ancora.
Non si può sperare
di poter avere un angelo tutto per sé.
Sakura non sarebbe mai
stata mia. Per questo non potevo dirle nulla.
Dovevo continuare a vivere
in quel buio, finché me ne sarei andato, sarei tornato in Cina, e
probabilmente non avrei più visto lei né la luce che mi aveva
infuso nell’anima.
Non disperate, la fic è ancora lunga, e Li ci
mette poco a cambiare idea… Almeno in questa storia!
Grazie di nuovo a tutti voi che
ancora leggete… Il vostro pensiero mi stimola a continuare a scrivere, e
questo, credetemi, fa bene soprattutto a me. Se poi a voi piace ciò che
scrivo… Beh, allora beneficiamo tutti della cosa!
Vabbè, mi sono persa in una
considerazione strettamente personale… Ora vi lascio, così se
volete potete correre a inserire un commento… Mi farebbe molto
piacere…
Ehilà, bentornati! Dunque,
in questo capitolo si approfondisce ciò che Sakura sta cercando di
dimostrare a Li, ossia la sua amicizia e la sua riconoscenza per la vicinanza
di lui; e questo approfondimento porta Li a nuovi dubbi, dubbi che poi
culmineranno in una decisione. Per saperne di più, non vi resta che
continuare a leggere…
FORSE UN ANGELO
Capitolo 6
- La pineta -
“Come
una musica, sei la mia favola che
Io
vorrei vivere e rivivere insieme a te
E
quante notti spese per immaginarmi insieme a te…”
Quando arrivai ai piedi
della scogliera rocciosa e mi ritrovai di nuovo sulla sabbia, Sakura era
già lì ad aspettarmi. Mi sorrise e si incamminò al mio
fianco.
I miei passi erano
sincronizzati con i battiti del mio cuore. Mi ripetevo che dovevo smetterla di
sentirmi così in sua presenza, che ormai avevo deciso di ignorare
ostinatamente i miei sentimenti per lei, perché era inutile continuare a
pensarci; ma ugualmente non riuscivo a smettere di guardarla di sottecchi, di
arrossire stupidamente, di pensare a quanto era bella e a quanto l’amavo…
Ci dirigemmo di nuovo alla
spiaggia, ancora gremita di gente, dove i festeggiamenti non erano finiti del
tutto. Nell’aria della notte si propagavano ancora musica e risate.
Ma prima che giungessimo
in vista della spiaggia, Sakura mi prese di nuovo la mano. Mi immobilizzai,
provando il solito, familiare imbarazzo.
«Ho cambiato idea,
Li», mormorò. «Non mi va di trovarmi di nuovo in mezzo a
tutta quella gente. Ti prego, non torniamo là. Andiamocene da qualche
altra parte.»
Il cuore mi si fece
leggero come un palloncino.
Preferiva stare sola con
me, piuttosto che tornare in spiaggia.
Con me.
«Dove vorresti
andare?», mormorai, guardando la luna riflessa nei suoi occhi.
Sakura si voltò
verso la pineta e me la indicò.
«Laggiù non
c’è più nessuno. Ti va di…?»
«Certo che mi
va», dissi subito, senza nemmeno lasciarle terminare la frase.
Tenni la sua mano nella
mia mentre la guidavo dolcemente alla pineta.
Accidenti, mi sentivo
davvero stupido. Non dovevo essere così felice. Io non avevo più
nessuna intenzione di parlarle del mio amore per lei, giusto? Quindi non
c’era motivo di sentirmi così emozionato… Lei aveva solo
bisogno di stare ancora un po’ da sola, e il fatto che avesse scelto di
stare sola con me non significava nulla, se non che mi considerava un amico
vero, al punto da condividere con me anche i silenzi e il dolore… Niente
di più. Non c’era niente di più. Dovevo convincere questo
maledetto cuore a smettere di battere in modo così assordante…
Sakura aveva ragione. La
pineta era ormai deserta. Anche i tavoli che la costeggiavano ed il chiosco
delle vivande e delle bibite sembravano abbandonati. Doveva essere più
tardi di quanto credessimo; in effetti, i rumori dalla spiaggia diminuivano
sempre più, e il posto sembrava svuotarsi.
«Vuoi sederti un
po’?», chiesi esitante a Sakura, passando accanto allo stesso
tavolo cui eravamo stati solo poche ore prima, insieme a Tomoyo, dopo aver
incontrato Yuki.
Sakura scosse la testa e
strinse la mia mano.
«No. Continuiamo a
camminare.»
La guardai. Sembrava
confusa, smarrita, fragile… Più che mai, sembrava un angelo caduto
dal cielo.
E sentivo di amarla ora
più che mai…
Camminammo lentamente in
quella galleria di sempreverdi. I rami sulle nostre teste si facevano sempre
più fitti, impedendo alla luce della luna e delle stelle di continuare
ad illuminare il sentiero. Questo non ci fermò: continuammo a camminare
senza meta; del resto non mi importava di sapere dove saremmo andati a finire,
mi bastava sentire la mano di Sakura nella mia.
All’improvviso la
sentii fermarsi al mio fianco.
«Li, guarda!»
Mi fermai anch’io.
Eravamo finiti in uno spiazzo dove c’era più luce. Un piccolo
laghetto, presumibilmente solo una pozza d’acqua salata, si stendeva
davanti ai nostri occhi, e riflessi di stelle scintillavano sulla sua
superficie calma. Sakura ammirava la scena con aria estasiata.
«Questo posto
è bellissimo…»
Mi voltai a guardarla.
Sì, era davvero
bellissimo. Una favola.
Subito mi sentii
arrossire. Come facevo a ritrovarmi sempre in situazioni così imbarazzanti,
insieme a lei? Lasciai andare la sua mano e fissai insistentemente la
superficie del laghetto, cercando di dissimulare il mio nervosismo.
Sakura si lasciò
cadere in ginocchio sulla sponda della pozza. Sul suo kimono comparve una lunga
macchia scura di terra, ma lei non sembrò darvi peso. Allungò una
mano e fece scorrere le dita nell’acqua, lentamente, avanti e indietro,
in un gesto quasi ipnotico. Rimasi lì a guardare la sua schiena, senza
sapere cosa fare o dire, ma sentendomi come sempre totalmente inadeguato.
«Li…»,
sussurrò ad un tratto lei, senza guardarmi. «Mi dispiace se…
se non sono riuscita ad aprirmi con te. Stavo solo cercando di non stare
peggio… Ma a quanto pare, così facendo non riesco a stare meglio.»
Sentii delle lacrime
tremare nella sua voce. Mi dava le spalle, ma ero certo che stesse davvero
piangendo.
Poi iniziò a
parlare, e tutto venne fuori in modo fluido, e io rimasi semplicemente immobile
ad ascoltare.
«Non credevo che
rivedere Yuki sarebbe stato così doloroso. Voglio dire, non è la
prima volta che lo vedo dopo che… Insomma, dopo quel chiarimento tra me e
lui. Però è stato veramente strano. E mi ha fatto male
perché… Adesso so che non potrò mai dimenticarlo.»
Sollevò un braccio e si passò una mano sugli occhi. «Mi ero
illusa di poter dimenticare in fretta, ma a quanto pare non è
così. Fa malissimo, quando fai di tutto per non pensare ad una cosa e
poi te la ritrovi sempre davanti…»
Come la capivo… Io
vivevo così da sempre… O perlomeno, da quando avevo conosciuto
lei…
«Comunque voglio
chiederti scusa», continuò Sakura in un sussurro. «Avrei
dovuto far finta di niente, perché so che davvero non lo amo più;
invece mi sono mostrata confusa e spiazzata e… Probabilmente ti ho messo
in imbarazzo. Mi dispiace, Li.» Si voltò a guardarmi, e stavolta
vidi chiaramente le sue lacrime, ma anche l’accenno di un sorriso.
«Ti sono così grata… Tu ci sei davvero sempre…»
Mi sentii come se un
macigno mi fosse scivolato lentamente dalla gola allo stomaco.
In un certo senso, mi
aveva confermato di non essere più innamorata di Yuki. E dovevo essere
felice di questo.
Ma in più, mi aveva
detto chiaramente che era felice che io fossi lì con lei, in quel
momento e in tutti gli altri momenti.
Ed io mi sentivo
tremendamente in colpa.
Presto non sarei
più stato al suo fianco, e ancora non avevo nemmeno avuto il coraggio di
dirglielo.
Sakura si alzò
lentamente, mi si portò di fronte e si rifugiò tra le mie
braccia. Rivissi il momento in cui aveva cercato il mio conforto, il giorno
stesso in cui Yuki l’aveva respinta gentilmente… La strinsi a me
con dolcezza, sentendo il cuore battermi sempre più forte nel petto, ma
sentendomi anche un ipocrita.
Oramai dubitavo
profondamente della decisione che avevo preso, quella di non dirle nulla. Anzi,
la rinnegavo.
Perché non le avevo
ancora parlato?
Perché non riuscivo
mai a parlarle liberamente?
C’erano solo due
cose che avrei dovuto dirle. Ti amo e
Presto dovrò dirti addio. E
non ero riuscito a dirle nessuna di quelle due semplici ma difficilissime
frasi.
Perché doveva essere
sempre tutto così difficile?
La tenni a lungo stretta a
me, ascoltando l’affievolirsi del suo sfogo, che con le lacrime portava
via anche tutto ciò che c’era stato in lei di Yuki. Pensavo a come
sarebbe stato, quella notte, tornare di nuovo in albergo e passare
un’altra notte a chiedermi a come sarebbe stato trovare le parole e ad
illudermi ancora di poterla avere solo per me, ora che aveva strappato via
l’altro dal proprio cuore…
No, quella notte non
potevo tornare in albergo con tutti quei pensieri e quelle parole non dette.
All’improvviso mi
venne un’idea.
«Sakura…
Voglio portarti in un posto.»
Curiosi, eh?? Vedrete che il
prossimo capitolo sarà decisamente romantico… Come quelli a
venire, del resto…
Un abbraccio enorme e tantissimi
GRAZIE a voi fedeli lettori… Alla prossima!
Eccoci di nuovo insieme! Mi spiace
se stavolta vi ho fatto aspettare un po’ di
più… Comunque vi ringrazio per i commenti che nel frattempo non
sono certo mancati! Siete gentilissime, ragazze!!
Se ben ricordate, avevamo lasciato Li e Sakura nella pineta, mentre Li diceva alla ragazza di
volerla “portare in un posto”… Dal titolo di questo capitolo
capirete subito qual è il posto in questione (stavolta non sono stata
molto brava a giocare con la suspense, eh?). Però se volete sapere cosa
succederà là, beh, dovrete continuare a leggere… E spero
che non rimarrete delusi…
FORSE UN ANGELO
Capitolo 7
- Il faro -
“Ti
regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla
Luce
dopo la tempesta, un desiderio resterai
Semplicemente
stupenda, unicamente te
Forse
un angelo sei…”
«Dove
andiamo?»
Sorrisi lievemente mentre
Sakura prendeva di nuovo la mia mano e mi seguiva sul sentiero nella direzione
da cui eravamo venuti.
«Vedrai.»
E lei semplicemente si
fidò. Mi seguì attraverso la pineta, di nuovo in spiaggia, su
verso la scogliera.
«Ma… Stiamo
tornando al punto di partenza?», sorrise.
«Non proprio. Dai,
siamo quasi arrivati.»
Ci inerpicammo sul ripido
sentiero che scalava la scogliera e, arrivati in cima, ci fermammo a riprendere
fiato davanti al faro.
Sakura alzò lo
sguardo sull’alta costruzione, poi si voltò di nuovo verso di me,
con aria interrogativa.
Sorrisi più
apertamente.
«Mentre ero
quassù ad aspettarti, ho notato che la porta non era chiusa a
chiave.»
Non ero mai stato in un
faro, prima di quella volta. Innanzitutto, non avevo idea che ci fossero tante
scale. In secondo luogo, fui sorpreso di non trovare nessuno, nemmeno un
guardiano notturno.
Beh… Meglio
così.
Quando emergemmo nella
stanza principale, là dove si sprigionava la luce che guidava le navi
nella notte e nelle tempeste, Sakura andò entusiasta ad osservare il
panorama.
«Oh,
Li…»
Non disse altro, ma dallo
sguardo che mi rivolse capii quanto era contenta. E mi bastò.
Mi portai accanto a lei e
anch’io lasciai correre gli occhi sulla vista del mare calmo illuminato
dalla luna e dalle stelle. Sì, era stata davvero una buona idea…
La luce del faro girava e girava al centro della stanza, alle nostre spalle,
illuminando a tratti quella vista. Mi voltai verso Sakura e la vidi stagliarsi
contro quella lama di luce.
Un angelo…
Per l’ennesima volta
in quel giorno mi ritrovai incapace di paragonarla a qualsiasi cosa che appartenesse
a questa terra. No, lei non era umana, lei trascendeva questo mondo, lei
apparteneva al cielo, a quelle stelle che adesso sembravano circondarci…
Finora ero stato
abbastanza sicuro di me, nell’improvvisa decisione di farle una sorpresa
e di portarla lassù; ma adesso avevo perso tutta quella sicurezza, e
ancora una volta mi sentivo piccolo e vuoto accanto a lei.
Sakura mi guardò
sorridendo.
«Perché hai
voluto portarmi quassù?»
Mi scossi.
«Perché…
Perché questo è il posto più adatto per sentirsi lontani
da tutto ciò che c’è laggiù. È il posto
ideale per essere se stessi… E per sognare.»
L’avevo detto. Non
avevo la minima idea di come avessi fatto, ma l’avevo detto.
Sakura sorrise più
apertamente. Mi si avvicinò e, come il giorno precedente, in treno,
posò la testa sulla mia spalla, facendomi avvampare un’altra
volta.
«Grazie, Li…
È la più bella cosa che potessi fare per me.»
Mi lasciai andare. Stavamo
sognando, no? Allora cosa costava lasciarsi andare?
Abbandonai la guancia contro
i suoi capelli e chiusi gli occhi, pur sentendomi il viso in fiamme.
«Non mi devi
ringraziare. Tu hai sempre fatto tanto per me… Non immagini
quanto.»
Ero stupito di me stesso.
Piacevolmente sorpreso. In fondo non era poi così difficile aprirle il
mio cuore…
Restammo lì a
lungo, immobili, con la luce del faro che a volte colpiva le nostre schiene e
proiettava lontano le nostre ombre come se fossero state una sola.
Alla fine capii che forse
il sogno doveva finire, che forse era il caso di svegliarsi.
«Dovremmo tornare in
albergo…», mormorai.
Sakura si sollevò
di scatto e mi guardò implorante.
«Oh, no, Li, ti
prego… Restiamo. Stiamo qui, per stanotte.»
Sgranai gli occhi. Nello
stesso istante mi accorsi che mi era rimasta vicinissima, tanto che sentivo il
suo respiro sulla guancia, e mi scostai subito, terrorizzato da quella
vicinanza.
«Come? Vuoi…
Vuoi passare la notte qui?»
Sakura annuì.
«Solo per
stanotte… Hai ragione tu, è il posto migliore per sentirsi lontani
dal mondo. E credimi, in questo momento sto così bene qui che non ho
affatto voglia di tornare al solito mondo.» Sorrise. «Che ne dici?
Chiamo Tomoyo e le dico di non preoccuparsi?»
Certo, avevo sperato che
Sakura si sentisse meglio lassù, ma non mi sarei mai aspettato che
avrebbe voluto restarci per la notte. In altri termini, non mi sarei mai
aspettato di avere un’occasione così perfetta per parlarle…
Ma allora cosa
c’era, stavolta, a trattenermi?
Rimasi immobile a fissare
il soffitto. A tratti, il faro faceva scorrere il suo fascio su di me, ma non
me ne curavo. C’era molta più luce nel mio cuore. Perché
quella notte era stato illuminato dal tocco di un angelo.
Sakura era distesa accanto
a me, con gli occhi già chiusi, incurante del faro.
Non sarebbe stato
così difficile tendere il braccio, sfiorarle la spalla, scrollarla
gentilmente, dirle che dovevo parlarle, guardarla negli occhi e poi buttare
finalmente giù la maschera…
Ma era inevitabile, era
evidente, c’era ancora qualcosa a trattenermi.
Ancora adesso non so bene
per quale motivo non la svegliai, quella notte.
Forse mi rifiutavo ancora
di approfittare del suo momento di confusione, scatenato dall’aver
rivisto Yuki, e non volevo farle pensare semplicemente che fossi pronto ad
approfittarmi della sua prima debolezza per pensare ai miei comodi.
Forse non ero ancora
sicuro che parlarle fosse la cosa giusta, e ancora mi dicevo che per il bene di
entrambi sarebbe stato meglio dividermi da lei senza averle detto nulla,
perché non avrei sopportato l’eventualità di poter perdere
la sua amicizia.
Forse erano entrambe le
cose.
Fatto sta che rimasi
lì immobile a guardarla per buona parte della notte, mentre lei mi
dormiva accanto, con una mano stretta ad una manica della mia tunica, e rimasi
lì a sognarla senza poter dormire, ad immaginare di donarle la luna e le
stelle e tutto l’universo, a compiangermi nella consapevolezza di non
poter fare nulla, nella certezza che lei non sarebbe mai stata nulla più
che un desiderio destinato a restare irrealizzabile.
Non ricordo il momento in
cui riuscii a prendere sonno…
Ma ricordo benissimo quel
che accadde la mattina seguente, al mio risveglio.
Ecco che torna la suspense!
Chissà cosa succederà nel prossimo capitolo… Io,
ovviamente, lo so!! Che ne dite di scoprirlo anche
voi?
Bentornati! Su questo capitolo non
vi anticipo nulla, vi dico solo che è davvero decisivo… In che
senso? Provate un po’ a immaginarlo…
FORSE UN ANGELO
Capitolo 8
- L’alba -
“Mi
hai catturato l’anima e l’hai chiusa dentro te
Io
non posso più resistere, incontrollabile la voglia di dirti che
Ti
vedo ridere, sei così semplice
Indispensabile
sapere che per me sei un angelo…”
Quando aprii gli occhi,
quella domenica, il mio primo pensiero fu che quello era l’ultimo giorno
in cui, in teoria, avrei avuto l’occasione di parlare a Sakura dei miei
sentimenti. Quella sera stessa saremmo ripartiti.
Mi tirai su a sedere. Mi
trovavo in una stanza grande, circolare, con al centro quella che sembrava una
lampada spenta. Non indossavo la mia tenuta notturna, ma nientemeno che il mio
abito tradizionale. Come diavolo ero finito là? Cosa era successo prima
che mi addormentassi?
Poi mi ricordai tutto.
Dopo la festa avevo portato Sakura al faro, e lei mi aveva chiesto di restare a
dormire lassù. Mi voltai a cercarla con lo sguardo.
Non c’era.
Scattai in piedi, di colpo
perfettamente sveglio. La luce del sole, proveniente dalle pareti aperte del
faro, mi investì. Era solo l’alba, ma il sole già splendeva
in modo innaturale nel cielo a oriente, perdendosi in mille sfaccettature di
riflessi sulla superficie del mare, lontano fino all’orizzonte. Mi
affacciai a guardare fuori.
Sulla sporgenza della
scogliera c’era una sagoma umana in kimono rosa.
Mi voltai. La botola da
cui eravamo saliti la notte precedente era aperta. La imboccai e scesi quelle
mille scale d’un fiato, senza nemmeno chiedermi perché avessi
tanta fretta di andare da lei…
Arrivai fuori, nella luce
dell’aurora, e mi fermai accanto al portone del faro, guardando dritto
verso il promontorio.
Sakura era là,
stagliata nella luce, proprio come mi era apparsa la sera precedente. Una
visione. Una brezza leggera le scompigliava i capelli e faceva svolazzare le
lunghe e ampie maniche del suo kimono. Era immobile, concentrata
sull’orizzonte. Rimasi immobile a guardarla, senza più il coraggio
di fare quella dozzina di passi che ci dividevano, quei passi che nascondevano
tutti i silenzi e le paure di parlarle.
Poi, come se percepisse
una presenza dietro di sé, Sakura si voltò nella mia direzione.
Mi vide. E mi sorrise.
Un sorriso d’angelo.
Non c’era più
traccia, nel suo viso, della tristezza e della confusione che aveva mostrato la
sera prima, al laghetto nella pineta. Era serena, addirittura felice. Felice di
vedermi.
«Buongiorno,
Li!»
Mi avvicinai lentamente
fino a trovarmi a solo tre passi da lei.
In quel momento, vedendola
così, capii molte cose.
Non potevo semplicemente
sperare di non soffrire tacendole i miei sentimenti. Non potevo ricorrere a
stupide scuse, per non ammettere che invece avevo solo paura della sua
reazione. Non potevo non dirle che l’amavo, che vivevo di lei, che la
sognavo al mio fianco, che ormai la mia anima apparteneva a lei, lei che mi
aveva catturato quasi come fossi una Carta di Clow…
«Sakura… Devo
parlarti.»
Ecco fatto. Non
c’era più modo né tempo per tirarsi indietro. Questa volta
no.
«Cosa
c’è?», disse lei, in tono vagamente allarmato.
«È successo qualcosa?»
«No… No, tutto
a posto. Ecco, io…» Feci un passo verso di lei, sentendomi il volto
in fiamme, ma non mi curavo più di nasconderlo. «Io… Io
voglio dirti che…» Improvvisamente mi ritrovai vicinissimo a lei.
Sakura sollevò lo sguardo e mi rivolse un sorriso incoraggiante.
L’abbracciai.
Lei si irrigidì un
po’, evidentemente sorpresa e confusa da quel mio gesto così
inusuale, perché non ero mai stato tanto diretto nel manifestare le mie
emozioni… Io stesso non riuscivo a credere a ciò che stavo
facendo, e a ciò che stavo per dirle, ma sapevo che era importante, che
era incontrollabile, che non potevo più fingere. Alla fine, Sakura alzò
le braccia e ricambiò la mia stretta.
«Li, che cosa
c’è?», ripeté pianissimo.
Serrai gli occhi, quasi a
volermi nascondere la vista di ciò che sarebbe accaduto dopo. E
altrettanto piano le dissi quelle parole che da sempre avevo pronte sulle
labbra, ma che mai ero riuscito a tirare fuori…
«Sakura… Io ti
amo…»
Fu come se tutto restasse
sospeso, come se il corso stesso della vita e del cosmo si fermassero, per un
istante lungo come un’eternità.
Gliel’avevo detto
davvero… Per l’ennesima volta in quei due giorni insieme a lei, mi stupii profondamente di me stesso.
Sakura lasciò
scivolare le braccia lungo i fianchi, sciogliendo l’abbraccio, e si
tirò indietro.
Aprii gli occhi e vidi il
suo viso completamente stravolto.
Non mi mossi. Non
c’era altro da fare né da dire. Rimasi semplicemente immobile a
guardarla, rimpiangendo il momento in cui l’avevo stretta a me e avevo
potuto evitare il suo sguardo color giada; ma non distolsi i miei occhi dai
suoi, volevo che sapesse che ero sincero, che quelle parole non le avevo dette
superficialmente, che ci credevo, e che ci credevo da sempre…
Poi Sakura
indietreggiò di un altro passo, quasi rischiando di mettere un piede in
fallo e scivolare dalla cima della scogliera…
Mi guardò ancora
incredula per un altro interminabile minuto, come se non si rendesse pienamente
conto della situazione. Un lieve accenno di rossore le colorò le guance,
rendendola ancora più bella, ma quel rossore certo non era nemmeno
paragonabile a quello che mi sentivo io sul viso. Alla fine distolse lo sguardo
e mormorò poche parole.
«Li… Dobbiamo
tornare in albergo.»
Mi passò accanto
senza sfiorarmi, e si incamminò lungo la scogliera, verso la spiaggia.
Io rimasi lì per un
istante, senza muovermi, senza seguirla con lo sguardo, ma guardando adesso il
mare pieno dei riflessi dell’alba. Quando trovai il coraggio di voltarmi
di nuovo verso Sakura, la vidi già lontana da me.
Ed era davvero
così. Aveva iniziato ad allontanarsi. E non l’avrei riavuta mai
più così vicina come prima.
Mi lasciò
così, di nuovo assalito dai dubbi, a chiedermi se non avevo fatto male a
rinnegare la mia decisione, quella di non parlarle prima di partire per Hong
Kong, e a domandarmi se non sarebbe stato meglio lasciarla come un’amica,
un’amica che se non altro sarebbe rimasta tale per sempre, invece di
rischiare di perdere quell’amicizia di cui avevo tanto bisogno. Mi
lasciò con tutti i motivi per cui mi ero detto che non dovevo
assolutamente dirle quelle due parole.
Ma se da un lato quei
dubbi mi rodevano dentro, dall’altro non rimpiangevo nulla.
Mi incamminai a mia volta
lungo la scogliera.
Ora non mi restava che
andare avanti.
In attesa di darle un
altro colpo.
In attesa di tornare a casa e lasciarla per sempre.
Finalmente siamo dunque giunti al
momento della dichiarazione! Allora, ci tengo subito a dire una cosa:
l’elemento del faro lo si potrebbe interpretare
come uno spunto tratto dal libro e dal film “Scusa ma ti chiamo
amore” (di Federico Moccia). Vorrei precisare
che non si tratta affatto di un plagio, anche se il faro in questa storia
è importante e lo sarà anche in seguito… Solo che mi
sembrava un elemento essenziale per la dichiarazione di Li, perché, come
scritto nel capitolo precedente, un faro “è il posto più
adatto per sentirsi lontani da tutto ciò che c’è
laggiù… per essere se stessi… per sognare”…
Perciò vogliate scusarmi se vi è sembrato che io mi sia ispirata
troppo a Moccia: figuratevi che non è nemmeno
stata una cosa intenzionale…
Comunque, se vorrete vedere come
andranno avanti le cose, vi do l’appuntamento al prossimo capitolo…
A presto!
Benvenuti nel nono capitolo…
Vi anticipo subito che per i tre ragazzi è ora di tornare in
città… In più, è ora che Li sveli a Sakura qualcos’altro, che le faccia la sua seconda
confessione… Forse avrete capito di che si tratta, o forse no… Ad
ogni modo, buona lettura!
FORSE UN ANGELO
Capitolo 9
- La stazione -
“Ti
regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla
Luce
dopo la tempesta, un desiderio resterai
Semplicemente
stupenda, unicamente te…”
Sakura si mise la borsa da viaggio in spalla,
salutò un’ultima volta l’addetto alla reception e si diresse
alla porta. Nel farlo mi passò accanto, mi lanciò uno sguardo di
sfuggita e distolse immediatamente gli occhi.
Era tutto il giorno che
andavamo avanti così.
Quella mattina, tornati in
albergo, a Tomoyo era bastata un’occhiata per capire cos’era
successo. Aveva guardato Sakura che le sfrecciava accanto e andava a barricarsi
nel bagno della stanza 118, poi si era voltata verso
di me con aria scoraggiata.
«Gliel’hai
detto, vero?», aveva mormorato con voce appena udibile.
Io avevo scrollato le
spalle.
«Come vedi, non
è servito a molto», avevo ribattuto poi, nello stesso tono basso e
arrendevole.
Lei si era rattristata.
«Mi dispiace.»
Già. Dispiaceva
anche a me.
Mentre guardavo Sakura,
ancora ostinata nel far finta di niente, uscire dalla porta dell’albergo,
seguita da Tomoyo, che mi fissava di sottecchi con aria triste, capii che
davvero la stavo perdendo per sempre.
Sospirai e uscii
anch’io.
Stavamo tornando alla
stazione.
Stavamo tornando a casa.
E ancora dovevo dirle che
presto io sarei tornato alla mia. Lontano da lei.
Avevo sperato in una
reazione diversa. Non pretendevo certo che mi gettasse le braccia al collo, che
piangesse di gioia e che mi confessasse che anche lei mi amava
segretamente… Mi sarebbe bastato che non ignorasse la situazione. Invece,
per tutto il viaggio, Sakura non mi evitò, fu quella di sempre, solo un
po’ più forzata, come se si ostinasse a credere che non fosse
successo nulla, e questo faceva mille volte più male che se mi avesse detto esplicitamente che non ricambiava i miei
sentimenti.
Il messaggio, comunque,
era lo stesso.
Lei non mi ricambiava. Io
ero il suo migliore amico, certo, ma nulla più. Dovevo farmi bastare
questo. Dovevo accontentarmi del fatto che ancora parlava e rideva con me, che
mi indicava nuvole strane dal finestrino del treno, e che mi stava facendo il
favore di non ignorarmi completamente.
Non era altro che il mio
desiderio irrealizzabile.
Se pensavo che, solo due
giorni prima, in quello stesso treno, lei aveva tenuto la testa sulla mia
spalla e mi aveva fatto sentire al centro del mondo…
Ora mi sentivo solo spento
dentro.
Era il tramonto inoltrato quando fu ora di scendere dal treno.
Tomoyo saltò a
terra per prima. Sakura la seguì guardandomi solo di sfuggita. Non le
facevo un torto, se voleva continuare a fingere, ma non potevo impedirmi di
star male.
La macchina venuta a
prendere Tomoyo era già arrivata. Lei si voltò verso di noi.
«Ciao, ragazzi. Mi
sono divertita molto, con voi. Ci vediamo a scuola, va bene?»
«Ciao,
Tomoyo», la salutò Sakura, sempre forzatamente allegra.
Io le rivolsi solo un
cenno della mano, ma Tomoyo capì. Tomoyo aveva sempre capito, anche se io credevo che nessuno
potesse capirmi.
Salì in macchina e
si allontanò nel crepuscolo.
«Che strano, Toy
dovrebbe essere già qui», bofonchiava Sakura, guardando su e
giù lungo la banchina della stazione, evitando di soffermarsi su di me.
Mi guardai i piedi. Finora
ero rimasto concentrato sulla prima delle due cose che avrei voluto e dovuto
dirle. Ma la seconda questione, che avevo relegato in secondo piano, era
importante quanto la prima, e andava affrontata subito.
Mi decisi. Era il momento
di dirle anche ciò che finora le avevo tenuto nascosto. Avrebbe
sofferto, così come avrei sofferto io, ma arrivati a questo punto non
c’era davvero altro da fare.
«Sakura…»,
mormorai.
«Giuro che appena lo
prendo, gli faccio passare la voglia di arrivare in ritardo.»
Non mi aveva sentito. O forse fingeva anche stavolta. «Dove diavolo sei, Toy?...»
Abbassai di nuovo la testa.
Se non mi avrebbe ascoltato, pazienza. Ma dovevo dirglielo.
«Tra una settimana
torno a Hong Kong.»
In quell’istante, un
treno partì sferragliando dal binario alle nostre spalle. Nel rumore
assordante, Sakura si voltò a guardarmi. Bastarono i suoi occhi a dirmi
che aveva sentito perfettamente.
Sostenni il suo sguardo,
stavolta senza arrossire, senza paura, perché non c’era più
motivo di averne, perché non c’erano più segreti.
Per un lungo minuto, il
rumore del treno in partenza ci impedì di dire o fare qualsiasi cosa.
Quando alla fine il suono
sferragliante si perse in lontananza, si udì il suono di un clacson.
«Ehi, Sakura!»
La voce di Toy.
Sakura si voltò
automaticamente nella direzione da cui si avvicinava la macchina di suo
fratello.
E mentre non mi guardava,
stavolta fui io a scappare da lei.
«Ci vediamo»,
mormorai, poi mi sistemai la borsa in spalla e le diedi le spalle.
Iniziai a correre per
uscire dalla stazione.
Sentii che mi chiamava, o
forse lo immaginai soltanto. Ma non mi voltai.
All’uscita mi fermai
a riprendere fiato. Anche stavolta, non mi guardai indietro.
Mi incamminai più
lentamente, mentre il cielo iniziava già a riempirsi di stelle,
ripensando a ciò che avevo visto negli occhi di Sakura
quando le avevo detto che sarei partito. La confusione che vi avevo
scorto faceva lo stesso effetto di un’accusa silenziosa. Potevo
immaginare benissimo cosa pensasse: Prima
mi dici che mi ami, e mi sconvolgi, e poi ugualmente senza preavviso mi dici
che te ne vai?
Avevo fatto sempre e solo
degli errori con lei.
Ma che altro potevo fare,
accidenti?
Affondai le mani nelle
tasche. Pensandoci bene, forse era quello il motivo per cui
non le avevo ancora detto che me ne sarei andato. Forse speravo di non aver
bisogno di andarmene. Sarebbe bastato un suo sorriso, una parola soltanto, quel
giorno al faro, e subito avrei lasciato perdere, e sarei rimasto per sempre al
suo fianco. Probabilmente per questo avevo nascosto a lei e perfino a Tomoyo
l’eventualità che tornassi in Cina.
Non lo sapevo. Non ne ero
certo. Era tutto troppo complicato. Io avevo solo una testa, solo un cuore, e
non riuscivo a tenerci troppe cose insieme chiuse dentro. E in quel momento
come sempre, sia la testa che il cuore erano pieni di lei, e non c’era
spazio per nient’altro.
Mi passai una mano tra i
capelli, sospirando sconfortato, e in quel momento vidi la macchina di Wei
avvicinarsi, diretta certamente alla stazione.
Mentre il maggiordomo mi
vedeva, accostava al marciapiede e scendeva per prendere il mio zaino, e mentre
rispondevo laconicamente al suo saluto, mi dissi che quella notte avrei dovuto
iniziare a preparare un altro bagaglio.
Ebbene sì, stiamo per
giungere alla fine della storia. Cosa succederà?
Se vorrete accompagnarmi fin
lì, vi aspetterò con il decimo e ultimo capitolo…
PS. Carissima Evans Lily, non preoccuparti… Mi fa
sempre piacere leggere le tue recensioni e sono sempre felicissima di sapere
che mi segui con attenzione… Detto questo, ringrazio anche tutti gli
altri recensori, in particolare le fedelissime SakuraBethovina, Ponpon, Sakura182blast e Sakura93thebest.
Spero di rivedervi tra i prossimi commenti… E spero di non deludervi!
Ebbene, lettori e lettrici, siamo
arrivati alla fine. Questo è l’ultimo capitolo, il bivio in cui LiShaoran vede da un lato Sakura e dall’altro il ritorno in Cina. Una piccola
anticipazione: proprio come nell’anime, in
questo capitolo un ruolo fondamentale spetterà al maggiordomo Wei… Vi ho incuriositi? E allora, che aspettate a
leggere?...
FORSE UN ANGELO
Capitolo 10
- L’angelo -
“Ti
regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla
Luce
dopo la tempesta, un desiderio resterai
Semplicemente
stupenda, unicamente te
Forse
un angelo sei…”
Quella notte non avevo
chiuso occhio.
Quando suonò la
sveglia, ero già praticamente pronto.
Per l’ennesima volta
nelle ultime centosessantotto ore, ossia in quella settimana eterna, i miei
occhi si soffermarono sul telefono.
Mi sarebbe bastato sentire
la sua voce solo per una volta, per l’ultima volta, prima di voltarle le
spalle per sempre…
Non ero tornato a scuola,
dopo aver salutato Tomoyo e Sakura quella sera alla stazione. Mi ero detto che
non ce n’era bisogno. Stavo per tornare in Cina; che importanza aveva
continuare ad andare a scuola fino all’ultimo giorno, solo per incrociare
gli occhi tristi di Tomoyo e quelli sconvolti di Sakura?
Mi ero aspettato almeno
una telefonata. Mi sarebbe andata bene anche se mi avesse chiamato per
aggredirmi, per dirmi che le dovevo una spiegazione, per chiedermi come mi
saltava in mente di sconvolgerle in quel modo la vita. Giuro che non me ne
sarebbe importato, se avessi potuto sentire la sua voce un’ultima volta.
Ma lei sembrava sparita.
E per questo motivo dovevo
sentirmi ancor più convinto della mia partenza.
Ma per questo motivo
soffrivo immensamente di più.
Alle otto e mezzo, Wei
bussò alla porta della mia stanza.
«È pronto,
signorino?»
Annuii lentamente,
costringendomi a distogliere lo sguardo dal telefono.
«Sì. Possiamo
andare.»
Wei non imboccò la
strada per l’aeroporto.
«Ehm… Scusa,
Wei, devi aver sbagliato…»
«Certo che no,
signorino. La strada è questa.»
«Cosa? Ma no,
l’aeroporto è dall’altra parte della
città…»
«Oh, ma io non devo
affatto portarla in aeroporto, signorino.»
Lo fissai nello
specchietto, assolutamente sconcertato.
«Che cosa vuoi
dire?»
In quel preciso momento,
Wei accostò la macchina e si sporse a frugare in una valigetta sul
sedile accanto. Quando trovò quel che stava cercando, si voltò
verso di me e me lo mostrò.
«Sono desolato,
signorino Li, ma ora devo bendarla.»
Spostai lo sguardo sulla
benda che stringeva in mano.
«Cos’è,
uno scherzo?», borbottai contrariato.
«Niente affatto. La
prego, non faccia storie. Le assicuro che si tratta di qualcosa di molto
importante.»
Non avevo la minima idea
di ciò che stesse succedendo. Ero solo vagamente consapevole che Wei mi
stava portando chissà dove e che, se avesse insistito con quella storia
assurda, mi avrebbe fatto perdere il volo per Hong Kong.
«Siamo arrivati,
signorino.»
Lo sentii spegnere il
motore, aprire la portiera e scendere dalla macchina per venire ad aprire la
mia. Mi aiutò ad alzarmi, ma non accennò a volermi togliere la
benda. Nell’aria c’era un odore strano… Salmastro?
Iniziavo a spazientirmi
sul serio.
«Wei, vuoi
spiegarmi…?»
«Un momento solo, la
prego, devo trovare una cosa. Oh, eccola qui.» Si portò alle mie
spalle e iniziò a trafficare con la benda. «Bene, signorino, ora
può guardare.»
Tornai alla luce del sole,
che quasi mi accecò, e mi ritrovai a fissare il mare.
Rimasi immobile a lungo,
senza capire, con gli occhi che andavano alternativamente dall’orizzonte
sfavillante della mattina alla spiaggia stesa davanti ai miei occhi. Io quel
posto lo conoscevo bene… Troppo bene.
Alle mie spalle, Wei si
schiarì la voce e si fece avanti per porgermi qualcosa.
«Credo che ora
dovrebbe leggere questa.»
Presi dalle sue mani una
busta bianca, non sigillata, su cui era scritto solo PerLi. Quasi la strappai
mentre la aprivo e ne estraevo un foglio vergato da una calligrafia sottile,
che conoscevo bene quanto quella spiaggia.
Mi dispiace se hai pensato che sono sparita, ma
avevo bisogno di pensare.
Quello che mi hai detto, quella mattina al faro, mi
ha completamente spiazzata. Ma lascia che ti spieghi.
Quella mattina stessa, quando mi sono svegliata, mi
sono guardata intorno e ti ho visto accanto a me. E ho iniziato a pensare a
quanto era bello averti accanto sempre, in ogni circostanza, nel bene e nel
male, come il migliore amico che potessi avere. Ti ho guardato dormire per un
po’, poi mi sono sporta verso di te e ti ho dato un bacio su una guancia.
Tu non te ne sei accorto, non ti sei svegliato, hai solo sorriso nel sonno.
Chissà cosa stavi sognando.
E quando, poco dopo, mi hai raggiunto sulla
scogliera e mi hai abbracciato e mi hai detto che mi amavi…
Non so cosa ho provato di preciso. C’era solo
una grande confusione in me, ma al tempo stesso c’era
qualcos’altro, qualcosa che ancora non sapevo decifrare…
Ma tu eri il mio migliore amico, e sarebbe stato
troppo strano se ora non fosse stato più così. Perciò quel
giorno mi sono detta che forse era meglio far finta che non fosse cambiato
nulla, continuare come prima, perché non mi sentivo pronta a rinunciare
alla tua amicizia e a tutto ciò che avevamo costruito insieme, fino a
quel punto.
Ma poi, quella stessa sera, tu mi hai detto che
saresti partito.
Non ti ho cercato più, e me ne vergogno, ma
avevo bisogno di pensare.
In questa settimana ho pensato moltissimo. Non solo
a quel singolo giorno, a quella singola notte lassù al faro, a quella
singola mattina e alle parole che mi hai detto. Ho pensato a tutto quel che
avevo, e a tutto quel che stavo per perdere.
Ho pensato tanto, e adesso devo dirti a quale
conclusione sono arrivata.
Torna là dove è iniziato tutto. Ti
aspetto.
Alzai lo sguardo, sentendo
il cuore battermi all’impazzata nella gola.
Ripiegai il foglio, lo
cacciai di nuovo nella busta e mi misi la lettera in una tasca interna della
giacca, all’altezza del cuore.
Torna là dove è iniziato tutto…
«Wei, aspettami qui.
Ho qualcosa da fare.»
«Buona fortuna,
signorino.»
La scogliera era ancora
più bella di quanto me la ricordassi. Alcuni gabbiani solitari
iniziavano a vagare nel cielo, sfiorando con le ali la punta del promontorio
dove avevo abbracciato Sakura e le avevo detto le parole più difficili e
più vere che avessi mai pronunciato in vita mia.
Ecco là il punto
dove era iniziato tutto… Il punto della scogliera in cui mi aveva preso
per mano e avevamo guardato insieme i fuochi d’artificio, dimentichi solo
per qualche minuto di tutto il resto del mondo sottostante…
Sakura non era lì.
Mi fermai, ansante per la
corsa.
Un momento, forse non era
quello il posto che lei intendeva. Dove eravamo stati, quella notte? La
pineta… Il laghetto di acqua salata… E alla fine…
Sollevai lo sguardo.
Il faro mi sovrastava,
abbagliante nella sua vernice bianca stagliata contro il sole della mattina.
Ma certo. Era lì
che era iniziato tutto. Era lì che mi aveva guardato dormire e mi aveva
baciato nel sonno… E io avevo
continuato a dormire…
Il solo pensiero mi fece
avvampare…
Ripresi di nuovo a
correre. Imboccai la porta del faro, salii quattro gradini alla volta, sbucai
dalla botola.
Ed eccolo lì, il
mio angelo, appoggiato ad una parete, gli occhi persi nel sole e nel mare, i
pensieri lontani anni luce da questo mondo, persi nel mondo di stelle cui lei
apparteneva…
Come già era
avvenuto quel giorno, sulla vetta della scogliera, Sakura sembrò
percepire la mia presenza. Si voltò e mi guardò.
Tutto sembrò
fermarsi ancora una volta, mentre lei si allontanava dal muro e si avvicinava
con passi esitanti a me, che la fissavo senza fiato, e non solo per via della
corsa…
«A volte è
difficile interpretare i propri sentimenti», esordì lei tranquilla.
«A me è capitato di recente. Credi di pensare una cosa, di provare
un sentimento, e invece provi tutt’altro, solo che non l’hai mai
capito.»
Non potevo darle torto…
«E alle volte, come
è successo a me, per capire la verità devi rischiare di perdere.
Perdere qualcosa o… qualcuno.»
Sakura si fermò
davanti a me. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Le mani mi tremavano,
impedendomi di asciugare quelle lacrime…
«Li, io ti ho sempre
voluto un bene dell’anima. Ero convinta che saremmo stati sempre insieme,
che avrei sempre potuto contare su di te, e tu su di me, perché eri il
mio migliore amico. Ma sbagliavo. E non mi riferisco al fatto che tu ora stai
per andartene.» Prese fiato. «Mi riferisco al fatto che non ho mai
saputo aprire gli occhi sul mio cuore. Non ho mai capito quanto in
realtà quell’amicizia nascondesse. Fin quando non ho rischiato di
perderti, non sapevo quanto in realtà ti amavo…»
Sgranai gli occhi. Il
cuore accelerò, batté fortissimo, e diventò impossibile
distinguere un battito dall’altro. Sentivo il calore invadermi il viso, risalirmi
sulla pelle fino a farmi arrossire completamente, ma stavolta non mi dava alcun
fastidio l’idea di arrossire davanti a lei.
In quel momento, mi
sembrava più luminosa della luce del sole che la circondava come
un’aura.
E poi Sakura si strinse al
mio petto, come aveva fatto quella notte nella pineta, e non vidi più i
suoi occhi nei miei, ma la luce non sfumò.
La strinsi forte a me.
Avrei voluto tenerla così per sempre, non lasciarla mai.
Passò qualche
istante, poi da qualche parte intorno al faro si sentì il rombo
lontanissimo di un aereo.
«Questo dovrebbe
essere il mio…», dissi stupidamente.
Sakura mi strinse un
po’ più forte.
«Non voglio che tu
mi lasci, Li. Ti prego. Ho bisogno di te… Io ti amo…»
Nella vita si poteva
essere davvero così felici come mi sentivo io in quel momento?
La allontanai dolcemente
dal mio petto e le presi il viso tra le mani, sorridendole.
«Non ti lascio,
Sakura. Non ti lascerò mai.»
Le lacrime iniziarono a
scendere dai suoi occhi di giada. Ma ora sapevo che erano lacrime di gioia.
Sakura si sollevò
sulle punte dei piedi e avvicinò le labbra alle mie, fino a sfiorarle.
Chiusi gli occhi, e da
quel momento cominciai a vivere la mia favola insieme al mio angelo.
A tutti voi che siete rimasti con
me fino alla fine vadano i miei sinceri ringraziamenti.
Non avevo mai nemmeno sperato di
poter scrivere una mia versione della dichiarazione di Li
a Sakura. Mi sembrava che dovesse essere per forza quella, quella che avevo
visto nell’anime, nella penultima puntata, e che
io non avessi il diritto di cambiarla, perché era bella così. Ma
ora ho sentito l’esigenza di cambiare perché, sul serio, non
sopporto com’è andata a finire nella realtà. C’erano
troppe cose in sospeso…
Così, ecco come è
nata questa storia. E se l’avete letta, e se vi è piaciuta, io
davvero non ho bisogno d’altro.
Un abbraccio a tutti.
PS. Ehi, mentre pubblicavo questa fic non sono rimasta con le mani in mano! Perciò, se
vorrete continuare a seguirmi, vi anticipo che sto per spedire una nuova one-shotsu questo anime…
Alla prossima!