Il Sorriso

di Frulli
(/viewuser.php?uid=15762)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Capitolo primo:

Sorpresa! Ebbene sì, sono ancora viva XD E sono tornata con una breve fiction, di soli due capitoli! Spero vi piaccia…in caso contrario, date la colpa al mio prof. di Storia che mi ha ispirato il racconto con le sue spiegazioni sulla seconda Guerra Mondiale! XD

Buona lettura!

Capitolo primo

Era una di quelle sere d’estate in cui la luna era piena e luminosa come il fuoco. I suoi raggi si riflettevano sulla neve delle montagne, rendendola quasi argentata. Una lieve brezza si spargeva tra le vie del paese ed il dolce suono delle fronde da essa mosse dava un tono di tranquillità e di pace in quella notte di luglio.

Laura era in piedi in cucina, insieme alla madre ed alla nonna. Maria, sua sorella di cinque anni, non era stata svegliata: non ve n’era il bisogno.

Osservava fuori dalla finestra, verso la strada che, dopo la salita, si fermava in un piccolo spiazzo davanti casa loro. Stavano aspettando suo padre, un abile artigiano che ogni mese scendeva a valle, vedendo i suoi prodotti ai ricchi dei paesi vicini. Con i ricavati e con la vendita quotidiana nel suo paese, potevano vivere modestamente per tutto l’anno, inverno compreso.

- Eccolo, sta arrivando – annunciò Laura, vedendo un uomo su un asino che trainava una carretta: era suo padre. La ragazza uscì di casa, con la madre, e salutò l’uomo che stava fermando l’asino nello spiazzo.

- E’ andato tutto bene? – chiese Rita, sua madre. Il padre smontò dall’animale e donò un lieve abbraccio alla moglie, poi annuì sorridendo.

- Tutto bene, ma sono stanco – rispose. La madre ed il padre rientrarono in casa affinché il capo famiglia potesse riposare dal lungo viaggio. Laura rimase fuori, a sistemare l’asino e a riporre gli oggetti e gli utensili nel padre nella bottega a due passi da lei.

Prese a lavorare, in silenzio per non disturbare i vicini che dormivano. Rimise a posto ogni oggetto, al suo preciso posto, poi portò nella stalla l’asino e gli diede da mangiare. Quando fece per rientrare e casa, dopo un’ora, aveva la schiena distrutta. Eppure era abituata a lavorare, da quando il fratello era andato via.

Stava per aprire la porta, ma udì dei passi avvicinarsi allo spiazzo. Si volse di scatto e vide un soldato in riposo che la osservava, fermo vicino ad una casa.

- Ti serve una mano? – chiese il soldato, in un abruzzese marcato fortemente dall’accento tedesco.

Laura sollevò appena un sopracciglio e si osservò intorno, come a vedere se si fosse dimenticata di qualcosa. Sbatté appena una mano sulla fronte quando vide un mucchio di pentole di rame in un angolo, non riposte in botteghe.

- No grazie, non vi preoccupate – rispose lei, educata. Erano stati praticamente costretti ad ospitare quei tedeschi e molti di loro non si facevano bastare solo il cibo…Le incutevano paura, non poteva farci nulla.

- Non voglio farti nulla di male, voglio solo aiutarti. Non hai un fratello o un cugino che aiuti la tua famiglia per questi lavori? – le disse il soldato, avvicinandosi lentamente. Posò il fucile contro il muro e sollevò una pentola abbastanza grande.

Laura lo osservò e lo precedette, con un paiolo in mano, verso la bottega.

- No, sono entrambi sul fronte – rispose, mentre posava l’oggetto. Mentiva, ma di certo non poteva dire ad un nazista che suo fratello Marco e suo cugino Aldo erano partigiani.

Non parlarono più, durante il lavoro, e quando la madre uscì per vedere dov’era andata a finire, chiese subito al soldato se voleva favorire qualcosa.

- No grazie – rispose educato l’uomo, quindi la madre di Laura chiuse la porta. La giovane ragazza osservò il soldato, spaventata: che cosa voleva in cambio del suo aiuto?.

- Buona notte – salutò il tedesco, quindi prese il fucile e prese a discendere la strada.

Laura l’osservò, perplessa e confusa: - Non…non volete niente...? – chiese in un sussurro, temendo che a quelle parole il soldato potesse ripensarci.

Quello si volse e scosse il capo, quindi scomparì oltre la discesa.

Laura rimase incredula per minuti interi, vicino la porta. Non riusciva a credere che l’ufficiale che comandava i tedeschi nel suo paese, l’uomo senza cuore e dagli occhi di ghiaccio, la aveva aiutata senza chiedere nulla in cambio.

Forse sto sognando…, pensò la ragazza, prima di rientrare in casa.

- Ufficiale Rechmart, svegliatevi! Il comandante vuole vedervi! – un soldato lo svegliò malamente, scuotendolo appena.

- Arrivo… - borbottò appena, assonnato. S’alzò poi, si vestì velocemente, afferrò il fucile e si diresse verso la piazza del paesino. Ancora non era giunta l’alba e tutti, eccetto lui, il comandante von Gaskel ed il soldato che lo aveva svegliato.

- Riposo, Ufficiale…venite – disse il capitano quando lo vide giungere. Rechmart s’avvicinò e posò lo sguardo su una lettera tra le mani dell’uomo. Portava lo stemma dell’esercito tedesco.

- Viene da Berlino. Il regime sta cadendo, ufficiale…Nei Lager Hitler ha dato ordine di uccidere tutti ed i bombardamenti si fanno più frequenti che mai, spazzando via intere città. Il generale scrive dall’Aquila, è preoccupato per la moltitudine dei partigiani che si aggirano per la natura selvaggia della regione e per l’aiuto che i popolani danno loro – spiegò con fare serio l’uomo.

- Cosa dice di fare il generale? – chiese Rechmart. Il comandante gli porse la lettera e gliela fece leggere. A Rechmart gli si gelò il sangue nelle vene.

- Non possiamo, capitano…Lo sapete, vero? Non possiamo – sussurrò furioso l’Ufficiale.

- Lo so, che cosa credete! Lo so che non possiamo…ma dobbiamo! Gli ordini sono ordini e vanno rispettati! –

- Ma questa è follia, comandante! Questa gente ci ha ospitato per mesi e mesi, a loro spese, con la paura di poter morire da un momento all’altro…! - ribattè l’ufficiale per non farsi sentire dal soldato poco lontano da loro.

- Lo so bene, Rechmart. Ma se non eseguiamo gli ordini, ci fucileranno e con noi tutti i paesi qui vicini…compreso questo! – sussurrò tra i denti il comandante, stringendo nel pugno la lettera. Si osservarono a lungo, poi l’Ufficiale annuì appena, restio ad ubbidire.

- Dirò ai soldati di intervenire subito, Comandante – disse, quindi si congedò e si diresse verso la caserma allestita dai soldati. I passi sempre più pesanti mano a mano che s’avvicina, l’animo oppresso dalla difficoltà di eseguire quella foglia, gli occhi colmi di dolore, il cuore diviso tra l’ubbidienza e l’umanità.

Il sole sorse, oltre le montagne innevate. Rechmart l’osservò: era tinto di rosso sangue.

- Laura, nasconditi! Stanno arrivando i nazisti! – esclamò la madre irrompendo nella stanza. La giovane ragazza la osservò confusa, gli occhi ancora velati di sonno. Ma quando vide lo sguardo terrorizzato della donna, capì e s’alzò di scatto dal letto.

Aprirono la finestra ed uscirono dalla finestra. Presero a correre attraverso i campi di grano, mentre in paese risuonavano già i pianti e le grida di disperazione. Maria era in braccio a Laura, più agile della madre.

- Papà? – chiese ansante.

La donna scosse appena il capo, facendo intendere che non lo sapesse e nei suoi occhi scuri si leggeva la paura di aver perso il marito e di star per perdere anche le figlie e la sua stessa vita.

Per loro disgrazia, due soldati le raggiunsero e senza troppe difficoltà le presero e le fecero inginocchiare tra gli steli di grano.

Laura strinse a sé la madre e la sorellina, entrambe in lacrime. Solo lei ebbe il coraggio di sollevare gli occhi ed osservare i due soldati.

Erano entrambi alti ed avevano capelli biondissimi, ben pettinati, ed occhi color del ghiaccio, vuoto da ogni sentimento. I suoi, invece, erano carichi di rabbia e di terrore.

- Vi prego, non fateci del male…non abbiamo fatto niente…- sussurrò stringendo più forte a sé la madre e la sorella. Parlò in italiano, ma non si preoccupò di non essere capita: quei tedeschi erano stati ospitati lì per mesi interi e capivano perfettamente il loro dialetto.

Quello che aveva l’aria più severa e gelida osservò Laura e sembrò titubante dopo le sue parole.

Per un attimo le tre sperarono che le avessero risparmiate, ma il cuore di quei soldati era ormai stato corrotto. I due si avvicinarono e presero tutte e tre, trascinandole piangenti verso la piazza. Ma mentre la madre e Maria furono riportate tra la folla, Laura fu riunita insieme con altri mal capitati, contro un muro di una casa.

A quanto riusciva a capire, alcuni partigiani avevano ucciso due soldati nella notte ed il comandante era così costretto ad una fucilazione punitiva, uccidendo degli innocenti per tentare di trovare gli anti-nazisti, sicuro che sarebbero tornati per vendicarsi di quell’eccidio.

Laura sapeva che non era vero: se era successo di notte, perché attendere il mattino e non agire la sera stessa? Era una bugia, l’ennesima, falsa verità e motivazione di una strage.

I tedeschi erano già pronti, i fucili carichi, a far fuoco. Attendevano solo l’ordine del loro superiore, l’ufficiale che aveva il comando delle esecuzioni.

Questo, impassibile, osservava al fianco dei suoi soldati le vittime, finché lo sguardo cadde su Laura. Osservò il suo sguardo spaventato che supplicavano la vita, lei che era così giovane, bella ed innocente. Ma lui cosa poteva fare, ora? Era troppo tardi per pentirsi di aver aderito al Nazismo. Era troppo tardi per chiedere scusa agli ebrei uccisi nei Lager. Era troppo tardi e non poteva riportare in vita gli innocenti uccisi. E la cosa che più lo faceva infuriare era che sapeva che tutto quello in cui aveva creduto e per cui aveva combattuto era solo menzogna.

Distolse lo sguardo dal viso rigato di lacrime di Laura. La ragazza della notte passata. La ragazza che aveva aiutato a mettere in ordine le pentole di rame. La ragazza che la perseguitava in ogni ora di giorno, che gli faceva fremere il cuore quando la vedeva passare…e che ora stava uccidendo.

Strinse i denti e sollevò il braccio destro in aria. Un pianto generale si innalzò in reazione, mentre le donne si gettavano a terra e si graffiavano il viso.

Mi spiace…non posso far nulla per te…pensava disperato nell’osservare il capo chino di Laura.

Stava per abbassare il braccio e far piovere sulle vittime una pioggia di proiettili, quando uno sparo risuonò fra le mura della piazza.

Per un istante tutti pensarono che un soldato avesse sparato prima dell’ordine, ma quando videro un tedesco accasciarsi al suolo, tutti si volsero verso i boschi che confinavano con il paese. Delle ombre si muovevano tra gli alberi ed un altro tedesco cadde, ucciso.

- Rispondete al fuoco! – gridò in tedesco il comandante e cominciò così l’ennesimo conflitto a fuoco tra nazisti e partigiani, mentre il panico serpeggiava tra le vie del paesino: che fosse buono o cattivo, chi era armato non risparmiava nessuno e non badava a chi colpiva.

Laura corse via, veloce, insieme alla famiglia. Stringeva la mano di Maria e si faceva largo tra gli altri abitanti che le andavano addosso per la fretta di fuggire. Un uomo alto e grosso le andrò addosso, facendola cadere a terra. Nessuno s’accorse che lei era rimasta indietro e quando s’alzò fu trascinata via da alcuni uomini che correvano, lontana dall’entrata ai boschi dove l’attendeva il fratello partigiano.

- Mamma! Papà! Maria! – gridò, cercando invano di superare il rumore delle altre grida, degli spari e dei pianti. Presa dal panico, cercò di ritrovarli e si infilò in una vietta. Senza capire come, infine, si ritrovò dietro la chiesetta del paese, da sola, lontana da tutto e tutti. Si osservò intorno e prese a piangere in silenzio, per la paura di essere uccisa dai nazisti o di rimanere sola.

Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a cosa fare, che sentì una mano stringerle il braccio e costringerla a girarsi. Spaventata, fece per gridare, quando vide l’ufficiale dagli occhi di ghiaccio. Questi gli tappò subito la bocca. Laura si calmò ed esaminò il viso del nazista. Sembrava quasi…umano. E di certo era più giovane di quanto non cercasse di mostrare la sua freddezza. Lentamente l’ufficiale tolse la mano da davanti la sua bocca e le fece segno di far silenzio. La trascinò poi lungo le vie del paese, tra gli spari, nascondendosi sia dai partigiani che dai nazisti: non doveva farsi vedere mentre faceva scappare una popolana o lo avrebbero fucilato.

Certo non era delicato nei modi e dopo un po’ a Laura cominciò a farle male il braccio che il giovane ufficiale le stringeva…ma non si aspettava maniere gentili da quell’uomo…

Corsero, chini con il busto, ancora per qualche minuto. Fuori dal paese, su per i boschi. Si fermarono, ansanti, dietro un enorme masso. L’uomo la spinse sul terreno e le fece segno di resta ferma. Gli occhi di ghiaccio indagarono sulla strada che portava oltre le montagne, verso il Lazio. Annuì tra sé quindi si accucciò dietro il masso ed osservò la ragazza.

- Prendi questa strada…tra poco incontrerai la tua famiglia, i partigiani vi aiuteranno. Giungerai a Roma, lì sarai al sicuro da noi…- le disse in un sussurro, con un forte accento tedesco.

Laura lo osservò stupefatta, e scosse appena il capo: - Perché fai questo? – gli chiese in un sussurro. Il giovane ufficiale la osservò negli occhi, ma non rispose. Le accarezzò una guancia e le baciò la bocca, dolcemente. Quel gesto fece capire ad entrambi perché stava facendo quella follia.

- Il regime sta capitolando e ci sta trascinando con lui. Se voglio redimermi, devo cominciare da ora… - sussurrò Rechmart, prima di sorridere appena.

- Ci rivedremo…? – chiese Laura, le mani strette nelle sue.

- No, non ci rivedremo più. Ora và! - rispose lui in un sussurro e lasciò la presa dalle sue mani. Laura fece un passo indietro, ancora osservandolo. Si affacciò oltre il masso e poi giù verso il suo paese, avvolto nella nube degli spari.

- Danke…- ringraziò in tedesco Laura e gli donò qualcosa cui l’ufficiale non aspirava nemmeno: un sorriso. Da quanto tempo non vedeva un sorriso? Mesi? No, anni. Ed ora quel gesto gli aveva ridonato la purezza e la voglia di vivere, e di mandare al diavolo il Nazismo, Hitler e tutto il resto. Si sarebbe dimesso per motivi di salute e avrebbe collaborato con l’America per la cattura dei nazisti. Indubbiamente avrebbe scontato i suoi delitti in carcere, ma non gli importava…Laura gli aveva donato un sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Arieccomi con il secondo ed ultimo capitolo di questa mini-FF

Capitolo secondo

Arieccomi con il secondo ed ultimo capitolo di questa mini-FF! Prima di cominciare, rispondo alle recensioni^^

DJ Kela (first): Mi fa piacere che ti sia piaciuta e mi dispiace di non poter sviluppare di più la loro storia. Ma avevo deciso fin dall’inizio che doveva essere di pochi capitoli, massimo tre, perché questo è solo un punto di vista, un piccolissimo scorcio di sei anni di guerra, senza contare il prima ed il dopo. Ma non preoccuparti, in questo secondo ed ultimo chap ci saranno anche delle spiegazioni, se le coglierai XD Per questa decisione, ringraziate tutti il mio caro amico Verga che non fa mai capire niente delle situazione e dei personaggi! XD

P.S. volevo dire scrittura, non lettura, scusa =.= grafica molto futurista! Ma ho visto che il secondo è scritto ad un'unica grandezza, per fortuna per i miei occhi XD bacione!

Eroicafuriosa: ti ringrazio per il consiglio datomi e non me la sono affatto presa^^ Tuttavia vorrei farti notare che di “storico”, di date ed avvenimenti ufficiali, essenzialmente non c’è nulla. La data di questo racconto è il 1 luglio 1943, mentre l’avvenimento storico più vicino è la caduta di Mussolini il 24 luglio del medesimo anno^_^ Ho preso ispirazione dalle lezioni di scuola solo per queste date e per il contesto e la situazione: nel ’43 si era capito benissimo che Hitler era un pazzo, gli stessi soldati ed ufficiali tedeschi lo capirono…tant’è che il primo attentato ad Hitler fu organizzato proprio da un ufficiale, se non erro^^. Inoltre ho chiesto a mia nonna che ha vissuto quel periodo e lo ricorda benissimo. Il mio paese fu occupato dai tedeschi, come ogni paese d’Abruzzo più o meno…certo, scrivere tutti quello che mi ha raccontato ci vorrebbe un libro intero XD ma è ovvio che prendo molto più spunto dalla sua testimonianza che dai libri, soprattutto perché si parla di un paesino abruzzese di alta montagna e non di Roma o Berlino^_^

DJ Kela (second): ciao bella!^_^ non preoccuparti per msn, mi rifaccio viva io! In verità sono stata costretta a trasformare l’abruzzese in italiano perché sarebbe stato incomprensibile per tutti i lettori XD ma ti assicuro che tedesco ed abruzzese insieme è peggio del vietnamita! X°D

Ti ringrazio per la recensione ed i complimenti, sono contenta che ti sia piaciuta la descrizione della fuga! Per quanto riguarda il soldato…nel primo capitolo, ad un certo punto, descrive Laura come “La ragazza che lo perseguitava in ogni ora di giorno, che gli faceva fremere il cuore quando la vedeva passare…”. Bhè, se lo perseguita ogni notte credo s’intende che è innamorato di lei da molto tempo^^

Non ho descritto la situazione al fronte per il semplice fatto che non entrava molto nel contesto, e sarei andata troppo fuori tema: il mio intento è quello di narrare un pezzo di guerra con gli occhi di una contadina abruzzese analfabeta^^E comunque esistono i tedeschi umani, mia nonna ne conobbe uno che una volta l’aiutò a trasportare i covoni di fieno con il padre e la sorellina!^_^

Bene! Dopo questa digressione manzoniana sulle recensioni…vai con il secondo chap! ^__^

Aprì lentamente gli occhi ed osservò il soffitto. Non s’era svegliato perché era riposato ma perché il letto su cui dormiva era duro come la pietra, scomodo peggio delle brande militari. Si sedette, con una smorfia di dolore sul viso, e portò indietro i capelli biondi, allungatisi un po’ dall’ultima volta che aveva visto le lame del barbiere. Osservò il suo compagno di cella, il comandante Von Gaskel, mentre fissava il pavimento oltre le sbarre della prigione.

- Quanto ti hanno dato? – gli chiese, osservandolo.

- Cinque anni più altri due anni con sorveglianza obbligatoria – rispose il comandante, con tono serio, quasi affranto.

Rechmart sorrise fra sé, quindi volse gli occhi verso i due soldati che ora stavano aprendo la porta della cella.

- Ci vediamo dopo…- commentò il comandante, mentre lo ammanettavano, sicuro che sarebbe ritornato con il peso della condanna sulle spalle. Rechmart annuì, sorridendo, e seguì i due soldati verso il tribunale.

- Ufficiale Friedrich Ludwig Rechmart, siete stato accusato di omicidio plurimo e colposo contro civili ed innocenti, nonché di aver partecipato alle idee e alle azioni del regime nazista. Cosa dici in tua discolpa? -.

Rechmart osservò dal basso il giudice, seduto ed ammanettato. Spostò lo sguardo sugli altri superiori nazisti che lo fissavano, minacciosi. Prima di parlare riportò gli occhi di ghiaccio del giudice.

- So che non servirà a nulla, vostro onore, ma io mi pento per ciò che ho fatto e chiedo scusa davanti a voi e a Dio per quanto accaduto. So che quella gente non tornerà più in vita e so anche che merito la mia condanna. Mi accorsi troppo tardi che avevo ceduto ai pensieri folli di un uomo folle – rispose, suscitando alla fine una violenta reazione dei fedeli nazisti che lo accusavano di alto tradimento nei confronti dei Fuhrer. Quando nella stanza tornò la calma, il giudice lesse l’esito della seduta.

- Secondo quanto stabilito dalla corte, l’Ufficiale Rechmart è stato condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione carceraria, più altri due di sorveglianza obbligata. La seduta è tolta - .

Dopo nemmeno un’ora da quando era stato portato via, il comandante Von Gaskel vide ritornare il suo compagno di cella, scortato da due militari.

- Quanto ti hanno dato? – gli chiese, quando furono soli.

- Cinque anni e sei mesi, più due di sorveglianza…più o meno come te – rispose Rechmart, sdraiandosi sul letto e portando le mani dietro il capo.

- Che cosa hai detto in tua discolpa da fare così tanto presto? – chiede ancora, curiosa, il comandante.

- Che Hitler è un pazzo – rispose Rechmart ridendo appena.

- Cosa?? Ma sei matto?? –

- ….No, non più…-.

Vi fu un attimo di silenzio, in cui Rechmart continuò ad osservare il soffitto e Von Gaskel ad osservare quel suo sorriso perenne, come se fosse inconsapevole che trascorreranno lì cinque lunghissimi anni.

- Che cosa ti fa sorridere, me lo spieghi Friedrich? – gli chiese d’improvviso, davvero curioso.

Rechmart sorrise ancora di più e continuò a fissare lo sguardo sul soffitto. La risposta fu breve.

- Un sorriso - .

1 luglio 1950

Camminava lentamente lungo il marciapiede di Corso Emanuele di Roma. Era appena uscita dall’Università e stava tornando a casa, dove la famiglia l’aspettava per il pranzo. Un giorno d’estate non eccessivamente caldo, anche perché il giorno appena c’era stato un violento acquazzone che aveva nutrito la terra e rinfrescato l’aria.

Osserva l’orologio da polso e sospira, andando poi a sistemare le pieghe della donna che le scivolava fino alle ginocchia. A volte ripensava a qualche anno prima, quando viveva ancora nel suo paesino aquilano. Ripensava a suo padre che faceva il fabbro e viaggiava nei paesi vicini per vendere i suoi prodotti. Le pentole di rame…pensò, nostalgica del suo paese. Le pentole di rame che aveva messo in ordine con l’Ufficiale. Una morsa le strinse forte il cuore che cominciò a battere velocemente, come impazzito. Chinò gli occhi sulla strada, l’espressione triste.

Aveva atteso per cinque anni quell’ufficiale dagli occhi di ghiaccio. Sapeva che non si sarebbero mai rivisti, lui stesso glielo aveva detto. Eppure non poteva pensare ad un altro né poteva accettare i corteggiamenti degli altri ragazzi. La tormentava quel ragazzo, ogni notte, ogni giorno, senza darle tregua. Doveva fare uno sforzo immane, durante lo studio, per non pensare a lui.

Già, quando giunsero a Roma diedero un lavoro a suo padre e a suo fratello, abbastanza importante da guadagnare un bel po’ di soldi. E così potè andare a scuola, insieme a Maria, e poi all’Università.

Ora studiava, aveva delle amiche ed usciva con loro; non facevano più la fame, come quando abitavano in Abruzzo. Eppure non le bastava…lei voleva rivedere l’Ufficiale dagli occhi di ghiaccio. L’Ufficiale che le aveva salvato la vita, cinque anni fa. L’Ufficiale che probabilmente era stato condannato all’ergastolo o, peggio, giustiziato. Le si strinse il cuore a quel pensiero e scosse appena il capo: no, non poteva essere morto. Non doveva essere morto…

Passò davanti un’affollata fermata del pullman, dato che era l’ora di punta. Le persone la evitavano per un pelo oppure le andavano appena addosso, ma lei non badava a nessuno, immersa com’era nei suoi pensieri.

- Laura!! – un grido improvviso la fece tornare alla realtà. Riconosceva quella voce, dopo così tanti anni, ma pensò stesse sognando, come sempre. Eppure si volse indietro, vagando con lo sguardo tra la gente e sopra le loro teste. Nulla. Sorrise appena, amareggiata, e riprese a camminare.

- Laura!!! – di nuovo quella voce che la chiamava, quasi disperato, superando le voci di tutti gli altri. La ragazza si volse di nuovo, prima di girare l'angolo, rendendosi conto che non stava sognando. Lo sguardo saettava da un viso all’altro, velocemente...e poi intravede dei capelli biondissimi. Spalancò appena gli occhi, incredula. Era proprio lui? O forse stava sognando? O magari era qualcun altro e non l’Ufficiale…Non le importava, doveva controllare. Tornò indietro, correndo, facendosi largo tra la folla, con la cartella che sbatteva da tutte le parti.

Eccolo, lo vedeva. Camminava a fatica contro corrente, verso di lei, ed aveva gli occhi di ghiaccio che brillavano come il sole.

Si fermarono, quando furono uno di fronte all’altro. Laura posò la cartella e terra, l’Ufficiale la sacca da militare.

L’uomo la osservò, ansante, e posò le mani sui suoi fianchi. Si sorrisero e si abbracciarono, forte, mentre ridevano. La gioia che provavano era troppa per non poterla esprimere. Rimasero minuti interi in quel vialetto, al riparo dal sole, stretti l’un l’altro.

Non si dissero nulla per tutto il tempo. Non fecero altro che stringersi l’un l’altro.

E, felici, sorridersi.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=223064