II ciclo di Fheriea - La Missione di Jel

di TaliaAckerman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Epilogo ***
Capitolo 32: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
 
 
 




Il mio nome è Dubhne.
Sono nata a est dello Stato dei Re, al confine con la nazione di Tharia. È lì che ho trascorso assieme ai miei genitori i primi sette anni della mia vita. Vivevamo in una piccola casupola vicino al villaggio di Célia e mio padre era un semplicissimo contadino: un lavoro piuttosto difficile per questi tempi. Anche se allora ero troppo ingenua per comprenderlo, le continue alluvioni avevano danneggiato enormemente i pochi appezzamenti di terreno coltivabile, pecore e bestiame erano stati duramente colpiti da epidemie e dalla malaria.
È stato a causa di tutto questo che, quando ho compiuto sette anni, i miei genitori hanno deciso di allontanarmi. Dicevano di aver trovato un modo per sfamarmi e tenermi al sicuro, ma in realtà non so se l'abbiano fatto per il mio o per il loro bene. Non lo so.
Ad ogni modo, un giorno a casa nostra è apparso un uomo, che si è presentato come il signor Tomson, il proprietario di una sartoria nella vicina città di Célia, che mi ha riferito di essere appena diventata una sua dipendente. Ho quindi dovuto separarmi dai miei genitori e seguire il signor Tomson verso Célia il giorno stesso come sua apprendista.
Le giornate di lavoro erano dure, il cibo misero, e tutti gli altri apprendisti della sartoria avevano tutti almeno tre anni in più di me. Mi disprezzavano, mi prendevano in giro, una volta sono persino stata picchiata.
Se non mi sono lasciata morire di fame è stato solo merito di Alesha. Alesha era l'apprendista più anziana della sartoria e aveva quattordici anni. Mi ha aiutata, tenuto compagnia e sostenuta. È stata lei a convincere gli altri sarti a starmi alla larga e lasciarmi in pace. Le devo tutto.
Sono rimasta a lavorare in quella bottega per quasi un anno e mezzo. Mi ero quasi abituata al clima deprimente che si respirava là dentro, e grazie all'affetto di Alesha e alle numerose visite dei miei genitori sono riuscita a tirare avanti.
 
Ma poi è successo.
Mia madre è morta. E Alesha è stata trasferita in una filiale del signor Tomson nell'Ariador.
Da quel momento, mio padre ha cominciato a venirmi a trovare sempre più di rado, e gli altri sarti hanno ripreso a prendermi di mira. È stato allora che ho detto basta. Sono scappata.
In una notte ho raggiunto il bosco vicino a Célia, e il giorno dopo già ero arrivata ad un'altra città. Bisogna anche dire che sono stata fortunata: il signor Tomson non ha mandato nessuno a cercarmi. Questo dimostra quanto fossi insignificante per lui.
Mi dispiace molto per mio padre. È da anni ormai che non lo vedo. Non so neanche se sia ancora vivo. In cuor mio, spero sinceramente che stia bene.

Ho viaggiato a piedi per qualche giorno senza sapere dove andare. All'inizio avevo l'idea di raggiungere Alesha nell'Ariador, ma poi mi sono resa conto che si sarebbe trattato di un'impresa impossibile. Ho avuto paura, tanta paura. Paura di morire di fame, o di essere sbranata da qualche animale selvatico. Di cercare asilo in una delle vicine cittadine vicine non se ne parlava nemmeno, ero troppo spaventata.
 
Ed è a questo punto che è arrivato lui. Il mio salvatore. L'uomo che mi ha ridato speranza.
Mi ha trovata a Chexla, mentre girovagavo per il mercato alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Il suo nome era Archie Farlow. Un uomo alto e di aspetto gradevole, con una faccia simpatica. Mi ha chiesto il mio nome e che cosa ci facessi tutta sola nel mezzo di una città grande come Chexla. Non sono riuscita a rispondere e sono scappata via; rievocare tutti i ricordi degli ultimi periodi sarebbe stato troppo doloroso.
Quella notte ho dormito per strada. Non avevo voglia di tornare dei boschi, avevo un disperato bisogno di sentirmi
normale.
L'indomani ho di nuovo incontrato l'uomo del mercato. Mi ha salutata come una vecchia amica e mi ha avvicinato con gentilezza. Questa volta non ho potuto rifiutare. Mi ha accompagnata fino al bordo di una fontana, dove mi ha fatta sedere. Mi ha di nuovo chiesto chi fossi.
E io gli ho risposto. Non ho tutt'ora capito perché, ma sentivo di potermi fidare di quell'uomo. Così gli ho raccontato di me, dei miei genitori e la mia casa. Gli ho raccontato del giorno in cui avevo conosciuto il signor Tomson, e poi ancora Alesha, Shosanna, Dills e i suoi amici. Non ho tenuto nascosta neppure la mia fuga: tutti quegli eventi, quelli lieti così come quelli dolorosi, premevano per venire esternati dopo tutti quei mesi in cui li avevo tenuti solo per me.
Alla fine del mio racconto, l'uomo si è presentato come Archie Farlow, e mi ha chiesto se volevo venire a casa con lui. Mi ha anche detto che aveva due figli più o meno della mia età, che avremmo potuto fare amicizia.
- I soldi non ci mancano di certo - mi ha detto sorridendo.

Sinceramente non ho ancora ben capito come un uomo dignitoso, benestante e padre di famiglia possa chiedere ad una ragazzina fuggiasca e sporca, che per di più neppure conosce, di entrare a far parte della sua famiglia.
Ma allora non mi importava. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di non dover tornare nei boschi.
E così ho accettato.

Per me è stato l'inizio di una nuova vita. Archie e sua moglie erano persone gentili, che mi hanno voluto bene fin dal primo momento. E i loro figli Richard e Camm... due vulcani in eruzione, sempre allegri e simpatici come nessun altro io abbia mai conosciuto.
 
Ho vissuto con la famiglia Farlow per quasi nove anni anni, probabilmente il periodo più felice della mia miserabile vita.
Insieme ai due figli di Archie, avevo sviluppato un curioso interesse per la scherma, in cui mi sono dimostrata in breve tempo molto dotata. Io e i due ragazzi ci esercitavamo tutti i giorni con spade di legno. Allora però ero spensierata, ogni taglio o ammaccatura era una stimolante prova da superare e i duelli innocue ed emozionanti sfide.

 
Solo che un giorno qualcuno si è accorto della mia dote.
Un mercante di schiavi, o meglio di Combattenti, che ogni anno partecipava ai Giochi Bellici di Città dei Re. La sfortuna ha voluto che un giorno, mentre era di stanza a Chexla, quest'uomo passasse davanti a casa nostra mentre ero impegnata in un divertente duello con Richard, il maggiore dei figli di Archie.
Io non l'avevo notato, ma il giorno dopo Archie si è presentato a me con un'espressione scura in volto. Mi ha portata in disparte e mi ha spiegato tutto: il mercante di schiavi (Malcom Shist, un nome che odierò per il resto della mia vita), non aveva potuto fare a meno di notare le mie capacità di guerriera, e gli aveva offerto una grande somma di denaro in cambio di me. Come se fossi una merce di scambio.
Che dire, all'inizio ho pensato che Archie mi avesse voluto parlare per dirmi che aveva sonoramente rifiutato. Ma invece, quest'ultimo mi ha riferito esattamente il contrario: cioè che, sebbene molto dispiaciuto, in tempi di crisi come quelli non aveva saputo resistere ad un'offerta così generosa, e che quindi lo scambio era già stato effettuato. E in quel momento mi è sembrato che il mondo mi crollasse addosso. Una scena già vista, in un certo senso. Era la seconda volta in effetti che una persona che amavo mi abbandonava per ragioni economiche, e per di più senza il mio consenso, nelle mani di un perfetto sconosciuto. Ma questo era ancora il danno minore.

I Giochi Bellici di Città dei Re, sono una sorta di feroce competizione, dove i più grandi Combattenti di Fheriea si sfidano in duelli mortali. Una sorta di torneo, dove la posta in gioco è la propria vita.
 
L'indomani ho dovuto abbandonare la famiglia Farlow per andare incontro al mio destino. Malcom Shist era un uomo muscoloso, molto abbronzato, probabilmente proveniente dallo stato dell'Haryar. La sua faccia pareva un pallone di cuoio, qua e là spezzata da profonde cicatrici. E fin dal primo momento la sua vista mi è stata odiosa.
Il saluto ad Archie è stato il più doloroso. Lui era stata l'unica persona che mi avesse mai davvero dato speranza, che mi avesse amato come un padre e mi avesse accudita in modo tanto premuroso. Non è riuscito a guardarmi in viso mentre gli dicevo addio, ma quando l'ho abbracciato spero che abbia capito. Che io l'ho perdonato, nonostante tutte le pene che avrei patito in seguito.
Poi sono partita con Malcom e la sua squadra alla volta di Città dei Re. Ed è stato in quel momento che ho definitivamente abbandonato i tempi dell'infanzia.
 


Città dei Re è la città più immensa che io abbia mai visto. Il palazzi, le abitazioni, le piazze, non sono come a Célia o a Chexla. Qui ogni cosa è immensa, monumentale, le sculture superano i cinque metri di altezza e le strade sono ampie e spaziose come poche nell'intera Fheriea. È stracolma di visitatori e pellegrini per tutto l'anno, e ognuno di loro può essere lì per la motivazione che preferisce: i monumenti più imponenti, i palazzi più maestosi, le biblioteche più antiche. Saltimbanchi, mangiafuoco e acrobati intrattengono la folla agli angoli delle vie e nelle piazze mentre ricche matrone aristocratiche passano accanto a mendicanti addormentati, a volte lasciando loro qualche spicciolo.
Ma per me quella città aveva un solo significato: morte.
 
Per me e i miei compagni, tutti ragazzi e ragazze compresi tra i dieci e i quarant'anni è iniziato il periodo dell'allenamento. Ogni anno i Giochi si svolgono ad inizio estate, ed io sono giunta per la prima volta a Città dei Re che era inverno inoltrato.
La prima combattente che ho conosciuto è stata Claris, una ragazza di diciannove anni con la passione per i pugnali. Era nella squadra di Shist da tre anni ed era sempre riuscita a spuntarla, in ogni singolo combattimento. A diciott'anni anni era addirittura arrivata in semifinale e la fortuna aveva voluto che il suo avversario fosse un suo lontano cugino da parte di madre, che sebbene nettamente superiore a lei, aveva deciso di risparmiarla.
Non siamo mai state propriamente amiche, non come me e Alesha almeno, ma mi ha aiutata a superare i primi difficilissimi mesi da Combattente. Gli allenamenti cominciavano la mattina presto, sempre prima dell'alba, e terminavano quando il sole era già tramontato da un pezzo. Nell'arco di una giornata ci esercitavamo nel combattimento corpo a corpo, nel lancio dei pugnali e nel duelli con le spade e sciabole.
Come ho notato ben presto a mie spese, in mezzo a quei ragazzi addestrati il mio talento di spadaccina non era più che una semplice, piccolissima qualità. Le spade non erano come quelle di legno cui ero abituata, no, erano pesanti, lunghe quasi un metro, con else imponenti e lame affilate come rasoi. Si doveva fare attenzione anche solo a maneggiarle, bastava un piccolo istante di distrazione e ZAF, la lama ti incideva un bel taglio sulle ginocchia.
Ho scoperto invece di essere decisamente abile con la scimitarra dalla larga lama, certamente un'arma meno elegante e letale della spada ma più facile da utilizzare. Infatti, la lunghezza è leggermente ridotta, ma la larghezza raggiunge a volte anche il doppio di quella di una spada. Non c'è certo bisogno di essere dei campioni per ferire l'avversario: basta un stoccata ben assestata o un colpo andato per sbaglio a segno in un braccio, per aprire una ferita ampia e profonda. E poi le sciabole non sono fatte solamente per essere incrociate (arte in cui io sono piuttosto negata); con le sciabole si gioca tutto di gambe, stoccate e colpi laterali. È l'arma che fa per me, adatta al mio metodo violento e un preciso di combattere.
 
Un giorno Shist ci ha portati a visitare l'Arena, il luogo dove si svolgono i Giochi Bellici. Mai ho visto una costruzione così grandiosa. Un edificio a forma di anfiteatro, con mura alte almeno venti-trenta metri, e immense gradinate per far sedere gli spettatori. Il diametro della zona centrale misura circa quindici metri, e il terreno è ricoperto di terra battuta.
E' così che devono vederci i cittadini, i turisti, i grandi nobili locali: un interessante spettacolo da gustare nell'arco di venti, spettacolari giorni.
Vedere quel luogo mi ha fatto venire un groppo alla gola, come se rendesse per la prima volta reale la mia partecipazione a quel terribile torneo. Un nodo che non si è più sciolto fino all'inizio dei Giochi.
 
E allora è iniziato l'incubo vero e proprio. Ci sono voluti due giorni prima che io prendessi parte al primo combattimento. Allora ero spaventata all'idea di uccidere ancor più di quella di venire uccisa, e temevo l'Arena più di ogni altra cosa al mondo.
Qualche giorno prima che la competizione iniziasse, Shist ci ha portati in un magazzino sotterraneo, dove abbiamo scelto l'arma che ci avrebbe accompagnati durante l'intera durata del torneo. Questa è una delle rigide regole dei Giochi: “Ad ogni concorrente è consentito avere a disposizione solamente un'arma, che viene da esso scelta cinque giorni prima l'inaugurazione dei Giochi Bellici; nel caso l'arma in questione venisse distrutta o gravemente danneggiata, il concorrente verrà squalificato”.
 
Prima del mio debutto nel combattimento poi, non c'è più stato il tempo di pensare.
Sentivo la voce del cronista che presentava il mio avversario alla folla, gli applausi scroscianti del pubblico, l'ingresso del primo concorrente - un certo Goresh Fais - come in un sogno.
E poi è toccato a me.
- Dalla squadra di Malcom Shist, Dubhne!- ha annunciato il commentatore.

Forse qualcuno ha applaudito sentendo il mio nome, ma io non sono riuscita a sentirlo. Mi sono alzata con le gambe molli, e l'ultima cosa che ho pensato prima di entrare nell'Arena è stata di star per morire.
La luce mi ha quasi accecata quando ho messo piede nell'area di combattimento. Davanti a me c'era il robusto e agguerrito ragazzo contro cui avrei dovuto combattere, attorno a noi centinaia di persone che ci fissavano. L'atmosfera nel pubblico pareva rilassata, come se le nostre vite non fossero una posta in gioco particolarmente interessante, e dagli spalti si levava un fastidioso brusio.
Poi, il cronista ha gridato:- Che abbia inizio la battaglia!
La folla è esplosa, e io non ho capito più niente. Il mio avversario di è lanciato contro di me brandendo la propria ascia, e io non ho potuto far altro che schivare. Non volevo combattere, non potevo combattere. Al secondo attacco del ragazzo ho cominciato a correre, senza sapere cosa fare. Gli spettatori hanno fischiato, sprezzanti, ma a me non importava. Stavo  cercando di trovare il modo per sopravvivere, nient'altro aveva importanza.
Quando poi però l'ascia del mio avversario mi ha colpita alla spalla portandosi via una striscia di pelle, è accaduta una cosa. Il dolore ha risvegliato in me qualcosa: ero lì per combattere, non per rimanere a piangere in un angolo. Se non mi fossi svegliata sarei morta.
E ho cominciato a contrattaccare. Tutta la rabbia e la paura, unite alla mia abilità con la sciabola, mi hanno permesso di prevalere fin dal principio sull'avversario, e dopo un combattimento lungo e appassionante sono riuscita a strappargli di bocca le parole: mi arrendo!
La folla urlava, e il commentatore stava blaterando qualcosa, ma io non ascoltavo. Io non sentivo. Ho fatto per allontanarmi dal corpo sanguinante del mio nemico, quando ho cambiato idea. Con un unico, veloce movimento, gli ho trapassato il petto da parte a parte.
Ed è stato come se qualcuno avesse improvvisamente riattivato l'audio nella mia vita: ogni singola persona nell'Arena urlava e scandiva il mio nome, e il cronista decantava ai quattro venti quanto strabiliante si fosse rivelata la mia prestazione.
Quella volta qualcosa è cambiato in me. D'un tratto, non ho più provato ribrezzo a stare a contatto con il sangue, non ho avuto più paura di uccidere. Perché uccidere d'ora in poi sarebbe stato il mio lavoro.
 
E da quel giorno, sono diventata... la Ragazza del Sangue.







NOTE DELL'AUTRICE: ehi eccomi qui gente! Avevo promesso che sarei tornata ^^ Lo so, più che un prologo questo è una sorta di riassunto del primo libro, ma era giusto per gli ipotetici lettori che si fossero ritrovati qui senza aver letto "La Ragazza del Sangue". In ogni caso spero che la nuova storia vi intrighi; recensite in tanti, please xD
Talia_Federer

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


PARTE PRIMA

L'INIZIO DI UN VIAGGIO


1







Suppongo sia doveroso iniziare questo mio personale saggio con una precisazione. La Magia non è onnipotenza. Ho avuto modo di rendermene conto durante il lungo periodo di addestramento cui mi sono sottoposta durante la permanenza nel Bianco Reame. Esistono difficoltà, esistono regole, esistono limiti. E di una cosa sono certa: nessuno, nemmeno il più capace degli stregoni potrà mai comprendere a fondo ciascuna delle sfumature con cui la Magia ci si presenta.
“Trattato personale sulla Magia” di Jesha Cambrest, estratto


GRIMAL, STATO DEI RE


L'atmosfera del Gran Consiglio era particolarmente tesa quel giorno.
Jel sedeva come al solito al suo posto, tra Gala e il maestro Camosh. A capotavola, il Re stava studiando delle cartine.
- La situazione è grave - disse infine, squadrandoli ad uno ad uno. - I ribelli del Nord stanno sfuggendo al nostro controllo. Dobbiamo fare qualcosa.
- Con tutto il dovuto rispetto, mio signore - fece uno dei consiglieri in tono esitante. - Gli Uomini del Nord non hanno ancora dichiarato apertamente guerra alle altre Terre. Probabilmente scateneranno qualche tafferuglio, ma la fiammata si estinguerà in fretta...
- Forse non ve ne siete ancora reso conto. I ribelli hanno osato rubare una delle Sei Pietre Magiche. Se non è dichiarare guerra questo!- lo interruppe il re nervosamente, lo sguardo estremamente preoccupato.
Fu allora che Jel prese la parola.
Jel era un ragazzo di ventiquattro anni magro e ricciuto, con lucidi capelli neri e intelligenti occhi di un azzurro intenso. Ma sicuramente l'aspetto più strano in lui era la carnagione candida, quasi bianca.
Era figlio di un Uomo Reale e di una donna appartenente alla Gente Bianca, cosa che spiegava il suo naturale talento con le arti magiche. In effetti, erano poche le persone che, non avendo fra i parenti almeno uno che appartenesse alla Gente Bianca, riuscivano a padroneggiare i vari incantesimi.
Jel era entrato nel consiglio a soli diciannove anni, quando suo padre era morto lasciando sola sua madre, che non aveva mai lavorato per potersi prendere cura della casa. Così lei aveva pregato gli antichi colleghi del padre di farlo entrare nel Consiglio, e fortunatamente loro – forse per l'antico rispetto provato verso il padre, forse semplicemente per bontà d'animo – avevano deciso di metterlo alla prova. Fin dall'inizio Jel aveva dimostrato di sapersela cavare egregiamente con ogni sorta di incantesimo e magia, e come se non bastasse aveva anche un'ampia conoscenza in quanto ad antidoti e medicine. Così, uno dei Maghi del Consiglio aveva deciso di addestrarlo nell'uso delle arti magiche.
Anche Gala era una mezzosangue, ma non avrebbe potuto apparire più diversa da lui: gli occhi castani, tipici degli Uomini Reali, sembravano più che altro due grosse biglie di vetro, e i lucidi capelli viola chiaro le scendevano sulle spalle lisci e ordinati. L'unico dettaglio che forse la accomunava con Jel era la forma del viso e dei lineamenti, sottili e leggermente appuntiti. Aveva quindici anni. Un'età piuttosto insolita per un membro del Consiglio. Anzi, in verità piuttosto unica. Aveva ottenuto il permesso di partecipare alle riunioni quello stesso anno, ma il Re non le aveva ancora concesso l'onore di appellarsi al titolo di Consigliere vero e proprio. Era un'apprendista estremamente esperta, ed era per questo che aveva il diritto di confrontarsi con avvenimenti importanti come le sedute del Gran Consiglio.
I suoi genitori si erano trasferiti nel Bianco Reame l'anno precedente, appena successivamente al suo ingresso nel consiglio. Pur avendo entrambi sangue della Gente Bianca non avevano mai praticato la Magia, verso la quale provavano da sempre quello che Gala definiva amaramente "un disprezzo dovuto a un non so che timore ingiustificato". Al momento di lasciare Grimal per partire alla volta della loro nazione originaria, la figlia si era semplicemente rifiutata di partire, sostenendo di voler a tutti i costi ricevere un'istruzione nella Magia. Jel, da parte sua, sospettava che gran parte della motivazione fosse dovuta all'immensa ammirazione - e forse un pizzico di gelosia - che la strega aveva sempre provato nei suoi confronti. Fatto sta che fu il maestro Camosh, un vecchio amico della famiglia Sterman e membro del Consiglio, nonché mentore di Jel stesso, si era offerto di occuparsi personalmente di lei e di ospitarla in casa sua. E così la ragazzina l'aveva avuta vinta; non che ai genitori paresse fosse importato più di tanto della separazione. Da mesi ormai non arrivavano loro notizie da Estel, per quanto ne sapeva Jel.
- I ribelli per ora non hanno fatto altro che coinvolgere altre persone del Nord alla loro causa; di fatto, non hanno ancora attaccato nessuna delle altre Terre. Ma rubare una delle Pietre Magiche è un atto di enorme irriverenza, questo non si può negare. I ribelli non ci metteranno molto a rendersi conto che una Pietra può anche essere utilizzata come un'arma. Quindi, io credo che la soluzione sia una sola: riunire le Pietre rimaste e metterci alla ricerca di quella che è stata rubata.
Tutti trattennero il respiro. Gala si sporse verso Jel e disse a bassa voce:- Ma sei impazzito? Le Pietre Magiche sono qualcosa di troppo potente per essere utilizzate da un comune mortale!
- Esatto!- ribatté Jel, senza preoccuparsi di bisbigliare. - Da un comune mortale. Noi non siamo comuni mortali! Siamo maghi. È per noi che sono state create!
Il suo discorso appassionato piano piano coinvolse tutti i membri del consiglio.
- E quindi cosa proponi di fare?- chiese il sovrano dell'Ariador, interessato.
- Andrò a prelevare tutte le Pietre Magiche io stesso e mi prenderò la responsabilità di far tornare la Pietra del Nord nelle mani del Consiglio - rispose Jel in tono fermo. - Ispezionerò ogni singola città delle Cinque Terre, se il Consiglio me lo permetterà.
Il Re attese qualche istante, poi proferì:- Non sappiamo con esattezza neanche se le Pietre siano realmente talismani. Sarebbe come cercare una soluzione brancolando nel buio...
- E soprattutto, Jel... che cosa avresti intenzione di fare una volta trovatele?- chiese il maestro Althon, dall'Haryar. Jel s'immobilizzò; a questo non sapeva come rispondere. In effetti, tutti conoscevano le Pietre, ma nessuno veramente aveva idea di come utilizzarle. Eppure, nelle biblioteche di Grimal doveva pur esserci qualcosa... Si accorse che lo sguardo di Camosh era puntato su di lui, e dopo qualche secondo lo sentì dichiarare:- Cercherò io le informazioni. Qui, nelle biblioteche di Grimal.
Il sovrano regnante di Tharia sbuffò. - Andiamo, davvero volete dare corda ad un ragazzino?- chiese in tono di disapprovazione, e Jel avvertì una stilettata di rabbia. Dopo un attimo di silenzio, il Re disse lentamente:- Si tratta di un azzardo. Un azzardo che però potrebbe significare molto per Fheriea. In fondo... che alternative abbiamo?
- Attaccare le Terre del Nord prima che colpiscano loro!- esclamò il Lord delle Isole Crimsief, battendo un pugno sul tavolo. Alcuni annuirono, ma Camosh intervenne:- Si tratterebbe di un massacro, e – perdonatemi, Lord – non servirebbe a nulla. I ribelli sono numerosi, certo, ma sanno come nascondersi e guidare il nostro esercito ad Amaria sarebbe totalmente inutile.
- Senza contare che non abbiamo ancora ben chiare le intenzioni dei Nordici - aggiunse il Maestro Ellanor, dell'Ariador. Il consigliere del Bianco Reame sospirò:- Insomma, Theor è convinto di averci incastrato.
- Si tratta di una posizione scomoda, senza dubbio.- convenne Jel, riprendendo la parola. - Ed è per questo che noi dobbiamo anticipare i ribelli. Poi... si farà ciò che riteniamo necessario.
- Non sono d'accordo - fece di rimando il Maestro di Tharia. - Non possiamo giocare d'azzardo. Non possiamo permettercelo. La situazione è più delicata di quanto ti immagini Jel. Sono stato ad Amaria qualche settimana fa, e poco c'è mancato che venissi aggredito da un gruppo di Uomini del Nord. Un solo passo falso, un solo errore... e scoppierà l'inferno.
- Se i ribelli venissero a conoscenza della missione la prenderebbero come una minaccia, e allora sì che potrebbero dichiararci guerra seriamente.- concordò il Re delle Cinque Terre. Poi a sorpresa continuò:- Ma non mi sembra che la scelta sia molta. L'idea di Jel è migliore di quella del restare qui a fare nulla. Sappiamo che Theor non si farà trovare, tentare di contrattare la pace sarebbe futile. Intanto il maestro Camosh approfondirà le ricerche sulle Pietre.
Calò un silenzio pensieroso. Nessuno pareva saper come rispondere.
Alla fine, Gala disse:- Non sarà solo. Io andrò con lui - Jel si voltò verso di lei, ma prima che potesse rispondere qualunque cosa, intervenne il maestro Camosh:- No, Gala, tu no. Sei troppo giovane, e non conosci ancora abbastanza la magia. Non riusciresti a cavartela in un viaggio simile.
- Ma ci sarebbe Jel assieme a me...- provò a controbattere Gala, ma il Re la interruppe:- Basta così. Se Camosh non ti ritiene pronta, faresti meglio ad ascoltarlo. Jel andrà da solo.
Nessuno si oppose, ma si si udirono alcuni membri sbuffare sonoramente. Il Re continuò:- Non c'è nessuno che debba ribattere? Benissimo. Miei Lord, il consiglio è terminato.
Uno ad uno, i membri del Consiglio si alzarono e uscirono dalla sala. Mentre varcava la porta, Jel molti consiglieri gli passarono davanti - Astapor Raek gli rivolse persino un mezzo sorriso di incoraggiamento - ma quando il giovane incrociò lo sguardo di Gala la ragazza gli rivolse un'occhiata carica di rabbia mista a delusione. A disagio, lui abbassò lo sguardo.
Uscendo Camosh lo guardò con aria severa ma fiduciosa. Jel inspirò profondamente.


Jel rifletté sul da farsi. Il Consiglio aveva dato dimostrazione di grande fiducia verso di lui. Il giovane avrebbe fatto in modo di non deluderli. Sospirò, leggermente preoccupato, ma poi si convinse a rilassarsi. Visto da un altro punto di vista, la ricerca delle Pietre poteva considerarsi una missione come un'altra. Già. Vedrai, andrà tutto bene.
Sempre se i ribelli del Nord non mi catturano, fece un’altra voce maligna dentro di lui. Il mago si costrinse a scacciare dalla mente ogni dubbio, e si sedette sul proprio letto. Ripensò a Gala, che aveva chiesto il permesso di accompagnarlo, e trattenne a stento un sorrisetto. Gala era giovane quanto testarda, e il ragazzo non si sarebbe stupito se lei avesse tentato di nascosto di seguirlo. No, si disse poi. Gala non è una stupida, e sa che qui c'è bisogno di lei. Non farà sciocchezze.
Un lieve colpo alla porta interruppe d’un tratto i suoi pensieri, e il capo lilla di sua madre spuntò dietro il legno levigato. – Jel… il maestro Camosh è qui. Vuole parlarti – la sua voce sottile era leggermente incrinata; non aveva mai superato il senso protettivo e materno che la legava al figlio; la notizia della sua imminente partenza l’aveva turbata.
Jel si rialzò e le sorrise rassicurante. – Arrivo subito – disse infilandosi nuovamente l’elegante mantello, simbolo del Gran Consiglio. Seguì la madre verso l’ingresso, dove Camosh attendeva in silenzio.
– Jel! – lo salutò appena lo vide. – Ragazzo mio, sei stato davvero in gamba oggi.
– Esagera, maestro – nonostante fossero ormai allo stesso livello, Jel non era ancora abituato a dare del tu all’uomo a cui doveva ogni cosa. Forse l’aspetto saggio e innegabilmente intelligente del consigliere avevano contribuito ad aumentare l’alone di vaga misticità che ne avvolgeva la figura. I capelli scuri brizzolati di grigio erano sempre lisci e ordinati, e le due sopracciglia del medesimo colore evidenziavano due severi occhi argentei. Il mantello blu dell’Ordine dei maghi sembrava essere stato concepito apposta per lui; le venature dorate dell’abito conferivano alla sua figura un tocco nobile, e la sua normale pacatezza e serietà venivano evidenziate dal taglio semplice eppure impeccabile della stoffa.
- Immagino tuttavia che tu ti renda conto del pasticcio in cui ti sei immischiato – continuò Camosh, aggrottando un sopracciglio preoccupato. Jel avvertì un vago brivido percorrergli la schiena; il consigliere aveva ragione e, che lo ammettesse o no, lui lo sapeva. – Credo che sia la cosa giusta da fare – dichiarò. Doveva mantenersi saldo. Il mago gli assestò un piccolo colpetto sulla schiena: - Ho sempre saputo che eri destinato a grani cose, Jel – sorrise.
Un tempo il giovane sarebbe arrossito ad una tale osservazione, ma negli ultimi mesi la precarietà della situazione nel continente aveva cancellato simili atteggiamenti infantili. La guerra con le Terre del Nord non pareva più un’opzione tanto remota, e davanti a quella insidiosa e imprevedibile minaccia le indecisioni di un ragazzo perdevano importanza.
- Vuole… vuole accomodarsi? – Lys si rivolse al consigliere con la solita cortesia che la contraddistingueva. – Desidera qualcosa da bere? Un bicchier d'acqua, un infuso di Terijs...
- No, grazie - la grande battaglia di Camosh per convincere la madre di Jel ad abbandonare quei toni reverenziali non era mai andata a buon fine. – Ero passato solo per vedere come stava tuo figlio – spiegò, ammiccando a Jel. Lys sorrise timidamente, poi bofonchiò qualcosa sulla cena da preparare e sparì dietro la porta. L’uomo e il ragazzo rimasero un istante a fissare l'angolo dietro al quale la donna era sparita, poi Camosh parlò di nuovo. Non sorrideva più.
- Fai attenzione – mormorò in tono grave. – Theor ha molte spie sparse per Fheriea. Avrai bisogni di tutta la tua astuzia e le tue doti per sfuggirgli.
– Lo so – rispose lui preoccupato. Poi aggiunse: – Gala… lei non capirà.
– Già – convenne l’anziano mago. – L’avrei lasciata partire con te se avessi considerato solo le sue capacità magiche. Ma in viaggio simile non bastano le doti naturali. Gala è testarda e talvolta arrogante, avrebbe costituito un pericolo per te e per se stessa. E comunque, da solo darai meno nell’occhio.
Anche su questo aveva ragione. Eppure, in quel momento Jel avrebbe preferito che ci fosse qualcuno ad accompagnarlo. Si sentiva spaesato; non aveva la minima idea di come avrebbe fatto a terminare al missione da solo.
– Beh, ora ti lascio. Dovrai preparare le tue cose.
Jel annuì. Strinse la mano al proprio maestro, e dopo che l’uomo fu uscito si voltò verso la propria stanza. Era tempo di partire.




Note: ecco l'aggiornamento, per una volta non in ritardo xD Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto, anche se so che molti di voi si staranno chiedendo "Ehm... e Dubhne?"
Tranquilli, prima o poi... *eheh* arriverà anche lei, ma non vi anticipo niente per ora ;) Grazie mille a Marty_598, RevengeIsComingLion e a Denisa99, che si sono confermati recensendo anche questo nuovo romanzo; e ovviamente un ringraziamento anche a Hyrie, che ha recensito per la prima volta.
Un bacio a tutti i lettori, Talia :3

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


2








Jel spalancò i cassetti in legno della piccola cassettiera, tirando fuori tutto ciò che sarebbe potuto tornargli utile. Un mantello di scorta, stivali in pelle di drago, una sacca di stoffa poco pregiata, ricambi di vestiti e per ultimo, un piccolo pugnale che per anni era rimasto sigillato, nascosto sotto il ripiano di uno di quei cassetti…
Ponderò un istante fissando la sottile lama argentea. Non l'aveva mai usata. In effetti, non aveva mai combattuto nemmeno con la Magia. Fino ad allora aveva solo e sempre usato la magia come strumento, e sicuramente non con lo scopo di uccidere o per sfuggire da un nemico. I suoi servigi per la patria si limitavano a relazioni dietro la scrivania e congressi in altre nazioni...
Un nuovo brivido più insistente si fece strada giù per la schiena del giovane. Adesso basta! si ammonì piccato. Finiscila, ce la puoi fare. Vedrai, andrà bene.
Se non si fosse alzato adesso probabilmente non sarebbe mai partito. Balzò giù dal letto e raccolse da terra la sacca stracolma, si assicurò il pugnale alla cintura di cuoio e si diresse nella sala da pranzo, che fungeva anche come cucina. Le pareti di pietra facevano un effetto poco gradevole, nonostante Lys avesse tentato di ingentilirle appendendo variopinti arazzi familiari. L’ampia stanza aveva mantenuto l’ambiente freddo che la caratterizzava, in tutti quegli anni. Il pavimento era costituito da levigate assi di legno, e almeno su quello né Jel né sua madre avevano avuto nulla da ridire. In tutta la casa, conferivano un tocco nobile.
– Lys…- era da quando suo padre era morto che Jel non pronunciava più la parola “madre”. – Io… dovrei prendere qualcosa da mangiare… qualche provvista…
- Ma certo – la donna si sforzò di sorridere. Un sorriso, nonostante non fosse più così giovane, molto grazioso. Spalancò la porta della piccola e fresca dispensa, e mentre Jel tirava fuori da un baule un’altra saccoccia più robusta della prima, gli consegnò qualche grossa micca di pane integrale, alcuni barattolini di marmellata di mirtilli gialli e olive Yokai sott’olio. – Per l’acqua dovrai accontentarti dei ruscelli che troverai sulla strada. – disse mestamente, quasi scusandosi. Jel, suo malgrado, rise. – Stai tranquilla, è solo una precauzione. Molto probabilmente avrò la possibilità di fermarmi in qualche locanda durante il viaggio.
Anche Lys ridacchiò, impacciata. – Beh.. immagino che tu ora debba andare…
- Sì…- Jel rimase un attimo fermo, poi si chinò su quella figuretta smilza e la abbracciò. – Fai attenzione, Jel. Ti prego… - lo scongiurò la madre, senza trattenere un piccolo singhiozzo.
– Tranquilla, ce la farò. Sono in gamba, lo sai - rispose lui con un sorriso.
– Sì Jel. Ma… ho paura per te. Ho già perso tuo padre, non potrei mai sopportare di non rivederti tornare a casa…
- Va tutto bene – il giovane le diede un affettuoso buffetto sulla guancia. – E’ una missione come le altre. Tornerò presto, te lo prometto.
Pregò di poter mantenere fede a quelle parole. Non essere sciocco! si disse poi irritato, separandosi dalla madre. – Ho preparato Ehme – annunciò lei.
Ehme era la bellissima puledra argentata che il padre di Jel aveva comprato durante uno dei suoi viaggi nelle Terre del Nord. Leggera e veloce come uno spiffero di vento, pareva ancora giovane nonostante avesse più di ventiquattro anni. Apparteneva alla magnifica razza degli Stalloni Nordici, la più aggraziata e resistente dell’intero continente.
Il giovane diede un’ultima occhiata in giro per salutare la propria casa e si caricò sulle spalle le provviste, poi scoccò un ironico bacio per rassicurare Lys e si avviò fuori. La rimessa per i cavalli distava pochi passi dal retro della graziosa abitazione, la terra battuta che costituiva i “pavimento” era perennemente ricoperta di paglia. In passato un giovincello dai modi rozzi ma simpatici si era occupato della pulizia della piccola stalla, ma con gli anni Jel aveva trovato gusto nel prendersi cura dei cavalli. Specialmente di Ehme, naturalmente. E nonostante, tra una seduta del Consiglio e l’altra, non avesse propriamente molto tempo per ripulire la zona dagli escrementi degli animali, un po’ di magia aveva sempre sistemato tutto.
Jel si accinse a montare in sella ad Ehme, dopo aver assicurato le bisacce alla cavalcatura, quando qualcosa lo bloccò. Una figuretta immobile, ferma appena a qualche metro di distanza da lui. Per un attimo un vago terrore si impadronì di lui, ma si riprese in fretta nel constatare che la ragazza non era altri che Gala Sterman.
- Che ci fai qui, Gal? – chiese stancamente il giovane mago, anche se il suo cuore già aveva intuito la risposta. E infatti, la ragazza rise:- Credevi davvero che ti avrei lasciato partire da solo?
- Tu sei troppo giovane – ribatté lui senza girarci intorno. – E hai sentito il maestro Camosh. Se gli disubbidissi potresti venire espulsa dal Gran Consiglio.
– Sai che paura! – Gala era sempre stata maledettamente sfrontata. Ridacchiò poi, più seria, aggiunse:- Hai bisogno di me. Non puoi sfuggire a tutti i ribelli del Nord… da solo.
Jel rifletté; che Gala fosse una sorta di bambina prodigio più coraggiosa che riflessiva non era un segreto; lei e Jel si conoscevano praticamente da sempre, e nonostante il giovane fosse diligente, serio e determinato, Gala aveva sempre posseduto un talento naturale maggiore. Jel aveva dovuto studiare anni per imparare incantesimi che all’amica letteralmente… scorrevano nel sangue. Certo, la ragazzina era impulsiva, incosciente e anche piuttosto arrogante, ma sarebbe stato utile averla con sé durante un viaggio del genere. Jel aveva maggiore padronanza di sé, e in fin dei conti riusciva a padroneggiare molti più incanti di lei – merito di merito di interminabili fatiche che Gala non aveva mai desiderato sopportare – ma era proprio per questo che l’un l’altra si completavano. Uniti avrebbero potuto cavarsela egregiamente.
– Lo… lo sai quanto è importante per me. È da tutta la vita che aspetto questa occasione. – insisté la ragazza con occhi scintillanti. Ma Jel non voleva cedere. – Se ti capitasse qualcosa non me lo perdonerei mai. E poi… chi lo spiegherebbe ai tuoi genitori?
- Come se a loro importasse ancora di me. Sono tornati nel Bianco Reame da più di quattro anni, non ti ricordi? Da quando ho iniziato il mio apprendistato.
Il mago sbuffò, ma poi non riuscì a trattenere un sorriso. Era proprio quello il segno indelebile del carattere di Gala; era quella maledetta testardaggine a rendergliela così simpatica. Il maestro Camosh si fida di te. Non dovresti deluderlo.
Devo fare ciò che ritengo giusto…
- Non mi importa se non mi permetterai di venire con te. Ti seguirò comunque, fin nel punto più a Nord del pianeta, se necessario. – Gala interruppe bruscamente i suoi pensieri. - Ne ho abbastanza di fare perennemente la figura della bambina piccola. Io ho quindici anni ormai.
- Ed è proprio questo che mi preoccupa. – disse Jel esasperato. – Senti Gal, mi dispiace. Non puoi venire con me. Resta qui a Grimal. Vuoi renderti utile? Aiuta Camosh a cercare gli antichi scritti sulle Pietre. Io tornerò il prima possibile, sul serio…
- No! – lei pestò un piede a terra, incrociando le braccia. Ora sembrava ancora più giovane, una streghetta infantile impuntata a raggiungere i propri scopi. – Posso esserti utile, lo vuoi capire?
Anche Jel alzò la voce:- Ti ho detto di no! So badare a me stesso, seguendomi finiresti col farti ammazzare!
Forse Gala tentò di trovare una qualche risposta pungente, ma non gliene venne in mente alcuna. Rimase in silenzio, continuando a fissare l’amico. Teneva ancora le braccia incrociate, i pugnetti pallidi serrati. Se dalle sue narici dilatate dall'irritazione fosse scaturita una nuvoletta di fumo draghesco Jel non ne sarebbe stato sorpreso. E i suoi occhi erano così furenti, decisi e tosti, che il giovane non poté che cedere:- E va bene. Prendi Yin e andiamo.
Hai appena commesso un errore, Jel. E lo sai.
Lo sguardo castano di Gala si illuminò all’istante, cambiando completamente l’espressione della ragazza. – Dici sul serio? – chiese incredula. L’altro annuì, mandando al diavolo ogni indecisione.
– Certo. Ma adesso sbrigati.
La strega sembrò trattenersi dallo scoppiare a ridere entusiasticamente, e si avvicinò all’altro puledro presente nella rimessa. Yin era decisamente meno aggraziato di Ehme, e di certo non era un purosangue, ma era comunque ancora forte e in ottima salute. Il manto castano era ispido e pulito, e la criniera scura pareva brillare alla luce della luna. Gala vi montò in sella con disinvoltura, e Jel la imitò. – Da dove credi che dovremmo partire?- chiese la ragazzina, con lo stesso tono eccitato di sta per partire per una vacanza intorno al mondo. Jel non se ne curò, anzi ridacchiò e rispose:- Dalla capitale più vicina. Andremo a Jekse.
Nell’Haryar. Jel aveva sempre desiderato visitare in grande Deserto Rosso. Con un po’ di fortuna e il tempo a loro favore, sarebbero riuscivi a superare i monti a sud di Grimal in poco più di quattro giorni. Da lì, l’attraversare le pianure aride del nord dell’Haryar non sarebbe stato particolarmente complicato. Sempre che non avessero incontrato qualche emissario di Theor…
Il giovane si convinse a scacciare ogni dubbio; colpì le staffe di Ehme con i talloni e, seguito da Gala, partì. Prima che essa scomparisse dietro di loro, si voltò un’ultima volta verso casa sua: gli sarebbe mancata. – Prenditi cura di te, mamma – sussurrò. – Io tornerò presto.




Note: ed eccomi qui naturalmente in ritardo, con il secondo capitolo ^-^ Un grazie come sempre a tutti i lettori e ai recensori, siete sempre graditi ovviamente ;) Aggiornerò appena avrò tempo... ora, please, un "in bocca al lupo per la partita di pallavolo che sto per giocare... xD Thank you.
Talia :D

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


3








Ehme galoppava silenziosa ed aggraziata sui pendii erbosi delle colline nel Sud dello stato dei Re. Dietro di lei, Yin cercava di trasportare Gala con la medesima velocità. Jel, sempre seduto sulla propria cavalcatura, cominciava ad avvertire pesanti segni di stanchezza. Era da tutta la sera che lui e Gala spronavano i cavalli al galoppo senza mai fermarsi. Grimal era scomparsa presto da dietro di loro, che si erano addentrati nelle tenebre rischiarate leggermente solo dalla luce della Luna dei Colli Nakiez. Nonostante l’estate fosse tutt’altro che prossima, l’aria era tiepida, e avvolti negli spessi mantelli dei maghi i due ragazzi provavano quasi un fastidioso caldo. Il clima dell’Haryar, la regione probabilmente più arida e desertica del pianeta, aveva influenzato notevolmente anche quelle zone; proprio ai piedi delle Montagne Rosse il deserto si estendeva per poche miglia anche nello Stato dei Re. Già lì l’erba era secca e giallognola, non soffice e smeralda come a Nord.
- Quanto credi che manchi ancora per arrivare a Prit? – gli gridò Gala da dietro, sovrastando il rumore delle folate di vento notturno. Jel scosse la testa. – Per l’alba dovremmo esserci… forse… Prit era l’ultima città degna di essere definita tale prima del confine con l’Haryar. Si sarebbero fermati lì per un paio d’ore per riposarsi ed eventualmente mangiare qualcosa. L’attraversata delle montagne sarebbe stata lunga e faticosa, lo sapevano entrambi, non tanto per loro quanto per i poveri cavalli; Ehme aveva già affrontato viaggi dal ritmo così sfiancante, ma se si fossero ritrovati a perdere Yin, la traversata sarebbe potuta risultare ancora più dura del previsto.
Si convinse ad allontanare quei pensieri pessimistici e spronò Ehme ad andare più veloce; non ne poteva più di cavalcare. La pazienza non era mai stata una delle sue doti maggiori. Strano a dirsi, visto l’atteggiamento calmo che il giovane continuamente s’imponeva di mantenere. Aveva bisogno di conferme in quel momento, sapeva che nel momento in cui avesse potuto toccare la Pietra d’Haryar si sarebbe sentito immediatamente più sicuro. Lo sguardo estremamente preoccupato del Re e le parole del maestro di Tharia a proposito dei ribelli continuavano a perseguitarlo.
Fheriea era già sopravvissuta ad una guerra più grande di lei, decenni e decenni prima. Jel sperava con tutto il cuore che il continente non dovesse prepararsi ad affrontarne un’altra.

***

AMARIA, TERRE DEL NORD

Sephirt sorrise leggermente, mentre con gioia accoglieva il rumore dei passi dietro di lei. Passi leggeri, incredibilmente decisi, appartenenti a spessi ma pregiati stivali di cuoio.
Mal. Mal, il suo maestro e amico. Mal, il più fidato e feroce sostenitore di Theor, uno dei più conosciuti e capaci maghi delle Terre del Nord.
Lui e Sephirt si conoscevano da anni; fin dai propri primi ricordi la giovane rammentava Mal accanto a sé. Era tutto per lei: un padre, un fratello, un maestro. Era da lui che, sepolta fra le biblioteche di Amaria, aveva appreso i segreti e gli incanti della magia. Mal Ennon aveva ricevuto un’educazione dal maestro Camosh in persona, un Uomo Reale conosciuto in tutta Fheriea per le grandi capacità e saggezze, che ora sedeva come membro del Gran Consiglio. Mal aveva trascorso la propria infanzia nello Stato dei Re, ma appena terminata la propria educazione aveva deciso di tornare nella sua patria, le Terre del Nord. Ed era lì che Sephirt l’aveva incontrato.
- Vieni Sephirt. Dobbiamo essere nella sala centrale del Palazzo fra dieci minuti.
La donna alzò lo sguardo dall’antico tomo che era intenta a consultare in quel momento; era tarda mattinata, ma lei si trovava ancora in vestaglia. La sera prima era stata costretta a coricarsi nel pieno della notte, dal momento che la riunione del consiglio indetta da Theor si era portata avanti decisamente per le lunghe. – Arrivo tra un attimo – rispose con disinvoltura, sfilandosi la casacca di velluto e rabbrividendo per il freddo. Allungò una mano e veloce afferrò la divisa dei maghi nordici. Fosse stato anche solo un paio di anni prima una simile idea non le sarebbe passata neanche per la testa. Ma ormai conosceva Mal troppo – troppo – bene per avere timore di cambiarsi davanti a lui. Immaginò l’uomo abbassare discretamente lo sguardo e ridacchiò, fra il divertito e il leggermente lusingato.
Sebbene Mal Ennon fosse esattamente il corrisposto alla descrizione di “bell’uomo”, per quanto Sephirt sapesse al momento non era impegnato in alcuna relazione amorosa seria. E Sephirt di lui conosceva pressoché tutto. Aveva avuto un paio di amanti nella sua vita, ma tutto era successo prima; prima che Theor salisse al potere, prima che egli stesso si fosse completamente consacrato al proprio lavoro. Sephirt era praticamente l’unica donna con cui il mago avesse a che fare, e la cosa le piaceva.
Mal era un uomo sulla quarantina – un vecchietto rispetto a lei, che di anni ne aveva ventisette – e nonostante gli anni passati la sua bellezza non si era mai sciupata. Era nato a Gax, una delle città più settentrionali del continente, ma da genitori entrambi appartenenti agli Uomini Reali, spostatisi con le famiglie nelle Terre del Nord ai tempi della grande guerra condotta da Will Cambrest verso i popoli del Sud del pianeta Acryst. Alto, forte, i capelli scuri e crespi sempre pettinati alla perfezione. Occhi neri, intensi, amareggiati dalle sofferenze contemplate, inaspriti dalla pietà che raramente poteva permettersi, maturati dall’esperienza e dal coraggio. Erano gli occhi che avevano catturato Sephirt fin dal giorno in cui si erano conosciuti, che l’avevano indotta a fidarsi di lui.
Quando ebbe finito di vestirsi, si voltò. – Sono pronta. – disse con un sorriso.
Mal annuì e le fece cenno di seguirlo. Entrambi uscirono per le vie di Amaria, senza riuscire a trattenere i tremiti indotti dal freddo pungente e secco che caratterizzava il tardo inizio della primavera lì a Nord. Percorsero la prima strada senza scambiarsi una parola; Sephirt preferì tenere la bocca chiusa, curiosa ed impaziente di scoprire quale fosse l’incarico che Theor avrebbe affidato loro quella volta. Perché era di un incarico che si trattava, la donna ne era sicura; erano rare le occasioni in cui Theor li convocava per qualcosa che non fosse una seduta del “consiglio ristretto”. Era stata un’idea proprio di Theor denominare così le riunioni dei ribelli.; una sorta di canzonatoria storpiatura del Gran Consiglio che aveva luogo a Grimal. Da quando i genitori dell’infante sovrano erano morti nella dura epidemia che aveva colpito Amaria anni addietro, tecnicamente era diventato lui il sovrano. Da capo consigliere e maestro di corte, aveva preso in mano il potere con astuzia e diligenza. E mentre le sue influenze sul popolo si accrescevano, il suo desiderio di rivendicare la totale indipendenza delle Terre del Nord dall’Ariador non faceva altro che intensificarsi. Ed era per questo che Sephirt, Mal e migliaia di altri Uomini del Nord lo seguivano; per dargli la possibilità di realizzarlo. I due varcarono le soglie del grande cortile bianco del palazzo reale, dopodiché chinarono leggermente il capo di fronte alle imponenti guardie dell’ingresso. – Siamo convocati dal maestro e consigliere Theor, chiediamo il permesso di entrare. – fece Mal a memoria; aveva già pronunciato quella frase parecchie volte negli ultimi giorni. Uno dei due uomini in divisa spalancò il portone di spesso legno levigato. Mentre i maghi entravano, una figura ammantata si avvicinò loro.
- Salve Wesh. – lo salutò Mal sorridendo affabile. – E’ proprio necessario?
L’anziano maestro si fece scivolare il cappuccio dal volto, rivelando un viso nervoso ed emaciato. – Ordini di Theor, Ennon. Mi dispiace, ho il dovere di perquisire chiunque provenga da fuori.
– Veramente è stato proprio Theor a convocarci…- borbottò Sephirt fra sé e sé, stizzita, mentre controvoglia alzava le braccia e allargava le gambe.
– Ancora non ti sei rassegnato ad abbandonare quella robaccia?- chiese tagliente, mentre Wesh tirava fuori dal mantello una sottile asta di metallo emanante un vago bagliore rossastro.
– Perché adeguarsi ai nuovi metodi sperimentali di quegli inetti del Sud? – rispose questi, senza mascherare il fastidio. – L’incanto Nibel funziona molto meglio sui metalli piuttosto che… all’aria.
La donna sbuffò, mentre Mal ridacchiava distrattamente. La verità era che trovava piuttosto fastidioso lo scorrere di quel bastone reso incandescente dalla magia sul proprio corpo diafano. Quella norma di sicurezza era antichissima, risalente ai tempi anteriori alla Grande Guerra. Il funzionamento era semplice: procuratasi una comunissima asta di ferro, vi si applicava sopra un incanto – il Nibel, appunto – che se sfregato sui corpi e i vestiti delle persone ne captavano il possesso di oggetti non richiesti, come pugnali, boccette di liquidi illeciti e altre cianfrusaglie “pericolose”.
Da parte sua, Sephirt lo trovava ridicolo.
Quando Wesh ebbe finito di perquisire anche Mal, si avviarono verso la scalinata principale, che come sapevano conduceva alla sala del trono. Altre guardie li separavano da essa, ma per fortuna i due non furono costretti a ripetere il teatrino che aveva avuto luogo con Wesh. Sephirt non riusciva più a nascondere la propria intemperanza. Bramava con tutta se stessa avere finalmente qualcosa da fare, che non fosse esercitarsi con gli incantesimi più difficili e trascorrere le proprie serate seduta attorno a un tavolo per discutere degli affari dei ribelli. Se davvero Theor voleva concludere qualcosa, l’azione era inevitabile.
Varcarono la soglia della sala grande e, una volta giunti dinnanzi al trono, si inchinarono profondamente. Il re – o tale per modo di dire – li guardò con curiosità. Gracile, poco più di un bambino spaurito, il piccolo Robyn aveva solo nove anni. Non c’era da stupirsi che Theor avesse avuto così poche difficoltà ad assumere il comando nella capitale. Robyn… non era un sovrano. E come pretenderlo? Non era né più intelligente, né più in gamba, né più talentuoso di tutti gli altri ragazzini della sua età. E sebbene fossero passati più di due anni dalla morte dei suoi genitori, non aveva ancora superato lo choc.
Robyn alzò lo sguardo su di loro quasi intimorito, senza sapere bene che dire. – Ehm… - pareva sforzarsi di trovare parole adeguate. – Che cosa… cosa…?
Un colpetto di tosse interruppe i suoi balbettii esitanti, e Theor apparve finalmente da dietro una porta laterale. – Mal, Sephirt… benarrivati. Maestà, se non ne avrete a male ve li rubo. Li ho convocati qui io stesso. Per gli affari del Paese.
Decisamente sollevato, il piccolo Robyn annuì. – Come desiderate… maestro Theor. – sorrise, soddisfatto per aver detto la cosa giusta.
Fosse stato un altro momento Sephirt avrebbe privato ilarità nei suoi confronti, ma il tono serio e leggermente preoccupato dii Theor l’avevano completamente catturata. Doveva trattarsi di qualcosa di importante.
Lei e Mal seguirono il maestro lungo un breve corridoio, per poi entrare nella elegante stanza che Theor aveva adibito come sala del consiglio ristretto. Ma intorno al tavolo di marmo non era seduto nessuno. Theor sollevò una brocca di cristallo, versò del vino in tre calici e ne porse due a Mal e Sephirt. – Accomodatevi.
I due presero posto, squadrandolo con aria interrogativa. Theor sospirò, l’espressione contratta. – Il Gran Consiglio è deciso a recuperare le Pietre. – dichiarò dopo pochi secondi di silenzio.
Né la donna né Mal riuscirono a trattenere la sorpresa. Non vi era mago in tutto il continente che non conoscesse le Pietre Magiche e e leggende che gravavano su di esse. Mal fu il primo a riprendersi. – Lo sappiamo con certezza? – domandò serio. Theor annuì gravemente. – Il nostro infiltrato nel Consiglio ha visto e ascoltato tutto. Due Maghi Consiglieri sono stati scelti per l’impresa. Devono radunare le Pietre e riportarle al Consiglio. Cosa avranno intenzione di fare dopo… possiamo avanzare solo delle ipotesi.
- Chi hanno mandato?- mormorò Sephirt dopo essersi portata il calice di liquido rossastro alle labbra. – Chi sono i due maghi?
- Nessuno di cui preoccuparsi realmente. Probabilmente due che dovremmo avere difficoltà a riconoscere. Una ragazzo e una ragazza, lei è quasi una bambina, da quanto l’infiltrato mi ha riferito. Credo che ormai l’abbiate capito: non devono riuscire a trovare quelle pietre.
- E come mai avete convocato noi qui? – chiese Mal, anche se ormai entrambi avevano già intuito la risposta.
Theor rispose con voce ferma: - Ho un incarico da affidarvi.



Note: lo so, avete tutto il diritto di uccidermi. E' da quanto, un mese che non aggiornavo? Sorry, sorry, sorry a tutti i lettori, ma almeno spero che il capitolo vi sia piaciuto ;) Fatemelo sapere con una recensione magari, sono sempre bene accetti consigli, critiche e obiezioni, al solito. Grazie,
la vostra Talia :3
Ps: cercherò di aggiornare prima, stavolta...

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


4








JEKSE, CAPITALE DELL’HARYAR


Stupefatta, Gala si guardò intorno. Non riusciva a spiccicare una parola.
Jekse, intorno a loro, semplicemente brillava. Uno scintillio insistente, incredibile, di un potente color tra l’aranciato e l’amaranto.
Le abitazione, anche le più nobili, si ergevano colorate lungo le vie della città, quasi interamente costituite di mattoni; nelle piazze e piazzette statue dalle svariate dimensione – sempre rosse – conferivano all’ambiente un tocco artistico e giocoso, interamente realizzate in argilla o terra del deserto. Persino le persone che percorrevano le vie della capitale si sarebbero confuse con i muri delle case, non fosse stato per il colore corvino dei loro capelli.
Jel, a suo fianco, si volse sorridendo verso di lei, in viso un’espressione compiaciuta. – È magnifica, non credi?
La ragazza non aprì bocca, limitandosi a muovere in capo in cenno di assenso. Non aveva mai visto nulla di simile. La prima volta che si era recata a Città dei Re, una volta, e il sentimento che aveva provato ammirando l’Arena e il Palazzo Reale era stato il più vicino a quello che scuoteva il suo animo ora. Ma se la grande capitale di Fheriea era per lei un luogo familiare oramai, Gala era sicura che mai si sarebbe abituata alla Città Scarlatta. Alla fine rise, divertita dall’effetto che lo spettacolo aveva avuto. Non c’era più tempo per godersi una visita turistica di Jekse.
- Andiamo, dai – disse dando una lieve spinta al compagno. Riprendendo a camminare e tirandosi dietro i cavalli, Jel si slacciò il mantello. – Caldo eh? – chiese alla strega, la quale annuì imitandolo.
Una volta affidati i cavalli ad un giovane stalliere – al costo di ben quindici hire ciascuno – i due maghi affrettarono il passo in direzione del palazzo del governatore; era dal termine della Guerra passata che l’Haryar non poteva vantare di un re.
Potrebbe essere così che finirà. Come allora. Le Terre del Nord rimarranno chetate con il sangue…
Un lieve brivido si impadronì di Gala Sterman a quel pensiero. Vi erano analogie tra la situazione attuale e quella precedente allo scoppio della guerra di duecentocinquant'anni prima. Anche allora una nazione si era sollevata contro le altre, anche allora il Gran Consiglio aveva inizialmente sottovalutato le potenzialità dei ribelli. Non è la stessa cosa. Quando Will Cambrest aveva assunto il comando delle armate del Bianco Reame in effetti non era stato per dirigersi contro l’Haryar soltanto, ma per combattere anche legioni di alleati provenienti dalle terre aldilà dei confini di Fheriea. Era al termine di quella lunga, devastante battaglia che le Pietre erano state create, che i grandi maghi del mondo avevano giurato che mai più avrebbero permesso un simile conflitto. Ma anche così, l’utilizzo di quei talismani sarebbe costato la vita di centinaia di persone…
Non le useranno. Non ce ne sarà bisogno. La guerra non scoppierà neanche, e tu lo sai.
- Guarda – le sussurrò Jel ad un tratto. Gala alzò lo sguardo, e i suoi lineamenti si distesero in un sorriso stupito: assorta com’era nei propri pensieri, non si era accorta che lei e il giovane erano arrivati ai margini di una piazza di dimensioni modeste, al cui centro si innalzava una statua i cui dettagli la strega non riusciva ancora ad identificare. Ma soprattutto, sullo sfondo si parava davanti a loro il palazzo reale dell’Haryar. Era sicuramente la costruzione più particolare, e in un certo senso più triste, che Gala avesse mai visto. Imponente – anche se notevolmente di meno rispetto alla reggia di Città dei Re – costruito anch’esso nel medesimo color scarlatto che caratterizzava la città. Le uniche avvisaglie di marmo che spezzassero quella monocromia consistevano nella scalinata d’accesso, che si srotolava maestosa verso la parte occidentale della piazza. Una grande cupola era stata eretta sulla sommità centrale dell’edificio, punto caratterizzante dell’architettura Haryarita.
– È splendido…- si lasciò sfuggire la ragazza; Jel le mollò una pacca sulla schiena.
– Dovresti imparare a controllare le emozioni – disse ridendo – Non fosse per la divisa ti si potrebbe scambiare per una semplice viandante che ammira le bellezze del…
- Oh, sta’ un po’ zitto! – rispose lei piccata. Poi però sorrise leggermente: l’amico aveva ragione.
– Ora però andiamo – riprese lui tornando serio. – Ci aspetta un compito importante.
- Credi che i Custodi saranno restii a consegnarci la Pietra? – domandò Gala mentre riprendevano a camminare verso il palazzo. Jel ponderò un istante, come faceva sempre, poi rispose: - Direi di no. A quest’ora, il maestro Althon dovrebbe già aver spedito un corvo per spiegare le nostre ragioni e firmare il permesso…
Rincuorata, Gala tacque. Era curioso, ma la giovane si sentiva piuttosto intimidita: prendere in custodia uno di quei talismani arcani era un onore immenso, e lei in quel momento trovava di essere perfettamente inadeguata. E se lei e Jel non fossero stati in grado di proteggerli? Se fossero stati loro trafugati, magari – e al pensiero il suo stomaco si chiuse – da qualche spia ribelle?
I due maghi si inchinarono profondamente nel raggiungere l’estremità della scalinata principale, al cospetto di due snelle guardie avvolte in una elegante cappa color mattone. Poi, Jel rialzò il capo e dichiarò:- Siamo membri del Gran Consiglio di Città dei Re. Siamo qui per incontrare i Custodi. Senza lasciarsi scivolare il cappuccio dalla testa, una delle due Guerriere replicò con voce ferma:- Per autorizzarvi a passare ci necessita un permesso firmato dal sovrano o dal maestro Althon.
Tranquillo, Jel estrasse da sotto la tunica la carta di una lettera, oggetto che ogni membro del Consiglio possedeva. Accanto alle firme di tutti i sovrani e Maestri di Fhrieea Althon, come gli altri, aveva scritto le parole:

Io, Felinor Althon, maestro alla corte di Jekse e consigliere del Re, garantisco al possessore di tale documento il permesso di varcare le soglie del Palazzo d’Haryar in quanto membro del Gran Consiglio e alleato delle Cinque Terre.

La Guerriera che aveva parlato annuì quasi impercettibilmente. – Scusate il disturbo, consiglieri – poi si scostò per farli passare e senza apparente fatica spalancò gli imponenti portoni.
Anche dopo che ebbero varcato la soglia, Gala rimase con la bocca spalancata. Guerriere. Tutt’altra pasta rispetto alle guardie reali di città dei Re. Quello delle Guerriere era un ordine estremamente antico e prestigioso, fondato quasi un millennio prima dalla lady ariadoriana Varija Akcest. La maggior parte di esse era di sangue ariadoriano, dal momento che la loro sede era stata edificata a Tamithia. Guerriere… le migliori combattenti che Fheriea – e forse il mondo – avesse mai conosciuto. Ogni giovane donna di qualsiasi paese doveva aver desiderato di essere una di loro, almeno una volta nella vita. Agili, aggraziate e letali, erano sottoposte ad addestramenti e preparazioni durissime fin da piccole, e il risultato era eclatante: solitamente, neppure generali e membri dell’esercito osavano attaccar briga con una di loro.
Un uomo dimezza età, rosso di capelli e vestito regalmente, si avvicinò loro poco dopo il loro ingresso. Si inchinò rispettosamente e si presentò come l’attendente del governatore. – Lord Greyo sarà ben disposto a ricevervi. – aggiunse con un sorriso. Jel e Gala ringraziarono educatamente, dopo di che si apprestarono a seguirlo verso la sala del trono. Una stanza ampia, dal pavimento marmoreo ingentilito da numerosi tappeti pregiati e le pareti cosparse di arazzi, antichi dipinti e statue d’argilla cotta. Il trono, esposto in bella vista a ridosso della parete di fondo, non era occupato; il Governatore sedeva su di uno scranno di dimensioni ridotte, anche se dorato e finemente lavorato neri braccioli e nello schienale. Egli era un uomo sulla sessantina, i capelli rossicci leggermente brizzolati. Anche se era seduto, se ne poteva notare il piglio nobile e composto: teneva le mani regalmente appoggiate ai bordi del proprio scranno, e con la schiena dritta sfiorava soltanto il velluto nello schienale. Un tempo doveva essere stato un uomo abbastanza prestante, ma ora l’età e le responsabilità avevano segnato la sua figura, appesantendola e cospargendone il volto di profonde rughe.
Gli manca solo la corona… pensò Gala sorpresa. Immediatamente si sentì decisamente infantile. Per l’ennesima volta, lei e il suo compagno si inchinarono.
- Consigliere Jel, è per me un grande piacere ricevervi – annunciò il governatore in tono cordiale. - Ma... - lanciò un gentile sguardo di domanda verso Gala. - Mi era stato parlato di un solo membro del Consiglio...
- C'è stato un cambio di programma - tagliò corto Jel. - E poi Gala non è un Consigliere, ma un'apprendista. È qui come mia assistente.
Ignorò lo sguardo offeso che la compagna gli rivolse nell'udire quelle parole.
Stranamente, il Governatore non fece ulteriori domande, anzi, rivolse alla ragazza un rapido cenno di inchino. - È un piacere conoscervi, signorina...?
- Gala Sterman - completò la strega arrossendo. - Ma l'onore è mio, mio signore.
Greyo le rivolse un sorriso in cui Gala lesse, o almeno così le sembrò, un'ombra di simpatia, poi assunse un tono più diplomatico.
– Sono certo che il viaggio per raggiungere la città non sia stato particolarmente agevole. Vi sarei grato se accettaste di accomodarvi…- e così dicendo indicò due delle numerose sedie dorate che stavano appoggiate contro la parete alla sua destra. Ringraziando, i due maghi fecero come era stato richiesto. Nel sedersi, Gala represse uno a stento sbadiglio. Jel le lanciò un’occhiataccia.
Il Governatore Greyo riprese a parlare in tono estremamente serio:- Mi è giunta stamattina una lettera dal maestro Althon. Mi ha spiegato la decisione presa dal Consiglio, indi anche lo scopo della vostra missione…
- Spero non sia per voi qualcosa di oltraggioso…- lo interruppe Jel in tono pacato, rispettoso ed educato come di consueto. L’uomo accanto a loro sorrise.
– Oltraggioso? È ciò che deve essere fatto per prevenire una guerra, secondo ciò che il Maestro mi ha riferito. E se questa è la volontà del Consiglio, io mi atterrò ad essa.
Jel parve sollevato a tali parole e anche Gala si sentì all’istante più tranquilla. Avevano il pieno appoggio del Governatore, dunque. – Vi ringrazio, mio signore – il mago fu come sempre il primo a ricordare le buone maniere. Gala si riscosse, e aggiunse:- Siamo lieti di ricevere la vostra approvazione.
Greyo la guardò di traverso; pareva a metà interessato, a metà divertito. – Se non sono scortese, voi quanti anni avete? – le domandò incuriosito.
Lei si sforzò di non arrossire; non era il primo uomo a chiederglielo. Alzò il volto e disse distaccata:- Quindici, mio signore.
Il Governatore sorrise:- Vi devo porgere i miei complimenti, in questo caso. Sono in dovere di dirvi che non è da tutti entrare nel Consiglio alla vostra età.
Se ne fosse stata capace, la ragazza avrebbe gonfiato il petto come un tacchino.








Note della tapina e derelitta autrice: glom… lo so. Questo non si può più definire neanche ritardo. Sono de-so-la-ta. Scusate, tutti i lettori, in particolare le fedelissime LadyRevengeson, Denisa99, Veronica e Hirye. Ho aviuto tanti, ma tanti problemi e oimpegni in questo periodo che davvero non ho trovato il tempo di pubblicare, per cui figuriamoci l’ispirazione. Spero che questo quinto capitolo (anche se non lunghissimo) abbia ripagato almeno qualcosina…
… se sì ovviamente fatemelo sapere con una recensione :D
Un bacione a tutti, non faccio promesse di aggiornamenti fulminei ma mi sento di dire che una posticipazione così abnorme non capiterà più tanto presto… ciao :3
Talia_Federer

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


5








Ad accompagnarli nella cripta ove la Pietra era custodita furono due delle guardie che avevano presidiato la sala del trono.
Mentre scendevano un'elegante scala a chiocciola, che con tutta probabilità conduceva alla cripta, Jel si rese conto che Gala pareva piuttosto nervosa. Le strinse lievemente un polso, rassicurandola: - Ehi. Va tutto bene, capito?
La ragazzina sorrise timidamente, ma non aprì bocca. D'altro canto, il mago non poteva darle torto: anche lui era piuttosto titubante davanti all'idea di prendere in mano una Pietra, un cimelio dal valore così inestimabile, un arcano e potente talismano. Loro due non erano che semplici maghi, e di certo non fra i migliori.
Scesero ancora. Attraversarono uno stretto corridoio, illuminato da una fila di torce appese alla parete sinistra; la temperatura era scesa notevolmente rispetto a pochi minuti prima, quando i due si erano,trovati nella sala del trono. Ora Jel rimpiangeva di non essersi portato dietro il mantello.
L'aria che si respirava era particolare, e fin troppo densa; l'atmosfera attorno alla cripta vera e propria trasudava magia palesemente. Gala fu scossa da un tremito quando le due guardie si fermarono davanti ad una porta stranamente sottile. La ragazza fissò il compagno con aria interrogativa, ma Jel sorrise e fece cenno di ascoltare ciò che la guardia - un esperto evidentemente - aveva cominciato a spiegare:- Una porta più imponente sarebbe futile, così come qualsiasi tentativo di forzarla con o senza magia. Può essere aperta solo dall'interno, dal Custode che ha il compito di vegliarla. Ora state indietro.
Basiti, Jel e Gala imitarono l'altra guardia che aveva indietreggiato di un paio di passi. L'uomo che aveva parlato estrasse dalla tasca della cappa una sorta di strano oggettino di metallo. Guardando meglio la porta, Jel notò che una piccola cavità della medesima forma era incisa nel legno. Affascinato, osservò mentre la guardia la incastrava precisamente lì, e attese che qualcosa accadesse; non passarono che pochi istanti, poi una voce magicamente amplificata risuonò nello stretto corridoio: - La parola d'ordine...?
- Okrah - annunciò l'uomo con voce sicura. A rispondergli non fu più una voce, bensì uno strano scricchiolio. Si coglievano movimenti dall'altra parte della porta... Alla fine in una nebbia grigiastra, questa semplicemente scomparve.
- Accidenti... - si lasciò sfuggire Gala in tono sommesso. La guardia si voltò verso di loro. - Okrah è una parola in antico Haryarita, il dialetto della nostra terra prima che si diffondesse la lingua universale. Significa aprire.
Meccanismo carino... pensò Jel ammirato, ma con un pizzico di ilarità. Ma non ebbe il tempo di dire nulla, perché una figura era apparsa davanti a loro nella nebbia che si diradava. Gala si strinse istintivamente a lui: era alto, e molto vecchio. I capelli completamente immacolati - un tempo neri probabilmente - contornavano un volto che era più che altro un reticolo di rughe, e dalla carnagione decisamente chiara per un Haryarita. Vestiva indumenti estremamente semplici, eppure di un'eleganza strabiliante: una tunica ambrata stretta in vita da una cintura impreziosita da piccoli rubini e intorno al collo una catenina dorata composta da piccole manine strette l'una all'all'altra*. Teneva i piedi scalzi.
- Benvenuti - il Custode si rivolse ai due maghi con gentilezza. - Suppongo siate qui per ritirare la Pietra.
Dal momento che nè Jel nè tantomeno la sua compagna davano l'impressione di voler muovere anche un solo passo o spiccicare una sola parola, il vecchio rivolse loro un sorriso rassicurante. - Il Governatore non è l'unico corrispondente del maestro Althon, sapete? So della vostra missione; venite pure avanti - disse cordiale. Alla fine, superando quello strano disagio unito a timore quasi reverenziale, Jel avanzò verso il centro della stanza. Guardandosi intorno, rimase stupito: non era più grande o impressionante delle altre sale che avevano attraversato. Anzi, si trattava di uno spazio piuttosto austero, dalle pareti di marmo immacolate e privo di tappeti o arazzi ad abbellire. Ma gli bastò acuire minimamente le percezioni, e allora il fiume di magia che percorreva quella stanza lo investì. Una piccola nicchia occupava parte della parete di fondo, e dall'energia che scaturiva da essa il mago comprese che la Pietra Rossa doveva trovarsi lì; il suo sguardo fu attirato da un'incisione recata proprio sopra:

"Mekchot recan imeylda. Mekchot recan Haryar. Mekchot recan Fjriea."

Ne conosceva il significato, anche se era scritto in antico Haryarita. Ogni mago che si potesse definire tale era tenuto a conoscerlo: "Qui è custodita la Pietra. Qui è custodito l'Haryar. Qui è custodita Fheriea." Le parole divenute simbolo delle Sei Pietre.
Il giovane fece del suo meglio per mantenere una respirazione normale. L'anziano Custode si fece appresso alla nicchia, e tirò fuori dalla tasta una sottile chiave argentata, infilandola poi nell'altrettanto minuta serratura del pannello che separava il talismano con il resto della stanza. Al rallentatore, Jel e Gala udirono il meccanismo scattare e il pannello aprirsi, e dopo pochi secondi l'uomo si rialzò. Reggeva in mano un fagottino di seta, al cui centra si trovava lei, la Pietra. Il Custode si avvicinò a lui e gliela consegnò. - Questo è il nostro bene più prezioso - dichiarò serio; il sorriso gentile era scomparso dal suo volto. - È vitale che voi ne abbiate cura come io ne ho avuta per tutti questi anni. Non deve essere danneggiata nè utilizzata prima del previsto. E non dovete permettere per nessun motivo al mondo che vi venga portata via. Ricordatevelo: nessun motivo al mondo. Se si dovesse arrivare a dover scegliere se salvare voi stessi o la Pietra... sono sicuro che comprenderete quale sarà la cosa giusta da fare.
Dietro di loro, Gala deglutì. Emozionato, Jel posò gli occhi sul talismano: era una semplice pietra. Delle dimensioni di un uovo, rossa ma dalle venature dorate. Una semplicissima pietra.
Al mago pareva di tenere in mano l'intero popolo dell'Haryar, il cuore pulsante di quella grande nazione. Una Pietra non era solo qualcosa di antico e pericoloso. Era il simbolo di ognuno dei sei popoli di Fheriea. Sentì su di sé lo sguardo del Custode,e si affrettò ad annuire.
Il vecchio fece un cenno alle due guardie. - Sono sicuro che ora vorrete andare. - disse con voce più leggera. - Se non erro, vi aspetta ancora un lungo viaggio e il tempo non è molto.
I due consiglieri si riscossero da quell'atmosfera fatata. - Già - confermò Jel, anche se senza riuscire a trovare il tono pratico di sempre. - Già, in effetti è ora di ripartire. La ringraziamo, Custode.
Si inchinò e Gala, che per tutto quel tempo era rimasta in silenzio, lo imitò. L'uomo sorrise,e mentre i due seguivano nuovamente le guardie fuori dalla cripta, raccomandò loro ancora una volta:- Non dimenticatelo mai. Quella Pietra è la cosa più preziosa che abbiate mai custodito.

***

Una volta recuperati Ehme e Yin, Jel e Gala non impiegarono molto tempo per uscire da Jekse e lasciarsi alle spalle la Città. Mentre cavalcavano, il due maghi non si scambiarono una sola parola: erano ancora entrambi troppo estraniati dall'intensissimo e particolare prelievo della Pietra.
Il talismano si trovava ora al sicuro, accuratamente celato nel proprio fagottino e al fondo dell'ampia tasca interna del mantello del giovane. Le parole del Custode erano ancora vivide nella sua mente: proteggerla ad ogni costo. E Jel non aveva alcuna intenzione di deludere la fiducia di quell'uomo e dell'intero Consiglio.
Fu solo a tramonto inoltrato che Gala si decise a rivolgergli la parola. - Jel... - esclamò ad alta voce per sovrastare il rumore del vento che le sferzava il volto. - Jel... non credi che sarebbe il caso di fermarsi per mangiare qualcosa e riposarci? È da più di un giorno che non ci fermiamo...
Lui rallentò l'andatura di Ehme e si volse versò la ragazza. Si rese conto di essere anch'egli estremamente affamato.
- Hai ragione - concordò. - Non possiamo raggiungere Sasha senza mai fermarci. Siamo vicini alla Grande Via Est, là dovrebbero trovarsi parecchie locande. Non so tu, ma io non ho molta voglia di dormire fra questi prati...
- Neanch'io - sorrise Gala soddisfatta. Spronarono i cavalli a ripartire velocemente verso la costa orientale dell'Haryar, presso la quale si trovava la Grande Via. Viaggiarono ancora per un'oretta circa, e alla fine sostarono davanti alla prima taverna che si trovarono davanti. Erano entrambi esausti. - Io voglio solo dormire - si lamentò Gala massaggiandosi la schiena. - Non so dove troverò la forza di mangiare...
Jel rise, condividendo ogni parola. Legarono i cavalli ad una staccionata e Jel si assicurò che la Pietra fosse ancora nella propria tasca prima di aprire il portone della locanda ed entrarvici. Non appena vi misero piede, si rese conto che qualcosa non andava. Alcuni avventori - un gruppo di Uomini del Nord - avevano smesso di botto di confabulare non appena li avevano visti entrare. Cinque paia di occhi si soffermarono sulla spilla nei loro mantelli: Consiglieri.
- Oh oh - fece Gala sottovoce, stringendosi nervosamente ad un lembo del mantello di Jel.
Lui, senza scomporsi, la rassicurò:- Stai calma. Siamo semplici clienti. Vieni e prendiamo qualcosa... No, non guardarli... - i due maghi si avvicinarono al bancone e si sedettero su due sgabelli di legno.
Il proprietario, un anziano Haryarita barbuto, smise di lucidare bicchieri e li guardò con interesse. - Volete mangiare, signori? - aveva una voce roca, quasi gutturale, ma nel complesso era piuttosto buffo. Non fosse stato per la pessima situazione in cui si erano cacciati, Jel avrebbe ridacchiato. Cercando di mantenere un tono disinvolto, rispose:- Io e mia sorella siamo in viaggio da parecchio. Vorremmo qualcosa con cui rifocillarci e un paio di brandine in cui passare la notte. Ripartiremo domani mattina.
- Ma certo... - disse l'uomo. - Abbiamo il miglior stufato di agnello del sud, se vi interessa quel tipo di cucina. Ma dubito che due giovani del Nord come voi possano apprezzare i sapori haryariti, quindi vi consiglierei più la zuppa di...
- Certo, certo - il giovane si affrettò ad interrompere il suo discorso appassionato. Cercò di sorridere e riprese:- Di' al cuoco che vogliamo solo mangiare qualcosa, andrà bene... ehm, tutto.
Gala annuì convincente, nonostante il disagio. Il proprietario li guardò tra l'offeso e l'insospettito, poi si voltò verso la cucina e sparì dietro una porta.
- Andiamocene via subito - suggerì Gala febbrile, tenendo basso il tono della voce. - Quei tizi non hanno fatto altro che guardarci da quando siamo arrivati...
- Non possiamo, Gal. Sarebbe un comportamento troppo sospetto, uscire così di punto in bianco. Ci cacceremo solo nei guai... - rispose il compagno, anche se avrebbe desiderato con tutto se stesso seguire il consiglio dell'amica.
- Nel caso non te ne fossi accorto - ringhiò lei tamburellando nervosamente con le dita sul bancone - siamo già nei guai. Se... se scoprissero della Pietra...
- Zitta! - sussurrò Jel, mentre il proprietario riemergeva dal retro tenendo in mano un vassoio. Lo depositò sul bancone davanti a loro e Jel stappò una bottiglia di liquore rossastro. - Adesso mangiamo. Poi dirò che siamo già in ritardo per il nostro programma e che è meglio rinunciare a passare la notte qui. E ce ne andremo. Vedrai, andrà tutto bene...
Gala pareva molto turbata, ma annuì. Il mago non poteva darle torto: per una ragazzina come lei doveva essere piuttosto complicato mantenere la calma in una situazione del genere. Era un Consigliere ed una strega piuttosto capace, ma rimaneva pur sempre una quindicenne.
Versò del liquore per sé e per la compagna, e si portò il calice alle labbra sempre senza guardare in direzione dei cinque Uomini del Nord. Il liquido forte e acidulo gli scese in gola ghiacciato, e il giovane dovette ammettere che era piuttosto buono. Un refrigerio piacevole dopo quella giornata così calda. Gala lo imitò ma al contrario,storse il naso nel bere, e represse a stento un colpo di tosse; Jel rise.
- Che dici, troppo piccola per questo genere di cose?
- Ma sta' zitto, Jel - ribatté lei, ma le sue labbra si curvarono leggermente. - Devo solo... abituarmici.
Cenarono senza particolari intoppi. In effetti, gli uomini al tavolo vicini a loro non parevano intenzionati a fare nient'altro che non fosse scoccare loro occhiate torve, e piano piano il disagio si tramutò in una sensazione quasi di calma. Quando ebbero finito, Jel domandò al locandiere a quanto ammontasse il conto. L'uomo fece qualche rapido calcolo mentale, poi rispose:- Due hire d'argento e cinque galet di rame.
Pareva che il ragionamento gli fosse costato non poca fatica.
Il giovane estrasse i soldi dal mantello e glieli consegnò, poi dichiarò che lui e Gala avevano deciso di non fermarsi per la notte. Ignorando l'espressione delusa del proprietario, si voltò e fece per raggiungere la porta.
- Jel... - lo avvertì Gala a mezza voce.
Un attimo dopo, il mago si sentì tirare indietro. Gli Uomini del Nord si erano alzati, e uno di loro lo stava trattenendo per il mantello.
- Consiglieri, eh? - domandò in tono aggressivo quello che gli stava più vicino.
- Gala, scappa! - esclamò Jel, ma la ragazzina non ne ebbe il tempo: un altro ribelle l'aveva già afferrata per la collottola.
- Suppongo di sì, comunque. - riprese quello che aveva parlato. - E cosa ci fanno due membri del Gran Consiglio in giro per le pianure dell'Haryar? Siete forse in... missione? - Sputò per terra.
- Maledetti idioti... - ringhiò Jel. - Lasciateci andare immediatamente. Non sapete con chi avete a che fare... - sentiva la Pietra premere contro la propria gamba e pregò perché ribelli non si accorgessero di nulla. Doveva fare in fretta... Ma ne avrebbe avuto il coraggio?
- Veramente... - rispose il quarto uomo. - lo sappiamo: un ragazzo e una bambina, Consiglieri. Ma credo che lo sarete ancora per poco...
La risposta alla propria domanda giunse in pochi secondi. Jel evocò la magia dentro di sé e, semplicemente, lasciò che scaturisse. Una potente massa d'aria si frappose tra lui e il ribelle che lo immobilizzava, che venne sbalzato all'indietro. Approfittando dello stupore degli altri, si gettò su quello che teneva Gala e lo spinse di lato con uno strattone.
- Nasconditi!- urlò alla compagna che, senza farselo ripetere si tuffò dietro il bancone. I ribelli si erano rialzati e lo circondavano, ora. Il mago tentò di mantenersi lucido, mentre questi si avventavano su di lui. Scagliò loro addosso con la forza del pensiero ogni oggetto che gli capitava a tiro - bottiglie, bicchieri, il vassoio, sedie - e con sua fortuna riuscì ad atterrarne uno. Gli altri gli furono addosso. Lo buttarono a terra di peso e uno estrasse un pugnale dalla cintura.
No, no! Schivò un primo fendente rotolando a terra, poi cercò di rialzarsi ed evocò nuovamente il vento, che rovesciò l'uomo più vicino, scagliandolo contro una parete. Quello che sembrava il capo, infuriato, lo afferrò da dietro e gli assestò una potente ginocchiata nella schiena.
- No, Jel! - urlò Gala da terra e, prima che qualcuno potesse fermarla, corse verso di lui. Un ribelle tentò di colpirla col pugnale, ma lei lo schivò e gli scagliò contro un pesante boccale dirigendolo al viso. Approfittando della temporanea distrazione di quello che lo stava trattenendo, Jel menò una gomitata all'indietro, colpendolo nelle costole. Dolorante, questo indietreggiò e il mago lo colpì ancora, in volto questa volta.
- Gala, ti ho detto di starne fuori. Scappa! - tuonò mentre l'avversario si riscuoteva e cominciava a colpirlo a sua volta.
- Non posso, dannazione! - strillò lei, mentre disperata tentava di tenere lontani gli altri due ribelli rimasti. Era la prima volta che combattevano, eppure Jel sentiva i movimenti che stava compiendo come familiari e ovvi. Non poteva lasciare spazio alla pietà e alla paura. Investì il proprio nemico evocando un'altra massa d'aria, poi la indirizzò verso i due che stavano lottando con Gala. Uno rotolò via, andandosi a schiantare fra i tavoli ma l'altro, che teneva Gala stretta per un braccio, riuscì ad evitarla.
- Fermo! - gridò. Il mago si immobilizzò; l'ultimo ribelle teneva premuta sulla gola della ragazza una lunga daga. - Fermo, sporco mago, o giuro che le taglio la gola.
Maledizione!
Jel tremò. Che cosa poteva fare? Sarebbe bastato un movimento sbagliato e Gala sarebbe morta. Era colpa sua, tutta colpa sua, non era nemmeno riuscito a proteggerla. Cercò di frenare la tremarella, mentre si sforzava disperatamente di trovare una soluzione.
Il ribelle pareva soddisfatto. - Molto bene - scandì respirando pesantemente. - Ora puoi dirmi che diavolo ci facevate qui...
Jel ponderò un istante. Dire la verità non era un'opzione. In effetti, c'era una sola cosa da fare. Alzò lo sguardo e chiamò a raccolta il proprio coraggio. Stava per fare qualcosa di pericoloso, ma non tanto per se stesso: era la vita di Gala ad essere nelle sue mani.
- Jel, non... - balbettò la strega terrorizzata, ma il giovane aveva già fatto la sua mossa. Fulmineo, attirò a sé la daga, strappandola dalle mani del ribelle, e in meno di mezzo secondo gliela scagliò contro. Lo colpì dritto nella gola, appena sopra la spalla di Gala; l'uomo dapprima lo guardò stupefatto, poi si premette le dita sullo squarcio che si era disegnato sul suo collo, mentre il sangue gli imbrattava i vestiti. Dopo poco crollò a terra, morto.
- Jel... Mio dio... Jel... - balbettò Gala sconvolta per la paura e lo stupore. - Lo... lo hai ucciso...
Il proprietario, che per tutto quel tempo era rimasto accucciato dietro il bancone, si rialzò e li guardò con aria terrorizzata. - Uscite da qui - ordinò loro, anche se il suo tono pareva piuttosto malfermo. - Fuori dalla mia locanda.
- Vieni - Jel prese la compagna per un braccio e scavalcò i corpi svenuti dei ribelli. Uscirono dalla taverna senza guardarsi indietro; Gala tremava. Prima di risalire sui cavalli, Jel si inginocchiò davanti a lei e la prese per le spalle.
- Gala, guardami - le disse serio. Aveva avuto paura anche lui e sentiva su di sé il sangue del primo uomo che aveva ucciso, ma al momento doveva pensare a cose più importanti. - Gala, dobbiamo andare, d'accordo? Se non ci muoviamo, quegli uomini si sveglieranno e troveranno il modo di combattere ancora e forse ucciderci. Capisco che tu abbia avuto paura, ma ora vieni. Sapevi che sarebbe stato pericoloso. Ora vieni.
La ragazzina lo guardò con in grandi occhioni castani colmi di lacrime. Poi, a sorpresa, si gettò fra le sue braccia piangendo. Nonostante tutto, Jel si sforzò di sorridere e le accarezzò i capelli.
- Grazie per avermi salvata - sussurrò Gala.








Note dell'autrice:
Ed ecco il sesto capitolo, primo d'azione! Eheh, mi era mancato tutto il sangue del primo libro, ma in ogni caso da qui la storia cambierà ritmo, ve lo assicuro ;)
Spero ovviamente che l'aggiornamento vi sia piaciuto - è anche decisamente più lungo del solito - e ringrazio le fedelissime che hanno recensito il capitolo precedente. A presto :D
* L'idea è presa dalla collana simbolo del Primo Cavaliere del Re nella saga di Game of Thrones, è un particolare che mi è venuto in mente molto dopo la pubblicazione del capitolo.
Talia_Federer

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


6








- Non avrei potuto permettere che ti facessero del male, lo sai... - mormorò Jel sinceramente, sempre tenendo l'amica stretta a sé. Si sentiva decisamente strano. In parte avvertiva un senso di colpa molto simile alla nausea aleggiargli nell'animo - aveva ucciso un uomo dopotutto, aveva ucciso - ma in parte provava anche una sorta di disagio riguardo Gala. Era la prima volta che la vedeva così fragile e vulnerabile, così scoperta; la sua immagine di ragazzina prodigio arrogante pareva essere crollata. Il giovane comprese solo in quel momento che si erano intromessi in una faccenda molto più grande di loro.
Un grugnito e qualche lamento annunciarono loro che i ribelli sopravvissuti dovevano essere in procinto di riprendersi. Jel aiutò Gala a rialzarsi. - Dai, vieni. Dobbiamo sparire, e in fretta; viaggeremo lontani dalla strada.
La strega si asciugò gli occhi alla meglio con il dorso della mano, poi i due si avvicinarono a Ehme e Yin per slegarli e ripartire. La ragazzina ebbe bisogno dell'assistenza del compagno per montare in sella al proprio cavallo, e Jel si chiese se fosse una buona idea continuare a farla cavalcare da sola. Ma scacciò via i dubbi - non potevano permettersi di perdere altro tempo - e salì a cavalcioni di Ehme a sua volta. Assestò alla puledra qualche pacca sulla gola per spronarla, la quale partì senza fare storie. Dopo pochi metri percorsi al trotto, aumentò l'andatura; Jel, che tentava di tenere a bada il sonno da quando erano entrati nella locanda, continuava a sbadigliare vistosamente. Con l'aria notturna che gli sferzava la faccia e gli tirava indietro i capelli, il mago si chiese se gli uomini con i quali avevano combattuto si fossero messi al loro inseguimento e sperò con tutto il cuore che ciò non fosse accaduto. Con Gala, e lui stesso, in quelle condizioni non sarebbero stati in grado di reggere un nuovo scontro. E l'ultima cosa che Jel desiderava in quel momento era macchiarsi nuovamente le mani di sangue.
Passarono molti, interminabili minuti, o forse mezz'ora, o forse più, quando il giovane si rese conto che Gala aveva smesso di parlare, sbuffare o anche solo sbadigliare. Dietro di sé non sentiva più alcun movimento, se non il rumore degli zoccoli di Yin che calpestavano pesantemente il terreno. Dopo aver rallentato l'andatura, si voltò rapidamente per controllare che fosse tutto a posto, ma fece appena in tempo a girare la testa, che vide l'amica - a occhi chiusi - ribaltarsi dalla cavalcatura e cadere sull'erba. - Gal! - esclamò d'istinto, fermando la cavalcata di Ehme. Smontò da cavallo in fretta e furia, e si avvicinò alla ragazzina, sollevandole il capo da terra. Lei aprì gli occhi sonnolenta. - Jel... - mormorò. - Jel... Ma tu che... che ci fai a casa mia? Devi...
- Gala, ma che...?
- ... devi sbrigarti, il maestro Camosh dice che devi essere ad una... una riunione fra... poco... - sembravano i deliri di un'ubriaca; da quanto tempo era in quello stato di dormiveglia? Una cosa era certa: non poteva continuare a cavalcare così. Ma non potevano nemmeno correre il rischio di fermarsi o tantomeno addormentarsi lì: se quei ribelli li avessero trovati non avrebbero avuto riserve con loro. Contando ciò che Jel aveva fatto contro uno di loro, sarebbero stati fortunati a rimanere in vita.
Lottando contro la stanchezza che stava pian piano avvolgendo anche lui, Jel la prese in braccio e la caricò a fatica sulla sella della propria puledra. Barcollando un poco, si apprestò anch'egli a rimontare dietro di lei e dopo essersi assicurato di riuscire a tenerla in bilico per la vita e al contempo brandire le redini di Ehme, guidò lentamente la cavalla fino a Yin, che aveva cominciato a brucare l'erba lì intorno. Facendo attenzione a non perdere l'equilibrio il mago allungò la mano destra per afferrare le briglie del vecchio cavallo, poi colpì i fianchi di Ehme con le staffe e ripartì, tirandosi dietro anche Yin.

***

ROSARK, ARIADOR SUD-ORIENTALE

Mal e Sephirt erano in viaggio ormai da quasi una settimana. Theor li aveva informati che, secondo ciò che il suo informatore aveva riferito, i giovani Consiglieri avrebbero iniziato la missione con il prelievo della Pietra d'Haryar, essendo la sua ubicazione la più relativamente vicina a Grimal. In quei giorni, i due maghi avevano attraversato la striscia di terra che divideva le Terre del Nord dall'Ariador, e gran parte di quella grande nazione occidentali fino a spingersi ai margini di Rosark, la seconda città Ariadoriana dopo la capitale Tamithia.
Cercando di non dare troppo nell'occhio erano riusciti a trovare una locanda in cui passare la notte, ed era lì che si trovavano in quel momento.
- Stando ai miei calcoli... dovremmo averli raggiunti entro, beh... una ventina di giorni minimo. Sempre che riusciamo a batterli sull'andatura... - stava constatando Mal con la fronte aggrottata, chino su delle carte. Sephirt tamburellò pigramente con le dita sul mogano del tavolo, placidamente accomodata su di una poltroncina, e alzò un sopracciglio - Una ventina di giorni? - ripeté. - E tu hai idea di quante cosse possano succedere in una ventina di giorni?
Mal sembrò far finta di non aver capito. - Ad esempio? - chiese freddamente. La donna si rigirò sulla poltrona mettendo su un cipiglio imbronciato, poi insinuò:- Beh... i nostri due Consiglieri potrebbero aver già raccolto tutte le pietre. Oppure aver scoperto di essere seguiti.
- E come, di grazia?
Stavolta Sephirt andò dritta al punto. - Avanti, sai che non mi fido di lui - sbottò riferendosi all'informatore di Theor. - Dirà anche di essersi unito alla nostra causa, ma rimane sempre uno straniero.
- Anche noi lo siamo - la risposta decisa di Mal la zittì almeno per un attimo. Era vero, in effetti. Mal era appartenente alla razza degli Uomini Reali mentre lei.. lei era una Mezzosangue. Sua madre, una Thariana, si era perdutamente innamorata di Uomo Reale decenni prima e per i primi anni della sua vita la giovane poteva dire di aver vissuto felicemente, questo almeno finché la Magia non aveva trovato il modo di esternarsi violentemente da lei, mostrando alla gente di che cosa fosse capace. Sephirt ricordava ancora troppo bene il giorno che aveva cambiato la sua vita per evitare di soffrirne. Immagini sfocate si disegnarono nella sua mente, ancora una volta, identiche a quelle che da sempre la tormentavano... Una bambina fragile dai grandi occhi rossi. Il fiume, i ciottoli... Le risate che si trasformavano in espressioni di terrore...
- Sephirt...?
La visione si dissolse in fretta così come era apparsa, e Sephirt si ritrovò a fissare il volto impaziente del suo compagno. Cercò di riprendere il filo della conversazione, e dopo qualche secondo insistette:- Sai che è diverso. Noi... noi siamo... Le Terre del Nord sono la nostra patria... Raek che motivi ha per seguirci?
Mal Ennon assunse un'espressione di superiorità e rispose:- Pensavo che fosse chiaro: l'Isola Grande, Sephirt, non ti dice niente? Lui potrà anche essere il lord di quell'inutile terra, ma finché sarà annessa allo Stato dei Re il Gran Consiglio non gli assicurerà mai pieni poteri...
- Che gran motivazione... Com'è possibile che gli uomini siano così ripetitivi? - scherzò lei alzando gli occhi al cielo, anche se doveva ammettere che Mal aveva ragione. In verità, non c'era motivo di non fidarsi di Astapor Raek. Il controllo dei territori di confine di Fheriea pareva essere una questione estremamente interessante per i politici del tempo, ergo anche per lui - una delle persone più venali e terra a terra del pianeta, probabilmente. Ma la tendenza di Sephirt a non riporre la fiducia del prossimo era parte integrante del suo modo di pensare, e tenendo conto di ciò che le era capitato da piccola, non c'era poi tanto da stupirsene.
Non si accorse che l'uomo di fronte a lei era tornato a guardarla, anche se con un'espressione assai diversa a quella che aveva mantenuto fino a pochi istanti prima; stava sorridendole quasi scherzosamente.
- Lo so - replicò. - Non tutti i servi sono devoti e puri come te, Sephirt - l'ilarità nella sua voce era palpabile, ma lei apprezzò comunque il complimento. I due maghi rimasero a scrutarsi per qualche momento, come assorti in pensieri tutti loro, poi
Mal si rialzò e sbadigliò sonoramente. - Dai, vieni a dormire ora. - disse mentre si sfilava la casacca. - Domani dovremo ripartire al più presto... sempre se vogliamo raggiungere i due maghetti in meno di "venti giorni"... - le strizzò l'occhio in modo affascinante, e Sephirt si rese conto solo in quel momento che avrebbe dato qualunque cosa pur di poter passare la notte con lui.
Pochi secondi dopo si chiese se fosse davvero ammattita.
Mentre si slacciava il mantello e lo lasciava scivolare sulla sedia e con discrezione si apriva i primo bottoni della camicia rifletté fra sé e sé: doveva smetterla di rivolgersi al passato con quella sorta di timore indicibile. Il suo passato non era cancellabile in alcun modo e, nonostante il dolore che aveva dovuto sopportare, si poteva dire che senza di esso Sephirt non avrebbe potuto diventare ciò che era ora. Erano passati anni, ormai; il tempo doveva cancellare anche gli ultimi frammenti del senso di colpa. Ma forse "senso di colpa" non era il termine più adeguato: l'aspetto più doloroso di ciò che le era accaduto non era tanto il rimpianto per il delitto da lei commesso, quanto piuttosto le conseguenze che esso aveva comportato. Da quando la giovane si era unita alla causa di Theor aveva dovuto usare la Magia per uccidere numerose volte, ma il dolore che l'esilio impostole aveva provocato il lei... quello, sì, era ancora vivido nella sua mente e nel suo cuore.
E poi naturalmente c'era Mal.
Mal, che conosceva da anni. Mal, per il quale sarebbe stata disposta a tutto. Mal che, anche se non era piacevole ammetterlo, si era trasformato in un ulteriore problema. Che la donna lo ammettesse o no, i sentimenti che provava per il mago non avevano fatto altro ad intensificarsi. Non era ancora in grado di valutare se ne fosse realmente innamorata; ma sapeva che ogni volta che si trovava con lui, sperava di non doversene più separare. Il che era un guaio per una persona come lei: nei durissimi quattro anni di esilio che l'avevano formata Sephirt aveva giurato a se stessa che mai più si sarebbe potuta permettere di amare una persona come aveva amato la sua famiglia, la stessa famiglia che l'aveva ripudiata nello scoprire di cosa fosse capace la ragazzina. Per quel tempo, se l'era cavata mantenendosi passiva, non affezionandosi a nulla e a nessuno, e anche nel momento del suo arrivo ad Amaria la propria indole solitaria e intraprendente - insieme al proprio talento con la Magia - le aveva permesso di scalare il successo rapidamente. Aveva goduto dell'indipendenza che le proprie doti le avevano procurato per anni. Lei era così: una creatura libera e fiera, ribelle come le scintille di fuoco ma resistente come le radici di un albero centenario. Nessun legame, nessun vincolo, nessun amore. Eppure, da quando aveva incontrato Mal, qualcosa nel suo cuore era cambiato irrimediabilmente. Con lui Sephirt non riusciva mai a sfoderare al meglio il proprio sarcasmo pungente, con lui era difficile non dare vinta una battaglia. L'uomo era suo padre, suo fratello, ma da sempre era stato anche qualcosa di più. E i sentimenti che provava - solo lievi inizialmente - erano inequivocabili. Che lo ammettesse o no, lo strano potere che aveva su di lei assomigliava molto all'amore.
La strega serrò gli occhi di colpo. Idiota, si disse irritata, anche se un vago rossore si era appena impadronito delle sue guance. Non è il momento di pensare ai sentimentalismi. Concentrati solo sulla missione.
Non poteva permettersi di divagare. Lei e Mal avevano un lavoretto da sbrigare, e il più in fretta possibile.

***

A OVEST DELLA GRANDE VIA, HARYAR

Dopo aver percorso abbastanza strada da essere sicuro che i possibili inseguitori avessero perso le loro tracce, Jel si decise finalmente a rallentare l'andatura di Ehme fino a fermarsi. Gala, che era ancora accomodata fra le sue braccia, non dava cenno di volersi svegliare, per cui il giovane impiegò la massima attenzione mentre smontava da cavallo sorreggendola; depose delicatamente l'amica sull'erba e le slacciò il mantello, per poi sistemarglielo addosso riparandola dalla brezza che, al confine con lo stato di Tharia, si era fatta notevolmente più fresca. Legò le briglie dei due cavalli ad un albero lì vicino e poi, finalmente, si lasciò scivolare a terra, appoggiato ad un liscio masso. Era stremato: in vita sua non ricordava di aver mai cavalcato tanto. Eppure, anche in quel momento c'era qualcosa che ancora non lo faceva riposare come avrebbe voluto, un ricordo così prossimo da essere palpabile, un delitto compiuto per salvarsi la vita, ma che tale rimaneva.
Quando era partito da Grimal aveva messo in conto che ci sarebbe stata l'eventualità di precipitare in situazioni estremamente scomode e pericolose, magari anche al limite di essere in pericolo di vita, ma ora che ciò era accaduto sul serio, ora che aveva ucciso ogni aspetto di quel viaggio era cambiato. Turbato, il mago affondò il volto tra le mani; nulla sarebbe più stato come prima, se lo sentiva. E la cosa peggiore era la consapevolezza di aver trascinato Gala, una ragazzina, in quel vortice inarrestabile. Piantala di darti la colpa. Ci si è trascinata da sola! È lei che ha deciso di seguirti!
Avrei dovuto spiegarle. Convincerla a rimanere.
Neanche tu sapevi a cosa saresti andato incontro.

Era vero. E se quella volta si era trattato di semplici Ribelli, male armati e facili da battere, magari la volta successiva avrebbero potuto trovarsi faccia a faccia con nordici veramente pericolosi, maghi adulti molto più capaci ed esperti di loro. Era solo un'ipotesi, ovviamente, ma maledettamente tormentosa e realizzabile. Ora stai calmo. Presto raggiungerete Sasha, vi rivolgerete ad un Consigliere e troverete protezione. Andrà tutto bene.
Ma nonostante cercasse in tutti i modi di rassicurarsi, Jel riuscì ad addormentarsi solo verso le prime luci dell'alba.




Note dell'autrice: eh-eh-ehm... lo so, è da quasi un mese che non aggiornavo... Ma la verità è che tipo una settimana fa avevo già quasi tutto il capitolo pronto, solo che poi mi sono incasinata con la parte finale... Sono un disastro, I know. Pubblicherò al più presto il continuo, inizio a scrivere appena posso. Nel frattempo, spero che l'aggiornamento sia stato di vostro gradimento :D
A presto, la vostra Talia :3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


7








Quando Jel si destò Gala era già sveglia, intenta a riallacciarsi le stringhe degli stivali. Notandolo si aprì in un timido sorriso. - Sei sveglio allora - constatò un po' rossa in viso.
- Già - concordò lui. Poi, cercando di buttarla sullo scherzoso, aggiunse:- Non avevo mai avuto così bisogno di una dormita. Ero sfinito.
Gala non rispose subito, ma si limitò ad annuire.
- Tu stai meglio? - azzardò il mago cautamente. La ragazzina fu scossa da un tremito, poi incrociò il suo sguardo e fece nuovamente un cenno affermativo con la testa. - Mi... Mi dispiace per quello che è successo ieri. Sono stata debole. - mormorò dopo qualche secondo.
Jel avrebbe potuto aspettarsi di tutto da lei, ma non questo. - Ma che dici, Gal? Debole tu? Hai una vaga idea di quante ragazze di quindici anni si siano mai trovate in una situazione come la nostra? - le chiese serio. - Cosa credi? Ho avuto paura anch'io. E... - deglutì - se ripenso a ciò che sono stato costretto a fare... Beh, è normale avere paura.
Gala aveva nuovamente gli occhi lucidi, ma si vedeva che pur di non scoppiare nuovamente in lacrime avrebbe dato tutto. Jel rimase un attimo a contemplarla, non sapendo cosa dire per darle un po' di conforto. Alla fine fu lei a parlare:- Non succederàmai più, Jel. Te lo prometto. Ora ho capito, e non ho intenzione di comportarmi come una bambina. - pareva che quelle parole le fossero costate ogni briciolo di determinazione che possedesse, ma il tono di voce era risoluto.
Il giocane sorrise: era maledettamente fiero di lei. - Dai, mangiamo qualcosa ora. - disse per cambiare argomento, allungando una mano verso la propria sacca. - Poi dovremo ripartire.
- Sì, certo... - rispose lei meccanicamente. Il mago estrasse dalla bisaccia del pane e l'involucro con il formaggio fresco che sua madre Lys gli aveva affidato prima che partissero. L'arsura dell'Haryar aveva ricordato loro di riempire le borracce, quindi di acqua ne avevano in abbondanza. Consumarono la loro rustica colazione in pochi minuti e senza scambiarsi una parola, poi si rialzarono, assicurarono le sacche ai due cavalli e vi montarono. Sia Ehme che Yin parevano in buone condizioni, anche se era da giorni e giorni che cavalcavano. Jel accarezzò con una sorta di affetto il collo spesso e teso della puledra argentata, prima di colpirle i fianchi con le staffe e ripartire.
Ora che la luce del sole era tornata ad illuminare il loro cammino, l'umore del mago si era fatto decisamente migliore; parecchie buone ore di riposo gli avevano giovato non poco e si sentiva decisamente più tranquillo rispetto alla sera prima. D'altro canto, non c'era alcuna traccia di inseguitori alle loro spalle - i Ribelli della locanda dovevano aver perso le loro tracce - quindi perché preoccuparsi tanto? Sarebbe bastato stare attenti: togliersi le appariscenti spille dal mantello tanto per cominciare, evitare i luoghi troppo affollati e mantenersi il più lontano possibile dalle grandi città. Se si fossero mantenuti nell'ombra, Jel dubitava che Theor sarebbe tanto presto venuto a conoscenza della loro missione. Un lieve sentore di paura era ancora presente dentro di lui, ma tali convinzioni aveva aiutato nell'assottigliarlo. E comunque, su una cosa non c'erano dubbi: una volta arrivati a Sasha avrebbero trovato tutta la protezione che potesse servire loro. Senza contare che, con il prelievo della Pietra di Tharia, il termine del loro viaggio si sarebbe trasformato da miraggio ad avvenimento, se non prossimo, almeno plausibile. Anche la sua preoccupazione per le condizioni di Gala si era affievolita; ancora una volta quella streghetta l'aveva piacevolmente sorpreso. Non si poteva dire che non fosse scossa per gli avvenimenti della notte precedente, ma aveva cercato in tutti i modi di reprimere i dubbi e le angustie, e Jel aveva l'impressione che ci fosse riuscita alla grande.
Il problema che rimaneva più grave, per il momento, era come si sentiva lui. Poteva cercare di convincersi a dimenticare quanto voleva, ma un omicidio non è cosa che si scorda tanto facilmente. Specialmente il primo.
Adesso basta! si disse arrabbiato. Cosa avresti dovuto fare? Lasciare che quel bastardo tagliasse la gola a Gala, eh?
Se solo avessi imparato come padroneggiare la manipolazione delle menti, se tu fossi stato migliore nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto... Avresti potuto convincerli a girare largo e lasciarvi in pace... la vocetta maligna che aveva preso piede nella sua mente stava toccando le corde giuste. Ma in fondo, se tutti fossero stati "maghi migliori" sarebbe stato sbattere le ciglia per cancellare i propositi bellicosi dai Ribelli. O no?


- Consigliere Cambrest, consigliere Sterman. È un vero piacere rivedervi - sentenziò il maestro di Tharia, apparendo davanti a loro non appena le due Guerriere di guardia ebbero spalancato i portoni del palazzo reale a Sasha. Nell'incontrare finalmente un volto amico Jel sorrise, mentre allungava la mano per stringere quella del mago. Il Consigliere Raenys indossava un lungo abito verde smeraldo finemente ricamato con arabeschi dorati, e stretto in vita da una semplice ma elegante cintura di cuoio beige. Assicurata alla stoffa vi era la stessa spilla dorata che Jel e Gala avevano dovuto celare nelle tasche.
Gala imitò l'amico stringendo la mano del Consigliere, il quale li guardò con un misto di preoccupazione e ilarità. - Vi si potrebbe scambiare per viaggiatori qualunque. Cos'è successo alle vostre spille?
- Semplice precauzione - rispose il giovane tentando di mantenere un'aria disinvolta. Poi si accostò all'uomo di fronte a lui e, abbassando la voce, aggiunse:- Abbiamo qualcosa di cui parlarvi. - Raenys annuì e il sorriso si gelò sul suo volto. - Non c'è alcun problema. Se volete seguirmi nella sala delle conferenze...
I due maghi obbedirono senza fiatare, e lasciarono che il Consigliere li conducesse per varie, ampie sale e larghi corridoi. Avevano oltrepassato da parecchio la sala del trono quando la loro guida si fermò, facendo loro cenno di entrare in una stanza interamente in marmo bianco. A differenza degli altri locali che avevano attraversato, in quello non vi erano né tappeti variopinti né dipinti o arazzi ad ingentilire le pareti immacolate. Jel comprese che l'unico utilizzo di quella sala, spoglia eppure a suo modo elegante, doveva solamente essere quello di ospitare le riunioni e i consigli locali. L'unica forma di mobilio era un ampio tavolo in legno di mogano, circolare, attorniato da sedie dallo schienale particolarmente alto, una ventina in tutto. L'ambiente aveva un tocco di nobile, e al giovane ricordò molto la sala dove si svolgevano le sedute del Gran Consiglio; gli parvero passati secoli dall'ultima volte che aveva preso parte a una di esse.
- Avanti, parlate - li incalzò Raenys in tono serio e pacato. - Avete riscontrato qualche problema, durante i viaggio? E la Pietra d'Haryar è al sicuro?
- Certamente - rispose Jel estraendo l'involucro di stoffa che la conteneva. - Quando siamo arrivati a Jekse il maestro Althon era ancora a Città dei Re, ma il Governatore Greyo è stato disponibile nel consegnarci la Pietra. Il... - deglutì. - Il problema è un altro.
Il Consigliere si era fatto attentissimo. Jel poteva vedere distintamente la ruga di preoccupazione che si era formata sopra il suo occhio destro. Prese un lungo respiro, poi raccontò:- Alcuni Ribelli nordici ci hanno attaccati. Quasi una settimana fa, in una locanda poco distante dalla Grande Via.
Gala taceva; il mago pensò fosse meglio non citare il momento in cui la ragazzina aveva quasi perso la vita. Raenys non rispose subito: aveva la fronte aggrottata, i gomiti appoggiati sul tavolo in modo che i suoi palmi si sfiorassero. Pareva ponderante. - Non credo sia qualcosa di così grave - sentenziò alla fine e Jel avvertì il sollievo, caldo e piacevole, invadergli il cuore. Il mago continuò:- Potevano essere semplicemente Ribelli che poco sopportano i Consiglieri. E vi trovavate in una locanda, da quanto hai detto; probabilmente erano già ubriachi e hanno pensato di aggredirvi.
- Non... Non sembrava solamente gente che ha voglia di attaccar briga, perdonate il linguaggio - replicò Jel facendosi di nuovo teso. - Pareva che avessero... che avessero intuito che stavamo facendo qualcosa di importante.
- Questo non lo potremo mai sapere, temo - lo interruppe l'uomo in tono pacato, appoggiandosi allo schienale della sedia. - Ma non penso sia il caso di farne un dramma.
- Uno di loro mi ha quasi uccisa - intervenne Gala con voce fredda. Abbassò il colletto della casacca e mostrò al maestro la cicatrice che il coltello del Ribelle che l'aveva minacciata aveva inferto sulla sua gola. - Non erano intenzionati solo a metterci fuori gioco. Quelli ci volevano morti.
Jel provò una punta di disagio per il modo irruente e quasi irato dell'amica, ma al momento aveva cose più importanti a cui pensare. - Ha ragione - disse con gravità. Raenys li squadrò qualche istante. Alla fine disse lentamente:- In questo caso... - sbatté le palpebre - dovete fare ancora più attenzione. Può darsi che questi fossero semplici "attacca brighe" e può darsi di no. Non abbiamo modo di sapere se davvero Theor è venuto a conoscenza del nostro piano.
- Lo crede davvero? - domandò il giovane col fiato sospeso. - Credete che Theor possa averlo scoperto?
Il Consigliere scosse la testa, incerto. - Tutto è possibile. Non commettere mai lo sbaglio di sottovalutare quell'uomo, Jel. Prima di andarsene Theor è stato un Maestro alla corte del Re, ed è un uomo di grande talento. Grandi risorse. Non ho idea del come ma sì, ciò che mi hai chiesto è possibile.
- E noi che cosa dobbiamo fare, allora? - domandò Gala agitata. - Non possiamo rinunciare proprio adesso!
Il maestro posò gli occhi si di lei e rispose:- Potrei inviare un corvo alle corti di Ariador e Bianco Reame e Stato dei Re, ma sarebbe qualcosa di troppo appariscente. Le notizie viaggiano in fretta, e non possiamo permettere che i Nordici scoprano che il maestri di mezza Fheriea viaggiano alla volta di Città dei Re con le Pietre. Sarebbe equivalente ad un certo scoppio della guerra. E, in ogni caso, prima occorrerebbe chiedere l'autorizzazione da parte del Re e del Gran Consiglio... dubito che riusciremmo a terminare tutto in fretta.
- Perciò...? - Jel diede adito ai dubbi di entrambi. - Secondo voi qual è la scelta più giusta? - erano in una situazione piuttosto scomoda. Raenys si morse un labbro, senza riuscire a celare l'indecisione. Alla fine sospirò stancamente:- Non ci sono molte scelte, temo. Dovrete continuare il viaggio.
L'espressione di Gala pareva piuttosto scandalizzata, ma Jel la ignorò. Al contrario, annuì; fu un gesto meccanico, quasi completamente istintivo. - Credo che abbiate ragione, Consigliere - concordò. L'uomo sorrise, anche se mantenendo un'espressione estremamente seria, e disse:- Vi procurerò una scorta appena possibile. E vi consiglio di viaggiare solo la notte; nessun nome, nessuna dichiarazione ufficiale, anche se dubito che sareste così inetti anche senza le mie raccomandazioni. Non fidatevi di nessuno.
- Non ci servirà a nulla una scorta - protestò Gala a denti stretti. - Al massimo, solo a renderci ancora più visibili. Avremo metà delle spie di Theor alle calcagna in meno di due giorni - doveva essere incredibilmente tesa, ma il tono risoluto mascherava piuttosto bene le sue emozioni. Il giovane mago si trovò a malincuore d'accordo con lei: se volevano evitare altri guai l'innominato, e soprattutto il passare inosservati, erano indispensabili.
- In questo caso mi dispiace di non potervi essere ulteriormente d'aiuto - concluse il Consigliere alzandosi. Strinse le mani ai due maghi seduti di fronte a lui. - Buona fortuna per la missione - disse. - Spero che non avrete bisogno di contattarmi ancora.
- Vi ringraziamo, signore - rispose Jel cordialmente, esibendo il proprio miglior sorriso di cortesia. Era davvero grato per le parole d'incoraggiamento che Raenys aveva rivolto loro. Era di questo che lui e Gala avevano bisogno in quel momento. Il maestro li accompagnò fuori dalla sala delle riunioni conducendoli questa volta non verso le porte principali, ma i sotterranei. - Vi accompagneranno loro alla cripta - annunciò indicando due guardie posizionate ai lati di un'ampia scala a chiocciola. Sorrise tristemente - Ritirate la Pietra e tenetela al sicuro. Io manderò un corvo al maestro Camosh e lo informerò del vostro contrattempo. Per ora non posso fare di più. Al prossimo incontro, Consiglieri - e detto questo si congedò, camminando nella direzione opposta.
- Prendiamo questa dannata Pietra e poi andiamocene a dormire - borbottò Gala imbronciata, mentre i due si apprestavano a seguire i loro accompagnatori. Jel annuì; fintanto che rimanevano a palazzo e nella zona circostante potevano considerarsi sotto la protezione del maestro Raenys. Non avrebbero dovuto avere difficoltà a trovare un posto sicuro e discreto in cui riposare e fare rifornimento di provviste. Il tempo di fare tali considerazioni, poi il pensiero del giovane si dedicò interamente alla Pietra di Tharia.


- Sono splendide, non credi? - il sorriso di Gala era tirato mentre pronunciava quelle parole, eppure Jel lo ricambio con piacere. Il sacchetto contenente le prime due Pietre era posto sulle lenzuola, ancora chiuso, eppure la ragazzina lo stava fissando come potesse vederle. - Particolari, intendo. Sembrano vive.
Jel sorrise: nel prendere in mano la seconda Pietra aveva avuto conferma di ciò che la compagna stava dicendo in quel momento. - Hai ragione, non ho mai visto nulla di simile in vita mia.
- Insomma, sembra... sembra...
- Tenere qualcosa di vivo, lo so - completò il mago per lei. Rimase un istante in silenzio, poi disse:- Guardandole, capisco che ne è valsa la pena.
Gala alzò un sopracciglio.
- Di correre questo rischio. Insomma... sono il potere. Ci servono, servono a tutti noi. Non so come, ma ci aiuteranno a uscire da questo pasticcio. - le parole che aveva proferito erano sincere solo in parte, ma avevano un certo fascino per il mago. E poi, più instillava sicurezza in Gala meglio era.
Lei non rispose, ma si limitò a ricambiare il sorriso. - Sono felice di essere venuta con te, Jel. Anche se questo... mi ha portato a rischiare la vita, e non è detto che non accadrà di nuovo. Ma lo sai... era la mia occasione, quella che aspettavo da sempre. Voglio fare qualcosa per Fheriea, Jel. Ma sono contenta di non essere sola.
Il giovane incontrò lo sguardo della strega, stupito da quelle parole. In parte anche imbarazzato, forse. Nella durata del loro viaggio non aveva mai smesso di stupirlo, mostrando sempre nuovi aspetti del suo carattere, carattere che per anni Jel aveva pensato di conoscere appieno. Ora invece, il giovane si rendeva conto che esistevano infinite sfaccettature che lui non aveva mai neanche sospettato: Gala era una ragazza molto più complicata di quanto pensasse. Per la prima volta, si rese conto che forse avrebbe persino potuto piacerle; sorrise al pensiero. Lei era... beh, piccola. Decisamente troppo piccola per lui.
Ciò non toglieva che il mago provasse un affetto profondamente sincero verso di lei, unito ad un orgoglio nei suoi confronti che negli ultimi giorni non aveva fatto altro che rafforzarsi. Lei era sua sorella, la sua migliore amica. Ed era più decisamente forte e matura di gran parte delle quindicenni del continente.
Allungò una mano appoggiandola sulla spalla dell'amica. - Anch'io sono felice che tu sia con me, Gal. Come ai vecchi tempi. E ce la faremo, vedrai; non credo che avremo altri problemi.
- Speriamo - replicò lei. Si aprì in un sentito sbadiglio e aggiunse:- Scusami, io ora dormo. Non mi ricordo neanche più cosa voglia dire dormire in un vero letto...
La stanza che avevano occupato si trovava all'interno del palazzo reale stesso. Era situata nell'ala riservata agli ospiti stranieri, quindi anche altri Consiglieri. Luminosa e spaziosa, ospitava due ampi letti singoli posti alle pareti l'una opposta all'altra, e il pavimento in gelido marmo era reso ospitale dalla presenza di pregiati tappeti in varie gradazioni del verde, conferendo un tocco caratteristico..
Anche Jel era piuttosto provato per cui, dopo aver accuratamente infilato il sacchetto delle Pietre in una tasca del mantello, si stese sul proprio letto. Sprofondò con la testa fra le pieghe del cuscino e soffocò un sospiro di sollievo. Ora che potevano permettersi quel lusso, non voleva perdersi l'occasione di sfruttarlo al meglio.
- A che ora ripartiremo domani mattina? - la voce di Gala gli giunse lontanissima e ovattata, mentre già il mago era li lì per assopirsi. Rispose sonnolento:- Non c'è fretta Gal. Quando ci saremo riposati partiremo per il Bianco Reame, ma ora dormi. Ne abbiamo bisogno.
Rimase sveglio quel tanto che gli permettesse di sentire la ragazzina che si levava la casacca e si stendeva sotto le coperte, ancora quasi interamente vestita. Sperò che anche lei riuscisse a riposarsi tranquilla. La tensione che aveva avvertito durante il colloquio con Raenys si era allentata. Forse, la loro situazione non era poi così critica.




Note dell'autrice: buondì, eccomi qui. Non ho molto da dire: era il settimo capitolo, nulla di eccezionale o particolarmente movimentato (sorry xD) ma vi prometto che l'azione ormai non tarderà ad arrivare. Spero che questo vi sia piaciuto, ma in ogni caso aspettate il prossimo capitolo... ;) Saluto tutti i lettori e mando un bacione, recensite in tanti please :D Talia.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


8








DUE SETTIMANE DOPO


Mentre camminavano per le strade affollate di Sasha, Jel sentiva il cuore leggero come mai a distanza di settimane. Gli sembrava di aver lasciato la capitale di Tharia solo pochi giorni prima, con tanti dubbi e solo due Pietre con sé, e ora si trovava di nuovo lì, con alle spalle un viaggio praticamente senza intoppi e la Pietra Viola* insieme alle altre due nel pregiato involucro di stoffa.
I primi giorni di viaggio verso oriente erano stati faticosi e stressanti, con i due maghi che non riuscivano a scrollarsi di dosso la sensazione di essere seguiti; eppure le giornate si erano susseguite tranquille e piuttosto monotone, grazie al cielo quasi senza ombra di pericoli. I consigli del maestro Raenys erano stati utili: per l'intera durata del tragitto aveva tenuto le spille accuratamente celate nei mantelli (così come le Pietre), non avevano seguito il percorso della Grande Via e, sebbene questo avesse allungato notevolmente la durata del viaggio, il giovane era straordinariamente soddisfatto del loro operato. L'episodio della locanda in Haryar e dei Ribelli che avevano cercato di ucciderli era quasi sparito dalla sua mente. Tutto perdeva importanza davanti al buono sviluppo della missione.
Dopo aver pranzato in una piccola osteria ai margini della città i due, in sella ad Ehme e Yin, furono pronti a ripartire - questa volta in direzione ovest - per raggiungere Città dei Re e prelevare la Pietra Ambra. Cavalcarono di buon ritmo attraverso le ultime, strette stradine fino a lasciarsi alle spalle Sasha e giungere alle sterminate colline che separavano Tharia dallo Stato dei Re. Jel aveva sempre amato quel particolare paesaggio: i pendii erbosi erano raramente interrotti da piccole macchie di faggi e betulle. Fiori variopinti coloravano l'ambiente di rosso, giallo e violetto, e sebbene fossero piuttosto a Nord l'aria rimaneva tipica e piacevole.
- Credo che verrò qui per qualche mese! - gridò scherzosamente all'amica. - Quando questa situazione sarà risolta chiederò un periodo di congedo e passerò del tempo su queste colline!
Udì la risata cristallina di Gala che gli rispondeva:- Ti immagino come eremita, Jel...
Il giovane rise di cuore, ma in realtà dovette ammettere che l'idea non gli dispiaceva affatto: dopo tutta la gente a cui era stato a contatto in quelle settimane - e soprattutto quella che aveva rischiato di incontrare - un po' di sana solitudine sarebbe stato un ottimo rimedio.
Cavalcarono ininterrottamente per ore; il vento scompigliava loro i capelli, frizzante e gradevole, il paesaggio non accennava a cambiare. Jel non se ne preoccupava però: sapeva che tale bioma si estendeva per un'immensa porzione di territorio, anche oltre il confine con lo Stato dei Re.
- Guarda là! - esclamò ad un tratto Gala. Aveva il dito puntato verso nord, e oltre ad esso Jel poté distintamente scorgere profilo delle abitazioni di una piccola cittadina. Fece per qualche istante mente locale, poi proferì:- Dovrebbe trattarsi di Célia, un paese appena oltre il confine. Se non erro, dovremmo essere già nello Stato dei Re...
- Ma esiste una sola cosa che tu non conosca, Jel? - lo interruppe la strega ridacchiando. - Immagino che potresti dirmi anche quanti abitanti vivono qui...
Lui scosse la testa con un sorriso. - Esageri sempre, Gal. Però ricordo che una sartoria importante ha sede qui. Ci sono stato un volta... tanto tempo fa...
La sua mente vorticò lontana a quel giorno di molti anni prima, quando aveva accompagnato il padre a ritirare dalla sartoria un nuovo abito di broccato da regalare a Lys. Come aveva detto di chiamarsi il proprietario? ... Ah, sì. Tomson.
- Wow... - constatò Gala, anche se in verità non pareva neanche minimamente interessata - Che ne dici di fermarci qui stasera?
Alzando le spalle, il giovane replicò:- Perché no? Non abbiamo fretta.
In realtà ne avevano, eccome anche, ma la verità era che quel luogo aveva un effetto strano su di lui: lo riportava indietro con i ricordi, ai tempi in cui suo padre era ancora vivo e nessuno aveva ancora avuto il sentore della ribellione a Nord, quando non c'erano guerre che si profilavano all'orizzonte. Una sensazione di malinconia, ma allo stesso tempo piacevole, lo accompagnò mentre i due maghi si dirigevano verso Célia. Cavalcando verso Nord passarono accanto ad una catapecchia di legno, assediata dai fiori e dalle erbacce che avevano cominciato a crescere anche sul tetto. Seduto sull'uscio, con in volto un'espressione corrucciata, stava un uomo che doveva avere una cinquantina d'anni. Era magro, ossuto e sebbene sul suo volto rimanesse l'ombra di un antico fascino, i capelli sporchi e spettinati - uniti agli stracci che indossava e allo sguardo sconsolato - ne davano un'immagine triste e grottesca.
Jel non poté far a meno di chiedersi cosa lo avesse portato a ridursi in quello stato, da quanto vivesse in quelle condizioni... Che vita doveva a ver condotto?
Piantala di fare l'idiota. Se ti fermassi ad aiutare tutti i poveracci che incontri che ne faresti poi della tua vita? E della missione? Non sono affari tuoi...
L'uomo fece un cenno di saluto nella loro direzione. Jel e Gala, meccanicamente, lo imitarono. - Non è esattamente come a Grimal... - mormorò la ragazzina mortificata.
Passarono oltre, scendendo dalle tondeggianti colline e addentrandosi per le vie della città. L'atmosfera non era particolarmente... vitale. Gli spazi erano quasi deserti, fatta eccezione per qualche mendicante e una manciata di donne di casa che tornavano dal mercato. Jel non se ne stupì: le difficoltà economiche che si erano abbattute su gran parte di Fheriea avevano colpito lì più che in altri luoghi. Una giovane donna che doveva avere circa l'età di Jel passò accanto a loro distrattamente, urtando il cavallo di Gala con una spalla. Con l'urto parve riscuotersi e li guardò in volto, rivelando un paio di occhi verde palude particolarmente sporgenti. - Perdonatemi... Mi... Mi dispiace... - balbettò stralunata, affrettando il passo. I due maghi si scambiarono un'occhiata dubbiosa: gli occhi di Gala parevano due punti interrogativi carichi di disagio.
Mentre procedevano, passarono davanti alla famosa sartoria del signor Tomson. Jel era a conoscenza del personale che lavorava lì dentro: bambini, ragazzini, orfani sfruttati fino all'ultimo. Questa consapevolezza l'aveva sempre avvilito, specie contando che tutte le divise dei Consiglieri e gran parte degli abiti dei reali provenivano da quelle filerie. Ma, come dire, quello era l'ordine naturale delle cose, - probabilmente il lavoro avrebbe mantenuto e salvato la vita a quei poveri ragazzini - quindi non valeva la pena di mettere in piedi una campagna per tutelare le loro condizioni. Magari un giorno, in un'altra vita, un'altra era...


- Non credi forse che stiamo un tantino esagerando?
- Esagerando, e perché? - fece Jel senza capire.
- Il maestro Raenys ci aveva raccomandato di non dare troppo nell'occhio... - rispose Gala a mezza voce, portandosi il bicchiere colmo d'acqua alle labbra. - Ma, beh... Da quando abbiamo preso la Pietra Viola abbiamo... come dire... abbassato un po' la guardia, non ti sembra?
Il giovane fece un gesto leggermente infastidito con la mano e replicò:- Non stiamo indossando le spille no? E le Pietre sono al sicuro, no? Beh, si fa per dire... - aggiunse poi vedendo l'espressione dell'amica. Si rese conto di quello che stava dicendo con un attimo di ritardo. - Non intendevo questo - spiegò. - Insomma, lo so che è... pericoloso ma... per ora sta andando tutto bene no? Non c'é motivo di preoccuparsi, almeno finora.
Ma la ragazzina aveva ancora un'aria dubbiosa. Alla fine si arrese:- E va bene, se lo dici tu... Ma quando abbiamo finito di mangiare andiamocene di qui. C'é fin troppa gente...
- Hai ragione - convenne lui posando sul tavolo il boccale di birra. - Vuoi assaggiare? - chiese poi sorridendo e ammiccando al liquido dorato. Gala, suo malgrado, rise, ma poi afferrò il manico del boccale e se lo portò alla bocca. Tirò giù un paio di sorsi. - È... è buona! - ammise stupita. Jel le mollò una pacca gioviale sulla spalla. - A quanto pare stai finalmente crescendo anche tu...
Terminarono la loro cena in un'atmosfera più rilassata, e quando alla fine i due uscirono nelle strade inondate dalla luce del tramonto Jel si convinse a rimanere positivo: la missione aveva cominciato ad andare davvero a gonfie vele. Camminarono un po' assonnati fino alla staccionata ove avevano assicurato Ehme e Yin, poi ripartirono. - Meglio passare la notte in qualche posto un po' riparato, fuori dalla città - fece il mago previdente, anche ripensando al lieve disagio che Gala aveva manifestato durante la cena. - Che ne dici, Gal?
Lei annuì mentre i due cavalli cominciavano a prendere velocità.
E così ripartirono. Per l'ennesima volta, ripartirono. Cavalcarono per le viuzze per qualche minuto fino ai margini della città, e poi ancora oltre, fino a fermarsi nei pressi di un torrentello. Rocce piatte ma imponenti fornivano una sorta dI riparo naturale sulla sinistra e sul terreno l'erba era fitta e soffice.
Smontarono da cavallo e, dopo aver assicurato Ehme al tronco di un'esile alberello, Jel depose la sacca con le provviste e i mantelli a terra. Era ancora indeciso se indossarlo durante la notte: la stagione calda era ormai inoltrata, ma con gli improvvisi venti freddi di quella fascia collinare non c'era mai da essere troppo tranquilli. Il crepuscolo era vicino e il giovane mago si sentiva decisamente spossato; gli effetti della birra che aveva bevuto gli aleggiavano debolmente nel corpo e nella mente. Il sole ormai tramontato proiettava strani giochi di luce sul terreno... - Non sarà proprio come un letto caldo... Ma almeno saremo nascosti - constatò Jel dopo aver sbadigliato e strizzando l'occhio alla compagna.
- Su questo avrei qualcosa da ridire - un voce beffarda rispose alla battuta. Ma non quella di Gala.
No... fu tutto quello che il giovane ebbe il tempo di pensare, prima che due figure si materializzassero dalle tenebre che si stavano addensando.
- Cosa... cosa...? - balbettò Gala intimorita, indietreggiando.
L'uomo alto che aveva parlato per primo fece un passo verso di loro. - Per essere due Consiglieri sembrate piuttosto sprovveduti - osservò in tono freddo.
- Di una cosa però vi diamo atto: siete veloci, per essere dei ragazzini - le seconda voce apparteneva ad una donna. Nonostante il semi buio, Jel poté distinguere il colore ramato dei suoi capelli, acceso però da riflessi rosso fiammeggiante che parevano brillare di una luce propria. Istintivamente si parò davanti a Gala. - Che volete da noi? - chiese in tono duro. O almeno pregò che così sembrasse, perché la paura lo stava attanagliando; nel momento stesso in cui aveva visto davanti a sé i due sconosciuti aveva avvertito la grande quantità di Magia che scorreva in loro. Non sarebbero mai stati in grado di seguirli senza che se ne accorgessero, non utilizzando il potere magico.
Avevano di fronte a loro due maghi adulti. Che con tutta probabilità stavano dando loro la caccia, secondo le parole della giovane donna.
- Come avete fatto a trovarci?- aggiunse poi. La rossa scoppiò a ridere e, rivolgendosi al compare, osservò:- È buffo come le vittime tentino sempre di guadagnare tempo, eh?
Poi posò nuovamente occhi sprezzanti sui due ragazzi. - È da giorni, anzi, settimane che vi seguiamo, Consiglieri. Siamo sempre stati dietro di voi.
- E dal momento che conoscevamo il vostro percorso vi abbiamo atteso qui, al confine - completò l'uomo tranquillamente, con piglio quasi pigro. Jel non ebbe il tempo per pensare a qualche altra cosa intelligente da dire, perché la giovane aveva già fatto un passo verso di loro, sollevando una mano; lui si preparò a contrattaccare, in qualunque modo fosse possibile, ma il mago di fronte a loro -che pareva il più maturo dei due - poggiò una mano sulla spalla alla strega. - Quanta fretta, Sephirt - la gelò pacato. - Prima controlla che abbiano davvero con loro le Pietre.
Jel e Gala indietreggiarono; il giovane aveva la gola secca. - Quindi è questo che volete? - chiese retoricamente, stringendo a sé il sacchetto con i talismani e pregando perché la donna non si rendesse conto che erano nascoste lì.
- Ma non farmi ridere... - sibilò questa a denti stretti, attirando a sé la sacca di velluto con la Magia, ma in modo così improvviso che Jel non poté far nulla per impedirglielo. Sephirt, così l'aveva chiamata l'altro mago, slacciò il legaccio che teneva chiuso il sacchetto e vi gettò uno sguardo; un lampo di lieve disagio parve attraversare il suo volto mentre osservava le tre Pietre riunite, poi alzò la testa. - Sono loro, Mal - annunciò seria.
- Molto bene - replicò l'uomo tirandosi su le maniche. - In questo caso temo che il vostro viaggio finisca qui.
Come in un sogno Jel ebbe appena il tempo di vedere il ghigno trionfante della strega dai capelli rossi, prima che con lo sguardo il mago lo sollevasse da terra scagliandolo contro il masso più vicino. L'aveva preso così alla sprovvista, e con un potere così intenso, che lui non riuscì ad evitare di venire scagliato addosso alla roccia di schiena. L'unica difesa che poté attuare fu quella di attutire lievemente lo scontro, scontro che anche così fu così violento da fargli credere di aver perso i sensi. La vista gli si era offuscata; per un momento, la sua mente girò vorticosamente.
- Occupati della ragazzina - sentì ordinare l'uomo a Sephirt, e fu questa l'unica che gli permise di imporsi di resistere. Era ovvio che con quei due non avrebbero mai avuto chance, ma non avrebbe abbandonato Gala alla morte così in fretta. Sorprendendo tutti, se stesso compreso, si rimise in piedi a fatica; un rivolo di sangue zampillò dal taglio che si era aperto sulla sua nuca. - Prima dovrai uccidere me - intimò ansimando alla strega.
- Jel, NO! - esclamò Gala atterrita, ma era troppo tardi. Mal lo attaccò da dietro, mentre Sephirt si affrettava ad "occuparsi di lei".
La Magia dell'uomo costrinse nuovamente Jel a roteare in aria, ma questa volta il giovane riuscì ad impedire un nuovo, doloroso schianto ed ebbe il tempo di lanciare a sua volta un incantesimo: una potente massa d'aria si abbatté sul rivale con forza, ma questo semplicemente alzando un braccio la respinse, indirizzandola verso Jel stesso. Da terra, il giovane tentò di imitarlo, ma il dolore in tutto il corpo diminuì la sua concentrazione e riuscì solo in parte nell'intento. Rotolò sull'erba.
- Sei tenace, ragazzo - ammise Mal con una certa ammirazione avanzando verso di lui. - Ti chiederei di unirti a noi... ma non credo servirebbe a molto...
Un urlo, con tutta probabilità appartenente a Gala, sovrastò le sue parole. Jel perse il controllo di sé.
- Chiudi quella bocca, Ribelle! - urlò con quanto fiato aveva nei polmoni, rialzandosi e preparandosi ad attaccare di nuovo. Non c'era altra spiegazione d'altronde: i due maghi che li avevano trovati doveva essere nordici, nientemeno. Ma come avevano fatto a venire a sapere della loro missione? Come potevano aver seguito le loro mosse in quel modo? Beh, per l'ennesima volta il giovane aveva sottovalutato il nemico.
Lui e Mal ripresero a combattere lanciandosi addosso ogni tipo di incantesimo, tanto che Jel non ebbe il tempo di controllare come se la stesse passando Gala. Il rumore dello scontro tra le due suggeriva che fosse ancora viva, ma le continua urla e gemiti erano presagio che forse non lo sarebbe stata ancora per molto.
Alla fine, dopo lo sproporzionato numero di zolle di terra e pietre che il Ribelle gli aveva scagliato addosso, Jel decise di tentare il tutto per tutto e abbandonò la Magia. Pensando che fosse troppo esausto per continuare a difendersi, Mal sogghignò e alzò una mano per l'ultima volta. - Addio, Consigliere...
- Non questa volta! - ignorando la paura, il dolore fisico e il novantanove per cento delle possibilità che ciò che avrebbe fatto sarebbe stato completamente inutile, Jel si gettò fulmineo sull'avversario, spingendolo avanti e trascinandolo nell'acqua del laghetto.
L'improvviso cambio di temperatura gli restituì lucidità. Avvinghiato a lui Mal si divincolava furiosamente cercando di liberarsi, e in seguito Jel si stupì di essere riuscito a tenerlo immobilizzato per così tanto tempo, contando che era più adulto e robusto circa il doppio di lui. Ma il momento di gloria finì in fretta: con un colpo di reni il mago si liberò e capovolse la situazione. Ora era lui a tenere fermo Jel, impedendogli di risalire in superficie.
Lottando per respirare, Jel si dibatté con disperazione. Riemerse con la testa dalle acqua cristalline quel tanto che gli permettè di prendere aria a pieni polmoni, poi Mal lo trascinò nuovamente sott'acqua; aveva rinunciato anche lui ad usare il potere magico, dunque lo avrebbe ucciso così, in quel modo prolungato e atroce, lontano dalla luce del sole... Non voglio morire! Non voglio!
Guidato dal puro istinto e dal folle desiderio di non affogare, sollevò di scatto la testa abbattendola sul volto dell'uomo; con orrore sentì il rumore di ossa frantumate che emise il suo naso spezzandosi, e immediatamente l'acqua attorno a loro si tinse di rosso. Mal allentò la presa sulla sua vita abbastanza perché, con uno strattone, il giovane riuscisse a divincolarsi e risalire in superficie. Con due ampie bracciate raggiunse la sponda e uscì dall'acqua; grondante e intontito dall'apnea che era stato costretto a mantenere raggiunse Gala e Sephirt, che a metri e metri di distanza da dove le avevano lasciate, erano ancora impegnate nel duello. Ma forse "duello" non era la parola giusta: Gala, in viso un'espressione dolorante e atterrita, schivava e respingeva alla meglio gli incantesimi della donna, che rideva sadicamente e aveva l'aria di star divertendosi un mondo.
- VIENI VIA! - tuonò in direzione dell'amica, approfittando della situazione per sollevare da terra la strega e scagliarla diversi metri più in là.
Mal intanto stava già riemergendo dall'acqua...
Gala che, come Jel si rese conto con una stretta allo stomaco, era coperta da lividi violacei e lesioni sanguinanti, non esitò a seguirlo. Corsero via come pazzi, in direzione dei due cavalli; passando accanto a Sephirt Jel letteralmente le assestò un calcio in faccia per evitare di venire nuovamente trattenuto.
Come diavolo avevano potuto essere scoperti? Com'erano riusciti i due Ribelli a coglierli di sorpresa in modo simile? Il mago non comprendeva più nulla: l'aria era rotta dai singhiozzi sconvolti di Gala e dagli urli rabbiosi dei loro inseguitori, e tutto il corpo gli doleva terribilmente. Nel furioso intento di non lasciarseli sfuggire, Mal li atterrò da dietro una, due volte, ma i due riuscirono a liberarsi e continuarono a correre; la paura era talmente forte che avrebbero dato il tutto per tutto pur di sopravvivere.
Dopo che Jel ebbe recuperato al volo la sacca con le Pietre, montarono in sella ad Ehme e Yin senza neanche accorgersene, e come furie esortarono i due cavalli a ripartire. - Andiamo, andiamo! - strepitava Gala reggendosi alle briglie come poteva, data l'angolatura innaturale che aveva preso il suo braccio. Era spezzato, sicuramente. Doveva essere piuttosto doloroso, ma al momento a Jel non importava: dovevano andarsene da lì; contava solo quello.
Non si curò del fatto che probabilmente i due Ribelli si erano messi al loro inseguimento. Avvertiva dietro di sé il fragore degli zoccoli dei loro cavalli, erano a pochi metri di distanza...
Spronò la puledra argentata ad andare più veloce, sempre avanti, nel disperato tentativo di fuggire e salvarsi la vita. Un unico pensiero echeggiava nella sua mente:
Scappa!








Note dell'autrice: avevo promesso che l'azione sarebbe arrivata! Mal e Sephirt hanno finalmente raggiunto Jel e Gala, cosa succederà ora? Se volete saperlo, ahahah, leggete il prossimo capitolo :D sì, lo so, sono sclerata ma è l'euforia per essere riuscita a postare questo capitolo xDxDxD
Se ne è valsa la pena fatemelo sapere con una recensione, ho ricontrollato più volte tutto il testo ma qualcosa potrebbe essermi sfuggito comunque... Al prossimo aggiornamento gente!
Baci, Talia_Federer :3

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


9







Nel momento in cui Sephirt aveva visto fuggire i due ragazzi, aveva provato dentro di sé un'eccitazione mai provata prima, unita ad un perverso desiderio di mettersi alla prova. Era la prima volta che falliva un incarico come sicario; nessuno aveva mai resistito più di pochi minuti contro di lei. La verità era che quei due maghi erano molto più in gamba di quanto lei e Mal avessero pensato.
- Sta' fermo... - sussurrò al compagno sollevandogli il volto con una mano. Fece scorrere delicatamente le dita affusolate sul naso fratturato, il quale immediatamente si ricompose, mentre il sangue si coagulava e la cartilagine tornava al proprio posto. - Sbaglio o nessuno ti aveva mai ridotto in questo stato? - chiese con un sorrisetto una volta finito. Mal si allontanò con uno scatto; sembrava furibondo. Sephirt lo capiva: per uno orgoglioso come lui doveva essere stato un duro colpo essersi fatto sfuggire dalle mani una preda così semplice.
Li avevano inseguiti a rotta di collo per molti interminabili minuti, forse mezz'ora o più, finché i due Consiglieri avevano saggiamente deciso di inoltrarsi fra gli alberi del bosco Hardist. Una volta nel buio totale della foresta, Mal e Sephirt avevano perso le loro tracce in poco tempo, così avevano deciso di fermarsi e proseguire verso nord-ovest lungo la Grande Via.
- Dovranno recarsi a Città dei Re, se vogliono ritirare la Pietra Gialla - aveva osservato Sephirt rivolta a Mal. Intuizione inequivocabile, d'altra parte. Ovviamente la strega in quel momento avrebbe avuto una gran voglia di riacciuffarli subito per fargliela pagare, ma la situazione le suggeriva di essere paziente. Li avrebbero re incontrati molto presto, e quella volta non avrebbero avuto problemi ad ucciderli entrambi.
Mal era seduto accanto a lei, in volto un'espressione corrucciata. L'alba non era ancora prossima, ma la luce della luna rivelava la sua mascella contratta, gli occhi stretti che tradivano tutta la sua irritazione. - Ripartiamo non appena sorgerà il sole - dichiarò serio, mentre con mano pesante infilava coltello e pugnali nella sacca. Non aveva mai rinunciato a portare con sé quelle eleganti armi da taglio; Sephirt sapeva che in passato era stato un abile guerriero - senza Magia ovviamente - e doveva ammettere che quell'aspetto di lui la intrigava non poco. Una volta terminata la missione avrebbe potuto trovare il tempo di osservarlo mentre combatteva. Il pensiero le strappò un lieve sorriso. Rispose a Mal:- Certo, certo, gli staremo alle costole. Vedrai, andrà tutto secondo i piani.
Era una situazione curiosa: solitamente era sempre stato Mal l'ultimo a perdere il controllo durante una missioni, e di incarichi pericolosi ne avevano condivisi veramente tanti. Per una volta era il contrario. Sephirt sentiva particolarmente sua quella spietata caccia: da lei dipendeva il futuro della ribellione nordica. Se volevano riuscire nell'intento era necessario mantenere la calma e rimanere lucidi, freddi. Assassini poco emozionali, quali erano. E come fidati sicari di Theor avrebbero portato a termine il loro compito.


BOSCO HARDIST MERIDIONALE

- Continua ad andare avanti! - esclamò Jel senza voltarsi, mentre con qualche difficoltà scavalcava un tronco d'albero caduto e tirava le briglie di Ehme per aiutarla a fare lo stesso. Gala, che non percepiva quasi più il proprio corpo tanto era sfinita e dolorante, si costrinse a proseguire. L'unica cosa che poteva scorgere oltre ai rovi e i cespugli erano le proprie mani, porche di sangue, che tenevano ancora ben strette le redini di Yin. - Credi che ci seguano ancora, Jel? - chiese all'amico con la voce che le tremava ancora. Aveva percorso le ultime due miglia ad intervalli di lacrime sfrenate e devastanti attacchi di panico. In vita sua non aveva mai provato un simile dolore, né una simile angoscia. Ed era questo forse che le aveva dato la forza di andate avanti, prima a cavallo di Yin e poi a piedi, faticosamente intricata nelle spine del sottobosco di quell'immensa foresta. Altri tagli le si aprirono sulle caviglie, sui fianchi e sulle braccia, inutili e dolorosi. E alla fine la stanchezza divenne talmente forte da avere la meglio persino sulla paura; la vista le si annebbiò, e mollando di colpo le briglie del proprio cavallo crollò a terra con il volto fra i cespugli e l'erba verde.
Non perse i sensi subito. Fece appena in tempo a vedere Jel, il quale la precedeva di diversi metri ormai, che si voltava e, allarmato, si precipitava verso di lei. - Gala... - il richiamo le giunse lontano e ovattato, poi la ragazzina non ce la fece più e chiuse gli occhi. La mente le si sgomberò immediatamente e lei sprofondò nell'incoscienza.
Quando riaprì gli occhi, gli alberi erano diradati. La superficie morbida sotto la propria testa e la luce che filtrava fra le fronde le suggerirono che doveva trovarsi in una radura. Acquistò sensibilità poco a poco, e si rese conto che aveva una mano delicatamente poggiata sulla propria spalla. - Jel... - sussurrò dopo qualche secondo. - Jel... dove siamo? - con la coscienza stava tornando anche il dolore. - Quanto ho dormito?
- Calma, calma... - il mago sembrava sforzarsi di mantenere un tono tranquillo, rassicurante. La trattenne quando lei tentò di rialzarsi. - Hai bisogno di riposare ancora un po' - le disse dolcemente. - Ho curato come ho potuto le tue ferite e ti ho sistemato il braccio ma... sai che non sono un asso in queste cose.
- Semmai sono gli incantesimi di guarigione che non sono proprio semplicissimi... - Gala trovò la forza di ribattere. Contemplò le proprie braccia e gambe, che erano coperte di fasciature, poi aggiunse con voce flebile:- Grazie per avermi salvata. Siamo a due ora.
Suo malgrado, Jel sorrise rassicurante. - Siamo insieme per questo, Gal. Non c'e niente da ringraziare... - poi assunse un'aria più seria e irrimediabilmente grave. - Ora però dobbiamo parlare - annunciò. Gala rabbrividì: rievocare i ricordi del giorno prima era qualcosa di doloroso e terrificante. Non le era mai capitata una cosa simile; combattere con la Magia per salvarsi la vita, confrontarsi con maghi esperti pronti ad uccidere... Era qualcosa fuori dalla sua portata per il momento. Qualcosa che si era ritrovata costretta ad affrontare per salvarsi la vita.
Non riuscì a trattenersi:- Chi erano quei due maghi, Jel?
Il giovane affondò la testa fra le mani. - Posso solo fare supposizioni ma... credo fossero Ribelli, anzi ne sono sicuro. Non può essere altrimenti...
- Ma non mi sembravano Nordici - osservò Gala sconcertata. Non riusciva a mettere i tasselli al loro posto. - Per... per quale motivo dovrebbero essersi uniti alla causa di Theor? E in ogni caso come hanno fatto a trovarci? Nessuno aldilà dei membri del Consiglio sapeva del nostro viaggio...
- Non ne ho idea, Gala. Non capisco più nulla neanch'io. Forse sono stati corrotti e assoldati da Theor, ma... - qualcosa non andava - ... ho la sensazione che non sia così. Devono essere Ribelli convinti: qualcuno di cui lui si può fidare...
La strega fu attraversata da una nuova fitta di dolore bruciante all'addome; gemette lievemente chiudendo gli occhi, poi guardò nuovamente Jel e domandò tesa:- Ci daranno la caccia, non è vero?
- Senza alcun dubbio - fu la secca, drastica risposta. - Non credo che smetteranno di inseguirci prima di averci uccisi e preso le Pietre.
Forse una parte di lei avrebbe desiderato che Jel le avesse risposto con meno chiarezza, ma a cosa sarebbe servito? Probabilmente era la verità. E quello rimaneva solo uno dei tanti interrogativi della situazione: chi diavolo poteva averli informati della missione di ritirare le Sei Pietre? Le possibilità non erano molte; alla fine, la ragazzina diede adito ai dubbi di entrambi. - Credi... - chiese lentamente. - Credi che nel Consiglio possa esserci un infiltrato? Un informatore di Theor, intendo.
Jel la fissò con occhi preoccupati, poi concordò:- È quello che pensavo anch'io. Non... non credo che avrebbero potuto scoprirlo altrimenti. - Si passò una mano sugli occhi, distrutto. - Siamo soli, Gal. Fino al momento in cui raggiungeremo Città dei Re... siamo soli.
Le sue parole avevano un peso inconfutabile. Deglutì.
- Ho paura Jel - ammise e la voce le morì in gola. - Questa volta ho paura di morire davvero.
Forse si era aspettata che il compagno le sorridesse rassicurante, ma sarebbe stato troppo bello; no, il mago si limitò a guardarla negli occhi - Anch'io - mormorò. - Anch'io.
Poi si rialzò in piedi porgendole la mano. - Abbiamo indugiato anche troppo - annunciò. - È ora di ripartire.
Le labbra della ragazzina tremarono, ma lei si rifiutò di mostrarsi debole; afferrò saldamente la mano dell'amico e si rimise in piedi. In un primo istante la testa le girò vorticosamente, tanto che dovette aggrapparsi a Jel per non cadere nuovamente a terra. Per qualche secondo ombre nere si frapposero tra il suo sguardo e gli alberi circostanti, poi il momento passò. - Ce la fai a camminare? - le chiese il giovane preoccupato. Lei annuì, anche se non era per nulla convinta. Ma non voleva essere di peso; le doleva più o meno insistentemente ogni parte del corpo, eppure si convinse di dover continuare. Mostrarsi forte e sicura. Proprio come Jel.
La strega non aveva avuto né tempo né energie per assistere al duello fra il compagno e Mal, ma intuiva dallo sforzo che sembrava costargli ogni movimento intuiva che anche lui non doveva essere messo molto bene. Però si tirava avanti, e se ci poteva riuscire lui, perché Gala no?
Perché tu hai soli quindici anni. E sei una ragazza, fece una voce maligna nella sua mente, ma lei la respinse. Erano insinuazioni ridicole; lei era forte, e pronta a tutto. Anche a morire. Eh sì. Magari...
Fece per avvicinarsi a Yin e montare in sella, ma a sorpresa Jel la bloccò. - No - disse scuotendo la testa. - Non possiamo più tirarceli dietro.
Gala impiegò una manciata di secondi per registrare le parole del giovane. Alla fine farfugliò:- Cosa... cosa...? - Era esterrefatta.
- Sono solo un peso in questo mucchio di rovi e vie accidentate, faticheremmo troppo a guidarli. E poi ci rendono troppo visibili; se continuiamo a viaggiare con loro non avremo la possibilità di prendere vie riparate, o almeno secondarie. - replicò Jel in tono così deciso che le poche speranze della ragazza che il mago la stesse prendendo in giro crollarono. - Ma come... - balbettò. - Vuoi... vuoi abbandonare anche Ehme?
Sapeva che era molto affezionato alla bellissima puledra d'argento che il padre gli aveva regalato, non riusciva a capacitarsi che avesse deciso di separarsene. - Morirà se la lasciamo qui!
- Saprà trovare la strada di casa, non ti preoccupare - la calmò lui con un debole e stiracchiato sorriso. - Gli stalloni Nordici hanno una memoria visiva straordinaria.
- E Yin? - la ragazzina non voleva demordere. - Che ne sarà di lui?
- Non dirmi che adesso ti preoccupi per un vecchio cavallo già prossimo a morire.
- Non è solo quello! - Gala incrocio le braccia, mentre una cupa consapevolezza si faceva strada in lei. - Non possiamo girare tutta Fheriea a piedi. Io sono ferita, non vedi? E a quanto pare anche tu non sei proprio al massimo... Che vuoi, morire di stenti ancora prima di raggiungere anche solo Tamithia?
Il giovane alzò la voce:- Comando io qui, mi hai capito Gala? Fino a prova contraria, io sono stato incaricato di trovare le Pietre, io sono quello di cui il Consiglio si fida; per tanto, devi ascoltarmi!
- Tu vaneggi... - ringhiò lei arrabbiata e in ansia. - Ci troveranno in meno di due giorni...
- È proprio quello che sto cercando di evitare!
- Tu stai solo cercando di complicare le cose come sempre, idiota!
Lo schiaffo arrivò secco e inaspettato; non fu tanto la forza quanto la sorpresa a far perdere l'equilibrio a Gala. La strega cadde all'indietro rovinando a terra. Per un attimo rimase ferma, sbattendo incredula le palpebre e fissando il compagno da sotto in su. Jel non l'aveva mai colpita in quel modo, e questo le fece comprendere quanto la situazione fosse fuori controllo; lottava per non darlo a vedere, ma anche Jel Cambrest era sull'orlo di crollare. Le puntò un dito tremante contro:- Piantala di comportarti come una bimbetta viziata - le intimò. - Sei un Consigliere o cosa? Importano di più i tuoi piedini stanchi del continente, eh?
Gala avrebbe desiderato rispondergli a tono, ma cercò di essere ragionevole. - Certo che no - rispose seccamente, anche se senza riuscire a guardare negli occhi l'amico. Jel respirò pesantemente, poi riprese:- Dobbiamo raggiungere Città dei Re al più presto. Là decideremo cosa fare...
Un dubbio parve attraversare la sua mente. - Anche se... - sillabò. - Già... in fondo perché no...
- Cosa? - fece Gala col fiato sospeso. - Jel, che succede?
Il mago abbassò lo sguardo su di lei. - Mal e Sephirt credono che la nostra destinazione sia la capitale... - spiegò. - Sarebbe logico, dopotutto, no? La ragazzina sgranò gli occhi; cominciava a capire dove sarebbe andato a parare il giovane. - Quindi noi faremo esattamente...
- Il contrario di ciò che loro si aspettano che facciamo. Sei un... maledetto genio, Jel!
La sfuriata di poco prima aveva già perso importanza. Ancora una volta, Gala si rese conto di quanto la mente dell'amico fosse fine; anche in una situazione come quella, era riuscito a trovare la soluzione migliore. Soluzione che forse li avrebbe tenuti lontani da altri guai almeno per un po'. Immediatamente, si sentì una sciocca per le parole che aveva pronunciato presa dalla paura.
Rimasero un attimo a fissarsi, i due Consiglieri, fra l'imbarazzato, l'ansioso ma anche il leggermente sollevato. Sapevano entrambi che almeno un secondo scontro con Mal e Sephirt sarebbe arrivato; ma se non era possibile evitarlo, potevano almeno ritardarlo il più possibile. - Quindi ci dirigiamo verso l'Ariador? - chiese infine la strega cercando conferma. Jel annuì, mentre slegava Ehme dall'albero a cui era assicurata. Gla notò unica, grande lacrima scendere sulla guancia sinistra del giovane mentre accarezzava ancora una volta il poderoso collo della puledra. - Torna a casa, Ehme - sussurrò con affetto. - Non puoi più aiutarci. Torna a Grimal, va bene?
Una persona normale avrebbe pensato che tali parole fossero completamente futili, ma Gala Sterman sapeva che, come mago, Jel possedeva una capacità di comunicare con gli animali innata. La ragazzina si avvicinò a Yin: non era certo bello e in forze come Ehme, ma avrebbe sentito egualmente la sua mancanza. Dopotutto, l'aveva portata in sella per circa la metà dei territori di Fheriea e in qualche modo ci si era affezionata. Non aveva idea se il vecchio stallone sarebbe riuscito a ritrovare la strada per tornare a Grimal o se sarebbe morto lungo la strada. Senza saper bene che fare, mollò qualche pacca sul dorso dell'animale, poi sciolse i lacci e gettò via le sue briglie. - Addio, Yin - mormorò. Sul suo viso non spuntò nessuna lacrima, nessun tremito, eppure quelle parole ebbero un effetto spiacevole su di lei. Sì, le dispiaceva per il propio destriero. Si voltò verso Jel. - Adesso andiamo - disse decisa. Lui sorrise:- Andiamo Gala. - e i due maghi, con un ultimo sguardo ad Ehme e Yin, si addentrarono nuovamente nel folto degli alberi.

***

Il profilo di Città dei Re si approssimava sempre di più.
Mal e Sephirt avevano cavalcato senza sosta per quasi quattro giorni, e ora finalmente erano vicini alla capitale.
Avevano deciso di rimanervi senza rivelarsi fino al momento in cui i due giovani Consiglieri avessero fatto il loro arrivo nella città; a quel punto, avrebbero seguito le loro mosse in modo da poter coglierli di sorpresa una volta che avessero recuperato la Pietra Gialla.
- Finalmente, eh? - esclamò la donna con un sorriso, voltandosi verso Mal. Lui annuì distrattamente. - Ci fermeremo per qualche notte in una locanda, non dobbiamo dare nell'occhio.
- Sì, sì lo so... - replicò lei alzando ironicamente gli occhi al cielo. - Non dare nell'occhio, rimanere nascosi, aspettare e colpire nel momento giusto - recitò a memoria. - Soddisfatto ora?
Il mago le rivolse uno dei suoi rari, magnifici sorrisi - cosa che fece segretamente vibrare l'anima di Sephirt di piacere - ma non disse altro. Raggiunsero le mura esterne della città in circa dieci minuti, e nel varcare gli imponenti portoni Sephirt trattenne a stento lo stupore; da molti anni non si recava a Città dei Re, e l'effetto che la capitale ebbe su di lei era di incredibile ammirazione.
Si accomodarono in una modesta osteria che dava su una delle stradine che intersecavano la prima strada, e qui sedettero a un tavolo per cenare. Ma non ebbero il tempo di fare molto, perché una figura si era appena avvicinata a loro; il nuovo arrivato posò una mano sulla spalla di Sephirt, e li salutò cordialmente:- Mal, Sephirt, che piacere rivedervi.
Astapor Raek, fu il primo pensiero della strega; a chi poteva appartenere quella voce se non al mellifluo infiltrato nel Gran Consiglio di Theor?
A confermare l'ipotesi fu il sorriso di Mal, il quale con altrettanta cortesia rispose:- Lord Raek, il piacere è nostro...
Sephirt si voltò ed esibì la propria migliore espressione radiosa, allungando la mano diafana per stringere quella del Consigliere. L'uomo posò gli occhi su di essa e se la portò educatamente alle labbra. La donna trattenne un risolino: da parecchio tempo sospettava che il lord avesse un particolare debole per lei. - Che cosa vi porta qui? - Raek si finse abilmente interessato alle loro ragioni. Mal alzò le spalle e spiegò tranquillamente:- Semplici ragioni di lavoro, Astapor. Siamo stati assunti da...
La copertura che Theor aveva ideato e affidato loro era a dir poco estremamente efficace: durante i loro viaggi e missioni in giro per Fheriea Mal e Sephirt si fingevano innocenti e abili interpreti; chiamati da lord e nobiluomini di qua e di là, ostentavano un appartenente motivo per i loro continui spostamenti. Fra i Ribelli - coloro di cui più Theor si fidava - tutti sapevano della loro falsa identità, incluso Astapor Raek. Era una precauzione, se qualcuno avesse dovuto testimoniare, avrebbero avuto alleati sufficienti. Che i due maghi conoscessero parecchie lingue, però, non era una menzogna. Mal parlava correttamente, oltre alla Lingua Comune, parecchi antichi dialetti nordici, più l'Ariadoriano, il Thariano orientale e l'antico Haryarita. Aveva qualche conoscenza anche degli arcani idiomi parlati nelle nazioni del continente a Sud di Fheriea, ma solo in modo superficiale. Sephirt, invece, aveva studiato da autodidatta l'antico linguaggio diffuso nel Bianco Reame prima della diffusione della Lingua Comune, mentre parlava come seconde lingue l'Ariadoriano e un paio di dialetti delle Terre del Nord. Un'altra dote che si aggiungeva al già ampio campionario che la donna poteva vantare.
Astapor Raek si accomodò senza preoccuparsi di chiedere al loro tavolo, arraffando una sedia da quello vicino. - E avete trovato un impiego soddisfacente? - chiese, continuando la messa in scena. Ancora una volta fu Mal a rispondere:- Crediamo di sì - fece sornione, tamburellando un poco con le dita sul piano di legno. - Ma potrebbe rivelarsi anche molto precario; non rimarremo qui a Città dei Re molto lungo...
Sorrise a Sephirt, e questa fu l'unica cosa a convincerla a girarsi nuovamente verso di loro per sopportare un'altra futile, noiosissima conversazione.








Note dell'autrice: salve gente, rieccomi abbastanza puntuale con il capitolo 9! Spero che vi sia piaciuto, anche se non è particolarmente movimentato, ma non posso far accadere disastri ad ogni aggiornamento :P Sono sempre gradite recensioni ovviamente (ecco Hyrie mi rivolgo soprattutto a te che non hai recensito lo scorso capitolo) no dai scherzo xDxDxD Un silenzioso grazie a tutti i lettori, comunque. A presto, Talia.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


10








Nello scontro con i due Ribelli nordici Jel e Gala avevano perso quasi tutto: le scorte di cibo, l'acqua, persino i mantelli del loro ordine erano rimasti là accanto al torrente dove erano stati attaccati.
L'unico avere che fosse rimasto loro per dimostrare la propria identità erano le due spille del Consiglio, ma ormai non avevano più granché importanza: chiunque avrebbe potuto pensare che le avessero rubate o che fossero dei falsi. Era una vera fortuna che conoscessero personalmente Ellanor, il Maestro alla corte di Tamithia, altrimenti ottenere il permesso di prelevare la Pietra Blu sarebbe stato pressoché impossibile.
Entrambi i maghi erano consci del fatto che raggiungere la capitale dell'Ariador a piedi sarebbe costato un lasso di tempo decisamente maggiore rispetto a quello che avrebbero impiegato a cavallo; in più, il pensiero di Jel continuava a saettare verso la povera Ehme: sarebbe riuscita veramente a tornare a Grimal indenne? E se qualcuno l'avesse adocchiata e se ne fosse appropriato? O peggio, se si fosse ferita e fosse morta ancora prima di tornare a casa?
Il giovane sapeva che al momento la sorte di una puledra sarebbe dovuta essere l'ultima delle sue preoccupazioni, eppure davvero non riusciva a trattenersi. Era molto affezionato ad Ehme, non solo perché era un esemplare di rara resistenza e bellezza, ma anche perché era uno dei pochi averi che costituivano il suo legame con il defunto padre. Era stata un suo regalo, la bellissima sorpresa che Jel aveva ricevuto per il proprio quattordicesimo compleanno. Mentre sconsolato trascinava un piede dietro l'altro, il giovane si chiese se avesse preso la decisione giusta. Raggiungere Tamithia prima di Città dei Re... così facendo il tragitto si sarebbe ancora, ulteriormente allungato; e lui cominciava a chiedersi fino a quanta stanchezza e spossatezza sarebbero riuscito a reggere, ma soprattutto fin dove Gala si sarebbe potuta spingere. D'altro canto non erano proprio due atleti, poco prestanti com'erano e abituati a spostarsi pressoché solo a cavallo.
- Ci fermiamo circa a mezzodì, d'accordo? - chiese alla strega per sicurezza. Gala pareva assorta in pensieri tutti suoi, ma rispose annuendo con un lieve sorriso. Il mago le lanciò uno sguardo obliquo; gli pareva strano che non sentisse il bisogno di menzionare la battaglia del giorno prima. In cuor suo, Jel era sicuro che se una cosa del genere fosse capitata a lui a quindici anni non gli sarebbe stato tanto facile tacere e ostentare quell'espressione sicura. Eppure Gala era così: impulsiva e avventata, faticava incredibilmente a nascondere le emozioni successive ad avvenimenti particolari, ma altrettanto riusciva poi a ricomporsi comportandosi come una perfetta adulta.
Strana ragazza.
Da parte sua Jel era riuscito a recuperare una sorta di tacita e obbligata calma. Se gli ingranaggi del suo cervello cominciavano a girare e girare finivano irrimediabilmente con il vertere sul doloroso e sconvolgente scontro con i due Ribelli, per cui lui si sforzava di mantenersi distaccato. Due maghi nordici li avevano attaccati e quasi uccisi? Non importava, per il momento.
Erano molto più potenti di loro due? Sì, e allora?
Li avrebbero inseguiti per sempre? Per il momento avevano trovato il modo di ingannarli.
Sapeva che il momento della resa dei conti - o più probabile il momento in cui sarebbero morti entrambi - sarebbe arrivato, ma non era ancora l'ora. E questo al giovane Consigliere bastava.
Per due giorni continuarono a camminare, fermandosi solo per una mezzoretta verso il primo pomeriggio e per riposare durante la notte. Al terzo giorno di cammino sostarono come stabilito verso mezzogiorno, accanto ad un piccolo stagno reso rigoglioso dalla presenza di splendide ninfee. Personalmente Jel, dalla fame che aveva, si sarebbe mangiato anche quelle. E invece i due rimasero lì fermi, ad aspettare che il dolore ai piedi per la camminata si affievolisse e che il cuore scandisse battiti un po' più regolari. Jel osservò l'amica mentre si sfilava gli stivali e si sedeva sulla sponda per immergere le caviglie nell'acqua refrigerante. Sforzandosi di sorridere e zoppicando un poco si sedette accanto a lei e la imitò; ma nel togliersi gli stivale trattenne a stento un gemito di dolore. Le piante dei suoi piedi erano livide, coperte da brucianti vescicole ed escoriazioni. - Accidenti... - borbottò fra sé e sé strizzando gli occhi e maledicendo mentalmente la propria calzatura. Se solo avessero ancora avuto gli stivali in pelle di drago...
- Ti fa tanto male? - gli chiese Gala fissandolo con occhio critico. Sì, parecchio, avrebbe voluto rispondere lui con sincerità, e invece si limitò a tacere concentrandosi per praticare un veloce incantesimo di guarigione. Chiudendo gli occhi passò le mani sulla pelle sanguinolenta e a bassa voce recitò una breve litania benefica.
Alcune ferite si rimarginarono e gran parte del sangue si coagulò, ma le vesciche rimasero lì al loro posto, sgradevoli e dolorose. - Lascia fare a me - disse allora Gala dolcemente prendendogli le mani e scostandole con delicatezza. - Sai che adoro giocare alla guaritrice... - gli strizzò l'occhio e ancora una volta Jel si chiese dove l'amica trovasse tutto quello spirito. Un po' impacciato, lasciò che la strega curasse alla meglio le sue ferite, e quando ebbe finito dovette ammettere che non c'era paragone fra i due lavori. Gala gli sorrise a metà fra il soddisfatto e il francamente sollevato, poi domandò:- Va meglio ora?
- Decisamente, Gal - rispose il giovane grato, dandole un buffetto sulla guancia. - Hai sempre avuto talento per queste cose...
Forse la ragazzina era arrossita, ma lui non se ne curò; con circospezione provò a muovere le dita dei piedi, ma dato che non gli provocarono che una lievissima stilettata di dolore, il mago si decise finalmente a immergere le gambe nell'acqua dello stagno. Mi ci voleva proprio...
Rimasero fermi in silenzio per qualche minuto, assaporando il meritato riposo, quando poi Gala parlò. - Non possiamo continuare così, Jel - proferì seria. Alzò gli occhi e lo fissò. - Sai cosa intendo. Se andiamo avanti in questo modo non raggiungeremo mai Tamithia.
Jel non tentò neanche di far finta di non capire ciò che lei stava dicendo, non ne valeva la pena. Alla fine ammise:- Lo so, Gala. Lo so... Non avremmo dovuto lasciar andare Ehme e Yin...
- Non intendevo questo - replicò subito lei scuotendo la testa. - Tu... avevi ragione, condurli attraverso la boscaglia sarebbe stato stato impraticabile. E viaggiando con uno Stallone Nordico saremmo stati troppo riconoscibili. Insomma, la sicurezza viene prima di tutto, ma... non possiamo camminare tutta la giornata fino a sera per fermarci solo poche ore la notte. È da giorni che non mangiamo quasi nulla, a malapena beviamo. Di questo passo noi... noi...
- Moriremo in poco tempo, sì - concordò Jel gravemente, e poté scorgere il brivido di paura che attraversò le labbra dell'amica a quelle parole. - Ma... - continuò. - Noi non ci arrenderemo, capito? Ce la faremo, vedrai. Io... al primo villaggio che incontreremo cercherò del cibo, te lo prometto.
La ragazzina parve leggermente rincuorata, ma con voce flebile chiese:- Dovremo rubare?
Il giovane Consigliere sospirò: sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Scosse il capo, indeciso, e rispose:- Può darsi, Gala. Se riuscissimo a trovare un altro modo, credimi, sarei la prima persona ad esserne sollevata. Ma se si trattasse di scegliere fra la vita e la morte... La nostra missione viene prima di tutto. Se salvare Fheriea significa anche infrangere qualche legge, beh, sono disposto a tutto.
E non sarebbe neanche la prima volta... constatò senza parlare, ricordando la battaglia di tante settimane prima in quella locanda, che si era conclusa con un omicidio...
Scacciò quei pensieri e si ritrovò a guardare il volto preoccupato della compagna. - Noi non moriremo, d'accordo? - ripeté deciso. Lei tirò nervosamente su col naso ma non replicò.
Jel avrebbe desiderato rimanere ancora qualche tempo così, fermo in quella piccola oasi di pace, ma alla fine si decise a rialzarsi, re infilarsi i calzini e gli stivali. Mentre Gala, controvoglia, faceva lo stesso, il mago pensò che, sì, cercare una qualche locanda non era una cattiva idea. Certo, ricordava ancora fin troppo bene cos'era successo l'ultima volta che si erano fermati lungo la strada, ma d'altra parte qui erano lontani miglia e miglia... E comunque, era meglio rischiare che morire di fame, no?
Stanchi e con il morale a terra, lui e Gala si rimisero in cammino.

***

GRIMAL, STATO DEI RE


Il Consigliere Camosh scese stancamente gli ampi gradini della biblioteca reale, cercando di non dare adito a quanto si sentisse scoraggiato. Aveva trascorso gran parte della giornata chino sui libri, e di certo non era dell'umore giusto per partecipare alla seduta del Consiglio che all'ultimo minuto il Re aveva stabilito per quella sera.
Era da quando i Consiglieri Jel e Gala erano partiti che Camosh portava avanti la ricerca degli antichi manoscritti riguardanti le Pietre Magiche. Aveva spulciato sì e no i due terzi della gigantesca biblioteca in cerca di qualcosa che potesse tornare utile. Eppure, non era stato complicato scovare libri ed enciclopedie che le menzionassero o trattassero l'argomento in modo più o meno superficiale... ma riguardo al modo di utilizzarle, il nulla. Più volte il maestro si era chiesto se tali scritti non fossero stati soppressi o, peggio, distrutti. Le Pietre, a quanto stavano le spiegazioni dei libri, potevano essere usate con fini molto pericolosi...
Senza quasi accorgersene attraversò il paio di strade che lo separavano dal palazzo del Consiglio e si apprestò a fare il proprio ingresso.
La sobria ma in qualche modo altera reggia era diventato quanto di più familiare esistesse per lui: a memoria l'anziano mago conosceva le sue sale, le scalinate, gli ampi corridoi. Così come l'immagine della sala delle riunioni era sempre ben fissata nella sua mente; era una stanza spaziosa e perfettamente illuminata dalle vetrate che, situate sulla parete sud-orientale, permettevano ai raggi del sole di illuminare l'ambiente quasi per tutta la giornata. Il tavolo centrale, attorno al quale erano distribuite una trentina di sedie - decisamente abbondanti, dato che i membri del Consiglio si aggiravano sempre tra i venti e i venticinque individui - era costruito per intero di pregiato vetro finemente levigato e di struttura rettangolare. Un sottile velo di seta bianca ricopriva l'altrimenti scomoda superficie, conferendo quel tocco di classe degno di una residenza reale.
Quando Camosh vi mise piede quella sera la sala aveva già iniziato a riempirsi. Il Re delle Cinque Terre, elegante e scuro in volto come sempre, negli ultimi tempi, era già seduto al suo scranno a capo tavola, e attorno a lui anche qualche Consigliere aveva già preso posto. Camosh fece rispettosamente un breve inchino, poi il Consigliere Raenys gli si fece incontro; si strinsero la mano.
- È un piacere vederti, Camosh - annunciò l'uomo sorridendo. - Trovato qualcosa di interessante negli ultimi tempi?
Lui scosse piano la testa; era ancora piuttosto provato da quell'ennesima giornata così intensa, ma non lo diede a vedere. Sorrise e rispose:- Purtroppo no, non ancora. Ma a quanto pare sei tu quello che dovrebbe avere qualcosa da raccontare. Ho letto il tuo messaggio, dici di aver incontrato Jel Cambrest e Gala Sterman...
Notando l'apprensione che si era dipinta in volto al Consigliere nel menzionare i suoi due giovani allievi, il maestro di Tharia lo rassicurò:- Sì, è accaduto poco più di un mese fa, come ho scritto. E... sì erano ancora sani e salvi - aggiunse anticipando la domanda di Camosh. Il quale, però, pareva ancora in ansia. - Hai accennato anche a qualcos'altro: sono stati attaccati? Cos'è successo?
- Sono qui anche per discutere di questo - spiegò Raenys con una punta di preoccupazione. Per il momento Camosh si fece bastare quelle parole e prese poso sul proprio scranno, non troppo distante da quello del Re.
Passarono ancora alcuni minuti perché tutti i Consiglieri giungessero e si sedessero, ma quando ebbero finito cadde il silenzio. Come sempre, fu il sovrano delle Cinque Terre il primo a parlare:- Miei Lord, mi dispiace di aver convocato questa seduta così all'improvviso, ma il maestro Ellanor ha dichiarato di avere informazioni importanti sui piani dei Nordici...
Il Consigliere dell'Ariador fece un piccolo cenno d'assenso con il capo.
- ... E il maestro Raenys dice di portare nuove sulla missione dei Consiglieri Jel Cambrest e Gala Sterman, che come sapete sono in missione per prelevare le Sei Pietre... - s'interruppe un istante poi squadrò Ellanor. - Maestro, parlate.
L'uomo alto e dall'aspetto nobile che stava seduto a due posti da lui spostò lo sguardo sugli altri membri del Consiglio, poi annunciò gravemente:- Ciò che temevamo non è mai stato così prossimo ad accadere. I Ribelli agli ordini di Theor si stanno organizzando; bande di guerriglieri seminano il terrore nel nord dell'Ariador e crediamo che possano essere vicini ad una dichiarazione di guerra.
Per qualche secondo nessuno parlò, poi la lady che ricopriva il ruolo di maestro del Bianco Reame domandò:- Ne siamo certi? Un esercito è stato creato nel Nord?
Fu il sovrano dell'Ariador a rispondere stavolta:- Le nostre spie sostengono che le legioni poste a guardia di Amaria sono quasi raddoppiate dall'ultimo mese. Ciò fra presumere il peggio, e noi non possiamo permettere che i Ribelli devastino le aree nord della nostra nazione.
- Dobbiamo reprimere i disordini prima che degenerino - sentenziò immediatamente il Lord delle Isole Crimsief con apprensione. Dopo aver soppesato un attimo, il Re delle Cinque Terre disse a mezza voce:- Ciò che proponete è legittimo, Lord, ma cosa consigliereste di fare?
L'uomo non fece attendere una risposta:- Mandare il nostro esercito ariadoriano a presidiare il confine; impedire agli Uomini del Nord di sconfinare verso sud...
Molti dei presenti annuirono comcordanti, ma Astapor Raek intervenne:- Se permette, mio signore, non credo si tratti di una buona idea. I Ribelli potrebbero cogliere al volo l'occasione per dichiararsi oltraggiati e far scoppiare una guerra...
Qualcuno parve dare peso a tali parole, ma il maestro Althon dichiarò in tono deciso:- Abbiamo già fatto tutto il possibile per mantenere la situazione stabile, eppure essa peggiora sempre di più - scoccò all'altro Consigliere uno sguardo quasi d'avvertimento, poi si rivolse al Re:- Ritengo che il tempo di starsene con le mani in mano sia finito ormai.
- Siete d'accordo con il maestro Ellanor, dunque - constatò il Re serio, guardandolo. Lui si appoggiò allo schienale della sedia e congiunse le mani. - Sì signore. A mio parere, dobbiamo rispondere agli attacchi.
- Non possiamo mandare l'esercito delle Cinque Terre al confine delle Terre del Nord da un giorno all'altro - osservò Raenys socchiudendo gli occhi. - Perché le nostre truppe si mobilitino occorrono parecchi giorni; per allora, Theor potrebbe aver già intuito le nostre intenzioni e ordinato ai suoi di ritirarsi verso nord...
Camosh, che fino ad allora era rimasto in silenzio, non poté che dirsi d'accordo. Il Consiglio parve diviso in due: alcuni si dichiararono a favore dell'iniziativa del maestro Ellanor e del Lord delle Isole Crimsief, altri dalla parte di Astapor Raek. Il brusio aumentò.
Camosh cercò con lo sguardo l'espressione del Re; non riusciva a comprendere che posizione l'uomo avesse preso. I Consiglieri discussero disordinatamente fra loro sul cosa fare, finché il Re fu costretto a richiamare il silenzio. Il sovrano dell'Ariador chiese di poter prendere la parola.
- Io propongo... - cominciò - di non inviare la divisione ariadoriana dell'esercito delle Cinque Terre nella sua interezza. Il Consigliere Raenys ha ragione, sarebbe un'operazione troppo massiccia. Tuttavia, gran parte delle truppe dell'Ariador sono al momento di stanza a Rosark che, come sapete, non dista molto dal confine con le Terre del Nord. Credo sarebbe opportuno inviare là un paio di legioni con il compito di mantenere l'ordine. Quei soldati si aggiungerebbero a quelli che il Lord di Hiexil ha già fatto dislocare su vari tratti del confine settentrionale.
Per la prima volta, Camosh decise di intervenire a suo favore. - Sono d'accordo - annunciò rivolto al Re. - Quella che Aesyon propone mi sembra la soluzione migliore al momento. Le scorrerie dei ribelli devono essere fermate.
- Senza contare che potremmo avere l'occasione di catturate qualche luogotenente della causa di Theor - precisò il sovrano di Tharia. Nuovi borbottii si levarono nella sala e il Re spostò lo sguardo da Aesyon a Camosh, poi proferì:- Personalmente mi trovo d'accordo con voi, miei Lord. Ma in tal caso occorre passare ai voti. Quanti sono contrari alla decisione di mobilitare l'esercito dell'Ariador?
Parecchi Consiglieri alzarono la mano, Astapor Raek per primo. Dalla sua parte si trovavano Lady Kaief e gli altri emissari del Bianco Reame, più alcuni membri della delegazione dello Stato dei Re. Raenys si mantenne in silenzio. - Molto bene... - riprese il Re respirando pesantemente. - Quanti a favore?
Il sovrano Aesyon, il maestro Ellanor e il Lord delle Isole Crimsief alzarono immediatamente la mano, seguiti lentamente dal maestro Althon, dai consiglieri haryariti e dallo stesso Camosh. Alla fine, anche il maestro Raenys alzò lentamente una mano. Il sovrano di Tharia si espresse anch'egli a favore e il voto terminò.
- Siamo d'accordo allora - concluse il Re, guardandoli ad uno ad uno. - L'esercito ariadoriano si digiterà a nord.
Camosh notò con sorpresa e un pizzico di sospetto l'espressione contraria di Raek, ma poi si costrinse a non pensarci.
Il Re delle Cinque Terre si rivolse ad altro:- Consigliere Raenys - disse rivolto al maestro di Tharia. - Cosa avete da comunicare riguardo i Consiglieri Jel e Gala?
L'uomo respirò a fondo, poi spiegò:- Sono arrivati a Sasha per prelevare la Pietra di Tharia circa un mese fa. Avevano già con loro la Pietra d'Haryar.
- Già - sentenziò Althon. - Il Governatore Greyo mi ha informato del loro passaggio a Jekse...
Camosh non riuscì a trattenersi e domandò:- Hanno incontrato difficoltà durante il viaggio? - Sperava con tutto il cuore che ai suoi due apprendisti non fosse accaduto nulla di male.
Raenys esitò un istante, poi dichiarò:- Mi hanno confidato di essere incappati in uno scontro con dei presunti Ribelli nordici, in una locanda in Haryar poco distante dalla Grande Via. Parevano piuttosto scossi.
Una vampata di caldo sgradevole s'impossesso del maestro Camosh nel sentire tali parole. Maledizione, avrebbe dovuto aspettarselo. Provò l'urgente bisogno di agitarsi sulla sedia, ma si trattenne a stento. - E... - proferì con la bocca secca. - In che condizioni fisiche si trovavano? Erano feriti?
- Nulla di grave, per quanto ho notato. La ragazzina aveva una cicatrice sul collo, ma non troppo profonda. Di effettivo non hanno riportato quasi nulla, ma devono aver rischiato parecchio...
- Le Pietre erano comunque al sicuro? - il Re andò dritto al punto come sempre, ma stavolta Camosh non seppe se dirsi o no urtato dallo scarso interesse che aveva prestato per la sorte dei due maghi. Raenys annuì e rispose:- Certamente, certamente... e sono ripartiti il due giorni dopo per recarsi nel Bianco Reame. Non credo che abbiano riportato altri problemi...
Lady Kaief, dal Bianco Reame, confermò la tesi del maestro:- Sono arrivati ad Estel incolumi e il nostro custode ha consegnato loro la Pietra Viola. Avevano intenzione di recarsi a Città dei Re il prima possibile...
Il Re scosse la testa e dichiarò:- Quando mi sono messo in viaggio per Grimal non erano ancora arrivati a palazzo. In ogni caso, ho lasciato ad attenderli un attendente, spero che siano arrivati sani e salvi...
- Senza dubbio - fece Camosh in tono fermo, ma soprattutto per convincere se stesso. - Sono due maghi capaci, mi fido di loro.
- Teoricamente Gala Sterman non sarebbe neanche dovuta partire... - mormorò Ellanor con un pizzico di ilarità, e molti altri Consiglieri trattennero un sorrisetto. Camosh li imitò al ricordo della caparbietà della giovane strega, anche se si sentiva ancora leggermente infastidito dal modo in cui lei gli aveva disobbedito. - Avete offerto loro aiuto, maestro? - il Re tornò a rivolgersi a Raenys, il quale rispose semplicemente:- Ho proposto loro di procurargli una scorta che li proteggesse da eventuali pericoli, ma si sono rifiutati. Sostenevano che sarebbero stati meno rintracciabili soli... In ogni caso ho permesso loro di trascorrere la notte in una delle camere del palazzo, al sicuro.
- Mi pare giusto - convenne un Consigliere Ariadoriano, dubbioso. - D'altra parte sono ancora molto giovani. Forse è stato un po' avventato affidar loro un compito così delicato...
- Questo discorso lo abbiamo già trattato innumerevoli volte - lo liquidò gentilmente il maestro Althon, e Camosh aggiunse con calma:- Abbiamo votato, e l'incarico è andato a loro.
A Jel soltanto, in realtà, si corresse mentalmente.
Nella sala scese il silenzio per qualche momento; nessuno pareva avere qualcos'altro da dire. Camosh, da parte sua, vorrebbe desiderato approfondire il discorso riguardo l'aggressione, ma il Re era già passato oltre. Si rivolse in tono serio a lui:- E quanto a voi, Camosh, avete riportato qualche scoperta negli ultimi giorni?
L'anziano Consigliere scosse il capo avvilito. - Nulla - confessò amaramente. - Ho persino chiesto l'aiuto della custode Jhan, ma per ora non ho trovato traccia di scritti riguardanti l'utilizzo delle Pietre. Ditemi, che voi sappiate alcuni tomi sono andati perduti o spostati dalla biblioteca?
- Non che io sappia - rispose l'uomo pensieroso. - La biblioteca di Grimal è fra le più vaste e organizzate di Fheriea, escludo l'ipotesi che siano stati smarriti. E per eliminare un qualsiasi manoscritto dall'archivio occorre un'apposita autorizzazione da me firmata. E l'ipotesi di un furto mi pare inappropriata...
Il maestro Althon guardò Camosh preoccupato e propose:- Posso provare a consultare gli elenchi della biblioteca di Jekse, ma dubito di poter trovare qualcosa di interessante...
- No. Devono trovarsi qui, ne sono sicuro. Libri di tale importanza devono per forza essere custoditi nella città del Consiglio...
- Non abbiamo molte scelte se non quella di continuare a cercare. E sperare. - terminò il Re abbassando lo sguardo. - Maestro Camosh, grazie per il vostro impegno.
- Dovere, signore - rispose il mago chinando appena il capo. Il sovrano delle Cinque Terre li congedò con fare estremamente grave, e poco a poco la stanza delle riunioni si svuotò. Camosh si sentiva spossato: la riunione si era portata avanti decisamente per le lunghe, e gli argomenti trattati non erano proprio delle bazzecole. Fuori, era già notte inoltrata.
Mentre camminava speditamente in direzione della propria residenza, non poté far a meno di volgere il pensiero ai piani dei Nordici, alla decisione di mandare parte dell'esercito al confine e, soprattutto, alla sorte dei due allievi. E se Theor fosse venuto a sapere dell'incarico? Se si fossero trovati nuovamente in pericolo? Il Ribelle aveva spie sparse in tutta Fheriea, ma... dagli ultimi tempi Camosh aveva cominciato a nutrire il lieve ma tremendo sospetto che persino nel Consiglio potesse celarsi qualche informatore segreto. Eppure l'idea lo ripugnava: come poteva essere che persone che per gran parte della vita avevano servito Fheriea si fossero convertite ad una causa così assurda?
Doveva sbrigarsi a trovare una risposta all'enigma delle Pietre al più presto.
Soluzione che giunse, alla fine, una settimana dopo.








Note dell'autrice: salve a tutti, gente, sono tornata! Per una volta ho tentato di cambiare PoV, spero che le sequenza dedicata al maestro Camosh vi sia piaciuta ;) E finalmente sono riuscita a battere il mio record, pubblicare quattro capitoli in un solo mese xDxDxD Recensite con pareri, opinioni e i sempre amati consigli, grazie...
Posterò il capitolo 11 al più presto, alla prossima,
Talia :3

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


11








Le giornate si susseguivano lente, uguali, inutili.
Erano passate settimane dal momento in cui Mal e Sephirt avevano messo piede a Città dei Re per attendere l'arrivo dei due Consiglieri, ma dei due maghi non c'era ancora traccia, Personalmente, Sephirt cominciava ad essere irritata.
Sia lei che il compagno erano consapevoli del fatto che, probabilmente, avrebbero impiegato qualche tempo a giungere nella capitale, ma la situazione momentanea non era più accettabile: dovevano aver preso un'altra decisione. Forse avevano deciso di recarsi prima a Tamithia, in Ariador. Forse... in tal caso i due Ribelli erano cascati nel tranello con tutte le scarpe.
Un pomeriggio, la strega decise di trattare lo spinoso argomento con Mal.
La giornata trascorsa era stata futile e frustrante, passata quasi interamente a sorvegliare da lontano i vari ingressi del Palazzo Reale, con rare passeggiatine nervose per le vie della città per interrompere la monotonia. In quel momento si trovavano presso la piazza centrale, seduti sui gradini di pietra che contornavano i grandi porticati. Per evitare inutili giri di parole, Sephirt andò dritta al punto:- Credo che abbiamo aspettato qui anche troppo.
Si era aspettata che Mal facesse storie, ricordandole quanto fosse importante mantenersi calmi e riflessivi, aspettare il momento giusto per colpire e non tralasciare dettagli, ma al contrario il mago la guardò annuendo. - Temo che tu abbia ragione - rispose in tono sbrigativo. - Non arriveranno a Città dei Re, né oggi, ne fra qualche giorno. Si sono rivelati molto più acuti del previsto. Di nuovo.
- Quindi... - fece la donna esitante. - Dici che possiamo...
- Rimetterci in viaggio - completò per lei Mal alzandosi. - Ne ho abbastanza di rimanere inattivo. Abbiamo un compito importante da svolgere.
Sephirt si lasciò sfuggire un sorrisetto, d'accordo con lui per ogni parola. Si era aspettata che sarebbe stato più complicato convincerlo a ripartire; invece, anche lui doveva aver compreso che qualcosa non quadrava.
Si sentiva leggermente infastidita da modo in cui quei due ragazzi li avevano ingannati, sfuggendo loro così una seconda volta, ma cercò di non darlo a vedere: presto la loro vendetta sarebbe arrivata, e avrebbero messo la parola "fine" a quell'assurdo e snervante viaggio che li aveva condotti fin lì. Rifletté anche su quanto i due ragazzi si fossero dimostrati astuti: era evidente che sia lei che Mal avevano sottovalutato in modo eccessivo quei Consiglieri. Non erano tanto ingenui da cadere dritti nella tana del lupo, alla fine.
Più tardi fecero un'ultima volta tappa alla locanda dove avevano trascorso le ultime notti per recuperare le proprie cavalcature, e si apprestarono a ripartire verso sud-ovest. Sephirt non vedeva l'ora di raggiungere la meta; era pur vero che non avevano la certezza che i due maghi che seguivano si fossero veramente diretti a Tamithia, ma quale altra direzione avrebbero potuto seguire? Nel momento in cui la donna aveva tentato di sequestrare le Pietre al più adulto dei due ne aveva contate tre, distinguendo i colori di Haryar, Tharia e Bianco Reame.
Onestamente, cominciava ad essere anche lievemente preoccupata: se si fossero lasciati sfuggire quei due ragazzi un'altra volta Theor non sarebbe stato soddisfatto. Per nulla. Li aveva inviati in missione richiedendo un lavoro rapido e pulito, eppure erano già settimane che lei e Mal erano partiti da Amaria. Avevano fatto rapporto una volta sola, nel momento in cui erano arrivati a Città dei Re, e la risposta di theor non era stata delle più confortanti, un paio di righe frettolose:

Trovateli in breve tempo e uccideteli, portate loro via le Pietre. Tornate ad Amaria al più presto, non abbiamo tempo. Non fallite ancora.

C'era davvero di che preoccuparsi.
Spinsero i due cavalli al massimo della velocità: non importava loro quanto poi gli animali sarebbero stati stremati, ne avrebbero acquistati degli altri in qualche paesello. L'importante era correre, correre, correre e raggiungere la meta, Tamithia. Sephirt non sapeva ancora come Mal avrebbe gestito la faccenda - era lui il capo dopotutto - ma di certo i due ragazzi avrebbero sofferto. Eccome se avrebbero sofferto, la strega avrebbe dimostrato loro quanto fossero dolorosi gli incantesimi della magia nera. Poco importava che fossero poco più di dei ragazzini, la rivincita sarebbe stata crudele ugualmente.
- Gliela faremo pagare, stanne certa - le aveva assicurato Mal appena prima di ripartire con un sorrisetto sicuro, al quale la donna aveva risposto con un'alzata di spalle. - È solo una missione come le altre - aveva mentito. L'uomo aveva replicato posandole un rapido e completamente inaspettato bacio a fior di labbra. - Ti conosco troppo bene per non capire quando menti - aveva mormorato con una punta di malizia.
Se con la mente tornava a quell'immediato ricordo, Sephirt non poteva far altro che rallegrarsene. Anche se forse "rallegrarsene" non era il termine più adatto: era una sensazione particolare, che la travolgeva ad ondate. Una sorta di inusuale calore che le si diffondeva sulle guance, fino alla base del collo, insieme ad una sorta si curiosa speranza. Se poi a ciò si aggiungeva l'aspettativa di trovare e punire quei due insulsi Consiglieri, la trepidazione della strega era diventata incontenibile.

***

Lei e Jel avevano oltrepassato il confine con l'Ariador da poche ore. La meta era stata frutto di un'incredibile fatica, ma alla fine gli sforzi dei due maghi erano stati premiati. Tamithia non doveva distare ormai più di una ventina di miglia; tempo due giorni sarebbero arrivati alla tanto agognata destinazione.
Gala non ne poteva più di camminare: era vero, da quando si erano accordati le condizioni si erano fatte molto più accettabili - incursioni in villaggi talvolta e soste decisamente meritevoli - eppure il morale della ragazzina era più mogio che mai. Come aveva temuto, i due erano stati costretti a rubare del cibo per tre o quattro volte, e poi a sistemare i malcapitati che li avevano sorpresi con un rapido incantesimo di memoria. In quel momento si sentiva le mani terribilmente sporche; sapeva che era stata la più immediata necessità a spingerli a compiere gesti così ingiusti e volgari, ma lei non riusciva a cancellare il proprio senso di colpa. Non avrebbe mai immaginato di dover arrivare a rubare per salvarsi la vita.
Nonostante la fatica, proseguirono verso nord-ovest ancora per un paio di giorni, e fu proprio allora che i due Ribelli, Mal e Sephirt, li raggiunsero una seconda volta.
Erano fermi in quel momento, stanchi e intenti a riposarsi dopo l'ennesima giornata faticosa. Anche se, come si sarebbero accorti in seguito, era stata una decisione poco previdente, non avevano perso tempo cercando un luogo un po' riparato e nascosto, sostando direttamente in mezzo ai prati smeraldini che stavano attraversando. Accasciati sull'erba morbida, avevano trascorso qualche minuto ad occhi chiusi, respirando profondamente e poi sgranocchiando i resti delle provviste rubate che si erano procurati durante l'ultimo tratto di viaggio.
E poi d'un tratto, Gala aveva scorto qualcosa in lontananza: proprio sotto la collinetta dove si trovavano, un destriero solitario percorreva quella lande a tutta velocità, nella loro direzione. Le era bastato aguzzare lo sguardo per intuire di chi si trattasse: l'uomo che cavalcava verso di loro indossava un ampio mantello nero, lo stesso portato dal mago nordico, Mal, il Ribelle con cui avevano combattuto alcune settimane prima.
- Jel... - mormorò la ragazzina con il fiato mozzato. - Jel... ma quello laggiù è... è...
Basito, il giovane aveva rivolto lo sguardo verso il punto da lei indicato, e Gala aveva potuto distintamente osservare la sua espressione irrigidirsi di scatto e i suoi pugni serrarsi. - No... - farfugliò. - Non può essere lui... Non possono essere già qui...
- E dov'è l'altra donna? Non è con lui... Che succede? Jel... Jel, che cosa facciamo? - la strega era atterrita.
No, non sarebbe riuscita a scamparla in un altro duello con i Ribelli, che fossero entrambi o anche solo Mal. Si era trattato di un mezzo miracolo se i due Consiglieri erano sopravvissuti la prima volta, ma ora era sicura che non ci sarebbero state riserve. I loro avversari avrebbero fatto sul serio dall'inizio dello scontro fino al momento in cui li avrebbero uccisi. E portato via le Pietre. Istintivamente attirò a sé il sacchettino di velluto e si rialzò. - Dobbiamo nasconderci Jel. Non possiamo combattere di nuovo. Vieni, troveremo... un riparo... qualcosa...
- Un riparo? Stai scherzando, Gala? - chiese il compagno senza allegria. Si guardò intorno. - Qui non c'é nulla - decretò con la gola secca. - Il meglio che si può trovare è un inutile albero isolato...
Gala non aveva più idee. Mal fosse già riuscito a scorgerli, ma una cosa era certa: non avevano tempo. - E allora scappiamo! - esclamò terrorizzata. - Vieni via, no? Andiamocene!
Jel scosse la testa e la ragazzina fu tentata di mollargli uno schiaffo; perché diavolo si comportava così? Aveva deciso di arrendersi senza neanche provare a combattere?
E invece, ancora una volta il mago la sorprese, quando proferì con voce salda:- Tu scapperai. Tieni le pietre con te ma... - le si avvicinò e le prese di mano il sacchetto, vuotandoglielo in una tasca della casacca. - Questo lo tengo io. - Sorrise, ma i suoi occhi furono attraversati da un lampo di paura e tremore. Gala impiegò un istante a capire ciò che lui intendeva. - No, Jel, no! - replicò con rabbia. - Non dire stronzate, non... non puoi... affrontarli da solo... vieni via! - provò a tirarselo dietro ma lui non si mosse. La fissò intensamente e disse febbrilmente:- Devi fuggire il più lontano possibile da qui e io li terrò occupati. Dovranno - o dovrà - scendere da cavallo per combattere, tu allontani, poi torna indietro e prendilo. Vai a Tamithia, prendi la Pietra d'Ariador. Io ti raggiungerò lì, promesso...
- Ma come... come farai a sopravviv...
- VAI! - le intimò Jel con uno scatto di rabbia, spingendola via. La sua espressione tradiva l'angoscia allo stato più puro, ma anche una fermezza non degna di molti. - Vattene via, la missione è nelle tue mani ora!
Gala avrebbe voluto replicare, gli occhi colmi di lacrime disperate, ma Mal era ormai solo a qualche decina di metri da loro...
D'intito, si gettò tra le braccia dell'amico e lo abbracciò con foga. - Torna, hai promesso. Ci... ci vediamo a Tamithia.
Il giovane si limitò ad annuire, e la ragazzina gli voltò le spalle per discendere verso il versante opposto della collina. Più veloce che poté.
Le pareva di stare per esplodere; Jel... aveva abbandonato Jel, il suo migliore amico, il suo fedele compagno a lottare da solo, contro quell'avversario così al di là delle loro capacità... Come aveva potuto? No, non...
Smettila, devi correre! Pensa solo a correre! gridò una voce furiosa nella sua testa. Ti ha affidato un compito, obbedisci per una volta in vita tua!
Non servirà a nulla, pensò fra le lacrime. Jel... morirà e Mal e Sephirt verranno a prendere anche me. Come... come è potuto succedere?
Eppure, anche se dilaniata da quei pensieri terribili e contraddittori, Gala continuò a correre freneticamente verso nord per molti, apparentemente interminabili secondi.
Questo finché l'impulso, la paura, il senso di colpa o la follia non la costrinsero a fermarsi di botto; o forse fu quella voce. Presa com'era dalla propria foga nel fuggire, non aveva udito alcuno dei rumori provocati dallo scontro che probabilmente era in atto in quel momento. E invece ora, ora che era ferma e perfettamente lucida, poteva udire la voce di quell'uomo, Mal, magicamente amplificata risuonare nelle sue orecchie. - Avanti, ragazzina. Sappiamo che sei qui da qualche parte. Che cosa fai, stai fuggendo forse davanti a noi? Peccato che il tuo amico non abbia fatto lo stesso.
Gala si immobilizzò, attanagliata da un terrore che non aveva mai provato prima; ma non voleva cedere: maledizione, Jel le aveva ordinato di allontanarsi...
Sapeva quale doveva essere il piano dei due Ribelli: provocarla, farla soffrire, obbligare Jel ad invocare il suo aiuto. Solo un idiota non si sarebbe reso conto della trappola. La strega era ben conscia di non avere uno straccio di possibilità contro i due sicari, così come non ne aveva avuto l'amico. Pregò solo che stesse bene, che i due maghi non lo avessero ridotto troppo male...
- Sappiamo che hai con te le Pietre - la voce di Mal pareva paziente, quasi comprensiva. - Non servirà a nulla continuare a scappare, credo che tu lo sappia. - la sua figura slanciata apparve oltre la sommità della collina, seguita a ruota da quella di Sephirt. C'era anche lei, dunque. Ma il come avesse fatto la donna a giungere fin lì non le importava, in quel momento. L'unica cosa che contava era che stava reggendo il corpo esanime di Jel fra le braccia, tenendo ben premuto un coltello sulla sua gola.
Ma perché diavolo dovevano essere così sadici? Se proprio dovevano morire, perché non ucciderli con la Magia e basta?
La ragazzina più di ogni altra cosa avrebbe voluto piangere, ma si sforzò di trattenersi: doveva rimanere calma. Devo trovare un modo... devo salvarlo...
Mal si stava facendo avanti, la mano protesa verso di lei. - Dammi quelle Pietre, ragazza. È un consiglio, fallo subito, e vedremo di farvi soffrire il meno possibile.
Ma lei fece istintivamente un passo indietro. - No - proferì, ma la voce incrinata la tradì. Sephirt esplose in una risatina nervosa, e la pressione della lama sulla pelle di Jel aumentò. - Hai due scelte, mia cara: o ci consegni le Pietre ora, oppure ti costringo a guardare il tuo amico mentre muore dissanguato. Che ne dici?
- Dovrete passare sul mio cadavere prima! - replicò Gala con foga, ma si rese conto solo pochi secondi dopo di aver appena pronunciato le parole più banali, scontate e inutili al mondo. I due maghi davanti a lei risero.
Pensa, Gala, pensa. Ci deve pur essere un modo. Qualcosa... qualsiasi cosa... Ma non era facile ragionare lucidamente. Un qualsiasi incantesimo di padronanza degli elementi sarebbe stato inattuabile - uno dei due l'avrebbe bloccata prima che avesse avuto il tempo di combinare alcunché - e di un possibile attacco corpo a corpo non se ne parlava neanche. Avrebbe avuto un disperato bisogno di un incantesimo non appariscente da formulare, ma abbastanza potente da tornare utile...
- Hai imparato la lezioncina a memoria eh? - domandò la rossa con scherno.
E all'improvviso la soluzione arrivò, folle e ambiziosa, ma terribilmente affascinante: l'incanto dell'Evocazione. Si trattava di qualcosa di estremamente difficile ed impegnativo, e solo i maghi più esperti erano in grado di padroneggiarlo. Eppure Camosh aveva spiegato loro un paio di lezioni a proposito... L'idea di poter per una volta superare Jel in qualcosa le diede il capogiro, e in un istante la ragazzina decise che valeva la pena tentare. Ma doveva trovare il modo di prendere ancora un po' di tempo. Lo sguardo le saettò verso i capelli scuri di Mal. - Perché stai dalla loro parte? - chiese cercando di apparire sprezzante, mentre nella mente cominciava a recitare la litania di parole che ricordava. - Tu non sei del Nord, come puoi combattere per un uomo come Theor?
La risposta giunse decisa:- Il nord è la mia casa, ragazzina. Theor è un mago potente più di quanto tu possa immaginare e ha promesso grandi cose al nostro popolo. La vera domanda sarebbe perché tu stai dalla parte del Consiglio.
Ma Gala era troppo impegnata per rispondere; dietro la schiena stava ancora tentando di mettere in atto le contorsioni della mano destra, un vortice di spire da cui alla fine sarebbe scaturito il fuoco evocato. Sempre che ci fosse riuscita. Cercò di concentrare la mente al massimo, tentando di non ascoltare le parole che Mal stava blaterando a proposito della causa dei nordici, e intanto recitava fra sé e sé fiumi di parole in Fladjir, l'antico idioma dello Stato dei Re. Le probabilità di riuscire erano remote: aveva riportato alla mente circa due terzi della formula necessaria, quindi il risultato sarebbe stato scarso se non inesistente...
Ad un tratto avvertì qualcosa di caldo sfiorarle la punta delle dita; la sorpresa fu così forte che la ragazzina riuscì per un soffio a non svoltare di scatto la testa. Ora piccole scintille avvolgevano il suo palmo, calde e scoppiettanti. Doveva sbrigarsi a generare una fiamma...
Ma fu allora che accade. Le iridi scure di Mal si posarono sul suo goffo tentativo di Evocazione, e nel notarlo l'uomo scoppiò a ridere:- Ma dai... Davvero pensavi che non ce ne saremmo accorti?
La concentrazione di Gala crollò completamente nel sentire quelle parole e le fiammelle che, tanto faticosamente, aveva creato scomparvero ritornando ad essere aria. - E tu quello lo chiami un incanto di Evocazione? - la schermì Mal fissandola, mentre Sephirt sbatteva le palpebre tra il sorpreso e lo sprezzante. Il mago le rivolse un sorriso d'avvertimento, poi scandì:- Questo... è un incantesimo di Evocazione.
Compì un ampio gesto con il braccio destro, fulmineo, chiuse un istante le palpebre e con la mano imitò i movimenti a spirale che un attimo prima la stessa Gala aveva ripetuto.
No... non può essere così veloce...
Un'imponente lingua di fuoco scaturì dalle mani protese del Ribelle, rimando sospesa in aria come un orrendo serpente fiammeggiante. Atterrita, Gala mosse un passo indietro. - Allora, ragazzina, come scegli di morire?
Consapevole dell'imminenza della propria fine, la strega serrò disperatamente gli occhi; non avrebbe dato loro la soddisfazione di sentirla implorare...
E invece, il calore delle fiamme non la sfiorò nemmeno. Il dolore bruciante e definitivo che la ragazzina si era aspettata non arrivò mai. D'un tratto, un urlo squarciò il silenzio che si era creato, e d'istinto Gala spalancò gli occhi. Mal era ancora davanti a lei, in piedi, ma il fuoco evocato era sparito. Un macchia rossastra si stava rapidamente allargando nel suo petto, dal quale sporgeva la punta di una lama argentea. L'uomo alzò lo sguardo prima su di lei poi rivolto verso Sephirt, che lo guardava orripilata. Fece per dire qualcosa, ma un fiotto di sangue fuoriuscì dalle sue labbra. Pochi secondi dopo il Ribelle crollò a terra in avanti, rivelando dietro di lui la sagoma snella di una giovane donna. Gala notò immediatamente che alla sua cintura di cuoio erano assicurati diversi coltelli.
Ancora tenendo immobilizzato Jel, Sephirt scosse la testa. - No... - balbettò, l'espressione completamente stravolta. - No...
Indietreggiò e lasciò rovinare a terra il corpo esanime del mago. Lei e la donna si scambiarono un'occhiata e quest'ultima fece per posare la mano su un altro coltello, ma fu troppo tardi: in solo vorticoso istante, Sephirt semplicemente scomparve.
Gala rimase ferma, respirando affannosamente, con lo sguardo che saettava dal corpo di Mal alla giovane, e poi ancora nel punto dove la strega era sparita.
- Chi diavolo erano quei due? - chiese la nuova venuta con circospezione. Era magra, non molto alta, dalla carnagione piuttosto scura, quasi color mattone (un'Haryarita, probabilmente). Vestiva in modo insolito: una canotta scura le fasciava il busto dalla muscolatura asciutta, i pantaloni di cuoio erano stretti in vita da una cintura nera, assicurati alla quale luccicavano altri tre coltelli. Doveva essere una cacciatrice, o una qualche tipo di guerriera.
Gala la guardò sconcertata e mormorò:- Tu... tu chi sei?
Ancora scura in volto, la donna allungò una mano verso di lei, la quale la strinse un po' timorosa. - Sono Ftia. Ftia Elbrik.








Note: hola gente, e ovviamente pardon per il nuovo, piccolo ritardo ^^ Ho avuto qualche difficoltà a terminare la stesura di questo capitolo... In ogni caso alla fine ce l'ho fatta! E volevo annunciarvi che la prima parte del romanzo si è finalmente conclusa (non vi preoccupate, ce ne sono ancora altre due ;) Spero che l'aggiornamento vi sia piaciuto, ovviamente.

76-F0-B7-C5-4445-4-E94-B672-53-B4-AACC2941 E questa è Ftia, o meglio Keisha Castle-Huges, che ne pensate, ce la vedete in veste di cacciatrice?

A presto, recensite, mi raccomando :)

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


PARTE SECONDA

GALA E FTIA

12








«Non ho mai visto nulla di simile» continuò Ftia mentre si chinava per esaminare il corpo di Mal. Alzò gli occhi su Gala e spiegò:«Vi ho visti da lontano e ho sentito del frastuono, così ho pensato di venire a controllare cosa stesse succedendo» mentre parlava le sue mani si muovevano velocemente rovistando nel mantello e nelle tasche del mago.
«Che cosa fai?» le chiese Gala, come frastornata. Ftia Elbrik sorrise senza guardarla ed estrasse da una tasca interna un sacchettino colmo di monete.
«Non che sia il mio lavoro» rispose. «Ma di questi tempi fa sempre comodo trovare del denaro...»
Si assicurò il malloppo alla cintura, con i coltelli, e poi si avvicinò a Jel per ripetere l'operazione.
«No, no!» la fermò Gala prendendola per un polso. «Lui era con me. E... non è morto. Almeno, credo».
«Stai tranquilla, respira...» la rassicurò la donna fissandolo con circospezione. «Che cosa vi è successo? Cosa volevano quei due maghi?»
«Non ne ho idea» mentì la ragazzina; aveva una dannata paura di sbagliare ancora. Se avesse rivelato i dettagli della missione alla persona sbagliata... «Ci hanno aggrediti sulla strada. Jel ed io eravamo diretti a Tamithia...»
«Già... così lontani dalla Grande Via?» gli occhi di Ftia erano socchiusi e dal suo tono trapelò un'ombra di ironia. Gala si sentì avvampare, e stava già per ribattere sulla difensiva, quando l'altra la fermò:«Non importa, non importa... Non sei costretta a parlare dei vostri affari. Ma faremmo meglio ad andarcene di qui ora. Non voglio guai».
«Non credo che si farà rivedere tanto presto» mormorò Gala, il pensiero rivolto a Sephirt, ma quando l'altra la guardò con occhi interrogativi si limitò a scuotere la testa. «Non ha importanza. Adesso andiamo, hai ragione».
Ftia si chinò sul corpo di Jel e lo prese per i polsi, poi la chiamò:«Avanti, aiutami a trasportarlo...» si voltò verso Mal. «E di lui che ne facciamo?»
«Io...» rispose la strega incerta. «Credo sia meglio lasciarlo qui».
«Come credi» borbottò la donna alzando le spalle.
In tutta sincerità, Gala non aveva ancora completamente compreso cosa fosse appena successo. Era stato tutto troppo veloce: il fuoco, la paura, Ftia, la morte... Era incredula per la fortuna di essere ancora viva.
Mentre le due camminavano trasportando un Jel svenuto, guardò la sconosciuta con occhio critico; non si fidava ancora del tutto di lei. Che cosa ci faceva da quelle parti? Perché aveva deciso di aiutarli? Come poteva una persona uccidere un uomo a pugnalate senza neanche battere ciglio?
Ftia dovette accorgersi del suo turbamento, perché con voce calma rispose alle sue perplessità:«Ti starai chiedendo un mucchio di cose immagino, eh?»
Gala abbassò gli occhi imbarazzata, ma la donna rise. «Non preoccuparti, capita pressoché a tutti, quando mi vedono per l prima volta. Io sono una cacciatrice».
«Vivi nella capitale?»
«Per la maggior parte del tempo, diciamo così. Per me è più una sorta di base, insomma... Mi sposto continuamente. A volte lavoro da sola, do la caccia ad animali selvatici e poi li rivendo ai mercati di Tamithia, Rosark, Lialel... Altre volte vengo assoldata.
«Assoldata?» ripeté lla strega senza capire. Il termine le rammentava un certo tipo di caccia, ma non certo di animali...
Ftia Elbrik sorrise mestamente. «Diciamo che... beh, soprattutto in passato».
Gala comprese le sue parole solo in quel momento.
«Eri un'assassina?» domandò a disagio. L'altra annuì, ma spiegò:«Non a tempo pieno, te l'ho detto. Solo che... viste le mie abilità... ho cercato di sfruttare tutte le occasioni che mi si presentavano».
La ragazzina deglutì, ma non disse nulla. Ora le toccava anche dover avere a che fare con una ex sicario.
Non ha importanza, smettila di preoccuparti. Ti ha salvato la vita, no?
Le scelte non erano molte e, in quel momento, trovare una temporanea sistemazione avrebbe fatto loro comodo. Stanca e assorta, non si accorse che minuto dopo minuto, la distanza fra loro e Tamithia si era assottigliata, e già all'orizzonte poteva scorgere i primi profili dei palazzi della capitale ariadoriana.
«Tra un'oretta saremo arrivate» annunciò Ftia, come leggendole nel pensiero, e la ragazzina si sentì sprofondare.
Ancora un'ora... e lei era ormai sfinita. Non desiderava altro che potersi riposare, in quel momento. Cercò di distrarsi, e con voce stanca domandò alla propria accompagnatrice:«Sei a piedi, vedo, non esci a cavallo di solito?»
Lei fece spallucce. «Talvolta sì, talvolta no...» rispose disinvolta. «Non è indispensabile. Non sono particolarmente abile nel cavalcare... e poi muovermi a piedi mi fornisce maggiore autonomia».
Soffermandosi un istante sul fisico asciutto della donna Gala non poté biasimarla: in effetti, non mostrava alcun segno di spossatezza. Un po' imbarazzata riprese:«E tu... sei di Tamithia, ma... vieni dall'Haryar? Dove abitavi prima?» ma si pentì subito di quelle parole, sentendosi un po' come se la stesse in qualche modo interrogando.
Ftia tuttavia non sembrò infastidita e spiegò:«Mi sono trasferita in Ariador recentemente, un paio di anni fa. Prima vivevo a Kleel, hai presente?, sulle coste dello Stretto Meridionale...»
«Certo...» mormorò la strega meccanicamente, anche se in realtà non si era mai recata in quella città tanto lontana. «Ed è... simile a Jekse... insomma...»
«Le città haryarite si assomigliano tutte, in fondo» la interruppe Ftia. «Forse è proprio per questo che me ne sono andata: volevo vedere posti nuovi, diversi...»
Gala non poteva darle torto. Che l'Ariador fosse una delle nazioni più prospere e rigogliose di Fheriea non era un segreto, e presentava una grande quantità di territori: dalle coste sabbiose del sud-ovest alle pianure centrali, e poi ancora le colline del sud-est che si aggregavano alle montagne, al confine con lo Stato dei Re.
Un po' preoccupata tornò a scrutare il volto addormentato di Jel, ma fu lieta nell'udire che il suo respiro era regolare. Ancora non aveva idea di che incantesimo avesse potuto utilizzare Mal o Sephirt per ridurlo in quello stato. Sperava con tutta se stessa si potesse riprendere in fretta...
Non preoccuparti ora. Guarirà presto, ne sono sicura.
Quando finalmente le due raggiunsero i confini di Tamithia, Gala era talmente spossata da non avere nemmeno la forza di stupirsi: la capitale ariadoriana si annunciava splendida ed elegante, ricca di palazzi marmorei, in legno o in pietra. Non era protetta da cinta murarie, realizzò all'improvviso mentre imboccavano una stradina. Quello dove si trovavano ora doveva essere un quartiere residenziale, perché le belle abitazioni erano circondate da giardini e cortili ricchi di aiuole, fontane e alberi fioriti. La ragazzina si guardò un po' intorno, pensando che forse la gente che le avesse viste passare reggendo un uomo svenuto si sarebbe non poco insospettita; non fece in tempo a dare adito ai propri dubbi, perché Ftia aveva svoltato in una viuzza laterale, deserta.
«Tu... è qui che vivi?» ansimò continuando a camminare. L'altra scosse la testa. Anche lei sembrava piuttosto affaticata, in quel momento. «No, c'e ancora un po' di strada da fare. La mia casa si trova vicino alla città vecchia...»
Gala sbuffò: non ne poteva più. Chiese debolmente:«Come faremo a passare inosservate? Se dobbiamo recarci nelle vie principali, tutti vedranno Jel e penseranno che l'abbiamo aggredito noi...»
«Chi ha detto che vivo lungo una delle strade maggiori?» la interruppe bruscamente la donna. «Non ci sarà bisogno di passare in mezzo alla gente, basterà seguire questa strada ancora per mezzo miglio e poi saremo arrivate».
Finalmente...
Camminarono ancora per circa una ventina di minuti, attraversando stradine e sottopassaggi. Alla fine, Ftia si fermò con un sorriso davanti ad una delle tante, spoglie abitazioni di legno e annunciò:«Eccoci. Io vivo qui».
Nel centro, sì... ma non proprio quello che si definisce di lusso... pensò Gala automaticamente, ma nel formulare tali parole non riuscì a trattenere un risolino.


Jel aprì lentamente un occhio, poi tentò di fare lo stesso con l'altro. Non ci riuscì. Avvertiva qualcosa di fastidioso e pesante incombere sulla propria palpebra sinistra e, quando alzò una mano per tastarsela, scoprì che si trattava della propria stessa pelle. Qualunque fosse il motivo, qualcuno doveva avergli fatto un occhio nero.
La seconda sensazione che avvertì fu di un dolore pulsante, concentrato sulle tempie ma diffuso anche in tutto il capo. Con l'unico occhio disponibile, vedeva davanti a sé immagini sfocate.
I ricordi si riaffacciarono alla sua mente pian piano, dapprima i più recenti. Ricordò lo scontro con due uomini, due maghi, e poi ancora che dovevano essere Ribelli nordici. Realizzò di essere in missione, in viaggio insieme alla sua amica Gala... ma in viaggio per compiere che cosa? Ah, sì: riunire le Pietre, che dovevano servire loro per scongiurare un minaccia...
«Dove sono?» chiese nello scorgere davanti a sé una sagoma dai contorni indistinti.
«Sei nella mia casa, Jel Cambrest e – per ora – al sicuro» rispose in tono fermo una voce femminile. Man mano che la figura si avvicinava, il giovane cominciò a distinguere la carnagione scura, le ciocche di capelli corvini e la statura media. Non ricordava di averla mai vista prima.
«E, per fortuna, non sei ancora morto» completò un'altra voce, che però il mago riconobbe all'istante.
«Gala!» esclamò con un sospiro di sollievo, mentre metteva a fuoco la figura smilza della strega. «Sei... sei qui anche tu quindi...»
«Certo» rispose per lei la donna che aveva parlato prima. «Vi ci ho portati io».
La vista del mago divenne man mano più acuta, e alla fine poté riconoscere ogni dettaglio della stanza dove si trovava: un ambiente scarsamente illuminato dalla luce serale che filtrava da una piccola finestra, costituito da pavimento e pareti in assi di legno. Era disteso su una brandina piuttosto bassa, che quasi toccava terra, ma il materasso su cui poggiava era morbido e comodo. Le uniche altre forme di mobilio erano un paio di sgabelli e un ampio armadio di legno intarsiato. Ci mise qualche istante a realizzare che vi era diffuso un vago odore di muffa.
«Che cosa è successo?» domandò sprofondando nuovamente nei cuscini. «Mal e Sephirt, loro... che fine hanno fatto?»
Gala e la donna si scambiarono un'occhiata tesa, poi la ragazzina disse nervosamente:«Noi... forse è meglio se ne parliamo più tardi, prima devi riprenderti. Non credo che ci troviamo in pericolo, almeno per il momento...»
Ma la mente del giovane aveva già cominciato a vorticare: erano riusciti una seconda volta a sfuggire ai due maghi nordici, ma come? E dove erano finiti loro, morti, fuggiti?
Ignorando le proteste preoccupate di Gala si tirò su a sedere e fece per alzarsi in piedi, ma un improvviso attacco di capogiro lo fece barcollare.
«È meglio se non ti alzi, per ora» fece prontamente la donna posandogli una man sulla spalla e spingendolo gentilmente di nuovo sul letto. «Avremo tutto il tempo per parlare dopo...»
«Io invece ho bisogno di parlare adesso » ribatté lui ferreo. Pareva provato e sotto gli occhi portava un paio di vistose occhiaie, ma il suo tono non ammetteva repliche. Aveva estrema urgenza di sapere che cosa fosse successo, non gli importava di quanto fossero instabili le sue condizioni. Doveva capire dove fossero finiti Mal e Sephirt e, soprattutto, decidere se potersi fidare o no di quella donna così particolare.
Gala sospirò, preoccupata, poi cedette:«E va bene, ti diremo tutto. Ma ti prego, resta disteso. Io... non so cosa diavolo ti abbia fatto Sephirt, ma devi essere cauto».
«E va bene, va bene...» sbuffò Jel, socchiudendo gli occhi ma rimanendo ben attento. «Per prima cosa» li riaprì e fissò la cacciatrice sospettoso. «Lei chi è?»
La strega fece per rispondere, ma la donna la precedette:«Mi chiamo Ftia Elbrik, sono una semplice cacciatrice. Vivo qui a Tamithia...»
«Perché ci hai aiutati?» la interruppe Jel e, forse, Ftia dovette accorgersi del tono piuttosto aggressivo, perché gli scoccò un'occhiata di rimprovero.
«Ho visto da lontano i due uomini che vi minacciavano e ho agito d'istinto: li ho attaccati».
Jel non era convinto, ma cercò di abbassare il tono e parlare con gentilezza:«Non fraintendermi... ti sono infinitamente grato di averci salvato la vita. Ma dopo tutto quello che ci è successo... ho bisogno di certezze».
«Senti» rispose Ftia seria. «Non ho idea del perché quei due vi stessero dando la caccia, ma di certo non sono una loro complice. Ne ho ucciso uno, sento di dover precisare...»
«Davvero?» chiese il giovane tirandosi su di scatto. Guardò febbrilmente Gala e continuò:«Chi dei due? Sephirt?»
Fu Ftia a scuotere la testa e spiegare:«No, non la rossa. Ho pugnalato alle spalle il suo compagno, stava per colpire la tua amica...»
«Con l'Evocazione più grande che io abbia mai visto» terminò per lei la ragazzina, senza riuscire a nascondere un lieve tremito.
Jel rifletté sulle ultime parole: per essere stato in grado di praticare una tale Evocazione – secondo le parole dell'amica – doveva essere stato un mago di capacità superiori all'ordinario. E, di conseguenza, lo stesso doveva valere per Sephirt.
«A proposito di Sephirt...» attaccò. «Che fine ha fatto lei? È ancora viva?»
«Crediamo di sì» annunciò Gala con una strana espressione. «Dopo che Ftia ha ucciso Mal ti ha lasciato andare e... è sparita».
«Sparita?» ripeté il mago incredulo. «Come sarebbe a dire? È scomparsa nel nulla?»
Quasi si sarebbe aspettato che una delle due donne negasse, ma Gala annuì confermando:«Non ho idea di come abbia fatto. Io... non ho mai visto niente di simile. Neanche il maestro Camosh ha mai parlato di una tecnica del genere...»
Jel era basito; fino a quel momento non era nemmeno stato a conoscenza che potesse esistere qualcosa di simile. Nemmeno i Consiglieri più capaci che avesse incontrato avevano mai fatto uso di tale incantesimo.
Ftia confermò la tesi di Gala a sua volta:«Ho avuto a che fare con alcuni maghi nella mia vita, ma... diciamo che quelli giusti non sono mai riusciti a sfuggirmi. Di sicuro non praticando questa tecnica».
Jel aveva ascoltato attentamente le sue parole, ma solo dopo pochi secondi si soffermò su una cosa.
«I maghi... giusti?» domandò lentamente. «E che cosa vorrebbe dire?»
La donna, visibilmente a disagio, abbassò lo sguardo. Gala spostò lo sguardo da lui a Ftia un paio di volte, poi azzardò:«Jel... io... ne abbiamo già parlato. Lei non è pericolosa, non più...»
«Questo significa che una volta eri un'assassina?» la incalzò il giovane di nuovo nervoso, scostandosi automaticamente da lei. «Al soldo di chi? Di Theor? O dei Ribelli?»
«Non ho idea di che cosa tu stia parlando» ribatté Ftia freddamente. «Non conosco nessun Theor. Ho fatto il sicario per mezzo decennio e quasi sempre per conto di mandanti diversi. E, credimi, l'ho fatto esclusivamente per affari. Non pensare che ne vada fiera».
Respirando pesantemente, lui continuò a fissarla vigile. I nuovi dettagli che stavano emergendo non gli piacevano affatto e, istintivamente, provò il desiderio di andarsene al più presto. Tuttavia, cercò di non dare adito ai propri dubbi e continuò:«E va bene, d'accordo. Adesso spiegatemi che cosa è successo».
Gala raccontò:«Ci hanno attaccati in cima alla collina, questo te lo ricordi. Tu... mi hai consegnato le Pietre e mi hai detto di scappare, mettermi in salvo. Hai tentato di affrontarli da solo e... hai memoria di questo?»
Jel annuì, rievocando con un po' di fatica quei frenetici avvenimenti.
La ragazzina riprese: «Ho fatto come mi dicevi, ma poi sono tornata indietro. Non ho visto cosa ti avesse fatto Sephirt, ma eri svenuto e ti teneva immobilizzato» per qualche ragione, prima di continuare, arrossì lievemente. «Non sapevo che fare. Avevo paura che ti uccidessero... che uccidessero anche me e prendessero le Pietre. Ho pensato che l'unico modo per uscirne fosse un'Evocazione».
Automaticamente lui sorrise: tipico di Gala, provare a cimentarsi con qualcosa di molto più grande di lei. Eppure in quel momento chi era lui per replicare, che fino a poco prima era rimasto svenuto ed inutile?
«Ci ho provato, senza farmi scoprire e... diamine, ce l'avevo quasi fatta ma poi... Mal mi ha vista. A quel punto non c'è più stato niente da fare: ha evocato dal nulla una gigantesca fiammata e... se non fosse stato per Ftia ci avrebbe uccisi entrambi».
Jel rimase in silenzio, riflettendo su quelle parole.
«E hai detto che subito dopo Sephirt è fuggita, o meglio, svanita?»
Lei fece un cenno affermativo e rispose:«Sì, è rimasta un attimo immobile poi, quando Ftia ha cercato di colpirla, si è come smaterializzata».
Pensoso, il Consigliere non disse nulla. Se in parte era infinitamente grato a tutto ciò che la cacciatrice aveva fatto per loro, dall'altra il pensiero di una Sephirt sconvolta ancora in libertà non gli dava pace. Era pur vero che dopo la morte del compagno non aveva avuto la forza o la testa per reagire, ma qualcosa gli diceva che una strega imprevedibile e pericolosa come lei non avrebbe dimenticato tanto in fretta. Da quel momento avrebbero dovuto prestare ancora più attenzione. Per quanto riguardava il mistero dell'evanescenza, Jel non aveva troppi dubbi: doveva trattarsi di qualcosa di particolarmente complicato che poteva mostrarsi solo in casi di grande emergenza. Una sorta di risposta automatica dell'organismo di un mago nel momento del più estremo bisogno, possibile solo per individui dalle capacità molto estese. Come Sephirt, appunto.
Sembrava l'ipotesi più fondata.
Non sapendo cosa dire, cercò di tirarsi nuovamente a sedere, con delicatezza, questa volta. Allontanò con gentilezza le mani di Gala, pronte a sorreggerlo, e appoggiò i piedi sul pavimento di legno. Quando si alzò avvertì il capogiro attanagliarlo nuovamente, ma questa volta cercò di ignorare le ombre nere che si frapponevano fra la sua vista e la realtà. Chiuse un istante le palpebre, poi tutto passò. Riusciva a reggersi in piedi e vedeva davanti a sé con chiarezza.
«Molto bene...» ansimò. Doveva riuscire a rimettersi in fretta, così lui e Gala avrebbero potuto ritirare la Pietra custodita nella cripta del palazzo di Tamithia. Successivamente, non era ancora sicuro di cosa sarebbe loro convenuto fare. Avrebbero potuto salire a nord per cercare la dispersa Pietra Bianca (probabilmente ancora in mano ai Ribelli), oppure recarsi prima a Città dei Re per farsi consegnare quella Gialla. Il mago non era sicuro però che fosse una buona idea: avrebbero fatto meglio a ritirare prima la Pietra nella capitale e poi recarsi nelle Terre del Nord. In questo modo avrebbero potuto dedicare tutto il tempo necessario alla ricerca e al possibile piano per strapparla alle mani dei nordici. Se poi in tutto questo avessero potuto usare la casa di Ftia come una sorta di "campo base" le cose sarebbero andate a meraviglia. L'unico intoppo era il punto interrogativo riguardo Sephirt, ma al momento Jel cercò di non pensarci. D'altra parte, cosa sapevano loro di ciò che la strega avrebbe avuto intenzione di fare? Non era detto che potesse decidere di mettersi nuovamente sulle loro tracce per vendicarsi. Forse sarebbe tornata ad Amaria per cercare rinforzi, oppure avrebbe semplicemente gettato la spugna...
No. Erano supposizioni troppo favorevoli: probabilmente la donna non avrebbe abbandonato la caccia, a maggior ragione dopo quello che Ftia aveva fatto a Mal. Jel non poteva fare nulla per impedirlo, ma nel momento in cui avesse dovuto incontrarla di nuovo sarebbe stato pronto ad accoglierla.
Ftia Elbrik lo stava ancora squadrando critica mentre il giovane muoveva qualche passo; pareva dubbiosa, ma alla fine disse lentamente:«Se adesso credi di stare meglio... io avrei bisogno di una cosa».
Sia Jel che Gala alzarono lo sguardo insospettiti.
«So che probabilmente avrete tutte le ragioni per non volerne parlare...» continuò. «Ma se volete rimanere qui dovete dirmelo. Perché siete in viaggio? Chi vi ha mandati?»
Il giovane mago guardò l'amica e sospirò. Poi, riluttante, ammise:«Credo che tu meriti una spiegazione».








Note dell'autrice: finalmente sono riuscita a postare questo capitolo! Era da giorni che volevo farlo, ma mi sono un po' incartata nelle sequenze della seconda parte... Spero non sia risultato noioso, anche se non succede molto. Come potete notare è il primo capitolo della seconda parte, e ho lasciato trapelare che Ftia sarà un personaggio abbastanza importante. Che ne pensate di lei? Ditemelo con una recensione ;)
Comincio ora a scrivere il capitolo 13 ma non so quando riuscirò a terminarlo, spero di riuscire a postarlo entro la fine di maggio. Mi sento solo in dovere di informarvi che a inizio giugno cominceranno gli esami, quindi non credo che ce la farò a pubblicare per tutto i mese e, forse, anche per la prima metà di luglio.
Alla prossima :D

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


13








- Noi non siamo semplici viaggiatori.
Ftia Elbrik incrociò le braccia e mormorò:- Me lo aspettavo in effetti. Ho subito pensato che non poteste trovarvi lì per caso.
- Veniamo da Grimal, nello Stato dei Re. Io sono Jel Cambrest e lei - ammiccò alla compagna - è Gala Sterman. Siamo membri del Gran Consiglio.
- Però... - commentò la donna con alzando un sopracciglio. - Alla vostra età? - ma pareva starsi rivolgendo specialmente a Gala. Jel ignorò la domanda, alla quale era ormai abituato, e continuò a parlare con voce pacata:- Siamo partiti alcuni mesi fa perché il Consiglio ci ha assegnato un'importante missione da svolgere.
- Veramente sei tu che ti sei offerto volontario... - obiettò Gala a bassa voce, ma il giovane non ci fece caso. Veniva la parte più difficile ora, il dettaglio che avrebbe preferito non rivelare. Ponderò un istante cercando di trovare le parole giuste, poi si decise a continuare:- Ftia, tu... hai idea di che cosa stia accadendo a Nord?
Lei alzò le spalle, evasiva. - Mi sono giunte delle voci, sì - rispose. - Ma niente di preciso. Personalmente non mi sono molto interessata a questa storia... Si parla di una specie di ribellione, vero?
- È molto più di una semplice ribellione, purtroppo - la corresse il mago gravemente. - Le cose cominciano a sfuggire di mano alle autorità delle Cinque Terre e non sappiamo più che cosa aspettarci. Loro minacciano di scatenare una guerra civile, anche a noi serviva qualcosa con cui ricattarli.
- E sarebbe? - chiese Ftia interessata. Jel non poteva biasimarla: apparentemente, non dovevano essere molte le volte in cui quella cacciatrice scambiava notizie riguardanti Fheriea con qualcuno. Cercò esprimersi al megio:- Conosci la storia di Will Cambrest e delle Pietre, vero?
Ftia ridacchiò nervosamente e rispose:- Certo che sì, tutti qui bene o male ne sono a conoscenza...
- Beh, il compito che il Consiglio ci ha affidato è di fare tappa in ogni cripta delle capitali di Fheriea per riunirle e riportarle a Grimal. Per... precauzione... - ma nel vedere lo sguardo interrogativo della donna spiegò:- Antichi manoscritti e testimonianze riportano informazioni sull'ipotetico utilizzo di questi talismani. Secondo essi c'e la possibilità di convertire l'energia benefica racchiusa nelle Pietre in qualcosa di molto più pericoloso. Una sorta di arma, anche se apparentemente nessuno conosce i dettagli del suo funzionamento.
- Cioè... avete intenzione di annientare questi ribelli con una sola ondata di Magia? - il tono di Ftia sembrava più divertito che preoccupato. - Ah beh, buona fortuna allora...
- Ah-ah - fece Gala di rimando con un pizzico di fastidio. - Molte riunioni del Consiglio hanno trattato questo argomento, e alla fine ha preso questa decisione. Con l'approvazione del Re - sottolineò. Jel completò:- E comunque non è ancora sicuro nulla. Potrebbe anche non essere necessario rispondere ai fatti con la violenza. Forse non scoppierà nessuna guerra...
- Sì certo - ribatté lei ironica, ma nella sua voce ora si leggeva una nota di timore. - E io sono un drago. Non lo sapevate? Parte dell'esercito ariadoriano è stato mobilitato da Rosark verso nord, la notizia si è sparsa in città in meno di un giorno...
Jel e Gala ammutolirono, allibiti. Era evidente che avevano sottovalutato quella donna. - Tu sai questo... Ne sei sicura?- mormorò il mago. L'altra annuì e confermò:- Tutti in città lo sanno. Non so se al fronte si sia già combattuto, ma di certo le legioni ariadoriane si sono dirette là per un motivo.
Turbato il giovane cercò di riflettere. Nel momento in cui erano partiti nessuno aveva fatto cenno ad una possibile mobilitazione dell'esercito delle Cinque Terre, quindi la situazione doveva essere precipitata parecchio... Ma non era questa l'unica cosa a preoccuparlo terribilmente: se tutto ciò che Ftia raccontava era vero, significava che lui e Gala avrebbero dovuto oltrepassare delle vere e proprie linee nemiche per raggiungere Amaria e la possibile ubicazione della Pietra Bianca. Scambiò con Gala uno sguardo eloquente; avrebbero dovuto prendersi del tempo per discutere sul da farsi. Poi tornò a fissare la donna di fronte a lui e chiese:- Ora che sai questo... sei ancora disposta a darci una mano?
- E chi ha detto che lo sono mai stata?- si affrettò a schermirsi lei alzando metaforicamente le mani. - Non ho mai detto che sarei venuta alla cripta con voi o vi avrei scortati fino ad Amaria o che so io...
- Non ti abbiamo chiesto questo - precisò Gala in tono duro. - E non abbiamo bisogno del tuo aiuto per proteggerci da soli. Sai, anche noi siamo maghi...
- Non credo tu la pensassi così quando ho piantato un coltello nella schiena di quel tizio...
- Adesso basta! - Jel alzò la voce, pur sapendo di non poter esercitare alcun tipo di autorità su quella giovane cacciatrice. Eppure lei si zittì tornando ad ascoltarlo, e così fece Gala. - Non vogliamo che ci aiuti a raggiungere le capitali che ci mancano. Non potremmo mai chiederti di correre un rischio così grande. Tu non ci devi un bel niente, ma... - trasse un gran respiro. - Ci farebbe molto comodo se tu fossi disposta ad ospitarci in casa tua ancora per un po'. Così da poter portare avanti la ricerca contando su un valido campo base.
La donna parve rifletterci un attimo, poi sillabò:- Beh... non credo... che ci siano particolari problemi. Ma dovrete pagarmi.
- Ehm... non credo ci sarà possibile - replicò la strega imbarazzata. - Noi... venendo qui abbiamo perso tutto.
Jel inizialmente non disse nulla: si era aspettato una condizione simile da parte della donna. Era comprensibile. - Ti pagheremo - disse infine. - A tempo debito, quando ne avremo la possibilità. E ti garantisco la nostra eterna gratitudine.
- Che me ne faccio della gratitudine? - il tono di Ftia era più pratico che mai mentre pronunciava tali parole. - Piuttosto dimmi del denaro. Quanto? Quando?
La risposta del giovane non si fece attendere:- Appena ne avremo la possibilità. Una volta tornati a Grimal dovremo consegnare le Pietre al Consiglio, ma appena avremo risolto la questione incaricherò un attendente di recapitarti... cinquecento york - Gala la guardò stralunata - ... Per l'aiuto che ci hai offerto.
- Mille - lo corresse all'istante la donna. Jel rifletté, poi rispose mestamente:- È troppo. Io... Mia madre ed io non siamo nelle condizioni di poterteli offrire.
- Ma andiamo, mille york per un paio di notti passate in questa "stamberga"? È la più grande idiozia che abbia mai sentito... - aggiunse Gala acida. La cacciatrice li guardò entrambi e incrociò le braccia con un sorrisetto. - Mettiamo che questi... ribelli scoprissero che vi ho aiutati e venissero a cercarmi. Oppure, che io decida di recarmi da loro e di riflettere sul migliore offerente. Quanto varrebbe il mio silenzio? Parecchio, da quanto ho capito.
Jel da parte sua era allibito. Come poteva una donna della sua età dimostrarsi tanto scaltra nei loro confronti? Eppure, gettando un'occhiata intorno a sé dedusse che tutti quei soldi necessitassero davvero a Ftia, anche solo per dare una sistemata alla propri casa. Che poi il modo in cui li stava ricattando fosse riprovevole e viscido era innegabile. Dopo alcuni secondi di silenzio si decise a tentare il compromesso:- Ottocento york, in un'unica rata. Mi assicurerò personalmente che un attendente giunga qui a Tamithia per consegnarteli senza intascarne alcuno.
Ftia li scrutò con gli occhi semichiusi, e il mago pregò perché accettasse la proposta; alla fine la donna cedette:- E va bene, ottomila. Non un in meno. Anche Gala dovette comprendere che quelle erano le sue ultime parole a riguardo, perché si decise ad annuire, spiegando:- Metterò anche del mio. Faremo in modo che ti giunga l'intera somma.
Ftia Elbrik parve finalmente concordante perché non disse più nulla e si limitò ad annuire. Jel batté fra loro i palmi soddisfatto, e con in sorriso tornò a stenderai sulla propria brandina. - Se non vi dispiace... vorrei dormire ancora un po' - proferì con leggerezza,e Gala parve stupita nel vederlo così tranquillo. Ma al mago non importava: ora che avevano finalmente trovato un rifugio sicuro, aveva intenzione di godersi qualche comodità, finché poteva. Ftia annuì.
- Ma certo... ma certo - concordò voltandosi verso la porta; squadrò Gala con un sopracciglio alzato.
- Allora, vieni o no?- le chiese notando che non si muoveva. Lei arrossì leggermente e si affrettò a seguirla fuori dalla stanzetta. Prima di sparire si volse ancora un volta verso di lui e si raccomandò:- Se c'e qualcosa... qualsiasi cosa... noi siamo qui.
- Certo Gal, tranquilla - rispose Jel rassicurante mentre le osservava uscire.
Quando poi la porta si chiuse con un clac , il giovane si permise di rilassare la mente per un attimo. Chiuse gli occhi sprofondando nel morbido cuscino e cercò di non pensare a nulla, solo per qualche istante. Aveva bisogno di riprendersi: le tempie gli pulsavano ancora in modo doloroso, e la cosa peggiore era che non ne conosceva il motivo. Quale tremendo incantesimo di logoramento doveva aver utilizzato Sephirt contro di lui?
Passerà presto, passerà presto... Non pensarci. Sephirt se n'è andata, non ritornerà. O almeno non ora.
Ma ne era davvero sicuro?
Se c'era una cosa che aveva capito di quella donna era che non si sarebbe data per vinta tanto facilmente. Se poi la morte di Mal fosse una complicazione o un'agevolazione per il mago rimaneva un mistero. C'erano le stesse probabilità che la donna tornasse lì per vendicarsi seduta stante oppure che attendesse mesi e mesi prima di farsi rivedere. Poteva darsi del codardo, ma lui confidava decisamente nella seconda opzione. Nelle condizioni attuali non sarebbe stato assolutamente in grado di reggere un nuovo scontro con quella Ribelle, e non era affatto sicuro che neanche la presenza di Ftia e dei suoi coltelli sarebbe stata d'aiuto. Lo è stata contro Mal.
Non è la stessa cosa e lo sai. Lui era di spalle, era distratto. Ftia Elbrik ha avuto solo fortuna... e un bel paio di palle.

Ridacchiò al pensiero, ma fu una risata fuori luogo e nervosa. Nonostante fosse momentaneamente al sicuro, nonostante potesse riposarsi, nonostante avessero l'appoggio della cacciatrice, si sentiva ancora leggermente turbato. No, decisamente turbato. Che lo ammettesse o no, le cose non avevano fatto che peggiorare, e in modo sempre più drastico. Date le circostanze era da considerarsi un mezzo miracolo che sia lui che Gala fossero ancora vivi. Gli parevano passati secoli dal giorno in cui avevano discusso della missione con il maestro Raenys, a Sasha. Ricordò che anche allora aveva dovuto serbare una sottile e tediante forma d'ansia, ma le condizioni di allora erano talmente preferibili alle attuali che il giovane rimpiangeva di essersi preoccupato tanto. Il viaggio che inizialmente aveva tentato di considerare come un incarico "normale" si era trasformato proprio nell'incubo che inconsciamente aveva sempre temuto.
Con uno scatto di rabbia mollò un calcio al materasso, con l'unico risultato di sentirsi ancora più idiota. Andiamo, sei un Consigliere o cosa? Credi che il maestro Camosh si lascerebbe sovrastare così dalle emozioni? Non è ancora finita, niente è perduto. Riuscirete a prendere le ultime Pietre, le riporterete a Grimal e andrà tutto bene.
Jel si impose di rimanere calmo, agitarsi non avrebbe fatto altro che spossarlo ancora di più. Doveva riposare ora - no - doveva dormire un po' ora, poi ci sarebbe stato tutto il tempo per pensare al futuro.
Paradossalmente, i suoi pensieri volarono a sua madre Lys. Gli mancava, oh come gli mancava. Il suo sorriso sincero, i modi timidi e gentili, l'eleganza che la caratterizzava in qualunque cosa facesse. Ora più che mai sentiva di aver bisogno della sua presenza, presenza sottile e delicata, ma che per lui era la cosa più rassicurante al mondo. Ripensò anche alle proprie origini, al sangue che - o così almeno i documenti scrivevano - scorreva nelle sue vene. Il sangue di Will Cambrest, il grande eroe di quasi duecento anni prima.
Da quando era bambino aveva sempre sognato di imitare il proprio antenato in qualche grande impresa, fino al giorno i cui era entrato a far parte del Gran Consiglio: allora, quella speranza non gli era sembrata più poi così lontana.
Dovresti essere felice, no? si chiese. Non era questo che volevi? Combattere per la pace e la serenità di Fheriea...
In realtà la sua avventura si era dimostrata piuttosto diversa; non c'era stato nulla di eroico o spettacolare nelle gesta che aveva compiuto finora. Di certo nella sua vita non c'era ancora stata ombra di draghi, combattimenti all'ultimo sangue (da cui uscire vittoriosi) o splendidi e remoti territori da scoprire. Il giovane sorrise amaramente al pensiero, ricordando quante volte avesse domandato ai suoi genitori di raccontargli la storia di Will, da bambino. Allora tutto ciò gli era parso grandioso ed invidiabile, ma in quel momento il Consigliere non avrebbe desiderato altro che non fosse trovarsi ancora a casa propria, partecipare alle solite riunioni, rimanere nell'ombra inutile, nella norma ma al sicuro. E invece no, come un idiota si era immischiato in quella faccenda così più grande di lui dalla quale, ne era certo, non sarebbe uscito incolume.

***

BIBLIOTECA DI CITTÀ DEI RE


I lembi del mantello di Camosh strusciavano fastidiosamente sul pavimento della grande biblioteca della capitale, mentre le mani e lo sguardo del mago continuavano a saettare nelle più svariate direzioni. Si trovava in quel reparto da quasi un'ora e non era la prima volta che vi si recava, anche se i suoi girovaghi all'interno dell'immensa struttura avevano compreso gran parte di essa. Dopo aver esaminato da cima a fondo la biblioteca di Grimal, si era spostato in quella di Città dei Re. Aveva consultato i registri della biblioteca fino allo sfinimento, ma essi erano talmente vasti da risultarne impossibile una lettura completa ed esaustiva. Per come stavano realmente le cose, non gli era ancora capitato sotto gli occhi nulla di veramente interessante. Avrebbe dovuto aspettarselo: da anni a quella parte chi mai avrebbe avuto un buon motivo per condurre una ricerca sulle Pietre?
Poi, d'un tratto, lo sguardo gli cadde su uno spesso e distinto volume rilegato di color cupo rossastro.

L'uomo cammina negli ampi corridoi tentando di mascherare la propria urgenza. Sul volto ha stampata un'espressione quasi febbrile, ma si sforza di procedere con calma. Ha già incrociato diversi Consiglieri e intellettuali nella biblioteca, ma ha evitato di iniziare conversazioni con tutti loro. Non deve dare nell'occhio e soprattutto deve essere rapido. Non ricorda in quale reparto siano custoditi gli scritti sui talismani, e la cosa lo sta facendo innervosire non poco: Camosh potrebbe recarsi lì da un momento all'altro, e in quel caso terminare il compito diventerebbe quasi impossibile.
Passano ancora diversi minuti prima che giunga nel reparto giusto. Getta lo sguardo sul ripiano di legno più vicino e gli capitano sott'occhio parole come
talismani, maledizioni, tecniche contro il malocchio, manufatti. Non vi è ombra di ciò che cerca, non ancora.

Lo aveva già notato altre volte, un volume dal titolo inciso in caratteri argentei che recitava: "Imposizione di sortilegi su soggetti animati e non" a cura di un certo Berion Arkalem, ma non vi aveva mai fatto realmente attenzione. Non gli serviva a nulla creare lui stesso qualche manufatto magico, perché interessarsene?
Eppure ora lo squadrò con attenzione, incuriosito. E vide chiaramente qualcosa che non aveva mai notato prima: uno spigolo del dorso pareva innaturale, come fosse sollevatosi da solo. Era sfilacciato, fuori posto in un certo senso.
L'ultima volta non era così... rifletté fra sé e sé, poi comprese: qualcuno deve averlo consultato dall'ultima volta in cui sono stato qui.
Con circospezione lo estrasse dalla libreria e lo aprì.

Alla fine la sua pazienza è premiata: proprio al fondo del reparto un titolo a caratteri brillanti attira la sua attenzione. "Es Machien Imeldae". L'idioma è il Fladjir, la lingua parlata anticamente nel Bianco Reame. La lingua della magia. Raek ne conosce la traduzione: semplicemente, Le Pietre Magiche.
Perfetto...
Sollevato, l'uomo vi sia avvicina e lo estrae con delicatezza. Gli basta sfogliare le prime pagine per comprendere che è il volume che cercava. Si parla di un certo Jon Coleman, dei primi Custodi e, soprattutto, di loro, le Pietre. Il giorno in cui sono state create. Il
fine per cui sono state create.
- Vi serve aiuto, signore? - una giovane sorvegliante interrompe le sue riflessioni. L'uomo si volta di scatto e si ritrova a fissare una ragazza graziosa, di una ventina d'anni al massimo. Dev'essersi appena unita al corpo che tiene d'occhio i vari reparti, dando una mano all'anziana custode Jhar. Lei arrossisce all'istante nel riconoscerlo, esibendosi in un buffo inchino.
- Lord Raek... non intendevo disturbare.
- Nient'affatto, nient'affatto.... - risponde cordiale Astapor, anche se in realtà desidera solo poter continuare il proprio lavoro. Poi nota che la ragazza regge in mano un libro rossastro. Inclinando la testa riesce a leggerne il titolo: "Imposizione di sortilegi su soggetti animati e non." Sorride: può tornare utile.
- Lo stavi riponendo al suo posto, signorina? - domanda alla sorvegliante, la quale annuisce educatamente e risponde:- Una lady lo aveva dimenticato su uno dei tavoli nella sala per gli studi, lo stavo riportando nel suo reparto...
- Che sarebbe?
- Vicino alla scalinata che porta al piano superiore, primo blocco, reparto cinque.
- Lascia che faccia io - Astapor Raek glielo sottrae gentilmente dalle mani, approfittando del suo imbarazzo nel trovarsi di fronte un lord. - Torna pure alle tue solite mansioni.
La giovane, che pare non desiderare altro che allontanarsi, accetta e gli volta le spalle.
Molto bene...

Camosh comprese all'istante che qualcosa non quadrava, perché fin dalla primissima pagina l'intestazione recava una citazione: "Le Pietre Magiche sono talismani. Le Pietre magiche sono simboli. Le Pietre Magiche possono divenire armi".
Le... Pietre...
La mente del Consigliere vorticò, ma dopo un attimo di sgomento cercò di far prevalere la ragione. Qualcuno doveva aver attuato un incantesimo di scambio, invertendo le posizioni di quel libro e di qualche altro. Non c'era da stupirsi che non avesse mai trovato alcun titolo interessante. Chissà in quale reparto l'ignoto mago doveva aver riposto la rilegatura dal titolo originale...
La paura arrivò solo qualche momento dopo: nessuno dei Consiglieri avrebbe mai potuto compiere un gesto del genere. Pareva che qualcuno avesse tentato di ostacolare la sua ricerca. Ma... nessuno al di fuori del Consiglio poteva esserne a conoscenza.
Una consapevolezza, oscura, ferrea e inequivocabile, si fece strada in lui. Questo prima che una figura si materializzasse alle sue spalle.
- Ben ritrovato, maestro Camosh - proferì una voce melliflua.

Nessuno deve accorgersi di ciò che farà, perché questo comporterebbe venire a conoscenza della propria segreta abilità delle arti magiche.
Ancora ringraziando l'ingenuità della ragazza, l'uomo si prepara ad agire. Pone su uno stesso piano di legno i due volumi e –badando a non farai udire – recita sottovoce la litania di incantesimi che gli occorrono. Lentamente, la copertina del primo libro si separa dalle pagine, e così fa quella del secondo. Concentrato e con gli occhi chiusi, Astapor Raek incrocia le braccia e fa ondeggiare le dita delle mani. Quando solleva le palpebre, i due libri sono ancora di fronte a lui. I titoli non sono modificati. Solo
scambiati. Solleva il volume sulle Pietre e lo rinfila al proprio posto, nell'ultimo scaffale. Poi prende l'altro e si avvia verso il reparto indicato dalla sorvegliante; lo raggiunge in poco tempo e cerca un posto vuoto fra gli scaffali.
Riflette... Forse sarebbe meglio eliminare direttamente il volume originale... ma no, in quel modo la sua assenza verrebbe notata. È meglio così. Basta che Camosh sia abbastanza intelligente da
non ficcare il naso in un volume il cui titolo non abbia rilevanza per la sua ricerca.
Non dovrà mai venirne a conoscenza.








Note dell'autrice: e come sempre... scusate il ritardo!
Contrariamente a quanto avevo pensato non sono decisamente riuscita a postare entro la fine di maggio, ma per la prima metà di giugno sì :) Ora vi avverto eh, fra poco più di una settimana iniziano gli esami e già non so come ho fatto a terminare il capitolo per oggi xD quindi... glom... ci sentiamo al più presto. Lasciate una recensione ;)
Ciao ciao, vi dirò se sono stata promossa ><

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


14








Anche se aveva paura, Camosh tentò di non darlo a vedere.
All'istante pose il volume che reggeva dietro la schiena, sperando che il nuovo venuto non se ne fosse accorto, e rispose:- Consigliere Raek. Anche voi qui, come vedo.
Non aveva ancora ben chiaro quanto fosse precaria la situazione in cui si era cacciato, ma in lui rimaneva ancora una vaga speranza di riuscire a uscirne senza danni. Doveva prima essere sicuro di quanto aveva appurato, riuscire ad estorcere ad Astapor Raek le informazioni vitali.
L'uomo fece un passo verso di lui, sempre mantenendo quello strano sorriso forzato, ma Camosh non indietreggiò. Non si era guadagnato il titolo di mago più capace dello Stato dei Re indietreggiando come un codardo davanti al pericolo e all'incertezza.
- Vedo che avete trovato qualcosa di interessante, finalmente - sentenziò il Consigliere ammiccando al libro che lui aveva goffamente cercato di celare.
Camosh avvertì distintamente una piccola goccia di sudore imperlare la propria fronte e, cercando di ignorare la gola secca, annuì e confermò:- Sì, mi sono appena imbattuto in una lettura piuttosto interessante... ma forse prima di proporlo al Consiglio dovrei darci un'occhiata più approfondita.
Astapor Raek pareva essere perfettamente consapevole di tenerlo in pugno, ma il maestro non aveva alcuna intenzione di dargli corda. Prima doveva sapere, doveva capire...
Un piccolo sospiro da parte del Consigliere, poi l'uomo allungò la mano verso di lui e disse stancamente:- Te lo dirò senza girarci intorno, maestro. Dammi quel libro immediatamente - un velo di minaccia trasparì da quella parole. Camosh, suo malgrado, sorrise.
- Forse dimentichi chi sono, Raek - disse freddamente, abbandonando la forma di cortesia. - Tu non hai alcun potere su di me.
La risposta del lord fu enigmatica:- Di questo non ne sarei così sicuro. Ci sono molte cose di me che ignori...
- Ad esempio che hai tradito le Cinque Terre sposando la causa di un agitatore nordico? Questo tipo di segreti?
Astapor rise sarcastico poi, tornando a fissarlo, confermò:- Sempre dritto al punto, Camosh. In ogni caso sì, questo tipo di segreti, ma al momento non ho tempo da perdere con le confessioni. Avanti, consegnami quel libro, dammelo adesso.
Camosh non si mosse; dunque i suoi timori si erano rivelati fondati... ma diamine, come poteva non averle scoperto prima? Raek aveva ingannato tutti loro, l'intero Consiglio, le persone più capaci e influenti di Fheriea, tutte ingannate da una singola maledetta spia. A meno che... si rese conto con un sussulto, a meno che non fosse il solo...
- Ce ne sono altri? - chiese di getto, ignorando la richiesta del Consigliere. - Quanti uomini ha Theor sparsi a Grimal?
Un'altra risatina da parte dell'uomo di fronte a lui.
- Oh, Camosh, nel Consiglio sono io l'unico infiltrato, se è questo che temi. Molti degli emissari del Nord non sono neanche veri e propri informatori. Sono semplicemente nascosti, qua e là... ormai si stanno espandendo. Ormai Theor non è potente solo più ad Amaria, è conosciuto anche a sud. C'e chi lo teme, chi lo ammira... chi sarebbe disposto a seguirlo.
- Come? - Camosh davvero non riusciva a capacitarsi. - Cosa può promettere un uomo come lui alla gente comune? Non tutti bramano l'indipendenza, c'é chi appoggia Fheriea, c'é chi si fida di Fheriea.
Astapor lo squadrò compiaciuto e spiegò:- Oh, ti assicuro che di gente ce n'é eccome. Gli anarchici, i reietti, gli uomini in cerca di potere...
- Come te ad esempio, giusto? - lo interruppe Camosh sprezzante. - Tu che cosa vuoi? Fammi indovinare: lo Stato dei Re.
L'altro alzò le mani e replicò:- No, no... Non nutro ambizioni così grandi. Diciamo che mi accontenterei dell'Isola Grande. Poi... il resto si vedrà - si aprì in un sorriso soddisfatto. Camosh scosse la testa.
- Disgustoso... - sentenziò. - Da te mi sarei aspettato qualcosa di più originale...
- Hai ragione, colpa mia. Si sa, gli uomini sono creature banali. Perdonami - e così dicendo, l'uomo sollevò un braccio e lo agitò davanti a sé chiudendo la mano a pugno. Il Consigliere non fece neanche in tempo a rendersi conto di quanto stava accadendo che entrambe le librerie che gli stavano di fianco collassarono su di lui, spargendo i pesanti volumi che vi erano conservati ovunque. All'ultimo momento il maestro tentò un incantesimo difensivo, ma non c'era più tempo. Uno spigolo di legno sbatté con forza sulla sua fronte e, semi sommerso da una marea di libri, Camosh crollò a terra. Quando riaprì gli occhi si scoprì ancora abbastanza lucido da scorgere la figura di lord Raek che, calpestando libri e ripiani di legno spezzati, si faceva strada verso di lui.
Come... com'è possibile?
L'uomo si chinò con un ghigno trionfante e sottrasse dalla sua mano incastrata il pesante tomo riguardante e Pietre.
Maledizione, no... no... le ultime speranze lo abbandonarono insieme alle forze. Non riusciva a muoversi, e anche le facoltà mentali lo stavano abbandonando... Un abbondante rivolo di sangue scivolò sul suo occhio destro annebbiandogli la vista. Astapor Raek era riuscito ad ingannare tutti loro, nascondendo di essere un mago al servizio del Nord, e ora il volume più importante della biblioteca era nella sue mani. Doveva essere stato Theor ad insegnargli qualche trucchetto... Ma da quanto? Da quanto il Consigliere li aveva traditi? Conscio che probabilmente non avrebbe mai potuto saperlo, rimase a guardare Raek che leggeva il titolo, negli occhi una luce vittoriosa. Poi, come ricordandosi di lui, l'uomo tornò a fissarlo e dopo un istante compì uno strano gesto con le dita, movenza che a Camosh ricordò terribilmente un arpione. Un secondo dopo, l'anziano Consigliere avvertì la propria gola lacerarsi.
Pigramente, Astapor Raek rivolse un breve mormorio verso le librerie crollate, che lentamente si ricomposero e tornarono al loro posto, mentre i libri spiegazzati si sollevavano e venivano riposti sugli appositi scaffali.
- Molto bene... - mormorò l'uomo, per poi posare gli occhi sul corpo senza vita del maestro Camosh. Non poteva trasportarlo fuori, sarebbe stato troppo riconoscibile. A quell'ora, la biblioteca doveva essere già chiusa da un pezzo. Era stata una fortuna che il loro reparto fosse uno dei più lontani dalle uscite, in modo da permetter loro di agire indisturbati e non farsi più vedere. Ma come avrebbe fatto ad andarsene da lì? L'ingresso dopotutto era sempre sorvegliato...
Non ha importanza. Passerò la notte qui, se necessario.
Raek si avvicinò al corpo di Camosh mormorando un - Varjia... - sommesso, formula che permetteva l'evanescenza dei corpi. Piano, i contorni della figura del Consigliere ormai defunto sbiadirono, fino scomparire del tutto; i primi a svanire furono gli arti, poi la vita, il busto e infine il volto. Rimaneva solo più il suo sangue, purpureo, sparso sul pavimento. Con disinvoltura, il traditore estrasse dalla tasca un fazzoletto di velluto e cancellò le ultime tracce. Infine si sedette a terra, la schiena appoggiata contro una delle librerie, e si permise di riflettere su quanto aveva compiuto. Non sarebbe stato facile uscire dai guai ora. Era vero, aveva eliminato una delle più grandi minacce che Theor si sarebbe trovato ad affrontare, senza contare che in questo modo la ricerca delle informazioni sulle Pietre, probabilmente, non sarebbe mai giunta alla fine. Avrebbe provveduto personalmente a far sparire quel volume, non gli importava se poi gli archivi della biblioteca sarebbero risultati incompleti. Era arrivato a metà opera e doveva concluderla. Questo non toglieva che Camosh fosse uno dei Consiglieri più anziani e rispettati, e la notizia della sua morte avrebbe fatto scalpore; c'erano persone che Astapor temeva ben più della Guardia cittadina, persone sagaci e calcolatrici, come il maestro Raenys, a cui non sarebbe sfuggito nulla. Molte cose avrebbero potuto condurre la colpa a vertere su di lui. Doveva fare attenzione, un minuscolo passo falso e il Consiglio avrebbe scoperto tutto. Tradimento... omicidio... La pena doveva essere quella di morte. Ma onestamente, il lord dell'Isola Grande non aveva alcuna intenzione di finire con la testa su di una picca.


TAMITHIA, CAPITALE DELL'ARIADOR


Gala e Ftia lasciarono la stanza di Jel senza scambiarsi una parola; la ragazzina era ancora piuttosto frastornata dagli tutti gli ultimi avvenimenti che si erano susseguiti con una velocità impressionante. Solo qualche ore prime i due Consiglieri si erano ritrovati nelle mani di mal e Sephirt ora invece...
- Vuoi mangiare qualcosa?- le chiese la cacciatrice in tono pratico mentre entravano nel piccolo cucinotto. Gala, che si era resa conto solo da pochi minuti di essere terribilmente affamata, annuì grata e si sedette su una delle traballanti sedie di legno; Ftia si sollevò in punta di piedi per raggiungere uno scaffale e tirò giù un barattolo contenente una strana marmellata bluastra. - È fatta con i fiori di terjis - spiegò mentre, dopo averla appoggiata sul tavolo, estraeva da una sacco una micca di pane nero e cominciava a tagliarlo a fette. - Gli stessi dell'infuso di té?- replicò Gala sorpresa. La donna sorrise e annuì:- Gli stessi, già. I campi nei pressi di Tamithia ne sono pieni in questa stagione...
A quelle parole lei rimase un istante in silenzio. Già, quella,stagione... ma in che stagione erano? Era passato talmente tanto tempo da quando aveva avuto l'occasione di consultare un calendario che la ragazzina aveva perso il senso del tempo. Tuttavia, dati i fiori pronti a sbocciare e il clima tiepido le facevano presumere che si trovassero in primavera.
Ftia nel frattempo, che era sparita alla volta della cantina, era riapparsa con in mano una pesante brocca in terracotta coma di un liquido aranciato. - Succo di pesca - annunciò. - Ne vuoi un po'?
Prima di rispondere Gala si chiese se quella fosse davvero la donna che pochi minuti prima li aveva ricattati al fine ottenere denaro, ma poi annuì grata. Lei afferrò un paio di bicchieri, li colmò entrambi e ne porse uno alla strega. Bevve avidamente, e poi si prese una fetta di pane intingendo un coltello nella marmellata. - Posso vero? - chiese retoricamente a Ftia, la quale fece un cenno affermativo ridendo leggermente. Gala si spalmò un'abbondante porzione di marmellata blu sul pane ne addentò un pezzo. Era buona; un po' aspra forse, ma buona.
- Niente male. L'hai fatta tu?
- Mia sorella. Abita appena fuori della città e adora i fiori e i frutti.
Avete interessi diversi, a quanto pare... pensò la ragazzina ironica, ma non lo disse. Consumò il proprio cibo senza più parlare, assaporando ogni singolo boccone. Era da settimane che non toccava del cibo a lei offerto, fino a quel momento lei e Jel erano sempre stati costretti ad arraffare pietanze nei mercati o negli orti di qualche contadino.
Qualche minuto dopo, fu Ftia a spezzare il silenzio. - Fra qualche mese vado a Città dei Re per assistere ai Giochi - buttò lì. Gala la guardò sorpresa. - Davvero? - chiese con un pizzico di entusiasmo. - E li hai mai visti prima d'ora?
- Una volta, due anni fa - rispose Ftia tranquillamente. - L'anno scorso in quel periodo ero impegnata con faccende di lavoro, quindi... Ma per quella volta posso dirti che è stato grandioso.
- Wow, accidenti... Mi piacerebbe da morire venire a vederli anch'io... E i Combattenti come sono? I duelli sono spettacolari?
Fti sorrise al ricordo e rispose:- In verità non sempre. A volte a sfidarsi sono ragazzi giovani e impreparati, e quelle volte la cosa sfiora il penoso; alla fine a vincere è quello con più fortuna... Ma se ti capita di assistere a gente come James Sangster, beh... le cose cambiano.
Gala notò distintamente il lampo di adorazione che era balenato negli occhi scuri della donna e replicò:- James Sangster? Chi è, un vincitore?
- No, purtroppo no, non ancora - rispose lei scuotendo la testa. - Ma lo meriterebbe davvero. Ha un talento nato ed è giovanissimo, venticinque anni o giù di lì...
- E Jackson Malker? L'hai visto?
- E come dimenticarlo? - fece Ftia di rimando. - Dopo uno dei suoi scontri la ragazza che era seduta vicino a me è scoppiata in lacrime. Quell'uomo è... sconvolgente.
Jackson Malker in effetti era l'unico combattente la cui fama fosse talmente spietata da essere arrivata fino alle orecchie di Gala. Doveva aver vinto i Giochi Bellici per tre o quattro volte di fila, da quanto la gente diceva...
Improvvisamente fra le due calò il silenzio; il comune interesse per i Giochi le aveva avvicinate per quel breve scambio di battute, ma ora un muro di imbarazzo era tornato a separarle. Gala rimase qualche istante a fissare il proprio bicchiere, vuoto, poi si rialzò e domandò:- Vuoi che ti aiuti a mettere a posto? Io...
- Non c'e bisogno, tranquilla - ribatté la donna mentre con fare annoiato riprendeva le varie stoviglie e le ammucchiava in un angolo del piano di legno. - Me ne occuperò io.
- Beh... grazie - fece la ragazzina di rimando, poi si voltò verso la porta d'ingresso. - Ti... ti dispiace se dò un'occhiata in giro? - non ne poteva più di rimanere confinata in quella casa, con Jel addormentato e in compagnia di una donna che non conosceva. Ftia annuì con un risolino e rispose:- E perché me lo chiedi? La vita è tua, io vi sto solo dando una mano.
- Ma certo... - disse Gala a mezza voce, arrossendo un poco: aveva pienamente ragione, ovvio che ce l'aveva. Fai solo attenzione... si ricordò mentalmente mentre usciva di casa. Stai nei paraggi e non dare troppo nell'occhio.
La stretta via dove si trovava l'abitazione di Ftia era pressoché deserta, ma già nell'intersezione fra essa e una delle strade principali Gala poteva scorgere un certo movimento. Si avvicinò con circospezione, controllando da lontano che fra i passanti non vi fosse nessuno che somigliasse a Sephirt... pur sapendo che era una precauzione futile: se la strega fosse stata davvero sulle loro tracce, avrebbe potuto benissimo ricorrere ad un incantesimo di camuffamento per non farsi riconoscere. Ma al momento lei tentò di allontanare le preoccupazioni, tenendo presente che Sephirt è fuggita dopo la morte di Mal. Ci sono un milione di posti dove potrebbe essere andata, magari è anche tornata nelle Terre del Nord... E anche se così non fosse, come farebbe a sapere che siamo proprio a Tamithia?
Magari perché è qui che si trova la Pietra Blu?
suggerì la solita vocina diffidente nella mente di Gala, che cercò di non darvi peso. Starò fuori solo per poco...
Si guardò intorno mentre si univa alla gente che, spensierata, indaffarata o allegra, camminava lungo l'ampia via. Il sole non stava ancora tramontando e la luce che inondava la città pareva dorata, piacevole. Alcuni nuvoloni carichi di pioggia parevano in avvicinamento da est... Ripensando al clima torrido dell'Haryar e a quello umidiccio di Tharia, Gala ringraziò sentitamente di trovarsi in Ariador: il clima lì era temperato e gradevole in quasi ogni stagione, specialmente in quella regione. La strega imboccò un'altra viuzza leggermente più ampia di quella dove viveva Ftia, e diede un'occhiata alle abitazioni, agli empori e le botteghe che riempivano le costruzioni. Dall'aspetto della strada poteva indovinare di starsi portando sempre più vicina al centro della città, dove il tenore di vita era quantomai migliore. Nel passare accanto ad un emporio di vestiti e calzature, rimpianse ancora una volta di aver perduto tutto il denaro. Una volta prelevata la pietra d'Ariador, lei e Jel sarebbero stati costretti a recarsi a Città dei Re e infine nelle Terre del Nord, dove semplici casacche e stivali non sarebbero bastati a proteggerli dal freddo. Forse avrebbe dovuto chiedere a Ftia di prestar loro una decina di york per gli acquisti necessari... Cretina! si rimproverò mentalmente. Ftia non accetterebbe mai, già è tanto che ci abbia ospitati... sotto pagamento. Tuttavia, se le e Jel avevano intenzione di sopravvivere al clima gelido del Nord, avrebbero dovuto trovare il modo di procurarsi i capi necessari.
Gala si sedette sui gradini di uno dei portici, godendosi la delicata brezza che le soffiava sul viso. Socchiuse gli occhi e provò liberare la mente; se solo la. Magia le avesse permesso di sollevarsi e volare via... lontana da quella guerra, da quei pericoli, da quella interminabile ricerca...
- E tu che cosa ci fai qui?
Per un attimo, il cuore le balzò in gola, mentre riapriva di scatto gli occhi e si voltava in direzione della voce che l'aveva sorpresa. Ma tirò un sospiro di sollievo nel constatare che si trattava solo di un bambino. Non poteva avere più di dieci anni. Era esile, dalla carnagione candida, in viso una spennellata di piccole lentiggini. I capelli, ricci e chiari, si intonavano perfettamente con le sopracciglia quasi trasparenti, le guanciotte rosee e i piccoli occhi azzurri. Un perfetto esempio di Ariadoriano... pensò lei divertita.
- Allora? Perché sei davanti alla mia casa? - insistette il bambino, ma il suo tono non era per nulla aggressivo. Solo incuriosito. Gala decise che poteva permettersi il lusso di attendere ancora qualche minuto prima di rientrare. Guardò il ragazzino e sorrise:- È casa tua questa? Posso rimanere qui seduta ancora un po'?
Il bambino la guardò un po' sospettoso, poi si lasciò scivolare a sedere accanto a lei, estraendo dalla tasca un paio di biscotti. - Ne vuoi uno? Li ha fatti la mia mamma.
Gala, il cui stomaco stava ancora cercando di superare l'acidità di quella stupida marmellata di fiori, scosse la testa educatamente. - No grazie, mangiali pure tu.
- Non ti avevo mai vista qui. Io conosco tutti i bambini del posto.
Lei sorrise:- Ma io non sono una bambina, lo sai? Sono quasi una donna, ormai.
Il bimbetto, imperturbabile, riprese:- Ma non ti ho mai vista comunque - ammiccò ai suoi lisci capelli viola. - Sei del Bianco Reame? È da lì che vieni?
La ragazzina rise e rispose:- No, no, io vengo da Grimal, nello Stato dei Re. Però una cosa l'hai indovinata: sia mia madre che mio padre avevano origini tra Gente Bianca.
Fece per aggiungere anche del proprio praticare la Magia, di essere nel Consiglio e tutto il resto, ma poi ricordò a sé stessa che lì non era sicuro; non era venuta a Tamithia per pavoneggiarsi delle proprie capacità con la prima persona che avesse incontrato. - Wow... - fece il bambino di rimando, e Gala arrivò a chiedersi: ma perché diavolo sto perdendo tempo a parlare così? Dovrei tornare, forse...
Il suo piccolo interlocutore non aveva abbandonato l'espressione entusiasta. - Ti va di venire un po' a casa mia? Ti faccio conoscere mia sorella, lei e grande come te e... - ma la strega scosse la testa. - Mi dispiace, ma non ho tempo - disse gentilmente. - In un altro momento, in un'altra vita, mi avrebbe fatto molto piacere conoscere la tua famiglia. Ma ora non posso.
Si rialzò e gli sorrise ancora una volta. - Io sono Gala Sterman. È stato un vero piacere.
- Simon - rispose lui mentre la ragazzina si allontanava.
Gala si rese conto fin troppo in fretta che la strada da lei percorsa era decisamente più di quanto avesse immaginato. Girovagò per quelle vie tutte uguali per diversi, lunghissimi minuti, urtando contro la gente e innervosendosi sempre di più il suo progetto di tornare a casa di Ftia prima del tramontare del sole era andato bellamente a farsi benedire. Ad un tratto, un empio tuono, unito a qualche leggera gocciolina, annunciò che il temporale non doveva essere lontano. E ci mancava solo questo... sbuffò la strega tentando di coprirsi i capelli con il colletto. Avrebbe voluto chiedere indicazioni a qualcuno, ma quali indicazioni? Chi poteva conoscere Ftia? Forse si trattava di auto suggestione, anzi, sicuramente, ma la ragazzina cominciò a temere di essere osservata. O peggio... seguita?
Adesso basta, Gal! È andato tutto bene fino adesso, non c'é niente di cui preoccuparsi... Sephirt non è qui...
Riuscì finalmente a trovare il viottolo che cercava proprio mentre la pioggia diveniva più insistente. Percorse l'ultimo tratto di strada correndo, ma ciò non le impedì di ritrovarsi fradicia quando Ftia Elbrik venne ad aprirle la porta. Bagnata e schiumante di rabbia, Gala ignorò la sarcastica battuta della donna e rientrò in casa borbottando.






Note: e dopo questo lungo periodo di stacco... eccomi. Beh, l'avevo detto che avrei postato verso la fine di giugno e così è stato. Nel caso ve lo steste chiedendo, sì, gli esami si sono conclusi bene e sono stata promossa, weeee ^^ La vera estate comincia ora! Spero in questi mesi di vacanza di riuscire a pubblicare un po' rapidamente ;) In ogni caso, il capitolo 14 ora c'é. Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


15








Jel alzò gli occhi dalla propria porzione di zuppa e rimase a guardare stupito mentre l'amica, bagnata fino all'osso e dall'aria estremamente infastidita, metteva piede nella piccola cucina. Poi ridacchiò:- Non lo sai che non è bene uscire quando diluvia?
- Ah-ah - borbottò Gala sfilandosi la casacca e gettandola con mal grazia in un angolo. - È praticamente da buttare... - si lamentò a bassa voce, ma il mago la udì e replicò con leggerezza:- E dai Gal, appena finisco di mangiare le do una sistemata.
- A proposito, vedo che stai meglio finalmente.
- Finalmente?- il giovane la guardò con occhio critico, ma non si sentiva poi così offeso. - Credimi, se avessi seguito un mio desiderio egoistico sarei rimasto a letto a dormire ancora per tutta la sera... e la notte. Ma ormai dobbiamo darci una mossa.
- E per fare cosa?- domandò Ftia, che nel frattempo era riemersa dall'ingresso. Prima di attendere una risposta si rivolse a Gala:- Magari, la prossima volta, cerca di darti una scrollata prima di inondare la mia casa d'acqua, eh?
La ragazzina ignorò il suggerimento continuando a guardare dall'altra parte, e Jel rispose:- Domani dobbiamo andare a palazzo. Abbiamo aspettato anche troppo per prelevare la Pietra d'Ariador... solo che... avevo bisogno di riposare - in realtà si sentiva vagamente in colpa per aver rallentato così l'andamento della missione, ma d'altra parte per continuare un viaggio così pericoloso aveva bisogno di essere in forze. Entrambi ne avevano bisogno.
Ftia annuì, sedendosi al proprio posto. - Ma certo... - disse con calma. - E di preciso come pensate di fare per convincere il Custode a consegnarvi quello che volete?
- Questa non ti dice niente?- esclamò Gala, ancora gocciolante, estraendo dalla tasca la piccola spilla dorata. - È il simbolo dei Consiglieri, ogni membro del Gran Consiglio ne possiede una...
- E comunque noi conosciamo perfettamente il sovrano Aesyon, così come il maestro Ellanor. Nel vederci di persona non credo che avranno molti dubbi... - dopotutto, anche se avevano perso mantelli e cavalcature, il loro aspetto rimaneva comunque lo stesso. E le spille rimanevano sempre un segno rivelatore. La cosa che più lo preoccupava era l'idea di dover raccontare ad Ellanor dei recenti, tragici sviluppi che la missione aveva preso; era sicuro che, una volta saputo di Mal e Sephirt, il maestro non avrebbe più permesso loro di continuare il viaggio. Che al momento necessitasse loro una qualche protezione era lampante, ma - come già accaduto in passato - a Jel l'idea di dover viaggiare con una scorta al seguito pareva ancora più scoraggiante di quella di proseguire soli, lui e Gala. Il giovane pensò anche a cosa avrebbe potuto ribattere la compagna a riguardo... più tardi avrebbe dovuto trovare un momento per discuterne da solo con lei.
Mentre la cacciatrice terminava la propria cena, Jel - dopo averla ringraziata per il servizio - seguì Gala nella stanza dove aveva riposato nelle ore prima. La strega si buttò sul lettuccio senza tanti complimenti, ma lui si convinse che poteva lasciarla riposare anche più tardi. - Senti, Gal... - esordì. - So che adesso sarai stanca e vorrai solo dormire un po', ma dobbiamo parlare.
- Si certo - mormorò lei girandosi dall'altra parte. - Facile per te dirlo, dopo che sei stato qui tutto questo tempo... - ma Jel non l'ascoltò e si sedette sul bordo del letto. - Domani andremo al palazzo di Tamithia e prenderemo la Pietra, su questo siamo d'accordo. Però... io... non so se sia un bene che raccontiamo tutto quanto ad Ellanor, o al re. Insomma, la storia di mal e Sephirt, tutto questo... forse potrebbe recarci più danni che altro.
- Ma sei impazzito?- Gala si tirò su di scatto. - Hai davvero intenzione di continuare da soli?
Un po' nervoso Jel confermò:- Esatto. Pensaci bene, Gal: se gli altri Consiglieri scopriranno che siamo seguiti probabilmente non ci permetteranno di continuare il viaggio e... le possibilità che la Pietra del Nord rimanga nelle mani dei Ribelli non farebbe che aumentare... tutta questa strada sarebbe stata inutile...
Gala si rialzò e prese a camminare avanti e indietro per la stanza, tormentandosi le mani. - Questo è vero... - ammise con voce flebile. - Ma... Jel, io te lo dirò sinceramente: non ho più la forza di continuare così, di rischiare continuamente la vita. Con Mal e Sephirt ce la siamo cavati un po' per fortuna, un po' grazie a Ftia... ma inoltrarci nelle Terre del Nord è tutt'altra cosa.
- Lo so, Gala, ma noi...
- No, aspetta Jel. Abbiamo fatto il possibile. Prendiamo la Pietra d'Ariador e poi quella dello Stato dei Re, e riportiamole al Consiglio. Verrà incaricato qualcun altro di recarsi ad Amaria, qualcuno di molto più esperto...
Aveva ragione, questo era innegabile. Era andata bene loro per due volte, tre se contavano anche lo scontro con il gruppo di Ribelli in Haryar. Nelle Terre del Nord, invece, si sarebbero dovuti trovare a fronteggiare nemici da ogni fronte... Era piuttosto buffo: solitamente era sempre stata Gala quella impulsiva e - forse - incosciente fra i due, ma in quel momento Jel sentiva che per lui non c'era altra scelta. Forse era il sentore di una responsabilità troppo esagerata, ma il compito di trovare l'ultima Pietra e riportarla nelle mani del governo delle Cinque Terre spettava a lui. Aveva accettato quell'incarico così vitale nel momento in cui si era offerto volontario, e non vi avrebbe rinunciato proprio in quel momento. Si rivolse a Gala: - Capisco che tu abbia paura, è naturale. Hai... - si sforzò di essere gentile. - Hai già affrontato cose molto più grandi di te e sei stata bravissima.
Notò che l'amica era lievemente arrossita, e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso.
- ... Ma non ti costringerò a rischiare ancora. Sei vuoi tornare a Grimal da sola sei libera di farlo. Posso continuare il viaggio anche da solo.
Rimase a fissarla, attendendo una reazione. L'espressione di Gala si fece dapprima sorpresa, poi passò dallo spaventato all'arrabbiato in pochi secondi. - E tu credi che per me sarebbe facile vero? Mollarti qui e tornare a casa come se nulla fosse - replicò incrociando le braccia. - Come cavolo potrei tornare a Grimal e raccontare ai Consiglieri che ti ho abbandonato nel bel mezzo della missione? E a tua madre Lys, non pensi?
Piccato, il giovane scosse la testa. - Non ti obbligo a fare nulla, Gala. Se decidi di continuare la missione sarò ben felice, ma piuttosto che vederti morire nel Nord... sì, rimandarti a casa mi pare molto più indicato. Di certo non tornerò anch'io proprio adesso.
Lei fece per replicare qualcosa di acido, ma il mago si inginocchiò davanti a lei poggiandole le mani sulle spalle. - Gala. Non capisci quanto sia importante? Ogni minuto che perdiamo a discutere è un momento guadagnato da Theor e dalle sua ribellione. Non tentare di convincermi. Non posso farlo.
La strega si morse il labbro, esitante; pareva in preda a una furiosa battaglia interiore. Alla disse lentamente:- Jel... io non posso abbandonarti. Ritornerei a Grimal oggi stesso, sia chiaro - e gli scoccò un'occhiata di rimprovero. - Ma se dici di voler continuare non ho altra scelta se non quella di seguirti. La missione è tua, e io ti aiuterò se posso.
Questa volta il sorriso del Consigliere fu aperto e sincero, sorriso al quale la ragazzina rispose timidamente. - Non sono poi così codarda alla fine, no?
Jel scosse la testa guardandola sorridendo. - Oh no, Gal. Se c'è una cosa che proprio non sei, quella è l'essere codarda.
Era decisamente sollevato che la compagna avesse deciso di andare a Nord insieme a lui. Sapeva che probabilmente si sarebbero cacciati in una situazione ancora più pericolosa di quanto già non fosse quella attuale, ma non avevano molta altra scelta. E comunque, in due sarebbero riusciti senz'altro a cavarsela meglio. Si erano sottovalutati fin troppo, negli ultimi tempi: dopotutto avevano già raccolto metà delle Pietre, erano sopravvissuti a tre attacchi dei Ribelli e ora avevano anche trovato una temporanea sistemazione. Riuscire nell'impresa nelle Terre del Nord sarebbe stato difficile, ma forse non impossibile.
Per quella notte Jel lasciò che fosse Gala ad occupare la brandina nella stanza per gli ospiti, e mestamente si accontentò di riposare stendendosi sull'ampio tappeto che occupava parte del salotto. In un primo momento si era quasi aspettato che Ftia si offrisse di cedergli il proprio letto - un atto di generosità che sarebbe stato più che gradito - ma da parte della donna non c'era stato alcun tentativo di approccio. Non era obbligata a fare gli onori di casa, d'altronde. È già tanto che non ci abbia già sbattuti fuori, ricordò a se stesso ancora una volta. E così, mentre le due donne riposavano fra le rispettive coperte, Jel rimase a rigirarsi sul rigido tappeto, nel buio della notte, senza riuscire a dormire. Si guardò intorno così tante volte da imparare pressoché a memoria l'arredamento della piccola casa. Non che ci fosse poi così tanto da memorizzare, d'altra parte: subito dopo l'ingresso si trovava il salotto, con una angolo che fungeva anche da cucina. I resti di un fuoco acceso nel piccolo focolare gettavano ancora sull'ambiente fiochi bagliori rossastri, e il grosso tavolo di legno su cui avevano mangiato risaltava più di tutto nella stanza. Sulle pareti accanto ad esso si trovavano alcune mensole e scaffali, colmi di barattoli di cibo, brocche colme d'acqua e qualche succo di frutta, e in un angolo un grosso sacco doveva contenere i risultati del raccolto nei campi. Per quanto riguardava il salotto, le uniche forme di mobilio erano una credenza di legno che doveva contenere piatti e posate e un'ampia cassapanca rigida, adagiata contro la parete sinistra. Jel si chiese dove Ftia potesse tenere il suo arsenale di coltelli e altre armi da taglio.
Aveva appena formulato quel pensiero, quando uno scricchiolio lo fece sobbalzare e, istintivamente, il giovane si tirò su in posizione di difesa.
- Piano piano... Non ho il diritto di muovermi in casa mia? - il tono calmo e canzonatore non poteva che appartenere a Ftia Elbrik. Avresti dovuto aspettartelo... Figurati se ti avrebbe mai lasciato dormire in pace...
Tuttavia, il mago scoprì di non essere particolarmente infastidito dall'arrivo della giovane donna. Ftia, che reggeva in mano una candela, si lasciò scivolare a terra sedendosi appoggiata alla cassapanca, a poca distanza da Jel.
- Ero assorto, scusami - si giustificò a mezza voce. Lei fece spallucce e replicò:- Boh, immagino che anch'io avrei reagito così. Odio quando la gente mi sveglia all'improvviso ...
- Io non stavo dormendo - disse subito Jel. - Stavo solo guardando...
- La mia fantastica dimora?- completò prontamente Ftia, guardandosi intorno. - In realtà è un bello schifo. Immagino che la casa di un Consigliere sia decisamente più sontuosa.
- Sontuosa no, in realtà - si trovò ad ammettere lui, ripensando con nostalgia alla propria casa a Grimal. - Solo un po' più grande. Con qualche mobile in più. E il giardino - si rese conto solo in ritardo del poco tatto utilizzato nel dire quelle parole, mettendo a confronto le due abitazioni, ma come sempre Ftia rimase imperturbabile. A proposito, Jel si chiese come mai fosse venuta da lui con l'apparente semplice scopo di parlare. Forse anche lei aveva difficoltà a dormire.
La cacciatrice rispose ai suoi dubbi quando alla dine domandò:- Senti, ragazzo... tu quanti anni hai detto di avere?
Jel ridacchiò: era dal momento in cui era entrato nel Consiglio che non si sentiva chiamare "ragazzo". Solo Camosh aveva mantenuto quell'abitudine. Tuttavia la cosa non lo infastidì e con semplicità rispose:- Ventiquattro, ne compio venticinque fra un paio di cicli. -
Ftia alzò un sopracciglio. - E Gala, la ragazzina?
Lui la guardò sorridendo un po' amaramente. - Quindici.
Quella volta neppure Ftia riuscì a contenere la sorpresa. - Quindici anni?- ripeté. - E alla sua età è già una Consigliera? È già in grado di affrontare incarichi come questo?
- Veramente il Consiglio non era d'accordo a lasciarla partire con me. Ma tu... credo che abbia già intuito che tipa è Gala. È praticamente scappata di casa pur di convincermi a lasciarla partire - e sorrise a quel ricordo.
- Sì beh, ha del fegato, lo ammetto - fece la donna disinvolta. Poi si soffermò sulla sua figura. - E quanto a te che mi dici?
- Come scusa?- rispose il giovane senza capire. Ftia rise:- Mi sembri uno che sa il fatto suo. Beh, in realtà l'impressione che hai dato quando ti ho visto la prima volta non era proprio delle migliori, svenuto e inutile... - pareva stesse facendo apposta a provocarlo. - Ma adesso... deciso, serio... anche generoso... - Jel non aveva idea se si stesse riferendo alla sua decisione di dormire sul tappeto o a qualcos'altro, ma lo scherno nella sua voce era palese. Lo scherno... e forse anche qualche altra cosa.
Il giovane si concesse qualche istante per osservare meglio il viso della cacciatrice, per quanto la poca luce lo permettesse: non era poi così mascolina come gli era sembrata alla prima impressione. I capelli lisci tenuti corti erano neri come le piume di un corvo e si intonavano perfettamente con la carnagione olivastra, da Haryarita. Gli occhi, che gli erano parsi di un semplice color castano, si rivelavano ora di un particolare e slavato verde-palude. Insoliti. Forse regalo di qualche antenato proveniente dallo stato di Tharia. Il naso appuntito, le labbra sottili, le orecchie proporzionate, la figura pareva avere un 'che di indotto; non c'era nulla che stonava nel complesso. Ma anche così, rimaneva indiscutibilmente poco avvenente.
Non si era reso conto che anche lei lo stava osservando; distolse subito lo sguardo, impacciato, e sperò di non essere rimasto in silenzio troppo a lungo. E come al solito, la sua mente vorticò prima che lui potesse fermarla. Era da mesi e mesi che non aveva occasione di trovarsi solo con una donna. Escludendo Gala, ovviamente. Certo, in quel momento avrebbe senz'altro preferito una compagnia femminile diversa da quella di un'avida cacciatrice senza apparenti scrupoli, ma il disagio che lo avvolgeva non accennava a diminuire. Ftia Elbrik rispecchiava perfettamente l'immagine della persona maliziosa e spregiudicata dalla quale lui aveva sempre tentato di tenersi alla larga. All'improvviso, desiderò che la donna lo lasciasse solo.
- Beh... io torno a dormire - annunciò dopo poco lei, e silenziosa com'era venuta si rialzò, senza prima avergli lanciato uno sguardo eloquente e - a suo modo - provocatorio. O forse era stata soltanto l'impressione di Jel. Lascia perdere. Ti stai lasciando trascinare.
Alzò una mani in segno di saluto e, dopo che Ftia fu sparita nuovamente nella sua stanza, il mago si lasciò sfuggire un sorrisetto.
Il resto della nottata trascorse lentamente. Alla fine, quando spuntarono da dietro le colline le prime luci dell'alba, Jel era riuscito a dormire solamente per un paio d'ore, e controvoglia si tirò su e re infilò casacca e stivali. La posizione scomoda che era stato costretto ad assumere sul pavimento ora gli stava regalando una fastidiosa sensazione di intorpidimento alla schiena. Apparentemente le altre due erano ancora addormentate, così il giovane entrò in camera di Gala e la scrollò per le spalle senza tanti complimenti. - Gala. Gala, svegliati. È giorno, dobbiamo andare...
La ragazzina si rigirò fra le coperte tentando di allontanarlo. - Non c'é nemmeno ancora luce... lasciami dormire un po'...
- Se ti consola io non ho chiuso occhio per tutta la notte - la rimbrottò il Consigliere impaziente, anche se i postumi della stanchezza continuavano a farsi sentire. Sbadigliando, Gala tirò giù le coperte e appoggiò i piedi a terra rialzandosi. - Arrivo tra un minuto... mi rivesto solamente... - borbottò, e Jel uscì socchiudendosi la porta alle spalle.
Una decina di minuti dopo i due maghi erano già per le strade semi deserte della capitale, camminando rapidamente e stringendosi nei pochi abiti che indossavano per la fresca aria mattutina.
- Avremmo dovuto chiedere a Ftia di imprestarci almeno un mantello... - si lamentò Gala mentre svoltavano a destra verso la via centrale. Jel di rimando alzò le spalle e rispose:- È già tanto che ci abbia detto come trovare il palazzo reale. Conoscendola avrebbe potuto benissimo lasciarci a sbrigarcela da soli...
- Conoscendola?- ripeté la strega arcuando un sopracciglio. - E da quando noi la conosciamo? Siamo in casa sua da meno di quarantott'ore...
- Dicevo così per dire - si giustificò subito il giovane. - Insomma, non mi sembra proprio tipa da curarsi degli affari degli altri, no?
Dall'espressione della ragazzina il mago avrebbe potuto interpretare un secco "no", ma decise di lasciar perdere. Scoprì che parlare di Ftia insieme a Gala lo metteva leggermente a disagio.
Continuarono a camminare, e quando raggiunsero la piazza centrale il sole era già sorto da un pezzo. Come già era successo mesi prima a Jekse, Gala si fermò un attimo per ammirare lo spettacolo, a bocca aperta. Il terreno coperto da piastre di pietra era leggermente infossato rispetto al livello normale; una decina scarsa di gradini circondavano la piazza, ampia almeno i tre quarti di quella di Città dei Re. Ma per quanto riguardava i colori e l'architettura non sarebbe potuta apparire più diversa: la prima parte di superficie - quella immediatamente di fronte a loro - era occupata da uno splendido reticolo di fontane di marmo, collegate fra loro da stretti canali di pietra nella quale scorreva acqua limpidissima, che brillava quasi di una luce propria sotto i raggi del sole mattutino. Oltre ad esse, si ergeva bianco e imponente il palazzo reale ariadoriano; alto circa venti metri e dalla struttura elegante,aveva ampie vetrate ad illuminare gli interni, e balconi e balconate si alternavano a piccoli giardini sui terrazzi ed arabeschi scolpiti nelle mura esterne.
Gala pareva ammaliata da tanto splendore. Non era mai stata a Tamithia... pensò Jel con un sorriso amaro, prima di riscuoterla con una leggera pacca sul braccio. - Avanti, vieni. Dopo che avremo ritirato la Pietra Blu magari daremo un'occhiata in giro...- ma lei si stava già guardando intorno entusiasta.
- Jel, ma è... è qui vicino? Il palazzo di addestramento delle Guerriere è qui da qualche parte?
Il Consigliere aveva qualche vago ricordo di quella parte della città, e indicò generalmente verso la loro sinistra.
- Credo sia circa in quella direzione... non so quanto lontano... ma resta sicuramente in questa zona. - Sapeva che probabilmente la compagna avrebbe dato di tutto pur di avvicinarsi al palazzo e alle tanto ammirate Guerriere, ma a tutto c'era un limite: potevano consentirsi una decina di minuti per ammirare la piazza e le ricche vie circostanti, ma poi avrebbero dovuto fare ritorno alla casa di Ftia.
Attraversarono la piazza con passo spedito, e quando giunsero dinnanzi ai portoni reali si inchinarono profondamente. Con una sorta di cattivo presentimento, Jel notò che il numero di Guerriere che sorvegliavano la porta era raddoppiato dall'ultima volta. Ora erano in quattro le silenziose figure ammantate che li scrutavano.
- Siamo qui per incontrare il maestro Ellanor - annunciò il giovane solenne. - Siamo entrambi membri del Gran Consiglio e chiediamo udienza.
- Necessitiamo di prove per lasciarvi entrare, miei signori - rispose una delle Guerriere in tono freddo. Jel e Gala si scambiarono un'occhiata ed entrambi estrassero le due spille del loro ordine. Il mago pensò fosse meglio non mostrare anche il sacchetto con le Pietre... La donna che aveva parlato prese quella di Jel nel palmo della mano e la osservò attentamente, mentre un'altra faceva lo stesso con quella di Gala. - Non sembra che sia un falso - decretò alla fine restituendola al giovane. - Ma abbiamo comunque l'ordine di perquisirvi.
- Ma andiamo, si può sapere che succede?- si lasciò sfuggire Gala scandalizzata. - Siamo Consiglieri, non potremmo mai... - ma la Guerriera le scoccò un tagliente sguardo di avvertimento. - Abbiamo ricevuto degli ordini - disse imperturbabile.
Scocciato e anche leggermente intimorito, Jel si apprestò ad allargare braccia e gambe, non prima di aver lanciato un'occhiata all'amica. Fai come ti dicono. Non replicare. Mentre due delle Guerriere li perquisivano, Jel rifletté su che cosa avesse potuto far aumentare in quel modo la sorveglianza. Per quanto ricordava gli ingressi reali delle varie nazioni erano stati preservati solamente da due Guerriere o - nel caso dello Stato dei Re - da due membri delle Guardie Reali. E anche così, una volta scoperto che erano Consiglieri, con che scopo perquisirli in quel modo?
Una voce secca lo riportò bruscamente alla realtà:- E questo che cosa sarebbe?
Con una stretta al cuore, il mago si rese conto che la donna doveva aver individuato l'involucro con le Pietre. - Noi... è soltanto... - cominciò, ma lei, quando slegò i lacci che chiudevano la stoffa, assunse un'espressione di allarme. - Queste sono tre delle Pietre Magiche - constatò, e anche se il suo tono rimaneva calmo e controllato il giovane poté indovinare quanto il suo sguardo fosse divenuto minaccioso. - Come siete entrati in loro possesso?
Ansioso, Jel optò per la verità. Rispose:- Io e la mia compagna siamo in viaggio da mesi. Abbiamo l'incarico di prelevare e radunare tutte le Pietre per poi portarle a Grimal, davanti al Consiglio.
Dal modo in cui le Guerriere lo fissavano, capì di non essere stato convincente.
Dannazione... Se avessero avuto anche solo un minimo motivo per sospettare di loro avrebbero rischiato la prigione... a meno che qualcuno - il maestro e Ellanor o qualche altro membro ariadoriano del Consiglio - non li riconoscesse a breve.
Fortunatamente, prima che chiunque potesse replicare, le porte del palazzo si spalancarono dall'interno e da esse emerse la figura bionda del maestro dell'Ariador. Ellanor parve sorpreso di trovarseli davanti.
- Consigliere Jel, Consigliere Gala. Ben ritrovati, dunque - guardò eloquentemente il gruppetto di Guerriere e annunciò:- Sono miei ospiti, sono entrambi Consiglieri. Li stavo aspettando, non sono necessarie perquisizioni con loro.
Le quattro donne chinarono il capo in segno di ossequio e si mantennero in silenzio, allontanandosi dai due maghi e restituendo a Jel il sacchetto con le Pietre. Ellanor si rivolse quindi a loro:- Mi dispiace per il trattamento alquanto poco ospitale, ma è stato necessario rendere più rigido il sistema di sicurezza.
- Come mai? Che cosa è accaduto?- il giovane non riuscì a trattenersi dal chiederlo. L'uomo di fronte a loro abbassò lo sguardo e mormorò in tono grave:- Non qui. Seguitemi nella sala delle conferenze.
Scambiandosi un'occhiata preoccupata i due maghi si affrettarono a seguirlo. L'entusiasmo che Gala aveva mostrato poco prima all'idea di visitare il palazzo reale pareva essersi dissipato. Ma perché... perché ogni volta che pensavano di essersi lasciati alle spalle un problema se ne presentava subito un altro?
Eppure, mai i due maghi avrebbero potuto immaginare ciò che Ellanor aveva intenzione di rivelare loro.
Lasciò che si accomodassero su due delle sedie che circondavano l'ampio tavolo circolare - simile a quello della corte di Sasha - e poi, senza alcun giro di parole, annunciò serio:- Mi duole dirvi che... due dei nostri Consiglieri sono scomparsi. Non abbiamo loro notizie da tre giorni.
Jel avrebbe potuto aspettarsi di tutto, ma non questo. Per quanto ricordava, mai era accaduta una cosa del genere. - Scomparsi? Ma... come? Com'é possibile?- chiese nervosamente.
L'uomo scosse la testa. - Non lo sappiamo. Non abbiamo idea se siano o no insieme. Non sappiamo nemmeno se siano ancora vivi.
- Chi sono i due maghi? I Consiglieri scomparsi?- intervenne Gala febbrile, e Jel avvertì una sgradevole sensazione di calore in fondo allo stomaco. Ellanor li guardò intensamente, quasi con aria di scuse, poi rispose:- Astapor Raek e... Janor Camosh.
Jel non poté far altro che guardare Gala che, inorridita, spalancava gli occhi e la bocca, dalla quale non uscì però alcun suono. Troppo sconvolto per parlare, per un attimo il giovane rimase in preda al panico. Camosh... il loro maestro... il loro protettore...
- Sappiamo che Camosh era diretto alla biblioteca di Grimal, l'ultima volta che un Consigliere l'ha visto. Stava conducendo la ricerca su poteri delle Pietre magiche, come stabilito. Da allora... per quanto ne sappiamo non ne è più uscito.
Cercando di mantenere la calma, Jel replicò:- Ma... ma... Non avete trovato...
- Abbiamo ispezionato la biblioteca in lungo e in largo. Non abbiamo trovato nessuna prova. Segni... cadaveri... il nulla.
- E del Consigliere Raek? Di lui avete qualche notizia? - fece Gala tormentandosi le mani. - Dove doveva essere quando è sparito?
- A palazzo suppongo - rispose Ellanor senza troppa convinzione. - Oppure nei suoi alloggi, dal momento che per quel giorno non era prevista alcuna riunione. I nostri esperti stanno perlustrando ogni angolo della città... ma per per ora non ci sono indizi favorevoli.
Jel era sbalordito; Camosh non era solo una sorta di "figura paterna" per lui e Gala, era anche un valido Consigliere e un mago estremamente capace, uno dei migliori. Come poteva essere scomparso nel nulla? Rapito, forse morto. Ma perché?
In quel momento grandi lacrime rigavano il volto della ragazzina. Il giovane la capiva... era da anni che lei e Camosh vivevano sotto lo stesso tetto, da quando i suoi genitori erano partiti verso il Bianco Reame. Il Consigliere era diventato come un padre per lei...
Ellanor le porse gentilmente un fazzolettino di seta, e guardandolo bene in viso Jel notò che pareva decisamente provato. Un paio di profonde occhiaie rigavano il suo sguardo, e in qualche modo pareva più stanco dell'ultima volta in cui l'aveva visto. All'improvviso tutta la faccenda della sorveglianza gli fu chiara: ormai, neppure i Consiglieri e i reali potevano considerarsi al sicuro. Che poi dietro tutto quello ci fosse la mano dei Ribelli era cosa ovvia. Non era sicuro che il suo maestro fosse stato rapito, ma sicuramente qualcosa l'aveva indotto a fare ciò che aveva compiuto, qualunque cosa fosse. Oppure qualche mago del Nord aveva semplicemente deciso di toglierlo di mezzo...
Ora basta! si disse con rabbia, rifiutandosi di permettere alle lacrime di sgorgare dai suoi occhi. Devi essere forte.
Dopo qualche istante di silenzio, Ellanor annunciò:- Per il momento abbiamo nominato due nuovi Consiglieri posticci, mentre il maestro Anerion prenderà il posto di Camosh come maestro della corte di Città dei Re. Per ora... non c'è molto altro che possiamo fare.
Il tono grave e sconfitto del Consigliere turbò Jel più di ogni altra cosa: Ellanor si era sempre dimostrato uno dei maghi più determinati e perspicaci, eppure in quel momento pareva brancolare nel buio come tutti loro.
D'un tratto, il mago ricordò le parole di Ftia a proposito della mobilitazione dell'esercito ariadoriano da Rosark e domandò:- Ho saputo che il vostro esercito si sta dirigendo a Nord per contenere le azioni dei Ribelli. Che cosa sta succedendo?
Ellanor alzò lo sguardo su di lui e la sua voce suonò più fredda che mai mentre proferiva:- Tutto quello che temevamo si è avverato. Il Re continua a sostenere che la situazione sia ancora in equilibrio, ma questo non cambia le cose. La guerra è cominciata.








Note: salve popolo di efp, sono tornata : )
Ne approfitto ora per ringraziare di cuore gli utenti ioaz e Darmione, che hanno da poco inserito la mia fic tra le seguite (o almeno dopo l'ultimo aggiornamento) e ancora di più Hyrie che, oltre a visitare puntualmente le mie pagine lasciando le sue recensioni ha anche aggiunto la storia fra le preferite. Grazie gente! <3
Che dire di più, spero che il capitolo vi sia piaciuto mi scuso per non essere riuscita a postarlo prima, ma è stato piuttosto impegnativo da stendere tutto. Al prossimo aggiornamento, dovrei riuscire a pubblicare prima della fine di luglio ^^ TaliaFederer

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


16








- Cominciata?- ripeté Gala, alzando gli occhi colmi di lacrime per la prima volta. - Che cosa vuol dire?
Ellanor sospirò e spiegò:- Per quanto le truppe avessero ricevuto l'ordine di non attaccare, le circostanze lo hanno reso impossibile. Più o meno numerosi gruppi di Ribelli praticano razzie nei villaggi presso il confine... La gente ne ha paura. Il compito dell'esercito è quello di proteggerli tenendo lontane le milizie nordiche... ma abbiamo già contato una decina di morti.
Dio mio... pensò Jel sconcertato. Dunque la storia si ripeterà... un'altra volta come ai tempi di Will...
- Ora se non erro, avete altro a cui pensare - disse il maestro che nel frattempo si era rialzato. - Affiderò a due Guerriere il compito di accompagnarvi fino alla pietra e alla Custode.
Il mago porse una mano a Jel, il quale la strinse con decisone. L'uomo sorrise tristemente:- Faremo tutto il possibile per ritrovare il maestro Camosh. So che teneva molto a voi... - guardò in particolare Gala e la rassicurò:- Andrà tutto bene. Voi pensate a portare a termine il compito che vi è stato assegnato.
Jel notò immediatamente che il Consigliere non pareva affatto convinto delle parole pronunciate, ma d'altronde che cos'altro avrebbe potuto fare? Far loro notare che le possibilità di trovare Camosh vivo erano praticamente ridotte a zero?
- Forse è meglio che tu resti qui... - si ritrovò a dire alla compagna mentre entrambi venivano accompagnati da Ellanor verso l'ampio ingresso. - Dopo quello che è successo... devi riprenderti un attimo.
- Non è morto - replicò la ragazzina con decisione senza guardarlo, tenendo dritto lo sguardo di fronte a sé. - Non è morto e pertanto io vengo con te a riprendere la Pietra.
Vorrei tanto che fosse così, Gal, pensò il giovane con amarezza, ma non lo disse. Non c'era bisogno di infierire ancora sul dolore dell'amica. E neanche sul tuo... aggiunse poi mentalmente.
Quasi senza accorgersene venne presentato alle altre due Guerriere che sorvegliavano l'ingresso della scalinata che portava ai sotterranei. Ellanor si congedò da loro con un semplice:- Prudenza, Consiglieri. Da voi dipende molto -, giusto per appesantire ulteriormente l'atmosfera, e ancora una volta il mago si ritrovò distrattamente a scendere la ripida scala a chiocciola che conduceva alla cripta. La sua mente era rimasta in quella candida sala dei consigli, alle parole di Ellanor, alla guerra, e soprattutto al suo maestro, a Camosh, il quale - ne era terribilmente consapevole - al momento era sicuramente morto. Morto... Jel sussultò nel formulare quella parola. Non poteva credere che uno dei più grandi maghi di Fheriea, l'uomo di cui più si fidava al mondo fosse scomparso a quel modo, senza lasciare traccia.
La sua mente rimase dolorosamente assorta persino dopo che ebbe messo piede nella piccola cripta, persino mentre l'anziana Custode affidava la Pietra d'Ariador alla loro protezione. Ciò che era appena accaduto segnava l'indiscutibile termine della sua vita per come l'aveva conosciuta fino a quel momento.

                                                                        ***

- Che cosa sono quelle facce da funerale? L'avevo detto che non vi avrebbero fatti entrare... - li accolse Ftia sardonica non appena ebbero rimesso piede in casa sua, ma Jel scosse la testa cercando di convincerla a lasciar perdere.
- Le Pietre non c'entrano niente - ringhiò Gala, che per tutto il tragitto dal palazzo alla via di Ftia non aveva ancora pronunciato parola. - Tieni quella bocca chiusa, per una volta!
- Uh-uh - fece la cacciatrice senza ombra di disagio, ostentando un sorrisino strafottente. - È successo qualcosa di grosso allora. Ditemi, chi è morto?
A quelle parole, la ragazzina la fissò con qualcosa di simile al disgusto negli occhi, e prima che Jel potesse replicare qualsiasi cosa per confortarla, scoppiò in lacrime e corse a rifugiarsi nella propria camera, sbattendo la porta.
Il gelo calò sui due giovani. Jel guardò Ftia con una leggera aria di rimprovero e le chiese:- Non potevi cercare di trattenerti una buona volta? Ha appena saputo che il suo maestro... che è stato anche il mio... da qualche giorno è scomparso.
Scomparso. Ancora quella parola. Perché diavolo non si decideva ad usare il termine appropriato? Morto. Questo era Camosh in quel momento.
- Oh. Mi dispiace - Ftia pronunciò quelle parole di circostanza, ma il suo tono rimase freddo. Il Consigliere soppesò su quali fossero le informazione che poteva confidarle, quali fossero abbastanza discrete da non infastidire Gala. - Era come un padre, per lei - disse alla fine. Davvero discreto. Complimenti.
- Ha insegnato a me tutto ciò che sapeva sulle arti magiche, e dopo che io sono entrato nel Consiglio ha addestrato anche lei. Gala...lei gli voleva molto bene. Ora probabilmente è morto.
- Anche mio padre è morto - gli fece notare la donna cupamente. - Quando avevo sedici anni. Ma io di certo non ho passato i giorni successivi a piangere come una bambina.
Jel provò una punta di fastidio pensando al dolore dell'amica, eppure anche una sorta di ammirazione verso l'autocontrollo che Ftia pareva mantenere in ogni momento, e per un attimo desiderò che anche Gala fosse fredda e pragmatica quanto lei.
- Mi dispiace - si ritrovò a dire a sua volta, lo sguardo rivolto al tappeto; alzò gli occhi e incontrò quelli della donna. Sentiva di dover in qualche modo difendere le ragioni di Gala. - Lui era tutta la sua famiglia.
Ragioni? Ma quali ragioni, idiota? Camosh è morto, ha tutto il diritto di piangere!
E allora perché in quel momento avrebbe desiderato che la strega riuscisse a dimostrarsi forte e ruvida come Ftia?
- E tu, Jel? Tu hai pianto per il tuo maestro? - la voce della cacciatrice, improvvisamente più morbida, lo colse completamente alla sprovvista. - No - rispose il mago. - Da quando è morto mio padre non piango più come si deve.
Ftia Elbrik sorrise. E per un momento, un bagliore di bellezza illuminò il suo volto di solito ombroso, una traccia di comprensione, o forse compassione che le donava molto. - Sapevo di avere ragione su di te... - affermò un poco divertita, e anche quella volta nella sua voce si lesse un pizzico di ilarità. Inaspettatamente Jel si ritrovò a sorridere, nonostante il dolore ancora vivissimo dentro di lui, così come la paura, l'incertezza... Eppure in quell'istante una sorta di sensazione anomala lo avvolgeva, la necessità di evadere da quel mondo almeno per un po'...
- La stessa cosa vale per me - rispose spontaneamente. Era proprio quello che si sarebbe aspettato da lei... pensò mentre Ftia faceva un passo verso di lui. Jel non arretrò. La necessità di evadere da quel mondo almeno per un po'...
Ci fu un attimo di silenzio e Ftia fece scorrere lentamente le dita lungo la cicatrice sulla nuca del giovane, ricordo del suo primo incontro con Mal e Sephirt. - Mi dispiace per il tuo maestro - mormorò con voce roca. Pochi secondi dopo le sue labbra erano su quelle del giovane.
D'apprima Jel si irrigidì, lievemente impacciato. Aveva avuto un paio di fidanzate, ragazze, a Grimal: una vecchia amica, una vivace ragazza ariadoriana... ma tutto quello era accaduto prima, prima che l'addestramento fosse diventato più intenso, prima che il suo ruolo di Consigliere lo estraniasse quasi completamente dalla vita quotidiana. Da anni e anni non gli capitava una provare una cosa del genere...
Le labbra di Ftia erano sottili e screpolate, ma anche morbide, esperte, e in un attimo Jel si ritrovò completamente a suo agio. Almeno per poco, le cupe emozioni che lo avevano avvolto parvero affievolirsi, sostituite da un piacevole calore. Avvolse le spalle della donna con un braccio, inspirando profondamente il vago profumo di menta ed erbe aromatiche che la avvolgeva. Lei gli mordicchiò piano il labbro inferiore, per poi separarsi e sorridergli maliziosamente. - Sì, avevo ragione... - ripeté un'ultima volta, e poi riprese a baciarlo, moderata e sensuale. Il mago non oppose resistenza, anzi, si lasciò beatamente andare al tocco della cacciatrice per quelli che gli parvero infiniti secondi, finché...
Ma che cosa sto facendo?
Jel si separò di scatto dalle labbra e dal corpo della giovane donna, che parve sorpresa quanto lui dal suo gesto. - Non posso... - biasciò il mago, un attimo prima di rendersi conto che quelle non erano le parole giuste da utilizzare. Non voglio.
- Io... mi-mi dispiace Ftia - fece un passo all'indietro. Lei lo guardò sbattendo le palpebre, poi ridacchiò con un pizzico di amarezza. - Già. Avrei dovuto pensarci. Troppo moralmente integerrimo per concederti distrazioni, eh?
- Proprio così - confermò il giovane, lieto che la donna avesse capito. Si unì al suo sorriso, anche se in quel momento non avrebbe dovuto ostentare alcuna ragione per farlo. Ftia lo guardò di sottecchi, poi disse a mezza voce:- Tu mi piaci Jel. Sei un brav'uomo. Spero che tu e la tua amica ve la caverete, a Nord.
- Grazie - il mago apprezzò la sincerità in quelle parole. Poi indicò con un cenno la porta alle sue spalle. - Vado a a parlare con Gala - annunciò e, mentre Ftia annuiva lentamente, si voltò verso le camere da letto.
Idiota. Idiota. Ma che credevi di fare, eh?
Scosse la testa, combattuto e infastidito; non doveva più permettersi di fare una cosa del genere. Non che ci fosse poi nulla di male, ma mai come in quel momento aveva bisogno di mantenere la testa sulle spalle. Preferì non pensare a quando sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe potuto permettersi di pensare a tal genere di cose, e così - inspirando profondamente - spinse in avanti la porta della stanza di Gala e vi entrò. La ragazzina era stesa sul piccolo letto, anche se forse "stesa" non era il termine più adatto; buttata avrebbe reso meglio l'idea. Abbandonata a faccia in giù, il viso sprofondato nel cuscino, aveva le unghie affondate del materasso e le gambe piegate con un'angolatura strana. Sembrava essersi svestita solo per metà: il mantello che Ftia le aveva prestato, insieme alle brache e i calzini, giaceva sul pavimento come un mucchietto di stoffa, mentre la strega indossava ancora la propria casacca e la biancheria intima.
Ci sarebbe mancato solo quello... pensò stizzito, avanzando lentamente e poggiando il sacchetto chiuso delle Pietre sul piccolo mobile di legno. - Gala - chiamò. Lei grugnì, ma non proferì parola. Aveva il volto girato dall'altra parte. Jel non poteva vederlo, ma avrebbe giurato che le sue guance fossero ancora rigate di lacrime. Mentre tu eri di là a spassartela con Ftia lei deve aver sofferto come mai prima d'ora...
- Gala - ripeté pacato, anche se alzando leggermente il tono della voce. Ancora nessuna risposta. Anche se al momento il mago avrebbe desiderato scuoterla e mollarle almeno un paio di schiaffi per darle una mossa, doveva sforzarsi di essere conciliante. Ricordava ancora il giorno in cui suo padre era morto, e allora la sua reazione non era stata tanto diversa. Aveva rifiutato di parlare con chiunque per un'intera giornata, giornata trascorsa a piangere, prendere a pugni il cuscino e rigirarsi impotente in quell'agonia senza fine. Era da allora che il rapporto con sua madre Lys si era incrinato: la confidenza e l'affiatamento si erano trasformati in freddezza, a volte disagio, anche se in fondo in fondo l'affetto fra madre e figlio era rimasto immutato. Onestamente Jel sperava che le cose non andassero così fra lui e Gala, in quanto in quel caso avrebbero potuto direttamente dire "ciao" alla missione e alle loro vite, anche.
- So come ti senti.
Doveva pur seguire un copione, no?
- Non lo sai - mugolò lei con voce rabbiosa. - Non lo puoi sapere.
- So che ora sei distrutta - il giovane non si soffermò sulla superficialità di quelle parole. - Ho sofferto anch'io per la morte di Camosh. Era anche il mio maestro.
Ma ti stai sentendo? Che vuoi fare, la gara a chi soffre di più?
- Quello che voglio dire è... - si affrettò ad aggiungere. - Che capisco quanto tu stia male, è comprensibile. Ma voglio aiutarti, se posso.
Per la prima volta la ragazzina si voltò e, guardandolo dritto negli occhi, rispose:- Non eravamo con lui. Jel, non eravamo con lui. Non potremo aiutare gli altri a cercarlo. Non saremo noi a... a trovarlo... - così dicendo, scoppiò di nuovo in lacrime. Il mago si sentiva terribilmente affranto, impotente, a disagio anche. Senza sapere bene che fare, mollò all'amica un paio di colpetti sulla spalla. - Io... mi dispiace, Gal. Ora ti lascio in pace. Quando starai meglio... vieni di là, va bene?
Fa' in modo che sia il più presto possibile...
- Aspetta - quella parola lo colse completamente alla sprovvista. - R-rimani un po' qui per favore. Non... non voglio stare sola.
Un sorriso amaro si disegnò spontaneamente sulle labbra del Consigliere, mentre con calma si sedeva sul bordo della brandina. Strinse forte la mano di Gala ma, non avendo più idea di cosa dire per rincuorarla, rimase in silenzio. Capì che non c'era bisogno di parole per spiegare tutto ciò che stavano provando in quel momento. Pian piano, il respiro della strega divenne più regolare, i singhiozzi cessarono e la presa sulla mano di diminuì leggermente. Solo dopo che fu sicuro si fosse addormentata, il giovane sciolse l'abbraccio fra le loro dita e si rialzò, facendo scricchiolare leggermente il pavimento di legno.
- Jel...?- la testa di Ftia fece capolino da dietro la porta. - Io esco, d'accordo? Vado a cercare qualcosa da cacciare... - dal modo disinvolto in cui gli parlava, pareva completamente dimentica del bacio che si erano scambiati poco prima. Da parte sua, lui si sentì sollevato: preferiva che la donna non vedesse per troppo tempo Gala in quelle condizioni. - D'accordo - rispose con calma. - Ti aspetteremo per cena, allora.
- Forse sarebbe meglio di no... - replicò lei e, notando lo sguardo interrogativo di Jel, spiegò:- A volte le cose vanno decisamente per le lunghe. Non so quando... potrei fare tardi...
Mentre la cacciatrice richiudeva la porta e si preparava ad uscire, Jel non riuscì a celare un pizzico di irrequietezza. Ftia aveva bisogno di lavorare (ergo, cacciare) per sopravvivere, questo era ovvio. Eppure, qualcosa nel suo tono di voce era risultato in qualche modo... precario, richiamando nel suo animo una lieve sensazione di minaccia. Insomma... Ftia aveva davvero intenzione di uscire per andare a caccia? Come potevano loro sapere quale fosse il suo reale intento? E sopratutto, c'era la remota possibilità che la donna avesse deciso di tradirli? Per esempio... rivelando la loro posizione a qualche Ribelle?
Piantala Jel! per l'ennesima volta il giovane si ritrovò a smentire i propri pensieri diffidenti. È uscita per andare a far fuori qualche stupido Shirin, o Limbos, o magari qualche Letjak troppo lontano da una foresta. È il suo lavoro, è normale...
Sarà meglio stare all'erta comunque...
una volta entrato nella sua mente, il sospetto si rivelò molto arduo da allontanare del tutto. No, si disse poi. Non può essere una Ribelle. Non avrebbe mai attaccato Mal, altrimenti...
La constatazione era inequivocabile: Mal e Sephirt erano stati incaricati di ucciderli fa Theor in persona, a nessun Ribelle sano di mente sarebbe venuto in mente di far fuori uno di loro. No, in effetti, la fedina di Ftia pareva pulita. Devi imparare a fidarti... delle persone giuste, si disse il mago mentre si decideva ad uscire dalla camera di Gala. Arrivato nel salotto, si sedette su una delle sedie che contornavano il tavolo da pranzo. I vimini del piano scricchiolarono.
Solo in quel momento Jel si rese conto di essere molto stanco. La conversazione con Ellanor, la notizia della "scomparsa" di Camosh... lo avevano provato parecchio. A tal proposito, ancora una volta il Consigliere si chiese se avessero davvero fatto bene a tacere al maestro di Tamithia l'argomento Mal e Sephirt. Ormai quel che è fatto è fatto.
Rimase lì, fermo e seduto, per quelle che gli parvero ore, a riflettere su tutto quello che era accaduto nelle ultime settimane. E, per la prima volta dopo giorni, il suo pensiero si soffermò nuovamente su Sephirt. Sephirt, che era ancora viva. Sephirt, che non avevano più rivisto da quando Ftia aveva pugnalato Mal. Sephirt che, ne era sicuro, presto sarebbe tornata per esigere la sua vendetta.
- Jel... Dov'è Ftia? - la voce era quella lieve e malferma di Gala.
Lui si voltò di scatto a guardarla, e notò che aveva ancora gli occhi rossi e gonfi di pianto. Ma, almeno per ora, le lacrime parevano essersi fermate.
- È andata a caccia nei dintorni della città, credo. È uscita... - già, quanto tempo prima era uscita? - ... circa un paio di ore fa. Mi pare.
- Ah - la parola risuonò atona, nel cucinotto deserto. La ragazzina si sedette lentamente su una delle sedie e Jel udì di nuovo i vimini sotto di le scricchiolare, trattenendo a stento una risata priva si allegria. Praticamente, la casa di Ftia cadeva a pezzi.
Rimase a fissare la compagna che, assorta, teneva lo sguardo sul piccolo vaso di fiori in mezzo al piano di legno. Una ciotola di terracotta, tra l'arancione e il marroncino, colma di terriccio, dal quale spuntavano alcuni piccoli fiorellini dorati. - Non ricordo il nome... - mormorò Jel, rivolto più a se stesso che alla strega. - Ma mi pare di averli già visti... in qualche campo, a Grimal...
Gala taceva; Jel capì che in quel momento non erano molti gli argomenti che avrebbero potuto interessarle, tantomeno il nome di qualche stupido fiore giallo. Era una delle prime volte che, in presenza dell'amica, avvertiva uno strano senso di disagio e imbarazzo. E così, quasi inconsapevolmente, tentò il più freddo e sconveniente degli approcci.
- Presto dovremo ripartire per Città dei Re - annunciò dopo qualche secondo. Gala parve ignorare quelle parole, e dopo essersi schiarito la voce lui continuò:- Per... prendere la Pietra Gialla.
- Già - concordò la ragazza a mezza voce, e Jel si sentì un poco sollevato. Se non altro, Gala non aveva completamente dimenticato la missione, anche se in realtà avrebbe avuto tutti i motivi per farlo. Ma nonostante questo, al giovane pareva di essere in presenza di un'estranea, non la la strega allegra e disinvolta che conosceva da tanti anni.
La voce dell'amica lo colse di sorpresa:- Sei sempre troppo ligio al dovere per concederti un po' di tregua, eh?
Finalmente un pizzico di ironia - o forse sarcasmo - che sapeva di Gala molto più di quel pesante silenzio. Jel la guardò tristemente. - Mi conosci, Gal.
Lei gli prese la mano. Il mago poté distintamente notare le lacrime che lottavano per uscire dai suoi occhi, ma altrettanto nitidamente vide il forte tentativo della ragazza di frenarle. Un'ondata di profondo affetto lo travolse: in realtà era sempre lei, la sua Gala, così immatura, così fragile e bambina ... Ma anche fortissima. La sua amica. La sua compagna. La persona con cui aveva condiviso tutto negli ultimi mesi. Se da una parte era addolorato per l'inferno in cui aveva trascinato la ragazzina, d'altra parte era infinitamente grato che lei fosse con lui lungo quel viaggio così pericoloso e impegnativo, perché ora lei era la persona di cui si fidava si più al mondo.
Ricambiò la stretta e giurò a se stesso che, in un modo o nell'altro, avrebbe fatto in modo che la morte di Camosh venisse vendicata.








Note: finalmente sono riuscita a postare questo capitolo! C'ho messo giorni e giorni per scriverlo, sapete, ci sono stati anche un po' di giorni al mare di mezzo e per un attimo ho temuto di non riuscire a pubblicarlo entro la fine di luglio ToT E invece eccomi qui. Lo so, come capitolo è po' più corto del solito, ma spero che vi sia piaciuto comunque... e soprattutto che il momento di feeling fra i nostri Jel e Ftia non sia stato troppo mieloso >.<
Ciao a tutti e grazie ai lettori :D

Ps: la bambina viziata che è in me mi spinge a chiedere a tutte le persone che da un po' seguono la mia serie di farsi avanti dopo tutti questi mesi: suvvia, solo una piccola opinione, una mini-recensione... Grazie :P

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Rieccomi qui, gente di efp! Dai, sono stata puntuale, no, stavolta? Lo so, il capitolo sarà piuttosto striminzito ma almeno non mi sono fatta aspettare troppo... e comunque non avevo davvero più niente da inserire in questo capitolo, e il prossimo sarà ambientato in uno spazio/tempo un po' distante... sì insomma sarà un flashback, ma era troppo lungo da annettere a questo XD

*IMPORTANTE* dato che dagli ultimi capitoli sembra che tutti si siano dimenticati di recensire, vorrei invitare chi segue la mia serie da mesi (ma non si è mai fatto sentire) a farsi avanti e dirmi cosa ne pensa, ovviamente se ha tempo e se la cosa non gli dispiace. Io in ogni caso continuerò la mia fiction perché adoro scriverla, anche se da qui alla fine dovessi avere ancora 0 recensioni ; ) Però mi farebbe molto piacere sentire qualche volta le vostre opinioni, sopratutto per capire se la storia vi piace o se non vi piace, quali sono gli errori che (sicuramente) ho fatto e qualche consiglio su come migliorare! Vi aspetto dunque :D
Alla prossima, TaliaFederer









17








- Abbiamo bisogno di cavalli per arrivare a Città dei Re. Conosci qualcuno che potrebbe aiutarci?
Ftia arricciò il naso. - C'è un allevatore che conosco, abita appena fuori città. Se seguite la strada che abbiamo percorso per venire qui la prima volta - e ammiccò a Gala - dovreste trovarvi la sua casa davanti, oltre i sobborghi. I suoi esemplari non saranno dei migliori, ma per il viaggio verso la capitale dovrebbero essere più che sufficienti.
- Ci servirà del denaro allora - mentre pronunciava quelle parole, Jel arrossì leggermente. La donna li guardò con aria furba e rispose:- Non ce ne sarà bisogno; voi dite che vi manda Ftia Elbrik. Quello scansafatiche è in debito con me da parecchi mesi...
In un altro momento, forse, a Jel non sarebbe dispiaciuto approfondire l'argomento, ma adesso decisamente non aveva molto tempo da perdere. Così si limitò a sorridere debolmente, e fece cenno a Gala di seguirlo. Rivolsero a Ftia un breve gesto di saluto e poi, con il sacchetto delle Pietre nascosto in una tasca, uscirono in strada.
- Da questa parte - disse solo la ragazzina imbronciata, indicando alla loro destra. Jel si dovette affidare puramente al senso dell'orientamento dell'amica, in quanto la prima volta - ricordò con un poco di vergogna - lui era stato trasportato svenuto per quella strada dalle due donne. Si immisero nella strada maggiore che intersecava la viuzza di Ftia e la percorsero per pochi minuti, poi Gala svoltò di nuovo in una stradina laterale. Le abitazioni di legno, a distanza ravvicinata tra un margine e l'altro della via, gettavano sulla terra battuta profonde ombre, rendendo l'ambiente quasi buio nonostante l'ora mattutina.
Proprio mentre Jel cominciava a chiedersi quanto ancora sarebbe durato il passaggio in quello stretto corridoio, la sua compagna lo guidò finalmente in una strada decisamente più spaziosa, lungo la quale erano sparse decine di ville residenziali in pietra marmorea.
- Ci siamo quasi?- domandò all'amica per rompere quel pesante silenzio.
- Dovremmo arrivare tra una decina di minuti... - suppose Gala, e la sua voce rimase ancora una volta irrimediabilmente spenta. Dal momento in cui si era svegliata e rialzata aveva scambiato con gli altri due sì e no cinque frasi, la maggior parte delle quali erano semplicemente risposte alle loro precedenti domande. Jel sapeva che per il momento avrebbe dovuto accontentarsi del suo collaborare ancora nella ricerca, ma onestamente vederla in quello stato gli risultava molto doloroso. Chissà per quanto tempo la ferita inferta dalla morte di Camosh sarebbe rimasta aperta...
Come Jel aveva immaginato, la stamberga di proprietà dell'allevatore era pressapoco una catapecchia: leggermente sbilenca, interamente in legno, con travi e assi tremolanti che sostenevano il buffo tetto di paglia. Poco distante dalla porta d'ingresso si trovava un'ampia staccionata che racchiudeva uno spazio grande circa tre volte l'abitazione effettiva; quattro bei puledri - due color crema, uno a chiazze nere e l'altro interamente bruno - vi scorrazzavano liberi all'interno.
Un tempo Gala era stata una grande appassionata di cavalli. Adorava ovviamente gli Stalloni Nordici come Ehme, ma provava una sincera ammirazione anche per altre razze più modeste, e Jel sapeva benissimo che doveva essersi affezionata molto anche a Yin. In realtà, quel tempo non era poi molto lontano: ancora poco prima che partissero da Grimal la ragazzina si era offerta di badare ad Ehme nei momenti di indisposizione dell'amico. Quindi, vederla ignorare completamente i giovani esemplari nei recinto provocò una stretta al cuore al giovane; era sicuro che dopo tutte quelle esperienze il carattere di Gala sarebbe irrimediabilmente cambiato.
Prese un bel respiro e, avvicinatosi alla porta, bussò tre volte. Trascorsero diversi secondi prima che, dall'interno, la serratura arrugginita scattasse e la porta venisse socchiusa. Un occhio di uno slavato azzurro chiaro apparve nello spiraglio appena creatosi. - Desiderate? - domandò l'uomo all'interno con voce roca.
Jel assunse un tono amichevole e rispose raccontando la solita balla:- Io e mia sorella avremmo bisogno di un paio di cavalli per continuare il nostro viaggio. Quelli che avevamo prima ci sono stati trafugati, purtroppo.
L'allevatore aprì un po' di più la porta e scivolò all'esterno; un ragazzo allampanato, che doveva avere un paio di anni in meno di Jel. Un cespuglio intricato di capelli biondi come la paglia e il naso storto, probabilmente rotto almeno due volte, spiccavano su quel volto da sempliciotto. Vestiva in modo scialbo, e i suoi abiti parevano malconci almeno quanto quelli dei due maghi, senza contare il lieve alone puzzolente che si portava appresso.
- Avete di che pagarmi?- chiese come prima cosa. Il giovane sospirò, aspettandosi la domanda. Ricordò quanto Ftia aveva loro raccomandato e rispose:- Ci manda Ftia Elbrik. Ha detto che è la tua possibilità di saldare il tuo debito.
L'espressione dell'allevatore cambiò all'istante, diventando dapprima purpurea, poi decisamente irritata. - Quella donna è una vera serpe - sibilò dando un calcio ad una pietrolina. - Non avrà pace finché non le avrò restituito tutto il suo maledetto denaro. Che poi - sputò per terra - si tratta solo di cinque maledetti hide!
- Te l'abbiamo detto - spiegò il mago mentre notava che Gala stava cominciando a innervosirsi. - Hai l'occasione per dimenticare questa faccenda, se solo ci lasci prendere due dei tuoi... splendidi cavalli. - Fin da piccolo Jel aveva imparato a capire che un pizzico di adulazione, talvolta, poteva essere decisamente utile per ottenere ciò che si desiderava. Il contadino gonfiò le guance, apparentemente ponderando. Alla fine mugolò:- Due dei miei cavalli non valgono solo cinque hide d'argento. Possiedo degli esemplari di razza buona che ne valgono almeno una ventina...
- E allora tu ce ne procurerai due di bassa importanza - Jel non aveva intenzione di mollare proprio adesso: avevano un disperato bisogno di quei cavalli. Il ragazzo li fissò indeciso ancora per un paio di istanti, poi cedette:- E va bene, credo di avere quello che fa al caso vostro. Ma dopo non vorrò più sentir parlare di debiti!
Jel sorrise leggermente - quell'allevatore gli suscitava istintivamente simpatia - e nel notare che anche Gala lo imitava, seppur timidamente, provò una gran sensazione di sollievo. I due Consiglieri seguirono la loro guida attorno alla casupola, fino ad una costruzione di legno che doveva essere la stalla. - Non badate alla puzza - li avvertì il ragazzo prima di spalancarne il portone.
Nel mettervi piede, Jel avvertì una potente zaffata di cattivo odore, un misto di sterco, urina e paglia ammuffita, e istintivamente si portò una mano al volto; con la coda dell'occhio vide Gala fare lo stesso.
- Che c'è, non siete mai entrati in una stalla? - li canzonò il proprietario mentre avanzava, anche se un realtà lui stesso aveva storto non poco il naso entrando in quell'ambiente opprimente. Jel non si infastidì, piuttosto il suo pensiero saettò ancora una volta alla piccola e ordinata stalla che aveva mantenuto per Ehme e Yin. Ovviamente anche lì aveva dovuto fare i conti con problemi come gli escrementi e la pulizia, ma tra i soli due esemplari a cui badare e la Magia, sistemare tutto non era mai stato particolarmente difficile. Di certo là a Grimal l'ambiente era almeno un poco vivibile.
Il contadino li condusse vicino a due cavalli di stazza media, entrambi di color marrone chiaro. Uno dei due aveva una macchia rosata attorno all'occhio destro. - Una vecchia ferita - spiegò. - L'uomo che me l'ha venduto era incappato in un Letjak durante il suo viaggio. Se l'e cavata per un pelo... Ma - si affrettò ad aggiungere - ora sta bene, ed è più che in grado di trasportavi dove dovrete andare...
Jel e Gala si avvicinarono ai due animali e accarezzarono piano loro il muso. Mentre lo faceva, il mago rise piano; quel gesto gli ricordava il bei momenti passati con Ehme, e la sensazione della rigida e corta peluria dei cavalli l'aveva sempre divertito. - Sei sicuro che terranno duro fino a Città dei Re?- domandò Gala dubbiosa, rivolta all'allevatore. - Mi sembrano piuttosto vecchi, ce la faranno?
- Ci puoi scommettere - lui sputò di nuovo per terra. - Ne hanno già viste di tutti i colori, è vero, ma proprio per questo saranno in grado di farlo.
La ragazzina scambiò con Jel uno sguardo decisamente scontento, ma alla fine si fecero bastare ciò che il ragazzo aveva procurato loro. Jel stava quasi per ringraziarlo e congedarsi, quando ricordò un particolare importante. - Dimenticavo. Abbiamo bisogno anche di due cavalcature per raggiungere la capitale. Selle, redini, speroni. Puoi aiutarci?
- Dovrei avere qualcosa in casa... - rispose lui, poi disse loro di aspettarlo lì e sparì nuovamente fuori.
- Abbiamo avuto fortuna, no?- chiese Jel per spezzare il silenzio, sforzandosi di sorridere. La sua compagna alzò le spalle e disse a bassa voce:- Se Ftia ci avesse dato un po' di soldi avremmo rimediato due cavalli migliori, più giovani, più veloci...
- Beh, mi spiace ma per questa volta dovremo accontentarci di questi - rispose il giovane rassegnato. Pensò fosse meglio non farle notare che in verità Ftia non avrebbe avuto alcun motivo per prestare loro del denaro. Per scrupolo, il Consigliere girò intorno ai due cavalli, controllando che non avessero alcuna ferita, che gli occhi fossero vispi e le dimensioni proporzionate; se non altro occupandosene non avrebbe dovuto trovare qualcos'altro da dire a Gala. Di lì a poco il contadino fece il proprio ingresso nella stalla reggendo sulle spalle due grosse selle di cuoio. - Come pensavo... - farfugliò sotto tutto quel peso. - Le cavalcature di questi due erano rimaste nella cantina... è da molto tempo che non le uso...
Aiutato da Jel e Gala il ragazzo assicurò le selle ai rispettivi cavalli, sistemò le redini e gli speroni, poi si esibì in un sorriso tirato. - Molto bene - annunciò. - Credo proprio che siamo arrivati alla fine della strada - allungò una mano. - Dimenticavo, io mi chiamo Kor.
- Jackson Melliser - mentì Jel stringendola con vigore. Meglio non rivelare la propria identità ad uno sconosciuto, specie proprio ora che si avvicinavano al territorio del nord. Anche Gala strinse la mano all'allevatore, e per la prima volta anche le sue labbra si incurvarono leggermente in segno di cortesia. - Lumia Shift - si presentò cogliendo al volo la strategia dell'amico. Poi i tre si separarono. Senza perdere tempo, i due maghi lasciarono Kor da solo nella stalla tirandosi dietro i cavalli, e appena furono al di fuori della piccola proprietà vi montarono in sella. Jel aveva appena preso in mano le redini, quando l'allevatore riapparve alla loro vista, in piedi davanti al portone di legno. Sembrava confuso. - Aspettate un attimo... - esclamò. - Ma voi non avevate detto di essere fratelli?
Colpiti e affondati.
Jel e Gala si scambiarono un lungo, silenzioso sguardo colpevole. Poi, quasi all'unisono, i due scoppiarono in una fragorosa risata mentre, ignorando completamente il povero Kor, colpivano i fianchi dei due cavalli per spronarli a partire.

                                                                             ***

A ogni ampia cavalcata del suo cavallo Gala avvertiva il cuore farsi leggermente più leggero. Non che il suo dolore fosse scomparso o comunque alleviato di molto, ma almeno al momento sentiva di riuscire a tenerlo a bada. Il vento che le sferzava il viso e la sensazione della cavalcata veloce le erano mancati parecchio negli ultimi tempi; da quando avevano abbandonato Yin ed Ehme non avevano più fatto uso di cavalli. Così, mentre percorreva a tutta velocità la Grande Via in direzione nord-est, dovette proprio ammettere che le piaceva, le piaceva eccome. Pur essendo un poco avanti con gli anni il cavallo che aveva scelto, quello con l'occhio cerchiato, sembrava ancora in buone forze e manteneva un'andatura decisamente spedita. Sì, in effetti Ftia aveva avuto ragione a raccomandar loro quell'allevatore.
Lei e Jel continuarono il viaggio verso Città dei Re per tutta la mattinata, a mezzodì sostarono un momento per consumare parte delle provviste che si erano procurati a casa di Ftia e poi ripartirono. Jel l'aveva avvertita che il viaggio sarebbe durato all'incirca cinque giorni, forse se avessero cavalcato alla svelta avrebbero anche risparmiato una notte. Da parte sua Gala non vedeva l'ora di arrivare: aveva amato la capitale di Fheriea fin dalla prima volta in cui vi si era recata - all'inizio del suo apprendistato da Consigliere - e tornarvici ancora una volta sarebbe stato quasi piacevole. Se non altro, per un po' di tempo non avrebbe dovuto condividere l'abitazione con Ftia: in sua presenza, la strega era sempre combattuta fra la riconoscenza, l'irritazione e talvolta un poco di disagio. La cosa che più la infastidiva era l'assoluto rispetto, quasi ammirazione, che il compagno pareva provare per la cacciatrice. Durante il loro soggiorno a Tamithia le aveva ricordato non sapeva quante volte quanto fossero stati fortunati a trovare qualcuno come Ftia, che aveva salvato loro la vita da Mal e Sephirt e poi li aveva anche ospitati in casa sua. Eppure, non aveva speso nemmeno una parola sul fatto che lei, Gala, avesse rischiato la vita pur di tornare ad aiutarlo, affrontando da sola due assassini e maghi adulti. Nessun ringraziamento, nessun "brava, sei stata davvero coraggiosa..." Niente. Certo, la ragazza sapeva che Jel non era propriamente tipo da dispensare complimenti ad ogni occasione, ma era rimasta comunque colpita dalla sua apatia nei suoi confronti. Senza di lei - Ftia o non Ftia - forse Sephirt avrebbe potuto decidere di ucciderlo così, senza girarci intorno.
Insomma, tali pensieri, soprattutto uniti al dolore e all'angoscia per la scomparsa di Camosh, avevano reso il periodo trascorso a Tamithia piuttosto spiacevole, sgradevolezza che si era trasformata in una sorta di agonia negli ultimi due giorni. Allontanarsi per un po' le avrebbe giovato non poco, senza contare che l'idea di fare qualcosa per Fheriea completando la raccolta delle Pietre le avrebbe restituito un po' di fiducia. Dopo la Pietra dello Stato dei Re ne sarebbe mancata soltanto una per terminare la loro maledetta missione.
Jel le rivolse la parola solo mentre il sole stava per tramontare, chiedendole se sentiva la necessità di fermarsi per riposare nelle ore notturne. - Non ho bisogno di riposare - rispose Gala asciutta. - Non ora, almeno... Prima arriveremo a Città dei Re meglio sarà.
- Come vuoi - fece l'amico alzando le mani, cavalcando pochi metri davanti a lei.
Intorno a loro, il crepuscolo gettava ombre allungate sulla Grande Via e mano a mano l'aria si faceva più fresca. Gala era ben conscia che la capitale delle Cinque Terre si trovava ancora più a nord rispetto a Tamithia - era poco più meridionale dei confini sud delle Terre del Nord - ma la temperatura la stupì comunque: era quasi estate ormai, era insolito che al calar della notte facesse così freddo.
La ragazzina si decise che era ora di sostare solo dopo che la luce del sole si fu del tutto spenta, e seguire la via divenne quasi complicato. - Jel! - chiamò a voce alta. - Direi che possiamo fermarci, no?
- Va bene, allontaniamoci solo un po' dalla strada...
Buona idea. In effetti, se avessero trovato un posto un po' riparato sarebbe stato meno probabile finire tra le grinfie di ladruncoli, assassini o... peggio: Ribelli, una Ribelle in particolare.
A poche decine di metri dalla Grande Via i due maghi trovarono una piccola conca ricoperta d'erba, leggermente infossata rispetto al resto del territorio; probabilmente l'antica sede di un laghetto ormai prosciugato. - Qui dovrebbe andar bene - sentenziò Jel arrestando l'andatura del proprio cavallo e smontandovi. Gala lo imitò e notò con piacere che l'erba sotto i loro piedi era alta, folta e morbida, una sorta di conveniente cuscino naturale: per una volta avevano avuto un piccolo colpo di fortuna. - Dici che dovremmo fare la guardia a turni?- domandò la ragazza al compagno, mentre sfinita si accomodava a terra. Il giovane la guardò cupamente e confermò:- Non si sa mai, Gal, è meglio fare attenzione. Ma non ti preoccupare, farò io il primo turno. Ti sveglierò tra un paio d'ore, va bene?
- Ma certo, certo... - rispose lei grata che Jel si fosse offerto di svolgere il compito per primo. Mentre l'amico si sedeva a gambe incrociate, rigirandosi fra le mani la spilletta del Consiglio che finora aveva tenuto in tasca, Gala si sdraiò completamente e appoggiò la testa su quel morbido cuscino verde smeraldo e, pur sapendo che dormire tranquilla non sarebbe stata un'impresa facile, chiuse gli occhi.


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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


18








I potenti raggi del sole pomeridiano baciano la pelle della piccola Sephirt e ne accendono di capelli di un color rosso fiamma.
È il primo giorno d'estate e come di tradizione si deve incontrare con gli amici del villaggio per "l'inaugurazione del torrente", l'avvenimento che con trepidanza ed entusiasmo ha atteso per mesi.
Esce di casa come una furia, trotterellando in strada dopo aver avvertito sua madre: i primi anni Hana era un po' titubante a lasciarla andare da sola, ma col passare del tempo ci si è abituata e ora sa che Sephirt non può far altro che divertirsi. Cosa potrebbe combinare, d'altronde, un gruppo di bambini compresi fra i sei e gli undici anni?
Peccato che la risposta giunga indesiderata proprio quel giorno.
Sephirt è d'accordo con Minarie di incontrarsi a casa sua poco prima dell'appuntamento, per cui al posto di proseguire diritto verso la campagna, la bambina svolta a sinistra verso il luogo dove abitata la sua migliore amica. Si avvicina alla porta - la riconosce sempre, nonostante le abitazioni siano tutte uguali lì, poiché appena sopra il battente e appeso un piccolo portafortuna, un intreccio di crine di cavallo e piume - e, prima che possa battere qualche colpo per annunciare il proprio arrivo, questa si apre dall'interno e spunta Annor, il padre di Minarie. La guarda sorpreso. - Ciao Sephirt. Che cosa ci fai qui?
Alla bambina è sempre stato simpatico quel Thariano baffuto alto e magrolino, così sorride solare e risponde:- È il giorno del torrente, signore, l'estate è appena iniziata non ricorda?
- Oh, sì... certo - rammenta lui, e un po' frettolosamente le fa cenno di scansarsi. - Ora se non ti dispiace... avrei alcune faccende da sbrigare.
Dev'essere in ritardo per qualcosa pensa lei con un'alzata di spalle, poi corre dentro casa impaziente di incontrare Minarie. Incrocia sua madre nel cucinotto, mentre è intenta a lavare le stoviglie con uno strofinaccio. - Ciao Shirra, Minarie è in camera sua?
- Oh salve Sephirt - la saluta lei, cordiale come sempre, poi aggiunge:- Sì, la mia bambina è qui di sopra. Andate al torrente, non è vero?
- Esatto - conferma Sephirt, e nel pensarci si apre in un sorriso entusiasta. - Allora... vado a chiamarla!
Lascia Shirra in cucina che annuisce, sempre alle prese con le sue faccende, e svelta sale i gradini a due a due verso la cameretta di Minarie. La bionda, sottile Minarie, che a undici anni pare già molto più grande. Lei e Sephirt sono amiche da molto tempo, da quando Minarie ha convinto i suoi amici ad accettarla nella "banda". Inizialmente i ragazzini erano piuttosto maldisposti verso quella strana bambina che veniva dall'estremo Nord di Tharia, con la sua pelle bianchissima e i grandi occhi rossi; eppure Mina aveva messo una buona parola in suo proposito, ponendola sotto un buona luce: Sepirth aveva trascorso parecchio tempo insieme a loro, e alla fine tutti (o quasi) avevano accettato di averla come amica.
- Ciao Sep - la saluta la ragazzina voltandosi verso di lei e interrompendo il ricamo a cui stava lavorando. Prima di rispondere Sephirt riesce a gettare l'occhio sul piccolo fazzoletto bianco, ora adornato da una moltitudine di di fiori turchesi. - È bellissimo, Mina... - Anche lei lo guarda di sottecchi e annuisce piano. - Sì, in effetti non è male - poi si alza in piedi e si mette in testa il suo inseparabile cappellino di paglia. - Allora, andiamo al torrente oppure no?
- Di corsa! - esclama la bambina allegra, e seguita dall'amica trotterella verso il piano inferiore e poi fuori dalla porta, nella stradina assolata. Minarie abita in un vicolo più accogliente di quello di Sephirt: le casupole sono tutte in legno, è vero, ma le assi non sono tutte rovinate dall'umidità e dalle tarme, la pavimentazione leggermente più ampia e lastricata di ciottoli. A Sephirt è sempre piaciuta molto, mentre la propria talvolta le fa addirittura paura, di notte.
Le due bambine accelerano il passo per non tardare all'appuntamento. Vogliono godersi ogni momento di quel pomeriggio speciale.
Quando alla fine le case si diradano e la campagna ondulata si annuncia davanti a loro, scorgono già in lontananza il gruppetto dei loro amici. Percorrono l'ultimo tratto di strada correndo, e in men che non si dica si aggregano agli altri. Si leva come di consueto un coro di "Mina, Sephirt!", "Siete arrivate finalmente" e "Allora, adesso possiamo andare?". - Non ancora - annuncia Willas, che è fra i più grandi del gruppo, dopo che Sephirt e Minarie hanno salutato gli altri, - Oggi è verrà anche un mio amico. È uno del Bianco Reame, si chiama Tibb.
- Tibb? E quanti anni ha?- chiede uno dei ragazzi interessato.
Si chiama Vincent. Ha un paio di anni in più di Sephirt, ma è alto circa quanto lei, solo un po' più robusto. I suoi genitori sono entrambi nati nella nazione di Tharia, ma la madre ha origini haryarite; a questo tutti danno la spiegazione riguardo la sua fulva chioma rosso scuro e i suoi occhietti scurissimi.
Willas ha arricciato il naso, aggrottando anche le sopracciglia. - Dieci, credo. O forse undici, non mi ricordo...
- Ti interessa proprio molto di lui, allora - osserva Minarie ridendo, ironica come al solito. Sephirt trattiene a stento un sorrisetto; quanto vorrebbe essere come lei! Sbarazzina, sempre con la battuta pronta. I ragazzini ridono, e dopo poco anche Willas si apre in un mesto sorriso.
Devono aspettare ancora circa dieci minuti, poi una figura smilza appare appena oltre il rilievo erboso che si separava dal villaggio. È proprio Tibb, come annuncia loro Willas. Più si avvicina, più Sephirt e gli altri lo guardano incuriositi: molti di loro non hanno mai visto qualcuno appartenente alla Gente Bianca. È un bambino esile per la sua età, ma anche così l'espressione sul suo volto ha un 'che di leggermente più responsabile rispetto agli altri. I famosi capelli viola a spazzola sono sospinti dalla leggera brezza, e la pelle bianca - letteralmente, quasi come neve - risalta in modo impressionante. In generale sembra piuttosto eccentrico.
Seguono le presentazioni. Sephirt, Minarie, Kaleot, Vincent e gli altri gli stringono anche la mano - hanno visto farlo a tutti gli adulti, d'altronde. Scoprono che Tibb si è trasferito nello stato di Tharia da un paio d'anni, a causa del lavoro di suo padre, ma solo da pochi giorni hanno comprato una discreta proprietà nel villaggio di Aralleth.
Passano i minuti, e nonostante reputi Tibb abbastanza simpatico, Sephirt freme dalla voglia di farsi un bagno; comincia ad avere decisamente caldo. E dalla sua espressione, capisce che anche Minarie la pensa così. La ragazzina intercetta lo sguardo dell'amica e le strizza l'occhio, poi prende Tibb sotto braccio e comincia a trascinarlo verso il torrente. Sephirt e gli altri li seguono, fra sorrisi e risatine contente.
Si spogliano, inconsapevoli e innocenti, chi tenendo addosso solo la biancheria, chi gettando all'aria anche quella. Sephirt vede che Minarie si tiene stretta addosso anche la camicetta, e decide di fare lo stesso. La bambina sa che da tempo l'amica preme per convincere i genitori a regalarle un corsetto che la faccia somigliare ad una fanciulla ricca. "Non mi importa che sia di seta, me ne basta uno di seconda mano!" dice Mina con le mani sui fianchi, come sempre quando si impunta su qualcosa. Ma sua madre proprio non ne vuole sapere, sostenendo che la sua piccola Mina non ha bisogno di corsetti per apparire bella e soprattutto - ma questo alla figlia non lo direbbe mai - desiderabile agli occhi di possibili partiti.
Certo, come no... pensa Sephirt quando l'argomento viene a galla: Minarie ha solo undici anni, come poteva essere fonte di interesse per... eventuali partiti?
"E poi non mi piace pensare che mia figlia si atteggi come una frivola principessina!" dice anche Shirra. La famiglia di Mina è molto orgogliosa del proprio lavorare duro e dei frutti che ciò ha procurato loro.
Onestamente Sephirt non ci penserebbe due volte: se in futuro qualche giovane un minimo benestante le chiedesse di sposarla, lei sarebbe stata felicissima di accettare. E in più, il modo in cui la madre di Minarie salta su nell'affrontare l'argomento la diverte parecchio.
Il primo a tuffarsi nelle acque limpide è Willas; rimane per pochi secondi sott'acqua, poi la sua testa bionda riemerge in superficie. - Cavoli, è fresca!- esclama rabbrividendo un poco, ma poi fa cenno loro di imitarlo. - Venite anche voi!
Vincent, Tibb, Sephirt e gli altri, uno dopo l'altro, si buttano nel torrente. Sephirt deve dare atto alle parole dell'amico: non le pare di ricordare che l'anno prima fosse stata tanto gelida. Ma per fortuna quel giorno il sole è alto e splendente nel cielo, e con l'avvicinarsi delle ore più calde della giornata la temperatura è quasi gradevole.
I ragazzini sguazzano per un po' nelle acque limpide, ridendo e schizzandosi fra loro. Kaleot si è addirittura caricato sulle spalle Tibb, che ora si azzuffa giocosamente con Vincent, a sua volta a carico di Willas. Mentre Zarella e Onna, le gemelline, raccolgono i ciottoli più belli dal fondo del fiumiciattolo, Sephirt è occupata a chiacchierare con Minarie e Arina. Quest'ultima giura alle amiche che il suo fratello maggiore ha incontrato un Letjak due giorni prima, mentre era a caccia con il padre, ma Mina non è convinta. - Non ci sono Letjak in questa zona, Ari! Non se ne vedono da decine di anni!
- Forse da decine di anni no, ma mio fratello ne ha visto uno ieri e per poco non ci è rimasto secco!
- E dimmi, come ha fatto a salvarsi?
Gli occhi di Arina luccicano: tutti sanno che la bambina vede il fratello maggiore come una sorta di eroe. Spiega che Reino prima ha tentato di affrontare il feroce predatore ma poi, consapevole di non avere alcuna possibilità di ucciderlo da solo, si è arrampicato su un albero chiamando l'aiuto del padre. Sephirt si chiede che cosa mai ci sia di glorioso nel rifugiarsi fra i rami degli alberi, ma preferisce non rivelarlo ad Arina. Meglio non demolire i suoi miti.
Il pomeriggio va avanti così, con i bambini che si divertono sotto il caldi raggi del sole, e nessuno di loro può immaginare quello che succederà di lì a poco. La sfortuna si presenta loro sotto la forma di un trio di sagome scure in lontananza; è Zarella la prima ad accorgersene, e stupita le indica con il dito sottile. - Guardate, ragazzi! Arriva qualcuno.
Tutti aguzzano lo sguardo, e man mano che i tre si avvicinano se ne riescono a distinguere sempre maggiori particolari.
Che noia... pensa Sephirt stizzita. Sarà qualche genitore che viene a richiamare all'ordine qualcuno di loro... come Tibb, ad esempio. Quello sembra propri essere un cosiddetto "figlio di papà", i tipo di bambino che non può stare fuori casa per più un paio d'ore...
Evidentemente anche Willas la pensa così, perché si rivolge al ragazzino del Bianco Reame in tono lamentoso:- E dai, Tibb, i tuoi avevano detto che potevi restare fino al tramonto...
- Non lo so, non lo so! Pensavo mi avrebbero...
- Ma non sono genitori!- strepita a un tratto Vincent. - Sono ragazzi! Quello... quello a destra non è tuo fratello, Willas?
Lui impallidisce. Sephirt ne deduce all'istante il motivo: tutti al villaggio sanno la storia del fratello maggiore di Willas, un ragazzone ribelle e strafottente. C'era stato un tempo in cui girando per le strade ad una certa ora, era pressoché inevitabile incontrarlo da qualche parte, ubriaco fradicio o nel bel mezzo di una furiosa zuffa. A volte anche tutte e due le cose.
Eppure, un giorno, Rhaenno era scomparso. Era uscito di casa di notte, dopo una lite furibonda con la madre vedova di Willas, sostenendo di averne abbastanza della sua famiglia e di quel mondo sciatto e per lui "insoddisfacente". Se n'era andato, e forse in fondo in fondo sia Willas che sua madre Petra erano rimasti sollevati dalla sua decisione, in quanto una presenza pesante e difficile da gestire si era finalmente allontanata. Da allora nessuno aveva più avuto sue notizie.
Eppure, ora, eccolo lì; man mano che si avvicinava diventa sempre più riconoscibile. Sephirt ha avuto a che fare con lui solo due volte in tutta la sua vita, ma mai dimenticherebbe la sua zazzera di capelli biondo paglia, gli occhi azzurri perennemente iniettati di sangue per colpa del troppo alcol tracannato.
- Andiamocene via - dice Willas dopo un attimo di silenzio. - Non... non voglio averci nulla a che fare, andiamo via!
- No, dai!- ribatte Minarie seria. - È tuo fratello, no? È passato tanto tempo, magari vuole salutarti...
Sephirt si chiede fin quanto la sua migliore amica possa essere ingenua, nella sua bontà d'animo. Rhaenno può significare una sola cosa per chi gli sta intorno: guai.
Willas o non Willas, ormai è troppo tardi che scappare via inosservati. Il giovane e i suoi compagni li hanno raggiunti. Rhaenno è più alto dell'ultima volta, più muscoloso trasandato. Sullo zigomo destro spicca un vistoso livido violaceo. Gli altri due si assomigliano, forse sono fratelli, e hanno entrambi i capelli scuri e ricci, che risaltano sulla pelle chiara. Uomini Reali.
Ragazzi Reali, per meglio dire.
Rhaenno non tenta neanche di essere gentile con suo fratello. Non lo ha mai fatto.
- Non sei felice di vedermi?- chiede con scherno, fissando le facce scontente dei ragazzini. - Quanto è passato? Un anno, due anni...
- Che cosa vuoi, Rhae?- Willas tenta di fare il duro, come al solito. Rhaenno ha nove anni in più di lui, ma in quel momento sembrano molti di più.
Il giovane estrae dalla tasca un sacchetto di york e glielo sventola sotto il naso. - Ce ne andiamo, Will. Io, Bag e Yeron. Ce ne andiamo al di là del mare, nelle terre a sud. Sono venuto a salutare voi altri.
- E perché?- Kaleot proprio non riesce a trattenere la sorpresa, e i tre lo fissano sprezzanti. - Perché possiamo farlo, ora - spiega uno dei due fratelli, come se tutto quello avesse un senso. - Perché finalmente possiamo andarcene da Fheriea.
Sephirt si sente inquieta. Spera che quella conversazione finisca in fretta e Rhaenno se ne vada davvero al di là dal mare, e li lasci in pace. - Sono contento per te - dice Willas ostentando un sorriso forzato. E Rhaenno, a sorpresa, gli sorride. E per una volta non si legge solo una muta presa in giro sulle sue labbra curvate, ma anche un minimo di affetto sincero. Dà al fratello una pacca sulla schiena un po' troppo forte, poi fa un cenno di saluto agli altri bambini. - Ci si vede,
mogharies* - esclama, poi fa per voltarsi trascinando gli altri due figuri con sé. Ed è allora che nota Tibb.
È incredibile quante espressioni possa assumere un volto in pochi secondi. Beh, quello di Rhaenno passa dal sorpreso, all'infastidito, all'apparentemente divertito.
- Ehi, tu!- dice facendo un passo verso di lui. - Ma non sarai mica uno di quelli bianchi, eh?
Tibb non risponde; è imbarazzato, anche un po' intimorito. A quel punto l'indole suscettibile di Sephirt si fa avanti, e la bambina lo rimbrotta:- Esatto, viene dal Bianco Reame. È un problema? - Forse ha pronunciato quelle parole con un po' troppo di trasporto. O almeno, è quello che le suggeriscono gli sguardi allarmati dei suoi amici. Rhaenno e gli altri due paiono notarla solo ora, e la fissano indispettiti. - Se è un problema?- scandisce il giovane, e la sua aria si fa più minacciosa. Afferra Sephirt per un polso e la attira bruscamente a sé. - Lo vedi questo?- dice indicandosi lo zigomo gonfio e violaceo. Lei, spaventata, annuisce. Rhaenno continua:- Questo me lo ha fatto uno della sua gente. Hai mai provato le nocche rinforzate di ferro di qualcuno sul muso, eh, ragazzina?
- N-no... - balbetta Sephirt, che pur essendo intimorita avverte anche un pizzico di rabbia dentro di lei. L'altro sembra soddisfatto, e si volta verso Bag e Yeron. - E mi ha colpito anche in altri posti, non è vero? Praticamente ovunque.
- Già - concorda uno dei due. - Ti avrebbe ucciso se non fossimo intervenuti noi.
Rhaenno torna a rivolgersi a Sephirt. - Quindi cerca di capire se quando vedo uno così perdo la testa!
- Adesso basta!- interviene Minarie, facendo un paio di passi verso di lui. - Lascia andare Sephirt e, soprattutto, lascia in pace tutti noi.
- Wow, non mi aspettavo che le tue amichette avessero più fegato di te, Will!- constata Rhaenno ammiccando a Sephirt e Minarie. Poi guarda di nuovo Tibb. - E lui? Lui avrebbe il coraggio di sfidarmi?
- Ma che cavolo... - prova a difendersi il bambino della Gente Bianca, indietreggiando.
- Sei di nuovo ubriaco, vero?- gli chiede Willas ad alta voce. Sembra che ciò gli costi ogni briciola di coraggio che ha in corpo, eppure continua:- Te ne sei andato da ubriaco e ritorni così. Mi fai schifo.
- Cosa?- il fratello si volta verso di lui, dimentico di star ancora trattenendo per un braccio Sephirt. La bambina ne approfitta per divincolarsi e ripiegare vicino a Minarie e gli altri. Rhaenno fa un passo verso Willas, mentre i suoi compagni ridacchiano soddisfatti.
È probabile che siano tutti e tre ubriachi... pensa Sephirt. E nonostante questo continua a sperare solo che la cosa si risolva al più presto.
- Cos'hai detto?- ripete Rhaenno, e lo scherno è completamente scomparso dalla sua voce, lasciando spazio al furore. Il coraggio pare aver abbandonato Willas, che fa alcuni passi indietro. Persino Vincent e Kaleot, che di solito non esitano a dare man forte al loro amico, sono ammutoliti.
- Adesso mi senti...- il ragazzo butta per terra il sacchetto di monete, che si apre riversando il contenuto a terra. Poi si tira su le maniche della camicia stracciata.
Sephirt capisce cosa sta per succedere un attimo prima che accada. E sa, sa benissimo, che nessuno di loro ha alcuna possibilità di impedire a Rhaenno di azzuffarsi con suo fratello minore. È troppo grande, troppo forte, e come se non bastasse con lui ci sono altri due giganti che possono dargli man forte.
Senza che se ne accorga, la rabbia sale in lei e il suo respiro si fa più irregolare, più frenetico.
Vede come in un sogno Minarie che, spaventata quanto gli altri, si affianca a Rhaenno trattenendolo per i vestiti. Lo prega di aspettare, gli chiede scusa a nome di Willas, ma non c'é niente da fare. Lui è troppo preso dal fastidio e dall'enfasi dell'alcol.
Tutti quanti lo vedono che si volta verso la ragazzina, le ringhia di farsi i fatti suoi e poi, inaspettatamente, la colpisce con un pugno in piena faccia, proprio sul naso. La bella, delicata Minarie barcolla un attimo, poi, mentre il suo viso si imbratta di sangue, cade a terra all'indietro.
Sephirt non ha mai visto niente del genere, non ha mai avuto un contatto così prossimo con la violenza. E mai avrebbe pensato di vedere qualcuno alzare le mani sulla sua amica Mina. Agisce spontaneamente, come se fosse nata per quello.
Gli altri la vedono scansare Willas, farsi avanti, di fronte a Rhaenno.
Lui è stupito, non si aspettava certo che una bambina di dieci anni osasse tenergli testa.
Sephirt vede se stessa alzare un braccio verso di lui. Vede fiamme, fiamme vere percorrerne la lunghezza. Sta bruciando, eppure non prova alcun dolore.
Nessuno può toccare i miei amici.
Senza pensarci abbatte il pugno chiuso sul volto del fratello di Willas, ancora e ancora. Lo vede che prende fuoco, vede la sua pelle ustionarsi orribilmente. A malapena sente le urla terrorizzate degli altri presenti. Non capisce cosa le sta succedendo, non capisce perché non provi nessuna paura, nessun rimorso nel fare quelle cose. È accecata dalla rabbia, dal furore, da timore che Minarie sia morta, e vuole vendicarsi, vuole vendicarsi e far rimpiangere a Rhaenno di non averli lasciati in pace...
È solo quando il giovane si accascia urlante a terra che la bambina si ferma e torna in sé. Barcolla, non realizza subito quello che è appena successo. Sente uno strano formicolio sul braccio destro.
I due compagni di Rhaenno la fissano terrorizzata, ma non è loro che Sephirt guarda. I sui occhi si posano prima sul ragazzo che ha appena aggredito, poi, mentre comincia ricomporre i tasselli del puzzle, sui bambini poco distanti da lei.
Uno di loro ha appena vomitato.
Tutti hanno dipinta in volto un'espressione sconvolta.
- Sephirt, ma che... che... - biascia Vincent, che ha assunto uno strano colorito verdognolo. - Che cosa hai fatto?
Lei non lo sa ancora. Non sa cosa le sia successo. Torna a guardare Rhaenno, che si contorce a terra in preda al dolore. Sono tutti pietrificati, troppo per parlare. La bambina si rende conto di stare ansimando, e che le sue mani sono scosse da un tremito incontrollabile.
È piccola, ha solo dieci anni, ma dalle espressioni dei suoi amici, dal modo terrificato con cui continuano a fissarla, dal modo con cui non le staccano gli occhi di dosso, capisce una cosa. Dopo ciò che ha fatto, qualunque
cosa sia, nulla sarà più come prima.



Sephirt tornò ad assumere la proprio forma umana in prossimità di un alto colle, sotto impetuose raffiche di vento.
La prima sensazione che provò fu quella di un istantaneo cedimento delle ginocchia, e in meno di un secondo si ritrovò piegata in avanti, a carponi. Un conato la spinse a tossire quello che aveva tutta l'aria di esser sangue. Ma che diavolo mi sta succedendo?
Sconvolta guardò le proprie mani, appoggiate rigidamente al terreno, e si rese conto che le stavano tremando; era la prima volta che le capitava da più di dieci anni. Da quando aveva orribilmente deturpato il volto di quell'insulso pezzente.
Mal... Mal era morto... realizzò all'improvviso. Morto, se n'era andato per sempre. Un attimo prima avevano avuto la possibilità di chiudere quelle storia per sempre e poi... tutto era finito veramente. Mal non c'era più. Non sarebbe mai tornato da lei.
Le dita della strega si chiusero a pugno, tenendo stretta una porzione di terra ed erba strappata; e quando Sephirt urlò con tutte le sue forze, un fulmine squarciò il cielo plumbeo con un boato.











Note: lo so, lo so, è passato un altro mese dall'ultimo aggiornamento. Ma devo dire che, tenendo conto di com'era messa la mia immaginazione nelle ultime settimane, me la sono cavata abbastanza bene. E comunque vi avevo avvisati del ritardo, no? Sono stata previdente : )
Passando al capitolo, come avrete dedotto, si tratta di un flashback sul passato di Sephirt, in particolare la prima volta che ha utilizzato la Magia. Spero di non essere risultata troppo noiosa o banale, e soprattutto di aver reso bene l'idea dell'incontrollabile rabbia della strega, di come abbia reagito di puro istinto. Insomma, una bambina di dieci anni non farebbe mai una cosa simile volontariamente... E nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo, beh, successivamente a questo fattaccio Sephirt viene esiliata dal suo villaggio e ripudiata dalla sua famiglia, come avevo già spiegato velocemente nel capitolo 6. Ah e *mogharies sarebbe il corrispettivo thariano di "ragazzi" (eheh, ci voleva un tocco di stile, no?)
In sintesi, sono contenta di essere finalmente riuscita a postare, ringrazio _Edvige_ che ha recensito lo scorso capitolo e DobbyElfoLibero che ha appena inserito la storia fra le seguite. Aspetto le vostre recensioni, ditemi cosa ne pensate ; )
TaliaFederer

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


19








Theor. Devo tornare da Theor.
Fu quello il suo primo pensiero. Doveva tornare al Nord e riferire quanto accaduto, e in più aveva bisogno di una spiegazione a ciò che le era capitato; né Theor né nessun altro le aveva mai parlato dell'esistenza di un incantesimo che permettesse di scomparire. Esisteva l'incanto cangiante, questo lo sapeva, ma svanire del tutto...
Già una volta le era capitato di ritrovarsi in piena balia della Magia e del suo sconfinato potere, ma allora era solo una bambina. Le fiamme che avevano ustionato Rhaenno erano solo una scintilla in confronto al potere che aveva sviluppato nell'ultimo decennio. Dopo tanto tempo, il pensiero della strega ritornava a quell'episodio di tanti anni prima, il fatidico pomeriggio in cui la sua vita era cambiata. Ricordava ancora alla perfezione la macabra scena di lei che, priva di controllo, si scagliava sul fratello di Willas tempestandolo di colpi infuocati, così come la figura di Minarie riversa al suolo e gli occhi stralunati dei suoi amici, occhi che mai avrebbe dimenticato. Successivamente a quell'aggressione, Sephirt non aveva quasi più avuto contatti con nessuno di loro. Sapeva solo che in realtà Mina non era affatto morta, e non aveva neanche riportato danni gravi, e che alcuni ragazzini avevano raccontato quanto visto ai genitori. Inizialmente nessuno aveva creduto loro, ma poi la vista di Rhaenno, che sconvolto e dolorante tornava al villaggio sostenuto da Bag e Yeron, era stata una prova sufficiente.
Allareth era un villaggio troppo piccolo e fuori dal mondo perché vi fossero sufficienti persone a conoscenza della Magia per scagionare la piccola Sephirt, e pertanto lei era stata costretta all'esilio, etichettata come creatura demoniaca dai più. Qualcuno aveva addirittura proposto di ucciderla subito, ma fortunatamente sua madre – che, seppur disgustata da quanto sua figlia aveva fatto, aveva pianto come una fontana nel vederla andare via – si era fatta garante per lei e aveva assicurato che una volta allontanatasi, Sephirt non avrebbe più causato problemi a nessuno.
Per la bambina era stato tutto molto doloroso, troppo; per quattro anni, quattro lunghissimi anni, aveva vissuto senza una casa. Aveva vagato per i territori nei pressi di Allareth, poi per i boschi, rischiando molteplici volte la propria incolumità e la propria vita. Aveva avuto il permesso dai suoi genitori di portarsi dietro un fagottino in cui aveva infilato a forza qualche provvista e una copertina di lana. Di nascosto, suo padre le aveva consegnato anche un piccolo coltello. Per proteggerti, aveva mormorato, anche se nei suoi occhi non si era scorta ombra di dolcezza. Anche se a quanto pare non hai bisogno di una lama per essere letale.
Quello era stato in assoluto il periodo più buio dell'esistenza di Sephirt, e le ci erano voluti anni prima che crescesse diventando finalmente matura e consapevole. Aveva percorso praticamente mezza Fheriea a piedi, con l'unico scopo di allontanarsi il più possibile dal suo villaggio natale e da tutte le persone che l'avevano rifiutata, scoprendo la sua diversità e la sua indole pericolosa. Solo quando, a quattordici anni compiuti, era giunta nella bianca desolazione delle Terre del Nord, aveva deciso di fermarsi. Ed era stato ad Amaria che aveva incontrato Mal e scoperto i più grandi segreti della Magia.
Eppure, il dolore provato allora non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che bruciava impietoso in lei ora. Mal Ennon era stato per lei molto più di una famiglia: era stato il suo mentore, il suo protettore, l'unico suo vero amico. L'uomo che aveva imparato ad amare.
Spesso gli uomini capiscono quanto sia importante una cosa solo quando stanno per perderla, le aveva spiegato una volta il mago, quando ancora lei era una sua allieva. Solo ora Sephirt capiva quanto avesse avuto ragione.
La donna riuscì a malapena a raggiungere il villaggio più vicino, barcollante e con la testa squarciata da potenti fitte di dolore. Qui sostò per una sola notte in una squallida locanda, dando fondo agli ultimi york che si era portata dietro da Amaria.
Quella notte dormì poco e decisamente male, e tutte le ore che trascorse distesa su quel materasso mangiucchiato dalle pulci furono funestate dall'angoscia che la morte di Mal le aveva procurato, e poi da incubi conturbanti. In sogno rivedeva di continuo la giovane cacciatrice haryarita che pugnalava Mal alle spalle, immagini che poi sbiadivano e si confondevano con i ricordi più oscuri della sua infanzia, la folla inferocita che la accusava, il sangue di Rhaenno sulle sue mani, lei che vagava sola fra gli alberi nella notte...
Vendicami, la voce di Mal era più chiara che mai nelle sue orecchie. Vendicami, Sephirt, uccidili tutti...
O forse era reale? Mal era davvero lì, accanto a lei?
No, non era possibile; lui era morto, quella dannata cacciatrice l'aveva ucciso e abbandonato il suo corpo fra le colline...
... Sephirt...
«NO!» la strega si tirò di scatto su a sedere.
«Mal?» chiamò poi speranzosa, guardandosi intorno nell'oscurità. Generò una piccola fiamma con una mano e accese la candela mezza consumata che giaceva sul comodino di legno. La sollevò e scrutò l'interno della piccola stanza fiocamente illuminata.
«Mal...?» ripeté, e questa volta la sua voce suonò più come una sorta di pigolio incerto.
Qui non c'è nessuno.
Sephirt scese dal letto e appoggiò i piedi scalzi sulle scricchiolanti assi di legno che componevano il pavimento, per poi avviarsi alla finestra. Spalancò le ante di legno e lasciò che la brezza notturna le scompigliasse i capelli, inspirandola a pieni polmoni.
Idiota, si disse. Ora ti fai venire anche le allucinazioni?
No. La verità era che il suo bisogno di sapere che Mal potesse essere ancora vivo era così disperato da spingerla ad aggrapparsi a qualunque cosa, persino ad un sogno. La donna del Nord rimase per alcuni minuti a fissare le stradine deserte del piccolo villaggio, chiedendosi come fosse possibile che tutti, in quella misera cittadina, ignorassero lei e il suo dolore.
Vendicami...
Oh, sì. Su quello non c'erano dubbi: una volta che avesse raggiunto Theor e si fosse rimessa in forze, non avrebbe esitato a riprendere la caccia. Avrebbe convinto Theor a lasciarla andare una seconda volta per portare a termine il lavoro iniziato con Mal. E quella volta, né quella cacciatrice, né quei due insulsi Consiglieri, Jel e Gala, sarebbero potuti scampare alla morte. Non le importava come, sapeva solo che li avrebbe annientati.


Una volta rimediato un cavallo di medie dimensioni – che le era costato gli ultimi quattro hire che possedeva – Sephirt fu in grado di ripartire verso Amaria e le Terre del Nord. Si era anche infilata in una delle tasche del mantello tutto il cibo che a colazione era riuscita ad avvolgere nel proprio fazzoletto di stoffa. Più si allontanava dal villaggio, più l'aria si faceva fresca e lei avvertiva la sua patria più vicina. Impiegò l'intera giornata (fatta eccezione per una breve pausa, dove controvoglia consumò un leggero pasto a base di pane e formaggio) e parte della notte, ma alla fine riuscì a raggiungere la capitale nordica senza aver sprecato troppo tempo.
Il ricordo dell'ultima volta che era stata lì con Mal le si affacciò indesiderato alla mente e alla donna salirono le lacrime agli occhi, cosa che la irritò ancora di più.
Maledizione... ringhiò mentalmente rivolta a se stessa e, una volta legato il cavallo ad una staccionata, ripartì a piedi alla volta del palazzo reale.
Percorse le vie buie di Amaria così in fretta da non accorgersi degli sguardi che i numerosi Ribelli presenti le rivolgevano; all'interno della cerchia dei fedelissimi di Theor, lei era una delle maggiormente conosciute.
Quando poi, ad un tratto, uno di loro la fermò posandole una mano sulla spalla, lei quasi sobbalzò.
«Mia signora... sei di ritorno, finalmente».
A quel punto, nonostante l'ora notturna, Sephirt lo riconobbe: era Breioh, un uomo sulla quarantina che in passato era stato un grande amico di Mal. Tuttavia, la strega non aveva alcuna voglia di rimanere lì a parlare.
«Ho bisogno di fare rapporto al nostro signore Theor al più presto. Non ho tempo per aggiornarti, Breioh» disse freddamente. Lui parve un poco indispettito.
«E Mal dov'è? Sephirt, che cosa è successo?»
Sephirt non si sarebbe mai più fatta vedere piangere da nessuno, ma quella volta ci andò molto vicino; bruscamente si liberò dalle stretta del Ribelle e continuò a camminare per la sua strada.
«Sephirt!»la chiamò ancora Breioh da dietro, sbalordito, ma lei non ci fece caso.
Stupido perditempo... pensò adirata. Vorrei tanto sapere cosa ci fanno lui e quegli altri in giro a quest'ora di notte. Non credo siano tutti qui a fare la ronda...
Finalmente, dopo quelle che le parvero ore, la donna arrivò in vista del palazzo della famiglia Vanyana, che ora era diventata pressoché la reggia di Theor.
A quel punto, la rabbia e il dolore non erano più le uniche sensazioni vive in lei: una volta scoperto che lei e Mal avevano fallito di nuovo nell'impresa, Sephirt non sapeva come avrebbe potuto reagire Theor. Forse, pensò con uno spiacevole brivido che sapeva tanto di terrore, il mago avrebbe incaricato qualcun altro di trovare i due giovani Consiglieri al posto suo. Qualcuno di più forte, di più capace, di migliore di lei. Ma chi era rimasto?
Con Mal morto, non erano più in molti i maghi al servizio della ribellione che si potessero definire potenti. Wesh era ormai troppo anziano per portare a termine una missione del genere, quindi la scelta si sarebbe ristretta ancora: come maghi, nel concilio di Theor rimanevano solo più Hareis e Astapor Raek, ma al momento quest'ultimo era lontano, a Città dei Re come infiltrato nel Gran Consiglio. Da parte sua, Sephirt aveva sempre detestato abbastanza Raek, con i suoi modi melliflui e cerimoniosi, mentre con Hareis era sempre andata d'accordo. Forse perché il temperamento impulsivo e audace del giovane uomo le aveva sempre ricordato il proprio.
Al momento, però, tutto quello non aveva alcuna importanza: non le importava degli altri Ribelli, per quanto in gamba fossero. Ad uccidere Jel e Gala sarebbe stata lei, fosse anche stata l'ultima cosa che avesse fatto.
Una volta giunta davanti al portone principale, le due guardie le si pararono davanti.
«Fatemi entrare» protestò Sephirt all'istante, dimentica dei soliti procedimenti di sicurezza stabiliti da Theor. «Sono io, Sephirt, non vedete? Ho bisogno di parlare con Theor adesso.»
«Lord Theor è impegnato, in questo momento» replicò con calma una delle guardie. «Intanto dovrà attendere che lord Wesh sia disponibile per la perquisizione».
«Io sono un membro del concilio ristretto!» esclamò la donna con evidente fastidio. «Dovete farmi entrare adesso!»
«Gli ordini sono ordini» nessuno dei due aveva intenzione di demordere. «Mia signora, è piena notte, vi consiglio di tornare domani».
«Forse non avete capito» ringhiò Sephirt, la cui collera era ormai pronta ad esplodere. «È una cosa importante. Devo parlare subito con Theor. Ne va del futuro del nostro popolo».
Sephirt era sicura che in quel momento, vista la propria furia, le sarebbe bastato agitare una mano per scaraventare entrambe le guardie giù per la scalinata, ma rimase lucida quel tanto che le bastò per controllarsi un poco; così si limitò a scansarli bruscamente con la Magia e afferrare il mazzo di chiavi assicurato alla cintura di uno dei due uomini.
«Mia signora!» fece questo ad alta voce, scandalizzato, ma lei non se ne curò. Spalancò le porte ed entrò di getto nel palazzo. Doveva raggiungere la sala delle riunioni prima che i due tentassero ancora di ostacolarla.
Ma, stranamente, Theor non era nella stanza delle riunioni.
«Che ci fai qui, Sephirt?» nella voce del maestro di Amaria e supremo lord delle Terre del Nord traspariva non poca sorpresa. Theor era lì, in piedi, e fissava lei e le due guardie con un sopracciglio alzato.
Accanto a lui c'era Astapor Raek. Il Consigliere pareva estremamente in affanno, il che era piuttosto strano per un uomo come lui. Evidentemente in quei giorni le cose andavano male per tutti.
«Questi due» e la strega scoccò un'occhiata infuocata agli uomini dietro di lei. «Non volevano lasciarmi entrare. Ho bisogno di parlarti».
«Ci è stato ordinato di non lasciar entrare nessuno senza la perquisizione» ribatté uno dei due irritato. «Neppure coloro che conosciamo, Sepirth».
Astapor Raek ridacchiò nervosamente, ma l'espressione di Theor non cambiò di una virgola.
«Amion, Doxel, lasciateci» disse seccamente, e le due guardie si affrettarono a chinare il capo ed obbedire.
Quando Theor tornò a guardare Sephirt, i suoi occhi erano così seri che la donna fu indotta ad abbassare i propri.
«Cos'e successo, Sephirt? Dov'è Mal Ennon?»
Lei deglutì e sperò che il suo gesto non suonasse troppo simile a un singulto.
«Noi abbiamo trovato i due Consiglieri, mio signore. Li avevamo in pugno, stavamo per...»
«Sephirt» Theor la interruppe con voce ferma. «Vieni al dunque».
La strega fece di tutto per impedire ai propri occhi di riempirsi di lacrime.
«Mal è stato ucciso, Theo... mio signore» annunciò. «Una donna è venuta in soccorso dei due Consiglieri e lo ha... - deglutì di nuovo nel pronunciare quelle parole - ... pugnalato alle spalle».
L'espressione dei due uomini dinnanzi a lei parve vacillare, poi Theor disse in tono duro:«Seguimi, subito» poi guardò l'infiltrato e aggiunse:«Raek, puoi andare nelle tue stanze e attendi. Parleremo domani mattina».
«Ma certo...» Astapor lanciò un fugace sguardo a Sephirt, poi chinò il capo e si voltò, dirigendosi a grandi passi verso la scalinata.
A testa bassa, la donna seguì il mago verso la sala delle riunioni e pregò perché Theor non decidesse di punirla troppo severamente per il fallimento riportato. Nel palazzo regnava il silenzio. Il piccolo sovrano Robyn doveva essere nelle sue stanze a riposare, sorvegliato dalla sua scorta.
Alla fine, dopo essersi accomodato su una delle sedie che contornavano il tavoloe averla invitata a fare lo stesso, Theor parlò. La guardò con occhi stranamente stanchi e domandò:«Dici sul serio, Sephirt?»
Lei annuì, e non riuscì più a trattenersi: una lacrima, una piccola lacrima solitaria le scese indesiderata lungo la guancia destra.
«È stato un... un terribile imprevisto...» la giovane non riusciva più a formulare frasi contenute. «Mi dispiace, Theor, mi dispiace. Non ce lo saremmo mai aspettato...»
Gli occhi ambrati del mago non tradivano alcuna emozione. Eppure, Sephirt era sicura che persino lui non sarebbe rimasto indifferente all'uccisione di uno dei suoi servi più fedeli.
«E immagino che i due ragazzi siano fuggiti, nevvero?»
Sephirt si sentì gelare, ma sostenne lo sguardo dell'uomo ostentando fermezza.
«È così: sono riusciti a scappare. Di nuovo » pronunciò quelle ultime parole con rabbia.
Theor rimase a studiarla ancora per qualche istante, poi – e questa volta l'ira era palpabile nella sua voce – domandò:«E tu hai lasciato che lo facessero? Avevi bisogno di qualcuno che ti ricordasse quale fosse la tua missione, Sephirt?»
«Era proprio di questo che volevo parlare...» aveva assouto bisogno di sapere cosa le fosse successo. E quale persona avrebbe potuto illuminarla meglio di Theor?
«Allora?»
«Dopo la sua morte, ecco... è successo qualcosa» Theor si fece attento. «Io non ho potuto inseguire i Consiglieri perché... perché ad un tratto non sono più stata lì».
L'uomo aggrottò le sopracciglia.
«Come sarebbe a dire, non sei più stata lì?»
«Non mi era mai successa una cosa simile...» commentò Sephirt, più rivolta a se stessa che a lui. Alzò gli occhi. «Per un attimo è stato come se non esistessi più».
All'inizio la strega si era aspettata di vedere il maestro del Nord scoppiare a ridere, o decretare che ciò non era possibile, che probabilmente era ancora troppo sconvolta per ragionare... Invece, lui si limitò a fissarla, come assorto.
«E poi cos'è accaduto?» la incalzò ad andare avanti poco dopo. Sephirt sospirò. «Poi... beh, non lo so con esattezza. Ho cominciato a riprendere coscienza di me stessa, a poco a poco. Quando sono tornata in me ero in un posto completamente diverso».
Desiderava terribilmente che Theor dicesse qualcosa a questo punto, qualsiasi cosa. Non le importava, aveva bisogno di trovare una spiegazione, qualcosa che la distogliesse almeno momentaneamente dal dolore...
«Di cosa credi che si tratti?»
Lo sguardo che l'uomo le rivolse a quel punto fu a dir poco enigmatico; le sue iridi chiare rimasero fissate in quelle rossastre della strega, e per pochi secondi Theor non parlò. Poi, a bassa voce, scandì:«Non ne sono sicuro...»
«Di che cosa? Diamine, Theor, dimmi qualcosa!»
Era da molti anni che non le capitava di sentirsi così fragile e bisognosa di aiuto.
Ma Theor si rialzò, e senza più guardarla decretò:«Non credo sia nulla di particolarmente speciale. Probabilmente hai solo reagito d'istinto, manifestando un potere che non credevi di avere. Ti era già capitato, una volta, se ben ricordo».
Nella sua voce trapelò però qualcosa di strano: una sorta di incertezza, che di rado il mago aveva mostrato. Che stesse mentendo era chiaro.
«Sì, ma...» rispose Sephirt, tra il confuso e l'indispettito. «L'incantesimo dell'Evocazione è qualcosa di conosciuto, mentre scomparire... Non sapevo che fosse possibile...»
L'Evocazione.
Fu allora che Theor parve rendersi conto di una cosa.
A sorpresa, le si avvicinò e le afferrò il mento con due dita, costringendola a fissarlo negli occhi.
«E tu ti sei mai chiesta come mai la tua prima magia sia stata proprio un'Evocazione?»
Sbalordita, lei scosse piano la testa.
«No, è come immaginavo...» a Sephirt parve quasi di scorgere un barlume di vittoria nello sguardo del capo dei Ribelli, ma in quel momento non capì a cosa fosse legato. Theor la lasciò andare e si voltò, concludendo:«Sei più imprevedibile di quanto pensassi. Forse, alla fine, Mal aveva ragione... Ma per intanto, tu rimani qui. Ad Amaria».
«E per quanto riguarda i due Consiglieri?» esclamò da dietro la strega. «Chi si occuperà di loro?»
Fermandosi, Theor rispose:«Rifletterò se mandare Hareis a terminare il lavoro. Ma adesso vieni via, Sephirt. Per ora non posso dirti altro».
Sconcertata e delusa, mentre la rabbia tornava a farsi strada in lei, la donna rifletté sulle parole del maestro. Se doveva essere sincera, no, non si era mai chiesta perché la sua prima esternazione dei propri poteri fosse stata proprio un'Evocazione. Un'Evocazione, che fra gli incantesimi della Magia Antica era fra i più potenti e difficili da padroneggiare.
Ma in quel momento, la cosa non le pareva il problema più grave: Theor aveva deciso di scegliere Hareis come nuovo sicario, non lei. Ciò voleva dire che la caccia, la sua caccia, sarebbe stata affidata a qualcun altro. Secondo Theor, non sarebbe stata lei a vendicare Mal Ennon.
No, pensò Sephirt stringendo i pugni. Quel compito spettava a lei; avrebbe trovato quei due miserabili Consiglieri e la loro nuova alleata e li avrebbe uccisi, facendo in modo che la morte di Mal non fosse stata vana. Non le importava di ciò che Theor avrebbe detto sul suo conto. Con o senza il suo permesso, lei sarebbe ripartita per chiudere una volta per tutte quella storia, che a quel punto si era protratta fin troppo.
La strega abbandonò il suo posto sulla sedia e si diresse verso l'uscita del palazzo, scura in volto; solo nel raggiungere l'ingresso si ricordò dell'inaspettata presenza di Astapor Raek ad Amaria. Che cosa ci faceva lui lì?
L'ultima volta che l'aveva incontrato era di ritorno dalle Terre del Nord, con il compito di restare nello Stato dei Re attendendo nuovi ordini da parte di Theor. Che fosse successo qualcosa?
A metà strada fra la scalinata e lo spazioso cortile esterno che dava sulla reggia nordica, Sephirt fu tentata di tornare indietro per approfondire l'argomento. Dopotutto, sapeva dove si trovavano le stanze di Raek, e l'infiltrato si era sempre mostrato molto disponibile verso di lei.
Meglio di no, si disse poi. Se Theor avesse ritenuto opportuno parlarmene lo avrebbe già fatto.
Eppure, il fatto che avesse preferito Hareis rispetto a lei non stava a significare nulla di buono; la fiducia di Theor verso di lei doveva aver vacillato pericolosamente quella notte.
Ancora più corrucciata di quanto non fosse in precedenza, la donna si diresse a grandi passi i direzione della sua abitazione, che distava circa dieci minuti di cammino dal palazzo di Amaria. Stringendosi nel proprio mantello, maledisse mentalmente il giorno in cui Theor aveva deciso di mandare lei e Mal alla ricerca di Jel e Gala: se fin da allora il loro signore avesse scelto Hareis o qualcun altro al posto loro, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto e Mal sarebbe stato ancora vivo.
Una volta giunta a casa, Sephirt si buttò sul letto senza neanche sfilarsi gli stivali. Con una mano strinse una porzione di lenzuola spiegazzate: dall'ultima volta in cui vi aveva dormito non aveva più sistemato le coperte. Si era trattato della sera prima della loro partenza verso sud, e la strega ricordava ancora di aver riposato malamente quella notte; dopo una riunione serale indetta da Theor, aveva consultato ancora per ore un vecchio libro che ora giaceva abbandonato sulla scrivania della stanza.
Era a casa. Dopo tanti mesi, era a casa.
Ma la condizione in cui vi era tornata non era neanche lontanamente simile a quella che lei aveva immaginato.








Note: ed ecco il diciannovesimo capitolo ^^
Come avete potuto vedere, è interamente dedicato al Pov di Sephirt (sissignori, il secondo di fila!) ma tranquilli, Jel, Gala e Ftia torneranno tutti nel prossimo aggiornamento, che spero arriverà a più presto. Nel frattempo ditemi cosa ne pensate, mi sono data un paio di riletture e mi pare che tutto fili liscio, ma potrebbe essermi sfuggito qualcosa! Grazie in anticipo per chi si fermerà a recensire.
Un bacio, TaliaFederer (dei, quanto amo il mio nuovo avatar?) xD

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


20








Il viaggio di andata e ritorno per Città dei Re si rivelò stranamente rapido e privo di grandi problemi per Jel e Gala e in soli quattro giorni i due maghi erano riusciti a prelevare la Pietra della capitale di Fheriea e tornare a Tamithia ancora incolumi.
Con grande sollievo di entrambi, non avevano scorto traccia né di Sephirt né di altri Ribelli nordici, dunque non erano incappati in nessuna situazione pericolosa. La nuova Pietra ora era nelle loro mani, al sicuro nel sacchetto insieme alle altre.
Ancora una volta, di fronte al sostituto di Camosh come maestro dello Stato dei Re, i due maghi non avevano fatto parola di quanto successo durante il viaggio fra loro, Mal e Sephirt, anche se stavolta la cosa gli era costata parecchia fatica.
Il Consigliere Anérion era riuscito anche a procurarsi due nuovi mantelli, dopo che Jel aveva dichiarato che quelli vecchi erano stati loro trafugati da un immaginario locandiere poco affidabile; almeno, in quel modo avrebbero affrontato il viaggio verso Amaria con degli indumenti un minimo adeguati.
Mentre percorrevano a memoria i vicoli e le stradine di Tamithia in direzione della casa di Ftia, Jel rifletteva: finalmente, dopo mesi, la loro missione poteva definirsi quasi giunta al termine; dopotutto mancava ancora all'appello solamente una Pietra. Il problema era che recuperarla non sarebbe stato affatto facile, in quanto andata dispersa tempo addietro, prima che loro partissero per il loro viaggio. Lui e Gala avevano deciso di recarsi prima di tutto a Nord per cercarla; avrebbero fatto tappa prima di tutto ad Amaria, che era una delle possibili ubicazioni attuali della Pietra; anche se il talismano era stato trafugato e sottratto alla cripta del nord, Jel era convinto che potesse ancora trovarsi lì, da qualche parte. Forse Theor aveva deciso di prenderla per sé e tenerla sotto più stretta sorveglianza, oppure aveva incaricato qualcuno di custodirla in segreto. Poi, se non fossero riusciti a rinvenirla nella capitale, Jel si era ritenuto d'accordo con Gala sull'idea di andare a Gax, città nordica completamente in mano ai Ribelli, divenuta quasi un simbolo per la loro rivoluzione. Tra tutti i luoghi possibili nelle Terre del Nord, Jel eta certo che Gax fosse il più sicuro ed impenetrabile di tutti. Anche se la Pietra Bianca si fosse trovata realmente lì, entrare in città e sfuggire ai Ribelli sarebbe stato estremamente impegnativo.
Lui e Gala raggiunsero in poco tempo la casa dove Ftia abitava; con stupore, Jel notò che la porta non era chiusa a chiave. Scambiò con Gala uno sguardo significativo.
Che in casa fosse entrato qualcuno?
«Ftia?» chiamò il giovane circospetto, premendosi un dito sulle labbra per dire a Gala di tacere. «Ftia, ci sei?»
Non ottenne risposta. Leggermente inquieto, si decise finalmente a spingere, piano, la porta in avanti. Il silenzio era quasi assoluto, e non c'era nessuna candela accesa.
«Ftia...?» ripeté un ultima volta, ma dato che nessuno rispondeva, si rivolse alla compagna:«Stai pronta, nel caso che...»
Gala annuì e Jel fu lieto di constatare che aveva capito. Col cuore in gola e camminando in punta di piedi, i due maghi svoltarono l'angolo preparandosi al peggio.
«Cribbio!» esclamò Gala atterrita mentre un'ombra schizzava da dietro la porta si parava loro davanti, questo poco prima di riconoscere Tamaj, un gatto randagio che Ftia portava in casa per dargli da mangiare, talvolta. Jel e Gala si lasciarono sfuggire un sospiro di sollievo.
«Accidenti a quel gatto...» mormorò il giovane rincuorato, ma poi si chiese come avesse fatto Tamaj ad entrare in casa.
Magari perché la porta era aperta... Già, ma perché la porta era rimasta aperta? E dov'era Ftia?
«Guarda qua...» intervenne Gala, indicandogli un biglietto posato sul tavolo di legno. Lo raccolse e lesse con aria annoiata:

Sono a caccia. Non so quando tornerò, vi ho lasciato la porta aperta.
Ftia.


«Incredibile» commentò la ragazza acida. «Non sapevo che fosse anche capace di scrivere...»
«E piantala!» ribatté Jel lanciandole uno sguardo esasperato. Non sapeva chi trovasse più infantile: se Ftia che non perdeva mai l'occasione di punzecchiare Gala, oppure lei con le sue frequenti battutine sulle abilità della cacciatrice. Adesso che ci pensava, era una vera fortuna che la ragazzina non avesse idea di ciò che era successo fra lui e Ftia qualche giorno prima, altrimenti se lo sarebbe legato al dito circa per il resto della vita.
Mentre Gala spariva nella stanza che aveva adottato, Jel si lasciò cadere a terra, appoggiando la schiena al muro; tirò fuori l'involucro contenente le Pietre e lo aprì. Un variopinto, leggero luccichio se ne sprigionò, e per diversi secondo il Consigliere rimase a fissarle, assorto. Porpora, smeraldo, lillà, blu e oro. Cinque Pietre. Ne mancava ancora una, diamine, soltanto una! Presto sarebbero potuti tornare a Grimal.
Jel ricordò amaramente le speranze che aveva nutrito poco prima di partire, di cavarsela in fretta, di non incappare in eventuali pericoli e riunire le Pietre senza difficoltà. Non era passato neanche un anno da allora, ma a lui già pareva un'eternità. Sapeva bene che tutte le difficoltà e le sfide che avevano dovuto affrontare prima o poi si sarebbero rivelate utili, specialmente contando che – stando alle voci e a quanto aveva detto il maestro Ellanor – era in arrivo una guerra.
Le sue riflessioni furono interrotte dal rumore della porta che si apriva.
«Ah, Ftia» la salutò con un sorriso forzato. «Come è andata la caccia, oggi?»
Ma all'istante si rese conto che qualcosa non andava: il respiro della donna era irregolare e pesante. Un singulto spezzò il silenzio nella casa.
«Ftia!» esclamò il giovane tirandosi su di scatto, mentre una Ftia evidentemente malconcia si presentava nella stanza. Zoppicava e Jel notò subito che si teneva premuta una mano sul fianco, mentre con l'altra brandiva ancora un coltello insanguinato.
«Jel...» biasciò la cacciatrice con voce flebile, e lui riuscì ad agguantarla un attimo prima che incespicasse e crollasse in avanti.
«Gala!» urlò spaventato. «Vieni a darmi una mano!»
La strega riapparve da dietro la porta e rimase qualche istante ferma, sbalordita. «Ma... che cavolo è successo?»
«Non lo so» rispose Jel deponendo Ftia sul pavimento di legno, scostandole la mano dalla ferita. Udì distintamente Gala lasciarsi sfuggire un:«Dannazione...» sommesso e non poté che darle ragione: il fianco destro della donna era parzialmente squarciato, come se qualcosa avesse tentato di strapparglielo con un morso. Il suo corpetto di cuoio era sbrindellato e imbrattato di sangue, e il mago si rese conto che era un miracolo che Ftia fosse riuscita a trascinarsi a piedi fino alla propria abitazione.
«Jel... Jel... devi fare qualcosa!» strepitò Gala, al che lui si riscosse: sì, doveva trovare un modo, un incantesimo che fermasse l'emorragia e le impedisse di morire dissanguata.
«Va a cercare delle bende!» ordinò all'amica mentre con mano ferma prendeva dalle mani della cacciatrice il suo coltello; si accinse a rimuovere i lembi dell'indumento che erano rimasti attaccati alla pelle sanguinolenta, recidendo il cuoio del corpetto e gettandolo via, poi valutò quanto fosse effettivamente lunga e profonda la ferita. Doveva trattarsi sicuramente del morso di qualche animale selvatico, presumibilmente un letjak viste le dimensioni dello squarcio. Il corpo di Ftia era scosso da forti fremiti, tanto da non permettere al mago di concentrarsi; il giovane le posò una mano sulla fronte, per poi scendere sugli occhi e sul viso, applicandole un incantesimo che affievoliva i sensi, ergo anche il dolore. La donna cessò un poco di dimenarsi, mentre Gala faceva ritorno nell'ingresso brandendo un mantello color grigio chiaro.
«Non ho trovato niente di meglio» annunciò scuotendo la testa. «Non credo tenga bende o simili, in casa...»
«Andrà benissimo» tagliò corto Jel. Poi le passò uno dei coltelli che Ftia teneva ancora assicurati alla cintura. «Tagliala e fanne delle strisce» le ordinò. «Poi aiutami a sollevarla. Dobbiamo metterla sul tavolo».
La ragazzina fece quanto le aveva detto poi, seguendo le sue istruzioni, afferrò i piedi della cacciatrice mentre Jel faceva lo stesso con le braccia. Spostarono Ftia dal pavimento e la depositarono delicatamente sul piano del tavolo da pranzo. Ora Jel doveva agire in fretta.
Appoggiò i palmi sul fianco ferito della donna – vincendo la repulsione per tutto quel sangue – e chiuse gli occhi evocando la formula che gli serviva. Sottovoce, iniziò a pronunciare la litania di parole in Fladjir.

«Avisia miekarth sfraiy tha simis...»

Lo sguardo Gala continuava a saettare dal corpo di Ftia al volto teso e concentrato dell'amico, che continuava a ripetere parole di cui non ricordava il significato.

«... Perea mofiel harsa waviel. Avisia miekarth...»

Jel aveva paura: sentiva un leggero calore scorrergli lungo le falangi, ma non era mai stato particolarmente portato per gli incantesimi di guarigione, anzi, nutriva la forte impressione che probabilmente Gala avrebbe saputo fare di meglio. Eppure non se la sentiva di investirla di una tale responsabilità, non in quel momento. C'era il rischio che si facesse prendere dal panico, che si distraesse rischiando di mandare tutto all'aria.
Terminò di recitare l'incantesimo dopo parecchi, lunghi secondi, ma non riaprì subito gli occhi; aveva paura di ciò che avrebbe potuto vedere. Alla fine, sollevò lentamente le palpebre e posò lo sguardo sulla ferita della donna.
«Ce l'hai fatta, Jel...»
Il mago sospirò profondamente, mentre il sollievo – caldo e piacevole – si diffondeva ben accolto dentro di lui. Lo squarcio non era ancora completamente rimarginato, ma la fuoriuscita di sangue si era affievolita notevolmente, fino ad interrompersi del tutto. Il respiro di Ftia si era fatto regolare, ora.
«Ce l'hai fatta...» ripeté Gala fissandolo. Aveva le guance rigate di lacrime, frutto dell'angoscia e della tensione, ormai scioltesi grazie al tentativo riuscito del compagno. «Jel, sei stato... sei stato fenomenale!»
Lui la guardò quasi senza vederla, ansimante per la fatica che l'applicazione dell'incantesimo gli era costata, con il cuore che gli batteva ancora come impazzito. Ma ci era riuscito: almeno finora, Ftia era fuori pericolo. Sarebbe sopravvissuta.
«Controlla che continui a respirare normalmente» disse asciutto rivolto a Gala. «Ho bisogno di un attimo...»
Lei lo guardò con apprensione e annuì, per poi rispondergli:«Certo, Jel. Resto io con lei».
Grato, il giovane sorrise debolmente, si voltò e si avviò verso la stanzetta dove di solito riposava la ragazza. Dopo che fu entrato, si assicurò di accostare per bene la porta.
Sciolse il lacci del proprio nuovo mantello con rabbia, ne appallottolò un lembo e se lo ficcò in bocca, fra i denti.
E a quel punto urlò, urlò con forza e disperazione, urlò per tirare finalmente fuori tutta l'ansia, la paura, l'odio e il risentimento che aveva serbato durante quel dannato viaggio. Ne aveva abbastanza: lui e Gala ne avevano passate di tutti i colori, ma non era bastato; ora si ritrovavano anche ad avere per le mani la vita di Ftia Elbrik.
Quando ebbe finito, respirò a fondo; si era sfogato, finalmente. Estrasse la stoffa umida dalla propria bocca e la guardò con occhio critico: era davvero arrivato sul punto di impazzire.
Non farlo mai più.
Jel rise nervosamente, distendendosi sulla branda e chiudendo per qualche secondo gli occhi. Ora che la paura era svanita, provava un incredibile senso di stanchezza. Avrebbe tanto desiderato dormire.


«È stato un letjak» spiegò Ftia con voce flebile, mentre una smorfia di dolore le contorceva il viso. «Stavo inseguendo un Athros che mi ha attirata fin nella foresta, ma mi sono addentrata troppo e quella cosa mi è saltata addosso. Non ho potuto far niente...»
È come pensavo, decretò Jel mentalmente. Per propria fortuna non si era mai ritrovato nelle condizioni di essere in prossimità di un letjak, e di questo era grato: erano dannatamente grossi e così robusti da avere persino una notevole resistenza agli incantesimi. Se poi a questo si aggiungevano le zanne taglienti come coltelli e l'inaudita velocità, beh, l'insieme era letale. Non c'era da stupirsi che Ftia fosse ridotta in quelle condizioni.
«Gala ha detto che sei stato tu a fare... questo» la cacciatrice indicò il proprio fianco bendato con un cenno del capo. «Io... ti sono debitrice».
«Dovere» rispose lui istintivamente. Ed era vero. Non avrebbe mai potuto lasciarla lì a morire; aveva rischiato, ma alla fine la sua audacia era stata premiata.
«Comunque non è affatto un ottimo lavoro» aggiunse poi per schermirsi preventivamente. «Non so se continuerà a darti problemi».
Ftia fece spallucce – gesto che parve causarle un po' di fatica – e ribatté:«Sono viva per adesso, no? È già qualcosa.
Suo malgrado, Jel rise alla battuta».
In quel momento Gala rientrò nella camera di Ftia tenendo in mano una ciotola colma di un liquido color marrone chiaro. «Quando te la senti, bevila» disse poggiandola sul ristretto comò di legno. «Spero di averla preparata correttamente».
«Che cos'è?» chiese Jel incuriosito, guardando l'amica con occhi interrogativi. Alla domanda la ragazzina arrossì visibilmente, e evitando di guardarlo spiegò:«È un antidoto per il dolore. Nulla di che, ma... dato che gli ingredienti sono semplici da trovare...»
«Ottima idea» approvò Jel con un sorriso. Gala non avrebbe mai perso la propria attitudine all'iniziativa, e personalmente lui apprezzava molto quel lato del suo carattere. Anche Ftia parve pensarla così, perché ringraziò la strega con un ampio sorriso e rispose:«Appena riesco a tirarmi su vedrò di berla. Sicura che funzioni?»
«Non è molto potente, ma dovrebbe essere già qualcosa».
Era già incredibile che Ftia si fosse fidata a tal punto di accettare di bere la miscela preparata da Gala, chissà, forse un giorno sarebbe stata disposta a dire loro anche qualche "grazie".
Il pensiero gli strappò una lieve risata, che passò inosservata mentre Gala si accingeva a spiegare come avesse preparato l'antidoto.
Rimasero per alcuni minuti lì, tutti e tre. Talvolta, Jel interveniva nel discorso di Gala con qualche sporadico "ah, certo" o "capito", ma in realtà non stava prestando particolare attenzione; Ftia al contrario, per una volta pareva sinceramente interessata.
Alla fine, dopo che Ftia ebbe ingurgitato a fatica l'intruglio curativo, con la scusa di riportarlo nel cucinotto Jel si rialzò per uscire. Passando accanto a Gala le lanciò uno sguardo eloquente: dopo vieni. Dobbiamo parlare.
La ragazzina annuì, così si chiuse la porta dietro le spalle e percorse il piccolo corridoio.
Lui e Gala non avevano ancora discusso dell'imminente incursione a Nord, ma i tempi erano stretti e loro dovevano prendere una decisione al più presto. Anche se non l'avrebbe mai ammesso, Jel era assolutamente in ansia all'idea di dover letteralmente penetrare aldilà delle linee nemiche per recuperare un oggetto di cui non conoscevano nemmeno l'esatta ubicazione. E come se non bastasse, c'era il problema di come avrebbero fatto a passare inosservati: Amaria era ben protetta da legioni di Ribelli che controllavano i confini e, anche ammesso che fossero riusciti a passare, in seguito li avrebbe attesi una città loro completamente estranea e colma di nemici. Jel aveva riflettuto molto a proposito, ma non si era ancora deciso. Aveva pensato a due vie possibili per riuscire nell'intento di entrare senza incappare in un sicuro scontro: lui e Gala avrebbero potuto applicare su loro stessi la formula dell'evanescenza dei corpi – che, pur non essendo usata per scomparire, assicurava un'ottima mimetizzazione – oppure fingersi anch'essi Ribelli per superare le misure di sicurezza. Onestamente, il giovane non era allettato da nessuna delle due ipotesi, ma quali altre scelte avevano?
Rimase seduto sul una delle solite sedie traballanti in attesa di Gala, e quando la sua testa dai capelli lilla spuntò dal corridoio Jel le fece cenno di avvicinarsi. La ragazzina afferrò uno schienale e si sedette anch'ella.
«Allora?» chiese tamburellando con le dita sul piano del tavolo.
« Senti Gal...» esordì «So che siamo appena tornati da Città dei Re, ma... credo che tu lo sappia: manca una Pietra e dobbiamo recuperarla al più presto».
Lei lo guardò con un'espressione che suggeriva qualcosa del tipo "me l'aspettavo", e rispose:«Ma certo. Tu che cosa pensi di fare? Andremo al Nord, no?»
«Credo che la cosa migliore sia cominciare da lì, sì. Insomma, non sappiamo veramente dov'è, ma la cosa più logica è si trovi ancora ad Amaria da qualche parte... Che ne di dici?»
«Sono d'accordo, anche se di certo non muoio dalla voglia...» sentenziò Gala con la fronte aggrottata. «Ma credo che tu abbia ragione. Dobbiamo avere un punto di partenza, e che ci piaccia o no quello è il più indicato».
Jel inspirò profondamente, lieto che l'amica fosse d'accordo con lui. Era già qualcosa, così si accinse a spiegarle ciò che aveva intenzione di fare.


Come il giovane aveva previsto, Gala era stata più propensa all'ipotesi della disillusione.
Fingersi Ribelli sarebbe una follia, aveva dichiarato perentoria, al che Jel si era definito abbastanza d'accordo. Non riusciremmo mai a ingannare tutta quella gente, finiremmo col farci uccidere.
Le probabilità sono piuttosto abbondanti comunque,
aveva commentato Jel cupo. Ma tra le due possibilità quella di passare inosservati è la migliore.
Siamo d'accordo, allora,
aveva decretato Gala rialzandosi. Quando partiamo?
Jel ci aveva pensato su un attimo, poi aveva risposto ciò che pensava veramente: Appena sei pronta.
Non avrebbe avuto alcun senso rimanere lì inattivi, come ad aspettare che la situazione peggiorasse sempre di più. L'urgenza di terminare il loro compito non era mai stata tanto insistente. Certo, l'idea di lasciare una Ftia ferita da sola e indifesa non era proprio quel si dice incoraggiante, ma dopotutto la cacciatrice era adulta, autosufficiente e in grado di badare a se stessa. Non c'era nulla di sbagliato nel partire per il Nord, anche se le sue condizioni non erano favorevoli.
Noi non le dobbiamo nulla, e lei non deve nulla a noi, si disse il giovane per auto convincersi mentre Gala si preparava alla partenza. In effetti, a quel punto si trovavano in parità. Certo, Ftia aveva loro salvato la vita dalle mani di Mal e Sephirt per poi ospitarli in casa sua, ma appena qualche ora prima Jel aveva ricambiato il favore curando la sua emorragia con la Magia. E, una volta terminata quella faccenda - sempre ammesso che ci riuscissero - il mago aveva una promessa da mantenere: inviare una consistente somma di denaro a Tamithia in cambio dell'aiuto della donna in quei giorni.
«Ho detto a Ftia che partiamo tra poco. Tutto sommato l'ha presa abbastanza bene...» annunciò Gala mentre si avvicinava al tavolo da pranzo. Appoggiò sul piano una specie di sacco e disse:- Senti, non mi importa se lei non è d'accordo, noi abbiamo bisogno di provviste; non credo che a Nord troveremo molti locandieri disposti a darci da mangiare...
Quell'idea non gli era mai andata affatto a genio, ma stavolta Jel dovette ammettere che l'amica aveva ragione: già l'ultima tappa del viaggio sarebbe stata tremendamente pericolosa, ci sarebbe mancata solo l'assenza di cibo. Per cui, nel sentire le parole di Gala il mago annuì.
La ragazzina si avviò verso gli scaffali per prendere qualche barattolo e qualche bisaccia colma d'acqua o di latte, mentre lui estraeva dall'ampio sacco nell'angolo micche di pane raffermo. Proprio l'ideale, non c'è che dire...
Quando ebbero riempito l'involucro di tela che Gala si era procurata, Jel si assicurò per quella che doveva essere la milionesima volta se le Pietre si trovassero al loro posto. Erano sempre lì, al sicuro nella sua tasca. Il Consigliere sapeva che non avrebbe potuto essere altrimenti – non estraeva mai il sacchetto dal mantello – ma in qui mesi si era ritrovato a farlo così tante volte che ormai era diventato un vizio irrinunciabile.
«Sei pronta?» chiese a Gala appena prima di aprire la porta di ingresso. Lei fece un cenno positivo col capo, anche se nel farlo non riuscì a coprire un lieve tremito.
Jel prese un gran respiro; voleva essere sincero con lei.
«È possibile che non ce la faremo, Gal» la avvertì con il tono più saldo che riuscì a mantenere. «Noi... noi non abbiamo mai fatto nulla di così pericoloso. Per questo... Se scegli di non venire, di rinunciare... non c'e nessuna vergogna. Hai già fatto tanto, per Fheriea e per me».
Una piccola lacrima di commozione scese sulla guancia candida della strega, ma quando parlò nel suo tono trapelò un nota di risentimento:«È proprio perché ho già fatto tanto che devo venire con te, Jel. Non posso lasciare a metà quello che ho iniziato» s'interruppe un attimo; era evidente che quelle parole le stessero costando fino all'ultimo grammo di determinazione che possedeva, e Jel l'apprezzò incredibilmente ancora una volta per questo.
Un piccolo, amaro sorriso curvò le labbra della ragazzina, mentre continuava:«Dovresti aver imparato a fidarti di me, no? Abbiamo combattuto con Mal e Sephirt. Abbiamo attraversato metà dello Stato dei Re a piedi. Hai... hai curato la ferita che quella cosa aveva inferto a Ftia. Non potrei rinunciare neanche se lo volessi. Ormai ci sono troppo dentro».
Non ci fu bisogno di altro. Se fosse riuscito a uscirne vivo, Jel sapeva che dopo tutto quello che avevano passato gli sarebbe toccato scrivere una sorta di poema per ringraziare Gala di tutte le volte in cui lo aveva sostenuto.
Il giovane attese ancora pochi istanti, poi aprì la porta facendo cenno all'amica di seguirlo.








Note: salve a tutti, sono tornata con il fatidico capitolo 20! Vi annuncio che la seconda parte della storia è appena terminata, e nel prossimo capitolo comincerà la terza e ultima. Vi assicuro che da qui in avanti i casini non faranno che aumentare! E tenete bene a mente la ferita di Ftia, perché sarà fondamentale per ciò che accadrà ora...
Ringrazio tanto ma tanto tanto Lady_Rhaenys Targaryen e Hyrie che hanno recensito lo scorso capitolo, non so quando riuscirò ad aggiornare ma nel frattempo vi va di farmi un gran favore? Recensite quello di oggi; ditemi che ne pensate, se vi è piaciuto o se (come temo) è un po' noiosetto... Grazie :-)
Al più presto possibile spero, ciao!

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***




Note: salve gente, sono tornata con un nuovo capitolo ^^
E... sì, so di aver ritardato di parecchio con la pubblicazione... speravo di riuscire a pubblicare entro la fine di settembre e invece... eh, niente xD D'altra parte per l'ennesima volta non ho ricevuto nessuno recensione al capitolo precedente (sigh!) quindi ho deciso di prendermela un po' più con calma. Nel caso ve lo steste chiedendo sì, è il mio modo da disperata per chiedervi un parere: insomma, so che tanti di voi non avranno tempo o voglia, o magari semplicemente preferiscono leggere soltanto, ma mi bastano poche righe, anche solo qualche consiglio o parere.









PARTE TERZA

L'ULTIMA PIETRA


21








Quello per Amaria fu sicuramente il tragitto più eterno ed angosciante che Jel e Gala avessero mai dovuto affrontare. Per raggiungere il confine con le Terre del Nord i due Consiglieri impiegarono più di due giorni, e contando che per raggiungere la capitale mancavano ancora parecchie miglia, Jel sapeva che l'agonia si sarebbe protratta ancora per un po'. Non sapeva in tutta onestà che cosa fosse peggio: se cavalcare verso il pericolo e l'incertezza per periodi interminabili o l'idea di giungere finalmente a destinazione. Mentre, in sella ai soliti cavalli di Kor, si muovevano per le fredde pianure che caratterizzavano la parte meridionale del Nord, Jel constatò che probabilmente la loro attuale destinazione si sarebbe trasformata anche nella loro tomba.
Non dire idiozie! si rimproverò mentalmente, inutile dire che la cosa non servì affatto. Avrebbe fatto di tutto per non darlo a vedere, ma era assolutamente terrorizzato all'idea di mettere davvero piede nella terra dei Ribelli. Lì, potenzialmente, tutti potevano dimostrasi nemici. Avrebbero dovuto fare attenzione a non fidarsi di nessuno. Il mago aveva sempre pensato che le esperienze difficili, il dolore e le angosce temprassero il carattere e la personalità delle persone, ma la cosa non era avvenuta come si era aspettato: il significato del concetto di "tempra" fino ad allora per lui era stato una sorta di "abituarsi" alle situazioni di quel genere fino a farle divenire - se non parte integrante della proprio vita - almeno qualcosa di sopportabile, la cui difficoltà nell'essere affrontate sarebbe diminuita sempre di più. A lui non era accaduto questo.
Neppure ora la morte di Camosh, i duelli affrontati con Mal, Sephirt e persino quegli imbecilli che avevano incontrato a Tharia tanto tempo prima erano elementi la cui importanza si fosse affievolita. Dentro di sé provava ancora un terribile senso di vuoto e di mancanza per la scomparsa del suo maestro, non che l'idea di poter affrontare altri Ribelli gli fosse poi così congeniale. Aveva paura, aveva paura esattamente come se quella fosse la prima spedizione a cui fosse stato sottoposto. Forse ora anche di più, perché aveva avuto modo di conoscere quanto effettivamente pericolosi e spietati i Ribelli fossero, e fino a dove avrebbero saputo spingersi per ottenere i propri scopi.
Eppure - doveva ammetterlo - almeno una cosa era cambiata. Avrebbe tanto desiderato abituarsi al proprio nuovo tipo di missioni, diventare più disinvolto, più spregiudicato, ma ciò non era accaduto. Però aveva imparato ad accettarle.
Si trovava lì, in quel momento, non a Tamithia, non a Grimal, non al sicuro. Avrebbe lottato, di questo era certo, non avrebbe abbandonato il proprio compito. Non perché lo volesse, non perché desiderasse una qualsiasi rivalsa sui Ribelli, ma perché era consapevole che fosse la cosa giusta da fare. L'unica sua strada, al momento.
- Vedo qualcosa, Jel! - esclamò d'un tratto Gala, rallentando l'andatura del proprio cavallo, al che il giovane la imitò.
- Amaria... - constatò mentre i loro sguardi erano puntati sui profili degli edifici di pietra in lontananza. - Siamo arrivati, dunque.
Come se quelle parole avessero stranamente rimarcato il concetto, il suo cuore prese ad accelerare i battiti. Stai calmo. Piedi per terra e sii lucido.
- Che facciamo?- la voce di Gala era malferma, voce da cui trapelavano tutte le sue tremende incertezze. Jel vi vide rispecchiato anche se stesso, ma era lui il capo, Gala faceva affidamento su di lui; non poteva permettersi di cedere alla paura.
- Dici che ci conviene aspettare ancora per l'incantesimo di disillusione?
Lui rifletté un attimo, poi rispose:- Non credo. Forse è meglio farlo subito: qui non rischiamo di essere avvistati, potremo provare parecchie volte. Lo sai che è parecchio complicato...
- Lo è per me come lo è per te - ribatté la ragazzina con stizza. - E io ce la posso fare.
- Bene allora - il mago si sforzò di sorriderle. - Cominciamo. Ah, dovremo lasciare qui i cavalli temo...
- Non possiamo mimetizzare anche loro?- domandò Gala stupita. - Sarebbe la cosa migliore, no?- ma Jel scosse la testa. - Se cavalcassimo fino alla città faremmo troppo rumore e saremmo subito scoperti - le fece notare. - Ricordati che la disillusione non rende anche incorporei, solo scarsamente visibili agli altri.
- Se solo potessimo renderci invisibili come quella Sephirt... - sbuffò allora Gala smontando da cavallo e saltando sull'erba. Jel la imitò, e non poté fare a meno di pensare nuovamente all'arcano della strega con i capelli rossi. Come diavolo aveva fatto a perdere completamente le proprie sembianze umane?
Il mago si convinse ad allontanare quel pensiero disturbante, mentre con gli occhi chiusi passava una mano sul muso dei due esemplari. Applicò la stessa formula che aveva utilizzato ore prima per addormentare Ftia, ma con più intensità. Alla fine, quando i due cavalli si piegarono cadendo a terra, spiegò in fretta alla compagna:- Sono solo addormentati, tranquilla. Quando torneremo scioglierò l'incantesimo e staranno benone.
- Wow, Jel, non credevo sapessi curarti anche degli animali - commentò lei con una risatina nervosa. - E adesso... ehm... cominciamo?
Jel annuì, sedendosi a terra e invitando Gala a fare lo stesso. Sapeva che la strega non aveva mai praticato quel tipo di incantesimo, ma in linea di massima avrebbe potuto farlo lui per lei. Prima però voleva provare ad insegnarglielo. - Allora... ricordati cosa ci hanno insegnato - disse con una forzata calma. - Per eseguire un incanto impegnativo come questo, le prime volte devi concentrarti in maniera assoluta. Chiudi gli occhi ora.
Per una volta Gala non ebbe nulla da obiettare e fece come le era stato detto.
Jel rimase a fissarla; avrebbe applicato su se stesso l'incantesimo una volta finito con lei.
- Pensa di trovarti nella tua casa, a Grimal. Ma devi guardarti come se tu fossi dinnanzi ad uno specchio. Distingui ogni particolare di te stessa, ti osservi come se tu fossi qualcun altro.
Regola il respiro, Gal, e non parlare. Ora immagina che i particolari del tuo volto diventino man mano meno nitidi. Non cogliere più la tua espressione. Ora non cogliere più nemmeno i tuoi vestiti, i tuoi capelli. Sei una sagoma vuota, trasparente - s'interruppe un attimo, cercando le parole più adeguate da pronunciare. - Cominci a intravedere ciò che si trova dietro di te, diventa sempre più nitido, mentre tu sempre più confusa. Di te esistono solo più i contorni.
Udì l'amica trattenere il fiato, segno che l'applicazione stava funzionando. Gala era concentratissima, e i risultati si vedevano: i lineamenti del suo volto e i colori della sua figura cominciavano davvero a sbiadire.
Ora veniva la parte più difficile.
- La formula la conosci, Gala. Pronuncia la parola Varjia, fallo a lungo, intensamente. Fallo finché non avverti che è il momento di tornare.
- Ma come faccio a saperlo?- la sua voce tremò. - Non parlare, ti ho detto. Resta concentrata e ce la farai. Avanti, Varjia... Varjia...
Le labbra della ragazzina si mossero piano, pronunciando la parola in Fladjir.
- Varjia... Varjia... Varjia... Varjia... Io... Non so se ce la faccio, Jel...
- Fidati di me - la rassicurò lui, ma non era convinto completamente. Gala si stava perdendo, era troppo in ansia...
- Respira. Respira, ce la puoi fare. Non ti vedi più. Non ci sei più. Ci sei quasi riuscita...
Era vero in parte: entrambe le gambe della strega erano ormai molto più simili ad uno strato di vetro trasparente, ma dal busto in su continuava a resistere.
- Varjia... Varjia... Varjia...
- Concentrati, Gala, va tutto bene. Fidati di me.
- Varjia...
Jel esultò mentalmente. Finalmente, anche i resto del corpo della,ragazzina era stato modificato dall'incantesimo. Davanti a lui c'era una Gala in stato di completa disillusione.
- Jel, Jel non ce la faccio. Non mi sento bene... Jel!
- Puoi aprire gli occhi ora - la calmò il giovane. - È finita, hai visto?
Gala riapri piano le palpebre, e incredula guardò ciò che era riuscita a fare. - Jel... Mio dio, ce lo fatta!
- Che ti avevo detto?- ribatté lui con un sorriso. Ancora una volta, lei non lo aveva deluso: non era da tutti praticare un incantesimo di disillusione a soli quindici anni. - Ma mantieni la concentrazione; se le tue difese si abbassano sarà più difficile controllare l'incantesimo.
Ora tocca a te.
Jel chiuse gli occhi e si apprestò a cominciare. Aveva applicato su se stesso l'incantesimo di disillusione due volte nella propria vita, e solo la seconda era riuscito a dominarlo appieno. In ogni caso ormai era fuori allenamento da parecchio tempo. Una parte i lui - la più infantile, sciocca ed istintiva - sperò di cavarsela un po' più in fretta dell'amica. Ed effettivamente ce la fece: impiegò solamente una decina di secondi per attuare la visualizzazione dell'immagine e per raggiungere la massima concentrazione, dopodiché provò di nuovo dopo tanto tempo la curiosa sensazione della disillusione.
Guardò i propri arti di cui si potevano scorgere ancora solo i contorni, e trattenne un risolino nervoso: era il momento. Non potevano più aspettare.
- Cavoli... Mi sento malissimo... - si lamentò Gala mentre provava un paio di passi in avanti. - Mi senti cadere ad ogni movimento...
- Credimi, è normale - la rassicurò Jel in tono pratico. - Fra poco ci farai abitudine. E ricorda: fa' attenzione a non urtare niente e nessuno, l'incantesimo non ci rende incorporei...
- Sì, sì, lo so... - ribatté lei facendo un gesto infastidito con la mano. - Me l'hai già detto un sacco di volte...
Il mago le diede un lieve scrollata alle spalle; era essenziale che la ragazzina prendesse tutto estremamente sul serio. - Non possiamo permetterci di sbagliare, capisci? E ora ascoltami...
Non aveva in mente un piano delineato da attuare una volta ad Amaria. In ogni caso, non sarebbe servito a granché: qualunque cosa sarebbe potuta andare storta, non avevano certezze né punti di riferimento. Ma dovevano iniziare da un punto definito.
- Cominceremo avvicinandoci al palazzo reale, che dovrebbe essere il centro delle attività dei Ribelli, oltre ad essere la residenza di Theor.
Probabilmente, in quel momento la Pietra del Nord non era più ubicata nella cripta della città, ma c'era la - seppur remota - possibilità che fosse stata presa la decisione di spostarla in qualche altra ala del palazzo.
- Non voglio mentirti, entrare sarà decisamente complicato: le porte principali sono sorvegliate, ovviamente, così come quelle secondarie. Ma è a quelle che dovremo puntare, non è detto di farcela ma... possiamo provarci.
- Va bene, Jel. Sei tu il capo.
Anche se non poteva vederla, il giovane fu sicuro che Gala gli avesse strizzato l'occhio.
I due Consiglieri percorsero a piedi il restante tragitto per Amaria discutendo a bassa voce fra loro.
- Cerca di passare sempre accanto ai muri, ai portici e alle bancarelle per mimetizzarti, ma non...
- Toccare niente, lo so.
- Quando saremo dentro potremo annullare per poco l'effetto dell'incantesimo. Abbiamo bisogno di una cartina della città e del palazzo per sapere dove andare.
- E se non accettassero di darcele?
Jel sospirò:- Dubito che dei semplici cartografi possano conoscere le nostre identità. Ma sarà meglio tenere ben nascoste le spille eh?
L'altra acconsentì con un piccolo "hm", al che Jel fece mente locale per ricordare se ci fosse qualcosa che aveva dimenticato di dirle.
- In ogni caso, è inutile pianificare finché non ci troviamo all'interno - concluse alla fine, e nel farlo si sentì immediatamente molto stupido: un altro Consigliere - Camosh, Althon, Raenys o chiunque altro - sarebbe stato senz'altro capace di elaborare una strategia dettagliata e sicura, mentre il meglio che era riuscito a ideare lui era la tattica dell'improvvisazione. Quando le prime case della città furono davanti a loro, Jel udì Gala al suo fianco trattenere il respiro, e fissando la schiera di uomini ordinati che sorvegliavano gli ingressi delle vie non poté darle torto.
- Fai esattamente ciò che faccio io... - sussurrò in tono risoluto all'amica, e sperò vivamente che lei prendesse il suo consiglio alla lettera. Non un solo dettaglio doveva andare storto se volevano evitare di essere catturati, o peggio, uccisi.
Il mago non si era aspettato una sorveglianza così rigorosa agli ingressi della città, ma si fece coraggio e continuò ad andare avanti. Piano, lentamente, in modo che gli spostamenti d'aria non risultassero troppo evidenti.
Dobbiamo cercare di passare per una delle case.
Quella era sicuramente la soluzione migliore. Al peggio, anche se fossero stati scoperti all'interno di una delle abitazioni avrebbero potuto neutralizzare un eventuale pericolo senza essere visti; l'importante era che facessero tutto in fretta e nel massimo silenzio possibile.
I due si aggirarono per i confini della città, sempre tenendosi a distanza di sicurezza dalle guardie che Theor aveva posto per la sorveglianza. Quasi tutti portavano assicurati alla cintura spade e coltelli, ma Jel ne aveva anche scorto qualcuno completamente disarmato, fatto che suggeriva la presenza di maghi fra di loro. Grandioso...
Stava cercando disperatamente di adocchiare una qualsiasi porta o finestra spalancata, ma per il momento non ne aveva notata ancora nessuna. D'altro canto erano a Nord, non nella calura che avvolgeva Grimal e lo Stato dei Re meridionale in quel periodo dell'anno; nessuno avrebbe avuto un vero motivo per tenere una finestra spalancata, per loro sfortuna.
Ad un tratto, la testa bionda di una giovane donna spuntò dall'interno di una delle grezze costruzioni di pietra. La donna rovesciò una secchiata d'acqua di uno sgradevole color grigiastro sulla strada malamente lastricata, scambiò un paio di parole con uno dei Ribelli più vicini i poi si ritirò nuovamente.
- Di' ancora una volta una cosa del genere e il prossimo te lo rovescio in testa! - la sentì rivolgersi scherzosamente all'uomo che aveva parlato, il quale rispose con un'alzata di spalle, divertito.
La finestra rimase aperta.
Era la loro occasione, ma dovevano far presto.
Jel sgattaiolò in avanti, proprio mentre il Ribelle si girava dall'altra parte per controllare la strada opposta, saltò sul davanzale e riuscì a balzare all'interno, con Gala al seguito. Quasi incredulo per la fortuna avuta, ma comunque sempre vigile, il Consigliere si guardò intorno per cercare la porta d'ingresso e fece qualche passo in avanti. Questo finché non udì l'inconfondibile suono di qualcosa che precipita a terra con un secco schianto. No...
Si volto con il cuore in gola, e quel che vide per qualche istante lo paralizzò: la donna dai lunghi capelli biondi era riapparsa, e fino a pochi istanti prima doveva aver retto in mano un secondo secchio, che ora giaceva a terra nella pozzanghera sul pavimento. Stava fissando sconcertata il punto dove si trovava Gala, che ormai era così vicina da risultare visibile.
Sembrò che stesse per cacciare un urlo, ma Jel agì prima: con uno scatto in avanti si portò alle spalle della giovane Nordica e le premette una mano sulla bocca, mentre con l'altra la cercava di tenerla ferma. - Tieni la bocca chiusa - disse a bassa voce, mantenendo il tono più autorevole che gli riuscì. - Non siamo qui per farti del male, non devi avere paura.
Sentiva le sue spalle tremolare sotto la sua stretta, e ne dedusse che, se ne avesse avuto la possibilità, non avrebbe mai taciuto l'accaduto. Anzi, con tutta probabilità avrebbe allertato all'istante le sentinelle all'esterno. Beh, Jel non poteva permettere che accadesse. Fece scorrere la mano sul suo volto, mormorando la solita formula per farle perdere i sensi, e quando avvertì il suo peso morto premere sulle sue braccia la depose lentamente a terra.
- Maledizione, Gal!- bisbigliò tra i denti. - Vedi di fare più attenzione!
- D'a-d'accordo Jel... - replicò lei, ma era evidente che si fosse presa un bello spavento.
- Adesso vediamo di uscire e di raggiungere le strade interne - continuò il giovane, e le fece cenno di seguirlo nuovamente.
Avevano rischiato, e parecchio anche. E ora le cose non avrebbero fatto altro che complicarsi.

                                                                           ***

Mentre guardava davanti a sé, Sephirt teneva i denti serrati in maniera così stretta da provare dolore alle gengive.
Non le era mai capitato di essere così adirata con Theor, anche se forse adirata non era il termine adeguato per definire ciò che provava in quel momento: più che altro si trattava di un opprimente, estremo fastidio. Theor, per la prima volta, non l'aveva ritenuta degna di fiducia; l'aveva scartata, lei era diventata una seconda scelta, quando si trattava della sua vendetta. Mal era stato il suo maestro, era lei la donna a cui aveva tenuto più di ogni altra. E invece il capo dei Ribelli aveva deciso di mandare Hareis ad uccidere quei due insulsi maghetti e la loro nuova compagna.
La strega ne conosceva il motivo: Theor non la riteneva abbastanza forte per affrontare con lucidità una missione come quella. E lei doveva ammettere che almeno in parte aveva ragione: avrebbe faticato maledettamente a mantenere la calma, una volta trovati. Ma quello non era un problema, anzi, come aveva già sperimentato in passato la rabbia non avrebbe fatto altro che amplificare i suoi poteri. E questa volta non se li sarebbe lasciati sfuggire.
Il problema era che lei non sapeva assolutamente dove potessero trovarsi i tre in quel momento. La probabilità più alta era che la cacciatrice vivesse in una delle città piu vicine al luogo dove l'avevano incontrata, e nel caso Jel e Gala si fossero veramente uniti a lei avrebbe dovuto cercare il suo nome. Pur essendo dei Consiglieri, i due ragazzi non erano ariadoriani, quindi era addirittura più probabile che fossero meno conosciuti di quella donna.
Non sapeva con esattezza nemmeno da dove cominciare. Non fosse stato per la ferma volontà di ucciderli e vendicare Mal, avrebbe potuto definire se stessa come fortemente disperata.
Deglutì mentre una sola, rabbiosa lacrima le scendeva su una guancia. Aveva creduto di non dover mai più pensare una cosa del genere.




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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


22








- Tu sai dove dobbiamo passare per raggiungere il palazzo?
- Non esattamente, ma so per certo che si trova nel parte nord della città. Non dovremmo impiegare troppo a raggiungerlo.
- Jel...
- Sì?
- Ho paura.
- Smettila di ripetertelo!- ribatté il giovane sempre sussurrando, mentre con occhio attento sorvegliava lo stradone che si dipanava dietro l'angolo ove erano nascosti. Un capannello di sei o sette Ribelli si stava intrattenendo sull'uscio di una locanda; parlottavano fra loro, senza dare cenno di volersi decidere ad entrare una volta per tutte. Sembrava discutessero di faccende importanti. Anche se erano Disillusi, Jel preferiva non arrischiarsi a camminare lungo una strada piena di nemici, le possibilità che qualcuno li notasse erano troppe. Era per questo che da più di una decina di minuti lui e Gala attendevano dietro una parete di pietra che gli uomini si allontanassero o entrassero nella locanda per mangiare qualcosa. Allora avrebbero potuto continuare la ricerca del palazzo reale.
- Non ne posso più di stare qui ferma – si lamentò Gala irritata. - Non possiamo passare da un'altra parte?
- Ormai siamo qui – replicò lui imperturbabile. - Questa è probabilmente la strada più veloce...
La ragazzina sbuffò, ma non aggiunse più nulla. Finalmente, dopo interminabili momenti di attesa, i Ribelli si salutarono e si divisero; tre di loro entrarono nella locanda Il sole sulla via, mentre gli altri si allontanarono a grandi passi nella direzione opposta. Era quasi il tramonto ormai. A ovest, già le prime tenebre cominciavano a farsi avanti, gettando ombre allungate sulla strada. - Tra poco tempo dovrebbe scattare il coprifuoco – bisbigliò Jel mentre uscivano dal loro nascondiglio e riprendevano a camminare. - Credo sia per questo che le strade sono così poco frequentate...
- Vediamo di non farci beccare, allora – fece Gala nervosamente. Jel dovette ammettere che aveva ragione, ma non gli piaceva affatto l'evidente ansia che traspariva da ogni parola della strega. Se qualcos'altro fosse andato storto rischiava seriamente di farsi prendere dal panico...
- Jel, dietro di noi c'è qualcuno – sussurrò ad un tratto lei, trattenendo il respiro. Mantieni la calma.
- Quanto distante?
- Non lo so, una decina di metri...
- Continua a guardare avanti...- le ordinò Jel con il tono più calmo di cui era capace. - Siamo troppo lontani, non possono vederci... - mentre camminava girò un poco la testa per guardarsi indietro. Circa alla distanza che aveva supposto Gala camminavano due uomini avvolti da un mantello bianco. Sotto il cappuccio di uno di essi si scorgevano capelli chiarissimi, di un biondo quasi bianco. - Appena troviamo una via secondaria ci leviamo dai piedi finché non si allontanano – comunicò all'amica a bassa voce. - Evitiamo guai...
- D'accordo – Gala sembrò un poco sollevata.
Nel passare accanto ad una delle strade minori che intersecavano quella principale, Jel afferrò Gala per una spalla e se la tirò dietro, scostandosi dall'essere osservati. Gala si allontanò ancora di diversi passi ma lui, col cuore in gola, si appoggiò ad un muro e continuò a scrutare la strada. Voleva saperne di più su quei due individui; i mantelli bianchi parevano estremamente pregiati, e in più al mago pareva di avvertire un'intensa quantità di Magia dispersa nell'aria man mano che si avvicinavano.
Anche Gala gli si era accostata ora. Istintivamente il mago si premette un dito sulle labbra, anche se lei non avrebbe potuto vederlo, e attese. Quando alla fine i due Ribelli apparvero poco di fianco a loro, riuscì a distinguerne bene i volti. Il primo era più alto, dal colorito un poco più acceso e con ricci capelli biondi. Il secondo, quello dai capelli chiarissimi, portava in viso un'espressione incredibilmente seria, e in un certo senso nobile. Pareva il più anziano dei due, e al giovane parve anche piuttosto familiare...
- Ma io quell'uomo lo conosco...- boccheggiò Gala stupita mentre i due si allontanavano. - Devo... devo averlo già visto da qualche parte...
All'improvviso, anche Jel ricordò.
L'aveva già incontrato una volta, quando ancora faceva parte del Gran Consiglio.
L'uomo che era passato a così poca distanza da loro era Theor.
Decise di non farne parola con Gala – non sarebbe servito a niente, se non spaventarla ancora di più – ma almeno ora avevano una pista sicura da seguire. Era certo che il capo dei Ribelli e il suo compagno fossero diretti al palazzo.
- Seguiamoli – sussurrò all'amica e affrettando il passo. - Teniamoci a distanza di sicurezza...
Percorsero l'ampia via pressoché per tutta la sua lunghezza, poi svoltarono a destra, e a sinistra ancora, sempre dietro ai due uomini. Non si scambiarono parola per tutto il tempo ma alla fine, dopo quelle che gli parvero ore, scorsero davanti a loro l'imponente reggia del Nord. Fu allora che si fermarono.
- Bene – iniziò Jel un po' affannato. - Adesso aspettiamo che entrino, poi cerchiamo di entrare da una delle porte secondarie...
- E tu le vedi?- ribatté Gala aspra. Lui si diede mentalmente dell'idiota: aveva completamente scordato che avrebbero avuto bisogno almeno di una mappa...
- Non importa – disse, cercando di convincere soprattutto se stesso. - Non avremo difficoltà. Il problema sarà solo superare la sorveglianza.
Solo.
- Gala – appoggiò le mani sulle spalle della strega. - Ricordatelo: potremmo essere costretti a uccidere di nuovo. Non farti distruggere da questo.
Sentì distintamente la ragazzina deglutire, ma mai come in quel momento aveva bisogno che si dimostrasse forte. - Avrò bisogno del tuo aiuto. Credi di potercela fare?
- Sì – la sua voce risuonò flebile ma risoluta. - Sono con te, Jel.
- Va bene allora – un brivido percorse la schiena del Consigliere. - Vediamo di entrare allora. Sfruttando la semi oscurità che li avvolgeva, i due maghi si avvicinarono alla gigantesca struttura di chiara pietra levigata e ne seguirono le pareti.
- Mi sembra di vedere un ingresso più avanti – annunciò Gala aguzzando lo sguardo. - Che dici, proviamo a entrare da lì?
- Meglio di no – rispose Jel pensieroso. - Potrebbe condurre troppo vicino alle sale centrali. Dobbiamo allontanarci ancora un po'...
Scartarono di lato nel passare accanto al portone, presidiato da due uomini in armatura, poi si fecero nuovamente appressi alle mura. Le tenebre aumentavano, la visibilità si stava facendo pessima. Ma anche se avessero avuto una fiaccola a disposizione, non avrebbero comunque potuto rischiare di rendersi visibili. Dovevano camminare praticamente a tentoni. Sorpassarono ancora un'altra porta, poi Jel decise che era la volta per tentare. Era inutile continuare a rimandare: prima o poi sarebbero dovuti entrare, se volevano cercare la Pietra.
- Credi di essere in grado di stordire una delle guardie con l'incanto Amiel?
- Ma certo – replicò sicura la ragazzina. - Almeno su quello non dovrei avere dubbi, no?
- Infatti – Jel sorrise, poi spiegò:- Dunque, dobbiamo passarci lontano per poi riavvicinarci. Tu occupati di quella di sinistra, io penserò all'altra. E... Gal: colpiamoli alle spalle.
- D'accordo.
- Sei pronta?
Lei tirò un profondo respiro, poi annuì e confermò:- Sono pronta, Jel. Facciamolo.
Mossero ancora una decina di passi lungo le mura, fino a raggiungere un ennesimo piccolo ingresso, leggermente sopraelevato rispetto alla strada. Pregando affinché Gala non commettesse sciocchezze, Jel si portò alle spalle di una delle due guardie presenti e, mettendogli una mano sulla bocca mormorò:- Amiel.
Come era successo con la donna, il peso morto del Ribelle crollò su di lui, e con un po' di fatica il giovane riuscì a depositarlo a terra senza fare rumore. Gala non fu altrettanto fortunata e, sebbene avesse applicato l'incantesimo con successo, l'uomo che aveva addormentato rovinò rumorosamente a terra.
- Maledizione!- imprecò Jel mentre la compagna sai chinava per sfilargli le chiavi dalla cintura. - Allora, le hai prese?
- Sì, ma non so quale sia quella giusta – rispose Gala scuotendo la testa.
Provò ad incastrare un paio di chiavi nella serratura senza risultato, poi al terzo tentativo trovò quella adatta. Trattenendo il respiro, la strega aprì piano il portone.
- Forse è meglio se lasci andare prima me – a fermò Jel a bassa voce, e lei assentì lasciandolo passare. Cercando di fare meno rumore possibile, il giovane Consigliere scivolò all'interno insieme alla compagna. - Bene... ci siamo.
L'ingresso dava su di un non troppo ampio corridoio interamente in pietra, abbondantemente illuminato da due file di fiaccole lungo le pareti. Non vi erano arazzi appesi, né tappeti a ricoprire le fredde lastre che costituivano il pavimento. Più avanti si scorgevano solo un paio di rigide panche di legno.
- Che facciamo ora? - sussurrò Gala trepidante, appena dietro di lui. - Dove andiamo?
Non avevano molte scelte. - Seguiamo il corridoio, per ora. Ma continua a fare attenzione.
Avanzarono in fretta, ma con passi leggeri. Jel era più in tensione di quanto non fosse mai stato; per quanto ne sapeva, da un momento sarebbe potuto spuntare qualche Ribelle davanti a loro...
- E' meglio se continuiamo a restare Disillusi vero? - chiese ad un certo punto Gala.
- Direi di sì – in realtà ne era sicuro. Se si fossero resi completamente visibili le probabilità di venire scoperti sarebbero state ai massimi livelli. Già in quel momento erano piuttosto alte... Sempre con cautela, percorsero quel primo corridoio, e poi un altro ancora, finché non si ritrovarono in una prima sala, non molto grande.
- Secondo te dove siamo?
Jel rifletté, guardandosi intorno, e alla fine decise di dire la verità:- In realtà non lo so, Gala. Ma credo che ci stiamo avvicinando alle sale centrali - sospirò, poi concluse:- In fin dei conti è lì che dobbiamo andare, se vogliamo arrivare alle stanze superiori.
La ragazzina trattenne il respiro. - Jel...- tentò di replicare. - Jel, noi non possiamo... è tutto troppo pericoloso...
- Conoscevamo i rischi quando siamo partiti – la interruppe lui freddo. Non si sarebbe mai creduto capace di una simile fermezza, ma in quel momento il desiderio di finire il lavoro era più forte persino della paura. - Dobbiamo andare, o questa ricerca non finirà mai. Lo so che hai paura, Gal, ne ho anch'io, ma è il nostro dovere, capisci? Non avremo più una seconda occasione.
La strega non rispose subito. Jel considerò che fosse una fortuna che fossero entrambi Disillusi, altrimenti con tutta probabilità avrebbe scorto grosse lacrime riempire i suoi occhi. Alla fine, anche lei cedette:- E... e va bene, andiamo. Ma cavolo, ho paura!
Pur non vedendola per bene, il mago si chinò su di lei e l'abbracciò; se davvero stavano andando incontro alla morte, doveva farlo ancora una volta. - In ogni caso grazie per essere venuta con me – sorrise. - Non so come avrei fatto senza di te.
Lei si lasciò sfuggire un singhiozzo. Poi alzò il capo e proferì fermamente:- E allora vediamo di prendercela, questa maledetta Pietra.
Assolutamente.
Ripresero a camminare, più velocemente, e passarono da una stanza all'altra con il fiato sospeso, sempre tenendosi a poca distanza dalle pareti. Data l'ora tarda, non c'era movimento per il palazzo, il che era un bene naturalmente, ma la falsa calma che aleggiava nell'ambiente non faceva altro che aumentare la loro tensione.
Quando infine raggiunsero una porta più imponente delle altre, dai battenti argentati, Jel comprese che probabilmente erano giunti all'ingresso principale. Per precauzione pose il viso accanto alla sottile fessura che dava verso l'interno e controllò se ci fosse qualcuno. Con un tuffo al cuore, si rese conto che la porta principale era sorvegliata anche dall'interno: due Ribelli erano in piedi ai lati di essa, due lunghe spade assicurate alla cintura. Se volevano entrare, sarebbero stati costretti a palesarsi...
- Se pensi di non farcela, rimani qui – avvertì Gala seriamente. - Se vieni, allora dovremo essere veloci; dopo che avrò aperto le porte, dovrai colpire all'istante una delle due guardie. Usa l'incantesimo che vuoi, ma cerca di non fare troppo rumore, intesi?
- Certo – rispose lei annuendo. - Vengo con te.
- Va bene...- Jel inspirò a fondo. Dovevano agire adesso. D'altra parte, non era la prima volta che si ritrovavano ad affrontare dei Ribelli, no? E Mal e Sephirt dovevano essere sicuramente molto più pericolosi di due semplici guardie. Solo che ora non erano in Ariador o in un'altra qualsiasi nazione, ora erano in casa del nemico...
Esitò ancora pochi istanti, poi spalancò la porta e agì.
Richiamando una possente massa d'aria si rivolse ad un una delle due guardie, e la scaraventò con violenza contro il muro. Davvero poco rumoroso...
Gala intanto aveva tentato di fare lo stesso, ma il colpo non fu abbastanza forte da far perdere i sensi al secondo uomo, che fissò la ragazzina troppo sbalordito per reagire. Jel allora agì prima che avesse il tempo di dare l'allarme. Era appena dietro di lui, e con un calcio in piena faccia lo mise a tacere.
- G-grazie...- mormorò Gala col fiatone. - Credi... credi che dovremmo ucciderli?
- Dovremmo sicuramente – rispose Jel asciutto. - Ma non ho intenzione di farlo.
Nel sentire quelle parole, la strega sembrò sollevata. - Aiutami solo a spostarli – aggiunse il giovane, prendendone uno per le braccia e facendo cenno all'amica di fare lo stesso con i piedi. Riposero i due uomini svenuti dietro il vano della scalinata – non era un granché, ma era il luogo più nascosto disponibile – e poi si guardarono intorno.
- Credo che le stanze siano ai piani di sopra – sentenziò Jel. - Dobbiamo andare là.
Salirono trepidanti l'ampia scalinata, e quando raggiunsero il primo piano Jel guardò da una parte all'altra: due marmorei corridoi si estendevano da lì. - Credi che le stanze di Theor si trovino qui? - chiese Gala, tesa. In effetti, se davvero la Pietra era stata spostata era possibile che fosse nelle mani di Theor stesso...
- Non ne sono sicuro, ma penso di no. Ricordi la reggia di Città dei Re? Le stanze dei sovrani non sono mai al primo piano, di solito si tende a collocarle ai piani superiori...
- Ma Theor non è il re – osservò la ragazzina. Jel dovette ammettere che a questo non aveva pensato; stando a questo, probabilmente erano le stanze del re Robyn e della sua servitù a trovarsi al piano più alto. E contando che il palazzo di Amaria era composto da quattro piani, più i sotterranei, Theor non poteva trovarsi che lì o in quello appena superiore.
- Molto bene...- cominciò. - In questo caso dobbiamo dividerci: tu controlla questo piano, spia dalle serrature, se trovi qualcosa di interessante aspetta il mio ritorno. Io vado di sopra - fece per voltarsi, poi aggiunse:- Ricordati di rimanere invisibile, d'accordo?
- Certo, certo... - rispose Gala annuendo. - Senti... fai attenzione anche tu.
Jel sorrise nervosamente; non c'era bisogno che glielo ricordasse.
A malincuore si separarono, Gala imboccò il corridoio di destra mentre lui continuò a salire. Il silenzio era quasi assoluto; la maggiore fonte di rumore era il suo respiro, tremolante, che a nuvolette si spargeva nell'aria circostante. Man mano che camminava, il mago continuava a chiedersi se fosse stata davvero una buona idea addentrarsi negli intricati corridoi del palazzo reale. D'altronde, loro non avevano nemmeno la certezza che la Pietra del Nord si trovasse davvero ancora lì. Avrebbero dovuto pianificare tutto con più cura...
Cercò di guardare all'interno di numerose stanze secondarie, ma nella maggior parte di esse le candele erano già spente e i proprietari addormentati. In una delle poche ancora illuminate Jel scorse l'uomo alto e ricciuto che avevano visto recarsi a palazzo insieme a Theor, ma per il resto nulla di interessante.
Sapevi che sarebbe andata così...
Ad un tratto, una porta che si apriva gli fece prendere un colpo; istintivamente il mago si appiattì lungo la parete, nell'ombra, con le orecchie tese. Theor, che reggeva in mano una candela, e un altro uomo di cui non riusciva a scorgere il volto apparvero nel corridoio.
- Partirai non appena la situazione si sarà chetata...- stava dicendo il capo dei Ribelli in tono d'urgenza. - Devi trovare il modo di recuperare quella Pietra.
Jel cercò di non perdersi nessun passaggio della conversazione. Forse avevano finalmente una pista da seguire...
- Certamente, certamente. Arriverò a Città dei Re il prima possibile – rispose la seconda voce. Una voce che risuonò dolorosamente familiare per Jel. No... oh no...
- Non dovresti avere problemi – proseguì Theor. - Una volta dimostrato che fai parte del Gran Consiglio, convincere Shist o Cambrel che sia a consegnartela sarà facile.
- Naturalmente. E per quanto riguarda la ragazza, Sephirt, che facciamo?
Jel avrebbe riconosciuto quella voce strascicata fra mille al mondo. L'uomo con cui Theor stava parlando, l'uomo che doveva andare a riprendere la Pietra, l'infiltrato nel Gran Consiglio... era Astapor Raek.
E le brutte sorprese non erano ancora finite.
- Ho già incaricato qualcuno di andarla a cercare – rispose Theor freddamente. - Non posso permettere che si faccia travolgere dalle emozioni proprio adesso. E in questo stato potrebbe essere in pericolo, non si fermerà davanti a niente. Finirà per farsi uccidere se non la riportiamo qui.
Per il giovane era abbastanza. Senza aspettare che Theor si congedasse e tornasse nelle proprie stanze Jel riprese in fretta a camminare, deciso ad allontanarsi il più in fretta possibile dai due. Raggiunse il piano dove si trovava anche Gala in punta di piedi e, una volta localizzatala, le andò incontro. - Sono io...- sussurrò per non spaventarla. - Ma ora fai silenzio. Theor è qui.
I due aspettarono senza fiatare che i passi al piano di sopra cessassero, e dopo che una porta si fu richiusa con uno scatto, Jel si decise a parlare.
- So dov'è l'ultima Pietra – proferì in tono serio. - Ma prima dobbiamo uscire di qui.
- D'accordo – rispose lei, e il sollievo fu palpabile nella sua voce.
Jel si voltò verso la scalinata; desiderava ampiamente uscire da lì per poter rimuovere il proprio incantesimo e tornare in uno stato normale. D'altro canto, se in parte l'idea di avere ora una meta sicura verso la quale dirigersi lo entusiasmava, in parte provava un incredibile fastidio per il fatto di essersi recato così a Nord, aver affrontato così tante difficoltà per niente. E in più c'era il problema di Astapor Raek.
Personalmente, a Jel il Consigliere lord dell'Isola Grande non era mai stato particolarmente simpatico, ma mai e poi mai lo avrebbe creduto capace di tradire le Cinque Terre. Le sue motivazioni poi rimanevano un mistero.
Fu mentre raggiungeva con Gala la sala adiacente all'ingresso principale che il giovane si rese conto di una cosa: nello sconvolgimento per la morte del maestro Camosh, lui e Gala non aveva quasi realizzato che anche un altro Consigliere era scomparso da Grimal. Ma quindi, se in quel momento Raek era lì vivo e vegeto, allora c'era la seria possibilità che fosse stato lui stesso ad uccidere Camosh?
Meglio non dire nulla a Gala, pensò mentre una leggera nausea si appropriava di lui. La ragazzina ne sarebbe stata sconvolta, e in effetti anche lui stentava a credere di essere seduto per mesi accanto ad un traditore. Era tutto talmente strano da apparire surreale...
- Jel... dobbiamo andare di qua o di là? - la voce di Gala lo riportò bruscamente alla realtà. Si era quasi dimenticato di essere ancora all'interno del palazzo. La sua compagna si era fermata in un punto dove due porte si aprivano sulle pareti della stanza dove si trovavano.
- Credo che quella di sinistra sia quella giusta – rispose senza pensarci. Dopo tutto dovevano restare il più possibile vicino alle mura esterne, no?
Percorsero ancora un paio di corridoi, poi finalmente raggiunsero quello che cercavano. Era tutto silenzioso, segno che probabilmente all'esterno le due guardie erano ancora svenute. Meglio così...
Uscirono nella notte.
Ancora frastornato dalle ultime rivelazioni, Jel inspirò profondamente l'aria gelida e si strinse nel proprio invisibile mantello. Faceva decisamente freddo, ed era meglio che si trovassero un riparo per riposare. - Vieni – disse rivolto a Gala. - Voglio andarmene da qui.
- Puoi dirlo forte!- esclamò lei, affrettandosi a seguirlo. - Allora? Dov'è la Pietra Bianca?
- Ho sentito Theor mentre parlava con un altro Ribelle.
Nausea.
- … gli ha detto che doveva a recarsi a Città dei Re per riprenderla, quindi suppongo si trovi lì.
Se non fossero stati invisibili avrebbe visto l'amica sgranare gli occhi. - A Città dei Re? Ci siamo... ci siamo andati così vicini e non lo sapevamo!
- Già...- convenne Jel cupo. - Quindi quando ripartiamo?
- Appena albeggerà – rispose lui prontamente. - Con l'oscurità non riusciremmo mai a ritrovare i cavalli di Kor. E poi io sono sfinito.
- A chi lo dici – replicò Gala con un tremolio nella voce. - Non vedo l'ora di levarmi questo maledetto incanto della Disillusione...
Non appena si furono allontanati abbastanza dalla reggia nordica, Jel le posò una mano sulla spalla. - Possiamo anche fermarci ora. Non credo corriamo qualche pericolo. Non più di prima, almeno. Si scostarono un poco dalla strada principale e dai luoghi sorvegliati, incluse taverne e locande, e poi si lasciarono cadere a terra, sfiniti.
- Credi che sia troppo pericoloso rimuovere la Disillusione- chiese Gala senza riuscire a trattenersi. Jel si guardò intorno. - Se vogliamo dormire non c'è altra scelta. Durante il sonno la concentrazione crolla definitivamente. Tranquilla, faccio io il primo turno di guardia.
Non appena ebbe pronunciato quelle parole rimase a guardare la ragazzina che soddisfatta, abbandonava di colpo la concentrazione e ritornava ad essere visibile.
- Mi era mancata la tua espressione, Gal – sorrise il mago in tono stanco.
- Molte grazie – anche lei sorrise, un sorriso per una volta sincero e appagato. - Ho un bisogno assurdo di dormire...- poi più seria, aggiunse:- Non devi montare la guardia tutta la notte, capito? Quando hai bisogno, svegliami, farò la mia parte.
- Va bene Gal – Jel le diede un affettuoso buffetto sulla guancia. - Allora dovrai ricordarti di svegliarmi prima che il sole sorga, domani.
- Certo certo – mentre parlava la strega appoggiò la testa sulla terra battuta del vicolo e si girò di lato. Si teneva il mantello avvolto come una coperta. Jel la fissò riposare con una punta d'invidia, poi alzò lo sguardo verso il cielo e rifletté: nella frenesia per la scoperta dell'ubicazione della Pietra e, soprattutto, del tradimento di Astapor Raek, si era quasi scordato di ciò che aveva udito riguardo Sephirt. Stando a quanto Raek aveva detto, pareva che la donna avesse lasciato Amaria di nascosto. Il motivo di tale scelta a Jel pareva abbastanza ovvio: era partita per cercare loro. Un brivido che non aveva nulla a che fare col freddo si impadronì di lui. Molto probabilmente Sephirt era decisa a terminare il suo compito, per vendicare Mal. E se le cose stavano veramente così allora erano tutti e due in pericolo.
Forse è meglio non tornare a Tamithia ma andare direttamente a Città dei Re...
Già. Avrebbe dovuto parlare con Gala della faccenda il prima possibile.


L'indomani, al primo albeggiare, Jel sentì la mano di Gala posarsi piano sulla sua spalla e scuoterlo. - Jel...- lo chiamò la ragazzina. - Jel, è ora. Dobbiamo andare.
Il mago impiegò una decina di secondi per riprendere appieno conoscenza; si sentiva, se possibile, ancora più assonnato della sera prima. Alzò il capo e si guardò intorno, per la viuzza dove avevano dormito. Non c'era ancora nessuno in giro, ma presto il coprifuoco avrebbe avuto bene e la gente si sarebbe riversata per le strade.
- Allora andiamocene – concordò rialzandosi, e per un attimo fu preso dal capogiro. Serrò bene gli occhi, imponendosi di restare ben lucido. Molto presto avrebbe potuto riposare come si deve.
Ben lungi dall'essere ben disposti, i due maghi si lasciarono alle spalle il vicolo e si immisero nuovamente nello stradone centrale. Jel non vedeva loro di lasciarsi alle spalle quella maledetta città per dirigersi verso la capitale di Fheriea, dove sarebbero stati – forse – al sicuro.
Mentre i primi mattinieri uscivano dalle loro case, Jel e Gala incrociarono un paio di guardie; una di loro li guardò con aria discretamente sospettosa, e fu allora che Jel si rese conto che né lui né l'amica, nella fretta, avevano ricordato di applicare nuovamente l'incanto della Disillusione.
Oh merda...
Dunque era una gigantesca fortuna che si trovassero così lontani da Grimal; in fin dei conti non portavano né mantelli né spille, quindi per i Ribelli sarebbe stato difficile riconoscerli...
Ma allora perché, perché quell'uomo continuava a fissarli con occhio critico?
- Facciamo in fretta – intimò a Gala dandole una spintarella. - Leviamoci di qui. Possono vederci... Evidentemente anche lei si rese conto del proprio errore solo in qual momento. - Accidenti...- borbottò affrettando il passo.
Grazie al cielo la strada che i due avevano percorso seguendo Theor il giorno prima era abbastanza lineare, quindi Jel ricordava il tragitto abbastanza bene. L'importante ora era fare in fretta. Il giovane avvertiva un pessimo presentimento.
- Io quei due li ho già visti...- udì pronunciare l'uomo che li aveva squadrati, alle proprie spalle. - Ma non qui.
Capì che il Ribelle stava andando loro dietro, probabilmente accompagnato da un'altra guardia. L'ansia lo assalì alla gola: era possibile che, fra tutti i Ribelli sparsi per Amaria, fossero dovuti incappare proprio in uno che li avesse già incontrati?
- Jel..- mormorò Gala preoccupata, conscia di quanto fosse precaria la situazione.
- Vai avanti – rispose lui secco, anche se in realtà temeva quanto lei. - Non guardare indietro...- ma prima che potesse finire la frase, dietro di loro esplose un:- Ma certo! Consiglieri!
Atterriti, sia Jel che Gala si voltarono di scatto. E anche loro lo riconobbero: davanti a loro c'era uno dei malcapitati Ribelli che avevano incontrato vicino al confine con l'Haryar, mesi prima. E come avrebbe potuto lui dimenticarli? Non c'erano molte ragazzine dai capelli viola che facessero parte del Consiglio e praticassero la Magia...
- SCAPPA!- gridò il giovane afferrando l'amica per la collottola, mandando al diavolo ogni precauzione. L'uomo li aveva riconosciuti, e tentare di convincerlo del contrario sarebbe stato inutile. Per colpa della loro stupidità, avevano fallito proprio a un passo dalla ritirata.
Un paio di Ribelli che si trovavano sul loro percorso tentarono di ostacolarli afferrandoli per gli abiti, ma loro non ebbero difficoltà a scaraventarli via con la Magia.
- State attenti! Sono maghi!- strepitò qualcuno, al che molta gente si ritrasse, spaventata.
Non possiamo morire adesso, non proprio ora... strillava una voce nella testa di Jel mentre correva all'impazzata in mezzo a tutte quelle persone che volevano ammazzarli.
Ma proprio nel momento in cui le colline all'esterno della città si profilavano davanti ai loro occhi, proprio mentre le case si diradavano, Jel avvertì una massa d'aria sollevarli da terra e scaraventarli contro una parete di roccia.
Il dolore per lo schianto fu incredibile; aveva tentato di attutire la botta con un incantesimo di difesa, ma la sua testa e la sua schiena colpirono comunque il muro con forza. Al giovane sfuggì un gemito disperato, a Gala un'imprecazione di dolore.
Quando Jel trovò la forza di rialzare il viso da terra, vide davanti a sé una decina di Ribelli; quasi tutti erano forniti di armi da taglio, ma quello che li aveva colpiti non portava altro che un corto pugnale e un'espressione gelida dipinta in volto. Doveva essere l'unico mago.
- Che cosa credevate di fare, eh?- chiese freddamente, mentre gli altri puntavano le spade e le lance su di loro. Jel si sentì perduto: quella volta erano arrivati al capolinea; loro non erano come Sephirt, non sarebbero riusciti a scomparire senza lasciare traccia...
Con la coda dell'occhio vide Gala che, di fianco a lui, a fatica si rimetteva in piedi, e lui fece lo stesso. Se non altro sarebbero morti con dignità.
- Allora?- fece l'uomo che aveva parlato in tono d'accusa. - Siete veramente Consiglieri?
Jel fece per rispondere la verità, quando fu colto da un'idea.
Un'idea orribile, sciatta e banale, ma l'unica che gli venne in mente.
Repentinamente, si lasciò cadere a terra senza opporre resistenza.
- Jel!- esclamò Gala senza capire, un attimo prima di essere agguantata da uno dei presenti che la immobilizzò. Jel, col fiato mozzo, sentì il mago avvicinarsi a lui mormorando un:- Ma che diavolo...?
L'uomo si chinò per accertarsi che respirasse ancora, e Jel decise all'istante che il momento di uccidere di nuovo era ormai arrivato. Avrebbe fatto di tutto per salvare la propria vita e quella di Gala.
Senza pensarci estrasse il pugnale del Ribelle dalla sua fondina e, con tutta la forza di cui era capace, glielo conficcò nella schiena. Questo urlò di dolore, cadendo in avanti su di lui; se lo scrollò di dosso, rimettendosi in piedi e lanciando il pugnale in direzione di quello che, a pochi passi da lui, teneva ferma Gala. Mentre richiamava una nuova ondata di vento con cui allontanare gli altri afferrò l'amica per un polso e la spinse in avanti. - VAI!- urlò.
Ripresero a correre, troppo presi dal terrore per pensare a ciò che era accaduto, con quasi tutti i Ribelli alle calcagna.
- Prendeteli, non devono lasciare la città!- udì gridare qualcuno, ma non vi diede retta. Se fossero riusciti a raggiungere i cavalli sarebbero stati salvi...
Scapparono, scapparono, scapparono. Come quando erano fuggiti la prima volta da Mal e Sephirt, pareva loro di non provare nemmeno la fatica. Qualunque cosa sarebbe stata migliore dell'essere riportati indietro, al cospetto di Theor...
In men che non si dica si ritrovarono fra i lievi pendii erbosi fra i quali avevano lasciato i cavalli, e non impiegarono molto nello scorgere le due figure degli animali ancora addormentati grazie all'incantesimo di Jel. Il mago passò freneticamente una mano sul muso del proprio destriero e ordinò a Gala di fare lo stesso. I cavalli di Kor non avevano neanche aperto gli occhi che già i due erano montati in sella, menando colpi con le staffe per farli ripartire.
I Ribelli erano tutti attorno a loro, e alcuni tentarono di afferrare le briglie per impedir loro di fuggire. Schivando i fendenti delle spade e tentando di farsi scudo con qualche incantesimo, Jel riuscì a far partire il proprio cavallo a galoppo, e così Gala.
- FECCIA!- si sentirono gridare rabbiosamente dietro da uno di loro, mentre il gruppo di Ribelli rinunciava a riacciuffarli guardandoli cavalcare via.
Jel non ci diede peso. Non diede peso neanche allo squarcio che un pugnale gli aveva aperto sul polpaccio destro.
Erano salvi.
Erano salvi, e dovevano fuggire il più lontano possibile da lì.


KRYSIA, ARIADOR CENTRALE


Il locale era affollato e oltremodo rumoroso.
Sephirt cercava di non dare retta all'irritazione che provava nel guardare quelle bande di ubriaconi che se la ridevano e facevano a botte fra loro, mentre con passo deciso si avvicinava al bancone. Aveva lasciato Amaria da una settimana.
Senza preoccuparsi degli ordini di Theor, aveva vagato per il nord dell'Ariador in cerca di qualcuno che potesse conoscere la cacciatrice che cercava.
Rosark, Qorren, Hiexil... erano solo alcune delle città e villaggi che aveva alla svelta controllato. Sapeva di aver condotto una ricerca sbrigativa, che probabilmente si era fatta sfuggire numerose possibilità concrete, ma non le importava. Prima o poi avrebbe trovato una persona che potesse illuminarla. O forse si sarebbe imbattuta nella donna stessa.
Per prima cosa si avvicinò all'uomo dietro il bancone; con un cenno attirò la sua attenzione, poi si chinò verso di lui per farsi sentire oltre il frastuono:- Sto cercando una donna, una cacciatrice- dichiarò. - E' un'Haryarita, magra, capelli neri. E' mai stata vista da queste parti?
- Non ne ho idea – rispose l'uomo scuotendo la testa, mentre con una mano si asciugava la fronte imperlata di sudore. - Non posso fare molto, se non consigliarti di chiedere in giro!
Stizzita per l'ennesima domanda a vuoto, Sephirt borbottò un grazie e si sedette al bancone. Era piuttosto tentata di affondare la testa fra le mani, ma non lo fece.
- Ehi, cerchi compagnia, tesoro?
L'uomo che aveva parlato si sedette accanto a lei, reggendo in mano un boccale di birra. Sorrideva, inebriato dall'alcol, e la stava fissando con aria fastidiosamente furba.
- No, grazie – ribatté lei fredda come il ghiaccio. Inarcò un sopracciglio; doveva avere all'incirca quarantacinque anni e forse, non fosse stato per la sbornia, si sarebbe potuto anche definire un bell'uomo.
Ma neanche lontanamente quanto Mal Ennon.
- Ti offro da bere?- l'uomo non sembrava affatto urtato dalla risposta della strega. Indicò gli scaffali dove erano poste le bottiglie di liquore. - Birra, Makart, Sofiel...
- No. Grazie – ripeté la donna, trattenendosi dal non scaraventarlo giù dallo sgabello all'istante. Aveva ben altro a cui pensare rispetto ad un ubriacone che tentava spudoratamente di farle delle avance.
- Sto solo cercando una persona – continuò per spiegarsi. - E' una vecchia amica di mia madre. So che abita in Ariador, è una cacciatrice. Pensi di conoscere una persona simile?
- Hm... puoi provare a descrivermela.
Seriamente irritata – stava solo perdendo tempo – Sephirt cercò di rievocare più particolari possibili della donna che aveva ucciso Mal. - E' magra, non molto alta, probabilmente un'Haryarita. Ha... capelli scuri corti e... si porta dietro parecchi coltelli...
- Io la conosco.
Quella frase la colse così piacevolmente alla sorpresa che inizialmente Sephirt credette di esserselo soltanto immaginato. Ma non era stato l'uomo vicino a lei a rispondere. Si guardò intorno alla ricerca della fonte e notò un uomo di mezza età seduto ad un tavolo in un angolo, che le faceva un cenno con la mano. Mollando il suo interlocutore al banco, gli si avvicinò; era accomodato sulla panca foderata di stoffa unta, i gomiti appoggiati sul tavolo e ciocche di spettinati capelli biondo scuro che gli incorniciavano il viso.
- Conosci la donna che sto cercando?- ripeté Sephirt.
Lui bevve tranquillamente un lungo sorso dal proprio boccale e poi, ignorando la domanda, domandò:- E' una cacciatrice, giusto?
- Suppongo di sì – rispose Sephirt accomodandosi.
L'uomo riprese a parlare:- Vive a Tamithia, credo, o almeno ci viveva l'ultima volta che l'ho vista. Una o due volte ho comprato i suoi Shirin al mercato. Ma perché?
- Una faccenda di poco conto. Questioni personali – spiegò lei sbrigativa, senza alcuna intenzione di approfondire l'argomento. Poi insistette:- Dunque? Come si chiama questa cacciatrice?
Il suo interlocutore aggrottò le sopracciglia nello sforzo di ricordare e alla fine disse:- Sì, ora ricordo. Il suo nome è Ftia Elbrik.
Dopo tanto tempo, un sorriso tornò ad increspare le labbra della donna.








NOTE:

Che tempistica eh? A soli cinque giorni dall'ultimo, ecco il capitolo 22 ^^ Che tra l'altro è venuto molto più lungo del previsto, non ne voleva sapere di finire...
Dai, dato lo sforzo incredibile che ho impiegato per stenderlo tutto me la merito una piccola recensione, no? (mentecatta) Ditemi che ve ne pare, è decisamente più movimentato e complesso rispetto ai miei standard no?
Ma prima di fare pessime figure è meglio se passo direttamente al solito "grazie per chiunque abbia apprezzato :)" Spero di riuscire a pubblicare ancora entro la fine di ottobre,
TaliaFederer

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


23








Continuarono a cavalcare verso sud per quelle che a Jel parvero almeno cinque ore.
All’inizio erano entrambi ben consci che i Ribelli sarebbero sati loro alle costole, e così era stato. Il manipolo di uomini che li aveva sorpresi si era lanciato al loro inseguimento, senza mollarli fino al momento in cui aveva raggiunto i cavalli. I due maghi erano riusciti a recuperare le loro cavalcature e a lasciare indietro gli inseguitori con qualche difficoltà, ma alla fine ce l’avevano fatta. Spronando a più non posso i cavalli che avevano acquistato da Kor avevano seminato tutti i Ribelli, con le loro grida che ancora gli risuonavano nelle orecchie. Correndo all’impazzata fra le colline nordiche, i pensieri si erano susseguiti freneticamente nella mente del giovane Consigliere, diventando pressoché insopportabili.
Aveva ucciso di nuovo.
Aveva ucciso un uomo che nemmeno conosceva.
Aveva ucciso un uomo che probabilmente, se glielo avesse permesso, avrebbe ucciso lui stesso.
– Jel!- la voce di Gala, che galoppava poco dietro di lui, lo riportò di colpo alla realtà.
– Che cosa c’è?- le chiese ad alta voce, voltandosi.
– Non credi che sia ora di fermarsi?
Jel rifletté qualche secondo, poi decretò che probabilmente ormai le Terre del Nord erano troppo lontane per rappresentare un pericolo immediato. E si rese anche conto di quanto fosse sfinito.
– D’accordo – rispose alla fine, facendo rallentare l’andatura del proprio cavallo.
Jel lasciò andare le briglie e saltò a terra. Contrariamente a quanto pensasse, le sue gambe non ressero e il giovane si ritrovò inginocchiato sulla morbida erba verde smeraldo; dovette fare uno sforzo per non vomitare tutta quanto aveva mangiato negli ultimi due giorni. Allarmata, Gala mosse un passo verso di lui.
– Tutto bene? – chiese con voce tremante. Jel si trattenne dal risponderle che no, non stava andando bene nulla, ma si limitò ad annuire debolmente. – Dammi solo un attimo. Ora… ora mi rialzo.
Gala rimase a guardarlo con occhio critico mentre a fatica si puntellava a terra con i pugni e si rimetteva in piedi. Anche lui la guardò e la vide stanca e sconvolta quanto lui. Non pareva aver riportato ferite gravi, solo qualche ammaccatura qua e là. Jel si morse il labbro, poi si fece avanti e l’abbracciò. Quante volte ancora avrebbero rischiato la vita per cavarsela per il rotto della cuffia?
- Grazie, Jel – mormorò la ragazzina. – Quant’è, la terza volta che mi salvi la vita?
In un altro momento il mago avrebbe sicuramente riso alla battuta, ma adesso era troppo stanco, troppo turbato.
- Riposiamo un po’, va bene?- disse piano la strega, anche se la sua voce pareva tutt’altro che tranquilla. Jel pensò fosse già un mezzo miracolo che non avesse ancora ceduto alle lacrime.
Si stesero sull’erba; Jel continuava a tentar di modulare il proprio respiro, ma invano. Tra la fatica e la paura che aveva accumulato in quella giornata maledetta c’era da stupirsi che non fossero morti entrambi ad Amaria.
Invece erano ancora lì. Vivi. E avevano una nuova pista da seguire.
Un’altra.
Il giovane si passò una mano sugli occhi: non ne poteva più.
Èinutile continuare a lamentarsi. Ti sei preso una responsabilità, è compito tuo. Ora devi soltanto riposare…
Appoggiò la testa a terra tentando di non badare al dolore che gli opprimeva le tempie da quando erano fuggiti dalla capitale nordica. Aveva bisogno di dormire; aveva riposato solo qualche ora prima, eppure non gli pareva di essere mai stato così stanco.
Ma poi gli venne in mente la questione di Città dei Re. Si tirò su a sedere; era meglio levarsi quel dente subito.
– Gal – chiamò. – Dobbiamo parlare un attimo.
– Va bene, dimmi – anche lei si sedette, raccogliendo le ginocchia e cingendosele con le braccia. Jel inspirò a fondo, poi disse:- Credo che faremmo bene a non tornare più a Tamithia.
– Che cosa?- fece Gala stupita. – E perché?
- Abbiamo una nuova meta. Ed è Città dei Re – spiegò lui. – Perderemmo solo tempo facendo un’altra tappa.
– E Ftia?- chiese la strega alzando un sopracciglio. – Che facciamo con lei?
Jel alzò le spalle. – È adulta. Sa badare a se stessa e… non ha affatto bisogno di noi – affermò. – Non credo sentirà la nostra mancanza.
Gala ridacchiò nervosamente.
– Non intendo questo, è che… che lo volesse o no, ci ha aiutati. Le abbiamo promesso di ripagarla e non mi sembra giusto piantarla in asso così…
Quella volta fu Jel ad aggrottare le sopracciglia.
– Non credevo foste grandi amiche – commentò sarcastico, al che lei arrossì lievemente.
– Non siamo affatto amiche – ribatté. – Si tratta di semplice onestà.
– Ho promesso che l’avrei pagata e intendo mantenere la promessa – la rassicurò il mago. – Una volta tornati a Grimal sistemerò tutto, anche questo. Ma prima dobbiamo finire il lavoro.
Gala parve leggermente sollevata, ma non desistette.
– Non abbiamo comunque più provviste – gli fece notare. – Cibo, bevande, non abbiamo un soldo.
Jel dovette ammettere che aveva ragione. Eppure, qualcosa gli diceva che avrebbero fatto meglio a continuare per la loro strada, rigare dritto e terminare la missione finché erano in tempo. Sempre che lo fossero ancora. Da quanto aveva sentito ad Amaria, Theor aveva inviato il traditore Astapor Raek nella capitale di Fheriea per recuperare la Pietra Bianca, quindi loro dovevano fare più in fretta possibile…
- Partiamo adesso e raggiungiamo Tamithia. Potremmo raccogliere solo qualche provvista e poi filare via, con o senza il permesso di Ftia – propose la ragazzina speranzosa. – Al momento siamo molto più vicini a Tamithia che a Città dei Re, credo.
Jel la guardò. – Ho un brutto presentimento – proferì preoccupato.
– Io ne ho da quando siamo partiti – ribatté lei amaramente, ma con voce ferma.
Jel rimase ancora qualche istante in silenzio.
– E va bene – si arrese alla fine. – Torniamo indietro.


Sempre in groppa ai due vecchi cavalli che Kor aveva procurato loro, i due maghi procedettero spediti verso sud, con l’intenzione di raggiungere la capitale ariadoriana il più rapidamente possibile.
Jel si era detto più volte che probabilmente avevano commesso un errore, ma d’altra parte i fatti parlavano chiaro: non avevano nulla con loro, e l’idea di dover alloggiare in qualche locanda o derubare le poche fattorie sulla strada per Città dei Re non era allettante. Dovevano smetterla con le imprudenze, smetterla di farsi vedere in pubblico come semplici viaggiatori, specie in territori prossimi alle Terre del Nord. Eppure se avessero proseguito verso est a quel punto sarebbero stati ancora a poche ore da Città dei Re e dall’ultima Pietra…
Smettila di preoccuparti, si redarguì mentalmente. O finirai per impazzire.
Conscio che probabilmente sarebbe impazzito comunque, indecisioni o no, il giovane continuò ad andare avanti. Sarebbe stata una bella seccatura convincere ancora una volta Ftia a lasciar loro libero accesso alla sua dispensa, ma al momento non gli importava granché. Non avrebbe percorso tutta quella strada in più per poi rimanere a mani vuote. E comunque, se al termine di tutta quella storia fosse stato ancora vivo, l’avrebbe adeguatamente ripagata per tutti quei fastidi, come promesso.
Procedettero ancora per ore ed ore, fino a sera. E anche allora non si fermarono. Jel sapeva che Gala si sarebbe risentita parecchio; era sfinita, e lui non poteva darle torto, ma era stata lei dopotutto a insistere affinché tornassero un’ultima volta a Tamithia. Quelle erano le conseguenze: un’intera notte passata a cavalcare attraverso prati, collinette e zone boscose.
Jel era decisamente impaziente, e gli pareva che il viaggio si stesse protraendo ancora più lungamente rispetto all’andata. Sapeva che era solo una sensazione, eppure aveva l’impressione di stare cavalcando da settimane.
Sostarono per poche ore poco prima dell’alba e a turno dormirono un po’ mentre l’altro montava la guardia come poteva, poi ripartirono. Fu un viaggio silenzioso e teso, anche se a dirla tutta non avevano concreti pericoli dinnanzi a loro. O almeno non pericoli immediati.
Molto presto sarà tutto finito… tieni duro solo per un altro po’… si disse Jel reprimendo a stento uno sbadiglio. Già, ma quando sarebbe arrivato veramente quel molto presto? Al giovane pareva di starsi ripetendo le stesse parole da mesi. Era è partito pensando che la missione sarebbe andata bene, svolgendosi abbastanza rapidamente e senza particolari intoppi. Oh, se aveva cambiato idea. Non vedeva la sua casa da più di quattro mesi. Quattro mesi che, visti i disastri che si erano verificati, parevano molti di più.
Due o tre volte, mentre sfrecciavano per la campagna dell’Ariador centrale, lo sguardo del mago si perdeva in mezzo a quella natura lussureggiante; prati, qualche sporadico albero, ruscelli e torrenti, piccoli villaggi, era tutto così idilliaco… era un peccato il non potersi fermare per dare un’occhiata in giro. Un giorno lo potrai fare, Jel sorrise a quell’assurda speranza. Una volta finita la guerra potrai andare dove ti pare…
Il sole era già tramontato da quasi un’ora quando finalmente i due avvisarono qualcosa all’orizzonte. – Credi che sia lei? Siamo a Tamithia?- esclamò Gala rivolta verso di lui.
– Ancora non siamo arrivati – fece lui di rimando, la voce alta per sovrastare il rumore degli zoccoli. – Ma non dovrebbero esserci dubbi. Tamithia è l’unica città importante in questa zona, per il resto sono solo villaggi e cittadine…
Il Consigliere si sentiva leggermente rincuorato; aveva una fame incredibile – erano giorni che non toccava cibo – per non parlare della stanchezza e del sonno. Sapeva che una volta da Ftia non avrebbero avuto molto tempo per riposare, ma se non altro avrebbero mangiato qualcosa.
Con lo stomaco che gli gorgogliava, i due raggiunsero le prime abitazioni a nord della città e percorsero le vie quasi deserte rallentando l’andatura.
– Non ti sembra un po’ strano?
- Che cosa?
- Che non ci sia nessuno in giro – Gala sembrava a disagio. – Non fa poi così freddo, è primavera inoltrata… Tamithia non dovrebbe essere un città piena di vita?
Lui si guardò intorno. – Non credo che la gente abbia molta voglia di uscire, al momento. È tempo di guerra, ricordi? I cittadini sono molto più spaventati qui che a sud.
Il mago udì l’amica imprecare sottovoce contro Theor e i suoi Ribelli e, suo malgrado, si lasciò sfuggire un sorrisetto.
Faticarono parecchio a ritrovare la casa dove abitava Ftia Elbrik, fra l’oscurità e il fatto che non avevano mai percorso quella strada al contrario, ma alla fine riuscirono ad infilarsi nella stretta e familiare viuzza.
– Finalmente – fece Gala impaziente, smontando da cavallo. – Sto morendo di fame…
- Aspetta, Gala – la redarguì lui con calma. – Prima vediamo di legare i cavalli da qualche parte, o a Città dei Re dovremo andarci a piedi. Assicurarono i due animali alle colonnine di legno dello stretto porticato di fronte a loro e poi si avviarono verso la casa di Ftia.
– Non bussare – la anticipò Jel. - Magari sta dormendo…
- Sai quanto me ne importa!- ribatté la ragazzina, e il giovane sbuffò.
– Se vogliamo “depredare” la sua dispensa è meglio non svegliarla, non credi?
Si chinò sulla serratura e a bassa voce proferì un semplice incantesimo per farla scattare. La porta si aprì con un piccolo clac e il Consigliere la spinse in avanti. Dentro era buio.
- Ftia? – chiamò per accertarsi che la donna non fosse presso di loro. Lui e Gala mossero qualche passo in avanti ritrovandosi nel minuscolo atrio - Ftia? C’è qualcuno?
- Salve, Jel – la voce di Sephirt li colse completamente alla sprovvista.
Il giovane fece un balzo all’indietro per lo spavento, mentre nell’ambiente silenzioso risuonava l’esclamazione sconvolta di Gala:- Ma che diavolo…? - Non può essere!
Non può essere, non può essere, non può essere. Non di nuovo!
Sephirt rise, e fu la risata più inquietante e priva d’allegria che Jel avesse mai udito.
La strega fece un passo in avanti. Il suo volto era una maschera d’odio, ma in parte anche di una selvaggia soddisfazione. E fu solo allora che i due maghi si accorsero di Ftia: la cacciatrice, pallida e magra come non mai, pareva essersi rimpicciolita nel corso dell’ultima settimana. In volto un’espressione molto più spaventata di quanto Jel avesse immaginato, stava in piedi accanto a Sephirt, mentre con una mano la donna del nord la teneva ferma presso di sé tenendola per una spalla.
– Jel, mi dispiace…- balbettò la donna con voce flebile. – Mi dispiace, non ho avuto scelta…
- Ma… perché? - mormorò il Consigliere con voce strozzata.
Sephirt sorrise nuovamente. – Oh, alza pure la voce, Jel – disse con raggelante calma. – Non c’è motivo di avere fretta, non credi?
Jel avvertì Gala che, al suo fianco, si stringeva al suo mantello e aumentava la presa della mano sul suo polso, col fiato mozzo. Che devo fare?
- E va bene – suppose che, almeno per il momento, la scelta più giusta sarebbe stata quella di stare al gioco della strega. Dopotutto che altre scelte avevano? – Ftia…- Jel posò gli occhi sulla donna con un groppo in gola. – Perché lo ho hai fatto?
Vederla piangere lo sconvolse ancora di più; la situazione era davvero irreparabile ormai, se persino una tosta e cinica come lei si lasciava travolgere dalla disperazione.
– E’ per la mia ferita – proferì. – La… la ferita del Letjak, ricordi?- la voce le si spezzò. – Si… si… poco dopo che siete partiti è peggiorata. Si è riaperta e ho temuto si infettasse. Ho avuto paura… se Sephirt non mi avesse curata sarei morta… Mi ha aiutata… ha preparato un antidoto…
C’era qualcosa che non andava. Era stata proprio Ftia ad uccidere realmente Mal, la colpa era sua. Perché Sephirt aveva fatto quello? Era vero che tramite Ftia sarebbe potuta arrivare a loro, ma con che scopo salvarle la vita dalle infezioni?
- So cosa ti stai chiedendo – disse Sephirt a sorpresa. – Credi che mi sia dimenticata di quello che ha fatto?
Al suono di quelle parole, Jel vide distintamente lo sguardo di Ftia farsi atterrito. – Avevi detto… avevi promesso che mi avresti lasciata…
– Semplicemente non potevo ucciderla subito, qualcuno sarebbe venuto a saperlo – la voce della strega sovrastò quella della cacciatrice. - Non era il caso. Non ancora.
Fulminea, agguantò Ftia per la collottola ed, estratto un pugnale dalla cintura, glielo portò alla gola. – Devo ammettere che sei stata molto utile, Ftia. – sembrò esitare un attimo, poi sorrise lievemente. – Ma ora devi morire.
Gala urlò.
Jel distolse istintivamente lo sguardo, sconvolto, mentre la lama del pugnale di Sephirt squarciava impietoso la pelle della gola di Ftia e uno schizzo di sangue imbrattava il pavimento. La strega nordica guardò compiaciuta Ftia che, tenendosi disperatamente una mano sul collo, si accasciava a terra scossa dai singulti. Impotente, Jel si precipitò accanto lei, tenendo premuti i palmi sulla ferita. – No… no… - balbettò freneticamente. – Se-Sephirt, salvala!
Ma l’unica risposta che arrivò dalla strega fu un potente spostamento d’aria che lo scaraventò contro la parete, lontano dal corpo agonizzante della donna.
– JEL!- Gala fece per farsi avanti, ma a Sephirt bastò tendere una mano in avanti per immobilizzarla. Rassegnato, il mago guardò con le lacrime agli occhi gli ultimi secondi di vita di Ftia, che a dir la verità furono piuttosto pochi. Quando infine l’Haryarita smise definitivamente di muoversi e il sangue ebbe diminuito la sua fuoriuscita, Gala si portò una mano alla bocca, e Sephirt si ripulì le mani impietosa. - Molto bene – decretò in tono pratico. – Ora finalmente potrò finire il lavoro.
Jel lanciò un’occhiata alla porta – era ancora spalancata, l’unica possibilità di fuga…
- Non credo proprio – lo fermò Sephirt, e con un semplice gesto della mano la chiuse di colpo. – Non andrete da nessuna parte – mosse ancora un passo verso di lui. – Normalmente inizierei dalla più giovane – considerò con un ghigno, e l’allusione a Gala fu per Jel qualcosa di insopportabile. – Ma si sa: le abitudini sono fatte per essere cambiate.
Gettando via il pugnale di Ftia con spregio, alzò una mano e si preparò a colpire, e negli ultimi pochi istanti che gli rimanevano Jel riuscì semplicemente a chiedersi che cosa gli avrebbe fatto. Molto probabilmente avrebbe deciso di torturarlo con la Magia Nera, eppure lui ancora nutriva speranze affinché lei gli procurasse una morte rapida come quella di Ftia. Quello che non aveva previsto, però, fu la sagoma di Gala che, con un grido di rabbia, si frapponeva esattamente tra lui e l’incantesimo che Sephirt stava scagliando. Consapevole di quante cose orribili sarebbero potute accadere alla sua migliore amica, il Consigliere vide la ragazzina sollevarsi da terra e venire scaraventata via con forza inaudita; sbattè contro una parete con un tonfo sordo, il quale segnò per Jel l’apice della disperazione.
Era quasi impossibile che Gala fosse sopravvissuta ad uno schianto del genere. Il corpo della strega ricadde a terra, esanime, e Jel non fu in grado di giudicare con esattezza se il suo petto si alzasse e abbassasse ancora. Ma in realtà, anche senza vedere, conosceva già la risposta.
Sephirt la guardò insoddisfatta. – Stupida ragazzina – sputò in tono di disprezzo. – Troppo facile morire così…
Fu allora che Jel perse la consapevolezza di sé; posseduto da una rabbia cieca che non aveva mai provato prima si rialzò e letteralmente balzò addosso alla strega, trascinandola a terra. E per un attimo lei fui così sbalordita da quel repentino cambiamento da non riuscire a bloccare i suoi colpi. Ringhiando ferocemente il mago le assestò due manrovesci in pieno volto, poi abbatté con forza le nocche sul suo naso, mentre con le gambe tentava di tenerla ferma. La faccia di Sephirt venne imbrattata di sangue, ma senza curarsi del ribrezzo Jel continuò ad infierire sullo stesso punto.
Aveva ucciso Gala… l’aveva uccisa…
Solo allora Sephirt riuscì a liberarsi dalla sua stretta, e con una nuova ondata d’aria se lo scrollò di dosso, rimettendosi in piedi frastornata. Sotto il sangue che le copriva il volto, il giovane la vide ridacchiare. – Sei… molto più tenace di quanto potessi immaginare – ammise. – Ma questo non ti salverà.
- Non mi importa!- le urlò contro Jel, e questa volta era vero: non contava più nulla se sarebbe morto anche lui, lui l’avrebbe uccisa. Non avrebbe permesso che la morte di Gala rimanesse invendicata.
Sephirt evocò una gigantesca fiammata con ambedue le mani e la scagliò contro di lui, al che il mago non poté far altro che tentare di schivarla; si tuffò letteralmente sotto il tavolo, e il fuoco lo raggiunse solo di striscio. Una dolorosa ustione gli si aprì su una guancia.
– Che fai ora, scappi, Jel?- lo provocò Sephirt in tono feroce.
Con orrore, lui vide il fuoco attecchire lungo le assi che componevano le pareti della casa di Ftia, e di scattò si allontanò. Non aveva idea di che incantesimo usare per eludere la guardia di Sephirt, ma valeva la pena tentare; attirò a sé il coltello con cui la strega aveva ucciso Ftia e glielo reindirizzò contro. Non bastò: con naturalezza Sephirt si abbassò e lasciò che la lama andasse a conficcarsi nella parete sopra il corpo di Gala. Approfittando della sua momentanea distrazione, Jel tentò di evocare una quantità d’acqua per spegnere l’incendio che presto avrebbe divorato l’intera abitazione, quando si sentì tirare indietro, e fu di nuovo alla mercé del nemico. Sephirt lo spinse con violenza a terra e gli agitò una mano sotto il naso, facendo un gesto che richiamò orribilmente quello che avrebbe usato per soffocarlo. E Jel avvertì la gola farsi stretta, come se mani invisibili lo stessero stringendo impietose. Boccheggiò, cercando aria, scalciando, ma la Ribelle non demordeva. Mentre lo teneva fermo aveva il volto contorto dalla fatica, eppure dimostrava una forza fisica insospettabile per una donna esile come lei. Maledizione, no!
Il Consigliere tirò il collo su di scatto colpendole la fronte con la propria, e la presa e l’incantesimo della strega vennero meno per qualche istante. Annaspando all’indietro il giovane tento di rimettersi in piedi, ansante, ma il calore improvviso lo fece bloccare. C’era troppo fuoco, maledizione, faceva troppo caldo! Dalla strada già udiva urla e schiamazzi, e dato il frastuono che lo scontro aveva provocato era un vero miracolo che l’intera Tamithia non fosse piombata loro addosso. Mentre Sephirt tentava di detergersi il sangue dal volto per riprendere a vederci qualcosa, il mago trovò un attimo di tempo per concentrarsi ed evocare acqua, abbastanza per spegnere le fiamme che lo separavano da Gala. Se fosse rimasto lì dentro ancora un paio di minuti sarebbe morto anche senza l’aiuto di Sephirt. Afferrò il corpo della ragazza per una caviglia e se lo tirò faticosamente dietro. Aveva quasi raggiunto la porta quando Sephirt lo colpì di nuovo. La strega lo tirò all’indietro, ed entrambi ricaddero a terra. Jel si dimenò furiosamente, quel tanto che bastò a farle allentare la presa e lasciarlo andare. Sempre tirandosi dietro Gala il mago spalancò la porta e, tossendo incontrollatamente, uscì in strada.
– Levatevi dai piedi!- esclamò con rabbia rivolto alla decina di uomini lì riuniti, che fissavano la scena spaventati. Alcuni di loro scapparono. – Andatevene…
Una nuova fiammata lo colpì nella schiena, interrompendolo di colpo. Il giovane avvertì i propri indumenti bruciare, e il fuoco raggiungergli la pelle. Mentre il dolore più acuto che avesse mai provato lo investiva, Sephirt uscì malconcia ma trionfante dalla casa in fiamme, reggendo in mano un altro lungo coltello, probabilmente uno di quelli che erano stati assicurati alla cintura di Ftia.
Molte persone indietreggiarono, sconvolte, e Jel si sentì perduto. Era troppo debole ormai, troppo. Il fuoco lo stava facendo impazzire dal dolore, nonostante lui continuasse a rotolarsi a terra nel tentativo di spegnerlo. Ormai aveva perso la presa sulla caviglia di Gala, ormai non riusciva più nemmeno a pensare, stava morendo…
- Questo… questo è per te, Mal – udì ansimare la strega ad alta voce mentre si preparava ad infierirgli il colpo finale, il colpo che l’avrebbe ucciso.
– NO!- avvertì vicino a lui una voce femminile, mescolata con quelle dei presenti, ma non riuscì a comprendere a chi appartenesse. Prima che la lama di Sephirt lo colpisse, il mago chiuse gli occhi e – per un istante – rivide finalmente la sua casa.
Attese che il coltello trafiggesse la sua schiena già martoriata dalle fiamme, attese l’ultima dose di dolore prima della morte, ma esso non lo travolse.
Al suo posto, il Consigliere udì solo uno strozzato gemito di sorpresa.
Allibito riaprì gli occhi e, con uno sforzo immane, voltò la testa in direzione di Sephirt. La donna era ancora in piedi, gli occhi spalancati, ma nella sua mano non c’era più alcun coltello. Per un istante Jel si chiese dove potesse essere finito, questo prima di vedere la lama, la stessa lama argentata, conficcata nel corpo della strega da dietro, così in profondità da spuntare dall’altra parte. Per un attimo i loro occhi si incontrarono. Sephirt tentò di dire qualcosa, ma un fiotto di sangue le salì in gola impedendole di parlare.
Ma chi, chi…?
Dietro di lei stava in piedi una figura femminile.
Aveva ancora le mani serrate sull’impugnatura del coltello che le aveva strappato dalle mani.
Ammaccata, ansimante, lo sguardo distrutto.
Gala non era affatto morta.








NOTE

Ehm... mi dispiace tantissimo, so di essere in ritardo, ma tanto tanto tanto. Lo so, sono passati più di due mesi dall'ultimo aggiornamento, ma tra la scuola e i problemi tecnici del mio maledetto computer la stesura di questo benedetto capitolo 23 è stata alquanto travagliata.
Spero di essere riuscita a farmi perdonare almeno in parte, dato che è il secondo capitolo d'azione di fila e succedono parecchie cose importanti. Non so... sono in parte soddisfatta e in parte no. Ditemi assolutamente cosa ne pensate, e scusatemi ancora per il ritardo :)
Un bacio a tutti i lettori <3

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


24








Sephirt rimase in piedi ancora per qualche istante.
Non tentò nemmeno di estrarre il coltello dal proprio corpo. Era troppo sbalordita, troppo esausta, troppo vicina alla morte.
Gala continuò a guardarla senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso, fissando il sangue che sgorgava dalla ferita nella schiena che lei stessa le aveva inferto.

– State indietro – aveva semplicemente ordinato - col fiatone - a coloro che avevano tentato di farsi avanti per aiutarla. – Non dite a nessuno ciò che avete visto.

Aveva sperato di parere perentoria mentre pronunciava quelle parole, e forse ci era riuscita dal momento che quella decina scarsa di uomini e donne le aveva voltato le spalle, affrettandosi ad allontanarsi.
Alla fine, anche l’ultimo briciolo di forza sembrò abbandonare le membra della strega nordica, e Sephirt crollò a terra come una bambola di pezza.
Mio dio… oh mio dio… La ragazza si soffermò sul volto della donna: gli occhi erano chiusi, ma un rivolo di sangue continuava a scorrere dalla bocca verso la gola, costituendo un immagine macabra e inquietante. Il suo corpo era immobile. Gala tentò di chinarsi per controllare che il battito del suo cuore fosse cessato, ma il dolore che la tormentava dalla testa ai piedi glielo impedì. Probabilmente lo schianto contro la parete le aveva procurato parecchie fratture e ossa rotte, perché a stento riusciva a muoversi. Quell’ultimo sforzo per impedire a Sephirt di uccidere Jel le era costato quasi tutto. In ogni caso, non udiva nulla, né vita, né un qualunque rumore.
Sephirt era morta. Lei l’aveva uccisa, salvando Jel dalla medesima sorte.
Jel!
Con un tuffo al cuore Gala si chinò sul corpo semisvenuto dell’amico. Represse un brivido d’orrore nel vedere la pelle della schiena brutalmente ustionata, ma il sollievo per il fatto che fosse ancora vivo fu più forte. Il mago la guardò con occhi stanchi, ma anche grati e in parte attoniti.

– Gala… ma… ma… eri morta…

Malgrado il dolore e l’ansia, lei scosse la testa con un piccolo sorriso. – Ci vuole ben altro per uccidermi – rispose, pur sapendo di risuonare ridicola, banale e infantile, cosa che al momento non le importava.
Aiutò Jel a mettersi seduto, poi mormorò:- Dobbiamo andarcene. Ce… ce la fai a camminare?

Jel scosse la testa, tossendo. – Non credo, mi dispiace. La… la mia schiena…

Molti uomini stavano tornando, chi a mani vuote, chi reggendo ampi catini pieni d’acqua. L’incendio.
Presto la folla sarebbe aumentata, e loro dovevano approfittarne per fuggire.

– D’accordo allora – esordì mentre qualche coraggioso, nel vociare generale, si faceva avanti ed entrava nella casa semi distrutta di Ftia per tentare di spegnere l’incendio dall’interno. – Leviamoci di qui, cerchiamo un riparo e aspettiamo che la confusione diminuisca, d’accordo?

Jel annuì a fatica. Anch’ella dolorante, Gala lo afferrò per i fianchi e lo voltò a pancia in giù – se non altro la schiena ferita non sarebbe strusciata sulla strada – poi gli prese alla bell’e meglio le caviglie e, con un ultimo sforzo, cominciò a trascinarlo via.
Voltandosi un’ultima volta vide sbalordita un paio di uomini accaldati e sporchi di cenere che trasportavano fuori dalla casa il cadavere ancora integro di Ftia. Vederlo ancora le portò un terribile groppo alla gola, e la ragazza non riuscì a trattenere le lacrime; quella notte avevano oltrepassato ogni limite.

- Dove sono i due ragazzi? – udì esclamare qualcuno. – La donna rossa è ancora qui, ma gli altri…?

In fretta e furia svoltò un angolo, si fermò un attimo a prendere fiato e poi riprese ad avanzare.

– Aspetta – la fermò Jel ad un tratto. – Posso… posso provare a camminare se vuoi…

- Jel…

- Posso farcela – lui sorrise, tentando di sembrare incoraggiante, atto di cui lei fu infinitamente grata. Sorreggendolo come poté lo aiutò a rimettersi in piedi, ed entrambi zoppicarono via. Il dolore in tutto il corpo – unito alla coscienza pesante come piombo – stava per avere il sopravvento quando la strega adocchiò un piccolo spazio nascoso sotto il portico di una casa.

– Nascondiamoci lì – disse in un soffio, cercando di impedire che Jel stramazzasse a terra lo condusse da quella parte. Parecchie decine di metri dietro di loro si scorgeva ancora un pesante bagliore rossastro, segno che l’incendio non era ancora stato domato.
Incrociarono un paio di persone che, allarmate, percorrevano la via nella direzione opposta alla loro, ma erano tutte troppo prese dal pericolo per accorgersene. Passarono relativamente inosservati, fino a raggiungere la nicchia sotto le scale in pietra che conducevano alla porta di un’abitazione un po’ più imponente delle altre. Si sedettero, e Gala trattenne un gemito di dolore. Vide Jel appoggiare la testa alle fondamenta di pietra, il volto contorto in una smorfia sofferente, ma non seppe come aiutarlo. Ora come ora, non sarebbe mai riuscita a trovare la giusta concentrazione per un incanto di guarigione. La ragazzina chiuse gli occhi, per impedire alle lacrime di scenderle copiosamente sulle guance. Non riusciva più a modulare il respiro, aveva troppa paura. Aveva ucciso. Aveva ucciso qualcuno per la prima volta… A Jel era già capitato di farlo per necessità, e due volte. Ma a lei no. E nel momento in cui aveva trapassato Sephirt da parte a parte aveva agito d’istinto, aveva dovuto farlo ma…vedere la donna accasciarsi a terra esanime, consapevole di essere lei la causa di ciò, l’aveva inorridita.
Ma… ma perché? Perché è dovuto succedere?

- Gala…- anche se stava soffrendo terribilmente, Jel continuava a mantenersi lucido. – Gala, qui non siamo al sicuro. Chiunque potrebbe vederci, dobbiamo andar via…

- E dove? – ribatté lei con un pizzico di disperazione. – Finché rimaniamo in circolazione da queste parti chiunque potrebbe riconoscerci… - fece per puntellarsi sul piano di terra battuta dove era appoggiata, quando avvertì qualcosa: una specie di piccola fessura. Che fosse…?

-Jel, spostati – ordinò. – Credo di aver trovato una botola!

Tastarono il terreno freneticamente, e quando alla fine la ragazzina vide Jel afferrare un sottile anello di ferro esultò mentalmente. Se fossero riusciti a nascondersi sottoterra avrebbero potuto riprendersi un po’, riposare senza essere visti…

- Aiutami a sollevarla – fece Jel ammiccando alla botola. – Non ce la faccio da solo.

Unendo gli sforzi riuscirono a tirare su il pesante pannello di legno; Gala guardò in basso con occhio critico. – Sembrerebbe una specie di cantina…- dichiarò, e Jel rispose. – A-andrà benissimo. Forza, caliamoci.

Non era un balzo particolarmente profondo, e con qualche difficoltà Gala riuscì ad atterrare in posizione eretta. Udì le proprie gambe scricchiolare orribilmente. Dopo aver richiuso la botola, Jel non fu così fortunato; nel momento in cui toccò terra le sue gambe cedettero, e il mago ricadde bocconi in avanti, sbattendo il volto.
– Jel!- esclamò lei spaventata, sollevandogli delicatamente la testa.

– Jel…- ormai la ragazzina non riusciva più a frenare il pianto. – Jel, ti prego non morire…

Il mago sorrise stancamente. – Non… non morirò, Gal….- la voce, così debole da essere ridotta a un sussurro, avrebbe suggerito il contrario, ma lei aveva il disperato bisogno di aggrapparsi a quelle parole. – Devo… devo solo… riposare…

- C-certo – Gala annuì. Con le ultime forze che le rimanevano spostò l’amico lontano dall’ingresso della cantina e lo adagiò accanto al muro. – Ce la puoi fare, va bene? Abbiamo tutto il tempo che… che vogliamo. Io sarò qui accanto a te.

- Gala…- mormorò il giovane stremato. – Gala, questa volta… questa volta… sei stata tu a salvare me. – Chiuse gli occhi e la sua testa ricadde all’indietro. Gala sorrise amaramente.
Poi scoppiò in lacrime.

                                                                        ***

Rimase con la testa appoggiata alle parete per ore ed ore. Lì accanto a Jel, tenendogli una mano. Giurando a se stessa che per nulla al mondo l’avrebbe abbandonata finché non si fosse svegliato. Aveva periodicamente appoggiato l’orecchio al suo petto per controllare che respirasse ancora. Aveva tentato di cogliere un qualsiasi rumore proveniente dall’esterno, sperando che a nessuno venisse in mente di andare laggiù a cercare una bottiglia di vino a quell’ora della notte. Aveva dormicchiato, aveva pianto, tentando di sopportare il dolore che le percorreva tutto il corpo. Solo quando la luce mattutina cominciò a filtrare dalle fessure della botola in alto decise che era arrivato il momento di fare qualcosa. Dopo aver tirato un profondo respiro distese le braccia per stiracchiarle, ma la fitta atroce di dolore che percepì lungo l’avambraccio sinistro le suggerì che probabilmente aveva qualche osso rotto in quel punto. Grazie al cielo non c’era traccia fratture esposte, ma faceva incredibilmente male comunque.
Avanti, Gala. Tu sei sempre stata brava con gli incantesimi di guarigione. Forza. Se vorrai pensare a Jel prima devi sistemare te stessa…
Esistevano diverse formule per curare danni di ogni natura, ma una volta il maestro Camosh le aveva insegnato che la migliore – e anche abbastanza semplice – per riparare ossa spezzate era l’incanto Diathim. Personalmente Gala si era mai imbattuta nella necessità di applicarlo, ma in quel momento le pareva la scelta migliore. D’accordo. Ce la puoi fare.
Poggiò delicatamente la mano destra sul braccio dolorante e tentò di liberare la mente. Sapeva che per usare al meglio una qualsiasi formula di guarigione era necessario lasciare spazio a sensazioni positive, di benessere e buona disposizione. E soprattutto essere sicuri di ciò che si stava facendo.
Beh, la strega non si era mai trovata in una situazione tanto paradossale.
Si concentrò tanto quanto il dolore le permettesse.

Diathim… - sussurrò morbidamente. Un piacevole calore le percorse la mano, ma le fitte non accennarono a diminuire. Non importa. Continua…

- Diathim…
- Il calore raggiunse anche il braccio rotto, e parve espandersi in tutta la sua lunghezza. Gala continuò a ripetere la parola per molti interminabili istanti, finché non avvertì di sentirsi meglio. Sì! Ce lo fatta!
Provò a muovere le dita e poi a piegare il braccio; era ancora un po’ indolenzito ma decisamente meno rispetto a prima. Riusciva a muoverlo senza fatica. Si rialzò e il dolore alla schiena le suggerì di continuare da lì. Ponendosi entrambe le mani sui fianchi, speranzosa ma con il cuore in gola, e ripeté l’operazione. La sua fiducia crebbe man mano che gli spasimi abbandonavano il suo corpo, che le sue membra riacquistavano forza e stabilità. Alla fine, dopo che si fu occupata anche delle gambe, che pur avendo un aspetto critico non avevano riportato danni troppo gravi, mosse qualche passo di prova. Non si sentiva esattamente come nuova ma decisamente in forze, molto più di prima.
Ora però doveva pensare a Jel.
Da quanto aveva visto il giovane era messo ancora peggio di lei, e la schiena ustionata pareva essere molto grave. Gala decise che sarebbe partita da lì.


                                                                        ***


Quando Jel riaprì gli occhi, per prima cosa si rese conto di essere prono, disteso su di un freddo pavimento di terra battuta. La seconda cosa a cui pensò fu il perché non avesse subito prestato attenzione al proprio dolore. La risposta arrivò quando, cautamente, con una mano si tastò la schiena ferita. Trattenne a stento un’esclamazione di sorpresa. Appoggiò le nocche a terra e si mise in ginocchio. Attorno a lui c’erano diversi scaffali colmi di contenitori e bottiglie, e a terra diverse botti di legno. Ma dove sono?
D’un tratto ricordò: lui e Gala si erano calati in quella cantina dopo lo scontro con Sephirt per ripararsi e riposare, ed evidentemente lui aveva perso i sensi per un bel po’. Ma allora… allora era stata Gala a curarlo?
La vide pochi secondi dopo, mentre riemergeva da dietro uno scaffale reggendo in mano una bottiglia di vino. Nel vederlo sveglio gli occhi le brillarono. – Jel!- esclamò la ragazzina, e poco mancò che lasciasse scivolare il contenitore a terra. – Dio mio, finalmente!
Si vedeva che moriva dalla voglia di correre ad abbracciarlo, ma tentò di trattenersi. Jel sorrise piano, poi le chiese:- Sei stata tu a fare questo? – si indicò la schiena.

Gala arrossì e rispose:- Io… ecco… io ci ho provato. Forse non ho fatto proprio un ottimo lavoro ma…

- Sei stata straordinaria!- esclamò lui, grato. Era davvero incredibile: se ripensava a quanto fosse stato atroce il dolore mentre si calava dentro la botola…

- Grazie – rincarò. – Grazie mille.

Gala pareva in parte fiera e in parte imbarazzata, e per aviare il discorso Jel lanciò un’occhiata alla bottiglia che l’amica teneva in mano. – E quella?

- Beh…- rispose lei un po’ rossa in viso. – Ho pensato che… insomma, il proprietario non ne avrà poi così a male, no? È una sola…

- Hai fatto bene – ribatte è lui. Dopotutto avevano bisogno di bere e mangiare qualcosa se volevano rimettersi in forze per affrontare il viaggio che li avrebbe condotti a Città dei Re. – Anzi, prendi tutto quello che riesci. Dobbiamo prendere provviste.

Per un attimo Gala lo guardò attonita, ma poi annuì senza fare storie. – Vuoi già ripartire, quindi?

– Appena sarà possibile – rispose Jel facendosi cupo. In effetti l’idea di rubare tutto quel cibo lo faceva sentire terribilmente in colpa, e ancora di più lo agitava il pensiero di continuare il loro viaggio. Non tentò nemmeno più di dirsi che sarebbe andato tutto bene; tutte le volte che l’aveva fatto alla fine aveva dovuto ricredersi amaramente.
Facendo piano si rialzò e si avvicinò alle dispense, afferrò il primo sacco che adocchiò e cominciò a raccogliere provviste conservabili: pane, marmellate, frutta, formaggi secchi, bottiglie e piccoli otri, mentre Gala faceva lo stesso.

- Direi che può bastare - disse alla fine. – Dovrebbe essere abbastanza per il viaggio fino a Città dei Re.

– Va bene, come vuoi – concordò Gala.

Stapparono una prima bottiglia di vino e, sforzandosi di sorridere, brindarono ironicamente alla loro guarigione. Poi Jel, dopo aver riflettuto, propose:- È meglio che uno di noi due prima di andare controlli se c’è via libera. E… dobbiamo controllare se i cavalli siano ancora dove li avevamo lasciati – Le speranze erano poche, ma tanto valeva tentare.

- Vado io – si offrì subito Gala, al che Jel la guardò stupito. – Tu sei troppo debole, non devi rischiare subito – continuò la strega tentando di apparire sicura.

Dopo poco il Consigliere concordò:- Va bene, vai. Ma fa’ attenzione. Probabilmente le guardie cittadine sono state informate e ci staranno cercando. Renditi disillusa, la bene?

- Certo – la ragazza annuì tesa. Si avviò verso l’ingresso della botola, ma prima che uscisse il mago la fermò:- Senti, Gala… per quello che è successo ieri… mi dispiace. Non avrei mai voluto costringerti a fare quello che hai fatto. Ma sei stata incredibilmente coraggiosa.

– A-anche tu – rispose lei con voce tremula, e il giovane vide il suo sguardo farsi addolorato. Era ancora visibilmente turbata. Lui le sorrise per incoraggiarla. – Dai, ora vai. Ce la possiamo fare.

Mentre attendeva che l’amica facesse ritorno, Jel si sedette contro il muro e rifletté su quanto era accaduto. Il duello con Sephirt era stato qualcosa di talmente folle che ancora stentava a crederci. Era pazzesco che fossero ancora vivi, pazzesco che se la fossero cavata. E Gala aveva ucciso Sephirt. Incredibile ma vero, Gala aveva ucciso qualcuno. Era terribile, certo, ma Jel gliene era enormemente grato: se non l’avesse colpita, in quel momento probabilmente sarebbero stati entrambi morti. Affondò il volto tra le mani, combattuto tra l’angoscia e il sollievo. Ora che ci pensava, forse, mandare Gala in avanscoperta non era stata una grande idea: avrebbero potuto rendersi disillusi entrambi e andare a cercare i cavalli insieme. Stavano solo perdendo tempo. Ma ormai era fatta, si disse Jel scuotendo la testa scoraggiato, bastava che Gala facesse attenzione e tornasse in fretta. Dovremmo presentarci a corte e raccontare tutto quanto al maestro Ellanor, gli suggerì una vocina nella sua testa. La segretezza è andata bene fino a un certo punto. Ora avete bisogno d’aiuto. Ci aveva pensato, in effetti; forse sarebbe stata una buona idea confidare la loro situazione ad un uomo di cui si fidavano, in modo da essere assistiti. Potevano chiedere una scorta, qualcuno che viaggiasse con loro e li proteggesse. E in più avrebbero anche potuto rimediare nuovi mantelli e spille…
No, si redarguì. Non sappiamo nemmeno se il maestro Ellanor sia davvero qui nella capitale, e a palazzo nessun altro ci conosce… Considerando che probabilmente al momento erano entrambi ricercati per omicidio, non sarebbe stato saggio presentarsi alla residenza reale senza prove della loro innocenza e del fatto che fossero Consiglieri. Se Ellanor fosse stato presente avrebbero potuto spiegare tutto, ma altrimenti…
Al mago venne anche in mente di avere mantello e camicia quasi completamente distrutti. Non poteva affrontare il viaggio verso nord-est in quello stato. Si guardò intorno, frugò fra i vari scaffali sul retro cercando fra il resto un qualche provvidenziale indumento, ma niente. Accidenti… Estrasse il sacchetto delle pietre da una tasca e si assicurò che fossero ancora al loro posto, poi si levò di dosso ciò che restava dei suoi vestiti e gli venne in mente che forse poteva sistemarli con la Magia. – Va bene…- mormorò. – Proviamoci.
Aveva appena finito di rattoppare alla meglio i brandelli di stoffa quando udì del movimento all’esterno. Rinfilandosi in fretta i vestiti temette per un attimo che fosse il proprietario della cantina che scendeva per prendere qualcosa, ma quando vide la figura di Gala se si calava all’interno tirò un sospiro di sollievo.

- Allora? – la incalzò. – Com’è la situazione?

- I cavalli sono spariti, mi dispiace – rispose lei scuotendo la testa. – Devono averli portati via. E… la strada di Ftia è sorvegliata da diverse guardie cittadine, sei o sette. Ce ne sono anche ai capi di questa strada, ma se ci rendiamo disillusi dovremmo passare inosservati…

- Bene allora. Sei pronta ripartire?

Anche se la sua espressione avrebbe suggerito il contrario, Gala fece un cenno affermativo con la testa, poi però chiese:- Ma… come facciamo con i cavalli? Non possiamo raggiungere Città dei Re a piedi…

- Andremo da Kor – rispose il giovane d’istinto. – Lo convinceremo a prestarci un altro paio di cavalli. Se gli sono stati riportati quelli vecchi potremmo persino reclamarli. E altrimenti… li prenderemo, in qualche modo – tagliò corto. – Dai, vieni.

Si caricarono in spalla i sacchi con le provviste e, dopo essersi applicati l’incantesimo della disillusione uscirono cautamente in strada. Nel massimo silenzio possibile percorsero diverse vie in direzione nord-est, sempre facendo attenzione a mimetizzarsi e a non farsi notare dalle guardie. Jel ricordava abbastanza bene la strada per raggiungere l’allevamento di Kor, e dopo circa mezz’ora riuscirono a raggiungerlo. Si resero nuovamente visibili. – Mi raccomando, rimani calma – avvertì Gala. – Non credo sappia che siamo ricercati, ma in ogni caso tu non perdere la testa. Non usare la Magia, d’accordo? Lascia parlare me.

Bussarono alla porta, e quando Kor venne ad aprire Jel trattenne un sorrisetto amaro; il giovane contadino era esattamente identico alla prima volta. Già, mentre loro rischiavano la vita e si facevano in quattro per Fheriea lui, come molti altri, era rimasto lì. Tranquillo. Ignaro. A curarsi dei propri affari.

– Salve Kor – esordì il mago sorridendo. – Siamo… siamo di nuovo noi.

- Mi dispiace, andate via –la repentina reazione del ragazzo li stupì non poco.

Jel mise un piede fra la porta e lo stipite per impedirgli di sbattergliela in faccia.

– Ma che succede? Siamo solo noi. Siamo qui per recuperare in nostri cavalli…

- Voi siete ricercati, non lo sapete? – rispose Kor nervosamente. – Le guardie cittadine vi danno la caccia. Ho saputo di Ftia – si schiarì la voce. – Una faccenda terribile. Io non… non dovrei nemmeno parlare con voi… Dovrei dire tutto alle autorità…

Jel se l’era aspettato. – Senti – tentò di tranquillizzarlo poggiandogli una mano sulla spalla. – Qualunque cosa tu abbia sentito, non è andata in quel modo. Non siamo persone pericolose. Abbiamo solo bisogno dei nostri cavalli, sempre se te li hanno già riportati. Poi ce ne andremo. Tutto quelli che devi fare è darci le nostre cavalcature. Ora.

- Io non credo sia una buona idea – ribatté Kor, e ora nella sua voce si leggeva ben più che semplice disagio. – Andatevene via.

Tentando di mantenere la calma e sperando che Gala facesse altrettanto, Jel respirò profondamente. – Per favore, Kor, non costringerci a prenderceli con la forza. Non vogliamo farti del male, ma si tratta di una faccenda importante. Se tu ci ridai i nostri cavalli e non spifferi niente alle guardie non ci rivedrai mai più, vero Gala?

- Certo che no – concordò lei in tono calmo. Guardò l’allevatore con occhi dolci. – Per favore, fallo per noi… poi toglieremo il disturbo.

Kor sembrò pensarci ancora un attimo, poi cedette.
– E va bene. Dopotutto quei cavalli sono vostri. Ma poi… dovete sparire, chiaro? Non voglio guai.
Jel e Gala si scambiarono un sorrisetto, poi lasciarono che il ragazzo li conducesse ai cavalli. – Me li hanno riportati stamattina, hanno detto che erano stati legati ad un porticato. Beh… buona fortuna.

Sembrava essere ansioso di lasciarseli alle spalle, perché non appena i due furono montati in sella si voltò e si allontanò a grandi passi verso la casa.

- Andiamo, Gal?

L’idea di ripartire così presto non gli piaceva, ma dopotutto Sephirt era morta, no? Non c’era più nessuno sulle loro tracce, se non altro non nello Stato dei Re. Lasciatisi alle spalle Tamithia le guardie cittadine non sarebbero più state un problema.
Vide l’amica annuire un po’ insicura, e anche lui deglutì. Prendiamo questa maledetta Pietra. Colpirono con le staffe i fianchi dei cavalli e, decisi, partirono.
Fuori Tamithia non imboccarono la Grande Via, bensì si diressero verso i campi appressi ad essa – non volevano passare in luoghi troppo trafficati – e spronarono i cavalli al galoppo. Jel aveva tutta l’intenzione di concludere quel viaggio il prima possibile. Mentre cavalcava, si voltò un’ultima volta verso Tamithia, verso quella splendida città che per loro era stato teatro di così tanti avvenimenti.
Non pianse nemmeno una volta per la morte di Ftia, eppure comprese che non avrebbe dimenticato tanto in fretta la sua fine. Era anche colpa loro se era morta. Se non l’avessero coinvolta in tutta quella storia al momento sarebbe stata ancora viva e vegeta, probabilmente, a cacciare e a fare le cose di tutti i giorni. Ma aveva commesso il terribile errore di fidarsi di Sephirt, che alla prima occasione l’aveva uccisa senza pietà. Se non altro non dovrai saldare nessun debito.
Si stupì di risultare così cinico. Quell’esperienza lo stava davvero cambiando in modo feroce. Eppure, lo sguardo atterrito della cacciatrice un attimo prima che la strega le tagliasse la gola… il mago si morse il labbro. Agghiacciante.
Si sforzò di non pensarci, ora doveva rimanere concentrato sulla missione: da quello che aveva sentito dire da Theor, la Pietra del Nord era nelle mani di un certo Malcom Shist o un certo Peterson Cambrel. Ma chi erano? Erano persone conosciute o no? La cosa migliore sarebbe stata chiedere informazioni in giro, una volta a Città dei Re. Poi si sarebbero recati al Palazzo Reale e si sarebbero fatti riconoscere dal Re o da qualche maestro. A quel punto avrebbero potuto unirsi al convoglio del sovrano che li avrebbe condotti fino a Grimal per consegnare le Sei Pietre al Consiglio.
Era incredibile. Quella volta, il loro viaggio stava per finire per davvero.








NOTE:

Eccomi qui, per una volta puntuale! Il capitolo è un po' di transizione ma spero vi sia piaciuto comunque.
Che bello, stasera vado a vedere per la
seconda volta Lo Hobbit 3 quindi sono euforica :D
Non so ancora bene quando riuscirò ad aggiornare ma credo che eviterò ritardi troppo grandi, o almeno spero. Ringrazio Edvige che ha gentilmente recensito lo scorso capitolo e chiedo a tutti di fare lo stesso con questo, se avete voglia ;) Alla prossima,
TaliaFederer

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


25








UNA SETTIMANA DOPO


Città dei Re non era nemmeno visibile all’orizzonte.
Jel aveva pensato che il viaggio sarebbe durato all’incirca qualche ora in più rispetto a quello per Amaria, ma era evidente fosse stato fin troppo ottimista. Lui e Gala continuavano a procedere il più speditamente possibile verso nord-est, eppure ancora non avevano idea di quanto fosse lontana la capitale di Fheriea. In verità non sapevano nemmeno se avessero già oltrepassato il confine con lo Stato dei Re.
«Forse stiamo andando troppo a nord…» suppose il giovane pensieroso, mentre spezzava una pagnotta e ne porgeva una metà a Gala.
Si erano appena fermati per sostare qualche minuto all’ombra di due imponenti querce e i due cavalli di Kor erano poco distanti da loro occupati a brucare tranquillamente.
Gala arricciò il naso.
«Credo che abbiamo sbagliato ad allontanarci così tanto dalla Grande Via… se l’avessimo seguita forse a quest’ora saremmo già arrivati». Inspirò impaziente e si ficcò un po’ di mollica in bocca.
Lui non rispose subito: in effetti non avrebbe saputo cosa dire. Che seguendo la Grande Via la durata del tragitto fosse minore era innegabile, ma lui era stanco. Stanco di essere osservato, stanco di rischiare, stanco di incappare in sgradevoli personaggi. La Grande Via era la principale connessione fra le maggiori città di Fheriea, vi si poteva incontrare di tutto, da famiglie nobili trasportati da sontuose carrozze a bande di mercenari, da vagabondi a viaggiatori, a Ribelli, forse.
Non ci pensare, si disse.
Già. Per il momento erano al sicuro e in solitario; la loro vita era decisamente più importante di una giornata o due di ritardo.
Consumarono lo spuntino senza più parlare; mentre mangiava, distrattamente Jel infilò una mano nella propria tasca, all’interno del sacchetto con le Pietre. In qualche modo sapere di averle ancora lo rassicurava – l’idea del loro immenso potere era piacevole – e lo onorava. Erano lo scopo del loro viaggio, il prezzo per tutte le difficoltà e in fin dei conti, lui era contento di non averle perdute.
Alla fine, controvoglia, il mago richiuse il suo sacco con le provviste e si accinse a ripartire.
«Vieni, Gal. So che sei stanca, ma prima raggiungiamo Città dei Re meglio è…»
«Certo, certo, non c’è problema».
Da quando avevano lasciato Tamithia lei e Jel non avevano più discusso neanche una volta. Forse perché entrambi erano troppo stanchi di qualsiasi tipo di contrasto, forse perché semplicemente non avevano nemmeno più la forza per litigare.
Per i primi giorni Gala aveva mantenuto la stessa espressione sconvolta che aveva ostentato subito dopo aver pugnalato alle spalle Sephirt; durante i riposi notturni Jel l’aveva sentita agitarsi nel sonno e svegliarsi madida di sudore: per giorni quasi non aveva parlato, cavalcando a capo chino e mangiando solo il minimo indispensabile.
E poi le cose avevano cominciato ad andare un po’ meglio. Era persino capitato che – qualche volta – la strega gli sorridesse, come nel momento in cui l’aveva salvato. Gli incubi si erano apparentemente affievoliti e fra i due si era stabilita una immobile e insolita calma. Aveva qualcosa di surreale, eppure Jel la trovava piacevole.
Non avevano più parlato della morte di Sephirt. Jel pensava fosse inutile pressare Gala a esternare come si sentisse, perché lui non era certo di poterle essere d’aiuto. Superare il trauma di aver ucciso una persona era una svolta che doveva compiere da sola. Dopotutto era la stessa cosa che aveva dovuto affrontare lui.
In verità non avevano più neanche affrontato l’argomento Ribelli. Ora che stavano attraversando un momento relativamente di pace Jel non aveva alcuna voglia di rievocare gli sgradevoli dettagli dell’immediato passato o la paura per il futuro: era molto meglio concentrarsi sulla loro destinazione e sul prelievo della Pietra del Nord. Poi sarebbero stati liberi di tornare a casa.
«Se davvero siamo arrivati troppo a nord sarà meglio deviare un po’ verso est» propose mentre entrambi montavano di nuovo a cavallo.
«Dovrebbe essere la cosa migliore, sì» concordò Gala. «Io ti seguo, d’accordo?»
«Allora andiamo».
Ripartirono. Avevano ancora almeno tre ore e mezza di luce e, se non avessero raggiunto la meta entro allora, avrebbero potuto continuare ancora per le prime ore della notte. In ogni caso Jel avrebbe preferito raggiungere Città dei Re in un’ultima, forse estenuante, tirata.
Prima saremo nella capitale, prima saremo al sicuro.
Jel sentiva anche il bisogno di rientrare in contatto con il mondo cui era abituato, anche per apprendere qualche notizia in più sulla morte di Camosh. Forse, se il corpo fosse stato ritrovato, avrebbe ottenuto il permesso di partecipare al suo funerale per dargli un ultimo saluto. Ripensò anche a ciò che aveva ascoltato nel palazzo di Amaria e alla possibilità che fosse stato proprio Raek, il traditore, a uccidere il suo vecchio maestro. Istintivamente strinse i pugni: con tutti i pericoli cui avevano dovuto sfuggire in seguito a quella scoperta, non aveva ancora avuto modo di soffermarvisi. Era incredibile che il lord dell’Isola Grande fosse riuscito a fare il doppio gioco per così tanto tempo senza destare il minimo sospetto... Come se non bastasse, ricordò in quel momento, anch’egli probabilmente era diretto a Città dei Re, per la loro medesima ragione: recuperare la Pietra Bianca.
Avevano lasciato il luogo dove avevano pranzato da non più di una decina di minuti quando Jel udì la voce di Gala dietro di sé chiamarlo a gran voce.
«Che cosa c’è?» chiese stupito, mentre di colpo induceva il proprio cavallo a rallentare e a fermarsi. Gala lo raggiunse in pochi secondi e, quando Jel vide che il suo viso era impallidito dalla paura, il suo cuore sprofondò; si voltò nella direzione che la ragazza stava indicando e non ebbe bisogno di alcuna spiegazione.
Almeno una quindicina uomini a cavallo erano dietro di loro, a non più di una trentina di metri di distanza. In sella ad altrettanti destrieri di razza, portavano tutti un simile mantello, ma da quella distanza Jel non riuscì a distinguere se fosse viola, blu o nero. E in solo vorticoso istante il Consigliere comprese che non avrebbero avuto alcuna possibilità nell’affrontarli.
Da quanto tempo erano dietro di loro? Non importava.
«Scendi da cavallo e alza le mani» ordinò immediatamente a Gala. «Non possiamo combattere. Fa’ come ti dico».
Chiunque fossero, dovevano arrendersi: forse gli inseguitori non erano maghi, ma quindici guerrieri era davvero un numero troppo alto per loro. Quella volta non avrebbero potuto cavarsela con gli incantesimi che erano abituati a padroneggiare.
In meno di un attimo furono circondati: gli uomini a cavallo li serrarono in uno stretto e minaccioso cerchio, ruotando attorno a loro squadrandoli diffidenti. Jel afferrò Gala per una spalla tenendola stretta a sé. «Stai calma…» le sussurrò tentando di sembrare convincente.
«Jel… oh, Jel…»
Ma il giovane la zittì. Ora che li vedevano da vicino, poté riconoscere che i mantelli dei soldati erano di un'intensa tonalità violacea, quasi borgogna. Il mago poteva distinguere con chiarezza il familiare simbolo ricamato con cura nella stoffa delle loro pettorine: un letjak, argentato però, non d'oro come quello della famiglia reale ariadoriana. Quelli che li avevano circondati non erano nemici: doveva appartenere alle truppe di qualche signore feudale dell'Ariador settentrionale.
«Chi diavolo siete voi?» domandò uno di loro in tono duro, scendendo da cavallo e facendosi avanti. «Come mai attraversate queste lande?»
Jel che, per il sollievo, era stato tentato di scoppiare a ridere, cercò di assumere il tono più naturale e rispettoso che gli riuscì: dovevano essere convincenti. Per un attimo fu tentato di dire la verità, che erano Consiglieri in missione, ma poi cambiò idea. Ora come ora, vedendoli così stanchi e malconci, senza alcuna prova ufficiale – era improbabile che un capitano di ventura qualunque fosse in grado di riconoscere le loro spille – nemmeno lui stesso ci avrebbe creduto.
«Ci siamo persi» si affrettò a rispondere, mollando una gomitata a Gala che stava per aprire bocca anch’ella. «Non siamo di qui, ma stiamo cercando di raggiungere…. ehm…»
Quale diavolo era una città, un villaggio che si trovasse in quella regione?
«... In verità stiamo andando a trovare dei nostri parenti. Sappiamo che non abitano troppo distanti dalla Grande Via, a est del confine, ma non sappiamo con esattezza dove» cominciò ad acquistare sicurezza. «È da ore che vaghiamo, ma…»
«Ragazzo» lo interruppe l’uomo con un sorriso sornione. «Conosciamo queste terre, e puoi stare sicuro che da qui a Hiexil non si trova anima viva, se non sulla Grande Via».
Sempre molto efficace.
La sicurezza di Jel venne meno alquanto repentinamente.
«Allora, dove andate?»
«Noi…»
«Siete Ribelli?»
«No!» rispose Jel con veemenza. «Non centriamo nulla con la ribellione!»
«Non siamo nemmeno mai stati a Nord!» aggiunse Gala fingendosi scioccata, e forse lo era veramente, ma Jel ammise che suonò abbastanza convincente.
Qualche soldato rise. Jel avvertì la tensione crescere.
«Mi chiamo Jackson Melliser» affermò. «E lei è Lumia Shift. Va bene, non stiamo andando a trovare nessun parente o simili, ma siamo innocenti. Non stiamo andando nelle Terre del Nord e non siamo Ribelli. Siamo di Grimal, non…»
«Perquisiteli» l’uomo biondo che li aveva interrogati non parve aver prestato attenzione alle sue parole. Due dei suoi soldati separarono bruscamente i due maghi e si apprestarono a controllare che non portassero armi.
Fa’ quello che ti dicono… avvertì Gala senza parlare, ma proprio allora pensò alle Pietre.
Oh no…
Se le avessero trovate sarebbe stata la fine. Non sarebbero riusciti a spiegare il perché i più importanti talismani di Fheriea si trovassero così lontani dalle rispettive cripte, in un sacchetto nella sua tasca. Doveva solo pregare che – per un caso fortunato – i soldati non le riconoscessero…
Guardò con apprensione l’uomo che perquisiva Gala, sperando che non esagerasse con i modi bruschi, e attese con il cuore in gola che il proprio terminasse di tastargli braccia e bambe e passasse a torace.
«Ecco, quello è…» azzardò con la gola secca mentre l’uomo estraeva dalla sua tasca il sacchetto con le Pietre e lo guardava con aria interrogativa. Accanto a lui, un lampo di disperazione attraversò gli occhi di Gala.
I due guardarono impotenti il capitano della compagnia che afferrava dalle mani del soldato l’involucro di stoffa e, con cautela, lo apriva. Jel immaginò le cinque Pietre brillare davanti a lui e lo sguardo dell’uomo farsi sgomento.
Non andò proprio così.
Passarono diversi lunghi istanti, poi l’Ariadoriano proferì a mezza voce:«Questi non li lasciamo andare. Legateli e prendetegli i cavalli, torniamo al campo».
«No, aspettate!» tentò di protestare Jel mentre due uomini tiravano fuori dalle tasche altrettante corde e altri due agguantavano le redini dei cavalli di Kor. «Non è come sembra, quelle non sono…»
«Di’ un’altra parola» lo avvertì il capitano estraendo la spada e puntandogliela alla gola. «Di’ un’altra parola e giuro che ti taglio la gola da un orecchio all’altro».
«Jel!» tentò di intervenire Gala, ma l’uomo che la stava legando la zittì con un ceffone in pieno volto.
«Non ti azzardare a toccarla!» esclamò Jel con rabbia.
Un’unica risata si levò dalla compagnia di soldati.
«Direi che al momento non sei nella posizione per fare minacce, ladro» commentò freddamente l’uomo di fronte a lui rinfoderando la spada. Si assicurò il sacchetto con le Pietre alla spessa cintura di cuoio. «Voglio proprio vedere la faccia di Jack, a questo punto…» si voltò, e con un calcio quello che l’aveva legato costrinse Jel a rialzarsi, mentre Gala faceva lo stesso.
Maledizione, inveì Jel mentalmente. Forse lui e Gala avevano ancora qualche speranza di spiegare le proprie ragioni a chiunque fosse stato disposto ad ascoltarle, ma sarebbe stato molto difficile. Da quanto aveva capito gli uomini li avrebbero condotti al campo militare dal quale provenivano, probabilmente uno dei tanti istituiti a Nord per controllare le scorrerie e gli attacchi dei Ribelli. Lì li avrebbero interrogati, e a quel punto loro avrebbero fatto meglio a trovare un’argomentazione convincente, almeno quanto bastava ad impedire che i soldati li impiccassero per furto e, soprattutto, alto tradimento.
Per l’ennesima volta erano caduti dalla padella nella brace.
Non faranno del male Gala, tentò di rassicurarsi mentre l’uomo che lo scortava lo aiutava a salire a cavallo. Forse… forse uccideranno me, ma lei è solo una ragazzina.
Se le cose si fossero messe per il peggio avrebbe confessato di averla costretta ad aiutarlo a rubare le Pietre, minacciandola di ancora-non-sapeva-quale cosa terribile se avesse rifiutato. Sì, era penoso e lo sapeva, ma avrebbe fatto tutto quanto era in suo potere affinché Gala vivesse.
Legato e seduto in sella dietro ad uno dei tanti combattenti della compagnia, Jel non aprì bocca durante l’intero tragitto verso l’accampamento ariadoriano, troppo abbattuto per proferire qualsiasi parola in sua difesa.
Siamo stati degli idioti, riuscì solamente a pensare. Due idioti.
Raggiunsero il campo in meno di un quarto d’ora e, nonostante la paura, Jel non riuscì a non rimanere a bocca aperta: la situazione nel nord dell’Ariador doveva essere a dir poco instabile, perché era molto più grande di quanto il giovane si fosse immaginato. Almeno due centinaia di tende allestite a poca distanza l’una dalle altre, reticoli di strette vie e qualche spiazzo con sgabelli e rimasugli di falò ormai spenti, strutture in metallo dove erano poste lance, spade, persino qualche scudo. Un insistente brusio si levava dall’ambiente.
La compagnia a cavallo si era fermata ed era smontata a pochi metri dall’ingresso, aveva superato una coppia di guardie guardie e loro erano stati trascinati all’interno. Gli uomini presenti, chi seduto a terra parlottando con un altro, chi intento ad affilare le proprie lame, alzavano lo sguardo su di loro fissandoli stupiti. Man mano che avanzavano il drappello di sentinelle si disperse e rimasero solamente in tre: il capitano e i due uomini che li avevano legati. Alla fine, si fermarono di fronte ad un tendone bianco più imponente degli altri, proprio di fronte ad un ampio slargo.
«Spero per voi che queste pietre siano solo cimeli di famiglia » disse in tono cupo l’uomo ammiccando al sacchetto delle Pietre, al che Jel vide distintamente Gala deglutire. Sarebbe servita loro tanta, tanta fortuna.
Poi vennero spinti con malagrazia all’interno della tenda. Un uomo alto, tranquillamente accomodato su una sedia di legno, smise all’istante di lucidare la spada più lunga che Jel avesse mai visto e alzò gli occhi su di loro.
«E questo che cosa vorrebbe dire?» chiese all’istante alzando un sopracciglio. «Az?»
Era giovane, più di quanto Jel si fosse aspettato. Un ciuffo di capelli biondo scuro gli ricadeva sulla fronte, celando solo in parte la striatura chiarissima che faceva pensare ad una cicatrice non ancora cancellata dal tempo. Sembrava annoiato, forse infastidito per l’essere stato interrotto.
Il capitano prese in mano il sacchetto di velluto chiuso e lo appoggiò sul tavolo che aveva di fronte.
«Giudica tu» disse asciutto. «Li abbiamo trovati mentre tornavamo dal giro di perlustrazione. E a quanto pare hanno qualcosa che non dovrebbero avere».
L’altro scoccò un’occhiata ai due maghi – Jel si sentì ancora più a disagio di quanto già non fosse – e poi si alzò, avvicinandosi e aprendolo. Per un attimo parve rimanere interdetto, poi le sue labbra si curvarono in un sorrisetto.
«Mi state prendendo in giro?» domandò aspro, tornando a guardare il primo uomo, Az. «Come avrebbero fatto questi due manichini a rubare cinque delle Pietre Magiche?»
«Non le abbiamo rubate!» esplose Jel frustrato facendo per muovere un passo in avanti, ma la guardia che lo stava trattenendo lo mise a tacere con una gomitata nel fianco che lo piegò in due. Quello che il capitano aveva chiamato Jack lo guardò storto, ma nei suoi occhi azzurri balenò anche un pizzico di curiosità.
«E dimmi, ragazzo, se non le avete rubate, come mai erano nelle vostre mani?»
«È nostro compito proteggerle» sputò il giovane tutto d’un fiato. L’unica loro salvezza sarebbe stata la verità. «Non siamo ladri, né tantomeno Ribelli. Se siamo qui e abbiamo le Pietre è perché dobbiamo terminare una missione».
«E tu credi che noi ci berremmo una stronzata del genere?»
«Az!» Jack zittì irritato il compagno d’armi. Guardò i tre soldati rimasti nella tenda. «Se pensate di non riuscire a tenere la bocca chiusa allora uscite. Sì anche tu, Az».
Loro non protestarono, ma Jel vide il capitano scuotere con fastidio la testa.
«Vedi di non fare l’idiota, Jack» lo avvertì prima di sparire dietro l’orlo dell’apertura della tenda. Per tutta risposta l’uomo lo salutò con la mano.
Senza ancora riuscire a farsi un’idea ben precisa del tipo d'uomo che avevano davanti, Jel voltò di nuovo verso di lui e Gala fece lo stesso.
«Significa che ci credi?» azzardò la strega speranzosa.
«No» rispose lui secco. «Non ne avrei motivo».
«Lasciaci spiegare, allora» Jel non voleva mollare. Se manteneva la calma e riusciva a mostrarsi diplomatico aveva buone possibilità di convincerlo.
Jack lo guardò un attimo sorpreso, poi ridacchiò.
«Di norma dovrei essere io a fare le domande…»
Jel avvertì le proprie guance farsi purpuree. Aveva dimenticato. In quel luogo remoto e isolato lui non era un Consigliere, a nessuno importava delle sue doti o conoscenze politiche. Doveva attenersi e rispettare ogni gerarchia…
«… ma se ci tieni tanto, prego. Spiegati
Mentre si accingeva a parlare il mago evitò di guardare il comandante ariadoriano negli occhi.
«Siamo Consiglieri, membri del Gran Consiglio e alleati delle Cinque Terre. Siamo stati mandati in missione dal Re in persona a recuperare ognuna delle Sei Pietre dalla loro cripta» s’interruppe, poi si fece coraggio e affermò:«Voi… non avete alcun diritto di imprigionarci».
«Però…» commentò l’uomo senza abbandonare quell’espressione rilassata e, forse, canzonatoria. «Avanzi delle belle pretese per essere un… ladro, vagabondo?»
«Consigliere» ribadì lui che, oltre alla paura, cominciava ad avvertire anche parecchia irritazione. Non aveva attraversato l’intera Fheriea per sopportare l’arroganza di un uomo che nemmeno conosceva. «Te l'ho già detto. Siamo membri del Consiglio…» ci ripensò un attimo. Tanto valeva essere sinceri del tutto. «In realtà Gala non è propriamente un Consigliere» e mentre parlava lanciò all’amica uno sguardo di scusa. «È un’apprendista esperta, ma ha il permesso di partecipare a ogni seduta del Gran Consiglio. E siamo entrambi stati apprendisti del maestro Janor Camosh».
«Non ho idea di chi sia questo Camosh e non mi interessa» intervenne Jack in tono pratico. «Ma… Consiglieri? E sentiamo, anzi, fatemi indovinare: il Re ha inviato i due membri più giovani proprio per compiere una missione così importante?»
«Veramente siamo stati noi a offrirci volontari» Gala gli venne in aiuto. Jel notò che era terribilmente rossa in viso e, non appena ebbe parlato, tornò a fissare la terra battuta. «Siamo partiti diversi mesi fa».
Jack tornò a sedersi con un sospiro e, senza un apparente motivo, riprese in mano la propria lama per terminare la manutenzione.
«Mi piacerebbe credervi, davvero» disse infine e, questa volta, il suo tono risuonò stranamente stanco. «Ho certamente altro da fare piuttosto che terrorizzare ogni viaggiatore che incontro. Ma quelle Pietre…» ammiccò al sacchetto sul tavolo. «Beh, non posso prendere la cosa con leggerezza. Dove sono le vostre prove?»
«Noi…» rispose Jel con la gola secca. «Noi non…»
Ma poi ricordò. Come aveva fatto a non pensarci prima? Le spille.
Dovevano ancora averle, da qualche parte. Probabilmente i due soldati che li aveva perquisiti non erano riusciti a percepirle al tatto, erano piccole e nascoste sotto strati di indumenti…
«Solo un attimo» mormorò, infilandosi le mani nelle tasche del mantello e dei pantaloni.
«Cerca anche la tua spilla, avanti» invitò Gala a fare lo stesso e la ragazzina non se lo fece ripetere. Come aveva immaginato, l’elegante spilla simbolo del Consiglio era rimasta nascosta nella più piccola tasca del mantello che il mago aveva rimediato a Città dei Re settimane prima. Era leggermente scalfita in alcuni punti, ma tutto sommato in buone condizioni.
«Ecco» annunciò mostrandola a Jack con un sospiro di sollievo. «Dovrebbe essere sufficiente».
Mentre l’uomo la prendeva in mano esaminandola con occhio attento anche Gala estrasse la sua da una tasca interna e la poggiò sul piano del tavolo senza dire una parola. Erano sul filo della corda.
«Sembra…» Jack esitò ancora qualche secondo. «Mi sembra sia a posto. È autentica».
La bolla di tensione che li aveva avvolti fino a quel momento parve sgonfiarsi tutta d’un pezzo. Ringraziando il cielo della fortuna avuta – era incredibile che Jack avesse avuto modo di conoscere l’aspetto del piccolo gioiello di appartenenza – Jel rivolse uno sguardo rassicurante a Gala, la quale rispose con un piccolo sorriso.
«Mi spiace per il trattamento che vi hanno riservato i miei uomini» si scusò Jack con leggerezza battendosi le mani sulle ginocchia. «Ma credo sappiate che è il nostro dovere: qui siamo in zona di guerra».
In quel momento Jel era troppo sollevato e felice per il fatto di essere ancora vivo per fare l’offeso. Non si era aspettato che l’uomo di fronte a loro abbandonasse il modo sicuro di sé solo per aver scoperto di avere davanti due membri del Gran Consiglio.
«Molto bene, Consiglieri…» appoggiò a terra la propria spada per la seconda volta. «Per colpa di Az non mi sono nemmeno presentato» rivolse loro un sorriso decisamente affascinante, poi gli porse la mano. «Sono Jack Cox, comandante in seconda di questo campo».
«Jel Cambrest» il giovane rispose alla stretta. Non seppe che altro dire. Non era sicuro che conoscerlo fosse stato precisamente unpiacere. Jack strinse la mano anche a Gala e a lui non sfuggì la leggera strizzatina d’occhi che l’uomo, beffardo, le rivolse. Fu tentato di alzare gli occhi al cielo: l’età di Gala era sempre stata per lei fonte di diffidenza o, forse ancora più spesso, ilarità.
«Possiamo ripartire, dunque?» chiese Jel impaziente mentre Jack restituiva loro le spille. «Dovremmo raggiungere Città dei Re al più presto».
«Avete un bel problema, allora» commentò l’altro. «Stavate andando troppo a Nord. Qui non siamo lontani dal confine con le Terre del Nord, non ve ne siete resi conto?»
Jel sussultò; possibile che non si fossero accorti di aver percorso così tanta strada più del necessario?
«È per questo che avete incontrato una nostra compagnia: mando spesso una ventina di uomini a perlustrare i territori qui intorno. Le incursioni dei Ribelli sono piuttosto frequenti».
Fu allora che Jel si rese conto di una cosa cui prima non aveva fatto attenzione. «Comandate in seconda, hai detto?» chiese aggrottando la fronte. «E il vostro comandante dov’è? »
«Sottoterra, probabilmente già mezzo divorato dai vermi. È stato ucciso in battaglia una settimana fa, stiamo ancora aspettando un sostituto… nel frattempo, le leggi le faccio io».
«Beh, buona fortuna, allora» concluse il giovane sperando di cavarsela così e poter ripartire subito senza entrare nei dettagli del loro racconto «Potreste restituirci i cavalli…?»
«Jel» azzardò Gala, che fino a quel momento era rimasta in silenzio. «Non potremmo… insomma… ci farebbe comodo qualche provvista in più…»
In effetti…
Guardò Jack speranzoso. «Avreste qualcosa da…»
Ma le sue parole furono interrotte dall’ingresso nella tenda di qualcun altro, un uomo preoccupato e col fiatone.
«Jack!» esclamò il nuovo venuto con urgenza. «I Ribelli ci attaccano, una sentinella dice di essere riuscito a tornare qui appena in tempo. Abbiamo bisogno di disposizioni».
Il cambiamento d’espressione sul volto di Jack fu immediato.
«Arrivo immediatamente. Tu comincia a preparare la fanteria e gli arcieri. Falli disporre all’esterno del campo, subito!»
Gala fissò Jel spaventata, come a dire “e adesso che diavolo facciamo?”, ma lui non seppe come rispondere. Non avevano scelta. Erano davvero arrivati lì nel momento giusto…
In meno di un attimo Jack aveva infilato la spada nel fodero e aveva indossato una pesante cotta di maglia; appena prima di scostare il lembo della tenda per uscire si voltò verso di loro.
«Temo che dovrete rimandare la vostra partenza, Consiglieri».
Poi sparì.








NOTE:

Finalmente sono riuscita ad essere puntuale, ed ecco il capitolo 25! E finalmente sono riuscita ad introdurre il personaggio di Jack, era da un sacco di tempo che volevo farlo. Che ve ne pare?
Jack Eccolo qua, ovvero il bellissimo Jeremy Renner....
Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto, sono sempre gradite recensioni. Ho già iniziato a scrivere il 26 ma non so quanto ci vorrà ancora, mi vedo un po' nelle curve... Spero di riuscire a pubblicare ancora entro la fine del mese. Alla prossima.
TaliaFederer

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


26








«Ehi, aspetta!»
D’istinto, Jel si affrettò a seguire la figura di Jack.
«Non puoi mollarci qui così!»
«Dici?» fece Jack in tono beffardo, nonostante la criticità della situazione. «Avrei una piccola faccenda di cui occuparmi, ora».
«E noi che facciamo?» ribatté Gala appena dietro di loro in tono concitato.
Jack si fermò, si voltò verso di loro e li guardò seriamente. «Siete con noi o no?»
Il tempo di comprendere quelle parole e Jel prese una decisione. Prima che la ragionevolezza potesse fermarlo, annuì.
«Certo. Io combatterò».
Jack si aprì in un sorrisetto compiaciuto.
«È un vero onore allora» commentò. «Sappiate che non ho alcuna intenzione di starvi addosso tentando di non farvi ammazzare, quindi è meglio che andiate a prendervi delle armi…»
«Non ce ne sarà bisogno» mentre pronunciava quelle parole, il giovane avvertì un’ondata di sicurezza invaderlo. Non aveva idea del come, ma la prospettiva di combattere d’un tratto lo allettava. La morte di Sephirt non era stata sufficiente: in quel momento aveva l’opportunità di rendersi utile e ottenere vendetta per tutto ciò che aveva sopportato, e in solo vorticoso istante capì che non se la sarebbe lasciata sfuggire.
«Hm… capisco» gli occhi di Jack brillarono. «Maghi. Perché non me lo avete detto subito?»
"Non ce ne sarebbe stato bisogno» rispose Jel scuotendo la testa. «Ma d’altronde… meglio così, no?»
Jack sorrise e gli mollò una pacca sulla spalla. «Credo che io e te cominciamo a capirci, ragazzo» affermò con un’ombra di soddisfazione. «Qualche incantesimo ci farà giusto comodo».
Poi si voltò e affrettò il passo, dirigendosi verso un manipolo di arcieri che si stavano armando.
«Seguitemi!» lo sentì esclamare con decisione. «Dovete coprire la fanteria da dentro l’accampamento…»
Jel si voltò verso Gala e la afferrò per le spalle.
«Tu rimani qui» le ordinò in tono d’urgenza. «Non seguirmi per nessun motivo, è chiaro?»
«Ma… Jel, io voglio combattere con te…»
Non le permise di terminare la frase.
«Gala, è troppo tardi per scappare. Io devo dare il mio contributo, ma non posso permetterti di rischiare la vita ancora una volta. Resta nella tenda di Jack, non uscire finché non sarà tutto finito…»
«No!» la strega si divincolò. «Non sono più una bambina! Credi di essere l’unico qui a odiare i Ribelli?»
"Non ho tempo da perdere, Gala! Fa’ come ti ho detto!»
La ragazza strinse i denti e batté un piede a terra, arrabbiata, ma poi si voltò e corse in direzione della tenda del comandante in seconda. Jel avrebbe voluto accertarsi che la raggiungesse, ma stava perdendo momenti preziosi. I Ribelli potevano piombare loro addosso da un momento all’altro… Corse attraverso i cunicoli fra le varie tende, superando guaritrici affannate, soldati che raccoglievano ogni lama disponibile e arcieri che tendevano gli archi al massimo. Doveva trovare Jack, e alla svelta.
Raggiunse col fiato corto il limite nord dell’accampamento, e lo trovò a capo di un ampio drappello di uomini - almeno un centinaio. Era a cavallo, l’unico del gruppo, la spada saldamente in pugno e due lunghi coltelli assicurati ad un fodero sulla schiena. Si fece largo tra la folla di soldati e lo affiancò.
L’uomo lo fissò dall’alto in basso.
«Consigliere» lo accolse. «Prima volta in battaglia, eh?»
Lui si limitò ad annuire, ignorando il sarcasmo e scrutando il territorio lì attorno. Un’ampia macchia scura si andava delineando in lontananza, e lui non ebbe dubbi nell’indovinare cosa fosse. Cominciava a realizzare solo in quel momento a cosa sarebbe andato incontro; si era battuto con due tra i Ribelli più pericolosi al mondo, certo, e aveva attraversato situazioni dannatamente pericolose, ma una battaglia era qualcosa di diverso. Le possibilità di rimanere uccisi erano più alte che mai, nella bolgia dello scontro sarebbe bastato un secondo di distrazione e…
Le sue riflessioni furono interrotte dall’arrivo di un secondo soldato a cavallo.
«Comandante, ho schierato l’intero battaglione sul fronte settentrionale, ma ci rimangono gli altri lati scoperti. Chiedo il permesso di portare con me una cinquantina di uomini da distribuire lungo i fianchi».
«Non ce ne sarà bisogno, Caley» rispose Jack sicuro. «Saranno solo un manipolo da non più di cento uomini…»
Jel aveva i suoi dubbi: Theor non era uomo da mandare una legione di suoi uomini al massacro con tanta facilità. Se i Ribelli avevano deciso di attaccare proprio quel campo, proprio in quel momento, doveva esserci una ragione ben precisa.
Caley guardò con occhio critico prima Jack, poi la massa di Ribelli sempre più vicina. Il comandante in seconda gli poggiò una mano sul braccio. – Torna indietro, prendi il comando degli arcieri. Al mio segnale, appena saranno a gittata di tiro, ordina di scoccare.
«Sissignore» rapido com’era arrivato, Caley colpì i fianchi del proprio destriero con gli speroni e si voltò in direzione dell’accampamento.
«Az!» tuonò a quel punto Jack, e l’uomo che li aveva catturati emerse dalle retrovie dello schieramento di soldati ariadoriani. Sedeva sullo stesso destriero di un paio d'ore prima, quando lui e i suoi uomini li avevano circondati. «Ordina alla fanteria pesante di avanzare, devono disporsi in prima linea, con le lance».
Az annuì e guardò gli uomini appena dietro di loro. «Mekkri!» esclamò. «Avanti! In prima linea!»
Mentre Jack si scansava per far spazio ai combattenti a piedi, lanciò uno sguardo eloquente in direzione di Jel.
«È meglio se arretri, ragazzo. L’avanguardia non è posto per un Consigliere».
Jel non se lo fece ripetere due volte; tentando di modulare il respiro per tenere a bada l’agitazione ripiegò dietro le fila della fanteria, ma non così tanto da perdere di vista il battaglione di Ribelli che, più rapido di quanto si fosse aspettato, avanzava verso di loro. Stavano correndo, tutti. E il giovane comprese solo in quel momento la loro ferocia, la loro voglia di combattere. Ed erano molti più di quanto Jack o chiunque altro avesse supposto.
Solo un centinaio… Erano almeno il doppio.
Poco prima che la voce di Jack si levasse per dare il segnale agli arcieri, Jel pensò a Gala. Pregò con tutto se stesso che fosse rimasta nascosta.
«…ORA!»
«Tirate!» rispose la voce di Az, e Jel si voltò appena in tempo per vedere una marea di frecce scoccate alte, in cielo. Sconvolto, rivolse lo sguardo alle prime file dei Ribelli, fra le quali crollarono i primi cadaveri trafitti dai dardi.
«Lance puntate e scudi alti! – udì gridare Jack, a diversi metri da lui».
Mio dio… ma che diavolo ci faccio qui?
Combatti i bastardi che hanno ucciso Camosh.

Jel strinse i pugni. Erano in guerra, e questo valicava ogni sua eventuale contraddizione morale. In quel momento era lì, e i nordici li stavano attaccando. Per la diplomazia ci sarebbero state altre occasioni. Ora, se non si fosse difeso sarebbe morto.
S’impose di mantenere gli occhi fissi sulla prima linea, attendendo il disastro.
La violenza dell’impatto fra Ribelli e fanteria fu travolgente; il mago avvertì la massa di soldati attorno a lui puntare i piedi a terra per impedire ai nemici di guadagnare terreno, e d’istinto si unì a loro.
«Respingeteli!» sentì qualcuno sbraitare ordini, ma non era sicuro fosse Jack. Digrignando i denti per lo sforzo Jel mantenne la posizione, ben conscio che la resistenza non sarebbe durata per sempre. Avvertì la Magia, fomentata dalla paura e dalla volontà di battersi, scorrere nelle sue membra con intensità sempre maggiore, e la cosa lo incoraggiò.
Quando ad un tratto un unanime grido di sorpresa e paura gli fece alzare di colpo lo sguardo.
«Sono cavalieri!» urlò qualcuno, ma Jel non riuscì a comprendere il senso di tali parole.
Questo finché non vide un’intera linea di guerrieri a cavallo spuntare dal nulla e avventarsi sull’avanguardia ariadoriana.
L’ultima cosa che Jel fu in grado di distinguere con chiarezza fu la figura di Jack che, in sella a quello splendido esemplare bianco, spronava gli altri a combattere. Trascorse un istante, poi un Ribelle a cavallo piombò loro addosso, travolgendo i soldati davanti a lui. Jel si tuffò di lato appena in tempo per evitare di venire colpito dagli zoccoli dell’animale, ma si rialzò fulmineo, pronto a combattere. Uccidere o essere ucciso.
Richiamando il suo fedele incanto della padronanza d’aria si volse verso i Ribelle più vicino a lui e lo scagliò via, mandandolo a schiantarsi diversi metri più in là. Per un attimo si chiese come avrebbe fatto a distinguere gli amici dai nemici, questo prima di realizzare che le uniformi degli ariadoriani erano tutte del medesimo colore, lo stesso bluastro del mantello indossato precedentemente da Az.
Avvolto dallo stesso furore che aveva provato durante il duello con Sephirt il mago acquistò sicurezza, destreggiandosi fluidamente in mezzo alla baraonda. Non poteva permettere che i Ribelli penetrassero nell’accampamento e raggiungessero i feriti, le guaritrici, Gala…
Respingendo con i più svariati incantesimi gli uomini che tentavano di attaccarlo, il mago riuscì ad avanzare un poco, verso il pendio erboso poco distante dal campo che i Ribelli avevano precedentemente attraversato. Jack non era troppo distante da lui; non era più a cavallo, e perdeva sangue da una ferita alla testa, ma pareva animato da una furia incredibile. Agile ed esperto, sembrava essere in grado di uccidere chiunque gli si avvicinasse, ma molti soldati intorno a lui parevano non cavarsela così bene. A terra si potevano contare già decine di morti, di ambedue le parti. D’un tratto Jel si sentì afferrare per il collo e tirare all’indietro, ma istintivamente menò una potente gomitata in direzione del suo assalitore, che allentò la presa. Jel si voltò e gli strappò di mano la spada, e senza pensarci lo trapassò da parte a parte.
Ci fu un unico momento di immobilità.
Vide il Ribelle, un comune Uomo del Nord, crollare a terra, gli occhi vuoti, senza un lamento. Per un breve attimo si sentì terribilmente in colpa, ma durò poco.
Il giovane mandò al diavolo tutto e, tenendo la spada ben stretta in mano, voltò le spalle al cadavere e ricominciò a combattere. Scagliando incantesimi e aiutandosi con la spada si scoprì decisamente capace, in grado di dare un pesante contributo. Non aveva quasi mai utilizzato armi da taglio, ma in quel momento era perlopiù l’istinto a guidarlo. I Ribelli non erano certo tutti spadaccini provetti.
Riconobbe la voce di Caley gridare un: «Li stiamo respingendo!» quando con un tuffo al cuore individuò un gruppo di nemici che cavalcavano veloci verso sud-ovest per oltrepassare le linee di combattenti ariadoriani.
«JACK!» chiamò correndo nella sua direzione, sperando che il comandante in seconda riuscisse a sentirlo anche sopra il frastuono. «Jack, dobbiamo fermarli!»
L’uomo alzò lo sguardo verso di lui ma, prima che potesse rispondere, un altro Ribelle attirò la sua attenzione e lui si voltò di nuovo menando fendenti.
Dannazione!
«Qualcuno mi segua!» gridò dopo aver respinto un nemico che aveva tentato di trapassarlo con un pugnale, guardandosi disperatamente intorno. «Ci stanno aggirando!»
Due o tre soldati risposero al suo appello, schierandosi con lui. Trovandosi inaspettatamente in una situazione di comando Jel si limitò ad esclamare: «Seguitemi!»
Corsero all’impazzata lungo il fianco dell’accampamento, e qualche altro ariadoriano si unì a loro cogliendo il messaggio. S’introdussero all’interno dei sentieri, fra le tende, eliminando ogni Ribelle che fosse riuscito ad oltrepassare il fronte di battaglia. Man mano che proseguivano verso il centro del campo, il gruppetto si diradò, e in poco tempo Jel si ritrovò solo.
«Gala!» gridò disperato. «Gala!»
Un uomo sbucò all’improvviso da dietro una tenda roteando la spada, e Jel fu colto così alla sprovvista da non riuscire a rispondere con un incantesimo. Parò con la propria lama un fendente appena prima che si abbattesse su di lui mozzandogli un braccio, e tentò di contrattaccare. Il ferrò si scontrò con violenza, ma Jel comprese che non ce l’avrebbe fatta a resistere senza Magia. Il Ribelle era decisamente troppo abile. Indietreggiò, cercando una minima pausa, ma l’altro non mollava. Jel scartò di lato appena in tempo per evitare che gli infliggesse una profonda ferita al ventre, ma la lama lo colpì comunque di striscio e il tagliò bruciò in maniera insopportabile; il mago cadde all’indietro e, come in un sogno, vide l’uomo di fronte a lui alzare la spada per infliggergli il colpo finale.
Oh no. Non questa volta!
Agitò una mano con forza e con un secondo di anticipo riuscì a deviare il colpo e sbalzare via il Ribelle, trovando il tempo di rialzarsi e riafferrare la spada, che nella caduta gli era sfuggita di mano.
«Gala!» chiamò di nuovo. Dove sei… dove sei!
«JEL!» la voce della ragazzina di lo colse completamente alla sprovvista.
Per un attimo il sollievo lo travolse, questo appena prima di rendersi conto che Gala avrebbe dovuto trovarsi esattamente dalla parte opposta rispetto a quella dalla quale l’aveva udita. Cioè la zona di battaglia.
Maledetta incosciente!
Dimenticandosi che tecnicamente era tornato indietro per impedire ai Ribelli di circondare il campo, si voltò e prese a correre nella direzione opposta. Ma perché non c’era una sola volta in cui Gala facesse come l’era stato detto?
Il clamore, che finora era rimasto affievolito per la distanza, cresceva man mano che il Consigliere si avvicinava alla zona dove la battaglia infuriava, e lui cercò di mantenersi lucido per localizzare Gala. Atterrò con la Magia un paio di nemici, poi fu coinvolto in un breve duello con uno dei pochi nordici rimasti a cavallo.
«Gala!» gridava col cuore in gola ogni volta che l’assenza di assalitori diretti glielo permetteva. «Gala, dove sei?»
Era qui… era qui!
Doveva recuperarla e portarla via, indietro, nascosta fra le tende. Avrebbe dovuto aspettarsi una sua ritorsione, – in lei l’avventatezza vinceva quasi sempre la paura – aveva commesso un madornale errore ad abbandonarla così, e ora doveva rimediare: in uno scontro del genere lei non aveva possibilità…
Non era più riuscito a scorgere né Jack, né Caley né Az, e la cosa non era esattamente incoraggiante. I cadaveri si andavano ammucchiando, e ormai anche lui stesso era esausto e sudicio di sangue, eppure in qualche modo aveva l’impressione che i combattimenti si stessero allontanando dal campo ariadoriano. Si guardò in torno ancora per cercare tracce di Gala, ma non vide nulla, così si unì alla folla di soldati che ancora si contrapponeva ai Ribelli e tentava di spingerli via, lontani dall’accampamento.
«Respingeteli! Respingeteli e ricacciateli verso Nord!»
Era la voce di Jack. Era ancora vivo, dunque.
Alcuni Ribelli erano in fuga, ormai. Dopo tutto, gli Ariadoriani erano in netta superiorità numerica… eppure Jel si chiese ancora una volta come potessero i Ribelli essere così tanti, più di un centinaio in quella battaglia, infinitamente più numerosi nelle Terre del Nord. Jack si era aspettato che l’assalto venisse arginato in poco tempo, che i Ribelli accorsi fossero poco più di una compagnia, ed era quello che anche Jel aveva ritenuto probabile. Ma ancora una volta erano stati stupiti.
«GALA!» urlò disperato, guardandosi intorno, terrorizzato all’idea di poter scorgere il suo corpo fra quelli dei cadaveri sparsi sull’erba.
«Jel! Jel, sono qui!» l’udire la voce della ragazza riaccese di colpo l’animo di Jel. Non proveniva da troppo lontano. Usando al contempo spada e magia come armi si fece largo tra i guerrieri nordici e quelli ariadoriani, ansimando, pregando di raggiungerla in tempo. La vide dopo pochi secondi: era lì, nella calca, fra i Ribelli che ancora combattevano e quelli che fuggivano, fra gli Ariadoriani che si battevano con ferocia.
E, per la prima volta in vita sua, Gala combatteva. Combatteva veramente, fluida e dirompente, con una mano stretta a pugno per lanciare incantesimi e un pugnale nell’altra. Combatteva, il volto concentrato e teso, e colpiva più nemici possibili, uccidendo o soltanto ferendo, come se non avesse aspettato altro per tutta la vita.
Nel vedere Jel a pochi metri da lei il suo volto si illuminò, ma solo per un istante.
Il giovane era appena riuscito a scaraventare a terra un Ribelle che aveva tentato di ucciderlo con un coltello, quando lo vide: distintamente, appena dietro di lei, un nemico a cavallo che, adocchiata l’unica strega del battaglione, si stava dirigendo verso di lei al galoppo, la spada alzata.
«NO…!» il grido gli morì in gola, perché qualcosa lo aveva scagliato all’indietro con forza. Fece appena in tempo a vedere Gala che, tentando di scansarsi, perdeva l’equilibrio e rovinava a terra, poi un’altra ondata di quella forza incontrollabile lo sollevò e dal suolo e lo mandò a schiantarsi pochi metri più in là, sul terreno sporco di sangue.
C’è un altro mago.
La consapevolezza lo investì come un’ondata di spiacevole calore. Tra i Ribelli c’era qualcuno in grado di padroneggiare le arti magiche, e quel qualcuno era dietro di lui in quel momento. Ma doveva tenere duro, o Gala sarebbe morta. Doveva affrontarlo alla svelta.
Si rialzò, e si sorprese a sputare sangue; quando aveva sbattuto il volto a terra doveva esserglisi spezzato un dente.
Il Ribelle era di fronte a lui, incurante della confusione e dei combattenti che si accanivano intorno a loro.
Con la coda dell’occhio – e una stretta allo stomaco che sapeva molto di disperazione – Jel vide Gala che, a terra e dolorante, tentava di allontanarsi dal suo assalitore, che era appena sceso da cavallo per finirla.
No, no!
Tentò di scattare in avanti, ma il suo avversario lo afferrò per la collottola trattenendolo e spingendolo via; Jel barcollò, e strinse forte l’impugnatura della spada. Il mago non era armato. Poteva farcela. Si lanciò su di lui senza riflettere, senza nemmeno rendersi conto di quanto il suo rivale fosse più adulto e più potente di lui. In quel momento l’unica cosa che contava era riuscire a raggiungere Gala, perché se non l’avesse fatto sarebbe morta…
Una fiammata, poi un’altra.
Disperato, Jel non poté far altro che schivare. Ma com’era possibile che un mago tanto capace avesse preso parte ad una battaglia di così poca importanza? Saltò all’indietro evitando di ustionarsi per un pelo, poi riuscì a contrattaccare; se voleva riuscire ad eludere le sue difese in fretta dovevano combattere ad armi pari. Vedeva Gala lottare come poteva contro l’uomo che l’aveva attaccata, ma era solo questione di tempo prima che soccombesse contro la forza del Ribelle. L’aveva presa così alla sprovvista che lei non era riuscita a rispondere con la magia…
Valeva la pena tentare: d’istinto, affidandosi alla volontà di riuscire, Jel applicò fulmineo i movimenti dell’Evocazione, pronunciando la formula a voce alta.
Una lingua di fuoco scaturì dalle sue mani protese, mentre il Ribelle di fronte a lui compiva i medesimi gesti. Le due Evocazioni si scontrarono a mezzaria, così violentemente che molti soldati vicino a loro furono sbalzati via. Anche Jel lottò per rimanere in piedi, mentre il suo debole tentativo di evocazione veniva distrutto da quello del mago nordico. Il giovane evitò di venire colpito scattando di lato, e ne approfittò per gettarsi a capofitto verso il punto in cui Gala stava combattendo.
Ma era troppo tardi. La ragazzina era a terra, indietreggiando appoggiandosi ai gomiti, mentre il Ribelle di fronte a lei alzava la spada per colpirla mortalmente…
Fu come in un sogno che accadde.
Jack comparve all’improvviso vicino a lei, nuovamente in sella al proprio stallone nordico; roteò fluidamente l’affusolato coltello che teneva in mano e lo abbatté sul braccio del combattente, proprio sotto la spalla, mozzandoglielo in un colpo solo. Poi agguantò la strega per la collottola e la sollevò attirandola a sé.
«Sappi che non ti salverò un’altra volta, ragazzina!»
Jel sorrise nel sentire le sue parole per metà scocciate e metà divertite, ma il gigantesco sollievo durò molto poco.
Il mago riuscì a scansarsi un attimo prima che il suo precedente avversario gli scaraventasse addosso una nuova fiammata. Si voltò, ricordandosi di reggere in mano una spada, e si lanciò sul nemico. Questa volta fu lui ad indietreggiare, sorpreso dall’attacco frontale del giovane, limitandosi a tentare di schivare o deviare i suoi colpi.
Jel sapeva che la maggior parte dei Ribelli stavano fuggendo in quel momento, ma si mantenne concentrato: era la sua battaglia.
Un fendente, poi un altro. Con immensa fatica, il Consigliere riuscì a combinare un attacco con la spada con il richiamo del vento, e mentre il Ribelle tentava di respingere la spada con la Magia, la massa d’aria lo travolse allontanandolo da Jel e mandandolo a sbattere a terra a qualche passo da lui.
Fu allora che il giovane si rese conto che attorno a lui la battaglia era terminata, e molti Ariadoriani lo avevano affiancato. Alcuni di loro, tra cui Jack, si erano spinti all’inseguimento dei fuggitivi, ma Gala era lì, malconcia ma viva, salva.
Senza aspettare alcun ordine Jel scavalcò un cadavere e puntò la spada alla gola del mago nordico.
«Arrenditi» disse a denti stretti. «È finita».
L’uomo lo guardò con disprezzo, ma non disse una parola. Nei suoi occhi si leggeva distintamente la pesante ombra della sconfitta. Non pareva intenzionato a combattere ancora.
«Abbassa quella spada, ragazzo» lo apostrofò una voce familiare dietro di lui, e Az apparve al suo fianco fissandolo con apparente aria di rimprovero.
Ansimante, Jel fece suo malgrado ciò che gli era stato detto e lasciò che Az afferrasse per le spalle il Ribelle rimettendolo rudemente in piedi.
«Portatelo alla tenda di Jack e aspettate che faccia ritorno. Dobbiamo interrogarlo» ordinò asciutto.
Allontanandosi sfiniti, molti dei sopravvissuti guardarono Jel con curiosità, o ammirazione o semplicemente gli batterono una pacca sulla spalla per complimentarsi della vittoria. Alcuni di loro parevano piuttosto sconvolti, altri solo stanchi.
È la guerra, ricordò a se stesso il giovane guardandosi intorno spaesato, tentando di contare i morti. Non si accorse che Gala gli si era avvicinata, ma avvertì una mano della ragazza stringere la sua. Alzò lo sguardo e incrociò gli occhi grandi della compagna. Non piangeva.
Incredibilmente, sembrava più che altro sollevata. Erano vivi dopotutto.
Maledetta incosciente, si ripeté il giovane ancora una volta, poi le circondò le spalle con un braccia e sorrise. Per l’angoscia e il dolore ci sarebbe stato tempo più tardi. In quel momento, a discapito di tutto, era semplicemente felice di essere ancora lì, con Gala.


***


«Dovrete aspettare il ritorno di Jack per ripartire» sottolineò Az mentre con una smorfia di dolore si sedeva su una seggiola all’interno della tenda di comando. Con una mano leggermente tremante si tastò lo squarcio che gli si era aperto appena sotto il ginocchio, e Jel lo vide strizzare gli occhi per il dolore.
«Posso provare a sistemartela, se vuoi» si offrì timidamente Gala, ma l’uomo la mise a tacere con un’occhiataccia.
«Non ce n’è alcun bisogno» rispose infastidito, poi però parve ripensarci. «In realtà potreste anche rendervi utili… » con un cenno indicò l’esterno. «Unitevi alle nostre guaritrici, contate i cadaveri, curate i feriti che potete salvare. Non appena Jack sarà tornato potrete avere l’autorizzazione a riprendere la vostra strada».
Sempre che torni vivo… si ritrovò a pensare Jel, a disagio. Era passata quasi un’ora dal termine della battaglia con i Ribelli, ma di Jack e degli altri che avevano inseguito i nemici rimasti non c’era ancora traccia.
Pensando fosse meglio non discutere ancora con il capitano, i due maghi si diressero verso l’ingresso della tenda, ma un attimo prima che uscissero la voce di Az li richiamò: «Consiglieri… grazie per il vostro aiuto».
Jel annuì, chinando il capo.
«È stato un onore» rispose.
L’uomo rivolse loro il primo vero sorriso da quando li aveva incontrati, e Jel lo considerò un buon segno.
Lui e Gala camminarono fra i cunicoli delle tende, imbattendosi talvolta in qualche cadavere isolato. Un paio di volte incrociarono anche qualche soldato ariadoriano che discuteva della battaglia con un compagno, oppure un ferito leggero che barcollava verso la propria tenda. Ad un certo punto, a terra, Jel riconobbe il corpo del Ribelle che lo aveva aggredito mentre tentava di trovare Gala e avvertì uno strano groppo alla gola.
«Gala…» disse a mezza voce. «Non sei costretta a venire con me. Non è una passeggiata fare questo genere di cose…»
«Lo so» il viso oltremodo turbato della strega parlava da solo, ma lei tenne duro, caparbia come sempre. «Posso e voglio aiutarti. Possiamo salvare molti di loro con la magia».
Jel annuì, chiedendosi ancora una volta come potesse Gala dimostrare un animo così saldo. Avanzarono; per ogni corpo di un guerriero ariadoriano che ritrovavano uno di loro si accertava che non respirasse più. Su cinque feriti non trovarono nemmeno un sopravvissuto, finché non arrivarono nel punto in cui le tende si diradavano e si apriva il campo di battaglia vero e proprio.
Sembrava che tutte le guaritrici dell’accampamento si fossero riunite lì. I gemiti e le urla di dolore che si levavano dai sopravvissuti erano rivoltanti, per non parlare del penetrante odore di sangue.
«Tu occupati di quelli che riesci» ordinò a Gala con un sorriso di incoraggiamento. «Io farò lo stesso. Rimaniamo qui finché Jack non torna. Poi… poi ripartiremo per Città dei Re».
Gala sembrava decisamente agitata, ma fece un cenno affermativo con la testa e, pochi metri più in là, si chinò sul primo ferito.
Jel fece altrettanto. Aiutò a rimettersi in piedi un uomo che nello scontro aveva perso una gamba – dopo aver limitato la fuoriuscita di sangue con un incanto di guarigione – e tentò di rassicurare un soldato morente nei suoi ultimi istanti di vita. Rimarginò alcune ferite non particolarmente gravi poi, rendendosi conto di non avere bende con sé, si avvicinò ad una bionda guaritrice che tentava di tenere fermo un uomo poco distante da lui.
«Posso darti una mano» si offrì gentilmente, al che la ragazza si voltò verso di lui. La sua bellezza stonava stranamente in quel contesto di sangue e disperazione. Tutte le Ariadoriane avevano i capelli biondi, certo, ma nella sua figura risaltava una grazia non comune. Gli occhi azzurri concentrati brillavano di una incredibile dolcezza, messi in risalto dalla carnagione chiarissima. Le sanguinava il labbro inferiore, ma Jel immaginò fosse per la forza con cui se lo stava mordendo nello sforzo di convincere il giovane steso sull’erba a lasciarsi tagliare un braccio che aveva tutta l’aria di essere marcito.
«Grazie, ho bisogno d’aiuto» rispose portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e guardandolo affannata. «Per favore, tienigli le spalle a terra».
«No, ti prego, non farlo!» implorò l’uomo a terra tentando di dimenarsi per liberarsi dalla sua stretta. «Non…»
Jel poggiò con decisione una mano sulla bocca e si rivolse in fretta alla ragazza.
«Forse non ce ne sarà bisogno» spiegò. «Se non ti dispiace…» la scansò con delicatezza e si inginocchiò accanto al corpo dell’Ariadoriano, che al di là del dolore ora lo fissava stupito.
«Ma che…?»
Jel appoggiò entrambi i palmi sull’arto sanguinolento – il ferito strinse visibilmente i denti tentando di non urlare - e chiuse gli occhi. Ormai pronunciare a bassa voce le parole per la guarigione era diventato quasi un’abitudine. L’energia benevola parve scaturire dalle sue mani più rapidamente delle altre volte, e nel vedere la lieve e tiepida luce dorata che andava ad avvolgere la ferita capì che avrebbe funzionato. La ragazza lo fissava a bocca aperta mentre, non del tutto ma almeno in parte, i profondi tagli nella carne del braccio si rimarginavano e il sangue si coagulava e seccava. Poco a poco, il volto del soldato parve abbandonare l’espressione contorta e dolorante, lasciando spazio allo stupore e al sollievo.
Quando il giovane ebbe finito, la guaritrice lo guardò allibita.
«Ma…. come hai fatto? Sei… sei un mago?»
Divertito dal suo stupore lui sorrise, annuendo. Poi le assestò una leggera pacca sulla spalla.
«Ti consiglio di occuparti di qualcun altro. C’è tanto lavoro da fare».








NOTE:

Salve gente, sono tornata :)
Finalmente ho trovato un periodo in cui riesco a dedicarmi per bene alla scrittura e a postare senza giganteschi ritardi.
Che ve ne pare del capitolo?
È in assoluto la prima vera battaglia che mi ritrovo a descrivere, sono sicura di aver fatto un po' di casino >.< Ma in ogni caso ho mantenuto la promessa no? Finalmente un po' di capitoli densi d'azione!
Un ringraziamento speciale ad Arya373 e _Edvige_ che hanno recensito gli scorsi capitoli <3
Al più presto possibile, TaliaFederer.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


27








«Hiexil è nelle mani dei Ribelli».
Jack proferì quelle parole cupamente, squadrando gli altri presenti come a valutarne la reazione. Gala, da parte sua, avvertì semplicemente una sorta di sgradevole calore stringerle lo stomaco; le accadeva spesso, ultimamente, o almeno tutte le volte in cui una brutta notizia le si parava davanti. Negli ultimi tempi ce n’erano state parecchie.
Vide Jel, accanto a lei, farsi ancora più scuro in volto di quanto già non fosse, mentre alcuni fra i presenti si lasciavano sfuggire un’imprecazione, divisi fra lo sgomento e la rabbia.
«Com’è possibile?» domandò duramente un uomo alto con cui la strega non aveva ancora mai parlato. «Come?»
In effetti, pareva incredibile. Gli uomini che li avevano attaccati non potevano essere più di un centinaio, come potevano aver preso il controllo di una città come Hiexil?
«Io l’ho vista» spiegò Jack scuotendo la testa. «Ci siamo spinti fin troppo avanti per inseguire quei bastardi. Eravamo così presi dalla caccia che non ci siamo resi conto che si stavano dirigendo là volutamente
Fece una pausa, e Gala vide la sua mascella contrarsi in un’espressione quasi rabbiosa.
«Vedendo da lontano le barricate abbiamo pensato di essere in vantaggio: eravamo certi che tra guardie e i soldati che erano stati dislocati lì qualcuno avrebbe dato l’allarme e, quando abbiamo visto decine di uomini schierarsi e tendere gli archi, ne abbiamo avuto la conferma. Solo che non hanno mirato contro i Ribelli, ma contro di noi».
Qualcuno trattenne il fiato.
«Avevamo i cavalli. È stato un miracolo che non ci abbiano massacrati».
«Quanti uomini abbiamo perso?»
«Cinque» rispose Jack guardando Az negli occhi. «Più i caduti in battaglia, che mi dicono siano parecchi».
«Circa cinquanta uomini, signore» confermò l’unica guaritrice presente, che solo allora Gala riconobbe come la giovane che Jel aveva aiutato circa un’ora prima.
«Maledizione…» mormorò Jack passandosi una mano sugli occhi.
Gala si rese conto di essere impallidita. Cinquanta morti… tra di loro avrebbe potuto esserci anche lei, non fosse stato per l’intervento di Jack. L’uomo l’aveva tratta in salvo appena un attimo prima che il Ribelle con cui stava combattendo la trapassasse da parte a parte. In quel momento la ragazzina si era trovata a sentirsi così prossima alla morte che, nel ritrovarsi seduta in groppa alla cavalcatura di Jack, non aveva nemmeno avuto la forza di ringraziarlo. Il comandante le aveva gridato qualcosa – presumibilmente una presa in giro, o un rimprovero – ma in mezzo al fragore lei non ne aveva colto l’esatto significato. Jack aveva cavalcato fino ad un luogo sicuro, lontano dalla battaglia, l’aveva fatta scendere e intimato di rimanere al proprio posto. Quella volta lei aveva ubbidito: gli doveva la vita, il minimo che poteva fare era attenersi ai suoi ordini.
«Ma come diavolo hanno fatto a conquistare la città?» l’amara domanda di Caley riportò bruscamente la strega alla realtà. «Non possono disporre di così tanti uomini…»
«È proprio questo il punto» spiegò uno degli uomini che avevano affiancato Jack nell’inseguimento. «Crediamo che Theor abbia puntato tutto su questa mossa. Mentre una piccola parte dell’esercito del Nord ci teneva occupati per impedire l’arrivo di rinforzi a Hiexil, ha mobilitato il grosso delle su truppe sulla città. Ci siamo cascati come degli idioti…»
Jel guardò Jack come aspettandosi che smentisse tutto, e per un attimo anche Gala sperò che fosse così. Ma Jack scosse la testa.
«È l’ipotesi più probabile» affermò con voce stranamente ferma. «Theor ha calcolato tutto».
«Mio dio…» commentò preoccupato uno dei capitani. «E gli abitanti, gli Ariadoriani? Che ne hanno fatto?»
«Dubito che abbiano sterminato l’intera popolazione, se è questo che intendi» rispose Jack tetro. «Immagino abbiano seguito il solito stile: impiccare qualche guardia, malmenare chi cerca di ribellarsi e confinare la gente in casa. Per ora spero almeno che la situazione rimanga stabile».
«Il confine nord è perduto, dunque» sentenziò qualcuno in tono grave. «Con Hiexil sotto il loro controllo non abbiamo speranze di mantenere la pace in queste terre. Abbiamo troppi pochi uomini, dovremo richiedere l’invio di nuove forze da Tamithia…»
«Ci siamo lasciati fregare da un maledetto traditore» concluse un altro con odio. «E ora siamo messi ancora peggio di quanto già non fossimo prima».
Anche se forse avrebbero voluto, sia Jel che Gala ebbero il buon senso di non aprir bocca per replicare.
«Hanno concentrato la maggior parte dei loro uomini a Hiexil» obiettò Az a bassa voce. «Dovranno spostare le truppe da lì se vogliono continuare la campagna».
«Resta il fatto che una delle maggiori città del Nord dell’Ariador è nelle loro mani, ora» ribatté Jack stancamente.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi Caley chiese: «Quindi… quali sono gli ordini?»
Jack sospirò, poi si rialzò e decretò: «Invia un corvo a Tamthia e uno a Città dei Re. Scrivi che Hiexil è nelle mani dei Nordici e che abbiamo bisogno di altri uomini. Si fa sul serio, ora».
Mentre i presenti si rialzavano per tornare alle proprie solite mansioni, Gala vide Jel rialzarsi e avvicinarsi al comandante.
«Jack, aspetta».
No… Non vorrà chiedergli il permesso di ripartire proprio ora…
«Non ho tempo, Consiglieri. Di qualunque cosa si tratti, ne parleremo dopo che avrò sistemato il campo».
«È importante» insistette Jel, e Gala in effetti non poté dargli torto. Loro non avevano più nulla da fare lì, la guerra non era attualmente la loro priorità. Dovevano solo riportare le Pietre a Grimal una volta per tutte…
«Ci basta la tua autorizzazione a ripartire» continuò il mago in tono serio. «Ormai credo che tu abbia constatato di poterti fidare di noi. Tu hai dei doveri… beh, anche noi».
Jack guardò prima lui, poi Gala. Sembrava indeciso, forse scocciato; alla fine disse lentamente: «Sentite… sappiate che la cosa non mi piace, non mi piace per niente. Ma d’altra parte… se qualche pezzo grosso venisse a sapere che ho trattenuto contro la loro volontà due Consiglieri in missione… sarebbe un bel problema».
Gala rimase in silenzio, sul filo della corda. Se fossero riusciti a partire subito, prima che la situazione lì a Nord degenerasse del tutto… Quando vide Jack tornare verso il tavolino di legno nel centro della tenda avvertì un lieve tuffo al cuore. L’uomo aveva afferrato il sacchetto delle Pietre – che per tutto quel tempo era rimasto lì, dimenticato – e lo consegnò a Jel.
«Credo che tu abbia ragione. Dovete andare» affermò, e Gala lo ammirò non poco per il tentativo di sorriso che cercò di mettere in atto. Lui e Jel si strinsero la mano.
«Vi auguro tutta la fortuna possibile» rispose il mago sinceramente, e Gala meccanicamente annuì. Jack si voltò verso di lei e allungò una mano. «Non… non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato la vita» balbettò imbarazzata affrettandosi a stringerla».
«Non ne avresti avuto bisogno» replicò lui con un’alzata di spalle. «Non avrei mai potuto lasciar morire un’apprendista esperta…»
Chiedendosi come potesse quell’uomo non abbandonare l’ironia nemmeno in un momento come quello, la ragazzina sorrise suo malgrado.
«Ora se non vi dispiace vi devo lasciare. I vostri cavalli…» s’interruppe. «In verità non ho più idea di dove siano. Non importa. Prendete quelli che volete, noi ne abbiamo fin troppi. Per chiunque tenti di ostacolarvi, dite che avete avuto il mio permesso».
Si bloccò ancora un istante all’entrata della tenda.
«Addio» disse dopo poco, poi uscì.
Jel e Gala si scambiarono un’occhiata significativa, entrambi grati per la fortuna avuta. Erano sopravvissuti alla battaglia e si erano guadagnati la fiducia di Jack anche senza aver bisogno di raccontare tutta la storia della missione e delle Pietre. E ora potevano riprendere il viaggio.
Gala si lasciò guidare da Jel fra le file disordinate di tende, e lasciò anche che fosse lui a convincere un paio di soldati a permettere loro di appropriarsi di un paio di cavalli. Mentre con un pizzico d’ansia la strega si guardava intorno, vedendo attorno a sé un ambiente ancora piuttosto devastato, realizzò che un po’ le dispiaceva aver abbandonato i cavalli di Kor. Dopo tutto li avevano accompagnati in così tante disavventure in quelle ultime settimane…
Dopo pochi minuti si ritrovò in sella ad uno dei due esemplari – un bogiart dell’Haryar color rossiccio – e ai due giovani bastò un’occhiata per decidere di ripartire.
Attraversarono l’accampamento, trottando davanti ai soldati e alle guaritrici stupefatte, e in men che non si dica si ritrovarono fuori, fra i prati sterminati. Lo sguardo di Gala fu attirato da una sottile linea di fumo, appena visibile in lontananza, a ovest; con una stretta allo stomaco il suo pensiero volò a Hiexil: i Ribelli dovevano aver appiccato fuoco alle barricate difensive durante l’assalto alla città.
Una grossa lacrima si stacco dalle sue ciglia, una lacrima per tutte le persone innocenti che probabilmente in quel momento si trovavano imprigionate nella città. Avrebbe voluto versarne altre, ma in quel momento non ci riusciva. Era incredibile: nel momento in cui aveva appreso di avere l’occasione di recarsi immediatamente a Città dei Re la sua mente si era momentaneamente bloccata. Avrebbero trovato l’ultima Pietra. L’avrebbero recuperata e portata al cospetto del Re, insieme alle altre. E allora, finalmente sarebbe potuta tornare a casa.
La ragazza era ben conscia del fatto che a Grimal non avrebbe più trovato Camosh ad aspettarla. Non avrebbe più potuto contare su di lui.
Non aveva ricevuto la notizia certa della sua morte, eppure era sicura che il suo tutore non sarebbe mai più tornato. Non avrebbe potuto terminare di insegnarle ciò che sapeva sulla Magia. Non avrebbe più potuto prendersi cura di lei. Ma in qualche modo Gala se la sarebbe cavata. Aveva Jel, aveva ancora la casa dei suoi genitori, dopo tutto. Doveva solo portare a termine la missione, poi sarebbe riuscita a vedere le cose con chiarezza.
Di fronte a quella prospettiva, l’idea della conquista di Hiexil da parte dei Ribelli pareva un poco più accettabile. Una volta che il Consiglio avesse potuto contare sul potere delle Pietre, le Cinque Terre – o meglio, quattro più il Bianco Reame – sarebbero state in vantaggio. Avrebbero potuto contare su un’arma in più.

Quello che non potevano sapere era che presto anche Theor avrebbe avuto dalla sua parte qualcosa in più.


TAMITHIA, ARIADOR

Hareis avanzava lentamente sul terreno reso rigido dal freddo mattutino, il lungo mantello bianco dei Ribelli che strusciava leggermente sull’erba gelata. Nonostante il cuore in gola, continuava a procedere con calma: era di fondamentale importanza che non desse troppo nell’occhio, era importante che non si facesse riconoscere per quello che era… nonostante in quel momento desiderasse come non mai gettare all’aria ogni prudenza e mettersi a correre verso la propria meta. Ma Theor si fidava di lui, da quando Mal Ennon era morto lui era diventato il suo braccio destro. Non poteva deluderlo.
Aveva ricevuto la notizia della morte di Sephirt una decina di minuti prima. In realtà non era venuto a galla alcun nome, ma dalla descrizione che gli uomini di Tamithia gli avevano fornito aveva capito che non potesse trattarsi che di lei. Lo aveva sconvolto, anche se tentava di non darlo a vedere. Durante l’intero viaggio che aveva condotto per l’Ariador aveva sperato con tutto se stesso che la donna fosse riuscita a cavarsela, ma evidentemente era accaduto il contrario. Non aveva nemmeno idea di chi fosse stato veramente a ucciderla, ma la cosa non gli importava. Desiderava solo vederla, accertarsi che fosse davvero morta, anche se la cosa probabilmente lo avrebbe distrutto.
Raggiuse la fossa comune di lì a pochi minuti.
L’idea di vedere il cadavere della donna che amava lo portò a trattenere un conato di vomito.
I corpi degli sconosciuti vengono lasciati lì per una settimana protetti dall’incanto Fledia, gli aveva spiegato la guardia cui aveva chiesto informazioni. Sapete, per i parenti o i conoscenti che potrebbero reclamarlo. Se nessuno riconosce il cadavere entro quel tempo si procede alla sepoltura. Personalmente Hareis pregava con tutto se stesso che l’incanto Fledia fosse stato applicato a dovere, mantenendo integro il corpo com’era al momento del decesso. Se non altro avrebbe potuto rivedere il suo viso un ultima volta.
Lo sguardo dell’uomo non si soffermò sui pochi corpi stesi nella fossa, ma raggiunse immediatamente quello che cercava: una figura smilza, affusolata, i capelli rossi sparsi malamente sul terreno. Era lì. Immobile, fredda.
Hareis rimase per qualche istante a fissarla, la mandibola serrata in una morsa che contenesse almeno in parte il proprio dolore.
Non gliel’aveva mai detto.
Non ne aveva mai nemmeno fatto cenno. Dopotutto, lei era sempre stata così presa dal proprio dovere e dall’attrazione per il suo mentore Mal… forse era stato meglio così. Hareis aveva smesso di nutrire speranze nei suoi confronti da anni, ormai, e tenendo la cosa nascosta forse aveva solo evitato una gigantesca umiliazione.
Eppure, ora che lei non c’era più sentiva di aver commesso una terribile omissione. Un senso di vuoto aleggiava nel suo animo.
Si chinò, preparandosi a veder sfumare anche le proprie ultime, disperate illusioni. Sapeva che le guardie dovevano aver già controllato in ogni modo possibile se fosse realmente morta, ma lui non vi avrebbe creduto appieno fino al momento in cui l’avesse appurato di persona. Piano, col cuore in gola, appoggiò l’orecchio sul petto della donna e attese. Non sentì nulla.
No! imprecò sottovoce serrando i denti. Eppure, qualcosa lo spinse a rimanere immobile, ad attendere ancora. Trattenendo il respiro, tentando di non emettere alcun suono.
Fu proprio un istante prima che – rassegnato – risollevasse il viso e si rimettesse in piedi, che lo udì. All’inizio pensò di esserselo soltanto immaginato. Poteva essere qualunque cosa, un qualunque rumore esterno.
Era finita, doveva piantarla di sperare e decidersi a caricare il corpo per riportarlo ad Amaria. Poi lo udì di nuovo: un suono caldo, flebile, così inequivocabile.
Non è possibile…
Hareis acuì le proprie percezioni. E allora l’avvertì.
Un’ombra, un sottile filo, una traccia di potere magico scorreva ancora nel corpo di Sephirt. Ergo in lei rimaneva ancora anche un briciolo di vita.
Il mago che, per la sorpresa, aveva quasi fatto un balzo all’indietro, si affrettò ad appoggiare il palmo della mano destra sulla fronte della strega. Se davvero la sua sensazione era fondata, per prima cosa doveva tentare di stabilire un contatto con lei, per capire quanto in là si trovasse in quel momento Sephirt. Non era la prima volta che tentava di cimentarsi con un incantesimo della Magia Antica, nello specifico con la lettura della mente: per tre volte nella sua vita aveva cercato di liberarsi da ogni pensiero ed emozione per violare quelli di una mente estranea, fino a quel momento nemici, e l'ultima lo aveva fatto con successo. Aveva letteralmente frugato fra i pensieri e i segreti dell’uomo che stava interrogando, ricavando peraltro informazioni vitali, ma tutto ciò ad un prezzo altissimo.
Lo sapeva bene: praticare un qualunque incanto risalente all’età antica della Magia costava a chiunque lo mettesse in atto uno sforzo e un dispendio di energie piuttosto consistente. Ma quella volta doveva tentare a bruciapelo.
Chiuse gli occhi, ben sapendo che leggere la mente di Sephirt non sarebbe stato esattamente una bazzecola. Immobile, emettendo respiri profondi e regolari, fece tutto ciò che Theor in persona gli aveva insegnato.
Quando alla fine le sue palpebre si sollevarono, il corpo della strega stesa accanto a lui era sparito; in verità, erano spariti anche il terreno, la fossa, gli altri cadaveri. Lui non poteva vederli. Una confusa nebbia perlacea lo avvolgeva, nella quale potevano distinguersi, sbavate, immagini più o meno chiare. Doveva trattarsi degli ultimi ricordi di Sephirt.
Hareis avrebbe desiderato ardentemente scoprire chi l’avesse ridotta in quello stato, ma non era lì per quello. Rimani concentrato.

«Sephirt. Puoi sentirmi?»

Nessuna risposta.
Solitamente, i soggetti le cui menti venivano possedute da individui estranei potevano comunicare in svariati modi, anche a parole se il grado di controllo era leggero, con leggeri suoni se aumentava, quando esso era quasi completo solamente tramite impulsi di energia magica. Dato lo stato di profonda incoscienza nel quale Sephirt era sprofondata, Hareis aveva il sentore che per comunicare con lei avrebbe dovuto spingersi molto più a fondo.
Ma c’erano complicazioni. Spesso la presa di potere su una mente estranea causava conseguenze drastiche, un repentino squilibrio. A volte le vittime perdevano la capacità di parlare, in alcuni casi qualunque tipo di percezione. E se la persona in questione non fosse stata in grado di sostenere un simile stravolgimento l’incantesimo avrebbe anche potuto ucciderla. Ma Sephirt era una donna forte, la strega migliore che lui avesse mai conosciuto, e avrebbe retto.

«Sephirt. Se ci sei ancora, da qualche parte, dammi un segno».

All’inizio non avvertì alcuna reazione ma poi, proprio mentre l’ansia si faceva strada in lui mettendo a repentaglio la sua concentrazione, percepì la Magia della strega farsi un poco più consistente. Un’intensificazione correlata al suo battito cardiaco.

«Sai chi sono io?»

Un altro battito. Sapeva chi era. Un passo alla volta, richieste semplici. Poteva farcela.

«Pensi di riuscire a tornare?»

Quella volta non ci fu risposta, ma Hareis capì perfettamente. Se l’era aspettato.

«Pensi di riuscire a resistere?»

L’aumento della sua energia fu così repentino da risultare oltremodo eloquente, e Hareis sorrise fra sé e sé. Sephirt non avrebbe mollato.
Un’ultima cosa…

«Mi dispiace per Mal».

Non era una domanda.
Hareis aveva cercato di trattenersi, ma non c’era riuscito. Quella era la verità. Lui e Mal Ennon non erano mai stati veramente amici, ma Hareis aveva sempre provato per lui una grande ammirazione. E l’uomo aveva sempre avuto l’incommensurabile merito di essersi preso cura di Sephirt, portandola a divenire ciò che era ora.
La strega non diede più segni di vita, ma il Ribelle ritenne di aver sentito abbastanza. Ritornò alla realtà e in meno di un istante lo avvolse la stessa violenta nausea che ben ricordava. Per un attimo le sue gambe cedettero e lui si lasciò scivolare sull’erba. Non aveva mai letto la mente di qualcuno per così tanto tempo, era al limite del sentirsi stremato.
Ansimando un poco alzò lo sguardo verso Sephirt, questa volta con un briciolo di speranza: la donna era ancora viva. Svenuta, lontana… ma viva. Theor o qualcun altro ad Amaria avrebbe trovato il modo di riportarla indietro.
Pensò in fretta ad un modo per trasportarla fino al luogo dove aveva lasciato il proprio cavallo, al limitare nord della città, e alla fine decise di passare dall’esterno. Non aveva alcuna intenzione di attirarsi addosso domande e inquisizioni da parte della guardie cittadine.
Sollevò con delicatezza il corpo esanime della strega e se lo caricò in spalle; era esile e leggera come un fuscello.
Percorse la strada che lo separava dal suo cavallo come in un sogno, senza prestare attenzione a ciò che gli passava davanti agli occhi. Si era recato alla fossa comune con l’aspettativa di ritrovarsi davanti un cadavere, ma così non era stato, e lui era infinitamente grato per questo. Non sapeva ancora quali fossero le possibilità effettive di rivedere la vera Sephirt – era lontana, ormai, aggrappata alla vita per un soffio, con quel poco di Magia che le era rimasta – eppure rimaneva speranzoso. Oltre a Theor aveva avuto modo di conoscere maghi estremamente esperti fra i Ribelli: c’era Wesh, il nervoso e inflessibile consigliere principale, c’erano Raek e il Custode Ryeki.
Quest’ultimo in particolare, data la sua infinita conoscenza delle arti della Magia Antica, rimaneva la sua più grande fonte di fiducia. Scosse la testa, improvvisamente infastidito. Sapeva bene di non poter ignorare i sentimenti che aveva sempre provato per Sephirt, ma ora doveva darci un taglio. Non poteva permettersi di dimenticare chi fosse, e quale ruolo giocasse all’interno della rivolta. Morto Mal e con Sephirt ormai praticamente fuori gioco, la cerchia dei più fidati uomini di Theor era più ristretta che mai. Ferlon era lontano, impegnato a guidare le truppe sul fronte sud-orientale, e anche molti dei nuovi consiglieri erano ormai sul campo di battaglia.
Ad Amaria rimanevano Wesh e i non magici Nax e Levinia. Nax era un uomo di mezza età, Nordico ma dalle origini ariadoriane, Levinia era più anziana, sulla sessantina. Era l’unica donna – eccetto Sephirt – ad aver fatto parte del consiglio ristretto di Theor.
Quanto ad Astapor Raek, per quanto ne sapeva Hareis era partito dalla capitale un paio di giorni dopo di lui, alla volta di Città dei Re. Il motivo era molto chiaro: recuperare l’ultima Pietra, la Pietra del Nord, per impedire che quei due maledetti inviati del Gran Consiglio prelevassero anche quella. Per la verità, nemmeno Hareis stesso sapeva con esattezza dove si trovasse la Pietra Bianca all’interno della capitale; quella era una faccenda che riguardava solamente Theor e Astapor Raek.
Caricò la strega sul proprio cavallo, Januche, poi vi montò a sua volta. Lasciò che la schiena della donna svenuta ricadesse sul proprio petto e afferrò le briglie passandole le mani sotto le braccia; non avrebbe corso il pericolo di venire sbalzata a terra durante il tragitto. Hareis sapeva che gran parte delle truppe nordiche, guidate proprio da Ferlon, aveva lasciato il confine per dirigersi a sud e sferrare un attacco alla città di Hiexil, quindi pensò fosse meglio girare alla larga da quei territori. Non voleva correre il rischio di passare troppo vicino a qualche campo di battaglia. Era riuscito a viaggiare relativamente tranquillo fino a quel momento e, ora che aveva l’urgenza di riportare Sephirt a casa, preferiva continuare così.
Resisti. Vivrai, te lo prometto.







NOTE:

Salve gente, spero il capitolo vi sia piaciuto. Non è esattamente quel che si dice un capolavoro e ho anche impiegato parecchio a scriverlo.. In effetti è stato parecchio impegnativo.
Era da mesi che avevo idea di introdurre la faccenda lettura-della-mente ma non avevo ancora avuto modo di approfondirla. Da quello che è il risultato mi pare di aver dato un'idea abbastanza peculiare a quello che mi ero immaginata, spero condividiate ;)
Come sempre ringrazio Arya373 che ha recensito lo scorso capitolo e chiedo a tutti di lasciarmi un parere, se possibile.
Ciao, un bacio a tutti i lettori.

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***



Eccomi qui.
Devo dire che sono un po' emozionata, perché - quasi non ci credo che sto per dirlo - questo è il PENULTIMO capitolo della storia. Sì beh, penultimo nel senso che devo ancora scriverne un altro e poi l'epilogo. Anche se non sono propriamente soddisfatta di com'è venuto, sono contenta di essere arrivata fin qui, forse riesco a finire il romanzo entro quest'anno, che miracolo xD Davvero, so di essere noiosa, ma ora per me è più importante che mai che chi abbia letto e apprezzato mi lasci una piccola recensione. E anche quelli a cui la storia ha fatto schifo, in realtà, mi fanno piacere anche consigli, critiche, pareri su come migliorare. Grazie comunque a chiunque sia arrivato fino qui :)
TaliaFederer









28









TRE GIORNI DOPO


- Come sappiamo che non fallirà?

– Non lo sappiamo – rispose Theor asciutto.

Hareis lo afferrò per un braccio, dimenticandosi completamente con chi avesse a che fare. – La sua Magia potrebbe ucciderla. Sei stato tu a dirlo!

Theor gli scoccò un’occhiata pericolosa e si liberò con uno strattone dalla sua presa. L’espressione del suo volto era contratta mentre proferiva:- In questo stato non mi è di alcuna utilità; la Magia del custode è l’unica possibilità per farla tornare fra noi. Se durante il processo dovesse morire ce ne faremo una ragione.

Per la prima volta in vita sua Hareis fu seriamente tentato di prenderlo a pugni. Sapeva che in fondo in fondo Theor era sempre stato un fottuto bastardo, e la cosa gli era sempre andata bene, ma non se si trattava di Sephirt. Non se si trattava della sua vita.

– Sai bene anche tu che sarebbe una perdita gigantesca…

- Una perdita necessaria.

– Maledizione, Theor! – esclamò l’uomo frustrato. In quel momento l’inflessibilità del suo signore non gli pareva più una dote così ammirevole. – Ci dev’essere un altro modo! Un qualche incantesimo di guarigione, un antidoto… il custode ha detto che, sempre ammettendo che sopravviva, la Magia Nera potrebbe cambiarla radicalmente…

- So benissimo cosa significa – lo gelò il capo dei Ribelli con voce fredda. – E so anche che non mi conviene perdere Sephirt adesso. Ed è per questo che non ho altra scelta – s’interruppe un attimo. – Tu hai bisogno di riposare, Hareis. Forse è meglio se ti ritiri per qualche ora.

Il Ribelle pensò assomigliasse più ad un ordine che a un suggerimento, ma decise di non replicare. Ormai era fatta: Sephirt era nella nuova stanza dell’ex custode, e la sua vita era nelle sue mani. Fece per imboccare il corridoio che l’avrebbe condotto all’atrio e poi all’uscita, quando avvertì una mano posarglisi sulla spalla.

– Quasi dimenticavo, Hareis – esordì Theor, e la sua espressione si fece minacciosa. – Non osare mai più parlarmi in quel modo.

Lui era ormai troppo stanco per trovare la forza o il coraggio di replicare, così si limitò a chinare il capo in segno di scuse.

Percorse la strada che lo separava dall’ingresso del palazzo come in trance, e poi uscì in strada. L’onnipresente venticello gelido pungeva la pelle del suo viso mentre, stringendosi nel mantello, si avviava verso i suoi alloggi, che non erano troppo distanti dalla residenza reale.
L’abitazione di Sephirt era esattamente dalla parte opposta alla sua, rammentò con un sussulto. Sorrise aspramente: pareva che tutto nella vita, ogni singolo dettaglio, avesse deciso di tenerli lontani.
L’uomo non ricordava nemmeno quando, con esattezza, si fosse reso conto di essere irrimediabilmente attratto da lei. Sephirt era arrivata ad Amaria quando lui aveva tredici anni e già era immerso nel percorso di formazione per i giovani maghi. Ad istruirlo era stato Theor stesso, che l’aveva sempre considerato come il suo allievo prediletto, uno dei pochi cui si fosse mai degnato di insegnare qualcosa.
Tuttavia, per circa il primo anno della permanenza della ragazzina nella capitale nordica, lei e Hareis non avevano quasi avuto contatti. Mal Ennon, che a quell’epoca aveva da poco fatto ritorno in patria dopo l’apprendistato a seguito del maestro Janor Camosh, si era curiosamente offerto volontario per prendersi cura della piccola Sephirt e soprattutto insegnarle tutto ciò che sapeva a proposito delle arti magiche. Rammentava che un giorno Mal si era presentato alla reggia di Amaria informando Theor, con il quale già d’allora collaborava, di aver incontrato qualcuno con un altissimo potenziale di energia magica. Era stato allora che l’aveva vista la prima volta: una ragazzetta esile, visibilmente malnutrita, dai lunghissimi capelli rosso chiaro. Hareis ricordava di essere stato colpito già allora da quei suoi occhi così grandi e – soprattutto – di quell’inquietante color rosso sangue. Ma i due non avevano avuto modo di approfondire la loro conoscenza; Hareis si era ritrovato nelle condizioni di essere più esperto di lei di parecchi anni. Sephirt aveva ricevuto la sua educazione divisa tra la casa di Mal e la biblioteca cittadina, mentre Hareis a palazzo.
Prima di abbandonare l’alleanza delle Cinque Terre per cambiare bandiera a favore dei già presenti moti di ribellione a Nord, il Consigliere di Amaria era spesso stato impegnato – a volte anche per giorni e giorni – con gli affari del continente e le sedute del Gran Consiglio e Hareis, una volta che Sephirt fosse diventata abbastanza capace, aveva avuto modo di confrontarsi con lei in una manciata di occasioni.
Non aveva mai saputo con esattezza quali eventi l’avessero portata a ritrovarsi sola e malconcia per le strade di Amaria, e per quanto aveva avuto modo di capire la donna non ne aveva mai parlato neppure con Theor. Eppure, Hareis era sicuro che se ci fosse stata una persona di cui Sephirt si fosse fidata abbastanza da raccontargli la propria storia, quello sarebbe stato Mal Ennon.
Erano passati gli anni, e con l’accrescersi dell’importanza della ribellione entrambi si erano legati alla causa ed erano entrati a far parte del consiglio ristretto di Theor.
Era stato allora che si erano avvicinati, fin quasi a diventare amici. Già, e probabilmente era stato proprio in quel momento che tutto era cominciato. La sua sicurezza, la sua serietà, i suoi modi educati eppure così freddi, così alteri. Aveva tre anni meno di lui, ma Hareis l’aveva da subito considerata come sua pari. C’era qualcosa nella sua insolita figura che aveva piano piano cominciato ad attrarlo. Ovviamente non ne aveva mai parlato con nessuno – era uno dei più fidati uomini di Theor, non poteva permettersi di distrarsi con aspettative e sentimenti che mai sarebbero stati ricambiati. Eppure, più volte di quante avesse desiderato, durante le riunioni, i suoi occhi si posavano su di lei, squadrandola come a volerne imparare il profilo a memoria.
I suoi rari sorrisi di circostanza, il sopracciglio destro che si alzava sarcastico, il modo in cui serrava le labbra quando era nervosa… e soprattutto quello sguardo di fiducia e vaga adorazione che aveva sempre riservato solo e solamente a Mal, quello sguardo il quale Hareis aveva sempre sperato potesse rivolgere al lui, un giorno.
Si ritrovò a fissare il portoncino del suo alloggio senza neanche essersi accorto di aver percorso la distanza che lo separava da casa sua. Estrasse dalla tasca il proprio mazzo di chiavi e fece scattare la serratura, spingendo la porta in avanti. Negli ultimi tempi non aveva ricavato molto tempo libero per riposarsi in quella piccola ma confortevole abitazione; una o due volte aveva addirittura trascorso la notte a palazzo, tra una riunione e l’altra.
Si levò il mantello da viaggio e lo appoggiò alla bell’e meglio sullo schienale di una seggiola, accese un paio di candele con una minima Evocazione e poi si lasciò ricadere sul letto, ancora vestito e con gli stivali ai piedi. Chiuse gli occhi, passandosi una mano sulla fronte, che gli pulsava dolorosamente. Era sfinito: aveva cavalcato ininterrottamente per giorni, e il motivo dello spostamento non era stato esattamente una scampagnata.
Il suo pensiero si soffermò ancora una volta su Sephirt. Era incredibile che la ragazzina sottile e malconcia che aveva conosciuto quasi quattordici anni prima in quel momento fosse rinchiusa in una stanza, in fin di vita, probabilmente più lontana dal mondo dei vivi che da quello dei morti. L’unica speranza era che davvero la Magia Nera che avrebbe utilizzato il custode fosse abbastanza potente da salvarla. Theor aveva istruito il suo giovane apprendista a riguardo di alcuni incanti di quella proibita branca della Magia, ma si era solo e sempre trattato di maledizioni e anatemi offensivi; eppure, Hareis sapeva che le possibilità offerte dalla Magia Nera non si fermavano lì. Potrebbe… cambiarla. Era stata quella l’unica risposta dell’ex custode alla domanda di Theor riguardo a quali potessero essere gli effetti che il trattamento avrebbe avuto su Sephirt.
Sarà ancora in grado di combattere?
Senza alcun dubbio.

Sempre che non fosse morta.
Hareis avrebbe voluto urlare; ora che erano arrivati così vicini alla possibilità di salvarla, non avrebbe sopportato l’idea di perderla.
Perdi colpi. Ti stai sentendo? Era ridicolo e lo sapeva.
Doveva smettere di pensare a lei. Sarebbe sopravvissuta o sarebbe morta, non dipendeva da lui. Comunque andasse, non poteva permettere che la cosa lo distruggesse, non ora che il suo contributo era diventato così fondamentale, fra i Ribelli. Aveva addirittura una mezza idea di domandare a Theor un trasferimento: raggiungere il suo fidato amico Ferlon sul campo di battaglia gli avrebbe fatto bene. Se non altro si sarebbe allontanato dagli affari burocratici e da Sephirt. Prima però doveva almeno aspettare di avere qualche certezza a proposito della sua sorte.
Se fosse sopravvissuta, prima di andare avrebbe dato di tutto pur di salutarla un’ultima volta. L’uomo respirò profondamente, mentre lentamente le tenebre avvolgevano il suo corpo e la sua mente. Avrebbe avuto tempo per riflettere l’indomani, ora doveva sforzarsi di allontanare quei pensieri disturbanti.
Non impiegò più di una decina di minuti per addormentarsi.


Hareis si svegliò con un pungente e fastidioso dolore alla gola.
Riposare con indosso i vestiti ancora freddi e umidi pareva non avergli fatto particolarmente bene. Era ormai estate, eppure il clima ad Amaria rimaneva instabile e piuttosto freddo, caratterizzato da quella fastidiosa umidità.
Hareis si scostò dalla fronte un ciuffo di capelli spettinati e strizzò gli occhi un paio di volte; si sentiva uno straccio. Si rialzò, si avvicinò alla propria scrivania e afferrò una brocca d’acqua ancora mezza piena; dopo averne rovesciato il contenuto in una bacinella di metallo vi intinse le mani e si risciacquò il volto. L’acqua fresca contribuì a risvegliare la parte di lui che era rimasta nell’incoscienza, al che lui si sentì un minimo meglio. Afferrò uno straccio e se lo passò in viso, resistendo alla tentazione di ficcarselo in bocca e urlare con tutta la forza di cui era capace. Si limitò a gettare il panno bagnato a terra.
In pochi ponderanti istanti prese la sua decisione.
Nemmeno venti minuti dopo si trovava già a palazzo, accuratamente riordinato e indossando un mantello pulito. Se proprio doveva comunicare a Theor le sue intenzioni, tanto valeva farlo subito.
Accomodato su una sedia nell’abituale sala delle riunioni, rifletté un attimo su come formulare ciò che intendeva, poi disse in tono serio:- Non posso mentire, Theor. Ho passato due settimane devastanti. Forse avrei bisogno di allontanarmi da qui per un po’.

Theor alzò un sopracciglio, e all’istante Hareis colse nella sua espressione un tocco di disapprovazione. – E che cosa pensi possa aiutarti, in questo momento?

- So di dover fare la mia parte, ora più che mai – riprese lui sostenendo il suo sguardo. – Ma forse ci sono altri luoghi dove potrei essere più utile.

– Ad esempio il fronte?

– Ad esempio il fronte – confermò Hareis annuendo. – Hai mandato Ferlon a conquistare Hiexil, lascia che io lo aiuti, che prenda il comando di altre armate. Se vogliamo andare avanti non possiamo rimanere in stallo, le guerre si vincono sul campo di battaglia.

– Hai perfettamente ragione, e credo tu lo sappia – rispose Theor freddo. – Ma purtroppo non è così semplice. Tu mi servi qui, sai bene che mi rimangono pochi uomini, nella capitale.

– Hai Wesh – obiettò subito Hareis. – Chi potrebbe essere meglio di lui per occuparsi degli affari politici?

In effetti, con l’età che avanzava, l’anziano Wesh aveva forse perduto la mobilità e alcune delle sue capacità magiche, ma di certo la saggezza e la perspicacia continuavano ad appartenergli. Da sempre era il braccio destro di Theor per le questioni burocratiche, finché avessero potuto contare su di lui Amaria sarebbe stata in più che ottime mani.

– Un concilio non può essere composto da soli due uomini, Hareis – gli ricordò Theor in tono pacato. Ma l’altro non voleva mollare; avvertiva il disperato bisogno di fare qualcosa, di agire.

– Puoi richiamare Ferlon stesso, o Astapor Raek – affermò. Il mago di fronte a lui scosse la testa agitando una mano. – Raek si trova a Città dei Re su mio ordine, tornerà non appena avrà concluso il compito che gli ho affidato. E Ferlon, lo hai detto tu stesso, è lontano. Ha conquistato Hiexil, quindi suppongo che la sua presenza sul campo sia più che necessaria.

A questo Hareis non seppe come replicare. Theor non aveva modo di immaginare quanto lui avesse bisogno di allontanarsi.
Non si accorse che l’uomo si era soffermato a squadrarlo, pensieroso.

– Come mai vuoi andartene, Hareis? – gli chiese in tono leggermente più morbido.

Lui non riuscì a guardarlo negli occhi: si sentiva un idiota, un debole, preso dal tentativo di fuggire dal proprio dolore e le proprie afflizioni…

- È per Sephirt, non è vero?

Ma come diavolo faceva a sapere sempre tutto?
Hareis non disse nulla, ma parve che il suo silenzio risultasse piuttosto eloquente per Theor. L’uomo trasse un lungo sospiro, e Hareis attese trepidante che riprendesse a parlare: la sua risposta sarebbe stata definitiva.

– Forse ormai sei stato qui abbastanza – decretò il Ribelle, e Hareis sorrise leggermente. – Capisco tu abbia voglia di agire. Ho bisogno di recapitare una lettera a Ferlon con nuove disposizioni. Quel territorio brulica ancora di soldati ariadoriani, non posso rischiare che finisca nella mani sbagliate; recandoti a Hiexil potrai consegnargliela tu stesso. Quando sarà di ritorno, Raek potrà prendere il tuo posto qui ad Amaria.

– Ti ringrazio, mio signore – Hareis fece per rialzarsi, riconoscente, quando Theor lo fermò afferrandolo per un polso.

– Non prendere questa guerra alla leggera, Hareis – proferì con la massima serietà. – Ti ho addestrato affinché diventassi uno dei migliori, e così tu hai fatto. Ma se pensi che lo stato in cui ti trovi ora, o la paura per Sephirt, o qualunque altra cosa, possa distrarti dai tuoi nuovi compiti, allora faresti meglio a dedicarti a qualcos’altro.

Hareis deglutì, ma mantenne lo sguardo fermo. – Non ti deluderò – disse a denti stretti. – Non l’ho mai fatto.

Si scostò dal suo vecchio maestro e si voltò, lasciandosi alle spalle la sala delle riunioni. Attraversò i corridoi che lo separavano dall’ampia sala d’ingresso deciso a tornare a casa in fretta e prepararsi seduta stante. Eppure, quando si trovò presso il portone d’ingresso si bloccò, come trattenuto da una forza invisibile. Il laboratorio dell’ex custode era lì, a poche decine di passi di distanza. Un fremito di angoscia attraversò la schiena del mago: aveva l’occasione di salutare Sephirt un’ultima volta, perché sprecarla? Certo, non s’illudeva: sapeva benissimo che in quel momento la strega poteva essere ancora incosciente, o in stato terribilmente confusionale, o… morta. Non sapeva neanche se Ryeki lo avrebbe lasciato entrare.
Eppure…
S’incamminò verso lo stretto corridoio che portava ai sotterranei, alla cripta e in quel caso alla sua destinazione, e quando giunse alla porta in legno scurissimo che ben conosceva si fermò. Esitò per qualche istante, sentendosi più stupido che mai, poi batté un paio di colpetti alla porta.
Niente, nessuno rispose. Cercando di mantenere calmo il respiro bussò di nuovo, con più decisione, ma niente. Da dentro sentiva provenire a intermittenza rumori di varia natura: passi leggeri, oggetti che venivano posati su ripiani di legno, un insistente gocciolare sul pavimento… Sperando che a nessun altro balzasse in mente l’idea di dare un’occhiata in quella zona del palazzo, l’uomo si chinò inginocchiandosi a terra e accostando un occhio al buco della serratura metallica.
Un paio di gambe, presumibilmente appartenenti al custode, stavano ferme accanto al ripiano del tavolo posto in mezzo alla stanza. Su di esso, era visibile parte di un braccio, disteso, pallido, immobile. Era evidente appartenesse ad una persona distesa su quel piano. Quindi Sephirt era ancora lì, dunque. Ancora svenuta, ancora più morta che viva.
Hareis non riuscì a resistere alla curiosità. Si rimise in piedi.

– Custode Ryeki, sono Hareis. Theor mi manda a controllare come procedono le misure curative su Sephirt – mentì senza pensarci.

Attese qualche secondo, poi arrivò l’aspra risposta del custode:- Non sono ancora certo di nulla, ora ho bisogno di lavorare. Parlerò con Theor quando avrò terminato il tutto.

Hareis sperò che l’anziano mago dicesse ancora qualcosa, ma nel corridoio scese nuovamente il silenzio. L’uomo rifletté un attimo su quali parole scegliere, poi chiese l’unica cosa sensata:- Sephirt vivrà?

Non ottenne risposta.



STATO DEI RE NORD-OCCIDENTALE


Lui e Gala si erano sistemati per la notte in un granaio abbandonato, una struttura di legno tremolante ma asciutta e ancora colma di paglia.
L’indomani sarebbe stata una giornata estremamente impegnativa, lo sapevano bene, per cui avevano pensato fosse meglio trascorrere una buona notte di sonno, prima. Jel aveva stabilito fosse meglio iniziare le ricerche dividendosi e chiedendo informazioni a riguardo di Malcom Shist e Peterson Cambrel; una volta fatto ciò si sarebbero ritrovati in un luogo prestabilito per poi recarsi insieme dalla persona interessata.
Mentre Gala accanto a lui dormicchiava stesa sulla paglia – o almeno pareva così facesse – Jel rifletteva, rigirandosi fra le mani la piccola spilla del Consiglio. Era incredibile che dopo tutte le rocambolesche complicazioni che avevano superato quel piccolo gioiello fosse ancora nelle sue mani. Dopotutto, aveva rischiato di perderlo così tante volte… Il fatto che ancora vi potesse contare era una fortuna, naturalmente. Se voleva avere almeno una minima possibilità di convincere quei due uomini di Città dei Re – chiunque fossero - a riconsegnare loro la Pietra.
Avvolto dal buio e dal silenzio, Jel non poté far altro che rivolgere il pensiero a Jack e agli altri uomini del campo; che ne era stato di loro?
Jel non era sicuro di aver provato qualcosa di anche lontanamente simile alla simpatia per Jack, ma che lo ammettesse o no gli erano debitori. Aveva salvato Gala da morte certa, durante la battaglia con i Ribelli, e di questo il giovane era infinitamente riconoscente.
Ripensò anche alle parole del comandante riguardo a Hiexil: la città era stata conquistata dai Nordici, era incredibile… Dopo Rosark era probabilmente la città del Nord dell’Ariador più grande e importante, e il fatto che ora fosse in mano agli uomini di Theor era un auspicio pessimo. Jel non credeva che i Ribelli avrebbero potuto arrivare a tanto. Erano organizzati, convinti, dannatamente numerosi. Pareva che le intere Terre del Nord si fossero riversate lungo il confine sostenendo quella causa.
Dopo aver fallito l’ennesimo tentativo di trovare una posizione comoda, il mago si mise a sedere, poi si alzò. Non vedeva l’ora che arrivasse la mattina successiva; avrebbe potuto svegliare Gala e chiederle di ripartire subito, ma non lo fece. Glielo doveva, dopotutto: la ragazzina si meritava un po’ di riposo, dopo l’intensissima giornata passata al campo e gli ultimi giorni di cavalcate quasi senza soste. Mosse qualche passo fino a raggiungere l’alta entrata del granaio, i cui battenti erano ormai crollati e invasi dalle tarme.
Si soffermò per qualche minuto ad osservare il cielo stellato sopra di sé, affascinato. Era una nottata splendida, e non c’erano nuvole a celare quell’infinito firmamento. Inspirò a pieni polmoni l’aria fresca, chiudendo gli occhi. A circondarlo era un’insolita atmosfera di pace. Il clima era tiepido – era estate, e loro erano scesi leggermente più a sud rispetto al campo ariadoriano – e non c’era nulla che richiamasse il caos da cui erano stati avvolti fino a due giorni prima.
Jel guardò ad ovest, verso Città dei Re; ormai erano così vicini da poterne scorgere le mura ed i palazzi. La loro destinazione finale, finalmente ce l’avevano fatta.
Il mago già pregustava il sollievo nel ritrovarsi nuovamente fra quelle mura amiche, per una volta non circondato da persone che volevano ammazzarlo.
Con un sussulto ricordò che proprio in quei giorni, probabilmente, i famosi Giochi Bellici stavano volgendo al termine, ergo la città sarebbe stata ancora più affollata e caotica del solito. Una ruga di fastidio segnò il suo volto. Durante l’intero loro viaggio avevano sempre potuto contare su una tempistica davvero perfetta…
D’un tratto, un lieve singhiozzo lo riscosse dai suoi pensieri. Si voltò in direzione di Gala e vide che, stesa su un fianco, piangeva silenziosamente.
Sapeva che non sarebbe mai riuscita a riposare per bene. Le si avvicinò, si accovacciò vicino a lei e le mise una mano sulla spalla.

– È per quello che è successo nel campo? – riuscì a chiederle.

Lei scosse la testa. – No – rispose con un fil di voce, sconsolata. – È per Camosh.

Camosh.
Fra l’incursione ad Amaria, la morte di Ftia, il duello con Sephirt e la battaglia nel Nord il giovane se n’era quasi completamente dimenticato. Nel sentire il suo nome avvertì immediatamente una morsa serrargli lo stomaco; una volta tornati a Grimal avrebbero dovuto confrontarsi con quella verità. Forse, se il corpo del maestro fosse stato ritrovato, avrebbero potuto partecipare al suo funerale. L’idea gli mise addosso una sorta di nausea: non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una situazione del genere. Camosh, un uomo così saggio, un mago così abile... probabilmente ucciso da quel maledetto traditore.
Jel si limitò a tacere, sempre tenendo una mano ferma sulla spalla della ragazza. Non avrebbe saputo che dire per consolarla. Chissà quante cose erano cambiate dalla loro partenza. Erano passati mesi e mesi dall’ultima volta che erano stati a Grimal, ed era da parecchio che ricevevano notizie della loro città natale.
Con un tuffo al cuore, Jel si ricordò anche di Astapor Raek. Il traditore. L’infiltrato di Theor nel Gran Consiglio. Giunto a Grimal avrebbe dovuto pensare anche a quello, e denunciarlo davanti agli altri Consiglieri. Sempre che non avesse già abbandonato definitivamente le Cinque Terre per rimanere ad Amaria…
Rimase fermo ad ascoltare Gala singhiozzare ancora per molti, interminabili minuti.
Alla fine, dopo che ebbe la certezza che la strega si fosse finalmente riaddormentata, si allontanò di qualche passo e si stese a sua volta sulla paglia.
Ora basta preoccuparsi, si disse risoluto. Cerca di dormire, ne hai bisogno. Il domani arriverà in fretta…
Lo sperava. E sperava anche di riuscire a chiudere quella maledetta faccenda una volta per tutte.





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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


29








Non ci volle più di un’ora per raggiungere Città dei Re.
Jel e Gala ne oltrepassarono le mura passando per la Porta Merafs, l’ingresso occidentale della città. Le origini del suo nome erano antiche, antecedenti alle imprese di Wil Cambrest e alla nascita delle Cinque Terre. Le leggende narravano che lord Tarth Merafs, punta di diamante della fazione Ariadoriana che aveva lottato per sconfiggere il predominio del sovrano di Città dei Re sulle lande dell’Ariador, si fosse spinto con la sua armata fino dinnanzi a quelle mura. Era stato allora che, rendendosi conto della ferma tempra morale degli uomini ariadoriani, l’antico Re Garlon I aveva decretato una tregua dando inizio ai trattati di pace.
La prima cosa che notarono fu quanto la capitale di Fheriea fosse trafficata: non era solo la via centrale ad essere affollata, anche nelle strade minori e nei vari cubicoli si intravedevano gruppi e gruppetti di persone. Jel si era aspettato una simile baraonda: i Giochi Bellici erano pur sempre i Giochi Bellici.
Sempre in sella ai cavalli di Kor i due maghi avanzarono, guardandosi intorno.
– Che facciamo, Jel? – domandò Gala a un tratto. – Come troviamo gli uomini che cerchiamo?
– Non ne ho idea – rispose il giovane, vago. – Forse il modo migliore per cominciare è chiedere in giro.
– Come vuoi tu – la ragazzina alzò le spalle. – Peterson Cambrel? – chiese poi alzando la voce. – C’è qualcuno che conosce Peterson Cambrel?
Forse sarebbe stato meglio un modo un po’ meno plateale, ma comunque…
- Malcom Shist? – il Consigliere imitò la compagna. – Cerchiamo un uomo di nome Malcom Shist, qualcuno lo conosce? Oppure Peterson Cambrel?
Non in molti prestarono loro attenzione. Alcuni passanti posarono per pochi istanti lo sguardo su di loro, poi però continuarono a camminare. Jel represse a stento l’irritazione; erano prossimi alla meta, ormai mancava così poco… e nessuno dava loro ascolto.
Procedettero ancora verso il centro della città per molti, interminabili minuti, poi decisero di lasciare i cavalli; non li legarono, e non li affidarono a stallieri. Il loro viaggio era terminato dopotutto, era giusto che li lasciassero tornare dal loro padrone Kor. La strada percorsa era molta, ma l’allevatore aveva assicurato loro che avrebbero potuto ritrovare la strada di casa in qualunque situazione. Per tornare a Grimal avrebbero potuto chiederne al Re di migliori.
Gala pareva piuttosto agitata, e lui non poteva darle torto: anche ora che si erano lasciati i pericoli alle spalle, la trepidanza era consistente. L’intero Consiglio aveva fiducia in loro, deluderli dopo tutte quelle sofferenze sarebbe stato qualcosa di insopportabile.
– E se non troveremo nessuno che li conosca? – lo incalzò la ragazza. - Insomma, Jel, io non so proprio...
– Stai tranquilla – rispose il mago suo malgrado. – Li troveremo. E, al massimo, potremo rivolgerci ai Consiglieri presenti a corte. Loro sapranno di chi parliamo. Ma… intanto continuiamo a chiedere in giro.
Si fermò per domandare informazioni a un paio di ricchi mercanti, i quali si limitarono a guardarli con aria di superiorità per poi tornare sui propri passi.
– Andiamo! – esclamò il giovane spazientito. – Malcom Shist! Peterson Cambrel! Qualcuno sa chi siano?
- Peterson Cambrel? - fu una voce femminile, poco lontana da loro, a ripetere quel nome. Sia Jel che Gala si voltarono istantaneamente verso la fonte, e videro che una giovane donna si era fermata e guardava nella loro direzione.
– Conosci quest’uomo? - domandò Jel cortesemente avvicinandosi. – Sai dove potremmo trovarlo?
– Oh no, non lo conosco di persona – sorrise allegra. - Ma tutti in città sanno chi è.
- Dunque?
- È il grande padrone di Combattenti – spiego lei con semplicità, come se la cosa fosse ovvia. – Jackson Malker, vi dice qualcosa il nome?
- Oh, certo…- rispose Jel rammentando di aver sentito quel nome a proposito dei Giochi, mentre anche Gala annuiva energicamente. – Un Combattente, giusto?
- Certamente.
– E Malcom Shist? È anche lui qui, non è vero?
- Sì, quest’anno non mancherà alla finale…
- Se non chiedo troppo, dove possiamo trovarlo ora? Abbiamo bisogno di parlare con lui.
– Beh, è sicuramente nell’Arena. La finale dei Giochi sta per cominciare, secondo voi dove sta andando tutta questa gente?
– Grazie mille – fece Jel, che per il sollievo avrebbe voluto stringerle la mano. Mentre anche Gala ringraziava rapidamente, il mago si voltò riprendendo a camminare velocemente, seguendo la folla che si dirigeva verso l’Arena.
– Ma c’è la Ragazza del Sangue a combattere, non vi lasceranno mai parlare con lui!- gridò ancora loro dietro la donna, ma loro non se ne curarono.
– Credi che la Pietra sia davvero nelle mani di uno dei due? – gli chiese Gala seguendolo a stento in mezzo a tutta quella confusione.
– Spero di sì – rispose il giovane. – Ma a meno che Theor non abbia mentito, non può che essere così.
- E se l’avessero data via? O venduta?
A quella prospettiva il cuore di Jel sprofondò: se la Pietra del Nord non si trovava più lì, come avrebbero fatto a risalire alla sua attuale posizione?
– Non l’hanno venduta – disse risoluto, più che altro per convincere se stesso della cosa. – Riusciremo a riprendercela oggi, non un giorno più tardi.
Lasciarono la via centrale risalendo per una secondaria, che anche così rimaneva decisamente ampia, addentrandosi nella zona centro-orientale della città. Prima che se ne rendessero conto, i due Consiglieri si ritrovarono oppressi da una calca più consistente rispetto a prima, e alzando gli occhi poterono ammirare la gigantesca Arena dei Combattimenti stagliarsi a qualche decina di metri da loro.
– Fate largo! – udirono una guardia ordinare ad alta voce da qualche parte. – Fate largo ai principi Nimh e Freida!
I figli del Re delle Cinque Terre! Addirittura? Si erano scomodati per assistere alla finale dei Giochi?
Jel li aveva visti numerose volte, ricordava i loro volti, una volta aveva addirittura avuto modo di parlare con loro. Saperli lì in qualche modo lo rassicurò: erano in casa, lì a Città dei Re non era difficile incontrare volti amici. Passarono pochi secondi, poi Jel e Gala riuscirono a scorgere i due gemelli avvicinarsi all’ingresso dell’Arena circondati da una scorta di sei o sette guardie.
Continuarono a camminare.
– Ti consiglio di tirare fuori la spilla, se ancora ce l’hai – suggerì Jel all’amica mente distrattamente faceva lo stesso. Se l’appuntò alla casacca. – Comportati normalmente, d’accordo? Siamo Consiglieri, abbiamo il diritto di parlare con chi vogliamo, se lo riteniamo necessario.
– E… e se non si fidassero? Insomma, qui a Città dei Re non siamo esattamente delle celebrità, e non abbiamo i mantelli del Consiglio…
- Non preoccuparti. E lascia parlare me.
Si unirono alle persone che entravano nell’Arena dall’ingresso principale, ma al posto di dirigersi verso le gradinate del pubblico si ritrassero in disparte, contro alla parete. Due guardie a pochi passi da loro, una a destra e una a sinistra, controllavano che venisse mantenuto l’ordine. Parevano stanchi, anche un po’ stizziti per tutte le persone che pestavano loro i piedi, ma anche piuttosto affidabili. Alti, protetti dalla tradizionale armatura di bronzo delle guardie di Città dei Re, con due lunghe spade assicurate alla cintura. Non indossavano l’elmo, e visto il caldo di quel giorno Jel non poté certo biasimarli. Fece un paio di passi verso loro e appoggiò una mano sul braccio di uno dei due.
– Ho bisogno di chiedervi un favore – proferì ad alta voce.
L’uomo si voltò verso di lui seccato facendogli cenno di allontanarsi. – Ho altro a cui pensare, ragazzo. Se vuoi assistere al combattimento va’ verso gli spalti.
Imperturbabile, Jel indicò con un dito la spilla del Consiglio per portava sul petto. – Direi che assecondare un Consigliere è la priorità, in questo momento.
L’espressione della guardia cambiò in meno di un istante. – Sono mortificato, Consigliere…
- Cambrest.
– Certo. Se mi vuole seguire… - un po’ spaesato, l’uomo si scostò dalle persone che desideravano entrare - …L’aiuterò, se posso.
Tornando indietro, Jel lanciò un’eloquente occhiata a Gala. Vieni.
La guardia cittadina li condusse in una galleria laterale, momentaneamente deserta. – In cosa posso esservi utile? – chiese incrociando le braccia.
– Non ti tratterremo per molto. Ma abbiamo bisogno di discutere di alcuni affari con Malcom Shist e Peterson Cambrel. E’ possibile avere la loro attenzione?
L’uomo aggrottò la fronte e rispose, quasi in tono di scuse:– I loro campioni sono impegnati nell’ultimo scontro, al momento. Non lo so, signori, potrebbero…
Come sempre quando il giovane non se lo aspettava, Gala gli venne in aiuto:- Abbiamo bisogno solo di pochi minuti. Poi potranno assistere alla finale senza più fastidi.
– Non credo abbiano intenzione di ostacolare il lavoro di due Consiglieri – aggiunse Jel con un sorriso incoraggiante.
– Ma certo, certo – replicò l’altro annuendo, evidentemente non troppo ansioso di tornare alle proprie solite mansioni. – Con chi desiderate parlare per primo?
- È lo stesso, non abbiamo fretta.
– Molto bene. Attendete pure qui - la guardia si voltò dimenticandosi chinare il capo, ma Jel non ci diede peso. Onestamente non gli era mai importato degli ossequi che formalmente la gente avrebbe dovuto porgergli.
Lui e Gala rimasero in silenzio nella galleria, con di sottofondo il brusio proveniente dagli ingressi primari. Jel tentava di non darlo a vedere, ma era piuttosto nervoso; non era mai stato capace di dare un’impressione di sé sicura e autorevole quando si trattava di dialogare con estranei. La sua giovane età gli aveva sempre attirato la diffidenza e talvolta anche lo scherno da parte di tutti quei nobili e signorotti boriosi con cui aveva talvolta avuto a che fare. E i padroni di combattenti erano per definizione ricchi, arroganti ed estremamente sicuri di sé. Jel non era sicuro che Shist e Cambrel – sempre ammettendo che avessero ancora la Pietra – sarebbero stati disponibili a riconsegnargliela. Certo, era pur sempre un politico e un Consigliere, ma non aveva prove, non aveva documenti né la certezza di poter svelare il perché della richiesta.
– Che cosa gli diremo, Jel? – chiese Gala a mezza voce quasi interpretando il suo silenzio.
Lui la guardò, pensieroso. – Immagino la verità – rispose. – È sempre la cosa migliore, alla fine. Dobbiamo convincerli che le Cinque Terre hanno davvero bisogno di quella maledetta Pietra.
– Come vuoi – mentre parlava la ragazzina si guardò intorno, palesemente affascinata dalla maestosa struttura in cui si trovavano.
Attesero ancora. Personalmente Jel credette di non aver mai avvertito il tempo scorrere così lentamente.
Alla fine, udirono una voce irritata accompagnare il rumore di passi che si avvicinavano:- Non ho alcuna intenzione di perdere tempo. Che cosa vogliono questi due…?
Gli uomini svoltarono l’angolo. E Jel capì subito che, evidentemente, l’uomo cui si erano rivolti non aveva condotto da loro solo uno dei due padroni di Combattenti, ma entrambi. Uno era alto, moro, dalla carnagione scura da Haryarita. Nonostante l’età paresse averlo appesantito parecchio, ne si poteva indovinare un fisico un tempo atletico, muscoloso. Jel pensò potesse essere stato un Combattente a sua volta. L’altro era più magro, forse più anziano, e l’unico dettaglio che balzò agli occhi ai due Consiglieri furono i suoi occhi: chiari, color grigio ma screziati di verde, carichi di un’innegabile astuzia ed esperienza.
Con un brivido, a Jel balenarono in mente i gelidi occhi gialli di Theor.
– Signori Consiglieri, vi presento Malcom Shist e Peterson Cambrel – li presentò la guardia con cui avevano parlato. – Spero di esservi stato utile.
– Certo, ti ringrazio – Jel annuì, lasciando a intendere che poteva andarsene. Poi volse lo sguardo sui due uomini di fronte a lui. Gala pareva oltremodo a disagio.
- Dunque? – fece Peterson Cambrel sollevando un sopracciglio. Teneva le braccia incrociate; non strinse loro la mano, in effetti non pareva che il trovarsi davanti a due membri del Consiglio gli importasse più di tanto. In ogni caso, entrambi li squadravano freddamente, ansiosi di tornare sulle gradinate per assistere all’ultima battaglia di quell’anno.
Il mago decise di arrivare dritto al punto. – Crediamo che uno di voi abbia qualcosa che ci appartiene.
In realtà non è esattamente la verità.
– Come sapete siamo Consiglieri, ed è d vitale importanza che riportiamo quest’oggetto a Grimal.
– E di che cosa si tratta, esattamente? – lo incalzò Malcom.
Jel trasse un lungo respiro. – È una delle Sei Pietre. La Pietra del Nord.
Non si era aspettato una razione impressionata, o sorpresa. Ma di certo non avrebbe contemplato l’ipotesi di quello che sarebbe accaduto in quel momento.
– Che cosa dovrebbe significare? – domandò Shist acido. – Una delle Pietre dovrebbe essere nelle nostre mani?
No. No. No. Non è qui. Raek ci ha ingannati.
Anche se aveva un groppo in gola, Jel tentò di mantenere un tono di voce calmo. – Sappiamo che si trova qui. Abbiamo viaggiato a lungo per trovarla, a abbiamo bisogno della vostra collaborazione.
– Sta forse insinuando – intervenne Cambrel, sempre con voce rigorosamente gelida – un furto, Consigliere? Perché dovremmo custodire noi la Pietra del Nord?
Jel lanciò un’occhiata a Gala, cercando un aiuto, ma la strega sembrava interdetta quanto lui. Non pareva che i due uomini stessero mentendo.
– Davvero non avete visto nulla di simile? Una pietra ovale, bianca, venature grigie…
- So com’è fatta una Pietra, grazie – lo interruppe l’uomo seccamente.
Jel non seppe più cosa rispondere. Era successo di nuovo. Altre interminabili giornate di viaggio che avevano condotto ad un risultato inesistente. Un altro fallimento.
- Allora?- lo incalzò Peterson. – Possiamo tornare al nostro lavoro?
Il giovane esitò un attimo, poi annuì sconfitto. Non avrebbe saputo che altro fare.
Peterson Cambrel si voltò, dirigendosi a passo svelto verso gli spalti, ma quando Malcom Shist fece per fare altrettanto, a sorpresa Gala fece un passo in avanti.
– La prego, ci deve aiutare – proruppe, afferrandolo per un braccio. – Ci dispiace disturbarla, ma non possiamo più fallire! Le Cinque Terre dipendono da quella Pietra! È sicuro di non aver visto niente di simile?
Per un attimo, l’uomo parve ripensarci; un’ombra di dubbio attraverso il suo sguardo. Poi si liberò dalla stretta di Gala con uno strattone.
– Non mi interessano le Cinque Terre.
Si voltò e, come Peterson Cambrel prima di lui, sparì verso le gradinate.
Jel rimase lì, fermo; non l’avrebbe mai ammesso, ma era mortificato. Non fosse stato così esausto avrebbe anche potuto piangere.
– Jel…- azzardò Gala timidamente. Gli toccò un braccio con la mano. – Jel, mi dispiace tanto…
Ma il mago si allontanò di scattò, facendo un cenno negativo con una mano. – Lascia stare – la fermò. – Non ha importanza.
Rifletté un istante, poi aggiunse amaramente. – Tu va’ al palazzo reale. Avverti il Re, maestro Anerion o chi per lui, digli che la nostra missione è finita. Non abbiamo più alcuna idea di dove possa essere la Pietra del Nord.
– Ma…
- Gala – il giovane la guardò negli occhi. – Non abbiamo scelta. È finita. Che mandino qualcun altro a cercarla, noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo.
Gala non replicò; era palesemente provata e delusa anch’ella. Rimase un attimo lì ferma, gli occhi socchiusi, sconfitta, tormentandosi le mani. Alla fine si strappò la spilla del Consiglio dal petto. Non disse una parola; si limitò a voltarsi e correre via.
Non farà sciocchezze.
Sorvolò sul fatto che ogni volta che aveva formulato quelle parole, in seguito Gala aveva sempre commesso qualcosa di molto stupido. Quella volta sarebbe stato diverso. Era finita, la loro strada si fermava lì.
Per tutto quel tempo non aveva prestato attenzione alle urla e agli schiamazzi provenienti dal campo di battaglia ma ora si rese conto che lo scontro che si stava svolgendo doveva davvero essere senza esclusione di colpi. Il rumore di passi pesanti, lo stridio del ferro che si scontrava a mezz’aria; gli applausi del pubblico si alternavano ad esclamazioni di entusiasmo e stupore. Che aveva da perdere?
Tanto vale dare un’occhiata.
Non aveva più nulla da fare lì. In seguito si sarebbe dovuto presentare a palazzo per riconoscere il loro fallimento, ma per il momento poteva fare ciò che gli pareva.
Uscì dalla galleria e imboccò deciso una delle scalinate per gli spalti. C’era così tanta gente che il giovane faceva fatica ad avanzare. Si guardò intorno, rendendosi conto di essere circondato da persone della più svariata risma: straccioni stravaccati sui gradini di pietra, mendicanti che avevano interrotto il loro lavoro per assistere ad un evento straordinario; ragazzini, giovani donne che avevano avuto l’ardire di sopportare la vista di tutto quel sangue. Vi era anche un considerevole numero di nobili e commercianti altolocati. Avvolti nelle loro vesti pregiate e gli scialli di seta, osservavano il duello nel campo centrale chi col fiato sospeso, chi con aria di superiorità. Nella tribuna centrale Jel scorse nuovamente Nimh e Freida, sempre distinti e regali.
Fu appositamente che Jel guardò i due contendenti al centro dell’Arena come ultima cosa. Non lo aveva mai fatto, suo padre non gli aveva mai permesso di avvicinarsi ad una delle sfide fra Combattenti. Ora, curiosamente, ne aveva l’occasione.
In quel momento non riusciva a distinguerne i lineamenti, ma i due guerrieri erano veloci, forti, si muovevano come furie. Uno dei due era più alto, sembrava in leggero vantaggio, ma l’altro gli stava dando decisamente filo da torcere. Continuava a schivare, schivare, schivare. Porzioni della terra battuta che costituiva il campo erano macchiate di rosso, il risultato di giorni e giorni di combattimenti all’ultimo sangue.
Jel salì più in alto: voleva avere una prospettiva migliore.
Stava oltrepassando due gradini con un’unica falcata quando accadde: fu un lieve presentimento, una sensazione che durò per pochi secondi. Qualcosa di inusuale. Magia estranea.
Lascia stare. Non sono affari tuoi.
Si concentrò nuovamente sul combattimento, realizzando che i due contendenti si erano separati: erano entrambi ansimanti, l’uno da una parte, l’uno dall’altra. Tenevano le impugnature delle rispettive lame serratamente: una spada (la più spessa che Jel avesse mai visto) e una scimitarra, dalla chiarissima lama larga. Ci fu quindi un attimo di pausa poi, senza preavviso, come sostenuto da un’ultima spinta di spirito, il Combattente più giovane si lanciò all’attacco, la scimitarra alzata.
Jel capì che avrebbe dato tutto in quell’ultimo assalto. Il pubblico trattenne il respiro, e il mago mantenne lo sguardo fisso sui due guerrieri che si scontravano di nuovo con furore. Quello più alto tentò di puntellarsi a terra per frenare lo slancio dell’altro, ma qualcosa lo tradì, e i due rotolarono a terra.
Jel capì come sarebbe finita ancor prima che accadesse. Il Combattente che aveva attaccato infierì con forza sul corpo dell’avversario a colpi di scimitarra; subì anche qualche esiguo fendente rivale, ma non bastò. Jel guardò con lieve ribrezzo il corpo dell’uomo che si copriva di sangue, la carne lacerata, mentre con due colpi secchi l’avversario gli mozzava entrambe le braccia. Il frastuono era incredibile.
– MALEDETTA! - gridava il Combattente nei suoi ultimi dolorosissimi istanti di vita, mentre dagli spalti si levavano urla, esclamazioni di terrore o incitamento. Molte delle ragazze più giovani presenti piangevano.
Alla fine, tutto si chetò.
Probabilmente il rivale era già morto da tempo quando il Combattente vincitore fermò il braccio a mezz’aria, ponendo fine alla battaglia. Esitò ancora per pochi istanti, poi si separò dal cadavere dell’avversario. Si rimise in piedi, barcollò un poco. Alzò la propria arma in segno di vittoria.
L’Arena rispose con un boato. Jel poté vedere centinaia di persone alzarsi all’unisono, applaudendo e strillando come pazze. Il giovane fece per unirsi a loro, abbastanza sconvolto, quando lo sentì di nuovo, quella stessa particolare sensazione: fu un attimo, la puntura di un ago, un vago bagliore. Era strano, ma non poteva esserselo immaginato. Due volte erano troppe. Non poteva essere una coincidenza.
Spingendo da parte che si frapponeva davanti a lui, prese a discendere i gradini di Pietra, avvicinandosi alle gradinate inferiori.
Mentre il commentatore strepitava tessendo le lodi del vincitore, Jel guardò meglio, e si rese conto solo in quell’istante che il contendente al centro dell’Arena era una ragazza. Non troppo alta, ma piuttosto atletica, con gambe forti e braccia muscolose. Un fisico adatto per una Combattente… pensò il mago stupefatto, troppo per parlare.
I capelli corti le ricadevano a ciuffi sul viso dalla carnagione chiara e sulle spalle e dal modo in cui, ansimante, alzava ed abbassava il petto per respirare, si capiva che fosse sfinita. Il suo corpetto di cuoio era imbrattato di sangue; pareva avere un lungo e slabbrato taglio sul ventre, ma il mago pensò fosse abbastanza superficiale, anche perché altrimenti a quell’ora la ragazza sarebbe stata già morta.
Una donna vincitrice dei Giochi Bellici di Città dei Re… Jel era quasi sicuro che fosse la prima volta dopo decine di anni. Ma al momento, la cosa non aveva grande importanza.
Finalmente aveva capito; non si era affatto sbagliato.
Trattenendo il respiro, il Consigliere aguzzò la vista soffermandosi sulla scimitarra della Combattente. O meglio, sulla pietra preziosa che era incastonata nell’elsa. Da quella distanza non poteva coglierne i dettagli, ma era bianca, piuttosto grossa. I flussi di Magia che aveva frammentariamente avvertito provenivano da lì.
Il suo cuore parve fermarsi. Theor non aveva mentito. In un certo senso, dal momento che ogni Combattente era proprietà del proprio padrone, era davvero nelle mani di uno dei due. L’ultima Pietra, la Pietra che cercava. La Pietra del Nord.
Un febbrile sorriso si disegnò sul volto del mago. La sua ricerca si era conclusa, finalmente.








NOTE:

Ed eccomi qui, con l'ultimo capitolo della storia, nonché anello di congiunzione tra "La Ragazza del Sangue" e questa "La missione di Jel". Ho aspettato più di due anni per arrivare a questa parte, quella che più mi premeva di raccontare, e finalmente ce l'ho fattaˆˆ
Come ho già detto, la fiction si è praticamente conclusa. Ho solo più l'epilogo da pubblicare.
Prima dei ringraziamenti vorrei chiedere ancora una volta a tutti i lettori di lasciarmi una recensione, se possibile. È importante per me, specialmente ora che il mio lunghissimo e discutibile lavoro è praticamente concluso xD
Ancora una volta, alla prossima <3

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Capitolo 31
*** Epilogo ***


EPILOGO








Il fatto che Sephirt continuasse a giacere inerte sul tavolo degli esperimenti di Ryeki era per Theor motivo di estremo nervosismo. La conoscenza dell’ex custode delle arti magiche era sconfinata, e per questo lui era stato sicuro che una soluzione sarebbe stata trovata alla svelta. Ma i giorni erano passati, i Ribelli avevano conquistato Hiexil e Hareis era partito per il sud, e – di fatto – Sephirt rimaneva fredda e morta.
Theor non era un esaltato: era ben conscio del fatto che l’attacco a Hiexil fosse stato un gigantesco azzardo. La manovra offensiva era riuscita, fortunatamente, ma ora le cose si sarebbero complicate. Era certo che sarebbe stato a quel punto che l’esercito delle Cinque Terre sarebbe entrato in azione. Aveva bisogno di un generale, qualcuno che guidasse le sue legioni con ferocia, con la forza della fede. Qualcuno con la fedeltà di Hareis, la ferocia di Ferlon, l’astuzia di Astapor Raek. E il proprio potere.
E Sephirt era l’unica persona che racchiudesse tutte quelle capacità.
Non aveva dimenticato le parole della strega a proposito della morte di Mal. Svanire del tutto.
Allora Theor le aveva mentito. In verità, scomparire senza l’aiuto della Disillusione non era impossibile. Era un incanto della Magia Antica, anche se solo in pochi ne avevano ancora memoria. Questo perché nessuno da più di mille anni era mai riuscito a padroneggiarlo. Nemmeno lui.
In silenzio, seduto in solitudine nella sala del Consiglio ristretto, Theor maledisse la dannata impulsività di Sephirt. Avrebbe dovuto controllarla, impedirle di intraprendere da sola la strada della vendetta. Né lui né Hareis potevano sapere esattamente cosa fosse successo a Tamithia – come due Consiglieri così giovani avessero potuto ridurre in fin di vita una combattente come lei rimaneva un mistero – ma l’uomo era sicuro che in uno stato di maggiore lucidità Sephirt non avrebbe corso alcun rischio. Le sarebbe bastato aspettare, e la morte sarebbe arrivata per tutti.
E poi c’era la faccenda della Pietra Bianca; ormai erano giorni che Astapor era partito alla volta di Città dei Re per ritirarla. Fino a pochi giorni prima Theor aveva potuto ritenersi decisamente soddisfatto dello stratagemma che aveva adottato per tenerla nascosta, eppure ora non era più così certo della sua sicurezza. Con un leggero sforzo era riuscito a camuffare il potenziale magico dell’oggetto (che così sarebbe potuto passare per una semplice pietra preziosa) e aveva ordinato a uno dei migliori armaioli di Amaria di incastonarla nell’elsa di una delle sue lame. Il destino aveva voluto che tale armaiolo fosse solito vendere le proprie spade agli organizzatori dei Giochi Bellici, e la notizia era stata ben accolta da Theor. Era perfetto. I Combattenti erano perlopiù una marmaglia di poveracci e assassini, e per tanto era improbabile che la Pietra suscitasse in loro la minima curiosità. E in genere Consiglieri o maestri non si avvicinavano all’Arena e ai combattimenti, quindi – paradossalmente – Città dei Re sarebbe stato una nascondiglio sicuro.
Ma Astapor Raek continuava a non tornare. Teoricamente sarebbe dovuto essere facile convincere Peterson Cambrel o chi per lui a restituire qualcosa di importante a un Consigliere.
Ma Astapor Raek continuava a non tornare, e Theor cominciava a spazientirsi.
– Mio signore…
Theor alzò lo sguardo e vide davanti a sé, fermo sulla porta, un giovane attendente. Sembrava a disagio.
– Che cosa c’è? – domandò tagliente, anche se aveva avvertito il proprio respiro farsi leggermente più affannoso.
– È per il custode Ryeki – rispose il ragazzo a capo chino. – È stato lui a mandarmi. Dice… dice che l’esperimento è andato a buon fine.
Eccellente. Dunque aveva fatto bene a fidarsi di lui.
L’attendente non si muoveva, né proferì più parola.
–Allora? – lo incalzò Theor. – Vai a chiamarlo. Digli di portare Sephirt qui da me.
– Certamente, certamente – rispose lui in fretta, per poi voltarsi e sparire. Theor tornò ad accomodarsi sul proprio piccolo scranno.
Non sarebbe stato male, una volta vinta la propria guerra, poter usufruire di uno più grande. Certo, il trono del Re sarebbe stato ubicato nella sala centrale, ma per il proprio concilio lui avrebbe potuto accontentarsi della scranno della reggia ariadoriana, o thariana.
Theor ancora non sapeva per certo se desiderasse o no proclamarsi re del proprio nuovo regno. Regno che, a seconda di come sarebbero andati i suoi piani, sarebbe potuto essere più o meno esteso. In realtà, l’idea verso la quale era più propenso era di investire di quella carica qualcun altro, rimanendo nella retrovie: qualcuno come Hareis, ad esempio, o un uomo devoto come Nax. Se si fosse sentito particolarmente generoso avrebbe anche potuto permettere al giovane Robyn di tenersi il proprio titolo di sovrano. Un simbolo, più che altro. L’incarnazione della propria vittoria. A lui, Theor, non interessavano troppo i titoli; quello che gli premeva davvero, ciò che lo attirava e lo aveva sempre, irrimediabilmente attirato era il potere. Illimitato, incondizionato potere.
Per qualunque problema, insoddisfazione, aggressività, il popolo avrebbe avuto un re cui rivolgersi, il catalizzatore di tutte le sue volontà. Tutto ciò mentre Theor – di fatto – avrebbe governato.
L’uomo fu strappato ai propri sogni di gloria solo dall’ingresso nella stanza di altre due persone: uno era l’ex custode Ryeki, l’altra altri non poteva essere che Sephirt. Immobile, il volto celato da un cappuccio di velluto grigio.
- Allora? – fece Theor, mantenendo lo sguardo fisso sulla donna.
Fu Ryeki a rispondere:- Mio signore, ho compiuto ciò che mi avevi chiesto. E’ stato necessario più tempo del previsto, ma come può vedere, eccola. Sephirt vive ancora.
– Molto bene – Theor si alzò, muovendo qualche passo verso di lei. Fece scivolarle il cappuccio via dal volto. Sephirt rispose al suo sguardo con occhi incredibilmente fermi. La guancia destra era curiosamente rigata da quello che pareva un lungo taglio ormai cicatrizzato. Non ricordava di averlo notato quando Hareis l’aveva riportata ad Amaria. Guardò Ryeki sollevando un sopracciglio per chiedere spiegazioni.
– Come ho detto… - spiegò l’anziano mago a bassa voce. – Sono stati necessari più tempo e più fatica del previsto. Ci sono stati… lievi incidenti.
Theor non aveva idea di ciò che il custode avesse combinato nel suo laboratorio, e decise di non volerlo sapere. Non gli interessava.
– Puoi sentirmi, Sephirt? – chiese lentamente, tornando a squadrare la ragazza.
– Ma certo – rispose lei con l’ombra di una lieve stizza, e Theor si sentì compiaciuto nel constatare che forse, almeno parte del suo carattere era rimasta immutata. Certo, che il suo corpo avesse subito uno sconvolgente cambiamento era chiaro: più pallida che mai, la pelle diafana e il bianco degli occhi striato di rosso, pareva ancora più morta che viva.
– Sei sicuro che sarà in grado di padroneggiare la Magia come prima? – chiese Theor dubbioso guardando Ryeki di sbieco.
– Non come prima… – rispose lui con un sorriso. – … molto meglio. Ne avrà la totale consapevolezza. Potrà contare saldamente su ogni singola goccia del suo potenziale.
– Era proprio ciò che desideravo sentire – Theor sorrise compiaciuto. – Puoi andare, custode. Ti ringrazio infinitamente.
– Dovere, mio signore – Ryeki si esibì in un piccolo inchino, dopodiché si voltò e uscì a grandi passi dalla sala.
Che torni pure ai suoi veleni e ai suoi libri. Ha fatto ciò che doveva.
Rimase fermo di fronte a Sephirt, a studiarne i particolari. Non pareva essersi indebolita.
– Dunque, mia cara… - esordì con calma. – Ti è stata data una seconda possibilità. Mi hai disubbidito, lo sai?
Sephirt chinò il capo senza dire una parola.
– Tuttavia… - riprese il mago. – Tu mi servi ancora, ed è per questo che sei qui. Ho bisogno di te e del tuo sconfinato talento. – Attese una reazione; la stava valutando. Voleva capire quanto la sua personalità si fosse mantenuta, e realizzò con lieve stupore che le sue parole non avevano variato l’espressione di ghiaccio della donna. Forse, dopotutto, era meglio così. L’emotività era stato sempre uno dei punti di forza, ma anche di debolezza della strega che aveva davanti.
– Dal momento che il custode sostiene che i tuoi poteri siano intatti, credo sia venuto il momento di tornare in azione. Sì, in effetti penso proprio di aver bisogno di un generale che guidi le nostre forze come solo tu potresti fare.
- Perché? – domandò Sephirt, e Theor avvertì una stilettata di fastidio. Pensava di non dover incontrare nessuna resistenza. – Perché dovrei accettare?
La risposta giusta non impiegò più di un istante ad attraversare la mente di Theor.
Tornò a fissare Sephirt con un’ombra di vittoria nello sguardo.
– Sei ancora intenzionata a vendicare Mal Ennon?








NOTE:

Finalmente ce l'ho fatta!!!!
Quanto tempo ci ho messo, due anni (con tanto di ritardi mostruosi)? Beh, sono incredibilmente felice. Anche se non è proprio andato tutto come speravo. Anche se ho paura che in generale risulti una storia un po' lenta e a tratti noiosa. Anche se mi è mancato tantissimo scrivere di Dubhne. Anche se non sono riuscita a convincere i lettori a recensirmi :')
Ma non importa, dopotutto the show must go on, no, in realtà sono io che voglio continuare a scrivere perché la storia non si conclude qui. E come potrebbe?
Per chiunque abbia apprezzato la mia fiction, Jel, Gala, Jack, Sephirt e, stavolta, anche Dubhne torneranno fra - spero - un paio di settimane con il terzo capitolo della trilogia ^^
Vi prego, per l'ultima volta, recensite in tanti, insomma... è l'epilogo! ;)
Non so se pubblicherò ancora un capitolo di ringraziamenti, per cui per ora concludo qui. A presto!

TaliaFederer

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Capitolo 32
*** Ringraziamenti ***


RINGRAZIAMENTI








Ebbene sì - o forse dovrei dire ebbene no - molti aspetti riguardo questa storia non sono andati esattamente come speravo.

Per quanto mi sia sforzata, continuo a ritenere che la trama abbia stentato un po' a decollare e - anche nel momento in cui ci è riuscita - io non abbia gestito perfettamente tempo e avvenimenti.

Insomma, avete presente George R.R. Martin? Per ora le sue Cronache del Ghiaccio e del Fuoco contano cinque libri, tutti da più di 500 pagine, eppure ogni cosa (almeno a mio parere) è coordinata, amalgamata con le altre e con un incredibile senso logico. Insomma, è come se la storia - partita lineare - continui a ramificarsi in modo sempre più complesso, eppure sono sicura che prima o poi le trame torneranno a semplificarsi fino a ricongiungersi nel filone finale.

Ecco, questo è esattamente ciò che non credo di essere riiscita a fare, né con questa storia né tantomeno con la precedente.

Certo è che io non abbia nemmeno un grammo del talento di Martin, ma forse avrei potuto fare qualcosina in più, a mio parere.

E nonostante questo eccomi qui, con una storia mediocre tra le mani che d'altra parte mi ha regalato un mucchio di soddisfazioni, probabilmente anche più della Ragazza del Sangue.

Ma il mio ringraziamento più sentito va sicuramente a tutti coloro che abbiano letto e apprezzato il secondo atto del II ciclo di Fheriea, anche se - certo - avrei apprezzato qualche recensione e parere in più. Ma non importa, mi pare stupido e inutile tediarvi su quanto sia demoralizzata (scherzo ovviamente xDxDxD) per cui lancio un GRAZIE speciale a :

- Marty_598, LadyRhaenys_Targaryen, Hyrie, Denisa99, _Edvige_, Arya373 e Miwako Honoka che hanno seguito la mia storia lasciando bellissime recensioni e utili consigli;
- Arya373, Dalmar90, Easter_huit, Ernesto507, FeelingRomanova, Hyrie, Marty_598, Ridley Jones Stark, Shiro93, Supernova_151 e The_Player che hanno inserito la mia storia fra le preferite;
- Ancora Easter_huit che ha inserito la storia fra le ricordate;
- Bonsai95, Dalmar90, Darkparadise, Hyrie, ioaz, Miwako Honoka, nadine5, nanettaportasfiga, rem1xaa, strawberryeryanlove99 e _Directioner_Horan99 che hanno inserito la fiction tra le seguite.

UN BACIO A TUTTI!

Se quando verrà il momento vorrete ancora seguire il II ciclo di Fheriea - che come ripeto da mesi (logorroica) ho intenzione di completare con un terzo romanzo - ne sarò felicissima. Il capitolo conclusivo s'intitolerà Una nuova Era e... beh, spero di pubblicarne il primo capitolo al più presto, ma dovrei farcela già nel weekend ^^

Ma ora basta, immagino vi siate stancati paragrafi fa di leggere di me che straparlo di me stessa. Non fate mancare le vostre recensioni xD

Alla prossima storia,

TaliaFederer

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