Skyfall

di TheHeartIsALonelyHunter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** On Hogwarts Express-prima parte ***
Capitolo 3: *** On Hogwarts Express-seconda parte ***
Capitolo 4: *** On Hogwarts Express-terza parte ***
Capitolo 5: *** Talking about a tournament, glory and love ***
Capitolo 6: *** Before the schools 'arrival ***
Capitolo 7: *** The Goblet of Fire ***
Capitolo 8: *** Before the Game's begin ***
Capitolo 9: *** The Three (Four) Champions ***
Capitolo 10: *** Hufflepuff (Where they are just and loyal, Those patient Hufflepuff are true and unafraid to toil) ***
Capitolo 11: *** The First Task ***
Capitolo 12: *** What could go wrong? ***
Capitolo 13: *** Invitations-part 1 ***
Capitolo 14: *** Invitations-part 2 ***
Capitolo 15: *** Before the Yule Ball ***
Capitolo 16: *** The Yule Ball-First part ***
Capitolo 17: *** The Yule Ball-Second part ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nome:
Cognome:
Sesso:
Aspetto fisico:
Segni particolari:
Carattere:
Stato (mezzosangue, purosangue...):
Famiglia:
Madre:
Padre:
Sorella/fratello:
Bacchetta:
Animale: (sia da compagnia che Patronus)
Casa:
Ruolo futuro(Quidditch, caposcuolA, prefetto):
Materia preferita:
Storia d'amore:
Storia prima degli undici anni: 
Durante il settimo anno di Harry (quando il Trio è in cerca di Horcrux):
Durante la battaglia di Hogwarts:
Dopo la battaglia di Hogwarts:
 
Harry Potter entrò nello scompartimento del treno con un sospiro di sollievo e sistemando lo zaino.colmo di libri sul pavimento.
Il ragazzo si gettò letteralmente sul sedile chiudendo gli occhi soddisfatto.
“ODIO questi libri” esclamò il ragazzo mentre Hermione Granger e Ron Weasley entravano a ruota dietro di lui.
“Di che ti lamenti, Harry?” chiese la ragazza sedendosi e appoggiando lo zaino sulle ginocchia. “Ho dato un’occhiata alla lista dei libri di testo che avremo l’anno prossimo, e ci sono addirittura tre libri in più!”
Ron sbuffò e si sedette di peso accanto all’amica.
“Solo tu potevi andare a cercare simili informazioni, Hermione”.
La ragazza girò la testa verso il rosso e rispose, tagliente:
“Evidentemente esistono persone che sono più intelligenti di te, Ronald”.
Ron alzò le mani come in segno di resa ed esclamò, leggermente piccato:
“Siamo nervosetti, eh?”
Hermione preferì troncare la discussione, girandosi arrabbiata verso il finestrino.
Il ragazzo alzò le spalle e afferrò “La Gazzetta del Profeta” dallo zaino con noncuranza.
Harry sorrise a quel litigio, chiudendo poi gli occhi nel tentativo di prendere sonno.
“Diamine, Harry, ci hanno persino citato sul giornale!” esclamò Ron pochi secondi dopo, risvegliandolo subito dallo stato di tepore in cui era caduto.
“DIAMINE, RON! Stava tentando di dormire!!” sussultò Hermione verso l’amico.
Ron spalancò gli occhi, stupito dall’atteggiamento rabbioso dell’amica.
“Sbaglio o sei veramente intrattabile oggi?”
Hermione lo picchiò con il pugno sulla spalla, sbuffando arrabbiata.
Il rosso non rispose alla provocazione, preferendo mostrare all’amico il giornale.
“Vedi?” chiese lui indicando un punto ben preciso sulla prima pagina.
Harry si sporse verso il ragazzo e si chinò a osservare la foto sul giornale.
Il Marchio Nero in tutto il suo splendore lo fece rabbrividire per un istante, e così anche le poche parole che il titolo riportava:
“MARCHIO NERO ALLA FINALE DELLA COPPA DEL MONDO DI QUIDDITCH”
Subito sotto la prima immagine, una seconda, anche questa in movimento, in cui apparivano proprio loro tre.
“IL BAMBINO CHE E’ SOPRAVVISSUTO DISCEPOLO DEL SIGNORE OSCURO?”
“Papà direbbe che è una gran porcheria” soffiò Ron, osservando Harry in viso.
“E avrebbe ragione!” ribattè Hermione, avvicinandosi anche lei a osservare il giornale. “Nessuno ha più motivi per avercela con Tu-Sai-Chi di Harry”.
Il ragazzo spostò lo sguardo fino alla fine dell’articolo, ricercando il nome della giornalista.
“Rita Skeeter…” sussurrò, leggendo il nome in neretto. “Tu ne hai mai sentito parlare?” chiese rivolto a Hermione.
La ragazza scosse la testa.
“No, mai”.
Harry sospirò e riconsegnò La Gazzetta nelle mani di Ron, con uno sbuffo di disapprovazione.
“Certo che si inventano proprio di tutto per fare soldi…”
“Considerando anche che potrebbe anche essere stata quell’Elfa…” rispose Ron, causando l’ira di Hermione.
“Non è stata lei, va bene???” sbottò la ragazza, agitando le mani in uno scatto di nervosismo.
“Chi può dirlo?” disse il rosso, alzando le spalle con flemma. “Per quanto possiamo saperne…”
“Non è stata lei e basta, OK?” ribattè Hermione voltando per l’ennesima volta le spalle al ragazzo.
Ron si rivolse ad Harry, stizzito dall’atteggiamento dell’amica.
“Dille anche tu che è completamente fuori!!”
Il ragazzo occhialuto preferì richiudere gli occhi, nel tentativo di prendere sonno: mancava ancora molto per arrivare e non aveva intenzione di passare tutto il viaggio a sentire quei due litigare.
“Spero almeno che si calmino appena arriveremo…” pensò tra sé e sé.
Appoggiato sul sedile accanto, la foto del Marchio Nero pareva osservare il ragazzo con malignità.
Ma Harry non se ne accorse.

NOTE D'AUTRICE:
OK, è orrendo.
Però come inizio volevo fare qualcosa per introdurre un pochino al quarto anno dei nostri eroi.
OK, lo ammetto, l'ho ambientato dal quarto libro anche perchè al mio personaggio farà comodo.
Chi è questo personaggio? Non lo saprete fino alla fine della storia.
Comunque, spero partecipate in tanti! Lo schemetto da compliare è all'inizio e dovete madarmelo come messaggio personale ben compilato,.
NON rivelate mai quale sia il vostro personaggio, mi raccomando.
A parte questo... Vi avviso subito che probabilmente aggiornerò molto (MOLTO) irregolarmente, però vedrò anche come sono messa con la scuola.
L'idea, ripeto, mi deriva da Mik_ che ha usato la stessa idea ma nel contesto dei Fodnatori e che io ho voluto trasporre nella Generazione Intermedia che è la mia preferita.
Spero vi piaccia l'idea e che, ripeto, parteciperete in tanti perchè, lo dico subito, se non mi arrivano abbastanza profili io chiudo baracca e burattini!

 

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Capitolo 2
*** On Hogwarts Express-prima parte ***


Sarah Taylor gettò molto rudemente lo zaino sul sedile, facendo sorridere Cho Chang che era già nello scompartimento da un bel pezzo.
“Questi libri…” borbottò la ragazza, massaggiandosi le spalle con la mano.
Dietro di lei, suo fratello gemello John sbirciò nello scompartimento e arricciò il naso alla vista della Chang: che tra i due non scorresse buon sangue era un fatto risaputo.
“Credo che cercherò un altro scompartimento” bisbigliò il ragazzo chinandosi verso la sorella.
A Sarah caddero le braccia.
“Non puoi continuare a evitarla per sempre” sussurrò di rimando la giovane, tenendo bene d'occhio Cho che li osservava aggrottando le sopracciglia.
“È l’ultimo anno, John, poi non la vedrai mai più!”
Il ragazzo alzò le spalle, rispondendo seccamente:
“È la tua migliore amica, non la mia”.
Detto ciò, John si voltò e sparì nel corridoio, probabilmente alla ricerca dello scompartimento di Allison Frost.
Sarah lo osservò allontanarsi con un sospiro di disappunto.
“Mi odia così tanto?” chiese Cho con la sua voce flebile.
Sarah si voltò verso la ragazza, esibendo il suo miglior sorriso per l’occasione.
“No, Cho” rispose, sedendosi sul sedile davanti all’amica. “È solo un pochino stanco…” finse, tentando di suonare il più convincente possibile. Non le piaceva dire bugie, non le piaceva affatto.
Cho parve non fare caso all’incertezza dell’amica e, con un sorriso, le strinse la mano felice.
Sarah rispose con un sorriso a 32 denti.
“Mi sei mancata, quest’estate…” disse la castana, sistemando alla bell’e meglio lo zaino sul sedile.
Cho aggrottò le sopracciglia.
“Ti ho mandato lettere ogni settimana” commentò, alzando le spalle.
“Ma non è come vederti” replicò Sarah tirando fuori dallo zaino un libro particolarmente voluminoso. “E avrò ben il diritto di vedere la mia migliore amica” disse, passandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli (se capelli si potevano definire quella massa marrone corta che aveva in testa).
“Cedric non c’è?” domandò la ragazza, cambiando velocemente argomento.
“No” rispose Cho, afferrando una Tutti i gusti +1che le passava l’amica e masticandola lentamente.
“Credo si sia infilato nello scompartimento di Allison Frost”.
Sarah quasi sputò la caramella che aveva in bocca, all’udire quel nome.
“Oh…” sussurrò, sorridendo conciliante.
Cho invece pareva serena, per nulla insospettita da quella che, ai suoi occhi, pareva una tragedia.
“Lei e Cedric sono così uniti” commentò Cho, mentre lei annuiva poco convinta. “Non mi stupirei se un giorno si fidanzassero” eruppe lei in una risata.
Sarah ridacchiò, tentando di trattenere il nervosismo: non poteva certo mettersi a cantare a squarciagola sul treno per Hogwarts…
“Già…” sussurrò Sarah, bevendo rumorosamente un sorso d’acqua da una bottiglia che aveva portato.
Ci mancava solo quello.
Suo fratello, la sua migliore amica, e la migliore amica di suo fratello.
Chi altro?
Era da quando l’anno prima suo fratello aveva deciso di essersi innamorato di Cedric Diggory (perché in fondo cosa poteva essere quella passione se non una fantasia di suo fratello?) che lei si sentiva come fuori posto quando parlava con Cho, come se parlare con la ragazza che stava con il ragazzo che interessava a suo fratello fosse un peccato mortale, una disobbedienza a una regola prestabilita tra fratelli, un qualcosa fuori natura.
Era una sensazione talmente astratta essere consapevole di stare parlando con una figura di tale importanza nella vita di John che lei non sarebbe mai riuscita a definirla.
Come era indefinibile la sensazione che la accompagnava da quando aveva scoperto che suo fratello era omosessuale.
Non che avesse qualcosa contro simili persone, anzi, ma semplicemente non riusciva ancora ad accettare a fondo quella realtà. Forse il tempo l’avrebbe aiutata ad accettare tale verità, forse distrarsi un pochino sarebbe stata una buona soluzione per quella sensazione di vuoto che a volte la afferrava con prepotenza e la strattonava senza ritegno.
Sarah sorrise: sì, forse la scuola l’avrebbe aiutata ad assimilare tutto quello che era accaduto in quei pochi mesi, tutto quello che era mutato, tutto quello che era cambiato in lei e in John.
Cho le strinse la mano, afferrando un’altra Tutti i Gusti+1 dal pacchettino che l’amica le porgeva.
Sì, forse prima o poi ci avrebbe fatto l’abitudine…

Auror appoggiò la guancia al finestrino, mentre il suo respiro faceva appannare lievemente il vetro.
Il freddo le attanagliava le membra, sebbene avesse addosso già una maglietta a maniche lunghe e una felpa pesante.
ODIAVA l’inverno con tutta sé stessa.
Con un lento movimento, la sua mano andò al suo zaino, appoggiato al sedile, alla ricerca di quella dannata sciarpa.
Sua madre le aveva detto almeno cento volte, prima della partenza, di sistemarsela al collo, ma lei aveva rifiutato, con un secco e deciso:
“Sembra un foulard della nonna…”
Ed ora andava alla ricerca disperata del “foulard della nonna”, tentando di riscaldarsi almeno minimamente dal gelo della stagione.
Sbuffò, mentre si passava la sciarpa intorno al collo.
Odiava ammettere che la sua famiglia avesse ragione. Lo odiava più di qualsiasi altra cosa nella sua vita.
Era semplicemente orrido sentirsi sbeffeggiare da quella civetta lecchina di Brame, mentre stringeva i pugni tentando di non risponderle a tono. E sua madre sempre a darle corda, ripetendo quelle cavolate sul “valore degli ideali” o sull’ “importanza della buona educazione”. A lei di certo non mancavano né gli uni né l’altra, ma non aveva certo intenzione di vivere tutta la vita come una suora!
Aveva sempre tentato, nella sua vita, di distinguersi dal resto della sua famiglia, forse per ribadire la sua diversità, forse per fare dispetto ai suoi e a Brame, forse perché semplicemente non voleva, come quell’ochetta di sua sorella, nascondere la sua vera natura dietro una maschera di finta perfettina.
Era stato per fare dispetto a sua sorella che si era tagliata i capelli in quel modo, corti e biondi (quasi bianchi), sparati all’insù sulla testa. Vedere l’espressione shoccata che si era dipinta in viso alla sua cara Brame era stata una ricompensa sufficiente alla perdita dei suoi bei capelli lunghi e neri.
Successivamente aveva sempre cercato di distinguersi dalla folla, con gesti e azioni a volte fuori luogo, certo, ma sempre ponderati e non esageratamente volgari. Non teneva certo a perdere la sua dignità, nemmeno davanti a quella viziata Serpeverde.
I suoi genitori, Mandy e Louis Potion, erano due Magonò, e fino all’arrivo della sua lettera non avevano mai, MAI accennato alla magia.
Dunque per lei era stata una vera e propria sorpresa vedere entrare in casa un gufo, perdipiù con una busta tra le zampe, mentre i suoi non parevano essere affatto stupiti da quell’apparizione. Aspettavano quel momento da molto tempo, probabilmente. Sua madre più di suo padre.
E così era iniziata la sua carriera scolastica ad Hogwarts, che continuava da ben quattro anni senza troppi intoppi. Con i suoi compagni Corvonero andava tutto alla grande, e voti bassi non ne aveva mai avuti.
Era una ragazza intelligente, lei, ed era una sua personale soddisfazione sapere di essere una studentessa modello.
Ai suoi non poteva importare di meno: erano troppo impegnati a litigare e a sputarsi addosso le più orride sentenze per gioire con lei di una buona media.

Susan si sistemò la sciarpa dei Serpeverde intorno al collo, con estrema fierezza.
Adorava la sua Casa, e adorava farne parte.
Non c’era mai stata una Serpeverde più fiera di essere Serpeverde di Susan Fawn Crimson: la giovane quindicenne era certa come era certa del suo nome che quella era in assoluto la Casa che più la rappresentava.
E in quale altra Casa il Cappello Parlante avrebbe potuto smistarla? Forse con quei rimbambiti dei Grifondoro o quegli smidollati Tassorosso?
No, no, la via di Salazar era la sua via, e i Serpeverde la sua famiglia.
Strano come una Mezzosangue potesse essere tanto ben inserita in un gruppo di ragazzi solitamente così restia a legare con persone non pure di sangue.
Sua madre era una Veela, una bellissima donna dai capelli del colore delle piume di corvo e dagli occhi di ghiaccio di nome Elizabeth Sparks. A suo tempo sua madre era stata una ragazza allegra, scaltra e istintiva, Serpeverde come lei e a tratti incredibilmente crudele. Ora era una dipendente del Ministero della Magia, dolce e devota sposa, almeno all’apparenza. L’aveva vista più volte praticare la magia dopo l’arrivo della sua lettera, con una passione tale da spaventarla. Naturalmente aveva sempre compiuto tutto in gran segreto, all’oscuro da suo padre: Jonathan Crimson, professione avvocato, era un Babbano letteralmente terrorizzato della magia, che aveva scoperto il gran segreto di sua madre solo dopo averla sposata, attratto dalla sua innegabile bellezza. Quando ormai il misfatto era stato fatto, Jonathan non aveva potuto far altro che accettare a testa bassa la situazione, facendosi però promettere da sua madre di non usare mai la magia di fronte a lui o davanti ai figli che sarebbero arrivati.
Susan sbuffò, contrariata. Voleva tenerla lontana dalla magia, il suo paparino. Voleva privarla di quella immensa opportunità. Voleva negarle il suo destino…
Ma nulla aveva potuto fermare la sua entrata nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, nessuna promessa e nessun patto: sebbene suo padre avesse per lungo tempo litigato con sua madre riguardo a quell’ “abominio orrido” (così Jonathan definiva la magia) e al fatto che la loro “bambina” mai avrebbe imparato a praticarla, alla fine era stata Elizabeth a spuntarla. La promessa che avevano fatto non implicava che all’arrivo della lettera a Susan sarebbe stato negato l’accesso alla prestigiosa Scuola. Come sempre, sua madre era stata più intelligente di suo padre.
Alla fine la ragazza era partita, ed era nella Casa di Serpeverde ormai da quattro anni.
Jonathan non aveva mai accettato quella situazione, ma non aveva potuto certo intervenire: ormai ciò che era fatto era fatto, e Susan era ufficialmente un membro della Scuola di Magia più rinomata del paese. E non poteva esserne più fiera.

Ginger si appoggiò alle gambe di Shaula con un miagolio di soddisfazione.
La ragazza non poté fare a meno di sorridere, accarezzando dolcemente il pelo rosso del gatto che ora era accoccolato tra le sue braccia.
Era un regalo di sua nonna, quella dolce e morbida palla di pelo, un regalo della sua cara e vecchia nonna.
Gli occhi le si appannarono per un istante, al ricordo del viso della vecchia e delle serate passate accanto al fuoco ad ascoltare le sue favole.
Subito si passò la mano sotto gli occhi, nel tentativo di stroncare sul nascere quello che probabilmente sarebbe diventato un pianto dirotto.
Era facile che si mettesse a piangere con quell’orrido clima: la sua metereopatia non perdonava mai.
Ma non voleva farsi vedere in lacrime da Susan quando sarebbe entrata nello scompartimento: non avrebbe perso l’occasione di scherzare su quell’avvenimento, con quel suo tono scherzoso e strafottente, senza capire quanto male le facesse.
Certo, anche lei non era da meno: non era passato giorno nella sua vita passata ad Hogwarts in cui non avesse, almeno una volta, sbeffeggiato qualcuno, fossero stati i suoi genitori totalmente fissati con la storia della “purezza del sangue” o qualche Tassorosso frignone. Non che a lei importasse qualcosa della “purezza del sangue” o di tutte quelle cavolate dei Serpeverde: era tutto un gioco per lei, e non poteva importarle di meno se una compagna fosse Nata Babbana, Mezzosangue o Purosangue.
Ma era da quando l’estate era finita che qualcosa era cambiato, che qualcosa si era come spezzato in lei, che qualcosa aveva cambiato la sua visione della vita.
La morte di sua nonna era stata tanto dolorosa per lei quanto proficua per i suoi genitori: Jamie Marshall aveva ereditato tutto ciò che la vecchia, anche lei maga e rigorosamente Purosangue, aveva guadagnato in una più che rispettabile carriera di Auror, e ora sua madre e suo padre navigavano praticamente nell’oro. Non c’era certo tempo per rimpiangere qualcuno che aveva lasciato tanti soldi.
Lei, invece, di lacrime ne aveva versate, e anche tante, per lungo e lungo tempo: aveva vissuto con sua nonna praticamente per tutta la vita, alla cara e confortevole casa al mare che tanto amava.
Era lì che lei era cresciuta, era lì che aveva raggiunto le tappe più importanti della sua vita: lì aveva sperimentato per la prima volta la disperazione da “primo brufolo”, lì aveva ricevuto la sua lettera per Hogwarts, lì aveva passato notti intere a sognare ad occhi aperti guardando le stelle, lì si era fatta il piercing sul naso, tutto sotto la vigile e amorevole supervisione di sua nonna, che non aveva affatto disapprovato la scelta della nipote di “bucarsi il naso” (così avevano definito i suoi genitori il piercing).
Ora che la nonna se n’era andata, lei era tornata a vivere con i suoi, ancora più insopportabili di come erano un tempo e ancora più protettivi: la sera le era praticamente vietato uscire e inoltre avevano preteso che si togliesse il piercing o l’avrebbero diseredata.
A lei però non poteva importare di meno: appena avesse raggiunto la maggiore età, se ne sarebbe andata a vivere a casa della nonna (che lei le aveva lasciato nel testamento) e avrebbe passato tutte le serate alla discoteca che stava in spiaggia.
Con un sorriso, la ragazza sfilò da una tasca dello zaino il piercing e se lo rinfilò, trionfante, al naso: in fondo i suoi non potevano vederla…

Gwen non aveva mai capito come sua madre non fosse mai riuscita a far scomparire quella cicatrice sul lato destro del collo: Edyth Weasley lavorava al San Mungo da tanto di quel tempo che la ragazza si era ormai auto convinta che la sua mamma potesse fare di tutto, anche far sparire quella dannata cicatrice.
“Lavoro nel reparto Ferite da Creature Magiche, Gwen” aveva ribattuto lei quando gliel’aveva proposto. “Avresti dovuto pensarci prima di Smaterializzarti in quel modo…”
“Avevo otto anni, mamma” aveva ribattuto Gwen, seccata come non mai che qualcuno le rimbeccasse, per la centesima volta, quanto stupida fosse stata a tentare un incantesimo tanto difficile. Ma in fondo non era del tutto colpa sua: i suoi erano stati sempre così distanti che non avevano mai neanche assistito alla sua prima magia. Se magia si poteva definire dare fuoco a un tappeto in soggiorno. Perfino suo fratello Jason che la detestava (o almeno questa era ciò che Jason diceva) aveva passato più tempo con lei di quanto i suoi ne avessero passato con tutti e due.
Non che non gli volessero bene, anzi: si vantavano in continuazione delle pagelle di Jason e Gwen (soprattutto di quest’ultima) con amici e parenti, con un tono di voce così fiero e sicuro che la ragazza non poteva negargli, almeno per pochi minuti, un po’ dell’affetto che loro mai gli avevano esplicitamente dato.
Era un dato di fatto, per lei, che i suoi le volessero bene ma che, come in fondo anche lei, non riuscissero a mostrarlo al meglio.
Di quella cicatrice, in realtà, non le importava così tanto: non aveva mai avuto la premura di coprirla con delle sciarpe o di nasconderla al mondo, neppure quando era più piccola, lieta di potersi distinguere e di poter mostrare quel segno della sua diversità.
Il problema non era certo l’aspetto esteriore, che per lei contava tanto quanto poteva contare una vecchia scarpa puzzolente.
Era solo che a tratti diventava scomodo avere sempre davanti agli occhi il monito di un proprio fallimento, il ricordo perenne di qualcosa che di storto c’era in lei.
Gwen Noctis era consapevolissima di essere “diversa”, e ne era fiera.
Peccato che altre persone non la pensassero esattamente così.
“Che vadano al diavolo!” borbottò la ragazza quando si accorse che la sua busta di Gelatine Tutti i Gusti+1 si era disciolta nello zaino, lasciando un’enorme macchia sulla stoffa.
A Gwen venne voglia di battere i pugni da qualche parte. ODIAVA quella Susan Crimson.
Un bello scherzetto non glielo risparmiava nessuno, adesso…

La testa di Selene pesava dolorosamente sul sedile imbottito del treno.
Le sue gambe si erano quasi totalmente addormentate, non distese completamente.
La ragazza tentava di prendere sonno da circa una mezz’oretta.
E da circa una mezz’oretta tutto ciò che otteneva dai suoi infruttuosi tentativi era semplicemente l’aumentare del mal di testa.
“Maledetto…” sussurrò tra sé e sé, sibilando le lettere una dopo l’altra.
Non era certo strano che avesse attacchi di emicrania, anzi: già da quando era molto più piccola essi la colpivano con una certa frequenza, a volte anche per giornate intere, senza che lei potesse fare concretamente qualcosa per far cessare il dolore.
Ma era odioso, sempre dannatamente ODIOSO, quel gran peso che si sentiva al centro della testa e che per lunghe e lunghe ore non voleva saperne di andarsene via. Qualcuno aveva addirittura ipotizzato una sinusite cronica, ma Selene li aveva liquidati con uno sbruffo e un “Al diavolo”.
Selene Byron non era tipo da tacere l’antipatia verso quella o quell’altra persona, e forse per quello non si era procurata molti amici nemmeno nella sua Casa.
Era una ragazza senza peli sulla lingua, all’apparenza incredibilmente dura, nascosta in una scorza che mai si era infranta dopo quella fatidica notte di ben undici anni prima.
Se si concentrava, riusciva ancora a sentire la tensione sull’aereo, e sua madre che la stringeva a sé sussurrando “Va tutto bene, va tutto bene”. Riusciva a sentire il suo respiro affannoso e le sue mani che tremavano dalla paura, mentre la baciava con le lacrime agli occhi. Riusciva a vedere i suoi genitori stringersi in un ultimo, doloroso abbraccio, mentre lentamente l’aereo precipitava verso la sua imminente fine.
Lei si era salvata grazie al suo potere di Animagus, che al tempo ancora non controllava bene ma che, per una volta, aveva deciso di accorrerle in soccorso: si era salvata svolazzando precipitosamente fuori dal finestrino, mentre i suoi genitori morivano davanti ai suoi occhi di civetta.
Da allora la sua vita era stata un Inferno, un Inferno che l’aveva plasmata e l’aveva resa ciò che era ora: una ragazza forte e sicura di sé, che non permetteva al mondo di entrare se non in occasioni rare.
Probabilmente i suoi compagni Serpeverde erano troppo ottusi per capire ciò che aveva passato, ciò che era stata la sua vita, che lotta era stata ogni giorno, una lotta per tentare di sopravvivere e di vivere. Probabilmente era per quello che la respingevano.
Per quello e per il fatto che fosse lesbica.

Simon si sedette accanto a Blaise senza fare troppi complimenti.
“Aspetto Draco” borbottò il ragazzo a denti stretti, senza neanche rivolgergli uno sguardo.
“Mi sembra improbabile che arriverà considerando che ora è nello scompartimento di Harmony Lewis con Tiger e Goyle” commentò il Serpeverde con un sorriso malizioso.
Blaise lo fulminò con lo sguardo e non rispose, evidentemente ferito.
“Quella ragazzina…” sibilò il ragazzo di colore, lo sguardo iniettato di ira profonda.
Simon alzò le spalle, con un largo sorriso scherzoso.
“È la vita, ragazzo mio…” sospirò con fare ironico. “Se Draco Malfoy avesse tempo per tutte le ragazze che gli vanno dietro, avrebbe ancora meno tempo per te, caro”.
Blaise gli riservò un’ultima occhiata assassina prima di uscire dallo scompartimento sbattendo la porta.
Simon sorrise, soddisfatto, e appoggiò confare sornione i piedi al sedile davanti.
Se c’era una cosa tipica di Blaise Zabini, era che lui aveva una sorta di venerazione verso Draco Malfoy che non era ancora riuscito a spiegarsi del tutto: il ragazzo di colore era solo una spalla del biondo Serpeverde, che per lui non aveva mai compiuto gesti di amicizia o almeno di complicità, quali quelli che invece riservava a quegli armadi di Tiger e Goyle. Eppure Blaise era sempre una costante nella vita di Draco, sempre accanto a lui durante i molteplici scherzi contro questo o quell’altro Tassorosso, sempre pronto a ridere con lui, sempre pronto a fare la parte del servo mai ringraziato.
Non lo capiva, quel ragazzo, davvero.
Come non capiva cosa le ragazze ci trovassero in Draco Malfoy.
Non era certo una grandissima bellezza, con quel naso aquilino e quei capelli quasi bianchi.
Eppure le ragazze gli andavano dietro come un cagnolino va dietro al padrone, attratti da quella strana forza che il ragazzo emanava, che lui e i suoi amici avevano ribattezzato, scherzosamente, “Fattore Malfoy”.
Con uno sbadiglio, Simon si portò le mani dietro la testa, pronto a essere svegliato, come sempre, solo all’arrivo ad Hogwarts.
Prima che però potesse anche cominciare a rilassarsi, una ragazza dai capelli castani e mossi aprì la porta dello scompartimento, seguita a ruota da un ragazzo che pareva avere almeno un paio di anni più di lei, anche lui castano.
La ragazza sospirò di sdegno quando lo vide così sistemato e chiese, una punta di ironia nella voce:
“Quei due posti sono occupati?”
Lui chiese, irritato dall’interruzione:
“Non potete cercarvi un altro scompartimento?”
Lei rispose, risoluta e ferma:
“Qualcuno ha fatto esplodere nel nostro una Caccabomba”.
Simon sorrise, lievemente divertito da tutta la situazione e dallo sguardo di disprezzo che la ragazza gli stava lanciando.
“Beh, credo che potrei anche farti restare, bellezza, ma il tuo ragazzo rimane fuori” disse lui, assumendo il tono da playboy che aveva fatto capitombolare già due o tre ragazze.
Vide il ragazzo arrossire improvvisamente e la ragazza gli rispose, la voce velenosa:
“Sei disgustoso, Serpe”.
Prima che potesse dire altro, la strega aveva già chiuso la porta con forza.
Simon Hale sorrise: però, era davvero carina…

Thomas Finch fremeva ormai da tempo.
Il nuovo anno si prospettava particolarmente interessante, soprattutto per l’ultimo articolo della Gazzetta del Profeta che lasciava intendere che un grande evento avrebbe avuto luogo alla scuola.
Il ragazzo aveva passato praticamente tutta la notte insonne, leggendo e rileggendo quell’articolo che pareva confermare, con i suoi toni altisonanti, quello che lui aveva ipotizzato: sì, qualcosa sarebbe accaduto ad Hogwarts, qualcosa di grandioso.
Già da tempo Daisy aveva accennato a un evento di cui suo padre, dipendente al Ministero della Magia, aveva parlato molo discretamente a casa con sua madre, Babbana come la sua, ma solo quel breve testo l’aveva veramente convinto che qualcosa, qualcosa di grande, stesse per accadere.
Riusciva a sentirla nell’aria, quell’agitazione che era palpabile e che si poteva tagliare con un coltello tanta era. Perfino sua sorella Paris, che solitamente, data la sua età, non veniva mai informata su nulla di ciò che avveniva nella scuola, aveva inteso qualcosa e gli aveva addirittura chiesto, il suo famoso tono supplice e i suoi occhioni spalancati in un’espressione tenerissima, di accompagnare anche lei con sé, perché voleva vedere coi suoi occhi la “grande novità”. Thomas aveva sorriso e le aveva passato una mano sulla chioma bionda e l’aveva abbracciata strettissima a sé.
Amava sua sorella come non aveva mai amato nessun altro, e anche Paris sembrava avere un’adorazione totale per lui. Quella bambina lo conosceva meglio di chiunque altro, riusciva a capirlo e a prenderlo per il verso giusto, cosa che non sempre Daisy o Zach facevano. Riusciva a farlo star bene, sua sorella.
Lei riusciva a vedere oltre la maschera dello scapestrato, a tratti troppo schietto Thomas, e riusciva a far venire fuori il dolce e amorevole Thomas.
Per l’ennesima volta, il ragazzo rilesse l’articolo, ancora emozionato.
Sarebbe stato un anno magnifico.

“Cedric, sta zitto, per favore!”
La civetta si quietò un pochino quando, irritata, Allison Frost batté sulla gabbietta leggermente indispettita dal suo comportamento.
“È tutto il giorno che frigna…” sbuffò la ragazza, mentre John Taylor, accanto a lei, tentava di mantenersi in equilibrio con le borse in mano. Due Serpeverde passarono loro di fianco e, con una risatina sardonica e una pernacchia, si allontanarono senza proferire parola.
Ally sbuffò nuovamente, mentre John le afferrava la spalla tentando di calmarla. Sapeva bene che quando l’amica era provocata poteva diventare una belva.
“E molla…” disse lei stizzita, allontanandosi dalla presa di John.
“Ci fosse UNO scompartimento libero…” borbottò lui, causando l’ira della ragazza che, ancora più spazientita, precisò, con cipiglio sicuro:
“Io con quella Serpe non ci divido lo scompartimento, sia chiaro!”
John alzò le sopracciglia, replicando, conciliante:
“Tanto io non potrei starci comunque. Lo hai sentito, no?”
“E io senza di te non mi siedo, Johnny” lo rassicurò lei, come a voler ribadire che mai, MAI lo avrebbe abbandonato in balia dei Serpeverde. “Dobbiamo solo trovare un paio di posti” continuò alzando le spalle e dando un altro colpetto alla gabbia di Cedric che si lamentava ancora.
“Il signore vorrebbe una gabbia a cinque stelle…” sorrise lei, riferendosi alla civetta che, come se avesse colto il riferimento scherzoso, subito spostò lo sguardo su di lei, fissandola con sguardo truce.
“Potremmo anche andare a vedere se Cedric…” iniziò Ally, speranzosa, ma John la fermò prima che potesse dire altro.
“Alt, alt, alt, alt!” esclamò, portando le mani avanti. “Io con lui NON ci vado, è chiaro?” scandì, prima di riprendere le valigie e aprire la porta di uno scompartimento. Subito la richiuse quando la visione di Draco Malfoy e Daphne Grengrass intenti a sbaciucchiarsi lo investì.
“Imbarazzante…” sussurrò John dopo un lungo silenzio, gli occhi sbarrati.
“Prima o poi dovrai farci i conti, Johnny” tentò la ragazza, sperando di poter convincerlo a trovare un sicuro posto a sedere: Cedric Diggory era uno dei suoi migliori amici, e non le avrebbe certo negato un favore.
“Beh, non ci voglio fare i conti” rispose secco il ragazzo. “Se ci fosse lei, scusa?”
“Ma l’hai detto anche tu che era con tua sorella…” aggrottò le sopracciglia Allison.
“Sì, ma potrebbe essere tornata da lui!” rispose John, per nulla incline ad arrendersi.
Allison sospirò demoralizzata.
“Dio mio, Johnny…”
“Almeno tu sei amica sua!” ribatté John, osservando senza successo in un altro scompartimento. “Io invece praticamente non esisto per lui!”
“Ma scherzi?” domandò Allison, rimbeccando una terza volta Cedric. “Sei il Portiere della Squadra di Quidditch, qualcosa dovrai pur valere per lui…”
“Evidentemente non abbastanza” riprese lui sdegnato. “E comunque piace pure a te, e non credo siamo gli unici due che abbiano ceduto al fascino Diggory!”
Allison sbuffò, mentre Cedric ricominciava a borbottare.
“Se lo sapesse il signor Diggory..:”
John sorrise.
“Il Club dei Senza Speranze è sempre pronto ad accogliere nuovi membri” scherzò il ragazzo, scoppiando a ridere insieme a Ally.

Merida aveva sonno.
Orrendamente sonno.
Era da quando c’era stata la Finale della Coppa del Mondo che non aveva chiuso occhio, memore ancora di quell’orrenda apparizione. Tutte le rassicurazioni che il padre di Ernie si era sentito di farle dopo averla “spaventata in quel modo” l’avevano davvero rincuorata, e così anche la perizia con cui la madre del ragazzo si era curata di calmarla dopo quell’orrido spavento.
Le era capitato di essere per l’ennesima volta vittima di un “attacco lunatico”, come Josh, suo fratello più piccolo, li definiva: si era spaventata a tal punto che aveva cominciato a inveire sull’Irlanda, sulla Mondiale e persino sul Ministero della Magia. Erano serviti gli interventi coordinati di Ernie, la signora MacMillan e il signor MacMillan per farla sbollire e per farla ritornare alla ragione prima che qualcuno del Ministero potesse prendersela con lei: Amos Diggory era nei paraggi, e così anche Barty Crouch.
Dopo alcuni minuti, Merida era riuscita a calmarsi e a pensare nuovamente a mente lucida, ma l’orrido Marchio Nero le era rimasto impresso nella mente a fuoco e aveva continuato, per molte notti, a popolare i suoi incubi.
E dire che solitamente lei era una non facilmente impressionabile…
Forse era stata l’imprevisto di quell’avvenimento, forse lo shock per l’arrivo di quegli uomini in nero, forse semplicemente per il nome che, lei sapeva, c’era dietro a quel Marchio. Voldemort…
Bastava pensare quel nome perché un brivido freddo le corresse lungo tutta la spina dorsale, e la ragazza cominciava a sudare freddo.
Le notti che aveva passato insonni erano state così tante ed erano parse così lunghe che i suoi genitori, entrambi Babbani, avevano addirittura pensato di attaccar bottone coi MacMillan per aver “accompagnato la loro bambina a un simile evento”. Lei stessa aveva dovuto calmarli, spiegando che l’idea di andare alla Finale era stata anche sua, e che se non avesse sollecitato Ernie per andarci loro non avrebbero certamente pensato di invitarla.
Le sue palpebre fluttuavano ora, sempre più prossime a chiudersi, mentre la sua testa, ancora persa nel ricordo della Finale, si appoggiava al finestrino freddo.
“Non credevo di essere così noioso…” commentò Ernie con una risatina.
Merida rispose a stento con un sorrisetto, troppo stanca per poter riposare.
“Ho passato notti e notti in bianco…” si scusò lei, la voce flebile.
“Ma certo” rispose Ernie, sorridendole rassicurante. “Capisco benissimo”.
Merida gli rivolse un ultimo sorriso e poi chiuse gli occhi, esausta.

Daisy osservava la conversazione dei due ragazzi senza osare intervenire. Sorrideva imbarazzata mentre Zach e Thomas continuavano a discutere, per quanto discutere si poteva chiamare quella sorta di divertito “scambio di opinioni”, come ai due piaceva chiamare quelle dispute: nessuno dei due era abbastanza “cattivo” per poter davvero attaccare bottone, Zach così impacciato con quella sua massa informe di capelli che sembrava un fungo e Thomas con quel suo fare un po’ spaccone ma in fondo bonario.
Daisy se ne stava zitta, mentre i due stavano discutendo su un improbabile avvenimento che “presto avrebbe avuto luogo a Hogwarts”, secondo le parole di Thomas, mentre secondo Zach “nulla sarebbe accaduto, come ogni anno, del resto”. L’ultimo commento le aveva strappato una risata, ma niente più.
Daisy Kapner davvero non ci riusciva ad aprirsi con gli altri, davvero non poteva.
Non capiva cosa fosse che la bloccava sempre persino con quelli che considerava i suoi migliori amici (qualcuno aveva addirittura ipotizzato che tra lei e Zach Terrinson ci fosse del tenero), cosa fosse quel qualcosa che la lasciava sempre senza fiato e senza parole quando anche solo tentava di avvicinarsi a una persona.
La sua dannata timidezza non era certo una scusa, ma Daisy aveva sempre tentato di giustificare, con sé stessa e con gli altri, quel suo atteggiamento proprio con la sua innata introversione.
E per lungo tempo tutti se l’erano bevuta: Zach, Thomas, persino i suoj genitori.
Ma in cuor suo Daisy sapeva, e lo sapeva anche molto bene, che la timidezza non c’entrava assolutamente nulla, o almeno non c’entrava abbastanza.
Forse era la visione che lei aveva del mondo che le impediva di parlare di cose da lei stessa definite futili, come quelle manifestazioni di amore esagerato che tante sue compagne avevano reso pubbliche negli anni passati o l’eccezionalità di questo o quel giocatore di Quidditch. Daisy sapeva che non era certo il singolo giocatore ad essere eccezionale: c’era dietro un duro allenamento, e una pratica di ore ed ore, combinata anche a una certa dose di fortuna. Se la fortuna esisteva.
Daisy era abituata a ragionare in quel modo sin da quando era piccola: analizzare tutto ciò che c’era intorno a lei, trarne varie conclusioni e poi dare un verdetto esaustivo ma quasi sempre corretto.
Forse per questo si era chiusa nel suo guscio sin da bambina: il suo modo di pensare era totalmente opposto a quello delle sue compagne Grifondoro e anche a quello di gran parte dei ragazzi nella scuola.
Era semplicemente una ragazza riflessiva.
Una ragazza riflessiva con una grande, enorme timidezza.

Lesath non ne poteva davvero più di quei viaggi da casa sua alla Scuola di Hogwarts ogni anno.
Oltretutto, suo padre lo rivoleva con lui a Natale (forse per tentare di sopprimere un pochino la mancanza di Linda e Lori) e il viaggio non era affatto corto. E tra l'altro quelle visite erano perennemente odiose, sia per lui che per Wallace.
Ogni Natale suo padre lo accoglieva a casa con una freddezza davvero impressionante, senza un abbraccio, un bacio, un semplice “Bentornato, Lesath”. Se non ricordava male, era da quando Linda se n’era andata che Wallace si risparmiava un qualsivoglia segno puramente affettuoso, preferendo accoglierlo con un viso tirato dalla rabbia e dalla tensione.
Lesath non capiva davvero perché suo padre lo volesse a casa a Natale quando in realtà non facevano mai nessuna delle tipiche attività  natalizie: nessun cenone, nessuna festa, nessuna veglia di fine anno. Nessun regalo.
Non da quando Linda non c’era più.
Dopo la morte della sua sorellina, avvenuta mentre lei camminava su un laghetto ghiacciato che si era infranto sotto i suoi piedi, sia lui che suo padre erano profondamente cambiati.
Quello che un tempo era un ragazzo allegro e entusiasta, sempre speranzoso di poter far colpo sui suoi genitori (troppo concentrati a viziare Linda per avere il tempo di accorgersi di lui) era diventato un ragazzo triste e perso nel suo dolore, ormai indifferente ai suoi genitori come i suoi lo erano verso di lui.
Era tutto cambiato, dopo la morte di Linda.
Era diventato cinico, e orrendamente freddo con le persone che lo conoscevano e anche con quelle che non lo conoscevano. Freddo come quel laghetto in cui la sua sorellina aveva perso la vita…
Il ricordo dell’accaduto era ancora vivido in lui, penetrato troppo a fondo nella sua mente per poter essere da lì rimosso.
Non poteva dimenticare.
Lesath non poteva dimenticare quella mattina di gennaio in cui tutto, TUTTO era cambiato.
Come non poteva dimenticare il viso di sua madre mentre la vita volava via dalle sue membra stanche, e le lacrime che, fino all’ultimo, le avevano rigato il viso.
Non poteva dimenticare le notti passate rannicchiato nel suo lettino sperando che suo padre non alzasse troppo il gomito, e che non arrivasse, gettandosi sul suo giaciglio come un lupo famelico e costringendolo a nascondersi nella cantina per tutta la notte, al freddo pungente dell’inverno.
Hogwarts certo era stato un buon motivo per andarsene, ma Lesath non aveva mai potuto DAVVERO rompere i ponti con Wallace.
Non ci era riuscito. Era troppo doloroso dire addio a un padre, anche se quel padre era violento e ogni istante della sua vita pareva rimproverarlo di non averla salvata dalle acque di quel laghetto.
Aveva già perso sorella e madre, e probabilmente già da tempo aveva perso suo padre.

Filiana era chinata su un libro di Difesa contro le Arti Oscure, troppo impegnata a tentare di capire un incantesimo per riuscire a sentire i Serpeverde dietro di lei che, capitanati da Draco Malfoy, urlavano come delle cornacchie “Nata Babbana! Nata Babbana!”
A quegli insulti ormai Filiana aveva fatto l’abitudine: non era strano che gli alunni di Hogwarts, di qualunque Casa essi fossero, le rammentassero di essere solo, in fondo, una Babbana come un’altra, che aveva avuto la fortuna di essere nata con dei poteri magici nel DNA (come era possibile, questo non lo capiva). Ma a lei, sinceramente, non poteva importare di meno: l’importante era dare il massimo di sé e far vedere ai professori di che pasta era fatta Filiana Basile.
Era anche un suo piacere personale poter dimostrare di essere di gran lunga più intelligente di quei superbi Serpeverde o dei tanto lodati Corvonero: voleva essere la più brava, anche più brava di Hermione Granger.
Ambizione? No. Voleva semplicemente dimostrare che anche i Nati Babbani potevano essere grandi maghi.

Zach Terrison conosceva Daisy sin dall’infanzia più tenera, quando entrambi erano solo dei bambinetti che giocavano a fare i maghi con le bacchette dei genitori. Ricordava ancora quella volta che avevano dato fuoco al ficus di sua madre, causando l’ira di quest’ultima.
Era da quando erano piccoli che Zach si era sempre sentito, in un certo senso, “legato” a Daisy, in un modo particolare che neanche lui capiva a fondo: era il suo migliore amico eppure con lui la ragazza non si era mai aperta del tutto. In un certo senso non ce n’era bisogno: lui capiva Daisy e Daisy capiva lui. Bastava così poco per rendersi conto di cosa le passasse nella testa: uno sguardo, un sorriso, un sospiro e Zach poteva dire con esattezza cosa affliggesse l’amica. Erano come connessi, loro due, uniti dalla nascita ma stranamente separati.
Daisy aveva sempre saputo che un pochino le piaceva, e forse per questo si era sempre tenuta non troppo vicino a lui, tentando di respingerlo non appena aveva capito cosa l’amico provava per lei.
Lui, di conseguenza, aveva provato ad avvicinarsi, con la sua innocente speranza che un giorno, forse, qualcosa sarebbe successo tra loro due.
Ma Daisy continuava a respingerlo, non perché non gli volesse bene, ma perché, semplicemente, come diceva lei, non riusciva “ad amarlo”.
Zach si era sentito per lungo tempo avvilito da quella situazione, ma era riuscito a risollevarsi anche grazie al continuo affetto che la ragazza gli dimostrava, ora più di prima: se inizialmente quel suo amore non corrisposto li aveva divisi, ora li riavvicinava, in quanto Daisy faceva di tutto per farsi, in un certo senso, “perdonare” di quella sua incapacità di provare verso di lui qualcosa che non fosse più che semplice affetto.
E Zach aveva ricominciato a starle accanto, sua goffa spalla, continuando a stringerla a sé in abbracci ora più tesi, mentre dentro di sé un po’ piangeva.
Non si era mai innamorato di nessun altra come di Daisy.

A volte le dava fastidio l’atteggiamento di Draco, soprattutto verso quella Filiana o verso quei ragazzi che nella vita non avevano fatto nulla di male se non nascere con genitore o genitori babbani.
Harmony lo rimproverava spesso di quell’atteggiamento “razzista”, come lo definiva lei, ma lui non si degnava di ascoltarla.
“Che pillole, Harm…” sbuffava ogni volta che gli rinfacciava la faccenda. “Quegli sporchi Mezzosangue se lo meritano”.
Harmony Lewis era Serpeverde in tutto e per tutto ma quegli istinti razzisti propri della sua Casa davvero non le erano comprensibili: perché prendersela con chi era solo stato tanto sfortunato da nascere da persone comuni e ereditare poteri magici? Perché poi considerarli addirittura “inferiori” rispetto a loro Purosangue? Se lo chiedeva spesso, Harmony, e spesso lo chiedeva anche a Draco che, con un’alzata di spalle, le rispondeva seccato:
“Sono inferiori e basta, Harm”.
Harmony voleva bene a Draco come non aveva mai voluto bene a nessuno, ma quando faceva così davvero non riusciva a reggerlo, come anche i suoi genitori non riuscivano a reggere lui e la sua famiglia.
Da tempi immemori un’amicizia perdurava tra Malfoy e Lewis, a dispetto delle idee prettamente razziste che i primi avevano: Draco e Harmony erano convissuti insieme sin da quando erano bambini e riuscivano a capirsi al volo, tanto ormai conoscevano l’uno il carattere dell’altro. Harmony non era più un mistero per Draco ormai da tempo, e Draco non era un mistero per Harmony.
Eppure la ragazza non riusciva davvero a rendersi conto del perché, semplicemente PERCHE’ dovesse comportarsi in quel modo tanto ingiusto e perché dovesse mostrarsi sempre così cattivo davanti agli altri e davanti ai suoi genitori.
Lei sapeva che non era così.
Draco non era QUEL Draco.
O almeno lo sperava…

Evangelin si sedette nello scompartimento senza troppi problemi, accavallando contenta le gambe, dopo averne cercato per lungo tempo uno libero.
Kristen era stata sloggiata dal suo scompartimento con Allison Frost e John Taylor, dopo che qualche Serpeverde vi avevano sganciato una Caccabomba, e quando l’aveva incontrata nel corridoio lei non aveva potuto fare altro che borbottare, indispettita:
“Serpi…”
Aveva vagato per così tanto tempo nei corridoi che ormai non le importava neanche più se lo scompartimento in cui si era infilata fosse libero o no.
Ed effettivamente il posto davanti a lei era occupato: un ragazzo dai capelli neri corti la osservava imbarazzato, come in fondo si poteva osservare una sconosciuta che era appena entrata nel proprio scompartimento, con un sorriso tirato che stonava totalmente con il sorriso aperto che, invece, Evangelin gli stava rivolgendo.
“Ciao!” lo salutò la ragazza  in tono solare, agitando la mano. Era davvero troppo eccitata per quell’anno: Thomas le aveva accennato a un evento che, secondo lui, sarebbe successo ad Hogwarts e Evangelin fremeva dall'ansia. Si prospettavano eccitanti avvenimenti…
Il ragazzo quasi sobbalzò quando lei le rivolse la parola, poi rispose, balbettando lievemente:
“C... Ciao”
Evangelin aveva sorriso e aveva detto, con fare allegro:
“Ehi, tranquillo, non ti mangio mica!” scoppiando poi in una lieve risatina.
Il ragazzo aveva ridacchiato anche lui, ma con una tale tensione che Evangelin si era quasi sentita offesa dal comportamento schivo del ragazzo: non aveva la peste, diamine!
Poi si era accorta dell'espressione timida che si era dipinta sul suo viso, e del rossore delle sue gote, che aumentavano ogni secondo di più.
Allora, intenerita dall’aspetto e dal comportamento del giovane, aveva detto, tendendo la mano:
“Evangelin McCole”.
Il moro aveva osservato per pochi istanti la mano, indeciso se stringerla o meno. Quando si decise a ricambiare la stretta, un lieve sorriso si dipinse sul suo viso e sussurrò, ancora imbarazzato:
“Paciock… Neville Paciock”.

"Quei Serpeverde…"
Daniel le stringeva la mano sulla spalla, cercando di calmarla mentre, mentalmente, Kristen imprecava contro tutti i Fondatori, tutti gli Eroi, tutti i membri dell’Ordine della Fenice e tutti i Magiamorte.
“Calma, Kristen, stavano solo scherzando…” tentò con voce bassa Daniel, ben conscio di quanto furiosa fosse l’amica.
“Sono calmissima, Dan” rispose la ragazza, bussando a uno scompartimento con rabbia. “Siete troppo impegnati a limonare o c’è ancora un posto libero?” urlò strafottente.
Daniel si affrettò a allontanarla, reggendola per le spalle e correndo lungo il corridoio.
“Andiamo…” sibilò il ragazzo, mentre lo scompartimento in questione si apriva rivelando il viso di Selene Byron.
“Non è divertente, Harrowl!” le urlò dietro la ragazza, diventando rossa d’ira.
“Oh, perdono, Sel!” gridò lei, per niente intimorita dalla bacchetta che la Byron aveva impugnato, pronta a formulare chissà quale incantesimo.
“KRIS!” le gridò perentorio Daniel quando anche lei tirò fuori la bacchetta, convincendola, un po’ a forza un po’ a parole ad entrare in un altro vagone.
Kristen sbuffò mentre, finalmente, Daniel si infilava in uno scompartimento apparentemente vuoto con un sospiro di sollievo.
“Mi rovini sempre il divertimento” commentò la ragazza, appoggiando rudemente lo zaino sul pavimento.
“E tu per poco non ci facevi ammazzare” replicò Daniel.
Kristen ridacchiò beffarda, appoggiandosi finalmente allo schienale del sedile con piacere.
“Quella non sa neanche cos’è una Maledizione senza Perdono, figurati se la usa contro di noi…”
Daniel si guardò intorno circospetto, mentre Kristen appoggiava i piedi sul sedile accanto a quello del ragazzo.
Con un gesto stizzito della mano il Grifondoro la obbligò a rimetterli a terra e disse, quasi spaventato:
“Non dovresti saperlo neanche tu, se è per questo…”
Kristen alzò le spalle.
“L’ho letto in un libro, tranquillo, non ho fatto nulla di illegale”.
Daniel si concesse un respiro di sollievo.
“Bene, mi ricordo ancora quella volta che ti sei intrufolata nella Biblioteca nel Reparto Proibito…”
“Ero in buona fede!” esclamò lei, tentando per la seconda volta di appoggiare i piedi sul sedile.
Daniel le fece rimettere i piedi a posto e lei sbuffò.
“Guastafeste…”
“OK, tu fammi capire come può essere in buona fede qualcuno che infrange le regole e che rischia di essere espulsa a vita da Hogwarts!”
Kristen ruotò la testa come a testare la sicurezza del solitario scompartimento e poi, avvicinandosi a Daniel, gli sussurrò, l’aria misteriosa e il tono cauto:
“Stavo cercando un modo per farla pagare a quelle Serpi…”
Daniel fece tanto d’occhi.
“Hai tutto il mio appoggio, Kris” scherzò sorridendo.

Keira si chiedeva spesso cosa diamine ci fosse nella sua testa: a volte le pareva di impazzire mentre tentava di trovare il bandolo della matassa, mentre cercava di comprendere cosa esattamente provava e quali esattamente fossero le sue emozioni, ma era così difficile capire sé stessi che ormai ci aveva rinunciato da tempo.
Ma, come diceva spesso anche sua madre Carine, “non si può comprendere gli altri se non si comprende prima sé stessi”. Spesso Carina pensava che sua madre avrebbe dovuto fare la psicologa invece che la Medimaga.
E dunque lei, in teoria, non sapeva nulla, assolutamente nulla delle persone che intorno a lei vivevano: certo, riusciva a capire lontano un miglio che un Serpeverde fosse di certo più crudele di un Grifondoro (non per discriminare la Casa di Salazar), ma della profondità dell’animo umano non riusciva davvero a concepire la grandezza.
O meglio, sì, sapeva quanto un’anima potesse essere complicata (la sua ne era una prova) ma non aveva certo intenzione né capacità di provare a capire quella di altre persone.
Ma in fondo quella non era lei, no: non la fredda e distaccata Carina Black, cinica e scostante con chiunque non fosse suo stretto amico; ma chi le era amico, in fondo, dopo la morte di Syrena?
Keira chiuse gli occhi: il ricordo della ragazza era ancora così impresso in lei che da quando se n’era andata non aveva più voluto avvicinare qualcuno a meno che non fosse stato prettamente necessario. Perché volere bene a una persona se poi quella persona se ne andava?
Perché illudersi che sarebbe rimasta per sempre con lei se poi la vita dell'uomo era lunga quanto la vita di una farfalla in confronto all’immensità dell’universo?
Eccola di nuovo, la riflessiva Keira…
Basta, non doveva più farla uscire da quel momento in poi: a casa si poteva anche concedere un qualche minimo segno di affetto o qualche lacrima, ma ad Hogwarts no.
Ad Hogwarts non si poteva permettere di sbagliare, di far trapelare troppo, di non mostrare lo stretto necessario: sarebbe stato un errore madornale, assolutamente madornale.
Aveva già fatto entrare qualcuno nella sua vita, e quella persona era stata Syrena. Se ne pentiva ancora amaramente.
E sebbene i suoi genitori avessero tentato, in tutti i modi, di consolarla di quella orrida perdita, per Keira non c’era stato mai modo di dimenticare, di scordare lei e tutto quello che era lei.
I suoi non potevano capire.
Non potevano capire perché pensavano che fosse stata una semplice amica.
Ma Syrena non era una semplice amica, o no.
Lei aveva amato Syrena.
Con tutta sé stessa e con tutta la sua anima.

Note d'autrice masochista:
Per la vostra gioia e per la mia dannazione, inizia FINALMENTE questo progetto.
So che non è granchè, ma vorrei far conoscere i personaggi poco alla volta, vorrei che si svelassero da soli attraverso la storia, e non tutti in un colpo.
Nel prossimo capitolo, ad esempio, comincierò a far interagire quelli che ho fatto riflettere e riflettere quellic he ho fatto interagire, cercando di far capire attraverso pensieri e azioni la loro storia e la loro filosofia.
Devo dire che mi sono arrivati davvero molti, MOLTI personaggi.
Inoltre, nota importante: ho deciso che dividerò la storia per anni (quindi questa sarà ambientata SOLO nel quarto anno) e alla fine di ogni anno ogni utente potrà decidere di continuare la storia del proprio OC o magari di fermarsi per essere solo un personaggio secondario.
Chiarirò nel prossimo capitolo passaggi poco chiari, se me li segnalerete e...
So di aver fatto davvero poco con ogni singolo personaggio, ma è davvero estenuante gestirne tanti tutti insieme...
Come preannunciato, c'è anche un mio OC (femmina) nella storia, che avrà anche lei una relazione amorosa, of course. Inoltre: ho dovuto accoppiare alcuni OC femmina con personaggi originali della saga perchè ci sono davvero pochi, POCHI OC maschi.
Per il prossimo capitolo, tenete a mente queste cose:
1)Gwen ha deciso di fare un bello scherzetto a Susan;
2)Allison e John interagiranno con altri OC nella ricerca dello scompartimento;
3)Kristen ha un ideuzza per vendicarsi dei Serpeverde;
4)Filiana incontrerà il ragazzo con cui avrà una relazione:
5)Merida incontrerà altri OC;
6)Zach ci proverà per l'ennesima volta con Daisy.
Cominciate a fare le vostre congetture su chi si metterà con chi ma vi avviso subito: Daisy e Zach NON si metteranno insieme. Mi spiace ma saranno solo migliori amici (tipo Harry e Hermione).
Per vari errori grammaticali dite pure perchè non ho ricorretto.

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Capitolo 3
*** On Hogwarts Express-seconda parte ***


AVVISO: Gli OC di Cicii e Seurya apparirano solo dal quinto capitolo, ovvero dopo l'arrivo ad Hogwarts.
Inoltre, sono chiuse le iscrizioni.

Draco fece segno ai ragazzi che la strada era libera con un cenno del capo.
Blaise Zabini alzò il pollice in segno di approvazione, pronto ad agire, mentre Tiger e Goyle si limitarono a scuotere la testa, in un movimento che pareva tutto fuorché minimamente intelligente.
Con un movimento rapido e veloce, il biondo Serpeverde puntò la bacchetta verso lo scompartimento e urlò, con tutta la voce che aveva nei polmoni:
“AGUAMENTI!!”
L’acqua invase lo scompartimento con uno scroscio possente, mentre Draco sogghignava soddisfatto. Un singolo, unico grido femminile arrivò dall’interno, e Blaise scoppiò a ridere insieme al biondo.
“Evvai!” esclamò Malfoy scambiando un cinque basso con i ragazzi. Il ragazzo di colore ridacchiò brevemente, osservando con ammirazione il biondo Serpeverde: ADORAVA quel ragazzo. Ed essere suo amico era il più grande onore che avesse mai avuto. A tratti, certo, gli sembrava quasi che lui lo usasse, che lo sfruttasse semplicemente come uno zerbino, ma subito dopo ricacciava indietro quel pensiero, nascondendolo in un angoletto della sua mente: per Draco lui era un grande amico e un valido collaboratore, e mai, MAI, lo aveva trattato male o lo aveva giudicato male. Perciò perché farlo lui?
“E ora, andiamo a salutare quegli stupidi Grifondoro” sorrise Draco, già deliziato all’idea dell’accoglienza che Daisy, Thomas e Zack avrebbero riservato loro. Quei ragazzini erano patetici: era così semplice sorprenderli e prenderli in giro che a volte era quasi non divertente. Quasi.
“NON SONO UNA GRIFONDORO IDIOTA!!” urlò una voce femminile evidentemente arrabbiata dall’interno dello scompartimento. “SONO UNA SERPEVERDE, CRETINI!! E, PER SALAZAR, SIETE NEI GUAI!!”
Prima che Blaise se ne accorgesse, una vampata di fuoco aveva distrutto la porta dello scompartimento, e il biondo era corso lungo il corridoio con Tiger e Goyle che lo seguivano a ruota urlando:
“Cazzo, questa fa sul serio!!”
Il giovane Zabini rimase davanti al buco che ormai c’era al posto della porta, immobile come se qualcuno l’avesse stregato, a osservare attentamente la ragazza che aveva di fronte.
Era una giovane dai capelli scuri, lunghi fino alle spalle, che lo osservava come se volesse ucciderlo con lo sguardo, tenendo la bacchetta in mano con una forza tale che per un istante Blaise si spaventò. Eppure, nella sua condizione, la ragazza avrebbe dovuto sembrare veramente ridicola: era bagnata da capo a piedi, e la divisa si era completamente attaccata alla sua pelle, facendola sembrare un enorme fagotto nero. La sciarpa dei Serpeverde che teneva al collo (non aveva mentito, dunque), era afflosciata sul suo collo come una faina morta, e i suoi occhi grigi, dopo un’attenta analisi, non gli sembrarono più tanto minacciosi. Era una ragazza come un’altra, arrabbiata come non mai ma inoffensiva. Forse aveva una certa dose di determinazione dalla sua parte, ma si capiva subito che era del quarto anno come lui: inoffensiva, in fin dei conti. Eppure aveva appena mandato a fuoco una porta, con una facilità non comune (Blaise stesso ancora non ci era riuscito) e con una forza d’anima assolutamente straordinaria, incurante delle conseguenze.
Una ragazza impulsiva, molto impulsiva. E straordinariamente caparbia. Da come lo osservava sembrava voler squartarlo vivo.
A Blaise non poté non sfuggire un sorrisetto: gli erano sempre piaciute quelle toste…
Alla ragazza il sorriso compiaciuto del ragazzo non sfuggì e chiese, stringendo con ancora più forza, se possibile, la bacchetta:
“Cos’hai da sorridere, sudicio Mezzosangue?”
Blaise alzò le mani come a voler giustificarsi, sorridendo divertito.
“In verità, signorina, sono un mago Purosangue…”
La ragazza parve rilassarsi lievemente alla sua aria sincera e, non con una certa diffidenza, abbassò la bacchetta, stringendola ancora comunque con forza inaudita.
“E come mai un Purosangue aggredisce un suo compagno?” chiese aspra, quasi sputandogli in faccia il suo disprezzo.
Blaise le rispose, con fare leggermente più deciso, stavolta:
“Un mio amico credeva che qui alloggiassero tre Grifondoro…”
Alla mora sfuggì un sorriso compiaciuto e disse, socchiudendo gli occhi:
“Il tuo amico è davvero grandioso”. Blaise non poté trattenere il sorriso stavolta: quella ragazza era straordinaria.
“Ma ciò non toglie il fatto che mi abbiate inzuppata da capo a piedi!” rispose lei, alzando nuovamente la bacchetta e riprendendo il tono minaccioso di prima.
Blaise si piegò lievemente all’indietro, tentando di evitare la punta della bacchetta che lo minacciava e disse, con il tono più calmo che poteva prendere:
“Calma, ragazzina…”
“NON chiamarmi ragazzina!!” scandì la mora puntandogli la bacchetta al collo.
“CALMA…” quasi urlò Blaise, andando a sbattere con la schiena contro la porta di un altro scompartimento. “… Chiunque tu sia” decise di optare lui. La ragazza non pareva voler metter giù la bacchetta, e questo lo divertiva abbastanza. Ma era meglio ingraziarsela: farsela nemica sarebbe stato solo peggio.
“Ascolta…” disse il ragazzo, il tono più conciliante che poteva assumere. “Posso aiutarti ad asciugarti, se mi fai entrare” continuò.
La ragazza parve perdere un pochino della determinazione, e Blaise tentò il sorriso più convincente che poteva sfornare.
Non completamente convinta, la ragazza abbassò la bacchetta e si diresse nello scompartimento, mentre Blaise tirava un sospiro di sollievo.
“Il tuo amico ha bagnato i sedili” gli disse lei con un tono duro e secco. “Mi daresti una mano anche con quelli?” Non c’era gentilezza nella sua voce o finta richiesta. Non stava cercando di ingraziarselo con finte parole di miele per farsi aiutare.
“Sì…” disse Blaise poco convinto, avvicinandosi a lei.
“A proposito…” si ricordò e, porgendole la mano, si presentò. “Blaise Zabini”.
La ragazza rimase interdetta nel vedere lui fare quella presentazione, e rimase a fissare il palmo teso per alcuni istanti, come se lo stesse soppesando con lo sguardo.
Blaise, ridacchiando, fece notare:
“Sai, la dovresti stringere…”
La ragazza sorrise sarcastica ed esclamò, con fare strafottente:
“Tò guarda, non lo sapevo…”
Poi, con forza e decisione, la strinse, presentandosi:
“Susan Fawn Crimson”.

Un leggero battito sulla porta dello scompartimento la svegliò improvvisamente dal sonno che, per qualche istante, l’aveva fortuitamente presa.
Selene alzò lievemente il capo, mentre il bussare continuava, e lei si rifiutava, con cocciuta determinazione, a non dire neanche “Avanti”. Forse se avesse provato a richiudere gli occhi si sarebbe riaddormentata.
Un terzo battito.
Selene si impedì di urlare di rabbia serrando la bocca. Con poca educazione esclamò, scontrosa:
“Avanti!” mentre, tra i denti, sussurrò “Al diavolo”.
Con un leggero scricchiolio, la porta dello scompartimento si aprì, rivelando il viso di una bella ragazzina dai lunghi capelli castani e gli occhi dello stesso colore.
“Scusa…” sussurrò lei, dimostrando subito una voce flebile e assolutamente imbarazzata. Si voltò, come se qualcuno l’avesse chiamata, e Selene riuscì a distinguere una voce maschile che parlava concitata. La ragazza annuì e sussurrò “Ho capito”, poi tornò a rivolgere la sua attenzione su di lei.
“A me e a un mio amico servono due posti. Non è che tu…” Il suo viso sembrava così teso che Selene per un istante si sentì avvampare: la ragazza sembrava straordinariamente fragile, quasi delicata.
“Oooh… Certo!” esclamò lei, sfoggiando il miglior sorriso dell’occasione.
La ragazza sobbalzò di gioia ed entrò tutta contenta, seguita da un ragazzo anche lui castano che la salutò con un cenno del capo.
La bruna, notò Selene, aveva tra le mani una gabbia che ospitava una civetta marrone, che quando la adocchiò le gracchiò contro minacciosa.
La ragazza batté un colpo sulla gabbia dicendo, imperiosamente:
“Zitto, Ced…”
Il ragazzo, invece, stringeva al petto un gatto nero come la notte, che continuava a miagolare agitato. Il bruno gli sussurrava all’orecchio brevi parole, evidentemente con l’intento di calmarlo.
Selene si ritrovò a sorridere alla vista del mal combinato duo, che pareva uscito da chissà quale angolo della Terra.
La ragazza, subito dopo aver rotto il ghiaccio, si era dimostrata straordinariamente sciolta, tanto che, mentre lei ancora li scrutava inquisitoria, la bruna le aveva teso la mano con un sorriso e aveva esclamato:
“Allison Frost”.
Selene aveva risposto, leggermente più impacciata:
“Ehm… Selene Byron”.
Poi era toccato al ragazzo, che si era presentato come John Taylor.
Successivamente il silenzio era calato tra i tre, un silenzio imbarazzato interrotto solo dalle proteste di Cedric e i miagolii del gatto di John che, evidentemente agitato del fatto di essere davanti a un’estranea, evitava lo sguardo di Selene imbarazzato.
La ragazza aveva sorriso un paio di volte, decisa a non dire nulla: non le servivano certo due nuovi amichetti del cuore…
A parlare fu, di nuovo, Ally, che le chiese, interessata:
“Che anno frequenti?”
Selene aveva risposto, impacciata:
“Il quarto”.
Allison aveva sgranato gli occhi.
“Non ti avevo mai notata…”
Selene alzò gli occhi al cielo: in effetti aveva sempre tentato di fingersi invisibile…
“Comunque, di che Casa sei?”
“Serpeverde…” aveva specificato lei sfuggente, stringendosi nelle spalle.
“Oh…” aveva esclamato Allison, come fosse stata delusa da quell’ultima rivelazione. Anche John parve lievemente seccato, e si strinse il gatto ancora di più al petto.
“Beh, scusa, non volevo offenderti, è solo che…” si affrettò la ragazza a spiegare, ma Selene la anticipò con un cenno della mano.
“Fa nulla…” sussurrò, passandosi una sciarpa intorno al collo nel tentativo di riscaldarsi. “Sono abituata ad essere giudicata per questo”.
Allison spalancò gli occhi, stupita.
“Davvero?” Selene annuì, evitando lo sguardo incuriosito dei due. “Perché noi solitamente siamo giudicati perché siamo Tassorosso…”
Selene, stavolta, non poté evitare di osservare la ragazza che stava di fronte a lei, che la fissava shoccata, come se le avesse appena rivelato uno sconcertante segreto.
Selene alzò le spalle:
“Sai, ci sono i Serpeverde che prendono in giro e quelli che sono presi in giro…” e aggiunse, decisa, “E ci sono i Tassorosso che prendono in giro e quelli che sono presi in giro”.
A quel punto, lei avrebbe anche interrotto la conversazione lì, ma Allison non era di quella opinione. Con rinnovata curiosità che, ormai l’aveva capito, era una delle sue caratteristiche principali, la ragazza chiese, cambiando totalmente argomento:
“Che musica ascolti?”
Selene si era illuminata, e Allison e John le avevano sorriso incoraggianti.

Daisy si stringeva nel golfetto tremante, stretta da un altrettanto tremante Zach.
I due grondavano acqua come due spugne, e avevano freddo.
Incredibilmente freddo.
“Ma…Le…Det…To… Malfoy” esclamò la ragazza, tra un tremito e l’altro.
Zach tentò di coprirle la spalla col braccio, ma questo non servì a farla stare meglio: il freddo le attanagliava tutte le membra, e Daisy si sentiva ribollire di rabbia. Ma sapeva che non poteva fare nulla. Non aveva mai potuto fare nulla contro quei bastardi.
“Dov’è andato Tom?” chiese per la centesima volta appoggiandosi stretta a Zach.
“Non lo so…” commentò il ragazzo, osservando attentamente nel corridoio con attenzione, in cerca del viso dell’amico. “Forse dovrei andare a cercarlo”.
Zach fece per alzarsi ma Daisy gli strinse la mano, tentando di trattenerlo.
“No, ti prego Zach!” esclamò, la voce rotta dai tremiti. “Torneranno, ti prego!” Si strinse ancora di più al ragazzo, sperando che non decidesse di andarsene, abbandonandola sola soletta in quel frangente.
Zach rispose alla stretta rassicurante e rispose, tentando di sembrare più sicuro possibile:
“Vado solo a cercare Tom, Daisy”, poi, con un sorriso, aggiunse, “Ci metto un attimo”.
E si allontanò lasciando la stretta di Daisy che, impaurita e ancora infreddolita, rimase a tremare nello scompartimento vuoto, mentre il silenzio angoscioso le attanagliava lo stomaco.
Cercando di calmarsi, la ragazza batté i piedi a terra, nel tentativo di riscaldarsi almeno in parte, ma non ci riuscì: un asciugamano avrebbe fatto comodo, ma Tom era uscito appositamente per prenderli…
Tremò di nuovo, e tentò stavolta di muovere le mani, che sentiva fredde e incredibilmente rigide. Quando provò a muovere un dito, lo sentì addormentato.
Avrebbe voluto piangere…
Come odiava quei Serpeverde, come li odiava! Eppure era così impotente riguardo a loro. Non poteva fare niente…
Che grande ingiustizia.
Essere nella casa di Godric e non poter rispondere a tono a degli stupidi bulletti. Il Cappello forse era ubriaco la sera in cui l’aveva Smistata.
Ad un tratto, qualcosa attirò la sua attenzione: passi in corridoio, che si avvicinavano minacciosi.
La ragazza aguzzò l’udito, tentando di percepire quanto vicini fossero, ma il baccano negli altri scompartimenti glielo impediva.
Una cosa era certa: stavano venendo da quella parte.
Daisy si alzò velocemente e, ancora tremando, raccolse la bacchetta da terra, iniziando a respirare affannosamente. Il suo corpo tremò tutto, non solo di freddo, stavolta, ma lei tentò di mantenersi in piedi, la bacchetta stretta in mano, con più dignità che riusciva a ostentare.
Quando sentì il rumore di passi spegnersi, chiuse gli occhi e pregò che non fosse Malfoy o qualcuno della sua banda.
Un’ombra sinistra si profilò sulla porta dello scompartimento e a Daisy venne quasi da piangere: riconosceva il profilo, era Draco.
Perdendo d’improvviso il coraggio, la ragazza indietreggiò spaventata, tentando di appiattirsi contro il finestrino e di farsi ignorare così dal ragazzo. Ma lui sapeva che era lì, e sapeva che era sola.
Daisy si abbassò velocemente a terra, tentando di farsi piccola piccola: forse, se si fosse messa in un angoletto, l’incantesimo non l’avrebbe colpita…
Poi la sagoma di Malfoy alzò la bacchetta in aria. Daisy strinse la sua e si rannicchiò su sé stessa, singhiozzando spaventata.
E…
Un tonfo. Un incredibile tonfo.
La ragazza rialzò gli occhi stupita e spaventata. Cos’era accaduto?
Tremando di freddo e di paura, si avvicinò alla porta dello scompartimento, aprendo la porta con la mano che tentava di impedirle di farlo.
Quando vide nel corridoio il corpo di Malfoy, quasi urlò di paura: qualcuno aveva messo KO il suo peggior nemico.
“Tranquilla” Daisy sobbalzò e si trovò davanti un ragazzo coi capelli neri e gli occhi azzurri che la fissava duro. La ragazza quasi desiderò sparire definitivamente: sembrava avere almeno quindici anni, e la sua corporatura era robusta e corpulenta. Le faceva paura, quasi, quel corpo così grande e potente e quegli occhi che la guardavano senza nessuna particolare espressione, freddi, neutri.
“È solo svenuto” specificò lui, come se avesse inteso male i pensieri di lei. “L’ho messo a nanna per un po’…” aggiunse, massaggiandosi il pugno chiuso.
Daisy lo osservò con soggezione mista a strana curiosità: sebbene non lasciasse trasparire nulla, quello sguardo pareva voler mostrare quanto dolore ci fosse in quel corpo, e alla ragazza non sfuggiva con quanta fermezza egli fuggiva i suoi occhi.
“Grazie…” sussurrò semplicemente Daisy, tentando di non pensare a quando si sarebbe svegliato e a cosa le avrebbe fatto di sicuro. “Non avresti dovuto”.
Lui alzò le spalle, ancora freddo e scostante.
“Aiutare donzelle in difficoltà è il mio hobby”.
Daisy sorrise, per nulla divertita, ma comunque lievemente più rassicurata. Il ragazzo le voltò le spalle, passando senza troppa cura sulla mano destra di Malfoy (che gemette lievemente) e, prima che potesse sparire, le disse, ancora freddo e distaccato:
“A proposito, mi chiamo Lesath Heryun”.
La ragazza rispose, poco convinta e decisamente intimorita:
“Daisy… Kapner.”
Il ragazzo annuì, come se lei avesse risposto a una sua domanda, e infine svanì nel corridoio.

Shaula distese i piedi sul sedile che aveva davanti, con un espressione soddisfatta in viso: adorava non essere sotto lo stretto controllo dei suoi genitori.
Come adorava sentirsi così libera, finalmente, dopo tanto tempo passato a fare la parte della bella bambina.
I suoi non potevano soffrire che la loro “piccolina” fosse una “libertina”, come la definivano loro, e l’avevano costretta sin dal primo giorno in cui aveva ricominciato a vivere sotto il loro tetto a essere una figlia “docile e sottomessa”.
Shaula ringraziava i Fondatori ogni giorno per aver creato Hogwarts, perché almeno quando era a scuola poteva davvero star ben lontana dal controllo dei suoi genitori.
Prima che la ragazza potesse rilassarsi e chiudere gli occhi in attesa del fatidico arrivo, una figura completamente bagnata si avvicinò alla porta del suo scompartimento, facendola trasalire per un istante.
“Scusa, hai un asciugamano?” domandò quello che doveva essere un ragazzo più o meno della sua età, ansimando e tremando.
Lei scosse la testa quasi meccanicamente, ancora lievemente scossa da quell’apparizione improvvisa.
“N… No” disse a mezza voce, tentando di ignorare lo sguardo supplicante che quel ragazzino (poco più basso di lei, da ciò che poteva vedere) le rivolgeva.
Il ragazzo sbuffò contrariato e poi chiese, tremando ancora tutto:
“S… Sicura? Perché… Io… Qui… S-sto… Gelando d-di freddo!!”
La ragazza guardò il sedile e lo scompartimento alla ricerca di un qualcosa che potesse servire ad asciugare il povero ragazzo, ma non trovò nulla.
“No, mi spiace, mi spiace molto…” tentò lei, col tono di voce più gentile che poteva assumere: le dispiaceva quasi, non poter aiutare quel povero ragazzo… Chissà cosa gli era capitato…
“Dei Serpeverde, eh?” chiese, tentando di risultare gentile: sapeva quanto difficile potesse essere convivere in una scuola piena di superbi ragazzini che si credevano chissà chi. Era dannatamente frustrante, a volte anche per lei che era in quella Casa.
Il ragazzo annuì lievemente.
“Sì… Malfoy” spiegò, stringendosi nelle braccia.
Shaula annuì: conosceva la fama di Draco Malfoy e sapeva quanto infame potesse risultare alle vittime dei suoi scherzi.
“Mi spiace…” sussurrò, tentando di nascondere la sciarpa dei Seroverde appoggiata sul sedile.
“Fa nulla…” disse lui, facendo un cenno con la mano. “Non è certo colpa tua se sono dei cretini, no?”
Lei fece un sorriso nervoso, tentando di nascondere nuovamente la sciarpa con un gesto nervoso che, fortunatamente, sfuggì al ragazzo.
“Puoi provare a vedere se più avanti c’è un assistente o qualcosa di simile…” tentò lei, sperando di poter essere utile.
“Grazie” sorrise lui grato. “Penso che ci andrò con i miei amici”.
Shaula sorrise nuovamente, felice di averlo aiutato almeno in qualche modo.
“Bene…” sussurrò, sollevata.
Il ragazzo la salutò gentilmente con un “Ciao” allegro e poi si diresse verso uno scompartimento poco lontano.
Shaula si ritrovò a sorridere inebetita: però, era davvero carino…

Kristen e Daniel erano appostati nel corridoio in attesa dell’arrivo di qualche Serpeverde, un sorriso maligno era dipinto sul viso della ragazza.
“Sai, non credo di volerlo più fare…” sussurrò Daniel all’orecchio dell’amica, timoroso e leggero.
“Avevi detto che avevo il tuo appoggio…” replicò lei sottile.
“Sì, ma sai, era per dire, non parlavo sul serio, insomma…” Kristen lo zittì con un gesto della mano, lievemente scocciata dal suo comportamento.
“Che pillole, Danny, ormai ci sei dentro…”
Il ragazzo la afferrò per un braccio e, con il tono più persuasivo che aveva, disse:
“Kris, non possiamo metterci nei guai, lo sai, vero? Sarebbe un casino e non certo una bella idea iniziare l’anno in modo così… Violento. Non potremmo lasciar correre, almeno per un po’?” terminò, sfoderando il suo miglior sorriso.
Kristen parve riflettere per alcuni istanti poi si illuminò.
“Hai ragione!” esclamò, causando l’allegria del ragazzo. “Hai perfettamente ragione!!”
Daniel tirò un sospiro di sollievo.
“Bene, io già pensavo…”
“Dovremmo aspettare che inizi l’anno!” detto ciò, la ragazza si rinfilò nello scompartimento dando un amichevole pugno sulla spalla al ragazzo che impallidì immediatamente.
“Non… Non intendevo...!!” provò a spiegare Daniel, tentando di far cambiare idea all’amica.
“Allora anche tu hai un tuo lato oscuro, eh?” scherzò Kristen mettendosi a masticare una Tutti i gusti+1.
“Kristen, io…” tentò nuovamente Daniel, per poi lasciar cadere le braccia desolato.
“Inutile, con te non si può ragionare…”

Filiana si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, tentando di ignorare il sibilio che le pervadeva l’orecchio.
“Sarah, non è divertente” sbuffò, concentrandosi unicamente sul libro di Difesa Contro le Arti Oscure.
La giovane Taylor si sedette accanto a lei con disappunto.
“Che diamine, Fili, e esci di qui ogni tanto!”
“Devo studiare, Sarah, non posso” le rispose lei quasi meccanicamente.
La ragazza le tolse il libro tra le mani con uno scatto autoritario, e Filiana la guardò con gli occhi sgranati.
“Sarah!” esclamò, stupita.
“Ti concentrerai solo sui libri e non vivrai mai, Fili!” ribattè la castana con forza.
Filiana riuscì a riprendersi il libro, scocciata.
“Non mi importa…” disse la ragazza poco convinta.
“Beh, a me importa!” affermò Sarah con decisione.
“E allora? Tu non sei me” rispose Filiana chinandosi nuovamente sul manuale.
“Sì, ma sono tua amica e non voglio che tu non abbia una vita!”
“Sai, Sarah, avere una vita non è solo fare gli idioti con gli amici e fare scherzi di pessimo gusto” disse lei, tagliente.
Sarah la guardò incuriosita poi domandò, leggera:
“è per questo che ti hanno fatto in questi anni che non riesci ad aprirti con gli altri?”
Filiana non rispose ma abbassò di riflesso gli occhi a terra.
“è per questo che vivi in un mondo tutto tuo, per sfuggire a quei cretini?” chiese, stavolta più ferma e sicura.
La ragazza non emise un fiato.
Ma Sarah comprese comunque.
“Non devi lasciarti rovinare la vita da quei bastardi…” disse lei, scuotendo la testa. “Non devi nascondere la meravigliosa ragazza che sei solo per colpa di quelle Serpi”.
Filiana alzò fieramente il mento ed esclamò, fredda:
“Questa è la MIA vita, Sarah. E se a te non piace, affari tuoi”.
Detto ciò, tornò alla lettura.

Simon Hale aveva passato tutta la vita tentando di soddisfare i suoi genitori.
Aveva cercato costantemente di renderli fieri di lui, con spettacolini di magia improvvisati, con dimostrazioni di affetto a tratti esagerate, con comportamenti che ai suoi occhi sembravano totalmente sbagliati ma che a quelli dei suoi genitori parevano più che corretti.
Eppure loro non erano mai soddisfatti di lui.
Non gli importava nulla dei suoi tentativi di renderli almeno felici, di farli quantomeno interessare a ciò che faceva, a ciò che creava, a ciò che era.
Da bambino, il piccolo Hale aveva sviluppato un talento straordinario, talento che si era trascinato dietro anche nell’adolescenza, talento che però da tanto, troppo tempo era sopito.
Il motivo era molto semplice: suo padre non aveva mai approvato quella passione, definendola una “perdita di tempo” e un’arte “che non paga”.
Dunque alla vista dei disegni del figlio, che con abile maestria rappresentava farfalle e fiori di ogni tipo, lui scuoteva al testa e a volte aveva persino buttato i fogli nel fuoco.
Come se sua madre fosse da meno: anche lei cinica, sarcastica, priva di ogni tipo di fantasia, sfrontata e superba.
Una donna che non provava assolutamente nulla per il figlio, se non una convinzione di dominio assoluto. Lui era suo, un semplice strumento nelle sue mani, un oggetto malleabile che poteva trasformare in ciò che più le aggradava, non certo una persona con sentimenti e pensieri propri, con idee proprie e passioni proprie.
E così Simon era stato costretto ad abbandonare la passione del disegno, come aveva dovuto abbandonare la dolce innocenza di bambino troppo presto: per compiacere i suoi genitori, era divenuto cinico, sarcastico e a tratti anche superbo.
Ma, stranamente, neanche questo andava bene a loro.
Che non lo amassero, era un dato di fatto per il ragazzo.
Forse perché lui era, in fondo, l’eterno secondo, l’ombra di sua sorella Haven, perfetta Serpeverde, ragazza piena di crudele e sottile malvagità, un viso d’angelo alla vista, un cuore di demone in realtà.
Haven era sempre stata la favorita, la prima, la ragazza che i suoi genitori anteponevano a lui.
Perché lui non valeva tanto quanto Haven.
Perché lui non possedeva quella crudeltà che la contraddistingueva, quella capacità di saper insultare le persone e di ferirle fin nel profondo dell’animo, il talento nell'urtare i sentimenti e non risentirsene.
Lui aveva per lungo tempo provato ad essere come Haven, ad indossare la maschera del cattivo e malvagio Serpeverde.
E oramai non sapeva neanche più distinguere tra la maschera e il vero sé stesso.

Quando un ragazzo entrò nel suo scompartimento con un asciugamano sulle spalle e i capelli biondi completamente attaccati al viso, a Auror quasi prese un colpo.
“Ssssh…” le disse lui semplicemente, passandole il dito indice sulla bocca.
Detto ciò, si appiattì al sedile con tutta la forza che aveva e trattenne il fiato, come se avesse voluto nascondersi.
Ed effettivamente qualche secondo dopo un rumore di passi in corridoio la avvisarono che qualcuno stava correndo, urlando più e più volte un nome che però non riuscì ad afferrare.
Il ragazzo gli fece segno di non parlare di nuovo, e lei annuì, complice: non voleva certo metterlo nei guai…
Quando sentì i passi nel corridoio dileguarsi e diventare solo un’eco lontana, il ragazzo si accasciò sul sedile sospirando di sollievo.
Anche Auror si concesse un sospiro di sollievo, inconsciamente.
“Chi erano?” chiese poi, curiosa.
Lui rimase un attimo in silenzio, come se stesse valutando se risponderle o meno, poi spiegò, calmo:
“Tiger e Goyle, non so se…”
Lei annuì; li conosceva solo di fama ma sapeva che non erano affatto persone piacevoli.
“Beh, credono che io abbia pestato Draco Malfoy” spiegò, avvolgendosi stretto nell’asciugamano. Solo in quel momento Auror si accorse che era bagnato da capo a piedi, ma non ebbe tempo di stupirsi.
“E… Lo hai fatto?” domandò, curiosa.
“Certo che no!” esclamò lui, tentando di asciugarsi i capelli.
Solo in quell’istante la ragazza realizzò che in fondo non era per niente male come ragazzo: aveva i capelli tagliati corti e ribelli, e la carnagione era lievemente olivastra, ma i suoi occhi grigi aggiungevano un tocco di fascino a un viso altrimenti ordinario. Non sapeva come definire quel fascino, ma trovava quelle pupille davvero straordinariamente espressive e… Quasi magnetiche.
Lei si avvicinò per asciugargli un po’ di acqua dal viso e lui le sorrise, gentile.
Auror gli disse poi, in tono confidenziale:
“Se vuoi puoi fermarti qui. Se dovessero tornare puoi sempre nasconderti tra i bagagli…” ridacchiò, indicando la miriade di borse, borsette e valigie che si era portata dietro.
Brame aveva tanto insistito che si portasse tutto l’armadio e tutte le borsette del trucco ad Hogwarts, quando lei avrebbe volentieri usato solo un paio di jeans e la sua amata maglietta bianca scollata (ora riposta in un cassetto a casa sua –come odiava Brame-).
Lui sorrise e rispose, con tono affabile:
“Se per te non è un disturbo…”
“Figurati!” esclamò lei. “Fa sempre piacere avere un po’ di compagnia.”
Il ragazzo sorride e si presenta ufficialmente.
“Mi chiamo Thomas… Finch”.

Evangelin tentava costantemente di ricacciare indietro i fantasmi del suo passato, ma stranamente essi tornavano sempre a farle venire gli incubi la notte e a farla penare di giorno.
Eppure lei continuava comunque, tirava dritto, andava avanti senza dire nulla, anzi, nascondendo tutto dietro il miglior sorriso che le riusciva.
Era anche nella sua natura, in fondo: tentava di dimenticare, di mettersi le cose alle spalle, e di sorriderci sopra, di fare finta di nulla.
Non era forse stata quella la sua vita fino a quel momento?
I suoi tormenti non li aveva mai confessati a nessuno, perché di nessuno si era mai fidata abbastanza.
Certo, voleva bene a Harry, a Ron e a Hermione, ma non se l’era mai sentita di raccontare loro la sua storia.
Come non se l’era mai sentita di raccontarla ad anima viva o morta.
Una volta una ragazzina del secondo anno le si era avvicinata, mentre erano in corridoio, e le aveva detto, con una calma che non credeva umana:
“Sai, credo tu abbia molti Gorgospizzi in testa”.
E se n’era andata veloce come era venuta.
Cosa fossero i Gorgospizzi Evangelin non l’aveva mai saputo, e non l’aveva mai chiesto alla bambina che, da allora, non aveva mai più incrociato e di cui non conosceva neanche il nome.
Ma, nel profondo del suo cuore, Evangelin sapeva che quel giudizio era stato il più veritiero tra quelli che la gente le avesse mai attribuito.
”Allegra…”
“Gentile…”
“Simpatica…”
Ed era vero.
Era gentile, allegra e simpatica.
Non aveva mai lasciato che qualcuno cambiasse ciò che lei era, mai, mai nella vita.
Non voleva cambiare, non voleva diventare qualcosa che non era.
Però a volte convivere coi ricordi faceva male.
E forse, sì, quella ragazzina aveva ragione: aveva troppi Gorgospizzi in testa.

Quando Harmony Lewis ritrovò Draco steso a terra nel corridoio , quasi urlò dalla paura.
Subito corse a soccorrere l’amico, avvicinandosi al suo corpo con le mani al viso.
“Draco?” chiese gentilmente, passandogli il palmo sul viso. Dal ragazzo non arrivò nessuna reazione.
“Draco?” provò di nuovo, stavolta schiaffeggiandolo lievemente.
Il giovane Serpeverde non diede segni di vita nemmeno stavolta.
Preoccupata, Harmony si sedette a terra e girò il corpo con delicatezza.
Poi, ancora delicata, si mise la testa del ragazzo in grembo e cominciò a pizzicarlo con le dita.
“Draco?” tentò una terza volta, e una quarta e una quinta.
Notò subito l’occhio nero che si era fatto, e immaginò una rissa finita male.
O un agguato.
Non c’erano poche persone che potevano avercela con il suo amico.
Con rinnovata gentilezza, prese il corpo tra le sue mani e tentò di risvegliarlo con piccole pacche sulle spalle o schiaffetti ripetuti sul viso.
“Draco!” ritentò, stavolta più decisa.
Tuttavia, mentre compiva quelle semplici azioni, non poté fare a meno di perdersi, per alcuni brevi istanti, nella contemplazione dei suoi capelli biondi platino, del taglio perfetto del viso, della corporatura robusta ma snella.
Non poté evitare neanche di arrivare, ad un tratto, ad accarezzargli il viso, con delicatezza, dolcezza, timidezza. Anche con quell’occhio nero rimaneva un bellissimo ragazzo.
Rimaneva sempre bellissimo, in qualsiasi occasione.
Era davvero speciale, lui.
Quando finalmente Draco riaprì gli occhi, la ragazza si affrettò a togliere la testa del ragazzo dal suo grembo, con una mossa decisa e secca, e a riprendersi: non poteva permettersi di fare gli occhi dolci proprio davanti a lui, no…
Il Serpeverde si massaggiò dolorosamente la testa e poi chiese, circospetto:
“Chi è stato?”
Harmony alzò le spalle e, rialzandosi in piedi, spiegò:
“Quando sono arrivata ti avevano già steso”.
Draco annuì e, tornandosi a carezzare la testa, sussurrò, dolente:
“Maledetti Grifondoro…”
La ragazza si affrettò, in un impeto di tenerezza, a prenderlo sotto le ascelle e ad aiutarlo a rialzarsi.
“Sto bene, sto bene…” replicò il ragazzo secco, rimettendosi in piedi.
Lei allora si ritrasse e tornò a osservare il suo viso con un sorriso.
Sì, con quell’occhio nero era comunque bellissimo.

Keira si infilò nel primo scompartimento che le capitò, contrariata.
Era occupato da una ragazza dai capelli mossi e scuri che ora dormiva beata, con un sorriso sulle labbra, e un ragazzo che, non appena la vide, aggrottò le sopracciglia.
“Il controllore mi ha cacciato dal mio…” borbottò lei, frettolosa.
“Oh…” commentò Ernie. Avrebbe anche voluto chiederle perché mai l’avessero cacciata ma preferì sorvolare sull’argomento.
Un silenzio imbarazzato si formò tra i due, mentre il respiro di Merida riempiva lo scompartimento.
Ernie la guardava dormire con un sorriso intenerito, mentre Keira tentava di ignorarli più che poteva: tutto ciò che voleva era fare amicizia con due ragazzini che aveva incontrato perché era stata cacciata dal suo scompartimento…
“Ti piace?” domandò brusca Keira, notando l’aria da pesce lesso che Ernie riservava alla ragazza.
Lui sobbalzò, come si fosse accorto solo in quel momento che un’altra giovane era con loro nello scompartimento.
“C…Cosa?” domandò impacciato, iniziando a giocherellare con le mani.
Keira sorrise, divertita da quel suo fare.
“Ti piace, si vede” affermò, sicura di sé.
Lui non rispose.
Semplicemente, tornò ad allacciare le mani l’una con l’altra, ancora più imbarazzato di prima.
Keira non ci fece caso e disse, decisa:
“Non dovresti fartela scappare, credimi. Perché poi, quando il vero amore se ne va…” i suoi occhi si appannarono per un istante, al ricordo di Syrena. “…Non che io ci creda…” tenne a precisare, notando lo sguardo incuriosito del giovane. “… è difficile che ritorni, sai…” sussurrò, sconfortata.
Il ricordo ritornò nella sua mente prorompente, e Keira tentò di ricacciarlo indietro con tutta la sua forza.
Le labbra di Syrena.
La bocca di Syrena.
Le sue labbra.
La sua bocca.
Keira richiuse gli occhi con forza.
Basta pensare al passato, basta!
Non le servirà a nulla crogiolarsi nel suo dolore…
Il ragazzo parve accorgersi del suo conflitto interiore e, sussurrò, tendendole la mano:
“Ernie MacMillan” poi, indicando la ragazza, aggiunse “E se lei potesse presentarsi, ti direbbe che si chiama Merida Lenix”.
Keira osservò un istante la mano che le tendeva.
“In fondo, perché no?” si disse. Il giovane si era dimostrato abbastanza gentile con lei…
Ricambiò la stretta e si presentò:
“Carine Black. Ma mi chiamano tutti Keira.”

Susan passò per la millesima volta le mani sul sedile, tentando senza successo di asciugarlo, poi, con un’imprecazione, tornò ai suoi capelli.
Blaise osservava tutti i suoi movimenti con un sorriso divertito e allo stesso tempo deliziato da quella visione. A volte lei gli lanciava sguardi di fuoco per intimorirlo, e lui li sosteneva coraggiosamente con strafottenza.
“Prova ad asciugare i miei vestiti, negro, invece di fissarmi come un baccalà” sibilò lei con durezza.
Blaise obbedì senza opporre resistenza: voleva farsi amica quella ragazza. Draco l’avrebbe trovata utilissima per certi scherzetti.
Ad un tratto, una figura alta e slanciata si appoggiò alla porta dello scompartimento (o ciò che ne restava) , osservandoli con un sorriso divertito.
Quando Susan si accorse della sua presenza, prima spalancò la bocca, poi la serrò in una smorfia di disapprovazione.
“Qui non c’è posto per i traditori come te, Noctis” disse tagliente, guardando Gwen negli occhi.
La ragazza strinse le nocche con rabbia ma non reagì all’insulto, anzi, disse flemmatica:
“Vedo che Malfoy ti ha inzuppata per bene, Crimson…”
Lei la guardò di sbieco e poi, con un sorriso, replicò:
“Quell’idiota pagherà per ciò che mi ha fatto, vedrai”.
Detto ciò, si allontanò da lei tornando ad affiancare Blaise nel tentativo di asciugare tutto.
Gwen però non si mosse dalla sua postazione.
“Posso chiederti cosa ho fatto io per meritarmi quelle gelatine sciolte nello zaino, Crimson?”
Lei alzò un attimo gi occhi e rispose, tagliente:
“Esisti, e questo mi basta, Noctis.”
La ragazza sospirò poi disse, accomodante e sottile:
“Beh, mi pare un giusto motivo per compiere uno scherzo del genere… Ma tu ti rendi conto che io non potevo starmene zitta zitta.”
Stavolta a sorridere fu Gwen, soddisfatta. Susan spalancò la bocca sorpresa poi, lentamente, si avvicinò a lei, con fare minaccioso e arrabbiatissima.
“Tu… Sei stata tu, Noctis?” domandò, il viso rosso d’ira.
Gwen sospirò.
“Sai, Malfoy stava giusto cercando lo scompartimento di Daisy Kapner e Zach Terrinson…”
“Non avrai osato…”
“… E io gli ho indicato il tuo”. Poi, con un sorriso sprezzante, disse con strafottenza:
“Ma, ehi, come hai detto tu stessa, bisogna pagare per i propri errori”.
Susan afferrò la bacchetta in uno scatto d’ira e urlò, con tutta la forza che aveva:
“STUPEFICIUM!!”
Gwen si abbassò giusto in tempo e l’incantesimo ruppe la porta dello scompartimento davanti al loro, rivelando alcuni ragazzini del quarto anno che parlavano con uno del settimo.
Noctis si nascose, la bacchetta in pugno, in uno scompartimento lì vicino, richiudendosi veloce la porta alle spalle e ansimando.
Tre ragazzi, probabilmente tutti del quarto anno, discutevano su chissà quale artista Babbano.
Quando la videro zittirono. Lei fece segno di non parlare mettendo il dito sulla bocca con fare supplichevole.
Intanto, lungo il corridoio, Susan, la bacchetta in mano, faceva esplodere tutti gli scompartimenti con furia sempre maggiore.
I ragazzi la guardavano spaventati mentre passava in mezzo a loro senza paura, quasi una figura demoniaca, e mentre continuava la sua ricerca forsennata.
“TI TROVERO’ NOCTIS!! STA CERTA CHE TI TROVERO’!!”
D’un tratto qualcuno, qualcuno di corporatura robusta, evidentemente un ragazzo, la prese per le spalle e la strattonò, tenendola stretta e tentando di fermare la sua caccia.
“LASCIAMI!!” urlò Susan, tentando di formulare qualsiasi incantesimo e puntando la bacchetta al collo dell’aggressore.
“Stai attento!” urlò una voce femminile alle sue spalle che non riconobbe.
“Fermala, ti prego!” stavolta ad urlare era stato un ragazzo.
Susan tentò di strattonarsi dalla presa ma non fece altro che peggiorare la situazione: il ragazzo strinse le braccia intorno alla sua vita e le immobilizzò i polsi sicuro.
La ragazza, in un ultimo scatto di ira, urlò con tutta la sua forza “STUPEFICIUM!!” e un attimo dopo fu libera.
Tutto ciò che sentì fu un colpo secco rimbombare per il corridoio, ma di ciò non si curò.
Alcune grida la avvisarono che la sua vittima era stesa a terra, probabilmente priva di sensi.
Ma lei non vide nulla. Non si voltò. L’unica cosa che notò fu che le era rimasto un ultimo, unico scompartimento.
“Noctis…” sussurrò, un sorriso soddisfatto sul viso.
Susan alzò la bacchetta, decisa e…
Un gran colpo alla sua testa.
La ragazza cadde a terra.
Era stato Blaise.
“Che donna…” sussurrò il ragazzo, con un sorriso sul viso.

Il ragazzo era in mezzo al corridoio, gli occhi chiusi e il viso contratto in una smorfia di dolore.
Vicino a lui, c’erano Harry Potter, Ron Weasley e Hermione Granger, che tentavano di rianimarlo con scarsi risultati.
“Forza, bello, riprenditi…” sussurrò Harry dandogli uno schiaffetto leggero sul viso.
“Oh Dio, Harry, e se ora muore?” si mise a piagnucolare Ron, ancora shoccato dagli avvenimenti.
“Ma certo che non muore, Ronald!” esclamò Hermione, tentando di rianimarlo.
Alcuni studenti si avvicinarono al giovane con fare curioso, mentre Harry tentava di tenere indietro i curiosi, esclamando:
“Fatelo respirare, diamine!”
D’un tratto, l’ultimo scompartimento si aprì, rivelando una esterrefatta Gwen Noctis, uno spaventato John Taylor, una stupita Selene Byron e una angosciata Allison Frost.
La ragazza corse lungo il corridoio con furia e, arrivata vicino al corpo del ragazzo, si fece spazio tra i curiosi malamente, scostandoli quasi con violenza.
Quando vide il volto del giovane in questione, trasalì.
“CEDRIC!”

Note d'autrice:
OK, sono tornata!
Chiedo scusa all'autrice di Merida per non averla fatta agire e prometto che mi riprenderò con il prossimo capitolo!
Inoltre, ora potete DAVVERO cominciare a fare le vostre supposizioni in fatto di coppie!
Come vedete, ci sono stati molti primi incontri in questo capitolo!
Il prossimo sarà l'ultimo in cui tutti i nostri protagonisti agiranno tutti insieme: dal successivo, che si ambienterà FINALMENTE ad Hogwarts, dedicherò dei capitoli a un gruppetto di personaggi o a un altro.
Inoltre da questo momento, protagonisti saranno anche Harry, Ron, Hermione e Cedric.
Come forse avrete intuito dal finale del capitolo, nella mia storia il Trio ha un rapporto ben diverso con Ced, ma non dico altro.
Spero di avervi incuriosito!
Nel prossimo capitolo finirò di fare i miei "primi incontri" e daremo una sbirciata a Cedric nell'Infermeria (C'E' UN INFERMERIA NEL TRENO PER HOGWARTS???) e tutto il casino che Susan ha fatto.
Inoltre credo farò un "incontro collettivo" dei personaggi, così almeno si conosceranno tutti.
Spero abbiate gradito il capitolo e che continuiate a seguirmi e sostenermi come avete fatto dall'inizio di questa storia!

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Capitolo 4
*** On Hogwarts Express-terza parte ***


Cedric Diggory era stato trasportato nell’Infermeria del treno con urgenza.
Harry si era catapultato dietro alla barella con sopra il ragazzo seguita da un’affannata Allison Frost che aveva lasciato la gabbietta con Cedric in mezzo al corridoio senza curarsi di John che osservava il ragazzo preoccupato tanto quanto lei.
All’apparenza non parevano esserci stati altri feriti in merito al “piccolo” incidente combinato dalla signorina Crimson e dalla signorina Noctis, che ora sedevano impazienti e lievemente piccate su una panca che era stata sistemata nel bel mezzo del corridoio, in attesa dell’arrivo ad Hogwarts per ricevere la famosa “strigliata” per cui la McGrannitt era famosa, e neo frattempo sbuffavano infastidite l’una della vicinanza dell’altra.
I passeggeri che erano rimasti senza scompartimento erano affollati ora nel bel mezzo del corridoio, tutti stretti e appiccicati gli uni agli altri, in attesa di disposizioni del conducente. Pareva non ci fosse spazio negli altri vagoni, e dunque rischiavano di compiere tutto il viaggio in piedi. Non erano poche le occhiate assassine rivolte a Susan e Gwen. La prima le sosteneva fieramente alzando il viso, la seconda rispondeva contorcendo il viso in una smorfia di disgusto.
Gwen sospirò quando un ragazzo dalla pelle scura le si avvicinò curioso, il viso illuminato da un’espressione di pura gioia. Già immaginava tutto il discorso che le avrebbe fatto…
L’aveva visto un paio di volte ad Hogwarts e non le era sembrato per niente un tipo da farsi gli affari propri.
“Ciao…” lo salutò il ragazzo nervosamente, sollevando lievemente i talloni. Pareva nervoso.
“Ciao…” rispose semplicemente Gwen agitando lievemente la mano in un gesto derisorio e sarcastico. Solitamente a quella manifestazione chiunque scappava da lei…
Il ragazzo però non desistette: le porse la mano sorridendo e si presentò.
“Giornalista del Corriere di Hogwarts” disse semplicemente.
Gwen aggrottò le sopracciglia.
“Non ho mai sentito parlare di questo Corriere…”
“Perché non è stato ancora pubblicato!” spiegò lui allargando le braccia. Gwen alzò gli occhi al cielo: era tutto matto.
“Ma quando finalmente troverò uno scoop abbastanza succulento, Silente dovrà farmelo aprire per forza!” spiegò lui tutto eccitato.
Gwen alzò lo sguardo su di lui e chiese, lievemente irritata:
“Mi stai chiedendo di diventare il tuo scoop per farti aprire un misero giornale?”
“Esattamente!” esclamò lui, sorridendo apertamente.
Gwen scrollò le spalle.
”Si dà il caso che anche la signorina qui a fianco…” sibilò, guardando di sottecchi Susan. “… potrebbe rappresentare uno scoop più succulento di me, considerando che è stata LEI a cominciare…”
Susan si voltò verso di lei e, tagliente, sussurrò:
“Vai a quel paese, Noctis!”
“E considerando anche i problemi mentali che ha, mi farebbe molto piacere se tu, con il tuo articolo, riuscissi a farla FINALMENTE interrare ad Azkaban come si merita!” continuò lei imperterrita, rivolta a ragazzo, che le osservava spaesato.
Susan incrociò le braccia al petto.
“Mi rifiuto di parlare!”
Gwen fece un segno con la mano come a dire “peccato”, poi ritornò a poggiare il viso sul mento, lo sguardo perso nel vuoto.
Il ragazzo si avvicinò cautamente a lei e le sussurrò all’orecchio, un sorriso lievemente malevolo dipinto sul volto:
“Bè, ma se tu mi raccontassi la TUA versione dei fatti e io ne facessi un articolo, potrebbe DAVVERO finire ad Azkaban come si merita…”
Gwen voltò il viso verso di lui con un sorriso aperto e malizioso.
“Non sei così tocco, amico!”
Susan ribattè, scocciata:
“Io sono qui, eh!!”
Gwen la ignorò e strinse la mano al ragazzo con un sorriso tra il divertito e il crudelmente soddisfatto.
“Gwen Noctis!”
“Lee Jordan, futuro giornalista del Corriere di Hogwarts!”
 
Zach cercava Daisy tra i ragazzi che affollavano il corridoio, l’ansia dipinta sul volto.
Diamine, non avrebbe dovuto lasciarla sola! Chissà cosa l’era successo quando gli scompartimenti erano esplosi… Poteva solo sperare che Tom fosse tornato da lei e che i due non si fossero fatti male.
D’un tratto, urtò un ragazzo che arrivava dalla sua opposta direzione e gemette di dolore.
“Cavolo…” sussurrò.
“Zach, amico!” esclamò una voce che ben conosceva. Tom era davanti a lui, stretto in un asciugamano che gli copriva spalle e capelli, affiancato da una ragazza dai capelli biondi sparati in aria che gli stringeva la spalla.
“Tom!” esclamò lui, stupito di vederlo. “Hai visto Daisy?” si affrettò a chiedere, sempre più preoccupato.
“No, la stavo giusto cercando!” spiegò lui alzando le spalle.
Zach si passò le mani sul viso.
“Cavolo…” Aveva il fiatone. “Non va bene, non va affatto bene…”
“Amico, perché tanta ansia?” chiese Tom, il viso attraversato da un sorriso divertito. “Si sarà presa uno spavento grande come una casa e ora sarà in un angoletto a piangere!” ridacchiò, tentando di smorzare la situazione.
Zach avrebbe voluto dargli un pugno in faccia, ma si trattenne.
“Tom, ti prego, non capisci??” chiese, il tono teso. “Se era dentro lo scompartimento quando è successo tutto potrebbe essere ferita!”
Il ragazzo sembrò preoccuparsi un po’ ma poi replicò, la fronte aggrottata:
“Ho sentito dire che solo quel Diggory è stato ferito, non so se…”
“E che mi dice di quegli sporchi Serpeverde che sono qui in giro?”
Tom impallidì quando si rese conto della situazione.
“Oddio…” sussurrò, passandosi una mano sul viso.
“Già…” rispose Zach, sinceramente preoccupato. “Se quelle Serpi sono ancora qui in giro, se le hanno fatto del male io… Oh, Dio, quei bastardi!” proruppe, senza poter più contenere l’ira.
La ragazza che aveva accompagnato Tom tossì lievemente, come a voler ribadire la sua presenza lì, e solo allora Zach si rese conto della sciarpa di Serpeverde che portava al collo.
“Oh…” sussurrò, diventando rosso per l’imbarazzo. “S…Scusa…” sussurrò, deglutendo. Ora l’avrebbe pestato come una cotoletta, già lo sapeva…
“Fa nulla” rispose la ragazza alzando le spalle. “Dopo un po’ ci si fa l’abitudine…” continuò, il tono velato da una punta di rammarico.
Tom parve riprendersi dallo stato catatonico in cui era caduto e si affrettò a dire, anche lui rosso d’imbarazzo:
“Ehm… Zach, lei è Auror”.
Il ragazzo le porse la mano con fare lievemente sospettoso e la ragazza la strinse guardandolo fisso negli occhi.
“Auror, lui è Zach…”
Il ragazzo parve sondarla con un unico sguardo, come se la stesse ispezionando, poi abbassò lo sguardo e mollò la presa.
Lei invece lo fissò ancora per qualche istante poi sussurrò, il tono atono:
“Tanto piacere…”
 
Filiana stringeva al petto il libro come se volesse proteggersi da qualcuno e da qualcosa, come se quel libro fosse la sua armatura verso il mondo.
Il suo sguardo vagava ansioso in mezzo alla folla, alla ricerca di un vis amico, mentre i suoi piedi venivano schiacciati e lei si rannicchiava lievemente su sé stessa: era sempre stata piccola di statura e questo non le giovava di certo.
Si guardava intorno circospetta, alla ricerca di Sarah e con i sensi pronti a scattare al minimo avvicinamento di Malfoy o di qualcuno del suo gruppo.
Qualcuno la scontrò nella disordinata confusione, e il libro cadde sul pavimento con un tonfo secco.
“Mi spiace…” sussurrò una voce accanto a lei, che non riconobbe: si fiondò subito a raccogliere il libro, senza degnare di uno sguardo il ragazzo che gli stava accanto.
“Fa nulla…” rispose, rialzandosi velocemente, con una tale fretta che, per il nervoso, andò a sbattere contro la testa del giovane che le aveva rivolto la parola.
“Auuh…” esclamò, accarezzandosi la fronte dolorante.
“Mi dispiace, mi dispiace tantissimo…” farfugliava il giovane che solo allora vide in viso: era un ragazzo di colore che doveva avere più o meno la sua età, dai capelli neri e gli occhi marroni penetranti. Anche lui si massaggiava la testa con fare addolorato, e Filiana non poté fare a meno di sorridere a quella sua goffaggine. Non era, forse, anche lei, una goffa Grifondoro che si era appena scontrata con un ragazzo nel bel mezzo di un corridoio gremito di gente?
“Figurati… è stata colpa mia” disse Filiana alzando le spalle. “Sono un’imbranata…”
Il ragazzo inarcò le sopracciglia e le si avvicinò, gli occhi fissi sulla copertina del libro che teneva in mano. Filiana lasciò che lo prendesse non senza tremare lievemente: temeva sempre che qualcuno potesse rompere una pagina o macchiare la copertina.
“Questo è un libro molto impegnativo…” osservò il ragazzo con aria da intenditore.
Filiana chiese, curiosa:
“Piace anche a te leggere?”
Il ragazzo sorrise.
“Tantissimo! È stupendo immergersi nelle Arti Magiche in questo modo…”
Filiana rimase stupita da quella osservazione.
“Sai, se vuoi un consiglio, credo che –Difesa contro le Arti Oscure per principianti- sia il più completo tra quelli che si trovano nella Biblioteca di Hogwarts, nonostante sia molto semplice è curatissimo!” esclamò lei, tutta infervorata dall’argomento.
Il ragazzo la osservò curioso.
“Conosci anche –Difesa contro le arti oscure: trucchi di Albus Silente-?”
Filiana spalancò occhi e bocca.
“È uno dei miei preferiti sull’argomento!”
Stavolta fu lui a rimanere stupito.
“Cavolo, io non sono potuto andare oltre il secondo capitolo…” sussurrò scherzoso.
Filiana ridacchiò tra sé e sé.
“È un libro pesante e complicato” esclamò il ragazzo, passandosi le mani tra i capelli.
Filiana alzò e spalle, afferrando il libro.
“Ma no, devi solo capirne il linguaggio…”
Lui sorrise e chiese, con aria fintamente innocente:
“Mi faresti l’onore di aiutarmi a capire il linguaggio di quel libro?”
Filiana chiese, un sorriso malevolo sul viso:
“è un invito o cosa, Casanova?”
Il ragazzo portò le mani davanti a sé.
“Non mi permetterei mai! Non bacio mai al primo incontro!”
Filiana alzò un sopracciglio.
“Potremmo considerarla una interiezione di due cervelli particolarmente acuti e uno scambio di opinioni, nulla più”.
Poi, piegandosi verso di lei, sussurrò confidenziale:
“Inoltre non mi perderei l’occasione di parlare per lungo tempo di ciò che amo di più con una ragazza così carina…”
Filiana arrossì tutta, senza neanche rendersene conto.
Poi tossì tentando di togliere il groppo che le si era formato in gola e disse, alzando la testa con un gesto di fierezza che fece sorridere il ragazzo:
“In fondo, perché no?”
Così detto, prese il ragazzo per mano e i due si avviarono in un angoletto.
“Dean” sussurrò lui dopo alcuni istanti.
“Cosa?” chiese lei, stupita da quell’affermazione.
“Il mio nome è Dean Thomas” spiegò lui, con un sorriso sardonico sul viso. “Credo che dovremmo almeno presentarci, considerando che credo qui ci vorrà molto tempo”.
Filiana sorrise e rispose, scorrendo le mani sulla pagina del libro:
“Filiana Basile”.
 
John ritrovò Sarah solo dopo aver scostato in malo modo almeno dieci ragazzi diversi.
La gemella parve illuminarsi in viso quando lo vide in mezzo alla folla, e si buttò tra le sue braccia con uno slancio tale che per un istante il ragazzo barcollò e rischiò di far cadere la valigia a terra.
“John…” sussurrò la ragazza stringendosi ancora di più a lui.
Il ragazzo, a mezza voce, sussurrò:
“Diamine, Sarah, non sono mica morto…”
La ragazza si decise finalmente a staccarsi.
“Ma potevi essere ferito! Cavolo, John, ho avuto tanta paura che fossi…”
Il ragazzo la prese per le spalle e affermò, il tono sicuro e calmo:
“è tutto a posto, Sarah…” Detto ciò, se la strinse al petto, lasciando che lei gli passasse le braccia intorno al corpo affettuosamente.
“Dio, John…” sussurrò, singhiozzando lievemente. Non poteva immaginare una vita senza il gemello e non poteva immaginare che gli potesse succedere qualcosa. Se lui veniva ferito, era come se ferissero lei: un dolore atroce e insopportabile sapere che suo fratello stava male…
“Tranquilla, Sarah…” sussurrò lui, passandole una mano tra i corti capelli castani. Il fatto che lui fosse più alto lasciava quasi credere che fosse lui il fratello maggiore, e così per tutta la vita si era comportato: la colonna di sua sorella, il guardiano della sua “piccolina”, colui che la aiutava nei momenti di difficoltà e su cui sempre lei aveva potuto contare.
“Ci sono qui io…” sussurrò, appoggiando la sua testa a quella della sorella. “E niente mi porterà via da te”.
La ragazza si staccò d’improvviso e chiese, il tono velato di tristezza:
“Dov’è Cedric?”
John chiuse gli occhi, tentando di trattenere le lacrime: anche solo sentir pronunciare quel nome gli faceva un male atroce, e Sarah lo sapeva.
“Infermeria” disse semplicemente, passandosi una mano sotto gli occhi. “Ally è andata con lui…” aggiunse, serrando i denti per la rabbia: non poteva odiare la sua migliore amica, ma a tratti l’intimità che aveva con Cedric gli metteva addosso una rabbia tale che avrebbe voluto prendere a pugni qualcosa.
Si erano incontrati qualche anno prima ma solo da qualche mese il loro rapporto si era concretizzato: dopo il fidanzamento di Cedric con Cho Chang si erano scoperti tutti e due membri del “Club dei Senza Speranza” ed erano diventati grandi amici. Era consolatorio sapere che c’era qualcun altro nel mondo che aveva avuto la sua stessa sfortuna del non farsi avanti in tempo, e sebbene a tratti sapere di avere accanto una ragazza innamorata del suo stesso innamorato fosse snervante e quasi drammaticamente triste, Ally era sempre lì a sostenerlo quando i suoi occhi si posavano su un abbraccio, un bacio, una carezza che Cho e Cedric si scambiavano in corridoio.
Era anche vero che l’amicizia tra Ally e il ragazzo era tanto consolidata che più e più volte era stato dannatamente geloso della ragazza e, anzi, l’aveva a lungo considerata una rivale. Ma la verità era che nessuno poteva capire come Ally, e questo era tutto ciò di cui John Taylor avesse bisogno: comprensione, e che qualcuno gli stesse accanto.
Ally lo comprendeva e gli stava accanto.
Ed era anche lei, anche se forse un po’di meno, senza speranza.
 
Daisy andò a sbattere contro l’ennesimo Serpeverde che “pretendeva di andare a parlare con il capotreno”. La ragazza si scusò con una voce talmente debole che neppure i delfini avrebbero potuto udirla, e poi si accucciò in un angolo senza proferire parola.
E cosa avrebbe dovuto fare, se non tacere e cercare di non farsi notare? Sperava solamente che Malfoy non fosse nelle vicinanze e che Zach e Tom sarebbero arrivati presto per proteggerla.
Come meglio potevano proteggerla.
Non era tipa da azione, lei.
Non lo era mai stata.
Se si fosse potuta definire con una sola parola, avrebbe scelto “debole”.
Nulla la rappresentava di più.
E dire che era una Grifondoro…
Prima che se ne accorgesse, un ragazzo si sedette accanto a lei, con una tale studiata lentezza e una tale delicatezza, in un certo senso, che Daisy non se ne sarebbe nemmeno resa conto, se non avesse girato il viso proprio nell’istante in cui lui girava il suo.
“Chi si rivede, eh…” disse con poco slancio Lesath.
Daisy rimase muta, mentre il ragazzo alzava gli occhi al soffitto del treno.
La ragazza deglutì lievemente: l’immagine di lui che malmenava Malfoy era ancora ben impressa nella sua mente, e non dubitava che, se lo avesse fatto arrabbiare, lui non avrebbe esitato a fare lo stesso con lei: non sembrava, alla fin fine, uno di quei Principi Azzurri che nelle favole salvano le donzelle in difficoltà. Pareva più un furfante, un misterioso furfante che, con un sorriso falso, prima fingeva di salvare le suddette ragazze e poi le derubavano o rapivano.
O peggio, le…
Daisy chiuse gli occhi, non volendo neppure pensare a quella eventualità. Era un ragazzo normale, si disse. Forse ai suoi occhi poteva sembrare anche inquietante, ma le aveva comunque salvato la vita.
“Grazie… Per prima…” sussurrò lei, evitando di guardare il viso del giovane.
“Figurati” rispose lui, il tono atono e freddo.
Daisy rabbrividì: non aveva mai sentito voce più calma di quella. O meglio, voce più indifferente. Non era calma, la sua: era come un’angoscia continua e sofferente che però era nascosta dietro un muro impenetrabile. Il muro dell’indifferenza, appunto.
La ragazza domandò, tentando di intrattenere la conversazione:
“Che anno fai?”
Lui non si voltò e rispose, secco:
“Il quinto”.
Lei sospirò, come se lui avesse confermato un suo sospetto: dubitava che potesse avere la sua età.
“Tu, ragazzina?”
Daisy chiuse gli occhi e rispose, lievemente aspra:
“Il quarto, e non sono una ragazzina”.
Sentì il ragazzo accanto a lei ridacchiare e dire, lo stesso tono indifferente che l’aveva tanto colpita:
“Scusami molto, ma credevo fossi una del terzo anno… E non immaginavo fossi una suscettibile” aggiunse alla fine con una punta di ironia.
Daisy contorse la bocca e domandò, tentando di trattenere a voglia improvvisa di prendere a schiaffi il giovane:
“E che diritto avresti, comunque, di chiamarmi ragazzina?”
Lui rimase zitto per alcuni istanti poi rispose, con malcelata malizia:
“Credo di averlo, considerando che ti ho salvato la vita… Daisy, giusto?”
La ragazza sbuffò. Diamine, non ricordava neanche il suo nome… Era decisamente un furfante e non si meritava ringraziamenti.
E dire che fino a qualche minuto prima gli era stata tanto grata…
La ragazza sospirò e tentò di ignorare il fatto che Lesath le fosse accanto e tentando di ignorare la sua figura che le sembrava quasi inquietante nel corridoio gremito. Non sapeva perché, ma quel ragazzo aveva uno strano effetto su lei…
“Voglio restare sola” disse semplicemente, stringendosi nelle gambe.
Il ragazzo non rispose e non accennò a rialzarsi.
Commentò semplicemente con un secco:
“Tò guarda, anche io volevo stare da solo…”
La ragazza si incordò tutta e osservò, acida:
“ALLORA, forse è il caso che uno di noi due se ne vada, non trovi?”
“Bene, ma quel qualcuno non voglio essere io! Vattene tu!” replicò lui senza una particolare inflessione nella voce.
Daisy ridacchiò e guardò Lesath in viso chiedendo:
“Stai scherzando?”
Lui alzò le spalle.
“No,” disse molto semplicemente. “Non sono così stupido da lasciare l’unico posto libero nel corridoio”.
Daisy chiese, sarcastica:
“Ti rendi conto che sei seduto per terra?”
Lesath replicò:
“Ti rendi conto che ANCHE TU sei seduta per terra?”
La ragazza sbuffò e si voltò senza aggiungere altro.
Lesath sorrise e commentò:
“Credo che se avessi tirato fuori questa determinazione con Malfoy non avresti avuto bisogno del mio salvataggio”.
Daisy non si degnò nemmeno di degnarlo.
Che ragazzo insopportabile…
 
Merida si passò una ciocca di capelli intorno al dito con nervosità: lo faceva sempre, quando era preoccupata o agitata.
Ernie le aveva presentato in tutta fretta la ragazza che si era seduta nello scompartimento con loro e lei ne aveva capito a malapena il nome, ma non le importava poi nulla: il ragazzo le aveva detto poco o niente di tutto ciò che era avvenuto e poi era sparito dirigendosi verso l’Infermeria in cui, secondo alcuni ragazzi che aveva sentito, era stato ricoverato Cedric.
Ora Merida era ferma in mezzo al corridoio con lo zaino sulle spalle mentre Edgar le si attorcigliava intorno alle caviglie miagolando spaventato.
Il gatto si era scontrato poco prima con la civetta di Allison Frost che la ragazza aveva lasciato nel corridoio per correre a vedere, anche lei, come stesse Cedric.
La ragazza sbuffò: se il Tassorosso era tanto stupido da non capire che la ragazza era cotta e stracotta di lui, lei non se lo meritava davvero.
 Nella confusione generale, qualcuno che non riuscì a identificare le pestò il piede.
“Cacchio…” imprecò lei, per non dire altro.
“Scusa…” sussurrò il ragazzo, che aveva dei bei capelli color del rame leggermente lunghi e degli occhi azzurri così profondi e chiari che per un istante Merida ne rimase rapita.
“Fa nulla…” sussurrò la ragazza, arrossendo tutta: diamine, era davvero carino…
“Ho pestato i piedi ad almeno dieci ragazzi nell’ultima mezz’ora” sorrise lui, scoprendo dei denti bianchi come perle.
Merida arrossì ancora di più: caspiterina… Era un gran bel tipo…
La ragazza si affrettò a tendere la mano incespicando nelle parole.
“Me… Merida Lenix, piacere…”
Il ragazzo strinse la mano aggrottando le sopracciglia, e ancora di più fu stupito quando lei rispose alla stretta con una tale forza che per un istante ebbe paura di urlare.
“S… Simon Hale…” rispose, con un sorriso forzato.
Però…
Era molto carina, davvero.
Poco lontano, Ernie McMillan, appena uscito dall’Infermeria, osservava la scena con bocca e occhi totalmente spalancati.
Per un istante, le parole di Keira gli tornarono alla mente.
E non poté negare che, forse, aveva avuto ragione.
 
Evangelin si era separata da Neville a malincuore: il ragazzo si era diretto dal capostazione con un gruppetto di Grifondoro che annoverava, tra gli altri, Hermione Granger e Ron Weasley e l’aveva lasciata sola.
La ragazza si avvicinò, curiosa, a due ragazzi che stavano discutendo su un libro che sembrava particolarmente voluminoso. La ragazza che teneva in mano la discussione era castana e aveva un fisico snello ma non particolarmente attraente. Il ragazzo, che la osservava con un sorriso dolcemente perso stampato in viso, era invece di colore e aveva capelli neri pettinati alla afro. Evangelin sorrise: Dean non perdeva un’occasione per fare colpo…
Si avvicinò non con poche difficoltà, districandosi tra tutti i ragazzi che affollavano il corridoio e, arrivata davanti alla coppia, chiese al ragazzo con una punta di ironia:
“Facciamo nuove amicizie, Dean?”
Entrambi alzarono lo sguardo su di lei, ma le reazioni alla sua apparizione furono contrastanti: la ragazza aggrottò le sopracciglia, mentre Dean diventò completamente rosso. O meglio, questo era ciò che immaginava dal colorito che aveva preso la sua pelle.
“Eve…” esclamò lui, e subito scattò in piedi per presentare le due ragazze. “Fili, questa Eve. Eve, questa è Fili”.
Filiana porse la mano alla ragazza con un sorriso aperto e dolce, e Evangelin rispose con uno straordinariamente allegro.
“Felice di conoscerti!” esclamò la prima.
“Io sono felice!” ribattè l’altra. “è sempre bello conoscere nuovi amici!”
Poi, lanciando uno sguardo ammiccante a Dean, aggiunse:
“Soprattutto se sono amici di Dean…”
Le due ragazze scoppiarono a ridere mentre il ragazzo si nascondeva il viso tra le mani, ancora più imbarazzato.
Subito, Evangelin si sedette vicino a Filiana e iniziò a sbirciare nel libro con aria interessata.
Iniziò una discussione su chissà quale incantesimo e chissà quale libro da cui Dean fu bellamente escluso.
 
Selene aveva perso di vista sia John che Ally.
Dal poco che aveva capito, nella confusione generale, la ragazza si era diretta in Infermeria per verificare di persona le condizioni di salute di Cedric Diggory, e John aveva raggiunto la sorella Sarah.
Sel non poteva evitare di sorridere al pensiero di Ally corsa dietro al ragazzo: la giovane le aveva parlato poco di Cedric, però ne aveva parlato con una tale eloquenza e un tale entusiasmo che non aveva potuto fare a meno di sorridere tra sé e sé. Si spiegava ora perché la sua civetta si chiamasse Cedric…
Senza rendersene conto, urtò una ragazza che, proprio in quel momento, si stava dirigendo dalla parte opposta da cui lei veniva.
La ragazza aveva capelli castani corti e occhi anch’essi castani, in quel momento sprizzanti d’ira.
“Idiota!” le urlò contro lei, con una tale cattiveria che Selene rimase spiazzata per un istante, prima di risponderle.
“Sei tu quella che faceva il Bastian contrario, non certo io!” replicò lei, tagliente.
La ragazza le puntò il dito contro ed esclamò, con ira:
“Dal MIO punto di vista, eri tu quella che veniva dall’altra parte!”
“Bè, dal MIO punto di vista TU venivi dall’altra parte!” replicò lei. “E inoltre, dannazione, ti ho solo scontrata! Come se in questo corridoio non stessimo già abbastanza stretti…”
Poi, con rabbia, esclamò, impetuosa:
“Se tutti qui si lagnassero ogni qualvolta qualcuno lo scontra o gli pesta il piede ci sarebbe ben più casino di quello che c’è ora, carina!”
La ragazza non si scompose.
“È Carine” disse, atona.
Selene aggrottò le sopracciglia.
“Che?” domandò, stupita.
“Carine. È il mio nome” rispose l’altra, alzando le spalle. “Ma tutti mi chiamano Keira”.
La ragazza rimase zitta senza aggiungere altro, le braccia incrociate al petto.
Selene sospirò, poi rispose, lievemente infastidita:
“Selene…”
Gli occhi di Keira parvero velarsi di sorpresa e tristezza per un istante, come se avesse sentito improvvisamente il nome di una persona cara e conosciuta. Ma subito si riprese e sussurrò, a mezza voce:
“Che nome bellissimo…”
Selene aggrottò le sopracciglia poi disse, lievemente sorpresa da quell’atteggiamento:
“Bè… Grazie…”
Poi, veloce come era arrivata, Keira la sorpassò e se ne andò, il passo affrettato di chi è in ritardo per un appuntamento o di chi vuole evitare una persona.
Selene rimase per un istante ferma, senza sapere cosa fare o dire, poi alzò le spalle e si diresse verso l’Infermeria, sperando di rivedere Ally.
 
Kristen si era rifugiata in un angolo con Daniel, osservando con sguardo truce i Serpeverde capitanati da Malfoy che, con aria di superiorità, chiedevano di “poter parlare con i propri genitori” e di avere il diritto di “denunciare quelle pazze criminali” (riferendosi a Gwen e Susan, naturalmente). Il capotreno era arrivato da poco solo per comunicare lo spostamento di tutti i presenti negli altri vagoni ed era stato subito investito da domandi invasive e proteste altisonanti.
Kristen aveva roteato le pupille più di una volta alle ridicole minacce di Draco.
Accanto a lei, notò con un sorriso la ragazza, c’era quella ragazzina dai capelli castani scuri e gli occhi dorati ce gli stava sempre dietro come un cagnolino sta dietro al padrone. Se non si sbagliava, il suo nome era Harmony e da lungo tempo la sua famiglia era amica dei Malfoy.
Shaula le si avvicinò con un sorriso sul viso e le due si scambiarono un cinque basso, non viste da Daniel che aveva raggiunto Zach Terrinson, suo grande amico.
“Quella lì è davvero peggio di un chiuaua…” commentò la bionda in tono tagliente.
La mora annuì.
“Malfoy se la porta dietro dovunque e ha anche il coraggio di negare che è la sua fidanzata…”
Shaula replicò, spiegando con calma:
“Ho sentito che non lo è davvero: lei è innamorata follemente di lui, non so come, e lui invece non se la fila per niente…”
Kristen si voltò a guardarla.
“Chi te l’ha detto questo?”
La ragazza sorrise e spiegò:
“Tiger e Goyle si sono accontentati di un dolcetto”.
La bionda scoppiò a ridere:
“Sei una maga dell’estorsione, Shaula…”
Poi, tornando seria, le sussurrò all’orecchio:
“Allora, abbiamo deciso per la lezione di Divinazione?”
“Decisamente” confermò Shaula. “La Cooman è talmente scema che ci cascherà subito…”
Poi, per un istante, rivide nella folla il bel ragazzo che si era infilato nel suo scompartimento solo una mezz’oretta prima.
I suoi occhi si incontrarono con i suoi e per qualche momento lei si perse nella magia di quelle iridi: aveva un ché di tenero, quel ragazzo, un qualcosa che lo rendeva subito amabile, all’anima e al cuore.
Quando Kristen la riscosse con un lieve pugno sulla spalla, Shaula chiese, con curiosità:
“Di che Casa è quel ragazzo?”, indicandolo con un dito.
Kristen ci mise qualche istante prima di inquadrarlo poi spiegò, con un sorriso sardonico:
“Si chiama Zach Terrinson, ed è Tassorosso”.
Shaula si sentì mancare la terra sotto i piedi, per un istante, e Kris sospirò:
“Proprio di un Tasso ti dovevi innamorare?”
 
Allison era accanto al ragazzo che ora giaceva sulla barella, gli occhi chiusi e un’espressione rilassata in viso.
Sembrava quasi un angelo, si ritrovò lei a pensare, mentre gli stringeva la mano con fare protettivo e preoccupato: i capelli color del rame ricadevano dolcemente sul cuscino, la bocca perfetta era socchiusa e mostrava parte dei denti bianchi e luccicanti, il suo profilo era semplicemente perfetto, la sua pelle pareva porcellana.
Così delicata…
Così delicato…
Il dottore aveva detto che non era nulla di grave, nulla che non si potesse risolvere con una buon impacco ghiacciato, ma ancora non si era svegliato.
E Ally non poteva fare a meno di essere preoccupata: in fondo, era o non era quel ragazzo Cedric Diggory, il primo e l’unico che le aveva fatto battere il cuore, il Tassorosso tanto gentile che l’aveva difesa al suo primo anno quando era solo una mocciosetta e che lei aveva difeso quando i Serpeverde o i Corvonero lo bersagliavano?
Non era forse lui il suo migliore amico?
Solo migliore amico…
Per l’ennesima volta da quando l’anno scolastico era finito, Ally si ritrovò ad abbassare lo sguardo, pensando a quanto ingiusta fosse quella situazione: lui fidanzato con una ragazza che a malapena conosceva e lei reclutata un angoletto, a guardare con gli occhi velati di lacrime la felicità di un altro.
Si era sempre definita forte, Ally, anche se all’apparenza poteva sembrare debole, eppure davanti a quel sorriso non poteva fare a meno di sciogliersi, e davanti a quelle piccole attenzioni che lui riservava a Cho non poteva evitare di sentirsi avvampare.
Era per “colpa” sua che era nata l’amicizia con Johnny, era stato lui ad unirli, anche se non se ne rendeva conto. Era lui origine e causa di ogni suo bene come di ogni suo male, di ogni sua gioia e di ogni suo dolore.
Era semplicemente Cedric.
La mano che stringeva la sua si mosse lievemente, e Ally trasalì.
Lievemente, le belle palpebre si schiusero, rivelando gli occhi grigi che sempre la stregavano.
“Ced…” sussurrò lei, rincuorata e felice.
“Ally…” rispose lui, in un sussurro a malapena udibile.
Lei gli passò una mano sulla guancia con dolcezza, sorridendogli confortante.
“Ssssh… Non fare sforzi, ti prego…” disse, stringendo la mano che lui le tendeva.
Cedric aggrottò le sopracciglia:
“Dovrebbe essere uno sforzo parlare con te, Ally?”
La ragazza scoppiò a ridere divertita, poi chiuse gli occhi godendosi la sensazione della sua mano che gli accarezzava i capelli.
“Cos’è successo?” chiese lui, richiudendo per un istante gli occhi.
“Un casino…” si limitò a rispondere lei, alzando gli occhi al cielo: quella Crimson era pazza, e Noctis non era da meno.
“Come sta Harry?” domandò lui, improvvisamente preoccupato.
“Bene…” disse lei con un sorriso: sapeva dell’amicizia profonda tra il Bambino che Era Sopravvissuto e il Tassorosso. “Anzi, è qui fuori che aspetta” annunciò lei con un sorriso.
Cedric parve andare con lo sguardo alla parte e poi, senza che ci fosse bisogno di chiederlo, Aly si alzò e disse:
“Vi lascio soli…”
Aprì la porta e trovò Potter appoggiato con il gomito allo stipite che aspettava impaziente.
Allison non poté trattenere un sorriso, e neppure Cedric.
“Entra pure, Harry…” disse in tono fintamente pomposo Allison. Poi salutò con un sorriso e un cenno della mano Cedric.
“Grazie Ally!” sorrise il ragazzo prima che la giovane si chiudesse la porta alle spalle.
Harry sorrise quando la ragazza se ne fu andata e commentò, con un sorriso:
“Certo che quella Ally è veramente forte…”
Cedric sorrise e rispose:
“Già… Una forza della natura.”
Harry si sedette lievemente sul lettino accanto a Cedric e domandò, lievemente ansioso;
“Tutto bene, Ced?”
Lui annuì.
“Da ciò che ho capito, non è nulla più che una botta”.
Harry alzò gli occhi al cielo.
“Sono sicuro che tuo padre avrà da ridire anche su questo…”
“Mio padre ha da ridire su tutto” commentò, prima di scoppiare a ridere con il ragazzo.
I due si conoscevano dal terzo anno di Harry, quando lui era stato battuto a Quidditch dal Tassorosso, ma successivamente a questi avvenimenti tra i due era nato prima un profondo rispetto e poi una grande amicizia: Harry condivideva spesso pensieri e preoccupazioni con Cedric, e così faceva lui. Era come se si conoscessero da sempre, e abbattuto il primo muro di leggero imbarazzo, il loro era diventato un rapporto basato sull’intesa e sulla fiducia reciproca. Cedric era quasi un fratello per Harry: lo ascoltava sempre ed aveva sempre un consiglio adatto.
Cedric sorrise e poi ammise, con una punta di ironia:
“Ammetto che mi ha fatto piacere che tu sia venuto…”
Harry gli strinse la mano e sorrise a sua volta.
“Non ti potevo mica lasciare così, Ced…”
 
Il treno arrivò ad Hogwarts che era già notte inoltrata, a causa del ritardo dovuto all’incidente causato da Gwen e Susan.
Arrivate alla scuola, le due erano state ricevute privatamente dalla McGrannit, mentre gli altri si erano diretti in Sala Grande per iniziare un nuovo, fantastico anno alla Scuola di Magia.
Non sapevano, però, che quell’anno ci sarebbe stata una piccola novità…

Note d'autrice:
E con questo capitolo si conclude la prima parte. Da ora in poi, tutti ad Hogwarts! 
Grazie mille per avermi seguito, davvero, sono contentissima di aver intrapreso questo progetto, anche perchè tutti i commenti che mi lasciate mi compensano lautamente di tutte le fatiche per i capitoli.
So che non ho inserito Susan e Harmony, ma ora vi spiego il perchè:
1-Susan è stata anche troppo nominata, non vi pare?
2-Harmony non pare avere motla simpatia nel pubblico, ma comunque la farò agire al più presto.
Un'altra cosa: non abituatevi troppo alla coppia MeridaxSimon, è solo una piccola cotterella passeggiera.
E: so che tutti i primi incontri si assomigliano tra loro, ma giuro, GIURO che tenterò di distinguere i pairing dìora in poi.
Ora...
Prima di commentare...
Vorrei che rispondeste tutti a delle domande che ora vi porrò per regolarmi meglio nei prossimi capitoli e...
Per far soffrire un po' anche voi XD
1: Qual'è il vostro personaggio preferito?
2: Qual'è il personaggio che più odiate?
3: Quale personaggio volete che sviluppi di più?
4: Qual'è il vostro pairing preferito?
5: Qual'è il pairing che più odiate?
6: Qual'è stato il vostro primo incontro preferito?
7: In cosa dovrei migliroare? (in generale: introspezione, dialoghi, organizzazione della storia...)
E, prima che me lo chiediate: no, tra Harry e Cedric non sucederà nulla in QUESTA storia.
Pensavo di dedicare una long a questa coppia, che ne dite? Ho già in mente il titolo: "Lost love-An untold story of two Champions". Ditemi che ne pensate, mi raccomando!
In questa long, comunque, sono solo amici, molto più amici di come zia Row ce li presenta perchè non ho mai sopportato il rapporto superficiale che ci viene mostrato in libro e film e sono sinceramente sicura che ci fosse di più tra loro... Comunque... Insultatemi pure, se il capitolo non vi è piaciuto e avvisatemi se ho dimenticato qualcuno!!!

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Capitolo 5
*** Talking about a tournament, glory and love ***


Prefazione: In questo capitolo appaiono gli OC di Seurya e Cicii

“Buonasera studenti, e benvenuti a un nuovo anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts”.
Evangelin sorrise a Neville sentendo il tono pomposo di Silente: era da quattro anni che frequentava la scuola e da quattro anni continuava a trovare quel tono così pomposo e altisonante semplicemente ridicolo.
Neville si limitò a rispondere al sorriso tutto teso, con un visibile imbarazzo.
Evangelin aggrottò le sopracciglia: quel ragazzo era timido in una maniera esagerata…
“Dunque… Ora che tutti i primini sono stati smistati e che il professor Moody si è unito a noi..."
A quell'ultima affermazione seguì un fragoroso applauso e uno sbuffo di Alastoor che quasi si nascose nella sedia con fare scorbutico.
"...devo farvi un annuncio molto importante!”
Fred e George, al tavolo di Grifondoro, alzarono gli occhi al cielo.
“Sarà la volta buona che terranno aperta la Sezione Proibita della Biblioteca…” commentò Kristen scherzosa.
Daniel la guardò bieca.
“Come se tu non ci fossi già entrata senza permesso”, commentò. La ragazza gli lanciò un chicco d’uva.
“Quest’anno, Hogwarts ospiterà un evento la cui ultima rappresentazione è avvenuta più di cento anni fa…”
“Ci sarà stato un buon motivo se l’hanno interrotta…” sussurrò Draco all’orecchio di Harmony.
La ragazza spalancò occhi e bocca mentre lui scoppiava a ridere e lo picchiò, scherzosamente, con un libro che aveva in mano.
“Sei un idiota, Malfoy” commentò lei, ridacchiando e tentando di non attirare l’attenzione del professor Piton che li osservava bieco.
Draco finse una parvenza di serietà ma quando il professore si voltò non poté fare a meno di avvicinarsi alla ragazza e sussurrare:
“Adesso ci manderà in punizione nella Foresta Proibita per disturbo della quiete pubblica”.
Di nuovo, Harmony lo picchiò con il libro. Ma non riuscì a trattenere una risatina ilare.
“L’evento di cui sto parlando, miei giovani ragazzi…”
Una pausa studiata.
Dal tavolo dei Grifondoro, Tom lanciò un pezzo di carta per attirare l’attenzione di Zach a quello dei Tassorosso.
Il ragazzo domandò, con le labbra:
“Che c’è?”
Il Grifondoro, trionfante, commentò:
“Te l’avevo detto”.
Daisy, accanto a Tom, sorrise divertita dalla scena: quei due erano davvero dei matti. Poi notò, al tavolo dei Corvonero, Lesath, ed impallidì.
Il ragazzo la salutò con un sorriso sornione, ma lei si voltò dall’altra parte. I vicini del ragazzo commentarono con degli “OOOH…” e “è permalosa la ragazzina”.
Tom, inarcando le sopracciglia, domandò con tono curioso:
“Chi è quello lì?”
Daisy rispose, fredda:
“Nessuno”.
“… è il cosiddetto Torneo Tremaghi”.
Un brusio si levò dalla Sala Grande.
Allison si voltò verso Cedric, che sedeva accanto a lei, e domandò, curiosa:
“Tu hai idea di cosa sia?”
Il ragazzo alzò le spalle e la ragazza tornò a posare gli occhi su Silente.
Harry, al suo tavolo, si sporse verso Ron che sedeva davanti a lui e chiese, in un sussurro:
“Che cosa sarebbe?”
“E che ne so io?” disse alzando le spalle mentre masticava un’ala di pollo.
Hermione lo fulminò con lo sguardo, poi commentò:
“Non ne ho mai letto prima, Harry, e non l’ho mai sentito nominare…”
Ron spalancò gli occhi.
“Allora ci dobbiamo preoccupare davvero!”
Hermione tirò fuori la bacchetta con fare minaccioso.
Silente riprese il discorso con spigliatezza:
“Vedete, questo Torneo consiste in tre prove. Tre Maghi, da tre scuole diverse, tre prove…”
Fred sussurrò all’orecchio di George:
“Quando si dice che il tre è il numero magico…”
“… E un solo vincitore, che si aggiudicherà un premio in denaro, la gloria eterna, e la Coppa Tremaghi”.
Dicendo questo, un oggetto che fino a quel momento era rimasto coperto fu visibile: una Coppa tanto finemente lavorato che lasciò tutti a bocca aperta.
Dean, seduto accanto a Filiana, esclamò, sicuro:
“Io mi iscrivo!”
La ragazza replicò:
“Ma non sai neanche di cosa ESATTAMENTE si tratti!”
“Chi se ne importa!” esclamò lui alzando le spalle. “La gloria eterna non è robetta”.
Filiana aggrottò le sopracciglia poi sorrise.
“Sei un cretino, Thomas”.
“E tu sei bellissima, Basile”.
“Uno dei Campioni, naturalmente, sarà di Hogwarts…” spiegò Silente unendo le mani.
“E gli altri due saranno delle scuole d Beauxbatons e Durmstrang”.
Ernie si piegò verso Merida e sussurrò, malevolo:
“Ho sentito che il preside di Durmstrang, una volta, era un Magiamorte”.
La ragazza lo ascoltava a malapena: teneva gli occhi fissi su un ragazzo seduto al tavolo di Serpeverde che in quel momento stava parlando con un suo compagno.
Ernie le diede un pugnetto sulla spalla e la ragazza si riscosse.
“Vuoi smetterla di fare gli occhi di civetta a quella Serpe?” chiese, visibilmente irritato.
“Scusa, ma che problema hai?” replicò lei, piccata. “Sarò libera di avere cotte per chi mi pare…”
Ernie sbiancò di botto.
“Non mi dire che ti piace…”
Merida non rispose.
“TI PIACE??” chiese Ernie, d’improvviso in preda al panico.
Merida disse, con distacco e tono tagliente:
“Fatti i fatti tuoi, McMillan”.
Detto ciò, tornò a posare lo sguardo su Simon.
Ernie diventò rosso come un peperone poi si voltò ad osservare nuovamente Silente e sbuffando contrariato: a volte si comportava davvero come una bambina…
“Questo Torneo, ha principalmente lo scopo di approfondire i rapporti tra i Campioni e tra gli studenti delle diverse scuole, quindi voglio che vi comportiate bene con i nostri ospiti, quando arriveranno…” Simon alzò gli occhi al cielo, contrariato.
“Ecco che inizia il discorso della mammina…”
“Gli studenti di Beauxbatons e Durmstrang arriveranno qui precisamente il 30 ottobre, e solo allora le iscrizioni per chi desidera partecipare al Torneo saranno aperte…”. Silente aggiunse poi:
“Vi avviso sin da ora che il giudice che sceglierà, tra voi ragazzi, che sarà il Campione di Hogwarts…”
Un fremito di eccitazione pervase la Sala solo all’udire quel titolo altisonante.
“… Sarà assolutamente imparziale e dunque non vi conviene scervellarvi per cercare un modo per corromperlo”.
Auror alzò le spalle e commentò, piccata:
“Nulla che un po’ di galeoni non possano comprare”.
“Ve lo dico ora perché forse dopo sarà troppo tardi…” continuò il preside, “Le prove che i Tre Campioni si troveranno ad affrontare richiederanno un livello di apprendimento e di preparazione notevole, dunque, per il futuro Campione, non si stupisca che l’ansia lo prenda o il timore”.
“Per la gloria eterna questo ed altro” commentò Selene tentando di strappare un sorriso alla ragazza seduta accanto a lei. Ma la ragazza non accennava a un sorriso: lo sguardo di Shaula era perso ne vuoto.
Keira stava con il capo appoggiato alla mano, il viso contratto in una smorfia di incertezza: il suo tavolo si era già riempito di baldi giovani che avrebbero voluto candidarsi per essere il Campione di Hogwarts e aveva addirittura sentito qualcuno puntare le prime offerte con fare baldanzoso, ma a lei quell’idea del Torneo non andava proprio giù: a cosa serviva incontrare persone di altre scuole se a malapena ci si sopportava nella loro? L’ “incidente” avvenuto tra Susan e Gwen ne era stato un perfetto esempio. E inoltre non le andava giù di rincontrare le sue vecchie compagne di Beauxbatons: quella Fleur Delacour non l’era mai andata giù e quando aveva dovuto lasciare la scuola per andare ad Hogwarts aveva tirato un sospiro di sollievo solo per l’idea di non dovere più rivedere quelle ochette bionde, alte e belle. In confronto a loro lei era il brutto anatroccolo…
L’unico aspetto positivo di tutta la sua permanenza alla scuola francese era stato l’incontro di Syrena…
E anche quello, alla fine, si era rivelato l’ennesima delusione della sua vita.
“Vi invito ora ad andare nei vostri Dormitoi in silenzio e a riposare adeguatamente per affrontare, domani, le ore di lezione che vi attendono”.
 
Niky si avvicinò a Merida con passo svelto.
“Mary!” la chiamò con fare allegro.
“Niky!” esclamò lei quando la vide. Ignorando il broncio che Ernie le stava riservando, abbracciò la Serpeverde urlando di gioia.
“Quanto mi sei mancata, tesoro!!” esclamò, stringendosela al petto. La ragazza le arrivava al mento e, al suo confronto, Merida sembrava quasi una gigantessa, tanto era magra e piccola Niky.
“Continuate a ignorarmi pure…” commentò Ernie sbruffando, per poi dirigersi verso il Dormitorio seguendo Cedric e Allison che stavano discutendo sul Torneo.
Merida alzò le spalle e passò un braccio attorno al collo della rossa.
“Non ti ho visto sul treno, oggi” constatò la ragazza.
La Serpeverde rispose:
“I miei hanno voluto accompagnarmi personalmente”. Il suo tono di voce era molto stizzito: Merida sapeva quanto fosse snervante per lei farsi accompagnare da “mamma e papà”.
“Che siamo, dei bambini dell’asilo?” aveva commentato una volta lei, in un attacco di ira quando la mamma l’aveva baciata sulla guancia davanti ai suoi compagni Serpeverde e soprattutto davanti a Susan Crimson che subito non si era persa l’occasione per commentare, con fare giulivo:
“Mammina ti da il bacio della buonanotte, Catenacci?”
“Ti è andata anche troppo bene” commentò Merida. “C’è stato un casino nel treno…”
“Ah, sì, l’ho sentito!” si affrettò a spiegare Nicola. “Quella scema di Susan ha avuto quello che si meritava…”
Merida sorrise.
“Non l’ho neanche vista al banchetto…”
Poi Niky chiese, curiosa:
“Ernie mi sembrava piuttosto nervosetto, oggi?”
Merida liquidò il fatto con un cenno della mano.
“È solo uscito di testa perché mi piace un Serpeverde…”
Niky la osservò a bocca aperta e domandò, a mezza voce:
“Ti piace… CHI?”
“Un Serpeverde. Sai, quella Casa di Hogwarts che nessuno sopporta ma in cui tutti vorrebbero entrare, non si sa perché?”
Niky la trapassò con lo sguardo.
“Ti devo ricordare che ANCHE IO sono in quella Casa?”
Merida alzò le mani come a intendere “Come non detto” e poi sorrise, beata, per un istante.
“Come si chiama?” chiese Niky tutta eccitata: era facile che si intromettesse negli affari degli altri, ma Merida aveva imparato a convivere con questa sua piccola mania.
“Simon Hale” sussurrò, soffiando su ogni singola lettera con un tono sognante.
Niky la fermò in mezzo al corridoio ed esclamò, scossa:
“Aspetta aspetta aspetta!! … Stai scherzando, vero?”
Merida aggrottò le sopracciglia:
“Perché dovrei?”
La rossa alzò le braccia e spiegò, il tono di voce lievemente aspro:
“Senti, so con certezza che i suoi genitori erano Mangiamorte. E lo sono tuttora!”
Merida sbuffò.
“Spiegami come fanno ad essere ANCORA Mangiamorte se Tu-Sai-Chi è scomparso dalla circolazione da anni!”
Detto ciò, la sorpassò, ma Niky ripartì alla carica.
“Hai sentito del Marchio Nero alla Finale della Coppa del Mondo, no? Bè, ci scommetto dieci galeoni che c’erano anche loro tra quelli che l’hanno evocato!”
Merida sbiancò al solo pensiero di quel segno funesto nel cielo, che ricomparve nella sua mente prepotente, ma subito scacciò il pensiero.
“Secondo Amos Diggory e il signor Weasley solo una persona ha evocato il marchio…” sussurrò, tentando di non scomporsi.
“E allora scommetto dieci galeoni che sperano che Tu-Sai-Chi torni!” rispose lei, mettendosi le mani in tasca. “O magari stanno anche organizzando il suo ritorno mentre noi parliamo, non puoi saperlo…”
Merida scosse la testa, rifiutando di credere a una sola parola.
“Finiscila, Niky, Tu-Sai-Chi non tornerà”.
“Ma certo che non tornerà!” ribadì lei. “Ti volevo solo far capire che, insomma, questo Simon, se è come i genitori, non è affatto affidabile e, ci metto la mano sul fuoco, non fa per te, Mary!”
La ragazza si voltò verso la rossa e le domandò, in tono duro e aggressivo:
“Se è fatto per me o no, devo deciderlo io o mi sbaglio?”
 
“Bea! Ti devo parlare!”
La voce di Evangelin la fece voltare curiosa.
“Che succede, Eve?”
La giovane Tassorosso si avvicinò a lei con il fiato corto.
“Hai… Sentito cosa ha detto Silente?”
Beatrix alzò gli occhi al cielo.
“Dio mio, Eve, certo che l’ho sentito, tutta la scuola l’ha sentito…”
La ragazza ignorò la reazione della Grifondoro ed esclamò, tutta eccitata:
“Ti rendi conto di quanto sarebbe fantastico poter partecipare??”
Beatrix si passò una ciocca di capelli dietro un orecchio, sussultando improvvisamente quando il professore Piton le passò accanto, e Eve, accanto a lei, sbuffò.
“Bea, per piacere, mi ascolti?”
Lei non rispose e rimase alcuni istanti a osservare il mantello del professore allontanarsi nel corridoio.
“Bea!” ritentò Evangelin, senza successo.
“È così bello, non trovi?” sussurrò Beatrix in tono adorante.
Evangelin rispose, lievemente pungente:
“Oh, sì, se ti piacciono gli uomini tra i settanta e i novanta…”
Beatrix diventò rossa come un peperone.
“Ti prego, Eve!” esclamò, osservandosi le spalle come a voler controllare che nessuno l’avesse sentita. Evangelin sorrise e la prese a braccetto.
“Lo sai di non aver nessuna speranza con Piton, vero?” chiese Eve schietta.
Bea rispose, storcendo la bocca in una smorfia di disapprovazione:
“Bè, sperare non costa nulla, no?”
Evangelin alzò gli occhi al cielo ma non commentò.
“Tu ti iscriverai, Bea?” chiese la Tassorosso con tono baldanzoso.
“Non ci penso neanche!” rispose secca la ragazza. “Figurati se mi lancio in un Torneo in cui, per partecipare, bisogna conoscere così tante formule…”. Poi aggiunge, rassegnata:
“Io mi distraggo sempre, durante le lezioni…”
“Già, tranne che in quelle di Piton” fece notare scherzosamente Evangelin.
Beatrix la zittì con uno sguardo implorante.
“Eve, ti prego…” sussurrò, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno avesse sentito.
“E ci credo che sei distratta, passi tutte le lezioni a disegnare cuoricini e dedicare poesie a quella specie di babbeo!”
“Non è un babbeo!!!” replicò Beatrix, punta nel vivo. “è un uomo molto intelligente, e di grande cultura!”
“E anche molto simpatico…” commentò con un sorriso Evangelin.
“Senti, tu hai il diritto di avere le tue cotte e io le mie!” esclamò la Grifondoro prima di scuotere la testa indispettita.
“Bè, io in fatto di gusti sono molto più accontentabile di te!” ribatté la Tassorosso alzando una mano risoluta.
Beatrix sorrise lieve.
“Effettivamente…”
 
Harmony si diresse di corsa nel Dormitorio: Katie Bell e altre Serpeverdi erano rientrate per discutere meglio sulla possibilità dell’iscriversi o meno all’imminente Torneo, e lei non voleva certo perdersi la discussione.
Ma, prima che potesse anche solo imboccare il corridoio, una mano poderosa le strinse il polso.
Harmony si girò, aspettandosi qualche Grifondoro che le volesse rinfacciare, come ormai da molto tempo accadeva, la sua “relazione” con Malfoy. Di quale relazione parlassero, visto che non ce n’era proprio l’ombra, lei non riusciva a capirlo.
Ma al contrario, davanti a lei, c’era Malfoy in persona, che la trascinò, senza troppi preamboli in un angolo della Sala Grande che si stava lentamente svuotando.
“Draco…” sussurrò lei, tentando di fargli mollare la presa. Ma lui non volle e, anzi, la strinse ancora più forte.
“Sbrigati, Harm…” rispose lui, il tono brusco e secco. Lo odiava quando faceva il capo.
“Che succede, scusa?” chiese piccata. Odiava anche che non le si dicesse nulla.
“Non ha importanza ora, stammi solo dietro”.
Lei alzò le spalle.
“Considerando che mi stai trascinando per il polso…”
Lui non si fermò, però, e lei tentò, senza riuscirci, di liberarsi dalla sua presa di ferro.
“Malfoy, sei un demente” gli urlò dietro con fare altero.
“Zitta, Harm, Tiger, Goyle e Theo ci aspettano” ripose lui, senza voltarsi.
Harmony alzò gli occhi al cielo.
“Draco, lo sai che quei beoti mi danno sui nervi. E Theo è un idiota!”
A quel punto lui la strattonò violentemente, di modo che potesse essere vicino a lui, e lei si ritrovò con il viso a cinque centimetri da quello del biondo in meno di due secondi.
Si sentì avvampare quando si accorse di poter anche sentire il suo respiro irregolare sulle sue labbra.
Sarebbe bastato così poco per…
“È di te che dobbiamo parlare, signorina, e dunque li devi sopportare per un po’…”
Harmony aprì per un istante la bocca per poi richiuderla immediatamente, deglutendo rumorosamente.
A quel punto, Draco abbassò lo sguardo e le lasciò il polso, con uno scatto quasi di tenerezza che stupì non poco la ragazza.
Harmony si passò, delicatamente, il palmo intorno al polso rosso, tentando di lenire, almeno minimamente, il dolore.
“Se ti aspetti che mi scusi, non lo farò, Harm” sussurrò Draco, lo sguardo ancora basso.
Lei alzò le spalle, gli occhi fissi sul viso del giovane.
“Non mi aspetto nulla, Draco”.
Lui annuì, come se avesse confermato un suo pensiero, poi le ordinò, in tono perentorio ma meno deciso:
“Andiamo”.
Harmony rimase per alcuni istanti ferma ad accarezzarsi il polso, poi lo seguì di buon grado.
Non ne era certa, ma le parve di udire, dalla parte di Draco, uno “Scusa” bisbigliato in mezzo ai denti che la fece sorridere.
 
Susan era seduta sul proprio letto con una smorfia di disappunto dipinta sul viso. ODIAVA quella Noctis. Se non l’avesse provocata a quell’ora sarebbe stata nella Sala Comune a organizzare con Malfoy il prossimo scherzo a quei fessi Grifondoro, o a discorrere amabilmente con quel Blaise…
E invece eccola lì, seduta con le braccia conserte e le gambe appoggiate al petto, dopo essersi sorbita una delle classiche strigliate della McGrannit.
“Ricordatevi, ragazze, che per il bene comune e il vivere civile, è necessario mettere da parte i dissapori e…”
Di tutto quel marasma di parole, Susan aveva colto solo un confuso “Bla, bla, bla”.
Che pillole. Sola soletta nel Dormitorio nella speranza che arrivasse qualcuno a vederla scimmiottare la McGrannit e a maledire mentalmente Gwen in tutti i modi possibili e immaginabili.
Crucio, Crucio, Crucio, Crucio… urlava la sua mente. Se i professori credevano che non conoscesse quegli incantesimi erano davvero degli idioti patentati. O meglio, più idioti di quanto già credesse.
“Rifare il verso alla McScema non ti farà uscire da qui, lo sai, vero?”
Susan si irrigidì, riconoscendo la voce. Poi, quando la sua ombra si profilò all’entrata, lei si voltò immediatamente con uno scatto felino.
“Vai via, cretino” ordinò, il tono imperioso e deciso.
“Oh, e perché dovrei, Susy?”
“NON chiamarmi Susy!” replicò, infastidita. Non si era avvicinato al letto, ma poteva sentire la sua presenza in mezzo alla stanza.
Con la coda nell’occhio, lo vide ispezionare il Dormitorio con occhio critico, un sorriso divertito sul viso, e poi esclamare, battendo le mani per la soddisfazione:
“Potrò finalmente dire di aver visto il Dormitorio delle ragazze…” ghignò, il tono sarcastico.
Susan chiuse gli occhi per trattenersi dal saltargli addosso.
“Bene, ora che l’hai visto non credi sia il caso di andarsene a vantare con Malfoy, visto che sei il suo zerbino?” disse, il tono volutamente tagliente e pieno di disprezzo.
“Non sono il suo zerbino”. Nella sua voce colse però una nota di rabbia, quasi repressa, che però non le sfuggì.
Alzando le sopracciglia e sorridendo malevola continuò, prendendo un tono fintamente innocente:
“Oh, come se tutta Hogwarts non se ne fosse già accorto. In fondo, fa così comodo essere agli ordini del GRANDE Malfoy, nevvero?”
“Smettila”. Lo sentì infervorarsi e non poté trattenersi dal provocarlo ancora.
“Ma io ti capisco, sai, oh, sì che ti capisco! Fa così comodo essere il servetto di qualcuno, è troppo difficile prendere in mano la propria vita e prendere decisioni proprie!”
“Finiscila”.
“È troppo per la tua testolina pensare a cosa fare, giusto? Troppo complicato per uno sporco negro!”
“Non chiamarmi così oppure…”
“Oppure cosa?” chiese lei, voltandosi stavolta verso Blaise, l’espressione trionfante di chi ha il coltello dalla parte del manico: era furente di rabbia e la trafiggeva con gli occhi. Sorrise, soddisfatta.
“Mi uccidi, Zabini? Vuoi uccidermi, eh?” chiese, provocante, pronunciando ogni parola con un sordo sarcasmo.
“Non ci vorrebbe molto…” replicò lui, ma sapeva che stava dicendo una falsità.
“Vattene via, Blaise” gli intimò, il tono deciso e sicuro. “Subito” ribatté, notando che lui non accennava a muoversi.
Il ragazzo rimase alcuni istanti a fissarla con occhi crudeli, ma lei sostenne lo sguardo con forza.
Poi, dopo poco, lui si voltò e uscì da dove era entrato.
Susan gli voltò le spalle per la seconda volta, raccogliendosi nelle gambe e abbassando lo sguardo.
Prima di andarsene, Blaise sussurrò, il tono atono e freddo:
“E dire che volevo solo farti compagnia…”
Detto ciò, se ne uscì velocemente.
Appena fu fuori e non sentì più i suoi passi nel corridoio, Susan si avventò sul cuscino e cominciò a tempestarlo di pugni feroci.
 
“Hai davvero intenzione di iscriverti, Ced?”. John camminava a fianco del ragazzo, lo sguardo basso per non doverlo guardare direttamente in viso.
“Certo, Johnny!” esclamò il ragazzo, non rendendosi evidentemente conto del suo imbarazzo. “Immaginati se venissi scelto! Sarebbe una grande gloria per la casa di Tassorosso…”
John alzò lo sguardo, a questo punto.
“Ti iscrivi per la gloria della nostra Casa?”
Cedric alzò le braccia.
“Mi sembra ovvio, no? I Grifondoro ci hanno rubato la gloria anche per troppo tempo…”.
Gli appoggiò una mano su una spalla e lui divenne rosso come un peperone: odiava quella sua sorta di soggezione nei suoi confronti che gli impediva di parlargli. La odiava con tutto sé stesso.
“Immagina solo cosa si dirà se un Tassorosso vincerà il Torneo Tremaghi…” sussurrò lui, il viso perso in qualche congettura o in qualche sogno.
John tossì e riuscì a liberarsi dalla sua presa.
“Sì, fantastico…” disse, poco convinto, tentando di allontanarsi.
Cedric si avvicinò a lui incuriosito.
“Ehi, Johnny… Tutto bene?”
Lui scosse la testa e rispose, abbozzando un sorriso lieve:
“Sì… Tutto alla grande”.
Cedric sospirò di sollievo, aggiungendo scherzoso:
“Bè, sai, non mi sarebbe piaciuto che il fratello della migliore amica della mia fidanzata avesse avuto qualche problema…”
John dovette chiudere gli occhi a quelle parole che lo trafissero come un pugnale al cuore.
La mia fidanzata…
La mia fidanzata…
ODIAVA Cho Chang.
Dopo alcuni istanti, notò un gioioso Harry buttarsi sulle spalle del Tassorosso ridendo.
Cedric barcollò all’indietro, rischiando di cadere, ma il Grifondoro si staccò in tempo.
“Sei un idiota, Harry…” ridacchiò Cedric.
“E tu un illuso, se pensi che il giudice possa scegliere TE, per partecipare al Torneo…” replicò Harry, in tono scherzoso.
Cedric fece tanto d’occhi.
“Hai intenzione di iscriverti?”
Harry allargò le braccia, sicuro di sé.
“Certo che sì! E quale giudice baderà mai all’iscrizione di un anonimo Cedric Diggory quando potrà prendere il famoso Harry Potter?” scherzò lui, scoppiando poi a ridere.
Il ragazzo gli diede una pacca sulla testa con fare amichevole.
“Allora devo tremare” disse, ancora ridendo.
“Dovresti sul serio, perché IO mi iscrivo!”
I due si allontanarono ridendo e scherzando, e John rimase fermo nel corridoio a guardarli allontanare, un’espressione di tristezza e rimpianto dipinta sul viso.
Quanto avrebbe desiderato poter scherzare anche lui con Cedric come Harry faceva…
Quanto avrebbe voluto poter anche solo guardarlo negli occhi senza temere di venirne irrimediabilmente rapito…
Sarah gli si avvicinò cauta e gli posò, con fare affettuoso, una mano sulla spalla.
“Mi spiace, Johnny…” sussurrò, mentre lui rispondeva alla stretta.
 
Note d'autrice:
Capitolo insolitamente corto, eh? Ho deciso di raccogliere in questo capitolo le riflessioni e i momenti dei personaggi che, in questi capitoli, ho nominato poco. Ecco il motivo del perchè non ci siete tutti. Avrei voluto scrivere di tutti, davvero, è stato difficile scegliere chi far parlare e chi no, ma alla fine ho optato per quelli che trovate qui. Ve l'avevo già detto che non ci sarebbero stati più POV generali. o magari ci saranno ma non così spesso. Inoltre, da questo capitolo in poi saranno più frequenti i paragrafi tipo il primo di questo capitolo, ovvero in cui ci sono brevi interiazioni di vari personaggi nela storia. Ho tentato di seguire un pochino il classico stile pomposo di Silente ma so già che non mi è venuto bene. Lo so.
Ho deciso di darmi una data di "scadenza" per i capitoli di due settimane, quindi ogni due settimane ne dovrebbe arrivare uno nuovo. Spero di non aver deluso le vostre aspettative con questo misero capitoluccio, e ci vediamo al prossimo in cui ci sarà l'arrivo delle scuole di Durmstrang e non mi ricordo come si scrive. Nel prossimo capitolo dovrebbe esserci qualche momento AllisonxCedric, DaisyxLesath, EvangelinxNeville, HarmonyxDraco (ahivoi) e Niky... Non ve lo dico XD
Per BeaxSeverus non so davvero cosa fare: non ho mai scritto cose del genere e neppure osato immaginarle. Ma in fondo questo è il bello di questa long: mi fa fare cose che mai avrei creduto di fare. Ed è divertente?... Per niente, però mi serve di sicuro.
Al prossimo capitolo che spero arrivi il più puntuale possibile!


 

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Capitolo 6
*** Before the schools 'arrival ***


La lezione di Divinazione procedeva a un ritmo lentissimo. Forse era perché la Cooman la stava rendendo, come sempre, una noia mortale, forse perché quel giorno era il famigerato e tanto atteso 30 ottobre e nessuno studente poteva davvero rimanere fermo, forse perché, semplicemente, Ally crollava letteralmente dal sonno.
Aveva passato la serata a parlare eccitata con Cedric della possibilità di iscriversi al Torneo, appartati nel Dormitorio maschile di Tassorosso in cui era riuscita a infiltrarsi per puro miracolo.
Era stato quasi un momento magico, sebbene probabilmente il ragazzo non se ne fosse accorto.
Avrebbe potuto crollare lì davanti allo sguardo svagato della Cooman e quello divertito dei suoi compagni, ma a tenerla sveglia era Merida, seduta accanto a lei, che le dava dei colpetti decisi sulla spalla ogni qualvolta i suoi occhi minacciavano pericolosamente di chiudersi.
“Grazie…” borbottava lei strascicando le parole.
“Di nulla” rispondeva lei alzando le spalle.                                                             
Le due non si conoscevano così bene, ma era ormai da quattro anni che erano nella stessa Casa e che frequentavano le lezioni insieme. Solitamente a mettersi vicino a lei era Hannah Abbot che, stranamente, quel giorno era assente, e dunque a lei era toccata la Lenix che, con tutto il rispetto, era una bravissima ragazza, ma da quando si era presa quella cotta bestiale per quell’Hale era diventata un’altra persona.
Non che prima la conoscesse così bene, ma aveva notato spesso il rapporto dolce e di complicità che c’era tra lei e il giovane McMillan. Se John non gliel’avesse assicurato avrebbe detto che tra i due c’era più che una semplice amicizia.
“Mi scoccia da morire che una ragazza e un ragazzo non possano essere semplicemente amici senza che gli altri pensino a qualcos’altro” aveva commentato John scuotendo la testa.
Ally aveva sorriso.
“Guarda il lato positivo: a noi non potranno mai dirlo!”
Come tutti i ragazzi nell’Aula, Merida era letteralmente in fibrillazione: non vedeva l’ora che le scuole arrivassero al castello e che il Torneo fosse, finalmente, aperto. Era da più di un mese, da quella sera in cui era stato annunciato per la prima volta, che lei e tutti gli altri alunni di Hogwarts erano entrati in una sorta di rituale che veniva ripetuto ogni singolo giorno: la mattina l’argomento del giorno era il Torneo, il pomeriggio i possibili candidati (già si puntava sulla nomina di Harry Potter e Draco Malfoy), la sera le vecchie edizioni del Torneo e, per terminare, c’era chi nella notte si infilava in un Dormitorio e sforava decisamente il coprifuoco per parlare con l’amico o amica del cuore del “grande evento”.
Come evidentemente anche la Frost, seduta accanto a lei, aveva fatto.
Lei non aveva potuto parlarne con altre persone se non Sarah e alcuni Grifondoro, però non si era più avvicinata a Ernie. Gli aveva dato fastidio, e molto, quel suo comportamento al banchetto di inizio anno, e ancora, dopo un mese, non era riuscito a perdonarlo.
Avrebbe anche potuto farlo, non era certo una ragazza da tenere il broncio per così tanto tempo. Però doveva essere lui a scusarsi per primo.
Zach si passava costantemente le mani tra i capelli, riavviandoseli con una specie di tick nervoso. Era talmente ansioso per l’arrivo delle scuole quella sera che aveva quasi dimenticato di infilarsi la divisa quella mattina.
Aveva sentito tate di quelle storie, sussurrate all’orecchio nei corridoi di Hogwarts, sulla potenza fisica degli studenti di Durmstrang, sulla loro esperienza in Difesa contro le Arti Oscure e, soprattutto, riguardo alla discutibile moralità del loro preside. Tutte chiacchiere che contribuivano solo a renderle figure ancora più mitiche e irraggiungibili, piccole pecche che li rendevano più interessanti. Era quasi proibito, o almeno così sembrava, parlare di Igor Karkaroff a scuola. Dunque era chiaro come il solo fatto che quel nome ora fosse su tutte le bocche costituisse un grave reato. Un grave reato, nonostante tutto, elettrizzante. Non era sempre bello rispettare le regole, e disubbidire a esse dava una sorta di adrenalina dovuta alla consapevolezza che, in fondo, era sbagliato.
Zach osservava l’orologio tutto ansioso: ma perché il tempo non poteva passare più in fretta?
Evangelin contava i minuti che la separavano dalla fine dell’ora con una trepidazione quasi spasmodica: voleva cercare Neville, il ragazzo timido che aveva incrociato nel treno.
Dopo quella breve presentazione non si erano praticamente più rivolti la parola e, anzi, lui pareva quasi evitarla neanche avesse la peste, e si era limitato a poco più di un saluto cordiale e un sorriso tirato in risposta a un suo “Ciao!” nel cortile della scuola.
Evangelin avrebbe davvero voluto poter mettersi in contatto col ragazzo, ma era lui che sembrava allontanarsi.
La ragazza appoggiò il mento sulla mano, e la manica della divisa si abbassò di poco.
Subito lei si affrettò a coprire l’enorme bozzo viola sul polso con uno scatto felino, sperando che nessuno avesse visto nulla e guardandosi intorno con ansia.
Non c’era da preoccuparsi: i pochi che non erano già addormentati erano troppo intenti a osservare, sinceramente interessati, il lavoro della Cooman con un’enorme sfera di cristallo.
Evangelin sospirò di sollievo. Nessuno aveva notato l’ematoma.
In un’aula vicina, Sarah e John Taylor sedevano vicini, entrambi concentrati ad ascoltare la lezione di Rune Antiche.
La ragazza prendeva appunti alacremente, senza perdersi una parola della professoressa e osservandola concentrata come a voler captare ogni suo singolo movimento delle sopracciglia, ogni singolo battito di mani, ogni cambiamento di espressione sul viso, ogni suo gesto particolarmente seccato o impazientito.
L’attenzione, almeno per lei, era tutta concentrata su quella lezione, non a quel Torneo che di lì a qualche ora sarebbe iniziato. Non le era davvero importato quando Silente l’aveva annunciato, e non le importava neanche ora, dopo più di un mese passato a sentir parlare solo ed esclusivamente di quello nella scuola. Sentiva la parola “Torneo” aleggiare sull’intera classe, sul silenzio religioso, sulla finta compostezza dei suoi compagni, ma la ignorava come faceva la professoressa: una lezione non si recuperava facilmente, e quel pomeriggio aveva già molto da studiare.
Al contrario, John sembrava essere entrato in uno stato di imbarazzata trance: il suo sguardo vagava dal banco su cui era poggiato un foglio bianco al viso di Cedric in prima fila. Il ragazzo stava scherzando con un suo compagno di banco, ridacchiando, e fortunatamente non si accorgeva degli sguardi appassionati del giovane, perché altrimenti sarebbe stato certamente imbarazzante.
Ogni tanto, però, il ragazzo era costretto a fingere di essere concentrato sulla lezione, sia per non fare insospettire i suoi compagni, sia per non far arrabbiare Sarah, che ogni tanto lo fulminava con lo sguardo perché tornasse a seguire la lezione.
Ma lui semplicemente non ci riusciva. Poteva passare un minuto scarso senza guardare quel viso.
Passato il minuto, il bisogno di osservarlo era impellente come quello di respirare.
 
Nell’aula di Corvonero la tensione era palpabile, come anche in tutte le altre Aule del castello.
Lesath sedeva con le gambe incrociate in un banco nell’ultima fila, il mento poggiato sul palmo e gli occhi fissi sulla lavagna, nel tentativo di capire qualcosa della lezione di Babbanologia.
Non gli era mai davvero interessato granché il perché i Babbani si comportassero in un modo piuttosto che in un altro, e tanto meno gli interessavano le loro abitudini. E dire che la sua stessa madre era una Babbana e suo padre era stato diseredato per averla sposata… Chiuse gli occhi, cercando di ricacciar indietro il ricordo opprimente e ancora presente del viso di Lori e della sensazione piacevole delle sue mani calde posate sul suo viso ad asciugare le lacrime per qualche capriccio o sbucciatura. Sua madre era identica a Linda… O forse sarebbe stato meglio dire che Linda era identica a sua madre.
Per la seconda volta nella giornata, scosse la testa per ricacciare indietro il pensiero della sua famiglia ormai distrutta. Per tutti quella serata sarebbe stata sicuramente speciale, eccitante, diversa. Per lui era solo una in più che lo avvicinava inesorabilmente alle vacanze di Natale.
E a suo padre.
Non gli importava un emerito fico secco del Torneo Tremaghi.
Non gli importava di nulla…
Nell’aula accanto, Auror Potion tentava, con scarsi risultati, di costringersi dietro il banco che la imprigionava crudele. ODIAVA le lezioni di Erbologia, soprattutto se non si svolgevano nella Serra in cui, almeno, poteva distrarsi senza che nessuno ci facesse caso. O senza che tutta la classe ci facesse caso, almeno. La professoressa Sprite sapeva essere di un noioso, a volte, che avrebbe preferito essere a casa a sorbirsi le lamentele di Brame sul suo taglio di capelli o sui suoi vestiti “corti e sconci”. Forse no, però avrebbe sicuramente preferito essere nel Dormitorio femminile con solo Edwirroll a farle compagnia, fedele come era sempre stato.
Senza quasi neanche rendersene conto, andò col pensiero al ragazzo che aveva incontrato sul treno, Thomas. Senza accorgersene divenne d’improvviso completamente rossa e abbassò lo sguardo come imbarazzata.
E dire che solitamente lei era quella forte e decisa, quella che se ne fregava di tutto e tutti…
E ora anche solo immaginare il suo viso che la guardava, quegli occhi che le sorridevano e quella bocca rossa aprirsi in una candida risata la facevano letteralmente avvampare e sentire inadeguata.
E dire che lei era quella che si era sempre piaciuta per quella che era, bella di una bellezza ribelle e selvaggia, fiera di essere diversa…
Davanti a Thomas si rimproverava continuamente di non essersi passata almeno un filo di trucco o di non essersi ravviata a dovere i capelli. Non si sentiva mai troppo bella davanti a Tom…
“Finiscila, Auror” si rimproverò velocemente. “Non fa per te…”
 
Filiana stava tempestando di calci la sedia davanti al suo banco, troppo nervosa per poter interrompersi. I minuti sembravano essersi letteralmente fermati, e non passata istante in cui la ragazza non sentisse il tempo scivolarle, lentamente, addosso, come l’acqua di una cascata che sommerge chi ci passa sotto con inaudita violenza.
Perché la lezione non poteva finire immediatamente e la sera arrivare più in fretta?
Si passò le mani tra i capelli tentando di reprimere l’istinto omicida di saltare addosso a Piton e tentò, invece, di concentrarsi come meglio poteva. Di solito trovava le sue lezioni straordinariamente stimolanti, al contrario di molti altri Grifondoro, ma in quel caso avrebbe preferito quasi la Cooman a quello strazio interminabile. Strano a dirsi…
Daisy prendeva appunti diligentemente, come ogni lezione, tentando di evitare lo sguardo insistente di Tom che la punzecchiava e quello dei suoi compagni che esprimeva tanta, troppa impazienza. Lei non voleva farsi trascinare da quella follia del Torneo, non voleva che solo perché quella sera due scuole sarebbero arrivate e le iscrizioni sarebbero, finalmente, state aperte, lei rischiasse di perdersi una lezione, anche perché odiava dover poi farsi ridare gli appunti da Tom. Se, naturalmente, Tom aveva preso appunti.
Sentiva gli sguardi insistenti di molti Grifondoro posarsi su di lei, come a voler chiedere “Come fai ad essere così calma? Non senti l’agitazione nell’aria?”. Eccome se la sentiva. Come sentiva quegli sguardi su di lei. Ma li ignorava, tentava, almeno, di ignorarli, come da sempre aveva fatto per tutta la vita.
Celare.
Domare.
Una sola reazione sbagliata poteva essere fraintesa, Daisy lo sapeva sin troppo bene. Da tutta la vita si nascondeva sperando di non essere notata.
Quando un bigliettino volò sul suo banco, lei quasi non lo notò in un primo momento. Poi si accorse dello sguardo curioso di Tom e, con una smorfia di esasperazione, lo aprì.
In bella grafia, a caratteri maiuscoli, era scritto:
“CHI ERA IL CORVONERO DI IERI SERA?”
Daisy alzò gli occhi al cielo.
Sapeva che Tom non si sarebbe arreso mai fino a che non avesse saputo la verità. Si voltò verso il ragazzo e rispose, mimando con la bocca “Te lo racconto dopo”.
“Signorina Kapner!” la voce di Piton la fece sobbalzare sul banco, e lei subito ritornò con le mani unite sul banco e lo sguardo sul professore di Pozioni.
“Ci distraiamo con il signorino Finch, oggi?”. Un paio di risatine risuonarono, ma Piton le zittì con un singolo, tagliente sguardo.
Thomas si affrettò a mostrarsi il più interessato possibile alla lezione anche lui, ma il teatrino non funzionò con il professore.
“Quanto a lei, signor Finch…” replicò lui avvicinandosi. Se Tom avesse avuto il coraggio di scherzare, in quel momento, l’avrebbe definito “avvoltoio”: il suo mantello nero dava in un certo senso l’idea di un volatile pronto a piombare sulla preda.
“… Spero non si permetta più di lanciare bigliettini alle sue compagne…”
Daisy non poté trattenere una risatina involontaria. Tom zittì e tentò un sorriso riparatore. Alzò il pollice con fare poco convinto e poi sussurrò, la voce ridotta a un bisbiglio:
“S… Sicuramente professore”.
Piton tornò alla sua cattedra con uno svolazzare di mantello, e Tom tirò un veloce sospiro di sollievo.
Dannazione, se lo inquietava quel tizio…
Lo odiava, ne era sicuro. L’anno prima gli aveva dato una “T” e lui aveva dovuto passare tre mesi di terrore sui libri per recuperarla. Se poi il suo compito si meritasse una “T” o no non l’aveva certo chiesto: non si poteva comunque far calare così l’autostima di un ragazzo!
Nel suo angolo, Kristen stava mangiucchiando la punta di una matita senza particolare interesse per la lezione. La sua mente era già a quella sera, rivolta verso l’ “avvenimento”, come l’avevano definito lei e Shaula. Non si parlava dell’arrivo delle scuole di Durmstrang e comecavolosichiamava, no, era la loro piccola vendetta nei confronti dei Serpeverde. E soprattutto nei confronti di quel leccapiedi di Malfoy. L’avrebbe pagata cara per tutti quegli anni passati a umiliare i più deboli e fare il prepotente. Avrebbe sofferto, oh, sì. Non direttamente, ma avrebbe provato molto dolore.
Daniel la osservava lievemente pensieroso: era da quando era iniziata la scuola che si appartava spesso con Shaula a parlare di non sapeva bene cosa. Di una cosa era certo: qualsiasi interazione tra quelle due significava solo guai in vista. Già una volta si erano comportate così, e un’Ala del castello era esplosa… Ed erano state espulse per più di un mese. Il fatto che poi Shaula fosse stata piuttosto assente nell’ultimo mese non l’aveva neppure sfiorato: era stato troppo impegnato a osservarle lanciarsi sguardi di intesa e sorriseti cospiratori. Daniel già lo sapeva: di lì a poco sarebbe successo un disastro.
Gwen seguiva la lezione con un misto tra interesse e distante menefreghismo. Era particolarmente portata per Pozioni e, sebbene Piton non l’avesse mai ammesso e mai l’avrebbe ammesso, credeva che in fondo la trovasse la sua migliore allieva. Dopo quella lecchina della Nightsade, naturalmente…
Eppure quel giorno era piuttosto difficile concentrarsi, considerando gli sguardi divertiti e incoraggianti dei Grifondoro che la circondavano. I più avevano apprezzato il suo scherzetto alla Crimson, considerando che la ragazza non godeva di grande popolarità tra i Grifoni, ma non avevano gradito particolarmente dover trascorrere metà viaggio in piedi. Altri erano stati invece piuttosto intimoriti dal suo gesto, soprattutto perché sfidare Susan Crimson sembrava quasi una cosa impossibile ai loro occhi, una cosa proibita come sfidare Dio. Ma mentre, secondo la mentalità generale, Dio non deve essere offeso perché merita rispetto, Susan non doveva essere offesa perché si sarebbe sicuramente vendicata. E Susan ADORAVA trovare dei pretesi più che banali quali un “piccolo” scherzetto come quello di Gwen per martoriare la casa di Godric. Per questo nessun Grifondoro sano di mente si era mai azzardato, dopo quella volta in cui Alicia Spinnet gli aveva infilato delle Pasticche Vomitose nel pranzo, a stuzzicare minimamente la Crimson. Subito dopo Malfoy veniva lei, lo sapevano tutti.
Evidentemente Gwen non era propriamente sana di mente.
Beatrix lo osservava con sguardo adorante: ADORAVA quel suo modo di spiegare. ADORAVA il suo tono affettato e fugace. ADORAVA i suoi occhi che lanciavano stilettate da un angolo all’altro della classe, inchiodando prima Potter, poi Weasley e poi Granger, e poi, dopo un’occhiata generale, ricominciava la sequenza. ADORAVA il modo in cui, a volte, osservava il suo banco in prima fila e il suo viso tinto di un lieve rosso porpora e sorrideva distrattamente. ADORAVA che le sorridesse.
La ragazza alzò subito la mano a una domanda piuttosto complicata, con un tale entusiasmo e una tale lena che Piton rimase inebito per alcuni istanti.
“Sì, signorina Nightsade?” domandò lui. “Vuole chiedermi anche lei di andare in bagno a far compagnia al signorino Thomas?”
Alcuni risolini seguirono a quell’aggiunta. Filiana sprofondò nel suo banco: ODIAVA che si prendesse in giro Dean.
“No, professore…” rispose lei, il tono di chi è appena sceso dalle nuvole o deve ancora scendere. “Volevo solo dire che per preparare una Pozione Polisucco servono, oltre ai Formicaleoni e alla polvere di corno di Bicorno da lei già citati, anche Erba Fondente, pelle tritata di Girlacco e, ovviamente, un capello della persona di cui si vogliono assumere le sembianze”. Lei sorrise di nuovo, ma Piton non ricambiò.
Ribatté invece, in tono secco:
“Sa, mi chiedo perché gli altri professori si lamentino tanto di lei, signorina Nightsade…”
Poi, con un sorriso sardonico, aggiunse:
“Mi aspettavo che la signorina Granger conoscesse la risposta, considerata la sua esperienza diretta con questa Pozione”.
Un coretto di risate accolse quella battuta, e Hermione arrossì fino alla punta delle orecchie, abbassando lo sguardo imbarazzato.
Bea ridacchiò anche lei con fare allegro, e Piton si concesse un altro dei suo sorrisi.
ADORAVA il professor Piton.
AMAVA il professor Piton.
 
Simon faceva fatica, come sempre, a seguire la lezione. Non tanto per la tediosa spiegazione che il professor Filius gli stava propinando, quanto per la sua difficoltà a leggere le lettere scarabocchiate alla lavagna.
Non era un mistero, per sua madre e suo padre, che lui fosse dislessico, ma naturalmente non si erano presi la briga di avvertire qualcuno dello staff di Hogwarts delle sue condizioni. Perché mai, in fondo? Era un problema suo e solo suo se non riusciva neanche a leggere una pagina del libro senza che la testa cominciasse a dolergli orribilmente e le lettere cominciassero a ballargli davanti agli occhi. Per lui leggere era la tortura più tremenda tra tutte le torture. Forse per questo aveva così tante insufficienze. Ma naturalmente i suoi non si erano presi la briga di trovare qualcuno che lo aiutasse a superare il problema: era già un’offesa alla famiglia avere un figlio artista, non serviva ricoprirla ulteriormente di un’altra onta.
Susan era stata riammessa alle lezioni la settimana successiva all’arrivo a scuola, ma da allora faceva di tutto per evitare Blaise. Il ragazzo sedeva pochi banchi distanti da lei, osservandola con occhio critico, ma lei lo ignorava bellamente, alzando la testa con fare fiero e sistemandosi ben bene nella sedia fingendo di seguire la lezione. La verità è che non sopportava più quella tortura: solo dieci minuti dopo l’inizio della lezione aveva sentito il bisogno impellente di alzarsi, ma si era dovuta trattenere. Non riusciva mai a stare ferma, e così si doveva arrangiare a dondolare le gambe avanti e indietro e a giocherellare con le mani con fare nervoso, fino a che, alla fine dell’ora, balzava in piedi con un respiro di sollievo. Le sembrava quasi di essere in prigione, con quel banco piantato davanti a fargli da cella.
Shaula era immersa in pensieri tanto cupi che persino lei si sarebbe sorpresa di sé stessa solo poche settimane prima: il viso di Zach era ancora ben impresso nella sua mente, e quel cognome segnato a lettere di fuoco.
Tassorosso, si ripeté, rimproverandosi mentalmente.
Tasssorosso, replicò, perché il concetto fosse chiaro.
NON POTEVA mettersi a fare conversazione con un Tassorosso.
Non ora, almeno. Lei e Kristen preparavano quel piano da mesi e mesi, e lei doveva essere ben concentrata sulla missione.
Ma poi, perché tanto interesse per lui? si disse, sbuffando lievemente. Perché importarsene di uno che a malapena conosceva?
Perché continuare a pensare al modo gentile e impacciato con cui si era presentato nello scompartimento? Perché pensare che nessuno si era mai rivolto a lei così?
Perché trovarlo irritante per quei modi di fare permissivi e arrendevoli e trovarli, allo stesso tempo, adorabili.
Cristo, se odiava quel casino nella testa… Molto più semplice quando il suo unico problema era la nonna malata e i genitori menefreghisti. Strano a dirlo, ma era così.
Da quando era ricominciata la scuola, Selene non aveva potuto staccare gli occhi dalla ragazza coi capelli castani. Li aveva tagliati corti come un maschiaccio, e non si preoccupava minimamente di pettinarli, lasciando che le si arricciassero tutti come fossero il pelo di un barboncino. Aveva sentito che era una ex allieva di Beauxbatons, e il pensiero che presto avrebbe rincontrato i suoi compagni la faceva sorridere, per qualche strano motivo. Era una strana coincidenza che proprio quell’anno si dovesse tenere il famigerato Torneo Tremaghi.
Non sapeva cosa l’attirava tanto della sua figura: forse quegli occhi capaci di lanciare fiammate o anche di languire, quello sguardo a tratti duro e spietato e altre volte più addolorato, velato da una sorta di patina di sofferenza celata. In quegli occhi Selene vedeva come una parte di sé, quella che tentava di nascondere ogni giorno, quella che, sotto la facciata di ragazza tutta pepe e scontrosa, era una bambina che piangeva ancora per la perdita dei suoi genitori.
Keira (o Carine, non aveva idea di come chiamarla), sembrava non accorgersi di quelle piccole attenzioni che la ragazza gli concedeva, ma più di una volta Selene era certa di averla vista, in corridoio, fulminarla con lo sguardo, come a volerle chiedere “Che cavolo vuoi?”
Qualunque fosse il segreto dietro quegli occhi, Selene era più che decisa a scoprirlo.
Harmony si stava mangiando le unghie per la frustrazione e la preoccupazione.
La discussione avvenuta la sera prima le aveva messo una grande ansia addosso, ma non poteva certo farlo vedere. Shaula non sapeva che lei sapeva, e nemmeno Kristen. Avrebbe voluto tanto sfogare quel nervosismo con qualcuno, mostrare quanto fosse terrorizzata, ma non poteva farla. Non finché la Marshall era così vicina a lei. Non poteva permettersi debolezze. Il piano di Draco e Theo era perfetto, e non avrebbe fallito.
Non POTEVA fallire.
E se invece avesse fallito?
Se qualcosa fosse andato storto?
Cosa avrebbe fatto se Shaula e la Harrowl avessero davvero portato a termine la loro idea?
Il nervosismo e l’impaziente attesa per la serata la stava mangiando viva. E non poteva dirlo a nessuno…
Qualcuno le strinse la mano rassicurante, in una stretta calda e forte.
Harmony si voltò quasi sobbalzando.
La mano di Draco intensificò la stretta, e il ragazzo le sussurrò, in un tono tra il divertito e il serio:
“Tranquilla: non permetterei mai che ti facciano del male”.
Harmony non poté evitare di diventare completamente rossa a quelle parole.
“Chi altro darebbe degli idioti a Tiger e Goyle, sennò?”
Si lasciò scappare una risatina divertita che le si strozzò in gola, e prima di mollare la stretta, Draco le rivolse un sorriso rassicurante.
Harmony prese un sospiro profondo nel tentare di ricomporsi.
Diavoli, quel ragazzo la mandava ai pazzi…
Niky stava battendo con la matita sul foglio del libro, mentre le palpebre rischiavano lentamente di richiudersi. Aveva dormito poco o niente quella notte, troppo eccitata per l’imminente arrivo delle scuole e l’inizio del Torneo. E naturalmente ora ne pagava le conseguenze.
Il ragazzo che gli era seduto accanto aveva capelli neri e corti, gli occhi neri anch’essi e lo sguardo di chi ha passato la notte in bianco. Come lei, d’altronde.
Il ragazzo si voltò velocemente verso di lei e le rivolse un lieve sorriso e un saluto leggero.
Lei rispose con altrettanta svogliatezza, troppo stanca per poter anche solo mimare un “Ciao” con le labbra.
Da quando era ricominciato l’anno non aveva più avuto occasione di rivederlo, tra tutto il trambusto che c’era stato per il Torneo Tremaghi e l’eccitazione generale. Ma ora era lì, accanto a lei, e le sorrideva amichevole.
Il ragazzo si guardò cautamente intorno per controllare che nessuno stesse guardando e poi gettò un bigliettino sul banco della ragazza.
Lei, altrettanto cauta, lo afferrò e lo dispiegò, per poi leggere, in bella grafia:
“STASERA NELLA SALA COMUNE, QUANDO SE NE SARANNO ANDATI TUTTI. THEODORE”.
Niky scosse la testa.
Era completamente pazzo.
 
Ally si trascinò per il cortile passandosi la mano sul viso, nel tentativo disperato di mantenersi sveglia: ancora tre ore di lezione. Poteva farcela. DOVEVA farcela.
Cedric le si affiancò con un saluto amichevole e un “Ciao!” allegro. La ragazza non si voltò nemmeno a ricambiare il saluto. Agitò la mano destra senza troppa convinzione e poi continuò a camminare schiaffeggiandosi violentemente.
Il ragazzo gli di fece nuovamente accanto.
“Tutto bene, Ally?”
Lei sbuffò un “No…” poco convinto e poi si diede un altro schiaffo nel tentativo disperato di svegliarsi un minimo.
Cedric le si fece accanto e domandò, amichevole:
“Vuoi che ti porti in braccio fino all’aula di Pozioni?”
Allison lo guardò stupita e quasi urlò, stupefatta:
“CHE COSA??”
Cedric ridacchiò e disse, con fare scherzoso:
“Sai, quegli stivali mi piacciono, e anche parecchio. Non vorrei che si consumassero…”
Allison abbassò lo sguardo sulle scarpe che indossava e poi lo rialzò su di lui con un sorriso sul volto.
Cedric ridacchiò mettendosi le mani in tasca e lei rispose alzando gli occhi al cielo.
“OK, se vuoi spezzarti la schiena fai pure” commentò aprendo le braccia.
Prima che potesse controbattere, Cedric l’aveva presa tra le sue braccia con un sorriso sul viso.
“EHI, IO SCHERZAVO!! LASCIAMIIIIIII!!” gridò lei mentre tutti i ragazzi nel cortile si giravano a guardarli straniti e divertiti.
“Lasciami subito andare, Cedric Diggory, oppure giuro che ti Crucio!” esclamò lei, battendogli i pugni chiusi sul petto.
“Da quando in qua rifiuti l’aiuto di un amico, Frost?” chiese lui, divertito.
“Da quando un amico ti prende in braccio davanti a tutta la scuola!!!” replicò lei,agitandosi tra le braccia del ragazzo.
“Ehi, fai piano Godzilla!” esclamò lui, ridacchiando.
“MOLLAMI!!”, ma stavolta anche lei rideva, divertita da quella situazione assurda.
Mentre procedevano così verso l’aula di Pozioni, ridendo tutti e due, Harry si avvicinò al Tassorosso.
“Ced…” si bloccò quando notò Ally tra le braccia del ragazzo. Tutti e tre zittirono.
“Oh…” commentò Harry a quella vista. “Bè, vedo che al momento sei molto impegnato, perciò…”
“No, no, no!” si affrettò a rassicurarlo Cedric. “Ally non vedeva l’ora di scendere”.
La ragazza scoppiò a ridere.
“Confermo, questo ragazzo è pazzo!”
A quel punto, Cedric si decise a riappoggiarla a terra, e lei si allontanò salutandoli entrambi con la mano.
Il Tassorosso rispose con un sorriso e un saluto delicato.
Harry sbuffò divertito e lievemente imbarazzato.
“Mi spieghi perché non ti ci metti insieme?” commentò Harry, avviandosi sul vialetto insieme al ragazzo.
Cedric diventò istintivamente di fuoco.
“Ma che dici?” disse, tentando di mascherare l’imbarazzo.
Il Grifondoro sorrise accorgendosi della sua tacita vergogna, ma decide di non andare oltre nel discorso.
“Ok…” commentò, poi, trottandogli dietro, gli domanda, curioso:
“Sempre intenzione di iscriverti al Torneo?”
“Sempre intenzione di iscrivermi al Torneo” assicurò lui, rallentando il passo per permettere all’amico di fare la strada con lui.
“Qualcun altro dei Taassorosso si iscrive?” domandò, curioso.
“Ehm…” Cedric alzò lo sguardo per tentare di ricordare.
“Ernie McMillan, Merida Lenix… E Sarah e John Taylor”.
Harry aggrottò le sopracciglia.
“Ally non si iscrive?”
Cedric scosse la testa.
“Non credo…”. Poi, sorridendo, aggiunse: “Anche se conoscendola non mi stupirei che si iscrivesse all’ultimo momento”.
Harry ridacchiò e domandò, malizioso:
“Tu le permetteresti di iscriversi?”
Cedric sbuffò.
“Certo che no!” commentò, allargando le braccia. “Metti caso venisse scelta lei, sarebbe un’immensa delusione per me!”
Harry gli diede un pugno scherzoso sulle braccia muscolose, e Cedric scoppiò a ridere.
“Ok, ok…” ribatté il Tassorosso, massaggiandosi la spalla. “Scherzavo”.
“CEDRIC!”
Sarah Taylor gli corse incontro con un sorriso sulle labbra.
“Mi servirebbero gli appunti di Rune Antiche!” esclamò la ragazza a mezza voce, riprendendo fiato dopo la corsa.
Il ragazzo domandò, stupito:
“Non mi dire che non li hai presi! Mi deludi molto, Sarah!”
“Non è per me!” si affrettò a spiegare la ragazza. “È Johnny che si è distratto a lezione…”
Cedric fece tanto d’occhi.
“Come mai, scusa?”
La ragazza sbiancò e tagliò corto con un semplice:
“Era… Molto… Stanco”.
Cedric annuì, poco convinto, ma le passò i fogli con gli appunti che aveva preso.
“Dì a Johnny di riportarmeli entro domani mattina, per piacere!”
“Lo farò!” esclamò Sarah, prendendoli prima che potesse dire altro. “GRAZIEEEEE!” gli urlò dietro, correndo incontro al fratello.
Harry sorrise lievemente.
“Non poteva usare i suoi, di appunti?” commentò il Grifondoro, curioso.
“Diciamo che gli appunti di Sarah sono piuttosto…” il Tassorosso cercò per un istante la parola giusta. “… criptici”.
Harry domandò,  sorpreso:
“Cioè?”
Cedric si chinò a sussurrargli all’orecchio per non farsi udire da nessuno:
“Una volta me li ha passati. E ti giuro, ha la scrittura peggiore che tu possa immaginare”.
Harry trattenne una risata ilare, perché lo sguardo della ragazza era posato su di loro, e così fece Cedric. I due si voltarono velocemente, tentando di trattenersi.
“Io non te l’ho mai detto” lo ammonì Cedric.
“Se faccio la spia, che io possa crepare!” giurò Harry, posandosi una mano sul cuore e alzando una mano.
 
Daisy si rifugiò in un angolo del giardino portandosi il panino alle labbra. Preferiva passare l’intervallo da sola piuttosto che rivelare a Tom cosa Lesath aveva fatto per lei. Tra le due opzioni, non aveva idea di quale fosse la più mortale per lei: farsi vedere da sola nel cortile che pullulava di Serpeverde o confessare ai suoi migliori amici che Malfoy aveva tentato di aggredirla?
La cosa migliore che potesse fare era mimetizzarsi con l’ambiente circostante, rendendosi quanto più invisibile nel mezzo della folla di studenti. Era facile, a volte, passare inosservati, ma i Serpeverde avevano occhi di falco.
Dopo il primo morso al panino, Daisy si pentì immediatamente di non essersi portata dietro anche Thomas e Zach. Non che loro avrebbero potuto fare granché se Malfoy e la sua banda li avessero attaccati, ma Daisy sapeva bene che era più semplice essere nel mirino quando erano soli.
Dopo appena tre morsi timidi, Theodore Nott le si avvicinò maligno.
Daisy alzò gli occhi su di lui e subito impallidì.
“T…Theo…” sussurrò, deglutendo rumorosamente.
Il ragazzo non accennò a fare nulla, ma le si parò davanti e, con un sorriso maligno, tirò fuori la bacchetta.
“No, ti prego, no!” esclamò lei, tentando di alzarsi in piedi dalla sua posizione a terra.
Ma Theo urlò una parola che lei non riuscì a capire, e subito fu avvinta da rami che la bloccarono sul terreno. Non ebbe nemmeno tempo di pensare a come il giovane avesse fatto a compiere quella magia, perché la sua attenzione si concentrò di nuovo sul ragazzo che le puntava la bacchetta contro.
Probabilmente lo mandava Malfoy. Si voleva vendicare di quello “scherzetto” che Lesath gli aveva giocato sul treno. Ma, diamine, non era stata lei! Perché prendersela ancora con lei?
Il viso biondo di Draco emerse dietro il corpo di Theo, e Daisy socchiuse le labbra, come se avesse intenzione di dire qualcosa.
Il biondo le si avvicinò e le prese il viso tra le mani con prepotenza. Le era così vicino che poteva sentirne il fiato.
“Non so chi sia stato a colpirmi sul treno, e sicuramente non sei stata tu, Mezzosangue…” le soffiò contro, sputandole sul viso. Daisy socchiuse gli occhi, con un singhiozzo che fece sorridere sadicamente Malfoy.
Il ragazzo si rialzò e, con un sorriso, disse deciso:
“Che sappia che Draco Malfoy non ha paura di lui”.
Daisy non disse nulla: era come se la bocca le si fosse prosciugata, e non c’era più saliva che potesse idratarla.
Draco si affiancò a Theo e osservò la scena appoggiandosi all’amico.
Daisy richiuse gli occhi mentre la sua bacchetta si alzava.
E…
Nulla.
Il suo respiro accelerò in maniera incontrollabile, ma poi riuscì a calmarlo lievemente.
Quando riaprì gli occhi, tremando ancora tutta, rimase di stucco.
Lesath si era messo tra lei e Malfoy, coprendola completamente col suo corpo robusto e imponente.
Daisy notò subito dallo sguardo di Draco che anche a lui il giovane aveva fatto un certo effetto: era certamente un ragazzo forte e grande, almeno il doppio dell’esile Malfoy, e i capelli neri che gli incorniciavano il viso pronunciato servivano a renderlo ancora più temibile allo sguardo. Gli occhi verdi lanciavano fiammate, e fu subito chiaro a tutti, nel cortile, che da lì a poco c sarebbe stato uno scontro.
La tensione era palpabile.
Draco era sbiancato alla vista di Lesath, ma riuscì a riprendersi e domandò, sardonico:
“Dacci la ragazza, Maciste”.
Il Corvonero non si spostò e non accennò a farlo.
Tipregofachenonsisposti, tipregofachenonsisposti, pregava mentalmente Daisy, affannata.
Draco gli si avvicinò e disse, conciliante ma duro:
“Senti, amico, ci ha fatto un torto, quindi lasciala a noi, OK?”
Lesath rispose, calmo e freddo come ricordava:
“A voi? O solo a te, Malfoy?”
Il viso del biondo si imporporò per lo sdegno, ma non mollò l’osso.
“Lei e i suoi amichetti mi hanno procurato un occhio nero. Merita di essere punita.”
Lo sguardo di Lesath si spostò a osservare l’occhio di Draco e commentò, con una nota divertita nella voce:
“Credevo che ci fossi nato con quel bozzo”.
L’intero cortile scoppiò in una risata argentina, tutti tranne Daisy, ancora legata a terra e troppo agitata per parlare.
Draco si guardò lentamente intorno, poi avanzò ancora di più verso il ragazzo.
“Senti, bello, o ci dai la ragazza o ti pestiamo!”
Lesath rispose, calmo e per nulla intimorito:
“Come io ho pestato te, Malfoy?”
Daisy impallidì e così anche Draco.
“Tu…” fece per iniziare il Serpeverde. Lesath annuì soddisfatto.
“Brutto bastardo…” commentò Draco tra i denti. Il ragazzo rimase fermo davanti a Daisy, ma il biondo, al contrario, si allontanò lievemente per avvicinarsi a Theo. L’amico capì immediatamente.
L’intero cortile si aprì per far passare il Serpeverde che fece una decina di passi all’indietro.
Il silenzio era così denso che si poteva tagliare con un coltello, la tensione alle stelle.
Non una mosca volava.
Il Serpeverde alzò la bacchetta posizionandola verso il Corvonero.
Per risposta, Lesath alzò la sua.
“No…” si lasciò scappare Daisy in un sussurro flebile ma acuto. Il ragazzo non la udì, o forse decise di ignorarla.
Ma prima che uno dei due potesse anche solo aprire bocca, la McGrannit si precipitò affannata nel cortile.
“Che succede qui?” urlò lei. Tutto il cortile si voltò verso di lei, e Daisy tirò un rumoroso sospiro di sollievo.
Né Draco né Lesath accennarono a abbassare le bacchette, ma il Serpeverde lanciò alcuni sguardi preoccupati alla professoressa, mentre il Corvonero mantenne lo sguardo fisso su di lui, come avesse ancora intenzione di colpirlo.
“Abbassate immediatamente le bacchette!” esclamò la direttrice della Casa, in un tono perentorio che non ammetteva repliche.
Per un altro lungo, agonizzante momento, Daisy temette che la bocca di una delle due potesse urlare un incantesimo.
“ABBASSATE QUELLE BACCHETTE!!” urlò la professoressa.
Draco si abbassò sul terreno con una lentezza calcolata, senza perdere di vista gli occhi di Lesath che lo trafiggevano.
Quando finalmente ebbe posato a terra la bacchetta, anche il Corvonero gettò la sua al terreno.
La McGrannit si avvicinò loro con passo veloce ed esclamò, perentoria, ed esclamò, decisa e per nulla indulgente:
“Non voglio che un episodio del genere si ripeta mai più, chiaro?”
Sia Draco che Lesath annuirono, e solo allora la professoressa si allontanò, urlando ai ragazzi di allontanarsi immediatamente.
Il Serpeverde gli si avvicinò, seguito da Theo e, sottovoce, gli disse con la voce intrisa di veleno:
“Sappi che questa me la pagherai, lurido bastardo”.
Lesath lo osservò allontanarsi con Theo al seguito senza commentare.
Solo allora Daisy ebbe il coraggio di parlare.
“Grazie…” sussurrò al ragazzo.
Lesath le si avvicinò lesto e le si chinò accanto, rispondendo, calmo:
“Bè, salvare donzelle in difficoltà è il mio hobby, ricordi?”
La ragazza sorrise divertita.
Un istante dopo, un coltellino svizzero apparve tra le mani del ragazzo.
Daisy trasalì nella sua prigione di radici e iniziò a dimenarsi spaventata.
“Calma” sussurrò Lesath in tono rassicurante. “Ti devo liberare in qualche modo o no?”
Daisy abbassò lo sguardo sul groviglio che la teneva incatenata a terra e sussurrò un “Oh” di comprensione.
Lesath iniziò a tagliare delicatamente, tentando di non forare in qualche modo la divisa.
“Sarebbe anche ora che iniziassi a difenderti da sola, ragazzina…” commentò lui, mentre Daisy si massaggiava le mani ora libere. “Non potrò salvarti per sempre”.
“Io ce l’ho un nome, se ti interessa” ribatté lei, improvvisamente dura e aspra.
Lessath ridacchiò.
“Incredibile come riesci a fare la dura con me…” commentò, recidendo una radice particolarmente  tenace. “Dovresti usare questo genere di forza anche con Malfoy. In questo caso è lui il cattivo, non certo io…”
“Sì, hai ragione” confermò Daisy, a bassa voce. “Ma non è facile”.
Lesath alzò lo sguardo su di lei con un sorriso ed esclamò, deciso:
“Non sarà mai facile, se non ci provi nemmeno!”
Daisy non rispose nemmeno. Abbassò lo sguardo e lui tornò al suo lavoro.
“Comunque per il momento sei salva…” constatò, ripensando alla promessa di Malfoy. Non sarebbe stata di sicuro lei la sua prossima vittima.
Solo che lui, al contrario di Daisy, sarebbe stato pronto.
 
“Perché diamine l’hai fatto, Draco?” domandò Harmony, correndogli dietro stordita dagli ultimi avvenimenti. Il Serpeverde la ignorò.
“Draco!” gli urlò lei dietro, tentando di raggiungerlo.
Malfoy gli urlò solamente dietro:
“è quello che mi ha picchiato sul treno, Harm!”
In risposta, Harmony tentò di raggiungerlo e nella corsa chiese:
“E la ragazza?”
“Vattene, Harm”.
“Draco, io so che c’è molto di più in te di questo. Ti conosco, sei un bravo ragazzo in fondo!” tentò di nuovo, con poco successo. Il Serpeverde continuò il percorso verso l’aula di Pozioni, senza neanche degnarla di uno sguardo.
Harmony diede un calcio alla parete per la frustrazione, mentre la rabbia le saliva alla testa con una velocità assurda.
 
Shaula si passò le mani intorno al corpo, come a volersi abbracciare, leggermente frustrata.
Kristen la raggiunse di corsa ma lei la ignorò.
“Hai una cera orribile…” commentò la Grifondoro, ma non aggiunse altro.
La Serpeverde cercava con lo sguardo, nella folla di Tassorosso, un viso specifico.
E quando lo vide non poté fare altro che perdersi nella sua osservazione.
I capelli marroni a cespuglio…
L’aria da dolce e tenero bambino…
Tutto ciò che più aveva odiato nei ragazzi nella discoteca sulla spiaggia.
E ora invece quel ragazzo che avrebbe potuto, DOVUTO odiare con tutta sé stessa, la attraeva.
Che cretina che era…
Quando Zach si voltò, come se avesse saputo di essere osservato, lei di istinto abbassò lo sguardo.
Non potrà funzionare mai, si ripeté più e più volte.
Non poteva funzionare.
Un tasso e una serpe non potevano fare altro che lottare per la sopravvivenza, per il cibo, azzannarsi a vicenda finché uno dei due non fosse stato sconfitto.
E lei non voleva sconfiggere lui.
Erano troppo diversi, lo sapeva.
Lei energetica e indipendente, lui fragile e dolce. Prima o poi le abitudini di uno avrebbero cozzato con quelle dell’altro, e si sarebbero infranti come bicchieri. O uno dei due avrebbe distrutto l’altro.
E lei non voleva distruggere Zach. Non Zach.
Ma non lo conosci nemmeno, in fondo! si disse in un palese tentativo di negare l’evidenza: non lo conosceva certo quanto la sua migliore amica lo conosceva, ma lo sentiva, in un certo senso, vicino a sé.
Si voltò verso Kristen celando sotto una maschera di indifferenza le sue paure e domandò, tentando di assumere il tono di generale:
“Tutto pronto per stasera?”
Si rimise la maschera in fretta. Era più facile nascondersi che cercare di capirsi di più, in fondo.

Note d'autrice pazza:
CE L'HO FATTAAA!! Ho aggiornato in tempo! Datemi la medaglia ORA!
Ma sono completamente pazza, me ne accorgo da sola.
Cioè, sto capitolo è lunghissimo.
LO SO.
Perdono.
Mi dispiace.
Allora...
Come avrete notato ci sono Cedli (CedricxAllison), Lesdy (LesathxDaisy), Zaula (ZachxShaula), accenni Severix (SeverusxBeatrix), Dracony (DracoxHarmony), Evanille (EvangelineNeville), Filean (FilianaxDean) e Johnic (JohnxCedric). Inventatevi pure voi i nomi delle coppie, è divertente!!
So che ho dedicato molto più tempo a una coppia che a un altro, e MI SPIACE. VI GIURO che nel prossimo capitolo farò qualcosa tipo quella dello scorso capitolo (panoramica generale) e mi concentrerò sugli sfiga pairing. Dunque io direi GwenxLee e EvangelinexNeville. Altro suggerimenti?
Comunque, nel prossimo capitolo DAVVERO arriveranno le scuole.
ultima cosa: vi lascio delle immagini con delle coppie che mi hanno ispirato su delle coppie di questa storia. Non fisicamente, magari, però per la sua connotazione romantica, diciamo. Anche perchè trovare coppie che assomigliano ai vostri personaggi non è facile...

 SamxFreddie=KristenxDaniel (OK, sono identici. Punto. SONO la Seddie)
 QuinnxLogan=LesathxDaisy (Sì, lo so che Daisy è bionda e Les ha i capelli neri, ma questi due SONO loro)
 PercyxAnnabeth=AurorxThomas (Sarà che lui è un imbranato intelligente e coraggioso e lei una ragazza che sa cavarsela da sola...) (L'immy non è mia)
 
OK, voi avete altre idee? Cosa credete vada bene per:
-ShaulaxZach
-FilianaxDean
Ho già una mezza idea per la fanon ZachxDaisy ma per daperla aspettate il prossimo cappy!!
Ciaooo!!! Ci vediamo tra due settimane (spero)
A proposito, auguri di buon Natale e di felice anno nuovo!!

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Capitolo 7
*** The Goblet of Fire ***


L’ansia nell’aria era così densa che si poteva tagliare con un coltello.
In fila coi suoi compagni Grifondoro, Daisy stava letteralmente fremendo. Se era vero che quella mattina non aveva dato molto peso all’arrivo delle scuole di Beauxbatons e Durmstrang, ora l’evento le sembrava così eccitante che per un istante ebbe paura che Tom, accanto a lei, potesse sentirla fremere d’impazienza.
Stavano per inaugurare un Torneo che da più di cento anni non si svolgeva, stavano per far ripartire una tradizione secolare ferma da tempo. In fondo, doveva essere in qualche modo interessante, no?
“Ma quando arrivano?” sbuffò Susan, già stufa di stare in piedi in mezzo alla massa di Serpeverde. L’impazienza era un altro dei suoi “innumerevoli difetti”, come Tom sussurrava scherzoso all’orecchio di Daisy ogni tanto, quando erano soli nella Sala Comune.
“Sono quasi le sei” costatò Ron Weasley nella fila dei Grifondoro, e questo fece innervosire ancora di più Filiana. Dean le teneva la mano premuroso, “per evitare che ritorni sui libri” le aveva spiegato con un sorriso che lei aveva ricambiato nervosa, ma la verità era che, per la prima volta in quattordici anni, non le importava nulla dei libri che aveva lasciato soli soletti in camera, pronti per essere riaperti il mattino seguente. Era così nervosa per l’arrivo delle scuola che aveva praticamente dimenticato di studiare quel pomeriggio.
“Secondo te come arriveranno?” domandò la ragazza al compagno che le stavano accanto.
Dean alzò le spalle e constatò:
“Non credo che faranno qualcosa di banale come arrivare in scopa o con una Passaporta, dunque direi che dovremo aspettarci un’entrata in scena trionfale…”
Auror sfregò per al centesima volta le mani per tentare di riscaldarle, ma non servì a nulla: il freddo le penetrava nelle ossa, sicuro e letale, come se già conoscesse la strada che doveva compiere e la percorresse veloce e spedito. Si era messo lo “scialle della nonna” intorno alle spalle e, imbacuccata a quel modo e tra l’altro con la divisa nera della scuola sembrava un sacco di patate.
“Quanto ci vorrà ancora?” sbuffò Evangelin dalle file dei Tassorosso. Erano ormai le sei, eppure nessun segno di un arrivo imminente.
“Non ne ho idea, Eve, ma credo che dovremo aspettare ancora un altro po’…” sospirò spazientita Beatrix, poco lontana da lei.
Evangelin si diede un’occhiata intorno, constatando se davvero tutti fossero così intenti da non notarla, e si mosse velocemente verso le file dei Grifondoro, scostando almeno una decina di persone, per arrivare accanto a Neville, che se ne stava accanto a Harry, Ron e Hermione, lo sguardo di chi cerca di non farsi notare.
La ragazza gli prese il braccio e quello sussultò al contatto.
Lei gli fece segno di non dire nulla e gli sussurrò, temendo che nella penombra che già si andava formando non la riconoscesse:
“Neville, sono Evangelin!”
Del poco che poteva vedere del suo viso notò che aveva accigliato le sopracciglia.
“La ragazza del treno…” spiegò, alzando gli occhi al cielo.
“Oh…” sussurrò lui, capendo solo in quel momento.
“Perché mi stai evitando, scusa?” gli domandò lei, prima che il ragazzo potesse aggiungere qualcosa.
“Non… Non ti sto evitando!” esclamò lui a bassa voce, tentando di non far notare la loro conversazione e di mascherare una leggera ansia nella sua voce. “È solo che non ti conosco proprio per niente, insomma, mi sei piombata addosso nello scompartimento e non ci  siamo nemmeno parlati, e…”
“E mammina ti ha detto che non si parla con gli sconosciuti?” ribatté lei, in un tono tra l’acidulo e il divertito. Quel ragazzo le faceva una tenerezza infinita, soprattutto per la sua goffagine adorabile, ma le dava sui nervi quanto scostante fosse.
Del poco che vide, le sembrò che le sue labbra si contraessero, come se stesse cercando di non piangere, poi il ragazzo sussurrò, il tono di voce basso e più calmo che riusciva a assumere:
“Non è che mia madre ci sia stata molto…”
Evangelin spalancò gli occhi nel buio.
Poi si avvicinò ancora di più al ragazzo e gli strinse dolcemente la mano.
Stavolta Neville non la rifiutò e, anzi, si aggrappò a quel tocco come se da quello avesse potuto ricavare un po’ di conforto.
“Io non voglio essere una sconosciuta, Neville…” sussurrò Eve, cingendogli con il braccio le spalle, protettiva. “Voglio esserti amica. Ma non posso esserlo se tu non mi lasci entrare nella tua vita…”
Il ragazzo non rispose. Ma per tutta risposta, strinse la presa e le sorrise.
E questo bastò a Eve.
Era chiaro quanto nervosi fossero tutti, ed era chiaro quanto quell’arrivo fosse stato atteso e sognato da ogni singolo studente della scuola.
Perfino la McGrannit, solitamente così piena di contegno, aveva cominciato a mostrare chiari segni di impaziente attesa, tanto che a Simon scappò una risatina subito smorzata dallo sguardo assassino della stessa McGrannit.
Poi, ad un tratto, qualcosa accadde: Silente, dall’ultima fila urlò, con quanta voce avesse in corpo:
“Eccoli! Beauxbatons arriva!”
Come avesse fatto a vederli, era un vero e proprio mistero, almeno per Ally che se ne stava proprio in mezzo alle file dei Tassorosso, accanto a Cedric e John che teneva gli occhi bassi. Fatto sta che, non appena la notizia fu captata, tra gli studenti non solo della sua Casa ma di tutta Hogwarts si cominciò ad avvertire un curioso bisbiglio, voci che si accavallavano, eccitazione che saliva alle stelle mentre i direttori di ogni Casa tentavano, invano, di riportare un po’ d’ordine.
Poi Ally capì come Silente avesse fatto a prevedere il loro arrivo, e non si sorprese delle esclamazioni di stupore che venivano dalle file davanti: un’enorme massa nera stava percorrendo la Foresta Proibita, una massa enorme di cui Ally non riusciva a distinguere i contorni e che si avvicinava sempre più.
“Diamine, cos’è?” bisbigliò, rimanendo a bocca aperta insieme a Cedric.
“Mio dio, un drago!” si sentì da qualche Grifondoro del primo anno.
“Una casa volante!”
“Un troll!”
“Una Fenice!”
L’immaginazione trottava sulle ali della fantasia, visto che non c’era nulla che potesse contraddistinguere sicuramente quella “cosa” che si stava avvicinando.
Qualcuno osò pensare a un centauro, ma fu subito ritenuta un’idea stupida e assolutamente irrealizzabile.
Poi la videro: un’enorme carrozza azzurra, grande quanto una casa, che fluttuava nell’aria sostenuta da alcuni cavalli che galoppavano come fossero stati sulla terra.
Una serie di “Oooh…” e “Aaaah…” seguirono a quella vista, e perfino Keira che fino ad allora era rimasta zitta e impassibile non poté fare a meno di fissare stupita lo spettacolo che le si presentava davanti.
“Dio mio, è enorme…” sussurrò Selene, pochi posti più lontana dalla Serpeverde. La carrozza atterrò sul terreno con un rumore che assomigliava a un enorme tuffo, e dalle bocche di tutti gli studenti, nessuno escluso, uscì un “Oooh…” ancora più unanime rispetto al precedente quando un’enorme donna scese.
Ma non “enorme” nel senso di grassa o di costituzione robusta: era una donna altissima, alta quanto e più di Hagrid, pensò Harry, uno scialle intorno alle spalle e un sorriso tra il divertito e l’imbarazzato.
L’intera scuola trattenne il respiro, e Niky ebbe quasi l’impressione che qualcuno avesse addirittura lanciato un gridolino acuto. Probabilmente era solo la sua immaginazione, ma non poteva esserne certa al cento per cento.
Solo allora Lesath si accorse di quanto, effettivamente, i cavalli che trainavano la carrozza fossero grossi: in volo erano stati impossibili da distinguere, ma ora, a terra, sembravano le creature più grandi, eleganti e allo stesso intimidatorie che avesse mai visto. Nei loro occhi poteva leggere la loro mortalità come poteva vedere quel barlume di altezzosa superiorità, che ogni tanto vedeva brillare negli occhi di Susan e che quella mattina aveva visto brillare in quelli di Draco Malfoy.
La donna, nel frattempo, li stava scrutando tutti, con lo stesso sguardo che sembravano avere i cavalli: una sorta di superiorità tacita, come la consapevolezza che erano lì per una sfida, la certezza che sarebbero stati loro a vincere.
Se a Harry fosse stata chiesta una parola per descriverla, oltre che “mostruosamente enorme” (che oltretutto erano due aggettivi), avrebbe scelto certamente “francese”: tutto di quella donna sprizzava Francia da tutti i pori, tutto parlava delle sue origini, e di sicuro chi non avesse conosciuto la nazionalità della donna le avrebbe subito capite guardandola. Il modo di camminare, il vestito di satin nero, il modo di guardarli in modo così stupefatto, come una bambina, ma allo stesso tempo vittorioso.
Silente si diresse verso la donna, per nulla impressionato dalla sua altezza.
Bè, certo, si conoscevano già, ma perfino lui, ogni volta che rivedeva Hagrid, si sorprendeva di quanto dannatamente enorme fosse.
La donna, con un sorriso ammaliatore, porse la mano a Silente, che la baciò senza nessun problema e disse, felice:
“Madame Maxime… Sono così lieto di averla qui!”
“Il piascore è tutto mio, Silente” ribatté lei, il tono di voce leggero eppure benissimo udibile anche dalle ultime file in cui Shaula stava, ripassando mentalmente il piano per quella sera.
Nulla doveva andare storto, e dunque non poteva permettersi la minima distrazione o il minimo errore. Il pensiero andò per un istante a Zach, ma subito lo ricacciò indietro.
Nessuna distrazione.
Nessuna emozione.
Nessuna emozione che potesse contrastare ciò che da mesi stavano preparando.
L’attenzione di tutti si spostò, stavolta, sugli studenti che stavano scendendo dalla carrozza: erano tutti in divisa azzurra, le ragazze in una minigonna che scopriva generosamente le gambe ma che naturalmente non era propriamente adatta al clima gelido di Hogwarts e i ragazzi in pantaloni, anch’essi azzurri.
Gli occhi di molti erano posati sul castello, che osservavano però con una sorta di condiscenza, quasi commiserazione verso quello che, evidentemente, in confronto alla loro scuola, poteva  essere considerata una baita di montagna.
Una ragazza dai capelli biondi scese dalla carrozza con un lieve balzo, un sorriso dolce e affascinante dipinto sulle labbra.
Molti ragazzi rimasero a bocca aperta, e dalle file di Serpeverde qualcuno tentò dei fischi, che furono subito interrotti.
La ragazza avanzava leggiadra come una farfalla dietro la sua insegnante, un sorriso così aperto che per un istante Ernie credette di cadere a terra quando il suo sguardo si posò su di lui.
Keira tentò di nascondersi come meglio poteva tra le file dei Serpeverde, ma ormai non c’era più nulla da fare quando ci provò: la ragazza l’aveva già notata e il suo sguardo si era accesa di gioia indicibile e non poca sorpresa.
“Mon Dieu, Carine!” esclamò lei, in un urletto gioioso che assomigliava a quello di un ratto. Madame Maxime si girò verso di lei e la fulminò con lo sguardo, per poi continuare a camminare a passo leggero verso la scuola, sorridendo.
La bionda rimase per alcuni istanti ancora ferma a fissare il punto in cui Keira era, ferma e bianca come un cencio, gli sguardi di molti Serpeverde posati su di lei, poi la ragazza di Beauxbatons, in uno sfarfallio di giallo e di azzurro, si voltò e procedette anche lei a passo spedito verso la scuola.
“Come la conosce?” chiese Selene alla Serpeverde che le era più accanto, curiosa.
Harmony le sussurrò, tenendo d’occhio la ragazza che si stava passando le mani sul viso come se avesse visto un fantasma:
“Era un ex studentessa di Beauxbatons, da quello che ho capito. Non ha molti amici, anzi, praticamente nessuno, quindi non è facile saperne molto..:”
Selene si incuriosì e domandò anche:
“Perché ha lasciato la scuola?”
Harmony diede un’occhiata nervosa verso Draco che parlava con Tiger e Goyle, facendo i suoi bei commenti sulla biondina appena passata. Sbuffò indispettita: sapeva benissimo che Draco aveva mille difetti, e ne era ben conscia. Ma era anche disposta a passarci sopra, in nome di quelle poche qualità che aveva che, sebbene minime, erano preziose. Lei lo sapeva, lui non era quello che faceva vedere agli altri. Ma se preferiva passare per il bulletto donnaiolo… Chi era lei per impedirglielo?
Poi, riprendendosi, rispose a Selene:
“Anche di questo non si sa nulla. Solo Silente in persona, si dice, sa perché sia venuta qui”.
Rivolse uno sguardo a Keira e poi constatò, con tono neutro:
“Una ragazza piuttosto misteriosa, direi…”
Selene pensò che l’interesse che aveva perso per lei solo pochi minuti prima, stava ritornando ora prorompente e ancora più violento.
Poi, dopo solo pochi minuti, il silenzio ritornò. Nessuno aveva più nulla da commentare sui nuovi arrivati, nessuno sapeva cos’altro dire. C’era solo da sperare che l’arrivo di Durmstrang riaccendesse le curiosità dei ragazzi. E l’avrebbe di sicuro fatto.
Zach si passò una mano tra i capelli, in paziente attesa.
Era da qualche giorno che continuava a sentirsi come osservato, ma non sapeva spiegarsi quella sensazione. Insomma, chi mai avrebbe potuto interessarsi a lui, proprio a lui? Con quella zazzera di capelli che sembravano più un cespuglio che dei capelli e quel viso da bambino, non aveva certo il fascino (inspiegabile) di Malfoy, né quella gloria che Potter si portava dietro sia per quella storia che lui fosse “Il Bambino che Era Sopravvissuto” sia per le vittorie di Quidditch, né l’avvenenza fisica di Diggory.
Eppure da un po’ di tempo qualcuno lo osservava. E Zach fu quasi certo, dal pizzicorio che sentì alla base del collo, che anche in quel momento qualcuno lo osservava.
Poi fu distolto dai suoi pensieri da un rumore che giungeva da lontano.
“Cos’è?” domandò Kristen a Daniel, guardando il cielo e poi la foresta e poi di nuovo il cielo curioso.
“Che ne posso sapere??” esclamò il ragazzo, isterico. Quell’atmosfera di attesa asfissiante non gli aveva fatto di certo bene.
Poi un grido si udì in mezzo alle schiere di Grifondoro.
“Il lago! Guardate il lago!” urlava Lee Jordan, indicando la superficie nera che si stava increspando sotto il loro sguardo stupito. Gwen, che per un caso fortuito si era trovata accanto a Lee, divenne di pietra. Ciò che vedeva era davvero impossibile.
Troppo impossibile perfino per la vecchia Hogwarts.
Impossibile.
Un enorme veliero dalle vele nere stava emergendo dalle profondità del lago, prima l’albero maestro, poi il ponte e infine la poppa e la prua.
Un intero veliero, tutto di legno come quello dei pirati, emerso dal lago sotto i loro occhi.
Sarah immaginò per un istante quale sarebbe potuta essere la reazione di loro madre: ci sarebbe morta d’infarto per una cosa del genere.
Sua madre Margaret odiava la magia e odiava tutto ciò che era magico, tanto che suo padre, un Magonò, lei e John avevano istituito una “No-Marge-Zone” nello scantinato, in cui la donna non doveva assolutamente entrare e in cui i tre praticavano liberamente la magia.
Gli studenti cominciarono a scendere, uno alla volta, dal ponte, fieri come e più degli studenti d Beauxbatons. Erano di una corporatura straordinariamente robusta, grossi quanto armadi a due ante e dal corpo molto, molto allenato. Sebbene fossero nella penombra, Merida riuscì a percepire distintamente i muscoli che sotto quei mantelli lunghi quasi fino alle loro caviglie dovevano esserci, e si ritrovò a pensare a quanto tempo avessero passato per scolpirli in quel modo.
L’uomo che li guidava era anche lui alto e ben piantato, con lunghi capelli bianchi e i segni dell’età che quasi gli sfiguravano il viso.
“Silente! Vecchio mio!” lo salutò lui, gioviale. Aveva un forte accento russo, ma parlava comunque correttamente l’inglese.
Sebbene si reggesse su un bastone e sembrasse addirittura più vecchio di Silente, corse quasi per stringergli la mano, seguito dai suoi allievi che, invece rimasero impassibili.
Tra gli altri, uno attirò l’attenzione di praticamente tutti.
Il primo ad accorgersene fu Colin Canon nelle file dei Grifondoro. Poi a spalancare la bocca fu Cedric, il ricordo di un’immagine vista da un Omniocolo che lo lasciò praticamente paralizzato.
Poi, lentamente, la voce si sparse, i sussurri divennero quasi grida, e quando il ragazzo arrivò al portone e, senza voltarsi, entrò nella scuola, tutta Hogwarts aveva capito che Viktor Krum era arrivato ad Hogwarts.
 
“MA TI RENDI CONTO???” Ron stava letteralmente sprizzando gioia e eccitazione da tutti i pori, sebbene al momento il suo mito fosse seduto al tavolo dei Serpeverde, naturalmente accanto a Malfoy e Nott.
“VIKTOR KRUM CHE ANCORA VA A SCUOLA??? E CHI LO SAPEVA???”
Hermione ribatté, lievemente seccata dal suo atteggiamento:
“Bè, avresti dovuto saperlo, considerando che sei qualcosa come il suo fan numero 1, Ron…”
Il ragazzo non disse nulla e, anzi, continuò a parlare concitato, mentre Harry tentava di calmarlo come meglio poteva.
“Ti rendi conto, è qui!! Cioè, è proprio lui, è proprio qui, non è un sogno, è lui!!!” e si esibì in un urletto che avrebbe potuto eguagliare quello di una ragazzina al concerto della sua band preferita.
Spazientita Hermione, che stava tentando di concentrarsi su un libro, tirò fuor la bacchetta e lo minacciò in silenzio. Ron zittì subito e poi fece un colpo di tosse che sembrava tanto un “Guastafeste”.
Harry sorrise, poi si sporse verso il tavolo dei Tassorosso e fece un fischio per richiamare l’attenzione di Cedric.
Il biondo lo sentì subito e si voltò a guardarlo.
“Cosa c’è?” gli urlò dal suo tavolo, portandosi le mani alla bocca per farsi sentire.
Harry ridacchiò al pensiero poi urlò, anche lui con le mani alla bocca a mo’ di megafono:
“Immagina se il campione di Durmstrang fosse Krum! Non avresti uno straccio di possibilità!”
Cedric parve offendersi e rispose, mentre Allison rideva accanto a lui:
“Sì che ce le avrei! Quella sottospecie di papera mi può leccare i piedi!”
Dal tavolo di Tassorosso partì un “OOOOH…” di sfida, e Cedric si voltò per tentare di placarlo e tornò a scherzare con i suoi compagni.
Ron, che aveva seguito tutta la conversazione, sbuffò e disse, velenoso:
“Immagina quel Diggory campione di Hogwarts… Non avremo uno straccio di possibilità…”
Harry immaginò che fosse più dovuto al fatto che avesse offeso il suo mito e non altro, dunque decise di non commentare, anche perché il rosso non vedeva molto di buon occhio la sua amicizia con il Tassorosso.
“È un bravissimo studente, da quel che ho sentito…” tentò di difenderlo Hermione. “E inoltre è anche prefetto”.
Ron sbuffò.
“Anche Percy era prefetto, e guarda come si è ridotto! Il damerino di Crouch, ecco cos’è!”
Harry sospirò e gli fece notare:
“Bè, considerando che ora Crouch è qui, non ti conviene parlarne tanto male, Ron…”
Il momento che tutti aspettavano si stava avvicinando.
I piatti si svuotavano rapidamente, e ben presto tutto sarebbe finito, o iniziato secondo i punti di vista.
Il tavolo di Serpeverde, a cui era seduto Krum, fremeva. C’era già chi scommetteva sulla sua carica di campione di Durmstrang, ma soprattutto si scommetteva, naturalmente, sul campione di Hogwarts.
Al tavolo dei Grifondoro Fred e George Weasley stavano organizzando il loro bravo banchetto delle scommesse e stavano tentando i ragazzi urlando, all’unisono:
“2 galeoni per Harry Potter campione di Hogwarts! 3 galeoni per Krum campione di Durmstrang! 2 galeoni per Draco Malfoy campione di Hogwarts!”
Dal tavolo dei Tassorosso, una ragazza si alzò e, con due monete in mano, disse, in modo che tutti potessero udirla:
“Due monete per Cedric Diggory, Campione di Hogwarts e vincitore del Torneo Tremaghi!”
L’intera tavolata esplose all’intervento di Ally che fu subito seguita da Sarah, anche lei con le sue due monete.
I Tassorosso menavano grandi pacche sulle spalle larghe di Cedric, e lui rispondeva umilmente sorridendo e dando cinque.
Quando Ally ritornò al banco, Cho lo vide stringerla tra le sue braccia in un abbraccio tanto stretto che era quasi difficile distinguere tra il suo fidanzato e la Frost.
Per un istante ebbe la tentazione di andarle lì e spaccarle la faccia.
Poi però fece un respiro profondo e tentò di calmarsi: non era certo diplomatico mostrarsi così violenta, con la migliore amica di Cedric, per giunta.
Cho non lo sentì, ma Ally sussurrò all’orecchio del ragazzo, in un sussurro:
“Io so che vincerai, Ced”.
Al suo posto, Shaula sbuffò.
“Non si sono ancora scelti i Campioni e quelli lì già prognosticano chi vincerà?”
Le sembrava una cosa così stupida…
“Bè, io ho sempre trovato i Tassorosso piuttosto strani… Sono dei grandi presuntuosi” affermò Draco, nel tentativo di far bella figura con Krum e con Theodore che gli sedeva accanto. Accanto a quest’ultimo stava seduta Niky, un sorriso dipinto sulle labbra, che dopo poco il ragazzo andò ad unire alle sue. Stavano insieme da circa sei mesi, da quando, dopo una partita in cui i Serpeverde avevano battuto i Tassorosso, lei era corsa ad abbracciarlo mentre era ancora sul campo. Lui aveva ricambiato l’abbraccio e poi l’aveva baciata di fronte a tutta la scuola, in mezzo alle grida eccitate dei ragazzi e la voce di Lee Jordan che tentava di riportare la calma.
Certo, non che la loro fosse una relazione tutta rose e fiori. Avevano avuto i loro momenti di crisi, i loro screzi, ma alla fine si erano sempre ritrovati. Si appartenevano, ormai questo era innegabile.
Harmony, seduta a due posti di distanza da Draco, ribatté, con una punta di cattiveria nella voce:
“Perché tu invece sei un santo, vero Draco?”
Il biondo ammutolì e deglutì rumorosamente, prima di dire, un fil di voce mentre tutta la tavolata lo osservava in attesa di una risposta:
“Non devo certo giustificare il mio atteggiamento con te”.
“Ma nessuno ti dà il diritto di giudicare quello degli altri” disse, con quanta forza aveva dentro. Si sentiva quasi scoppiare dalla rabbia che gli faceva in quei momenti e in quel periodo. Lo odiava così tanto quando era chi non era, quando si faceva bello davanti agli altri, quando si permetteva di giudicare solo per far vedere che era uno “tosto”, che non aveva paura di dire ciò che pensava.
Draco richiuse il pugno e rimase a fissarla, freddo e senza dire nulla. Lei sostenne lo sguardo tentando di non farsi incantare da quegli occhi dannatamente disarmanti, dal sorriso che più di una volta aveva sognato, dai capelli che gli incorniciavano perfettamente il viso.
“Nessuno ti ha detto che devi rimanere qui per forza, se ciò che dico ti infastidisce”.
Shaula seguiva tutta la conversazione tesa, aspettando il momento giusto per dare a Kristen il segnale. L’idea era di agire dopo la cena, quando il Torneo fosse già stato aperto, ma se andava avanti così di certo la piccola Harm se ne sarebbe andata e loro non avrebbero più potuto agire.
Forse per questo Malfoy si tratteneva dal dire altro, quando di solito gliene avrebbe detto quattro, crudele e sardonico. Forse era tutto un piano organizzato per impedire loro di agire, ma la rabbia negli occhi di Harmony era troppo vera per poter sembrare una recita. Invece Malfoy stava decisamente recitando. Voleva che se ne andasse. Subito. Non voleva una conversazione che durasse a lungo e che li avrebbe trattenuti a quel tavolo fino alla fine. Voleva che se ne andasse immediatamente.
Lo doveva ammettere era una bella strategia.
In quello stesso istante, Harmony si alzò.
Shaula incontrò lo sguardo di Kristen  e diede il segnale, più veloce che poté.
La ragazza la fissò come se fosse pazza, ma lei ripeté il segnale per farle capire che dovevano agire.
Così la Grifondoro si alzò dal tavolo e, svelta, corse verso il luogo in cui avevano sistemato la cordicella.
Accadde tutto in un istante.
Prima che Harmony potesse muovere un passo, Kristen aveva tirato la corda, e la bacinella era caduta sulla sua testa.
Shaula vide gli occhi di Harmony spalancarsi, la sua bocca aprirsi, il viso di Draco diventare una maschera di orrore, quando si accorse di che cosa le era caduto addosso.
“Sangue…” sussurrò la giovane Harmony, osservando il suo corpo completamente rosso del liquido.
L’intera Sala Grande si era voltata a osservare la scena, ammutolita come Harmony dall’orrore e dalla sorpresa, e la stessa McGrannit era rimasta sconvolta.
Kristen sorrise trionfante: vendetta era fatta.
“Questo è per tutti e quattro gli anni di Inferno che mi hai fatto passare”, pensò, rivolta a Malfoy, che immobile stava a osservare la ragazza con un misto di orrore e stupefatta incredulità.
Dopo alcuni secondi, Harmony parve riscuotersi dal suo stato catatonico e bisbigliò, diventando pallida come un cencio:
“Sono coperta di sangue…”
Nello stesso istante Malfoy si alzò e tentò di calmarla mentre quella, sempre più confusa, continuava a borbottare frasi sconnesse e senza senso.
Lentamente, tutti ritornarono all’attività, e qualcuno si lasciò sfuggire urli e gemiti.
La McGrannit, ripresasi a sufficienza, chiese a Piton di accompagnare la ragazza nella sua stanza.
Il professore, senza proferire parola, le si avvicinò e, prendendola per le spalle, la trascinò con sé.
Harmony non oppose resistenza: il suo sguardo era vacuo e fisso, e tremava tutta come una foglia.
Draco la osservò allontanarsi senza fare nulla, senza andarle dietro, senza dire nulla di nulla. Rimase fermo in piedi mentre la guardava sparire nel corridoio, tra le braccia di Piton, e poi si sedette quasi meccanicamente.
Per tutta la serata rimase in quello stato tra lo sconvolto e lo schifato, mentre i suoi amici lo chiamavano e tentavano di farlo tornare alla normalità, senza ottenere alcuna reazione da lui se non quel silenzio intontito.
Lee aveva osservato tutta la scena interessato.
“Diamine, sfido che dopo questa devono assolutamente farmi aprire il Corriere di Hogwarts!”
Gwen si voltò verso di lui e domandò, curiosa:
“Che vuoi dire?”
Lui spiegò, tanto eccitato che quasi la spaventò:
“Insomma… Non so se ti rendi conto di quante cose siano già successe quest’anno! Prima il Marchio Nero alla partita, poi l’incidente al vagone, il Torneo Tremaghi e ora questo! Bè, cavolo, Silente dovrà farmelo aprire per poter raccontare tutto alla gente!”
Gwen sbuffò.
“Non ti basta fare il telecronista, Jordan?”
“Non ci penso nemmeno!” esclamò lui. “Insomma, quante volte mi ricapiteranno tutti gli eventi che sono successi quest’anno? Devo documentarli per i posteri, se nessuno lo farà!”. Il suo tono era così sincero e ardito che per un istante Gwen ne fu intenerita.
“E come li documenterai ai posteri, Jordan?” si incuriosì, chinandosi verso di lui. “Li traviserai come fa la Skeeter o ti atterrai al “la verità, solo la verità e nient’altro che la verità”?”
Lee storse il naso.
“Le giornaliste come la Skeeter mi fanno sinceramente ribrezzo…”
“Anche a me…” sorrise Gwen. “Credo sarebbe più dotata per il lavoro di scrittrice. È brava a inventarsi le cose”.
Lee ridacchiò e anche Gwen.
 
Dopo che Kristen e Shaula erano state portate nell’ufficio della McGrannit, il silenzio calò su tutto il castello. Il momento era finalmente giunto, e l’incidente avvenuto poco prima appariva già un flebile ricordo in confronto a tutto ciò che sarebbe successo di lì a poco.
Silente si alzò in piedi, e una tensione che sapeva di allegria si diffuse nell’aria. A Daisy sembrò quasi di sentire una scossa elettrica lungo la spina dorsale, tanto emozionata era.
Lee, col suo buon taccuino, era pronto a bersi ogni singola parola di Silente e a trascriverla “per i posteri”.
“Il momento è dunque giunto!”  esordì il preside, esibendo poi una pausa ad effetto. “Sebbene un piccolo incidente avvenuto poco fa, il Torneo Tremaghi sta per avere inizio!”
Alla parola “Torneo”, Auror fremette e si sentì avvampare nonostante nell’aula non facesse troppo caldo.
Evidentemente la parola aveva avuto su tutti gli altri lo stesso effetto che aveva avuto su di lei, perché vide parecchi volti diventare rossi per l’eccitazione.
“Ora, vorrei dire qualche parola di introduzione…”
Simon alzò gli occhi al cielo e si preparò a diventare sordo per i successivi dieci minuti circa.
Ed effettivamente praticamente nessuno ascoltò le presentazioni e i ringraziamenti a Ludo Bagman e Barty Crouch, che si erano “tanto attrezzati per far avvenire il Torneo” e bla bla bla.
Erano tutti tesi verso il dopo, il momento in cui fossero state aperte le iscrizioni.
E il momento venne prima di quanto si aspettassero.
Silente esordì:
“Le prove sono tre, e andranno a testare le capacità dei Campioni di saper controllare la magia, la loro audacia, il loro coraggio, e il loro modo di affrontare il pericolo…”
A quella parola fu come se una scarica elettrica avesse attraversato il cranio di tutti quanti.
Il pericolo, il proibito, sapeva tanto di eccitante e di gloria eterna…
“È proprio perché alcune delle prove sono particolarmente difficili che abbiamo deciso che NESSUNO studente, al disotto dei diciassette anni, potrà iscriversi al Torneo!”
Prima che Crouch avesse finito di parlare, la Sala era già stata riempita di urla di protesta, di cori di “Buu!” di fischi e di strepiti.
Fred e George, dal tavolo dei Grifondoro, urlarono all’unisono “è un’ingiustizia!” e alcuni degli studenti più piccoli si mostrarono particolarmente offesi da quella notizia.
Merida si unì al coro di “Buuuu!” insieme a tutta la sua Casa, considerando che molti di quelli che volevano iscriversi avevano meno di diciassette anni, e considerando che anche lei avrebbe voluto iscriversi.
A quel punto intervenì Silente, che zittì tutti urlando:
“SILEZIO!!!”
Tutta l’aula, d’improvviso, divenne muta, e Merida si sentì come paralizzata. Il viso di Silente li fissava tutti, con disapprovazione, e li paralizzava letteralmente. Dovette aspettare qualche secondo prima di sentirsi libera da quella sensazione.
C’era una cassa, al centro della Sala, una cassa non troppo grande e aperta da poco.
Silente vi infilò dentro la mano e, non appena la tirò fuori, un coro di “O mio dio” e di esclamazioni di sorpresa risuonarono nella scuola.
Era un normale calice, a prima vista. Un piccolo calice di legno, normalissimo.
Ma quando Filiana lo osservò meglio, notò le fiamme che fuoriuscivano dall’apertura. E rimase a bocca aperta per lo stupore.
“Questo è il Calice di Fuoco!” annunciò Silente.
Quel nome risuonò per alcuni istanti nella mente di Niky, e dal modo in cui l’aveva detto pensò che ci andassero proprio le lettere maiuscole. Non era un calice normale, era IL Calice.
“A chi si volesse iscrivere basterà infilare qui il proprio nome. Avete ventiquattr’ore di tempo per farlo, e domani sera, alla stessa ora, qui, il Calice avrà deciso chi saranno i Campioni”.
Tom ammutolì. Eccolo allora, il famoso giudice imparziale, che non avrebbe potuto comprare neppure con tutti i suoi risparmi di un anno.
Ecco chi li avrebbe giudicati, ecco chi sarebbe stato a decidere se fossero degni o no di quella prova.
E in fondo, cosa c’era di più imparziale di un oggetto?
“Se qualcuno degli studenti più giovani avesse la tentazione di mettere il suo nome qui dentro”, e dicendolo appoggiò il Calice sul tavolo, dove tutti potessero vederlo, “li avverto che traccerò una Linea dell’Età, che gli impedirà di fare qualsivoglia tentativo. Anzi, sconsiglio fortemente di provare a ingannare il Calice”.
Beatrix era rimasta completamente incantata alla vista di quell’oggetto che trasudava da ogni millimetro forza, potenza, un potere tanto forte da farle paura: era vero, era giusto che a loro fosse proibito di partecipare. Il solo pensiero di quell’oggetto che sceglieva per lei, che  sceglieva se meritasse il titolo di Campione di Hogwarts era di una tale potenza, di una tale forza che ne rimase sconcertata e intontita.
“Vorrei ricordare, inoltre, a coloro che vogliono proporsi: non prendete questa scelta con troppa leggerezza. Una volta scelti i Campioni, non c’è più nulla da fare e non si torna indietro: potrete pentirvi, chiedervi cento volte perché l’abbiate fatto, maledirvi per esservi presentati per qualcosa di più grande di voi. Ma non tornerete indietro. Queste prove sono quanto più di difficile il vostro livello può richiedere, e quanto più di terribili la vostra mente può immaginare. Il Calice giudicherà, certo, chi ne sarà all’altezza, ma né io, né Ludo, né chiunque altro potrà riportarvi indietro se vi getterete in questa impresa senza esservi preparati. Sarebbe come un suicidio, e noi non vogliamo che questo Torneo si macchi nuovamente di sangue”.
La parola “nuovamente” creò lieve scompiglio. Lesath rimase a fissare il Calice con sguardo indagatore: non aveva mai visto nulla di così potente, nulla che gli desse quella sensazione di potere assoluto.
Quel Calice avrebbe scelto per loro.
Aveva tutta la libertà del mondo, nessuno gli avrebbe detto nulla: aveva il potere di far di loro ciò che voleva.
Aveva perfino il potere di mandarli a morte, se qualcuno si fosse presentato per scherzo o per far contenti gli amici.
Era la cosa più orribile che avesse mai sentito.
“Buonanotte a tutti”, li congedò infine Silente.
Draco si fiondò nei Dormitori, mentre Auror si diresse al tavolo dei Grifondoro.
Tom lasciò per un istante Daisy in compagnia di Zach e le si avvicinò.
“Ciao” la salutò, il tono di voce lievemente nervoso.
“Ciao”, replicò lei, fin troppo allegra per sembrare naturale.
Entrambi si ritrovarono ad abbassare lo sguardo, poi a ridacchiare imbarazzati.
“Tu… Tu che ne dici?” domandò poi Tom, ritrovando la voce.
Auror si passò la lingua sulle labbra screpolate e poi rispose, tentando di non sembrare artefatta:
“Penso che sia una grandissima ingiustizia… Ma li capisco. Non vorranno certo che accada qualcosa di male”.
“Lo penso anche io”, commentò lui, avviandosi verso i Dormitori con lei che gli procedeva accanto.
Lei sbuffò.
“Diamine, quell’umidità lì fuori mi ha reso crespi i capelli…” disse, con un tono piagnucoloso.
Accorgendosi di ciò che aveva detto, si affrettò a correggersi:
“Non… Non che mi interessi tanto, io non sono il tipo di ragazze che… Che si preoccupa per cose del genere e che…”
Tom le posò le mani sulle spalle e la calmò dicendo, con un sorriso:
“Ehi, calma, Auror. Calma. Ho capito cosa intendi.”
Lei dovette abbassare lo sguardo perché stava diventando rossa come un peperone. Diamine, che effetto le faceva quel ragazzo…
“E io non penso che tu sia QUEL tipo di ragazza”.
Le prese il mento tra le mani per obbligarla a guardarlo. Auror alzò lo sguardo su di lui e incontrò i suoi occhi grigi. Per un istante sentì il terreno franarle letteralmente sotto i piedi e le farfalle volarle nello stomaco.
“Tu non sei come nessun altra ragazza io abbia mai incontrato”.
A quel punto, ad Auror sembrò letteralmente di capitolare. E avrebbe potuto farlo: avrebbe potuto cadere nel corridoio, lì, di fronte a tutti, se solo il suo orgoglio non l’avesse bloccata.
Si limitò dunque a un mezzo sorriso e poi si diresse a passo sostenuto verso il suo Dormitorio.
“E poi i tuoi capelli sono stupendi anche così!” si sentì gridare dietro.
Auror sorrise, e pensò che quel Tom non era come nessun altro ragazzo avesse mai incontrato.

Note d'autrice:
che ha scritto tutto questo oggi.
Amatemi.
O odiatemi, considerando la lunghezza della storia XD
COOOOMUNQUE.
Allora, spero vi sia piaciuto il capitolo. Come avrete notato non mi sono concentrata proprio al cento per cento sui vostri personaggi stavolta ma sulla situazione in sè per sè. Naturamente mi sono ispirata alle scene descritte nel libro, cambiandole un po', e ho anche preso la parte in cui Crouch annuncia che ci sarà un limite di età per il Torneo dalla scena del film.
Inoltre il discorso tra Ron, Hermione e Harry c'è davvero nel libro, ma non in quel punto e inoltre l'ho modificato un pochetto.

Mi scuso con l'autrice di Susan e di tutti i personaggi presi di striscio in questo capitolo. GIURO che dal prossimo vi riprenderò.
Allora...
Che abbiamo avuto? Prima di tutto, naturalmente, l'arrivo di Beauxbatons (signori e signore, ho imparato a scriverlo!!!!) e Durmstrang. Poi lo scherzo di Kristen e Shaula. OK, mi scuso con le loro autrici per questa crudeltà, mi dispiaceva da morire per Harmony mentre lo scriveva... Vi avviso, prima che vomitiate, che NON ERA vero sangue. L'idea l'ho presa dal libro "Carrie" di King (che mai, mai, mai, mai, MAI leggerò). In quel caso però era VERO sangue. ...OK.
E infine, il Calice di Fuoco.
Che da titolo al libro e a questo capitolo.
Credo di odiare questo capitolo, non so perché, ma spero almeno che a voi sia piaciuto.
Allora per aumentare la mia autostima ho deciso di elencare le cose che più amo di questo capitolo per farmi andare avanti e per non bloccarmi miseramente:
1)La scena di Allison e Cedric in Sala Comune
2)Ron che adora Krum e Hermione che non se lo fila per niente. Ci crederete che tra qualche mese sarà il contrario? XD
3)Cedric e Harry. Io non ci resisto, ogni singolo capitolo deve esserci almeno UNA loro scena. Perchè mi piace troppo la loro amicizia.
4)Tom e Auror. Li ho lasciati troppo da parte. Ora non vi lascio più (manda il bacio).
5)Scrivere un capitolo già scritto dalla ROwling senza farlo sembrare identico. Lo ammetto, è stato difficile ma divertente.
6)Lee che è matto da legare XD
Visto che il giochetto delle foto vi è piaciuto, vi propongo un'altra coppia.
Questa è la fanon ZachxDaisy, per la gioia di ColeiCheDanzaConIlFuoco.
 ZoeyxChase (OK, ditemi che non sono l'unica che li adora come amici ma come fidanzati storce un po' il naso... Non so perchè!! Cioè, è stato ciò che abbiamo aspettato per quattro stagioni... E quando succede io ho detto "Ehm...". Che guastafeste che sono... Comunque sono identici, sia fisicamente che in fatto di "coppia". Diciamo che per la loro amicizia mi sono ispirata alla loro amicizia)
Qualche consiglio per altre coppie?
Comunque, spero vi sia piaciuto il capitolo.
Solo una cosa: RECENSITE, RAGAZZI! Mi seguite in tantissimi eppure non mi recensite mai!! A parte quei 5-6 che mi recensiscono sempre e che ringrazio con tutto il cuore. Mi basta anche solo una riga, davvero.
OK, ho altro da dire?
Ah, sì: la vostra coppia preferita? (in generale)
Scusate ma mi piace troppo sapere queste cose, davvero.
E il capitolo è come ve lo immaginate o vi ha deluso?
Grazie a Mik_ che ama Robbie Kay (e Dark Pan -così l'ho soprannominato io XD-) come me e che ha sopportato tutte le mie argomentazioni su "Frozen" e la perfezione di Elsa XD
Grazie a chi mi recensisce ogni capitolo e che continua a leggere sebbene la lunghezza proibitiva dei miei capitoli.
Semplicemente, grazie ragazze\i.


 

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Capitolo 8
*** Before the Game's begin ***


RETTIFICA DAL CAPITOLO PRECEDENTE: Keira è di Corvonero e Evangelin di Tassorosso. Tranquille che tra un po' correggo...

“Qualcuno di Grifondoro ha già infilato il suo nome nel Calice?”
“Non credo, e non so neanche quanti di Hogwarts si siano iscritti…”
“Se devo dire la mia, mi sembra un’ingiustizia che quelli lì si siano portati dietro tutti alunni nell’età giusta…” borbottò Ron, rivolgendosi indirettamente ai ragazzi di Durmstrang e Beauxbatons.
“Quelli lì lo sapevano già da prima” sussurrò il rosso all’orecchio di Hermione.
“Non puoi saperlo” replicò lei. Ron fece spallucce e non aggiunse altro.
Fu dunque la ragazza a prendere la parola.
“So per certo che Angelina Johnson e Cedric Diggory si sono iscritti stamattina…”
“Chi? Quel belloccio Tassorosso?” sbuffò Ron, scuotendo la testa. “Siamo spacciati se il Calice lo sceglie…”
“È un bravissimo ragazzo” lo difese Harry deciso. “E un mago eccezionale”.
“Sarà…” commentò il rosso. “Ma è uno debole…”
“E come fai a saperlo?” ribatté il moro. “Non lo conosci neppure…”
“I Tassorosso sono tutti deboli” esclamò il rosso senza mezzi termini.
“Ti facevo superiore a questi pregiudizi, Weasley” commentò Susan passandogli accanto. “Considerando che la tua ragazza è una sporca Mezzosangue…”
Il ragazzo le si lanciò addosso col pugno chiuso, ma Harry e Hermione lo trattennero prima che colpisse la Serpeverde.
“Mi sembra un discorso piuttosto fuori luogo, Crimson” commentò Harry con un sorriso lieve. “Considerando che anche tu sei una -sporca Mezzosangue-”.
Susan divenne di pietra e non disse nulla, poi si voltò alzando il mento fiera e senza commentare, decisa e altezzosa come una statua greca.
Ron abbassò lentamente il pugno.
“Non ne vale la pena” sussurrò Hermione, passandogli la mano sulla spalla per rassicurarlo.
Ron sospirò e poi, calmandosi, sussurrò un “OK” poco convinto.
Harry sorrise.
“E questo dimostra che gli stereotipi a volte sono totalmente falsi”.
 
“Sarah, forza!” esclamò John con un sorriso.
La ragazza era in bilico sul Calice con il foglietto in mano, incerta se gettare il suo nome o meno.
L’intera casata dei Tassorosso la circondava, in attesa per conoscere la sua decisione, tutti trepidanti e eccitati.
La ragazza rimase per un istante zitta e immobile, poi con un sorriso gettò il fogliettino nel Calice.
La Casa di Tosca esplose in un generale grido di giubilo. John le cinse le spalle con un braccio mentre lei ridacchiava sorridendo felice.
“E tre Tassorosso sono iscritti al Torneo Tremaghi!” esclamò Sarah contenta.
“Più siamo, meglio è!” commentò John, scoccandole un bacio sulla guancia.
Cho Chang si avvicinò a Sarah e le si gettò tra le braccia, ridendo felice.
“Sei stata grandiosa, davvero, grandiosa!” esclamò la mora stringendola forte.
John si allontanò con uno sbuffo e si affrettò a raggiungere Allison, appartata in un angolo a osservare tutta la scena.
“Quella lì la strozzerei, se potessi…” sibilò il ragazzo tra i denti.
“Non te la prendere, Johnny” replicò lei, sorridendo schietta. “Quella lì tra un paio di settimane la molla…”
Il ragazzo la fissò curiosa.
“Come lo sai, scusa?”
Lei alzò le spalle.
“Ced mi ha detto che con lei le cose non funzionano da un po’…” spiegò. John non poté fare a meno di notare un lieve sorriso sul suo viso.
 
“Almeno tu hai una minima possibilità…” commentò lui, pensando che se Ally si fosse davvero messa con Cedric almeno avrebbe potuto consolarsi godendo della gioia dell’amica. Ma era una ben magra consolazione.
Allison si voltò lievemente verso di lui con un sorriso sghembo sul viso.
“Ma vuoi scherzare, Johnny? Se riuscissi davvero a conquistarlo non farei più parte del Club dei Senza Speranza, non trovi?”
Il ragazzo si concesse una risatina smorzata.
“Sì, effettivamente è vero…”
 
Simon era da solo appoggiato a una colonna del giardino, il libro di Pozioni stretto al petto.
Appena lo vide, Merida perse per un istante tutta la sicurezza accumulata in tre ore di lezione e ebbe l’impulso di ritornarsene in classe e richiudersi la porta alle spalle fino alla fine dell’intervallo.
Ma prima che potesse approfittare della distrazione del Serpeverde, quello si voltò verso di lei e la intercettò.
“May?” domandò lui, inarcando le sopracciglia.
Merida ridacchiò imbarazzata.
“È… è Merida, veramente”spiegò, divenendo rossa come un peperone. Lui annuì come si fosse ricordato all’improvviso.
“Ah, sì, è vero… La ragazza del treno”.
Lei sorrise tirata e lui rispose con un sorriso cordiale.
“Vuoi sederti?”
Merida divenne letteralmente di fuoco.
Bè, hai volutola bicicletta? E ora pedala…
A passo sostenuto eppure incerto, Merida si avvicinò alla colonna e vi si appoggiò lievemente, accanto al ragazzo coi capelli di rame.
“Hai dei bei capelli” si ritrovò a dire prima che il suo buon senso potesse frenarla.
Stupida!
Il ragazzo rimase basito per un istante poi sussurrò, velocemente “Grazie”.
Ecco, adesso penserò che sono matta da legare!
“Anche i tuoi sono molto belli” commentò lui, sorridendole amichevole.
Merida aprì e richiuse la bocca come un pesce rosso, sul punto di dire qualcosa. L’unica cosa che uscì dalla sua gola fu uno smorzato “Tu credi?”.
Lui annuì lievemente, serio come non mai.
Merida abbassò lo sguardo.
“Bè… Grazie…”. Non poté trovare parole migliori e così si limitò a rimanere zitta insieme al ragazzo.
“Tassorosso?” domandò Simon tentando di sciogliere l’imbarazzo che si era formato tra loro.
Merida susssultò lievemente poi si ricompose e annuì con un cenno del capo.
“Serpeverde, giusto?” bisbigliò lei, tutta contrita.
“Sì” rispose lui, sorridendogli rassicurante. Stava evidentemente facendo di tutto per farla sentire più a suo agio.
Ma Merida non sembrava affatto pronta a un qualche rapporto che non fossero quattro parole in croce e dei bisbigli sconnessi. E di certo il ragazzo non voleva fare il primo passo. Era o non era un fiero Serpeverde? O meglio, era o non era, per i suoi genitori, un fiero Serpeverde?
“Bè… Allora ciao” sussurrò il ragazzo alzandosi e agitando la mano con un sorriso sghembo.
Merida alzò lo sguardo seguendolo lievemente dispiaciuta.
Quando fu abbastanza lontano per non essere udita o vista, Merida si batté la mano sulla fronte.
“Stupidastupidastupidastupidastupidastupida”.
Ma davvero credeva che si sarebbe fatto lui a fare il primo passo, rifugiandosi nella paura del non potergli neppure rivolgergli la parola?
“Ok, Mary” si ordinò mentalmente. “O gli parli tu o passi la vita zitella”.
 
“Ago”.
“Filo”.
“Arianna”.
“Labirinto”.
“Strada”.
“Non ha senso, Tom”.
“Sì che ce l’ha: un labirinto, tante strade” ribatté il ragazzo.
Daisy alzò gli occhi al cielo.
“Non mi piace proprio il gioco della catena…”
“Io invece lo ADORO” esclamò lui, portando le mani sopra la testa.
“Io cerco sempre di trovare un minimo senso alle cose che dico, mentre tu ti inventi tutto!” si lamentò la ragazza, in un tono tra il divertito e il lamentoso.
“Senti, Daisy, non le ho inventate io le regole, e le regole dicono che…”
Tom zittì d’improvviso quando vide entrare nel giardino una ragazza.
Era lontana alcuni metri, e poco distinguibile agli occhi di Daisy, una figurina sfocata ai suoi occhi. Ma probabilmente agli occhi di Thomas era chiara e facilmente distinguibile anche da lontano: i capelli biondo platino, la divisa tanto odiata, il foulard “della nonna” altrettanto detestato e il sorriso sempre aperto.
“Auror” sussurrò lui, come avesse visto un angelo arrivare in terra.
Daisy alzò gli occhi al cielo.
“Vi lascio soli?”
Thomas si voltò verso di lei incuriosita.
“C… Come, scusa?”
La ragazza sospirò spazientita.
“Oh, coraggio Tom. Ammettilo che quella ragazza ti piace da morire!”
Il ragazzo spalancò per un istante gli occhi poi, tentando di giustificarsi, replicò:
“Cos… Ma che dici? Pff… Figurati…”
Daisy afferrò lo zaino ed esclamò, con un sorriso sardonico sulle labbra:
“Va bene… Fai come ti pare. Ma guarda che si vede a un miglio di distanza che tu le piaci da morire”.
Thomas fece tanto d’occhi.
“Tu… Tu dici?”
Daisy annuì.
“Vi lascio soli” sussurrò allontanandosi con un cenno della mano.
Per un istante, Tom fu tentato di richiamarla.
Poi, però, quando Auror gli si avvicinò, non vide altro se non i suoi occhi azzurri e il suo sorriso dolcissimo.
 
“Puntate!”
“Solo altre sette ore, signorine e signorini! Solo sette ore per scommettere su chi sarà il Campione di Hogwarts!”
Le urla di Fred e George Weasley si udivano per tutto il cortile. Perché la McGrannit non fosse ancora intervenuta per frenarli, non era chiaro a nessuno.
Kristen si avvicinò ai due gemelli con fare rabbioso.
“Ehi, Weasley!” esclamò, attirando la loro attenzione e quella di mezzo cortile. “Voglio indietro i miei soldi, chiaro?”
Fred (o forse era George?) fece tanto d’occhi, e George (o forse era Fred?) ribatté sereno:
“Spiacente, ma non restituiamo i soldi delle scommesse”.
“A meno che non sia un caso grave”.
“In tal caso forse possiamo fare un’eccezione”.
La ragazza alzò le spalle e replicò:
“OK, ditemi se non è un caso grave: ho scommesso su Harry Potter, ma sappiamo tutti e due che lui non potrà certamente iscriversi al Torneo Tremaghi!”
“E perché no?” la sfidò Fred sardonico.
“Bè, perché gli alunni sotto i diciassette anni non possono iscriversi, mi sembra ovvio” gli fece notare Kristen, imitando il tono di qualcuno che parla a un bambino.
“Che è anche lo stesso motivo per cui VOI non potete partecipare” continuò lei, sicura di averli offesi.
Effettivamente i due sbiancarono per un istante, ma si ripresero in quello immediatamente successivo.
“Non importa granché, considerando che stiamo lavorando a un modo per iscriverci comunque…”
Kristen alzò le sopracciglia.
“Un trucchetto patetico, scemo e balordo come la Pozione Invecchiante?”
“Per questo funzionerà, Harrowl”.
“Perché è patetico, scemo e balordo”.
La ragazza si arrese e si limitò a dire:
“Bè, il concetto è che rivoglio indietro i miei soldi. SUBITO” aggiunse con tono perentorio.
Fred (o forse era George?) controbatté:
“Non si può fare, mi spiace”.
“Ma voi avete detto che…”
“In casi gravi, Harrowl, solo in casi gravi”, spiegò George (o forse era Fred).
La ragazza portò le mani avanti.
“Fatemi un esempio di casi gravi”.
“Morte di un gatto”.
“Morte di un rospo”.
“Morte di qualsiasi animale domestico e\o persona”.
“Che cretinata…” sbuffò lei.
“Sarà, ma si dà il caso che NOI siamo i capi” fece notare Fred (o forse era George?) con l’aria di chi sa di avere il potere in mano.
“E dunque NOI fissiamo le regole” gli fece eco George (o forse era Fred?), anche lui con aria di superiorità.
Kristen divenne rossa in viso.
I gemelli si lasciarono sfuggire una risata ma, prima che potessero fare qualche battuta o sfotterla, si trovavano con la schiena premuta a una delle colonne del cortile, il fiato corto, il viso completamente rosso per la sorpresa e per l’attonito stupore.
“Cosa diamine…” tentò Fred (o forse era George?) in un sussurro strozzato.
“Statemi a sentire, sottospecie di usurai pazzi…” ringhiò Kristen a due centimetri dal loro viso e con aria minacciosa. “O mi ridate quei dannatissimi soldi, oppure giuro che non vivrete abbastanza per vedere l’estrazione dei Campioni per il Torneo”.
Poi, avvicinandosi un po’ di più, di modo che potessero sentire il suo fiato sulle loro labbra, aggiunse un intimidatorio:
“Chiaro?”
I due annuirono, gli occhi sbarrati dalla paura. Kristen lasciò ricadere il braccio con cui li aveva trattenuti lungo il corpo e protese la mano verso George (o forse era Fred?) con un sorriso vittorioso sul viso.
Il ragazzo trafficò per un istante con un foglietto e poi prese una manciata di soldi dalla cassetta che portava appesa al collo.
“Ecco a te: due galeoni per Harry Potter Campione di Hogwarts”.
La ragazza richiuse il pugno sulle monete trionfante con un “Grazie” soddisfatto.
Uno dei due ragazzi ridacchiò ed esclamò, colpito:
“Certo che se proprio una tosta, Harrowl…”
“Diciamo che non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno” commentò Kristen deliziata.
Il ragazzo gli sorrise e poi replicò, sicuro:
“Se ti dovesse servire qualcosa non esitare a chiedere, chiaro?”.
La ragazza rimase un istante zitta poi portò la mano stretta a pugno verso George (o forse era Fred?).
Il rosso sorrise e picchiò il pugno contro quello della ragazza.
“Amici” sussurrò lei con allegria.
Non aveva ancora capito se fosse Fred o George.
 
“Ehi…” Draco si avvicinò alla ragazza seduta sul letto.
Harmony aveva lo sguardo perso nel vuoto e vacuo, le mani unite in grembo come in una muta preghiera e il suo viso era fermo in un’espressione che oscillava tra uno stupefatto orrore e un’ indifferenza ostinata.
“Ti vedo bene, Harm…” tentò il biondo senza successo. La ragazza non si voltò neanche a guardarlo e non gli rivolse la minima attenzione: rimase zitta, le mani intrecciate che tremavano, come se avessero paura di sfiorare quel corpo che era stato ricoperto di rosso e fluido sangue.
“Ti sei lavata e… E la gonna è molto carina” riprovò senza successo. La ragazza aveva una magliettina a fiori blu e una gonna che le arrivava fino alle ginocchia di un pallido rosa. Piton non le aveva imposto la divisa la sera prima e le aveva permesso di mettersi ciò che desiderava. Non si era neppure azzardato a toccarla: Harmony sembrava non volersi più farsi toccare da altre mani che non fossero le sue, anche per minimi tocchi sulla spalla. E anche in quel caso si sentiva poco sicura.
“Harmony, io…”. Draco le toccò la spalla e la ragazza si lasciò sfuggire un gridolino. Subito lui ritrasse la mano.
“Scusami… Non volevo”. Abbassò lo sguardo tristemente.
“Posso sedermi, Harm?” domandò dolcemente, il tono più placido che riusciva ad assumere.
La ragazza non diede nessun segno di assenso né di diniego. Il giovane Malfoy si risolse a sedersi accanto a lei sul letto leggero, senza avvicinarsi troppo ma avvicinandosi abbastanza per poterla fissare bene in viso.
“Sai, stasera vengono scelti i Campioni…” tentò Draco, il tono basso e un groppo in gola.
“E… Ti volevo dire… Se… Se volessi scendere…” sospirò tentando di non spaventarla o di non causarle reazioni esagerate. “Sappi che c’è sempre un posto vuoto accanto a me”.
Harmony non reagì. Serrò le mani lievemente, ma al biondo quello sembrò un gesto così improvviso rispetto al silenzio fino ad allora subito che  sussultò lievemente.
“Allora… Ciao” terminò Draco. Si alzò lievemente, scuotendo la mano e sorridendo di un sorriso che sapeva di dolore e consapevolezza, e si allontanò.
Harmony rimase nel Dormitorio a guardare la parete vuota di fronte a sé, tentennante nel toccarsi o nel spostare lo sguardo da quell’unico punto che, in tutta la parete, sembrava non essere rosso.
Sangue.
C’era ancora del sangue lì.
 
“Professor Piton!” bisbigliò Beatrix tra sé e sé. Si maledì mentalmente l’istante dopo: la voce non voleva saperne di uscire.
Tossì lievemente per togliere il groppo che si sentiva in gola.
“Professor Piton!”
Se fosse stato a due metri di distanza l’avrebbe sentita. Peccato fosse a qualcosa come dieci metri da lei e tra l’altro era di spalle.
“Dai, Bea, ora o mai più!”
“PROFESSOR PITON!”
Subito dopo averlo urlato, Beatrix se ne pentì: aveva urlato così forte che non solo Piton, ma anche tutti i Serpeverde presenti nel cortile si erano girati verso di lei.
La ragazza si portò la mano alla bocca, imbarazzata, mentre Susan e il suo gruppetto ridacchiava di buon gusto.
“Ehi, Nightsade!” esclamò la ragazza, mentre lei tentava di calmare il rossore che le stava imporporando il viso incontrollabilmente.
“Che fai, esci col tuo fidanzatino?”
La banda di Serpi scoppiò a ridere, facendola diventare ancora più rossa.
Senza neanche rivolgere la parola al professore come si era prefissa, Beatrix si allontanò con il libro di Pozioni stretto al petto, le risate dei Serpeverdi che le rimbombavano ancora nelle orecchie.
Quando fu abbastanza lontana da sguardi indiscrete, si lasciò andare in singhiozzi soffocati, lasciando che le lacrime rigassero le guance e che le offuscassero la vista.
Il petto bruciava come fosse stato fatto di fuoco, il viso diventava sempre più caldo, come se avesse avutola febbre. Più continuava nel suo sfogo più le sembrava di non riuscire a fermarsi: da dei lievi singhiozzi poco udibili arrivò al tirare su col naso, lasciarsi andare in gemiti più forti e ringhiare lievemente per la frustrazione. Quando sentiva che stava per scoppiare letteralmente per lo strazio, tentava di riportarsi alla ragione dicendosi che qualcuno avrebbe potuto udirla. Così tentava di placare il pianto, si passava le mani sotto agli occhi, tentava di nascondere il dolore, ottenendo però solo altre lacrime e altro sconforto.
Si piegò lentamente sul muretto accanto al quale si era rifugiata, sola come sempre era stata sola, e scivolò scompostamente contro la parete del castello, ritrovandosi con le gambe al petto e il libro ancora stretto tra le mani con lo stesso affetto con cui una mamma stringe a sé il proprio bambino.
Le guance erano ancora arrossate e bagnate di candide lacrime, ma il peggio era passato: del suo pianto non rimanevano altro che il lieve singhiozzo e il suo sguardo spento e addolorato.
“Stupida, stupida ragazzina…” sussurrò debolmente, portandosi le mani al viso e tentando di asciugarselo. Doveva ritrovare un minimo di contegno, almeno per quella sera: di certo nessuno avrebbe badato a lei durante l’estrazione dei nomi dei Campioni, ma prima c’era l’intera cena. E Bea sapeva che i Serpeverde tentavano continuamente di  mettere in imbarazzo le proprie vittime.
Poteva solo sperare che Susan o Draco fossero abbastanza distratti dall’atmosfera di attesa o dalle chiacchiere per poter badare a una piccola, inutile, Grifondoro.
Perché questo era lei.
Piccola, inutile, Grifondoro.
 
Theodore le avvolse il braccio intorno al collo con un sorriso. In confronto a lui, Niki era minuta quanto un cerbiatto in confronto a un doberman.
“Che cosa abbiamo adesso?” domandò lui passandole il foglietto con su scritte le materie del giorno.
“Non puoi leggerlo da solo, Nott?” replicò secca Niki. Afferrò però il foglio con una risata.
“NOOOOO…” si lasciò scappare. “Erbologia nooooooo…”
Theodore sbuffò.
“Fosse per te ci sarebbero Rune Antiche tutte le ore…”
“La scuola sarebbe centomila volte migliore!” ribatté lei, stringendosi nelle braccia.
“Bè, per tutti tranne per quelli che odiano Rune Antiche” si lasciò scappare il Serpeverde, riuscendo però a non farsi sentire dalla ragazza.
“Uff… La Sprite mi odia” constatò lei scuotendo la testa.
“Hai qualche prova per dirlo?”
“Una T non è una valida prova, Theo?” scherzò lei lievemente seccata.
“Ti basta recuperarla con una E”.
“Oh, certo, la cosa più semplice del mondo. Faccio prima a buttarmi da un ponte…”
“Così non saprai mai quali saranno i Campioni del Torneo…” gli fece notare il ragazzo, scoccandole un bacio sulla guancia per farla sentire meglio.
“Come se mi interessasse” commentò la ragazza. “Tanto anche l’anno prossimo ci sarà. E anche quello dopo. E anche quello dopo”.
“Bè, pensa allora che se rimarrai in vita potrai iscriverti un giorno anche tu” ritenta Theo sorridendo malizioso. “E potrai raccontare ai nostri figli di come hai vinto il famoso Torneo Tremaghi”.
Niki si voltò verso il ragazzo con gli occhi sgranati.
“Pensi già AI NOSTRI FIGLI?” esclamò lei lievemente shoccata.
“Perché no?” replicò il ragazzo allargando le braccia. “In fondo, non ci eravamo promessi di –amarci per sempre-?”
Niki sorrise maliziosa.
“Pensa a sopravvivere per i prossimi tre anni” gli sussurrò sulle labbra, alzandosi sulle punte. Il ragazzo sorrise e posò la sua bocca su quella della ragazza.
 
Keira si mise gli occhiali scuri con una mossa lesta: il cortile pullulava di ragazze e ragazzi di Beauxbatons.
“Mon Dieu…” si lasciò sfuggire guardandosi intorno con fare sospetto. Non poteva permettere di farsi notare da qualcun altro: già quella Barbie della Delacour l’aveva vista, e poteva comunque avere qualche dubbio sul fatto che fosse proprio lei. Ora non poteva nascondersi come avrebbe potuto farlo in mezzo a tanti altri studenti, ma poteva comunque far finta di nulla e sperare che la sua tecnica per rendersi “invisibile” funzionasse anche quella volta.
Scivola sulle pareti.
Abbassa lo sguardo.
Come se non esistessi.
Come se non esistessi…
Un ricordo ritorna alla mente per un istante.
“Come se non esistessi, Syrena. Mi trattano come se non esistessi”.
Keira richiude gli occhi con uno scatto veloce, ma non basta per fermare il riaffiorare delle immagini, delle parole, della voce.
“Ma tu esisti, Keira. Ed è questo che basta. Non conta quanto gli altri ti ignorino, ma quanto tu ti voglia bene. E, se può servire, Keira… Per me tu esisti eccome”.
“Basta, basta, BASTA!!”
“E se non esistessi tu non esisterei neanche io”.
“Carine!”
Merda! pensò infilandosi velocemente nel corridoio che le si apriva accanto. Aveva avuto almeno la prevedibilità di piazzarsi in maniera strategica in un punto in cui avrebbe potuto rientrare nella scuola se qualcuno l’avesse riconosciuta.
“Non posso nemmeno uscire all’aria aperta…” sbuffò gettando gli occhiali violentemente. Li sentì rimbombare forse contro il ferro di un’armatura ma se ne infischiò: prese le scale sicura, cercando un rifugio sicuro alla Delacour che sentiva lontana solo pochi metri.
Lei non conosceva Hogwarts abbastanza, ma era anche vero che Fleur era lì solo da un giorno: non poteva certo orientarsi meglio di lei.
Non sapeva dove le scale la stessero portando e tantomeno le importava: l’importante era seminare la Barbie, e il metodo migliore per farlo era confonderla fino a quando non avesse abbandonato l’inseguimento.
Percorse a passo sostenuto un’altra rampa di scale, senza voltarsi per paura che potesse vederla in viso e riconoscerla definitivamente, ignorando i ragazzi che le passavano accanto e che urtava senza molta gentilezza.
Era arrivata quasi al terzo piano quando scontrò lei.
“MA ALLORA E’ UNA FISSA!” urlò Selene arrabbiata.
Keira non le diede il tempo di ribattere: in meno di un secondo aveva già voltato lo sguardo a controllare la posizione di Fleur, l’aveva preso per il polso e l’aveva trascinata su per le rampe in mezzo alla marea di studenti sussurrandole un “Vieni” concitato.
“Carine!” sentì chiamarsi per la seconda volta.
“Ma cosa…” sussurrò Selene accanto a sé. Keira le intimò con malagrazia di continuare a correre.
“Carine!” si udì di nuovo.
Fleur urtò almeno altri dieci ragazzini che scendevano per andare a lezione, svelti e affannosi per il ritardo.
“Carine!” urlò un’ennesima volta.
La rampa di scale sembrava quasi più lunga, ora che si trovava nel bel mezzo di una marea di ragazzi, rallentata e ostacolata. Più di una volta la ragazza rischiò di inciampare sui gradini ma riuscì a mantenersi in piedi fino alla fine delle scale.
Arrivata finalmente in cima sul piano, si guardò intorno circospetta, cercando curiosa Keira con lo sguardo.
“Carine…” tentò un’ultima volta, stavolta più piano. Poi, rassegnata, sbuffò in un modo tanto signorile quanto i suoi modi affettati e si girò rifacendo le scale al contrario.
Keira si era infilata all’ultimo momento nella prima porta che aveva visto, con Selene dietro a lei, e si era ritrovata in uno sgabuzzino delle scope, così piccolo da poter ospitare a malapena due persone.
Ora la Corvonero e la Serpeverde erano a pochi centimetri l’una dall’altra, strette in una sorta di abbraccio, gli occhi di entrambe bassi e il viso in fiamme.
“Ehm…” commentò Keira, tossendo lievemente.
“Allora” replicò Selene, senza sapere cos’altro dire.
Il silenzio era così netto che si poteva udire il ronzio di una mosca.
Keira alzò lievemente lo sguardo e anche Selene lo fece con una lentezza studiata.
Entrambi deglutirono nervosamente. La Corvonero poteva vedere gli occhi verdi della Serpeverde brillare nel buio dello stanzino, e la sua bocca lievemente aperte. Poteva distinguere il rosa delle labbra sottili eppure carnose, e il bianco dei denti regolari e candidi.
Keira ricordava ancora a memoria le labbra di Syrena, così bene che avrebbe potuto raggiungerle anche ad occhi chiusi. Ne ricordava il sapore dolce e inebriante, ricordava la lotta furiosa delle lingue quando una bocca raggiungeva l’altra, ricordava come erano morbide al tocco delle dita.
Selene, da parte sua, non poté non notare il castano degli occhi che brillava nell’oscurità, determinato, deciso. Era la prima cosa che di lei l’aveva affascinata: quella determinazione che aveva in corpo, la sua decisione, quegli occhi che, seppure scuri, potevano brillare anche nel buio.
La ragazza tossì lievemente.
“Credo… Credo che ora la tua amica se ne sia andata…” disse flebile, tentando di rendere meno imbarazzante il silenzio.
Keira ci mise un istante per assimilare la frase.
Poi si riprese e, frettolosa, sussurrò:
“Giusto… Giusto.”
Con tutta la sua velocità, aprì la porta dello sgabuzzino e si lanciò giù per le scale più in fretta che poté.
A Selene servì un altro istante per riprendersi e capire che avrebbe dovuto andare anche lei, e fu solo il pensiero che era in ritardo per Erbologia a riscuoterla.
E anche mentre scendeva le scale e la Sprite spiegava le caratteristiche di non sapeva quale pianta, la ragazza continuò a sentire le mani della ragazza sulla sua vita mentre la stringeva per la piccolezza dello sgabuzzino e i suoi occhi castani non la abbandonarono per un istante.
 
“Ron si lamenta”.
“Di che cosa si lamenta, stavolta?”
“Della nostra amicizia. Dice che da quando siamo amici non mi si vede più”.
“Un po’ è vero…”
Harry sbuffò.
“Ron si lamenterebbe anche se la madre gli facesse un regalo decente a Natale”.
Cedric si lasciò sfuggire un sorriso.
I due ragazzi, seduti gambe al petto sopra a un muretto del cortile, avevano poggiato i libri sull’erba e si erano concessi cinque minuti per poter parlare dei frenetici preparativi che stavano avvenendo per l’annuncio dei Campioni del Torneo Tremaghi.
“Alla fine… Ti sei iscritto?” domandò il moro curioso, guardando il biondo in viso.
“Sì” confermò lui, facendo anche sì con la testa.
“Mh” commentò Harry, colpito. “Non credevo l’avresti fatto davvero”.
“Perché? Credevi non ne avessi il coraggio, Potter?”domandò Cedric scherzoso.
Harry alzò gli occhi al cielo con un sorriso.
“Non intendevo questo…”
Cedric ridacchiò e così anche Harry, portando la testa indietro e appoggiandola a una colonna alle sue spalle.
Ci fu un istante di silenzio in cui il moro intrecciò le mani come se stesse cercando le parole da dire.
“Dunque… Sai che potresti essere scelto, no?”
“Bè, Harry, mi sono iscritto proprio per farmi scegliere, non credi?” ribatté lui in tono scherzoso, cercando di coprire il tono nervoso che Harry aveva assunto.
Il quattordicenne abbassò lo sguardo.
“E… Se venissi DAVVERO scelto?” domandò, la voce lievemente roca e con una punta di tristezza.
Cedric si accorse subito dell’agitazione del ragazzo e il sorriso si spense sul suo volto. Harry tentò di recuperare quanto appena detto con un sorriso tanto finto e artefatto che riuscì a mantenerlo solo per un istante.
Il Tassorosso si chinò su di lui e sussurrò, tentando di rassicurarlo e tentando forse di rassicurare anche sé stesso:
“Se verrò scelto affronterò quanto ho fatto. Mi prenderò le mie responsabilità, studierò, mi impegnerò… Non per vincere, Harry, ma per poter tornare da tutti quelli che mi vogliono bene e poter dire loro –Ecco, non ce l’ho fatta ma almeno mi sono impegnato. Tutto questo per voi-.”
Harry rialzò lo sguardo e deglutì nervosamente.
“Ced, la gente muore in questo Torneo…”
“Ci sono nuove precauzioni, nuovi sistemi di sorveglianza!” tentò di nuovo il ragazzo, ma tutto ciò che ottenne fu un sbuffo spazientito.
“I sistemi di sorveglianza non hanno certo tenuto lontani i Dissennatori l’anno scorso” gli fece notare sardonico.
“Qui parliamo di un Torneo, Harry. Di quattro ragazzi, non di uno solo” ribatté pacato il ragazzo. “È da secoli che non si svolge, qualcosa avranno pure imparato, non credi?”
Harry non rispose. Si limitò a volgere lo sguardo da lui e a ignorarlo, perso in qualche pensiero lontano.
“Io ti PROMETTO…” esclamò Cedric in tono calmo ma perentorio, stringendogli una mano e stupendolo non poco. “… Ti prometto che tornerò da quel Torneo”.
Cedric annuì lentamente, e Harry lo seguì tentennante ma sicuro.
“Sei un bravo mago…” si disse il Grifondoro.
“Sì, e tornerò, lo giuro” continuò, stringendogli ancora di più la mano. “Tornerò per mia madre, per mio padre, per Cho, per Sarah, per John, per Ally…”
Poi si fermò per un istante. Harry sembrò aspettare qualcosa insieme a lui, una parola, un gesto, qualcosa che gli confermasse perennemente che lui sarebbe sopravvissuto.
Cedric gli passò la mano sulla guancia come un padre fa con il figlio.
“Tornerò per te, Harry”.
Il quattordicenne si passò una mano sotto gli occhi, lievemente commosso.
“Promettilo, Ced. Promettilo” gli ordinò, la voce tentennante ma innegabilmente sicura.
“Te lo prometto” sussurrò lui. “Tu sei come mio fratello, Harry… Tornerò per te”.
Il quattordicenne gli si buttò tra le braccia stringendosi alle maniche della divisa con quanta forza aveva e appoggiando la testa sul suo petto.
Cedric gli passò le mani intorno al corpo minuto e gli lasciò un bacio sulla zazzera nera ispida, affettuoso.
“Prometto, Harry, prometto…” ripeté ancora, e ancora, e ancora.
Il Grifondoro sorrise dolcemente.
“Lo so, Cedric” sussurrò, stretto ancora al suo petto. “Lo so che tornerai”.     
   

Note d'autrice affetta da Hadric ship:
Sigh...
Sob...
MA PERCHE' E' MORTO????
PERCHEEEEEEEEEEEEEE??
OK... Mi ricompongo... Già mi immagino quando dovrò scrivere della sua morte...
Allora....
Non ho risposto alle vostre recensioni e MI DISPIACE.
Voglio farvi sapere solo quanto mi fanno piacere le vostre recensioni, le vostre note, i vostri consigli, insomma, tutto quello che mi fa andare avanti con questa storia a un ritmo regolare. Tutte siete state gentilissime con me sebbene non me lo meriti poi tanto considerando come tratto i vostr personaggi e... Niente.
In questo capitolo ho raccolto alcuni momenti random prima dell'estrazione dei nomi dal Calie di Fuoco, e questi momenti random ho cercato di renderli come meglio ho potuto.
GIURO che dal prossimo capitolo la BlaisexSusan e la LesathxDaisy torneranno (le ho lasciate riposare un po') e poi anche la GwenxLee. E tutte le altre, o ci proverò, insomma... Non sono pochi personaggi, proprio per niente.
Per chi non sia stato citato in questo capitolo poco o niente: sappia che recupererò con i capitoli successivi, giuro.
Non so perchè, questo capitolo non mi soddisfa per nulla...
E mi scuso per il momento semi slash alla fine, però in fondo Harry ci è molto affezionato a lui, si potrà pur preoccupare che non riesca a cavarsela...
No, la verità è che io li amo troppo sti due insieme e volevo trasmettervi un po' della mia follia... Lo so, Harry era OOC... Lo so.
Scusatemi tantissimo, ma quell'ultimo punto si è scritto da solo ed era l'unica cossa che, pensando inizialmente al capitolo, VOLEVO fare.
Però prima di lasciarvi volevo lanciarvi una sfida: scrivere qualcosa ispirandovi a questa long.
Mi spiego meglio: in un certo senso questa storia è un universo  aparte di HP, con i suoi personaggi, e quindi mi chiedo: perché non scrivere storie apposite per questi personaggi? Perché non scrivete voi magari quei pezzi che avreste voluto vedere, quella coppia che vorreste vedere nascere, un primo bacio che vorreste descrivere? Questo, naturalmente, se accettate di far trattare vostri personaggi ad altri autori.
Se scrivete qualche fic su "Skyfall", avvisatemi via messaggio privato e io, nel prossimo capitolo, lascerò i link della vostra storia.
Va bene di tutto: flash, raccolte, drabble, OS...
Siete assolutamente liberi.
E un'ultima cosa: se volete fare un bel regalo di compleanno alla vostra autrice, che compie gli anni il 5, potete scrivere qualcosa sulla Hadric, la HarryxLuna, la DracoxLuna, la DracoxGinny, la GeorgexLuna, la RosexScorpius o la RosexAlbus (mi piacciono tante coppie XD)  e se volete dedicarmela come "regalo di compleanno" XD Scherzo, naturalmente, la scelta è solo vostra. Questo è un periodo pieno per tutti, io con la scuola sto davvero piena.
Vi saluta la vostra autrice pazza.
Peace, love and Hadric... OPS, ho sbagliato storia XD 

 

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Capitolo 9
*** The Three (Four) Champions ***


La Sala Grande rimbombava di voci.
Voci eccitate, voci concitate, voci che si udivano in un mormorio confuso in tutta la stanza.
Merida si stringeva convulsamente al tavolo, le nocche ormai bianche per l’agitazione.
“Se non iniziano tra cinque minuti rischio di spaccare il tavolo in due…” sussurrò, mentre Ernie la osservava con un sorrisino.
“Rilassati, Mary” tentò di calmarla, posandole una mano sulla spalla.
“Il banchetto è quasi finito…”.
Non poteva nascondere che era nervoso quanto e più di lui. Probabilmente il Cappello Parlante aveva fatto un errore fatale quando l’aveva Smistato: era tutto meno che un Tassorosso.
Quando Silente si alzò in piedi e il Calice di Fuoco cominciò a lanciare fiammate rosse verso il soffitto, il silenzio calò su tutta la Sala.
Daisy sentì Tom incordarsi accanto a lei e stringerle il braccio nervoso.
“Daisy…”. La ragazza gli strinse la mano, con uno scatto di ansioso terrore.
“Il momento è arrivato!” esclamò pomposo il preside, intrecciandosi le mani al petto, con un ampio sorriso stampato sul viso. “Il Calice di Fuoco ha fatto la sua decisione, ed ora è pronto ad annunciarla!”
Non un applauso turbò la quiete che si era formato, nessuno riuscì a profanare il sacro silenzio.
Perfino Simon, che fino a due minuti prima era impegnato in una discussione con un altro Serpeverde rimase silenzioso, ad osservare come fosse una reliquia il Calice al centro della tavolata.
Dal centro dell’oggetto un getto di fiammate rosse e verdi si alzò, e un “OOOH” sorpreso si alzò.
Un fogliettino volò lentamente in aria, portato dalla fiamma rossa.
Selene, dal tavolo dei Serpeverde, rivolse uno sguardo silenzioso a Keira prima che Silente afferrasse il foglietto: quegli occhi…
Poi la voce del preside la riportò alla realtà e la ragazza scosse la testa tentando di tornare ben presente.
“Il campione di Durmstrang…”
Lesath si girò per un istante verso il tavolo di Serpeverde, dove gli allievi di Karkaroff sorridevano gioviali. Sorrise lievemente sapendo che ben presto uno solo di loro sarebbe stato scelto, e gli scappò una risatina al pensiero delle reazioni degli altri sfortunati.
“… È Victor Krum!”
John urlò così forte che ebbe paura di essersi rotto le corde vocali. Aveva seguito con piacere il bulgaro alla Coppa del Mondo, ed era stato tanto sicuro della sua elezione a Campione che si era azzardato a scommettere due galeoni coi gemelli Weasley.
Filiana alzò le braccia al cielo come fosse stata in uno stadio e urlò più forte che poté “Bravo!!”
Vicino a lei, Dean sorrise e batté le mani con forza.
“Lo sapevo…” commentò semplicemente, portandosi le mani alla bocca e urlando di nuovo di gioia.
Il ragazzo si diresse verso la porta che gli era stata indicata dal professore con il passo goffo di un’anatra, e Shaula, con uno sbruffo, pensò che non aveva mai visto un ragazzo così brutto. Certo, era un grande campione di Quidditch, ma cos’altro? In quanto a bellezza era paragonabile a Ginger dopo il bagno, e di sicuro non sembrava neppure intelligente, con quello sguardo da pesce lesso e l’accento russo. In fondo, si ritrovò a pensare, il Calice non doveva essere così imparziale… Ma, naturalmente, nessuno sembrava condividere la sua opinione.
Ogni alunno applaudiva contento, urlando il nome di Krum con forza, tranne due o tre ragazzi di Durmstrang che avevano un muso lungo fino a terra.
Poi, di nuovo il silenzio: come se ne era andato, tornò.
Il Calice emise un’altra gittata di fiamme, ed un altro foglietto arrivò fino alle mani di Silente.
“Il campione di Beauxbatons…”
Keira tentò di farsi piccola piccola, mentre Fleur la trafiggeva con lo sguardo dal suo posto: non le aveva tolto gli occhi di dosso da quell’ultima volta che l’aveva vista in cortile.
“… È Fleur Delacour!”
“Cos’è, uno scherzo??” urlò la ragazza.
Ma nel fragore nessuno la udì: il boato che accompagnò Fleur fu, se possibile, ancora più fragoroso di quello per Krum.
Daniel era diventato di un rosso porpora, come fosse stato un peperone.
“Mmmh…” sussurrò, appoggiando il viso al mento mentre Fleur passava davanti al tavolo dei Grifondoro mandando all’indietro i capelli dorati.
Avrebbe tifato per Beauxbatons, era chiaro… Anzi, come aveva potuto anche solo pensare di votare per Hogwarts?
Fleur svanì dietro la porta e il silenzio si arrestò una seconda volta.
Zack trattenne il fiato, sgranando gli occhi.
“Il Campione…” sussurrò, ma nessuno lo udì.
In quell’istante il Calice diventò per la terza volta di un rosso acceso.
Poi un foglietto uscì dalla sua bocca.
Sarah infilò le dita nel tavolo per il nervosismo.
Niki strinse la mano di Theodore sotto il tavolo e lo sentì gemere lievemente.
“Diamine, Niki…” sussurrò, ma lei lo zittì con uno “Sssh!” perentorio.
Beatrix, che era riuscita a nascondere almeno un minimo il viso rosso dalle lacrime con molta acqua fredda, divenne d’un tratto cerea.
Auror si limitò a spostare lo sguardo verso il tavolo dei Grifondoro. Tom rispose alla sua occhiata con un cenno del capo e un sorriso.
“Il campione di Hogwarts…”
Allison sentì il corpo di Cedric tendersi accanto a sé in uno scatto d’ansia.
Senza neanche pensarci, gli strinse la mano.
Fa che sia lui, fa che sia lui…
“… È Cedric Diggory!”
L’urlo di Ron che gridava “NOOO!” vicino a lui non si sentì neppure: il boato che riempì la Sala Grande e rimbalzò sulle pareti fu di una tale potenza che Cedric divenne rosso mentre si dirigeva, sorridente come non mai, alla volta della stanzetta dei Campioni.
La tavolata dei Tassorosso era letteralmente esplosa di gioia e tutti erano in piedi, battendo le mani per quel Campione che, in fondo, era solo loro.
I più piccoli, che non avevano visto Cedric nella partita dell’anno prima ma ne conoscevano la fama urlavano di gioia, mentre i più grandi intonavano insieme l’inno dei Tassorosso.
Allison, accompagnata da Sarah e John, iniziò, con gioia, a intonare:

“It's hard to be the outsider looking in through the glass
When everyone is praising somebody else
Some other class
And even though I might not have the brains or the brawn
I'm loyal to the ones that matter to me
'Cause it's just the right thing,
And it's just how I am,

And I won't make excuses
'Cause the truth is that I'll do just enough
'Cause after all, I'm just a Hufflepuff
I am just a Hufflepuff”

 
Dopo le prime due strofe l’intero tavolo si era già unito a  loro, e i battimani sembravano non finire mai. Qualcuno tentò addirittura di sparare scintille in aria, tanto allegra era l’atmosfera, ma Madama Sprite riuscì a contenerlo prima che succedesse qualcosa di irreparabile. L’ampio sorriso sul suo volto era innegabilmente gioioso, e Harry si accorse che non l’aveva mai vista così felice.
Prima che si infilasse nella stanzetta, vide Cedric girarsi per un istante: prima salutò Allison e tutti i Tassorosso, che risposero con un boato fragoroso, e poi si rivolse unicamente a lui, sorridendogli e facendogli cenno.
Harry rispose urlando, unendosi al resto della scuola, “CEDRIC”!!
Ron lo guardò storto per un momento, poi si risolse a iniziare anche lui un battimano poco convinto.
Il fragore durò per quasi due minuti, tanto che quando finalmente fu tornata la calma, anche Silente si concesse un sorriso di gioia.
“Bene!” esclamò, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro stampato sul viso.
“Dichiaro il Torneo Tremaghi ufficialmente…”
Ma un gemito proveniente dalle sue spalle lo fece voltare: la professoressa McGrannit si era portata una mano al viso, terrorizzata. Il Calice era avvampato per una quarta volta.
Anche stavolta un fogliettino fu espulso, e Silente lo afferrò non poco stupito.
Poi sussurrò a mezza voce (un sussurro che, nel silenzio, fu udito da tutti):
Harry Potter…”
Kristen arpionò il braccio di Daniel, con uno spasmo di orrore.
“E io che avevo scommesso su di lui…”
Dall’altro capo del tavolo, Fred e George Weasley ridacchiarono scambiandosi un cinque alto.

“Quel Potter…”
“Sempre in cerca di attenzioni…”
“Lo sapevo che ci avrebbe provato…”
“Un imbroglio…”
“Ma come avrebbe fatto?”
“Non è certo un’idiota!”
“Ho sentito che sa perfino evocare un Patronus completo!”
“Sarà anche vero ma resta un imbroglione!”
“Già, è vero…”
Susan ascoltava poco o nulla con un lieve sorriso stampato sul viso: sembrava qualcosa di così meraviglioso che non poteva essere vero.
“Gli occhi mi ingannano o la principessa sta sorridendo davvero?”
La ragazza si voltò lievemente e sbuffò: Blaise la guardava curioso, con quell’odiato sorriso sarcastico stampato sul viso.
“Non mi stupirei se un giorno cominciassi davvero a non  vederci più bene!” commentò lei, acida.
Il ragazzo ridacchiò.
“Oh, forza Susan! Dovrei essere orrendamente arrabbiato con te per tutte le brutte cose che mi hai detto…”
“Te le meritavi!”
“… Eppure ti degno ancora di qualche parola e della mia fantastica presenza!” finì Blaise indicando, sornione, il suo corpo.
Susan sorrise tagliente.
“E dovrei considerarlo un complimento, Mezzosangue?”
Il ragazzo si piegò verso di lei e sussurrò, in un tono tra l’acido e il deliziato:
“Dovresti, perché col caratterino che ti ritrovi non credo molti ti rivolgerebbero ancora la parola se gli avessi detto ciò che hai detto a me…”
Susan distolse lo sguardo sprezzante.
“…Mezzosangue”.
Il viso di Susan divenne di un bianco cereo e Blaise vide i suoi occhi iniettarsi pericolosamente di odio profondo.
“Non chiamarmi Mezzosangue” sibilò lei, stringendo i pugni come se fosse sul punto di prenderlo a schiaffi.
“Perché?” ribatté lui, stavolta più serio. “Ti dà tanto fastidio quando gli altri lo dicono a te? Beh, così capirai cosa provano tutti quelli a cui tu l’hai detto”.
Susan contrasse la bocca e poi tutti i muscoli della faccia, risolvendosi poi per un’espressione di dignitosa quanto comica compostezza rigida. A Blaise scappò una risatina che, fortunatamente, la ragazza non notò.
“Vossignoria mi vuole dire come mai il suo umore è stranamente buono, stasera?” domandò con una punta di sarcasmo nella voce.
Susan si schiarì la voce per riuscire a togliersi dal viso la rabbia che aveva ancora in corpo.
“Il piccolo Harry Potter è diventato Campione di Hogwarts. Mi basta questo”.
Blaise aggrottò le sopracciglia.
“E… Sei felice per questo?”
La ragazza sorrise, soddisfatta.
“Beh, considerato l’alto numero di vittime che il Torneo Tremaghi vanta…”
Il Serpeverde ridacchiò malignamente.
“Sei proprio una strega, Susan…”
Lei alzò le spalle, come se avesse detto un’ovvietà.
“Mi ha offesa” commentò. “Se lo meritava, quello sporco…”
“… Mezzosangue?” completò Blaise con lei, ammiccando malignamente.
Susan strinse per la seconda volta i pugni e richiuse gli occhi.
“NON…”
“Messaggio ricevuto” le assicurò Blaise, notando la mano che era già corsa alla bacchetta sul tavolo.
 
Gwen si passò le mani sotto gli occhi, stupita.
“Non ci credo…” sussurrò, scuotendo la testa, mentre tutto il tavolo di Grifondoro risaliva lentamente le scale per andare ad acclamare il loro Campione.
Un Tassorosso le passò accanto e, seccato, esclamò:
“Non avevate già abbastanza gloria, voi?”
Gwen gli si parò davanti ed esclamò, rabbiosa:
“Non ho certo detto io a Potty di infilare il suo nome nel Calice!”
“Beh, ma l’ha fatto!” ringhiò quell’altro. Gwen parve sul punto di gettarglisi addosso, ma Lee la trattenne perentorio cingendole le spalle.
“LASCIAMI!” urlò, tentando di liberarsi dalla stretta.
Una ragazza si avvicinò al Tassorosso e, posandogli una mano sulla spalla, sussurrò:
“Forza, Johnny… Ha ragione”.
Il ragazzo lanciò un’ultima occhiata assassina a Gwen, neanche fosse stata lei la prescelta del Calice, e poi si voltò insieme alla compagna.
Solo allora Lee la mollò.
“So cavarmela da sola…” sbruffò lei, massaggiandosi le spalle: il ragazzo aveva davvero una bella stretta…
“Oh, infatti ho notato come te la sei diplomaticamente cavata sul treno di Hogwarts…” scherzò Lee, sorridendo.
Gwen increspò la bocca lievemente.
“Beh, avresti avuto di sicuro un altro articolo da aggiungere al Corriere di Hogwarts”.
Lee ridacchiò.
“Diamine, dopo questa Silente DEVE farmelo aprire!”. Poi, alzando il braccio in alto, esclamò con fare pomposo:
“ ‘Harry Potter scelto come quarto Campione del Torneo TreMaghi’, di Lee Jordan”.
Gwen alzò gli occhi al cielo, incamminandosi nella Sala Comune con lui.
“Credo che quel Tassorosso avesse ragione… Insomma… A Potter non serve proprio altra pubblicità, non trovi?”
Lee annuì.
“Beh, ormai quel che è fatto è fatto…”
“Lo faranno gareggiare, secondo te?” domandò Gwen, curiosa.
Lee alzò le spalle.
“Chi può dirlo? Di sicuro sarebbe meglio di quel pallone gonfiato di un Diggory…”
Gwen gli sussurrò a un orecchio:
“Beh, essendo amico di Harry, io starei attenta a non dirglielo in faccia!”
Lee sbuffò.
“Ma cosa diamine ci trova in quello?”
La ragazza divenne lievemente rossa.
“Non stanno mica insieme, Lee!” esclamò, fingendosi scandalizzata.
Lee aggrottò le sopracciglia, riflettendo, e poi si fermò in mezzo al corridoio e decantò, con lo stesso tono pomposo di prima:
“ ‘Harry Potter e Cedric Diggory: scoperta la relazione tra i due Campioni!’”
Gwen lo agguantò per un braccio e lo trascinò in Sala Comune per evitare altri danni, ridendo.
“Sei un essere detestabile, Lee Jordan”.
Lui alzò le spalle.
“Che vuoi farci? Sono fatto così”.
 
Evangelin si diresse a passo svelto verso Neville, rifugiato in un angolo della Sala Grande con un bicchiere di Burrobirra in mano.
“Ehi!” esclamò lei, fermandosi davanti a lui.
“Ehi…” commentò lui, senza troppo vigore e sorbendo un po’ di Burrobirra.
Evangelin aggrottò le sopracciglia perplessa.
“Tutto bene?” domandò, solidale.
“Sì” sospirò lui, tornando a concentrarsi sulla Burrobirra. “Sì, è solo che non…”
Sospirò di nuovo.
“Non… Mi va di festeggiare”.
La ragazza sorrise, cordiale.
“È… È normale?”domandò lui diventando di un rosso porpora. “Non… Non voler festeggiare alla mia età?”
Evangelin scoppiò a ridere, facendolo diventare ancora più rosso.
“È più che normale, Neville!” esclamò lei, tentando di farlo sentire a suo agio. “Neanche io ne ho molta voglia, sai… Dovrei essere coi Tassorosso a far festa per Diggory, sai...” sorrise, appoggiandosi al muro accanto a lui.
Neville aggrottò le sopracciglia.
“Lo… Lo dici sul serio, o solo per farmi sentire meglio?”
“No” disse sicura Evangelin. “No, in realtà neppure io voglio festeggiare…”
Neville sorrise timido.
“Ma tu… Sembri così… Allegra, e… Felice” sussurrò, diventando di nuovo rosso.
Il viso di Evangelin si rabbuiò per un istante, come se qualche brutto ricordo fosse venuto a turbarlo.
Poi la ragazza tornò a sorridere.
“Beh, sì, sai com’è…”. E sorbì un po’di Burrobirra guardandolo negli occhi. “Spesso si può nascondere l’essenza sotto una buona apparenza”.
Il ragazzo parve rilassarsi lievemente e si concesse un vero sorriso.
Evangelin avvicinò il suo bicchiere a quello di Neville.
“Serata insieme?” domandò, cordiale. "Insomma, fino a che non ci cacciano" ridacchiò.
Neville fissò per un istante il bicchiere, incerto.
Poi sbatté il suo contro quello della ragazza.
“Serata insieme”.
 
Quella sera Draco risalì nel Dormitorio con il viso tirato e avvilito.
Seduta sul suo letto, Harmony era ancora lì, lo sguardo fisso nel vuoto.
Il Serpeverde tentò di raccontargli qualcosa, dell’estrazione dei campioni, di Krum, di Potter, ma la ragazza sembrava non sentire nulla di ciò che le diceva.
Alla fine, il biondo si arrese e si ritirò nel Dormitorio, fissando il vuoto fino a che non si addormentò, ancora turbato.
Non avrebbero mai potuto fargli scherzo peggiore.
 
Il tragitto tra i due dormitori sembrava ancora più lungo. Harry non aveva mai notato di quanto fossero vicini i Dormitori di Tassorosso e Grifondoro fino ad allora.
Cedric, imbarazzato, non diceva una parola, ma Harry sapeva quali dovessero essere i pensieri che lo agitavano: gli aveva soffiato la gloria da sotto il naso, l’aveva reso, d’improvviso, l’ “altro” Campione, una novità già superata, uno scoop già sgualcito dopo appena due minuti.
Ora c’era lui.
Come sempre.
“Non ho messo il mio nome nel Calice” sibilò prima che Cedric gli chiedesse qualcosa.
Il Tassorosso alzò le mani.
“Non ti ho chiesto nulla…”
“Ma volevi farlo”.
Si rese conto troppo tardi di quanto il suo tono potesse risultare brusco, ma tentò di calmarsi stringendo i pugni, nervoso.
“Scusa…” sussurrò Harry, in un bisbiglio sommesso.
Cedric alzò le spalle.
“Figurati…”
Il silenzio calò tra di loro.
Non si dissero null’altro fino all’arrivo di Cedric nel suo Dormitorio, imbarazzati e tesi. Si era come formata una sorta di cortina tra loro, come se qualcosa  si fosse spezzato, e non potesse essere più rimesso a posto. Erano tornati rivali, e stavolta questo non lo avrebbe uniti di sicuro.
Erano l’uno contro l’altro, in una battaglia per la gloria personale e della stessa scuola.
Non che a nessuno dei due interessasse davvero della gloria eterna.
Ma di sicuro faceva gola, e non poco.
Prima che se ne accorgesse, Cedric era davanti all’ingresso della sua Sala Comune.
Il Tassorosso sospirò e si voltò verso il Grifondoro.
“Allora… Ciao” sussurrò imbarazzato.
Harry fece un cenno leggero.
Prima di aprire la porta, però, Cedric si voltò verso di lui ed esclamò, sicuro:
“Lo so che non hai messo il tuo nome nel Calice, Harry”.
Al quattordicenne scappò un sorrisetto che Cedric ricambiò.
“Goditi la festa!” esclamò, portando la mano alla maniglia.
“Anche tu…” ribatté lui, molto meno entusiasta.
Harry fece giusto in tempo a vedere Cedric aprire la porta, un boato di cori acclamarlo e Allison che gli si buttava tra le braccia pazza di gioia.
Poi fece dietrofront, preparandosi ad affrontare la stessa reazione da parte dei Grifondoro.
Peccato che lui non l’avesse voluta.

Note d'autrice:
HUFFLEPUFF POWER!! YEAAAAAAAH!!
OK, mi sono iscritta a Pottermore.
FINALMENTE mi sono iscritta a Pottermore.
E indovinate in quale Casa mi hanno Smistata???
IN QUELLA DEL MIO AMATO CED!!!
(cori da stadio)
Peccato che muoia questo sabato...
(fine cori)
Chi vede questo sabato GOF? Io ADORO quel film! (e penso si sia capito considerando in che anno ho deciso di ambientare la storia...)
Comunque, come vedete è un capitolo un po' diverso: i personaggi non nominati nella prima parte hanno dei paragrafi tutti loro. Quest perché ho un po' maltrattato loro o la loro coppia, e dunque ho deciso di farli agire.
La parte di Harmony è corta perché aveva già avuto una sua bella parte nello scorso capitolo, ma dovevo comunque far capire che fosse messa male... E, rispondo alle recensioni: hanno fatto lo scherzo ad Harmony, e non a Draco, perché sapevano ne avrebbe sofferto molto.
Ed effettivamente...
Il testo che cantano Ally e i Tassorosso è "Just a Hufflepuff" degli "Oliver Boyd and nonmiricordo XD". Ho cercato il testo ufficiale dell' Inno di Tassorosso ma non l'ho trovato, solo creati da altre persone, e non volevo incorrere in problemi legali o simili quindi ho deciso di usare questo.
La parte di Eve e Neville è PRIMA del party, vi avviso.
E...
Nulla.
Mi scuso ancora per l'attesa ma spero questo capitolo l'abbia ripagata anche poco poco poco.
Grazie a voi che mi recensite e scusate se non rispondo, ma vi amo, davvero tanto: siete stati pazienti con me e mi avete aspettato anche se immagino mi abbiate maledetto ogni giorno da questo sabato XD
Alla prossima!

 

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Capitolo 10
*** Hufflepuff (Where they are just and loyal, Those patient Hufflepuff are true and unafraid to toil) ***


Due mattine dopo, Malfoy aveva già messo in circolazione le spille “Potter fa schifo”, e le mostrava con orgoglio per tutta la scuola. La scuola era oramai interamente contro Harry, a parte quei due o tre che lo sostenevano con fervore, e finalmente aveva una scusa plausibile per sfotterlo che non fosse il suo odio personale, una causa comune per cui tutti potessero avercela con “Il bambino che era sopravvissuto”.
John si era subito attrezzato a recuperarne una, ancora infervorato dall’ “ingiustizia” subita dai Tassorosso.
“Avevamo il nostro Campione!” si lamentava con Sarah nei corridoi. “E quel… Grifondoro da quattro soldi ha voluto soffiarci la gloria da sotto il naso!” sbruffò.
La gemella gli appoggiò una mano sulla spalla, tentando di farlo ragionare.
“Finiscila, Johnny!” replicò con dolcezza. “È chiaro che Potter NON HA infilato il suo nome del Calice di Fuoco, non trovi? È decisamente troppo piccolo…”
“Allora chi?” domandò lui, scostante e cocciuto.
Sarah sbuffò.
“Non lo so, Johnny, però non è stato lui…” commentò, mentre un Corvonero faceva saettare la spilla “SOSTIENI CEDRIC DIGGORY”. John sorrise soddisfatto.
Sarah strinse i pugni innervosita.
“Se non fosse Cedric non te la prenderesti così tanto, vero?” disse, velenosa, senza riuscire a trattenersi.
John si bloccò nel bel mezzo del corridoio e la squadrò con un misto di rabbia e di ira. Ma nel profondo, sapeva che aveva ragione.
“Forse” sibilò, parandosi di fronte alla sorella. “Ma E’ Cedric” terminò, puntandole un dito contro come a dire “La conversazione finisce qui”.
Fece per riprendere il cammino verso l’Aula di Pozioni ma Sarah lo bloccò prendendolo per un braccio.
La ragazza lo fece avvicinare e gli sussurrò in un orecchio, delicatamente:
“Lo sai che Cedric è amico di Potter…”. John alzò gli occhi al cielo, indispettito.
“Lo SAPEVO, Sarah, grazie per l’informazione!”
La gemella strinse il braccio dell’altro con forza e quello gemette lievemente.
Sarah lo fissava con sguardo duro e deciso, vibrante di forza e di rabbia repressa.
“Io starei attenta a come mi rivolgo con Cedric, se fossi in te…” sussurrò, arpionandolo ancora per il braccio. “Non vorrei compromettessi quello che c’è tra voi con un commento su Potter infilato per sbaglio in una conversazione…”
John sfuggì alla presa della sorella e la guardò quasi con disprezzo.
“Quello che c’è tra me e Cedric?” sibilò, e Sarah rabbrividì lievemente per un istante. “E cosa c’è tra me e Cedric, sorellina?”
Sarah fece per aprire la bocca ma la richiuse subito quando si accorse di ciò che il fratello intendeva davvero.
“Una… Bella amicizia” si risolse lei, tentando di far sembrare la sua voce più naturale possibile.
“Amicizia un corno…” sbuffò John. “Non gli rivolgo parola da quando ho capito che…”
Non terminò la frase. Abbassò lo sguardo e Sarah poté scorgere un lieve luccichio agli angoli degli occhi.
In un attimo la rabbia e il rancore divennero affetto e pietà. Bastava così poco a cambiare idea, con John. Bastava un attimo per passare dal volerlo rimproverare a volerlo proteggere da tutto e da tutti.
Anche da sé stesso.
Soprattutto da sé stesso.
Gli posò una mano sulla spalla, comprensiva, e sussurrò un “Mi dispiace” che quasi non udì neanche lei.
Ma John capì e alzò lo sguardo su di lei, sorridendo lievemente.
Sarah sorrise a sua volta e gli cinse le spalle con un braccio, dirigendosi allegramente con lui nell’Aula di Pozioni.
Bastava così poco, in fondo, per fare pace.
Solo tanta pazienza e un pizzico di comprensione.
E in fondo, erano o non erano fratelli?
 
Ernie le si avvicinò lentamente, approfittando della distrazione della Sprite. Il ragazzo non poté fare a meno di notare il velo di delusione che le era caduto sul viso appena aveva visto i Grifondoro entrare nella Serra: come molti Tassorosso, l’iscrizione di Potter al Torneo Tremaghi l’aveva lasciata profondamente delusa e, così credeva Ernie, anche piuttosto arrabbiata.
Ma al momento non gli importava nulla di Potter né della Sprite: si avvicinò ancora più circospetto a Merida, concentrata sulla sua pianta.
I suoi occhi verdi erano pieni di determinazione sicura, di forza. Dalla sua pianta saettavano al tavolo di Potter, e poi tornavano a fissare le foglie verdi, con una scintilla quasi di sfida che le brillava negli occhi.
Ad Ernie scappò un sorrisetto: sapeva quanto Merida potesse prendere sul serio una disputa, e quanto fosse combattiva quando voleva. Ma sapeva anche che non avrebbe mai davvero sfidato un Grifondoro. Era certa quanto lui che in nessun modo Potter avrebbe potuto infilare il suo nome nel Calice di Fuoco, ed era pronto a scommettere che nessuno li avrebbe mai presi sul serio.
Il ragazzo serrò i pugni lievemente, intimandosi di fare ciò che andava fatto.
Ora o mai più, si disse deciso, facendo un altro passo verso la compagna.
Prima che se la prenda lui.
Merida era la sua migliore amica, la sua confidente, la sua ancora, la ragazza che più ammirava in tutta la scuola. Lei e la sua forza, lei e la sua determinazione, lei e il suo modo di passarsi una ciocca di capelli tra le dita quando era nervosa, lei e il suo modo di sorridere di un sorriso a 32 denti, lei e la sua risata cristallina e dolce.
Ernie era certo come era certo di chiamarsi MacMillan che era innamorato di lei.
E non avrebbe permesso al primo Serpeverde di passaggio di rubargliela.
“Senti, Mary…” sussurrò, sperando che lo udisse.
La ragazza non diede cenno di averlo sentito.
“Ehm… Mary?”
Lei non si voltò. Cominciò ad armeggiare con la pianta ad una velocità incredibile, come se avesse avuto un’illuminazione improvvisa e, con un colpo secco, finalmente riuscì a sradicarla.
“Eccellente!” esclamò la Sprite, che ritrovò stranamente il sorriso, vedendo la ragazza alzare al cielo la pianta (di cui Ernie non ricordava neppure il nome). “Dieci punti a Tassorosso!”
Ernie sospirò, scoraggiato.
“Mi dovevi dire qualcosa?” chiese Merida, girandosi di scatto verso di lui, la pianta ancora in mano che si dibatteva con forza.
Il ragazzo sobbalzò lievemente.
“Ehm…” sussurrò, guardandosi con interesse la punta delle scarpe, senza riuscire a fissare quegli occhi verdi senza diventare rosso come un peperone.
“Nulla…” rispose alla fine, allontanandosi a testa bassa verso il suo tavolo, tornando a passo mogio accanto a Justin.
Il ragazzo gli diede una pacca sulla spalla per tentare di confortarlo.
“Sarà per la prossima volta, Romeo” tentò di tirarlo su. “È solo questione di costanza”.
La prossima volta…
Ernie si domandò se ci sarebbe mai stata una prossima volta, una volta in cui avrebbe preso coraggio e si fosse deciso a dirglielo, a dirgli quanto dannatamente gli piaceva, quanto trovava belli i suoi occhi, il suo sguardo, il suo sorriso, unico tra mille…
Ci sarebbe stata una prossima volta o il Serpeverde l’avrebbe presa tra le sue spire prima?
 
Zach chiuse con uno scatto il libro e sospirò rumorosamente.
“OK, hai due possibilità” esclamò al nulla, alzando le mani per contare sulle dita.
“Uno: te ne vai subito e non ti fai mai più vedere… O sentire, se preferisci”.
Alzò il pollice.
“Due: racconto tutto a Silente e gli faccio sapere tutto quanto”.
Alzò l’indice, tentando di darsi un cipiglio minaccioso.
Si girò verso la ragazza che, dal tavolo di Serpeverde, lo osservava imbarazzata, ora rossa fino alle orecchie, e le sorrise amabilmente.
“Tre: mi dici perché continui a seguirmi ovunque io vada e sono disposto a lasciarti stare”.
Alzò il medio.
“Quale delle tre?” domandò mostrandole le tre dita alzate.
La ragazza alzò un angolo della bocca indispettita.
“Non c’è una quarta opzione?”
Zach ridacchiò.
“Vorrei solo sapere come mai non sei nel tuo Dormitorio, visto che ormai tutti se ne sono andati…” chiese lui, molto semplicemente.
Lei si sistemò ben bene sulla sua panca, sospirando, e gli fece notare:
“Non mi obbliga mica qualcuno ad andarmene…”
Zach scosse la testa.
“Certo che no…”
La ragazza esclamò all’improvviso:
“Sai, ha dei bei capelli!”
Stavolta fu il ragazzo a diventare paonazzo.
“Oh…” sussurrò, tentando di darsi un contegno. Come per un riflesso, si ritrovò a passarsi le mani tra i capelli informi per farli sembrare un minimo attraenti.
La ragazza fu sul punto di scoppiare a ridere ma si trattenne, pensando che non fosse proprio il caso.
“Beh… Grazie…” disse solo lui, smettendo di pettinarsi e lasciando ricadere la mano sul fianco, mentre diveniva sempre più rosso.
Lei ridacchiò.
“Ti ricordi di me?” domandò molto semplicemente, sorridendo.
Lui aggrottò le sopracciglia, come se stesse indagando in qualche memoria e poi sussurrò, poco convinto:
“La… Ragazza dello scompartimento?”
Lei sorrise deliziata e a Zach parve di vedere un lieve rossore imporporargli le guance.
“Sì…”, poi si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “È bello essere ricordati” aggiunse poi, in un tono tra il malizioso e il dolce.
“Come dimenticare un visino così carino?” commentò Zach, assumendo un cipiglio da play boy che lo fece sembrare solo più imbranato.
La ragazza ridacchiò.
“Non ci siamo nemmeno presentati per bene!” esclamò lui, poi le tese la mano: due tavoli interi li separavano, e Zach tese la mano al nulla.
“Zach Terrinson, Tassorosso!” esclamò, facendo finta di stringere un’altra mano.
Il viso di lei si rabbuiò per un istante e Zach pensò di aver detto qualcosa di sbagliato.
“Ehm… Lo so” sussurrò la ragazza. “Una ragazza me l’ha detto…” sussurrò, iniziando a giocherellare con il piercing sul naso.
Il ragazzo si chinò sul tavolo e chiese, tentando di sembrare amichevole:
“Tutto bene?”
Lei si voltò verso di lui e sussurrò, lievemente imbarazzata:
“Io sono una Serpeverde…”
Zach sorrise come se avesse detto una battuta.
“E secondo te non me ne sono accorto?” ridacchiò. “Sai, i Tassorosso non sono scemi come li dipingono…”. Poi il viso di Eloise Midgen gli tornò alla mente.
“Forse qualcuno sì” aggiunse frettoloso.
Lei sorrise di un sorriso spento e indeciso.
“Non è questo…” sussurrò, scuotendo la testa, e poi riabbassò lo sguardo, passandosi le mani sul viso.
“È che… Tu sei un Tassorosso… E io…” spiegò, come se quella fosse una spiegazione sufficiente per tutto.
Zach aggrottò le sopracciglia e poi esclamò, lievemente offeso:
“Se hai paura di diventare sporca frequentando un Mezzosangue…”
“No, no!” si affettò a spiegare lei, agitando le mani per scongiurare quell’idea. “Non… Non mi interessa granché” spiegò, alzando le spalle davanti allo stupore di Zach.
“Oh” sussurrò lui. Poi le sorrise affabile. “Allora che problema c’è?” domandò, alzando le spalle e tendendole di nuovo la mano.
La ragazza fece per aprire la bocca poi alzò gli occhi al soffitto, come se stesse riflettendo.
Quando riportò il suo sguardo su lui, sorrideva.
“In effetti, non ci sono problemi!” esclamò, e gli tese la mano.
“Shaula Electra Marshal!”
“Me lo dovrai scrivere!” esclamò Zach.
Shaula ridacchiò.
In fondo, pensò Zach, cosa c’era di diverso tra lui e quella ragazza? Era tutto una questione di tolleranza.
 
La stanza si popolava di fantasmi, la sua pelle era percorsa da mille mani che la toccavano.
No, ti prego…
La sua voce le rimbombava nelle orecchie, quel tono cadenzato e viscido che aveva imparato a conoscere.
Tu sei mia, ragazzina…
Le sue mani la percuotevano, le tiravano i capelli, e le urla sue e di sua madre rimbombavano nella stanza.
Mia.
Era tutto buio, e l’unica cosa che si sentiva era l’odore di alcool che emanava la sua figura e il suo fiato sul suo collo.
Fai la brava bambina, Eve.
Acqua fredda che la bagnava, e poi l’aria fredda della notte.
Acqua fredda, e poi aria salubre.
Acqua fredda, stavolta di più. Provava ad urlare, ma scoprì di non poter emettere un suono.
Basta, basta!
La testa che girava, il dolore alla guancia.
Un’altra volta, con una tale violenza che cadde a terra, stordita e persa, e il mondo cominciò a ruotarle davanti agli occhi.
Per un istante credette anche di vedere tutta la sua vita, mentre il coltello riluceva nell’oscurità.
Poi un altro grido.
Ti prego, basta!
Non c’è pietà, non c’è altro se non dolore.
Non si ferma, non smette di farle male, non vuole smettere di farle male.
Ma è ubriaco, che ci può fare lei?
È ubriaco e la sta uccidendo.
Evangelin si svegliò di soprassalto, madida di sudore, nel suo letto, e si accorse di avere i vis bagnato di calde lacrime.
Si passò le mani sul viso, decisa, tentando di interrompere le immagini che le passavano ancora davanti agli occhi.
Ma non ci riuscì.
Ogni istante faceva un po’ più male, e i ricordi che tentava disperatamente di sotterrare tornavano a cercarla, a braccarla nella sua tana, diventando ogni istante sempre più nitidi, sempre più ricchi di dettagli.
Respirò profondamente e si abbracciò le ginocchia con le mani, intimandosi di calmarsi una volta tanto: la mattina dopo c’era la prima prova, e non voleva che qualcuno la vedesse in quello stato o che riconoscesse il suo turbamento. Nessuno poteva vederlo.
Nessuno poteva capirlo.
E di certo l’occasione migliore per mostrare ciò che provava non era durante la famigerata prima prova. Probabilmente l’attenzione di tutti sarebbe stata concentrata sui tre (quattro) Campioni, ma non poteva permettersi che qualcuno notasse anche un minimo di turbamento.
Non poteva permettere che Neville la vedesse in quello stato.
Finalmente il dolore cominciò ad attutirsi, diventando solo un brutto ricordo, uno dei tanti brutti sogni, mentre spariva risucchiato dall’oscurità calma e dall’oblio del sonno.
Evangelin ricadde sul cuscino e chiuse gli occhi, promettendosi che la mattina dopo si sarebbe lavata ben bene la faccia.
Nessuno doveva vedere gli occhi rossi.
Nessuno poteva capire quegli occhi rossi.
 
Cedric era seduto al centro della tavolata, chiacchierando amabilmente con gli altri Tassorosso che, con entusiasmo, lo acclamavano e gli lasciavano manate sulle spalle, soddisfatti come non mai del loro Campione.
Lui rispondeva con sorrisetti alquanto tirati e con sguardi terrorizzati di intesa, per poi sorridere di nuovo, il viso di un condannato a morte.
Allison, seduta accanto a lui, gli sorrise dolcemente.
“Andrà tutto bene, Ced” gli sussurrò, avvicinandosi al suo viso quanto bastava per farsi udire solo da lui. “Ti sei allenato tutto il tempo, lo so. E puoi sconfiggere quel drago” gli sibilò di nuovo, sorridendo, nel tentando di farlo sentire meglio.
Il ragazzo si voltò verso di lei, totalmente a disagio, e Ally dovette tentare un altro sorriso, in realtà molto tirato e poco credibile.
“Ally…” sussurrò lui, avvicinandosi tanto che Ally poté sentirne, con un brivido, l’alito caldo sulle labbra. “Dì ai Tassorosso… Della soffiata di Harry sui draghi”.
Allison si rabbuiò.
“Glielo… Glielo dirai tu non appena sarà finita la Prima Prova…”. Non si accorse del tono incrinato che aveva assunto improvvisamente.
“Tu diglielo” ribadì Cedric, perentorio. “Digli di essere gentili con lui…”
Allison sbatté le sopracciglia, tentando di non far notare la sua preoccupazione.
“Ced, io…” bisbigliò, un groppo in gola.
Il ragazzo le strinse la mano con forza.
“Promettilo” ordinò, gli occhi pieni di serietà così inequivocabile e decisa che Allison dovette annuire debolmente.
“Prometto, Ced” gli assicurò.
E poi tornò a sorridere.
Perché, lo sapeva, non doveva mostrargli quanto in pena fosse per lui.
Non doveva capire quanto anche solo il pensiero di poterlo perdere la atterriva.
In fondo, non era questo che facevano i Tassorosso?
Se ne stavano nell’ultima fila, a guardare gli altri diventare famosi, chi per una ragione, chi per un’altra, e ad assicurare loro il massimo supporto che potevano.
Questo erano i Tassorosso, Ally lo sapeva dal giorno in cui aveva deciso di entrare in quella Casa: erano sostegno, erano le ombre, erano quei piccoli uomini che se ne stavano dietro le quinte a guidare il gioco. E sebbene spesso non ce se ne accorgesse, avevano probabilmente il ruolo più importante.
Erano la colonna della comunità.

Note d'autrice:
Ed ecco a voi questo piccolo capitolo dedicato alla mia amata Casa madre. Probabilmente ne scriverò uno per ogni Casa, ma ho voluto iniziare con quella dedicata al nostro Campione (o meglio, come altri dicono crudelmente: all'altro Campione).
Credo che il prossimo capitolo sarà dedicata alla Prima Prova con tutti i personaggi, ma non garantisco nulla.
Mi spiace per quei personaggi poco nominati, GIURO SU TUTTO CIO' CHE VOLETE DI NON AVERE BUONE INTENZIONI CHE RECUPERERO'!
Ah, e...
Scusatemi, non mi aspetto certo grandi onori ma...
Lo scorso capitolo ha ricevuto solo due recensioni e...
Non so, se è perchè non vi rispondo, o perchè il capitolo era orrendo...
Bò, insomma, non è che stia scrivendo capitoli  chilometrici.
Vabbè, meglio che mi segno le coppie per il prossimo capitolo sennò poi non combino nulla.
MMMH...
Diciamo:
-FilianaxDean
-DaisyxLesath
-Accenno JohnxCedric
-NikixTheo
-KristenxDaniel.
LO SO che la storia non è proprio una storia lineare, visto che ci sono molte raccolte di momenti (soprattutto ultimamente), ma il fatto è che questa storia non si discosta troppo dal Calice di fuoco, e non so come riempire alcuni vuoit che si verrebbero a creare.
Comunque posso già anticiparvi che ci sarà, forse poco prima della Terza Prova, un capitolo dedicato interamente all'amour.
(CORI DA STADIO E URLA DI TIFOSI)
Mi spiace per questi capitoli scrausi e orrendi, ma non so davvero cosa altro far capitare a questi poveri disgraziati XD Voglio farli stare in pace un po', e mi sembra pure giusto, no? Ah, ultima cosa: il sottotitolo del capitolo è direttamente presa dalla poesia del Cappello Parlante.
Ci vediamo tra due sabati, sperando che non mi abbiate già abbandonato!
P.S.: Grazie a Giuly che ha letto la storia nonostante i capitoli chilometrici, che ha pianto come me quando Ced è morto sebbene non gli piaccia (anche i Serpeverde hanno un cuore XD), che mi ha sconvolto come solo la Rowling può fare uccidendo Silente (solo lei può capire), e che mi ascolta in ogni mia sfuriata da fangirl e che, nonostante i mille attriti, è sempre lì.
Perché tutti i potteriani possono essere una famiglia.

 

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Capitolo 11
*** The First Task ***


Lo stadio rimbombava di urla di giubilo e di vittoria ancora prima che la Prova iniziasse. L’eccitazione era alle stelle, tanto che qualche imprudente studente si era addirittura azzardato a sparare in aria dei Fuochi d’Artificio del dottor Filibuster, subito rimproverati, naturalmente, dagli insegnati che, sempre più stanchi, correvano da una parte all’altra delle tribune tentando di contenere la gioia degli alunni.
I Serpeverde si erano schierati sin da subito con Krum, visto che Diggory, oltre ad essere un “bamboccione” era anche un Tassorosso, e il sostegno per Potter era stato sedato immediatamente nei pochi ragazzini del primo anno che avrebbero voluto sventolare striscioni “I support Harry Potter”. Lo scintillio delle spille “Potter fa schifo” era divenuto ormai abbagliante e incontrollabile: metà delle tribune emetteva il lieve bagliore della scritta e l’altra metà tentava in ogni modo di strappare dalle giacche le spille infamanti, senza buoni risultati. In una tribuna si arrivò addirittura alle mani e Colin Canon fu trasportato d’urgenza in Infermeria perché, sciaguratamente, si era trovato nel fuoco della discussione tentando di fare qualche foto.
I Corvonero avevano deciso che la mossa più saggia era tifare per Diggory, considerando che c’erano poche possibilità che Potter arrivasse vivo alla Seconda Prova. Statisticamente parlando, il Ragazzo che era Sopravvissuto aveva poche chance di sopravvivere ancora. E per i Corvonero la statistica era tutto. I loro striscioni recitavano a grandi lettere “Viva Cedric Diggory!”, ma qualche ragazzo, affascinato dalla bionda Campionessa, aveva preparato dimostrazioni di affetto piuttosto imbarazzati: due ragazzi della scuola stavano letteralmente sobbalzando sui posti in attesa che scendesse nell’arena, pronti a strapparsi le camicie su cui, a grandi lettere, avevano scritto “Je t’aime”.
Inutile dire chi fossero i favoriti di Grifondoro e Tassorosso: lo stadio sembrava diviso in due, metà giallo e metà rosso, e nessuna delle metà sembrava voler ammettere la presenza dell’altra. Sembrava quasi che i Tassorosso non volessero ammettere che Hogwarts avesse due campioni, e la stessa cosa era per i Grifondoro. L’unico Campione era il loro Campione.
Quando la voce di Barty Crouch risuonò nello stadio, un boato più alto degli altri si alzò, tanto che l’uomo dovette aspettare alcuni istanti prima di poter parlare chiaramente.
“Benvenuti, ragazzi e ragazze, alla Prima Prova del Torneo Tremaghi!”
Altro boato, altri nomi gridati nell’aria, altri “Evviva!”, qualche Fuoco d’Artificio subito rispedito a terra dalle bacchette dei professori.
“La prova consiste in questo: i Campioni dovranno affrontare quattro draghi, un drago per Campione…”
Alla parola “drago”, le reazioni furono contrastanti: i più trattennero il respiro ansiosi, sbiancando visibilmente, ma altri furono scossi da un fremito di eccitazione.
“… E dovranno rubare l’uovo d’oro che essi custodiscono!”
Keira immaginò di essere nella tenda in cui i Campioni si stavano preparando, immaginò la sua reazione nell’aver scoperto quell’informazione.
Draghi… Peggio di quanto si aspettasse. Gli organizzatori erano veramente pervertiti.
“Mio Dio…” sussurrò Daisy tra sé e sé, stringendosi convulsamente la sciarpa attorno al collo, come a volersi strozzare. Accanto a lei, Tom alzava lo striscione “I support Harry Potter” al cielo, urlando con tale veemenza che per un istante le venne voglia di picchiarlo.
“Draghi… Potter avrà un bel da fare per uscirne, eh?”
La ragazza si voltò verso la fonte dell’affermazione, già conscia di chi avesse parlato.
“Silente è davvero un pazzo” commentò semplicemente Daisy, lievemente agitata. “Insomma… Parlare tanto di maggiore sicurezza e poi fare affrontare a un ragazzo di quattordici anni un drago senza neppure avvertirlo…”. Tremò impercettibilmente, immaginandosi in quell’arena, il drago davanti a lei, pronto a far fuoco… Le sue urla… E poi più il nulla.
Lesath sorrise sardonico.
“E tu credi che Potter non sapesse dei draghi?”
Daisy rimase stupita a guardarlo, senza capire cosa intendesse dire.
“Ma… Ma certo che non lo sapeva! Insomma… Non… Nessuno gli ha detto nulla e…”
“Questa è la versione ufficiale” le fece notare Lesath, alzando le spalle e ravviandosi i capelli all’indietro. “Ma ho sentito dire da Merida Lenix che Diggory ha saputo da Potter dei draghi…”
“Non è possibile!” esplose Daisy, colpita nel vivo da quell’affermazione come fosse stata la più infamante delle offese. “Noi Grifondoro non bariamo, no! Non bariamo mica! Noi siamo persone oneste, siamo persone coraggiose, siamo persone…”
“… Insopportabili?” terminò per lei il ragazzo, fermandola impazientito prima che potesse dire altro.
Daisy spalancò la bocca per ribattere ma Lesath fu più svelto di lei:
“Senti, dolcezza…” cominciò, avvicinandosi lievemente al suo viso. “Non dico certo che Potter sia un imbroglione, anzi…”
Daisy rabbrividì: poteva sentire il suo fiato sul collo…
“Ma sai com’è, le notizie girano, e poi nessuna competizione è mai del tutto onesta”.
La ragazza riprese coraggio e affermò, sicura:
“Quando mai! Questa è una competizione più che mai onesta, nata solo per unire maghi e streghe…”
Non terminò: la risata secca e rauca di Lesath la interruppe.
“Ma in quale libro l’hai letto, Kapner?”
La discussione terminò lì: Crouch aveva appena annunciato l’entrata di Diggory nello stadio, e la folla cominciò a ripetere il suo nome insistentemente.
Era come un’ondata che travolgeva tutto, forte e prorompente: il nome di Cedric rimbombava su ogni spalto e per tutta l’arena, ripetuto da centinaia e migliaia di bocche, incoraggiato a gran voce e con entusiasmo.
Quando entrò, la folla esplose, alzandosi in piedi e battendo le mani.
Il ragazzo aveva il viso tirato e nervoso, la faccia di chi sta per vomitare, ma non aveva certo l’aria terrorizzata di chi ha appena saputo che deve affrontare un drago. Era preparato, e nel profondo dell’animo lo sapeva. Si era impegnato, e di questo era sicuro. Aveva paura, sì, ma sapeva che avrebbe potuto farcela.
Forse, si disse Daisy tra sé e sé, l’insopportabile aveva ragione: non aveva di certo appena scoperto dei draghi.
Cedric salutò gentilmente con la mano, esibendo un sorriso d’occasione, per poi rivolgere uno sguardo alle tribune in cui i Tassorosso erano seduti: un immenso striscione era sospeso in aria, retto da migliaia di bacchette, con scritto sopra, a caratteri cubitali “We support Cedric Diggory”. Poco sotto, era stato aggiunto, a caratteri lievemente più piccoli ma leggibili anche da lì “Il Campione di Hogwarts”.
Il ragazzo sorrise lievemente, stavolta sinceramente colpito.
Quando, infine, il clamore si calmò lievemente, Cedric si concentrò finalmente sull’uomo.
Dalle tribune, cori di “oooh” e “aah” si alzarono quando il drago che era stato assegnato al ragazzo, un Grugnocorto Svedese, fu trascinato a fatica nell’arena da quattro uomini che lo reggevano ai lati delle enormi ali.
Alla sua vista, Cedric parve divenire un po’ più bianco: il drago aveva un collo corto e grosso, una lunga coda e le ali davanti alle zampe, ali che abbracciavano senza problema alcuno l’arena e, da ultimo, un enorme corno che gli fuoriusciva da sopra il muso.
Tutti i Tassorosso parvero trattenere il fiato mentre immaginavano il corno che entrava nella pelle dilaniandola.
Sebbene non fosse di certo il più grande, era comunque imponente, e aveva grandi occhi penetranti che osservavano l’avversario come fosse stato solo un inutile insetto da schiacciare e nulla più.
Filiana osservava tutta la scena angosciata.
“Mio Dio…” bisbigliò tra i denti, ricordando all’istante quello che aveva letto su un libro di quel drago: una sola vampata poteva ridurre in cenere un essere umano, e di certo questo non era ciò che Diggory voleva diventare.
“Come si sono procurati un Grugnocorto?” domandò Dean, avvicinandosi lievemente al suo orecchio notando quanto fosse scosso.
Lei sussurrò in un sibilo, semplicemente “Non lo so” mentre lentamente le catene che costringevano il Grugnocorto venivano tolte con grande cautela…
E gli uomini si allontanavano…
E Diggory rimaneva solo nell’arena con il drago.
“Vive nelle zone montuose della Svezia, giusto?” tentò Dean, evidentemente con l’intento di distrarla dall’avvenimento.
“Sì…” bisbigliò Filiana, tentando di mantenersi calma mentre, con uno scatto, Diggory si dirigeva verso il drago…
“E quella pelle così spessa… Per cosa verrà usata?”
Ormai non lo ascoltava praticamente più: osservava, gli occhi pieni di terrore, il drago che lanciava una vampa…
“Non… Non lo so…”.
Non sapeva cosa dire. Non c’era nulla nella sua testa se non l’immagine di Diggory che correva verso l’uovo, mentre il drago urlava con tutta la sua forza e tentava di colpirlo con la coda che, pur non essendo letale, avrebbe potuto sbalzarlo da qualche parte nell’arena…
Avrebbe potuto sbattere la testa sulle rocce…
Poi, un’immagine nuova: Dean le si parò davanti e, con sguardo acceso e sicuro, le intimò, stringendogli la mano “Ci sono io”.
Filiana tentò di calmare il respiro appoggiandosi alla mano di Dean e, finalmente, dopo qualche secondo, riuscì a riprendere la calma abitudinale.
“Scusa…” bisbigliò in un sibilo, singhiozzando lievemente mentre Dean le sorrideva.
“Tranquilla…” rispose lui, dandole un bacio sulla fronte. “Va tutto bene…”
Era quasi straordinario quanto quel drago avesse acceso la sua curiosità solo qualche settimana prima, nel suo disegno statico, coi suoi denti innocui di carta e la sua fiamma fredda quanto il ghiaccio.
Come sempre, la realtà non era allettante quanto ciò che si leggeva sui libri.
Sentì la voce di Ludo Bagman commentare, tra esclamazioni di stupore e di sconforto, di preoccupazione e, ad un tratto, anche di orrore…
“Questo lascerà il segno…”
Vide distrattamente alcuni Tassorosso gemere e urlare, tra cui Merida Lenix che si portò le mani al viso, Allison Frost, John e Sarah Taylor che si stringevano l’un l’altro la mano, lo sguardo impregnato di puro terrore.
Non si azzardò a guardare di sotto.
Simon Hale si sporse lievemente per vedere meglio: Diggory era dolorante a terra, rannicchiato su sé stesso, la mano sulla guancia destra. Per un attimo, credette di vedere il drago aprire le sue fauci su di lui…
Ma fu solo un attimo di debolezza: l’attimo dopo Diggory era di nuovo in piedi, e stringeva l’uovo d’oro al petto con uno sguardo trionfante sul viso.
Gwen divenne di un bianco cereo: la guancia destra era rossa come il fuoco, e la carne viva era scoperta.
Lee Jordan, accanto a lei, prendeva appunti freneticamente, con un tale zelo che la sua penna sembrava volare come la Penna Prendiappunti di Rita Skeeter.
La reazione dei Serpeverde fu, al contrario, quasi soddisfatta: Susan sorrise dal suo posto, ridacchiando lievemente.
“Abbasso i Tassorosso pappemolli…” commentò solo.
Gli altri accanto a lei parvero condividere la sua opinione ed iniziarono a gridare “Buuuh!” altisonanti, così forti che la McGrannit ci mise almeno dieci minuti per riportare l’ordine anche dopo che Diggory era uscito.
Cedric riuscì a sgusciare sotto il drago distraendolo con un incantesimo d’acqua e poi si diresse verso la tenda correndo più veloce che potesse. All’ultimo momento, però, il Grugnocorto si voltò verso di lui e con la coda fendette l’aria per poi lanciare un’altra vampa.
Ci fu un altro respiro trattenuto dal pubblico. Auror strinse la mano del Serpeverde vicino a lei prima di accorgersi che fosse Theodore Nott. Appena si accorse di chi aveva vicino, mollò la presa e si voltò a guardare la sfida fingendo di essere presa.
Nott, al contrario, non mollò la presa.
“Guarda, bellezza, che sono già fidanzato...”
Auror prese la strada dell’indifferenza.
“Ma un giretto con te me lo farei!”
Uno schiaffò violento lo colpì in pieno volto.
La vampa, fortunatamente, non era stata abbastanza lesta, e Diggory era riuscito a infilarsi nella tenda con un salto.
Il pubblico divenne un’onda che si alzò come una sola persona, gridando con gioia e allegria.
Lo striscione si rialzò in aria, sorretto dai Tassorosso orgogliosi che urlavano a gran voce l’inno con una tale forza e una tale vitalità che anche dopo molto dall’uscita di Cedric le voci dei suoi compagni risuonavano, sole nell’immensità dell’arena.
Uno sparo di cannone annunciò l’entrata del secondo Campione.
Curiosa, Shaula si protrasse verso l’interno dell’arena, aspettando di vedere chi fosse stato, stavolta, il fortunato (o meglio, lo sfortunato).
Per l’entrata di Fleur, l’ovazione fu minore: con la sua presunzione e quell’odioso accento francese, la ragazza si era fatta pochi amici tra i Corvonero più pieni di sé, mentre tutti gli individui di sesso maschile, insegnanti esclusi, le facevano il filo da quando era entrata in quella scuola.
Il drago era già nell’arena, un Gallese Verde dallo sguardo ostinato e ostile. Fleur deglutì lievemente quando lo vide, ma solo lo sguardo dei ragazzi si posò sul suo viso nervoso e lievemente verde: la maggior parte degli studenti si concentrò sulla sua gonna che lasciava trapelare le gambe bianche e perfette e che lasciava ben poco all’immaginazione.
Zach rimase a guardarla senza capire granché. Un istante prima l’aveva vista agitare la bacchetta e l’istante dopo la vide muoversi intorno al drago, mandando all’indietro i capelli dorati e muovendo i piedi come a passo di musica…
Sembrava…
Quasi…
Danzare…
Ma cosa importava, in fondo? C’era solo lei, al momento, lei che muoveva i capelli, che sorrideva e ballava davanti a uno stupido drago.
Beh, qualsiasi cosa stesse facendo, la stava facendo piuttosto bene: non ci volle molto prima che il drago cominciasse a barcollare sul posto, confuso, richiudendo a scatti gli occhi che, istante dopo istante, divenivano sempre più sonnolenti…
Pochi istanti ancora…
E cadde addormentato nell’arena, con un tale fragore che la terra sotto di lui si mosse, risvegliando d’improvviso tutti i ragazzi nelle tribune.
La ragazza si avvicinò lentamente alle uova accanto al drago che, misteriosamente, erano sopravvissute alla caduta del bestione nel bel mezzo dell’arena. Forse però non era stata una coincidenza.
Il silenzio regnava sovrano. Perfino Bagman, che fino a due secondi prima aveva urlato incitando la giovane ora era silenzioso, in attesa, il fiato sospeso mentre la mano di Fleur si serrava sull’uovo dorato…
Lo afferrava…
Nell’istante in cui finalmente se lo strinse al petto, il Gallese sbuffò lievemente, emettendo una vampa tanto piccola quanto mortale. Fleur riuscì a scostarsi prima che la prendesse in pieno viso, ma in compenso la sua gonna si bruciò sul bordo, facendola diventare paonazza e poi bianca.
Alla velocità della luce, Fleur si ritirò nella tenda, correndo come un’isterica tentando di spegnere il bordo della gonna.
Un applauso minore accompagnò la sua uscita di scena, e già subito che probabilmente avrebbe ottenuto il punteggio minore dei quattro.
Selene si appoggiò il viso sul mento, sbuffando: in confronto all’esibizione di Diggory quella era stata così miseramente epica che aveva visto anche un paio di sbadigli da parte dei Serpeverde.
Niki si passò una mano sotto gli occhi, iniziando a sentirsi annoiata da quella storia. C’era da sperare che le esibizioni di Harry e Krum fossero abbastanza degne di nota, ed effettivamente c’era da aspettarsi che lo fossero considerato di quanta fama entrambi godessero.
“Che scena patetica…” commentò Theo accanto a lei, sbuffando e mostrandosi poco impressionato. La scenetta era stata carina all’inizio, con quei due o tre passi di danza e quelle sue smorfiette, però si era dimostrata ben presto assolutamente priva di attrattiva per il genere maschile. Anche se, lo doveva ammettere, quando la gonna di Fluer aveva preso fuoco aveva trattenuto il respiro anche lui.
“Noia…” confermò Niki tenendosi la testa tra le mani e passandosele poi sul viso con fare distratto.
Theo sorrise e le si avvicinò per stringerle il corpo con un braccio, e lei si appoggiò alla sua spalla mentre il Gallese veniva portato via a fatica dall’arena: era ancora addormentato e quindi gli uomini procedevano con doppia cautela, timorosi che potesse svegliarsi.
“Se vuoi puoi addormentarti sulla mia spalla se anche l’esibizione di Krum sarà una noia…” le offrì lasciando che chiudesse gli occhi mentre veniva fatto entrare un altro drago e dall’interno dello stadio si udivano i ruggiti feroci degli altri draghi. Niki rabbrividì lievemente e si appoggiò ancora di più sulla spalla del ragazzo: profumava di Gelatine tutti i gusti +1 e budino al cioccolato. Sorrise lievemente e si strinse un po’ di più poi iniziò a giocherellare con un dito coi suoi capelli.
“Non credo sarà noioso, anzi…” sussurrò lei maliziosa, avvicinandosi al suo viso con un sorriso lieve sulle labbra. “Credo che sia solo tu che vuoi convincermi a dormire sulle tue spalle…”
Theo alzò le braccia sospirando.
“Non riuscirò mai a fartelo fare, eh?”
Lei scosse la testa.
“No, caro mio!” esclamò picchettandolo con un dito sul naso.
Ci fu un ennesimo boato, e Niki voltò la testa, conscia che Krum era entrato in campo.
L’espressione di Krum dimostrava un orgoglio e una sicurezza così forte che subito Evangelin storse il naso, guardandolo alzare le braccia al cielo con aria così tronfia che pareva avesse già vinto il Torneo.
Ed in un certo senso era anche vero: aveva l’appoggio di tutti i Serpeverde, e la fama ottenuta durante la Coppa del Mondo di Quidditch non era certamente ignorabile: probabilmente di tutti i partecipanti era quello con più possibilità di vincere.
Fu un combattimento estremamente breve eppure bastò a lasciare il pubblico a bocca aperta: tutti gli spalti esplosero quando il bulgaro lanciò un incantesimo contro il drago, colpendolo nell’occhio.
Le urla di dolore dell’essere furono così acute che molti furono costretti a tapparsi le orecchie, disturbati dal suono strindente.
Per un istante, a Beatrix quel suono ricordò il rumore raschiante di un gessetto sulla lavagna, il miagolio rauco di un gatto, il sibilio di un incantesimo che passava accanto alla nuca. Un suono indescrivibile tanto era intenso, eppure così sottile…
Vi furono urla e gemiti mentre Krum sfrecciava tra le zampe del drago, impazzito dal dolore, con molta meno agilità di quella dimostrata sulla scopa. Sembrava quasi che a terra i piedi palamati lo impedissero notevolmente, ed effettivamente era immaginabile che fosse così lento con quelle zampe da papera.
Le urla del drago continuavano, intervallate da brevi pause, mentre le sue zampe battevano sul terreno con una tale forza che esso tremava tutto.
Schizzi di gusci e di rosso albume sprizzavano dappertutto, tingendo la scena di un surrealismo irreale, e ben presto fu quasi impossibile distinguere qualcosa in quell’ammasso di corpi e sostanze: gli uovi rimasti integri, gli uovi frantumati, la figura di Krum tra le zampe del drago… Era quasi impossibile cogliere i movimenti del Campione, e Ludo continuava ad urlare eccitato e allo stesso tempo preoccupato.
Era la cosa più straordinaria che fino ad allora si fosse vista: un drago imbizzarrito, un Campione invisibile agli occhi di tutti e la consapevolezza che lì, da qualche parte, nella nidiata, c’era un uovo d’oro.
Fu un istante: il bagliore dal centro dell’arena, la figura scattante che usciva da sotto il drago, e la prova di Krum era terminata.
Ci furono alcuni istanti di silenzio, intervallati solo dal drago che ancora ruggiva e si lamentava, poi tutto lo stadio si alzò in piedi.
La prova di Krum era stata stupefacente e grandiosa, come si conveniva a un Campione degno di quel nome: nessun orlo della gonna bruciato o draghi addormentati, ma solo una scaltra mossa che gli avrebbe portato, tutti ne erano certi, la più che meritata vittoria.
Perfino Tassorosso e Grifondoro si unirono per qualche istante al giubilo: avevano comunque visto Krum alla Finale della Coppa del Mondo e, sebbene avessero tifato per l’Irlanda, quel ragazzo meritava di sicuro un elogio per ciò che aveva fatto.
Kristen batté così tanto le mani che quasi se le spellò. Daniel, accanto a lei, scosse la testa come se disapprovasse fortemente.
“Tifi per il nemico?” domandò, sbuffando contrariato.
“Quale nemico?” chiese Kristen, stupita per quella reticenza. “Sto solo applaudendolo per qualcosa che ha fatto…”
Daniel lasciò cadere le braccia, senza concedersi neanche un applauso.
“Sei proprio un guastafeste, Dan” commentò Kristen, abbassando anche lei le braccia.
“Non credo Potter potrebbe fare di meglio!” esclamò, tentando di farlo diventare di buonumore.
Daniel alzò gli occhi al cielo.
“Appunto” borbottò, ben conscio che non l’aveva udito.
Ma poco importava, perché il Petardo era stato portato via tra urla e gridi di paura, ed ora il più grande e terribile drago che avesse mai visto era nell’arena, pronto a combattere.
“Mi stupisco lo facciano scontrare con quello…” disse solo, sbiancando come un cencio.
Kristen alzò le spalle.
“Sarà…” poi sorrise. “Ma sarà divertente”.
Non ebbe modo di dire altro, perché in quell’istante Harry Potter entrò nell’arena.

Note d'autrice:
Scusatemi il ritardo, davvero, ma oggi ho ricominciato teatro e volevo fare un capitolo fatto bene...
Spero lo abbiate gradito e, anche se in ritardo....
BUONA FESTA DELLA DONNA!
Spero l'abbiate passata bene e spero che vi sia piaciuto questo capitolo più dei precedenti.
A me, sinceramente, piace più di quelli di prima, anche perchè almeno c'è un filo narrativo.
Vi saluto, ho il cervello in pappa che mi esce dalle orecchie...

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Capitolo 12
*** What could go wrong? ***


Il ragazzo si fiondò in Infermeria correndo lungo il prato a una velocità tale che gli sembrò quasi di avere le ali ai piedi. Le scarpe schizzavano spruzzi di fango ovunque, e i pantaloni della sua divisa si macchiarono irrimediabilmente quando un schizzo lo colpì alla caviglia.
Ma lui continuò, imperterrito, la sua corsa, il respiro affannato, lo sguardo fisso sulla tenda che si ergeva davanti a lui.
Quando entrò, la sua andatura rimase invariata: continuò a correre con una foga tale che andò a sbattere contro un’infermiera, ma non si fermò neppure un istante, rivolgendole solo un “mi dispiace” stentato.
Il cappotto nero era pesante e lo rallentava, inoltre il suo viso già madido di sudore divenne anche rosso con il calore che aleggiava nella tenda: il Sole sembrava essere voluto rispuntare dietro le coltri nebulose per illuminare quell’Infermeria improvvisata.
All’interno, molto più grande di quanto potesse sembrare dall’esterno, dei paraventi impedivano la vista dei pazienti. Si riusciva a scorgere solo l’ombra delle persone dietro alle tendine, che si ergeva scura sul bianco semitrasparente degli schermi.
C’erano almeno una decina di paraventi: alcuni ragazzi si erano feriti per colpa di alcuni Fuochi d’Artificio che erano stati sparati nelle tribune dei Grifondoro, e altri erano stati coinvolti in una rissa violenta.
Ma sapeva che dietro a una di esse c’era anche chi cercava: si guardò intorno, carico di apprensione, e appena individuò la tenda dietro la quale credeva di distinguere il suo profilo ci si scaraventò letteralmente contro.
Un istante dopo, John stava abbracciando Cedric, stringendogli le scapole con una tale forza che l’altro rimase alcuni istanti senza fiato.
“Ehi, Johnny…” riuscì a sussurrare solo, con un fil di voce mentre, lievemente impacciato, lo stringeva anche lui.
Il respiro di John era corto, il suo viso rosso, i capelli gli ricadevano sudaticci e sfatti sugli occhi: sembrava avesse appena partecipato a una maratona, cosa che non era del tutto falsa, in un certo senso.
Il Tassorosso sospirò sollevato, allentando di poco la stretta verso l’altro, rendendosi conto di starlo letteralmente soffocando.
“Ho avuto una paura matta…” sussurrò solo, chiudendo gli occhi e passandogli una mano sul collo nudo, come se volesse accertarsi che fosse vero e non uno scherzo della sua immaginazione. Un brivido gli percorse la schiena a quel contatto, ma fu solo un istante.
“Lo so” disse solamente Cedric, dandogli una pacca sulle spalle. “Lo so, Johnny…”
Il ragazzo sarebbe potuto rimanere unito a lui in quell’abbraccio per sempre, il viso appoggiato sui capelli madidi dell’altro, così grato che tutto fosse finito per il meglio che avrebbe potuto urlare di gioia…
Ma poi si rese conto di cosa stava facendo e, arrossendo, si staccò di gran fretta da Cedric, così improvvisamente che lui stesso ne rimase sorpreso.
Cedric aggrottò le sopracciglia interdetto:
“Ehi, cosa ti succede, campione?”
Johnny abbassò lo sguardo nel tentativo di mascherare il rossore che imporporava il suo viso e passandosi più volte le mani sulla faccia per tentare di farlo sparire. Il respiro era ancora affannoso e il suo petto cercava ancora disperatamente aria, ma il ragazzo sapeva che non era, stavolta, per la corsa appena compiuta.
“Non c’è niente di male ad essere emotivi ogni tanto, eh…” commentò sarcastico Cedric, sorridendo smagliante. Per un istante Johnny lo odiò e odiò quel suo dannatissimo sorriso: come diamine faceva a stregarlo semplicemente schiudendo lievemente le labbra? Come faceva a farlo sentire al settimo cielo guardandolo con gioia e orgoglio quando, ad un allenamento, si dimostrava particolarmente bravo? Come faceva a non accorgersi di quanto gli si facessero molli le gambe se solo rideva con quella risata cristallina come poche?
Come faceva a non accorgersi di ciò che provava per lui?
“Ehm… No, è che…” sussurrò, tentando di riparare all’errore appena compiuto e di non incrociare gli occhi grigi di Cedric. O sarebbe stata la fine.
Nello stesso istante in cui disse quelle parole, un’altre figura si fiondò nella tenda, alzandola con malagrazia e rimanendo per alcuni istanti ferma a guardare il ragazzo seduto sulla barella. Solo in quel momento John si accorse della bruciatura che deturpava il suo viso, ancora rossa come una ferita aperta ma meno orrenda di come gli era sembrata quando il drago l’aveva colpito.
La ragazza abbracciò anche lei Cedric, sospirando di sollievo contenta. Johnny si morse il labbro in un tentativo disperato di non considerare la scena, ma era praticamente impossibile.
Cho Chang avvinghiata a Cedric… La migliore amica di sua sorella abbracciata in quel modo al ragazzo che…
“Ma che ci trovi di strano, scusa?” replicò una vocetta stridula nella sua mente. Parlava con il tono saccente che prendeva Sarah quando tentava di convincerlo che una pozione si preparava in un dato modo che, naturalmente, era totalmente opposto a come fino a quel momento lui l’aveva preparata.
“Lei è la sua fidanzata, e tu non sei altro che un compagno di Quidditch…”
Vide le mani della ragazza carezzargli i capelli, e lui che le sorrideva, sussurrandole degli “Sta tranquilla” così accorati che Johnny iniziò a sentirsi fuori posto, lì, in quella situazione, mentre il ragazzo di cui era innamorato stringeva a sé la sua ragazza.
Ai più sarebbe potuta sembrare davvero una cosa comica. Ed effettivamente lo era. Avrebbe anche potuto permettersi un sorrisetto, se in quella situazione non ci fosse capitato proprio lui e se non l’avesse riguardato personalmente.
Ma purtroppo lo riguardava, lo riguardava eccome. E non aveva né la voglia né la forza per ridere della surrelità di tutto ciò che stava accadendo.
Si morse il labbro nervosamente e si allontanò senza voltarsi, ma continuando a guardare la scena tentando di mantenere un profilo il più possibilmente impassibile.
Le braccia di Cho si stringevano con possessività attorno al collo di Cedric…
I suoi occhi lo guardavano così pieni di gioia…
E poi le sue labbra si avvicinarono a quelle del ragazzo…
John divenne pallido, ma sapeva che non avrebbe più potuto voltarsi, ora che aveva visto, e girarsi sarebbe stato come dichiarare la propria fuga. E non voleva che Cedric lo vedesse fuggire davanti a quell’ochetta.
Così procedette lentamente all’indietro, le mani unite dietro la schiena, il viso contorto in una smorfia che tentava di mascherare il dolore e gli occhi azzurri sgranati e ancora pieni di quella visione che gli era stata offerta.
Quando sentì la stoffa della tenda alle sue spalle, a contatto con i suoi palmi, sussultò, come se qualcuno lo avesse appena svegliato da un sogno.
Poi riuscì a riprendersi e, lentamente, tenendo gli occhi bassi, uscì.
Fu solo quando fu fuori, all’aria aperta, salvo dallo sguardo curioso di Cedric, che riuscì a scrollarsi di dosso quella maschera e si lasciò andare in singhiozzi lievi, nascosto nelle proprie braccia, il corpo che tremava tutto, le gambe che minacciavano di non reggere più il suo peso da un momento all’altro. Qualcuno sarebbe venuto, di certo, e l’avrebbe visto in quello stato…
Avrebbero riso di lui, o avrebbero chiesto qualcosa…
Ma lui rimase dov’era, fermo davanti alla tenda, le guance rigate di segni sempre più evidenti, gli occhi rossi e lo sguardo vuoto di chi ha visto la morte.
Non era la prima volta che succedeva. Non era la prima volta che Cedric baciava Cho davanti a lui. E quella reazione non gli era cer sconosciuta.
Ma mentre Ally riusciva a resistere alla tentazione di urlare loro contro o di scoppiare a piangere, stringendo i pugni e richiudendo i pugni con forza, lui non ne era capace: le lacrime arrivavano semplicemente, senza che lui potesse fare molto per trattenerle, impotente di fronte alle emozioni che gli si accalcavano nella testa quando vedeva le labbra rosse e carnose di Cedric (quelle labbra tanto desiderate) a quelle sottili della Chang. Era come se piangendo le sue emozioni s riversassero fuori di lui, come se lasciandosi andare tutto ciò che lo affliggeva potesse sparire magicamente.
Ma John sapeva che non era così. Era solo un modo per anestetizzare il dolore, perché non c’era modo di farlo sparire del tutto, per sempre.
Non avrebbe mai smesso di guardare quelle labbra e immaginare che fossero unite alle sue, non avrebbe mai smesso di desiderare, con tutto se stesso, che Cedric non fosse così dannatamente, inconfutabilmente, etero.
“Sei un cretino, Taylor” si disse, con tanta forza che il suo corpo vibrò sotto il peso di quelle parole, come se a offenderlo fosse stato un Serpeverde. “Sei un grandissimo cretino”.
 
La festa nella Sala Comune era durata fino alle due di notte almeno. Harry, il diretto festeggiato, se n’era andato a mezzanotte scarsa nel Dormitorio, ma naturalmente ciò non aveva impedito ai Grifondoro di fare baldoria fino a quell’ora improponibile, senza considerare minimamente le lezioni che il giorno dopo li attendevano minacciose.
Beatrix si svegliò con due occhiaie sotto gli occhi talmente lunghe che, quando si vide allo specchio la mattina, trasalì inorridita: i capelli erano una massa informe e spettinata sulla testa, gli occhi verdi sembravano quelli della bambina dell’ “Esorcista” tanto erano diventati grandi. Kristen Harrowl le sbucò da dietro le spalle, il viso disteso e rilassato, e commentò con lo scuotere della testa e un “Non buono” così rassegnato che per un istante Bea ebbe voglia di piangere. Era orrenda, in tutti i sensi in cui la parola “orrenda” potesse essere intesa: sembrava una cavernicola appena tornata da una battuta di caccia, una sopravvissuta a una strage, un vampiro appena uscito dalla tomba.
“Dio se mi odio…” sussurrò, guardandosi sconsolata e tentando di sistemarsi i capelli alla bell’e meglio con le mani. Quella mattina la aspettava un’ora di Pozioni alla prima ora e tutto voleva meno che sfigurare con il professor Piton.
“Rimani così” commentò Kristen con una punta di ironia. “Piton adora le selvagge”.
Beatrix strabuzzò gli occhi e divenne di un rosso peperone così intenso che la ragazza si affrettò a dire:
“Scherzavo, eh…”
Alla ragazza caddero le braccia: si sentiva le palpebre così pesanti che avrebbero potuto caderle da un momento all’altro, le sue membra erano così rilassate che non sarebbe riuscita a fare un passo, e il suo viso era quanto di meno presentabile ci fosse sulla faccia della Terra.
“Ma se vuoi provare a conquistarlo non credo che così…”
“Finiscila, Kris!” ribattè Gwen Noctis dal suo letto, lanciando un cuscino nella direzione della bionda. Lei lo schivò senza problemi e ridacchiò divertita.
“Io lo dicevo per lei, eh. Se vuole fare colpo su Naso Adunco…”
“Il suo naso NON E’ così adunco” ribatté Beatrix stringendo i pugni. E per la seconda volta divenne rossa: aveva difeso il professor Piton. Ecco, non serviva altro per connotarla eternamente a leccapiedi totale.
Kristen alzò le sopracciglia perplessa.
“Credici tu…” commentò solamente, iniziando a pettinarsi con noncuranza.
Beatrix sbuffò: avrebbe voluto mettersi a piangere per quanto era frustrata. Non solo aveva una faccia così brutto che persino un cieco si sarebbe accorto di quanto era messa male, ma tra l’altro ora tutta la scuola sapeva della sua cottarella per Piton. Certo, forse un po’ era stata colpa sua… Tutta quella prontezza nel rispondere, e le not passate sui libri solo per imparare più cose…
Che lecchina che era.
“Se oggi venissi così di certo farei la figura dell’idiota, ma chi potrebbe accusarmi di avere una cotta per Piton?”
Al pensiero, una risatina le scappò.
Ma dopo pochi istanti, a Beatrix sembrò di sentire il rumore di una lampadina che si accendeva.
Certo…
Insomma…
Perché no? Era così semplice, e lei non avrebbe dovuto fare nulla… Era efficace, era perfetto…
Certo, forse la sua media si sarebbe abbassata lievemente, ma in fondo avrebbe guadagnato così tanto che una S invece che una E faceva poca differenza.
Nessuno avrebbe più potuto considerarla una lecchina, nessuno avrebbe più insinuato che avesse una cotta per Piton… Quale allieva innamorata del proprio professore si presenta coi capelli per aria e gli occhi spiritati nella sua classe?
Non avrebbe dovuto fare nulla…
Solo trascinarsi fino all’aula di Pozioni in quello stato, ignorando i commenti dei Serpeverde, ignorando gli sguardi storti…
Avrebbe potuto farlo…
Sì, perché no?
Perché no…
“Ma che diamine pensi?!?!”.
Beatrix si diede una manata in fronte che fece alzare la testa a Gwen nel suo letto. Lei gli sorrise imbarazzata e l’altra, alzando le spalle, ficcò di nuovo la testa nel cuscino. Immaginava già la faccia di Piton quando sarebbe entrata con mezz’ora di ritardo.
Con disperazione, iniziò a pettinarsi, tentando di risolvere la situazione impossibile che si ritrovava in testa, e con l’altra mano si schiaffeggiò e diede pizzicotti, tentando di riportare il colore sulle guancie bianche.
“Posso usare la tua terra, Kris?” domandò, voltandosi verso l’altra che si stava infilando la divisa con malavoglia.
“Mmh” grugnì quella. Beatrix lo prese per un sì e, con decisione, afferrò la borsetta posata sul letto di Kristen. La aprì con uno scatto (“Attenta, se perdo qualcosa mia madre mi ammazza”) e vi infilò la mano, tentando di districarsi tra smalti e rossetti.
Ogni anno la madre di Kristen pretendeva che la figlia portasse quella borsetta, ma a fine anno ritrovava i trucchi al suo interno ancora intatti, gli smalti ormai secchi, i pennelli immacolati.
Riuscì ad afferrare la terra con una mano, e con l’altra il primo pennellino che le capitò a tiro. Fatto ciò, si sistemò davanti allo specchio e iniziò a passarsela furiosamente sul viso.
Non era certo una lecchina… Però almeno non voleva sembrare il mostro di Loch Ness.
 
La serata era finita con alcuni Fuochi d’Artificio, la mattinata si era aperta nello stesso modo: i gemelli Weasley avevano sganciato nel Dormitorio due dei petardi, facendoli svegliare di soprassalto in mezzo agli urli di Neville Paciock che se ne era beccato uno in testa.
Tom scese in Sala Grande per la colazione strofinandosi gli occhi e sbadigliando così forte che quando Auror lo vide non poté fare a meno di commentare:
“Notte da leoni, eh?”
Tom sorrise lievemente.
“È dire poco…”
Auror lo seguì, curiosa di conoscere tutti i dettagli della serata.
“Allora, come è andata?”
Tom sbuffò e le fece notare, rivolgendo la testa verso Zach, seduto al tavolo dei Tassorosso:
“Il mio migliore amico è lì, se vuoi sapere qualcosa anche da lui…”
“Ah, preferirei di no” commentò Auror sardonica poi, chinandosi verso il suo orecchio, sussurrò:
“Lui ha già la sua”.
Tom inarcò le sopracciglia e, curioso, si sporse verso il tavolo per vedere meglio.
E la vide: capelli neri, ricci, occhi anch’essi neri, di qualche centimetro più alta di Zach, gli stava seduta accanto, con un largo sorriso.
Tom la notò solo dopo: la sciarpa di Serpeverde che gli incorniciava il viso. E gli sguardi seccati di qualche Tassorosso.
“No…” commentò solamente lui, aprendo bocca e sgranando gli occhi.
“Sì” disse solo Auror, dandogli uno scappellotto amichevole e sorridendo deliziata dal suo sguardo. “Quella lì fino a due giorni fa lo guardava solo da lontano…”
Tom stavolta concentrò la sua attenzione su lei.
“Ma… Ma dai, no! Insomma…”
Auror alzò un sopracciglio.
“Qualcuno che spia Zach? Ma come…”
“Non ci trovo niente di strano” commentò Auror, alzando le spalle con un sorriso. “Insomma… è piuttosto carino”.
Il ragazzo rimase un istante immobile senza proferire parola. Poi inarcò le sopracciglia e sussurrò, come se fosse stato scocciato:
“Devo per caso essere geloso?”
Auror scoppiò a ridere divertita e gli diede un pugno lieve sulla spalla, facendolo sorridere: quando rideva sembrava un po’ un angioletto, col suo sorriso a 34 denti e i capelli biondi che le incorniciavano il volto.
“Dio, Tom, e non stiamo neanche insieme…”
La ragazza sembrò buttare lì a caso quella frase, tra una risata e l’altra, come fosse stata la cosa più ovvia e divertente del mondo.
Eppure, quando la pronunciò, per un istante Tom sentì il cuore spezzarsi.
 
Fleur era seduta, silenziosa, due posti a destra da lei. Sembrava essersi ripresa piuttosto bene dall’esperienza con i draghi, visto che aveva ripreso il suo modo di fare spocchioso e si era addirittura dimenticata di lei, sebbene i giorni precedenti l’avesse cercata così intensamente.
In quello stesso momento si stava intrattenendo con tre ragazzi di Corvonero, seduti in adorazione accanto a lei, mentre la ascoltavano parlare come se fosse stata una creatura divina.
“È stato solamonte un attimo di debolessa, non volevo scerto for vinscere quel dragò…”
I ragazzi, che Kristen riconobbe come Roger Davies, Terry Boot e Michael Corner, annuivano fissandola in estasi, ridacchiando con gli occhi sbarrati e con dei “Oui” così smielati che Keira avrebbe voluto solo vomitare.
Sbuffò e afferrò una mela posata su un piatto accanto a lei, mordendola senza convinzione: anche a scuola era sempre stato così. Fleur esercitava un suo fascino sui ragazzi, che sembravano correrle dietro come cagnolini dietro un osso particolarmente succulento. Poteva capire che quegli occhi così scintillanti, quei capelli biondi e quel fisico così perfetto da sembrare quello di una statua greca fossero come un’esca per i giovanotti, ma non capiva cosa diavolo li spingesse a poter ascoltare, anche per cinque minuti, quella smorfiosetta col sorriso da angelo.
A Beauxbatons erano tutti più o meno come lei, in fondo: ragazzi con la faccia da Adone, ragazze che sembravano Afrodite, tutti certi che la bellezza fisica fosse quanto di più importante ci fosse al mondo. In mezzo a quell’esplosione di lustrini e finto, lei spiccava subito, ragazzina dai semplici capelli marroni raccolti in una coda alta, maglione larghissimo e jeans così alti che facevano sbuffare i più audaci. Certo, aveva ereditato in parte la fiera e algida bellezza dei Black, ma si curava così poco del suo aspetto (e gli importava così poco del suo aspetto) che solitamente indossava vestiti che non la facevano risaltare: era infagottata in felpe extralarge, t shirt nere e pantaloni strappati. Questo naturalmente quando non aveva la divisa. Che era un vero incubo.
Probabilmente era per questo che Syrena l’aveva notata: in quel mare di macchie bianche, lei spiccava immediatamente, col suo nero addosso, quell’espressione di fiera sicurezza quando, senza paura, rispondeva a tono a Madame Maxime, il sorriso scoraggiato con cui accoglieva le ore di lezione come una martire accetta di essere uccisa. In quei momenti le piaceva quasi considerarsi Giovanna D’Arco: fiera anche davanti alla morte, con la testa alta e una certa dose di sicurezza sconsiderata.
Syrena apprezzava particolarmente la sfrontatezza delle persone: ricercava solitamente persone che sapessero tenerle testa, lei e quel suo caratterino, persone che conversassero con lei di argomenti scottanti senza mostrarsi scandalizzate o senza che urlassero “Mon Dieu!” come delle gallinelle in calore. Spesso si era trovata a chiedersi, dopo che l’aveva conosciuta, come diamine ci era finita lei in quel posto: era tutto meno che civettuola, e i suoi modi si avvicinavano più a quelli di un pitbull sgraziato che a quelli di un “grazioso usignolo”, come Madame Maxime continuava a ripetere, con una tale insistenza che a Keira era venuta la nausea a furia di sentirselo dire.
Forse così l’aveva notata: di certo anche lei doveva sembrare totalmente fuori posto, con quella gonna addosso e gli occhi che imploravano che gliela togliessero.
Syrena era una vera e propria contraddizione naturale: se da una pare era sì propensa alla grazia come lo era una foca monaca, allo stesso tempo aveva un qualcosa nei movimenti, negli occhi, nel corpo che trasudava bellezza da tutti i pori. Odiava le buone maniere e la convenzione, eppure riusciva ad essere beneducata in una maniera così naturale che Keira se ne stupiva sempre.
Era così che l’aveva notata per la prima volta: durante una lezione di Difesa contro le Arti Oscure, un suo incantesimo le era riuscito particolarmente male e la sua bacchetta era caduta a terra, sotto lo sguardo di disprezzo e rassegnazione di Madame Maxime e quello di scherno delle sue compagne.
Lei si era chinata a raccogliere la bacchetta, sospirando, e allora le loro mani si erano intrecciate.
Strano che non l’avesse mai davvero vista. Certo, sapeva della sua esistenza, erano in classe insieme.
Ma mai si era davvero accorta che quella ragazzina fosse in classe con lei, mai aveva davvero visto quanto fossero belli i suoi occhi, mai aveva potuto anche solo esserle amica. Come se lei avesse amici, in fondo.
La vide in quel momento, mentre raccoglieva la bacchetta da terra con lei e le sorrideva amichevole. Aveva un sorriso estremamente strafottente, ma non strafottente come quello delle altre: la sua era una strafottenza verso loro, non verso lei. Le guardò per un istante e sbuffò, restituendole la bacchetta con un ultimo sorriso.
Da quel momento Keira fu sempre più attratta da quella giovane come da una calamita: Syrena aveva gli occhi più belli che avesse mai visto, e lei li teneva d’occhio in ogni loro movimento. Era come se non potesse farne a meno, era una necessità così impellente che non si era mai neppure chiesto se fosse normale ciò che le stava accadendo.
Continuò così per una settimana.
Poi Syrena le rivolse finalmente la parola.
Per come era andata a finire, Keira avrebbe quasi preferito che non l’avesse mai fatto.
 
C’era odore di succo di zucca nell’aria, e di brioches appena sfornate. Chiunque avesse cucinato ci aveva davvero messo un grande impegno, si disse Simon. Afferrò un dolcetto e, con voracità, lo addentò, godendo della crema che fuoriusciva ai lati e leccandosela via dal viso con la lingua. Era straordinariamente dolce, tanto che pensò, per un istante, che uno solo di quelli gli avrebbe procurato un mal di denti perenne. Ma scacciò via il molesto dubbio e diede un altro morso, stando stavolta più attento alla crema.
Aveva l’unghia che trasudava inchiostro: gli era scivolato sulla mano quella mattina per colpa di un Serpeverde particolarmente imbranato, e aveva passato gli ultimi, concitati minuti prima della colazione cercando di toglierselo dal palmo. In gran parte ci era riuscito, ma l’unghia era rimasta nera. In un tentativo disperato di asciugarsi, la passò sul tovagliolo appoggiato sul tavolo. Il segno che rimase fu tanto netto e sottile che Simon rimase alcuni istanti immobile a osservarlo, come in contemplazione.
Poi passò nuovamente l’unghia sul tovagliolo, facendo in modo che la retta incrociasse la prima, e così continuò a muovere il suo dito sul foglietto come un pennello sulla tela: nella sua mente e sul tovagliolo il disegno prendeva vita, sotto l’abile movimento del suo dito e il fantasticare della sua mente.
Lentamente continuò nel suo percorso, osservando gli intrecci di linee affascinato, senza fermarsi un istante per contemplare come procedesse: era sicuro nel suo percorso, come se una qualche forza l’avesse guidato in quel viaggio, come se avesse già delle linee tracciate da seguire.
Quando sollevò dal tovagliolo il dito, l’unghia era completamente pulita e il disegno sul tovagliolo era nitido e preciso: il giardino di casa sua in tutta la sua bellezza primaverile, avvolta di quell’alone magico che pareva avere quando era troppo piccolo per capire chi fossero i suoi genitori, prima di capire quanta falsità ci fosse in realtà nel loro amore verso di lui.
Osservò il disegno per un istante, sorridendo tra sé e sé. Clarisse e Steven non avevano mai accettato quel suo lato artistico e non l’avevano mai incoraggiato. Anzi, avevano tentato in tutti i modi di tarpargli le ali, con parole pungenti, sguardi glaciali e, a tratti, anche botte. Simon era quasi certo che rimpiangessero in maniera assurda il tempo in cui lanciare una Maledizione senza Perdono era tutto fuorché un peccato, e si chiedeva se mai ne avrebbero lanciata una su lui. Beh, di sicuro c’erano state occasioni in cui avrebbero voluto e potuto farlo, ma si erano fermati in tempo.
Con un fremito dei pugni, accartocciò il fazzoletto con un gesto di stizza, tentando in tutti i modi di sopprimere la vocina che, insistente, gli chiedeva di spiegarlo. Non poteva permettersi quelle piccole debolezze.
Non poteva permettersi “frivolezze artistiche”. Come le chiamava sua madre.
“Wow…”
Simon sobbalzò, sorpreso. Non si era reso conto che qualcuno era rimasto ad osservarlo, alle sue spalle, curioso di vedere che cosa stesse mai facendo.
“Non… Non è come sembra…” commentò solo, non sapendo che altro dire. Se sua madre sapeva che disegnava ancora (o meglio, che tentava ancora di disegnare) l’avrebbe subito cacciato di casa. Se fosse stata misericordiosa. Un vero peccato che sua madre non fosse molto incline alla pietà quando poteva infliggere dolore.
Si voltò lentamente, quasi timoroso, tentando di mantenere la presa sul fazzoletto e accartocciandolo un po’ di più nel pugno chiuso.
Poi la vide.
Aveva un’aria stranamente familiare, eppure non sapeva spiegarsi il perché. Era sicuro di averla vista da qualche parte, ma dove? Certo, era di Hogwarts di sicuro: non aveva parlato né con un accento marcatamente francese come quei boriosietti di Beaubcomesichiamava, né nordico e freddo come quello di Durmstrang. Probabilmente, come tante altre ragazze, le aveva viste nei corridoi di sfuggita. In fondo Hogwars era così grande…
Ma il viso di quella ragazza era familiare, conosciuto. E lui non ricordava di certo tutti i volti di tutte le ragazze presenti a Hogwarts.  Neanche Draco Malfoy, che forse se ne era passate la metà, poteva vantare un simile “talento”.
“Disegni molto bene” disse la ragazza, alzando le spalle, come se lui non avesse parlato.
Simon sapeva di essere pallido come una lastra di granito, ma tentava di ignorare la sensazione di gelo che lo attanagliava tutto al pensiero della Maledizione Cruciatus che lo aspettava a casa. C’era sempre una prima volta per ogni cosa, e i suoi non si sarebbero lasciati sfuggire l’occasione di certo…
“Ehm… Grazie” disse solo, tentando di sembrare il più sicuro possibile. Era pur sempre un Serpeverde e un Hale!
“I tuoi devono essere molto fieri di te!” esclamò la ragazza, sorridendo gioiosa.
Simon rimase zitto. Non sapeva cosa dire. E in fondo non c’era neanche bisogno di dire qualcosa. Non la conosceva, e non doveva certo giustificare quel silenzio…
La ragazza increspò le labbra, come se fosse insoddisfatta e, a passo di marcia, si diresse al tavolo dei Tassorosso, senza dire nulla.
Fu allora che Simon si ricordò di lei: era bastato che si esibisse in quella smorfia di disappunto per ricordargliela. La ragazza del treno per Hogwarts.
 
La ragazza discese nella Sala Grande a passi lunghi e misurati, con una tale decisione che i tacchetti delle scarpe risuonavano sulle scale marmoree con un ritmo quasi melodico.
Lo sguardo indagatorio che lanciò, guardandosi intorno, abbracciò tutta la sala, dal tavolo dei Grifondoro, al centro, a quello dei Serpeverde a cui era diretta.
Aveva gli occhi cerchiati da occhiaie scure, i capelli raccolti in una coda di cavallo scompigliata, le pupille vuote e lo sguardo vuoto.
Eppure in fondo a quegli occhi si poteva anche leggere determinazione, una determinazione decisa e forte, prorompente come un fiume pronto a straripare, equivalente solo alla forza con cui un uragano spazzava la terra.
Così appariva lo sguardo di Harmony mentre scendeva in Sala Grande, la divisa abbottonata alla bell’e meglio, in una maniera così casuale e poco curata che pareva chiaro la ragazza avesse tentato di toccarsi il meno possibile infilandosela.
Aveva un’aria vissuta, quasi temibile, col suo sguardo fiero e pieno di decisione, il viso scavato e la bocca rossa che risaltava sulla pelle bianca. Era tanto diversa dalla normale Harmony, quella visione, tanto diversa dalla ragazzina allegra che passava inosservata, che il tavolo dei Serpeverde ammutolì quando la vide.
Lei non rispose a quel silenzio: come se niente fosse successo, si diresse verso quello che doveva essere il suo posto accanto a Draco.
La tensione era così netta e l’assenza di rumore così forte che si sentivano le sue scarpe sul pavimento, mentre si avvicinava, scrutando il compagno dall’alto al basso e guardando i Serpeverde con un sorriso sardonico, come se avessero appena detto una battuta particolarmente divertente.
Pansy Parkinson, seduta accanto a Draco, le rivolse anche lei un distratto sguardo, per ammutolire di fronte al cambiamento. Divenne pallida quasi quanto Harmony e spalancò la bocca, come se davanti a lei ci fosse stato un Minotauro o un’altra creatura mitologica.
“Ti entreranno i moscerini in bocca, Parkinson” commentò la ragazza, senza aggiungere altro ma scrutandola truce. Il messaggio era chiaro ed arrivò, sebbene, prima di alzarsi silenziosamente sotto lo sguardo attonito e stupito della tavolata Pansy le lanciò a sua volta un’occhiata di disprezzo tale che, per un istante, qualcuno sussurrò addirittura “Rissa, rissa”.
Poi, con aria sin troppo concessiva, Pansy si sedette accanto a Blaise Zabini, continuando a guardare però la ragazza in cagnesco.
Harmony la ignorò bellamente e, senza posare lo sguardo su nessuno, si sedette come fosse stata la cosa più naturale del mondo al fianco di Draco.
Quello, che era divenuto muto nell’istante in cui l’aveva vista scendere le scale con la coda nell’occhio si affrettò a sussurrarle all’orecchio, allarmato:
“Harm, forse è il caso che tu ti riposi un po’…”
Lei, senza guardarlo, disse solo, laconica:
“Credo di aver riposato abbastanza, grazie Draco”.
Poi, senza aggiungere altro, iniziò a mangiare silenziosa.
Più che mangiare inghiottiva piccoli bocconi, in realtà: un pezzetto di pane, un morso da un biscotto, un po’ di succo di zucca. Sembrava dover ancora riprendere il controllo del proprio stomaco e per questo mangiava poco, per tentare di riabituarlo poco alla volta.
La tavolata aveva smesso di considerarla quando si era chiusa in un mutismo totale, scacciando ogni domanda col silenzio assoluto, e così i Serpeverde avevano ripreso a parlare normalmente tra loro, come se nulla fosse accaduto.
Harmony non disse nulla fino alla fine della colazione quando, avvicinatasi a Draco, chiese in un sussurro:
“Per caso la Noctis fa parte del Club dei Duellanti?”
 
Shaula si diresse verso il Dormitorio, sbuffando contrariata.
“Questi stupidi libri…”
Era la terza volta dall’inizio dell’anno che ne dimenticava qualcuno o che li lasciava in Sala Comune, su una poltrona, pronti per essere infilati nella borsa ma mai infilati.
La corsa le tolse il fiato, per quanto veloce stava andando: la Cooman non era affatto comprensiva, sebbene quel suo sguardo perso potesse lasciare intendere un animo accondiscendente e paziente.
Quella mattina, poi, la prospettiva di mangiare con Zach l’aveva fatta svegliare presto, agitata e eccitata al contempo, con un sorriso largo sulle labbra che andava da un orecchio a un altro. Era strano sentirsi così per qualcuno che, in fondo, era tutto l’opposto di come era lei: tanto controllato e dolce era Zach, tanto decisa e autoritaria era lei. Ma in fondo, cosa importava? Quel ragazzo si era dimostrato sin dall’inizio un compagno comprensivo e un amico gentile. Non sapeva neppure come definirlo, in fin dei conti: amico? Conoscente?
Fidanzato?
Per un istante, Shaula rifletté su quella parola sorridendo come un ebete.
Poi, qualcosa interruppe d’un tratto il flusso dei pensieri: un braccio le sbarrò la strada, e lei trasalì, tenendosi il petto spaventata. Era stato un gesto così improvviso che ora le mancava anche il fiato per dire qualcosa. Ma ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, deglutendo,  riconoscendo per un folle istante le braccia che tante volte l’avevano stretta, talora protettive, talora gelose.
“Adrian…” sussurrò timorosa, talmente lievemente che si stupì che avesse anche solo potuto sentirla.
Adrian Pucey aveva lineamenti marcati, zigomi alti, occhi penetranti e color del ghiaccio, così intimidatori che era stato soprannominato dai più “Pucey occhi di vetro”. Era così grosso che sembrava un muro più che un essere umano: massiccio, con braccia spesse e straordinariamente pelose, gli addominali visibili sotto la maglietta della divisa. Aveva uno sguardo iniettato di veleno, tanto forte che avrebbe potuto giurare, per un istante, che con uno solo dei suoi occhi avrebbe potuto ucciderla sul colpo.
“Shaula” salutò lui, con un tono freddo e distante, come se stesse parlando con pezzo di ghiaccio invece che con una persona. Alla ragazza corse un brivido freddo lungo tutta la spina dorsale, mentre la osservava con l’aria di un cacciatore che, soddisfatto, arriva alla preda. Per un istante il suo istinto di sopravvivenza le suggerì di allontanarsi il più in fretta possibile da quel luogo. Poi l’orgoglio prevalette e lei si raddrizzò con coraggio, tenendo la testa ben alta di modo che potesse guardarla in viso.
Le gambe le tremavano incontrollabilmente, nonostante tutto, ma tentò di non darlo vedere al ragazzo che le stava davanti.
Quello, da parte sua, si lasciò scappare un sorrisetto malefico e mellifluo, di quelli che le rivolgeva ogni tanto, così letali da sembrare pugnalate ben piantate nelle costole. Faceva male. Troppo male.
“Ho sentito che ti sei messa con un Tassomolle…” commentò Adrian, appoggiandosi alla porta del Dormitorio. Solo allora Shaula si accorse che sarebbe potuta entrare facilmente lì prima che il corpo del ragazzo la bloccasse fatalmente. Sarebbe potuta sgattaiolare via…
Ora non aveva via di fuga.
Era un topo in trappola.
Era messa nell’angolo, senza possibilità di fuga.
Aveva perso prima che la partita cominciasse.
“Io…” bisbigliò, tenendo la testa sempre alta. Probabilmente il mento stava tremando in maniera tutt’altro che invisibile. Come tutto il resto del suo corpo.
“Non siamo fidanzati, se ti interessa saperlo!” disse, tentando di suonare il più intimidatoria possibile. “E… E non sono affari tuoi, tra l’altro!”
Lui ridacchiò, di una risata secca, roca, fredda. Da far venire i brividi e gli incubi la notte.
“Oh, Shaula… Proprio un Tassorosso?” le sussurrò, avvicinandosi pericolosamente ma tenendo sempre un braccio pronto a sbarrarle il passaggio.
“Dopo aver avuto me… Un banale, patetico Tassorosso?”
Lo disse in un tono di tale disprezzo che a Shaula salì il sangue alla testa. Il viso di Adrian era a pochi centimetri dal suo, le sue labbra lì, desiderabili come erano state quando lei aveva ceduto al loro fascino proibito. Erano ancora belle da morire. E la sua bocca chiedeva intensamente un altro bacio.
“Se vuoi saperlo, Zach NON E’ affatto patetico. È… Un bravissimo ragazzo” concluse lei, senza sapere cos’altro dire.
Rimase ferma, guardando il viso di Adrian che si distendeva, sardonico, in un’altra risata sprezzante.
“Oh, Shaula, mi fai morir dal ridere, davvero…”
In fondo, si disse con il coraggio che le era rimasto, non era temibile come ricordava: non le aveva ancora messo le mani addosso, cosa che, con il segno di poi, in fondo aveva fatto solo una volta.
“Mi lasceresti passare, Adrian?” chiese, sibilando ogni parola come un serpente. Avrebbe voluto sputargli in faccia tutto il disprezzo che provava per lui, quanto lo detestasse, quanto gli facesse schifo. Ma era una mossa troppo avventata. Meglio procedere a passi lenti e misurati. Non buttarsi subito nella mischia. Avrebbe solo combinato un grandissimo casino. Come era suo solito.
Lui si concesse un ultimo ghigno. Poi, senza dire nulla, la fece passare con un gesto della mano esortativo.
Shaula lo fissò circospetta, cercando di capire se stesse tramando qualcosa. Ma il suo viso non tradiva macchinazioni, il suo sorriso pareva quanto di più sincero potesse offrire, il suo sguardo era acceso da una scintilla che, sebbene malefica, non pareva così intimidatoria come lo era stata altre volte.
La ragazza appoggiò, con fare prudente, un piede sullo scalino, continuando a fissarlo negli occhi.
Occhi grigi, duri come il marmo.
Quelli di Zach erano verdi e pieni di vita, come prati in primavera, allegri e dolci.
Nonostante tutto, Shaula sapeva che avrebbe continuato a preferire quelli di Adrian.
Poggiò l’altro piede sull’altro gradino.
Ne rimaneva uno solo.
Adrian continuava a stare buono, immobile nella sua postazione, senza dire né “se”, né “ma”, e senza accennare a voler fare qualcosa.
Forse fu l’eccessiva fiducia che riponeva in lui.
Forse il fatto che era esausta di quella tensione snervante.
Forse il fatto che, in fondo in fondo, lo volesse disperatamente anche lei.
Fatto sta che, sull’ultimo gradino, lei abbassò lo sguardo da lui.
La presa sul polso fu improvvisa, e così dolorosa che le sfuggì un gemito.
Adrian la attirò a sé con tutta la sua forza, sbattendosela al petto senza curarsi di non farle male.
Il respiro le si mozzò in gola quando si ritrovò col torso contro quello di Adrian, gli occhi grigi di lui puntati nei suoi, le sue mani di serpente sulla sua vita.
Era una situazione così assurda che non ebbe la forza di ribattere.
Forse non lo voleva neppure.
Il ragazzo le prese la testa, afferrandole i capelli con una forza che già una vota aveva sperimentato, e gliela reclinò all’indietro. Shaula gemette di nuovo.
Sentì le sue labbra passare sul suo collo, avide, viscide, appiccicose.
Affamate come non erano mai state,  forse alimentate dalla gelosia crescente, forse semplicemente desiderose di farlo.
Lei tentò di strattonarlo, tentò una minima resistenza che potesse giustificare quell’atto. Ma non ne trovò: i suoi arti erano come congelati, impossibilitati al movimento, immobili sotto le mani di Adrian che, dalla testa, passavano al collo, alla schiena, all’orlo della gonna che, lentamente, tentava di far scivolare via…
Solo allora i suoi sensi si riattivarono e fu conscia di ciò che stava per fare: gli afferrò la mano colpevole e, tremando ancora tutta, la scostò dalla sua vita.
“Basta…” sussurrò semplicemente, guardandolo decisa negli occhi. “Io… Ci siamo lasciati, OK?”
Tentò di chiarire, sebbene neanche a lei fosse completamente chiaro: era straordinario l’effetto che poteva farle quel ragazzo.
Lui sorrise, mellifluo, come un gatto sornione che guarda, beato, il suo pasto.
“Io lo so che quello lì è solo un ripiego” replicò lui, reclinando la testa lievemente e afferrandole il mento con le mani. Aveva una stretta straordinariamente salda.
“E lo so che un giorno ti stuferai di quel pappamolle, Shaula…”
Lo sussurrò, con sicurezza, con certezza, con la consapevolezza che la sua predizione sarebbe divenuta realtà.
Shaul deglutì, tenendo fissi i suoi occhi nei suoi.
Sapeva che aveva ragione.
 
L’intera scuola non faceva altro che parlare di quello, i corridoi risuonavano di bisbigli solo e unicamente su quello, le risate erano dovute a quello, i sorrisi storti che i dipinti rivolgevano ai ragazzini erano dovuti solo a quello.
La Prima Prova si era dimostrata “la cosa più eccitante della mia vita” secondo metà degli studenti.
L’altra metà conveniva scuotendo la testa, però tentava di mostrarsi superiore a tutto quel fanatismo che contagiava, stranamente (O forse no) soprattutto i “ragazzini” del primo anno. E pur di mostrarsi diversi da quei ragazzini invasati, preferivano commentare, ai loro “è stato meraviglioso!” altisonanti, con un’alzata di spalle e un “Sì, abbastanza…”.
Krum e Potter erano diventati in meno di dodici ore le star della scuola, e se da una parte le ragazze ne erano attratte per la loro vittoria schiacciante, dall’altra la loro non avvenenza fisica le disturbava alquanto. Era praticamente impossibile per loro immaginare un vincitore che non fosse alto, biondo, con occhi azzurri e addominali scolpiti come quelli di una scultura greca, e quella novità aveva un effetto di estraneità su loro.
Ma restava il fatto che, da quando quella giornata era iniziata, Harry aveva ricevuto tre bigliettini, due scatole di dolci e tre pasticcini. Tutto sotto lo sguardo di disgusto malcelato di Piton, che lo guardava come se fosse stato un cane da bastonare. Nella sua ora il ragazzo tentò di farsi quanto più piccolo possibile, ma ciò non gli impedì di lanciargli frecciatine più o meno velate, davanti ai sghignazzanti Serpeverde o semplicemente guardandolo con odio.
Sospirò, passandosi una mano sotto gli occhi, nel tentativo di cancellare le occhiaie: come molti in quell’aula, anche lui era stato (più che altro costretto) in piedi fino a tardi, festeggiando con allegria il fatto che fosse ancora vivo. O almeno, lui aveva festeggiato quello.
Naturalmente Piton non aveva permesso a sé stesso di sorvolare su quel fatto: appena i Grifondoro erano entrati in aula, li aveva accolti con un freddo “Siete diventati dei vampiri, per caso?”.
La Seconda Prova era l’ultimo dei suoi pensieri: sarebbe stata a primavera, e non era neppure Natale.
Sebbene la sera prima Hermione aveva insistito fortemente (“Dovresti tentare di capire cosa faccia quell’uovo!”), Ron si era dimostrato comprensivo e l’aveva zittita con un “E lascialo respirare…”.
Aveva visto Cedric di sfuggita quella mattina, e non negava che quello che avrebbe voluto di più sarebbe stato parlare con il Tassorosso: aveva bisogno di qualcuno con cui discutere di tutto quello che era accaduto nella Prima Prova, qualcuno che non commentasse con stupidi “Sei stato grandioso, ti sei divertito?”. Se nei primi momenti era stato quasi glorificante rispondere con dei sorrisi, ora era diventato straordinariamente snervante. Forse parlare con qualcuno che non avesse avuto il punto di vista di chi guarda passivamente sulle gradinate, che non avesse semplicemente assistito al tutto ma partecipato, che non avesse visto il drago con la consapevolezza che non avrebbe fatto nulla a loro sarebbe stato più liberatorio. E Krum e Fleur non sembravano disposti a parlare.
Non con lui.
Inoltre era da troppo che lui e Cedric si ignoravano, e la consapevolezza che quello che una volta era stato (e forse ancora era) uno dei suoi migliori amici lo riempiva di una tristezza infinita. E l’unica cosa che non voleva provare, dopo tutto il casino che era successo, era tristezza.
Nonostante Piton, i bigliettini che nascondeva sotto il banco, lo sguardo di tutte le Grifondoro che si sentiva addosso e quell’uovo d’oro che gli pesava orrendamente sullo stomaco, Harry non poté evitare, per la prima volta da quando quella storia era iniziata, di tirare un sospiro di sollievo: aveva sconfitto un drago, Ron era di nuovo suo amico, e prima di primavera niente e nessuno avrebbe tentato più di ucciderlo.
Cosa poteva andare storto, in fondo?
 
“Il Ballo del Ceppo???”
L’intera classe si voltò verso il rosso che aveva parlato, e Ron divenne d’un tratto cereo.
Hermione si chinò su di lui, cercando di evitare altri danni da parte del ragazzo.
“È una tradizione del Torneo Tremaghi, Ronald” spiegò, con una tale professionalità che per un istante ricordò la McGrannit. “Ho letto che si svolge ad ogni Torneo a Natale, ed è il momento centrale della competizione: è un momento di unione tra gli avversari e…”
“Ma si balla?” domandò Ron girandosi verso di lei, così bianco e terrorizzato che le venne paura che potesse venirgli un infarto.
“Beh, certo, Ron”, disse semplicemente Hermione.
Il rosso emise un gemito di disperazione così frustrato che la ragazza non se la sentì di fare il muso per la sfilza di informazioni che aveva accuratamente evitato: gli poggiò una mano sulla spalla e sussurrò un calmo “Va tutto bene, va tutto bene…”.
Dal suo posto, a Cho scappò un sorrisetto: sapeva già chi sarebbe stato il suo cavaliere.

Note d'autrice:
Picchiatemi.
Uccidetemi.
Ne avete il diritto.
Ma tentate di capirmi.
Ultimamente ho ricevuto anche recensioni neutre e, sebbene sia d'accordissimo col giudizio di chi le ha date e non la critico, insomma... La cosa mi fa sentire male e non poco. Certo, il penultimo capitolo era orrendo, ma nell'ultimo mi ci sono messa con tutta me stessa, e vedere una bandiera bianca per qualcosa in cui ci si è messa l'anima, sebbene si capisca le motivazioni di qualcuno, fa rimanere comunque un po'... Male.
Inoltre questo è un progetto davvero non facile, che mi impegna molto e che ha bisogno di molta attenzione.
E... Ho anche tutto il resto.
La scuola, i momenti in cui non voglio fare nulla, i momenti in cui sto sul computer senza fare nulla... insomma, capitemi: mi ci sto mettendo molto, aggiorno comunque, non vi ho abbandonato... Cercate di venirmi incontro: ho bisogno di sostegno, di qualcuno che mi dica che faccio almeno bene continuando questa storia... Certo, potete anche dirmi che fa schifo... Ma cercate di mettermi nei miei panni prima di farlo. Solo questo.
OK, dopo questo: che ne dite? In questo capitolo vengono fuori alcune tematiche che diventerannno portanti.
Cosa avrà in mente Harmony?
E cosa accadrà tra Shaula e Adrian?
Per il Ballo del Ceppo ci saranno centinaia di capitoli lunghissimi, LO GIURO, quindi spero di soddisfarvi :D Ho mille idee.
Se avete qualche idea su chi far andare con chi ditemelo! Altrimenti, of course, faccio io!
Al prossimo capitolo che spero arrivi il più presto possibile!

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Capitolo 13
*** Invitations-part 1 ***


Ernie si svegliò con un mal di testa così forte che si ritrovò a chiedersi se la sbornia che l’aveva colto qualche settimana prima fosse tornata a farsi sentire (quante persone erano capaci di ubriacarsi con un po’ di Burrobirra?).
Poi si disse, con un sorriso dolce amaro, che di sicuro tra tutti i problemi che poteva avere di sicuro la sbornia era l’ultimo dei tanti.
Merida lo ignorava da almeno un mese. Ernie non ricordava un periodo più lungo in cui non avesse neppure rivolto la parola alla sua migliore amica. Era quasi inconcepibile per lui pensare che per lei fosse diventato così insignificante da non meritare più neppure una singola parola. Forse non era mai stato davvero importante. Forse tutto l’affetto che avevano provato l’uno per l’altro era stato troppo flebile per poter essere definito “amicizia”.
Forse…
Ma Ernie sapeva cosa provava e sapeva cosa aveva provato. E se ciò che provava per Merida fosse davvero stato poco, era certo che ora non si sarebbe sentito in quel modo.
A passo incerto si diresse verso la Sala Grande, tenendo lo sguardo basso per paura di incontrare Merida: in quell’istante le ragazza scendevano dal loro Dormitorio, e non voleva rischiare di vederla. Era troppo doloroso pensare che mai più gli avrebbe rivolto la parola, o che gli avrebbe sorriso di quel sorriso largo e solare.
Il suo viso era tirato e gonfio di sonno: la sua notte era stata costellata di sogni assurdi di cui al mattino ricordava poco o nulla. Di una cosa era certo: tra i tanti volti, tra le tante voci, era certo di aver visto il viso di Merida e di aver udito la sua voce.
“Devo smetterla di mangiare pesante la sera”.
Prima che se ne accorgesse, era già arrivata nella Sala Grande, sballottato di qua e di là da qualche ragazzo di Tassorosso o sospinto, senza che neppure se ne fosse accorto, da dei Serpeverde. Era certo di essere anche inciampato in qualcosa, ad un certo punto, ma poco gli importava. Si sentiva così estraniato dal mondo che avrebbe potuto ricevere una martellata sulla testa senza accorgersene.
Era solo.
Solo soletto.
La sua migliore amica (o meglio la sua “non solo migliore amica”) pareva essersi dimenticato della sua esistenza e, cosa peggiore, non aveva fatto alcuno sforzo per ignorarlo per tutto quel tempo.
Non lo faceva perché avessero litigato, né per qualche ragione oscura: lo faceva semplicemente perché si era dimenticata che esistesse, che un tempo fossero stati amici, che tra loro ci fosse stato anche il benché minimo affetto.
L’aveva cancellato dalla sua vita, così, senza nemmeno chiedergli il permesso, senza nemmeno preoccuparsi della sua opinione, senza neppure domandargli se davvero lui non volesse più essere una parte, sebbene piccola, della sua esistenza.
Era così assurdo…
Era così ingiusto.
“Hai una faccia da schifo, cavolo”.
Si era così estraniato che balzò sulla sedia appena sentì la voce della ragazza.
Ci mise qualche secondo per riprendere fiato e realizzare chi fosse stato a rivolgergli la parola.
“C… Carine, giusto?” domandò esitante, guardando la ragazza castana davanti a sé.
La ragazza sorrise alzando lievemente un angolo della bocca.
“Ernie, giusto?” chiese lei, appoggiandosi con una mano al tavolo.
Lui annuì abbassando lo sguardo: il malumore non era certo passato.
“Sì…” sussurrò senza entusiasmo e afferrando il  bricco del latte. La mano gli tremava lievemente, tanto che temette per un istante di rovesciarlo miseramente sul tavolo.
“No, sul serio, hai un aspetto orrendo…” tentò lei, posizionandosi davanti al suo viso, imperterrita.
“Ti ringrazio” sbuffò lui, tentando di ignorarla. Non che fosse fastidiosa, ma tutto voleva meno che parlare con qualcuno. Non era affatto il momento giusto. Proprio per nulla.
“Posso fare qualcosa per aiutarti, Ern?” chiese lei. Ernie alzò gli occhi dalla sua tazza e la guardò imbarazzato: ci aveva parlato sì e no due volte e già lo chiamava con nomignoli affettuosi?
“Senti” iniziò, sospirando lievemente. “Io… Io non ti conosco bene e…”
Keira alzò un sopracciglio, con ancora quel sorriso stampato sul viso, poi ribatté, dolcemente:
“Beh, credo che a volte si possa anche parlare con gli sconosciuti, non trovi?”
Poi, appoggiando il gomito al tavolo, facendolo diventare di un rosso che tendeva al bordeaux, commentò secca:
“Di solito si parla meglio con gli estranei, non trovi?”
Ernie sbuffò con una smorfia.
“Diciamo che non ho molta voglia di parlare, ora”.
“Oh, a me sembra di sì” commentò Keira molto semplicemente. “Sembra che tu voglia dire tante, TANTE cose, ma che non trovi la forza di esprimere ciò che senti”.
Aveva uno sguardo così serio che Ernie inarcò le sopracciglia: quella ragazza gli era sembrato tutto meno che seria.
“Naturalmente, questo a me non importa” si affrettò a rimediare lei. Ernie si lasciò scappare una risatina: ecco, questo era ciò che si poteva aspettare da lei.
“Ma vedi, mi sento alquanto contenta stamattina, e il tuo musone mi fa venire una tristezza immensa. E sinceramente non voglio sentirmi triste”, spiegò lei con la massima naturalezza che poteva mostrare.
Ernie ridacchiò, abbassando di nuovo lo sguardo sul bricco.
“Beh, per certi versi hai ragione” concordò, inzuppando una brioche nel latte e dandole un morso deliziato. “Mi sembra di scoppiare…” borbottò, con la bocca impastata di dolce. Tentò di finire di masticare prima di dire altro, ma Keira gli fece cenno che per lei non era un problema.
“Ragazze?” chiese lei, servendosi di una brioche a sua volta. Alcuni Tassorosso le lanciarono delle occhiate storte, ma lei li ignorò bellamente, continuando a masticare con lo sguardo perso nel vuoto deliziato.
Ernie annuì inzuppando ancora la brioche e scuotendo la testa.
“Eh, che vuoi farci…” commentò Keira, servendosi di un pezzo di pane e marmellata. Ernie fece occhioni e così anche gli altri Tassorosso.
“Beh, sai, credo che dovresti farla ingelosire…” continuò incurante, appoggiandosi davanti a lui e mangiandogli in faccia. “Funziona sempre, assicuro io!”
Ernie pareva ora interessato:aggrottò le sopracciglia e si appoggiò anche lui al tavolo, la brioche ancora in mano, e chiese, curioso:
“L’hai mai sperimentato?”
Keira divenne rossa per un istante, ma subito riuscì a ricomporsi.
“Non proprio”, sussurrò a mezza voce, dando un morso vorace al pane. “Ma l’ho visto fare tante di quelle volte…”. Le scappò una risatina quasi nervosa: l’arte della seduzione a Beauxbatons era così radicata che aveva visto ragazzi lasciarsi dopo neppure tre minuti di presunta relazione.
“E…” Ernie masticò di nuovo. “Funziona?”
Keira alzò un angolo della bocca.
“Garantito al cento per cento” confermò con un cenno del capo.
Ernie spalancò gli occhi, seriamente stupito, poi, continuando a guardarla, diede un altro morso alla brioche.
“Potresti inviare una ragazza al Ballo con te, magari” propose Keira, con aria noncurante. “Sai, potrebbe seriamente ingelosirsi”, e diede un altro morso al pane.
“Ci credo poco” commentò Ernie, i cui occhi tornarono a velarsi di un cupo malcontento mentre tornava bruscamente alla realtà. “Sarà troppo impegnata a fissare gli occhioni del suo fidanzato Serpeverde”.
“Beh…”, Keira addentò la brioche. “In ogni caso…”, morso al pane. “Potrai andare con una bella ragazza e…”, morso alla brioche. “E cominciare a pensare a qualcun altro! Sai, nel caso lei…”, morso al pane. “Ti snobbi o cose simili!”
“Il tavolo dei Corvonero è da quella parte, se non te ne sei accorta” commentò acido Zacharias Smith, due posti a sinistra di Ernie.
Keira gli lanciò un’occhiata fulminante che lo fece arrossire lievemente, poi, con un sospiro, si diresse verso il suo tavolo, salutando Ernie con un “Ci vediamo, campione!” e un sorriso.
Ernie rimase alcuni istanti a fissarla mentre si allontanava.
Era davvero carina, in fondo…
 
Evangelin si svegliò con due borse enormi sotto gli occhi.
Anche l’ultima notte era stata costellata di incubi frequenti e per niente piacevoli.
Le capitava più spesso del solito, da quando quel Torneo era cominciato…
Ma ora aveva problemi decisamente più seri da risolvere: nessuno l’aveva ancora invitata al Ballo.
E questa non era decisamente una buona cosa.
“Ciao!” la salutò Neville avvicinandosi a lei dal tavolo dei Grifondoro.
La ragazza portò avanti le mani e disse tutto d’un fiato, per paura che la interrompesse:
“Sono stanca morta, ho bisogno di trovare un compagno per il Ballo, so che tu sei già impegnato, quindi scusa ma oggi non è proprio giornata!”
Neville rimase interdetto per un istante ma la lasciò passare verso il tavolo dei Tassorosso.
Arrivata al suo posto, Eve si accasciò letteralmente sulla sedia e appoggiò la testa nel piatto.
Aveva sonno.
Tanto sonno.
Come poteva credere che qualche buon anima le chiedesse di venire al Ballo conciata come un Troll? Come poteva credere che qualcuno la trovasse minimamente attraente, tanto da chiederle addirittura di essere la sua accompagnatrice?
“Sono senza speranze” sussurrò, socchiudendo lievemente gli occhi, cullata dal lieve brusio del tavolo.
Solo cinque minuti…
Solo un riposino…
“Scusa, sei tu Evangelin McCole?”
La voce le arrivò quasi ovattata, lontana eco nella sua testa. Riuscì ad annuire con uno sbuffo, e solo questo le costò un tale sforzo che subito decise che sarebbe risprofondata tra le braccia di Morfeo.
“Ehm… Sei… Sei libera per il Ballo?”
Un altro sbuffo. Si sentiva così stanca che avrebbero anche potuto chiederle se voleva gettarsi dalla torretta più alta, e lei avrebbe stancamente annuito.
“Io… Io…” sussurrò la voce, così agitata che Eve si decise ad alzare lo sguardo, incuriosita.
Davanti a lei c’era un ragazzo moro, dai capelli tagliati corti e gli occhi scuri, con lo sguardo agitato e la bocca semiaperta. Appena lei lo inquadrò vide che era rosso come un peperone.
Solo allora si accorse che l’intera tavolata dei Tassorosso li stesse osservando, e la consapevolezza la fece risvegliare almeno in parte. Gli sguardi dei suoi compagni erano tutti puntati verso il ragazzo davanti a lei e sul suo viso stravolto e sui suoi capelli disordinati. Poté anche sentire qualche risatina e, agitata, tentò di sembrare almeno un minimo più presentabile ravviandosi la chioma scura.
“Vorresti… Venire… A-al Ballo…” Il ragazzo ansimava per la vergogna e l’agitazione.
“Dai, Justin!” urlò qualcuno dal tavolo. Altre grida di incoraggiamento seguirono la prima, e solo allora Evangelin si rese finalmente conto di cosa stesse accadendo e divenne anche lei rossa.
Non le stava chiedendo…?
“Vorresti venire al Ballo con me?”.
Il ragazzo disse tutto d’un fiato, cosicché quando arrivò alla fine del discorso tirò un lungo sospiro per riprendere fiato.
Eve si trovò completamente spiazzata: era già rassegnata a una serata solitaria e passata a fare tappezzeria, e ora...
“Ehm…” bisbigliò, incerta. Sentiva l’intera tavolata trattenere il fiato, ed era quasi certa che anche qualche Grifondoro stesse guardando, incuriosito.
“Io…”
Si sentiva la bocca arida e la salivazione azzerata. Il ragazzo continuava a guardarla, speranzoso, con gli occhi imporporati di agitazione: sembrava essere stato troppo tempo sott’acqua e ora essere tornato a galla. Respirava a grandi respiri, uno dietro l’altro, con il viso ancora rosso. Cominciava perfino a sudare.
Per un istante lo sguardo di Eve incrociò quello di Neville.
Poi lei sussurrò, senza trasporto, “Certo che sì”.
 
Addentò con voracità un dolcetto, gustando la crema che fuoriusciva dai lati e leccandosela dalla bocca con un sospiro di piacere che fece girare non poche teste dal tavolo dei Corvonero.
Ricordava ancora quando sua madre preparava quei dolci ogni domenica mattina. Linda riusciva sempre a ricevere i più grandi e saporiti, e a lui rimanevano quelli che il palato e il capriccio di sua sorella non avevano spazzato via. Al tempo Lesath pensava che non ci fosse nulla di peggiore. Sorrise tra sé e sé ricordando il tempo in cui ciò che più lo preoccupava era il disperato desiderio di far colpo sui suoi genitori e la consapevolezza triste che avrebbero sempre preferito quella piccola e paffuta ragazzina capricciosa. Quanto tempo prima era stato? Tanto, troppo tempo prima.
I giorni dell’innocenza… Lesath ricordava a malapena il viso della piccola Linda, ormai. Non era altro che un ricordo sbiadito in mezzo a tanti altri, una delle tante voci nella folla, uno dei tanti rimpianti che lo tormentavano.
“Les, vieni a giocare con me?”
Cosa sarebbe successo, se non si fosse rifiutato?
“Vai da sola, Linda! Io e Susy  ti raggiungeremo dopo!”
Cosa sarebbe successo, se avesse detto di sì?
“Ti prego, Les, non voglio andare da sola…”
Cosa sarebbe successo… Cosa?
“Allora vai a piangere da mamma e papà!”
Non passava giorno che il ricordo del giorno in cui tutto era finito per sempre lo tormentasse, giorno in cui non sentisse la sua amara mancanza, giorno in cui non sentisse il cuore scoppiargli nel petto per essere stato tanto egoista e vile.
Come aveva potuto lasciare morire la sua sorellina? Come aveva potuto lasciarla andare così, su quel lago ghiacciato, incontro alla sua morte? Come aveva potuto essere così malvagio da dirle quelle parole?
Le ultime parole che le avesse mai detto…
Le ultime che Linda avesse mai sentito.
Lei si fidava di te.
Tu eri suo fratello.
Lei si fidava di te…
Lesath aveva passato anni tentando di dimenticare tutto meno che il suo sorriso, il suo viso dolce, il suo sguardo acceso, tutto ciò che di bello c’era stato in lei. Lesath aveva passato anni tentando di dimenticare i suoi pianti, i suoi capricci e quel giorno maledetto, quello in cui le aveva detto addio senza saperlo. Aveva tentato di dimenticare e aveva ricordato. Aveva tentato di ricordare e aveva dimenticato.
Non passava giorno…
Non passava minuto.
Non passava secondo.
La ferita faceva ancora così male, come se fosse stata più volte aperta, di nuovo,di nuovo e di nuovo.
Ripetutamente.
Continuamente.
Senza interruzione.
Questa era la sua maledizione.
E Lesath sapeva di meritarla più che mai.
“Sia già con chi andrai al Ballo, Les?”
La voce lo riscosse dai suoi pensieri.
“C… Come?” domandò stralunato, accorgendosi di aver perso gran parte della conversazione. Non che gli importasse qualcosa.
“Ho detto, sai già con chi andrai al Ballo?”
Susan ripeté la domanda con pazienza, sorridendo serena.
Di tutte le persone che aveva mai conosciuto, Susan Bones era stata l’unica che fosse mai riuscita a fargli provare qualcosa di simile alla pace: aveva un modo speciale di sorridere, e un modo speciale di ridere, e un modo speciale di stringergli la mano.
E un modo speciale di baciarlo.
Erano stati fidanzati, un tempo, quando ancora Linda era il suo cruccio peggiore solo perché favorita dei loro genitori, due bambini che non capivano nulla dell’amore, due bambini che si baciavano sulle labbra solo per assaporare il gusto del rischio.
Dopo la morte di Linda, i loro rapporti erano diventati quanto mai formali e indifferenti: oramai per Lesath tutti quei baci, tutte quelle paroline e quei giochetti da bambini non avevano più molto senso. Il senso di colpa gli rodeva dentro come un tarlo, e Susan era solo un’altra persona che tentava di ricacciarlo fuori da quel apatia assurda in cui era caduto.
Non che per un certo tempo Susan non avesse provato a rinsaldare i loro rapporti: aveva provato a farlo stare meglio, a baciarlo sulla guancia, a baciarlo sulla bocca, a farlo sorridere con barzellette scadenti. Ma per lui non c’era più pace se non l’oblio della notte, e anche quella era buia e tempestosa come il giorno.
Susan alla fine si era arresa al fatto che la loro storia com’era nata era finita: come un fiore era sbocciato e poi lentamente morto, calpestato dal freddo dell’inverno, ucciso dalla crudeltà degli uomini.
Ma non lo aveva mai rimproverato, né mai gliel’aveva fatto pesare: Lesath sapeva che, quando mai avesse avuto bisogno di conforto, Susan sarebbe stata lì ad accoglierlo a braccia aperte, paziente e dolce.
“N… No, veramente” disse spiccio Lesath, abbassando lo sguardo. Gli occhi di Susan, di quel azzurro turchino, lo mettevano sempre in una strana soggezione: erano calmi, ma non di quel calmo di chi è stato anestetizzato, ma di un calmo caldo e pacifico che sapeva tanto di casa.
Susan sorrise.
“Beh, perché se vuoi io sono libera…” bisbigliò lei, balbettando lievemente e diventando rossa.
Lesath alzò lo sguardo su di lei e la ragazza sorrise, arrossendo però un po’ di più.
“Grazie, Susy” disse solo lui, tentando di suonare più amichevole possibile. “Ci… Ci penserò”.
Lei sorrise di nuovo e il rosso sparì dalle sue gote.
 
Susan procedeva a passo di marcia verso l’aula di Difesa contro le Arti Oscure, tentando di camminare più velocemente possibile. La velocità la faceva sentire quasi più sicura, ma non era granché propizio tirare un sospiro di sollievo finché non avesse visto la famigerata porta che avrebbe dichiarato la sua salvezza.
Svoltò un corridoio con Pansy Parkinson e Elizabeth Glowmoon alle sue spalle, e, ignorando il battibecco che le due stavano sostenendo (Non capì neppure su cosa), vide finalmente la porta aperta.
Un calmo senso di sollievo si propagò lungo tutto il suo corpo, e per la prima volta da due giorni si sentì quasi contenta.
Non c’era.
Non c’era…
Si affrettò verso la porta mentre le due ragazze rimanevano dietro di lei, rimbeccandosi come due galline, i libri che le sobbalzavano sul petto come se volessero scappare.
Ancora pochi passi… E sarebbe stata salva.
Ancora pochi passi…
“Ci speravi, eh, Crimson?”
La voce la gelò sul posto, i libri ancora in mano e lo sguardo divenuto d’un tratto di ghiaccio.
“Zabini…” commentò solo, in un tono di calma indifferenza.
Il ragazzo le si era piazzato davanti, appoggiandosi alla porta con un sorrisetto divertito.
Odiava quel sorrisetto con tutta sé stessa.
Parkinson e Glowmoon si fermarono alle sue spalle, sorprese dalla presenza improvvisa di Blaise.
“Oooh” commentò Pansy, con un ghigno malefico. “Disturbiamo qualcosa?”
Susan alzò gli occhi al cielo, spazientita.
“No, non disturbate assolutamente nulla”.
Glowmoon ridacchiò, dandole sui nervi: quella ragazza era di uno snervante assurdo.
“Beh…” disse solo, scambiando un’occhiata di intesa con la Parkinson. “Vi lasciamo da soli…”
Detto ciò, se ne andarono sghignazzando divertite, per poi ritornare a litigare nella classe. Non scorreva affatto buon sangue tra le due, ed era fatto ben risaputo nella scuola. Strano che due persone così simili potessero odiarsi così tanto.
Andate le due ochette, Susan si apprestò ad affrontare il ragazzo con un sospiro semi sconsolato.
“Dimmi cosa vuoi Zabini, e fai presto, non ho tempo da perdere con te” andò subito al sodo lei, ben decisa a troncare al più presto la discussione.
“Sai bene cosa voglio, Crimson” rispose semplicemente lui, alzando lievemente le sopracciglia con fare lievemente ambiguo.
Lei sorrise falsamente benevola e assicurò, con tono freddo:
“Beh, mi spiace caro, ma la risposta alla domanda è no: come ti ho detto gli altri due giorni, NON-VOGLIO-VENIRE-AL-BALLO-CON-TE”.
Detto ciò, gli diede una botta con i libri nel torace, piegandolo in due, e si diresse in classe senza aggiungere altro, il mento alto e gli occhi fissi davanti a sé.
Una risatina da parte del ragazzo le fece venire la tentazione di voltarsi, ma resistette.
“Non capisco davvero perché tu debba odiarmi così tanto, Crimson” commentò Blaise, rialzandosi come se nulla fosse e  raggiungendola al banco che solitamente occupava con Daphe Grengrass.
“Io e te potremmo fare davvero grandi cose insieme!” esclamò convinto, con una tale naturalezza e sicurezza che a Susan venne voglia di picchiarlo di nuovo. Ma non voleva permettersi altri scatti d’ira: non si addicevano di certo al nome della sua famiglia.
 “Senti, Zabini, non voglio parlarne ora, OK?” esclamò esasperata lei, tirando fuori alcuni libri e cercando di non guardarlo in viso. Il pensiero che avrebbe dovuto sorbirselo per tutta la lezione le faceva venire una voglia immane di vomitare. Daphne si avvicinò automaticamente a quello che era il suo banco, ma si fermò a mezza strada quando vide Blaise. Per un istante Susan pensò di chiamarla e invitarla a sedersi nonostante il cretino, ma poi lei le voltò le spalle e riuscì a rimediare un posto accanto a sua sorella Asteria. La ragazza non poté fare a meno di notare che ridacchiava come un’idiota.
“Oh, beh, se non ora quando, visto che continui a evitarmi?” gli fece notare lui, con fare ovvio. Lei afferrò i suoi libri e li sbatté sul banco, continuando a non guardarlo.
“Mai, caro mio” sentenziò fredda. “Non ne parleremo mai, perché io non ho intenzione di andare al Ballo con te”.
Blaise si concedette una risatina secca che le diede ai nervi.
“Oh… Sembravi COSI’ felice quando mi sono offerto di ripulire il tuo scompartimento”.
“Avresti dovuto farlo comunque, visto che eri stato TU a riempirlo d’acqua” fece Susan sicura, giocherellando con la sua piuma in un tentativo estremo di ignorarlo.
Lui sorrise e ammise:
“Sì, effettivamente hai ragione”.
“Io ho SEMPRE ragione” disse lei, evidentemente inorgoglita, alzando il mento e guardandolo con aria di sfida.
Lui rispose con un sorriso accusatorio.
“Oh, avevi ragione anche quando hai fatto saltare in aria tutto un vagone solo per farla pagare a quella Noctis?”
“Certo che sì” disse lei, ancora più sicura.
“Certo” rispose solo lui, senza aggiungere altro. Il suo tono fu freddo e distaccato, ma evidentemente una punta del sarcasmo che aveva tentato di nascondere era venuta fuori: le sopracciglia di Susan parvero divenire un’unica riga sulla fronte, tanto le avvicinò lei.
La vide stringere i pugni in un gesto nervoso e poi lasciarlo ricadere lungo il suo corpo con un sospiro.
“Ma perché perdo tempo con te…” fu il suo unico commento, e afferrò la penna per  scrivere i primi appunti che Moody stava dettando.
Blaise era quasi certo che il vecchio pazzo l’avrebbe visto, ma se ne infischiò: si piegò lentamente verso di lei e, con voce melliflua, le sussurrò:
“Con chi hai intenzione di andare al Ballo, quindi?”
Per un istante un brivido freddo le percorse tutta la spina dorsale, e la consapevolezza la invase tutta: ancora nessuno si era presentato per chiederle di andare al Ballo.
Nessuno l’aveva proposto.
“Credo… Credo che ripiegherò su un Serpeverde” disse, come se la faccenda la lasciasse indifferente, come se avesse già avuto centinaia di richieste.
Blaise ridacchiò, continuando a fissarla da sopra il suo orecchio, senza accennare di voler spostarsi.
Anzi, ribatté, continuando a soffiarle nell’orecchio con fare sornione:
“Oh, casa Susan, se pensi che io sia così stupido da credere che TU abbia ricevuto un invito…”
La ragazza sentì la rabbia montare e arrossarle le orecchie.
“Perché, vossignoria vuole spiegarmi cosa non ho io che altre ragazze non hanno?”
Blaise parve rifletterci un istante, accennando anche un “Ehm…” snervante.
“La gentilezza, forse? O la grazia? O qualcosa di simile alla bellezza?” tentò lui, come se stesse varando varie ipotesi, ma esponendole con un sorriso tanto largo che Susan fu certa al cento per cento che facesse sul serio.
Con quanta forza aveva, prese un libro e fece per batterglielo in testa, ma stavolta lui fu più lesto e la bloccò a mezz’aria prendendole il braccio.
“Ecco, è di questo che parlavo” commentò Blaise sardonico. “Se non riuscirai a controllar, dubito che qualcuno, a parte me, voglia invitarti al Ballo…”
E detto ciò ridacchiò di nuovo.
“Oh, naturalmente se vuoi ridurti all’ultimo, quando tutti i ragazzi migliori saranno già stati presi e resteranno solo dei Tassomolli…”
Susan si ritrovò a deglutire all’idea: una serata con Zabini era impensabile, ma una serata con un Tassomolle era inconcepibile. Al solo pensiero di potersi mischiare con uno di quelle schiappe la sua volontà d’un tratto cedette, e Susan si sentì pervadere da un senso di sconfitta che non aveva mai provato prima: un’intera serata sola nel Dormitorio… O seduta in un angolo sola come non mai…
“T… Troverò qualcuno di Durmstrang… O… O di Beauxbatons”. Ma non era sicura come avrebbe voluto sembrare. La voce tremava tutta, e così il suo braccio ancora stretto nella morsa d’acciaio di Zabini. Aveva una stretta straordinariamente forte. Troppo forte per i suoi gusti.
Un’altra risata da parte del ragazzo. Susan notò con orrore che cominciava quasi ad abituarsi a quel suono rauco e sibilante.
“Non credo vorrai passare una sera intera con uno di quei presuntuosi… O uno di quei cretini tedeschi”.
Susan si sentì sciogliere lentamente.
Aveva ragione.
Aveva dannatamente ragione.
“Io…” tentò di riparare, ma si ritrovò a guardare quegli occhi neri senza avere la forza di reagire, e non poté fare altro che deglutire lentamente.
Poi sussurrò, ignorando il suo cervello che le urlava di non farlo, di non cedergli, di non cadere nelle braccia di quel cascamorto:
“… Ok…”
 
La notizia del Ballo aveva avuto due opposte reazioni che non potevano essere più diverse l’una dall’altra.
Se da una parte c’erano gli eccitati, quelli che credevano che quella festa sarebbe stata “l’occasione perfetta” per mostrarsi col nuovo fidanzato o con quello storico, dall’altra parte c’erano i single cronici, quelli che non avevano nessuno da invitare, quelli che, se avessero potuto, si sarebbero volentieri chiusi in camera per tutta la serata.
L’unica cosa che tratteneva Daisy dall’idea di chiudersi la porta del Dormitorio alle spalle e rimanere rannicchiata nel letto per tutta la sera era la consapevolezza di essere già considerata un’asociale senza speranza. Alimentare quel idea non era di sicuro ciò che le serviva, soprattutto considerando la Casa a cui apparteneva: quando mai un Grifondoro era stato così fifone dal rinunciare anche ad un semplice ballo?
“Probabilmente passerò alla storia per essere stata la prima” si disse, mentre ascoltava senza convenzione la lezione di Incantesimi, il viso appoggiato sul mento. E dire che Incantesimi era la sua materia preferita. Eppure le voci che, dal suo posto al primo banco, poteva sentire chiaramente rimbombare dalle ultime file le vorticavano nella testa ripetitive.
“Il Ballo…”
“Al Ballo…”
“Per il Ballo…”
Sembrava che quelle ochette non potessero astenersi dal parlare di qualcosa che non fosse quel dannatissimo evento. Eppure in un certo senso Daisy le capiva: era la prima volta che, a Hogwarts, sarebbe stata data loro la possibilità di mostrarsi in tutta la loro fulgida bellezza, di brillare come stelle nel firmamento, di attirare, con il loro charme unico, quanti più ragazzi possibile. Lei non si sentiva né bella né tantomeno dotata di charme. Immaginava già una serata passata seduta in un angolo a guardare con sguardo trasognato le coppiette che ballavano.
“Con chi vai al Ballo?”
Già, con chi sarebbe andata lei al Ballo?
Nessuno si era fatto avanti con lei, e nessuno pareva averne la minima intenzione. A chi poteva piacere la secchiona di turno?
 Forse avrebbe potuto chiedere a Tom… No, sarebbe stato ingiusto nei suoi confronti: da ciò che aveva visto e sentito, si stava dando parecchio da fare con una Serpeverde. Che probabilmente non si era neppure accorto di quanto fosse cotto di lei. L’aveva visto infilare con uno scatto felino qualcosa sotto al suo cuscino, la sera prima, nascondendolo alla vista come se fosse stato qualcosa di illegale. Quella mattina era andata a controllare cosa mai fosse così prezioso per Tom da non poter essere neppure mostrato alla sua migliore amica. Si era ritrovata tra le mani la foto di una ragazza bionda dai capelli corti, con la sciarpa di Corvonero al collo e un sorriso sgargiante. Sotto alla figura, Tom aveva scritto, lievemente incerto, come se avesse scritto con lo stomaco pieno di alcool (O semplicemente pieno di farfalle), “Auror”.
Daisy non avrebbe mai potuto immaginare che Tom si sarebbe potuto innamorare. Eppure era successo. E sebbene fosse felice per lui, l’idea che lui avesse qualcuno le fece venire voglia di mettersi a piangere. Possibile che non ci fosse nessuno che la apprezzasse?
Avrebbe potuto chiedere… A Zach.
Al pensiero, un lieve brivido le corse lungo la schiena.
No, non poteva invitare Zach.
Non poteva assolutamente.
Era già troppo complicato senza che lei tentasse di avvicinarlo, senza che lo illudesse che potesse essere innamorata di lui.
E Zach meritava tutto meno che essere illuso.
No, non poteva chiederglielo. Non poteva permettersi di fargli credere di poter ricambiare i suoi sentimenti per poi farlo soffrire. E non l’avrebbe fatto. Non voleva rovinare quell’amicizia sincera e pulita, quel sentimento dolce che provava nei suoi confronti.
Il suo cervello esausto passò in rassegna i visi dei Grifondoro, nel tentativo disperato di trovare qualcuno che avrebbe potuto almeno rispondere con un “sì” rassegnato alla domanda “vuoi venire al Ballo con me?”. Non si aspettava certo reazioni entusiastiche, ma non poteva certo avere tutto dalla vita.
C’era Dean Thomas. Sbuffò battendo il pugno sul banco quando si ricordò che molto probabilmente sarebbe andato con Filiana Basile. Il suo sguardo si posò sul banco dietro al suo, nel quale il ragazzo osservava, concentrato, il libro degli Incantesimi con la ragazza appoggiata alla sua spalla, che ogni tanto gli indicava un punto particolarmente interessante o ridacchiava quando lui le sussurrava all’orecchio qualcosa.
“Altro che ‘molto probabilmente’” pensò disperata. “Se lo mangia con gli occhi… E chi li stacca più…”
Si affrettò a cambiare opzione.
C’era Ron Weasley…
“Ma che vai a pensare?? Figurati se l’amico di Potter dice di ‘sì’ a te…”
Fred e George Weasley.
Non avrebbe saputo dire quali dei due fosse peggio.
C’era…
C’era Neville Paciock.
Daisy si sentì improvvisamente più sicura: Neville era un ragazzo timido e impacciato, ma incredibilmente dolce, e di sicuro con lui e il suo perenne silenzio si sarebbe trovata bene.
“Ehi, Tom” chiese sottovoce al compagno, chinandosi sul suo orecchio. “Sai con chi va al Ballo Neville Paciock?”
Chiedere se fosse già stato invitato le sembrava poco opportuno, e di sicuro meno sospetto che chiedergli, con quanta più ingenuità riusciva ad assumere, se lui avesse già una compagna.
Il ragazzo parve riflettere per un istante che a Daisy sembrò durare una vita poi dichiarò, sicuro:
“Va con Ginny Weasley, da quel che so”.
Daisy riuscì quasi a percepire il rumore dei castelli in aria che si era fatta infrangersi miseramente con un sonoro CRASH.
“Sono  fottuta” si lasciò scappare, prendendosi il viso tra le mani e passandosele tra i capelli.
Tom le sorrise amichevole e tentò di tirarla su con un dolce:
“Se vuoi ti faccio io da cavaliere…”
Daisy riemerse dalle sue mani e sussurrò, scrutando preoccupata il professore:
“No, davvero, grazie…”
Lui si finse offeso ed esclamò, esasperato:
“Non ballo mica così male!”
La ragazza ridacchiò poi, passandosi le mani tra i capelli, spiegò determinata:
“No, io… Io so che vorresti andarci con… Con quella Corvonero…”
Il viso di Tom si rabbuiò per un istante, poi il sorriso che era abituata a conoscere ritornò a illuminarlo, più splendente di prima.
“E se stai per propormelo, no, non ho intenzione di chiederlo a Zach” esclamò convinta lei, prima che lui potesse aprire bocca. Tom si concesse un breve sorriso dicendo, scherzoso:
“Se lui non te lo chiede prima, naturalmente…”
Il pensiero la attraversò come una scarica elettrica. E se… E se fosse stato Zach a chiedere a lei di accompagnarlo al Ballo? E se fosse stata lei costretta a decidere tra un sì o un no? Cosa avrebbe detto?
Cosa avrebbe fatto?
“Non… Non può chiederlo a me” tagliò corto, portandosi una ciocca dietro l’orecchio, nervosa.
“Ho… Ho visto come guardava quella Shaula…”
Tom si concesse una risatina divertita poi, sotto lo sguardo inquisitorio e lievemente infastidito di Daisy si affrettò a spiegare:
“Beh… Sai com’è… Non ci si rassegna così facilmente”.
Poi, alzando le mani aggiunse:
“Almeno, io non lo farei”.
Daisy sospirò profondamente, come se quello potesse toglierle il peso che le gravava sul petto: sarebbe rimasta chiusa nel Dormitorio, sola soletta, mentre tutta la scuola si divertiva.
Sarebbe stata additata a vita come un’asociale…
Non che gliene importasse qualcosa, ovviamente.
Ma era pur sempre un essere umano. E sentiva che aveva bisogno di quella festa, che aveva bisogno di quel momento di svago, che aveva bisogno di staccare la spina anche solo per una sera.
Aveva bisogno di ridere, scherzare, ballare, di fare ciò che una ragazza normale faceva.
Aveva bisogno di andare a quel Ballo.
“Potresti vedere se quel Lesath è disponibile”.
Il viso di Daisy divenne di un porpora intenso, così intenso che Tom scoppiò in una risata sguaiata che gli attirò lo sguardo minaccioso del professore. Il ragazzo riuscì a soffocare la risata e chiese perdono con un filo di voce all’uomo, premendosi una mano sulla bocca.
“Non… Potevi… Proporre… Idea… Peggiore” disse solo Daisy, scandendo ogni parola tra i denti. L’idea di andare a quel Ballo con Lesath era come pensare di darsi un pugno nell’occhio: orrendamente fastidiosa e totalmente autolesionista.
“Beh, non è così male” constatò Tom, come fosse la cosa più ovvia del mondo. “Non è affatto male, per essere un Corvonero…”
“È DECISAMENTE male, per essere un Corvonero” lo corresse Daisy, sicura. Tom si concesse un’altra risatina di scherno.
“Ma ti vedi? Si parla di lui e tu cominci a insultarlo come una bambinetta di cinque anni”.
A Daisy scappò un gemito che fino a quel momento aveva trattenuto.
“Ecco, ora capisci?” esclamò, semi disperata. “È per questo che non posso andare con lui al Ballo! Lui…”. Poi sospirò e accasciò le braccia sul banco, tentando di calmarsi. “Lui fa uscire il lato peggiore di me”.
Il ragazzo accanto a lei sorrise nuovamente.
“Sai, a me questa nuova Daisy piace decisamente quanto la vecchia” disse semplicemente lui, senza aggiungere altro.
 
Auror si rigirò il bigliettino tra le dita per la centesima volta. Lisciò la carta ben bene tra le sue mani, con lentezza studiata, come se avesse paura che sparisse da un momento a un altro.
Se l’era ritrovato accanto al cuscino appena sveglia, così minuto che per qualche istante neppure l’aveva notato.
Lo lisciò per la millesima volta, sorridendo lievemente, con una tale dolcezza che per un istante dimenticò quasi la circospezione che sarebbe stata d’obbligo considerando che quella era la lezione di Piton. Ma al momento non le importava granché: la richiesta era lì, scritta nero su bianco, e nemmeno Piton poteva cambiare quel fatto.
Aveva ufficialmente un compagno per il Ballo.
Thomas era il suo compagno per il Ballo.
Era stata una richiesta così inaspettata che si era quasi chiesta se fosse stata uno scherzo di qualche Serpeverde, ma poi aveva riconosciuto la scrittura: era proprio Tom che aveva scritto quel biglietto.
Era Tom che le aveva chiesto di accompagnarlo al Ballo.
Era Tom che sarebbe stato il suo principe per una serata.
E lei sarebbe stata la sua principessa.
Sembrava un pensiero così sdolcinato e assurdo…
Eppure Thomas, con quel suo sorriso e le sue battutine da scapestrato ragazzino, era ciò che le serviva per divenire romantica. Mai avrebbe creduto che qualcuno sarebbe riuscito nell’impresa.
Trovare un minimo di romanticismo in lei era come trovare un ago in un pagliaio: un’impresa assurdamente difficile e anche snervante. E Thomas era l’unica che riuscisse a farlo uscire, senza uso di paroline dolci o di sguardi languidi, ma semplicemente essendo sé stesso, essendo quel ragazzino avventato e divertente che tutto aveva meno che romanticismo.
 “Signorina Potion, gradirei che ascoltasse la mia lezione, se non le dispiace!”. La voce fredda di Piton la risvegliò subito: quell’uomo aveva l’incredibile capacità di farla sentire a disagio, e la sua sola presenza era motivo di malessere per lei.
“Visto che sembra aver studiato abbastanza per perdersi in sciocche e futili fantasie” Piton marcò i due aggettivi. “Vorrebbe dire a me e alla classe quali sono le proprietà di un Bezoar?”
Auror divenne pallida in un istante. Qualche risatina scappò da un tavolo dietro di lei, e vide chiaramente Gwen Noctis tentare di trattenere una risata malamente.
Sbuffò indispettita. Quella ragazza le dava ai nervi.
Dall’altro lato dell’aula, vide con la coda dell’occhio la mano di Beatrix Nightsade, come sempre alta e ritta.
“Perché non chiede a Nightsade, professore?” chiese lei, non nascondendo il suo malcontento. “A quanto pare ha sufficientemente seguito le sue lezioni per sapere anche solo che diamine sia un Bezoar!”
Una risatina leggera si diffuse per l’aula. Auror vide le guance di Beatrix divenire di un rosso lieve e i suoi occhi abbassarsi lievemente con la sua mano.
Piton la fulminò con lo sguardo, tenendo ben alto il mento da avvoltoio, e Auror rispose coraggiosamente continuando a fissarlo sprezzante.
“Dieci punti in meno per Corvonero, signorina Potion”disse a labbra serrate, socchiudendo lievemente gli occhi come un gatto che assapora la sua preda.
“E dieci punti in meno a Grifondoro per la sua impudenza, signorina Noctis” si affrettò ad aggiungere, fulminando Gwen che, dal suo posto, continuava a sghignazzare in un accesso di ridarella: evidentemente aveva trovato particolarmente divertente la scena. O forse Piton non aveva voluto smentirsi: Grifondoro era stata da sempre la Casa che più amava punire, per i motivi più disparati.
Gwen si rabbuiò, e questo la fece sorridere lievemente.
Spostandosi da davanti a lei (e facendole tirare un sospiro di sollievo), il professore si diresse davanti al banco di Beatrix che, ancora imbarazzata, teneva lo sguardo basso.
“Dunque, signorina Nightsade” disse Piton, usando il tono più calmo che poteva concedersi.
“Potrebbe spiegare a questo branco di asini cos’è e quali sono le proprietà di un Bezoar?”
Beatrix rimase zitta per alcuni istanti: l’affermazione di Potion l’aveva effettivamente ferita, e non poco. Accenni alla sua presunta cotta con Piton erano sempre in agguato durante le lezioni, ma ultimamente il tutto le veniva fatto pesare anche di più: con l’avvicinamento del Ballo del Ceppo, delle frecciatine sottili come “Con chi vai al Ballo, Nightsade?” erano all’ordine del giorno.
C’erano poi le offese, ben meno velate, dei Serpeverde, che la perseguitavano con dei “Naso Adunco ti dà il permesso di spassartela la sera del Ballo?” o “Il tuo ragazzo viene al Ballo con te?”, o perfino “Non hai paura che quel vampiro ti succhi il sangue quella sera?”
Alzò lievemente il volto sul suo viso, deglutendo lievemente. Le sue palpebre si mossero in maniera impercettibile, come a volerla invitare a farsi coraggio.
Beatrix sentì il cuore perdere qualche battito poi sussurrò, con una vocina tremula e timida:
“Il Bezoar è…”
Piton la invitò nuovamente ad andare avanti, e la sua voce divenne lievemente più sicura mentre continuava, tenendo gli occhi a terra per paura di incrociare il suo sguardo:
“… Una pietra, che si trova nelle pance delle capre”.
Deglutì a fatica, temendo di potersi innervosire ulteriormente. Piton non levava un attimo gli occhi da lei, seguendo il movimento delle mani che si intrecciavano sul grembo e delle sue sopracciglia che, nervose, si alzavano e abbassavano. Solitamente avrebbe provato piacere nel vedere uno studente così in difficoltà, soprattutto se Grifondoro. Ma a quella ragazzina era particolarmente affezionato, lo doveva ammettere.
“E… è… Un antidoto a… A tutti i veleni più comuni” terminò in fretta, con un ultimo sospiro affannoso. Sembrava quasi avesse corso per lunghissimo tempo, tanto era livida in viso.
Attese alcuni istanti, fissando Piton negli occhi e continuando a torcersi le mani.
Poi il viso severo dell’insegnante si rilassò in quello che parve più che mai un sorriso.
Beatrix si lasciò scappare una risata di sollievo, lievemente impaurita, e rispose gioiosa al sorriso dell’insegnante. Era così raro vedere sorridere Piton che anche solo l’alzare l’angolo della bocca era per lei il riconoscimento di un sorriso.
Ma quello era stato proprio un vero e proprio sorriso, felice e sinceramente soddisfatto.
E Piton l’aveva rivolto a lei.
Proprio a lei.
“Cinque punti a Grifondoro” annunciò con nonchalance lui, come se fosse la cosa più normale del mondo. Un brusio eccitato si diffuse per tutta la classe, e molti furono gli “Oooh” e gli “Aaah”. Piton aveva mai assegnato punti a Grifondoro? Aveva mai favorito il “nemico”? Beh, di certo non l’aveva mai fatto con la Granger.
Beatrix rimase interdetta, come se quei miseri cinque punti fossero stati il voto più alto che avesse mai ricevuto, un premio che non sapeva di aver vinto, un trofeo che non sapeva di dover ritirare.
Lo guardò per un ultimo istante e sorrise timidamente: in fondo, non era cattivo come molti lo dipingevano.
La bocca di Gwen era spalancata per lo stupore.
“Se questa non è fortuna…” sussurrò a mezza voce, passandosi una mano sul viso.
A lei non era mai capitato di vincere dei punti con Piton, e di certo non era capitato a molte Grifondoro.
Si crogiolò per un istante nella convinzione che fosse stata la prima, mentre intorno a sé le voci si abbassavano lievemente represse dallo sguardo del professore.
La ragazza sospirò, perdendosi nell’idea che, forse, avrebbe potuto chiedere un ballo al professore, in fondo.
 
Zach si torceva le dita dalla colazione. Si sentiva così spaesato che non sapeva neppure che dire o fare.
Aveva impiegato molto tempo a pensare e ora che aveva preso la sua decisione si sentiva più vuoto che mai.
Eppure non avrebbe dovuto sentirsi così.
Non avrebbe dovuto sentire quella sensazione sgradevole di stare facendo la scelta sbagliata.
La verità era che lui era sempre stato così dannatamente indeciso, e così poco incline alla scelta che una singola decisione lo mandava letteralmente in crisi.
Ma quella decisione era decisamente più importante di qualunque altra scelta avesse fatto fino ad allora.
“È solo un invito a un Ballo…” si ripeteva accanitamente, nel tentativo di convincere sé stesso che non ci fosse nulla di ufficioso o decisivo in quello che stava per fare.
Eppure quella scelta sapeva di definitivo, di inconfutabile, di punto di non ritorno.
Sapeva inevitabilmente di fine.
Chiunque avesse scelto, lo sapeva bene, sarebbe stata non solo la sua compagna al Ballo, ma anche e soprattutto la sua compagna per tutta la scuola.
Lo sentiva, sarebbe stato così.
Sentiva che quella decisione sarebbe stata una definitiva scelta.
Una scelta che gli pesava da quando era cominciata la scuola.
Avrebbe scelto Daisy, l’amica di una vita, la ragazza che, come un ragazzino al primo amore aveva amato, o Shaula, la ragazza che conosceva da poco che già lo infervorava coi suoi racconti e le sue idee di ribellione?
Arrivò prima di quanto potesse sperare.
“Ehi!” lo salutò con un gran sorriso sul viso.
“Ehi…” commentò solo lui, senza particolare entusiasmo.
Si sentiva dannatamente sbagliato, in quel momento.
Sbagliato nel dover fare ciò che stava per fare.
Eppure, lo sapeva, avrebbe dovuto scegliere prima o poi.
E aveva fatto la sua scelta.
Ma sarebbe stata giusta?
“Sono contenta di vederti!” esclamò lei, abbracciandolo con affetto.
Lui rimase un istante spaesato e sussurrò, imbarazzato:
“Oh, sì… Anche io…”
Lei si staccò da lui con un sorriso.
Le brillavano gli occhi.
Come poteva dirle ciò che pensava.
“Allora…” iniziò, tentando di non dare a vedere quanto si sentisse agitato. Lei continuava a sorridere.
“Io… Volevo dirti che…”. D’improvviso trovò grande interesse nelle unghie della sua mano.
“Aspetta, prima io!” lo interruppe la ragazza, prendendogli le mani. Zach sentì un brivido partire dalla punta delle dita fino ad arrivare alla cima della testa, e divenne rosso: ogni contatto era come una scarica elettrica per lui.
“Vedi…” iniziò, eccitata. Sembrava stare per esplodere di contentezza. “Il Ballo è tra tre giorni…”
Come se non fosse stato il suo pensiero costante.
“E io… Pensavo che…”
“Proprio del Ballo volevo parlarti” prese coraggio lui.
Aveva scelto.
Non poteva tornare indietro.
Non si tornava indietro.
“Io…”. La voce gli rimase bloccata in gola, ma lui la schiarì con un colpo di tosse nervoso.
“Io… Ho deciso di andare con Daisy”.
Il viso di Shaula perse ogni connotazione di felicità che poteva presentare qualche secondo prima. La bocca si abbassò velocemente e i suoi occhi si velarono di qualcosa che sembrava delusione.
Zach sentì il cuore infrangersi per un istante.
“Oh…” sussurrò lei, tentando di riparare con una risata. “Capisco…”.
“Shaula, io…” Zach si affrettò a stringerle la mano, tentando di spiegare, perché in fondo gli sembrava l’unica cosa ragionevole da fare. Forse una volta che avesse spiegato avrebbe capito anche lui.
Lei però ritrasse la mano.
“Non… Non devi certo dare spiegazioni a me, Zach!” esclamò lei, convinta, ma sempre delusa. “Sei… Sei un ragazzo maturo, e fai le tue scelte!” affermò, tentando di suonare convincente.
Sorrideva ancora. Ma ora il sorriso era falso quanto quello di Zach.
Lui sospirò.
“Shaula…” tentò di nuovo, ma si interruppe subito: che avrebbe detto, in fondo? Che non se la sentiva ancora di lasciare andare una vecchia fiamma? Che non voleva dire definitivamente addio alla speranza di un amore con Daisy?
Che in verità sentiva di aver sbagliato orrendamente.
“Che… Che volevi dirmi?” domandò Zach, con un lieve sorriso.
Shaula sospirò. La risposta parve costarle tutte le sue forze.
“Io…”. I suoi occhi divennero di ghiaccio, e le sue parole lo ferirono come lame affilate tanto erano taglienti.
“Vado al Ballo con Adrian Pucey”.

Note d'autrice:
Ho deciso di fare due capitoli distinti per gli inviti vari perché non riuscivo a scrivere di tutti in questo capitolo XD
Coooomunque.
Un appunto prima che me ne scordi: Elizabeth Glowmoon è un OC di invenzione di una mia amica, Giuly, e nella sua storia lei è la migliore amica e poi fidanzata e poi moglie di Draco. L'ho voluta citare solo perché lei è un mito, ed è un mito anche la sua creatrice.
Mi spiace per lo stile forse un po' scrauso, non so, vi sembra scrauso?
Il Ballo al momento è in programma tra tre capitoli: prima ci sarà la seconda parte di questo e poi un capitolo interamente dedicato alle nostre coppiette. Mi dispiace molto per ciò che è successo tra Shaula e Zach ma tranquilli: si risolverà tutto... In qualche modo.

Volevo ringraziare CarpeDiem_96 per il suo commento lunghissimo che mi ha fatto sorridere di gioia, davvero.
Ah, poi: LE VACANZE SONO INIZIATE!!! YEAAAH!! (tutta felice)
Beh, non so quanto tempo avrò da dedicare a Skyfall con tre versioni di greco e due di latino che mi attendono, senza contare il programma di scienze che è diventato immenso. Mi sento Harry nel quinto libro, diamine...
Un suggerimento: se non l'avete ancora visto, andate a vedere Storia di una ladra di libri. Vale tutto il prezzo del biglietto e fa piangere.
Tanto.
Anche le Serpeverdi (Giuly, entendies?)
E per chi l'avesse già visto: LieselxMax is the way.
Non ho altro da dire.
Capo Toro Seduto vi saluta.
Augh.
Per domande o idee per il Ballo e se avessi dimenticato di mandare a tutte\i il messaggio fatemelo sapere.
Augh.
Stavolta ho veramente finito.
Augh.
Anzi no, ultima cosa: NEAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAL!!! (piange disperata)
Augh. (si dilegua aspettando i pomodori)

  
 

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Capitolo 14
*** Invitations-part 2 ***


OK, come sono caduta così in basso?”
Era la centesima volta che Ally gli faceva la stessa domanda dall’inizio della mattinata, e ogni volta Johnny alzava gli occhi al cielo spazientito: quella ragazza sapeva essere davvero seccante quando voleva.
“Ti devo ricordare che TU hai accettato l’invito di Zacharias Smith al Ballo del Ceppo, NON io?” sbottò irritato il ragazzo a mezza voce, sorridendo poi falsamente a un ragazzo che passava in quel momento nella Sala Comune: li osservò per un istante con sguardo indagatorio, poi si allontanò a passo svelto. John fu quasi certo di averlo sentito ridacchiare.
“Sì, lo so, però non avrei voluto farlo!!!” esclamò Ally disperata quando il curioso si fu allontanato. La sua voce salì senza che potesse farci nulla di un’ottava, mentre pronunciava quelle parole, isterica.
John alzò le spalle, con un sorriso amaro sulle labbra.
“Beh, allora mi chiedo perché tu gli abbia detto di sì…”.
La ragazza divenne lievemente rossa e si passò una mano sul viso nel tentativo di nasconderlo.
“P… Perché non avevo altra scelta, ecco perché”.
“Sì che ce l’avevi” controbatté il ragazzo, lievemente tagliente: era da quando era iniziata quella follia del Ballo che Ally sembrava essersi trasformata in un’ochetta senza cervello. Diventava isterica quando si trattava della scelta dell’abito, della scelta del trucco (con cui lei aveva una dimestichezza pari alla sua eterosessualità) e, soprattutto, della scelta del partner.
“Potevi chiedere a Cedric…” borbottò, con tutta la forza di volontà che aveva. Lo sforzo che gli costarono quelle parole gli fece tremare le mani, e dovette richiuderle per un istante per non rischiare di scaraventarsi contro la prima cosa che gli capitasse a tiro.
La ragazza rimase zitta per alcuni istanti, con la bocca semi aperta, come se l’idea che avesse appena avuto fosse stata la più stupida che avesse mai avuto.
“Johnny…” sussurrò, con un filo di voce sottile sottile.
Quando il tremore alle mani fu passato, lui si concentrò con decisione sulle unghie delle sue mani, ben deciso a non guardare l’amica in faccia: il comportamento che aveva tenuto negli ultimi tempi l’aveva urtato non poco. Come se quel Ballo contasse davvero. Come se fosse qualcosa di importante.
Sentì la mano di Ally posarsi sulla sua e richiuse gli occhi con uno scatto deciso: non voleva certo dargliela vinta così presto. Anche se aveva l’impressione che sarebbe durata poco: il loro litigio più lungo era durato tre ore, ed era avvenuto perché Johnny si era permesso di fare un apprezzamento più forte di altri su Cedric.
Era piuttosto difficile mantenere quell’equilibrio stabile che c’era tra loro due, e sia Johnny sia Ally sapevano che sarebbe bastato il minimo passo falso per cadere oltre la linea. Certo, forse quella volta la ragazza era stata anche piuttosto nervosa di suo, ma lui ammetteva che il suo commento sul Tassorosso non fosse stato molto sottile. E così andavano avanti sospesi sul filo sottile che li univa, abbonandosi complimenti e momenti in cui sognare di poter essere con Cedric era l’unica soluzione per non impazzire, scherzando su quello strano triangolo e piangendo quando ce n’era bisogno.
“Sai che non l’avrei mai fatto” sussurrò la ragazza, stringendo un po’ più la presa e accarezzando con delicatezza i guanti di pelle che portava il ragazzo.
Johnny abbozzò un mezzo sorriso.
“Perché la Chang ti ha battuto sul tempo o per me?” chiese, con un tono tra il divertito e il serio.
Il viso di Ally divenne cereo per un istante.
“Io…” sussurrò, come se quello che l’amico aveva appena detto l’avesse profondamente shoccata.
“Johnny…” continuò, con un tono che, stavolta, sapeva più quasi di un tacito rimprovero, come se mettere in dubbio che l’avesse fatto per lui fosse stato un peccato mortale.
“Lo sai che non l’avrei mai fatto…” sussurrò, con quell’espressione di stupore intontito ancora sul viso. Sembrava così sperduta con quel suo visino stupito e assorto che il ragazzo fu costretto, con un sospiro, ad ammettere:
“Sì, scusa…”
Il suo viso parve riprendere colore all’istante, e Johnny fu certo di averla sentita sospirare di sollievo.
“Io…” commentò, con un sorriso storto. “Mi… Dispiace” disse tutto d’un fiato, stringendogli la mano delicatamente. Se Ally fosse stata un’altra ragazza, Johnny sarebbe stato certo che ci stesse provando con lui, tanto vicino era il suo viso a quello dell’amica. Ma quei momenti di intimità erano piuttosto comuni tra loro due, e mai avevano tentato di leggerli in un altro modo se non come dimostrazione della loro amicizia. Pensare di essere fidanzati era assurdo, e lo sapevano entrambi: Johnny aveva le sue tendenze e Ally le sue, e inoltre il ragazzo era piuttosto sicuro che, se mai ci fosse stato un altro legame a unirli se non quello che già avevano, l’ombra di Cedric sarebbe stata sempre tra loro due.
“Ultimamente mi sono comportata da…”. Ally rimase zitta un istante per cercare la parola giusta. A Johnny venne l’impulso di dire “cretina”, ma si trattenne: era pur sempre la sua migliore amica. Forse la sua unica amica.
“… Cretina” terminò lei, con uno sbuffo e alzando gli occhi al cielo. “Tutte queste fisime mentali solo per uno stupido Ballo…”, commentò, come se solo in quell’istante si rendesse conto di quanto assurde fossero stati i suoi comportamenti.
Johnny alzò anche lui gli occhi al cielo.
“Alleluia!” esclamò, beccandosi un pugno sulla spalla dalla ragazza, che però rise mentre lo faceva. “Questa è l’Ally che conosco…” sorrise, mentre si massaggiava il punto in cui l’aveva colpito.
La ragazza rispose al sorriso, allegra. Poi però il suo viso ritornò cupo, e i suoi occhi castani si abbassarono svelti a fissare il pavimento.
“Resta il fatto che ho accettato l’invito di Zacharias Smith” sussurrò, lasciandosi scappare un gemito di disperazione.
Zacharias Smith aveva una pessima fama, sia tra i Tassorosso sia tra gli studenti delle altre Case. Aveva un carattere irascibile e permaloso, e non era affatto portato in nessun modo ala mediazione o alla pace concordata: più volte aveva attaccato briga con i più piccoli senza motivo, e il più delle volte l’aveva avuta vinta.
Ma la sua sfrontatezza non osava colpire professori o ragazzi dal sesto anno in su: pareva avere una sorta di soggezione (che era più terrore) verso chi era più grande di lui, e non osava comportarsi da bulletto, forse per paura di essere rimesso in riga, forse per paura di prenderle, forse per paura di perdere il titolo di “Serperosso” che si era guadagnato a pieno titolo.
Era da cinque anni che ci s’interrogava sul perché quel ragazzo fosse capitato nella più pacifica delle Case di Hogwarts, ed erano state esposte le più varie teorie al riguardo. I professori sostenevano che Smith aveva solo dei “problemi comportamentali facilmente risolvibili” e che il Cappello l’aveva spedito in Tassorosso proprio per placare i suoi “istinti rabbiosi”. La maggior parte degli studenti era ormai convinta e rassegnata all’idea che, la sera in cui Smith era stato Smistato, il Cappello avesse bevuto un goccetto di nascosto. D’altronde, di qualcosa doveva pur nutrirsi un Cappello Parlante. Una piccola percentuale sosteneva che Smith era ciò che la Casa di Tassorosso non aveva mai avuto: uno studente che fosse all’altezza dei Serpeverde, e che fosse stato inviato nella Casa “più debole” per bilanciare la situazione. C’erano poi quelli convinti che il Cappello avesse semplicemente voluto divertirsi un pochino e che Smith fosse solo un’innocente vittima della sua pazza voglia di sperimentare e fare esperimenti persi in partenza.
Era anche nato un detto, tra gli studenti, che il ragazzo aveva naturalmente represso con tutti i suoi mezzi, ma che continuava a circolare per i corridoi: “Se Smith può essere un Tassorosso, Malfoy può essere un Tassorosso”. Malfoy non aveva molto gradito quel proverbio e anche lui si era impegnato, con Smith, a farlo bandire.
Ally non aveva idea di cosa gli fosse passato nella mente quando aveva accettato il suo invito: probabilmente la disperazione e l’idea che nessuno le avrebbe proposto di andare al Ballo si erano combinate e le avevano impedito di pensare lucidamente. O forse era stata semplicemente una totale idiota. Era abituata a pensare con logica, a non farsi trasportare troppo dagli avvenimenti, eppure era bastato il pensiero di rimanere sola un’ennesima volta per farle fare una scelta assurda.
O forse era stato il pensiero che Cedric ci sarebbe andato con Cho. Forse era la gelosia che l’aveva spinta ad accettare l’invito del primo che aveva anche solo immaginato di portarla con sé al Ballo.
La ragazza si accasciò sul divano con un sospiro melodrammatico.
“Vado con Zacharias Smith, ti rendi conto, ZACHARIAS SMITH!!” quasi urlò, passandosi le mani sul viso con fare disperato e quasi isterico. Jonh alzò gli occhi al cielo.
“Beh, almeno tu non ci vai con tua sorella…” commentò con fare sardonico.
“Io non fare paragoni tra Sarah e Zacharias, tu che dici?” ribatté lei, sospirando per la millesima volta: se avesse potuto, si sarebbe volentieri presa la sorella di John al posto di quell’idiota che si era ritrovata. Almeno lei non le avrebbe palpato il didietro per tutta la sera.
“Cosa faccio ora?” chiese dolorante la ragazza, con una nota di dolente tragedia nella voce. Per un istante pensò che il dolore di Giulietta quando Romeo era morto non doveva essere nulla al suo in quel momento.
Johnny sorrise lievemente.
“Tuo fratello ce l’ha già un’accompagnatrice?”
Ally sorrise storta.
“Quando gli ho chiesto con chi ci andava, mi ha risposto ‘Quando finirò su tutte le copertine del mondo per le mie capacità e non perché ho dato importanza a cose sceme come queste, il fatto che abbia partecipato o meno a un Ballo non apparirà sul mio curriculum’”.
Il ragazzo alzò le sopracciglia lievemente.
“Finito?” domandò, con fare sarcastico.
“Beh, in verità quello era solo un mezzo riassunto” spiegò la ragazza senza partecipazione.
Johnny ridacchiò lievemente, passandosi un dito sulle labbra.
“Tuo fratello ha capito proprio tutto” commentò, continuando a sorridere divertito da tutta la situazione.
Ally rimase un istante inebetita e poi, scuotendo la testa, si concesse una risata.
“Prendi esempio da lui e non andarci, no?”, continuò Johnny, interrompendo la risata e asciugandosi una lacrima ad un angolo dell’occhio.
Allison cessò di ridere in pochi istanti e spiegò, con il viso di nuovo contratto in una smorfia di disperazione:
“Johnny, potrei anche non andarci…” spiegò, riprendendo quel tono semi tragico che aveva assunto anche prima (e facendo alzare gli occhi al cielo al ragazzo). “… Ma il fatto è che VOGLIO andarci!!” terminò, prendendosi il volto tra le mani.
John sospirò lievemente.
“Sei così disperata che non riesci proprio a vedere la soluzione più semplice, eh?” disse con fare quanto mai ovvio. Ally poteva arrivare ad odiarlo fortemente quando prendeva quel tono. Soprattutto perché molto spesso aveva ragione.
La ragazza rialzò gli occhi dal rifugio delle mani e chiese, con tono ancora più ovvio: “E quale sarebbe, Mister So Tutto Io?”
Johnny alzò le braccia e disse, mettendoglisi ad appena te o quattro centimetri da lei:
“Chiedi a tuo fratello di organizzarti un incontro con un Corvonero, no?”.
Ally alzò un dito e spalancò la bocca, pronta a ribattere, ma poi la richiuse improvvisamente e abbassò l’indice già pronto a bacchettarlo.
“Oh” disse solo con un tono tra l’incredulo, il deluso e il consapevole. John gli rispose con un sorriso trionfante.
“Dì la verità, sono un genio”.
Toccò a Ally alzare gli occhi al cielo, stavolta.
“Quando tu ti metterai con una ragazza”.

Le mani le si posarono sugli occhi nel bel mezzo della Sala Grande. Gwen rimase ferma nel bel mezzo del corridoio, le mani tese in avanti, il respiro immobile.
Appena riuscì a capire qualcosa nell’imprevedibilità della situazione, la prima cosa che fece fu appoggiare le sue mani a quelle che aveva sugli occhi.
“OK, devo indovinare chi sei o cosa?” chiese, ben sapendo che non ci sarebbe stata risposta.
Sorrise divertita.
C’era solo una persona così stupida da fare una cosa del genere.
“Lee…”, scosse la testa. Ultimamente quel ragazzo la tediava più del solito: si era messo in testa, non sapeva come diamine, che lei sarebbe venuta al Ballo con lui. Dalla mattina dopo l’annuncio le erano arrivati due mazzi di fiori, due biglietti tanto mielosi che non aveva potuto prenderli minimamente sul serio e non sapeva quanti dolcetti. Non ne aveva toccato nemmeno uno: dubitava che fossero normali dolcetti, conoscendo bene la compagnia con cui Jordan andava in giro. Li avrebbe conservati se a qualche ragazzo fosse venuta la malsana idea di invitarla.
La voce del ragazzo gli arrivò quasi ovattata.
“Apri gli occhi, Noctis!”
Gwen aprì le braccia, spazientita.
“Non è che mi serva molto, Jordan, considerando che hai le mani sulla mia faccia…”
“Tu aprili e basta!” gli intimò, con un tono tra il perentorio e l’eccitato.
La ragazza sospirò e aprì le palpebre lentamente.
Ciò che vide la lasciò a bocca aperta: sui palmi scuri, vergate con una scrittura tra l’incerto e l’ufficiale, stava scritto in corsivo: “Vieni al Ballo con me, Gwennhy?”
Il modo in cui era stato scritto, in una scrittura che voleva sembrare pomposa e invece sembrava quella di un bambino che aveva appena imparato a scrivere, che doveva sembrare a caratteri nitidi che, invece, sembravano tremanti come la mano che li aveva scarabocchiati non poté fare altro che farla scoppiare a ridere.
“E io che volevo fare una cosa ufficiale…” commentò Lee, con fare fintamente seccato.
Gwen alzò un sopracciglio.
“Hai dimenticato l’orchestra e il coretto angelico, Jordan” disse concisa, levandosi le mani di Lee dal viso con uno scatto e allontanandosi senza aggiungere altro.
“Ehi!” esclamò lui, ridendo e raggiungendola in fretta. A Gwen scappò un sorriso: era determinato, non c’era che dire.
“Dai, che ti costa dirmi di sì, Noctis?” chiese, con il tono di un bambino che chiede le caramelle. La ragazza scosse la testa.
“Non è il fatto che non voglia andarci con te” spiegò, sperando di scrollarselo di dosso: a volte quel ragazzo gli dava veramente sui nervi. “È che non voglio andarci e basta”.
Lee assunse un’espressione tanto sconvolta e lanciò un grido tanto scandalizzato e acuto che Gwen ebbe la tentazione di scoppiare a ridere. Ma non voleva dargli una tale soddisfazione.
“Oh mio Dio…” bisbigliò, sussurrando ogni parola con un’esagerata enfasi. Ad un tratto arrivò ad appoggiarsi le mani al petto con fare teatrale e a sbilanciarsi fintamente come se stesse per svenire.
La ragazza alzò le spalle, tentando di sembrare indifferente alla pantomina che stava allestendo il ragazzo.
Lee stava riprendendo fiato a fatica ed era addirittura divenuto cereo. Però: giornalista pazzo e attore. Niente male.
“Ma come puoi, Noctis, come??”. Il suo tono si alzò di qualche ottava, come la voce delle donne nei cartoni animati che sua madre e suo padre guardavano anni prima.
“L’evento che TUTTE LE RAGAZZE ASPETTANO!!!!” continuò, alzando  anche le mani come un attore shacksperiano.
Qualche Grifondoro stava ridendo con molta poca dignità, tenendosi la pancia, e qualcuno del primo anno era addirittura caduto dalle panche. Dai loro posti, Fred e George Weasley sghignazzavano divertiti da tutta la scenetta. Probabilmente si aspettavano che ridesse anche lei o che stesse al giochetto di Jordan.
Ma non l’avrebbe fatto.
Alzò il mento con orgoglio e affermò, con fare lievemente cinico:
“Beh, io non sono tutte le ragazze, Jordan”.
Detto ciò, si voltò seguita da degli “OOH…” e delle risatine ilari. Poteva immaginare la faccia delusa e stupita di Lee. O forse non gliene sarebbe importato nulla.
Chi poteva saperlo: non riusciva veramente a capire cosa passasse per la mente di quel ragazzo.
Sentì il suo passo svelto raggiungerla per la seconda volta.
“Dai, Noctis…”. Era davvero delusione quello che sentiva nel suo tono? Era davvero una richiesta accorta, quella?
“Non ero ‘Gwennhy’?” chiese, con tono sardonico.
Sentì qualcosa stringersi attorno al suo polso, qualcosa dalla forza ferrea e sicura, in modo così improvviso che sobbalzò lievemente.
Trattenne il fiato quando si accorse che era la mano di Lee quella che era serrata attorno al suo braccio.
“Senti, sto facendo tutta questa scenetta ridicola perché voglio che tu venga con me, credi che sia poco serio?”. Gli era a pochi centimetri dall’orecchio.
Pochissimi centimetri dall’orecchio.
E il suo tono era così accorato…
Così serio.
Non era mai stato così serio con lei.
“E perché ho fatto una scommessa con Fred e George, OK?”
Una smorfia amara e allo stesso tempo consapevole le passò sul viso: certo, ecco il buon vecchio Lee.
Ma chissà perché l’idea che non fosse stato per sua volontà (o almeno non completamente per sua volontà) che le aveva fatto quella richiesta gli strinse il cuore.
“Ti prego, Gwen, fammi questo piacere…”
Di nuovo, il suo tono era tornato supplice e supplichevole. Non era certa che quello fosse lo stesso ragazzo che pochi secondi prima aveva fatto una performance tanto assurda davanti a tutta Hogwarts.
Per alcuni istanti, Gwen rimase a pensare a quella proposta che pareva tanto assurda, quell’invito così inaspettato, quello che probabilmente sarebbe rimasto l’unico che avrebbe mai avuto.
Non si era preoccupata minimamente di quel Ballo, in verità, non aveva pensato a nulla che gli riguardasse, non si era neppure unita alle chiacchiere che riguardavano l’evento: non era tipa da cose tanto futili, Gwen, e mai lo sarebbe stata.
Eppure ecco che aveva un compagno che l’avrebbe volentieri accompagnata, qualcosa che non aveva mai cercato ma che, stranamente, si offriva a lei.
In fondo, cosa poteva essere un Ballo?
Solo un Ballo…
La ragazza sospirò e si girò lentamente verso il giovane. Evidentemente aveva fatto male i calcoli, perché Lee le era molto più vicino di quanto avesse pensato: si ritrovò con il naso praticamente incollato a quello dell’altro, gli occhi strabuzzati e un’espressione molto poco dignitosa.
“Va bene…” disse, svincolandosi dalla sua presa e allontanandosi a quanta velocità poteva consentirle l’esperienza sconcertante e la sua mente ancora intorpidita.
“Va bene, verrò al Ballo con te” continuò, prima di voltarsi e avviarsi a passo veloce per il corridoio.
Non era sicura, ma le parve di sentire Jordan urlarle dietro:
“E non me lo dai un bacetto?”.

Merida prese un respiro profondo.
“OK, Mary” si disse, tentando di calmare l’ansia che la prendeva tutta. “Puoi farcela”, continuò, incoraggiandosi e stringendo i pugni con determinazione.
“Vai lì, gli chiedi se vuole venire al Ballo con te, te ne vai”.
Continuò a ripetersi la formula per tutta la lunghezza del portico (per dei folli istanti quella distanza e parve la più lunga che avesse mai percorso), ma evidentemente qualcosa non andò proprio bene, considerando che, arrivata a soli uno o due metri dal punto in cui Simon leggeva, appoggiato a un albero, la formula era diventata “Vai lì, fai scena muta, te ne vai”.
Le mani iniziarono a sudarle considerevolmente, e il fiato ad accorciarsi in un tempo tanto breve che Merida pensò che doveva essere quello il cosidetto “nanosecondo”.
Il suo passo, dapprima militare e sicuro, divenne sempre più lento e incerto, e le sue mani, prima strette in due pugni risoluti abbandonati lungo i fianchi, iniziarono a intrecciarsi nervosamente.
Arrivata a trenta centimetri da lui, la formula era diventata “Torna indietro e fai finta di nulla”.
A venti centimetri la risolutezza parve riprenderla: “Vai lì, gli chiedi se vuole venire al Ballo con te, te ne vai”.
Vai lì, gli chiedi se vuole venire al Ballo con te, te ne vai.
Quindici centimetri.
Vai lì, gli chiedi se vuole venire al Ballo con te…
Dieci centimetri.
Vai lì, preghi che non ti veda e te ne vai.
Cinque centimetri.
Non ce la farai mai.
Fu nel preciso istante in cui aveva praticamente deciso di voltarsi e già stava immaginando quale sarebbe stato il modo migliore di andarsene senza farsi notare che Simon alzò il viso. I suoi occhi azzurri parvero trapassarla da parte a parte tanto erano luminosi e pieni di vita, e tale era l’effetto che avevano su di lei.
“Oh” disse, con un sorriso a 32 denti. Merida si sentì avvampare: probabilmente ora era diventata un gran bel fiammifero vivente.
“Merida”.
Si ricordava il suo nome.
Era già un passo avanti.
Decisamente.
“Ehm…” cominciò. La voce le si bloccò in gola, e dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per dire, appena udibile, “Posso…?”
“Fai pure” sorrise gentilmente. Lei non si azzardò neppure a ringraziarlo: non voleva sapere cosa sarebbe uscito dalla sua gola se avesse tentato vocaboli che non fossero monosillabi.
Merida si sedette continuando a fissarlo negli occhi imbarazzata, sorridendo appena anche lei e seguendo ogni singolo battito di ciglia con febbrile timidezza: i suoi occhi erano così…
“Dovevi dirmi qualcosa?” domandò lui, continuando il suo sguardo gentile e provocante.
Merida sperò con tutta sé stessa che smettesse di osservarla, ma allo stesso tempo sentì che lo staccarsi da quella visione probabilmente l’avrebbe uccisa: quelle iridi erano così catturanti e così dolcemente torbide che non poteva fare a meno di venirne rapita.
“Io…” iniziò, abbassando lievemente lo sguardo. Iniziò a giocherellare con dei fili d’erba nel tentativo disperato di distrarsi, almeno un minimo, ma era inutile: i suoi occhi erano ancora lì.
Poteva sentirli.
“Volevo… Ecco, io…”
Bene, bell’inizio di conversazione.
Sentì Simon ridacchiare lievemente.
E rideva anche di lei. Molto bene. Stava andando tutto alla perfezione.
“Senti, di solito è il ragazzo a chiedertelo, non ti pare?” fece lui, con fare ancora scherzoso.
Merida alzò lievemente lo sguardo, sorpresa.
“Eh…?” chiese, con un fiato, ancora stordita. La situazione sembrava così assurda… Di che stava parlando Simon? E se quello che pensava avrebbe voluto chiedergli fosse qualcosa di completamente diverso? Che figura ci avrebbe fatto?
“Vuoi chiedermi se voglio andare al Ballo con te, vero?”
No, decisamente aveva capito.
Il cuore di Merida si fermò per un lungo, lunghissimo, eterno istante.
Gli occhi di Simon su di lei.
I suoi occhi fissi nei suoi.
Il suo sorriso sereno.
Il suo stupore stordito e incerto.
E quella parola maledetta che restava sul fondo della gola, silenziosa e timida.
Se solo si fosse ricordata come si pronunciava…
Se solo il terrore non l’avesse bloccata…
La testa si mosse prima della sua ragione: annuì senza convinzione, continuando a mantenere quell’espressione ebete sul volto.
Quando Simon rise si rese conto di essersi mossa e di aver appena detto di sì, anche se forse non nel modo in cui avrebbe dovuto fare.
Idiota.
“Merida…” iniziò il Serpeverde, ridendo ancora.  
Avrebbe dovuto aspettarselo in fondo.
Avrebbe dovuto aspettarsi che tutto ciò che avrebbe fatto sarebbe stato riderle in faccia e divertirsi alle sue spalle. Chissà ora cosa avrebbe raccontato ai suoi amici. Un'altra bella statuina nella collezione. Un altro trofeo vinto. Un’altra che gli era praticamente caduta ai piedi. Una che non aveva avuto nemmeno il coraggio e l’ardore di dire “sì” a voce.
In fondo, era pur sempre un Serpeverde. Cosa le aveva fatto credere che fosse diverso dagli altri? Cosa l’aveva convinta che non fosse uno dei tanti?
Forse quel sorriso dolce, quell’espressione divertita, quegli occhi astuti eppure così torbidi… Così pieni di passata sofferenza.
Forse quella bellezza disarmante, quella bellezza semplice eppure totale, quella bellezza di chi sa di essere bello e non lo nega.
Quella bellezza a cui non servivano spiegazioni.
Quella bellezza che non era altro che bellezza, in fondo.
Era capitolata ai piedi di un ragazzo solo per il suo bell’aspetto?
Aveva compiuto l’errore che più di tutti aveva sempre rimproverato nelle sue compagne quando si prendevano una cotta particolarmente audace?
Era anche lei diventata una delle tante che aveva guardato al corpo e non alla mente di una persona?
Tutto ciò le passò nella mente in meno di due secondi.
Era strano e disarmante come in una sola giornata stesse battendo tutti i record che aveva mai avuto.
“Merida, tu mi piaci molto come persona…”.
Il suo cuore perse l’ennesimo battito e la ragione, tutti i pensieri fino ad allora fatti, tutto ciò che aveva pensato svanì nel nulla.
Aveva…
Detto…
Davvero…
Quello?
Aveva detto che le piaceva come persona?
Aveva detto A LEI che le piaceva come persona?
Per un attimo ebbe la tentazione di voltarsi per vedere se si stesse rivolgendo a qualcun altro, ma era indubbio che avesse detto “Merida”.
Chissà, forse stava parlando con un’altra Merida…
Ma quanti genitori erano così spietati da chiamare la propria figlia Merida?
No, Simon aveva detto a lei.
Decisamente aveva detto a lei.
“Ma… Vedi…”
C’era un “ma”.
C’era sempre un “ma”.
La sua mente iniziò ad immaginare i più improbabili scenari: aveva già la ragazza? Aveva qualche malattia incurabile? Aveva qualche malformazione fisica?
“Ma ho bisogno di conoscerti meglio”.
La risposta la gelò sul posto. Merida rimase zitta con gli occhi sgranati.
“Oh” disse. Sembrava dannatamente stupida, lo sapeva.
“Beh…” iniziò, tossendo lievemente. “Io… Io…”.
La voce si bloccò di nuovo in fondo alla gola. Simon la guardava paziente. Sembrava essersi ormai abituata a quei silenzi e a quelle pause. Peccato che lei non ci fosse abituata.
Merida strinse i pugni con determinazione e chiuse gli occhi per un istante: era la prima volta che aveva l’occasione di piacere a qualcuno e non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione.
“Pia… Piacerebbe anche a me, Simon”.
Le parole le uscirono faticosamente, ma quando le ebbe pronunciate, Merida sentì come una sensazione di libertà assoluta lì, nel punto in cui avrebbero dovuto essere le tonsille, come se qualcosa le avesse estirpato, come se finalmente le parole fossero libere di fluire fuori.
Il ragazzo sorrise.
E, sebbene Merida si sentì avvampare per la centesima volta, riuscì a rispondere al sorriso.

Filiana si appoggiò lievemente alla spalla di Dean, socchiudendo gli occhi e sbuffando.
Il ragazzo le carezzò lievemente la testa con la destra e vi posò un bacio delicato: era già pronto a quelle eventualità, tante volte si erano verificate nei giorni che erano seguiti alla Prima Prova.
“Ancora quei cali di pressione?” chiese, continuando a tenerle il capo dolcemente.
La ragazza annuì con poca forza.
Il ragazzo scosse il capo con decisione.
“È il quarto oggi” constatò, con il tono intriso di preoccupazione.
La voce di Filiana gli arrivò ovattata e fievole.
“Figurati, da piccola mi capitava sempre… Tra qualche mese passerà”.
Aveva di certo ridimensionato di molto la situazione, ma era così assurda persino per lei...
Dacché ricordava, era così che era iniziata la prima volta: i malori, la nausea, il mal di testa, la sensazione di pesantezza che la opprimeva orrendamente… Tutti segni che un tempo avrebbe interpretato in modo assai diverso. Poteva anche essere una semplice influenza, forse, o anche una febbre passeggera. In effetti, poteva essere qualsiasi cosa. Non era il caso di preoccuparsi così prematuramente. Non era il caso di dimostrarsi così ansiosa.
Ma in fondo non era la raccomandazione maggiore che sua madre le faceva ogni anno prima di andare a Hogwarts e quell’anno più fortemente di altri? “Sta attenta a ogni minimo segnale, Fili, anche il più piccolo mal di testa!”. E non era proprio per la pressione che sua madre faceva su di lei ogni singolo giorno della sua vita che bramava tanto, ogni anno, recarsi in quel luogo dove, almeno non totalmente, la sua presenza angosciante e i suoi dubbi le impedivano di vivere?
Poteva essere qualsiasi cosa.
E molte volte quei malori si erano dimostrati “qualsiasi cosa”, nonostante tutta la paura di sua madre e la calma ansia di suo padre.
Eppure, Filiana lo sapeva come anche sua madre lo sapeva, quando l’aveva lasciata andare quasi piangendo quell’anno: erano passati 5 anni. E davvero quello era l’anno in cui “qualsiasi cosa” poteva divenire QUELLA cosa.
Probabilmente aveva avuto quei malori anche prima della Prova, anzi, certamente. Ma probabilmente erano stato tanto minimi, tanto reconditi e sommessi che non li aveva neppure notato. O forse li aveva avuti in forma molto forte, ma la non consapevolezza di essere malata l’aveva tenuta calma.
Ma da quell’attacco di panico, da quell’istante in cui era rimasta a fissare con gli occhi vuoti la Prima Prova, la sua attenzione a quei malori era aumentato.
L’attenzione di Dean a quei malori era aumentato.
Filiana scosse la testa lievemente, tentando di scacciare quel pensiero dalla testa.
Dean.
Se Dean avesse saputo…
Chissà cosa avrebbe detto…
Ma non era il caso di fasciarsi la testa così prematuramente.
Poteva davvero essere qualsiasi malattia, e assai meno terribili di quella che immaginava.
Un’ondata di nausea la prese tutta.
Qualsiasi fosse, di sicuro era fastidiosa.
Dean sembrò non voler mollare la spugna.
“Mi preoccupo per te, tutto qua!” disse, continuando a massaggiarle la testa delicatamente.
Filiana sorrise lievemente contro il maglione della sua divisa: sapeva di bagnoschiuma alla menta. Non aveva idea di quanti ragazzi nella scuola avrebbero mai usato quello specifico bagnoschiuma.
“Non devi, davvero”, commentò, rialzando la testa con un sorriso: la nausea si era esaurita lentamente e oramai del dolore alla testa era rimasto solo un vago ricordo.
Dean alzò le spalle.
“Beh, sai com’è…”. Le avvolse le spalle con un braccio con fare quasi casuale. Quasi casuale.
“Non vorrei che ti sentissi male mentre ballerai con me”.
La ragazza rimase un attimo basita, poi voltò lo sguardo verso di lui.
Il ragazzo le sorrideva con dolcezza, di un sorriso pieno di gioia e felicità, il sorriso di chi sa già che la risposta che gli verrà data sarà sì.
Fu il primo momento da quando i malori erano cominciati che Filiana non sentì il pensiero di ciò che quello potesse voler dire pesargli sulla testa: si sentiva bene, dannatamente bene, mentre Dean la guardava con quel sorriso a 32 denti tanto amato e i suoi occhi accesi di allegria erano fissi nei suoi.
Filiana sorrise lievemente, con una certa malizia voluta.
Si girò verso di lui e si avvicinò delicatamente, arrivando ad appena due o tre centimetri dal suo viso.
“E… Se mi è concesso saperlo,” domandò, passandogli un dito sulla divisa. Sentiva il petto del ragazzo alzarsi ed abbassarsi sotto il suo indice, e il suo profumo di menta più intenso che mai.
“… Cosa ti fa credere che io verrò con te al Ballo, Thomas?”. La sua voce si abbassò di qualche ottava, in quella che doveva sembrare un’imitazione di Jessica Rabbit ma che, ai suoi orecchi, parve solo molto imbranata.
Dean sorrise lievemente, e Filiana sentì il suo fiato sulla sua fronte. Ormai le sue mani erano già sul suo petto, appoggiate a palme tese sulla divisa: la stoffa pizzicava lievemente sotto le dita e le faceva il solletico.
“Perché, mia cara Basile…” iniziò lui, avvicinandosi ancora di più. Agli occhi di Filiana la distanza che aveva già percorso avrebbe dovuto annullare completamente i centimetri che li allontanava. Evidentemente si sbagliava.
“… Sei l’unica ragazza in tutta la scuola a sapere che per preparare una Pozione Trepidante non servono pelle di Girilacco e Bezoar…”
“… Ma zanne di serpente e aculei di porcospino” terminarono in contemporanea, sorridendo poi e abbassando lo sguardo.
“E… Inoltre…”, Dean le cinse i fianchi con le mani. Filiana sentì il suo corpo incendiarsi nell’istante in cui le dita di lui si intrecciarono intorno alla sua schiena.
“… Per me sei davvero bellissima, Fili” sussurrò, con un tono suadente e leggero. La ragazza sentì le gambe cedere e sciogliersi con velocità inaudita: mai nessuno gli aveva mai fatto una dichiarazione simile. In verità, nessuno le aveva mai fatto una dichiarazione.
La ragazza gli accarezzò dolcemente gli zigomi con un dito e passò l’altro braccio intorno al collo dell’altro.
“Beh, allora non posso fare altro che accettare, Thomas” bisbigliò, tanto vicino alle sue labbra che ormai quasi si sfioravano.
Dean sorrise contro le labbra lievemente schiuse e anche lei stirò le labbra deliziata.
Filiana era certa di non essere mai stata più felice fino ad allora.
E quando Dean appoggiò le sue labbra sulle sue, fu certa che lo sfarfallio nello stomaco non fosse causato dai malori.

Stava per fare una cretinata.
Stava per fare una cretinata assurda.
Selene non si era mai sentita più stupida in tutta la sua vita, mai, mai come in quel momento. Era una delle poche occasioni, in quegli anni ad Hogwarts, in cui le mura della scuola, invece che farla sentire a casa (in fondo, l’orfanotrofio poteva definirsi casa?) la facevano sentire un insetto da schiacciare in mezzo a un branco di elefanti, in cui, invece che essere parte della famiglia, era l’ospite imbarazzata seduta in un angoletto a mescolare e rimescolare un tè già freddo da tempo.
Quella storia del Ballo era proprio quello che, più di tutto, aveva temuto dal giorno in cui era stata iscritta a quella scuola: balli stile liceo, atti a far sentire ogni ragazza che avesse un fidanzato superiore e a ricordare a quelle che non avevano avuto la fortuna di trovare quello giusto (nel suo caso, quella giusta) che erano delle povere perdenti.
Ed alla fine era accaduto. In fondo, come poteva sperare di essere salva da quella scemenza? Hogwarts era pur sempre una scuola, anche se una scuola di magia, e i professori, forse sperando di far loro un piacere, li avrebbero presi tutti in giro. Come in ogni normale scuola Babbana.
Quello aveva temuto, quella la sua paura più recondita: dover trovare qualcuno che l’avrebbe accompagnata, qualcuno che avrebbe accettato di portarsela dietro per tutta la sera, qualcuno che avrebbe detto “sì”.
Il problema era nato lentamente dentro di lei, non certo tutto all’improvviso: da bambina avrebbe pagato oro per potersi acconciare come una bambolina, farsi portare in trionfo sulla pista come una principessa, ballare fino a notte tarda solo per vedere che effetto faceva. Stretta a un ragazzo. Un qualsiasi ragazzo.
Quale bambina non sognava di essere una principessa, anche se quella bambina aveva perso le persone più importanti della sua vita?
Poi era arrivata Sky.
Sky era stata la sua migliore amica, la sua ancora, il suo appoggio, l’unica che aveva sempre saputo essere la sola, la predestinata, la ragazza con cui avrebbe passato la sua vita.
Era così strano, eppure già dai suoi nove anni, da  quando aveva incrociato i suoi occhi ametista per la prima volta, da quando la sua vita si era intrecciata, inconsciamente, alla sua, l’unica cosa che era riuscita a dire, strabuzzando gli occhi e diventando di un rosso porpora:
“Quando sarò grande ti sposerò, Sky”.
Era un fatto compiuto, per lei, un’idea ben precisa, una constatazione, l’aspirazione di una bambina che, come tante altre, sogna di sposarsi con il suo migliore amico. Peccato che lei sognasse di sposare la sua migliore amica.
Per lei era una cosa tanto scontata, tanto naturale che non aveva mai neppure pensato che Sky potesse provare qualcosa per lei diverso da ciò che lei provava per la bambina. Non aveva mai dubitato di ciò. Non aveva mai dubitato che lei non ricambiasse il suo amore ardente e sincero di bimbetta al primo amore.
Sky era stata la prima che aveva mai amato.
Una bambina.
Ci aveva messo un po’ a rendersi conto che, agli occhi del mondo, la cosa non era affatto normale.
Non quanto lo era per lei.
Ed ora, a quasi sei anni di distanza, Selene sapeva che nessuno avrebbe mai invitato a un Ballo una lesbica.
Una dichiarata lesbica.
Dannata lei e quel bacio al terzo anno.
Avrebbe dovuto trattenersi.
Ma evidentemente quell’idiota era stato abbastanza intelligente dal tenersi ben lontano da ogni sorta di scoop, o così stupido dal non voler capire tutte le chiacchiere che erano state fatte su di lei. Le dava l’idea di uno che ci fosse, effettivamente.
E sicuramente nessun altro gli avrebbe chiesto di essere il suo accompagnatore al Ballo. Fosse lui di sesso maschile o femminile. In fondo quante ragazze sarebbero state così idiote da rivelare la propria omosessualità a tutta la scuola? A parte lei, naturalmente.
Ma d’altronde, se avesse accettato, l’avrebbe aspettata la serata più noiosa e meno stimolante della sua vita: Bletchley non brillava certamente per intelligenza, né dava l’idea di uno granché sveglio. Certo, era grosso e massiccio, e probabilmente molte ragazze le avrebbero invidiato la compagnia di un tale palestrato. Ma la “fortunata” in questione desiderava come null’altro che chiunque l’avesse inviata, anche quello spocchioso di Malfoy, piuttosto che passare la sera con quel cucchiaino. Probabilmente se fosse stato Malfoy a invitarla si sarebbe lamentata allo stesso modo. Forse il suo problema non era tanto che qualcuno non la invitasse, ma che qualcuno la invitasse. Non si sarebbe sentita mai a suo agio con nessuno, a quanto pareva.
Prese un gran sospiro, con una teatralità che avrebbe potuto equiparare le migliori tragedie di Shackspeare. Poteva dire di sapere come si sentissero Lady Macbeth o Ofelia.
Che stupidata che stava facendo.
Che enorme cazzata che stava facendo.
Ma VOLEVA andare  a quel Ballo, nonostante tutti i pensieri anti conformisti e anti società. E sapeva che da sola non sarebbe potuta andare di certo. O almeno, la McGrannit non aveva parlato di coloro che sarebbero rimasti senza un compagno. Era certa che qualche Serpeverde sarebbe andata non accompagnata, solo per il gusto di godersi un ballo da sole con sé stesse, solo per assaporare un minimo di libertà, solo per poter invitare qualche ragazzo avvenente senza il vincolo di qualcuno con cui dividere ogni singolo istante di quella serata. Ma per il suo scopo un ragazzo sarebbe servito. Avrebbe dato troppo nell’occhio.
Tutti sapevano quanto poco pronta ad agghindarsi a festa fosse, quanto fosse reticente ad unirsi a feste e party, e l’andare con qualcuno almeno avrebbe potuto far pensare che ci fosse andata solo per fare un favore, perché se ne era sentita obbligata. Non dovevano pensare che fosse lì per trovare qualcuno.
Per trovare una ragazza.
Tutto per rivedere quella strana ragazza, quella Keira, Carine o comunque si chiamasse, quella ragazza che l’aveva spinta in uno sgabuzzino delle scope e con cui aveva condiviso uno spazio decisamente troppo stretto per due persone.
Da quell’occasione non ce n’erano state altre per rincontrarsi e per parlarsi di quell’imbarazzante eppure così intenso momento… E lei sentiva che parlarne sarebbe stato il primo passo per dimenticare quegli occhi penetrarle nella pelle e quelle mani cingerle gentilmente i fianchi. Perché, era dannatamente imbarazzante ammetterlo, non aveva mai smesso di pensare a lei.
Sospirò per la millesima volta mentre si avvicinava, a passi lenti, a Bletchley: per tutto quello che stava  passando per lei, Keira avrebbe avuto un debito perpetuo con Selene.

Harmony strinse la bacchetta convulsamente e sospirò profondamente. Non aveva mai fatto una cosa del genere. Né tantomeno avrebbe mai creduto di poterlo fare.
Era una brava ragazza, in fondo, sebbene così tanti potessero pensare che fosse una delle tante bullette che il Cappello aveva spedito nella Casa di Salazar. Seguiva le regole, tentava di stare al passo con le lezioni, faceva il suo dovere. Come ogni ragazzo in quella Scuola avrebbe dovuto fare. Eppure c’era gente che vedeva quei suoi atteggiamenti con sguardo contrariato, che rideva alle sue spalle ad ogni passo nel corridoio, che le rinfacciava semplicemente di essere una buona strega che tentava di non dare fastidio alla gente. Gente che le faceva lo sgambetto mentre si dirigeva nelle aule, come la Glowmoon. Gente che le tirava palline di carta durante le lezioni, come la Parkinson. Gente che le tirava un secchio di sangue addosso.
Gente che non aveva nessun rispetto.
E dunque perché avrebbe dovuto aver rispetto per loro?
Il bastoncino pareva scivolarle tra le dita, tanto era sudato il suo palmo mentre saliva sulla pedana. Lo sguardo della Harrowl avrebbe potuto trafiggerla tanto era penetrante.
Non ricordava neppure più perché aveva deciso di fare quella cavolata bestiale: mettersi contro la ragazza più temuta del Club dei Duellanti pareva più, come avrebbe detto Draco, “una delle tante cretinate tipiche dei Grifidioti”. Non certo una “nobile impresa” degna della “Casa migliore di tutta Hogwarts”. Eppure eccola lì, faccia a faccia con “Calamity Kris” (questo il soprannome che risuonava nei corridoi ogni qualvolta la si vedeva con Jefferson alle calcagna), per vendicare quello che, solo pochi giorni prima, avrebbe etichettato come uno “scherzo di cattivo gusto”.
Aveva passato la vita a credere che i problemi si sarebbero risolti da soli, che la violenza non fosse la risposta e la vendetta tanto meno. Tanti anni passati a sorvolare su linguacce, battutacce, scivoloni più o meno “casuali” e spinte, sorridendo mestamente, dicendosi che prima o poi si sarebbero stancati e si sarebbero dimenticati di lei.
E invece nulla era cambiato.
Non erano cambiate quelle linguacce, non erano cambiate quelle battutacce, non erano cambiati quegli scivoloni sicuramente ben poco casuali e quelle spinte.
Non era cambiata lei.
E forse era proprio quello che aveva sbagliato in tutti quegli anni: non aveva mai creduto di dover cambiare per poter combattere i suoi nemici, sempre sicura com’era di poter adattarsi a ogni situazione senza dover cambiare sé stessa.
Ma la verità era che casa sua, la famiglia che tante volte avrebbe volentieri voluto cambiare, non era Hogwarts. I suoi noiosi e monotoni genitori, sempre uguali nella loro routine, non erano certo i suoi turbolenti e continuamente in evoluzione compagni: se un giorno erano allegri e vispi, il giorno dopo potevi vederli fare un broncio esageratamente lungo, se un giorno ti sorridevano amichevoli, il giorno successivo avrebbero trovato ogni espediente per pugnalarti alle spalle. Il suo tentare di mantenersi calma e costante a sé stessa non sarebbe servito a mantenersi al passo coi tempi. E questo avrebbe causato solo altri scherzi, altre spinte, altri secchi di sangue in testa.
Forse stava sbagliando.
Forse cambiare per soddisfare gli altri non era eticamente giusto.
Ma la verità era che ormai non si trattava più degli altri. Era lei stessa che non sopportava più quel carattere così poco adatto a una Serpeverde, che nulla le aveva portato se non guai, che nulla le avrebbe portato se non guai. Doveva rinnovarsi, e lo sapeva benissimo.
Forse, in fondo, sfidare Calamity Kris non era stato il miglior primo atto che avrebbe potuto attuare nella sua “rivoluzione”, ma un atto talmente radicale e teatrale non poteva far male.
Naturalmente, le avrebbe fatto male se la Harrowl l’avesse stesa.
“Al mio segnale…”
Harmony alzò la bacchetta davanti al suo viso, continuando a tenere gli occhi fissi sulla sua avversaria.
Il Club dei Duellanti… Come diamine le era venuta quell’idea? Quanto doveva essere stata autolesionista nel momento in cui aveva elaborato quel piano?
“Uno…”
Harrowl non le staccava gli occhi dal viso.
“Due…”
Poteva ancora tornare indietro, forse…
“Tre!”
Fu quando Kristen puntò la bacchetta contro di lei e urlò un incantesimo che non sentì che Harmony capì che non avrebbe potuto scappare.
E che non avrebbe voluto farlo.
Con una prontezza di riflessi di cui si stupì lei stessa, un “Protego!” le era uscito dalle labbra, e l’incantesimo della ragazza l’aveva appena sfiorata. Nel punto in cui l’aveva colpita sentì la pelle indurirsi lievemente: doveva essere un Petrificus Totalus.
La bacchetta si mosse prima di lei, e dalla gola le uscì il primo incantesimo che le venne in mente. Il viso di Kristen divenne marmoreo e per un lunghissimo quanto breve istante Harmony sorrise soddisfatta immaginandola a terra col viso rivolto al pavimento.
Poi la ragazza si chinò con uno scatto felino, e quello che doveva essere uno “Stupeficium” si abbatté sulle pareti, devastando un quadro dalla cui tela, terrorizzata, corse via una dama in abiti ottocenteschi.
Harrowl si rialzò col fiatone: sebbene l’avesse schivato, era chiaro che la velocità dell’avversaria l’aveva destabilizzata notevolmente. Un lampo di maligno piacere balenò negli occhi di Harmony, e la Grifondoro parve notarlo, in quanto la sua espressione si indurì e lanciò un altro incantesimo con velocità notevole.
Ma Harmony con calma parava, lanciava, schivava, con flemma tattica e sguardo fisso sugli occhi dell’avversaria. Harrowl lanciava ormai incantesimi su incantesimi, ripetendosi, ansando, cercando disperata qualcos’altro da dire o fare. Sembrava che non riuscisse più a pensare lucidamente, come schiacciata dalla fredda indifferenza dell’avversaria e dalla sua non reazione.
Harmony non si era mai sentita così calma e potente in vita sua. Probabilmente Calamity Kris faceva crollare ogni avversario al primo colpo, e il fatto che non ci fosse riuscita con lei (proprio con lei) doveva averla shoccata e non poco.
Era come se non avesse fatto nulla per tutta la vita: gli incantesimi si susseguivano in un groviglio di urla e pensieri, senza che dovesse neppure riflettere su quale usare. Venivano da lei, si lasciavano manipolare, si lasciavano sfiorare dal suo tocco amorevole e poi si scagliavano a torturare l’avversaria.
Si sentiva bene.
Dannatamente bene.
Meglio di quanto si fosse mai sentita in anni di umiliazioni e di prese in giro, di passività e prudenza. Ora era lei ad agire, ed erano gli altri a doverla temere.
Kristen la guardò con uno sguardo che pareva pieno di odio e ira.
Poi un “Incarceramus” le partì dalla gola e il suo viso divenne di un rosso malsano mentre, ansante, sorreggeva la bacchetta con debolezza.
Ma lei era pronta: divaricò le gambe e strinse la bacchetta più forte che poteva, mentre l’incantesimo si avvicinava. Sembrava di vedere tutta la scena al rallentatore: il raggio che si dirigeva verso di lei…
Il coro di “OOOH…”…
Il viso sconcertato di Harrowl…
E, con un elegante gesto di mano, Harmony rispedì l’incantesimo al mittente.
L’ultima cosa che vide furono gli occhi di Kristen spalancarsi.
Poi delle corde la avvolsero tutta e l’avversaria crollò a terra in un bozzolo inerte e penoso.
La ragazza sorrise e disse, con fare impassibile:
“Expelliarmus”.
La bacchetta dell’altra volò lentamente verso l’alto, ruotò per un istante sotto lo sguardo impotente di Harrowl attraverso le funi e poi, con delicatezza, si poggiò sul palmo aperto di Harmony.
La Serpeverde sorrise deliziata, finalmente paga.
“La prossima volta pensaci bene prima di buttare qualcosa in testa a qualcuno” commentò secca, chinandosi lievemente sul bozzolo e rivolgendole un finto sorriso.
Un attimo di silenzio regnò nella stanza. Gli studenti la guardavano a bocca aperta, passando lo sguardo da Harrowl a terra a lei al centro della pedana alla bacchetta che aveva in mano.
Poi, un grido di gioia e giubilo scosse tutta la stanza.

La Sala Comune dei Serpeverde si era svuotata a quella che era sembrata una velocità straordinariamente veloce alla ragazzina accasciata in una poltrona nell’angolo, accartocciata su sé stessa con le gambe appoggiate al petto e la testa sulle ginocchia.
Aveva pregato con una forza prorompente che il tempo con gli altri si dilatasse magicamente, che i secondi scorressero più lentamente, che i minuti smettessero di correre così inevitabilmente. A che serviva essere una strega se non poteva neppure esaudire il desiderio che il tempo andasse più piano?
Niki sbuffò lievemente.
Ora che avrebbe voluto altro che il tempo andasse più velocemente, che il momento fatidico in cui Theodore fosse tornato si avvicinasse senza che sentisse ogni singolo secondo pesarle sulla testa e lì rimanere a darle noia e a toglierle il respiro, a ricordarle che, alle undici passate, il suo ragazzo non era ancora lì. Possibile che il tempo fosse così bastardo da comportarsi sempre in maniera opposta a come qualcuno avrebbe voluto?
Era da giorni che Theo sembrava ignorarla con ostinatezza talmente esasperante che non aveva potuto ignorarla. Inizialmente aveva pensato che fosse normale che volesse distaccarsi da lei per un po’, che non volesse sempre starle attaccato come lei a volte faceva, che la sua richiesta d’attenzione potesse essere sfiancante.
Tutto questo per una o due settimane.
Poi aveva cominciato a notare i segnali inequivocabili: i baci senza sentimento, le carezze impazienti, gli sguardi che non si soffermavano mai su di lei ma vagavano verso altri orizzonti.
Non era un tentativo di staccarsi. Non era amore.
Per lei pensare di perdere Theodore era tanto impossibile quanto insopportabile: lo amava come non aveva mai amato nessuno, sebbene mai gliel’avrebbe detto. Lo sentiva suo come sentiva suo quel corpo magrolino e goffo, sapeva di volerlo come sapeva che lui la voleva. O come credeva che lui la volesse.
Uno scricchiolio la destò dallo stato catatonico in cui era caduta: una figura scura si profilò contro il legno, e il suo cuore perse un battito quando riconobbe il profilo di Theo.
Il ragazzo apparve dall’oscurità con un sorriso sghembo sulle labbra, ma appena la vide la sua espressione mutò in stupore. Niki si alzò lentamente, tentando di ignorare le gambe che tremavano incontrollabilmente: era difficile tenersi in piedi immaginando cosa Theo avesse potuto fare fino a quel momento. Tentò di mantenersi fredda: non voleva certo mostrarsi debole davanti a quell’idiota. Theodore deglutì lievemente, e la sua espressione tornò calma e rilassata. Un gran bell’attore, non c’era che dire.
“Cosa ci fai qui, Niki?” domandò, il tono decisamente troppo freddo. Non così bravo, forse.
Parlare le costò quello che le parve uno sforzo immenso.
“Ti aspettavo” sussurrò molto semplicemente. Fredda quanto lui. Fredda più di lui.
Theodore rimase zitto. I suoi occhi di ghiaccio sembravano volerla gelare. Ma lei non si sarebbe lasciata incantare.
Sostenere quello sguardo era così doloroso che più di una volta le sembrò di cadere, e una volta pensò perfino di appoggiarsi al divano.
“Bene…” commentò, e fece per dirigersi verso il dormitorio dei maschi. Ma Niki non glielo permise: gli afferrò il polso con forza (lo sentì perfino gemere) e lo trattenne a sé.
Il suo viso stava ad appena due centimetri da quello del ragazzo. Se fosse stata un’altra situazione sarebbe stato molto divertente. Ma non era un’altra situazione, purtroppo.
Sentì Theo deglutire davanti a sé, ma ciò parve non soddisfarla: strinse un po’ di più la presa sul polso e lo girò lentamente.
Il ragazzo non reagì, ma notò la mano chiudersi a pugno e il suo viso contrarsi come se stesse serrando i denti. Non abbastanza. Ma non era quello che voleva.
Ciò che voleva erano risposte, risposte certe, e non vaghe quanto quelle che le aveva dato fino ad allora, quei segnali contrastanti che potevano essere tutto o nulla, quei sorrisi vuoti eppure pieni, quell’offrirgli il calice per poi ritirare la mano.
Voleva sapere.
E l’aveva in pugno.
Ma quando aprì la bocca, l’unica cosa che le uscì dalla bocca fu un tremulo:
“Verrai al Ballo con me, vero?”.
Il respiro di Theo le si infrangeva sulla pelle. Poteva sentire il sudore impalmargli il polso e scendere giù verso le braccia, poteva vedere i suoi occhi correre per cercare una via d’uscita.
Fu solo in quell’istante che Niki si accorse di quanto disperata era: la domanda che gli aveva fatto, la tacita richiesta era stata quasi retorica per lei. Era stata una speranza, un cercare conferma, un chiedere “Mi ami?” per la centunesima volta.
Doveva rispondere sì.
Questo ciò che voleva.
Doveva rispondere sì…
La sua bocca taceva ancora, non diceva nulla…
E intanto la sua disperazione saliva con le lacrime…
E la bocca di Theo si apriva.
E lui, a mezza voce, sussurrava un “No” che le tolse la terra da sotto i piedi.
Niki divenne di un bianco cereo e rimase zitta col polso di Theo ancora tra le sue mani.

Quando la sala si fu svuotata quasi del tutto, Kristen era ancora lì, nel suo bozzolo di funi, ad agitarsi inutilmente come un pesce fuor d’acqua che ricerca l’aria.
La posizione era decisamente scomoda, la situazione imbarazzante. E, sebbene ormai non ci fosse più nessuno a poterla vedere in quello stato, di certo non credeva di potersi alzare.
E rimanere lì fino alla lezione successiva era fuori discussione.
“Aiufo…” tentò, soffocata da una fune alla bocca. Il poco che vedeva era confuso e poco dettagliato, e i movimenti erano quanto mai impossibili.
Come odiava quella ragazzina…
Farle fare una tale figura davanti a tutto il Club dei Duellanti…
E presto tutta la scuola avrebbe saputo della dipartita di “Calamity Kris”. Non sarebbe mai più stata l’invincibile strega di Hogwarts, mai più quella che tutti aveva sfidato senza mai vincere.
Era stato tutto così rapido e improvviso…
Forse il fatto che fosse Harmony la sua avversaria aveva abbassato le sue aspettative: cosa mai poteva farle quel chihuaua di Malfoy, quell’essere senza spina dorsale?
Eppure lei si era dimostrata non solo capace, ma perfino migliore di lei: la calma con cui l’aveva affrontata, la sua decisione, quel suo muovere i polsi senza fatica e senza neppure pensarlo…
E poi tutti quegli incantesimi sconosciuti che aveva pronunciato, quei colpi così potenti che l’avevano lasciata senza fiato…
E quel colpo di polso…
Quel movimento che mai aveva visto in due anni di Club dei Duellanti e della sua carriera di Calamity Kris. Dove diamine poteva aver visto una cosa simile? E come poteva sapere gli incantesimi?
A lei pareva di ricordare vagamente qualcosa, qualche dettaglio recondito che si annidava in un angolino della sua mente impolverata dal passare del tempo, ma ora era impossibile e relativamente poco importante capire dove “Chihuaua” avesse letto quelle formule, considerando la situazione in cui si trovava.
Tentò un movimento delicato, provando ad agitare la mano. A che sarebbe servito, però? Non aveva nulla con cui tagliare le funi, non aveva la bacchetta e non aveva nessuno che potesse aiutarla.
Sapeva che l’effetto dell’incantesimo sarebbe ben presto svanito, ma la sua mente paralizzata dall’imbarazzo non poteva aspettare così tanto: sarebbe stato un supplizio rimanere un altro secondo in quella gabbia in cui Lewis l’aveva ficcata. Sarebbe stato troppo ricordare l’errore che aveva fatto.
Mai sottovalutare il nemico.
Come era stata così stupida da dimenticarlo?
Qualcosa si mosse cauto accanto a lei, e, prima che se ne accorgesse, una luce che le parve assurdamente forte la colpì in pieno viso.
Impiegò qualche istante prima di riabituare gli occhi e, quando finalmente riuscì a riscuotere i sensi da quella specie di torpore in cui era caduta, capì che qualcosa aveva reciso le funi.
Daniel era sopra di lei, col coltellino svizzero in mano e un’espressione trionfante sul viso.
Kristen alzò gli occhi al cielo.
“E tu che dicevi che non mi sarebbe mai servito…” disse lui tagliente, rigirandosi la lama tra le mani come se fosse stato il suo tesoro più prezioso.
La ragazza tentò di rimettersi in piedi ma si sentiva le gambe completamente addormentate e le mani altrettanto.
“Avresti potuto usare un banalissimo incantesimo”, gli fece notare, ritentando con scarso successo.
Lui aprì le braccia e sorrise sghembo.
“Beh, avresti potuto usarlo anche tu…”
Kristen lo fulminò.
“Oh, già, è vero” esclamò Daniel con un tono fintamente innocente e chinandosi su di lei. “La Lewis ti ha rubato la bacchetta” terminò, portando il labbro in fuori e assumendo un tono bambinesco.
Kristen lo guardò con tanto odio che lo fece sorridere divertito.
“Dai, vieni via da lì” sussurrò, porgendole la mano.
La ragazza la afferrò con riluttanza e lasciò che la tirasse su.
“Grazie” sbuffò, senza degnarlo di uno sguardo.
Lui però non parve soddisfatto.
“Ehi, ti ho appena salvato la vita, Harrowl!” esclamò con fare importante. “Direi che mi merito molto più che un ‘grazie’ così svogliato” fece, con tono allusivo.
Kristen sorrise e commentò, secca:
“Non ti ho baciato quella volta sotto il vischio e non ti bacerò ora”.
“Oh, ma io non voglio un bacio” spiegò Daniel, alzando le mani come a dire “vengo in pace”. “No, tranquilla…”.
Si avvicinò un po’di più (un po’ troppo, a dire il vero) e, con un tono che evidentemente era un’imitazione mal riuscita di James Bond bisbigliò, passandosi una mano tra i capelli:
“Voglio che tu venga al Ballo con me”.
Kristen spalancò bocca e occhi. Il ragazzo continuava a sorridere, beandosi della sua espressione ebete e passandosi una mano sulle unghie con fare noncurante.
“Con… Te?” domandò lei, quasi senza muovere muscolo. Lui annuì lievemente.
“Al Ballo?” chiese, riuscendo stavolta a riprendersi lievemente. Daniel annuì per la seconda volta.
“Mi stai prendendo in giro, vero?” domandò, già pronta a ridere per lo scherzo.
“Perché dovrei?” fece invece quello, con tono ovvio.
Per la seconda volta, Kristen spalancò bocca e occhi.
“Vuoi venire AL BALLO con ME?”
“Sì, ora la smetti di ripeterti?” chiese lui evidentemente seccato. La sua finta calma da gentleman era caduta piuttosto in fretta, non c’era che dire…
Kristen portò le mani avanti a sé.
“Perché diamine dovrei voler venire al Ballo con te, Dani?”.
Lui tornò a sorridere col suo finto charme, probabilmente pronto a sfoggiare il suo asso nella manica.
“Perché so che non hai nessuno con cui andarci…”
Kristen sorrise. Se non sapeva fare di meglio…
“… E perché vorrei far colpo su una ragazza e tu vuoi fare questo favore al tuo migliore amico…”
E rovinarsi un’intera serata per dar retta a quel nano da giardino? Neanche per…
“… E perché anche la Lewis ci sarà”.
Questa volta l’informazione parve fare effetto: Kristen si mostrò improvvisamente interessata e Daniel sorrise, comprendendo di aver colto nel segno.
“Con Malfoy” continuò, come se quello potesse importarle.
No, era la prima parte quella importante.
Lewis…
Al Ballo…
La sua mente elaborava già nuove maniere per vendicarsi, nuovi piani grandiosi, macchinazioni da fare invidia al migliore genio del male...
Le possibilità erano infinite! C’erano così tante cose che avrebbe potuto farle… C’erano così tante cose che avrebbe voluto farle…
E l’unica clausola era portarsi dietro per tutta la sera quel nanetto.
Nulla di che, forse.
Forse non sarebbe stato neppure tanto male. In fondo, Daniel era il suo migliore amico. Sempre meglio che un bulgaro che non aveva mai visto e con cui avrebbe scambiato sì e no due parole in croce.
Il sorriso di Daniel si faceva sempre più ampio.
Dio, quanto odiava dargli soddisfazione.
“Ok, tscpt…”, borbottò, trascinando le parole.
Il ragazzo inarcò le sopracciglia e chiese, con fare compiaciuto:
“Scusa?”
Lei sospirò e ritentò:
“OK, ti ci pt…”
Daniel si protese verso di lei e, mettendosi una mano a imbuto sull’orecchio chiese, quasi gorgheggiando sulla parola:
“Scuuuusa?”
L’impazienza ebbe la meglio: afferrò la mano di Daniel, si posizionò davanti a essa con la bocca e gridò, con quanto fiato aveva nei polmoni:
“SI’, TI CI PORTO!!!!!”

Note d'autrice:
Mi dispiace.
Mi dispiace davvero tanto.
Lo so che è la cosa più scema da dire ma è l'unica che posso dire.
Mi posso giustificare dicendo che queste ultime settimane sono un casino, davvero, e che l'ispirazione ha tardato ad arrivare e a illuminarmi.
Comunque, alla fine ecco qua il nuovo capitolo.
Ringrazio tutte\i voi per la pazienza infinita e mi dispiace se il prodotto non vale l'attesa.
Come ho detto, ho avuto un po' di problemi per questo capitolo.
Però ora ci sono.
Grazie a Giuli che mi ha chiesto centomila volte di pubblicare e che mi ha spronato a continuare e che shippa Blaise\Susan.
Ecco, se riesco a far shippare una coppia sono soddisfatta.
In questo capitolo abbiamo visto una svolta nel rapporto NikixTheo e la vendetta di Harmony. Come vi è parsa?
Poi, domandina: quale "invito\paragrafo" vi è piaciuto di più tra questo capitolo e il precedente?
Poi, solo per sapere: avete mai pensato a un "prestavolto" (qualcuno che desse volto) al vostro personaggio?
Ripeto, il prossimo capitolo sarà un preludio al tanto agognato Ballo. Già tremo.
Prima che me lo chiedate: sì, Ally ha un fratello maggiore di nome Robert\Robbie (mik, questa la lascio a te) e in verità ha pure un fratellastro... HO GIA' DETTO TROPPO!!!!
Ah, e il ragazzo che ha invitato Sele è un personaggio della saga.
E così pure quello che ha invitato Eve (non ricordo chi me l'ha chiesto...).
Mi scuso per non aver risposto, ma comunque voi non smettete di seguirmi, eh! Non sapete quanto mi fanno piacere i vostri commenti!

 

 

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Capitolo 15
*** Before the Yule Ball ***


Ernie non si sentiva proprio a suo agio con quella cravatta al collo e quella giacca strettissima. Proprio per niente. Sembrava un pinguino tanto le sue braccia erano incollate al corpo, e tanto, per effetto contrario, la sua testa spiccava nel collo semi incassato tra le spalle. Faceva uno strano effetto, con quella testona che svettava fiera. Guardandosi allo specchio si disse che sembrava proprio una di quelle guardie che si vedevano all’entrata dei palazzi reali nei film vecchi, di quelli che sua nonna amava guardare e riguardare su cassette ormai rovinate da tempo.
Il completo blu scuro faceva risaltare i capelli di un biondo sporco, e il fiore bianco appuntato all’occhiello era di certo un tocco di classe. Ma, guardandosi, non poté fare a meno di sentirsi ridicolo come non mai.
Cosa l’aveva spinto ad accettare l’ “aiutino” che aveva voluto offrirle la nonna? Come diamine aveva potuto credere che qualcosa che era appartenuto a suo nonno potesse essere minimamente presentabile e adatto al suo fisico? Diamine, e dire che era persino dimagrito in quel periodo… Si chiese per un istante come il nonno riuscisse a stare imbalsamato in quell’abito. Probabilmente non sarebbe riuscito a muoversi per tutta la sera, e la sua signora non gli pareva un tipo che avrebbe facilmente fatto tappezzeria. Proprio per niente.
Provò a muovere un passo, incerto, ma un lieve e sinistro “crack” lo convinse a non tentare oltre la sorte. Tanto valeva rimanere fermo in quel Dormitorio tutta la sera, aspettando che qualcuno gli sfilasse quel coso di dosso, fermo come una mummia al suo posto.
Si maledisse per la milionesima volta. Era l’ultima volta che dava retta a sua nonna.
Un fruscio lieve lo riscosse dai suoi pensieri. 
Non poteva farsi vedere così. Proprio per niente.
Tentò un altro movimento stentato, allungando la gamba come un robot, ma non servì a molto: l’abito scricchiolava troppo per renderlo tanto audace da tentare un singolo passo.
“Siamo messi maluccio, eh?”
La voce lo gelò. L’avrebbe riconosciuta tra milioni.
Dannazione, perché proprio lei doveva vederlo in quello stato?
Tentò il suo sorriso migliore.
“Mary…” sussurrò a denti stretti. Era voltato di modo che non potesse vederla, e un moto di rabbia lo percosse tutto: avrebbe dato di tutto per guardare il suo vestito.
La sentì ridacchiare deliziata, di quella risata argentina che sembrava il gorgoglio di una cascata. Diamine, quanto era fantastica…
“Questi vecchi abiti non andrebbero bene neppure a mio nonno!” osservò lei, con una punta di ironia. Chissà se si rendeva conto che, in qualche modo, aveva indovinato.
“Vallo a dire a mia nonna” commentò, tentando di voltarsi a passo di pinguino verso la porta del Dormitorio femminile.
“Prova a sbottonare qualcosa, no?” suggerì lei con tono cordiale. Lui tentò di alzare le spalle ma neppure quello gli riuscì.
“Lo farei, se potessi muovermi” spiegò, tentando un altro passo a pinguino. DOVEVA vederla.
Un’altra risatina alla sua destra.
“Aspetta, ti aiuto”.
E un istante dopo, senza che si fosse spostato di un centimetro, era davanti a lui.
Ed era bellissima.
Indossava un abito leggero e semplice, monospalla, di un colore tra il pesca chiaro e il bianco, con una fascia nera che le stringeva la vita, accentuando le sue curve acerbe di ragazzina. Aveva i capelli neri e ribelli raccolti in un composto chignon, e aveva una rosa color pesca, o ciò che sembrava una rosa color pesca, appuntata tra i riccioli che si era fatta per l’occasione. Gli occhi verdi scintillavano di una gioia che mai le aveva visto in volto, una gioia che pareva quasi celestiale mentre, con mano leggera, gli sbottonava delicatamente prima un bottone, poi un altro, lentamente. E Ernie seguiva il movimento della sua mano adornata di un bracciale a forma di cuore, rosso, ben lavorato e adornato di perline colorate. E i suoi occhi sembravano tanto più grandi, col mascara che si era messa… E l’ombretto color pesca, e la matita chiara…
E quell’espressione deliziata e un po’ confusa (forse perché aveva smesso di respirare) mentre lentamente l’ultimo bottone lasciava l’asola. Le sue labbra adornate solo di un po’ di lucidalabbra.
Gli orecchini a spillo rotondi del colore dei suoi occhi.
Era bella quanto e più di un angelo.
Era un vero e proprio angelo.
“Ora dovrebbe andare meglio” commentò, tossendo lievemente. Prima che potesse dire qualcosa, era già scesa precipitosamente lungo le scale per raggiungere il suo partner, e lui era rimasto con una mano alzata come per richiamarla, incerto e ancora un po’ stupefatto.
Si accorse solo in quell’istante che, effettivamente, sarebbe bastato sbottonare qualcosa per rendere il completo del nonno un po’ meno stretto, e di quanto scemo era stato a non accorgersi prima che, effettivamente, quella giacca gli stava quasi un po’ larga se non allacciata fino al colletto.
Quanto doveva esserle sembrato stupido… Ma perché diamine proprio davanti a lei?
Sospirò amaramente e si strinse lievemente la cravatta.
Però, pensò fugacemente, per un istante era sembrata quasi incerta.
 
Keira si lisciò quello che c’era da lisciare della zazzera castana che si ritrovava in testa: era la milionesima volta che lo faceva, in preda a una sorta di trepida attesa. E in verità non c’era molto da aspettare, o almeno non quanto avrebbe dovuto esserlo: il suo compagno era un tipo che conosceva a malapena e che trovava tenero, certo, ma sapevano entrambi che non sarebbe mai potuto essere qualcosa di più. Soprattutto considerando la sua posizione.
La verità era che quell’attesa febbrile era dovuta all’evento che di lì a poco sarebbe accaduto più che al suo cavaliere e alla speranza che tra loro scattasse la scintilla (ma quando mai?). Doveva ammetterlo: in qualche modo Beauxbatons l’aveva cambiata, in modi tanto subdoli quanto evidenti. Il suo odio ostinato verso tutto ciò che era moda, tutto ciò che era scomodo e balzano svaniva in quelle occasioni, e si trasformava quasi in mondanità. Keira non amava certo sfigurare, e non voleva farlo: la deliziava quasi sentire tutti quegli sguardi su di sé, in quell’occasione. Era piacevole sapere che, per una volta, la stavano fissando non perché indossava scarpe strappate e aveva l’aria di uno scaricatore di porto.
Quella sera, doveva ammetterlo, si piaceva e anche tanto: indossava un abito aderente blu che le arrivava fino alle caviglie, con una delicata scollatura a cuore e una spallina a fiore che reggeva il tutto. Il fianco destro, inoltre, era adornato con una fila di  pietruzze argentate che risplendevano al lume delle candele e che la facevano notare immediatamente. La gonna non era affatto stretta come il resto dell’abito, ma si apriva a ventaglio, muovendosi coi suoi passi in un movimento quasi ipnotico allo sguardo dello spettatore. Aveva lasciato i capelli normalmente, senza toccarli se non per passarsi un colpo di spazzola prima di scendere, ma aveva optato per un fermaglio di pietruzze, anch’esse argentate, che la faceva scintillare ancora di più. Quanto a altri gioielli, non ne aveva se non un bracciale semplice e una collanina sottile con, come medaglione, un cuore spezzato a metà, pure quello d’argento.
Era il trucco il punto forte del suo look: aveva messo un rossetto di un rosso acceso e brillante, che le faceva sembrare le labbra più grandi e che pareva quasi invitare all’assaggio. Sugli occhi aveva applicato una matita nera che poi aveva sfumato sui bordi, formando un paio di arabeschi elementari, e si era applicata delle ciglia finte che erano adornate di strass. La carnagione poi, dal bianco pallido, era diventata lievemente più rosea sulle guance, di un rosa tenue che, però, era decisamente un cambiamento radicale rispetto al chiarore a cui erano abituati i suoi compagni.
In poche parole, non si riconosceva quasi più neppure lei. E, per una sera, ne era contenta.
Si guardò intorno, trepidante: perché mai il suo accompagnatore ci metteva così tanto? Un paio di Tassorosso la urtarono, per poi scusarsi ed allontanarsi ridendo senza dire altro. Avrebbe quasi gradito la loro compagnia, pur di distrarsi da quell’attesa.
Intorno a lei era un caos di colori, un frullato di nero, blu, viola, giallo, arancione, rosso e di qualsiasi colore inventato dall’uomo.
Erano ragazzi che parlavano tra loro, stringendosi le mani e ridendo come matti, con sorrisi che andavano da un orecchio all’altro.
Lo sguardo le cadde, d’un tratto, su un viso ben conosciuto. Era appartata in un angolo, appoggiata a una colonna, con la testa che ciondolava lievemente e un sorriso amaro sul viso. E sembrava cercare qualcuno con lo sguardo, ma con una tale noncuranza che Keira pensò, con un sorriso, che il suo accompagnatore non doveva essere poi granché.
Sorreggendo lievemente la gonna riuscì a farsi strada verso di lei, continuando a guardarla deliziata. Il cambiamento non era tanto estremo in lei: non aveva trucco in viso, se non forse un accenno di matita e un po’ di fard, ma era il resto che la stupiva e non poco. Forse vederla sempre in divisa l’aveva condizionata molto. 
I capelli ricci erano diventati miracolosamente lisci e, se già sembravano lunghi normalmente, ora le arrivavano praticamente alla vita e forse anche oltre.
Indossava un delizioso abito nero, molto all’antica, con le spalle a palloncino e la gonna ampissima. Si chiese come diamine avrebbe fatto a ballare con quella cosa addosso. L’abito, a parte il suo stile decisamente originale, era alquanto semplice: aveva una scollatura a cuore e non aveva particolari dettagli. Ma, quando riuscì a intravedere dietro, si accorse che aveva mille laccetti, come quelli di un bustino, che si intrecciavano dietro la schiena, e notò l’ultima parte della gonna cucita in una maniera di cui non ricordava il nome. Inoltre, si rese conto quando le fu vicino, al collo aveva un laccettino nero.
“Felice di rivederti, Sele” commentò, sorridendo dolcemente. La ragazza sobbalzò sentendosi chiamare e, quando incrociò lo sguardo con il suo, per un istante la vide spalancare gli occhi verdi in un espressione di stupore e al tempo stesso di delizia. Ma fu solo un istante.
“Stessa cosa per me, Keira” disse, sorridendo a sua volta. Il suo sguardo si fermò per un istante sulle ciglia adornate di strass, e fu catturata dal movimento delicato che compivano alzandosi e abbassandosi. Strano quanto fascino avesse anche solo muovendo le ciglia.
“Gran bel vestito!” esclamò, fingendo invidia, Keira. “Posso rubartelo?”
Sele rispose con lo stesso tono scanzonato:
“Non penso ti converrebbe, considerando questa dannatissima gonna”.
E qui scoppiò in una risatina nervosa, seguita a ruota da Keira.
“Già, immagino non sia utile negli spazi angusti” costatò. Le sue parole parvero accendere qualcosa nella mente di Sele e, deglutendo, si ritrovò a dire, incerta:
“Come… Uno sgabuzzino?”
Dopo quella frase una coltre di imbarazzo parve cadere tra le due ragazze. Sele abbassò gli occhi, passandosi la lingua sulle labbra con imbarazzo, e stringendo le mani nervosa. Non si accorse che Keira, sbattendo lievemente le ciglia luminose, osservava ogni movimento impaziente di carpirne quasi l’essenza. Senza che lo volesse o se ne accorgesse, la sua bocca si aprì, e dalla bocca le uscì:
“è stato alquanto piacevole…”
Sele rialzò immediatamente lo sguardo, e quello sguardo ad occhi sgranati la lasciò interdetta: come una persona poteva lasciare così  disarmati, solo guardandola? Era lo sguardo più stupito eppure più dolce che avesse mai visto.
“Lo penso anch’io” commentò, come una costatazione dolorosa e allo stesso tempo inevitabile. In verità non pareva vergognarsi di dirlo. Lo disse così, come la cosa più naturale del mondo, come se fosse anche solo normale rimanere chiusi in uno sgabuzzino con una ragazza e godersi l’esperienza.
Sele deglutì, e parve volerle dire qualcosa, quando la voce del suo compagno la raggiunse.
“Devo andare!” esclamò, come per scusarsi. Si afferrò la gonna e, mentre Sele sussurrava, imbarazzata “Oh, OK…” le lasciò, senza sapere perché, un bacio lieve sulla guancia, appoggiandole una mano sul viso. Un odore di rose e cioccolato la pervase per un istante, lasciandola intontita mentre si girava tentando di non barcollare sulle gambe mentre il profumo della ragazza le fluiva ancora dentro, inebriandola completamente.
Poi si allontanò. Aveva il viso in fiamme e sentiva le labbra bruciare ancora nel punto in cui si erano poggiate sulla pelle candida di Selene.  
 
Zach si sistemava con nervosismo semi esagerato i polsini, girando e rigirando i bottoni con fare imbarazzato: non si era mai sentito più agitato in vita sua.
Il completo blu in cui era imbottigliato era decisamente troppo lungo sulle maniche e troppo largo sui fianchi, e gli dava l’aspetto di una strana specie di uccello particolarmente brutto. Non era certo colpa sua se sua madre aveva voluto spedirgli “il completo di suo padre al ballo di classe”, ma forse Hetty avrebbe dovuto pensare che suo padre era sempre stato ed era tuttora alquanto largo. Decisamente troppo largo per il suo fisico gracilino.
Nonostante i giorni passati, il costante ripetersi che stava facendo la cosa giusta, la sua determinazione a non sottostare a quella vocina nella testa che gli diceva che aveva fatto una grandissima cavolata, l’idea fissa come un chiodo nella sua testa che la sua scelta era stata sbagliata non lo abbandonava: certo, era vero che Daisy era l’amica di sempre, quella che dal primo istante aveva amato, quella che aveva sempre guardato con occhi adoranti con la triste consapevolezza che non avrebbe mai funzionato, ma era anche vero che l’arrivo di Shaula nella sua vita era stato quanto di più bello potesse capitargli. Quella ragazza era un tornado di vita, una vera e propria forza della natura, e Zach si sentiva talmente stupido parlando con lei…
Il ragazzo si sentiva da giorni spaccato in due, diviso tra quei sentimenti contrastanti, da una parte recalcitrante verso il passato, dall’altro proteso verso il futuro. Era un conflitto così opprimente che più volte aveva pensato semplicemente di non andare a quel dannatissimo Ballo, solo per non dover scegliere, solo per non dover fare qualcosa di definitivo. Ma oramai il dado era tratto, e ciò che sarebbe successo sarebbe successo.
“Aspetti la tua compagna?”.
La voce lo fece sobbalzare di paura, ma era ben conosciuta.
“Aspetti che la tua Cenerentola scenda dalla carrozza?”. Mai l’aveva sentita usare un tono tanto velenoso nei suoi confronti. Fu come venire pugnalato nel fianco.
“Shaula…” sussurrò a mezza voce. Un sospiro grave gli uscì dalla bocca.
“Vuoi dirmi di levarmi dai piedi?” domandò, continuando a provocarlo allegra come mai l’aveva sentita. “Non vuoi che rovini l’incontro con la tua bella Sherazade? Oh, tranquillo, non dirò nulla di compromettente, lo giuro!”
“Non stavo per dire questo” bisbigliò Zach a mezza voce. E non ne avevo il desiderio, avrebbe voluto dire. Ma non lo disse: quelle parole gi rimasero bloccate in gola insieme al groppo che era fermo lì, alla bocca dello stomaco, e che si era formato nell’istante in cui Shaula gli si era avvicinata.
“Cosa volevi dire, allora?” chiese, ancora strafottente. Zach non aveva il coraggio di voltarsi anche di pochi centimetri: sentiva che la vista del suo viso l’avrebbe sconvolto a sufficienza per non poter parlare per tutta la sera.            
Il ragazzo deglutì a fatica.
“Volevo dirti che mi dispiace” tentò lui, con incertezza. Che incredibile frase fatta, rimbombò nella sua testa. E quanto riduttiva era per ciò che sentiva.
“Che incredibile frase fatta” alzò le spalle Shaula. Zach non poté farne a meno e, sebbene fosse incredibilmente fuori posto, si lasciò scappare un minuto sorriso.
“Puoi fare di meglio, Terrinson” si disse, tentando di ignorare il fatto che Shaula gli si fosse praticamente piazzata davanti: abbassò lo sguardo col pretesto di osservarsi ben bene le scarpe (ma che diamine di pretesto era?) e disse, incerto:
“Vedi… Il fatto è che…”. Qual era il fatto? Cosa pensava realmente? Cosa sentiva realmente? Come poteva spiegarlo a parole se non lo sapeva neppure lui?
“Guardami”. La richiesta di Shaula era leggera ma perentoria a un tempo, carica di tensione come se gli stesse chiedendo un favore immenso e ne avesse l’assoluta necessità.
“Io… Io… Non so…” si impappinò il ragazzo. Cosa poteva dire per spiegare? Come si poteva spiegare qualcosa che non capiva?
“Guardami”. Stavolta la sua voce sibilò contro il suo viso, e un brivido freddo lo prese tutto.
“Vorrei… Insomma… Shaula, io…”
“PORCA MISERIA, GUARDAMI, ZACH!!!”
Uno strattone deciso lo lasciò completamente senza fiato, e Zach si ritrovò con le spalle tra le mani ferme di Shaula e il viso rivolto verso quello della ragazza.
Non si sbagliava: vederla era stato quanto di più devastante potesse accadergli quella sera.
Le palpebre erano ricoperte di nero, e le ciglia erano state allungate a dismisura. Zach poteva coglierne ogni singolo movimento, ed era impossibile non accorgersi del loro sbattere anche se non vi si fosse prestata attenzione. Le labbra erano di un rosso scuro che le faceva sembrare la bocca incredibilmente più carnosa (più di quanto non fosse già) e si era spalmata poco ma sufficiente fondotinta per farle risaltare gli zigomi alti. Ma ciò che lo shoccò furono gli occhi: i suoi occhi neri, sempre pieni di allegria, occhi brillanti di luce immensa, sembravano ora solo due cavità vuote e spente. Zach sentì un brivido attraversarlo al pensiero che fosse stato lui a spegnere quella luce.
I capelli neri erano appuntati in uno chignon disordinato dietro la nuca, facendo risaltare il viso. Il vestito era assolutamente vistoso e grandioso: era a sirena, con una striscia di diamanti che la reggeva sotto il seno, senza maniche e con la scollatura a cuore. La gonna si apriva poi, preceduta da un arabesco bianco, su una sottogonna dello stesso colore di pizzo. Non aveva badato a spese per quel vestito, ed era ovvio.
“L’avevo preso per te” disse solamente, in un tono amareggiato e piatto. Fu come un pugno nello stomaco.
“Sei…”. Le parole gli morirono in bocca.
No, non era il caso.
Assolutamente non era il caso.
Cosa poteva dire alla sua ex…
Conoscente?
Amica?
Fidanzata?
Forse avrebbe dovuto accordarsi con Shaula sul termine con cui preferiva essere definita.
Perché, ne era certo, lui non sarebbe mai riuscito a definire alla perfezione il loro rapporto.
“Tu sei un grandissimo bastardo, ecco che sei” commentò l’altra, pronunciando una parola dietro l’altra con il tono più velenoso che poteva avere.
Zach non se la sentì di commentare: abbassò nuovamente lo sguardo e si mordicchiò nervosamente un labbro. Aveva ragione, lo sapeva. Aveva ragione su tutto.
Non rialzò nemmeno quando sentì un frusciare di gonna e il rumore secco di tacchi che si allontanavano. Rimase con lo sguardo basso e gli occhi chiusi.
 
Lesath si passò le mani sul completo, tentando di dissimulare l’indifferenza che quell’evento gli procurava. Aveva accettato l’invito della sua compagna solo per una sorta di mera pietà e per non deludere una vecchia amica, ma quel Ballo non era eccitante per lui quanto per la maggior parte della scuola era eccitante. Era quasi un’incombenza da svolgere, e prima l’avrebbe svolta meglio sarebbe stato.
Naturalmente non aveva potuto contare sull’aiuto di suo padre per il completo che ora indossava: era già tanto che Wallace si ricordasse del suo compleanno, non si era neppure preso la briga di scrivergli del Ballo e chiedergli il suo abito migliore. Aveva dovuto accontentarsi di uno che gli aveva inviato suo nonna, evidentemente più aggiornata di suoi padre sugli avvenimenti di Hogwarts. La spedizione rapida era stata quasi una benedizione dal cielo: il completo di un viola spento era arrivato la sera prima, quando già Lesath si era rassegnato a dire alla sua accompagnatrice che non sarebbe venuto.
Di certo il viola non era propriamente il suo colore, ma non era neppure tanto male.
“Aspetti qualcuno?” chiese una voce accanto a lui.
Il ragazzo sorrise lievemente.
“Tenti di fare la cordiale, Kapner?”
La ragazza sbuffò accanto a lui.
“Per una volta che una persona arriva sventolando bandiera bianca…”
“Dopo la nostra conversazione durante la Prima Prova non mi sei sembrata il tipo da sbandierare facilmente bandiera bianca” spiegò lui, alzando lievemente le spalle.
Daisy arricciò il naso, indispettita. Possibile che quel ragazzo la facesse sempre innervosire così?
Lesath sorrise debolmente, stringendo le mani.
“Se stai cercando di essere cordiale per avere un accompagnatore, Kapner…”
La ragazza, che si era voltata già pronta ad andarsene si bloccò nel mezzo della sua fuga stupita.
“… Mi spiace, ma sei arrivata tardi. Ho già una compagna”.
Daisy si girò lievemente verso di lui, tenendo gli occhi fissi e la bocca aperta su di lui. Sembrava così shoccata che, se fosse stato girato, Lesath avrebbe riso della sua espressione, ne era certa.
“Chi…” iniziò, costretta a tossicchiare per riprendere fiato. “Chi ti dice che non abbia trovato un accompagnatore, Heryun?”
Un ampio sorriso si aprì sul suo viso.
“Solo un’impressione personale”, spiegò come fosse la cosa più ovvia del mondo.
Daisy si trovò a stringere i pugni con rabbia, in una reazione ormai alquanto famigliare ogni volta che si trovava in sua compagnia.
“Se vuoi saperlo, Heryun, ho trovato eccome un accompagnatore” borbottò, tentando di reprimere la rabbia. Non poteva perdere la pazienza con lui.
Non VOLEVA perdere la pazienza con lui.
Lesath ridacchiò lievemente e commentò, sardonico:
“Non me ne importa minimamente, in verità, Kapner”.
Un moto di stizza la prese tutta per un istante, poi un’ondata di calma parve colpirla e si ritrovò ad alzare le spalle e a commentare, con nonchalance:
“E perché mai dovrebbe? Non mi conosci affatto…”
“Né tantomeno mi interessa conoscerti, se vuoi saperlo” continuò Lesath, apatico.
Daisy si lasciò scappare un sorriso.
“Non vuoi neppure vedere come mi sono fatta bella per il mio cavaliere, Heryun?” domandò, fingendo un tono supplichevole.
Lesath sorrise tra sé e sé.
“Ma sì…” commentò, già pronto a riderle in faccia. “Vediamo un po’ come ti sei conciata.”
Si voltò e per un attimo si sentì come travolgere da un’ondata di imbarazzo e sorpresa totale.
Daisy indossava un semplice abito bianco lungo fino al ginocchio e stretto in vita, il corpetto adornato di strisce di colore nero, relativamente meno ricco di molti altri che alcune dame sfoggiavano quella sera. Ma nella sua semplicità senza trucco e trucchi, nel suo visino pulito e nel suo sorriso allegro e timido pareva esserci molta più bellezza di altre ragazze addobbate come alberi di Natale e tanto truccate da sembrare maschi. Pareva esserci molta più grazia nei suoi capelli lasciati cadere sulle spalle in riccioli scomposti, che in quelle acconciature complesse che lo circondavano.
Daisy era semplicemente quello che molte quella sera non avevano voluto essere: ragazzine, pure e semplici ragazzine acqua e sapone che dimostravano la loro età senza vergogna.
Al suo mutismo Daisy iniziò a preoccuparsi seriamente. Non che le importasse del suo giudizio, né in verità di quello di nessun altro, però ci teneva a sembrare, quantomeno, non orrida in quell’occasione.
“Come sto?” domandò, tentando di dissimulare la leggera ansia.
Lesath parve risvegliarsi e commentò, riuscendo a riscuotersi:
“Sei carina” borbottò col tono più freddo che riusciva ad assumere.
Daisy sembrò per un istante stupita.
“Solo… Solo carina?” domandò, in un tono lievemente indispettito.
Lesath non poté trattenersi dal rimanere stupito da quella sua nota acida.
“Ehm… Ti… Ti importa?” domandò, aggrottando le sopraciglia.
Daisy sembrò accorgersi del tono che aveva usato e sbatté gli occhi confusa.
“I-io…” si lasciò scappare, mezzo attonita. Si schiarì la voce con un colpo di tosse e replicò, tentando di mantenersi impassibile:
“Scusami. Non sono stata molto carina, eh?”.
Lesath alzò nuovamente le sopracciglia.
“Quando mai lo sei stato con me, Kapner?” chiese sarcastico.
Daisy si lasciò scappare una risata divertita, e Lesath si concesse un mezzo sorriso. Era davvero dolce quando rideva. Affascinante, in qualche modo…
“Comunque penso che il tuo cavaliere ti stia chiamando” disse, tentando di recuperare l’autocontrollo.
Daisy si voltò verso la direzione che le aveva indicato e commentò:
“Oh, già…”
Poi, continuando a ridacchiare leggermente, si precipitò verso la macchiolina indistinta che doveva essere il suo compagno.
Lesath tentò di mantenersi altro tempo freddo, ma non riuscì ad evitare un sorriso.
Certo, non era il suo tipo e quegli occhialoni la facevano sembrare più vecchia.
Ma in fondo non era per niente male.
 
Le scarpe col tacco erano state un vezzo, certo, ma erano quanto di più scomodo esistesse al mondo. Eve aveva decisamente imparato la lezione.
Si trascinava giù per le scale, appoggiandosi al muro come meglio poteva e semi zoppicando, guardando attentamente le scale col terrore di poter capitombolare da un momento all’altro. Dannata lei e quella sua smania di provare almeno una volta il tacco.
Il vestito, almeno in parte, la aiutava: era un abitino corto, lungo fino al ginocchio, e dunque decisamente meno ingombrante di altri che aveva visto nel Dormitorio dei Tassorosso. Il lillà risaltava il colore dei suoi capelli ed era quanto di più adorabile avesse mai visto in vita sua. Sua zia ci aveva decisamente azzeccato. Era senza spalline, con una dolce scollatura a cuore, con un corpetto semplice che la cingeva completamente. La gonna era più ampia e tutta accartocciata su sé stessa, come una pallina di carta. Eppure l’effetto complessivo era decisamente gradevole, e non le dava l’aria da pollo che si era infilato una gonna, come di solito la facevano sembrare i vestiti.
Per la millesima volta si osservò le gambe con aria critica: le echimosi erano ben visibili sulla pelle bianca, e le ferite recenti avevano lasciato brutte cicatrici che le percorrevano tutta, dal ginocchio in giù. Stesso discorso valeva per le braccia: le spalle presentavano due enormi bozzi violacei, che probabilmente non sarebbero andati mai via, e una brutta ferita era ancora aperta sul gomito.
Eve sperò con tutta sé stessa che l’incantesimo che sua zia le aveva consigliato funzionasse veramente: nessuno doveva vedere quelle ferite, meno che mai a una festa a cui avrebbe assistito tutta la scuola.
Uno scricchiolio sinistro la fece appoggiare con forza al muro in tempo: un altro istante e sarebbe caduta a faccia in giù per le scale.
Un viso noto apparve d’un tratto dall’oscurità delle scale.
“Eve!” la chiamò, in un tono nervoso e imbarazzato.
“Neville!” esclamò lei, già pronta a corrergli incontro. Ma il suo tentativo fu bloccato da un tacco traballante, e la ragazza cadde in avanti per quella che sarebbe stata una rovinosa caduta, se Neville, svelto, non l’avesse riafferrata al volo.
La ragazza rimase un istante a guardare il viso di lui, tanto vicino che poteva sentire il suo fiatone. Era diventato rosso come un peperone, e la guardava come se fosse stato lui stesso stupito della sua prodezza.
Era davvero tenero, doveva ammetterlo. Certo, non il più bello della scuola, ma a lei non era mai importato granché della bellezza. Era un ragazzo dolce e delicato, timido come pochi ma anche incredibilmente interessato a ciò che gli accadeva intorno. Era certa come era certa di chiamarsi Evangelin che, se solo si fosse aperto un po’ di più, quel ragazzo sarebbe stato un leader eccezionale.
“G… Grazie” borbottò, mentre lui la rimetteva delicatamente in piedi sui suoi tacchi. La ragazza sospirò di sollievo.
“Mi hai proprio salvato la vita!” commentò, ridendo. Lui divenne, se possibile, ancora più rosso e, abbassando lo sguardo, sussurrò:
“N… Non c… C’è… Di che…”.
Eve sorrise delicatamente. Si era messa solo un po’ di lucidalabbra e aveva lasciato i capelli sciolti. Era decisamente meno appariscente di altre ragazze, ma spiccava comunque per quel tocco di informalità.
“Non credevo avessi dei riflessi così pronti…”. Evangelin tentò un passo incerto tenendo le braccia spalancate come un’equilibrista sul filo.
Neville sorrise imbarazzata. “Neppure io” bisbigliò, divenendo, se possibile, più rosso di prima.
Eve si appoggiò al muro con un urletto.
“Wow…” commentò, tenendosi ancora con quanta forza aveva e tentando di raddrizzarsi. “Credo di essere stata alquanto autolesionista con queste dannate scarpe…”.
Neville ridacchiò, alzando finalmente lo sguardo su di lei. La ragazza rispose con un mezzo sorriso, mentre tentava di riprendere un minimo di equilibrio. Quando finalmente riuscì a tenersi dritta sulle scarpe traballanti, tenendo le braccia aperte intorno al proprio corpo, si concesse uno “YEAAH!” di gioia e una risata a cui si unì anche Neville. Lo sguardo della ragazza si posò un istante su quello di lui, e il ragazzo divenne istantaneamente rosso quando lei gli sorrise incoraggiante.
“Sai, Neville” cominciò Evangelin, tentando di concentrarsi a un tempo sulle scarpe e sui passi che stava facendo e sulle parole che stava dicendo. “Credo proprio che…” (si sbilanciò pericolosamente da un lato) “Che tu mi abbia salvato la vita, poco fa”.
Neville fece una specie di sorriso ebete, come se quella fosse stata la più grande soddisfazione che avesse avuto dalla vita e sussurrò un “D… Davvero?” a voce tanto bassa che Eve si stupì di averlo sentito.
Annuì per paura di deconcentrarsi: anche solo dire “sì” le pareva dannoso per l’equilibrio ora a malapena trovato. Fece un respiro profondo e richiuse con lentezza e teatralità studiate le braccia intorno al corpo. Poi, respirando profondamente e guardando le scarpe con una misto tra sfida e paura, mosse due passi.
“Vuoi… Vuoi che ti accompagni di sotto?” domandò il ragazzo, torcendosi le dita con fare nervoso.
“Oh, non penso che serva…”. La risposta che gli diede fu quasi automatica: tanta era la sua concentrazione sui passi che stava compiendo che aveva percepito a malapena la sua domanda. Sentì i piedi traballare lievemente nelle scarpe e, terrorizzata, spalancò nuovamente le braccia e si fermò sul posto. Decisamente i tacchi non erano le sue scarpe.
“Oh…” si lasciò scappare Neville deluso.
“Anzi…”, ci ripensò Eve, scuotendo il capo rassegnata. “Sì, portami di sotto”.
Per un attimo gli parve di aver visto gli occhi di Neville brillare di gioia e il suo viso riaccendersi. Ma l’attimo dopo il suo tono tornò impacciato e la sua espressione tesa.
“Oh… Ehm…”. Evangelin gli porse un braccio con aria ufficiosa e gli rivolse un sorriso sgargiante.
“M-ma po-potrei farti cadere!”, disse con tono terrorizzato il ragazzo. Sembrava volersi rimangiare tutto quello che aveva detto fino ad allora.
Con un sospiro , Evangelin gli afferrò il braccio e lo intrecciò col suo (sentì la pelle del ragazzo riscaldarsi sotto il suo tocco).
“Tranquillo”, lo rassicurò mentre scendevano, gradino dopo gradino, le scale che portavano alla Sala Grande. “Non mi farai cadere”.
 
Sarah si passò un filo di rossetto sulle labbra con cura, rimirandosi nello specchio con aria critica. Infilò una mano nella zazzera castana e per la prima volta da quando si era tagliata i capelli desiderò di averli un po’ più lunghi. Non che volesse essere notata o che le importasse di ciò che aveva commentato la Parkinson quella mattina, (“Vuoi davvero andare con quella peluria in testa al Ballo, Taylor?”) ma le sarebbe piaciuto vedere cosa avrebbe inventato Cho con le sue ciocche: si divertiva particolarmente a inventare capigliature stravaganti o eleganti, e Sarah sapeva che non ci sarebbero state molte altre occasioni per acconciarle i capelli. Soprattutto sapendo che quello sarebbe stato l’ultimo anno che avrebbero passato insieme a Hogwarts.
Il suono familiare dei passi ben conosciuti del gemello attraverso le scale che conducevano alla Sala Comune le strapparono un minuscolo sorriso sul viso.
“Ti fai bella?”, sentì la voce dell’altro vicino a lei. Un attimo dopo sentì una mano appoggiarglisi sulla spalla e nello specchietto che stringeva tra le mani apparve il volto sorridente di Johnny, gli occhi azzurri tanto amati e i capelli castani a incorniciare il viso che ricordava così tanto il suo nei tratti.
Sarah gli sorrise sghemba.
“Mi faccio bella per il più bello dei cavalieri” commentò senza girargli ma scompigliandogli la chioma con una mano.
John ridacchiò, alzando gli occhi al cielo.
“Sì, certo” commentò con un tono tra il sarcastico e il serio. “E infatti il mio fascino da playboy ha sortito i suoi frutti: vado al Ballo con mia sorella!”.
La ragazza gli sorrise nello specchio, rimirando i suoi tratti con aria critica. Lo sguardo un po’ tenebroso e cupo (che Sarah ricordava non avere solo un anno prima) gli conferiva un’aria quasi da “bel tenebroso”, e il fisico asciutto e ben piantato serviva  a completare un quadro di assoluto fascino . In qualche suo modo particolare, John era davvero bello, anche se lui non se ne sarebbe mai accorto, probabilmente. E lei non gliel’avrebbe certo detto.
“Dì la verità”, fece lei malandrina. “Quante ragazze ti hanno chiesto di venire al Ballo con loro?”
A quella domanda John si incordò un attimo. Lo vide aprire la bocca come per fare un commento acido, poi richiuderla e commentare a denti stretti:
“Tre…”.
Sarah si lasciò scoppiare una risatina.
“E quanto ci hai messo tu a dire loro no?”
John sembrò pensarci un attimo, aggrottando le sopracciglia.
“Più o meno… Tre secondi”.
Sarah scosse la testa prendendo una matita dalla borsetta dei trucchi che sua madre aveva voluto che portasse con sé (mai avrebbe creduto di poterla usare un giorno) e commentò:
“Potevi anche dire di sì, sai?”.
John alzò le spalle.
“Se non posso andare con chi voglio allora preferisco andare con te”.
Sarah commentò con un “Ooooh, che dolce!” scherzoso, tentando di non accecarsi mentre iniziava a passare la matita sotto la palpebra. Non aveva affatto dimestichezza coi trucchi, ma spesso aveva visto Cho farsi il trucco la mattina durante la colazione tentando di non farsi beccare dai professori. Non poteva essere così complicato per lei mettersi un minimo di trucco seduta comodamente in Sala Comune quando la sua migliore amica riusciva a farlo guardando intorno a sé circospetta e facendosi più piccola che poteva sulla panca, appiattendosi tanto che sembrava quasi si infilasse sotto al tavolo.
“E… Il vestito?” domandò John fingendo interesse, con quel tono scanzonato e curioso che avrebbe potuto avere quel fidanzato che Sarah non aveva mai avuto. Non che le dispiacesse, ovviamente. Hogwarts era piena di irresponsabili immaturi, e sebbene non le fossero mancate le proposte la ragazza non si era mai sentita in sintonia con nessuno dei suoi compagni. Non abbastanza per iniziare una storia, ovvio.
Sarah gli rispose con un sorriso stirato e scherzoso.
“A dopo, mio caro”, disse in tono fintamente freddo.
“Oh, andiamo! Un cavaliere non ha il diritto di vedere la sua dama in tutto il suo splendore?” chiese lui, prendendo un piglio semi offeso e ferito da cucciolo bisognoso di affetto.
Sarah ripeté il suo sorriso freddo attraverso lo specchio e, schioccando le labbra, pronunciò un secco “No”.
John alzò gli occhi al cielo e, con un fare teatralmente esagerato, esclamò con disappunto puntandole contro un dito leziosamente:
“Vergogna, Sarah Taylor! Rispondere a questo modo all’uomo che ha accettato di dividere un’intera serata con te…”
“Infatti tu hai fatto proprio DI TUTTO per evitarlo, eh?”. Sarah abbassò lo specchio e, afferrando la borsa dei trucchi e ridacchiando, si precipitò verso le scale che portavano al Dormitorio delle ragazze. Sentì la voce di John richiamarla dalla Sala Comune con tono lamentoso:
“Lo dico alla mammaaa!”. Fu certa che stesse trattenendo una risata come ora la stava trattenendo lei.
L’ultima cosa che urlò prima di infilarsi nel Dormitorio e prepararsi a tentare l’impresa “riuscire ad allacciarsi il corsetto del vestito senza bestemmiare contro i Fondatori” fu un perentorio:
“Chi se ne fregaaaa!”.
 
Si carezzò il tessuto dell’abito con un affetto e una dedizione che in realtà non provava per quell’indumento.
Quando l’aveva visto in negozio, sistemato in vetrina e additato da mille ragazze che lo guardavano a occhi spalancati, immaginando probabilmente l’istante in cui avrebbero svolazzato in pista con quel vestito addosso e il loro cavaliere a stringerle tra le braccia, Niki si era vista mani nelle mani di Theo, il suo sguardo fisso sul suo mentre la conduceva sulla pista da ballo e quell’abito addosso.
Quella scena era diventata così certa nella sua mente, il gesto di ripeterla aggiungendo ogni volta nuovi e minuti dettagli (il completo color blu cielo di Theo, il suo sorriso dolce e delicato) così abitudinario, che ora l’idea di andare al Ballo al braccio di un altro cavaliere le sembrava un’assurdità estranea e impossibile. Come estraneo era ora quell’abito.
Era senza spalline, di un color verde acqua brillante e si apriva con una scollatura a cuore impreziosita da una fila di diamanti che disegnavano la forma del suo seno e poi scendevano lungo il corpetto in una striscia compatta e splendente. La gonna era di un tessuto delicato e leggero, e scendeva più lunga dietro in una specie di velo, lasciando invece davanti le gambe scoperte dal ginocchio in giù. Se n’era innamorata al primo sguardo, eppure ora avrebbe voluto gettarlo giù dalla prima finestra che avrebbe visto e presentarsi nuda a quel cavaliere di cui, in verità, non le importava nulla. Si era raccolta i capelli rossi in una treccia solo perché non le fossero di intralcio mentre ballava, non certo per fare bella figura. Si era curata di mettersi un po’ di matita sotto gli occhi e di definire il contorno delle labbra con un rossetto rosso acceso, ma non se l’era sentita di fare altro. Quando era certa che sarebbe andata al Ballo con Theo la sua mente era andata più volte a creare abbinamenti di colori e trucchi, piccoli dettagli da applicare ai capelli, brillantini da apporre sul viso o altre minuscole, piccole cose.
Tutto per farsi bella per il suo Theo.
Quando aveva capito che no, non sarebbe andata affatto al Ballo con lui, l’immaginare di farsi bella per quel ragazzo sconosciuto con cui Bea le aveva fissato un appuntamento le era divenuto impossibile. Tentava di figurarselo mentre ballava tra le sue braccia, e non vedeva nulla, né il suo viso né quello del suo accompagnatore. Solo l’abito che ballava da solo, corpo estraneo a tutta la vicenda e unico punto fisso che avesse.
La consapevolezza che lui le era accanto la travolse prima che lo vedesse, girando la testa solo il minimo necessario per riconoscere i suoi capelli neri. Riusciva ancora a percepire quando la sua figura le era accanto, con quella sua maniera di starle accanto rassicurante e in qualche modo intimidatoria. Sembrava avere un’aura di rispettabilità intorno che trasudava da ogni poro del suo essere, da ogni molecola del suo organismo, percepibile anche a distanza.
“Nott”, lo salutò fredda. Poi tornò a lisciarsi il vestito, lo sguardo fisso davanti a sé e al marasma di ragazzi che si accalcavano scompostamente nel corridoio.
“Niki”, rispose Theodore, non riuscendo a nascondere una sorta di tacita delusione.
Per un attimo l’impulso di saltargli al collo fu incontrollabile. Poi pensò alla sgridata che si sarebbe beccata da Piton e decise che non era il caso di tentare la fortuna sperando che nessuno la notasse mentre faceva fuori il suo ex.
Tossicchiò lievemente, con fare freddo e distaccato. Doveva ignorarlo, non c’era altra soluzione. Per quanto le risultasse difficile.
“Ho sentito che vai al Ballo con Colin Canon”. Il tono sprezzante con cui infarcì il nome del suo accompagnatore le fece salire pericolosamente la bile. Poteva sentire la tacita presa in giro che si celava dietro quel singolo commento, il divertimento che gli causava il fatto che uscisse con un ragazzo più piccolo. Grifondoro, tra l’altro. Niki doveva decisamente ricordarsi di dire a Bea di non organizzare più appuntamenti per lei.
“Ho sentito che vai al Ballo con Lavanda Brown”, replicò, tentando di sputare in ogni singola parola il disprezzo verso quell’oca giuliva e quel bastardo. Theo sembrò tendersi un attimo a quel nome, e Niki fu quasi persuasa che per un istante si fosse guardato alle spalle, come a voler controllare che la ragazza non gli fosse alle spalle.
Quella reazione le fece scappare involontariamente un sorrisetto: sì, gran bella scelta mollarlo per quella cretinetta.
Il suo sguardo tornò all’intreccio di colori che le si prospettava davanti: una miscela quasi sgradevole di tutte le tinte inventate dall’uomo e dalla natura, di trucco applicato con smoderatezza, di pailettes applicate un po’ ovunque, di ciglia finte, di seni ritoccati all’occorrenza con pezzi di stoffa (illuse, a credere che non si notasse: quando mai la Parkinson aveva avuto una terza?) e di risatine divertite e seccanti. Se c’era una cosa che Niki non sopportava erano quelle ragazzine sghignazzanti con la puzza sotto il naso. Per un istante la consapevolezza che Theo aveva preferito a lei proprio una di quelle ragazzine la colpì in pieno viso come uno schiaffo violento, e la ragazza dovette richiudere i pugni per non urlare contro il ragazzo.
“Bel vestito”. Niki si passò per la centesima volta le mani sulla stoffa, fulminandolo con la coda nell’occhio.
“Il tuo invece è orrendo”, commentò con disprezzo, sapendo che nessun’altra bugia sarebbe potuta essere più falsa: il rosso gli donava moltissimo, non c’era nulla da fare. Per quanto avesse potuto negarlo e intestardirsi a immaginare sul viso perfetto brufoli e pustole e i lineamenti completamente deformati, non cambiava un semplice e naturale dato di fatto: Theodore era bello. Dio, se era bello.
“Continueremo questa storia per molto?” chiese lui, lievemente lamentoso.
“Sì” rispose prima che potesse aggiungere altro. Lo sentì sospirare, seccato. Lo immaginò passarsi le dita tra i capelli, tirare la testa all’indietro e chiudere gli occhi, come faceva sempre quando era teso, con quella sua aria tragicomica da primo attore. Non c’era che dire, riusciva a rendere tutto drammatico.
“Tu hai voluto la tua principessa, e ora te la devi lavorare” commentò più concisa che poteva. Aveva sentito un proverbio Babbano simile una volta, ma non lo ricordava bene.
Theodore scosse la testa.
“Questo vuol dire che mi parlerai a telegrammi fino alla fine dell’anno?”
“Fino alla fine della scuola” replicò lei, secca.
 
Ally si stava mangiando le unghie compulsivamente, e oramai era arrivata anche alle pellicine tanto era alto il livello della sua tensione: Robbie le aveva promesso che il suo accompagnatore sarebbe arrivato puntuale, eppure del Corvonero non c’era ancora traccia. Forse il fatto che il corridoio antistante alla Sala Grande fosse pieno di ragazzini fibrillanti e elettrizzati non aiutava molto. E inoltre quel vestito, che a prima vista le era sembrato talmente bello, era alquanto ingombrante, e le costava, al posto della sua bellezza, una gran fatica per lo spostarsi anche di pochi passi. Il fatto che poi fosse incastrata tra almeno un centinaio di studenti rendeva il tutto ancora più difficile. Iniziava a capire cosa intendesse Robbie definendo quell’evento “un ammasso di sovraeccitati asfissiante e assolutamente inutile, spinti ad una celebrazione commerciale e insulsa”. Amava con tutto il cuore suo fratello, ma quando faceva il saccente era assolutamente insopportabile. Ma doveva tenerselo, e comunque era pur sempre l’unico fratello che avesse. Non considerando Neal.
Un ragazzo in abito bordeaux la scontrò malamente, pestandole anche un piede, ma lei quasi lo ignorò e ignorò il suo accorato “Mi dispiace”, troppo affannata nella sua ricerca.
Solo quando il completo bordeaux fu inghiottito dalla folla Ally si accorse di essere andata a sbattere contro Johnny. Ma oramai era troppo tardi per trovarlo, e lei aveva ancora un Corvonero da intercettare.
Ad un tratto però qualcosa attirò la sua attenzione: all’ingresso della porta che conduceva alla Sala Grande si era formato un semicerchio di ragazzi e ragazze compatto, che la McGrannit tentava malamente di contenere con dei perentori (o che tentavano di essere perentori) “Indietro! State indietro!”
Solo in quell’istante le tornò in mente che i Campioni sarebbero entrati per primi da quella porta, e che probabilmente quella calca di persone era accorsa per loro.
Quindi lì in mezzo dovevano esserci Viktor, Fleur, Harry…
E Cedric.
E con lui Cho.
Il pensiero che lui avesse scelto lei per il Ballo bruciava ogni volta un po’ di più, e non bastava la poca razionalità che aveva né la scarsa freddezza per dirsi, con tono scherzoso, “Ehi, è la sua ragazza, che ti aspetti?”
Il giorno in cui ci sarebbe riuscita forse non sarebbe mai venuto, si disse.
L’idea di rifarsi tutta la sala era quasi dolorosa, ma il pensiero di Cedric dall’altra parte della stanza era l’unica cosa che probabilmente avrebbe potuto spingerla a ripercorrere quel faticoso tragitto.
L’impresa si rivelò sin dall’inizio straordinariamente difficoltosa: l’abito la intralciava e i ragazzi la spingevano da una parte all’altra, sfrecciando su e giù per il corridoio come delle macchine da corsa. Spesso si trovava schiacciata tra due giovani o tra una moltitudine di ragazzini, e si maledisse almeno un centinaio di volte per quell’idea malsana. Cosa aveva detto Robbie a proposito dei suoi colpi di testa? “Sono inutili e nocivi quanto due ore davanti a uno schermo a guardare dei gattini che suonano il piano”. Ally si chiese se mai Robbie avesse fatto esperienza diretta per arrivare a quella conclusione.
“Ow!”. La gomitata che si ritrovò piantata nel petto la fece piegare su sé stessa, richiudendo gli occhi con forza.
“Mi dispiace!”. Sentì una mano poggiarsi sul suo braccio e le dita penetrargli nella pelle nuda sul gomito.
Allison alzò gli occhi e vide il viso del ragazzo dello scompartimento del treno guardarla preoccupato, gli occhi di un azzurro chiaro come il cielo fissi sui suoi.
“Tutto bene?”, le chiese. Dal suo tono traspariva vera e propria preoccupazione e la sua mano non accennava a volersi staccare dal suo braccio.
Ally tentò un sorriso di circostanza, scuotendo il capo.
“Sì, tranquillo” gli assicurò, scostandosi un pochino da lui.
“Sicura?” domandò l’altro, con una punta di apprensione nella voce. Ally si soffermò per un attimo sulla sua veste e non poté fare a meno di pensare che non stava affatto male: il completo blu scuro, seppure particolarmente serioso, metteva in risalto il suo fisico asciutto e gli calzava perfettamente. Non se ne era resa conto quando l’aveva visto sul treno, ma era un gran bel ragazzo: i capelli color rame gli incorniciavano il viso non particolarmente pallido né abbronzato con delicatezza, e i tratti aguzzi mettevano in risalto i suoi zigomi e gli occhi chiari e penetranti. Carino, nulla da dire.
Allison annuì convinta.
“Certo” gli assicurò, scostando una ciocca di capelli che le era caduta sul viso. “Non sono mica una bambola di porcellana” ridacchiò, lanciando un’occhiata al portone della Sala, alla ricerca disperata della figura di Cedric. Ma la folla rendeva impossibile vedere qualcosa, e Ally si rese conto che l’impresa era persa in partenza. Forse era il caso che cercasse il suo compagno, prima che la serata iniziasse.
Simon guardò la ragazza incuriosito: gli occhi castani spalancati a quel modo, come alla ricerca di qualcosa o qualcuno, le davano un’aria semi infantile e quasi tenera. Non poté trattenersi dal lasciarsi sfuggire un sorriso divertito quando si girò verso di lui e gli chiese, con tono impacciato:
“Hai visto mica un Corvonero?”.
Simon alzò gli occhi al cielo e commentò,  con fare pratico:
“Beh, direi che è un po’ generica come descrizione, ti pare? Non hai osservato mai molto il tuo ragazzo, eh?”
La vide arrossire un po’ e passarsi le mani sul viso, imbarazzata.
“Sì, so che non è molto…”
“Non è molto?!?!” ribatté il ragazzo, spalancando gli occhi. “È praticamente nulla, diamine…”
La castana lo guardò infastidita e poi commentò, alzando una mano e sospirando:
“Lascia perdere…”.
Si girò a  fatica, sollevando la gonna, e si girò senza rivolgergli uno sguardo.
Simon non poté fare a meno di soffermarsi sul vestito, decisamente spettacolare, della ragazza: era un abito a sirena viola, senza spalline e con la scollatura a cuore, sorretto sotto al seno da una fila di pietre luminose. Poco sotto la vita un fiocco era il preludio dell’apertura della gonna, ampia e assolutamente ingombrante. Non doveva essere affatto comodo, ma in compenso era di una bellezza disarmante che lasciava senza fiato e le accentuava il vitino da vespa. Si chiese per un attimo come avesse fatto a notare come fosse la sua vita quando l’aveva vista sì e no tre volte.
Poi però scosse la testa e si incamminò, tentando di farsi strada tra i ragazzi accalcati intorno a lui, verso l’ingresso della Sala Grande: la sua dama lo aspettava e la serata stava per iniziare.
 
Quando la porta della Sala Comune si aprì davanti a lui con un maestoso e potente cigolio, il primo impulso di Harry fu quello di fuggire a gambe levate e richiudersi in camera fino a che la serata non fosse finita. Invece si ritrovò, non sapeva neppure come, con il braccio intrecciato a quello della Patil, in una stretta tanto ferrea e sicura che per un istante il ragazzo si chiese se la ragazza non avesse intuito il suo pensiero. Probabilmente il suo viso doveva dire tutto.
Senza volerlo, come per un riflesso involontario, il suo sguardo andò a Cedric, poco lontano da lui e con il braccio intrecciato a quello di Cho. Un moto di gelosia lo prese tutto, ma non tanto forte e prorompente quanto sapeva avrebbe dovuto essere.
Avrebbe dovuto odiarlo e lo sapeva. Ron si aspettava che lo odiasse, Hermione immaginava e disapprovava la rivalità che pensava esserci tra di loro e tutta Hogwarts scommetteva già sul modo in cui “Harry Potter si sarebbe vendicato di Cedric Diggory”. Ma la verità era che, per qualche strano motivo, non riusciva davvero a essere in collera con lui. Si concentrava, tentava di dirsi che DOVEVA odiarlo, gli aveva fregato la ragazza… Ma non ci riusciva.
Cedric parve captare la presenza dei suoi occhi addosso a lui, e si voltò per rivolgergli un cenno rassicurante col capo, come a dire “vai tranquillo”. Senza volerlo Harry si ritrovò a sentirsi un minimo sollevato e tirò il sospiro più impercettibile che poteva produrre per riprendere fiato. Ecco, probabilmente era per quello che non sarebbe mai riuscito a odiarlo.
Lee porse la mano a Gwen con un sorriso scherzoso, osservandola con fare deliziato e a un tempo divertito.
“Wow…” commentò, osservandola dall’alto in basso.
“Evita i commenti, Jordan, o giuro che ti spacco la faccia” si precipitò a dire lei, stringendogli la mano con quanta forza aveva.
Lee si lasciò scappare un gemito nell’istante in cui la ragazza gli piantò le unghie nel palmo, e lei non riuscì a non farsi scappare un sorriso deliziato di piacere. Era divertente, non c’era che dire.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei e commentò, a denti stretti e con una specie di smorfia che doveva sembrare un sorriso:
“Dio, quanto mi piaci, ragazza…”.
Thomas tentò maldestramente di stringere il braccio a Auror ma prima che potesse anche solo provarci lei commentò, con un tono tanto acuto da farlo sobbalzare sul posto:
“O mio dio!!”. Seguì una pausa che gli bastò per chiedersi se tutta Hogwarts l’avesse sentita.
“La Granger ha PRATICAMENTE il vestito uguale al mio!!”.
Thomas alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Ma non poté fare a meno di farsi scappare un sorrisetto.
Quando Blaise le porse la mano con un riverente “Signorina”, Susan lo guardò come se fosse diventato matto o come avesse preso una colossale botta in testa.
“Che diamine vai pensando?” gli chiese lei, con un tono tanto stupefatto e esagerato che il ragazzo dovette prendere un lungo respiro per non scoppiarle a ridere in faccia.
“Sono il tuo cavaliere, dovresti prendermi la mano”, spiegò come fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
Per tutta risposta Susan incrociò le braccia al petto e alzò il mento impettita.
“Non sta scritto da nessuna parte”.
Filiana dovette richiudere un attimo gli occhi mentre Dean la scortava lungo il corridoio, stringendole un braccio con fare affettuoso. L’impulso di appogiarglisi alla spalla fino a quando il giramento di testa fosse passato la prese per un attimo, ma lei lo ricacciò indietro scuotendo il capo. Andava tutto bene. Tutto bene.
Kristen camminava impacciata sulle scarpe, con una smorfia di disgusto tanto aperta sul viso che Daniel fu costretto a piegarsi all’orecchio e sussurrarle un accorato:
“Finiscila di fare scena o penseranno che non apprezzi il tuo cavaliere”.
Per tutta risposta lei si voltò verso di lui con lentezza studiata e ribatté, acida:
“Infatti io non apprezzo il mio cavaliere”.
Il primo pensiero di Harmony mentre Draco la scortava verso la Sala Grande fu che non avrebbe mai creduto che quel momento sarebbe arrivato, mai nella vita. Le sembrava tutto ancora così surreale che faceva fatica a credere che quello accanto a lei fosse proprio il ragazzo che per anni e anni si era riservato di guardare solo da lontano, odiandolo profondamente per ogni nuova azione da spaccone, amandolo inevitabilmente per tutte le volte che veniva a chiederle scusa con quel sorriso che riservava solo a lei. Era assurdo. Ma era vero. Assolutamente vero.
Beatrix tentò di tenersi il più lontano possibile dai Campioni, sperando che l’essere la chiudi fila le assicurasse l’essere ignorata da tutti. E per certi versi la sua tattica funzionò: l’entrata dei ragazzi più chiacchierati della scuola distrasse gran parte degli studenti da lei. Ma ciò non le risparmiò commenti poco gentili o occhiate stupite e poi divertite. Non che non se lo fosse aspettato. Ma aveva sperato fino all’ultimo che ci fosse stato qualche povero disperato come lei che, complice la timidezza, l’aspetto non proprio desiderabile o, chi poteva saperlo?, un attacco di anti conformismo acuto, sarebbe andato al Ballo da solo. E invece eccola là in fondo alla coda, senza neppure un altro lupo solitario a dividere con lei quell’imbarazzo. Ma in fondo, che importava? Era ben determinata a ballare almeno una volta con il Professor Piton. E, per Godric, ci sarebbe riuscita.

Note d'autrice:
è la terza volta che sto cercando di pubblicare.
Bene.
Prima di tutto, questo: mi dispiace. Davvero. Non ho giustificazioni e me ne rendo conto da sola, ma... Non so, mi era venuta proprio la mancanza di voglia di scrivere e mi faceva schifo tutto quello che avevo scritto. Ma ora GIURO che tenterò di riprendere il ritmo iniziale e, sebbene prometto poco, spero di riuscire a aggiornare un capitolo ogni due\tre settimane. Voglio finire questa storia, davvero.
Allora, come vedete ho voluto fare una cosa un po' "particolare": poco prima del Ballo, i ragazzi che non sono andati con chi volevano (o che comunque non hanno i compagni delle loro coppie "principali"). Forse avrei dovuto inserire anche Bea, ma ho preferito farle incontrare Piton in Sala Grande e non mi veniva nulla in mente per lei.
Per le descrizioni degli abiti, mi dispiace, sono negata. è stato un inferno solo scrivere la descrizione di questi pochi abiti. Ringrazio tutti quelli che mi hanno mandato delle linee guide o che mi hanno dato un'immagine. Per quelli che non mi hanno detto nulla (e anche per quelli che mi hanno dato solo idee) siete liberissimi di dirvi che il vestito da me scelto vi fa schifo e io lo cambierò. Ho scelto tutto partendo dall'idea di cosa avrebbe potuto stargli bene, nulla più. è ovvio che a qualcuno gli abiti non piaceranno.
E ora, in ordine di apparizione... I vestiti dei protagonisti di questo capitolo! (gli altri nei prossimi capitoli -probabilmente il Ballo sarà diviso in due o più parti-.
-Merida:
-Keira:
-Sele:
-Shaula:  
-Daisy:
-Eve:  (immaginatevelo lungo al ginocchio, lilla e un po' più lungo. So che non è proprio come lo voleva l'autrice ma me ne sono innamorata...)
-Niki:  (verde acqua)
-Ally:
Spero che vi piacciano i vestiti e spero che, anche se il capitolo non era granchè, non sia stato del tutto orrido. E spero che nonostante l'attesa la gente continui a seguirmi: ASSICURO che voglio continuare la storia, voglio portarmi questi personaggi dietro, raccontare di loro, iniziare L'ordine della Fenice... Insomma, avete capito, spero.
Ringrazio Keira Lestrange perché mi ha spronato (Avrei aggiornato comunque entro oggi visto che domani parto) e perché mi segue sempre. Davvero, grazie mille e grazie a chi leggerà questo capitolo e avrà il coraggio di mettere bandiera verde!

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Capitolo 16
*** The Yule Ball-First part ***


La prima cosa che Adrian fece, quando la mano di Shaula si serrò tra le sue, fu sorridere di un sorriso aperto e disteso, come quello di un vincitore arrivato finalmente a destinazione dopo una lunga corsa sfiancante. Era stato certo che quei due avrebbero rotto dal primo istante in cui li aveva scorti in corridoio, i visi vicini a confabulare allegramente e le mani timide quasi prossime a una stretta. Conosceva troppo bene Shaula per non saperlo: non era tipa da cotte per ragazzini, non era la tipa per quegli pseudo timidi dai capelli eccentrici con cui sembrava la Kapner andasse tanto d’accordo, non era tipa da capitombolare come una pera cotta ai piedi del primo tontolone che le fosse capitato davanti. Shaula era un’anima libera e eccentrica, passionale come poche e focosa fin dentro le ossa, non certo la tipica ragazza che cercava un ragazzo che le portasse i fiori e i cioccolatini ogni mattina. Mai stata pronta alle sdolcinatezze, e mai lo sarebbe stata, ne era certo come era certo di chiamarsi Adrian Pucey.
E infatti era finita. Shaula era venuta  al Ballo con lui, non con quel tontolone dagli occhi a palla.
“Sei bellissima” commentò, squadrandola freddamente da capo a piedi.
Shaula rispose con un “grazie” fermo pronunciato a denti stretti, gli occhi neri vacui fissi in un punto troppo lontano.
Merida sentì la mano di Simon poggiarsi sul suo fianco e sussultò un attimo. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, sapeva che presto il ragazzo che per giorni era stato al centro dei suoi pensieri l’avrebbe toccata, ma il contatto fu comunque incredibilmente shoccante. Sentì ogni nervo avvampare mentre le prendeva la mano con delicatezza e il sangue affluire ad una velocità incredibile al viso, in un solo, lunghissimo secondo. Alzò gli occhi a fatica e deglutì: il sorriso di Simon era sicuro e deciso, ma lei non lo era altrettanto. Non lo era affatto.
Lo sentì muoversi un po’ e scosse il capo per riprendersi. Il suo sguardo continuava a essere forte e determinato, i suoi occhi azzurri le sorridevano incoraggianti, la sua mano si stringeva un po’ di più sulla sua come a farle coraggio, a darle una spinta per partire. Ma lei si lasciava semplicemente trascinare, un po’ imbarazzata, sulla pista, strascinando i piedi a fatica e senza vera partecipazione, ogni muscolo troppo teso per provare un qualche passo particolarmente audace, qualcosa per stupirlo, qualche piccolo modo per impressionarlo… Se solo fosse riuscita anche solo a sorridere…
Susan era bellissima. Come lo era sempre stata, in fondo: i capelli biondo chiaro erano raccolti in un cignon fermato con un giglio sulla testa, togliendole quell’aria austera e un po’ seriosa che le dava la lunga chioma sciolta. Il vestito era di un semplice color giallo scuro, con un corpetto senza spalline e una gonna in tulle che le arrivava poco sotto il ginocchio. Completava l’opera un po’ di matita che le accentuava gli occhi grigi e lo sguardo che, come sempre, era pura calma infusa. Ma, Lesath ne era certo, qualcosa turbava quell’oceano di calma, qualcosa di quasi impercettibile e invisibile a un occhio meno attento o che non avesse osservato per anni e anni Susan Bones: una scintilla di gioia. Gli occhi di Susan brillavano di gioia. Lesath si sentì quasi in colpa pensando che, per quanto avesse potuto, non avrebbe potuto ricambiare.
Zach era un ballerino davvero imbranato, non c’era che dire: lo sguardo del ragazzo non si staccava un attimo dai suoi piedi, e il ragazzo sembrava avere una tale apprensione di sbagliare come fosse stato a una gara di ballo che Daisy non poté fare a meno di sorridere divertita.
“Tranquillo, non ti daranno uno zero se mi pesterai un piede” commentò allegra, mentre lui la faceva piroettare nervosamente, lo sguardo concentrato e le sopracciglia aggrottate.
“Mh?” Al suo commento lo vide riprendere coscienza. “Oh!” esclamò, con un sorriso tirato. “No, è che ho visto una coreografia…”. Fece un cenno con le mani con l’aria di chi voleva mantenere anonime le sue fonti.
Daisy si costrinse a un sorriso imbarazzato: era il suo migliore amico, non poteva certo dirgli che tutto quanto era non solo strano ma anche assurdamente innaturale.
Sospirò più leggera che poté: possibile non riuscisse a provare altro per lui se non un tenero affetto? Lui era perfetto, e non era solo sua madre coi suoi commenti imbarazzanti a pensarlo. Non le serviva certo che Loreline le ricordasse “quanto fosse carino, gentile e disponibile Zach” o “che mai nella vita avrebbe trovato un ragazzo più adatto a lei”: ci arrivava da sola, e non riusciva a chiamare Zach in altro modo se non “amico”.
Bletchley non voleva smettere di tirare su col naso. Cosa che Selene poteva anche sopportare.
Ma ciò che DAVVERO non poteva sopportare era quel modo di parlare sempre e costantemente, anche mentre ballavano. O meglio, mentre lei ballava. Graham si limitava a battere i piedi con la grazia di un rinoceronte a destra e a manca, la mano viscida di sudore (o meglio, la ragazza SPERAVA fosse sudore) e il tono irruento di uno scaricatore di porto. Selene non riusciva a capacitarsi di quanto poco coordinato e aggraziato potesse essere un giocatore di Quidditch. O meglio, di quanto poco coordinato e aggraziato fosse ogni ragazzo in quella Sala.
Non c’era storia, si disse Selene, con le ragazze: sinuose, allegre, festanti, scivolavano tra le dita dei loro accompagnatori con movimenti eleganti, sorridevano per nulla nervose, le gonne svolazzanti e i capelli all’aria, i sorrisi leggiadri e delicati. Per un istante a Selene ricordarono le Ninfe dei boschi, mistiche e irraggiungibili, tanto belle quanto delicate, così fragili che un solo soffio d’aria avrebbe potuto spazzarle via per sempre.
A volte non era affatto difficile spiegarsi il suo disinteresse per i ragazzi: in fondo, che gusto c’era a stringere mani più grandi delle sue, a sentire un corpo più robusto del proprio contro il suo petto e a passare le dita su lineamenti più spigolosi dei suoi? E perché sentirsi attratte da creature così rozze e stupide col quoziente intellettivo di un cucchiaino particolarmente idiota? Era molto più facile trovare una brava ragazza che un bravo ragazzo.
John non smetteva di lanciare occhiate più o meno fugaci oltre la spalla della sorella. Al primo tentativo il ragazzo sembrò aspettare il momento in cui gli occhi di Sarah fossero ben fissi in qualunque altro punto non fosse il suo viso. La gemella se ne accorse, ma non commentò.
Al secondo tentativo John sembrava essere diventato più sicuro: spostò lo sguardo verso il centro della sala mentre Sarah lo guardava ancora, muovendo solo di poco le pupille senza sporgersi sulla spalla dell’altra. La ragazza sbuffò e commentò “Il mio vestito deve proprio farti schifo, se non mi guardi neppure…”.
Al terzo tentativo John abbassò gli occhi prima di provarci, e Sarah si sentì quasi colpevole per quel singolo commento.
Al quarto tentativo il gemello le appoggiò una mano sulla spalla, interruppe un attimo il ballo e si alzò sulle punte senza timore. Sarah sospirò e aspettò che l’operazione fosse completata. No, non c’era speranza che Johnny si arrendesse.
Justin aprì la bocca come a voler parlare, ma Eve non fece in tempo a sorridere per l’inizio di una possibile conversazione che subito lui la richiuse, scoraggiato.
A Eve cascarono le braccia (se era possibile, ballando): era almeno la terza volta dacché avevano iniziato a ballare che il Tassorosso provava a intavolare una discussione e l’unica cosa che era riuscita a dire fino ad allora era stato “Bella giornata, eh?”.
Justin frequentava il suo stesso anno eppure non si erano mai visti davvero. Certo, era un viso familiare, e lei era certa di avergli rivolto almeno due o tre parole in quattro anni, ma non avevano mai avuto una conversazione che si potesse considerare vera. Non c’era rapporto, non più di quello che poteva legare due ragazzi che si vedevano ad una festa per poi dimenticarsi l’uno dell’altro. Non si capacitava ancora del perché avesse scelto proprio lei come compagna.
Poi lo notò. Lo sguardo che si staccava da lei, vagava per la sala e si poggiava in un punto distante. Si accendeva di brama e sembrava chiedere implorante “Fa che mi veda!”.
Con un movimento veloce Eve riuscì a invertire le posizioni e si trovò dove prima era Justin. Una scorsa veloce della Sala bastò per confermare i suoi dubbi: stava guardando Hannah Abbot.
Colin Canon era più basso di lei di almeno cinque centimetri. Il sorriso che le rivolgeva era così adorante e stucchevole che Niki non poté fare a meno di storcere il viso in una smorfia disgustata.
Perché a lei? Cosa aveva fatto di male per meritarsi quel tappo? E perché un Grifondoro? Un Corvonero forse avrebbe parlato tutta la sera del suo ultimo progetto scientifico o sulle sue capacità incredibili, ma Niki avrebbe potuto anche sopportarlo. Un Tassorosso le avrebbe pesato di continuo i piedi e non avrebbe spiccicato parola per tutta la serata, ma piedi viola e orecchie sorde per il silenzio sarebbero state un danno minore dell’uscire con un basso, piccolo, Grifondoro. 
Avrebbe sopportato tutto. Ma non quella loro arietta di angioletti e il loro coraggio “altruistico”. E non quel piccoletto con la faccia da pesce lesso.
Ernie non era un cattivo ballerino, doveva ammetterlo. Non le aveva ancora schiacciato un piede, il che era quasi un miracolo, e Keira era piuttosto sicura che la canzone fosse praticamente finita. L’unico problema era il vestito: troppo stretto, avrebbe potuto accorgersene anche un cieco da lontano: ogni movimento era nervoso e rigido, e sembrava costargli un grossissimo sforzo di volontà. Aveva le gambe tanto ritte che sembravano aste di legno, e come aste di legno si muovevano. Keira si lasciò piroettare un’ultima volta e quindi la musica cessò.
“Peccato” pensò, con un sorriso storto sul viso e lasciando il fianco di Ernie. Aveva voluto guidare lei e non c’era stato verso di farla desistere. Non che Ernie ci avesse propriamente provato.
Il ragazzo le porse la mano galante e domandò, con fare pomposo:
“Posso accompagnarla al suo tavolo?”. Non le sfuggì il fatto che stesse guardando Merida, mano nella mano con Simon Hale.
Keira strinse la mano nella maniera più mondana che riusciva ad assumere e cinguettando un allegro “Certo, caro!” che avrebbe fatto invidia a Lavanda Brown.
Poco prima che si sedesse, però, lo afferrò per il colletto (lo sentì soffocare) e gli sussurrò in fare concitato:
“Tesoro, sono lesbica, quindi se c’è da baciarsi lascia fare a me”.
Non le servì neppure guardare Ernie per capire che aveva sbarrato gli occhi.
                                                                                                                                          
La tavola era imbandita di talmente tante portate che Thomas si sentì quasi in colpa di dover scegliere: era certo di non poter assaggiare ogni pietanza di quel ben di Dio, ma non poteva negare che ci avrebbe voluto provare. Oh, sì che avrebbe voluto provarci.
Alla sua destra c’erano un paio di studenti di Beauxbatons che parlavano in un francese fitto (lei aveva i capelli rossi rame e gli occhi azzurri, lui i capelli neri e gli occhi verdi), alla sua sinistra Auror, le mani incrociate al petto e l’espressione di una bambina offesa, con tanto di labbro inferiore proteso.
Tom sospirò e le passò un braccio attorno al braccio, con fare confidenziale.
“Oh, andiamo! Non è mica così grave!”
La ragazza girò la testa così lentamente e lo sguardo che gli lanciò fu così tagliente che lui si pentì immediatamente di aver parlato.
“Non è… Così grave?” commentò lei, a voce bassa (Tom dubitava che qualcuno potesse sentirli nella confusione che regnava ma non ci teneva a scoprirlo).
“No, non lo è, infatti, E’ UNA TRAGEDIA!!”. Tom fu quasi certo che i ragazzi di Beauxbatons si fossero fermati nella loro conversazione e pensò che probabilmente si erano girati stupiti verso la sua compagna.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, facendosi scappare una risata. Si rendeva benissimo conto di quanto infantile fosse quel piccolo capriccio da prima donna, ma si rendeva ugualmente conto di quanto cose che ai suoi occhi potessero sembrare idiote per una ragazza assumessero un’aura e un’importanza tutta nuova.
Auror alzò le sopracciglia e commentò, con voce fredda:
“Seriamente? Non vedi DAVVERO che siamo vestite UGUALI?”.
Tom fece un sorrisetto divertito. Non sembrava che alla Granger importasse davvero che un’anonima ragazza coi capelli sparati in aria indossasse un abito simile al suo, considerando il suo status di reginetta della serata (e l’entrata trionfante al braccio di Krum le aveva decisamente fatto guadagnare il titolo). E in verità neppure lui riusciva a cogliere le tanto rinomate somiglianze che invece Auror sembrava trovare così evidenti.
Il vestito della sua accompagnatrice (amica? Ragazza?) era di un blu notte fondo, con lo scollo a cuore e un copri spalle della stessa tonalità scura a coprirle le candide scapole. La gonna scendeva sobriamente a balze sempre più distanti, niente pizzi, niente merletti, niente tulle. E Tom non capiva davvero come si sarebbe potuta paragonare una gonna così semplice e sobria a quello che sembrava un uovo di Pasqua.
Inoltre il trucco e l’acconciatura davano alle due ragazze un aspetto decisamente contrapposto: mentre la Granger aveva i capelli raccolti dietro in un nodo elegante che ne risaltava i tratti del viso e le dava l’aria di una principessa al suo ingresso a palazzo, Auror aveva optato per lisciare i capelli biondi solitamente ritti sulla sua testa ed era riuscita, con un incantesimo di cui Thomas non aveva ben carpito la dinamica, ad allungarli quel tanto che bastava per farli arrivare alle sue scapole. La riga laterale le dava quel tocco da scavezzacollo che non sarebbe mai riuscita ad abbandonare del tutto e non erano bastati tutti i commenti e i rimproveri delle compagne Corvonero per impedirle di infilarsi al polso un braccialetto d’argento con sopra inciso uno scheletro.
“Auror, io starei tranquillo” commentò il ragazzo, tentando di mantenere il suo tono più serio possibile. “Davvero, ti preoccupi per nulla!” esclamò con un sorriso ampio.
La ragazza parve rilassarsi un pochino, ma Thomas la vide intrecciarsi le mani in grembo e mordersi un labbro nervosamente. L’occhio indugiò un attimo sul rossetto perlaceo e sugli occhi contornati di un color azzurro chiaro che le davano l’area eterea di una Fenice.
Tom aveva pensato dal primo istante che l’aveva vista che fosse bellissima, ma mai avrebbe creduto di trovarla così bella. Il trucco le dava un che di sobrio e quasi regale che non avrebbe creduto di vedere mai sul viso della scanzonata ragazzina, e il vestito le valorizzava i fianchi sottili e le forme ancora acerbe che la divisa scolastica nascondeva perennemente. Tom era quasi certo che durante l’estate la ragazza non lasciasse affatto intendere molto all’immaginazione (aveva notato alcune foto in cui sfoggiava degli shorts da far girare la testa), ma quel vestito la rendeva molto più misurata, molto più desiderabile proprio perché più “nascosta”, molto più delicata di quanto mai fosse stata con lui.
Bella, semplicemente.
“Tu dici?” chiese lei, con il tono di una bambina piccola che chiede la propria approvazione ai suoi genitori, gli occhi verdi spalancati di un cucciolo bisognoso di affetto.
Thomas annuì convinto.
“Ma certo!” affermò, stringendole quasi senza accorgersene le dita intorno alla spalla. “Tranquilla, nessuno noterà la vostra… Somiglianza”. Per rafforzare la sicurezza che, se ne rendeva benissimo conto, non aveva lasciato affatto trapelare dalle parole, le strizzò l’occhio sorridendo.
La ragazza rimase un attimo incerta poi rispose all’altro alzando un angolo della bocca. Tom si appoggiò alla propria sedia senza lasciare la presa sulla sua spalla.
“C’è da dire che la Granger ha davvero buon gusto, eh?”.
Auror scoppiò a ridere divertita e Tom si unì a lei stringendola un po’ di più vicino a sé.
Il profumo di lavanda (da quando Auror si metteva profumo?) gli riempì le narici. E Tom fu certo che, se non era in Paradiso, c’era comunque molto vicino.
 
“Oh, finiscila, ti prego”.
Susan lo stava fulminando con gli occhi da quando la serata era iniziata.
“Ti rendi conto del fatto che ti stai comportando in maniera totalmente infantile, Susy?”
Blaise si pentì di quelle parole nell’istante appena successivo: la ragazza lo afferrò per il colletto e, con una forza che ormai aveva sperimentato in tutti i modi sulla sua pelle, lo avvicinò pericolosamente a sé.
“Non. Chiamarmi. Susy”, scandì, sibilandogli quasi addosso tutto il disprezzo che riusciva a mettere in tre, singole parole.
Il ragazzo ebbe per un attimo l’impulso di fare un mezzo sorriso divertito, ma probabilmente Susan avrebbe potuto strangolarlo anche solo per quello. Di certo non gli mancava la determinazione di farlo.
“OK…”. Blaise optò per un’alzata di sopracciglio. “Susy”.
Le labbra della ragazza si serrarono in una linea tanto dritta e i suoi lineamenti si indurirono a tal punto che Blaise si convinse immediatamente a non stuzzicare ulteriormente il toro che viveva dentro quella ragazza.
Il Serpeverde alzò le mani con aria conciliante.
“Dai… Bandiera bianca, che dici?”
Susan aggrottò appena le sopracciglia, guardandolo come si guarda un animale raro.
“Come?”
Blaise commentò, con il tono più ovvio che potesse assumere:
“Questo sarà l’unico Ballo a cui ci sarà consentito di partecipare nei tre anni che ci restano, molto probabilmente. Quindi io proporrei di deporre l’ascia di guerra –che, tra parentesi, solo tu hai intenzione di disseppellire ogni santissima volta che ci parliamo– per stasera e goderci questa bella festa senza perdere tempo a fare commenti su quanto siano assurdi i tuoi capelli o quanto sia insopportabile il mio carattere, che ne dici?”.
Susan ridusse gli occhi a due fessure tanto sottili che per qualche istante Blaise si chiese come fosse possibile che qualcuno riuscisse a far sembrare le proprie pupille quelle di un serpente pronto a balzare all’attacco al primo movimento della preda.
Certo il trucco della ragazza non aiutava affatto a diminuire quella macabra impressione: gli occhi grigi, già solitamente piuttosto gelidi, erano stati accentuati da una matita argentata sfumata ai bordi dell’occhio, dove Susan si era sbizzarrita con alcuni arabeschi dall’aria orientale e piccoli brillantini che aveva sistemato in gran quantità sul bordo laterale della pupilla. In verità Blaise non vedeva la necessità di quel dettaglio, ma sembrava che quella sera tutto fosse concesso alle giovani ragazze che, di solito intrappolate in divise austere e trucco appena accennato, avevano atteso quella serata unicamente per sbizzarrirsi con il trucco e con gli abiti, dando sfogo a quegli istinti repressi che sembravano dover restare sepolti tutto l’anno e che ora, proprio per la lunga attesa precedente a quella concessione, esplodevano con una forza prorompente ed esageratamente spettacolare.
Il vestito di Susan era una dimostrazione più che sufficiente a confermare quella tesi che in meno di un minuto si era sviluppata nella sua mente: un lungo abito a sirena con lo scollo a cuore particolarmente profondo, che lasciava intuire abbastanza da fargli abbassare continuamente lo sguardo e beccarsi occhiatacce infuocate o più dolorosi scappellotti esasperati. La stoffa fasciava il bel corpo di Susan fino all’inizio delle gambe, mettendo in risalto un vitino da vespa mai sospettato sotto l’ingombrante divisa e dei bei fianchi anch’essi osservati con una certa insistenza dal ragazzo (E anche quelli non mancavano di procurargli qualche dolore). La gonna a balze si apriva più ampia in un tessuto leggero e impalpabile, probabilmente tulle, di una tonalità grigiastra come il resto dell’abito. La cosa più spettacolare dell’insieme erano le paillettes argentate sistemate sul corpetto che scendevano in una linea irregolare lungo tutto il busto fino a segnare la linea della gonna, dando all’intero vestito e alla figura di Susan una luminosità tale che Blaise non avrebbe potuto immaginare un abbigliamento più scintillante neppure se la ragazza si fosse portata dietro una palla da discoteca.
Ma evidentemente ciò non era bastato alla giovane Serpeverde: oltre ai brillantini sistemati vicino agli occhi, le palpebre erano ornate da un ombretto argentato che illuminava ancora di più il suo viso solitamente mortalmente pallido. Le gote erano state picchiettate di un rosa appena accennato che però si notava poco rispetto allo scintillio del vestito e agli accessori abbinati a quello: una collanina d’argento con una rosa ovviamente ornata da brillantini che portava al collo e un bracciale di conchiglie che spiccava sul polso destro.  
I capelli scuri erano raccolti in una coda di cavallo rigida che ovviamente non poteva essere meno sobria rispetto al resto del look della ragazza: appuntata al laccetto nero che sosteneva la sua acconciatura c’era una rosa di un bianco perlaceo e cangiante, tanto fresca e naturalmente bella che Blaise non stentò a convincersi che la ragazza avesse effettuato qualche incantesimo sul fiore.
“Certo, per una che non voleva neppure venire al Ballo del Ceppo…” commentò sardonicamente il ragazzo, concedendosi un’altra occhiata al suo scollo generoso.
Susan mollò il colletto del compagno con uno sbuffo stizzito, alzando il mento e osservandolo con aria altera.
“Non ho mai detto di non voler venire al Ballo del Ceppo” replicò Susan, puntigliosa. “Non volevo venire al Ballo con TE”.
Blaise alzò le spalle e, col sorriso più umile che riuscisse ad assumere, disse in un tono che avrebbe dovuto sembrare rassegnato:
“Ma purtroppo il destino ci ha accoppiati in questa circostanza, Crimson”.
“Il destino o la tua insistenza, Zabini?” domandò lei alzando un sopracciglio.
A quel commento, pronunciato in maniera tanto fredda da avergli fatto scendere un brivido lungo tutta la schiena, il ragazzo non riuscì a trattenersi più e scoppiò in una risata tanto fragorosa da far voltare un paio di ragazzi di Beauxbatons dall’aria chiaramente effeminata e da far diventare Susan di un bianco cinereo che sembrò far sparire il poco trucco che aveva sulle guance.
“E sono stato anche troppo buono, considerando il tuo caratteraccio”, continuò a sghignazzare il ragazzo, passandosi una mano sotto gli occhi per asciugare le lacrime che iniziavano a spuntare.
Susan fece per aprire la bocca e ribattere aspramente, ma Blaise la prevenne poggiando un dito sulle sue labbra con un sorriso flemmatico.
“Lo so, lo so. Tu sei fantastica, io sono un cretino, avremo tutto l’anno per parlare del tuo odio nei miei confronti”.
Gli occhi della ragazza si accesero di una scintilla di ribellione.
“Non se io ti eviterò per il resto dell’anno”.
Blaise alzò un angolo della bocca, commentando incuriosito:
“E tu credi che io ti darò tregua, nei prossimi mesi?”
Susan strinse i denti e lo guardò con un’aria tanto prepotentemente violenta e stizzita che Blaise la trovò assurdamente divertente.
“Sì” sibilò in tutta risposta la ragazza, chinandosi appena verso di lui e digrignando i denti proprio davanti al suo viso.
Non che Blaise fosse concentrato sul volto della ragazza, in quel momento: i suoi occhi si erano abbassati automaticamente al movimento di Susan, posandosi nuovamente sul corpetto dell’abito e su quella zona proibita.
La Serpeverde ci mise qualche istante prima di accorgersi che il ragazzo non aveva affatto prestato attenzione alla sua risposta, troppo presa ad incenerirlo con lo sguardo. Quando, finalmente, si rese conto della posizione piuttosto scomoda in cui si trovava, sgranò appena gli occhi e si ritirò, sedendosi composta.
Blaise avrebbe sempre ricordato quel momento come la prima volta in cui aveva visto il rosso della vergogna colorare le guance di Susan Crimson.
L’espressione completamente attonita dei suoi occhi grigi e il movimento impercettibile del labbro inferiore, unito a quel rossore rivelatore, non poterono che portare nuovamente la risata nella bocca di  Blaise.
Era straordinario che passare qualche minuto con quella ragazza gli provocasse più ilarità di un’ora intera davanti a quegli stupidi show Babbani che ogni tanto aveva visto sbirciare da sua madre. Anche se ovviamente niente poteva batter quei tutorial sul trucco.
“… Pervertito”  commentò lei in un sussurro quanto più sicuro possibile. O almeno, alle sue orecchie sembrò sicuro. A quelle di Blaise sembrò solamente la resistenza inutile di una ragazzina alquanto imbarazzata.
“Ragazzo di quindici anni” ribatté lui con un’ultima risatina.
Non c’era che dire, era davvero adorabile quando arrossiva.
 
“Pizza”.
Kristen si voltò di scatto con un sussulto.
“DOVE?!?”
La ragazza tornò per la centesima volta a ispezionare l’ampia tavolata che si trovava davanti, accesa di una più viva speranza che, però, si rivelò nuovamente vana: non c’era traccia dell’amato cibo in quell’accozzaglia di bontà raffinate i cui nomi le erano quasi del tutto sconosciuti.
A Kristen non dispiaceva e non le era mai dispiaciuto provare cose nuove, testare nuovi sapori e nuove cucine: l’importante era mettere qualcosa sotto i denti, e se si fosse ritrovata su un’isola deserta senza nessuna risorsa era certa di poter mangiare anche il fango delle paludi, tanto prepotente poteva essere la fame in lei. Ma se qualcuno le avesse messo davanti un pezzo di pizza, anche una semplice margherita, non importava quanto squisito fosse il cibo nel piatto accanto a quella, non importava quanto dolce fosse il suo sapore: lei avrebbe scelto sempre e comunque la prima.  
La risatina irrisoria (E irritante) di Daniel le arrivò all’orecchio, e il suo viso sghignazzante si appoggiò con fare sornione sulla sua spalla nuda.
Kristen richiuse gli occhi con una smorfia indispettita e un respiro profondo che tradiva l’arduo tentativo di mantenersi calma.
“Sei un idiota, lo sai?” domandò la ragazza tra i denti, girandosi appena verso Daniel.
Il castano alzò le spalle, con espressione divertita.
“Sì, me lo hai detto spesso” commentò esibendosi in un sorriso ampissimo.
Il suo sguardo indugiò qualche istante sul viso dell’amica: era da quando l’aveva vista entrare in Sala Grande, dalla sua postazione davanti all’ingresso, ritta e fiera sugli stivaletti neri e sicura nel suo trucco semplice, che qualcosa aveva cominciato a muoversi alla bocca del suo stomaco, appena sotto l’ombelico, lì dove aveva sentito contorcersi le proprie viscere la prima volta che i suoi occhi si erano posati sul viso di Calì Patil (era bastato rivolgerle la parola per annullare quella inusuale sensazione).
Daniel conosceva Kristen da tutta la vita, o così sembrava a lui: non c’era una sola memoria che conservava gelosamente che non la includesse, dall’infanzia fino alla prima adolescenza, e anche se nella realtà la ragazza non era stata presente a un dato evento, la mente del castano la collocava idealmente lì dove lei era sempre stata, al suo fianco, in quella posizione tanto naturale da sembrare ormai scontata. Non c’era stata frase pronunciata da Daniel che non fosse stata accompagnata da un commento di Kristen, più o meno ironico, pronunciato con la sua usuale strafottenza o con un sorriso più serio dipinto sul bel viso (da quanto il viso della bionda era diventato “bello” per lui?). Non c’era stato gesto, sorriso, momento di gioia o di tristezza che Daniel non avesse condiviso con quella pazza, pazza ragazzina, non c’era stato nulla senza Kristen, e al ragazzo sembrava impossibile pensare che qualcosa, qualsiasi cosa, qualsiasi esperienza potesse esistere, se la ragazza non era insieme a lui.
La presenza dell’amica era scivolata tanto a fondo nella vita di Daniel, tanto profondamente e lì era rimasta per tanto di quel tempo che era praticamente impossibile, per il castano, pensare di poter provare per Kristen quello che tutti credevano di vedere nelle loro risate complici e nei loro sguardi d’intesa: lei era la sua colonna, la sua compagna, la presenza costante nella sua vita, e come ogni costante era sempre uguale a sé stessa, come una linea retta o il moto di un orologio. Non era mai stato nient’altro, e Daniel non aveva mai pensato che potesse essere altro.
Eppure quella sera lei non era Kristen.
Non era la Kristen scanzonata e selvaggia che lo guardava torva dalla punta dei suoi occhiali e che appoggiava le scarpe lerce sulle sue ginocchia.
No, non poteva essere lei.
La Kristen che conosceva lui indossava jeans strappati e scarpe da ginnastica scolorite dal sole, sporcate dalle mille miglia percorse sulla fanghiglia, coi biondi capelli spettinati che le incorniciavano il viso sporco e gli occhialoni viola che calavano sul naso.
La Kristen che era davanti a lui ora indossava un vestito di tulle blu che lasciava scoperte le ginocchia rosee su cui ancora spiccava una cicatrice recente, stivaletti col tacco che l’avevano fatta traballare a ogni passo e che gli avevano causato non pochi dolori durante il ballo. I suoi capelli erano deliziosamente arricciati e scendevano in boccoli ordinati sulle spalle nude, lasciando scoperto un viso roseo abbellito da un ombretto della stessa tonalità di blu del vestito e da un rossetto che metteva in risalto le labbra carnose.
Daniel non si era mai reso conto di quanto desiderabile fosse quella bocca, di quanto grazioso fosse quel viso, di quanto fosse armonioso quel sorriso illuminato dal brillio dei suoi occhi castani.
E ora la sensazione continuava a frugare tra le sue viscere, e andava avanti ininterrottamente e costantemente dall’istante in cui aveva stretto le sue mani e le aveva chiesto, forse meno scherzoso di quanto avrebbe voluto, “Mi concede questo ballo, signorina?”
La ragazza alzò un sopracciglio notando il suo sguardo ancora fisso sul suo volto.
“Ti sei incantato, Daniel?”
Daniel ci mise qualche istante prima di rendersi conto che si stava rivolgendo proprio a lui.
“Oh, ehm…”. Il castano tentò di schiarirsi la voce con un colpo di tosse. “Stavo… Solamente ammirando il tuo vestito”. In fondo non era proprio una bugia.
E non era neppure improbabile che stesse ammirando il bell’abito della sua accompagnatrice: il colore blu si sposava perfettamente col biondo dei suoi capelli, e il vestito si stringeva proprio sotto il seno, lasciando intendere senza che vi fosse bisogno di vedere. Ovviamente ciò non faceva che far lievitare a livelli straordinari il malessere di Daniel.
Al vestito mancavano le spalline e la scollatura era lisca, lineare. La gonna era composta da vari strati di tulle che si arricciavano su sé stessi in fiocchi e balze, coprendo le gambe di Kristen fino a poco sopra le ginocchia. Ai più sarebbe sembrato poco originale e decisamente semplice rispetto ad alcuni modelli presenti in sala, ma Daniel sapeva che per Kristen scegliere un vestito era stata una vera e propria tortura e non si sarebbe sorpreso se la sua scelta fosse ricaduta sul primo provato che non l’avesse fatta sembrare un sacco di patate.
Non che la sua scusa fosse servita a molto: Kristen si era girata nuovamente, ignorandolo bellamente, e Daniel non aveva potuto fare a meno di sospirare stizzito.
“Oh, andiamo” la rimbrottò lui. “Possibile che tu non possa fare a meno di pensare a quella smorfiosetta della Lewis, ora?”
“Potrei, se lei mi avesse già restituito la bacchetta” commentò con tono atono la ragazza, continuando a fissare la giovane Serpeverde che era seduta quasi in fondo al tavolo insieme a un ridente Draco Malfoy.
“E se avessi qualcos’altro da fare, ovvio” aggiunse lei dopo qualche istante di silenzio, come se quel pensiero fosse arrivato solo successivamente.
Daniel sbuffò indispettito.
“Potresti fare quello che stanno facendo tutti, Kris: mangiare”. Il castano non cercò neppure di nascondere il sarcasmo nella sua voce.
“Nah, troppo semplice”. Le labbra della bionda si strinsero in un’unica linea compatta. “Ma guardala… Tutta ammiccante e sorridente, con quelle sue smorfiette gne gne…” commentò lei con una smorfia disgustata.
Daniel si lasciò scappare un sorrisetto divertito.
“Dai, non ti sembra di esagerare?”
“Ma, GUARDALA!”
Prima che potesse anche solo dire “Ah”, Kristen lo spintonò con forza tirandolo per il colletto e sistemandolo accanto a lei.
“Voglio dire, è COSI’ insopportabile!” esclamò la ragazza indicando la Serpeverde in tono irato.
Daniel si concesse qualche secondo per ammirare la spalla nuda di Kristen prima di concentrarsi sull’altra ragazza.
Harmony era seduta accanto a Draco, appoggiata sulla sua spalla con la testa. Il suo vestito era color rosa confetto, privo di maniche e con lo scollo a cuore. Il corpetto era ben lavorato, ricoperto di inserti a forma di fiore dello stesso colore del vestito, e terminava con una fascia di un rosa più chiaro che segnava la vita sottile della ragazza. Gli inserti floreali continuavano sulla gonna, lunga fino alle caviglie della ragazza, spartendosi in vari filamenti che si esaurivano dopo qualche centimetro di stoffa.
Il trucco e l’acconciatura della ragazza erano decisamente meno sobri di quelli di Kristen, come d’altronde era prevedibile: i capelli biondi erano stati lisciati completamente, e ricadevano sulla pelle della ragazza dandole un’aura quasi angelica che gli occhi dorati accentuavano. Due treccine partivano da dietro le sue orecchie per riunirsi dietro la nuca, fissate da un fermaglio a forma di giglio.
Gli occhi erano contornati da una matita nera che ornava anche l’intera palpebra, e alle ciglia era stato applicato un qualche incantesimo che accompagnava ad ogni loro battito una miriade di brillantini scintillanti che scomparivano appena si allontanavano di qualche centimetro dalle pupille della ragazza.
La carnagione, di solito piuttosto chiara e resa mortalmente bianca dopo la recente disavventura (la stesse carnagione che le era valso l’appellativo di “Moglie di Dracula”), era rischiarata da qualche strato di terra che faceva assumere alla Lewis un’aria molto più salutare di quanto non apparisse di solito. Certo anche l’espressione allegra e solare della ragazza contribuiva a dare a quel quadretto una grazia e una bellezza tutta nuova, mai vista sul viso della ragazza ma ora decisamente palese: quella di chi ha vinto la battaglia e si ritira serena, beata e placida nella propria tenda, gustandosi il meritato premio.
E in quel caso il suo premio era Malfoy. Il ragazzo non le aveva staccato gli occhi di dosso per un istante, da quando erano entrati a braccetto nella Sala Grande, con un contegno tanto composto e un’aria tanto spocchiosa che avrebbe potuto benissimo essere considerato il re della serata, se quella sera i Campioni non l’avessero completamente spodestato.
In verità quell’espressione un po’ arrogante che non mancava di accompagnare il viso di Draco in ogni occasione e in ogni circostanza sembrava svanire un po’, davanti al sorriso radioso di Harmony e alle frecciatine che la ragazza gli rivolgeva, con una sicurezza tutta nuova che aveva spiazzato tutti i presenti al tavolo, Malfoy prima di tutti.
Il Serpeverde non smetteva di passare lo sguardo sul suo abito, sulla sua acconciatura, sulle mani affusolate appoggiate pacatamente in grembo, sul sorriso che non smetteva di rivolgergli e sui suoi occhi d’oro che lo osservavano con un’aria divertita e deliziata a un tempo.
E, Harmony non poteva negarlo, era straordinariamente piacevole essere osservata in quel modo da Draco Malfoy.
“Che cosa starà mai tramando quella serpe viscida?” sibilò Kristen, continuando a fissare la ragazza con un’intensità tale che a Daniel sembrava di sentire risate da sitcom alzarsi dai posti accanto a loro.
Il Grifondoro la squadrò per qualche istante, come a soppesare se stesse parlando sul serio, e quindi commentò, col tono più ovvio che poteva assumere:
“Sta cercando di tenersi stretto il cavaliere, cosa che trovo ragionevole considerando l’ampia mole di ragazze pronte a rubarglielo”.
Dicendo così Daniel lanciò un’occhiata ai posti della Glowmoon e della Parkinson, aspettandosi di vedere fiumi di lacrime colare e lamenti rimbombare. Ovviamente le sue aspettative furono deluse: Elizabeth era stretta al braccio di un possente alunno di Durmstrang e Faccia da Carlino si era consolata con un belloccio bruno di Beauxbatons che, tra tutti, sembrava essere il più brutto di tutta la scuola.
Kristen lo ignorò come sempre. Di solito la cosa gli sembrava più che naturale, anzi, a volte era meglio non essere presi in considerazione dall’amica. Ma in quel particolare frangente la cosa gli diede sui nervi.
“Io non mi fido”, sentenziò alla fine con tono risoluto, dopo aver guardato ancora a lungo la coppia.
Daniel sospirò irritato, concentrandosi sulla sua fetta di roast beef che ormai si era freddata irrimediabilmente.
“BENE, se vuoi passare tutta la serata a spiare Lewis aspettando che faccia qualcosa per cui valga davvero la pena di non fidarsi…”. Il suo tono risultò tanto rassegnato che Kristen lo prese anche troppo sul serio.
“Lo farò di certo”. E quella fu la sua ultima parola al riguardo.
 
Nei primi cinque secondi successivi all’entrata in Sala Lee si era comportato come ogni accompagnatore degno di quel nome: sorrisi accattivanti ai ragazzi che li circondavano, sguardi di trionfo ricolmi di una malcelata pena ai solitari che si sistemavano nervosamente il colletto della camicia aspettando chissà quale fantomatica dama, complimenti sussurrati a mezza voce in un tono troppo esplicitamente malevolo per poter essere considerati innocenti e mugolii di dolore all’affondare delle unghie di Gwen nella sua carne. La ragazza si stava già rassegnando all’idea che avrebbe dovuto sorbirsi le attenzioni morbose del ragazzo per l’intera serata (ma chi gliel’aveva fatto fare di accettare l’invito di quella sanguisuga?) quando, d’improvviso, l’atteggiamento di Lee mutò tanto profondamente da farle pensare che, per qualche istante, il suo corpo fosse stato posseduto da qualche demone benefico.
La giovane Grifondoro non aveva neppure fatto in tempo a porgere, con un sospiro irritato, la mano al suo cavaliere (cosa avrebbe dato per non dover attribuire quell’appellativo proprio a Jordan…) che il ragazzo le si era avvicinato per sussurrarle a pochi centimetri dal suo viso:
“Ho una questione importante a cui badare, Noctis. Quindi perdonami ma non potrò presenziare al primo ballo”.
Gwen aveva impiegato qualche istante prima di riuscire a comprendere appieno il significato di quelle parole.
“… Scusa?” chiese dopo essere rimasta a guardarlo con un’espressione leggermente attonita.
Il ragazzo spiegò, con una fretta che non lasciava spazio al suo tono canzonatorio e scherzoso tanto conosciuto:
“Devo occuparmi di una certa cosa, e quindi dovrai ballare da sola, per questa volta”.
Quindi alzò appena lo sguardo, come riflettendo, e confessò, con aria un po’ insicura:
“Anzi, diciamo che dovrai ballare da sola per… Tutta la sera, probabilmente”.
Gwen spalancò occhi e bocca, colta alla sprovvista da quell’ultima frase.
“… Scusa?”. Doveva sembrare molto stupida in quel momento, la bocca così aperta da mostrare probabilmente le tonsille e il vocabolario ridotto ad un'unica, semplice parola ripetuta con uno stupore tanto intenso da essere incredibilmente ottuso.
Lee aggrottò appena le sopracciglia, preso in contropiede da questa sua improvvisa demenza.
“… Ssssì, io ho da fare e quindi non potrò ballare con te, e quindi tu dovrai…”
“Ho capito che hai detto” ribattè Gwen, recuperando un po’ della sua aria autoritaria e tentando di riassumere il suo tono sicuro.
“Oh.” commentò l’altro, in un tono atono e forse un po’ disinteressato.
“Bene, meglio per me” terminò alzando le spalle con aria frettolosa. Lee si stava già girando verso la porta della Sala quando Gwen, come risvegliata da quel gesto così definitivo, si riscosse e gli afferrò con un “Aspetta!” stupito il braccio, costringendolo a voltarsi nuovamente verso di lei.
Il Grifondoro non fece in tempo ad aprire bocca che la mora chiese, tutto d’un fiato e con uno sguardo, ora, tra il consapevole e lo stupefatto per ciò che quella certezza portava:
“Vuoi dirmi che… Mi hai costretta a venire qui, mi hai fatta agghindare come un albero di Natale, mi hai portata ad una festa a cui NON volevo andare e adesso mi molli qui come una scema?!?”
Lee non sembrò scomporsi minimamente per il suo attacco di rabbia: abbassò lo sguardo sulla sua figura fasciata dal vestito rosso e commentò, con un sorriso ironico:
“Se per te questo è ‘agghindarsi come un albero di Natale’…”.
In effetti Gwen si era contenuta decisamente rispetto ad alcune ragazze presenti in quella stessa stanza: agli abiti ampi e lunghi da principessa che facevano sembrare le proprie indossatrici enormi meringhe e ai vestiti più corti e attillati che non mancavano di strappare una smorfia di disapprovazione e disgusto alla McGrannit lei opponeva un semplicissimo capo rosso con le spalline ampie decorato di cuoricini bianchi, che si apriva in una scollatura la quale, seguendo la linea delle spalle, lasciava scoperto solamente il suo collo niveo.
La sua vita sottile era tuttavia accentuata da un nastro anch’esso rosso poco sopra la gonna pieghettata, dando in fondo un minimo di sensualità al suo fisico snello e sinuoso. Il fatto che poi il vestito arrivasse ben sopra il ginocchio e che Gwen non si fosse premurata di infilarsi delle calze o qualcosa che potesse nascondere le gambe ben tornite faceva voltare non pochi ragazzi e all’inizio della serata aveva attirato i commenti sarcastici ma in fondo affascinati di Lee.
I capelli neri erano tenuti in un semplice chignon alto che lasciava intravedere i riflessi blu e, ad ornarle il viso, non c’era null’altro se non un rossetto dello stesso colore delle sue labbra che un imperterrito Jordan era riuscito a strapparle.
“Cosa penseranno i miei amici vedendo una ragazza così poco curata accanto al grande Lee Jordan?” aveva commentato lui quando la ragazza gli aveva comunicato la sua decisione inappellabile di non utilizzare trucco.
Lei aveva alzato un angolo della bocca con aria divertita e aveva replicato, mantenendosi sullo stesso tono di voce:
“Penseranno che anche i migliori fanno cilecca”, sollevando appena un sopracciglio.
Quell’imposizione ora resa inutile e infangata le faceva ribollire il sangue nelle vene, assieme a tutte quelle costrizioni che il Grifondoro le aveva dipinto come necessarie e assolutamente vitali e che adesso erano buttate all’aria da quel suo ritrarsi dal loro accordo: lei non avrebbe mai voluto andare al Ballo del Ceppo, eppure era venuta per quell’idiota giornalista da quattro soldi. Non gli avrebbe permesso di abbandonarla così facilmente.
“Ti sembra il modo di fare, questo?” continuò Gwen ignorando l’ultimo commento dell’altro, facendo pressione con le unghie sul braccio del ragazzo. Lo vide contrarre un labbro e il gesto le diede una soddisfazione così viva, un piacere così profondo che fu tentata per un istante di lasciarlo andare solo per averle concesso quella soddisfazione.
Lee sospirò appena e spiegò, sempre tenendosi vicino al suo viso affinché nessuno sentisse:
“Rilassati, tesoro. Tornerò abbastanza spesso per non destare sospetti, e tu…”. Dicendo quella parola le puntò un dito contro il corpetto. Gwen dovette trattenersi a fatica per non schiaffeggiarlo davanti a tutta la Sala Grande.
“… Mi aspetterai come una buona accompagnatrice per ballare con me, mh?”. Accompagnò quelle parole con un sorriso così gentile e concessivo che avrebbe potuto calmare chiunque. Chiunque ma non lei.
Gwen si morse un labbro con forza e domandò, stringendo di più la stretta sul suo braccio:
“E quando dovresti tornare, di grazia?”
A Lee, preso di sorpresa, scappò un mezzo “Ahu” che, seppure appena udibile, le causò un tale piacere che, di nuovo, Gwen sentì che avrebbe potuto perdonargli tutto se solo le avesse concesso di stritolargli il braccio per l’intera serata.
“Appena potrò” commentò brevemente lui, tentando quindi di liberarsi dalla sua presa ferrea.
In risposta la Grifondoro fece penetrare un po’ più a fondo le unghie e, come piccolo optional, torse appena il braccio.
Stavolta Lee dovette  davvero compiere un enorme sforzo per non commentare.
“E dove vai, di preciso?” domandò Gwen col tono calmo e serafico dell’aguzzino pronto a calare la frusta sulla schiena del proprio prigioniero.
“A putta…”. Quel borbottio fu tacitato da una torsione più violenta del braccio.
“… A fanc…”. Un’altra torsione.
“Ma tu sei proprio sadica!!” esclamò Lee con voce soffocata, esibendo un viso più rosso che nero.
Gwen sorrise ancora più affabile.
“Mi dici dove vai o devo staccarti il braccio?”. Il suo tono era così gentile e mieloso che Gwen iniziò a dubitare seriamente che la persona che stava parlando fosse proprio lei.
La bocca di Lee si contrasse in una smorfia dolorosa insieme a tutto il suo viso.
La ragazza alzò un sopracciglio ripetendo silenziosamente la domanda.
“Non posso dirtelo” sussurrò infine Lee, in un borbottio così sommesso e strozzato che la mora fece molta fatica a sentirlo.
“E perché mai?” domandò più insistente lei, assumendo un’aria più altera.
“Oh, che sollievo, pensavo che adesso mi avresti staccato il braccio”. La risatina di Lee si chiuse con un lamento acuto che avrebbe fatto invidia ai soprano più esperti.
“Rispondi” si limitò a sibilare Gwen tra i denti, avvicinandosi tanto al suo viso da poter percepire il suo respiro affannato sulle proprie labbra.
Lee richiuse appena gli occhi e deglutì, il dolore che si propagava a scariche continue e sempre più intense lungo il suo braccio sfortunato.
“È… T-ti cacceresti nei guai”. La sua voce era tanto sottile che Gwen quasi si stupì di averla sentita, nonostante fosse a pochi centimetri dalla sua bocca. Per lei la cosa era talmente ininfluente che, se non avesse percepito chiaramente i sospiri di Lee lambirle le guance non se ne sarebbe affatto accorta.
Per Lee non lo era affatto.
Gwen sembrò accendersi tutta a quell’affermazione.
“E perché non me l’hai detto subito?” domandò con tono allegro. Dicendo così la sua mano si staccò dal braccio di Lee. Non sarebbero bastati tutti i balsami del Mondo Magico o Babbano per far sparire l’impronta delle sue unghie penetrate attraverso il tessuto.
Il Grifondoro tirò un sospiro di sollievo quando finalmente fu libero dalle grinfie della ragazza, e cominciò a massaggiarsi il punto in cui erano sprofondate le dita della compagna. Non c’era che dire, aveva una stretta micidiale.  
“Ti conosco abbastanza per sapere che per te la parola ‘guai’ è irresistibile come un topolino per un gatto” spiegò lui guardandola con un sorriso eloquente e massaggiandosi con più forza il polso.
“Mmmmh, potrebbe essere rotto…” sospirò esibendosi nella sua migliore espressione addolorata e imbevendo ogni parola di una plateale afflizione.
Gwen sventolò la mano davanti al suo viso, con fare disinteressato.
“Sì, come ti pare”. A Lee scappò un sorrisetto divertito.
“Ora, dove andiamo?” chiese tutta pimpante la ragazza. Il ragazzo non si sarebbe stupito se si fosse messa a saltellare per l’allegria che ora sprizzava.
“ ‘Andiamo’?” esclamò lui fingendo un tono stupito e dondolandosi sui talloni.
Gwen lo guardò penetrante, incrociando le braccia al petto.
“Non crederai mica che io ti lasci andare da solo dopo avermi comunicato un’informazione così succosa?” domandò con un tono che non ammetteva né se né ma.
Lee sembrò soppesarla attentamente qualche istante, fissandola con una tale fissità e intensità che la ragazza avrebbe detto che stesse giudicando se fosse davvero degna di condividere un qualche guaio con lui, come se quell’avventura che ora le stava offrendo fosse un onore per pochi eletti.
Gwen sostenne il suo sguardo alzando il mento con un sorriso fiero e sicuro, già certa di quale sarebbe stata la risposta del ragazzo.
L’espressione di Lee si mantenne immutata fino a quando, con un sospiro profondo che indicava lo sforzo che quell’affermazione gli costava (o che fingeva gli costasse), commentò:
“Beh, se ci tieni tanto ad accompagnarmi…”. Gwen stava già per esultare quando il ragazzo aggiunse, sorridendo furbamente:
“… Al bagno degli uomini”.
A Gwen caddero letteralmente le braccia.
“Il bagno de…” mormorò stupidamente.
Per la centesima volta da quando l’aveva fatto, la ragazza si chiese perché mai avesse accettato l’invito di un simile idiota, e cosa mai l’avesse convinta a partecipare a un evento tanto mondano e privo di qualsiasi attrattiva.
Per un breve, luminoso istante si era illusa. E ora era ritornata bruscamente alla realtà: no, nulla avrebbe reso quella serata più entusiasmante.
 
Beatrix lisciò la stoffa leggera del suo vestito con un sospiro leggero, premurandosi di passare anche una mano tra i capelli ramati raccolti e di risistemare la coroncina di fiori posata sul suo capo.
Il primo ballo non le aveva riservato nessuna sorpresa di alcun genere: nessun cavaliere dall’armatura argentata e dall’incedere solenne le si era avvicinato per offrirle di danzare galantemente, e come aveva immaginato il rimanere a osservare da lontano le coppie felici e il rimirare le attenzioni che i ragazzi riservavano alle giovani era stato orrendamente degradante.
La sensazione di vuoto allo stomaco che la torturava ogni giorno nell’osservare il viso tanto a lungo carezzato con la fantasia del professore e nell’essere anche troppo vivamente consapevole che mai quel volto avrebbe potuto godere davvero delle sue gentili attenzioni si era ora acuita immensamente. Era davvero doloroso guardare da lontano la felicità di altri e dirsi che mai, mai sarebbe toccato a lei di bere quel vino inebriante, di godere della rinfrescante linfa dell’amore, di poter dare colore ad una vita a tratti anche troppo grigia e monotona.
Ma stavolta Beatrix non avrebbe lasciato correre: la serata era ancora lunga e lei aveva tutto il tempo del mondo per riuscire a rubare, se non un sorso, almeno una goccia al calice tanto ambito.

Note di un'autrice imperdonabile:

SONO TORNATAAAAAAAAAAAAAAAAA!
DOPO QUASI UN ANNO MA SONO TORNATAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
(Cori di 'Buuuh' Applausi e cori da stadio)
Grazie, grazie mille, siete fantastici!
Le problematiche che mi hanno tenuta lontana da questa fic e dallo scrivere in generale le ho già spiegate, e ora spero solo di farmi perdonare questa attesa eterna: ho paura che il mio stile abbia avuto un calo pazzesco, e ho anche paura di aver trattato troppi pochi personaggi in quest capitolo.
Ho deciso di concentrarmi sui personaggi di cui ho accennato ala fine nell'ultimo capitolo, ma non avendo idee né per Harmony né per Filiana ho deciso di tenermele per il prossimo capitolo. Inoltre il capitolo era già così lungo che ho deciso di non appesantirvi ulteriolmente.
Tenterò di dare spazio uguale a tutti i personaggi, equilibrando le loro entrate in scena o almeno provandoci, e spero che vi piacciano le idee che ho avuto per i vostri beniamini.
Ho solo un altro paio di note prima di lasciarvi a vedere i vestiti descritti in questo capitolo:
1) Un altro motivo della mia fretta è stato il fatto che io domani parto e resto fuori fino al 19, e lasciarvi così in sospeso mi sembrava davvero crudele;
2) Pensavo di terminare la revisione dei capitoli prima di riprendere a scrivere, ma visto che il processo si è allungato ho deciso di ricominciare  e basta. Non ci saranno sostanziali stravolgimenti nella trama, ma solo questo: cancellerò i precedenti malori avuti da Filiana. La revisione proseguirà insieme alla pubblicazione dei nuovi capitoli;
3) Cosa ne pensate di questi primi accenni di situazioni? Dal prossimo capitolo inizieremo a entrare più nel vivo del Ballo, subito dopo la cena;
4) Per l'autrice di Beatrix: se sei rimasta sconcertata dal poco spazio riservato al tuo personaggio tranquilla. Ho deciso di inserire un paragrafetto dedicato a lei in ogni capitolo che costituirà il Ballo del Ceppo, riportanti i suoi successi e insuccessi nella missione "Invitiamo Piton a ballare", fino al suo trionfo (o sconfitta) nell'ultimo capitolo (con annessa la descrizione del suo abito). Ti piace come idea?
E oraaaaaa... Che la sfilata abbia inizio!!!
In ordine di apparizione:
-Auror (con le spalline):
-Susan:
-Kristen:
-Harmony (più sgonfio):
-Gwen:
Come l'altra volta spero di aver reso bene le descrizioni. Ringrazio moltissimo chi continuerà a seguirmi, e anche la mia amica Potterhead Giulia di cui mi sono permessa di citare nuovamente l'OC, Elizabeth.
Grazie ancora per la pazienza, ragazzi, spero che l'attesa valga la pena dei prossimi capitoli!

 

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Capitolo 17
*** The Yule Ball-Second part ***


In fondo, si disse Ally, avrebbe potuto andarle peggio.
Il ragazzo che Robbie le aveva rifilato non era affatto male, doveva ammetterlo: alto, più di lei (cosa che non a tutti riusciva), occhi di un castano così ambrato da sembrare caramello fuso, capelli abbastanza spettinati da non farlo assomigliare ad un modello delle riviste patinate di gossip che scorgeva con somma costernazione tra le mani di sua madre, ogni tanto, ma anche abbastanza curati da non farlo sembrare un rozzo cavernicolo.
Michael Corner, se n’era resa conto nell’istante in cui aveva fatto il suo ingresso nella Sala Grande al braccio del ritto e sorridente Corvonero, era uno di quei ragazzi che, appena le ragazze si erano viste tolta la possibilità di “introdursi in società” (così una Grifondoro aveva definito quell’evento, come se il Ballo del Ceppo fosse per lei ciò che il Ballo delle Debuttanti era per i Babbani) affiancate da uno dei Campioni o da Draco Malfoy, era stato classificato immediatamente ‘partito interessante’. E Ally non poteva certo biasimarle per quello: nonostante non raggiungesse la bellezza algida del Serpeverde o l’aura di prestigio e potere che aveva Krum e che perfino Potter era riuscito a raggiungere (per non parlare poi dell’incredibile fascino di Cedric di cui Ally non sarebbe mai riuscita a descrivere appieno la potenza e l’entità), il suo accompagnatore era decisamente un bel ragazzo.
Bello e tra l’altro gentile.
Le si era presentato con un tono di voce tanto basso e flautato e accompagnando le parole ad un inchino tanto servizievole che per un istante la ragazza aveva stentato a credere che proprio lui fosse il suo accompagnatore (il SUO accompagnatore, l’accompagnatore di quella frana di Allison Frost).
Durante il ballo era stato tanto paziente da sopportare ogni suo sbaglio e accettare le sue scuse mugugnate tra il rossore delle sue gote e la sua testa che continuava a darle della stupida. Aveva un accento particolare, si era ritrovata a pensare, così profondamente inglese da sembrare quasi una parodia mal riuscita di Sherlock Holmes.
La cena? Anche in quell’ambito Michael si era dimostrato perfetto, assolutamente perfetto: aveva insistito per servirla, si era premurato di iniziare lui la conversazione, aveva tentato di metterla a suo agio come meglio poteva…
Ally si stava davvero chiedendo dove Robbie avesse trovato un simile gentleman: suo fratello le era sempre sembrato più interessato ai libri che alle persone, e le poche che degnava della sua amicizia erano pignole e asettiche quanto lui.
Michael invece non sembrava affatto pignolo. Né tanto meno asettico.
Ally non ritrovava nulla, in quegli occhi caldi e rassicuranti, della freddezza scientifica del fratello, della facilità con cui liquidava comportamenti ai suoi occhi disumani come causati da una qualche parte del cervello o da una sottospecie di tossina. Michael era per certi versi straordinariamente teso e rigido, ma non lo era abbastanza da sembrare costantemente una marionetta con tutti i fili tirati: più di una volta la sua maschera da uomo perfetto si era sciolta, durante quella serata, per lasciare spazio a una risata, a un commento poco signorile sull’ultima lezione della Cooman o a un apprezzamento, mitemente gentile, sul vestito di Ally o sui suoi capelli.
Complimenti che ovviamente non avevano potuto fare a meno di lusingare, e non poco, la ragazza: nei suoi quindici anni di vita, Allison non aveva mai ricevuto apprezzamenti da parte di nessun altro se non dei propri parenti, sempre accompagnati da buffetti sulle guance e enormi sorrisi.
Quei complimenti, si rese conto quella sera, erano completamente diversi: un parente avrebbe avuto il dovere e l’obbligo di trovarla “carina” e di darle della “carina”; un ragazzo non avrebbe avuto nessuna ragione di definirla “bella”, considerando che il suo fisico non era certo particolarmente slanciato e che il suo viso rientrava appena nella media e dunque non era certo una preda delle più ambite.
Quindi poteva esserci solo una spiegazione logica ai complimenti di Corner: la trovava davvero bella, e in un certo qual modo ciò faceva sentire anche lei un minimo bella.
La ragazza non aveva mai trovato i suoi capelli castani sfilacciati particolarmente attraenti, né gli occhi dello stesso color marrone scialbo. Ma sentire un ragazzo tessere le lodi di quegli spaghetti tanto odiati o vederlo fissare attentamente le sue pupille come se volesse studiarne ogni sfumatura le riempiva il petto di una certa fierezza che aumentava mano a mano che la serata procedeva.
Non era entrata nella Sala al braccio di Draco Malfoy. E allora? Quanto poteva competere la sua bellezza glaciale con la parlantina calda e gentile di Michael?
Non era entrata nella Sala al braccio di Viktor Krum. E allora? Per quanto la riguardava la sua fama da Cercatore non avrebbe mai reso meno intimidatori i suoi sguardi freddi e superiori o meno affettati i suoi commenti impersonali.
Per Ally era quasi impossibile credere che un ragazzo tanto gentile e disponibile nei suoi confronti esistesse davvero e che avesse accettato di accompagnarla al Ballo.
E soprattutto, che non portasse il nome di Cedric Diggory.
Quella constatazione era l’unica nota stonata in un concerto altrimenti perfetto, la piccola macchia nera che comprometteva inevitabilmente il candore del foglio.
Michael era perfetto, certo. Ma non era Cedric.
Non sarebbe mai stato Cedric.
 
Se Evangelin avesse trovato Justin Finch Fletcher un minimo interessante quella situazione l’avrebbe innervosita parecchio.
Se fosse stata lei, in preda a una folle febbre d’amore, ad invitare quello che considerava il ragazzo dei suoi sogni, probabilmente si sarebbe avventata su Hannah Abbot appena la serata era iniziata urlandole di stare alla larga dal “suo tesorino” (immaginare quella scena l’aveva fatta ridacchiare per tutta la serata sotto lo sguardo stupito e imbarazzato del suo accompagnatore).
Invece, dalla posizione in cui si trovava, non poteva fare altro che considerare Justin un tenero e impacciato corteggiatore che si era affidato al trucco più vecchio e più patetico del mondo e Hannah una sciocca per non essersi accorta del palese interesse che il ragazzo nutriva nei suoi confronti.
Gli sguardi che il Tassorosso aveva lanciato alla bionda erano stati tanti e tanto evidenti che dopo la cena Neville le si era avvicinato per informarla, con il solito tono imbarazzato e un po’ reticente al darle una notizia ai suoi occhi tanto “sconvolgente”, che molto probabilmente il suo accompagnatore si era preso una sbandata nei confronti di Hannah Abbot. Eve si era dovuta trattenere per non ridere in faccia all’amico: se anche Neville, che da quando la serata era iniziata pendeva dalle labbra della Weasley e che durante tutto il ballo aveva avuto le sopracciglia aggrottate per la concentrazione, si era accorto del disinteresse di Justin allora la cosa doveva essere anche più palese di quanto credesse.
Un rapido giro di domande e una partecipazione minima ai gossip che gruppetti di ragazzine capeggiate  da Lavanda Brown alimentavano avevano confermato i suoi sospetti: l’interesse di Justin per la Abbot era ben noto a tutti i Tassorosso. Beh, a tutti meno che a lei, a quanto sembrava. Aveva sempre cercato di evitare chiacchiere superflue e futili come quelle che alcune sue compagne amavano tanto, e a quanto pareva era riuscita a ignorarne una che le avrebbe fatto molto comodo. Non che le pesasse essere andata al Ballo con un ragazzo interessato ad un’altra: non aveva mai considerato Justin un possibile fidanzato e la sua proposta era stata accettata più per comodità e per lo stupore che aveva causato in lei e che non le aveva dato il tempo di pensare a una risposta diversa e più logica che per un vero e proprio interesse nei confronti del ragazzo.
L’unica cosa che a Eve dispiaceva era che, molto probabilmente, Justin non avrebbe trovato il coraggio di dichiararsi a Hannah e lei non se ne sarebbe mai resa conto. Si era resa conto fin troppo bene della timidezza del Tassorosso, del suo fare impacciato e a tratti un po’ ridicolo, e la Abbot non sembrava minimamente interessata a mollare il suo aitante accompagnatore di Durmstrang. O non sembrava interessata a farlo senza un invito esplicito.
Il secondo ballo non stava procedendo differentemente dal primo: Justin era teso come una corda di violino e le sue mani sudavano in maniera non molto leggera tra le sue, e un suo passo equivaleva a tre di quelli di Evangelin. I suoi piedi costretti nei tacchi e tempestati di colpi chiedevano disperatamente pace, ma nel momento in cui pareva che finalmente Justin avesse trovato un proprio ritmo e che i loro passi fossero in sincrono, ecco che qualcosa nel campo visivo del suo accompagnatore gli faceva spalancare gli occhi e dimenticare completamente di stare ballando.
Eve aveva il sospetto che a fine serata i suoi piedi sarebbero stati ridotti come acini d’uva in un tinello.
A metà ballo Evangelin aveva ben tre ragioni per intervenire in una questione che, in un’altra situazione, sarebbe stata completamente fuori dai suoi interessi: primo, la possibilità di rendere felice un ragazzo che in fondo non aveva dimostrato nei suoi confronti idee malevole o volutamente dannose; secondo, un tentativo ultimo di non farsi affibbiare a vita il titolo di “ragazza-ripiego” (non che le importasse così tanto); terzo, il desiderio di salvaguardare la salute dei suoi poveri piedi.
“Ok, quanto vuoi andare avanti con questa farsa?” domandò dolcemente la ragazza quando Justin, non senza ovvia difficoltà, si decise ad aprire finalmente la bocca per commentare, in un tono incredibilmente tirato e anche piuttosto imbarazzato, “Bel Ballo, vero?”.
Il ragazzo spalancò gli occhi alla sua domanda.
“Scusa?” chiese sinceramente stupito. Eve non riuscì a trattenere un sorriso divertito: era davvero un peccato che un ragazzo all’apparenza così dolce e tenero non riuscisse ad aprirsi del tutto con lei. La Tassorosso era quasi certa che, se il suo cuore non fosse stato già occupato o se fosse stato solo un po’ meno impacciato, sarebbero andati molto d’accordo.
“Guarda che si vede lontano un miglio che vai dietro alla Abbot” commentò nello stesso tono dolce Evangelin. Il viso del ragazzo davanti a lei divenne di un rosso tanto acceso e la sua bocca si contrasse in una smorfia tanto stupita e imbarazzata che Eve si dovette trattenere nuovamente per non ridergli in faccia.
“M-m-ma no, c-come puoi pensare che io…”. Anche se Justin Finch Fletcher fosse stato un esimio attore, Eve non gli avrebbe creduto: i suoi sguardi erano stati decisamente eloquenti e, per una volta, la ragazza era più che disposta a credere al gossip. Considerando quindi che la sua recitazione era scarsa quanto quella di un attore in una telenovela spagnola, non c’era da stupirsi che le sue scuse non causassero in lei altro che genuino divertimento e, in modesta misura, anche un po’ di pena.
“Ehi, ehi!”. La castana gli poggiò una mano sulla spalla, bloccando il flusso di parole che gli stava sgorgando dalla bocca.
“È tutto ok!”, sussurrò cercando di non farsi sentire dalle Patil, le cui teste si erano allungate in maniera esageratamente sospetta nella loro direzione, e dal resto delle adepte della Brown, che da quando si era rivolta loro non perdevano occasione per avvicinarsi “casualmente” a lei e a Justin.
Il Tassorosso, da parte sua, non si accorse minimamente dell’attenzione eccessiva che era rivolta loro, tanto che il suo “Cosa?!” stupito per poco non fu sentito da tutta la Sala Grande.
Evangelin poggiò un dito sulle sue labbra sperando che fosse un gesto abbastanza eloquente per fargli capire che era il caso che stesse zitto per un qualche istante.
“Voglio aiutarti” sussurrò avvicinandosi al suo viso per non correre rischi di essere sentita: non avrebbe mai voluto che Hannah, una volta compiuta la sua strategia, venisse a sapere da un gruppo di ochette starnazzanti che si era accordata con Justin.
Le sopracciglia del ragazzo si aggrottarono tanto che per un istante Eve ebbe l’impressione che avrebbero raggiunto la punta del naso.
“Scusa?” mugugnò lui, tentando malamente di muovere le labbra contro il suo dito.
Eve sospirò e si allontanò di qualche centimetro dal suo viso. Quasi non si accorse neppure dell’improvviso tramestio nel cerchio delle pettegole, e del numero di teste che si erano voltate di botto a fissare un punto che non fosse quello in cui si trovavano ora loro.
“Voglio aiutarti” ripeté lei, con tono più risoluto di quello adattato fino ad allora. “Voglio aiutarti a conquistare la tua bella”.
 
Filiana non aveva mai considerato quello.
Certo, aveva considerato la possibilità di fare un ingresso trionfale in Sala, aveva considerato la possibilità di essere ammirata dal suo ragazzo (Dean Thomas, il SUO ragazzo; Filiana non era certa di crederci ancora del tutto), aveva considerato commenti pieni di meraviglia e sguardi ricchi di invidia, aveva considerato, chissà! di diventare la ragazza più chiacchierata della serata, magari più chiacchierata della Chang! Era un pensiero stupido e infantile, Filiana se ne rendeva conto, ma si giustificava immediatamente dicendosi che quella del Ballo era un’occasione speciale e che, per una notte, poteva concedersi anche lei di essere giusto un pochino stupida e infantile.
Non aveva considerato, certo, che la gonna enorme le avrebbe impedito di avvicinarsi a Dean senza rischiare che lui le rimbalzasse addosso come una pallina lanciata sul pavimento; non aveva considerato che quella stessa gonna le avrebbe dato enormi problemi nel ballare e che avrebbe tenuto lontano il suo ragazzo quando l’unica cosa che lei avrebbe voluto era che le stesse tanto vicino da poter sentire il suo respiro calmo accarezzarle placidamente le guance e lambirle il collo; non aveva considerato che le sarebbe stato impossibile mettersi a sedere senza che il tavolo fosse fatto spostare apposta per lasciare un po’ di spazio spazio all’enorme “palloncino” (così aveva deciso di ribattezzare quel gravoso e ingombrante peso giallo) che si portava dietro, quando la sua intenzione era quella di adagiarsi sulle panche con grazia lasciando che la gonna le facesse da comodo cuscino; non aveva considerato le risatine dei malevoli e l’imbarazzo dei professori; non aveva considerato la possibilità di sentirsi niente meno di una principessa, quella notte.
E come altro si sarebbe potuta considerare, con quel vestito alla Belle e quell’acconciatura curata nei minimi dettagli?
Era stata Sarah a darle una mano nel trasformare gli spaghetti castani in boccoli rigidi ma allo stesso tempo morbidi che ricadevano in onde perfette sulle spalle scoperte. Un paio di ciocche erano state fissate dietro le orecchie ornate da semplici brillanti dorati a formare una sorta di aureola sul suo capo spruzzato di glitter argentato (l’amica aveva definito l’aggiunta un po’ “ruffiana”, ma lei aveva insistito tanto da non lasciarle neppure il tempo di un altro commento). Gli occhi castani erano stati messi in risalto da una matita nera che le percorreva l’interno palpebra e da un ombretto di un giallo brillante che si intonava con il colore dell’abito. Quando Sarah le aveva posto la fatidica domanda “Cosa metto sulle labbra?” Filiana si era resa conto già da tempo che il suo make up stava diventando decisamente troppo brillante, e che forse, per il bene della grande stima che i professori avevano di lei, non era il caso di fare aggrottare le sopracciglia alla McGrannit. Quindi le sue labbra, già abbastanza carnose, erano state ornate con un semplice lucidalabbra rosato che Sarah aveva assicurato essere un buon modo per completare il trucco e un ottimo abbinamento con la collanina a cuore rossa che pendeva dal collo di Filiana da quando Dean gliel’aveva regalata.
Era il vestito il punto di forza del suo intero aspetto, ciò che avrebbe fatto spalancare gli occhi ad ogni ragazzo presente nella Sala Grande e borbottare di invidia le ragazze.
L’abito era di un bel giallo brillante, con una scollatura a cuore contornata di brillantini argentati che tracciavano anche una linea diagonale lungo il corpetto plissettato. Fino a poco sopra la vita la stoffa si manteneva pieghettata, per poi distendersi gradatamente e aprendosi in una gonna incredibilmente ampia e incredibilmente complessa: un lembo di stoffa era fissato al suo fianco destro con una spilla anch’essa argentata, e da lì sotto partiva un altro stato di un materiale più leggero ricco di pieghettature orizzontali.
Era tutto ciò che la Grifondoro aveva sempre voluto: un perfetto vestito da ballo che la facesse sentire la bella principessa di una favola e che rendesse fiero e ammaliato il suo principe.
Ora, Filiana Basile non si sentiva davvero una principessa: si sentiva una perdente.
Un’inutile, ridicola perdente che si era lasciata trascinare dall’eccitazione del momento senza pensare alle conseguenze.
Era straordinario quanto le fossero sembrate irrilevanti, quasi nulle, le complicazioni che un vestito tanto voluminoso avrebbe portato: le sue ipotesi non avevano neppure contemplato un aspetto negativo della situazione, non c’era in quell’abito nulla più che meravigliosi, stupendi aspetti positivi. Davvero stupido, da parte di una studiosa, non analizzare completamente un problema, non considerare entrambi i lati della medaglia quando le era sempre stato insegnato che non vi era male senza bene, nero senza bianco, gioia senza dolore. Si era sempre considerata una ragazza dalla mente profondamente lucida e dalla razionalità intaccabile, ma era bastato un evento futile come il Ballo del Ceppo per farle dimenticare completamente ogni barlume di ragionevolezza e lasciare il posto a idee che non andassero oltre a come avrebbe acconciato i suoi capelli o a quale accessorio avrebbe abbinato al suo abito.
Sarah aveva raccolto la sua disperata richiesta d’aiuto con un’alzata di spalle e un ovvio “È solo un Ballo!”. Filiana avrebbe tanto voluto assumere il suo distaccato punto di vista, ma il fatto che la ragazza andasse con il proprio fratello e non con il suo ragazzo (il SUO ragazzo, il primo ragazzo della sua vita, dannazione!) probabilmente influiva e non poco sulla Tassorosso.
Dean tese un po’ di più le braccia per evitare di scontrarsi nuovamente con la sua gonna, e Filiana si sentì avvampare di vergogna: gli sguardi irrisori e le risatine divertite dei Serpeverde potevano essere sopportati; gli occhi incuriositi dei suoi compagni di Casata e le loro bocche che si contraevano nel tentativo di non ridere le passavano addosso come acqua scrosciante durante una doccia; ma lo sguardo di Dean, le sue mani strette nelle proprie e non posate sul suo corpo, la distanza che bruciava tra di loro era vergogna allo stato puro e frustrazione incommensurabile. Aveva fantasticato tanto a lungo su quella serata e su ciò che lei e Dean avrebbero potuto fare, sui baci che si sarebbero scambiati, sulle carezze che nei giorni precedenti le erano state promesse che ora quel freddo contatto le sembrava un doloroso schiaffo in faccia, uno smacco personale.
Aveva dovuto aspettare 15 anni di vita prima di riuscire a trovare un ragazzo intelligente con cui si trovava a proprio agio e che, sì, non poteva negarlo, non mancava di occupare ogni suo sogno da molto più tempo di quanto avrebbe ammesso, e proprio quando avrebbe potuto godersi la sua compagnia, quando avrebbe potuto mostrarsi a testa alta col suo ragazzo (il SUO ragazzo) al proprio fianco davanti all’intera, maldicente Hogwarts, l’intera esperienza si stava guastando poco a poco per colpa di uno stupido abito scelto proprio da lei. Era dannatamente frustrante non poter dare la colpa a nessun altro se non a sé stessa.
Dean rimbalzò per l’ennesima volta contro la sua gonna. Le risatine dei Serpeverde la raggiunsero nello stesso istante in cui il rossore arrivò a tingerle le guance.
“Ok, scusa” riuscì finalmente a sussurrare, con voce sottile. Si stupì quasi che l’imbarazzo non avesse atrofizzato completamente le sue corde vocali, considerando quanto ogni proprio arto le sembrasse, in quel momento, in balia alla rigidezza più totale. Era un vero e proprio miracolo che le gambe la reggessero ancora e che riuscissero a percorrere un passo dopo l’altro il Calvario eterno che stava diventando quel ballo.
Dean aggrottò le sopracciglia incuriosito dalla sua affermazione.
“E per cosa? Sei una ballerina troppo esperta per pestare il piedi al tuo compagno. E se l’hai fatto non me ne sono accorto” commentò con un sorriso divertito che gettò un raggio di sole tra le nuvole nere del suo imbarazzo.
“N-n-no, io intendevo…”. Filiana pregò ardentemente di non essere arrossita nuovamente: da quando si era messa con Dean le capitava anche troppo spesso che le gote diventassero di un rosso peperone acceso a un suo complimento o ad un suo semplice tocco, e la ragazza iniziava a pensare che un giorno o l’altro il ragazzo (il SUO ragazzo, accidenti) si sarebbe stufato di quel suo imbarazzo.
Con un sospiro la ragazza si ravviò i capelli nervosamente.
“Avevo… Pensato che questa serata sarebbe stata fantastica, e-e volevo che fosse tutto perfetto p-perché ora stiamo insieme, e quindi doveva essere speciale, e… E invece il ballo, la gonna, la cena, e-e questa dannatissima gonna e-e i Serpeverde, e tu che rimbalzi, e questa tremenda gonna, e-e avevo pensato e-e invece no, e credevo che… Ma questa STUPIDA gonna!!” tentò goffamente di spiegare agitando le mani in aria. Era una fortuna che al momento le malelingue sembravano impegnate a infilarsi nelle bocche di qualcun altro, o Filiana si sarebbe vista parodiata a vita, tanto erano ridicoli i suoi movimenti e tanto le tremava la voce.
Dean la zittì prima che potesse umiliarsi ulteriormente sussurrando un “Ehi, ehi” affettuoso e avvicinando leggermente il proprio volto al suo. Fu in quell’istante, in quel preciso istante, che Filiana percepì chiaramente che non sarebbe riuscita a spiccicare una parola per il resto della serata: gli occhi dorati di Dean avevano da molto più tempo di quanto credesse la capacità di ammutolirla, e l’intensità destabilizzante con cui la stava guardando in quell’istante spezzò definitivamente quel filo sottile di voce che le era rimasto in gola.
Il Grifondoro sorrise, e per la prima volta da quando la serata era iniziata a Filiana sembrò di non cogliere malizia o divertimento in un sorriso che le era rivolto, ma solo fiducia e affetto. Era assurdo che non si fosse mai resa conto quanto fosse caldo e rassicurante il sorriso di Dean. O meglio, probabilmente l’aveva sempre saputo, ma era straordinario quanto una scintilla di positività potesse sembrare brillante in un mare di cupa negatività e di paralizzante imbarazzo.
“Ehi...”. Dean le accarezzò la guancia con il pollice delicatamente, quasi lei fosse stata una bambola di porcellana e lui avesse avuto paura di romperla, continuando a fissare gli occhi nei suoi.
“Fili…” Il suo tono di voce si abbassò accarezzando il suo nome con una dolcezza infinita. La ragazza non credeva che un’altra persona al mondo sarebbe stata capace di rendere il suo nome tanto bello quanto Dean.
Il viso del ragazzo era ormai così vicino al suo che la castana riusciva a percepire il fiato di lui che le accarezzava le labbra e le sue parole imminenti che già le colmavano le orecchie.
“È tutto perfetto”. Quelle tre parole furono pronunciate in un tono di voce tanto basso e melodioso che Filiana si sentì scuotere da capo a piedi da una scarica di caldo, dolce piacere. Bastarono quelle sei sillabe proferite dalla sua bocca amata, quelle quattordici lettere articolate nel più placido e dolce dei modi per farle dimenticare completamente ogni cosa, per rendere ogni altro oggetto un’inezia, per oscurare totalmente il mondo e farlo risplendere della luce abbagliante che era Dean.
“Sono con te. E tu sei bellissima” continuò lui, nello stesso dolce e placido tono. “Quindi è tutto perfetto”. Filiana sentì ogni possibile residuo della propria voce lasciarla definitivamente.
Non c’era più nulla, dopo quelle parole: non c’erano più i Serpeverde e i loro commenti malevoli; non c’erano gli occhi di tutti puntati su di lei; non c’erano più le aspettative infrante, non c’erano più i suoi castelli in aria malamente smontati, non c’era più la voce della McGrannit che imponeva loro di rimanere “a distanza di sicurezza”, non c’era neppure più la gonna, quell’immensa gonna tanto odiata, quella gonna che avrebbe dovuto farle spiccare il volo e che invece le aveva fatto da zavorra: c’era solo Dean, in quel momento.
Dean e i suoi occhi color del miele.
Dean e il suo sorriso candido e dolce.
Dean e le sue labbra zuccherine che si appoggiavano lentamente sulle proprie, perdendosi nell’essenza della sua bocca, avviluppandosi dolcemente a lei, lasciandosi un istante di tempo per chiederle il permesso e poi scivolando piano piano, quasi timorose dentro di lei.
Dean e il suo aroma che le riempiva le narici e inebriava i suoi sensi.
Dean e le sue braccia che la stringevano, la spingevano contro di lui, azzeravano lentamente la distanza tra i loro corpi e infine la sollevavano, lei e l’immane gonna maledetta, facendole scappare un verso di sorpresa che però non le impedì di continuare il bacio con una risata divertita.
Dean e i suoi capelli neri da accarezzare, Dean e le sue guance scure da esplorare, Dean e le sue dita sottili sulla schiena di lei.
Dean e lei.
Solamente, semplicemente Dean e lei nei loro infiniti dieci secondi di Paradiso.
 
Prima dell’inizio di quell’anno, Daisy Kapner era sempre stata certa di aver vissuto qualsiasi esperienza potesse essere vissuta in una vita intera in soli 15 anni di vita: era riuscita ad avvitare una lampadina all’età di cinque anni (beccandosi com’era prevedibile la scossa) e da lì la sua carriera di scienziata si era lentamente spostata verso lidi sempre più lontani e imprese sempre meno sicure. Ricordava ancora quella volta in cui sua madre l’aveva beccata a immergere nell’acido un pezzo di carne che avrebbe dovuto fare loro da cena. Daisy era piuttosto certa di aver scoperto solo in quell’occasione cosa volesse dire “essere sgridata”. Loreline si era rassegnata dopo mille grida, l’esplosione della cucina e l’intercessione di Peter alla passione “distruttiva” della figlia, come lei era solita chiamare la sua attività da scienziata. Daisy poteva dunque affermare con certezza di aver vissuto conflitti con la propria famiglia e di averli (cosa che non molti adolescenti avrebbero potuto affermare) risolti con successo.
Poteva anche vantarsi di essere riuscita ad andare, superata l’incertezza dei genitori e anche grazie al supporto di suo fratello, ad assistere ad una vera e propria partita di Quidditch: una sera cupa d’estate che era ormai un ricordo semi sbiadito nella sua memoria, Daisy Kapner aveva visto i Ballycastle Bat sfrecciare nel cielo inseguiti da Tutshill Tornados. Considerando il suo stato di sangue Daisy si era sentita, subito dopo la partita, incredibilmente fiera e privilegiata della sua piccola conquista, anche se, ogni volta che qualcuno le domandava quale fosse stato il risultato della partita, lei rispondeva arrossendo e balbettando un incerto “Ehm… Parità?”.
Daisy poteva anche affermare di essere rimasta sveglia fino a tardi, e numerose volte: non erano mancate le notti passate col naso all’insù in attesa di una qualche cometa o nella speranza che quella nuvola davanti a Marte, finalmente, si spostasse lasciandole libera la visuale del pianeta per qualche secondo.
Le era perfino capitato di provare alcolici, quantunque molte delle persone che la conoscevano non l’avrebbero mai creduto possibile: una volta, ad un matrimonio, aveva provato dello champagne dal bicchiere di sua madre e aveva passato il resto della serata in uno stato di eccitazione decisamente non indifferente.
In quanto ad amicizia, Daisy non poteva dire di essere carente neppure in quel campo: Thomas e Zach erano da sempre due punti fermi della sua vita, le due luci che la accompagnavano verso l’uscita del tunnel, i suoi compagni e i suoi fratelli, le uniche persone con cui, nonostante la sua timidezza, riuscisse a sentirsi totalmente a suo agio anche restando nel silenzio più totale.
Prima dell’inizio di quell’anno, Daisy Kapner era la perfetta padrona del suo castello personale, sempre attenta e diligente a ripulire ogni angolo al primo accenno di sporcizia e mai impaziente di aggiungere nuovi mobili nel timore di rovinare l’ordine all’apparenza perfetto.
Ma come ogni casa, anche la sua nascondeva delle inevitabili e ben celate pecche che erano state ben pronte a schizzare via, una dietro l’altra, in un effetto domino che aveva sconvolto completamente le priorità della ragazza e tutto ciò in cui aveva sempre creduto.
Prima era venuto Lesath. Lesath era stata la prova vivente che non solo i Serpeverde potevano essere degli idioti, e la rivelazione era stata tanto sconvolgente per Daisy che l’aveva portata ad analizzare in maniera più approfondita la Casa che, durante quei quattro anni, era sempre stato il suo incubo peggiore. E in fondo, aveva scoperto non senza un certo stupore la ragazza, non tutti i Serpeverde erano crudeli o barbari quanto Malfoy e la sua banda. A confermare la sua tesi Zach e la sua amica\fidanzata\qualsiasi cosa fosse Serpeverde.
Daisy conosceva Zach abbastanza bene da sapere che non era una persona che si affezionava facilmente alle persone. Era, certo, un ragazzo imbranato e dolce dalla risata facile, imperterrito e mai rassegnato nel lottare strenuamente contro la massa di capelli castani che si ritrovava in testa, il tipo che, insomma, qualsiasi ragazza avrebbe voluto come migliore amico. Ma era anche un ragazzo timido, sebbene molto meno di lei, e tanto abituato ad essere deriso e preso in giro da non fidarsi istintivamente di qualsiasi persona si trovasse sul suo cammino. Soprattutto, Zach Terrinson non si fidava assolutamente e, secondo le sue stesse parole, “non si sarebbe mai fidato di un Serpeverde”. Non c’era da stupirsi, dunque, che la sua amicizia non solo con una Serpeverde, ma con una Serpeverde così esuberante e eccentrica l’avesse lasciata completamente spiazzata. Se davvero una persona così restia a stringere nuovi rapporti come Zach era riuscita a trovare del buono in quello che un tempo avrebbe definito “il suo nemico giurato”, allora non tutte le serpi dovevano essere necessariamente velenose.
Lesath era stato anche la prova che, se le veniva fornito lo stimolo giusto, la ragazza riusciva ad arrabbiarsi e sul serio. O meglio, poteva arrabbiarsi e arrivare al punto di ribattere al proprio avversario, utilizzando un linguaggio e un tono di voce che si andava via via arricchendo di nuove espressioni dispregiative e di sfumature che spaziavano tra il sarcastico e l’isterismo a malapena trattenuto.
Per tanto tempo Daisy aveva tenuto ben nascoste le proprie emozioni e il proprio risentimento verso sin troppe persone e troppe situazioni, troppo timorosa di causare danni per poter rispondere ad un attacco in altra maniera che non fosse “No, signore” o “Certo, se lo dici tu…” con un tono di voce sottile sottile e un’espressione accondiscente in viso. Lesath era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso già da tempo pieno, e su di lui Daisy aveva sfogato e sfogava frustrazioni e parole represse in ben 15 anni di vita. Se la cosa all’inizio l’aveva scioccata, oramai sia lei che il Corvonero vi erano così abituati che la ragazza non si sentiva neppure più in dovere di scusarsi col ragazzo o di sentirsi in colpa per ciò che aveva detto.
E ora Zach.
Daisy era conscia da molto più tempo di quanto Zach immaginasse della cotta che l’amico nutriva per lei. In realtà i segni del suo interesse erano così palesi e il ragazzo si impegnava così poco per nasconderli che anche un cieco si sarebbe accorto dei sentimenti del Tassorosso nei suoi confronti. Daisy era quasi certa che l’intera Hogwarts si fosse resa conto ormai da tempo di quanto il suo “amico” fosse interessato a lei. Come Zach non si fosse accorto della consapevolezza di ogni singolo studente di ogni singola Casa riguardo alla sua cottarella, non avrebbe saputo dirlo.
Ma la verità era che la questione non l’aveva mai turbata particolarmente né aveva creduto che si sarebbe mai evoluta in qualcos’altro: Zach era troppo timido per dichiararsi apertamente e lei non era assolutamente interessata a lui in quel senso. Certo, ciò non voleva dire che non provasse nulla al riguardo, no… Non era così insensibile da non soffrire per la consapevolezza che il suo migliore amico non sarebbe mai stato, purtroppo, ricambiato. E avrebbe voluto, davvero, avrebbe voluto volergli bene quanto lui si meritava, avrebbe voluto AMARLO come lui meritava… Ma non ci riusciva.
Zach Terrinson sarebbe rimasto, sfortunatamente per lui, sempre e soltanto un amico.
Quando aveva iniziato a frequentarsi con quella Shaula il sollievo era stato davvero enorme: per lungo tempo Daisy aveva creduto che il Tassorosso sarebbe rimasto bloccato in quella cotta senza speranza, in quei sentimenti mai ricambiati, mai pronto a donare a qualsiasi altra ragazza il fiore che aveva sperato lei potesse raccogliere, sempre in attesa che qualcosa si sbloccasse in lei, sempre disilluso che, un giorno, Daisy Kapner si sarebbe svegliata e sarebbe stata innamorata di lui.
Aveva davvero creduto che quella Serpeverde sarebbe stato il suo nuovo inizio, un nuovo punto di partenza da cui costruire qualcosa, una possibilità di poter finalmente essere ricambiato. Ma ciò che non avrebbe mai creduto possibile era che Zach la invitasse al Ballo del Ceppo.
Non l’aveva creduto possibile prima che Shaula entrasse nella sua vita, non l’avrebbe mai neppure concepito dopo che la Serpeverde aveva conquistato la sua fiducia e il suo affetto.
Il suo “sì” era stato pronunciato più per la necessità impellente di trovare un cavaliere che per vera e propria convinzione, e in realtà Daisy si era pentita di quella decisione appena cinque secondi dopo averla presa.
E ora che il momento fatale era arrivato, la ragazza stava veramente sofferto per quelle due lettere sussurrate a mezza voce ancora troppo stupita per poter pensare razionalmente al disastro che stava causando con quella singola parola.
Daisy aveva passato ore e ore insonni a pensare, con la faccia affondata nel cuscino, al corso che il Ballo avrebbe preso per lei e il suo amico: Zach avrebbe potuto provarci con lei, pieno di speranza dopo quella sua decisione così avventata, o sarebbe stato troppo imbarazzato per dire anche solo una parola, lasciando a lei l’arduo compito di tenere in piedi una conversazione quanto meno logica (la ragazza si era già preparata mentalmente un discorsetto relativo le capacità di ogni singolo insegnante ad Hogwarts), o qualcuno avrebbe combinato qualche casino al Ballo dandole il tempo di andarsene inosservata e poi convenire con Zach, cercando di assumere l’aria più afflitta che le riusciva, che la serata sarebbe stata davvero stupenda se solo…
Aveva considerato così tanti scenari e varato così tante ipotesi che ora le sembrava assurdo che le cose non stessero andando affatto come aveva previsto.
Zach non sembrava affatto imbarazzato, né tantomeno interessato a lei, né la Sala Grande era esplosa d’improvviso spruzzando brandelli di carne umana su tutti i corridoi e le stanze antistanti (o meglio, non era ANCORA successo). No, Zach era… Semplicemente disinteressato.
I suoi occhi non si erano posati più dello stretto necessario sul suo vestito e sul suo viso, appena era apparsa in Sala, e l’unico commento che si era sentito di fare era stato un “Non male” mugugnato con un’alzata di spalle incredibilmente indifferente che l’aveva quasi offesa.
La cena era trascorsa tra qualche commento qua e là e risposte che non andavano oltre i semplici “Sì” e “No”, oltre ad occhiate furtive quanto un elefante in una vetreria verso un certo tavolo e una certa coppia. Daisy non aveva avuto certo bisogno di seguire la direzione dello sguardo di Zach per sapere che l’oggetto del suo interesse era Shaula nel suo abito rosso e il suo accompagnatore pomposamente vestito.
Ma la parte peggiore di tutta quella storia erano di certo i balli. Daisy aveva sempre congetturato che non ci fosse nulla di più imbarazzante di un ballo intimo come un valzer eseguito con qualcuno per cui non si provasse assolutamente nulla se non un grande affetto e una reciproca comprensione. Certo, c’era gente al mondo capacissima di cimentarsi in un valzer per un pugno di dollari o semplicemente per passione, ma di certo non lei e Zach. L’imbarazzo tra loro era così palpabile e i loro corpi così tesi che, quando il ragazzo le aveva appoggiato una mano sulla vita, la Grifondoro aveva dovuto trattenersi a fatica per non scoppiare a ridere. Non esisteva affinità fisica, tra loro, e nessuno dei due desiderava davvero essere toccato dall’altro o darsi da fare come qualche coppia nella Sala stava platealmente facendo senza nessuna considerazione per i rimproveri della McGrannit. Tutto ciò che sarebbe dovuto essere romantico per qualcuno era semplicemente imbarazzante per loro, e Daisy era certa che, nonostante tutta la buona fede di Zach e la sua speranza, sarebbe stato sempre così.
Il secondo ballo si stava rivelando, se possibile, peggio del primo: oltre all’imbarazzo delle mani ora subentrava anche quello, decisamente più degradante, degli occhi. Era una situazione davvero frustrante ritrovarsi quasi a ridere in faccia al proprio migliore amico dopo non più di dieci secondi passati a fissarlo dritto nelle pupille, sebbene Daisy si rendesse conto che, per qualsiasi altra persona esterna a quella storia, fosse piuttosto divertente osservarli mentre tentavano imbranatamente di ballare, le braccia tese quanto più possibile per evitare un contatto diretto e le facce contratte nel tentativo di trattenere risate fragorose.
Come se ciò non la rendesse già abbastanza ridicola, il fatto che Zach continuasse ad alzare gli occhi dal suo viso per fissarli in direzione di una certa mora di rosso vestito non la aiutava affatto a sentirsi più sicura in quella pagliacciata male assortita.
Prima dell’inizio di quell’anno, Daisy Kapner credeva che non ci fosse nulla di più imbarazzante a un Ballo di sporcarsi il vestito con del punch. Oh, quanto si era sbagliata…
“Ok, ora basta” si decise finalmente a sussurrare, con una velocità tale che la prima reazione di Zach fu quella di aggrottare le sopracciglia e chiederle, confuso:
“Scusa?”.
Daisy alzò gli occhi su di lui e si decise, finalmente, a fissarli nei suoi.
Prima dell’inizio di quell’anno, Daisy Kapner non avrebbe mai creduto di poter raccogliere il coraggio a quattro mani e comportarsi da Grifondoro.
La ragazza richiuse gli occhi prendendo un sospiro profondo, tentando di mantenersi calma e distaccata mentre metteva in ordine le parole da utilizzare. Non doveva assolutamente lasciarsi trascinare dall’emotività, ora, o non sarebbe mai riuscita ad essere abbastanza schietta da mostrare a Zach la verità nuda e cruda.
“Ora… Basta” sillabò, tentando di non farsi impietosire dalla sua espressione sconcertata.
“Senti, Zach” continuò, non lasciandogli tempo di ribattere. Il discorso era bello e pronto nella sua mente e qualsiasi intromissione l’avrebbe costretta a riprendere il filo e ricominciare da capo.
“Tu sai benissimo, e lo sai da molto, che a me tu non piaci in quel senso”. Era la prima volta che Daisy glielo diceva chiaro e tondo. Eppure, con sommo stupore, Zach non percepì nulla di ciò che fino a quel momento aveva creduto che avrebbe provato. Nessun dolore straziante, nessuna delusione cocente, nessun senso di impotenza, assolutamente nessun istinto suicida. No, nulla di tutto ciò che i libri gli avevano insegnato. Nessuno di quei sintomi tanto aspettati, nessuno di quelle reazioni che aveva sempre creduto di dover provare, con pazienza e rassegnazione stoica. Solo una sorta di stupore amaro, un’ironica alzata di bocca del suo animo, un sardonico “Tutto questo per cosa?” e una sorta di fiera soddisfazione per la risolutezza della sua amica.
“Ma quello che devi capire, Zach, è che…”. Le mani di Daisy si sciolsero dalla sua presa. “Neppure io… Ti piaccio in quel senso”.
Ora la ragazza parlava con una calma e una sicurezza straordinari, scandendo ogni parola, ogni sillaba come se stesse parlando ad un bambino piccolo a cui tutto va spiegato. Zach non ricordava di aver mai visto, nei suoi occhi, una tale decisione.
“Magari…” continuò alzando le spalle. “Ti sei illuso che io ti piacessi ancora perché volevi provare un’ulteriore volta, magari… Magari l’hai fatto perché sei convinto che io ti piaccia da così tanto tempo che ti sembrava naturale invitarmi, ma la verità, Zach…”. E dicendo ciò il suo viso si avvicinò un po’ al suo.
Curioso.
Non provava nulla.
Quella sua vicinanza non gli faceva provare assolutamente nulla.
“La verità è che tu devi andare avanti”. E con queste parole la ragazza strinse un po’ di più la presa sulle sue spalle.
“Devi andare avanti e trovare qualcuno che possa darti ciò che io non posso darti, ciò che io NON POTRO’ MAI darti, lo capisci?”. La ragazza si impose di mantenersi ferma e risoluta. Non poteva perdersi nell’emotività proprio in quel punto saliente del suo discorso.
“Perché, te ne sarai reso conto anche tu, noi non funzioniamo in quel senso”. Daisy scosse appena la testa. “No, e tu hai bisogno di trovare qualcuno con cui invece… Tu funzioni in quel senso, perché sei un ragazzo meraviglioso, Zach, e te lo dico davvero con il cuore, ma…”. La ragazza dovette mordersi il labbro prima di riuscire a terminare, il tono di voce lievemente traballante:
“Io… Non sono innamorata di te”.
Ecco. Le parole proibite erano state pronunciate. Il dado era tratto e ora più niente e nessuno avrebbe potuto insinuare che ci fosse effettivamente qualcosa tra lei e Zach. Daisy aveva cercato con tutta sé stessa di evitare che la verità gli fosse spiattellata in maniera così brutale in faccia, ma considerando la loro situazione ora la cosa migliore per lui era vedere esattamente quale fosse lo stato delle cose, e non una versione edulcorata della realtà.
Zach la fissò per alcuni, lunghi istanti in silenzio assoluto. Non c’era dolore nei suoi occhi. Né tanto meno stupore.
No, quella non era decisamente la reazione che stava aspettando. E ciò la sollevò incredibilmente.
“E forse tu non te ne rendi conto…” continuò, facendosi via via più sicura mentre il suo discorso procedeva. “Ma c’è già una ragazza che a te piace e a cui tu piaci, e che è prontissima a costruire con te ciò che vorresti costruire con me!”. Il suo tono di voce si accese di ulteriore sicurezza.
“E… E non è troppo tardi, se tu la vuoi ancora, Zach, non lo è davvero!”. A quelle parole, gli occhi del ragazzo si illuminarono e si fissarono nei suoi colmi di… Speranza? Poteva davvero essere speranza? Allora non aveva frainteso ciò che c’era tra lui e la Serpeverde!
“Ma… Prima che questa pagliacciata continui” e con un gesto eloquente della mano indicò la loro coppia. “TU devi andare a parlare con lei prima che sia troppo tardi,” (dicendo ciò puntò il dito contro il suo petto) “IO devo staccarmi da te prima che scoppi a ridere cercando di guardarti!”. E con uno sbuffo esasperato terminò il discorso incrociando le braccia al petto e lanciando un’occhiata esplicativa a Zach.
Prima dell’inizio di quell’anno, Daisy Kapner non avrebbe mai creduto di potersi sentirsi più sollevata di quella volta in cui il suo criceto Hammie era stato rianimato all’ultimo momento da una dottoressa piuttosto paziente e accondiscente (anche se, nonostante quel salvataggio in extremis, la povera bestiolina era morta qualche giorno dopo). Ora sapeva cosa volesse dire l’espressione “togliersi un peso dallo stomaco”.
 
“E solo dopo mi sono reso conto che il Boccino era…”
Harmony alzò gli occhi al cielo e sospirò spazientita.
“Finito nelle tribune dei Grifondoro, lo so, lo so” terminò, lanciando un’occhiata tra il divertito e il corrucciato al suo cavaliere.
Draco alzò le spalle e commentò con nonchalance:
“Non credevo che tu conoscessi questa storia”.
La ragazza alzò un sopracciglio con fare sardonico.
“Dopo che me l’hai ripetuta per ben cinque volte E dopo aver assistito io stesso a quella partita?”.
Il Serpeverde sghignazzò divertito.
“Ok, ok, scusa…”. Una sua mano scivolò in maniera decisamente poco casuale sul suo fianco, accarezzandolo delicatamente.
Il cuore di Harmony perse un battito nell’istante stesso in cui, guardandola coi suo ammalianti occhi glaciali, Draco passò a sfiorarle con un sorriso calmo e rilassato l’altro fianco, stringendo entrambe le mani poco sopra il suo bacino. Harmony non ricordava l’ultima volta in cui il suo viso era stato tanto vicino a quello del ragazzo, né riusciva a richiamare alla mente l’ultima volta in cui si era sentita tanto felice e tanto soddisfatta. Il tocco di Draco era scintilla che accendeva ogni suo senso e ampliava a dismisura ogni sensazione, ogni emozione, i suoi occhi erano fiamma che faceva ardere il suo petto e le sue membra, il sorriso che le stava rivolgendo era la giusta ricompensa per tanti anni di attesa e per tanta sofferenza vissuta.
In fondo, si disse appoggiando il capo sulla spalla del ragazzo, era valsa la pena aspettare tanto a lungo. Era valsa la pena farsi deridere per tanti anni. Era valsa la pena essere sempre la spalla di Draco, era valsa la pena assentire costantemente a idee considerate sbagliate, era valsa perfino la pena deridere Mezzosangue, se il suo premio era il sorriso di Draco e le sue braccia strette attorno alla propria vita sottile.
Ma la verità era che, di tanti anni passati ad essere la compagna passiva, la sostenitrice senza opinione, semplicemente la cheerleader di ogni situazione, Harmony si era persa.
Aderendo automaticamente alle idee di Draco aveva perso di vista le proprie opinioni, seguendolo in qualsiasi strada egli avesse preso aveva smarrito la propria via, diventando il suo pupazzetto si era trasformata in un involucro senza personalità pronto a modellarsi e rendersi diverso solo per compiacere un testardo Serpeverde. Era servito davvero a qualcosa? Era servito a qualcosa, diventare un’ochetta starnazzante agli occhi di Draco e rendersi ridicola davanti agli altri e, soprattutto, davanti a sé stessa? Era servito a qualcosa sperare che Draco preferisse una scialba ragazzina pronta a gettarsi ai suoi piedi piuttosto che una donna sicura di sé e dei propri desideri?
No, non era stato per quello che Draco l’aveva scelta, certo.
Draco l’aveva scelta perché si era riscossa e aveva dato una svolta alla propria vita.
Draco l’aveva scelta perché aveva avuto la forza di battersi con la Harrowl e la prontezza per uscirne vincitrice.
Draco l’aveva scelta perché aveva avuto il coraggio di opporsi a lui, molte, forse troppe volte, e perché non esisteva questione su cui avessero la stessa opinione.
Draco l’aveva scelta perché, per la prima volta dopo tanti anni, Harmony Lewis si era ritrovata ed era pronta ad iniziare una nuova vita.
La ragazza si strinse un po’ di più al petto del ragazzo, inspirando nella sua giacca fresca di lavanderia.
Pronta ad iniziare una nuova vita con lui.
Le mani di Draco si spostarono ad accarezzarle la schiena. Harmony poteva percepire i suoi respiri lenti e profondi infrangersi sul suo collo e la pelle d’oca ricoprire ogni centimetro del proprio corpo.
“Forse avrei dovuto immaginarlo” commentò il ragazzo spingendo il viso spigoloso accanto al suo orecchio. “In fondo… Sei stata a tutte le mie partite di Quidditch”.
La ragazza ridacchiò sulla sua camicia, lasciando che le mani scivolassero dolcemente sul petto del ragazzo.
“Forse avresti dovuto, sì…” ribatté, nello stesso tono sardonico di prima.
Draco alzò le spalle con espressione fintamente offesa.
“Ma…. Ciò non vuol dire che tu non ti debba mostrare interessata, mia cara”.
Harmony alzò gli occhi su di lui con espressione ammiccante.
“Dovrei… Mostrarmi interessata a qualcosa che già conosco solo per farti piacere?” domandò, picchiettando con le dita sulla sua camicia bianca.
Il ragazzo disse, come se la cosa fosse incredibilmente ovvia e lei una sciocca a non rendersene conto:
“Certo che sì!”
La ragazza si concesse una risata divertita: l’affermazione era stata così decisa e sicura che un paio di ragazzi si erano girati a guardarli. Tra i vari anche una Pansy Parkinson dall’espressione agguerrita e pronta all’attacco che la stava guardando ferocemente con la sua faccia da carlino. Harmony le rivolse un sorriso affettato e tanto pieno di soddisfazione che la ragazza distolse immediatamente lo sguardo con uno sbuffo teatralmente irritato. Doveva ammetterlo, era divertente prendersi lo sfizio di essere crudele, ogni tanto.
Con un sospiro la ragazza tornò al Serpeverde, stuzzicando con le unghie la stoffa leggera della camicia.
“Beh, allora anche tu dovresti mostrarti interessato a quello di cui parlo, ti pare?” disse con aria ovvia la ragazza, alzando un sopracciglio in attesa della prevedibile risposta negativa.
Draco la guardò come se avesse appena pronunciato la barzelletta più divertente che avesse mai sentito.
“Mi stai prendendo in giro?” chiese divertito.
Ovviamente. 
Harmony contrasse la bocca in una mezza smorfia.
“Nnnno, in verità sono piuttosto seria…” proseguì, concentrando lo sguardo sulla camicia per tirare via un filo bianco e nascondere il sorriso malevolo che le era nato sul viso.
Draco sembrò sinceramente confuso a quella sua affermazione.
“Dovrei… Mostrarmi interessato a stupide formule magiche e a libri di cui riesco a pronunciare a malapena il nome dell’autore?” domandò cautamente, tentando di ricatturare la sua attenzione.
“Sì” commentò laconica Harmony, schioccando la lingua. Rialzò lo sguardo per rivolgergli un sorriso falsamente amabile e studiato, battendogli con aria soddisfatta la mano sulla camicia.
“E da oggi in poi niente più insulti ai Mezzosangue in mia presenza” continuò con aria compiaciuta.
Draco aveva un’espressione così confusa da risultare quasi ridicolo, considerando l’usuale sicurezza e freddezza calcolatrice del suo sguardo.
“E niente più commenti sul professor Filius” ci tenne a precisare. “E niente battute sessualmente esplicite sulle… Curve di questa o quella ragazza” continuò zittendolo nell’istante in cui aprì bocca.
“Ma…” tentò lui debolmente, alzando un dito come a chiedere il permesso di parlare.
“E soprattutto…” terminò lei, poggiando la mano sulla sua bocca con l’espressione di una maestra che intima il silenzio a un bambino. “Soprattutto niente scherzi a Tassorosso o Grifondoro se ci sono io”.
Draco sbatté le palpebre un paio di volte con l’aria di qualcuno reduce dall’essere stato appena schiaffeggiato e non ben sicuro del motivo per cui ciò sia accaduto.
Harmony gli rivolse il sorriso più dolce e zuccherino che riuscisse ad assumere.
“Intesi?” chiese innocentemente, alzandosi di poco sulle punte per poter raggiungere il suo viso. Ora le loro labbra erano tanto vicine che la ragazza avrebbe dovuto allungarsi solo di qualche centimetro per poter sfiorare con le proprie quelle del biondo Serpeverde. E probabilmente l’avrebbe anche fatto, se il poco buonsenso che le era rimasto non le avesse imposto di aspettare almeno la risposta di lui prima di gettarsi tra le sue braccia. Non era davvero il caso di mostrarsi così folle di lui da ignorare le proprie priorità e i propri principi come aveva già fatto una volta.
Quella Harmony era morta e sepolta.
E Draco doveva saperlo.
Dopo qualche istante di silenzio il ragazzo rispose, recuperando il suo cipiglio arcigno:
“Certo che no!”
Harmony sbuffò.
“Non ho assolutamente nessun obbligo verso di te, cara!” ribatté lui, incrociando le braccia al petto e alzando il mento con espressione fiera.
La ragazza alzò le mani e commentò, con tono leggero e appena malizioso:
“Bene, tu non hai nessun obbligo verso di me, io non ho nessun obbligo verso di te”. Di nuovo quel sorriso amabile. Draco non l’avrebbe mai ammesso ma iniziava a trovarlo straordinariamente eccitante. Probabilmente quello era lo scopo di Harmony.
“Mi sembra un buon patto” terminò lei, passando entrambe le mani attorno al suo collo.
Draco si lasciò scappare un sorriso compiaciuto.
“Sì…”. Le sue mani ripresero a fare su e giù sui suoi fianchi. “Decisamente un buon patto”.
 
“Tutto ok?”
Lesath si riscosse scuotendo la testa. A volte perdersi dietro a qualche pensiero troppo complesso non era decisamente l’attività migliore da svolgere. Soprattutto se la si svolgeva durante un Ballo mentre si stava stringendo tra le proprie braccia uno scricciolo delicato e si stava cercando di mettere un piede dietro all’altro in maniera corretta.
“Scusa?”.
Susan accennò un piccolo sorriso conciliante. Lesath si stupiva ogni volta di quanto lei potesse essere paziente con lui, e di tutte le attenzioni che gli riservava nonostante per tanti anni lei fosse stata per lui solamente l’ombra sbiadita di un passato felice.
“Ti stavo chiedendo se era tutto ok. Avevi un’espressione, sul viso…” spiegò Susan, addolcendo ancora di più il suo sorriso. Lesath non ricordava di aver mai incontrato una persona tanto dolce e gentile nei suoi confronti quanto Susan. Certo, molto probabilmente l’essere stato ignorato per metà della propria vita per lasciar spazio alla propria sorellina più dolce e più carina e l’essere stato odiato per l’altra metà per una colpa che di certo non gli apparteneva (ma di cui Lesath sentiva ogni giorno il peso straziante) non lo rendeva assolutamente uno dei massimi esperti in gentilezze e cortesie varie, ma proprio perché nella sua vita vi era una tale carenza di affetto e di comprensione ogni piccolo sorriso, ogni parola dolce, ogni sguardo incoraggiante che Susan gli rivolgeva era qualcosa di straordinariamente raro e prezioso da custodire gelosamente.
Il ragazzo tentò di sfoggiare il suo sorriso migliore. L’unico aspetto negativo di tutte le attenzioni di Susan era che, tanto disabituato com’era a non ricevere o a dare attenzioni, essere gentile con lei era incredibilmente complicato. Lei sopportava tutto, certo, con il suo continuo sorriso angelico e la sua pazienza inesauribile e inspiegabile, perdonandolo con un cenno del capo ogni volta che, senza volerlo, compiva una gaffe per altri imperdonabile o si lasciava scappare un commento decisamente poco adatto alla situazione. Susan era sempre stata così, anche quando lui era ancora un bambino puro e fiducioso, quando ancora il male non si era infiltrato silenziosamente nella sua vita, quando per i suoi genitori era ancora il “Piccolo Lesath”. Ma il fatto che lei fosse così perfetta strideva tanto fortemente con la sua imperfezione che il ragazzo non riusciva davvero a sentirsi a suo agio con la Tassorosso. Apprezzava la sua gentilezza, e non avrebbe potuto esserle più grato per tutta la disponibilità che mostrava nei suoi confronti, ma la verità era che Susan era un essere etereo troppo candido, e lui un diavolo dannato che non aveva nessuna intenzione di sporcarla.
“Sì, stavo solo…” Il ragazzo fece un cenno leggero con la mano. “Pensando, sai com’è…” No, non sapeva com’era. Non sapeva come fosse “pensare” nella sua mente, non sapeva COSA fosse “pensare” nella sua mente. E Susan non aveva idea di quanto la invidiasse per questo.
La ragazza annuì con un movimento impercettibile del capo.
“Certo…” commentò, solamente, lo stesso tono rassegnato e dolce che assumeva ogni qual volta si faceva anche solo un minimo accenno al suo passato.
Ecco, un’altra cosa che davvero Lesath non poteva sopportare: la pietà della gente. I sorrisi candidi e pieni di compassione, gli occhi lucidi e ricchi di partecipazione, e quelle parole tanto odiate e troppo a lungo sopportate: “Mi dispiace”.
Come se con solo quelle due, magiche parole tutti i suoi problemi sarebbero spariti.
Come se la compassione delle persone gli avrebbe restituito Linda, l’affetto di suo padre, e la sua innocenza perduta.
Come se tutto avesse potuto essere risolto tanto semplicemente.
Un tempo Lesath aveva voluto credere che tutto sarebbe tornato naturalmente al proprio posto, che sarebbe bastato volerlo per riportare tutto alla normalità. Ma aveva appreso sulla sua pelle che, purtroppo, sognare non era altro che una mera fuga dalla crudele realtà, e che nulla sarebbe mai stato più come era una volta.
Il ragazzo tossicchiò leggermente. Ballare con Susan non era tanto male, in fondo. Anzi, era decisamente fantastico: la Corvonero era una ballerina aggraziata e talentuosa, circondata di una sorta di aurea eterea che la faceva sembrare, più che un essere umano, una giovane ninfa fuggita dal suo lago, i piedini che dolcemente percorrevano il liscio pavimento e l’abito che si muoveva insieme a lei in un volteggiare di stoffa e di profumo. Il fatto che lei fosse tanto grandiosa, purtroppo, lo faceva sembrare al confronto un goffo villano privo di qualsivoglia ritmo, sebbene di certo se la cavasse meglio di qualche altro ragazzo in Sala, ma Susan continuava a ripetergli, placidamente, che stava andando benissimo così, e Lesath non aveva quindi bisogno di lamentarsi: l’unica persona a cui doveva importare come ballava era la sua accompagnatrice, di certo non qualche pettegola pronta a commentare sulle sue gaffe con delle amiche sghignazzanti.
Susan abbassò appena lo sguardo.
“Allora…” tentò lui goffamente. Si rendeva conto che era il caso che lui iniziasse un qualsivoglia discorso, ma al momento non gli veniva in mente nulla di vagamente piacevole.
“Ehm, hai visto che prelibatezze che c’erano, a cena?” riuscì finalmente a commentare, cercando di assumere il tono più brillante che la sua gola secca poteva produrre.
“Mh, gli elfi domestici si sono davvero superati, stasera!”. Non sapeva perché ma alzò un po’ la voce nel dire ciò, procurandosi un’occhiataccia della Granger che, a quanto pareva, non era tanto presa da Krum da dimenticarsi della sua battaglia persa contro la “schiavitù” delle “povere creaturine”.
“Quel pasticcio, soprattutto! Davvero da leccarsi i baffi!”. Nel dirlo si passò anche una mano sulla pancia come a sottolineare il concetto.
“E poi quelle crocchette, le hai provate? Erano davvero sublimi!”. Stava decisamente parlando a vanvera, visto che Susan gli era stata accanto durante tutta la serata e no, non aveva preso le crocchette che, a dirla tutta, erano anche piuttosto scialbe e insipide.
“E-e hai provato il cavolo bollito? Quello era… Delizioso!”. Susan alzò lentamente lo sguardo su di lui. A Lesath non servì guardarla negli occhi per rendersi conto che il suo bel discorso stava diventando molto, molto ridicolo.
“E poi, la torta? Oh, davvero fantastica”. La Tassorosso, davanti a lui, si inumidì appena un labbro.
“E hai provato quello Sciroppo di ciliegie? Io non lo avevo mai assaggiato, ed era fantastico!”. Una verità su mille bugie. Stava davvero facendo progressi.
“E poi, vogliamo parlare dell’arrosto? Era decisamente…”. Lesath non ebbe neppure il tempo di trovare un aggettivo di senso positivo che non avesse già osato: nello stesso istante in cui la sua mente stava correndo al sapore dell’arrosto lasciato da parte dopo un paio di morsi, Susan gli aveva avvolto le braccia attorno al collo e l’aveva baciato.
Ma non un bacio sulla guancia, o uno di quei baci tra amici che sfioravano appena quella zona proibita frutto delle più mirabili fantasie.
No, no no no, quello che ora Susan gli stava dando era un bacio…
Vero.
In meno di due secondi, senza avere neppure il tempo di stupirsi, Lesath si ritrovò il corpo magro della Tassorosso tra le braccia, le sue mani strette a stuzzicare con un paio di dita la base del collo e la sua bocca contro la propria, delicata, dolce, pura come solo Susan poteva esserlo.
All’inizio Lesath non comprese nulla. Cosa stesse accadendo, perché stesse accadendo, a CHI stesse accadendo. Ogni sensazione era tanto lontana da lui e ogni immagine così sfocata che gli sembrava davvero impossibile che quello fosse il SUO primo bacio (sì, il primo bacio, proprio il primo bacio, il leggendario primo bacio!). Era come trovarsi nello spazio, in piena assenza di gravità: non c’era nulla, nulla di abbastanza reale da stringere, nulla di abbastanza vero da provare, nulla di abbastanza giusto da fare, nulla di abbastanza intelligente da dire. Nulla a cui potesse aggrapparsi se non il corpo fragile di Susan, nessuna sensazione a cui potesse affidarsi se non l’attutimento più totale, nessun’azione più giusta se non rispondere a quel bacio folle e improvviso, abbandonarsi a quella bocca limpida e candida, lasciare che il nero delle sue labbra lasciasse un punto indelebile su quella tela vuota.
Lesath Heryun stava andando alla deriva nello spazio… Con le labbra di Susan Bones poggiate contro le sue.
Quando la Tassorosso si staccò, a Lesath sembrò di essere stato in apnea fino a quel momento: i colori, che fino ad un istante prima erano solo sbiadite macchie cupe, ritornarono nel suo campo visivo così impetuosamente che per un attimo al ragazzo sembrò di essere abbagliato da tanta nitidezza; ogni suono, attutito come se le sue orecchie fossero state fino a quel momento ripiene di garza, tornò a farsi sentire prepotentemente, e per un attimo il ragazzo ebbe il timore di essersi rotto un timpano. E solo in quell’istante, Lesath si rese conto davvero, con stupore allibito, di cosa fosse appena successo
La ragazza si allontanò dal suo viso sbattendo appena le ciglia e dischiudendo le labbra. Lesath non avrebbe mai saputo perché, ma quello sarebbe rimasto per sempre il ricordo più vivido del suo primo, vero bacio.
Quando il viso di Susan si distanziò abbastanza dal suo e ogni singolo momento di quell’improvviso contatto si fece finalmente nitido nella sua mente, Lesath ebbe l’impressione che sarebbe crollato a terra da un momento all’altro per lo shock.
Aveva appena baciato Susan Bones.
O meglio, Susan Bones l’aveva appena baciato.
Aveva appena baciato una ragazza.
Era stato appena baciato da una ragazza.
Probabilmente avrebbe dovuto sentirsi irritato per aver ricevuto qualcosa di tanto importante, probabilmente avrebbe dovuto fare appello al suo ruolo da uomo che imponeva a lui di compiere il primo passo, probabilmente avrebbe dovuto sentirsi offeso nella sua virilità di uomo appena nato…
Ma l’unica cosa a cui Lesath Heryun riusciva a pensare, in quel momento, l’unico pensiero limpido nella gomitolo intricato che erano i suoi pensieri era che Susan Bones l’aveva appena baciato.
E che lui non sapeva davvero cosa provare al riguardo.
Susan prese un sospiro profondo e unì le mani, tormentandosi con le dita il palmo della destra. Se non fosse stato così confuso il Corvonero avrebbe potuto trovarla anche piuttosto tenera, con quel suo imbarazzo casto, quel dolce pudore appena infranto, il candore di una veste appena contaminato e l’innocenza di una mente bambina.
“Scusami…” riuscì alla fine a sussurrare, scuotendo la testa con aria dispiaciuta. “Non… Avrei dovuto, mi rendo conto…”.
Lesath si accorse solo in quell’istante di aver avuto la bocca spalancata per tutto il tempo. Non  aveva fatto di certo la figura dell’uomo, con quella faccia da pesce lesso e quell’espressione sconvolta di chi è stato appena battuto sul proprio campo e non se ne capacita.
“È che ho… Ho pensato per un istante che avremmo potuto…”. La ragazza si mordicchiò un labbro sussurrando appena quelle parole come se il loro suono avesse un che di proibito e di eretico. Era incredibile quanto Susan potesse sembrare così dolce e pura anche in una circostanza simile.
Così bella, fragile e limpida.
Così piena di speranza, così innocente, così bambina, in fondo.
Così pulita.
Lesath riuscì a riscuotersi solo dopo qualche istante passato a fissarla senza riuscire a spiccicare una parola.
Così sbagliato.
“Non… Non devi preoccuparti per questo”. Il ragazzo si sorprese del fatto che la sua voce fosse risultata quasi un rantolo agonizzante, e di quanto poco ferme fossero state quelle esigue parole.
Quando riprese a parlare si premurò di schiarirsi la gola con un colpo di tosse. Riusciva ancora a sentire il calore delle labbra di Susan sulle sue…
“Ma… Ma il fatto è che…” gesticolò lui, annaspando irrimediabilmente alla ricerca disperata di parole. Non era mai stato bravo a capire ciò che gli altri volessero esprimere. Ma soprattutto non era mai stato bravo a capire ciò che lui voleva esprimere.
Susan prese un altro respiro profondo. Sembrava quasi che da ogni nuovo sospiro il suo corpo traesse la forza di mantenersi saldo e ben ritto, come se fosse stata l’aria a sostenere quello scricciolo magro e fragile come porcellana.
“Il fatto è che…” tentò per la seconda volta lui.
“Il fatto è che non funziona, vero?” terminò Susan, con un tono tanto calmo e ponderato eppure tanto sicuro che Lesath non poté fare a meno di chiedersi come un corpo tanto minuto potesse contenere un animo tanto grande.
Il Corvonero la osservò così a lungo e così intensamente che, per un attimo solo, gli occhi di Susan brillarono di un’ultima, vana speranza.
Susan Bones sarebbe sempre stata la ragazza più straordinaria che Lesath avrebbe mai conosciuto. Sarebbe sempre stata la mano tesa che si sporgeva dal cielo per risollevarlo dal suo cupo Inferno, l’angelo che gli avrebbe sorriso attraverso le nuvole, le ali che avrebbero provato ad elevarlo ad un mondo migliore.
Ma lei sarebbe rimasta per sempre un angelo, un magnificente e etereo angelo, e lui non aveva la forza né la volontà di tarparle le ali per trascinarla a strisciare con sé nelle tenebre.
Lesath scosse appena la testa e sentì lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa.
“No”, sussurrò con quel filo di voce che il bacio gli aveva lasciato.
 
Non avrebbe mai pensato di poter dire una cosa simile proprio ad un Ballo.
Ma Niki si stava davvero annoiando troppo.
Dopo la prima delusione relativa alla scoperta che il suo ragazzo avesse preferito a lei una bionda sciacquetta da quattro soldi che vantava, tra l’altro, una lista di ragazzi lunga quanto il curriculum della McGrannit e il soprannome giustamente attribuitole di “Bocca larga” (Niki non aveva idea di chi fosse stata l’idea, ma se avesse incontrato la persona che aveva chiamato per la prima volta così la Brown gli avrebbe stretto volentieri la mano) e la rabbia successiva all’elaborazione dell’accaduto, Niki era divenuta più risoluta che mai in quello che era stato il suo iniziale proposito: godersi quella serata il più possibile, ballare in santa pace e passare dei bei momenti.
Ma i suoi progetti si erano dimostrati più ardui da realizzare di quanto avrebbe mai potuto credere: infatti, non solo la ragazza si era resa conto, con sommo stupore, che era decisamente complicato ballare un valzer senza l’accompagnamento di un partner (aveva mollato Canon dopo il primo ballo e non se ne pentiva affatto), ma tra l’altro si ritrovava davanti, ogni minuto, ogni istante, l’immagine dell’ochetta e di Theo appiccicati come una coppietta di sposini in luna di miele pronti a esibirsi in risatine ridicole e giochetti romantici disgustosi. A Niki era letteralmente salito un conato di vomito lungo la gola quando, a cena, la Brown si era sporta con le labbra verso la guancia di Theo e aveva provato, con un “Serpeverduccio mio”, ad imboccarlo a forza.
La loro relazione era durata più di un anno eppure Niki non ricordava di essersi mai esibita in simili smancerie romantiche con Theo, né che Theo si fosse dimostrato particolarmente zuccheroso con lei. E non aveva mai pensato, fino a quel momento, che Theodore Nott, proprio il grandioso e fiero Theodore Nott, potesse sciogliersi per l’attenzione appiccicosa e le coccole esagerate di una insipida Grifonforo. Semplicemente, non era il tipo. Non lo era mai stato e non lo sarebbe mai stato.
No, Theo non era un melenso, debole ragazzino che si faceva in quattro per un minimo di attenzione e qualche smanceria da fidanzatini. Lui era il forte e fiero Serpeverde che aveva portato innumerevoli volte la sua squadra alla vittoria, era il ragazzo sarcastico e con la battuta sempre pronta che l’aveva fatta ridere innumerevoli volte e fatta incavolare ancora di più, era il ragazzo sicuro e determinato che l’aveva stretta, un pomeriggio d’estate, tra le sue braccia… E l’aveva baciata davanti all’intera scuola…
Niki scosse la testa con forza. Ecco, lo faceva di nuovo. Si perdeva ancora in quegli stupidi ricordi.
Doveva decisamente darci un taglio, se ne rendeva benissimo conto da sola: la loro storia era morta e sepolta, chiusa e sigillata quanto e più una cassaforte contenente preziosi di grande valore, ormai naufragata e affondata, come il Titanic.
Theo avrebbe potuto anche rendersi conto di essere stato un idiota ad andare dietro ad un paio di curve e due occhioni ammiccanti di cerbiatta, ma nulla le avrebbe impedito di alzare fieramente la testa e sputargli in faccia il suo disprezzo: ormai ciò che era stato fatto era stato fatto, e neppure tutti i mazzi di fiori del mondo l’avrebbero convinta a tornare con quel verme. Non che ora sembrasse troppo interessato a farlo, lui e Mrs Inghilterra sembravano andare alla grande, per il momento. Ma nonostante la sua fiera decisione di non riammetterlo nella sua vita, nonostante la ferma convinzione di dovere (e potere) ricominciare, per Niki non era così semplice cancellare un anno intero di amore.
Certo, Theo era un bastardo che l’aveva mollata per la prima ragazza che aveva trovato con una taglia in più di reggiseno rispetto alla sua (cosa di cui tra l’altro la ragazza non era neppure certa, considerando che l’abito della Brown nascondeva il seno sotto strati e strati di tulle che la facevano sembrare un’enorme meringa), ma era anche il suo primissimo ragazzo. La prima persona con cui si era impegnata seriamente, la prima persona che aveva baciato, la prima persona con cui si era ritrovata a perdersi in progetti per il futuro e fantasticherie surreali. Sicuramente molto infantili, certo, ma anche incredibilmente dolci e sicure, piccole idee che si era ritrovata ad accarezzare nella notte e stupidi sospiri che si era lasciata sfuggire nel sonno.
Theo poteva anche averla lasciata. Ma il suo passaggio non era stato dimenticato e, Niki temeva, non sarebbe mai stato dimenticato.
E in fondo non era la cosa più normale del mondo, che lei fosse ancora legata in qualche modo al suo ex ragazzo, che lei non potesse fare a meno di ripercorrere con la mente ogni singolo bacio, ogni singola carezza, ogni singolo istante in cui il respiro di Theo era stato il suo? Cosa poteva esserci di sbagliato, in qualche innocente fantasia?
Ma doveva finire, Niki lo sapeva. Si sarebbe rialzata e si sarebbe rimessa in sella, più sicura e determinata che mai, piena di nuova grinta e determinazione. E si sarebbe lasciata alle spalle Theo e tutto quello che era stato Theo, sarebbe arrivata a sopportare la vista della Brown e di quello che una volta era stato il suo sogno insieme, sarebbe finalmente riuscita a salutarlo nei corridoi senza sentire il cuore stringersi in una morsa di dolore o senza sibilare il suo nome intridendolo di veleno.
Ci sarebbe riuscita, certo.
Ma al momento la cosa le sembrava davvero impossibile.
Per prima cosa, secondo qualche legge divina beffarda o per volere di qualche entità che la odiava, Niki si ritrovava costantemente davanti la coppietta felice in atteggiamenti che avrebbero ridimensionato perfino Romeo e Giulietta.
Seconda cosa, trovare un cavaliere si stava dimostrando molto più difficile di quanto credesse.
Non che Niki fosse quel genere di ragazza che aveva bisogno necessariamente di un ragazzo al proprio fianco per dare senso alla propria vita o per sentirsi completa o per altre sciocchezze simili.
Prima di Theo non le era mai importato nulla di relazioni e affini, ma ora il vederlo tanto impegnato era talmente frustrante e deprimente che Niki avrebbe fatto davvero qualsiasi cosa per trovare una persona con cui darci dentro.
Forse, inconsciamente, sperava che Theo lanciasse un’occhiata nella sua direzione, che si sarebbe sentito stringere il cuore alla presenza di quel rivale…
Che le sarebbe corsa incontro…
Che le avrebbe confessato in lacrime quanto si fosse sbagliato…
E che…
Niki si riscosse nuovamente. No, non andava bene, non andava bene per niente.
Tra lei e Theo non ci sarebbe stato più nulla, era già deciso. E lei non avrebbe dovuto più sperare in nessuna riconciliazione o qualche inverosimile progetto per farlo ingelosire.
Non era davvero nel suo stile.
Con un sospiro, la ragazza si rassettò il vestito appoggiando il proprio mento su una mano. Non si era mai resa conto di quanto fosse complicato piacere a un ragazzo. Era stata con Theo, questo era vero, e poteva vantarsi di avere molta più esperienza in quel campo di molte altre ragazze nella scuola, ma la verità era che non c’era mai stato bisogno di “conquistare” il Serpeverde. I sentimenti tra i due si erano evoluti così lentamente e così naturalmente, senza che Niki dovesse fare davvero nessuno sforzo, che non c’era mai stato bisogno di flirt o altri trucchi da femme fatale per attrarre il ragazzo nella sua direzione.
Ma in quel momento la ragazza stava davvero desiderando disperatamente di essere attraente e scaltra come la Brown, o misteriosa e esotica quanto le sorelle Patil, o qualsiasi cosa fosse diversa da quella… Cosa che era lei.
Niki Catenacci era sempre stata fiera di sé stessa e si era auto convinta ormai da tempo che non ci fosse assolutamente nulla da cambiare in lei e nella sua personalità. Ma, dopo la rottura con Theodore, non erano mancati i lunghi minuti passati davanti allo specchio a ricercare curve o a toccare labbra troppo sottili. La ragazza aveva iniziato seriamente a chiedersi se non ci fossero dei problemi in lei, in fondo. Se non fosse stata colpa sua se Theo l’aveva lasciata. Se non fosse stata abbastanza bella o abbastanza intrigante da farlo rimanere.
Quando la ragione tornava, Niki si dava della stupida per quei pensieri idioti e si imponeva di mantenere l’autocontrollo. Ma a volte quelli rispuntavano come fantasmi recidivi e restavano lì, a svolazzare allegramente, ai margini della sua mente.
La ragazza era tanto immersa nei pensieri e tanto persa nella sua noia che non si rese neppure conto della figura che, silenziosamente, si era affiancata a lei in breve tempo.
“Lei non balla, mademoiselle?”
Per poco Niki non sussultò per la sorpresa, portandosi automaticamente una mano all’altezza del cuore.
“Oh, pardon moi, mademoiselle, io non avevo assolutamont intensione di farle paura…”
Niki prese un sospiro profondo richiudendo gli occhi.
“No, stia tranquillo, non mi ha fatto paura”.
Con un ulteriore sospiro la ragazza riaprì gli occhi. Iniziava a percepire la figura seduta accanto a lei solo in quell’istante, e dal poco che la sua ombra le lasciava intuire Niki immaginò una persona molto più alta di lei. Un ragazzo, ovviamente. Nonostante l’inflessione con cui pronunciava le parole facesse sembrare la voce molto più melodiosa e limpida di quella dei suoi compagni, non c’era possibilità di sbagliarsi: era un ragazzo.
“Ma lei è quasi schissata via dalla sedia, mademoiselle”.
Niki alzò una mano come a fargli cenno di non preoccuparsene.
“Sono solo stata… Colta alla sprovvista, tutto qui” commentò, sperando che questo bastasse a far sparire il ragazzo e lasciarla sola con la sua noia.
La presenza accanto a lei non diede segno di volersi allontanare.
“Allora… è davvero qui tutta sola, mademoiselle?” chiese con tono più curioso. Niki percepì chiaramente la spalla di lui spingersi contro la sua, e l’insistenza dello sconosciuto le fece scappare un deciso e secco “Le interessa?”.
La presenza non parve affatto scoraggiata dal suo scatto.
“Potrebbe, mademoiselle”. Il ragazzo si prese una lunga pausa prima di continuare, in tono più gentile:
“Perché mi sembra davvero impossibile lasciare sola una tale bellesa, mademoiselle”.
Niki sbuffò incrociando le braccia al petto.
“Sì, beh” ribatté con tono irritato, “Peccato che il mio fidanzato non l’abbia pensata così…”.
Il ragazzo rimase zitto qualche istante, come se stesse ponderando qualche idea particolare o stesse pensando al miglior modo per esprimere a parole qualcosa.
“Mi permetta di dire, mademoiselle… Che il suo ragasso è davvero un gronde idiota”.
Niki si lasciò scappare un mezzo sorriso divertito (il primo da quando la serata era iniziata).
“Le permetto, le permetto…” commentò lei, sistemandosi un po’ meglio sulla propria sedia. Doveva ammettere che, in fondo, la conversazione non stava andando male come aveva pensato.
Il ragazzo, accanto a lei, si esibì in una risata cristallina e pura che ricordò a Niki lo scrosciare dell’acqua di un ruscello contro le rocce.
“Beh…” continuò lui. Dal rumore che Niki sentì immaginò che si fosse battuto le mani sui pantaloni o cose simili. “Visto che… Il suo fidansato è un idiota e noi concordiamo su questo…”.
La ragazza stavolta sentì chiaramente che il ragazzo si era avvicinato davvero, DAVVERO troppo con la bocca al suo orecchio. E non era sicura se la cosa le procurasse più piacere o più imbarazzo.
“… Mi conscerebbe di ballare con lei, mademoiselle?”
Niki aggrottò appena la sopracciglia.
“… Scusi?”, domandò, sinceramente stupita. Aveva desiderato tanto a lungo di poter arrivare a quel punto e aveva varato tante di quelle strategie per poter raggiungere quel traguardo che ora l’essere riuscita ad ottenere un ballo senza nessuno sforzo quasi la deludeva.
“Un ballo”. Il ragazzo alzò le spalle. “Io e lei. Credo che sci sarebbe qualche problema?”
Niki abbassò per qualche istante lo sguardo, incerta su cosa dire o fare.
L’aveva desiderato tanto, eppure ora che era riuscita nella sua impresa la conquista sembrava molto meno succosa di quanto si sarebbe aspettata.
“Senta…”. Con un sospiro rassegnato la Serpeverde alzò lo sguardo. “La ringrazio per la sua gentilezza, davvero, ma…”.
Non riuscì ad andare oltre.
Il ragazzo (se ‘ragazzo’ si poteva definire quella meraviglia) che aveva davanti era probabilmente l’essere umano più bello che avesse mai visto.
I suoi capelli erano di un biondo cenere tendente al platino, tenuti poco lunghi e sistemati con cura in un’acconciatura che faceva decisamente sfigurare la sua semplice cosa. I suoi occhi erano di un verde brillante, allegro, gioioso, ma allo stesso tempo straordinariamente regale e composto, emananti un’aurea di rispetto e di potenza tali che per un attimo Niki se ne sentì quasi intimorita.
L’intero suo aspetto, poi, rendeva più vivida quella dualità di timore reverenziale e calda accoglienza, di allegria e di serietà, di cordiale gentilezza e di fredda osservazione. Era alto, sì, ma non quanto aveva creduto. Le sue spalle non erano particolarmente larghe e il suo corpo era simile  a quello degli altri ragazzi di Beauxbatons: sinuoso, aggraziato e ben proporzionato. Ma c’era nei suoi occhi una sorta di rispettabilità e di fermezza in più, un qualcosa che mai e poi mai avrebbe spinto uno studente di Hogwarts a dargli dell’ “effeminato” (come erano stati perennemente soprannominati tutti gli studenti della scuola francese). Aveva un’aria forte, e fiera, e piena di sicurezza non spocchiosa. Le sue mani erano affusolate ed adatte a stringere quelle di altre ragazze, ma Niki aveva l’impressione che non avrebbero esitato, se necessario, a brandire anche un manico di scopa.
A Niki si seccò completamente la gola nell’istante in cui il ragazzo le sorrise.
E non riuscì a rispondere null’altro, quando lo sconosciuto le porse la mano fissandola con quei magnetici occhi verdi, se non un “… Certo” sussurrato in un tono di voce tanto alto da far invidia ai delfini.
 
Ok.
Era il suo momento.
La ragazza prese un sospiro profondo richiudendo gli occhi, cercando di infondersi quel coraggio per cui la sua Casa avrebbe dovuto brillare ma che in lei sembrava tanto carente, in quei momenti decisivi. Ma non poteva tirarsi indietro proprio in quel momento.
Beatrix si rendeva conto che quella era decisamente un’occasione più unica che rara: il professor Piton era, per la prima volta da quando la serata era iniziata, stato lasciato solo da tutti i suoi colleghi, che non avevano voluto abbandonarlo per un singolo istante (per la “gioia” dell’uomo).
I ragazzi erano quasi tutti troppo impegnati a “spassarsela” con i propri compagni per poter far caso proprio a lei e all’uomo, o almeno così sperava. Non che le importasse qualcosa, in fondo. Aveva cercato di nascondere per tanto, troppo tempo i suoi sentimenti, aveva tentato malamente di non farsi notare, di scivolare silenziosamente lungo le pareti per non farsi bersagliare, e a cosa l’avevano portata tutti quei sotterfugi? Ad essere derisa dai suoi compagni di Casa e non, ad essere guardata di sottecchi nei corridoi, ad essere considerata la “cocca del prof” e la sua “fidanzatina”. E ciò l’aveva avvicinata minimamente a Piton?
No, certo che no.
Perciò, a questo punto, tanto valeva fare la sua mossa. Sarebbe stata derisa a vita, le occhiatacce sarebbero continuate, i commenti non avrebbero smesso di risuonare nei corridoi.
Ma almeno lei avrebbe avuto un ballo dal professor Piton.
Beatrix strinse le mani.
“Coraggio” si ripeté nuovamente. Era in situazioni simili che si chiedeva perché mai il Cappello l’avesse smistata proprio nella casa di Godric.
I suoi piedi mossero qualche passo incerto.
La ragazza sentì le unghie affondare sempre più nella pelle e il cuore martellarle in petto a una velocità che quasi la spaventò.
Ecco, era così vicina…
Non si tornava indietro, era così vicina…
Era così vicino…
Beatrix si lasciò scappare un urletto sorpreso: qualcuno le aveva arpionato il braccio e ora la stava trascinando via ad velocità assurda, farfugliando parole incomprensibili di cui la Grifondoro non comprendeva né il senso né la natura. Era come ascoltare una vecchia canzone in una lingua sconosciuta e registrata su un vinile ormai deteriorato dal tempo: semplicemente impossibile.
La ragazza non ebbe neppure il tempo di domandarsi cosa stesse succedendo: prima che potesse far uscire dalla bocca spalancata un suono o una singola parola di senso compiuto, il ragazzo (perché di un ragazzo si trattava) che l’aveva afferrata così violentemente le si piazzò davanti. E Bea capì finalmente cosa lui le stesse dicendo:
“Tu concedere me ballo, ja?”
Beatrix dovette trattenersi molto a fatica per non gemere di disperazione o lasciarsi scappare un flebile “Perché?”.

Note d'autrice:
Ce l'ho fattaaaa! Con due giorni di ritardo ma ce l'ho fattaaaa! Non credevate che ci sarei riuscita, eh? In verità non ci credevo neppure io
Spero di essermi fatta perdonare, considerando che questo capitolo è lungo quasi 20 pagine. O forse mi odierete per questo, who knows. Spero vivamente di avervi soddisfatto e mi scuso per gli errori grammaticali\gli strafalcioni dovuti alla fretta. Vi prego, recensite, anche solo con un commentino ino ino. Vedere questa storia perdere recensori è abbastanza triste, visto l'impegno che ci sto mettendo. So che i tempi d'attesa sono eterni, me ne rendo conto, ma credo di meritarmi cinque minuti di tempo...
In ogni caso, non ho null'altro da dire se non: ecco a voi il "famoso" vestito di Filiana! Spero anche stavolta di aver descritto bene questo abito!


 

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