La stirpe dannata

di dragon_queen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Occhi d'ambra ***
Capitolo 3: *** Sogno ***
Capitolo 4: *** Premio ***
Capitolo 5: *** Il gioco del Diavolo ***
Capitolo 6: *** Sua ***
Capitolo 7: *** Non puoi impedirmelo... ***
Capitolo 8: *** Il suo sapore ***
Capitolo 9: *** Il libro del peccatore ***
Capitolo 10: *** Gelosia ***
Capitolo 11: *** La rivincita di Laila ***
Capitolo 12: *** Appuntamento ***
Capitolo 13: *** Cosa ho fatto? ***
Capitolo 14: *** L'arcangelo ***
Capitolo 15: *** Il rito ***
Capitolo 16: *** Caccia ***
Capitolo 17: *** Sensazioni ***
Capitolo 18: *** Abaddon ***
Capitolo 19: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 20: *** O me o lei ***
Capitolo 21: *** Dubbi ***
Capitolo 22: *** L'ultimo bacio ***
Capitolo 23: *** Tradimento ***
Capitolo 24: *** E infine il sangue del peccatore... ***
Capitolo 25: *** La scelta ***
Capitolo 26: *** Fine? ***



Capitolo 1
*** Intro ***


Vi siete mai chiesti cosa si provi a essere amati da Lucifero in persona? O meglio, essere posseduti da quell'angelo così bello e arrogante da essere stato scacciato dal Paradiso da Dio stesso?

Ecco, io sinceramente non mi ero mai posta il problema. Fino al giorno in cui non scoprii la verità.

Io sono l'ultima della Stirpe di Giuda, il dannato, colui che strinse un patto con il diavolo per poi venirne tradito, colui che vendette l'anima del Cristo e al quale le porte del Paradiso furono per sempre negate.

Lucifero è venuto a riscuotere la tassa per il suo accordo. Io sono divenuta il premio.

Vi siete mai chiesti cosa significhi essere la schiava del diavolo? Ecco, io l'ho vissuto sulla mia pelle e questa è la mia storia.





NdA Spero di avervi incuriosito e spero anche di vedere qualche recensione, positiva o negativa, non importa, basta che mi facciate sapere cosa ne pensate. Un saluto Marty

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Capitolo 2
*** Occhi d'ambra ***


-Laila, muoviti dannazione!! Stavolta siamo veramente in ritardo-

Non ne avevo voglia, nonostante la mia amica Abigail mi avesse convinto a dare quel dannato esame di simbologia religiosa. Non mi era mai fregato un granchè di religione. Persino quando ero piccola e mia madre mi trascinava di forza alla messa domenicale, ogni volta che varcavo la soglia della chiesa, sentivo come un blocco all'altezza del petto, come se in quel luogo qualcuno potesse giudicarmi.

Quando raggiunsi un'età adatta per ribellarmi alla volontà di mia madre, decisi che in una chiesa non ci avrei più messo piede. Odiavo le persone che invocavano la grazia di un'entità che non esisteva, o che, se fosse esistita, se ne strafotteva di noi poveri mortali, infierendo anzi con malattia, dolore e morte.

Già, in fondo la mia vita si era proprio fermata con una morte: quella di mio padre. Lui si che mi capiva. Mi ricordo che mi sedevo spesso sulle sue ginocchia e lo ascoltavo raccontarmi episodi delle sue splendide avventure. Si, perchè lui era un archeologo ed era ciò che anch'io volevo diventare.

Purtroppo, per sperare anche solo di avvicinarmi alla laurea, dovevo dare quello stramaledetto esame di simbologia. Il professore era un tipo basso e tarchiato, dalla faccia da topo, due occhialini tondi calati sugli occhi e una vera fissa per la religione e tutto ciò che la riguardava. In altre parole...un bigotto!!

-Avanti Abigail, tanto non lo passerò mai- dissi scocciata, mentre camminavo lentamente per il viale che portava al blocco dove si trovava l'aula che dovevamo raggiungere.

-Laila, ne abbiamo già parlato. Senza questo esame non ti avvicinerai mai alla laurea e tua madre ti taglierà i fondi-

A dirla tutta era mia nonna paterna che mi pagava il college, ma oramai era quella fissata di mia madre o, per meglio dire, matrigna, che amministrava ogni cosa.

Sbuffando, in quanto sapevo che la mia amica aveva ragione, entrai al seguito di Abigail nella grande aula magna dove si sarebbe svolto l'esame.

Prendemmo posto il più lontano possibile dalla cattedra e rimanemmo in silenzio. Io fissavo i malcapitati studenti che continuavano ad arrivare, convinta che più della metà erano scocciati di dover affrontare quell'esame quasi quanto me. Abigail invece, un paio di posti distante, stava ripassando le ultime cose con una certa foga.

Mi venne da sorridere. Era sempre stata una ragazza studiosa e brava a scuola, al contrario di me, e forse per questo ci eravamo trovate bene insieme fin da subito. Ci conoscevamo da quando avevamo sei anni e da quel momento non ci siamo più separate. Dalla prima elementare fino al college, inseparabili.

Le volevo bene come ad una sorella, anche se a volte discutevamo e ci tenevamo il muso per giorni, poi facevamo nuovamente pace. Penso che non potrei vivere senza di lei.

Immersa in questi miei pensieri non vidi l'arrivo del professore, seguito da un ragazzo mai visto.

La mia amica mi rivolse uno sguardo e mi indicò lo sconosciuto. Finalmente lo vidi: aveva folti e scuri capelli neri, lunghi sino quasi alle spalle, scalati, i cui ciuffi gli ricadevano su dei brillanti occhi color ambra. I lineamenti erano affilati e bellissimi. Sul naso dei fini occhiali che gli davano un'aria intellettuale.

Mi ritrovai ad arrossire alla vista di quel ragazzo e ben presto mi resi conto che la quasi totalità della popolazione femminile nell'aula aveva avuto la mia stessa reazione.

Il professore si fermò davanti alla cattedra e lo sconosciuto al suo fianco.

-Benvenuti studenti a questa sessione di esame di simbologia religiosa. Questo che vedete è Alec Black, uno dei miei laureandi in questo corso, a cui oggi ho chiesto di accompagnarmi per tenervi d'occhio in modo che non possiate copiare o comunicare. Adesso passeranno i fogli. Al mio via, potrete cominciare-

Lo disse con un tono quasi sadico e ciò mi fece alquanto schifo. Possibile che certe persone si eccitassero solo a far soffrire gli altri?

Ecco, ci siamo. Fissai il retro del foglio, mentre mi legavo i lunghi capelli castani in una coda alta. Avvertii il segnale del professore come ovattato e quasi meccanicamente iniziai a leggere le domande.

Vuoto. Non mi veniva in mente niente. Iniziai a far scorrere lo sguardo per l'aula, notando che quasi tutti i presenti erano ormai piegati sui fogli dell'esame. Stavo iniziando a sudare. Cercai l'appoggio di Abigail, ma anche lei pareva assorta completamente nel compito.

Ad un tratto incontrai lo sguardo color dell'ambra del ragazzo: stava fissando proprio me. Io arrossii, ma lui continuava a non distogliere lo sguardo, come se in qualche modo stesse cercando di sondarmi l'anima. Un blocco mi salì dal petto, molto simile a quello che mi prendeva quando entravo in una chiesa.

Abbassai gli occhi sulla superficie del tavolo, le mani alle tempie, la testa che mi scoppiava. Sembrava che qualcuno me la stesse trapanando.

Il mio respiro si fece pesante. Tornai a guardarlo e lui ancora mi fissava. Per un attimo mi parve di leggere in quello sguardo qualcosa di maligno.

Come una molla, mi alzai in piedi, recuperai le mie cose e me ne andai.

Mentre mi allontanavo dall'aula, la testa smise di far male e il respiro tornò regolare.

 

-Un attacco di panico?!?- esclamò Abigail quando mi trovò nella nostra stanza, seduta sul letto, il cuscino stretto al petto e lo sguardo vuoto. Fuori il sole era tramontato.

-Si, è così-

-Laila, non ti è mai successo, anche quando non avevi studiato niente-

-Abigail, è inutile che ti arrabbi con me. È successo e basta. Mi presenterò alla prossima sessione- risposi seccata, cercando di troncare là quel discorso.

Ma la mia amica non demorse:

-Non puoi sempre cavartela con “la prossima volta farò meglio”. Laila, non siamo più delle bambine e tu devi imparare a crescere. Credi che tua madre sarà contenta di sapere che hai fallito per l'ennesima volta?-

-SENTI, NON ME NE FREGA NIENTE DI QUELLO CHE PENSERA' QUELLA BIGOTTA DI MIA MADRE!! ADESSO FINIAMOLA, D'ACCORDO?-

Mi accorsi di aver urlato quando ormai era troppo tardi. Abigail mi fissava con i suoi grandi occhi azzurri come fossi stata un'aliena. Ma cosa mi era preso? In fondo lei aveva ragione.

Senza aggiungere una parola, afferrai un golf pesante e uscii dalla stanza, sbattendo la porta e sparendo nella notte.

 

Continuavo a camminare senza una meta, avevo solo bisogno di pensare. Una folata di vento mi fece rabbrividire, costringendomi a stringere ancora di più addosso il golf, più grande quasi due taglie più del normale.

Le vie dell'istituto erano pressocchè deserte, ad eccezione di tre o quattro persone che mi superarono senza neanche guardarmi.

Dovevo ammettere che quel posto metteva i brividi una volta tramontato il sole, ma non avevo voglia di ritrovarmi di nuovo faccia a faccia con un'Abigail colma di rabbia. Avevo sbagliato a gridare in quel modo, me ne rendevo conto, ma non sapevo cosa mi fosse scattato dentro.

Poi ripensai a ciò che era accaduto in quell'aula, a quegli occhi che mi fissavano, a quel magone che mi era nato nel petto e rabbrividii ancora.

Ad un tratto avvertii delle voci in lontananza. Non ci sarebbe stato niente di male, se non che sembravano grida di terrore. Siccome ero una persona che non riusciva a farsi gli affari propri, purtroppo, mi diressi verso quella direzioni.

Le voci erano sempre più vicine: erano sicuramente un uomo e una donna.

Mi trovai davanti una siepe. Mi guardai per un attimo intorno, cercando una via alternativa, ma senza risultato, così mi tuffai tra le frasche. Quello che vidi andava al di là di qualunque umana comprensione.

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Capitolo 3
*** Sogno ***


Una ragazza era con le spalle al muro. Piangeva e gridava. Dinnanzi a lei un uomo, del quale però si distinguevano solo dei folti capelli rosso sangue, spalle larghe e fisico atletico. Una mano di lui stretta intorno al collo di lei, l'altra le accarezzava una guancia.

La poveretta si dimenava impaurita, mentre lo sconosciuto le si avvicinava.

-Avanti ragazzina, non fare capricci. Vedrai che quando avrò finito, starai meglio- disse soavemente l'aggressore.

Quella voce mi fece rabbrividire, mentre rimanevo nascosta tra i cespugli. Avrei voluto intervenire, ma sentivo come se una forza sconosciuta mi stesse trattenendo. Deglutii rumorosamente e rimasi a guardare.

Nonostante la distanza alla quale mi trovavo riuscivo in qualche modo a vedere chiaramente il terrore negli occhi di lei. Non riuscii a guardarli a lungo senza che il cuore mi cominciasse a battere talmente forte da sembrare saltare fuori dal petto. Era come se stesse guardando il terrore più puro dritto negli occhi.

Le labbra dei due si avvicinarono, mentre la ragazza tentava ancora di ribellarsi. Notai qualcosa di etereo iniziare a fluire dalle labbra di lei a quelle di lui, mentre quella, a poco a poco, smetteva di dibattersi.

Mi portai una mano alla bocca per non gridare. Vidi il corpo della poveretta venire prosciugato, sino a quando la sua pelle non assomigliò a quella di una mummia egizia. Gli occhi le si incavarono, mentre i capelli presero a cadere. Gli abiti le scivolarono di dosso, divenuti troppo larghi su quel corpo ormai rinsecchito. Alla fine ciò che rimase di lei si tramutò in polvere e volò via.

Le lacrime mi scendevano sulle guance, mentre la mano continuava a tapparmi la bocca. Strinsi talmente forte il labbro inferiore da sentire improvvisamente il sapore ferroso del sangue. Finalmente il mio corpo decise di rispondere agli impulsi del cervello, così decisi di allontanarmi senza che quel mostro se ne accorgesse. Quando però mossi un passo, il mio cellulare prese a squillare. Mi sentii perduta. Tentai di sfilarlo dalla tasca per spegnerlo, ma troppo tardi: lui se ne era accorto.

Quando infatti rialzai lo sguardo, quello era sparito. Iniziai a guardarmi nervosamente intorno, ma non lo vidi. Tirai un sospiro di sollievo.

All'improvviso qualcuno mi afferrò le caviglie e mi trascinò via dal cespuglio. Gridai, ma la voce mi si strozzò in gola quando mi resi conto di cosa stava realmente accadendo, quando vidi due occhi color del ghiaccio fissarmi. Erano profondi e glaciali e eper un attimo mi sentii la povera ragazza che avevo appena visto sparire.

-Bene, bene, bene, guarda cosa abbiamo qui. Per stasera mi sono nutrito, ma sono sicuro che noi due troveremo un altro modo per divertirci-

Nutrito? Ma chi era quel ragazzo, o meglio, quella creatura? Lo fissavo, non riuscivo neanche a muovermi, figuriamoci gridare. Stavo tremando, per il freddo e per la paura. Solo con gli occhi seguii la sua mano che si allungava verso una mia ciocca di capelli, annusandoli.

-Hai un buon odore, piccola- sorrise sadico e si fece ancora di più su di me.

Le lacrime ormai mi si erano congelate sul viso, mentre la mia espressione era di puro terrore. Peccato non avessi mai creduto in Dio, altrimenti quello sarebbe stato il momento giusto per pregare.

Avvertii una delle sue mani insinuarsi sotto la mia maglietta, accarezzandomi l'addome. Il contatto con la sua pelle, fredda come il ghiaccio, mi fece sobbalzare.

-Dimentico sempre quanto possiate essere caldi voi umani- sghignazzò, continuando ad accarezzarmi.

La mano prese a salire. Voltai la testa e chiusi gli occhi, capendo immediatamente cosa sarebbe successo di lì a poco. Le mie mani strapparono dei veri e propri ciuffi d'erba, mentre sentivo chiaramente la terra entrarmi sotto le unghie e i sassolini ferirmi i polpastrelli. Strinsi i denti, mentre venivo scossa dai singhiozzi. Tirai un sospiro più grande e più intenso degli altri.

All'improvviso sentii la presenza del mostro venir meno. Riaprii gli occhi e lo vidi a qualche metro da me, che si stava rialzando. Tra me e lui si era parata un'ombra. Ciò che però mi colpì particolarmente furono due grandi ali che gli si aprivano sulla schiena.

I due presero a parlarsi in una strana lingua, che non avevo mai sentito. Dopodichè, in seguito a quella che pareva una minaccia, quello a terra sparì.

Attese qualche secondo, poi il nuovo arrivato chiuse le ali e si voltò verso di me. Non riuscivo a vederlo in volto, ma non servì poi un granchè. In quel momento avvertii un singolare torpore impossessarsi di me, sino a quando i miei occhi non si chiusero e persi i sensi.

 

-Laila...Laila, svegliati!!-

Sentii qualcuno che mi strattonava dalle spalle, mentre le mie gambe si dibattevano convulsamente gettando a terra le coperte. Finalmente ripresi coscienza di me.

-Che c'è? Cosa è successo?- chiesi, la bocca impastata dal sonno.

-Ti sei messa a gridare e non ti svegliavi. Mi hai spaventato-

Capii di essere nella mia stanza, a letto, in pigiama. Sopra di me stava Abigail, visibilmente preoccupata.

-E' stato un sogno?- sospirai, guardandomi intorno con gli occhi sbarrati.

-Di cosa parli?-

Ci pensai un attimo, poi conclusi che probabilmente avevo davvero sognato.

-Mi dispiace averti fatto preoccupare. Adesso torniamo a dormire- risposi con un finto sorriso e le voltai le spalle, infilando entrambe le mani sotto il cuscino e tirandomi le ginocchia al petto.

Sentii la mia amica sbuffare, ma poi anche lei tornò a letto.

-Buonanotte- disse.

-Notte- risposi e chiusi gli occhi.

 

“E' buio e io mi sono alzata perchè ho fatto un brutto sogno. Scendo le scale e noto la porta dello studio di mio padre socchiusa e da dentro si intravede la luce del camino. Ho paura, sento che l'atmosfera non è tranquilla. L'altezza che mi separa dal terreno è poca, quindi capisco di essere molto piccola, forse tre o quattro anni. Mi affaccio titubante sullo studio e vedo il mio papà, seduto alla scrivania, ma non è solo: qualcuno è in piedi davanti a lui, ma non riesco a vederlo per bene. So solo che è lui a spaventarmi terribilmente.

-Perchè sei qui? Come mi hai trovato?- sta chiedendo mio padre allo sconosciuto.

La voce ha una sfumatura preoccupata e il tono tiene insito anche uno strano rispetto. Chi è quell'uomo che non riesco a vedere?

-Sono venuto a riscuotere, figlio di Giuda- è la risposta.

-No, non posso andarmene ora. Come farà la mia famiglia?-

-Non dipende da te. Ho inseguito i suoi discendenti per anni per avere ciò che mi è stato promesso-

Vedo una scintilla scendere dagli occhi di mio padre: sta piangendo, supplicando quell'uomo.

-Ti prego...-

Non ho mai visto il mio papà così vulnerabile. Per me è sempre stato una specie di eroe, senza macchia e senza paura. Ma quell'ombra deve essere davvero terribile e spaventosa per ridurlo in quello stato.

-Sono venuto a portare la tua anima con me- riprende lo sconosciuto.

-Ci deve essere un modo...-

L'interlocutore rimane in silenzio, poi, portandosi una mano al mento, prende a passeggiare davanti alla scrivania, mentre mio padre lo guarda, teso. Mi pare di vedere delle goccie di sudore scendergli dalla fronte.

-So che hai una figlia- disse infine.

-Cosa c'entra?-

-La voglio per me-

-No, mai!!-

Quello si diresse verso la finestra.

-Ti do tempo dieci anni, poi tornerò- e detto questo scompare, in volo, nel cielo coperto di stelle...”

 

Mi svegliai di botto, mettendomi a sedere sul letto. Il respiro era corto, mentre il cuore batteva all'impazzata.

Cos'era stato questo sogno? Non ricordavo di aver mai assistito a qualcosa del genere.

Dieci anni.

Mio padre era morto ormai da sei anni, quando io ne aveva quattordici, alle porte della primavera, dopo anni di patimenti a causa di un cancro ai polmoni. La sua malattia era stata improvvisa e d'origine misteriosa, dato che non aveva mai messo in bocca neanche una sigaretta. Un po' come quella che aveva portato via mia madre quando ero appena nata. Non avevo mai creduto che fosse una causalità, ma con il crescere questo sospetto era a poco a poco sparito.

La mia matrigna aveva deciso improvvisamente di trasferirsi in un'altra zona della città, cercando di convincermi a frequentare il college addirittura in un altro stato. Io però aveva insistito per andare in quel college insieme ad Abigail.

In quel momento mi venne un immenso dubbio: che lei sapesse qualcosa? Da cosa stava fuggendo?




AUTRICE:
La parte del sogno è consapevolmente al tempo presente, dato che è come se Laila lo stesse rivivendo in quel preciso istante.
Un saluto Marty.

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Capitolo 4
*** Premio ***


Quel weekend decisi che sarei tornata a casa. Avevo bisogno di parlare con mia madre riguardo il mio strano sogno di qualche sera prima, il quale continuava a tormentarmi.

Dal finestrino del pullman vedevo passare veloci gli elementi del paesaggio che aveva accompagnato parte della mia infanzia, luoghi che avrei voluto che mio padre vedesse e sui quali avrebbe potuto inventare qualche strana storia.

C'era però una sensazione che mi attanagliava il petto, come se non riuscissi a sentirmi tranquilla.

Scesa dal pullman, trovai mia madre che mi aspettava seduta su una panchina, lo sguardo serio come al solito.

-Mi ha stupito la tua visita- disse secca.

Carina come al solito. Sembrava quasi che la mia presenza la disturbasse.

-Non avevo esami ed avevo bisogno di un po' di riposo. Così ho pensato di tornare, sempre che non ti dispiaccia- risposi io, acida.

-Già, se tutti gli esami sono come quello che hai appena bocciato, allora ci credo tu sia stanca- risponde lei, sarcastica.

-Che fai mi spii? Scommetto che hai pagato Abigail per riferirti dei miei fallimenti- dissi io tentando di sdrammatizzare, mentre salivo in macchina.

Quella donna aveva una capacità di farmi imbestialire che sapevo solo io come. Va bene che non era la mia vera madre, ma io l'avevo sempre reputata tale.

Quando anche lei si fu accomodata al volante, si voltò a guardarmi.

-Scusa per l'accoglienza. Sono solo un po' stressata. Sono contenta tu sia tornata- e mi schioccò un bacio sulla guancia.

Era lunatica, non c'erano dubbi.

-Chissà come rimarrà quando saprà perchè sono qui- sorrisi segretamente.

 

Mi gettai sul mio letto. Quanto mi mancava quella sensazione. Tornata a sedere, feci scorrere lo sguardo per la stanza: non era stato cambiato niente, non un oggetto era stato spostato, tanto che la maggior parte delle mie cose era ricoperta da uno spesso strato di polvere. Mi avvicinai alla finestra e la spalancai, lasciandomi investire da una folata di vento.

Ad un tratto avvertii una strana sensazione, come se qualcuno mi stesse osservando. Sentivo una sguardo puntato su di me, ma non vidi nessuno. Decisi di rientrare in casa.

 

Scesi al piano di sotto. Vidi mia madre in cucina intenta a preparare la cena. Mentre cercavo qualcosa da fare, mi ricordai del mio sogno. Sentivo che avrei trovato qualcosa negli appunti di mio padre, i quali erano nascosti in soffitta. Raggiunsi nuovamente il piano superiore e, con qualche esitazione, aprii la piccola botola che portava nel solaio. Erano anni che non entravo in soffitta. Ricordo che da piccola mi aveva sempre messo paura e, se potevo, la evitavo senza esitare. Era buio e io odiavo il buio. Lo odiavo perchè non potevo vedere cosa si nascondeva tra le ombre.

A tentoni cercai la catenella della piccola lampadina e la accesi per farmi luce, intravedendo gli scatoloni stipati in un angolo.

Quando mio padre era morto, non avevamo avuto il coraggio di buttare le sue cose, così le avevamo messe tutte in degli scatoloni e lasciate a prendere polvere.

Spostai una scatola, spolverandola. Con un gran colpo di fortuna, trovai subito quella giusta. La aprii, cominciando ad estrarre libri e appunti, sino a quando non mi trovai tra le mani una sorta di diario, rilegato in pelle nera, con foglietti e appunti che spuntavano dalle pagine ingiallite. Ricordavo di aver visto mio padre mentre trascriveva attentamente informazioni da vecchi e antichi manoscritti in strane lingue. Mi aveva sempre raccomandato di non toccarlo.

Me lo rigirai un attimo tra le mani, delicatamente, come se avesse potuto sgretolarsi da un momento all'altro. Poi lo aprii.

Lo sfogliai, trovando notizie e immagini sulle varie ricerche e scoperte compiute da mio padre. Nelle ultime pagine, però, erano riportate notizie sempre sulla stessa cosa: un libro. Da quello che lui aveva scritto, sembrava fosse divenuto una sorte di ossessione.

Frasi sgangherate e senza senso precedevano le ultime pagine. La data ultima era qualche giorno prima di morire. Probabilmente il cancro lo aveva fatto lentamente impazzire.

Una lacrime scese dai miei occhi, ricordando il volto di mio padre ormai sconfitto dalla malattia.

Rammentai l'ultima cosa che mi aveva detto prima di lasciarci:

-Credi...-

Che cosa voleva dire?

In quel momento avvertii mia madre che mi chiamava, così mi affrettai a richiudere tutto e scendere in cucina. Decisi che per il momento avrei letto quel diario, poi avrei posto le mie domande.

 

Ero stesa sul letto, il diario di mio padre tra le mani. Ad un tratto, mentre lo stavo leggendo alla ricerca di qualche informazione utile, da una delle pagine uscì una sorta di lettera, vecchia e ingiallita. La presi e la osservai. Con stupore scoprii che portava il mio nome e il mittente era mio padre.

Mi misi seduta e la aprii. Per un attimo annusai la carta: stranamente portava ancora il suo profumo. La scrittura era elegante e scorrevole, la sua.

Presi a leggere:

Figlia mia,

se stai leggendo queste parole significa che non sarò io a dirti quanto segue, qualunque cosa mi sia successa.

Devi sapere che la nostra famiglia è da sempre soggetta ad una maledizione di sangue, la quale prevede che...”

Il testo si interrompeva. Probabilmente l'umidità della soffitta l'aveva danneggiata. Riusciva solo a leggere:

...chiedi a tua nonna...”

La nonna? Cosa poteva sapere lei che non mi aveva mai detto? Decisi allora che il giorno dopo sarei andata a trovarla alla casa di riposo. Forse alla fine non era necessario fare domande a mia madre.

 

Quella mattina, di buon'ora, salii sulla macchina di mia madre e mi diressi dalla nonna, ricoverata in una lussuosa casa di riposo poco fuori città. In effetti era tanto che non andavo a trovarla. Le avrebbe fatto piacere.

Dopo una mezz'ora di viaggio, parcheggiai davanti al vialetto dell'istituto Santa Caterina, un piccolo sentiero piastrellato, assomigliante molto a quello di mattoni gialli descritto nel Mago di Oz, ai cui lati stavano delle basse aiuole di fiori piccoli e dai colori vivaci.

L'edificio era formato da tre piani, le pareti bianche sembravano emanare luce quando erano colpite dal sole. Due file di finestre dalle persiane verde olive rendevano l'ambiente quasi favolesco. Nel grande giardino stavano i vecchietti ospiti della struttura, chi accompagnato da qualche infermiere, chi parlava amabilmente con i parenti.

E poi c'era lei.

La riconobbi immediatamente, ai piedi di un grande albero dalla folta e rigogliosa chioma, la quale, la primavera, aveva imperlato di boccioli ancora da schiudere.

Fissava il tronco con attenzione, come se nelle venature di quel legno scuro avesse potuto leggerci chissà quale storia. Ricordavo che, come mio padre, anche lei era solita inventare bellissime storie che ascoltavo rapita da bambina.

Le arrivai alle spalle, con passo leggero per non spaventarla. Ma, come al solito:

-Sono contenta che la mia nipotina si sia ricordata della povera nonna-

Sorrisi e la aiutai a voltare la sedia a rotelle. Mi inginocchiai, poggiando il mento sulle gambe di mia nonna, mentre lei mi accarezzava la testa amorevolmente.

-Come sei diventata bella, Laila- disse poi, rattristandosi improvvisamente.

-Nonna, non esagerare, sono sempre io. Ogni volta mi domando come fai a riconoscermi senza neanche vedermi-

-Hai un profumo particolare, bambina mia. Ogni volta che ti vedo somigli sempre più a tuo padre. Hai i suoi stessi occhi blu-

Mi alzai, per poi rimettermi a sedere sull'erba, davanti a lei.

-Nonna, ho bisogno della tua saggezza-

-Meno male qualcuno almeno la apprezza. Dimmi tutto, tesoro-

Tirai fuori la lettera che mio padre mi aveva scritto e le spiegai cosa riportavano le sue parole. Poi le chiesi:

-Nonna, cos'è la Stirpe di Giuda?-

La vidi rabbrividire, per poi abbassare lo sguardo.

-Come conosci questo nome?-

Evitai di rispondere. In realtà quel nome compariva numerose volte tra le pagine del diario.

-Sai qualcosa?- chiesi ancora.

Lei sospirò.

-Credo che sia giunto il momento-

Fissò per un attimo il cielo, poi prese a raccontare:

-Laila, tu sai chi era Giuda?-

-Colui che tradì Cristo, giusto?-

-Esatto. Nessuno sa che però lui fu portato a tradire il Salvatore con l'inganno, spinto dal Diavolo stesso. Egli gli promise ricchezza e gloria e lui stupidamente accettò. Non sapeva di aver condannato la sua anima. Quando però il Diavolo tornò da lui per riscuotere quanto pattuito, Giuda si sottrasse. Fu così che il maligno ancora insegue i suoi discendenti-

-Vuoi farmi credere che noi siamo maledetti?-

-No tesoro, non più. Tuo padre strinse un altro patto con il Diavolo. Lui, per risparmiare la sua anima, chiese in cambio quella di sua figlia. Il mio povero figlio non potè rifiutare. Per anni tentò di trovare una soluzione che impedisse al maligno di averti e, nelle sue ultime lettere, mi disse di esserci vicino. Purtroppo se lo portò via ugualmente, allo scadere dei dieci anni che gli aveva concesso, prima che lui riuscisse a trovare quelloche gli serviva. È per questo che tua madre cercò di farti allontanare da questa città, in modo che lui non potesse trovarti. Ma è inutile-

Rabbrividii e schizzai in piedi. Non potevo credere ad una sola parola.

-Mi prendi per una stupida? Non puoi pretendere che io creda davvero a queste scemenze- e mi allontanai.

-Laila, aspetta!!- gridò mia nonna, ma io non mi voltai.

Risalii in macchina e ripartii a tutto gas. Non sapevo quello che sarebbe successo di lì a poco.

 

Vedevo già la collinetta sulla quale sorgeva casa mia, nascosta da un piccolo boschetto, quando una camionetta dei pompieri a sirene spiegate mi superò.

-Chissà dove se ne vanno così di fretta- mi domandai.

Poi la vidi dirigersi verso casa mia.

-No, non è possibile. Probabilmente passeranno oltre-

Invece svoltarono proprio nella piccola stradina che portava alla collina.

-Ma che succede?- mi chiesi disperata e accellerai.

Giunta a pochi metri da casa mia, la vidi completamente avvolta nelle fiamme. Scesi dalla macchina e cercai di avvicinarmi mentre iniziai a gridare, ma uno dei poliziotti accorsi sul posto mi tenne ferma.

-Signorina, non può andare-

-E' casa mia!! Là dentro c'è mia madre!!-

Nessuno mi voleva dare ascolto e con forza l'uomo mi chiuse in una delle macchine giunte sul posto. Tentai di liberarmi per alcuni minuti, poi però rinunciai e mi rinchiusi in un doloroso silenzio. Portai la fronte alle ginocchia e presi a piangere, mentre tentennavo come se fossi stata pazza. Riuscivo a sentire ogni asse di legno mentre si spezzava sotto la furia delle fiamme e ogni crollo che avvertivo era un pezzo di me che veniva cancellato. La mia mente di isolò, non riuscendo più a sopportare immagini e suoni.

Quando finalmente avvertii la portiera aprirsi, vidi che casa mia era un mucchio di cenere.

Poco distante dei medici portavano via una barella, con un corpo coperto da un telo bianco. Lo caricarono sull'ambulanza e se andarono.

Il poliziotto mi parlò, ma era come se non riuscissi a sentirlo:

-Signorina, mi dispiace. Ha un posto dove andare?-

Non lo guardai, poi risposi:

-Torno a scuola-

Il mio tono era piatto, privo di ogni espressione.

-Deve darmi l'indirizzo-

Accennai un segno di assenso con la testa e scrissi l'indirizzo sul taccuino che mi porgeva.

-Devo accompagnarla?- chiese poi.

-No, ho la mia macchina- risposi e scesi dalla vettura.

Sapevo che quel poliziotto cercava solo di aiutarmi, ma iniziava a darmi sui nervi la sua insistenza.

-Questo è il mio numero. Se ha bisogno, mi chiami-

Presi il biglietto che mi porgeva, senza rispondere.

Nel giro di pochi secondi, erano spariti tutti.

Rimasi a fissare la macerie di fronte a me. Non potevo ancora crederci. Caddi in ginocchio. Le gambe non mi sostenevano più. Le lacrime scendevano senza freno, il corpo tremava.

Poi un brivido freddo mi percorse la schiena. Qualcuno camminava alle mie spalle. Mi voltai e inorridii: davanti a me stava il ragazzo presente nell'aula quel giorno dell'esame. Mi guardava, fisso, come quella volta. I suoi occhi però erano di un colore diverso: adesso erano color rubino, luminosi nella poca luce che ancora il sole consentiva, ormai al tramonto.

-Chi sei?- balbettai.

-Credo che tu l'abbia già capito, ragazza. E sai anche perchè sono qui-

-Sono l'ultima- dissi, tornando a fissare il pavimento.

-Il mio premio- rispose lo sconosciuto.

Lo vidi sorridere maligno.

-Tu sei il Diavolo?- chiesi.

-Possibile. Ma quel titolo non mi aggrada. Preferisco Lucifero-

-Che cosa vuoi?-

-Devi venire con me, come da patto-

-No-

Sentivo il suo sguardo trapassarmi.

-Come hai detto?- chiese, visibilmente scocciato.

-Non mi interessa chi sei. Io non vengo con te- e mi alzai, per poterlo affrontare.

Mi si stava avvicinando e avvertivo il mio corpo non rispondere al mio cervello. Quello arrivò a pochi centimetri da me. Mi afferrò il mento e me lo alzò, per potermi fissare.

-Non credo tu sia nella posizione di scegliere. Ringrazia il tuo paparino. Per salvare la sua schifosa anima, ha sacrificato la sua stessa figlia-

-Menti!!-

Ero furiosa.

-No, e tu lo sai-

Si stava avvicinando e io non riuscivo a sottrarmi. Avvertii le mie labbra chiuse dalle sue. Sentii la sua lingua tentare di prendere possesso della mia e, per quanto mi impegnassi, non riuscii a impedirlo. In quel momento mi sembrò che lui mi stesse ficcando qualcosa direttamente in gola e non lasciò la mia bocca, bloccandomi il respiro e costringendomi ad inghiottire.

Fu allora che la vista mi si annebbiò e il mio corpo cedette. Sentii solo delle braccia che mi circondavano e intravidi due ali nere spiegarsi contro l'orizzonte.

Poi la sua voce:

-Finalmente ho il mio dono-

Dopodichè fu il buio.

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Capitolo 5
*** Il gioco del Diavolo ***


Qualcosa di molto simile ad un raggio di sole mi costrinse ad aprire gli occhi, mentre braccia e gambe erano colpite da uno strano torpore. Socchiusi gli occhi, tanto per abituarmi alla luce diretta.

-Dove sono?- chiesi, più a me stessa che a qualcun altro.

Lentamente mi alzai a sedere, portandomi una mano alla fronte. La testa mi scoppiava, come se qualcuno mi stesse trapanando ripetutamente il cervello. Avevo una strana nausea, come se fossi reduce dai postumi di una sbornia. Cercai di mettere le gambe fuori dal letto, ma l'ennesimo capogiro mi costrinse ad abbandonare momentaneamente l'intento.

Sbattei più volte le palpebre per far sparire la nebbia dalla mia vista, dopodichè detti un'occhiata in giro.

-Non è possibile!!- esclamai.

Ero nella mia stanza, al college, sdraiata sul mio letto. Davanti a me quello vuoto di Abigail, come al solito disfatto, dato che alla ragazza faceva una fatica boia ogni mattina tirare su un lenzuolo. Sotto la finestra, la persiana semiaperta dalla quale filtrava la luce del sole, le due scrivanie identiche con sopra i nostri portatili e gli appunti con i quali stavamo preparando le tesi da presentare. Con quella luce notai uno strato di polvere alto un dito su entrambe. Eravamo veramente due disordinate.

-Che sia stato tutto un sogno?-

Stavolta riuscii a mettere le gambe fuori dal letto, avvertendo lo sgradevole contatto dei piedi nudi sul pavimento freddo. Un brivido mi percorse la schiena sino alla base della nuca.

Tentai di chiamare la mia amica, anche se la mia voce usciva impastata, come se qualcuno mi stesse tenendo strette le corde vocali. Dopo un paio di richiami, appurai che Abigail non c'era.

Mi passai nervosa una mano tra i capelli, nascondendomi poi il volto tra le mani.

Dovevo trovarla, dovevo raccontarle ciò che mi stava accadendo. Avevo necessità di parlarne con qualcuno altrimenti sarei esplosa. Conoscendola, c'era da aspettarsi che mi prendesse per pazza o che desse la colpa allo stress per gli esami. Sorrisi: forse, in fondo, avevo solo bisogno che qualcuno mi sbattesse in faccia quella ipotetica verità.

Così mi alzai, andai in bagno per lavarmi e mi vestii. Quando mi guardai allo specchio, quasi stentai a riconoscermi: delle profonde occhiaie mi solcavano il sotto degli occhi, mentre la mia pelle era più pallida del solido. Sembravo molto sposa-cadavere. I capelli erano spettinati e formavano un'aureola disordinata intorno alla mia testa. Così mi passai un po' di trucco per coprire le borse e detti una sonora pettinata alla mia criniera, la quale ritrovò per un attimo la sua forma.

Uscii dal bagno. Sentenzia che l'orario segnato dalla sveglia era diventato relativo, quindi non la guardai neanche. Avevo la certezza di aver ormai perso i corsi della mattina, ma se non fossi uscita da quella stanza sarei esplosa.

Afferrai la borsa con i libri e gli appunti e mi chiusi la porta alle spalle.

 

Dovevo sembrare proprio uno straccio, dato che chiunque mi incrociasse mi fissava come se avesse visto una fantasma. Il trucco probabilmente non aveva funzionato un granchè. Non ero mai stata una ragazza che attirava particolare attenzione, ero nella norma: altezza media, fisico slanciato, ma non eccessivamente magro, una terza di seno, una vita abbastanza stretta, capelli castani, ma non di una tonalità particolare, e occhi blu mare. Al contrario di Abigail, bionda e formosa, la quale attirava fin troppa attenzione, io ero sempre rimasta nell'ombra. La causa era anche un po' il mio carattere, scostante e aggressivo, per niente socievole.

In realtà ero semplicemente insicura e molto timida. Sapete, avere a che fare tutta la vita con soggetti come la mia miglliore amica, bella, simpatica e popolare, non aiuta certo con l'autostima. Era come se lei fosse il giorno e io la notte, lei la luce e io la tenebra.

Così quelle occhiate insistenti che mi lanciava chiunque mi passasse vicino erano state capaci di irritarmi e non poco, tanto che all'ennesimo sguardo ricambiai con una frase tra i denti e uno sguardo assassino.

Dove poteva trovarsi Abigail? Ero andata a controllare nelle aule delle lezioni che di solito frequentavamo, ma non la trovai da nessuna parte. Parevo un'invasata, mi spostavo velocemente da un'ala del campus all'altra, controllando ogni stanza e corridoio, ma la mia amica pareva scomparsa.

D'un tratto, inaspettato, il mio stomaco brontolò, segno che doveva essere vicina l'ora di pranzo. In quel momento mi ricordai di non aver fatto neanche colazione.

-Dev'essere ora di pranzo. Forse la troverò in mensa- pensai, dirigendomi verso la struttura centrale del campus.

Io e Abigail non frequentavamo molto quel posto, dato che era la chiara dimostrazione della divisione sociale all'interno del campus ed entrambe non ci tenevamo a partecipare a quella ridicola mostra di bestie da monta. Esatto, perchè in fondo era quello il succo di tutto: c'erano coloro che pensavano a tutto tranne che allo studio e venivano considerati gli dèi del sesso e delle orgie, e poi c'eravamo noi comuni mortali, che il college lo usavamo esattamente per la funzionalità che aveva: guadagnarsi un posto nel mondo.

Era molto affollata quella mattina, tanto che ci misi un po' per individuare la testa bionda della mia migliore amica. Ricordai che un paio di giorni prima si era colorata le punte con un bel rosa shock, cosa che aveva sollevato le voci poco carine delle divine.

Era assieme ad un gruppetto che frequentava uno dei nostri corsi.

-Strano- mi dissi, dato che solitamente io e lei stavamo quasi sempre per conto nostro.

Con passo spedito mi avvicinai. La chiamai.

-Ehi Abi...- ma le parole mi morirono in gola.

 

Gli occhi azzurri della mia amica si voltarono a guardarmi, mentre io me ne stavo impalata senza proferire parola. Era chiara la sua eccitazione, ma pareva diversa da quella che potrebbe intendere qualcuno. Era più simile a quella che prova una bambina quando apre a Natale un regalo e scopre che è quello che aveva desiderato.

-Ehi Laila, scusa se non ti ho svegliato, ma ho visto che ieri sei tornata tardi da casa di tua madre, quindi ho preferito così-

Il mio cervello era in ripristino, non la stavo minimamente ascoltando. Continuavo a fissare quello che stava di fronte a lei, seduto al tavolo, il quale mi rimandava uno sguardo alquanto malizioso e penetrante. Quando però la bionda nominò mia madre, improvvisamente mi riscossi.

Abigail mi si fece davanti. L'euforia pareva scomparsa. Adesso sembrava preoccupata.

-Stai bene?- mi chiese.

-Si...certo- balbettai, distogliendo lo sguardo dal “forestiero” e rivolgendole un sorriso che aveva davvero poco di rassicurante.

-D'accordo. Comunque ti ricordi di Alec?- mi chiese allora, puntando lo sguardo su di lui.

Era stata facile da convincere, forse anche troppo.

-No, sinceramente no- risposi, con sguardo duro.

Ma che le prendeva? Certo che mi ricordavo di lui, l'avevamo visto assieme la mattina dell'esame di simbologia religiosa. E io, purtroppo, conoscevo anche la sua identità reale.

-Ma come? Veniva alle elementari con noi e anche un paio d'anni delle medie, poi però si è trasferito perchè i genitori hanno cambiato lavoro. Che sorpresa vero? Frequenta la nostra stessa facoltà-

Aspetta, aspetta, aspetta!! Un amico di infanzia? Come sarebbe a dire? Che cavolo stava cercando di fare quel maledetto?

-Abigail, ma sei sicura? Non mi ricordo di averlo mai visto- insistetti io, senza capire cosa diamine stesse succedendo.

Stavo cercando di farla rinsavire, tanto che la afferrai per le spalle e la fissai negli occhi.

-Certo che sono sicura. Laila, sei sicura di sentirti bene?-

Purtroppo sembro l'unica a stare bene in questo posto. Abigail, cosa ti ha fatto? Afferrai l'occasione al balzo per dire:

-A dir la verità avevo bisogno di parlare con te. In privato- puntualizzai, lanciando uno sguardo in quello ambra di lui, mentre sul volto gli si era allargato un sorrisetto maligno.

-D'accordo. Andiamo- mi disse lei.

Non appena però tentai di muovere un passo, le gambe mi cedettero, facendomi cadere in ginocchio, mentre il respiro si era fatto corto e la vista mi si stava annebbiando. Come se fosse lontana, avvertii la voce di Abigail chiedermi cosa mi prendeva, visibilmente preoccupata. Non feci in tempo a rispondere che qualcuno mi sollevò da terra, prendendomi in braccio.

Ero debole e spossata, come se non toccassi cibo e acqua da settimane. Cosa mi stava accadendo?

-Forse è meglio se la porto in infermeria- disse una voce, la “sua” voce.

Io iniziai a scuotere la testa e balbettare un “no” poco convinto. Tentai anche di dimenarmi per farmi rimettere a terra, ma niente da fare. Anzi, una mano di lui strinse forte un mio braccio, costringendomi a stringere i denti per non gridare.

-Vengo con te- disse la mia amica.

Sia ringraziato il cielo.

-Non preoccuparti, posso fare da solo. Ti faccio sapere cosa mi dicono- e detto questo ci allontanammo.

Avevo paura, sapevo chi in realtà era Alec e trovarmi di nuovo in sua balìa non mi faceva certo stare tranquilla. Stavo tremando e lui se ne accorse. Rimanere a contatto con il suo corpo mi provocava un leggero fastidio che però divenne quasi un tormento. Continuavo a respirare affannosamente, mentre il cuore sembrava stare per schizzarmi fuori dal petto.

Lentamente lui mi si avvicinò ad un orecchio, sussurrando:

-Non temere, non ti farò del male. Almeno non per il momento-

Vidi la sua bocca inarcarsi in un altro dei suoi sorrisi maligni, mentre lasciava intravedere i suoi canini più lunghi del normale. Questo mi fece paura ancora di più.

 

-Avete solo accumulato troppo stress, signorina. Le consiglierei di riposare per almeno due o tre giorni- mi disse l'infermiera, ma io ero del tutto sorda alle sue parole.

Se lui era lì, allora significava che tutto ciò che avevo vissuto era reale, compresa la morte di mia madre e la distruzione di casa mia. Anche la fine della mia vita.

Calde lacrime iniziarono a scendere sulle mie guance, mentre il mio sguardo rimaneva fisso sul muro davanti a me, seduta sul lettino dell'infermeria.

-Potrei parlarle un secondo?- disse lui, circondando le spalle della vecchia infermiera e invitandola ad uscire.

Rimasi da sola. Ancora una volta ero sola. Cosa sarebbe successo? Perchè non mi aveva ancora uccisa e portata all'Inferno? Cosa aveva in mente?

Perchè inventarsi quella commedia dell'amico ritrovato e modificare la memoria dell'intero campus tranne la mia? Voleva tormentarmi fino a quel punto?

I pensieri furono interrotti dalla porta che si apriva. Lui entrò, richiudendosela alle spalle, e rimase a fissarmi.

-Qual'è il tuo piano?- chiesi ad un tratto, senza aver il coraggio di guardarlo.

Ero spaventata, ma allo stesso tempo piena di rabbia e risentimento. Se non mi fossi sentita così male gli sarei saltata al collo per strozzarlo.

-Perchè pensi che abbia un piano?- mi rispose lui, divertito.

Certo, prendimi pure per stupida.

-Sai com'è, i piani del Diavolo sono alquanto famosi-

Lui mosse un passo.

-Devo dire che ti immaginavo meno combattiva, Laila-

-Non dire il mio nome. Non voglio sentirlo pronunciato da te!!- esclamai, tappandomi le orecchie e chiudendo gli occhi, mentre scuotevo la testa.

Stavo scoppiando.

D'un tratto sentii una forte presa circondarmi i polsi e mi ritrovai il suo viso a poca distanza dal mio. Tentai di liberarmi, ma lui era davvero troppo forte. Stavolta però non lo fissai negli occhi.

-Devi fare la brava Laila, lo dico per te. Ho deciso che ho voglia di giocare un po'. Soprattutto con quello schianto dai capelli biondi...-

-Non osare ad avvicinarti a lei- dissi tra i denti, puntando finalmente lo sguardo nel suo.

-Non fare la gelosa, piccola. Sai che tu sei e sarai sempre la mia preferita- rispose maligno e mi lasciò andare un polso per carezzarmi una guancia.

Io mi sottrassi, schifata.

-Non toccarmi. Perchè non la facciamo finita subito?-

-Sono secoli che non mi concedo un po' di sano divertimento. Poi se ti portassi subito all'Inferno, dove starebbe il bello?- sghignazzò, prima di lasciarmi di nuovo sola.



AUTRICE:
Mi scuso infinitamente con chi segue la storia per il ritardo, ma ho avuto un blocco riguardo questa storia ^_^
Spero continuerete comunque a seguirmi e recensire.
Un saluto Marty.





 

 

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Capitolo 6
*** Sua ***


Avevo deciso di seguire il suggerimento dell'infermiera, quindi mi chiusi nella mia stanza per l'intera giornata successiva al mio risveglio. Tentai di convincere Abigail a rimanere con me, ma senza risultato. Quella ragazza era tremendamente cocciuta.

-Non posso perdere lezione per stare dietro al tuo stress- mi disse.

Che stronza.

Io volevo solo tenerla lontano da lui, non volevo che le facesse del male.

Ricordavo nitidamente ciò a cui avevo assistito quella sera al campus e vedere l'immagine della mia amica mentre spariva in un mucchio di polvere mi faceva quasi impazzire.

Ma non dovevo cedere, dovevo assolutamente trovare un modo per rompere quel patto che condannava la mia famiglia per secoli. Si, certo, la facevo davvero troppo facile.

Forse l'unica che in quel momento avrebbe potuto aiutarmi era mia nonna, ma sapevo che se avessi lasciato la facoltà lui mi avrebbe seguito e non avevo nessuna intenzione di fargli sapere che avevo un'altra parente in vita. Poi mi detti della stupida: probabilmente lui già lo sapeva.

Decisi allora che le avrei telefonato.

Cercai nella borsa il foglietto con il numero della casa di riposo e lo composi sul mio cellulare. Il telefono squillò per un paio di volte prima che qualcuno dall'altra parte mi rispondesse.

-Pronto? Qui casa di riposo Santa Caterina-

-Salve. Avrei urgenza di parlare con una delle vostre ospiti: Charlotte Judes-

-Attenda un momento...-

Mentre aspettavo che mia nonna mi rispondesse, sentii all'improvviso il cellulare iniziare a farsi sempre più caldo, sino a bruciare contro il mio orecchio. Con un grido di dolore lo lasciai cadere a terra e quello si polverizzò. Stavo cercando di capire cosa fosse mai successo quando sentii la porta della camera schiudersi lentamente.

Terrorizzata alzai lo sguardo e lo vidi, poggiato allo stipite con le braccia conserte. Come aveva fatto ad aprire? Eppure ero convinta di aver chiuso a chiave.

-Cosa volevi fare, Laila?- mi chiese.

Per la prima volta il suo tono lasciava trasparire che fosse contrariato. Ero in trappola, un'invisibile teca di vetro nella quale qualunque cosa facessi veniva osservata.

-Volevo parlare con una vecchia amica di famiglia. È per una ricerca...- provai a mentire.

Lui sorrise malignamente, mimando un “no” con il dito indice.

-Non sai raccontare bugie, cara mia, non ne sei mai stata capace. Credi che non sappia della tua cara nonnina?-

Inorridii. Non volevo che facesse qualcosa anche a lei.

-Ti prego, non farle del male- balbettai, stringendomi le mani in grembo, mentre fissavo il pavimento.

Stavo letteralmente impazzendo. Non riuscivo a riconoscermi. Ero terrorizzata, avevo paura, tanta. Dove era finita la Laila incazzosa e strafottente? Quella che fino all'età di quattordici anni faceva ancora a botte con i maschi? Come quel demonio aveva potuto ridurmi così?

Lo sentii avvicinarsi e lentamente mi afferrò il mento, facendomi alzare la testa in modo che potessi guardarlo:

-Sai, non sono io quello che di solito ascolta le preghiere di voi mortali, ma con questi occhi come faccio a dirti di no? Non farmi arrabbiare, Laila, e io non farò nulla che ti possa far soffrire- e delicatamente mi poggiò le labbra sulla fronte.

Rimasi paralizzata, gli occhi sbarrati dallo stupore, senza possibilità di reagire. Nonostante fosse una creatura proveniente dal luogo del fuoco perpetuo, la sensazione delle sue labbra sulla mia pelle era fredda.

Una folata di vento mi costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprii, lui era sparito.

Avrei voluto gridare, ma dalla gola non usciva una sola sillaba. Volevo picchiarlo, ucciderlo con le mie mani, ma ogni volta che mi si avvicinava o mi toccava, io mi paralizzavo. Perchè continuare quella stupida commedia? Ormai mi ero arresa al destino che mi attendeva.

Mi stesi sul letto e mi rannicchiai in posizione fetale. Non piansi, ma rimasi rannicchiata, pregando chiunque si trovasse lassù di far finire in fretta quella tortura.

 

Erano trascorsi un paio di giorni dall'ultima volta in cui l'avevo visto. Non avevo avuto il coraggio di uscire dalla mia stanza e passavo le ore in cui non dormivo a fissare la porta, pregando che lui non la varcasse. Il terzo giorno decisi che era arrivato il momento di agire.

D'improvviso mi ricordai del libro di cui parlava il diario di mio padre così, pensai, quale posto migliore per cominciare se non un posto pieno di libri?

Così mi incamminai per le vie del campus, diretta in biblioteca, non prima però di essermi accertata che nessuno mi seguisse. Se non potevo parlare con mia nonna, speravo di riuscire a trovare qualcosa per conto mio.

Giunta all'edificio più a ovest del campus, mi fermai per un attimo a guardarlo: era interamente costruito in pietra bianca, anche se non so con esattezza quale fosse, la quale aveva però assunto un colore giallognolo a causa dell'inquinamento e del tempo; alcuni fregi erano in marmo e granito; grandi finestre dal telaio di legno scuro lasciavano intravedere l'ambiente interno, il quale era immerso in un'inquietante semioscurità; una placca sul grande portone riportava una frase in latino, alla quale però non diedi molto peso.

Varcai la soglia, trovandomi nella grande anticamera dalla quale dipartivano i corridoi ricolmi di librerie strapiene di libri di ogni argomento e provenienza. Il tutto era completamente fatto con legno di rovere, compresi i tavoli di antica fattura, provvisti ognuno di una luce che consentiva di vedere chiaramente anche quando il sole calava.

Mi avvicinai al tavolo della bibliotecaria e suonai un piccolo campanello. In pochi secondi mi raggiunse una donna sulla sessantina, corti capelli grigi e occhialetti sul naso. Indossava un abito che la faceva sembrare ancora più vecchia di quanto non fosse.

Le chiesi gentilmente se ci fossero per caso dei libri che mi potessero aiutare nella preparazione dell'esame di simbologia. Inizialmente ricevetti solo un'occhiata scettica e confusa, poi però mi disse che ne esistevano solo un paio e che erano anni che nessuno li consultava più.

Sparì in mezzo alle librerie senza aggiungere altro.

La attesi per qualche minuto seduta ad uno dei tavoli vicini al bancone. Le palpebre erano pesanti a causa del sonno perso e stavo quasi per addormentarmi, quando mi vidi cadere davanti due grossi e pesanti volumi, i quali liberarono una quantità di polvere da farmi quasi star male.

Ringraziai cercando di calmare la tosse e mi ritirai in un angolo isolato della biblioteca.

Fissai per un attimo i titoli dei libri.

-Riuscirò davvero a trovare qualcosa di utile?- pensai.

Dopodichè mi misi a leggere, mentre, ogni tanto, alzavo gli occhi e facevo scorrere lo sguardo intorno a me per accertarmi che lui non mi raggiungesse anche in quel posto.

Dopo quasi due ore che leggevo attentamente le pagine ingiallite di uno dei due libri, non avevo ancora trovato niente. Sconfitta, schiacciai la fronte contro la carta e chiusi gli occhi, sbuffando.

-Non troverò mai una soluzione. Sono destinata a seguirlo - sospirai.

D'un tratto avvertii una presenza accanto al tavolo dove mi trovavo. Credendo si trattasse di lui mi alzai di scatto, ma invece di due occhi ambra ne incontrai un paio color del cielo e un capigliatura del colore del cioccolato. Non ero certa di aver mai visto quel ragazzo che mi stava accanto, in piedi, fisico slanciato e atletico, il tutto ricoperto da un paio di jeans che gli fasciavano divinamente le gambe e una camicia bianca, lasciata sbottonata sino al terzo bottone.

-Stai bene?- mi chiese con un sorriso luminoso e rassicurante.

Avvertii distintamente le mie guance avvampare e mi sentii una stupida.

-Solo un po' di stanchezza, niente di grave- risposi.

Non sapevo il motivo, ma la vicinanza di quel ragazzo mi trasmetteva una tale sicurezza che avrei potuto affrontare persino Lucifero.

-Meglio così. Hai bisogno di una mano?- chiese di nuovo, indicando i due libri davanti a me.

-No, grazie, ho finito- risposi in fretta, chiudendo il volume che stavo leggendo e alzandomi in piedi.

-Argomento interessante. Una ricerca?-

-Esatto. Per l'esame di simbologia religiosa. Sai, lo scorso appello l'ho bocciato- risposi sorridendo.

-Io invece l'ho passato, quindi se vuoi una mano non fare complimenti. Comunque non mi sono presentato: mi chiamo Gabe-

-Piacere. Io sono Laila e potrei anche prendere in considerazione il tuo aiuto. Devo ammettere però che non è un buon modo di far conoscenza quello di far notare le lacune altrui- dissi io sorridendo, stringendogli la mano.

-Hai ragione, mi dispiace. Comunque è stato bello parlare con te, Laila. Adesso vado, ma spero di rivederti- e, senza che me ne accorgessi, si avvicinò, sfiorandomi una guancia con un bacio.

-Ci vediamo- mi disse infine e sparì per i corridoi della biblioteca, lasciandomi come uno stoccafisso.

Ma chi era quel ragazzo?

 

Non riuscivo a togliermi dalla testa quel Gabe. Era come se mi avesse segnato nel profondo e il solo pensarlo mi faceva arrossire. Mi portai una mano alla guancia dove poco prima mi aveva baciato e sorrisi. Poi però tornai seria: come si era permesso di prendersi quelle confidenze? In fondo neanche lo conosceva.

-Sai, pensavo non uscissi più-

Maledizione, ma perchè la sua voce aveva la capacità di farmi piombare in uno sconfinato stato di terrore?

Mi voltai, trovando Alec all'ombra di uno degli alberi del giardino del campus che mi fissava. Dovevo ammettere che, nonostante sapessi che si trattava del Diavolo, quelle sue apparizioni così tenebrose e inaspettate gli facevano assumere un aspetto quasi decente.

-Dato che non mi hai ancora trascinato con te, posso almeno provare a continuare la mia vita?- chiesi io fredda.

Lui mi si avvicinò, cominciando a girarmi intorno.

-Perchè sorridevi?- mi chiese poi, fermandosi alle mie spalle e sporgendosi per potermi guardare in faccia. Mi superava di almeno dieci centimetri, quindi mi ritrovai il suo viso spuntarmi da sopra la spalla destra.

Pareva quasi un bambino troppo curioso.

-Non sono affari tuoi- risposi e feci per andarmene.

Ma le gambe non rispondevano, un'altra volta. Dannazione!!

-Tutto ciò che fai mi riguarda. E poi pensi davvero che non possa scoprirlo ugualmente?-

Mi fece voltare verso di lui e mi bloccò il viso tra le mani. Tentai di dimenarmi, ma senza risultato. Vidi i suoi occhi cambiare colore, divenendo rossi rubino, e guardarmi fissi.

In quel momento avvertii come se qualcuno mi stesse scavando nella memoria, provocandomi un dannato fastidio.

-Smettila...- tentai di replicare, ma fu tutto inutile.

Solo quando lui lo decise mi lasciò andare e il dolore svanì.

-Vedo che abbiamo fatto nuove conoscenze- disse maligno, ma nascondeva una nota di irritazione nella voce.

-Mai visto in vita mia. Era solo uno dei tanti-

Sentii la sua presenza di nuovo dietro di me. Poi la sua voce mi sfiorò l'orecchio:

-Tu non potrai mai essere di nessuno all'infuori di me e capirai presto che non hai possibilità di sfuggirmi- e in un attimo era sparito.

Velocemente tornai alla mia stanza. Durante il tragitto non guardai in faccia nessuno. Era come se negli occhi di chi mi guardava potessi rivedere il suo sguardo mentre mi sondava la mente. Le gambe si muovevano come se non fosse il mio cervello ad ordinarlo, mentre gli occhi bassi mi consentivano di non cadere.

Giunta davanti alla porta, cercai nervosamente le chiavi che quasi mi caddero le mani e velocemente entrai. Come al solito Abigail non c'era.

Decisi di aver bisogno di una doccia, così entrai in bagno e aprii l'acqua. Mi spogliai e mi infilai sotto il getto.

Mentre mi godevo la pace e la tranquillità che solo quel posto riusciva a darmi, lo sguardo fu attirato da qualcosa sul mio corpo che ero sicura non ci fosse mai stato: attorno al mio ombelico, come un tatuaggio, un pentacolo inscritto in un cerchio.

Dopo un attimo di confusione e intontimento dovuti alla scoperta, lo sfiorai con mani tremanti. Poi, quasi meccanicamente, iniziai a strusciarlo come se potessi in qualche modo rimuoverlo, prima piano, poi sempre più veloce, ma quello non veniva via. Iniziai a piangere, mentre lentamente scivolavo contro la parete della doccia, trovandomi seduta sul fondo, ancora investita dal getto della doccia.

Le lacrime si fondevano con l'acqua, mentre il mio corpo tremava e le mie mani stringevano convulsamente le spalle. Avrei voluto urlare, avrei voluto sparire.

Dio, ti prego, aiutami...





AUTRICE:
Ringrazio che continua a seguirmi e recensire e chi invece ha inserito di recente la mia storia tra le seguite, preferite etc ^_^
Vi lascio con una domanda: secondo voi Gabe sarà un pezzo fondamentale sulla scacchiera di questo perverso gioco del diavolo? Chi lo sa? Continuate a seguirmi.
Un saluto Marty.

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Capitolo 7
*** Non puoi impedirmelo... ***


Era un incubo, solo un dannato e fottutissimo incubo!!

Questo continuavo a ripetermi mentre mi guardavo allo specchio, i capelli ancora grondanti di acqua e il corpo che tremava. Alzai una mano e sfiorai il pentacolo che risaltava scuro sulla mia pelle bianca, ma la ritirai, come scottata.

Quel dannato diavolo l'avrebbe pagata, non importava che potesse ardermi con un solo gesto della mano, ma giuro che in qualche modo l'avrebbe pagata. Stavolta ero davvero incazzata!!

Così mi vestii velocemente ed uscii dalla mia stanza.

Percorsi il campus senza una meta: dove si era cacciato? Possibile che quando non volevo incontrarlo era sempre tra i piedi e quando invece lo cercavo non si facesse trovare?

Ad un tratto avvertii delle risatine provenire da una delle stradine secondarie, proprio dietro un'alta siepe. La aggirai velocemente, trovandomi davanti una scena che mi fece quasi vomitare: lui, semisdraiato sulla panchina di pietra, mentre una biondona dal seno prosperoso e le movenze da gatta morta gli stava letteralmente incollata. Una mano di Alec scivolava languidamente sulla schiena di lei, mentre quella gli si stava avvicinando sempre di più. La bionda gli stava lentamente sbottonando i bottoni della camicia, accarezzando l'addome scolpito e la pelle leggermente abbronzata, mentre i loro visi erano vicinissimi e lei ridacchiava come una demente.

Non sembravano essersi accorti della mia presenza. Tossicchiai e l'attenzione dei due si fece finalmente su di me.

-Laila, che bella sorpresa...- mi disse lui, malizioso.

Che stronzo!!

-Tesoro, chi è quella?- disse lei fissandomi con sufficienza, mentre continuava a sbattere le sue enormi tette contro il petto di lui, al quale sembrava non dispiacere.

Che puttana!!

Senza degnare lei di uno sguardo, mi rivolsi a lui, seria:

-Possiamo parlare?-

-Sono impegnato- mi liquidò lui, mentre teneva gli occhi fissi sulle due mongolfiere che lei gli stava letteralmente sbattendo in faccia.

Il mio cuore perse un battito e non sapevo neanche io perchè. Non avevo niente per ricattarlo per seguirmi, il gioco lo conduceva lui. Poi, pensandoci meglio, replicai:

-Bene, vorrà dire che andrò a cercare Gabe- e feci per andarmene.

Prima però di voltarmi, vidi il suo corpo irrigidirsi e nei suoi occhi ambra saettare una scintilla che non identificai bene, ma che in qualche modo mi fece sorridere, vittoriosa.

-Scusa piccola, ma devo andare- le disse lui mentre si alzava.

Piccola? Ma come osava?

-D'accordo, ma non tardare troppo, Alec. Ti aspetto-

Mi voltai proprio nel momento in cui lei lo raggiungeva e gli mangiava letteralmente le labbra in un bacio che non aveva niente di casto. Poi, lanciandomi un'occhiata, se ne andò, dimenando i fianchi come se fosse pagata.

-Dunque?- disse lui, voltandosi finalmente a guardarmi, dopo essere stato ad ammirare il fondoschiena della bambola di gomma.

-Sai che sei proprio un bastardo schifoso?-

-Parli di lei?- chiese quello con aria innocente indicando il punto dove prima si trovava la bionda.

-Parlo di questo- risposi io, sollevando la maglia scoprendo l'ombelico e mettendo in bella vista il pentacolo.

-Ah, finalmente è apparso. Mi chiedevo quanto ci avesse impiegato. Devo ammettere che il tuo corpo è davvero forte. Ci ha messo un po' per cedere-

-Cedere a cosa?- domandai, spaventata.

-Tesoro, ricordi il nostro primo incontro?-

Arrossii. Lo ricordavo perfettamente. Come avrei potuto dimenticarlo?

-Ti feci ingoiare una capsula, la quale, una volta nel tuo corpo, ha sprigionato una tossina di mia invenzione. Quella ti lega ancora di più a me, dato che, non sto a spiegarti come, posso decidere io stesso quando renderla mortale per il tuo corpo e la tua anima-

Rimasi impietrita. Non me lo sarei mai aspettato. Quindi ero semplicemente un giocattolo nelle sue mani?

Ero talmente sconvolta che non lo sentii avvicinarsi, ma avvertii il tocco della sua mano sul mio viso.

-Ma non temere. Ho ancora voglia di divertirmi- ridacchiò sadico.

-Io mi libererò dalla tua prigionia, demonio. Non so quando, non so come, ma mi libererò e allora sarò io a ridere di te- gli dissi tra i denti e mi scostai dal suo tocco.

Vidi i suoi occhi fissarmi, stupiti per la prima volta, ma non aspettai una sua reazione, dato che mi allontanai velocemente.

-Non ci riuscirai. Non spezzerai un patto di secoli-

Sembrava preoccupato. Poi, in fretta, aggiunse:

-E stai lontana da quel Gabe-

Io allora mi voltai e tagliente risposi:

-Sai Alec, questa è una cosa che non puoi impedirmi- e me ne andai.

 

POV ALEC (LUCIFERO)

 

Giuro, se non si fosse trattato di lei l'avrei già portata ad ardere tra le fiamme dell'Inferno!! Ma poi cosa mi impediva di farlo? Forse il fatto che quella ragazza mi consentiva di divertirmi come non facevo da secoli?

Il mio ruolo era sempre stato quello di tentatore, di persecutore. Quindi vederla così indifesa alla mia mercee mi dava un sadico divertimento.

Avrei potuto far finire tutto con uno schiocco di dita. Dopotutto io stavo tralasciando i miei impegni del sottosuolo per stare dietro ad una mortale, anche se era l'ultima discendente di quel bastardo di Iscariota.

No, penso che mi sarei divertito ancora un po'.

Dopotutto quel campus era una concentrazione di puledre che si sarebbero fatte cavalcare senza problemi e rimorsi, per poi venire divorate.

Come la bionda con cui lei mi aveva trovato. L'avevo abbordata per puro caso e quella, nel giro di qualche minuto, mi era letteralmente saltata addosso.

Come avevo goduto quando avevo visto il suo sguardo mentre ci fissava abbracciati, l'ennesima vittoria su quella sciocca ragazzina.

Ma allora perchè avevo scaricato il mio pasto non appena lei aveva nominato quel Gabe? Mi sembrava di essere stato chiaro quando le avevo intimato di stare lontano da lui, ma su quell'argomento Laila non mi ascoltava e questo mi faceva terribilmente arrabbiare.

Ma perchè poi? Non ne ho neanche io la certezza, ma odio l'idea di poterla vedere tra le braccia di qualcun altro. Sarebbe solo un ennesimo impiccio.

Lei è mia, solo mia, una preda alla quale non sono disposto a rinunciare.

Dannata Laila, giuro che quello che hai provato e visto finora non è ancora niente.

 

Me ne stavo seduta su una panchina isolata rispetto alla via principale del parco del campus. Ero sconvolta, letteralmente, nonostante davanti a lui mi fossi dimostrata forte per la prima volta.

Non era abbastanza quello che mi stava capitato? Adesso anche quella dannata tossina nel mio corpo? Non ne sarei uscita, almeno, non da viva. Le speranze stavano scemando come polvere nel vento ed io ero sempre più stanca.

Mentre stavo pensando che probabilmente non valeva la pena di aspettare che fosse lui a farmi fuori e togliergli quindi questa sua visione perversa di potere su di me, una voce mi fece riscuotere.

-Tutto bene?-

Alzai gli occhi e lo vidi. Gabe era in piedi accanto a me, dei libri nella mano sinistra, mentre mi guardava e pareva preoccupato. Era l'unico dopo giorni che mi fissava in quel modo e sentii il cuore stringere in una morsa.

Non so come, non so perchè, ma scattai verso di lui e lo abbracciai, d'istinto. Avevo bisogno di sentirmi protetta da qualcuno. Sentii i libri che aveva in mano cadere a terra, mentre le braccia di lui mi strinsero a sua volta. Quel contatto mi fece stare improvvisamente bene. Poi però mi resi conto di quello che stavo facendo e mi scostai.

-Scusa Gabe, non so cosa mi abbia preso-

Mi fissò per qualche secondo, anche lui confuso dal mio repentino cambiamento. Poi lo vidi portare una mano verso il mio viso. Chiusi gli occhi. Dopo qualche secondo il tocco leggero delle sue dita sulle mie guance mentre mi asciugavano i segni delle lacrime.

Alzai lo sguardo verso di lui, incontrando i suoi occhi celesti come il cielo. Mi sorrise.

-Ti va un caffè?-

Rimasi spiazzata dalla domanda, poi però sorrisi a mia volta e feci un cenno di assenso con la testa.

Gabe raccolse i libri che gli erano caduti, dopodichè mi fece strada con il gesto di una mano. Mentre stavo per passare oltre, sentii il suo braccio che mi circondava le spalle e mi spingeva verso di lui. Arrossii, ma non parlai.

Non sapevo però che quel gesto avrebbe avuto delle conseguenze.

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Capitolo 8
*** Il suo sapore ***


Rimasi ad osservare Gabe mentre stava al banco del bar a chiacchierare amabilmente con la ragazza che ci stava preparando i caffè. Vedevo come lei lo guardava e in fondo un po' ero gelosa. Dopotutto lui era lì con me.

Scossi la testa per scacciare quegli stupidi pensieri e proprio in quel mentre lui tornò al tavolo, sedendosi di fronte a me e porgendomi un caffè dal profumo molto buono.

-Grazie- dissi timidamente, ma la mia voce era ancora reduce del mio pianto di poco prima.

-Per così poco? Vorrei fare di più-

Arrossii e forse lo feci anche in modo vistoso, dato che lui mi rivolse un solare sorrise, forse per togliermi dall'imbarazzo.

-A che proposito? Dopotutto non ci conosciamo neanche- risposi io, mentre mi portava la tazza del caffè ancora fumante alle labbra.

Era davvero buono.

Non avevo mai fatto caso al bar nel quale adesso eravamo seduti. Era poco fuori dai confini del campus ed era un ambiente davvero carino. I colori erano luminosi e caldi e nell'aria si propagava il profumo del caffè appena fatto. Quello che notai, e che mi fece imbarazzare ancora di più, fu che eravamo circondati quasi da tutte coppiette.

-E' vero, non ti conosco, ma mi affascini come persona. Dopotutto sono un ragazzo che non riesce a vedere una donna piangere e tu lo fai ogni volta che ti incontro-

-Diciamo che è un periodo un po' nero- sorrisi io tristemente.

Se solo avesse saputo...

-So che non sono la persona più adatta per dirlo, ma se hai bisogno di parlare io sono tutto orecchie. Sai, sono un ottimo ascoltatore-

-Ah si? E lo fai con tutte le ragazze sole e depresse?- scherzai io.

-Non con tutte. Solo con quelle che trovo interessanti-

Mi spiazzò, anzi, furono i suoi occhi a farlo. Così intensi, così profondi. Mi veniva voglia di confidargli ogni mio peccato più nascosto.

-Insomma, come va con la preparazione dell'esame di simbologia?- mi chiese poi, svegliandomi dall'incanto.

Lo fissai per qualche secondo senza capire, poi mi tornò in mente la bugia che gli avevo raccontato quando lo avevo incontrato in biblioteca.

-Ehm...procede, anche se un po' a rilento. Mi chiedo che utilità possa mai avere in una laurea di archeologia- risposi, mentre osservavo il denso liquido nero fumare nella tazza.

-A questo non so risponderti, ma rinnovo la mia offerta: se hai bisogno di aiuto...-

-Grazie-

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante. Io iniziai a guardarmi intorno senza sapere che dire.

-Comunque non credo che il tuo solo problema siano la scuola e gli esami. Secondo me c'è di mezzo un ragazzo-

Per poco il caffè non mi andò di traverso e quasi glielo sputai tutto in faccia. Lo fissai, stupefatta. Dove voleva arrivare quel ragazzo?

-Cosa te lo fa pensare?-

-Non lo so, anche perchè non capisco come una ragazza come te possa soffrire per amore-

Riuscii a cogliere il celato complimento e distolsi lo sguardo.

-Credo tu ti stia sbagliando-

-Davvero? Invece direi che a te piace qualcuno che invece non ti ricambia, anzi, fa il farfallone con altre ragazze-

Ma come si permetteva? Come poteva pretendere di capire ciò che provavo? E stupida io che avevo sperato per un attimo di aver trovato qualcuno che non mi facesse pensare a quello stronzo cosmico.

Senza rispondere, mi alzai e afferrai la borsa.

-Ancora grazie per il caffè, ma adesso devo andare-

Vidi la sua faccia confusa mentre mi allontanavo. Prima però che varcassi la soglia, mi sentii afferrare per un polso. Mi voltai.

-Laila, mi dispiace. Non volevo farmi gli affari tuoi. Il fatto è che mi piaci e molto anche. Stavo solo facendo le dovute indagini-

Io rimasi di sasso a quelle parole. Poi sorrisi, mentre mi liberavo dalla sua presa.

-Gabe, mi dispiace, ma credo che la tua sia solo la sindrome da buon samaritano. Neanche ci conosciamo. Come puoi dirmi che ti piaccio?- e mossi qualche passo fuori dal bar.

Poi però, improvvisamente, sentii di nuovo la sua presa su di me tirarmi indietro e quasi persi l'equilibrio. Non ebbi il tempo di capire niente: mi ritrovai le sue labbra incollate alle mie, in un bacio del tutto diverso da quello che mi aveva dato Alec la prima volta.

Non so come, ma non mi sottrassi immediatamente, anzi, mi lasciai cullare da uno strano torpore che quel contatto mi trasmetteva.

Fu lui a lasciarmi andare.

-Pensaci...- mi disse solo, dopodichè mi abbandonò là, in mezzo al marciapiede, nella confusione più totale.

Dopo quell'attimo di smarrimento iniziai però a riprendere coscienza di me. Mi portai una mano alla bocca e mi sfiorai le labbra. Erano ancore calde. Dopodichè vi passai sopra la lingua. Avevano ancora il suo sapore.

 

Mentre tornavo verso il complesso dove si trovava la mia stanza mi sembrava di camminare ad un metro da terra. Era come se quel contatto con Gabe mi avesse fatto sparire la malinconia e la preoccupazione.

Raggiunsi la porta della mia stanza e mi misi a cercare le chiavi. Avevo provato a bussare, ma non mi aveva risposto nessuno.

-Mi piacerebbe sapere dove se ne Abigail per tutto il giorno. Devo essere gelosa?- pensai e mi scappò una mezza risata.

Finalmente trovai le chiavi e le infilai nella toppa. Aprii la porta e feci per entrare.

All'improvviso qualcuno alle mie spalle mi spinse violentemente all'interno della stanza. Non ebbi tempo di reagire, ma sentii solo la porta sbattere. Dopodichè sempre quel qualcuno mi afferrò di nuovo e mi sbattè contro il muro.

Battei violentemente la testa, tanto che rimasi in confusione per qualche secondo.

Mentre tentavo di tornare in me avvertii un corpo inchiodarmi alla parete e delle labbra che violente prendevano possesso delle mie. L'unica cosa che misi a fuoco fù una chioma di capelli neri come la notte. Rabbrividii, avendone riconosciuto il proprietario.

Mi stava letteralmente divorando tanto era l'impeto che stava mettendo in quel bacio. Sentivo come se le labbra mi si stessero per staccare e avevo bisogno di respirare, ma sembrava che a lui non importasse.

In un attimo di pausa tra un bacio e l'altro mi morse il labbro inferiore, tanto che avvertii il sapore del sangue in bocca.

Mi stavo completamente abbandonando a lui e ciò non andava affatto bene, anche perchè non volevo che sembrasse che mi stava piacendo.

In un attimo di lucidità alzai la braccia e le puntai sul suo petto, riuscendo ad allontanarlo quel poco per respirare.

-Cosa stai facendo?!?- sbraitai, con le lacrime agli occhi.

-Devo togliere il suo sapore da te- mi rispose, tornando a prendere possesso della mia bocca.

Lo allontanai di nuovo.

-Ma cosa...-

-Pensi che non ti abbia visto mentre facevi la facile con lui?- mi chiese, fissandomi negli occhi.

I suoi avevano assunto la tonalità rubino. Non sapevo cosa dire.

-Mi pareva di essere stato chiaro, giusto? Tu sei mia e di nessun'altro. Se non lo allontani tu, dovrò pensarci io- disse, mentre la sua bocca si inarcava in un sorriso maligno.

-Cosa vuoi fare?- gli chiesi, spaventata.

-Piccola, quello che mi riesce fare meglio- e si mise a ridere, liberandomi finalmente dalla sua stretta.

Mi lasciai scivolare a terra, la schiena contro il muro, mentre la testa ancora mi doleva.

-Perchè?- sussurrai, mentre nascondevo la testa tra le mani.

-Non ti seguo...- mi prese in giro lui.

-PERCHE' MI STAI FACENDO QUESTO?-

-Tesoro, è il mio lavoro. Dopotutto io sono il Diavolo. Perseguitare è ciò che devo fare- sorrise, sadico.

-Ti odio-

-Sai, non mi importa. Non devo certo piacerti. Volente o nolente, quando mi sarò stancato, verrai con me, per l'eternità, così avrai tutto il tempo del mondo per odiarmi-

Si inginocchiò davanti a me. Io non alzai la testa, ma sentii la sua voce a pochi centimetri da me.

-Laila, non farmi arrabbiare, non ti conviene. Non puoi sfuggirmi, quindi rassegnati. Sei mia e lo sarai per sempre-

Non gli risposi, ma comunque sussultai. Dopodichè avvertii solo la porta che si chiudeva.

Rimasi nel silenzio più profondo e più angosciante. Dopo minuti infiniti decisi di alzarmi. Stavo per farlo, quando una fitta allo stomaco mi fece piegare su me stessa. Il dolore era quasi insopportabile e le lacrime scendevano ormai senza controllo. Dalla bocca mi uscì un grido soffocato.

-Basta, per favore-

Sapevo che era lui a provocarmi quel male e come se mi avesse sentito, il dolore cessò di colpo.

Finalmente riuscii a rimettermi in piedi. Alzai un poco la maglia e vidi il pentacolo che aveva assunto un colore rosso acceso. Strinsi forte i pugno: avrei voluto picchiarmi da sola.

-Quanto lo odio- pensai.

 

Quella mattina avevo deciso di seguire qualche lezione, tanto per svuotare un po' la mente. Avevo scelto storia contemporanea, dato che era una delle più leggere. Riuscii finalmente, dopo giorni, a rivedere la mia migliore amica.

-Ehi, come va?- mi chiese Abigail, sedendosi velocemente accanto a me.

-Ehi...- risposi io.

Lei mi fissò per un attimo.

-Tutto bene. Hai dormito stanotte? Ho sentito che eri un po' agitata-

-Solo qualche incubo. Niente di preoccupante- sorrisi, poco convinta.

Ad un tratto vidi lo sguardo di Abigail schizzare dietro di me.

-Guarda chi c'è...Alec!!-

Ghiacciai.

-Ehi dolcezza...-

La sua voce mi infastidiva, mi faceva salire la bile in gola.

-Siediti vicino a noi-

Accidenti a te, Abigail!!

-Volentieri. Almeno mi distraggo un po'. Questa lezione è barbosa- disse lui e lo sentii mentre si accomodava accanto a me.

Io d'istinto balzai in piedi.

-Scusate, ma mi sono ricordata di avere un impegno-

Poi però mi resi conto che sarei dovuta passare davanti a lui, il quale si era letteralmente disteso.

-Potresti farmi passare?- chiesi cortesemente, ma visibilmente scocciata.

-Certo- rispose lui, alzandosi un poco in modo che riuscissi a superarlo.

Sospirai e feci un passo avanti. Di colpo mi trovai in trappola tra le sue gambe.

-Ops- disse Alec, guardandomi maligno.

-Non sei divertente- risposi io, furente.

-Dove te ne vai, Laila?-

-Non sono affari tuoi-

-Ok- e mi liberò dalla stretta.

Quando ormai stavo per varcare la soglia dell'aula, una fitta allo stomaco mi fece gemere.

Lanciai un'occhiata al maledetto demonio, il quale mi fece cenno con la mano e mi sorrise, mentre l'altra l'aveva intorno alle spalle della mia migliore amica.

Io, scocciata, uscii.

Aveva una capacità di farmi incazzare che non aveva confini. Svoltai l'angolo e quasi morii di infarto.

-Ciao- mi salutò il moro.

-Ma come diamine hai fatto?- chiesi, arretrando.

-Trucchi del mestiere. Cos'è Laila, la mia presenza ti disturba?-

-Non sai quanto-

-Bene, farò in modo allora di rimanerti appiccicato. Dove andiamo?-

-Io in stanza a farmi una doccia. Tu puoi andare a buttarti dal cavalcavia dell'autostrada e, mi raccomando, aspetta che passi un tir bello grosso-

-Ah ah ah, divertente. Magari potrei accompagnarti- mi rispose, guardandomi malizioso.

Stavo per sbraitargli contro qualche maledizione, quando il cellulare squillò. Per fortuna ne avevo uno di riserva. Me lo sfilai dalla tasca dei jeans e fissai il display: un numero privato.

-Se è lui lo incenerisco all'istante, ovunque si trovi- mi minacciò Alec.

Risposi.

-Pronto?-

-Signorina Judes. Ci spiace disturbarla, ma non siamo riusciti a contattare sua madre. Siamo del Santa Caterina-

-Che succede?- chiesi tremante, non appena sentii il nome della casa di riposo della nonna.

-Vorremo chiederle se può venire qui. Sua nonna sta male-

Il cellulare mi scivolò di mano e cadde a terra, mentre io rimasi a fissare il vuoto.

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Capitolo 9
*** Il libro del peccatore ***


L'unica cosa che i miei occhi vedevano in quel momento era la strada che sfrecciava veloce dal parabrezza della mia auto.

Alec, al mio fianco, guidava, anche se non rammentavo come mai avessi accettato che venisse con me, ma soprattutto che guidasse.

Ricordo solo che dopo la telefonata dalla casa di riposo mi ero semplicemente zittita, il corpo passivo a qualunque movimento o fattore esterno.

Non so come, ma ancor prima che finissi la telefonata, lui sapeva già ogni cosa. Lo sentii chiamarmi per nome un paio di volte, poi afferrare la mia mano e trascinarmi in stanza, dove aveva recuperato le chiavi della macchina.

Per tutto il percorso io non avevo aperto bocca né distolto lo sguardo da un punto imprecisato davanti a me. Probabilmente ad un certo punto mi aveva anche colpito, ma il ricordo era offuscato.

Mi sfiorai una guancia, ancora dolorante dallo schiaffo che ipoteticamente avevo ricevuto.

Contro ogni aspettativa, non avevo urlato, pianto o imprecato, ma mi ero limitata a fissarlo, impassibile.

Alec, senza dire o fare altro, mi aveva afferrato di nuovo per un polso e mi aveva trascinato nel parcheggio, dove, dopo avermi caricato malamente in macchina, era partito a tutto gas.

Era quasi un'ora che eravamo in viaggio. La testa mi scivolò contro il finestrino: perchè mi stavano capitando tutte quelle cose?

Fino a qualche giorno prima avrei riso in faccia a chiunque mi avesse detto che il Diavolo esisteva, ma in quel momento sarei solo parsa solidale a quella follia.

-E' colpa tua....- sospirai, mentre continuavo a tenere lo sguardo fisso fuori dal finestrino.

Ero sicura che mi avesse sentito, ma comunque non mi rispose.

Io scoppiai a ridere malamente, non credendoci però fino in fondo.

-Se non fosse stato per la tua stupida fissazione, a quest'ora sarei una normale ragazza che va al college e litiga con la madre per cavolate tipo esami e ragazzi. Ma perchè hai dovuto essere così stronzo?- ripresi, tra una risata e l'altra, anche se il mio tono era acido e maligno.

-Non sono affari tuoi- rispose lui serio.

-Invece credo che siano anche affari miei, dato che mi stai letteralmente rovinando l'esistenza. E non tirare fuori quelle stronzate sulle persecuzioni, perchè non ci credo più...-

Da quando ero diventata così intraprendente e bastarda? Ah si, da quando avevo conosciuto la creatura più meschina e infima che Dio avesse creato.

-Laila, non mi sembra il momento per litigare...-

-Tsk, parli come se fossimo una coppia di fidanzati, mentre tu per me sei solo colui che mi condurrà verso la dannazione eterna- e conclusi lì il discorso.

Non potei però vedere l'occhiata che lui mi scoccò, per poi rimettersi a guidare.

 

La macchina neanche si fermò davanti all'ingresso del Santa Caterina che ero già fuori, mentre Alec mi chiamava da ancora dentro l'abitacolo.

Sorda ai suoi richiami presi a correre verso l'ingresso, fermandomi dinnanzi alla reception. L'infermiera mi fissò, interdetta.

-Mi hanno telefonato circa due ore fa. Mia nonna sta male-

-Cognome?-

-Judes-

-Certo, ci hanno avvertito della suo arrivo. Lei deve essere la nipote...-

-Si si. A dopo le formalità. Dov'è?- chiesi, apparentemente irritata e alzando leggermente la voce.

-Signorina deve calmarsi. In questo momento i dottori la stanno tenendo sotto osservazione, quindi non può vederla. Può attendere in sala d'aspetto. Provvederò personalmente a farle sapere quando potrà entrare- rispose irremovibile l'infermiera.

-Ma io...- cominciai, ma una mano sulla spalla ebbe la capacità di farmi improvvisamente calmare.

Mi voltai, incontrando lo sguardo d'ambra di Alec che mi fissava, serio.

-Basta Laila. Sediamoci-

Non avrei preso altri ordini da lui, non in quel momento. Così mi scostai bruscamente e, a pochi centimetri dal suo viso, ringhiai:

-Non osare toccarmi- e con passo marziale, uscii dall'edificio.

 

Il primo posto che mi venne in mente per stare un po' da sola fu il grande albero dove la volta precedente aveva trovato la nonna. Così mi avvicinai al largo fusto, sfiorandone la corteccia con una mano, mentre gli occhi vagavano per i rami e la chioma, adesso imperlata di tanti fiori bianchi.

Mi sentii improvvisamente in pace con me stessa e con il mondo, dimentica di tutto quello che mi stava succedendo intorno.

Mi sedetti ai piedi del tronco, stringendomi le ginocchia al petto e nascondendo il volto.

Dopo qualche minuto però sentii dei passi avvicinarsi e alzai leggermente la testa, continuando però a fissare il suolo.

-Vattene- dissi semplicemente, sapendo con certezza di chi si trattava.

Riuscivo a sentire il suo profumo, distinguere il suo respiro calmo che però, alle mie parole, aveva avuto un impercettibile blocco.

-Sai ragazzina, stai rischiando molto parlandomi così- rispose lui tra i denti.

-Se mia nonna muore, giuro che sarai tu quello a rischiare davvero e giuro che pregherai per liberarti di me. Sarò io a trasformare la tua esistenza in un inferno-

I miei occhi parevano emettere elettricità, erano furenti, come lui non li aveva mai visti.

-La pecorella è diventata d'improvviso un lupo- ridacchiò, mentre si inginocchiava per guardarmi negli occhi.

-E non immagini quanto questo lupo possa diventare feroce...-

Lo sguardo di lui si fece improvvisamente serio. Fu rapidissimo: la sua mano destra saettò verso di me, stringendosi intorno al mio collo e inchiodandomi all'albero. Il fiato mi si mozzò in gola, ma continuai a fissarlo, furente.

-Cosa aspetti?- chiesi in un sospiro.

-Non tentarmi ragazzina. Te l'ho detto: non farmi arrabbiare o saranno guai-

I suoi occhi avevano assunto il colore del sangue e continuavano a fissare i miei cobalto.

-Se avessi voluto uccidermi, l'avresti già fatto- risposi io, sorridendo.

Lui continuò a guardarmi, poi si avvicinò, le nostri fronti quasi si toccavano.

-So che vorresti che mettessi fine alla tua vita, dolce Laila, ma con te ho finalmente trovato qualcuno che può tenermi testa e farmi divertire. Ma non tirare troppo la corda, altrimenti mi stancherò di te prima del previsto-

Non mi dette il tempo di rispondere, dato che ghermì le mie labbra in un bacio violento e privo di significato. Sentivo i suoi canini, più lunghi e appuntiti del normale, ferirmi le labbra, sino a farle bruciare, mentre la sua lingua tentava di prendere possesso della mia.

La mano che prima mi circondava il collo salì a stringere la mascella, mentre l'altra mi afferrò i capelli, portandomi indietro la testa.

Gemetti per il dolore e lui ne approfittò per insinuarsi tra le mie labbra. Dopodichè lo sentii sorridere e staccarsi da me, scendendo lentamente lungo il collo lasciato nudo dalla maglia, lasciandomi sulla pelle infuocati baci.

La mano che prima mi stringeva il viso scese sul mio ventre, premendo sul punto dove si trovava il pentacolo. Strinsi i denti, colpita da una fitta allo stomaco.

Il mio corpo però non rispondeva, era completamente atto a soddisfare i suoi desideri e questo mi fece incazzare ancora di più. Avvertivo dentro di me uno strano calore, mentre la sensazione delle sue labbra sulla pelle mi stavano facendo impazzire. Portai lo sguardo verso il cielo, pregando perchè accadesse qualcosa che mi liberasse da quel perverso incanto.

Quando ormai la cosa stava per degenerare, qualcuno alle sue spalle si schiarì la voce. Aprii gli occhi e incontrai lo sguardo contrariato dell'infermiera che avevo trovato alla reception.

-Può entrare per vedere sua nonna, sempre che non sia impegnata a fare altro- e detto questo ci voltò le spalle.

Ecco, ora sarei sembrata una sottospecie di ninfomane strafatta che approfittava di ogni momento per soddisfare i suoi istinti.

Sentii Alec, il volto nascosto contro il mio petto, ridacchiare come un bambino. Arrossii, per poi tornare furente:

-Tu sapevi che stava arrivando, non è vero?- chiesi tra i denti, mentre sentivo ancora il viso caldo dall'eccitazione e l'imbarazzo.

-Possibile-

-Bastardo- conclusi, tirandogli una spinta e liberandomi dalla presa.

Lo lasciai là, seduto a terra, a guardarmi confuso e divertito allo stesso tempo. Io avevo delle cose più importanti da fare.

 

Il corridoio era pressocchè deserto, ad eccezione di un paio di infermiere che passavano da una stanza all'altra controllando gli ospiti. Quella che era uscita a chiamarmi mi indicò una stanza in fondo al corridoio. Mi guardava ancora indignata.

Io tentai di non farci caso, ma non riuscii comunque a guardarla in faccia. Ringraziai ed entrai nella camera.

Era spaziosa e luminosa, con una grande finestra che dava sul giardino. Vidi la nonna stesa sul letto, lo schienale leggermente rialzato per permetterle di stare un po' seduta, che fissava il paesaggio fuori da quelle mura.

-Ciao- dissi con tono fioco.

Lei si voltò e mi rivolse un sorriso. Solo in quel momento mi accorsi che aveva una maschera per l'ossigeno che le copriva bocca e naso.

-Sono contenta tu sia qui- mi disse, ovattata dalla presenza del respiratore.

-Cosa è successo?-

-Quello che può succedere ad una povera vecchia, Laila. Niente fuori dal normale. Stavolta è solo stato un po' più forte delle precedenti-

Come faceva a prenderla con tale filosofia?

-Ma perchè hanno chiamato te?- chiese poco dopo.

Temevo quella domanda da quando avevo messo piede nella stanza.

-Mamma era molto occupata- risposi, senza però guardarla.

Lei non rispose immediatamente, ma sapevo che invece mi stava osservando. Mi conosceva troppo bene per non capire che stavo mentendo.

-Laila...-

In quel momento qualcuno bussò alla porta, entrando poco dopo.

-Oh, finalmente ti ho trovato- disse la sua voce.

Entrambe ci voltammo a fissare Alec, il quale sorrideva poggiato allo stipite della porta.

-Ecco...nonna...lui è Alec, un mio compagno di college che si è offerto di accompagnarmi- risposi con voce tremante.

-Piacere- disse lui.

La nonna lo osservò per qualche secondo, poi sorrise, ma il suo gesto aveva qualcosa di amaro.

-Non è necessaria questa commedia. Sapevo che prima o poi saresti arrivato-

Vidi Alec ridacchiare divertito, entrare nella stanza e chiudere la porta.

-Vedo che non le si può nascondere niente, signora. Come lo ha capito?-

-Diciamo che sono ancora capace di qualche trucchetto. Dovresti saperlo...-

Continuavo ad osservare la nonna, Alec e viceversa, senza riuscire a capire niente.

-Ho stentato a riconoscerti, Charlotte. Diciamo che l'ultima volta che ci siamo incontrati non avevi questo aspetto. Eri molto più appetibile- e sghignazzò.

La nonna ricambiò il sorriso, aggiungendo:

-Ti ricordo anche che l'ultima volta tu avevi appena ucciso mio marito davanti ai miei occhi-

 

La nonna e Alec già si conoscevano? Come era possibile? Perchè nessuno dei due ne aveva mai parlato?

-Scusate, posso capire anch'io di cosa state parlando?- chiesi, arrabbiata.

-Io e questo giovanotto ci siamo già conosciuti molti anni fa, quando venne a reclamare l'anima di tuo nonno, pensando di spezzare così la maledizione. Purtroppo per lui tuo padre era già nato, quindi...-

-Taci!!-

-Dimmi Lucifero, come ci si sente ad inseguire uno scopo per millenni e fallire sempre per lo stesso motivo?-

-Non sei divertente vecchia. Stavolta sono stato proprio io a mettere la parola fine a tutta questa storia. Tua nipote sarà un ottimo passatempo- disse lui e mi afferrò per le spalle, schiacciandomi contro il suo petto, senza che io potessi oppormi.

La nonna mi fissò, gli occhi pieni di tristezza e colpa.

-Laila, mi dispiace così tanto- disse, mentre lo sguardo si faceva carico di rimorso.

Poi, rivolta ad Alec, riprese:

-Sappi che lei non è come le altre e te ne accorgerai. Se pensi di aver vinto ti sbagli di grosso-

Non capii le sue parole e probabilmente neanche lui, dato che entrambi la guardammo confusi.

In quel momento l'infermiera entrò nella stanza comunicando che l'orario di visita era finito e che saremmo dovuti uscire. Così, mentre Alec aspettava sulla porta, io mi avvicinai alla nonna e le diedi un bacio sulla fronte.

Mentre mi stavo allontanando però, lei mi sussurrò ad un orecchio:

-Cerca il libro del peccatore...-

 

-Cosa ti ha detto?- chiese lui quando ci avvicinammo alla macchina per andarcene.

-Non so di cosa stai parlando- risposi io, ingenuamente.

Alec mi fissò per qualche secondo, poi sbuffò, dicendo:

-D'accordo Laila, tieniti pure i tuoi segreti. Ma sai che possiedo un modo per scoprirli...- e ridacchiò.

A quelle parole e memore della volta precedente, mi schiacciai contro il finestrino.

-Tranquilla, non ho intenzione di farlo. Adesso torniamo a scuola- e, messo in moto, partirono a tutto gas.

 

Un'ombra li osservava da dietro uno degli edifici circostanti. Due occhi carichi di malvagità scrutarono entrambi con in mente un sadico piano.




N.B. Mi scuso ancora per il ritardo. Spero di vedere qualche nuova recensione in questo capitolo come nei precedenti.
Un saluto e un ringraziamento a chi ancora mi segue.

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Capitolo 10
*** Gelosia ***


Silenzio.

Finalmente.

Da quando ero tornata dalla casa di riposo accompagnata da Alec, Abigail non mi aveva lasciato respirare neanche per un attimo. Si era messa in testa che tra me e lui ci fosse qualcosa di sentimentale, romantico.

Povera illusa, se solo avesse saputo la verità.

Da qualche giorno i dolori allo stomaco si erano fatto persistenti, soprattutto quando non ero in compagnia del bel tenebroso. Ma non mi interessava: meno avevo a che fare con lui meglio era, soprattutto dopo la figuraccia che mi aveva fatto fare con quell'infermiera.

Stavo stesa sul letto della mia stanza, lo stereo a palla e gli occhi chiusi. Sospirai.

Nell'ultimo periodo avevo completamente abbandonato la frequenza dei corsi, in particolar modo perchè Alec li frequentava quasi tutti e ogni volta dovevo sorbirmelo mentre si sbaciucchiava o faceva di peggio con la gallina di turno.

Ero giunta alla conclusione che a lui piacesse stuzzicarmi in quel modo, anche se non capivo perchè “io” me la prendessi tanto per un demonio come lui.

All'ennesimo sospiro mi alzai a sedere sul letto e spensi lo stereo con il telecomando. Mi passai le mani nei capelli e li spettinai, frustrata.

Non potevo permettere a quello stronzo di rovinarmi quel poco di vita che ancora mi concedeva. Guardai l'orologio: le nove e mezza di sera.

La mia amica mi aveva detto che sarebbe andata con degli amici in un locale poco lontano dal college invitando anche me, ma io aveva declinato l'offerta. Adesso però me ne stavo pentendo.

Così mi infilai di slancio sotto la doccia per darmi un'aria presentabile, scelsi uno dei vestiti più aderenti e succinti che avessi nell'armadio, un filo di trucco ed ero pronta.

Optai per delle scarpe senza tacco, dato che avrei dovuto fare un po' di strada a piedi, ed uscii dell'edificio.

Una volta fuori, tenati di chiamare Abigail, ma probabilmente al locale non c'era linea. Nel giro di venti minuti ero davanti all'entrata del Golden Cage, uno dei posti più frequentati dai ragazzi dell'università.

Con un po' di timore, dato che di colpo mi sentivo osservata da centinaia di occhi, entrai, venendo quasi immediatamente assordata da una musica martellante e ipnotizzata da luci psichedeliche.

La pista era colma di gente che si strusciava l'una all'altra in balli suadenti e peccaminosi, un po' come nel film “Dirty Dancing”. Sorrisi al pensiero che d'un tratto il bel protagonista mi corresse incontro e mi portasse via da quel mondo colmo di problemi e infelicità.

Mentre vagavo con lo sguardo alla ricerca della mia amica, intravidi qualcuno tra la folla di cui avrei fatto volentieri a meno: Alec.

Anche lui mi aveva notato e teneva i suoi occhi fissi su di me, per poi abbassarli ogni tanto per saggiare per intero quel poco di corpo che non si vedeva dal vestito cortissimo. Lo vidi sorridere e leccarsi il labbro inferiore, mentre mi faceva un cenno di saluto con il bicchiere del drink che stava bevendo.

-Oh, ma andiamo...- sospirai, distogliendo la mia attenzione da lui.

Finalmente vidi la testa bionda della mia amica, mentre se ne stava in disparte a parlare con un gruppo di ragazzi del corso di storia antica. Mi avvicinai sorridente.

Quando mi vide, Abigail mi saltò letteralmente addosso.

-Sai, speravo che decidessi di venire. È tanto che non passiamo un po' di tempo insieme-

Mi sorrise sincera e io ricambia.

-Ho deciso di terminare la mia clausura con una bella serata devasto- dissi.

-Allora cominciamo immediatamente- rispose la bionda e mi porse un bicchiere di quello che sembrava vodka.

Senza obiettare, lo mandai giù in un colpo, sentendo l'esofago andarmi a fuoco, ma non me ne curai, chiedendone immediatamente un altro.

Nel giro di poco più di un'ora vedevo già doppio, ma mi stavo divertendo anche un sacco. Mi misi a ballare con uno dei ragazzi amici di Abigail e dovevo ammettere che il tipo non aveva proprio dei propositi un granchè sani.

Io però ero completamente disinibita.

Ad un tratto mi voltai a guardarlo in faccia, dato che nell'enfasi non ricordavo neanche come fosse d'aspetto. Rimasi interdetta: era davvero carino.

D'improvviso mi ritrovai il suo volto a pochi centimetri dal mio. Intuii immediatamente cosa voleva fare, ma lo fermai grazie solo ad un dito, che gli posi sulla punta del naso, allontanandolo.

-Scusa, vado a prendere da bere. Ci vediamo tra un attimo-

Mi feci largo tra la gente che ballava, sino a raggiungere il bancone, sul quale quasi mi accasciai. Stavo davvero male, ma non volevo che niente rovinasse quella serata.

-Anche tu da queste parti?-

Ecco, appunto.

Mi voltai verso quello che aveva parlato, scocciata e con un'inizio di incazzatura.

-Almeno per stasera potresti fare finta che non esisto?-

Alec mi sorrise maligno, facendo una rapida scansione della mia intera persona.

-E come faccio? Tu non mi aiuti di certo-

Io mi sentii avvampare, mentre rimanevo incollata ai suoi magnifici occhi ambra. Probabilmente l'alcool stava facendo il suo effetto, dato che in quel momento mi sentivo incondizionatamente attratta da quel demone.

-Apprezzi ciò che vedi?- mi chiese in un orecchio.

Ma quando si era avvicinato?

Mi scansai rapida, guardandolo in cagnesco, libera dal suo incantesimo.

-Non metterti strane idee in testa-

Feci per andarmene, ma lui rapido mi bloccò tra il bancone e il suo corpo, soffiandomi sulle labbra:

-Se vedo qualcun'altro toccarti, giuro che lo incenerisco sull'istante- e detto questo si allontanò, lasciandomi interdetta e anche un po' spaventata.

Avevo bisogno di aria.

Così mi diressi verso una delle uscite secondarie. Con la coda dell'occhio vidi il ragazzo con cui stavo ballando venirmi incontro, ma io lo ignorai di sana pianta.

Fuori faceva freddo e io avevo dimenticato il cappotto. Così mi rannicchiai su uno scalino, cercando di scaldarmi con il mio stesso calore corporeo.

A qualche metro da me stava una ragazza, vestita un po' gothic, trucco scuro e abiti che parevano in lattice, che parlava con una sua amica mentre fumava una sigaretta.

La fissai per qualche secondo, poi le chiesi:

-Ehi, hai una sigaretta anche per me?-

Quella inizialmente mi guardò storta, poi me ne offrì una dal pacchetto che aveva tirato fuori dalla borsa e me la accese. Io tirai una boccata e per poco non soffocai.

Sogghignando le due alternative scomparvero di nuovo all'interno del locale.

Tirai un'altra boccata di fumo, stavolta senza tossire. Guardai la punta della sigaretta bruciare lenta e mi immaginai come doveva essere morire bruciati. Beh, nel posto in cui Alec mi avrebbe portati, quella era la dannazione più gettonata, o almeno così aveva sentito dire.

Dopo qualche minuto iniziai davvero a temere di morire congelata. Quando stavo per decidermi a rientrare, qualcosa di pesante mi fu poggiato sulle spalle.

Mi voltai, pensando si trattasse di lui, e invece incontrai lo sguardo chiaro e tenero di Gabe.

-Ciao- mi sorrise lui.

-Ciao- risposi io, balbettando.

Di colpo mi era tornata in mente l'ultima volta che ci eravamo visti e come era finita. Arrossii e a momenti mi parve che dovesse uscirmi il fumo dalle orecchie.

-Tutto bene?- mi chiese, sedendosi accanto a me.

Io distolsi lo sguardo, ancora più imbarazzata.

-Non sapevo fumassi- aggiunse poi, indicando con un cenno della testa la sigaretta che mi si stava consumando in mano.

-Infatti, non fumo- risposi, gettandola via.

-Come mai te ne stai qui fuori tutta sola? Mi sembrava che ti stessi divertendo-

-Ecco...io...cioè...-

-Non devi giustificarti. Se vuoi resto a farti un po' di compagnia- sorrise sincero e io feci altrettanto.

Quel ragazzo era speciale, emanava un'aura di serenità che mi faceva stare bene, dimenticando ogni cosa brutta che fosse capitata. Era come se nei suoi occhi riuscissi a scorgere l'infinità del cielo.

-Laila, ti senti bene?-

Quella domanda interruppe i miei pensieri.

-Ho solo bevuto un po' troppo- risposi e distolsi lo sguardo.

Lui mi strinse forte una delle mani che tenevo sulle ginocchia, facendomi sobbalzare. Di colpo mi ricordai delle parole di Alec e cercai di ritrarmi, ma senza risultato. Gabe sembrava intenzionato a non lasciarmi andare.

-Se qualcosa ti turba, Laila, vorrei che me ne parlassi-

-Non so di cosa tu stia parlando-

-Riesco a vederlo nei tuoi occhi che non sei serena, che c'è qualcosa che ti preoccupa. Lo vedo anche dalle impercettibili occhiaie che hai tentato di nascondere con il trucco. Significa che non riesci a dormire bene. Avanti, dimmi cosa ti assilla-

Ma come mai era così insistente? Cosa ci trovava in me? Perchè avevo come la sensazione che lui conoscesse molto di più di quello che voleva far intendere?

Stavo per aprire bocca, quando qualcuno davanti a noi si schiarì la voce.

Entrambi alzammo gli occhi per vedere chi fosse e ci trovammo davanti Alec, incavolato nero. Mi meravigliai che i suoi occhi fossero rimasti color ambra.

-Con chi ho l'onore di parlare?- chiese, rivolto al ragazzo accanto a me.

-Mi chiamo Gabe. E tu chi sei?-

-Sono Alec, il fidanzato di Laila-

Come?!?

Stavo per replicare, ma una sua occhiata mi fece desistere dal farlo.

-Davvero? Laila non mi ha detto di essere fidanzata-

-Ma rimane il fatto che lo sia-

Io di scatto sganciai la mano da quella di Gabe e mi allontanai di qualche centimetro da lui, spaventata dal tono che Alec aveva assunto.

Il ragazzo seduto accanto a me si alzò in piedi, trovandosi faccia a faccia con il moro. Quello stava ridendo.

-Non credere che mi arrenderò. Lei con te non è felice, la salverò da questo oblio-

-Fai pure. Non aspetto di meglio-

Poi si avvicinarono ulteriormente, parlando ad un tono di voce che non riuscii a captare. Dopodichè Gabe si allontanò.

Cadde il silenzio, mentre aspettavo di scoprire cosa Alec mi avrebbe fatto.

-Vieni, ti accompagno a casa- sospirò lui.

Rimasi interdetta da quelle parole e lo fissai. Lui non mi guardava. Così, titubante e ancora instabile a causa dell'alcool, mi alzai in piedi.

Quando però feci per superarlo, sentii la sua presa sul mio braccio, poi solo il contatto con la parete del vicolo.

Il suo volto a pochi centimetri dal mio. Poi un bacio, veloce e freddo.

-Mi sembrava di essere stato chiaro, Laila. Quel ragazzo non mi piace. Non mi piace come ti parla, come ti guarda, ma soprattutto come ti tocca-

Io lo fissai, poi un sorrisetto mi si allargò sulle labbra, nonostante il suo peso che mi schiacciava contro il muro mi togliesse quasi il fiato.

-Oh, Alec. Non dirmi che è gelosia quella che vedo nei tuoi occhi-

Lo vidi paralizzarsi, senza aggiungere una parola. Strinse i denti in un ringhio, mentre vedevo i pugni contrarsi ai lati del corpo. Avevo colto nel segno.

-Bene, bene, bene. Il Diavolo geloso di una sua preda. Questo si che è divertente-

-Laila, non abusare della mia pazienza. Tu sei mia e di nessun altro, sono stato chiaro?-

-Non ti scaldare. Sai, trovo che tu sia più umano di quanto tu creda- e detto questo si allontanò, lasciandolo solo nell'oscurità della sera.

 

POV ALEC (LUCIFERO)

 

Cosa accidenti mi sta succedendo? Cos'è questa sensazione che mi sta divorando dall'interno e che non riesco a spiegarmi. Gelosia?

Davvero sono capace di provarla? Davvero sono così colpito dalla presenza di Laila da considerarla come di mio possesso?

Ma poi cos'è la gelosia? Per provarla devi prima provare amore e sono sicuro che non sento né l'uno né l'altro. Non ne sono capace.

Non ho un cuore che mi permetta di farlo.

Ma allora perchè con lei è diverso?

Ma come si permette di ridere di me, prendermi in giro, considerarmi come un essere umano? Come osa?!?

Giuro che renderò quel che resta della sua esistenza un vero supplizio. Lei mi implorerà di mettere fine alla sua esistenza?

Vuoi la guerra, piccola Laila? Pensi di aver trovato il mio punto debole?

Ti sbagli di grosso e, purtroppo, te ne accorgerai troppo tardi.

AHAHAHAH

 

POV LAILA

 

Giuro, per un attimo ho avuto davvero paura di lui, dei suoi occhi così maligni. Ma allora perchè ne rimango ogni volta incredibilmente affascinata?

E' come se avesse uno strano potere su di me, come se fosse capace di tirare fuori una parte della mia anima da sempre nascosta nelle profondità di me e la cosa mi spaventa.

Sono sicura che dopo stasera architetterà sicuramente qualcosa di crudele per vendicarsi della mie illusioni sulla sua parte umana.

Accidenti a me e alla mia linguaccia!!

Ma in fondo sono curiosa di sapere cosa gli passa per la mente. Adesso che ho trovato il punto dove colpirlo, inizio a divertirmi anch'io.

Se in questo momento mi sentisse, direbbe sicuramente:

Piccola Laila, la curiosità uccise il gatto”

Ma in questo caso, chi sarà il gatto?

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Capitolo 11
*** La rivincita di Laila ***


Ogni discendente conoscerà la maledizione del proprio sangue. Il Diavolo lo braccherà come fosse un animale, lo renderà pazzo insinuando in lui il dubbio. Io, Giuda, accettai il patto senza conoscerne la clausule, condannando me e chi da me discenderà. Persino Dio è diventato sordo e cieco, persino colui che promise di perdonare anche i peccatori non accetterà la mia richiesta d'asilo nel suo regno, né quella di chi verrà dopo di me.

Un'eternità di tormenti e supplizi attendono lo sfortunato.

Sono riuscito ad ingannarlo, impedendogli di portarmi con sé nelle profondità del suo regno sotterraneo, ma non riuscirò a sfuggirgli ancora per molto.

Ma esiste un modo, lo so, lo sento.

Il Salvatore. Lui sapeva cosa avevo fatto, eppure riusciva ancora a guardarmi con amore e pietà. In punto di morte, mi rivelò che un modo c'era per liberarsi dal patto, ma che non sarebbe stato mio il compito di scoprire quale...”

 

Dal “Diario del peccatore”- 34 d.C

Perduto – ubicazione sconosciuta

 

 

 

Ero preoccupata. Si, dovevo ammetterlo, nonostante l'euforia del momento, in quel momento rabbrividivo al solo pensiero di quello che il demonio avrebbe architettato per farmela pagare.

Era quasi una settimana che Alec non mi ronzava intorno e ciò era molto strano. La cosa però che mi sembrò ancora più strana fu il fatto che, mentre mi aggiravo per il campus, mi guardavo intorno, quasi come se lo stessi cercando.

Mi detti della stupida e decisi che probabilmente seguire qualcuno dei corsi avrebbe aiutato a distrarmi.

Guardai l'orologio che portavo al polso: erano le undici e mezza. A quell'ora avevo storia delle religioni.

Così mi affrettai per raggiungere l'aula, dove trovai un posto in una delle ultime file. Quando il professore entrò, le luci si spensero di colpo.

-Bene ragazzi, oggi voglio tenere una lezione un po' particolare. Quindi mettete via i fogli e prestate occhio e orecchio-

Una ragazza da una delle prime file alzò la mano per chiedere di parlare, ma il professore la interruppe subito, dicendo:

-No, signorina, non sarà argomento d'esame. Quindi rilassatevi e godetevi la lezione-

Nel frattempo, alle sue spalle, era stato calato il fondale bianco per le proiezioni.

Io, incuriosita, mi feci attenta.

-Bene ragazzi, saprete che dalla nascita della scrittura sono nati un'infinità di libri e saggi che ci permettono di conoscere il passato dell'umanità, i loro usi e costumi, le loro abitudini. Diciamo che questi documenti sono la materia prima per ogni archeologo degno di questo nome-

Nella stanza nessuno fiatava. Il professore era riuscito nell'intento.

-Ma se vi dicessi che invece ci sono libri che non dovrebbero neanche esistere?-

Rimasi interdetta: cosa significava quell'affermazione?

Con il comando del proiettore fece partire le diapositive. Una pagina ingiallita e rovinata apparve davanti agli occhi di noi studenti. Era scritta in una strana lingua.

-Per esempio, prendiamo la nostra Bibbia. Sapevate che non furono scritti solo i quattro vangeli di cui è attualmente formata? Ce ne erano molti di più, ma ognuno di quelli affermava cose che la Chiesa riteneva non veritiere o sacrileghe, quindi furono eliminati. Uno di questi, non un vero e proprio vangelo, ma una raccolta di testimonianze di quel periodo, è riuscito a salvarsi, ma è attualmente perduto chissà dove-

Nell'aula non volava una mosca. Iniziai ad avere una strana sensazione, come se quello che stavo per sapere sarebbe risultato di vitale importanza. Osservai a lungo la foto della pagina di vangelo, probabilmente in lingua aramaica, parlata nell'epoca di Cristo, incapibile e impronunciabile, ma che in qualche modo mi affascinava.

-Conoscete tutti Giuda Iscariota?-

A quel nome sobbalzai. La diapositiva cambiò davanti ai miei occhi, mostrando una pagina di qualche monaco amanuense, la quale ritraeva il disegno di un'antico volume, rilegato con una copertina nera e scritte dorate, dotato di strani luccetti.

-La pagina che vedete è stata ritrovata in un monastero cristiano alla fine del XIII secolo in Inghilterra. Si parla di un sorta di diario che il peccatore avrebbe scritto poco dopo la morte di Cristo. Nessuno riuscì ad aprirlo e il manoscritto andò perduto-

Silenzio.

-Una leggenda aleggia su quel diario: si dice che contenga un segreto che solo il sangue di Giuda può rivelare, capace di ribaltare le stesse leggi dell'Universo-

Rimasi di sasso. Il diario del peccatore? Quello che la nonna mi aveva detto di cercare? Ma come potevo io trovare un libro che era perso da quasi due millenni? Sbuffai.

In quel momento la campana che segnava la fine della lezione suonò, quindi fui costretta a recuperare le mie cose e andarmene. Poi però mi fermai sulla porta e tornai indietro. Mi avvicinai al professore, girato di spalle mentre sistemava i suoi appunti e mi schiarii la voce:

-Mi scusi?-

Quello si voltò: era un uomo sulla quarantina, alto, tonico, di bell'aspetto. Capelli e occhi chiari. Le sorrise.

-Posso fare qualcosa per lei, signorina...-

-Judes. Laila Judes-

-Interessante cognome. Comunque se ha da chiedermi qualcosa lo faccia subito perchè sono già in ritardo per un'altra lezione- rispose l'uomo e si voltò di nuovo ad riodinare i fogli e le diapositive.

-Ecco...io...ero interessata alla faccenda del diario del peccatore, il manoscritto introvabile. Se ne sono perse completamente le traccie?-

Quello si voltò, un po' spiazzato dalla mia domanda. Poi si appoggiò alla scrivania e incrociò le braccia sul petto.

-Immaginavo che qualcuno rimanesse influenzato da questa mini lezione sui manoscritti scomparsi. Ecco, secondo gli storici, l'ultima testimonianza della presenza del diario si è avuta nelle cronache di uno degli incendi della famosa Biblioteca di Alessandria, credo intorno al 640 d.C., per poi ritrovarlo direttamente nella pagina amanuense che vi ho mostrato prima. Si dice che neppure le fiamme dell'incendio lo abbiano consumato. È protetto dalla volontà divina-

-Mi sembra un po' un controsenso, professore. Giuda è stato un traditore di Dio, come può lui proteggere ciò che è stato suo?- chiesi ingenuamente.

-Questo nessuno lo sa. Non è dato conoscere ciò che il diario contiene, dato che nessuno è mai riuscito a leggerlo-

Rimasi in silenzio per qualche secondo.

-Non ci pensi troppo signorina. Probabilmente tutta questa storia è solo una leggenda- e ridendo, si allontanò.

-Si, certo. Magari fosse così...-

 

Camminavo per il campus, assorta nei miei pensieri. Stavo pensando ancora alla storia del diario, senza riuscire a venirne a capo. Pensai che il fatto della protezione divina fosse una balla. Come poteva Dio proteggere un qualcosa che avrebbe distrutto l'equilibrio universale? Come poteva permettere alle testimonianze di colui che aveva mandato il suo unico figlio sulla croce di continuare ad esistere?

D'un tratto avvertii delle risate poco lontane da me. Alzai lo sguardo dai miei piedi e notai un gruppetto di ragazzi che rideva e scherzava.

Sorrisi anch'io, avendo riconosciuto la testa bionda di Abigail tra di loro. Così presi ad avvicinarmi.

Quando però fui a pochi passi, mi bloccai di colpo.

Letteralmente incollato alla mia amica stava proprio lui, Alec, i modi da seduttore e occhiate languide. La cosa assurda era che quella cretina di Abigail stava al gioco come una delle tante.

Non avevo il coraggio di avvicinarmi e, dato che entrambi mi voltavano le spalle, probabilmente me ne sarei potuta andare senza che se ne accorgessero.

Purtroppo però il bastardo aveva probabilmente avvertito la mia presenza, dato che si voltò lentamente a guardarmi, mentre, placido, accarezzava un braccio della mia amica, la quale faceva finta di niente e ridacchiava ogni tanto.

I suoi occhi erano cattivi, irriverenti, come a volermi dire che me la stava facendo pagare. E anche con gli interessi.

Mi portai una mano al petto. Perchè vederli abbracciati in quel modo mi provocava quel dolore? Perchè il cuore batteva all'impazzata tanto che pareva mi dovesse schizzare fuori dal petto?

La gola si era fatta secca, la mascella serrata.

D'un tratto qualcosa mi scivolò lungo una guancia. Mi passai una mano sul viso: una lacrima.

Stavo piangendo?

Cosa mi stava succedendo? Avevo visto Alec con centinaia di donne, eppure in quel momento mi sentivo tradita.

Vidi lui sorridere maligno, ma era come se il suo sguardo fosse stupito dalla mia reazione.

Alzai il mento, strafottente, feci dietro front e mi allontanai, correndo.

Era forse quella la gelosia?

 

Che cosa aveva fatto quel demone al mio corpo? Perchè non riuscivo a farlo smettere di tremare? Perchè la visione di lui con Abigail mi faceva così male?

Mi stesi sul letto, la faccia nascosta sul cuscino, cercando di ritrovare il ritmo giusto di respirazione. Strinsi i pugni e gridai contro la stoffa della federa.

Quel bastardo voleva la guerra? E guerra avrebbe avuto.

Non era mai successo che Laila Judes si arrendesse di fronte ad una sfida.

Mi alzai, andai in bagno e mi sciacquai il viso. Decisi che mi sarei messa un po' a studiare, tanto per non dimenticare come si faceva. Così mi sedetti sotto la finestra e aprii il libro.

Non sapevo quanto tempo fosse trascorso, ma la luce del giorno prese a diminuire, chiaro segno che il sole stava tramontando.

Staccai gli occhi dal libro, osservando il parco del campus che si estendeva sotto i miei occhi. D'un tratto qualcosa però attirò la mia attenzione: un'ombra, nascosta dietro uno degli alberi proprio sotto la mia finestra.

Ero sicura mi stesse osservando, come se avvertissi il suo sguardo trapassarmi da parte a parte. Un brivido mi scosse e uno strano gelo si propagò nel mio corpo.

Il tempo però di un battito di ciglia che il misterioso guardone era sparito.

Che mi fossi immaginata tutto?

 

Il giorno seguente fu stressante. Fui costretta a trascorrere l'intera giornata in compagnia di Abigail e Alec, il quale non perdeva occasione di lanciare occhiate maligne mentre sussurrava qualcosa nell'orecchio della mia amica, la quale rideva come una deficiente.

Mi prudevano le mani, giuro. Avrei infilato volentieri ad entrambi la testa sotto terra.

Ma non potevo far vedere il mio disagio, non avrei permesso a lui di vincere. Così, quando ne avevo l'occasione, mi comportavo esattamente come lui con qualche povero sfortunato che mi capitava a tiro.

D'un tratto, mentre ce ne stavamo tutti e tre seduti all'ombra di un albero e io stavo meditando sul modo più veloce e meno dispendioso per farli fuori entrambi, di lì passò il ragazzo con cui avevo ballato quella sera al pub.

Mi salutò da lontano e in quel momento mi venne in mente un idea. Era il momento di far scattare la trappola.

Così lo chiamai civettuola, mi alzai e corsi verso di lui. Sapevo che Alec mi stava guardando, lo sentivo.

Mi avvicinai a lui con una scusa e iniziai a strusciarmi come una gatta. Vedevo il poveretto a disagio, ma scorgere le occhiate di fuoco che quel demonio mi lanciava non aveva prezzo.

Ad un certo punto decisi di fermarmi, dato che altrimenti il ragazzo mi sarebbe saltato addosso.

Così lo salutai con un gesto della mano, sfoderando anche uno di quei provocanti occhiolini, e tornai verso i due ancora sotto l'albero.

Mi protesi per recuperare la mia roba e avvertii distintamente Alec che digrignava tra i denti:

-Laila...-

-Troppo bello giocare da soli, vero?- e me ne andai verso la mia stanza.

Ero sicura che se in quel momento avesse potuto uccidermi lo avrebbe fatto.

 

Mentre tornavo verso la mia stanza, assorta nei più reconditi pensieri, andai a sbattere contro qualcuno.

-Oh, mi dispiace...- dissi, avendogli fatto cadere un paio di libri dalle mani.

-Laila, non preoccuparti...-

Alzai lo sguardo, trovandomi il volto di Gabe, sorridente, a pochi centimetri dal mio.

-Ciao- mi disse lui, non muovendosi di un centimetro.

-C...ciao- balbettai io, presa alla sprovvista.

Di colpo mi allontanai, finendo però seduta a terra. Lui si mise a ridere, divertito, aiutandomi poi ad alzarmi.

-Vedo che stai molto meglio dall'altra sera-

-Si, decisamente. Anzi, mi spiace per l'inconveniente con Alec...-

-Oh, non preoccuparti-

-In realtà non stiamo insieme. È lui che si è convinto del contrario-

-Beh, vedo però che ha già trovato un nuovo passatempo- rispose Gabe, lanciando un'occhiata alle mie spalle.

Mi voltai, trovando Abigail e il bastardo che stavano camminando verso di noi, la prima che cinguettava e ridacchiava come una cretina, il secondo che metteva le mani ovunque ne avesse la possibilità.

Strinsi i denti e mi irrigidii. Credo che Gabe lo notò, dato che mi circondò le spalle e mi fece voltare.

-Allora Laila, che ne dici? Lo andiamo a vedere questo luna park giù al porto?- mi chiese, ad un tono di voce fin troppo alto.

Rimasi interdetta per un attimo, poi capii qual'erano le sue intenzioni. Nonostante non avessi mai avuto simpatia per quel genere di cose, lo assecondai volentieri. Prima però mi voltai, notando che Alec si era accorto di noi e ci stava guardando, furente.

-Perchè no? Tanto non ho niente da fare. Quando andiamo?-

-Domani sera. Ti passo a prendere alle otto-

-D'accordo, a domani-

Prima di andarsene, mi lasciò un candido bacio ad un angolo della bocca. Quello non era certo previsto, ma non le dispiacque di certo.

Quando si allontanò, vidi chiaramente lo sguardo che rivolse al demone, il quale sarebbe stato capace di incenerirci all'istante.

Io rimasi impalata dov'ero per qualche secondo, poi ripresi la strada per il dormitorio. Prima però mi concessi un'ultima occhiata furente da parte del bastardo e, con le labbra, mimai:

-Chi la fa, l'aspetti- e, con un sorrisetto strafottente, me ne andai.

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Capitolo 12
*** Appuntamento ***


Ma cosa diamine mi era venuto in mente?!?

Dovevo essermi ammattita oppure in quel momento il mio cervello aveva deciso di scollegarsi e andarsene in vacanza.

Ma come mi era venuto in mente di cominciare quel gioco perverso e infantile proprio con lui?

Non sarei mai stata capace di uscirne vincitrice, o peggio, uscirne e basta...

Mi ero messa contro il maestro degli inganni e delle perversioni senza pensarci un secondo. Accidenti a me!!

Alzai lo sguardo verso lo specchio mentre me ne stavo seduta sul letto. Nella stanza accanto Abigail si stava facendo la doccia. Quando ci eravamo incrociate, non aveva aperto bocca, ma mi aveva semplicemente rivolto un sorrisetto strafottente, di conquista. Non l'avevo mai vista in quel modo, era come se fosse diventata un'altra persona, come se nei suoi occhi ci fosse stata una scintilla diversa, ed ero più che sicura che ci fosse il suo zampino.

Osservai il mio riflesso, quasi come se non fossi io. Indossavo un paio di jeans scuri, una maglia larga a maniche corte e un giubbotto di eco-pelle. Ai piedi scarpe da ginnastica. Avevo lisciato i capelli e avevo dato un po' di colorito al mio viso pallido. Per un attimo riuscii a sorridere: stavo bene, dovevo ammetterlo. Poche occasioni mi avevano portato a curarmi in quel modo e mi stupii che quell'appuntamento fosse una di quelle poche.

Stavo aspettando che Gabe mi passasse a prendere e più pensavo a quell'uscita, più mi sembrava stupido l'aver accettato.

Ripensare allo sguardo che Alec mi aveva rivolto quando avevo accettato quell'assurdo invito, mi provocava brividi in tutto il corpo. Avevo visto la rabbia nei suoi occhi, rabbia che sapevo avrebbe scatenato prima o poi, pregando egoisticamente non fosse su di me o su Gabe.

In quel momento però non avevo minimamente pensato a ciò che stavo dicendo, dato che la visione di lui appiccicato alla mia migliore amica mi aveva fatto letteralmente rodere lo stomaco.

Non certo per lui, davvero.

Piuttosto avevo paura che facesse qualcosa ad Abigail...

I miei pensieri furono però interrotti da qualcuno che bussava alla porta.

-Arrivo!!- esclamai e, afferrata la borsa accanto a me sul letto, mi affrettai ad aprire.

Quello che però mi trovai di fronte non era certo Gabe.

-Che cosa ci fai qui?- chiesi, tentando di mantenere ferma la voce.

Lui mi scrutò per un secondo, appoggiato allo stipite della porta con una mano e l'altra nella tasca dei jeans scuri. Pareva divertito, poi il suo sguardo si fece duro.

-Allora vai davvero fuori con quello?- mi chiese.

-“Quello” ha un nome ed è Gabe. Comunque credo che non ti debba interessare. Tu piuttosto non mi hai ancora detto perchè sei qui-

Un sorriso maligno si schiuse sulle sue labbra perfette, mentre le sue sopracciglia rimanevano incurvate in un'espressione corrucciata.

-Sono venuto a prendere Abigail-

Quelle cinque parole ebbero la capacità di chiudermi lo stomaco di colpo, come se qualcuno mi ci avesse tirato un pugno, mentre la mascella si faceva rigida, così come braccia e gambe. Che cosa speravo? Che per l'ennesima volta fosse venuto per fermarmi? Per un attimo una parte di me ci aveva quasi sperato.

Senza che me ne rendessi conto, sentii il suo respiro vicino ad un orecchio e la sua voce sussurrarmi:

-Qualcosa non va, Laila?-

Non ebbi modo di rispondere, in quanto Gabe spuntò dal corridoio. Vedendo però Alec così pericolosamente vicino, si fermò, fissandolo con occhio duro e serio.

-Tutto a posto?- chiese, più indirizzato a me che a lui.

Io mi voltai a guardarlo, distogliendo poco dopo lo sguardo.

-Si, andiamo- e superai Alec, assestandogli una spallata.

Lui si massaggiò l'arto, al quale ovviamente non avevo fatto niente, mentre sorrideva, cosa che mi fece ancora più male.

Non appena raggiunsi Gabe lui mi passò un braccio attorno alle spalle. Sapevo che stava continuando a guardare Alec. Io però non feci lo stesso. Dopodichè ce ne andammo insieme.

Perchè stavo così male?

 

-Allora Laila, cosa è successo?- mi chiese Gabe quando fummo fuori dall'edificio.

La vicinanza con lui mi aveva un po' ritirato su il morale, anche se il petto mi faceva ancora male, ma la cosa peggiore era che non capivo perchè. Mi riscossi, cercando di non pensarci. Così lo guardai sorridendo:

-Niente di importante. Non parliamo di lui, ti va?-

-D'accordo. Allora andiamo?-

Sapevo che per Gabe la storia non era chiusa, lo vedevo nel suo sguardo. Nonostante mi sorridesse, i suoi occhi non trasmettevano la stessa luce di sempre. Era come se la presenza di Alec li rendesse spenti, come se quell'aura di pace che spesso avvertivo venisse corrotta da quella scura e velenosa del demonio.

Ci fermammo poco fuori dal campus. Notai una bellissima moto parcheggiata davanti all'ingresso.

-Ti piace?- mi chiese, forse notando il mio sguardo di ammirazione.

-E' tua?- dissi io ingenuamente, dato che i due caschi che aveva in mano erano una prova più che sufficiente.

-A dir la verità è del mio coinquilino, ma se ha avuto questo effetto, dirò volentieri che è mia-

Io arrossii e sorrisi come se avessi una paralisi facciale. Lui mi osservò qualche secondo: vedevo qualcosa nel suo sguardo che mi fece battere più forte il cuore, una luce che non so come avrei voluto vedere almeno una volta negli occhi di Alec.

-Stai pensando ancora a lui?-

Mi riscossi, notando che gli occhi di Gabe erano tornati seri.

-Certo che no. Andiamo adesso- risposi cercando di togliermi dall'imbarazzo e afferrando il casco.

Lui montò in sella e mise in moto, aspettando che io prendessi posto dietro di lui.

-Tieniti- mi disse attraverso il casco integrale e mi afferrò entrambe le mani in modo che io le unissi all'altezza del suo addome.

Per un attimo di irrigidii.

Dopodichè partimmo a tutto gas verso il porto.

 

Dovevo ammettere che il posto non era male. Il porto era stato addobbato di mille luci che si specchiavano nella distesa d'acqua a quell'ora scura come la notte, ma che si distingueva dal cielo grazie al moto di piccole onde che ne corrompevano la forma piatta e tranquilla.

Il lungomare era occupato da graziosi stand che vendevano qualsiasi tipo di oggetto, dal gioiello al pezzo d'antiquariato.

La via era piena di coppiette e famiglie, più o meno giovani, mentre lo schiamazzo dei bambini euforici si distingueva chiaramente dal rumore del mare.

Appena più indietro del molo stava il fantomatico luna park, con le sue luci forti e le sue melodie ripetitive e ipnotiche.

Scesi dalla moto di Gabe togliendomi il casco e fissai l'ambiente, affascinata.

-Ti piace?- mi chiese il mio cavaliere, giungendomi alle spalle.

Sentii una piccola lacrima scendermi su una guancia.

-Laila, tutto bene?-

Risi, stavolta sul serio.

-Era da quando avevo dieci anni che non venivo ad un luna park. Fu mio padre a portarmici l'ultima volta. Sono proprio una stupida- dissi, asciugandomi il viso facendo attenzione di non togliermi anche il trucco.

-Non è una cosa stupida la tua. Se vuoi possiamo andare da un'altra parte-

Io lo fissai.

-Neanche per sogno. Anzi, pretendo di tornare a casa con qualcosa che vincerai per me- e presi a correre verso uno degli stand, mentre sentivo Gabe venirmi dietro.

Nonostante tutto ero contenta. Quell'uscita mi ci voleva ed ero quasi riuscita a scordare la faccia strafottente di Alec.

Con Gabe stavo bene, anzi benissimo e forse stavo cominciando ad affezionarmi. Ma sentivo che mancava ancora qualcosa.

Mentre lui stava tentando la fortuna ad uno degli stand, io mi allontanai un poco, poggiandomi al parapetto del lungomare, fissando il mare scuro e calmo. Sorrisi sentendo lo schiamazzo della gente e mi voltai un attimo verso una coppietta che si stava scambiando calde effusioni.

Li guardai con una punta di invidia, sognando per un attimo la loro felicità, una vita normale che non avrei mai avuto.

Poi ad un tratto avvertii il suono di un campanello accanto al mio orecchio sinistro. Mi girai stupita, incontrando lo sguardo di Gabe, il quale stringeva in mano una catenina con una piccola pallina d'argento come ciondolo.

-Che cos'è?- gli chiesi, affascinata dal gioiello.

-Un regalo- mi sorrise lui e me lo poggiò in mano.

Lo osservai per qualche secondo, come se fosse la cosa più bella che avessi mai visto.

-Grazie- gli dissi con un filo di voce e tornando a guardarlo negli occhi.

Eravamo vicini e riuscivo quasi a sentire il battito del suo cuore che, al contrario del mio, sembrava quasi che non battesse.

D'improvviso fu come se l'ambiente attorno a noi fosse sparito, lasciando solo il suono dei nostri respiri a farci da sottofondo.

Lui avvicinò il suo viso al mio e io per un secondo chiusi gli occhi, aspirando il suo profumo.

-Laila, riuscirò a fartelo dimenticare- mi sussurrò a poca distanza dalle mie labbra, prima di posarvi sopra un debole bacio.

Sentii come se il mio corpo venisse invaso da un improvviso calore e bramai in maniera incomprensibile un altro contatto.

Poi però l'incanto fu interrotto da una fitta allo stomaco che mi fece gemere, facendomi accasciare tra le braccia di Gabe.

-Che succede?- mi chiese lui, preoccupato.

Mi guardai intorno, in quanto quella fitta poteva significare solo una cosa. E fu allora che lo vidi.

I suoi occhi avevano assunto una sfumatura rubino che riuscivo a vedere anche da quella distanza, le labbra incurvate in una smorfia di disappunto.

Al suo fianco Abigail, appiccicata a lui, lo sguardo colmo di una strana voglia.

Rabbrividii, mentre Gabe lo fissava a sua volta.

-Che cosa ci fa qui?- lo sentii sussurrare a sua volta.

In quel momento mi staccai da lui, come se avessi ricevuto una scossa elettrica, e dissi:

-Devo andare un attimo in bagno. Aspettami qui, ok?-

Lui mi fece un cenno distratto di assenso con la testa ed io mi allontanai.

Volevo andarmene da quel posto, sottrarmi al suo sguardo, a quella sua capacità di farmi così male senza neanche toccarmi.

Camminai per qualche minuto in cerca di un posto dove né Gabe né Alec potessero trovarmi. Giunsi in una parte del molo dove si trovavano gli alloggi dei giostrai. Non c'era nessuno.

Così mi accasciai contro la parete di una delle casette mobili e mi strinsi lo stomaco. Il dolore stava passando, per fortuna.

Avrei voluto farla finita in quel momento, dire basta a quella dannata esistenza, ma sapevo che lui non mi avrebbe mai permesso quella scelta. Poi il suono del piccolo campanello mi riportò alla ragione: dovevo combattere, cercare un modo per liberarmi dal suo controllo.

Era quasi divertente come in me convivessero quelle due differenti e opposte volontà.

A fatica mi alzai in piedi e feci per tornare verso il punto dove avevo lasciato Gabe. Per un attimo lo intravidi, davanti ad Alec e pareva molto arrabbiato, mentre gli puntava un dito sul petto. L'altro era girato di spalle, quindi non potevo vederlo, ma mi immaginavo che lo stesse fissando con sufficienza e strafottenza.

Cosa avrei dovuto fare? Tornare da Gabe e farmi riaccompagnare a casa, dandola così vinta ad Alec, oppure ignorarlo e continuare il mio appuntamento?

Ero sicura che l'avesse fatto apposta, la stava seguendo, nonostante le sue intenzioni dimostrassero il contrario.

Ad un tratto però la mia attenzione fu attirata da un singhiozzo soffocato. Così mi voltai, lanciando un'ultima occhiata ai due ragazzi, e mi diressi lentamente verso il retro di una delle casette.

Il suono che avevo sentito proveniva proprio da dietro l'angolo.

Maledii la mia curiosità, ma era come se qualcosa mi dicesse di andare a vedere.

Errore madornale.

Quella che infatti mi si ripresentò fu una scena già vista, una sera di quasi un mese prima, quando per la prima volta conobbi Alec.

Due ombre schiacciate contro la parete di metallo, una leggermente sollevata da terra, mentre solo qualcosa di etereo si intravedeva nel buio, il quale si consumò quasi immediatamente.

Stavolta infatti arrivai che già il pasto era concluso, venendo investita dalle polveri che prima erano il corpo di una povera sfortunata.

Quando riuscii a rimettere a fuoco la scena però, fu come se una forza misteriosa mi lanciasse contro una delle pareti di metallo e mi tenesse inchiodata. Socchiusi gli occhi, incontrando di nuovo quelle due fessure ghiaccio che non avrei mai voluto rivedere.

Prima che riuscissi ad aprire bocca però, una mano me la tappò, mozzandomi il respiro.

-Guarda, guarda chi abbiamo qui. Chi lo avrebbe mai detto?-

Chiusi ancora gli occhi, avvertendo il respiro del demone farsi più vicino al mio volto, fino a sentire qualcosa di viscido sfiorarmi la guancia. Tentai di dimenarmi, ma quello, con un solo gesto, mi fece sbattere la testa contro il metallo della parete, intontendomi ancora di più. Adesso avevo il mento verso l'alto e il collo completamente in tirare, tanto che mi sembrò che i muscoli si stessero per strappare da un momento all'altro.

Cominciai a piangere, mentre cercavo debolmente di liberarmi la bocca dalla sua mano, ma senza risultato.

Ad un tratto sentii qualcosa di caldo scivolarmi dalla parte posteriore della testa e i sensi che si facevano sempre meno attenti.

Pregai. Chiesi a chiunque si trovasse lassù di aiutarmi, mentre mentalmente invocavo il nome di Gabe e, inaspettatamente, anche quello di Alec. Non volevo morire, o almeno, non in quel modo.

-Stavolta non fallirò. Gli farò una bella sorpresa...-

Quelle ultime parole mi parvero strane, come se stesse per uccidermi per far dispetto a qualcuno, ma non riuscii a pensarci, dato che stavo quasi per perdere i sensi.

Avvertii la mano dello sconosciuto lasciare lentamente la mia bocca, ma ugualmente non riuscii a far uscire una sola sillaba. Poi il suo volto si fece vicino, mentre sentivo come se qualcuno mi stesse strappando l'anima dal petto.

Le ginocchia cedettero, ma il mio corpo fu accompagnato dalla sua presa. Senza variare la distanza tra di noi, mi ritrovai seduta a terra e lui in ginocchio davanti a me.

-Sei una creatura interessante, ragazza, ma scomoda...-

Sentii la sua voce lontana.

Le forze mi stavano completamente abbandonando, oramai sentivo il giungere della fine. Poi una scintilla e il mio aggressore scomparve dalla mia vista come una nuvola di fumo.

Senza più il sostegno del suo corpo, mi accasciai definitivamente a terra, sentendo in bocca il sapore della polvere e bagnato alla base della nuca.

Un'ombra mi si fece sopra, ma, anziché finirmi, mi prese tra le braccia e mi alzò da terra.

-Ti porto via-

Riconobbi quella voce, calda e in qualche modo rassicurante. Non risposi, anche se avrei voluto farlo. Mi limitai ad accasciarmi contro quel petto così ampio e forte e sentirmi in qualche modo protetta. Dopodichè fu il buio.





N.A.
Vi lascio con un quesito: secondo voi chi ha salvato la nostra Laila?
E chi sarà il fantomatico demone che per ben due volte ha tentato di ucciderla?
Continuate a seguirmi, dato che penso che il prox capitolo si rivelerà sconvolgente.
Aspetto qualche recensione. Un saluto Marty ^_^

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Capitolo 13
*** Cosa ho fatto? ***


Dio, che mal di testa...

Era come se mi fosse passato sopra uno schiacciasassi. Poi di colpo, con ancora il mondo immerso nell'oscurità, mi ricordai di quello che era successo al luna park. Mi alzai di scatto, rischiando però di ricadere poco dopo su quello che pareva essere il mio letto.

Ma come ci ero tornata nella mia stanza?

Con fatica mi imposi di rimanere seduta, ma la stanza in un primo momento prese a girare come se mi fossi scolata un'intera tanica di un qualsiasi superalcolico.

Quando le pareti smisero di sembrare di gomma, finalmente riuscii a guardarmi intorno.

La camera era invasa nella semioscurità e da quello che potei distinguere non c'era nessuno con me.

Che fine aveva fatto Gabe? E Alec? E quello che mi aveva attaccata?

Misi le gambe fuori dal letto, notando che l'unica cosa che mi mancava erano le scarpe. Mi trascinai fino al bagno e mi guardai nello specchio. La mia carnagione era più pallida del normale, mentre sotto gli occhi c'erano due mostruose occhiaie. Parevo quasi deperita, in quanto le mie guance erano leggermente incavate e la salivazione mi stava allappando la bocca.

Avevo una fame pazzesca e sentivo come se le gambe stessero per cedermi da un momento all'altro.

In quel momento avvertii la porta della stanza aprirsi. Mi affacciai dal bagno, notando una furtiva Abigail che sgattaiolava all'interno, in mano aveva le scarpe della sera prima e pareva quasi fosse stata messa in un frullatore.

-Dove sei stata?- le chiesi.

-Da Alec-

Il cuore mi si bloccò.

-Hai dormito da lui?- domandai, mentre mi rimettevo seduta sul letto.

-Secondo te? Anche se devo ammettere che dormire è l'ultima cosa che abbiamo fatto- e con un sorrisetto malizioso si chiuse in bagno.

Perchè faceva così male? Sentii le lacrime salirmi agli occhi e con uno scatto li stropicciai energicamente.

Perchè stavo piangendo? Cosa mi stava succedendo?

Dovevo aspettarmelo da lui. Per un attimo avevo addirittura pensato che fosse stato lui a salvarmi da quel demone che aveva tentato di uccidermi. Come avevo fatto ad essere così stupida ed ingenua?

Con imbarazzo lo ammisi: ero gelosa.

Per l'ennesima volta Abigail aveva ottenuto il premio, mentre io mi sarei dovuta accontentare delle briciole.

Sentii bussare alla porta. Fissai la porta del bagno, ma dall'interno sentivo solo lo scrosciare della doccia.

Così debolmente mi alzai. Andai ad aprire e mi trovai a fissare i suoi occhi color ambra.

-Abigail è sotto la doccia- dissi, distogliendo lo sguardo.

Gli voltai le spalle e tornai verso il mio letto. Mi ci stesi sopra e mi raggomitolai in posizione fetale.

-Come stai?- lo sentii chiedermi.

-Ti importa sul serio?-

-A dir la verità no, ma solo io posso toglierti di mezzo e ancora non è arrivato il momento-

Mi alzai, furente.

-Sai cosa penso? Penso che tu sia...-

Ma non terminai, in quanto Abigail uscì dal bagno e si fiondò su di lui.

-Ciao tesoro. Già la voglia di vedermi?-

Alec mi scagliò un'occhiata che non faceva presagire niente di buono, dopodichè con un sorrisetto malizioso rispose:

-Come potevo resistere?- e la baciò con passione.

Io mi irrigidii, dopodichè voltai loro le spalle.

-Laila, vieni a lezione?- mi chiese la mia amica.

-No, oggi no. Non mi sento bene-

-D'accordo ci vediamo dopo-

La sentii mentre si vestivi e mentre entrambi uscivano.

-Ci vediamo piccola Laila- disse lui sulla porta.

Io mi voltai e gli lanciai il cuscino, ma era già uscito.

-Ti odio!!- urlai.

 

Stavo malissimo. Oltre la spossatezza, anche qualcosa che mi premeva nel petto, un disagio che non sapevo da dove provenisse. Ultimamente, ogni qualvolta che lo incontravo, avvertivo il cuore battere all'impazzata, le gambe farsi deboli, le mani sudare.

Tutti sintomi che non mi sarei mai aspettata di provare con lui.

Eppure da qualche tempo, forse da quando mia nonna si era sentita male e io ero dovuto andare a trovarla accompagnata da lui, qualcosa era cambiato.

Ma non volevo, non lo avrei mai accettato. Eppure era inevitabile.

Dannato.

Solo questo avevo in mente in quel momento. Voleva farmi soffrire? Ebbene, ci stava riuscendo benissimo.

 

Dei passi nella stanza, come ovattati. Mi ero addormentata tra le lacrime, il cuscino che avevo recuperato dal pavimento stretto al petto. Voltavo le spalle alla porta, quindi non vidi chi era entrato.

Pensai fosse Abigail, di ritorno dal suo appuntamento con Alec.

Poi però avvertii quel qualcuno avvicinarsi e inginocchiarsi sul materasso del mio letto. Avrei voluto muovermi, sottrarmi, ma il mio corpo era inchiodato al letto, mentre il cuore aveva preso a battere come impazzito.

Un respiro si fece vicino al mio collo, mentre una mano delicata mi scansava i capelli lasciandolo scoperto.

-Chi sei?- chiesi flebilmente.

-Sai, Laila, mi sono stancato di aspettare e anche con questo stupido gioco della gelosia-

Riconobbi la sua voce, anche se era arrochita da qualcosa che non avevo il coraggio di identificare. Avvertii il suo tocco sul profilo del mio corpo, le sue mani fredde che, nonostante la stoffa dei miei vestiti, mi provocò un brivido.

-Che stai facendo? Dov'è Abigail?-

-L'ho addormentata in uno stanzino del custode. Non ci disturberà- mi disse, mentre lasciava dei caldi baci sul mio collo.

Un braccio mi circondò la vita, mentre la sua mano mi accarezzava l'addome, proprio dove si trovava il pentacolo.

-Alec, ti prego...-

-Non pregarmi, Laila. Non sono io quello da pregare. Ho deciso che non voglio più aspettare-

Lentamente mi voltò, mentre io lo fissavo impaurita.

-Perchè vuoi farmi questo? Non ti basta quanto già mi hai fatto soffrire?- gli chiesi con le lacrime agli occhi.

-Te l'ho detto, io non voglio farti soffrire. Non ancora almeno-

-Ma lo stai facendo-

-Laila, cosa vuoi?-

-Non lo so- e voltai il viso per sfuggire al suo sguardo.

Lui, con un semplice movimento del polso, mi costrinse a tornare a guardarlo, mentre ormai le mie guance erano rigate dalle lacrime.

-Sai, tu sei mia e posso fare quello che voglio di te-

Quelle parole mi fecero male, ma in qualche modo in quel momento accettai il mio destino. Lo desideravo, in un modo sadico e malato, ma lo desideravo. Ero rimasta intrappolata in quel vortice di lussuria al quale mi ero imposta di non cedere.

Così, quando lui mi baciò, io non lo allontanai, anzi, ricambiai. Dovevo aver spiazzato anche lui, dato che si allontanò un poco e mi fissò, curioso. Dopodichè sorrise ancora e tornò a prendere possesso delle mie labbra, mentre sentivo le sue mani accarezzare il mio corpo.

Ebbi un brivido quando la sua mano si insinuò sotto la mia maglia, sfiorando la mia pelle con il suo tocco gelido.

Io, le mani sulle sue spalle, mi strinsi ancora di più per far aderire i nostri corpi, nonostante sapessi che era tutto una finta, un'illusione.

In un attimo Alec fu sopra di me, continuando a baciarmi con passione e io ricambiando, completamente disinibita.

Con un gesto fulmineo lui si liberò della maglietta, lasciando in vista il suo fisico asciutto e perfetto che mi ritrovai ad accarezzare.

Lui sorrise sornione e tornò su di me, stringendomi a lui in un ferreo abbraccio. Dopodichè toccò a me liberarmi di qualcosa e rimasi in reggiseno sotto il suo sguardo colmo di desiderio.

Mi baciò le labbra, per passare poi alle guance, alla mascella e scendere giù per il collo, sino all'incavo dei seni, mentre avvertivo la sua mano che giocava con il bottone dei miei jeans.

Inarcai la schiena, gemendo. Lo sentii ridere.

Ciò che accadde in seguito fu come offuscato. Come un sogno dal quale non avrei mai voluto svegliarmi.

Sapevo che era uno sbaglio, sapevo che in quel momento non vi era alcun tipo di sentimento, almeno non da parte sua.

Si, perchè per me aveva significato qualcosa. Nonostante tutto, io l'avevo voluto, anche se sapevo di non avere la minima scelta. Mi ero abbandonata al diavolo, avevo dannato la mia anima.

Poi però, quando mi ritrovai tra le lenzuola con lui, addormentavo, che mi stringeva a sé dopo aver raggiunto l'apice insieme, un pensiero mi sconvolse: cosa avevo fatto?




N.A. Mi scuso per il capitolo breve, ma spero che piaccia comunque. Non rimaneteci troppo male.
Alec si sta rivelando un pò diverso dal normale stereotipo. Cercherò di non renderlo troppo "puccioso", ma devo pur farlo un pò più adatto al rapporto con Laila.
Ringrazio chi legge, chi ha recensito e chi continuerà a farlo. Aspetto commenti.
Un saluto Marty.

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Capitolo 14
*** L'arcangelo ***


Rimasi a fissare il soffitto della mia stanza, mentre intravedevo dalla finestra la luce del sole intensificarsi sempre di più, segno che era giunta l'alba. Avvertivo il respiro leggero di Alec al mio fianco, il quale pareva dormire beatamente, ignaro di ciò che aveva invece scatenato dentro di me.

In quel momento mi voltai su un fianco, dandogli le spalle.

Il mio corpo prese a tremare, mentre io tentavo di trattenere i singhiozzi che, senza freno, mi salivano dal petto.

Mi facevo schifo, come avevo potuto cedere a lui, dopo tutto quello che mi aveva fatto?

La cosa che però mi fece ancora più schifo fu che in fondo mi era piaciuto.

La sua voce, il suo respiro, erano stati ipnotici, tanto che avevo completamente annullato ogni mia volontà di resistere. Adesso però avrei voluto mettere più cilometri possibili tra me e lui.

Mi sentivo strana, come se qualcosa fosse cambiato in modo irreversibile.

Mi alzai a sedere, mettendo le gambe fuori dal letto, intenta a cercare almeno la mia biancheria. Quando però stavo per alzarmi, una mano mi cinse il braccio, facendomi sussultare.

-Dove vai?- mi chiese lui.

Mi voltai, notando che il colore dei suoi occhi era rimasto quello rubino.

-A farmi una doccia-

-Laila...-

-Perchè mi hai fatto questo?!? Non ti bastava avere già in mano tutta la mia vita?!?- risposi, tagliente, scattando in piedi.

Non mi importava di ritrovarmi nuda davanti a lui. In quel momento poche cose mi importavano.

-Adesso ti ho reso mia a tutti gli effetti- rispose Alec, girandosi sulla schiena e incrociando le mani sotto la testa.

Nonostante non mi guardasse, notai il ghigno che gli si era dipinto sulla faccia. Ma perchè invece di portarmi ad odiarlo, quel gesto mi faceva male peggio di una pugnalata?

-Sai, almeno potevi avere il ritegno di non farti trovare nel mio letto questa mattina- dissi e, come una furia, mi chiusi nel bagno, ricordandomi di dare due mandate alla porta.

 

POV ALEC (LUCIFERO)

 

Guardai la porta sbattere dietro di lei. Speravo che da una parte quello che era accaduto quella notte l'avrebbe portata ad essere più obbediente, ma mi sbagliavo, in quanto pareva che il suo odio nei miei confronti fosse salito a livelli pericolosi.

Non ricordavo neanche come fossero andati bene i fatti. È stato come se un raptus avesse preso possesso di me. Poche volte mi era capitato nella mia lunga esistenza e non riuscivo a concepire che una di queste fosse stato proprio con lei.

Quella ragazza ha la capacità di farmi letteralmente impazzire e lo dico con l'esperienza dei millenni. Ha un qualcosa che mi scatena dentro un calore particolare e che stanotte non sono più riuscito a reprimere.

La cosa che non riesco a capire è che lei pareva partecipare alle nostre effusioni in maniera attiva, come se lo volesse a sua volta. Allora perchè al risveglio mi odia ancora?

So che nelle sue vene scorre il sangue del peccatore, colui che mi ha tenuto impegnato per così tanto tempo nell'inseguimento di ciò che in fondo era mio, ma nonostante questo non riesco a prendere quella decisione.

E come la prenderebbe se sapesse che sono stato proprio io a salvarla la scorsa notte?

 

Mi ero infilata sotto la doccia senza ripensamenti, sperando che almeno quella riuscisse ad allontanare da me ciò che era successo tra le lenzuola del mio letto.

Lui era là fuori, steso su di esso, beandosi di ciò che finalmente era riuscito ad ottenere. Io, in compenso, mi sentivo sporca, infelice e profondamente incazzata.

Si, perchè l'angoscia era stata sostituita dalla rabbia, ma non verso di lui, ma verso ciò che io avevo fatto con lui.

Come mi aveva rivelato velenosamente qualche minuto prima, adesso gli appartenevo senza scappatoie, quindi il mio destino sarebbe stato quello di seguirlo. Sorrisi tristemente, dato che prima le possibilità che mi aspettavano non erano molto diverse.

Uscii da sotto il getto dell'acqua e, con i capelli ancora gocciolanti, mi avvolsi in un asciugamano ed tornai in camera.

Alec era ancora lì, intento a rinfilarsi gli anfibi scuri, con indosso solo i pantaloni. Alzò lo sguardo quando sentì la porta aprirsi e, sorridendomi maligno, mi disse:

-Ti spiacerebbe...?-

Spostai lo sguardo sul punto che lui mi indicava, notando la sua maglia lanciata sullo schermo del mio computer. La afferrai con rabbia, la appallottolai e gliela lanciai in faccia.

-Andiamo Laila, sono sicuro che anche a te è piaciuto- riprese, abbassando lo sguardo, ma sapevo che stava ancora sorridendo.

-Non ti sei ancora deciso ad andartene?- risposi tra i denti, tentando di non affrontare il discorso.

Con uno scatto lui si alzò, arrivando fulmineo a qualche centimetro dal mio volto.

-Sai tesoro, non è trattandomi male che cancellerai ciò che è successo questa notte- mi disse, fissandomi negli occhi e carezzandomi una guancia con il suo tocco glaciale.

Io continuai a sostenere lo sguardo, mentre con un gesto deciso gli spostai la mano.

-Preferirei bruciare all'inferno-

-Ed è ciò che in fondo succederà, prima o poi. Non puoi negare che però ti sia piaciuto- ed indietreggiò, mentre il mio volto diventava di tutti i colori.

-Ci vediamo- ed uscì, salutandomi con un solo cenno della mano.

 

Quando Alec sparì dalla porta, io crollai in ginocchio, mettendomi a piangere. Era vero, non lo avevo rifiutato ed ero sempre più convinta che la cosa non fosse solo per colpa sua.

Dopo quasi due ore passate in quello stato, decisi che non ne valeva la pena, che ormai ciò che era stato era stato e tanto valeva continuare con quella mia pseudo vita.

Così mi vestii velocemente, asciugai i capelli in modo da dar loro una piega decente, ed uscii all'aria aperta.

Non avevo voglia di seguire le lezioni, quindi mi limitai a trovare un albero isolato nel parco del college e stendermi all'ombra delle sue fronde.

Nonostante mi sentissi un vero schifo, non potei fare a meno di rilassarmi tra i fili d'erba e il profumo delicato dei piccoli fiori bianchi che mi circondavano.

Inspirai a pieni polmoni la leggera brezza che tirava quella mattina. Per un attimo mi sentii in pace. E a breve scoprii anche perchè.

-Laila-

Spalancai gli occhi al suono di quella voce, così calda e rassicurante. Mi alzai a sedere, notando la figura di Gabe che mi veniva incontro.

Io gli sorrisi. Era il meglio che in quel momento mi ci voleva. Non mi importava se Alec ci avesse visti assieme. Avevo solo bisogno che Gabe rimanesse con me.

-Ciao Gabe- lo salutai, con un sorriso sulle labbra, il quale però sfumò non appena vidi l'espressione sul volto del ragazzo.

-Che succede?- chiesi.

-Dove diamine sei stata?!?-

Non avevo mai visto Gabe arrabbiato, o almeno, non con me.

-Non stavo molto bene, quindi sono rimasta in camera-

-Non ti credo- rispose secco lui, lasciandomi di stucco.

Da quando era così severo nei miei confronti? Da quando mi rivolgeva quello sguardo accusatore?

-Gabe, ma che ti prende?- gli chiesi.

-Lo sento, hai qualcosa di diverso e non mi piace-

Ma che stava dicendo?

Mi alzai in piedi, tremante, mentre le lacrime mi salivano di nuovo agli occhi. Vidi per un attimo il suo sguardo addolcirsi, come se si sentisse in colpa.

-Cosa è successo?- mi chiese ancora, facendo un passo verso di me.

Io non risposi, ma abbassai lo sguardo verso terra, stringendomi le braccia.

-Gabe...io...-

Non riuscii a finire la frase che mi sentii stringere in un caloroso abbraccio, il quale mi ristorò, ma solo in parte. Perchè avrei voluto che a stringermi in quel modo fosse qualcun'altro?

Come potevo in quel momento mettere a confronto una persona come Gabe con un demone come Alec e come potevo preferire il secondo al primo? Stavo letteralmente impazzendo.

-Pensavo di averti perduta- lo sentii sussurrarmi in un orecchio.

-Che intendi?- gli chiesi, allontanandomi.

Lui mi guardò per un attimo, poi distolse lo sguardo, mortificato.

-Gabe, perchè pensavi di avermi perso?- continuai, la voce rotta.

-Perchè lui era lì- sopraggiunse una voce alle mie spalle.

Mi voltai e trovai Alec, poggiato al tronco dell'albero, con il solito ghigno strafottente stampato sulle labbra.

 

-Gabe, tu hai visto cosa è successo quella sera al luna park?- chiesi io incredula.

-Si, ho visto tutto, ma sono arrivato tardi- mi rispose lui, senza continuare a guardarmi.

-E lo hai fatto per la seconda volta- rispose il demone dietro di me, il quale, nel frattempo, mi aveva raggiunto e con un braccio mi aveva cinto le spalle in una presa possessiva.

Fu allora che il ragazzo tornò a fissarci, o meglio, a guardare in cagnesco Alec.

-Che cosa hai fatto?-

-Pensavi davvero di riuscire a salvarla da me? Pensavi sul serio che non avessi intuito i tuoi piani?-

Non capivo di cosa stessero parlando, ma era come se riuscissi a percepire la tensione che impregnava l'aria mentre i due si studiavano.

-Quando lo hai capito?- domandò Gabe, tornando in una posizione imponente e che in qualche modo pretendeva rispetto.

-Diciamo da quando ho sbirciato nei pensieri di Laila la prima volta che ti ha incontrato, ma non ero sicuro, sino a quando non le hai regalato questo- rispose Alec, sfiorando il ciondolo che il ragazzo mi aveva regalato alla fiera.

-Che cosa hai fatto?- chiese per l'ennesima volta Gabe, mentre il suo sguardo sempre limpido si incupiva.

-Diciamo che ho fatto in modo di legarla a me in modo inscindibile-

D'improvviso una sorta di onda d'urto spostò Alec dal mio fianco, mandandolo a sbattere contro il tronco dell'albero. Io mi portai una mano alla bocca, soffocando un grido, mentre spostavo lo sguardo dal demone al ragazzo.

Vidi Gabe vinto dalla collera, le sue pupille, sempre color del cielo, avevano assunto una tonalità più scura, mentre la mascella era contratta in un ringhio di collera.

Lo guardai, poi chiamai il suo nome.

Lui si voltò a guardarmi e lo vidi rilassarsi leggermente.

-Laila...io...-

Tentò di avvicinarsi, ma io arretrai, spaventata.

-Hai paura di me?- mi chiese, sconvolto.

-No, non ho paura. Ma non so più cosa pensare-

In quel momento la risata di Alec si fece sentire, limpida e crudele.

-Avanti, rivela alla dolce Laila qual'è la vera identità di colui che le ha confessato di amarla-

Quello abbassò lo sguardo, cadendo in ginocchio, come prosciugato di ogni energia. Io continuavo a fissarlo, senza capire, o forse si, ma incredula, mentre sentivo i passi di Alec farsi sempre più vicini.

Mi superò, fermandosi davanti a Gabe. Si piegò verso di lui, gli afferrò il mento e lo costrinse a guardarlo.

-Come può uno come te provare dei veri sentimenti per un'umana, Gabriele?-

Rimasi di sasso a quelle parole, associando immediatamente il nome. Ora si spiegavano tante cose, compreso il fatto che percepissi quell'aura luminosa provenire dal mio amico. Era l'arcangelo Gabriele.

Stavolta fui io a cadere in ginocchio, senza parole.

-Potrei farti la stessa domanda, Lucifero- rispose quello tra i denti, liberandosi dalla presa del demone.

-Ma come Gabriele? Non sai che noi demoni siamo molto più passionali di voi angeli? Mi meraviglio di te-

Come un fulmine mi si avvicinò, facendomi alzare e afferrandomi per la vita. Dopodichè, lanciando un'ultima occhiata maligna a Gabe, mi ghermì le labbra in un modo possessivo e passionale, tanto che dopo qualche secondo mi mancò il fiato.

Quando riuscii a liberarmi della sua stretta, mi voltai verso il ragazzo ancora a terra, il quale ci fissava furente. Io invece gli rivolsi uno sguardo mortificato.

-Lucifero, come hai potuto farlo? Lei non era destinata a questo-

Per la prima volta vidi Alec interdetto.

-Non ti seguo-

-Lascia stare, non capiresti. Non posso però permetterti di portarla con te, non adesso-

Un'altra onda d'urto ci investì, stavolta colpendo anche me. Alec volò a qualche metro da noi, mentre io mi accascia contro il fusto dell'albero alle mie spalle. Non sapevo perchè, ma quell'energia mi aveva come prosciugato.

Sentii Gabe che mi si avvicinava e delicatamente mi prendeva tra le braccia. Poi, in lontananza, la voce di Alec che gli intimava di fermarsi e lui, per la prima volta, ridere di gusto.

-La porterò dove tu non potrai raggiungerla e, anche se ce la farai, lei non sarà più tua-

Io mi voltai a fissare il demone, il quale ci guardava sconvolto.

-Con chi credi di avere a che fare, Gabriele? Quando voglio una cosa, la ottengo sempre-

-No se io rimuovo il sigillo-

In un lampo di luce sparimmo entrambi da davanti gli occhi di Alec, il quale si schiuse in un grido animalesco, il quale ci raggiunse nonostante fossimo ormai anni luce di distanza.

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Capitolo 15
*** Il rito ***


Una lieve brezza mi accarezzò il viso, mentre ancora i miei occhi stavano chiusi. Socchiusi piano le palpebre, venendo colpita da un'intensa luce per un attimo mi accecò.

Tentai di alzarmi, ma una fitta alla schiena mi fece desistere. La botta contro l'albero si stava ancora facendo sentire.

Poi di colpo mi ricordai di quello che era successo. Imposi al mio corpo di muoversi nonostante le fitte insistenti, così finalmente riuscii a mettermi seduta.

Mi trovavo in una stanza dalle pareti completamente bianche, sdraiata su di un semplice letto. Dinnanzi a me una grande finestra dava su di una ambiente pressocchè irreale, costituito da prati verdeggianti e cieli immacolati.

-Vedo che ti sei finalmente svegliata- disse una voce che riconobbi immediatamente.

Mi voltai, trovando sulla porta, intento ad osservarmi, Gabe. Aveva qualcosa di diverso, pareva quasi che il suo corpo emanasse pura luce.

-Dove siamo?- chiesi, portandomi una mano alla testa, colpita da un improvviso capogiro.

-Siamo a casa mia-

-In quale luogo, di preciso?-

Lui non mi rispose, ma si limitò ad avvicinarsi e sedersi a fianco a me sul letto.

-Così ti ricordi ogni cosa?-

-Se per ogni cosa intendi del fatto che sei un arcangelo...Si, mi ricordo tutto- dissi, seria.

Lui avvicinò una mano al mio viso, ma io con uno scatto mi sottrassi al tocco. Vidi il suo sguardo farsi cupo e colpevole.

-Laila, mi dispiace che tu lo abbia scoperto in questo modo. Te lo avrei detto, prima o poi-

Io non gli risposi. Poi dissi:

-Allora, dove siamo?-

-Non in Paradiso, se è questo che stai pensando. Diciamo che ci troviamo in una sorta di dimensione tra i due regni, dove risiede il Consiglio-

-Consiglio?-

-Esatto. Questa zona è considerata neutrale proprio per questo motivo. Il Consiglio è composto da tre membri angelici e tre demoniaci-

-Capisco. E come mai mi hai portato qui?-

Gabe abbassò lo sguardo, forse non riuscendo a trovare le giuste parole per spiegarmi la situazione. Infine rispose:

-Per aiutarti-

-E in che modo?-

Lui allungò una mano, sollevandomi un poco la maglia, scoprendo l'ombelico e il pentacolo che risaltava scuro e maledetto. Io afferrai il tessuto e lo feci riscendere.

-Cosa stai facendo?!?-

-So cosa ti ha fatto-

-Non so cosa tu abbia in mente, ma nel mio sangue c'è un veleno che mi ucciderà non appena sarò abbastanza vicina a lui. Sono destinata a finire all'Inferno-

Quando non lo sentii rispondere, alzai lo sguardo per poterlo guardare in faccia. Lui mi stava sorridendo.

-Perchè ridi?- gli chiesi con una nota di stizza nella voce.

-Il Consiglio può aiutarti. Per questo ti ho portato qui. Adesso cambiati. Loro vogliono vederti-

 

Gabe era appena uscito dalla stanza, quando, guardando meglio, vidi ai piedi del letto un abito completamente bianco, semplice, appena stretto sotto il seno.

Con un po' di titubanza lo indossai.

Cosa dovevo fare adesso? Qualcuno bussò alla porta e io detti il permesso a chiunque fosse di entrare. Sulla soglia vidi una ragazzina, forse quattordici o quindici anni, i capelli biondi e gli occhi chiari.

-Salve, mi chiamo Greta. Sono qui per accompagnarla dal Consiglio-

-Gabe?- chiesi io.

-Il signor Gabriele vi attende dove stiamo andando. Adesso, se volete seguirmi-

Non me lo feci ripetere e presi a camminare alle spalle della ragazzina. Non mi rivolse la parola per tutto il tragitto mentre io, estasiata, ammiravo l'ambiente circostante, trovandolo pacifico e rilassante.

-Da questa parte- disse Greta e io tornai a fissare davanti a me.

Mi trovai davanti ad un edificio molto più imponente rispetto agli altri, dai muri che parevano di vetro e le finestre con intarsi dorati. Un enorme cancello faceva da entrata e davanti a quello stava Gabe. Anche lui si era cambiato, sfoggiando camicia e pantaloni di un candido bianco.

Mi fissò per qualche secondo, poi un sorriso nacque sul suo volto.

-Vedo che il vestito che ho scelto ti sta molto bene- disse, avvicinandosi.

Avvertii le guance farsi calde, capendo immediatamente di essere arrossita. Abbassai lo sguardo, per evitare che lui notasse la mia reazione.

-Greta, puoi andare. Da qui ci penso io- disse ancora lui e la ragazzina si allontanò senza dire una parola.

-Non credo di starle molto simpatica- dissi.

-E' solo che non le piacciono gli estranei. Vieni, il Consiglio ci sta aspettando-

Il portone di aprì come per magia, rivelando un lungo corridoio, alla fine del quale intravidi una luce abbagliante.

I miei passi erano titubanti. D'improvviso, una celata paura si era impadronita di me, come se avessi una strana sensazione.

Avvertii la mano di Gabe stringere la mia e un poco mi rassicurai.

Finalmente giungemmo in una grande stanza circolare e, davanti a noi, stavano sei troni, su ognuno dei quali era seduto un uomo. Avevano tutti un aspetto austero e che esigeva rispetto. Tre di loro avevano capelli e occhi chiari, pelle simile alla porcellana, mentre i restanti avevano capelli scuri e occhi rossi e la pelle leggermente abbronzata.

Guardando questi ultimi, per un attimo mi tornò in mente Alec e una sorta di vuoto si impadronì del mio stomaco, simile alla sensazione che si ha sulle montagne russe.

-Gabriele, è da tempo che non ti vediamo al nostro cospetto- disse uno di loro, accogliendo l'arcangelo al mio fianco con un largo sorriso.

-E' lei?- chiese invece uno dei demoni, fissandomi come se fossi una bestia rara.

-Si, lei è l'ultima discendente del peccatore-

-Perchè la conduci al nostro cospetto? Sai che vogliamo stare fuori dalle sue questioni-

Rimasi impalata dov'ero, spostando lo sguardo dai presenti a Gabe, il quale pareva molto teso.

-Sono qui per chiedere che venga liberata dal patto-

Tutti rimasero in silenzio, alquanto spiazzati dalla domanda che lui aveva posto, continuando per qualche secondo a guardarsi tra loro.

-Perchè questa richiesta?- chiese uno degli angeli.

Il ragazzo al mio fianco non rispose, abbassando lo sguardo. Ebbi come la sensazione che non fosse in programma quella mia visita dinnanzi al Consiglio. Cominciai però ad immaginare cosa stesse pensando Gabe.

-Questa ragazza non può finire per l'eternità sotto la volontà di Lucifero. Sapete vero cosa nasconde la sua discendenza-

-Certo che lo sappiamo-

-Se lo scoprisse anche lui, finirebbe con il rivoltarla contro di noi-

Ecco, adesso non ci capivo davvero più niente. Cos'era questa cosa che faceva così paura agli angeli? Cosa nascondeva la stirpe di Giuda?

 

D'un tratto avvertii un rumore di passi che si muovevano verso di me. Alzai lo sguardo, incontrando quello di uno dei tre demoni, il quale si era alzato per venire nella mia direzione.

Il suo sguardo era severo, il portamento nobile, un'aura di importanza era emanata da ogni poro della sua pelle.

Si fermò a pochi da me, continuando a fissarmi. Sperai in un intervento di Gabe, che però non giunse. Tentai di muovermi, ma il mio corpo era come paralizzato.

Il demone mi si avvicinò ancora, poggiando una mano sulla mia pancia, all'altezza dell'ombelico. Di colpo, un calore insopportabile si impossessò di me, facendomi gemere. Le ginocchia cedettero, ma non caddi a terra. Quella forza che mi paralizzava era anche capace di mantenermi in piedi.

-L'ha marchiata- disse quello, prima di liberarmi da quella morsa in cui mi chiedeva rimchiusa.

Toccai pesantemente il pavimento, portandomi una mano al ventre e respirando affannosamente.

Il demone tornò ad occupare il suo posto, senza più una parola. Fu uno degli angeli invece a parlare.

-Questa donna è destinata. Rimuovere il suo marchio sarà doloroso e difficile. Sei davvero intenzionato a sottoporla a tanto?-

Alzai lo sguardo, incontrando i chiari occhi di Gabe. Lui mi guardava, dispiaciuto, ma allo stesso tempo ostinato. Non mi avrebbe mai lasciato nelle mani di Alec, anche a costo di farmi del male e questo io lo sapevo.

Così quando rispose affermativamente alla domanda, non me ne stupii. Mi limitai a distogliere lo sguardo e stringere i denti.

-Bene, allora la prepareremo al rito che avverrà stanotte. Pensaci tu-

-Sarà fatto-

Ancora in ginocchio, sentii d'un tratto le mani di Gabe sulle mie spalle. Mi aiutò ad alzarmi, ma io continuai a non guardarlo.

-Laila, andiamo- mi disse candidamente, ma il suo tono celava tensione.

Lo seguii per lo stesso corridoio che avevamo percorso al nostro arrivo senza dire una parola. D'improvviso la luce che invadeva quel posto mi sembrò solo finta ed effimera, una copertura per qualcosa di più oscuro.

Lui mi riportò nella stanza in cui mi ero svegliata. Mi sarei aspettata che se ne andasse, invece rimase a fissarmi sulla porta, mentre io mi sedevo sul letto, sempre con una mano sulla pancia che ancora bruciava.

Non parlammo per qualche secondo, poi fu lui a rompere il silenzio:

-Come ti senti?-

Lo fissai, senza però rispondergli.

-Mi spiace non avere chiesto il tuo consenso, ma è la cosa più giusta da fare-

-Sai vero che lui non rinuncierà- dissi con l'amaro in bocca.

-Non permetterò che ti porti con sè-

-E se il rito non dovesse funzionare?-

-Funzionerà-

-Ti sento sicuro. Menomale lo sei per entrambi-

-Laila, cos'è che non mi stai dicendo?-

Lo fissai e per un attimo provai qualcosa di molto vicino all'odio.

-Hai accettato nonostante ti abbiano avvertito che potrebbe essere pericoloso. Dici di tenere a me, ma non hai esitato a rischiare la mia incolumità-

-Te l'ho detto. È la cosa più giusta-

-Per me o per te?-

Non avrei voluto rivolgergli quelle parole, ma mi erano uscite senza che me ne rendessi conto. Lo sentii avvicinarsi a me, in silenzio. Avvertii il suo tocco leggero tra i miei capelli, per poi scendere a sfiorarmi il viso, costringendomi ad alzarlo verso di lui.

Ebbi un sussulto quando me lo ritrovai a pochi centimetri.

-Laila, non so con esattezza cosa succederà, ma ti prometto che farò di tutto perchè non ti accada niente-

Lentamente posò le labbra sulle mie, ma io rimasi immobile. Quel gesto non significò niente, non mi provocò neanchi un brivido né uno sbalzo al cuore. Quanto in fondo aveva scavato la presenza di Alec?

Lui si allontanò.

-Dirò a Greta di aiutarti con la preparazione. Ci vediamo stanotte-

Era deluso e arrabbiato. Anche lui aveva percepito la freddezza di quel gesto. Mi sentii uno schifo mentre lui se ne andava, chiudendosi la porta alle spalle.

Io mi distesi sul letto, portandomi le ginocchia al petto e nascondendo la testa nell'incavo tra esse. Mille pensieri mi vorticavano in testa, ma uno in particolare non riusciva a darmi pace: volevo davvero rompere il legame con Alec?

 

POV ALEC (LUCIFERO)

 

Ecco che l'ennesima ed insulsa ragazzina spariva davanti ai miei occhi in una nuvola di polvere. Avevo banchettato per tutta la notte. Non era importato neanche ammaliare le mie vittime, in quanto reputo che in questo posto ci sia la più alta concentrazione di ragazze facili dell'intero paese.

Ma allora perchè non ero soddisfatto? Perchè avvertivo un vuoto all'altezza del petto che non riuscivo a colmare?

Avevo visto quel bastardo portarmela via senza poterlo fermare. Ma se pensava di avermi sconfitto si sbagliava di grosso.

Se io volevo una cosa la ottenevo e non sarebbe stato certo l'insulso sentimento di un arcangelo e impedirmelo.

Continuo a vedere i suoi occhi su di me e per la prima volta mi sono sentito come se stessi perdendo qualcosa di importante.

Devo riaverla, devo riportarla da me. Nessuno me la porterà via.

Nessuno.

 

Greta aveva bussato alla mia porta un paio d'ore più tardi, entrando senza attendere una mia risposta. Mi aveva condotto in silenzio in una stanza adiacente a quella da letto, mostrandomi una grande vasca rotonda ricolma di acqua calda e strani aromi.

Frettolosamente mi spiegò che il mio corpo necessitava di essere purificato prima di sottoporsi al rito.

Così mi aiutò a liberarmi del vestito e ad immergermi nella vasca. Quando l'acqua toccò la mia pelle, emisi un sospiro di sollievo e finalmente, dopo giorni, mi rilassai.

Poggiai la testa sul bordo, lasciando che anche i capelli galleggiassero leggeri sul pelo dell'acqua, formando intricati motivi e ghirigori.

D'un tratto avvertii la voce della ragazzina intonare una sorta di cantilena e di colpo il corpo si fece stanco e spossato. Un lieve tepore di propagò in tutta me stessa, raggiungendo anche mani e piedi. Era come se mi stessero succhiando via ogni ombra e preoccupazione.

Concluso il bagno, Greta mi poggiò sulle spalle un velo bianco e leggero, mentre mi intrecciava i capelli in un'intricata pettinatura, lasciandone però una buona parte sciolti sulle spalle. Dopodichè mi aiutò ad indossare un'altro abito color avorio, il quale aveva un foro all'altezza dell'ombelico, mettendo in bella mostra il pentacolo.

Quando lei se ne andò, dicendo che sarebbe venuto Gabe a chiamarmi, mi sedetti sul letto e accarezzai delicatamente il tatuaggio. Ma cosa mi prendeva? Era quello che desideravo da quando quella storia era iniziata. Allora perchè non riuscivo ad essere felice?

Qualcuno che bussava alla porta mi riscosse da quei pensieri. Sulla soglia apparve Gabe, stavolta senza sorridermi.

-Andiamo- disse solo e mi voltò le spalle.

Io mi alzai e gli andai dietro, senza una parola.

Tornammo allo stesso edificio di quella mattina. Il corridoio era illuminato da una miriade di fiaccole, le quali si riflettevano sulle pareti simili a specchi.

Giunti nella stanza del Consiglio, vidi che i sei membri stavano riuniti attorno ad una piattaforma, simile ad un altare. Uno di loro ci accolse e fece cenno a me di seguirlo. Mentre superavo Gabe, lo sentii sussurrare:

-Un giorno mi ringrazierai-

Non alzai neanche lo sguardo, ma seguii il membro del Consiglio, il quale mi fece stendere su quella sorta di altare.

D'improvviso fu come se i miei polsi e le mie caviglie fossero chiuse da delle manette di spesso acciaio, in quanto non riuscivo a muovermi. Terrorizzata mi guardai attorno, implorando che mi lasciassero andare.

I sei del Consiglio presero ad intonare una strana cantilena, mentre protendevano le mani verso di me. Sentii il corpo bruciare e non potei fare a meno di gridare. Era come se qualcuno mi avesse dato fuoco e io stessi ardendo senza consumarmi. Il punto che mi faceva più male era il ventre, come se le fiamme si concentrassero lì.

Voltai lo sguardo verso Gabe. Le lacrime scendevano senza fermarsi, ma lui mi fissava impassibile.

-Aiutami...- mimai con le labbra, ma lui distolse semplicemente lo sguardo.

Ferita da quella sia indifferenza, tornai a guardare il soffitto, lasciandomi sfuggire un altro grido. La schiena si inarcò pericolosamente, dandomi la sensazione che si rompesse da un momento all'altro. La testa mi scattò all'indietro, mentre un grido più forte degli altri mi usciva dalle labbra.

Il dolore che provavo in quel momento era inimmaginabile, come se qualcuno mi stesse trapassando con un miliardo di tizzoni infuocati.

-Oppone resistenza- sentii dire ad uno di loro.

-Dobbiamo metterci più energia- rispose un altro e il male di colpo si intensificò.

Poi, di colpo, tutto tacque. Il dolore era finito, io mi sentivo spossata e stanca. Mi voltai verso i sei, osservando i loro sguardi. Parevano sconvolti.

Notai uno degli angeli avvicinarsi a Gabe e sussurrargli qualcosa nell'orecchio. Lo sguardo dell'arcangelo mutò di colpo, fissandomi negli occhi.

-Gabe...- sussurrai confusa.

Dopodichè caddi nell'oblio.

 

Mi svegliai sul letto della prima volta. Sentivo come se mi fosse passato sopra un tir avanti e indietro per venti volte e mi venne da vomitare. Mi sporsi dal bordo, ma dalla bocca mi uscì solo saliva.

Di colpo mi ricordai di quello che era successo e mi alzai a sedere, ignorando i lamenti che il mio corpo mi provocava. Mi fissai il ventre: il pentacolo c'era ancora.

Cosa era successo? Era forse andato storto qualcosa?

Lo guardai meglio: intorno al cerchio si erano andate formando delle strane lettere. Il rito, anziché rimuovere il marchio, lo aveva reso più forte.

In quel momento avvertii una presenza assieme a me nella stanza. Mi voltai di scatto, trovando Gabe che mi fissava, seduto su di una poltrona poco lontana dal letto.

-Che è successo?- chiesi, mentre le lacrime mi salivano agli occhi.

Lui non mi rispose, ma si alzò in piedi, voltandomi le spalle. Si mise davanti alla finestra, fissando il paesaggio all'esterno.

-Gabe...- lo chiamai.

Quello, di tutta risposta, si mosse di nuovo, sferrando poi un sonoro pugno contro la parete. Finalmente si voltò a guardarmi.

I suoi occhi erano colmi d'ira, mentre la bocca era piegata in un ringhio. Fulmineo mi si fece di fronte.

-Cosa è andato storto?- chiesi allora, ancora seduta.

Lui mi afferrò per le spalle. Socchiusi gli occhi, per paura che volesse colpirmi. Invece mi abbracciò stretto.

-Laila, mi dispiace tanto- mi sussurrò in un orecchio.

-Che stai dicendo?- chiesi io, senza capire.

-Ho veramente fatto di tutto per sottrarti a lui, ma è stato inutile- mi rispose, mentre, allontanatosi da me, non riusciva a guardarmi negli occhi.

-Gabe, non capisco-

-Lui è andato troppo oltre. Ma troverò un modo, lo giuro- imprecò, lasciandomi andare e allontanandosi ancora di più.

-Vuoi dirmi cosa succede?-

Quando si voltò di nuovo a guardarmi, i suoi occhi erano cambiati. Al posto dell'ira adesso c'era compassione. Perchè quello sguardo mi fece star male? Perchè sapevo che significava molto di più?

-Laila, tu sei incinta-

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Capitolo 16
*** Caccia ***


Avete presente quando si va a sbattere contro un muro e non recependo bene il messaggio lo si rifà per una seconda volta? Quel dolore intenso che vi annebbia il cervello e non vi fa ricordare esattamente neanche il vostro nome?

Ebbene, quella fu la sensazione che mi colpì mentre ascoltavo quelle quattro innocue parole, ma che ebbero l'effetto di farmi sprofondare in uno scuro oblio.

Lentamente mi portai le mani sul ventre, accompagnate dal mio sguardo spento.

-Stai mentendo...- sussurrai rivolta a Gabe.

Sentii lui afferrarmi rudemente per le spalle, scuotendomi con poca grazia.

-Laila, vorrei che fosse una bugia, ma il Consiglio ha sentito distintamente la creatura dentro di te, la “sua” creatura-

-Come è possibile?- chiesi, con la voce ormai rotta dal pianto.

-Non lo so. Fino ad ora per quelli come noi non è stato possibile generali con dei normali esseri umani e non riesco a spiegarmi come sia possibile che tu aspetti un figlio suo-

Era deluso, arrabbiato, non riusciva a guardarmi negli occhi. Ma non era colpa sua, non poteva autodistruggersi in quel momento per un errore che io avevo compiuto.

-Dobbiamo andarcene- disse poi, allontanandosi bruscamente da me.

-Perchè?-

-Adesso il Consiglio sa della tua gravidanza e non può permettere che Lui abbia una discendenza. Quindi farà l'unica cosa possibile, dato che il feto è protetto da un incantesimo che neanche loro sono capaci di spezzare: uccidere la madre-

 

Mi paralizzai, alzando i miei occhi sino a quando non incontrai i suoi: era serio, mi stava dicendo la verità.

-Quindi? Dove andiamo?-

-Torneremo sulla Terra e ci nasconderemo, almeno per il momento. Poi troveremo il modo per farti perdere quel bambino-

Una pugnalata mi giunse dritta al petto a quelle sue parole e d'istinto mi portai nuovamente le mani al ventre. Come poteva parlare in quel modo? Era vero, il figlio era di Alec, ma era pur sempre un essere vivente, una creatura che aveva bisogno di essere protetta. Per il momento non dissi niente, in quanto non sapevo neanche io esattamente cosa pensare.

Stavo là, seduta sul letto, mentre osservavo Gabe percorrere la piccola casetta a passo marziale, raccogliendo vestiti e provviste in un unico borsone. Dopodichè, con uno schiocco di dita, cambiò gli abiti ad entrambi.

-Ci dobbiamo muovere- disse, mentre lanciava una rapida occhiata all'esterno, dove il sole non era ancora albeggiato, mentre faceva a me segno di raggiungerlo.

Dopo un attimo di titubanza, obbedii al suo celato ordine e mi posi al suo fianco, mentre lui schiudeva prudentemente la porta.

-Dobbiamo trovare un piazzale per il teletrasporto. Vieni, seguimi- disse di nuovo lui.

Io non ero ancora riuscita ad aprire bocca, anche perchè non avrei saputo cosa dire. Mi limitavo a cenni della testa o sguari che facevano intendere che avevo capito.

Gabe mi afferrò saldamente una mano ed entrambi ci mettemmo a correre per il piccolo borgo che io non ero riuscita purtroppo a vedere nel suo complesso. Mi sentivo debole e spossata, ancora reduce degli effetti del rito, ma sapevo che per me rimanere là sarebbe stato un grosso problema.

Adesso non ero più sola, ma dovevo pensare anche alla creatura che mi portavo dentro. Nonostante sapevo che sarebbe stato impossibile, in quel momento mi sembrò quasi di sentirla.

D'improvviso i nostri passi vennero accompagnati da grida e il chiaro clamore di un inseguimento.

-Cavolo, si sono accorti della nostra fuga. Dobbiamo muoverci-

-Ma tu sei un Arcangelo, Gabe, non puoi provare a farli desistere?- gli chiesi ingenuamente.

-Il Consiglio è al di sopra anche di noi Arcangeli. Non posso fare niente se non aiutarti a scappare-

Finalmente raggiungemmo una piccola piazza racchiusa da delle basse casette.

-Qui va bene- concluse lui, fermando si botto, tanto che rischiai quasi di travolgerlo.

Con un gesto secco mi afferrò e mi portò contro il suo petto, mentre vedevo delle candide ali bianche spuntare luminose dalla sua schiena.

Chiuse gli occhi, cercando la concentrazione. La prima volta era stato più veloce in quanto aveva risvegliato parte del suo potere per battersi con Alec, ma in quell'occasione aveva bisogno di qualche minuto.

Mentre tentavo di aiutare in qualche modo Gabe a rimanere concentrato, da una delle strade secondarie che finivano nella piazza apparve un manipolo di uomini armati, che si fermarono a pochi metri da noi. Tutti avevano aperte sulla schiena ali piumate di un colore che andava dal ceruleo al blu notte.

Gabe aprì gli occhi, incontrando quelli di colui che probabilmente doveva essere il comandante di quegli angeli. Pareva sulla trentina, con lunghi capelli biondi legati in una coda e occhi castani, fisico atletico e ben proporzionato. Ma c'era qualcosa in lui che mi fece pensare a tutt'altro tranne che un angelo.

Vidi lo sguardo di Gabe farsi serio e arrabbiato.

-Non pensavo avrebbero chiamato te per questo compito-

-Dovresti saperlo, Gabriele. Ogni cosa che riguarda lui mi compete-

Poi lo sguardo dello sconosciuto si posò su di me.

-Lascia la donna, Gabriele. È un essere impuro e corrotto dal suo male. Non si merita la protezione di un Arcangelo- disse quello, muovendo un passo verso di noi.

Di colpo mi ritrovai nascosta dietro la schiena di Gabe, protetta dalle sue ali.

-Non osare avvicinarti. Nonostante siamo come fratelli, non permetterò che tu faccia del male a Laila-

-Laila? Adesso la chiami anche per nome? Quanto sei stato corrotto da lei, “fratello”?-

Chi era quell'uomo? Perchè riusciva a percepire il timore che la sua presenza provocava a Gabe? Era davvero così potente?

-Lei non è come le altre. Lei è speciale-

L'altro scoppiò in una risata, poi tornò a fissare Gabe.

-Sei davvero caduto così in basso, Gabriele? Ti sei abbandonato addirittura agli umani sentimenti come l'amore? Io lo dicevo che tu non eri adatto per la missione, ma nessuno mi ha ascoltato, nonostante faccia parte della gerarchia più vicina al divino. Hanno detto “Ce la farà, ha bisogno solo di una possibilità” e io invece avevo già previsto come sarebbe andata. Ma sarò magnanimo: se tu mi consegnerai la donna, io farò da tramite tra te e Lui in modo da non farti cacciare o punire per il tuo fallimento e la tua disobbedienza-

Mosse un altro passo verso di noi, mentre vedevo il corpo di Gabe abbandonarsi all'autocommiserazione.

-Ho sbagliato tutto...- lo sentii sussurrare e d'istinto mi strinsi ancora di più contro la sua schiena, poggiando una guancia all'altezza dei suoi polmoni, sentendo il respiro reso difficile dalla tensione.

-Gabe, tu mi hai aiutato, hai cercato di salvarmi. Non è colpa tua...- dissi io, sempre in un sussurro, ma certa che lui mi avesse sentito.

-Sono debole, Laila, ma non voglio che ti portino via-

-E allora combatti. O meglio, facciamolo insieme-

Mi sembrò che una scintilla si fosse riaccesa dentro di lui. D'un tratto una colonna di luce ci invase entrambi, mentre lui si voltava e mi chiudeva tra le sue braccia e il suo petto. Poi entrambi tornammo a fissare l'altro angelo, il quale aveva arretrato di un passo e ci stava rivolgendo uno sguardo colmo di rabbia.

-Vi troverò Gabriele!! Stanne certo!!- ci gridò poco prima che sparissimo nella luce.

Ma furono le parole di Gabe a stupirmi:

-Ed io ti aspetterò Michele...-

 

POV ALEC (LUCIFERO)

 

Mi facevo schifo da solo. Era bastato che lei se ne andasse per diventare di colpo l'ombra di quello che ero sempre stato.

Me ne stavo chiuso in quella stanza, al buio, senza neanche mangiare. Già, dopo che mi ero fatto quella scorpacciata il giorno prima, non avevo più avuto il coraggio di avvicinare una sola ragazza.

Cosa diamine mi stava capitando?!?

Da quando mi sentivo in quel modo? Dov'era finito il signore degli Inferi, colui che godeva nel veder soffrire gli altri?

Dovevo riaverla, ne valeva della mia reputazione e del mio orgoglio.

Ad un tratto una sensazione mi costrinse ad alzarmi dalla poltrone sulla quale vegetavo da quasi due giorni. Chiusi gli occhi, concentrandomi, mentre le mie labbra si inarcavano in un sorriso maligno.

Avevano fatto prima di quanto pensassi e mi avevano anche risparmiato la fatica di andarli a cercare.

Che la caccia abbia inizio...

 

Mi poggiai ad uno dei muri dello stretto vicolo nel quale eravamo riapparsi, piegandomi in due con un forte mal di stomaco.

Poi ripensai a quello che era capitato e al nome che Gabe aveva pronunciato: Michele. L'arcangelo più potente di tutti, un serafino, braccio destro del Creatore, stava ora dando loro la caccia.

Una mano su di una spalla la fece voltare, incontrando lo sguardo celeste di Gabe.

-Andiamo. Siamo quasi arrivati-

Il cielo si stava appena rischiarando, mentre intorno a noi avvertivo la città svegliarsi. Mi portai una mano al ventre, sperando di riuscire a capire se il bambino stava bene e una sensazione mi fece capire che era tutto a posto.

Camminammo per qualche minuto, sino a trovarci davanti ad un piccolo complesso a tre piani, isolato dal resto dei palazzi, con un piccolo giardino che ne delimitava il perimetro.

Gabe mi fece cenno di seguirlo mentre mi teneva aperto il portone d'ingresso. Prendemmo l'ascensore per salire sino al terzo piano, dove lui aprì una porta blindata che dava accesso ad un piccolo bilocale.

-L'ho comprato qualche tempo fa per usarlo come base durante le mie missioni sulla Terra. Non avrei mai pensato di portarci qualcuno, però. Nessuno ne conosce l'ubicazione, quindi per ora è il posto più sicuro che abbiamo-

Io non risposi, ma mi limitai a guardarmi intorno: l'ingresso dava direttamente in un mini salotto, diviso dalla cucina solo da una sorta di bancone. Attraverso uno stretto corridoio si arrivava alla camera da letto, il bagno e il rispostiglio. Su una delle pareti del salotto stava un'ampia porta finestra, la quale dava su un piccolo terrazzo illuminato quasi sempre dal sole.

Nonostante Gabe avesse detto che non era solito fermarsi in quel posto, l'aria non sapeva di chiuso, anzi.

-Vuoi un caffè?- mi chiese vicino ad un orecchio, mentre mi aiutava a togliermi la giacca.

Io arrossii, prima di rispondere:

-Si, grazie-

Lui sorrise e si allontanò verso il cucinotto. Io invece mi sedetti sull'ampio divano a penisola.

-Fai come se fossi a casa tua. Se hai bisogno di una doccia, vai pure, mentre io rimedio degli asciugamani e della biancheria- disse lui dalla cucina.

-Grazie, ma per il momento va bene così- dissi, mentre poggiavo la testa sullo schienale del divano e distendevo le gambe, lasciandomi sfuggire un sospiro.

Chiusi per un attimo gli occhi, sfinita e i miei pensieri viaggiarono verso colui che mi aveva messo in tutto quel pasticcio. Eppure perchè non riuscivo ad odiarlo fino in fondo? Una parte di me avrebbe voluto ucciderlo all'istante, ovunque si trovasse, mentre all'altra mancava in modo terribile.

Come mi sarei dovuta comportare? Avrei dovuto chiamarlo per fargli sapere dove mi trovavo oppure sarebbe stato meglio rimanergli lontano, rischiando però di incorrere nella sua ira quando mi avesse trovata?

E poi con il bambino? Gabe aveva detto che avrebbero trovato un modo per farmi abortire, ma non ero sicura che quella fosse la cosa che desideravo.

-Laila, il caffè è pronto- mi raggiunse la voce calma di Gabe ed io schiusi le palpebre, annusando avidamente l'odore di quella nera bevanda.

Mi ritrovai una grande tazza davnti agli occhi, fumante e la presi dalle mani di lui, il quale mi raggiunse, sedendosi accanto a me.

-Come ti senti?- mi chiese, mentre mi sistemava un ciuffo di capelli dietro un orecchio, facendomi rabbrividire.

-Non credo di sapere come rispondere a questa domanda- dissi, mentre mi portavo la tazza di caffè alle labbra, soffiando leggermente per evitare di ustionarmi.

-Si sistemerà ogni cosa. L'importante è rimanere nascosti per il momento- continuò lui, continuando a giocare con i miei capelli.

Dovevo ammettere che quella sensazione che in quel momento lui risvegliava in me mi facevano stare bene, rilassata, mi permettevano di dimenticare tutto ciò che fino ad allora era successo. Ma per l'ennesima volta, lui non era forse quello che in quel momento avrei voluto accanto a me.

Mi abbandonai comunque al suo tocco, poggiando la testa sulla sua spalla e sentendo il suo braccio circondare le mie, spingendomi ancora di più contro il suo petto.

Poi una domanda mi venne spontanea:

-Gabe, quanto è pericoloso Michele?-

Lui mi lanciò una fugace occhiata, ma notai che era alquanto preoccupato.

-Michele è uno degli Arcangeli più forti e uno degli angeli più vicini al Creatore. Se lui viene fatto scendere in campo, allora porterà a termine la sua missione, non importa come, ma lo farà. Dopotutto è un Serafino, nato per combattere e proteggere il paradiso. Un tempo combatteva al fianco di Lucifero, prima che lui venisse scacciato. Non gli ha mai perdonato quel tradimento-

-Per questo motivo si sta impegnando in questo modo nel darci la caccia?-

-Non so con esattezza cosa accadde tra di loro, ma so che Lucifero fece qualcosa a Michele che lo cambiò, trasformando la sua devozione verso il Creatore in un catalizzatore per sfogare la sua rabbia e il suo odio. Quando è venuto a sapere di te, probabilmente ha pensato di poter rendere al diavolo pan per focaccia-

-Gabe, ma quelli come voi amano?-

Non so perchè glielo domandai, ma me ne pentii quasi immediatamente. Vidi solo lo sguardo che lui mi rivolse: pareva triste.

-Laila, non so con esattezza cosa sia l'amore nella concezione di voi umani, ma se quello che intendete è sentire il cuore battere quando si vede una persona, iniziare a tremare e non essere mai sicuri di quello che si dice, pensare di vivere solo per lei e fare qualunque cosa per renderla felice, allora si, noi possiamo amare-

Il ragazzo notò che mi ero portata una mano al ventre, accarezzandolo dolcemente.

-Riuscirò a trovare una soluzione per questo intoppo, te lo prometto- disse poi, posandomi un bacio tra i capelli.

-Gabe...- dissi io, allontanandomi da lui e mettendomi in ginocchio sul divano, lo sguardo basso.

-Che cosa c'è?- mi chiese, vedendo la mia indecisione nel parlare.

-Io ci ho pensato e...voglio tenere il bambino- 







N.A. Mi scuso per il ritardo, ma spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Un saluto a quelli che mi seguono e recensiscono e anche a quelli che non lo fanno. Un bacio a tutti. Marty

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Capitolo 17
*** Sensazioni ***


Pensavo di non aver mai visto uno sguardo più confuso e arrabbiato di quello che in quel momento mi stava rivolgendo Gabe. Senza parlare si alzò dal divano, passandosi due dita sugli occhi e sbuffando sonoramente.

Probabilmente se fossi stata qualcun altro mi avrebbe sicuramente già tirato uno schiaffo. Dopo un tempo che mi sembrò interminabile, tornò finalmente a guardarmi.

-Laila, ti rendi conto di quello che stai dicendo?-

-Si e non prendermi per un'egoista. Nonostante sia figlio di Alec, io voglio tenere questo bambino-

-Ma non sai neanche cosa sia con esattezza. Potrebbe rivelarsi una specie di mostro. Nessuno ha mai assistito alla nascita di un ibrido-

-Non mi interessa- risposi piccata.

Perchè non capiva? Non era un fatto di orgoglio o di testardaggine. Sentivo come un legame con quella creaturina dentro di me, come se già fosse qualcosa di vivo e cosciente. Non riuscivo a spiegarmelo, ma non avrei mai permesso a nessuno di portarmelo via, neanche se si fosse trattato di Gabe o di Alec.

Già, chissà come l'avrebbe presa quando l'avesse saputo. Fu allora che cominciai ad avere paura.

Il ragazzo, nel frattempo, mi si era avvicinato e mi aveva afferrato per le spalle, costringendomi a fissarlo negli occhi.

-Sai a cosa andrai incontro, vero? Se porterai avanti questa gravidanza potresti anche morire-

In quel momento non mi importava. A dir la verità, poche cose aveva realmente importanza.

-Gabe, non che le mie alternative fino ad ora fossero molto diverse- sorrisi tristemente e, stranamente, lui fece lo stesso.

Dopodichè si allontanò di qualche passo.

-Se è questo che hai deciso...-

-Grazie Gabe. Devo però chiederti un altro favore: Alec non dovrà saperlo-

-Come? Perchè?-

-Non fare domande, ti prego. Fidati solo di me-

-Va bene. Fino a questo momento mi sono sempre fidato di te, nonostante sia rimasto comunque il numero due. Ma non importa. Continuerò a proteggerti come ho sempre fatto-

Si voltò e afferrò la giacca.

-Vado a comprare qualcosa da mangiare. Se davvero vuoi tenere quel bambino, allora dovrai essere in forze per entrambi- e senza aspettare una mia risposta, se ne andò.

 

Cara Laila, sei proprio una fessa!!

Dopo tutto quello che Alec mi aveva fatto passare, continuavo irrimediabilmente a scegliere lui. Gabe si era dimostrato molto più umano di quanto l'altro potesse mai esserlo, eppure non riuscivo a risvegliare quello speciale legame che invece provavo per il demone.

Quando avevo fissato i suoi occhi avevo visto l'ennesima delusione, il dolore che la mia scelta gli stava infliggendo. Eppure lui aveva detto che avrebbe continuato a proteggermi, nonostante io non ricambiassi ciò che provava per me.

Mi sentivo cattiva, approfittatrice nei confronti di quel ragazzo, ma non potevo farne a meno. Gli volevo bene, ma era un affetto pari a quello che si prova per un fratello maggiore.

Con Alec era diverso: all'inizio lo odiavo, profondamente e incondizionatamente. Aveva ucciso mio padre, la mia matrigna e bruciato la mia casa, cancellando ogni segno della mia esistenza su questa terra. Quando fosse giunto il momento avrebbe cancellato la mia immagini anche dalle menti di tutti quelli che mi avevano conosciuto.

Eppure quel sentimento si era ben presto trasformato, divenendo qualcosa di differente. Sentivo addirittura la sua mancanza quando non lo vedevo in giro, provavo gelosia per quelle ragazze che gli giravano intorno. Volevo che i suoi occhi fossero solo per me.

I miei pensieri furono scossi da un singhiozzo, seguito da un'aspettata risata: era decisamente una stupida.

Stavo iniziando a provare qualcosa che lui non mi avrebbe mai concesso. Ero solo un passatempo, un giocattolo che una volta che lo avesse stufato sarebbe stato gettato via.

Mi rannicchiai sul divano, entrambe le braccia a circondarmi la pancia, nella quale riuscivo ancora a percepire la presenza della mia creatura.

Chiusi gli occhi, sfinita. Avvertii una solitaria lacrima scivolarmi su di una guancia, per finire poi tra le pieghe del divano.

Mi odiavo, maledicevo ciò che stavo diventando, ciò che quello stupido ed umano sentimento mi stava facendo provare.

Si, perchè io mi ero innamorata del Diavolo.

 

POV ALEC (LUCIFERO)

 

Mi fermai di colpo, mentre una strana sensazione nel petto mi fece stringere i denti. Era doloroso, ma allo stesso tempo confortante e quasi bello. Non riuscivo a capire da cosa potesse derivare, in quanto mai lo avevo provato.

Poi d'un tratto qualcosa che mi fece sussultare: un battito.

No, assurdo. Io sono il Diavolo, un demone, e le creature come me non hanno un cuore, soprattutto vivo e che batte.

A poca distanza dal primo un altro battito, mentre avvertivo uno strano tepore impossessarsi di me. Per un attimo rividi i suoi occhi che mi guardavano, così simili a quella notte passata insieme.

Dovevo assolutamente ritrovarla, volevo rivederla, volevo sentire il calore del suo corpo a contatto con il mio, freddo. Volevo sentire di nuovo quel cuore battere per me.

 

Mi svegliai di colpo, come se una presenza si trovasse con me in quella stanza. Mi alzai a sedere, guardandomi intorno. Non mi ero resa conto di quanto avessi dormito fino a quando non scorsi il sole che tramontava.

-Gabe...- chiamai, ma non ci fu risposta.

Non era ancora rientrato? Strano.

Mi alzai con difficoltà e quasi le gambe non mi ressero. La schiena mi doleva, flebilmente, ma mi infastidiva mentre camminavo. Probabilmente era dovuto alla gravidanza. Poi, quando abbassai lo sguardo sulla pancia, inorridii.

Sollevai un poco la maglia, notando che il ventre si era già leggermente gonfiato.

-Non è possibile-

In quel momento sentii le chiavi girare nella toppa della porta. Gabe trovò i miei occhi colmi di lacrime a fissarlo.

-Che succede?- mi chiese, preoccupato.

Io non risposi, ma mi limitai a voltarmi verso di lui, mostrandogli la pancia.

-Come può essere che si veda già?- gli chiesi con un filo di voce.

-Non lo so, ma questa non è una normale gravidanza. Sembri già di quattro settimane, nonostante ne sia passata a malapena una. Probabilmente è dovuto al fatto che la creatura che porti in grembo è un ibrido-

-Ma se vado avanti così partorirò nel giro di tre mesi- dissi.

-Vediamo come procede. È possibile anche che il processo rallenti-

Mi sedetti di nuovo sul divano, portandomi entrambe le mani sulla bocca.

-Gabe, ho paura-

Lui si sedette accanto a me, ma stavolta non mi abbracciò.

-Ci sono io con te- rispose, continuando a fissare di fronte a sé.

Era distante, freddo. A me però non importava. Piegai la testa e la poggiai sulla sua spalla.

-Sono contenta di avere al mio fianco una persona come te-

 

I giorni passavano e un po' l'aria di attrito tra me e Gabe stava sparendo. La pancia per fortuna aveva smesso di crescere, anche se avevo l'impressione che un giorno ogni sette avanzasse di qualche millimetro. Ancora però, indossando maglie più larghe, avevo la possibilità di nasconderla bene.

Con l'avanzare della gravidanza sentivo anche la mancanza di Alec. Certo, Gabe non mi faceva mancare niente, ma non riuscivo a considerarlo diversamente da un migliore amico.

Una sera, mentre stavamo seduti al tavolo a cenare, gli chiesi:

-Gabe, dimmi la verità: il nostro incontro non è stato casuale, vero?-

Lui per poco non mi sputò in faccia l'intera tazza di caffè che stava sorseggiando.

-Cosa te lo fa credere?-

-Avanti, non sono una stupida. Tu sei sceso sulla terra per me. Avevi una missione, ma qualcosa è andato storto, non è vero?-

Lui si alzò, non sapendo probabilmente come rispondermi.

-Io ti osservavo già da tanto tempo Laila. Sapevamo della maledizione della tua famiglia e tutti noi, nonostante il Creatore ci avesse ordinato di non immischiarci, volevamo evitare che il Diavolo si impossessasse dell'anima dell'ultimo discendente di Giuda-

-Perchè?-

-Conosci il diario del Peccatore?-

-Ne ho sentito parlare. Ma ancora non ne ho capito appieno l'importanza-

-In quel libro è custodito un potente incantesimo in grado di radere al suolo le leggi universali. Ti immagini cosa succedesse se Paradiso e Inferno si fondessero? Riesci ad immaginare il caos che ne deriverebbe? Per non parlare di come si rifletterebbe sulla terra. La distruzione di ogni creatura che non sia abbastanza forte da combattere e sopravvivere-

-E cosa c'entro io?-

-Tu devi essere protetta. Si dice se solo un discendente del peccatore possa aprire il diario. A seconda di quale individuo ne voglia sfruttare il potere, il libro può rivelarsi distruttivo o costruttivo. Il nostro intento è semplicemente distruggerlo, ma per farlo prima dobbiamo aprirlo-

-Quindi tutti coloro che mi stanno inseguendo sono semplicemente interessati al mio sangue?-

Strinsi i pugni sul tavolo, fissandoli intensamente. Poi ripresi:

-Anche tu?-

Gabe non rispose. Lo sentii avvicinarsi e una sua mano si posò sulle mie. Me le afferrò e lentamente mi fece voltare, in modo da trovarmi seduta di fronte a lui, in ginocchio.

-Laila, tu sei importante. Non perchè sei l'ultima discendente di Giuda, non perchè il tuo sangue apre un diario perduto che nessuno ha più visto, ma solo perchè sei tu. Chiaro?-

Feci un cenno di assenso con la testa, ma non lo guardai.

All'improvviso la terra prese a tremare.

-Che succede?- chiesi.

-E' un aura demoniaca. Vieni, dobbiamo andarcene-

-E se fosse Alec?-

-Non è lui, conosco la sua essenza e questa è forse più nera. Forza, corri-

 

Guardavo la mano che Gabe mi stringeva mentre correvamo giù per le scale dell'appartamento. Come avevano fatto chiunque fosse a trovarci?

Quando uscimmo dal portone, una voce alle nostre spalle di fece fermare.

-Sei tenace, dolcezza. Non pensavo di doverti ucciderti per la terza volta-

Mi voltai lentamente, fissando il tetto dello stabile, nascosto quasi totalmente dal buio. Una cosa però la distinzi: capelli del colore del fuoco.

-Cosa ci fai qui? Già il tuo padrone intraprende questa ricerca- disse Gabe, il quale con un gesto rapido mi nascose dietro di sé.

-Povero angioletto, io non ho nessun padrone. E devo dire che il discorsetto di poco prima su quel bel diario mi ha incuriosito molto-

Con un balzo atterrò di fronte a noi, inclinando un poco il cemento del marciapiede.

-Tranquilla tesoro, ho deciso che mi sei più utile da viva-

Ero impietrita dalla paura. Quello era lo stesso demone che per ben due volte mi aveva portato ad un passo dalla fine.

-Cercavo un modo per far fuori il mio rivale e inaspettatamente l'ho trovato-

-Si può sapere chi sei?-

Quello fissò Gabe, poi, mimando un inchino, disse:

-Molto piacere. Il mio nome è Abaddon-




NdA Come al solito chiedo venia per il mostruoso ritardo, ma l'ispirazione mi sta un pò abbandonando XD
Spero che comunque anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Un saluto Marty.

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Capitolo 18
*** Abaddon ***


Vidi Gabe arretrare di un passo, il volto solcato da un'espressione mista tra lo stupito e quella che pareva paura. Quel demone era così forte da provocare timore persino in un arcangelo?

Io fissai alternativamente lui e il nemico, non sapendo come comportarmi e pregando dentro di me che Alec arrivasse.

Forse non che sperisse che mi salvasse dopo la mia fuga, ma avrei voluto vederlo un'ultima volta. Già, perchè non avrei mai permesso che qualcuno mi impiegasse per la distruzione del mondo. Avrei preferito togliermi la vita io stessa.

-Dunque, che vogliamo fare? Dolcezza, mi segui con le buone o mi segui con le cattive? Ti avverto, l'ultima cosa non ti piacerà di certo- e scoppiò in una risata.

Fissai Gabe qualche passo lontano da me, il quale pareva aver ripreso possesso delle sue facoltà, avendo stavolta stampata sulla faccia un'improvvisa determinazione.

Con un gesto veloce mi afferrò, trascinandomi nuovamente al suo fianco. La sua voce, vicina ad un orecchio, mi sussurrò:

-Devi andartene. Io lo terrò impegnato, anche se non ci riuscirò per molto, ma potrò dare almeno il tempo di allontanarti e nasconderti-

-Non voglio lasciarti qui-

-Ricordi? Tu vuoi vivere per la creatura che porti in grembo. Non preoccuparti per me, io me la caverò. Tu devi restare viva e al sicuro-

Sentii le lacrime salirmi agli occhi e non ce la feci a trattenermi. Sentivo la disperazione invadermi il corpo, mentre fissavo gli occhi chiari di Gabe, così decisi e forti, ma che non riuscivano a trasmettere lo stesso anche a me.

Mi ero affezionata a lui più di quello che mi sarei aspettava e pensare di lasciarlo a combattere le mie battaglie senza di me mi faceva sentire una gran codarda.

Sorrisi, scuotendo la testa.

-Non me ne vado-

-Laila...-

-Non posso pensare di lasciarti indietro a rischiare la vita per me-

Anche Gabe allora mi sorrise. Se avesse potuto sono sicura che mi avrebbe baciato ancora una volta, dato che per un impercettibile attimo si era soffermato ad osservare le mie labbra.

Mentre ancora mi fissava, da una delle mani un fascio di luce di trasformò in una scintillante spada.

-Stai indietro...- mi sussurrò allora, poggiando poi le labbra sulla mia fronte.

-Bene, deduco che prima di avere la ragazza dovrò ucciderti, caro Gabriele- sorrise il demone dai capelli rossi mentre si scrocchiava sonoramente le dita delle mani.

-Ci siamo già scontrati una volta Abaddon e mi pare che a te non sia andata molto bene-

-Ricordi anche che se non fosse stato per Michele tu non saresti qui?-

Vidi il ragazzo irrigidirsi, mentre le mani si stringevano attorno all'elsa della spada.

-Non sono più quello di allora- rispose poi tra i denti.

-Felice di sentirlo...-

Non so come, ma riuscivo a percepire una sorta di strana aura attorno al demone, scura e malvagia, capace di immobilizzare persino il mio corpo, a molti metri dal luogo dello scontro.

Mi afferrai gli avambracci e mi strinsi nelle spalle, iniziando a tremare, invasa da uno strano terrore.

Caddi in ginocchio, continuando però a fissare i due che si apprestavano a combattere. Sulla schiena di Gabe erano spuntate le bianche ali da arcangelo che per due volte mi avevano offerto protezione, mentre gli occhi ghiaccio di Abaddon avevano assunto la familiare sfumatura rubino.

-Sei pronto Gabriele?-

-Fatti sotto...-

Il demone partì come un fulmine contro il ragazzo, il quale alzò davanti a sé la sua spada, bloccando per un pelo l'avanzata del nemico. Notai però degli impercettibili solchi che i suoi piedi avevano lasciato quando era avvenuto l'impatto ed era arretrato. La mascella dell'angelo si era irrigidita, mentre il suo volto e quello del demone stavano a poca distanza l'uno dall'altro.

Mi portai lentamente una mano alla bocca, soffocando un singhiozzo. Pregai Dio di salvare in qualche modo il suo arcangelo.

 

POV GABE (GABRIELE)

 

Come potevo essere stato tanto incosciente da acconsentire a Laila di rimanere al mio fianco?

Una mossa falsa e avrei potuto ucciderla io stesso. Ma quando lei mi aveva guardato con quei suoi occhi così limpidi e soprattutto invasi dalle lacrime, non avevo potuto dirle di no.

Sapevo che in lei non albergava lo stesso sentimento che era nato invece in me fin dalla prima volta che ci avevo parlato, ma non mi interessava.

Non importava quanto ci avrei messo, ma sarei riuscito a farglielo dimenticare, liberandola da quel dolore per un amore non corrisposto. Si, perchè io avevo capito cosa la legava a quel demonio, sapevo ciò che lui le aveva fatto ancora prima di scoprire che fosse incinta.

Ma io la volevo per me, volevo che diventasse mia e più di una volta ho agito come un egoista, ignorando completamente ciò che lei pensava.

La promessa di proteggerla fino alla fine mi era sembrata l'unica cosa sensata da fare in quel momento, nonostante sappia di non avere possibilità contro uno come Abaddon. Lui, uno dei demoni più forti dell'inferno, sovrano del sottosuolo fino alla caduta di Lucifero, il quale prepodentemente aveva preso il suo posto.

Voleva Laila per impiegarla nella ricerca del diario del peccatore e io non potevo permetterlo.

Fossi anche morto nell'impresa, lei sarebbe stata salva.

 

D'un tratto vidi una delle mani del demone farsi rossa sangue. Fissai per qualche secondo la scena, sussultando quando Gabe, lentamente, si piegò su un ginocchio, gemendo di dolore. La mano che teneva la spada poggiò a terra, lasciando la presa sull'arma.

L'altra mano andò a tamponare una ferita che non vedendo, dandomi lui le spalle. Notai però la piccola pozza scarlatta che si stava formando ai suoi piedi.

-Ma come Gabriele, già ti arrendi?- chiese Abaddon, spostando poi lo sguardo su di me.

-Vorrà dire che prenderò la ragazza e me ne andrò senza ucciderti. Che ne dici? Non sono magnanimo?-

Detto questo tentò di superarlo, ma la lama della spada cozzò contro una sua gamba.

-Ah, quindi non ti arrendi?-

-Mai...- gemette Gabe, rialzandosi in piedi e mantenendo la spada di fronte a sé.

Si vedeva chiaramente la che la sua posizione era instabile, provata dalla perdita di sangue e dalla ferita che, vidi poi, si era aperta su un fianco e continuava a perdere sangue.

-Sei debole, mio caro arcangelo. Dopo tutti questi secoli, persino Lucifero avrebbe difficoltà a battermi-

-Ma davvero?- risuonò una voce nel buio.

Tutti ci voltammo, ma penso che quella più stupita in assoluto fui io: davanti a noi, le braccia conserte sul petto, lo sguardo rubino puntato sul nemico, stava Alec, visibilmente colmo dalla rabbia.

-Gabriele, pensavo di aver lasciato Laila in mani più capaci. È bastato questo idiota per metterti in ginocchio?- disse poi, canzonando l'arcangelo di nuovo caduto in ginocchio.

-Taci...- gemette lui, tentando di far leva sulla spada per rimettersi in piedi.

Io, continuando a fissare Alec, il quale mi rimandava uno sguardo intenso quasi quanto il mio, mi avvicinai lentamente a Gabe, facendo passare un suo braccio attorno alle mie spalle, in modo da aiutarlo nel rialzarsi.

-Grazie...- mi disse lui, debolmente.

C'era decisamente qualcosa che però non andava, in quanto, da quello che sapevo, le ferite in quel modo su esseri come loro avrebbero dovuto rimarginarsi molto più velocemente. E invece quella di Gabe non sembrava voler smettere di sanguinare.

-Laila!!-

Alec mi chiamò, costringendomi a guardarlo. Dopodichè, veloce, lanciò qualcosa contro di me, che io, non con difficoltà, afferrai. Quando riaprii il palmo della mano trovai una boccetta di vetro con all'interno un denso liquido nero.

-Faglielo bere. Annullerà l'effetto del veleno-

Perchè Alec voleva aiutare Gabe? Avrei dovuto fidarmi oppure avrei ucciso l'arcangelo? Puntai lo sguardo in quello del demone, per poi spostarlo sul volto sofferente del ragazzo al mio fianco.

-Gabe, che devo fare?- sussurrai.

Poi riportai lo sguardo in quello rubino di Alec, il quale mimò delle parole con le labbra:

-Fidati di me...-

Con esitazione, stappai con la bocca la boccetta e, senza aspettare una reazione di Gabe, gli spalancai la bocca e gliela versai in gola.

Il ragazzo prese a tossire, piegandosi poi come se stesse per vomitare. Il colorito si era fatto pallido e io mi sentii improvvisamente in colpa. Poggiai una mano sul petto di lui, per assicurarmi che stesse bene e sentii il suo cuore battere come un tamburo.

Dopo qualche secondo, però, il colorito parve tornare sul suo viso e il ragazzo si rilassò improvvisamente, tanto che quasi non riuscii a sorreggerlo. Così lo feci sedere a terra, notando che miracolosamente la ferita aveva smesso di sanguinare.

Una lacrima mi scivolò su di una guancia, mentre gettavo le braccia al collo dell'arcangelo, contenta che stesse bene.

-Lucifero, ti sei per caso rammollito?- sentii dire ad Abaddon, il quale ancora stava tra noi ed Alec.

-Per niente, mio caro usurpatore. Ho salvato l'angelo dal tuo veleno unicamente perchè ho bisogno di qualcuno che tenga d'occhio la mia Laila mentre io non ci sono-

Ecco il solito Alec. Ma nonostante questo, un sorriso nacque ugualmente sulle mie labbra.

-Povero sciocco, non crederai che lascerò perdere, vero? Quella ragazza si è rivelata essere una pedina troppo importante per non approfittarne. Quindi fammi un favore: cerca di morire in fretta!!- e detto questo si scagliò contro un Alec all'apparenza alquanto divertito.

Quello, muovendo un semplice passo alla sua sinistra, lo evitò senza problemi.

-Abaddon, pensi sul serio che abbia mostrato ai miei demoni tutti i poteri di cui dispongo? Illuso-

Senza slegare le mani dal petto, si limitò a fissare il nemico negli occhi per vederlo poi circondare da fiamme nere come la notte.

Un grido animalesco si schiuse dall'interno del rogo, per poi veder le fiame spegnersi a poco a poco. Il demone però era letteralmente sparito, senza lasciare traccie.

Mantenni lo sguardo fisso sul punto dove qualche secondo prima c'era stato il demone, non potendo credere ai miei occhi. Per questo non vidi neanche Alec che mi si avvicinava e si fermava al mio fianco, per poi abbassarsi per sussurrare al mio orecchio:

-Laila, sono alquanto arrabbiato con te...-

 

Non ricordo come, ma d'improvviso mi ritrovai nuovamente nell'appartamento che fino a quel momento avevo occupato assieme a Gabe. Il ragazzo camminava a malapena e io altrettanto malamente lo sorreggevo, mentre Alec camminava impaziente alle nostre spalle.

Spalancai la porta e, senza che il demone potesse fermarmi, mi diressi nella stanza dell'arcangelo, adagiandolo sul letto.

Quando toccò il materasso, il ragazzo emise un gemito soffocato, strisciando con i gomiti e la schiena sul letto, sino a poggiare la testa sul cuscino.

Io mi avvicinai. Sollevai delicatamente un lembo della maglia che lui indossava, per accertarmi in che condizioni fosse la ferita.

Corsi nel bagno, cercando una valigetta del pronto soccorso. La trovai le ripiano sotto il lavandino e tornai veloce nella stanza.

Gabe se ne stava là disteso, immobile. Se non avessi visto il suo petto alzarsi ed abbassarsi, non ero certa neanche che fosse vivo.

Mi feci silenziosamente vicino al letto, inginocchiandomi e poggiando la valigetta sul materasso. Tirai fuori un paio di forbici, con le quali aprii con poca grazia la maglietta di Gabe, o almeno, quello che ne rimaneva.

-Era la mia preferita- gemette il ragazzo, cercando di sembrare divertente.

Io sorrisi a mia volta, mentre con del cotone e dell'acqua ossigenata gli pulivo la ferita.

-Brucia...- disse lui tra i denti, irrigidendosi al contatto.

-Non fare il bambino- risposi, rimanendo concentrata su quello che stavo facendo.

Dopo aver ripulito la ferita ed essermi accertata che non fossero necessari dei punti, applicai delle bende e delle garze.

Finita anche quella procedura, rimisi tutto il materiale nella cassetta e feci per riportarla nel bagno. Una presa al braccio però mi impedì di andarmene.

Mi voltai, incontrando lo sguardo duro di Gabe.

-Lui è qui, non è vero?-

-Si-

-Laila, non devi farlo-

-Adesso che mi ha ritrovato, cosa mai potrei fare? Non serve continuare a scappare- sorrisi infine, mentre lui mi lasciava andare.

-Se ti farà del male, giuro che nonostante le mie condizioni troverò un modo di ucciderlo- rispose tra i denti, smettendo di guardarmi.

-Tornerò tra poco per vedere come stai- dissi io ed uscii dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle.

Trovai il salottino nella penombra, dato che era illuminato solo dalla luce della luna. Non vidi immediatamente Alec, quindi con calma mi recai nel cucinotto e mi versai un bicchiere d'acqua.

In quel momento sentii un lamento provenire da dietro la spalliera del divano, segno che qualcuno vi era sdraiato sopra. Con calma mi affacciai, trovando un Alec profondamente addormentato, una mano sull'addome e una dietro la testa.

Aveva il viso girato da una parte, mentre alcuni dei ciuffi mori gli ricadevano sulla guance e sulla fronte. Mi trovai a sorridere come una sciocca. Per un attimo mi era sembrato di vedere un normale ragazzo addormentato su un divano anziché uno spietato signore dell'inferno che voleva la mia anima.

Trovai la coperta che impiegavo per dormire sul divano e delicatamente gliela posai sopra. Mi trovai ad osservare meglio quel volto così lontanamente simile a quello di un demonio, avvertendo il cuore accellerare i suoi battiti.

Mi voltai per andarmene, ma una presa alla vita mi costrinse ad arretrare, sino a ritrovarmi stesa sul divano sotto un Alec visibilmente eccitato.

-Laila, te lo avevo detto di essere molto arrabbiato, vero? Pensi che te la farò passare liscia?-

Io lo fissai, spaventata. Che intenzioni aveva?

-Alec, ti prego, lasciami andare- tentai di dire, mentre tentavo di far forza sul suo petto per poterlo spostare da sopra di me.

Lui, come se non si fosse minimamente accorto dei miei vani tentativi, si abbassò lentamente su di me. Rabbrividii quando sentii la sensazione delle sue labbra sul mio collo. Portai la testa all'indietro, cercando aria.

Sentivo i lascivi baci che lasciava sulla mia pelle, anche se avevano qualcosa di diverso rispetto a quelli dell'ultima volta. Tentai di nuovo di sottrarmi, nonostante una parte di me si stesse lentamente abbandonando a quelle effusioni.

-Sei stata disubbidiente, piccola. Non sai quanto mi hai fatto penare per trovarti-

-Perché?- chiesi.

Lui per un attimo tornò a guardarmi negli occhi e disse qualcosa che non mi sarei mai aspettata:

-Perchè mi sei mancata Laila...-

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Capitolo 19
*** Ritorno a casa ***


Me ne stavo seduta al tavolo della cucina, con in mano una tazza di caffè bollente. Alec si era trasferito nella mia stanza e io, nonostante in fondo mi fosse mancato, non avevo certo intenzione di dormire con lui.

Eppure mi pareva cambiato, come se adesso gli importasse veramente di me. Sollevai la tazza, poggiandomela alla fronte e sospirando, afflitta.

Come avrei fatto a dirgli della gravidanza? Come avrebbe preso la notizia? Il solo pensare ad una vita senza di lui mi fece stare ancora più male.

Tutta quella storia era cominciata come un'orrenda sfortuna: il patto, il gioco, ogni cosa. Poi però si era evoluta in un modo alquanto inaspettato per entrambi, ne ero certa.

Di colpo mi tornarono in mente le sue parole di poco prima. Mi aveva rivelato, senza nessuna remore, che le ero mancata. Al solo ricordare quella infantile confessione sentii le guance farsi calde e il corpo venir scosso da un fremito.

In quel momento avvertii dei passi risuonare nel piccolo corridoio che divideva la cucina dalle camere e sulla soglia comparve Gabe, dolorante e con una mano premuta sulla ferita di Abaddon gli aveva provocato.

Con uno scatto lo raggiunsi, aiutandolo a sedersi.

-Ma sei impazzito? Perchè sei già in piedi?- dissi.

-Non preoccuparti, Laila. Le creature come noi guariscono molto più velocemente, ricordi?-

-Si lo so, ma la ferita che avevi era grave- risposi, nascondendo lo sguardo come una bambina che nascondeva un pasticcio.

Lo sentii ridacchiare. Tornai a fissarlo e vidi che mi rivolgeva uno sguardo colmo di affetto, mentre una mano la passava tra i capelli spettinati. Mi sentii arrossire guardando il suo sorriso, mentre avvertivo il cuore battermi forte.

-Cosa pensi di fare adesso?- mi chiese poi, facendosi immediatamente serio.

-A cosa ti riferisci?-

Il ragazzo si lanciò una rapida occhiata alle spalle, in direzione della porta che aveva appena varcato e che conduceva alla zona notte, poi tornò a guardarmi.

-Cosa farai? Te ne andrai con lui?-

Avvertii il mio cuore perdere un battito. Cosa significava quella domanda? Era vero, Gabe e Alec erano nemici naturali, ma se entrambi avevano lo scopo di proteggermi, allora pensavo che saremo partiti insieme.

Anch'io mi feci seria.

-Sai che sceglierò lui, non è vero?-

Sulle labbra dell'arcangelo nacque un sorrisetto, più simile ad un ghigno.

-Me lo aspettavo, anche se speravo di poterti far cambiare idea. Sai che lui non potrà mai darti tutto quello che vai cercando e...-

-Credo che questo spetti a Laila deciderlo- lo interruppe la sua voce.

Ci voltammo entrambi, intravedendo l'ombra di Alec sulla soglia, mentre con una mano si grattava sensualmente la pancia.

-Ma tu non riesci mai a farti gli affari tuoi?- chiese tra i denti Gabe, mentre lo seguiva con lo sguardo.

-E tu quando smetterai di fare l'angioletto difensore degli oppressi?-

Sentii il peso del demone su di me, mentre una sua mano mi circondava le spalle e il suo respiro mi si fece vicino ad una guancia.

-L'hai sentita? Sceglierà comunque me- sospirò contro la mia pelle.

Io mi sentivo malissimo, in colpa con me stessa e nei confronti di Gabe, mentre non riuscivo a guardarlo negli occhi.

-Vero, sceglierà te. Ma è anche consapevole che questo la metterà continuamente in pericolo-

-Io la proteggerò. Non sono affari tuoi-

L'arcangelo scattò in piedi, battendo pesantemente le mani sul tavolo.

-Davvero? Abaddon la cerca perchè ti vuole fare unicamente un torto. E non solo lui. Ti ricordi di Michele?-

Con la coda dell'occhio vidi l'espressione strafottente di Alec mutare improvvisamente. Lo sentii staccarsi un poco, ma non si allontanò di un solo passo.

-Che vuoi dire?-

-Che adesso abbiamo alle costole anche Michele e non credo che sarà facile come mettere in fuga Abaddon- rispose Gabe, tornato improvvisamente trionfante.

-E dimmi un po'. Come ha fatto Michele a sapere di Laila?-

Stavolta fu l'espressione di Gabe a cambiare.

-Non rispondi? Te lo dico io. So dove l'hai trascinata quando siete spariti quel giorno al campus. Tu l'hai portata dal Consiglio per rimuovere il mio marchio, ma qualcosa deve essere andato storto, non è così. Per questo, quei vecchi dementi hanno preferito convocare uno come Michele, piuttosto che cedermi Laila-

Lo fissai, contrariata. Non ero certo un oggetto. Come poteva parlare di me come se fossi un giocattolo conteso tra dei bambini capricciosi.

-Stai quindi dicendo che è colpa mia? Tu...- iniziò Gabe, ma io lo zittii con un'occhiata.

Quella discussione stava degenerando e temevo che l'arcangelo potesse inavvertitamente svelare il mio segreto.

Alec si accorse del nostro scambio di occhiate e ovviamente ne fu insospettito, ma nonostante questo non disse niente. L'altro ragazzo, irritato oltre misura, ci voltò le spalle e si incamminò verso le camere. Avrei voluto fermarlo, ma Alec me lo impedì.

Vidi Gabe sparire nella penombra, chiudendosi la porta alle spalle.

Calò il silenzio, nel quale nessuno dei due disse una parola. Io, seduta al tavolo, sguardo basso, mentre in grembo mi torturavo le mani. Lui, al mobile della cucina alle mie spalle, che mi osservava.

-Dunque...c'è qualcosa che devi dirmi?- chiese poi all'improvviso.

Io mi paralizzai, il fiato mi si mozzò in gola, mentre il cuore prese a correre all'impazzata. Lo sentii avvicinarsi di nuovo, vedendolo comparire poi nel mio campo visivo, poggiando una mano sul tavolo e bloccandomi ogni via di fuga.

-Laila...parla-

La sua non era una richiesta, ma suonava molto più come un ordine. Io però distolsi semplicemente lo sguardo, desiderando di scomparire in quel preciso istante.

Una presa al mento mi costrinse malamente a voltare di nuovo la testa, incontrando il suo sguardo. Pareva arrabbiato. I suoi occhi avevano assunto l'ormai familiare sfumatura scarlatta.

-Si tratta di quell'angelo da strapazzo, non è vero?-

Sgranai gli occhi per la sorpresa. Forse non era tutto perduto, in quanto Alec, per quanto intuitivo potesse sembrare, per una volta non aveva centrato il punto.

Mi liberai dalla sua presa, riuscendo finalmente ad alzarmi in piedi. Purtroppo però, nella mia volontà di scappare, mi intrappolai in un angolo della cucina, Alec che incombrava su di me.

-Non rispondi? Sai che il tuo silenzio conferma il mio sospetto- mi disse, mentre avanzava verso di me.

-Non è successo niente tra noi. Siamo solo amici- dissi, sapendo di non star mentendo.

-Allora perchè quell'occhiata?-

-Niente. Non voleva dire niente-

In quel momento mi ritrovai bloccata dal suo corpo contro il mobile freddo che mi premeva sulle reni, i miei occhi puntati nei suoi.

Vidi un sorrisetto sghembo nascergli sulle labbra, mentre si abbassava verso di me, sempre più vicino.

-Piccola Laila, mi costringi forse a farlo sparire?-

Quella sua celata minaccia mi fece seria paura. Puntai le mani sul suo petto, tentando di farlo allontanare, ma non ci riuscii.

-Vattene Alec, lasciami in pace!!- esclamai, ma una mano mi tappò la bocca, quasi soffocandomi.

Sentivo gli occhi farsi lucidi, mentre quasi non riuscivo a riempire i polmoni d'aria. Lui continuava a fissarmi, come se mi stesse sondando l'anima.

-Ricordalo Laila, tu sei mia e mia soltanto. Chiunque si metta in mezzo rischia di finire male, compreso quell'odioso arcangelo-

Dopodichè si spostò, consentendomi così una via di fuga che sfruttai immediatamente. Corsi nella mia stanza e mi ci chiusi dentro. Dopodichè scivolai sino a terra con la schiena contro la porta e scoppiai in un silenzioso pianto.

 

Non so come raggiunsi il letto e mi ci addormentai, ma quando aprii gli occhi trovai Alec accoccolato al mio fianco che dormiva. Ebbi un sussulto nel trovarlo lì e quasi caddi dal letto. Poi però, non so neanche io perchè, ma mi fermai per un attimo a guardarlo. Mentre dormiva sembrava decisamente un'altra persona, più umano di quello che in realtà mostrava.

Poi però mi ricordai di quello che lui realmente era e mi fece schifo. Maggior ripugno però lo ebbi di me stessa che, nonostante tutto, lo volevo al mio fianco.

Mi voltai, tentando di alzarmi, quando una presa alla vita mi costrinse a stendermi nuovamente. Mi ritrovai il viso del demone ad un soffio dal mio, mentre la sua presenza opprimente mi bloccava contro il materasso.

-Sai, ho riflettuto su tutta la situazione e sono giunto ad una conclusione-

Sorrideva strafottente ed ebbi paura di ascoltare il seguito.

-Che vuoi dire?- chiesi allora con un fil di voce.

-Ho deciso che è il momento di tornare a casa-

 

-Lasciami Alec, non me ne voglio andare senza dire niente a Gabe- gridai, mentre il demone mi trascinava nuovamente nel salone.

L'altro probabilmente mi sentì, visto che apparve qualche secondo dopo davanti a noi, all'apparenza completamente ristabilito.

-Che succede?- chiese, spostando lo sguardo da me ad Alec.

-Laila fa i capricci- rispose il demone, mentre mi teneva stretta contro di lui.

-Gabe, ti posso spiegare- dissi e avvertii la stretta su di farsi più forte.

-Dove vuoi portarla?- chiese l'angelo, fissandolo in cagnesco.

-Nel posto dove sarà al sicuro, da Michele, da Abaddon e anche da te-

Gabe parve capire, in quanto mosse un passo verso di noi.

-Non puoi farlo-

La sua voce stavolta parve quasi una supplica.

-Laila mi appartiene, anima e corpo. Posso farlo e lo farò-

Io continuavo a fissare l'arcangelo, il quale ci guardava impotente. Prima che una foschia nera ci avvolgesse, gridai:

-Gabe, per favore, proteggi Abigail!!-

Dopodichè entrambi sparimmo.

D'improvviso un intenso calore colpì il mio corpo, tanto da farmi gemere. D'istinto mi strinsi di più al corpo di Alec, affondando quasi le unghie nella sua pelle. Sentii però il suo tocco farsi leggermente meno prepotente.

Socchiusi gli occhi, notando due grandi ali dalle piume nere aperte sulle sue spalle. L'ambiente attorno a noi era confuso. Pareva sfrecciasse ad una velocità tale da impedirmi di distinguere qualunque dettaglio.

Poi di colpo sembrò che la nostra corsa si arrestasse e, nell'impatto con un pavimento duro, quasi sentii le gambe frantumarsi, per poi cedere di colpo.

La presa che Alec aveva su di me però non si sciolse, mantenendomi in piedi.

-Siamo arrivati- mi sussurrò in un orecchio.

Io finalmente tornai a guardarmi intorno, notando una grande stanza finemente arredata, con le parete di pietra nera e un grande letto a baldacchino dalle lenzuola di seta scarlatte.

Mi staccai un poco da lui, lasciandomi scivolare sul pavimento che sfiorai con le dita di entrambe le mani. Era anch'esso in pietra, ma pareva caldo.

Scorsi poco più in là una grande finestra che si affacciava su di un terrazzo. Lentamente riuscii ad alzarmi, rifiutando l'aiuto che il demone mi offrì. Barcollando uscii sulla terrazza, ammirando l'ambiente sotto di noi.

Non era certo in quel modo che mi immaginavo l'Inferno. Vidi un'immensa e verdeggiante vallata estendersi a vista d'occhio, delimitata da una catena di monti. Il cielo era terso, mentre si udivano rumori di genti indaffarate.

Mentre guardavo sconvolta il paesaggio, sentii la sua presenza dietro di me, per poi avvertire una stretta delicata circondarmi la vita e il suo respiro all'altezza della mia fronte.

-Non te lo aspettavi così, non è vero?- mi sussurrò.

Io accennai ad un diniego con la testa. Ero letteralmente incantata, come sotto ad un incantesimo.

-Questo è l'Eden, il giardino che Lui donò al primo uomo e alla prima donna e che poi fece sprofondare nelle viscere dell'Inferno dopo il loro tradimento. È semplicemente divenuto il mio regno-

-E le pene, le torture, la sofferenza di cui si sente parlare-

-Quelle sono cose che neanche a noi piace vedere, quindi nascoste persino ai demoni. Sappi solo che coloro che lo meritano vengono fatti sprofondare tra le fiamme del Tartaro-

In quel momento mi voltai, fissandolo negli occhi. La sua stretta non accennava a sciolsersi, ma non so come, nonostante tutto non mi importava.

-Cosa hai intenzione di farne di me? Anch'io sprofonderò tra quelle fiamme per pagare il debito del mio antenato?-

Lui scoppiò a ridere e la cosa un po' mi fece irritare. Era come se mi considerasse una bambina ingenua.

-Laila, io sono il sovrano in questo posto. Io posso decidere le condanne per i miei dannati e questo vale anche per te-

Senza lasciarmi il tempo di ribattere, ghermì le mie labbra violentemente, lasciandomi solo il tempo di un respiro. Le divorava come se non avesse mai assaggiato cosa più dolce, come se lo dissatessero e io, come sempre, mi abbandonai a lui.

Le sue mani vagarono sulla mia schiena, fino a quando si fermarono ai lati del mio viso, spingendolo violentemente contro il suo.

Ci separammo solo per respirare, poi lui tornò ad unire nuovamente le nostre labbra. Nella frenesia e nel desiderio di quel momento, però, mi tornò in mente Gabe. L'aveva abbandonato senza una dovuta spiegazione. Forse però, se glielo avessi chiesto, Alec mi avrebbe fatto parlare con lui almeno un'ultima volta.

In quel momento il demone si allontanò da me, fissandomi in un modo che mai avevo visto. Pareva...tenerezza.

Sorrisi, stavolta spontaneamente. Anche lui lo fece e stava per riunire le nostre labbra quando una voce risuonò nella stanza:

-Bentornato, mio signore-

Ci voltammo entrambi, trovando una giovane dai lunghi capelli corvini, finemente vestita, in ginocchio davanti a noi.

Alec cambiò immediatamente espressione e io lo notai. Fece un passo avanti, facendo cenno alla donna di alzarsi. Poi, voltandosi verso di me, disse:

-Laila, ti presento Lilith-





NDA
Premetto che mi sento infinitamente in colpa per la lunga assenza da questa storia, dato che è una delle più seguite e recensite, ma sapete com'è, a volte c'è la crisi della pagina bianca, quindi...
Torno quindi con un nuovo capitolo. Si comincia a cambiare ambientazione, entrando stavolta nel vero e proprio regno di Alec, nel quale Laila ne vedrà delle belle.
Introduco anche un altro personaggio: Lilith. Chissà che ruolo avrà?
Ringrazio lullaby96 per aver riportato la mia attenzione su questo racconto e questo capitolo lo dedico a lei :3
Certo non mi dimentico di tutti quelli che mi seguono e recensiscono. Un saluto grande Marty.

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Capitolo 20
*** O me o lei ***


Alec se ne era andato da quasi un'ora, lasciandomi sola in quella stanza. Mi ero silenziosamente seduta sul letto e avevo aspettato.

Non appena era comparsa quella demone, Lilith, lui era improvvisamente diventato freddo, i suoi occhi avevano cambiato tonalità, totalmente.

Dopodichè era uscito, seguito da lei, la quale, prima di varcare la porta, mi aveva lanciato un'occhiata che probabilmente avesse potuto uccidere lo avrebbe fatto.

Prevedevo guai e la cosa non mi piaceva.

Basta, non ce la facevo più ad aspettare. Stavo diventando ansiosa, sospettosa e presi a camminare avanti e indietro per la stanza come un'invasata. Cos'è che non mi faceva stare tranquilla? L'ambiente? L'atmosfera? O forse sapere Alec solo con quella?

Così, silenziosamente, schiusi la porta e mi affacciai su di un corridoio, deserto. Mi guardai intorno per un istante, poi mi feci coraggio e mi incamminai.

I colori che prevalevano erano scuri, andavano dal nero pece al rosso porpora, ma i fregi e gli arredi parevano quelli di un castello medioevale.

D'un tratto mi fermai dinnanzi ad una porta lasciata accostata, avendo udito delle voci provenire dall'interno.

Cercando di non fare rumore mi affacciai, schiudendo il battente quel tanto per osservare all'interno. Vidi Alec, davanti ad un grande camino acceso, e, poco più in là, Lilith, la quale stava camminando verso di lui in modo alquanto equivoco.

-Allora è vero quello che si vociferava- disse la demone, continuando ad avvicinarsi ad Alec.

-E cosa si vociferava?- chiese lui, rigido come mai lo avevo visto.

-Che ti sei invaghito di un'umana. Tu, il nostro re, perso per una ragazzina-

-Attenta a come parli, Lilith-

-Altrimenti. Avanti, a me puoi dirlo. Ti sei semplicemente trovato un passatempo in mia assenza, non è vero?- chiese ancora lei, arrivando a pochi centimetri da lui e poggiandogli le mani sul petto, fissandolo con seria lussuria.

Non riuscivo a crederci. Non volevo crederci. Sentivo le mani formicolarmi, mentre un dolore al basso ventre mi costrinse a distogliere per un attimo lo sguardo. Quando lo riposai sui due, li vidi appiccicati in un passionale bacio.

Mi sentii morire, lentamente e dolorosamente. Ero davvero solo un passatempo?

In fondo cosa potevo aspettarmi? La mia anima era destinata ad ardere tra le fiamme dell'inferno e non a donarsi ad uno come il Demonio in persona.

Decisi che avevo visto abbastanza. Così, sempre in silenzio, mi allontanai dalla porta e corsi verso la stanza nella quale Alec mi aveva lasciato.

Entrai, sbattendo la porta. Non volevo piangere, ma era qualcosa più forte di me. Così mi sedetti sul letto, lo sguardo basso, le braccia a circondare il ventre che stava custodendo il figlio del diavolo.

Una lacrima mi scese comunque lungo una guancia, segno evidente che quelo che provavo per me era fin troppo vero.

 

Mi ero nuovamente addormentata stringendo uno dei due morbidi cuscini del letto di Alec. Stavolta però, quando mi svegliai, lui non era al mio fianco come la volta precedente e questo mi fece stare ancora più male.

Come se fosse stato richiamato da quel pensiero, però, sentii la maniglia girare lentamente e dei passi farsi dentro la stanza.

Mi alzai a sedere, incontrando lo sguardo del demone che mi fissava, ancora di un colore scarlatto.

-Mi dispiace averti svegliato- mi disse, ma io non risposi.

Mi limitai a stendermi nuovamente sul letto, voltandogli le spalle. Avvertii la sua presenza accanto a me, mentre si stendeva al mio fianco.

La sensazione delle sue labbra sulla mia pelle mi fece rabbrividire. Avrei ceduto di nuovo e non volevo.

Con uno scatto mi sottrassi.

-Non mi toccare...- sussurrai tra i denti, continuando a non voltarmi.

Per qualche secondo non lo sentii più e credetti se ne fosse andato. Poi però una presa alla spalla mi costrinse a voltarmi con la schiena contro al materasso, bloccata dal suo corpo. Il suo volto mostrava un misto tra l'arrabbiato e il confuso.

-Laila, pensavo avessimo superato questa parte- disse con un sorrisetto strafottente dipinto sulle labbra.

-Hai pensato male- ringhiai e tentai di sottrarmi, ma senza riuscirci.

-Cosa ti prende, si può sapere?-

-Non voglio essere toccata da te. Non ti è chiaro?-

Finalmente riuscii a liberarmi e scattai in piedi. Lui mi seguì dopo qualche secondo. Non volevo assolutamente che quelle labbra che mi avevano confessato di essergli mancata e mi avevano dato la vana speranza di un sentimento che in fondo non esisteva e che nello stesso giorno avevano baciato un'altra, mi toccassero nuovamente.

-Alec, perchè non mettiamo fine a questa pagliacciata? Prenditi la mia anima e facciamo come se niente fosse successo. Tu avrai il tuo premio, io la mia meritata pace-

-Laila, ma di cosa stai parlando? Pensavo di essermi spiegato-

-Si certo, come ti sei spiegato con Lilith, non è vero?-

Lo vidi impietrire. Quell'espressione sul suo viso mi fece sorridere.

-Non pensavi che l'avrei scoperto subito, vero? Pensavi di poterci scopare entrambe?!?-

Lo vidi muovere un passo verso di me, ma non pensai che i suoi occhi mi potessero spiazzare così tanto. Mi fissavano, ma non parevano strafottenti come al solito, ma dispiaciuti e colpevoli.

-Laila, lascia che ti spieghi...-

-No, perchè ogni parola che dirai sarà solo una menzogna. Lasciami in pace!!-

A quelle parole Alec tornò impenetrabile come quando lo avevo conosciuto.

-Bene, vuoi che ti lasci in pace? D'accordo. Vuoi la tua condanna? Sarai accontentata-

Con un movimento fulmineo me lo trovai davanti, una mano a circondarmi la vita e l'altra a tenermi fermo il mento, mentre i suoi occhi continuavano a rimanere fissi nei miei.

-Non ti lascerò bruciare tra le fiamme dell'inferno, sarebbe troppo facile. Rimarrai qui, in questo castello, in questa stanza, a riflettere e ad aspettare, sino a quando non mi sarò stancato di te-

Mi baciò, rude, mordendomi il labbro inferiore quando io cercai di sottrarmi. Lo sentii sanguinare e strizzai gli occhi per reprimere un gemito. Dopodichè si allontanò, facendomi cadere a terra e, leccandosi le labbra, se ne andò.

Se solo avesse saputo...

 

-Allora, è tornato? E dimmi, l'umana è con lui?-

-Si, se l'è portata dietro. Povera sciocca, non sa cosa l'attende-

-Oh, nessuno dei due se lo aspetta-

 

Ero ancora in ginocchio, a terra, dove Alec mi aveva lasciato. Singhiozzavo, ma le lacrime non mi scendevano e il dolore al petto era pressocchè insopportabile. In quel momento sentii bussare.

In cuor mio sperai che fosse lui, che fosse tornato da me come le volte precedenti, ma sulla soglia apparve una demone molto giovane, corti capelli biondi sino alle spalle e gli occhi dell'ormai familiare colore rosso.

-Il padrone mi ha mandato a prenderti-

La fissai senza capire. Forse anche lei lo notò, dato che continuò:

-Mi ha ordinato di prepararti e istruirti sulle abitudini di palazzo. Ha dato disposizioni di fare di te una delle sue serve-

-Come?!?- dissi, sbalordita.

Era dunque quella la mia punizione? Essere la sua schiava?

-No. Puoi dire al tuo padrone che non lo farò mai-

-Ha detto che lo avreste detto. Ha aggiunto che in tal caso avrebbe colpito i vostri cari-

L'espressione sul volto della ragazza non era mutata di una virgola. Pronunciava ogni parola come se stesse raccontando una sorta di storia, senza enfasi né sentimento.

-D'accordo- dissi e la seguii.

Mi portò per un lungo corridoio, simile a quello che avevo percorso in precedenza, costeggiato da numerose porte.

-Quella dalla quale sei uscita è la stanza del padrone, quindi non vi puoi entrare senza permesso. Ti sarà data una stanza nella zona della servitù-

Feci un veloce cenno di assenso, mentre con lo sguardo basso fissavo i miei piedi. Ci fermammo dopo pochi minuti davanti ad una piccola porta di legno scuro, in uno stretto corridoio illuminato da fiaccole attaccate ad entrambi i lati. La giovane demone schiuse la porta, rivelando una stanzetta con un letto, un tavolo, un cassettone e una porta che probabilmente portava ad un bagno.

-Troverai il cambio nell'armadio e puoi lavarti nel bagno che comunica con la tua stanza. Per il momento è tutto. Verrò a riprenderti domattina- e detto questo mi chiuse la porta alle spalle.

Era questo che Alec voleva? Questo aveva progettato per farmela pagare? Bene, non gliela avrei data vinta tanto facilmente.

Mi affacciai sul bagnetto, notando con sollievo una stretta e spartana doccia, ma sarebbe andata comunque bene. Così mi liberai dei vestiti ed entrai sotto il getto d'acqua, sospirando di sollievo. Quello era l'unico posto dove riuscivo a sgombrare la mente e pensare con lucidità.

Abbassai lo sguardo, sfiorando con le dita il pentacolo sul mio ombelico e sorrisi appena. Notai che la pancia mi si era ancora leggermente gonfiata, ma nessuno l'avrebbe notata.

Uscii dopo quasi un'ora, avvolta in un asciugamano che trovai nel bagno.

-Ti piace la tua nuova sistemazione?-

La sua voce mi fece sussultare. Sulla porta stava Alec, la sua solita faccia da schiaffi, la spalla poggiata allo stipite e le braccia conserte sul petto.

-Che cosa ci fai qui?- chiesi, cercando di sottrarmi ai suoi occhi.

Lui lo notò e sorrise ancora di più.

-Non ricordi Laila? Ormai conosco ogni centimetro del tuo corpo- e mosse un passo verso di me.

-Non ti avvicinare- gli dissi, alzando un braccio di fronte a me e arretrando a mia volta.

-Non devi essere arrabbiata, piccola. Mi hai costretto tu ad agire così-

Un altro passo verso di me e un altro che io arretrai.

-Per me questa è la più lieve delle punizioni. Se pensavi di farmi un torto, allora ti sei sbagliato. Mi permetterà almeno di stare lontano da te-

-Davvero? E se ti dicessi che sarai la mia schiava personale?-

Io impietrii.

-Non puoi farlo-

-Posso e lo farò. E ricorda: le schiave fanno sempre tutto quello che il padrone ordina loro- disse, carezzandomi una guancia.

Io mi sottrassi rudemente, fissandolo poi in cagnesco.

-Renderò la tua vita un inferno- dissi.

-Vedremo- e detto questo se ne andò.

 

La mattina mi alzai presto. Non ero riuscita a dormire per quasi tutta la notte al pensiero che sarei stata in balìa di Alec più di quanto già non fossi. Dopo essermi lavata, aprii l'armadio, inorridendo nel vedere i vestiti che avrei dovuto indossare: una mini veste che mi arrivava a malapena a metà coscia, monospalla, con una cintura che mi circondava il ventre. Per fortuna la stoffa era morbida e mi rimaneva larga in vita anche con la presenza di quel pezzo di stoffa, almeno il rigonfiamento della pancia non si sarebbe comunque notato.

Ai piedi un paio di stivali morbidi, piatti, alti quasi fino al ginocchio.

Indossai ogni capo e aspettai che la demone del giorno prima mi venisse a chiamare. E così accadde.

Bussò alla porta dopo qualche minuto e io uscii, venendo esaminata da una veloce occhiata.

-Bene- disse e riprese il corridoio del giorno precedente.

Io la seguii in silenzio, riconoscendo quasi immediatamente la strada che stavamo percorrendo, in quanto riportava alla stanza di Alec.

Ci fermammo. Su un tavolino stava un vassoio con del cibo e mi fu ordinato di portarlo dentro. Poi mi fu solo raccomandato di eseguire ogni ordine che il padrone mi avrebbe dato.

Così io, dopo aver seguito con lo sguardo la demone che se ne andava, bussai alla porta.

Non ottenni una risposta immediata, ma dopo qualche minuto qualcuno mi venne ad aprire. Davanti mi si parò Lilith, la quale indossava solo una vestaglia color rubino e i capelli erano spettinati e lasciati sciolti lungo la schiena. Non mi ci volle certo un interprete per capire cosa ci faceva là.

-Oh Laila, vedo che hai trovato la tua vera vocazione. Entra- mi disse con finto buonismo e si scansò per permettermi di entrare.

Io, senza neanche guardarla, varcai la soglia. La stanza era immersa nella quasi penombra, mentre vidi il letto disfatto e Alec, il torso nudo, poggiato allo schienale, che mi fissava.

Sentii Lilith chiudere la porta alle mie spalle e raggiungere leggera il letto, stendendosi al fianco del demone, la testa poggiata su di una sua spalla e con una mano disegnava dei ghirigori sui pettorali scolpiti.

Avvertii una strana sensazione alla bocca dello stomaco, quella che chiaramente era gelosia. Stavo reprimendo la voglia di prendere il vassoio e sbatterlo in faccia ad entrambi per poi andarmene.

Ma aspettai e continuai a guardarli. Poi dissi:

-La colazione, padrone-

Vidi lo sguardo del demone avere un sussulto, poi scansare malamente la demone e dire:

-Lasciami solo-

Lei, visibilmente contrariata, si alzò e mi passò a fianco, mentre il suo sguardo omicida continuava a squadrarmi.

Non appena mi superò, avvertii una botta alla schiena che mi fece perdere l'equilibrio e cadere a terra, rovesciando anche il vassoio che avevo in mano.

-Ops, scusa- le sentii dire e seguii i suoi passi mentre si allontanava e si chiudeva la porta alle spalle.

In silenzio, reprimendo le lacrime, presi a raccogliere i pezzi delle stoviglie che avevo rotto. D'un tratto vidi Alec apparire nel mio campo visivo e inginocchiarsi per darmi una mano.

-Ci penso io, padrone- dissi incolore.

-Laila, io...-

-Non dire niente. Faresti solo peggio- dissi e mi alzai con il vassoio, voltandogli le spalle.

Prima che pootessi muovermi, però, lui mi prese per le spalle e nascose il viso nell'incavo del mio collo.

-Lascia che ti spieghi...- disse, a contatto con la mia pelle.

-Vedi, Alec, io non sono una che si accontenta degli avanzi, che reprime i sentimenti solo per fare un piacere a qualcuno. Solo questo ti dico: o me, o lei...- e detto questo mi allontanai, uscendo dalla stanza e lasciando solo il demone, il quale, sapevo, mi stava ancora guardando.

 

Avevo malamente riappoggiato il vassoio sul tavolino sul quale l'avevo trovato, dirigendomi a passo svelto in direzione della mia stanza. Gli occhi mi si erano improvvisamente riempiti di lacrime, mentre con una mano tentavo violentemente di non farle uscire.

Imboccai quindi il corridoio che portava alla camera, ma la strada mi fu bloccata da qualcuno che, a causa della penombra, non riconobbi immediatamente.

-Cosa ci fai qui?- chiesi poi quando riconobbi lo sguardo di ghiaccio di Lilith.

-Non dovresti rivolgerti in questo modo. Sei uno schiava, devi portare il dovuto rispetto-

-Non credere che solo perchè Alec si è ideato questa punizione così demente, io mi debba comportare come una povera servetta disinibita. Scordatelo-

-Sei impudente Laila, forse è per questo che lui non riesce più neanche a mostrarmi desiderio. Non mi ha neanche toccata, per tutta la notte-

Quelle parole mi stupirono, lasciandomi impalata mentre tentavo di superarla. Allora lui non era andato a letto con lei.

Poi avvertii la sua voce vicino al mio orecchio sussurrare:

-Attenta ragazzina. Non mi piace avere rivali. Se ti metterai ancora in mezzo, finirai male- e detto questo se ne andò, lasciandomi sola.

 

Dio, quanto ero stata stupida. Mi ero fidata solo dei miei occhi senza chiedere niente a lui. Alec aveva cercato di spiegarmi, di farmi cambiare idea, ma io, come una ragazzina capricciosa, non avevo voluto sentire ragione. E probabilmente adesso lo avevo perso.

Mi inginocchiai sul letto, portandomi le mani al viso. Dovevo assolutamente parlare con lui, ma se lo avessi fatto, Lilith me l'avrebbe fatta pagare. Allora che fare?

Solo in quel momento mi ero resa conto cosa davvero provavo per lui, cosa realmente sentivo dentro di me.

Alzai il viso, mentre le lacrime ormai scendevano incontrollabili. Erano però mischiate a un pianto di pura felicità.

In quell'attimo avrei voluto gridare al cielo quanto, nonostante tutto, lo amavo.





NDA
Siccome stasera sono in vena vi delizio con ben due aggiornamenti. Non fateci l'abitudine, poichè non andrò spedita in questo modo molto spesso. Ringrazio coloro che continuano a recensire, sperando in una loro recensione anche in questo capitolo. Mando un ringraziamento anche a coloro che hanno messo la storia tra le tre categorie e chi invece legge e basta, anche se mi piacerebbe sapere anche una sua opinione.
Un saluto Marty.

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Capitolo 21
*** Dubbi ***


Tirò l'ennesimo calcio al sassolino che lo aveva accompagnato sino all'entrata del campus. Non sapeva neanche lui con esattezza cosa lo avesse portato su quella strada, forse la richiesta di Laila poco prima di sparire con quel demonio o forse semplicemente perchè non aveva altro posto dove andare.

La sua missione era conclusa, fallita. Lui l'aveva portata via, all'inferno, e adesso la sua anima gli apparteneva. Si sentiva un fallito, un inetto, e avrebbe quasi voluto contattare Michele per poter mettere fine alla sua vita.

Varcò il grande cancello di ferro battuto con sopra riportato il nome dell'istituto. A quell'ora la maggior parte degli studenti stava probabilmente seguendo i corsi, in quanto il parco era pressocchè deserto.

Afflitto, si sedette sulla stessa panchina dove quel giorno aveva invitato Laila ad uscire la prima volta. L'aveva trovata in lacrima, sapeva a causa del demone, e lei lo aveva d'istinto abbracciato.

In quel momento aveva provato uno strano calore, la sensazione di un cuore che batteva contro il suo fermo ormai da millenni, la morbidezza della pelle di una donna.

Si prese la testa tra le mani, passandole con fare frustrato tra i capelli castani. Cosa avrebbe fatto da quel momento in poi? Poter solo pensare si scendere nel sottosuolo a salvarla era da scartare, in quanto per gli angeli era sinonimo di morta la discesa negli inferi.

Quindi? Aspettare che fosse lei a riuscire a farsi viva, anche solo per dirgli che stava bene?

D'un tratto una voce interruppe i suoi pensieri:

-Ti senti bene?-

Lui alzò lo sguardo, incontrando un paio di occhi castani e un testa di capelli biondi che ricadevano morbidi sulle spalle. Una ragazza, forse della stessa età della sua Laila, lo stava fissando, visibilmente preoccupata.

Non doveva avere un bell'aspetto.

Così, per evitare problemi, si schiuse in un sorriso, evidentemente forzato, e rispose:

-Nessun problema. Solo un po' di stress post esami-

La ragazza lo fissò storto, mentre, con un movimento sinuoso, gli si faceva a fianco. Quanta intraprendenza.

-Sembra piuttosto che tu sia sopravvissuto ad un naufragio. Sei sicuro di stare bene?- e gli poggiò delicatamente una mano sulla fronte, poggiando l'altra sulla propria.

Gabe rimase impietrito da quel gesto così diretto e spontaneo, ma soprattutto dalla reazione di profondo imbarazzo che gli provocò.

-La febbre non ce l'hai, anche se anche il tuo essere freddo come il marmo non è un buon segno. Un attimo, ma hai il viso rosso...-

Il ragazzo si sottrasse al tocco di lei, la quale, intuendo la situazione, si voltò a sua volta, giungendo le mani in grembo e nascondendo lo sguardo.

-Scusami. So di essere invadente, ma è un lato del mio carattere che non riesco a reprimere. Mi piace aiutare gli altri. Avevo un'amica, ma se ne è andata senza dire una parola. Ho provato anche a chiamare a casa sua, ma niente. Sono preoccupata-

-Non devi scusarti. Non è un difetto il voler aiutare il prossimo. Comunque io sono Gabe. E tu?-

La ragazza osservò per un attimo la mano che il ragazzo le tendeva, poi, sorridendo, la strinse:

-Piacere, Abigail-

Lui si stupì della fortuna che aveva avuto. In tutto il campus, proprio la persona che cercava doveva incontrare?

-Tutto bene?-

-Si, si, sto bene-

-Sai, credo ti ci voglia qualcosa per tirarti su. Ti va un caffè?-

 

-E all'età di cinque anni io e Laila colorammo il gatto di mia zia con una tinta indelebile blu. Dovette rasarlo per mandare via il colore- sorrise Abigail, fissando per un attimo la tazza di caffè bollente che aveva tra le mani.

Gabe la osservava, anche lui con del caffè tra le mani. La ragazza lo aveva invitato nello stesso posto dove lui aveva portato Laila la prima volta in cui le aveva confessato che gli interessava. Stranamente, però, la sua mente adesso era occupata ad osservare la sua amica, adesso seduta di fronte a lui, visibilmente preoccupata.

Si vedeva che le due erano molto unite e che Abigail non si meritava di essere tenuta all'oscuro di tutto.

Ma come fare? Se le avesse semplicemente raccontato la verità, lei l'avrebbe preso per un pazzo e sarebbe fuggita, rifiutando il suo aiuto e la sua protezione.

-Mi spiace. Ti sto annoiando con i miei racconti- lo raggiunse in quel momento la voce di lei.

Il ragazzo alzò lo sguardo, vedendo l'espressione della bionda e sorridendo. Pareva proprio una bambina.

-Finalmente sono riuscita a farti ridere- disse poi lei, lasciandolo per un attimo spiazzato.

Possibile che quella ragazza avesse il potere di fargli dimenticare la situazione in cui Laila si trovava?

Era combattuto. Dopo tanto tempo Laila era stata la sola a farlo sentire realmente completo e felice, anche quando gli aveva chiaramente detto che lui non sarebbe mai stata la sua scelta. Poi di colpo arriva quella ragazza, fino a quel momento di nessuna importanza nel fulcro della vicenda, la quale adesso era in grado di sconvolgerlo a tal punto da fargli mettere in dubbio ogni sensazione provata sino a quel modo.

Si sentiva come un peso opprimente sul petto e il fiato farsi sempre più corto. Le mani sudavano, lo sguardo era sfuggevole. Doveva andarsene.

Così si alzò e disse:

-Scusa, ma adesso devo andare-

-Ho detto qualcosa che non andava?- chiese lei confusa.

-No, no, non è colpa tua. Mi sono ricordato di avere un impegno. Ci vediamo- e se ne andò.

Avvertiva distintamente lo sguardo di lei che gli penetrava la schiena e si sentì un emerito stronzo.

L'avrebbe protetta, si, ma l'avrebbe fatto da lontano e senza essere visto.

 

POV ABIGAIL

 

Lo guardavo mentre se ne andava e tristemente poggiai la testa su di una mano, afflitta.

Possibile dovessi essere così imbranata nei rapporti con i ragazzi?

Certo, se ci si fermava al punto di vista fisico, io ero sempre stata più brava di Laila ad attirare l'attenzione. Non che la mia amica fosse meno di me, anzi, la invidiavo per il suo modo

di catturare le persone semplicemente con il suo modo di fare così naturale e spontaneo.

Inoltre continuavo a pensare al fatto della sua sparizione così improvvisa. Non era da lei.

Ogni volta che lasciava il campus, mi aveva sempre avvertito.

Per questo non potevo fare a meno di pensare che le fosse accaduto qualcosa e avevo l'impressione che quel ragazzo forse ne sapesse qualcosa.

In realtà era una sensazione strana, ma era come se nei miei ricordi ci fosse l'immagine di qualcuno del quale però non riuscivo a distinguere i tratti.

Sapevo anche che in qualche modo mi ero comportata male con Laila, ma non riuscivo a capire perchè e per cosa.

Sospirai, afflitta, e mi alzai, lasciando i soldi per i due caffè sul tavolo. Recuperai la tracolla e gli appunti ed uscii dal piccolo caffè.

Nonostante tutto pensai che mi sarebbe piaciuto rivedere quel ragazzo. Quando lo avevo toccato per sentire se avesse avuto la febbre, era stato come una scarica elettrica mi fosse passata attraverso la mano e mi fosse arrivata sino al petto, lasciandomi un battito accelerato quasi da infarto.

Una folata di vento mi investì, costringendomi a chiudere gli occhi. Quando li riaprii vidi un ragazzo dall'altra parte della strada che mi fissava.

Mi guardai intorno, cercando qualcosa che avese potuto attirare l'attenzione a parte me, ma non vidi nessun'altro a parte me.

Un brivido mi percorse la schiena e una sensazione di disagio mi colpì.

Così, distogliendo lo sguardo dallo sconosciuto, mi avviai nuovamente verso il campus.

 

Abigail camminava a passo svelto, senza guardare in faccia niente e nessuno. Il ragazzo di fronte al caffè le aveva messo una strana forma di terrore addosso, come se la paura le fosse penetrata fino alle ossa.

Dopo qualche minuto che camminava giunse al cancello del campus, si voltò, notando lo sconosciuto dall'altra parte della strada, ma che, al passaggio di un pullman, era sparito.

La ragazza aveva ripreso a camminare per raggiungere il suo appartamento.

Nonostante si fosse voltata per altre due volte, non aveva più visto nessuno che la seguiva, anche se aveva la sensazione di avvertire dei passi.

Il parco era innaturalmente deserto. D'improvviso davanti le comparve nuovamente lo sconosciuto, il quale la fissava con un sorrisetto sghembo.

Abigail tentò di tornare indietro, ma anche quella via trovò bloccata dallo stesso ragazzo.

-Che succede? Chi sei?- chiese, titubante, riprendendo ad arretrare.

-Tu sei l'umana amica dell'ultima discendente del peccatore?-

-Non so di cosa tu stia parlando-

-Tu sei la donna che risponde al nome di Abigail?-

-Si, ma non so chi tu sia-

-Il mio nome è Ikael e sono stato mandato per ucciderti-

 

Quelle parole quasi le fecero venire un colpo. Lasciò cadere i libri che aveva tra le mani e, senza attendere altro, si mise a correre.

Finì in una parte del campus poco frequentata e la cosa la costrinse ad accelerare ulteriormente la corsa. Per fortuna al liceo era una di quelle che se la cavava meglio nella campestre.

Si voltò indietro per vedere se il maniaco la stesse seguendo, ma non vide nessuno. Stava quasi per tirare un sospiro di sollievo, quando andò a sbattere contro il petto di qualcuno.

Lo scontro stava per farla cadere a terra, ma qualcuno le afferrò entrambi i polsi e la mantenne in piedi. Stava per ringraziare il suo inaspettato salvatore, che si accorse immediatamente trattarsi del suo inseguitore.

Provò allora a liberarsi e gridare, ma quello, ridendo, disse:

-Shh, shh, shh. Fai la brava, gattina. Sarà una cosa veloce e indolore. Non ho niente contro di te, ma la tua fine è necessaria per far venire allo scoperto la discendente-

Come se la voce le fosse improvvisamente tolta, Abigail non riuscì a far uscire un solo suono dalle sue labbra. Gli occhi le si erano inondati di lacrime, le quali cominciarono a scivolarle sulle guance arrossate dalla corsa e dalla paura.

-Avanti, non sarà poi così male. In fondo, se sarai stata una bella persona in vita, immagina che bell'angelo potresti diventare- continuò lo sconosciuto, carezzandole una guancia, mentre i polsi li teneva bloccati con l'altra.

Era forte, come mai uomo lo era stato.

Le ginocchia le cedettero, ma quello non le permise di cadere a terra. Lentamente, lui si portò una mano dietro la schiena, estraendo un coltello dall'impugnatura finemente lavorata. Pareva uno di quei pugnali sacrificali che si vedevano nei film.

Quando lo vide Abigail tentò per un'ultima volta di liberarsi, ma quello la schiacciò contro il muro, portandole la lama alla gola e una mano sulla bocca.

-Addio dolcezza-

Poco prima che il pugnale si abbassasse su di lei, le parve quasi di vedere due ali di angelo sulla schiena del suo aggressore. Dopodichè, rassegnata, chiuse gli occhi e si abbandonò al suo destino.

 

Sentiva solo il silenzio attorno a sè in quel momento, il tepore della fine. Qualcosa però le imponeva di aprire gli occhi. Così schiuse le palpebre leggermente, notando immediatamente che non era ancora giunta la sua ora.

Sul viso la sensazione di qualcosa di fluido e caldo. Si portò una mano alla guancia destra, per poi vedere sulle dita un liquido denso e rosso: sangue.

Alzò lo sguardo. Il suo aggressore se ne stava in piedi, gli occhi bassi, due grandi ali che gli si aprivano sulla schiena. Era immobile e solo dopo una seconda occhiata Abigail notò il filo di una lama che gli attraversava il torace.

Si mise entrambe le mani sulla bocca per non gridare, ma il corpo prese a tremare. Poi il corpo dello sconosciuto fu letteralemente gettato via da lei, rivelando stavolta l'immagine di Gabe, alcune goccie di sangue che gli sporcavano il viso e la camicia che aveva indosso.

La ragazza lo fissò, notando la spada fra le sue mani e le al bianche sulla sua schiena.

-Stai bene?- le chiese lui, abbassando l'arma e facendo un passo avanti per aiutarla ad alzarsi.

Lei non afferrò immediatamente la sua mano, ma si ritirò ulteriormente contro il muro.

-Chi sei?-

-Sono Gabe, non ti ricordi-

-No, intendo realmente- rispose lei, alzando il tono della voce.

Quello sospirò e in un lampo di luce, spada e ali sparirono. Dopodichè si inginocchiò davanti a lei, passandole una mano sulla guancia coperta di sangue, portandogliene via un po'. Lei, nonostante fosse ancora invasa dal terrore, non si sottrasse a quel tocco, anzi, le parve di sentirsi più calma.

-Ti spiegherò tutto, Abigail. Ti racconterò anche di Laila. Ma tu devi fidarti di me-

-Sapevo che tu eri a conoscenza di qualcosa. Me lo sentivo. Dimmi almeno se sta bene-

-In un certo senso si- rispose lui, ricevendo un'occhiata storta da parte di lei.

Dopodichè le tese nuovamente la mano, stavolta con un fazzoletto, il quale la ragazza afferrò e si pulì il viso alla bene e meglio.

-Allora, mi darai una possibilità?- sorrise lui.

-Te lo dirò dopo che mi avrai raccontato la verità. Per adesso puoi accompagnarmi nel mio appartamento. Poi vedremo-

 

Abigail ascoltò con attenzione ogni cosa che Gabe le raccontò, compreso il suo vero nome e la sua vera origine.

-Quindi adesso Laila è all'inferno? Viva?-

-Si, e credo che lo rimarrà ancora per molto tempo. O almeno se la gravidanza non la ucciderà prima-

-Io mi ricordo di lui, o almeno penso. Anche se qualcosa mi dice che il tempo che ho passato con quel ragazzo è stato meglio che lo dimenticassi- disse Abigail, stendendosi sul letto con le mani dietro la testa, mentre Gabe ancora la osservava.

-Cosa possiamo fare? E perchè degli angeli vorrebbero uccidermi-

-Non lo so, ma prometto che ti proteggerò-

La ragazza allora si alzò di nuovo a sedere, guardandolo divertita.

-Lo fai per me o per Laila?- gli chiese.

-Sai Abigail, devo ammettere che fossi tu a chiedermelo avrebbero un suono del tutto diverso- sorrise l'arcangelo.



NDA 
Dedico questo capitolo a tutte coloro che continuano a recensirmi, sperando che anche chi mi segue in silenzio si faccia sentire con qualche commento :)
Comunque tempo fa in una recensione mi si chiese se anche per Gabe ci sarebbe stato il lieto fine. Beh, direi che da questo capitolo si inizia ad intravedere.
Comunque ancora grazie a tutti, perchè le vostre recensioni mi hanno fatto tornare l'ispirazione.
Un saluto Marty.

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Capitolo 22
*** L'ultimo bacio ***


Stesa sul piccolo letto, scomodo per di più, le coperte tirate sin sotto il naso, pensavo. Cosa mi sarebbe aspettato da quel momento in avanti? Perchè non riuscivo a calmare quel dolore che mi stava attanagliando il petto?

D'un tratto, nel silenzio della mia stanza, avvertii la porta schiudersi lentamente, tanto che mi alzai a sedere sul letto, spaventata.

Fissando la soglia, però, riuscivo a vedere solo il buio e niente di più. Stavo forse impazzendo?

Così lentamente misi le gambe nude fuori dalla sponda dal letto, poggiando i piedi nudi sul pavimento freddo. Incurante dei brividi che mi solcavano la schiena, mi diressi verso la porta socchiusa.

Mi affacciai sul corridoio, buio stranamente, e d'improvviso una corrente fredda mi fece tremare. Sentivo però che qualcuno c'era, nascosto nell'ombra, pronto a tendermi una trappola.

Ma per l'ennesima volta la curiosità vinse sulla ragione e così avanzai nell'oscurità.

D'un tratto un rumore alle mie spalle mi costrinse a voltarmi e fui travolta dalla foga di qualcuno che, dirompente, mi premette contro la parete umida e fredda, mettendomi una mano sulla bocca e usando l'altra per bloccarmi un polso contro la pietra.

Io tentai di dibattermi, farmi valere, colpire il mio aggressore, ma la pressione della mano sulle labbra mi stava togliendo più ossigeno del previsto, facendomi annebbiare la vista e provocando un cedimento delle ginocchia.

-Laila, dannazione, vuoi calmarti? Sono io- disse una voce che riconobbi immediatamente e che ebbe il potere di calmarmi all'istante.

Le fiaccole del corridoio si riaccesero, illuminando il suo viso bellissimo. La mano che mi tappava la bocca si spostò delicatamente, senza però prima carezzare lascivamente le mie labbra dischiuse dallo stupore di trovarlo lì.

-Che cosa ci fai qui?- chiesi, guardandolo negli occhi.

-Abbassa la voce dannazione. Stanno dormendo tutti- mi rispose lui, ma sul suo viso era spuntato un sorrisetto malizioso.

-Sai che non dovresti essere qui- dissi, ripensando alle parole che Lilith mi aveva rivolto solo qualche ora prima.

Se mai lo avesse visto con lei, gliela avrebbe fatta pagare.

-Non mi è piaciuto come ci siamo lasciati oggi- continuò Alec, poggiandomi le mani sui fianchi e schiacciando il petto contro il mio.

Sentivo il calore salirmi alle guance, mentre tremante serravo la presa attorno ai suoi avambracci, desiderando che lui non se ne andasse mai.

-Neanche a me- conclusi io, alzandomi in punta di piedi e sfiorando le mie labbra con le sue.

Quando mi allontanai, vidi il suo sguardo interdetto, in quanto mai io per prima gli avevo dimostrato qualcosa. Avevo però deciso che era finito il tempo in cui continuavo a mentire a me stessa, solo per non apparire debole. Mi ero inevitabilmente resa conto che lo stare accanto a Alec non mi indeboliva, ma mi rendeva decisamente più forte.

-Ti senti bene?- mi chiese allora lui.

-Benissimo- risposi, un sorrisetto sulle mie labbra, mentre maliziosa vi passavo sopra la lingua, inumidendola, per cercare di fissare il suo sapore su di me.

Ero davvero così disperata? Si, avevo bisogno di lui, di sentirlo vicino a me, di percepiro dentro di me. Volevo rifare l'amore con lui, meglio della prima volta.

Lui mi rimandò un sorriso, dopodichè si avvicinò di nuovo, stavolta carpendomi voracemente le labbra in un passionale bacio, al quale io non mi sottrassi. Ero perduta ormai e questa consapevolezza non era mai stata così dolce.

Inclinai leggermente la testa in modo che lui potesse raggiungere meglio la mia bocca, dopodichè, senza che mi chiedesse il permesso, spalancai le labbra, lasciando che la sua lingua e il suo sapore mi invadessero, facendomi completamente perdere il senno.

Una mano di Alec mi accarezzò il collo attraverso i capelli lasciati sciolti sulle spalle, mentre l'altra mi stringeva la vita, facendo aderire il mio bacino al suo. Io, entrambe le mani poggiate sul suo petto, facevo scorrere i palmi alla scoperta di quel corpo così perfetto. Ansimavo ogni qualvolta lui si allontanava per consentire ad entrambi di riprendere fiato. Io, tirandolo per lo scollo della maglia a maniche corte nera che gli fasciava la parte superiore del corpo, lo riavvicinavo, riunendo le nostre labbra.

-Cosa ti succede Laila? Ti sei accorta di non poter fare più a meno di me?- scherzò lui, sorridendo sulle mie labbra, mentre il mio corpo era sconvolta dai tremiti, mentre stavo imponendo a me stessa di non lasciar fuggire neanche uno dei tanti gemiti che stavo trattenendo.

Mi portai una mano alla bocca, mentre tentavo di calmare i tremiti.

-Smetti di scherzare. Non so neanche io cosa mi sta succedendo- risposi.

D'improvviso stavo avendo paura, mi stavo tirando indietro per l'ennesima volta. Così feci per scostarmi dal muro, con l'intenzione di tornare nella mia stanza e chiudere fuori Alec e con lui tutto l'alone di lussuria che mi aveva circondato.

Quando però tentai di muovere un solo passo, lui mi bloccò la strada piantando una mano sul muro proprio davanti al mio viso, facendomi sobbalzare.

-Eh no, stavolta non te ne andrai così facilmente. Adesso voglio che tu mi dica la verità. Sto letteralmente impazzendo con i tuoi continui e stramaledetti cambiamenti d'umore- mi sussurrò nell'orecchio, mordicchiandomi poi leggermente il lobo prima di allontanarsi.

Tornai allora con la schiena contro la parete di pietra, intrappolata dalla morsa di Alec. Lui mi fissava, serio, ma allo stesso tempo colmo di una morbosa curiosità, mentre io fuggivo al suo sguardo, non sapendo da dove cominciare.

-Sono confusa, molto- dissi infine, lasciando stupito il demone davanti a me.

-Lo sono anch'io, tanto che non posso fare a meno di pensare a te quando non mi sei vicino, a noi contro tutti, a quello che ne sarà di ciò che provo, a quanto sia strano e dannatamente irritante la condizione così simile a quella di un mortale nella quale mi hai ridotto-

Fu stavolta il mio turno di fissarlo senza capire. Quindi forse non era tutto perduto, in fondo. Alec non riusciva neanche a guardarmi negli occhi, come se tutta la sua spavalderia e il suo menefreghismo fossero improvvisamente svaniti nel nulla.

D'istinto alzai una mano, poggiandogliela su di una guancia e lasciandola lì, senza muoverla. Lui, spiazzato dal mio gesto, riuscì finalmente a tornare a guardarmi negli occhi e vide che io gli sorridevo.

-Sono un povero ebete, non è vero?- mi chiese, poggiando una sua mano sulla mia.

Io scossi la testa, continuando a sorridergli.

-No, stai solo mostrando un lato più umano di quanto pensi. Cosa secondo te ti rende uno stupido?-

-Laila, cavolo, io sono il Diavolo. Non posso essere umano, non è preso in considerazione nello stesso fulcro della mia intera esistenza. Come puoi considerare normale questo mio “scompenso”?-

-Io sono umana, Alec, e ciò che a te sta succedendo, in me è avvenuto molto tempo fa-

-Ma allora perchè non me lo hai mai detto?-

-Tu cosa avresti fatto al mio posto? Avresti confessato tali sentimenti ad una creatura che non ne ha mai provati? Avresti detto a quel qualcuno che il tuo desiderio è quello di passare con lui tutta la durata della sua esistenza, seppur breve? Avresti rivelato di essere innamorato di colui che è destinato a strapparti l'anima dal petto?-

Alec mi fissava come se avessi appena pronunciato una bestemmia. Non disse una parola, ma fu quello che fece ad essere più esplicito di mille futili parole.

Si avvicinò, circondandomi il viso con entrambe le mani e posando delicatamente le labbra sulle mie, in un bacio strano e delicato, molto differente da quello di prima, ma altrettanto fantastico. Io chiusi gli occhi, assaporando il suo respiro su di me, la sensazione della sua pelle fredda a contatto con la mia.

Poi mi venne in mente una cosa: forse quello sarebbe stato il momento giusto...

Così mi allontanai un poco da lui e presi a dire:

-Alec, io...devo dirti una cosa...-

-Che succede?- mi chiese, preoccupato.

-Ecco...io...-

Finalmente avevo il coraggio, l'occasione, ma il fato fu nuovamente contro di noi. D'un tratto dei passi nei corridoio ci costrinsero al silenzio e con un balzo Alec si allontanò da me. Nella penombra del corridoio apparve un ombra, che poi rivelò essere un soldato.

-Mio signore, dei problemi al cancello nord. Si richiede la vostra presenza-

L'uomo non parve neanche notarmi.

-Bene, arriverò a breve- rispose il demone e lo congedò. Poi, rivolto verso a me, disse:

-Incontriamoci tra due ore nelle mie stanze, così potrai finire di dirmi la cosa di poco fa- disse e, posandomi un veloce bacio sulle labbra, scomparve con passo svelto nel corridoio.

Io lo guardai mentre spariva nel buio e d'istinto mi portai una mano al ventre. Mi parve quasi di riuscire a sentire la piccola creatura che stava crescendo dentro di me e forse, per la prima volta da quando avevo scoperto della sua esistenza, ero realmente felice di quella gravidanza. Forse Alec avrebbe accettato quel mezzosangue, forse l'avrebbe aiutata ad affrontare ogni difficoltà.

Si voltò quindi sorridendo verso la sua stanza, quando davanti le comparve Lilith, lo sguardo furbo e che non faceva presagire a niente di buono.

-Ciao Laila. Finito di gongolare?-

-Cosa vuoi?- chiesi dura, arretrando di un passo.

-Ti avevo avvertito di stare lontano da lui, ma non hai voluto darmi retta- rispose lei, con un tono mellifluo, passandosi distrattamente due dita tra i capelli mori e lisci.

-Non è più affar tuo, Lilith-

-Oh, piccola Laila, è più affar mio di quanto pensi- concluse ridendo la demone, spostando poi lo sguardo oltre le mie spalle.

Io non feci in tempo a voltarmi che un puzzolente sacchetto mi calò sul volto. Tentai di liberarmi, ma una forte presa mi tolse ogni via di fuga. Dopodichè avvertii una piccola puntura al collo, la quale mi fece cadere in un profondo sonno.

L'ultimo nome che invocai fu proprio quello di Alec.

 

-Dunque, cosa possiamo fare noi?- disse Abigail, sistemandosi sulla panchina del parco del campus e passando un bicchiere di caffè fumante a Gabe, seduto al suo fianco con lo sguardo pensieroso.

Erano passati già un paio di giorni da quando si erano conosciuti e da quel momento non avevano passato un solo attimo separati.

Abigail sapeva che nella mente del ragazzo l'unica presenta era la sua amica e in qualche modo non poteva fare a meno di esserne gelosa.

Nella sua vita aveva sempre dovuto faticare il doppio per farsi notare, mentre Laila faceva di tutto per rimanere nell'ombra. Nonostante quello era sempre quella che attirava i ragazzi più carini. Quella volta addirittura un angelo e un demone. Ma si poteva essere più fortunati?

Poi però si dette della stupida e dell'egoista. Quello che stava accadendo a Laila non era certo da considerare molto fortunato.

-Gabe? Ci sei?- chiese poi al ragazzo, dato che l'aveva lasciata con la mano che conteneva il bicchiere di carta del caffè ferma a mezz'aria.

-Eh? Oh scusa, hai detto qualcosa?-

La bionda sospirò, aspettando che lui le prendesse finalmente il bicchiere dalla mano, soffiandovi poi sopra a causa del troppo tempo della pelle a contatto con il calore del caffè.

-Ti ho chiesto cosa possiamo fare noi-

-Nulla. Non possiamo scendere nel sottosuolo, in quanto io sono un arcangelo e tu sei ancora viva. Non possiamo neanche chiedere aiuto alle alte sfere, in quanto il fatto di aver protetto Laila da Michele ha firmato il mio esilio-

-Quindi ce ne staremo semplicemente qui a non far niente, aspettando che qualcuno si degni di dirci che fine ha fatto la nostra amica?-

Gabe fece un cenno di assenso con la testa, mentre, in silenzio, soffiava piano il vapore che usciva dal bicchiere che teneva con entrambe le mani.

-Perfetto- disse allora sarcastica, lasciandosi scivolare contro lo schienale di legno e sollevando lo sguardo verso il cielo.

Stavolta fu il ragazzo a voltarsi per guardarla. Doveva ammettere che Abigail era davvero una bella ragazza, i suoi lineamenti potevano essere paragonati benissimo a quelli di un qualsiasi angelo. Gli occhi del colore del cielo e i capelli di quello del grano potevano farla scambiare per un serafino.

Fece scorrere poi lo sguardo su tutto il suo corpo, trovandolo perfetto. Sicuramente, se nella sua mente non ci fosse stata Laila, probabilmente avrebbe ceduto alla tentazione con una come Abigail.

-Qualcosa non va?- le chiese d'improvviso la ragazza, facendogli bruscamente distogliere lo sguardo e portando un po' di rossore sulle sue guance.

-No, nessun problema. Mi ero incantato- rispose onestamente l'arcangelo, stringendo troppo forte il bicchiere di carta, provocando così la fuoriuscita del caffè interamente sui suoi pantaloni.

Gabe fece un balzo indietro, imprecando.

-Oh, accidenti, sei proprio un danno- disse allora sorridendo Abigail, estraendo un fazzoletto dalla borsa e prendendo a tamponare il tessuto dei pantaloni.

Gabe impietrì. Quando anche la ragazza si rese conto del punto in cui stava insistentemente tamponando, si ritrasse di scatto, allontanandosi di quasi un metro dal ragazzo, completamente paonazza.

-Ops, scusami- balbettò.

-Nessun problema- rispose lui, balbettando a sua volta.

D'improvviso si alzò un forte vento, il quale costrinse entrambi a tapparsi gli occhi per non rimanere accecati dalla polvere sollevata.

-Che succede?!?- chiese spaventata Abigail, in quanto persino a lei quell'uragano non le sembrava per niente normale.

Gabe però non rispose, socchiudendo un occhio per poter guardare davanti a sé, scorgendo una figura che si muoveva tra il polverone.

Quando lo sconosciuto fu a pochi metri da loro, il ragazzo finalmente lo riconobbe, tanto che d'istinto si portò di fronte alla ragazza.

Abigail, cessato il vento, era riuscita finalmente a tornare a vedere, tanto che sobbalzò alla vista del giovane a pochi passi da loro.

-Non pensavo ti saresti scomodato di persona- disse Gabe, un ringhio quasi animalesco ad increspargli le labbra.

-Mi sono stancato di aspettare. Più tempo perdo, più quello sporco traditore sarà ad un passo dall'avere una discendenza. Quindi togliti, devo far uscire allo scoperto la sua cagna gravida-

Abigail non riusciva a capire. Di chi stavano parlando? Di Laila? Perchè quello l'aveva chiamata in quel modo?

Non riuscì a formulare altro pensiero, in quanto Gabe si voltò e, afferrandola per un polso, la costrinse a seguirlo. Mentre entrambi cercavano di correre il più lontano possibile, sulle labbra di Michele si formò un sorriso.

-La caccia è aperta-



NdA 
Mi scuso nuovamente per l'immenso ritardo nella pubblicazione, ma in questo periodo ne ho da fare realmente duemila.
Comunque, come mi è stato chiesto nello scorso capitolo da Aly Silverfire, allego di seguito le immagini di come mi sono immaginata i miei personaggi.
In ordine: Laila, Alec, Gabe, Lilith e Michele.

            

Spero che i miei personaggi vi piacciano, così come questo ennesimo capitolo. Un bacio a tutti. Marty

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Capitolo 23
*** Tradimento ***


Le palpebre erano pesanti e sentivo gli occhi bruciare, quindi preferii per il momento lasciarli chiusi. Tentai di usare allora l'udito, cercando di captare qualche suono che mi facesse capire dove mi trovavo.

Ricordavo solo il sorriso maligno di Lilith, poi un cappuccio che mi copriva il viso e una puntura al collo che mi aveva fatto perdere i sensi.

Non potevo però continuare a fare ipotesi su chi fossero i miei sequestratori e dove mi avessero portato, quindi decisi di guardarmi finalmente intorno.

Quando aprii gli occhi, la differenza di luce non fu considerevole, dato che mi trovavo in quella che pareva una stanza, completamente immersa nell'oscurità, ad eccezione di qualche fiaccola che ne delineava il contorno circolare.

Ero stesa a terra, su di un pavimento di pietra umida, mentre le narici captavano forte odore di zolfo. Mi alzai a sedere con fatica, cercando di abituare la vista a quella penombra, quando ad un tratto una voce parlò, facendomi rabbrividire.

-Vedo che ti sei già svegliata-

Mi voltai, quel tanto che bastava per incontrare un paio di occhi ghiaccio che mi fissavano, maligni.

-Tu? Che cosa vuoi da me? Come puoi essere qui senza che Alec lo sappia?-

Avevo paura, seriamente. Quel demone, l'ultima volta, aveva promesso che mi avrebbe ucciso solo per fare un torto a lui.

-Non esserne stupita, dolcezza. Ho avuto una buona copertura- e prese a passeggiare per la stanza, girandomi intorno come un avvoltoio su di una carcassa di bue.

All'inizio non riuscii a capire le sue parole, poi mi venne un'illuminazione:

-Lilith. Ha tradito Alec-

-Risposta esatta. Hai vinto un posto in prima fila per la distruzione del nostro caro “sovrano”-

Calcò particolarmente su quell'ultima parola, mostrando l'astio che provava nei confronti del demone.

-Lui ti ha già sconfitto- dissi tra i denti, sentendo un poco il coraggio riprendere possesso di me.

Quello mi fissò, divertito, e si inginocchiò sino a portare il viso a pochi centimetri dal mio.

-E se ti dicessi che sono in possesso di qualcosa che mi garantirà di vincere?-

 

Alec camminava veloce in direzione dei cancelli del suo regno. Chi aveva osato spingersi a tanto? Chi aveva costretto un suo servitore ad interromperlo mentre si trovava con Laila?

Poco lontano scorse un gruppo di suoi demoni intenti ad impedire il passaggio a qualcuno, il quale, nel frattempo, stava imprecando e ordinando loro di farlo parlare proprio con lui.

Quando riconobbe la voce, rimase del tutto spiazzato.

Raggiunto il gruppo di suoi soldati, li spostò per garantirsi la visione dell'imprevisto ospite.

-E tu cosa ci fai qui?- chiese divertito.

Dinnanzi a lui stava un incollerito Gabe e alle sue spalle una spaventata Abigail. L'arcangelo, mentre fissava contrariato il re degli Inferi, cercava con il suo corpo di far scudo alla compagna, mentre quella continuava a guardarsi intorno, impaurita.

-Devo parlarti. È importante-

-Immagino, dato che se non fosse stato così non ti saresti mai spinto fin quaggiù, soprattutto con un'umana al seguito-

-Si tratta di Michele-

Per un attimo la mente di Alec smise di ragionare, come se una scossa gli avesse trapassato il cervello. Non temeva l'arcangelo, ma doveva ammettere che non era certo un avversario da sottovalutare.

-D'accordo. Hai la mia attenzione-

-Non qui. Andiamo in un posto in cui non ci ascoltino orecchie indiscrete-

 

FLASHBACK

 

Dopo l'incontro con Michele, Gabe e Abigail avevano continuato a correre, senza riprendere fiato. D'un tratto la ragazza, sfinita, si lasciò letteralmente cadere in ginocchio, arrestando l'avanzata di entrambi.

Ehi, Abigail, non possiamo fermarci ora. Devo portarti al sicuro”

Non ce la faccio più a scappare. Non so neanche da chi lo sto facendo”

Gabe, spazientito, si chinò per poterla guardare negli occhi e, prendendola per le spalle, la scosse:

Senti, ho promesso a Laila che saresti stata al sicuro ed voglio mantenere tale promessa”

Quindi lo fai solo per lei” rispose la bionda.

Era grata a Gabe per quello che stava facendo, ma una parte di lei era gelosa del fatto che lo facesse per una promessa fatta a Laila. Non sapeva bene il motivo, ma quel ragazzo la attirava in maniera incomprensibile e le dava fastidio essere per lui unicamente un compito da svolgere.

In quel momento avvertì un tocco leggero su di una guancia. Si voltò per tornare a guardare verso l'arcangelo, il quale la fissava a sua volta, comprensivo e in qualche modo divertito.

Non lo faccio solo per lei, almeno non più” disse piano, continuando a mantenere la mano sul viso della bionda, la quale era segretamente arrossita a quelle parole.

D'un tratto però Gabe la spinse via, evitando per un pelo una spada che si conficcò contro il muro.

Caro Gabriele, fin dove hai intenzione di spingerti? Sei realmente così debole?”

Lui fissò incollerito l'uomo che stava camminando verso di lui, fiero e austero.

Perchè questa inutile caccia, Michele? A cosa ti è utile la nostra morte?”

L'altro lo fissò divertito.

A dire il vero all'inizio volevo solo la vita della mortale, unicamente per far uscire allo scoperto la tua protetta. Ma adesso è diventata per me solo un divertimento”

Non riuscirai a raggiungerla dove si trova adesso” rispose Gabe.

Non è necessario che arrivi io a lei, dato che ho già chi ci pensa per me”

 

Alec ascoltò ogni parola con particolare attenzione, mutando l'espressione sul suo viso a seconda delle parole che l'altro pronunciava. Dunque Michele aveva delle spie tra le sue schiere? Ma quanto poteva credere alle parole di quell'arcangelo?

-Non dici niente?- chiese allora Gabe, notando l'espressione pensierosa del demone.

-Laila è al sicuro, Michele non riuscirà a raggiungerla qui. Da quando sono divenuto il sovrano del sottosuolo, nonostante il suo odio nei miei confronti sia smisurato, non si è mai spinto sino alle soglie del mio regno-

-Non hai ben capito quello che ti ho detto, allora. Lui è già entrato. Non direttamente, certo, ma ha qualcuno all'interno che farà per lui il lavoro sporco-

-Sei pronto a giurare sulle sue parole?-

Gabe fissò Alec interdetto, non riuscendo a capire il senso di quello che aveva appena detto.

-Tu non hai visto il suo sguardo mentre me lo diceva. So che stava dicendo la verità-

-Allora o è incredibilmente stupido, oppure è un gran bugiardo-

L'arcangelo lo fissò, cominciando a spazientirsi della cocciutaggine del demone. Poi, d'un tratto, la voce cristallina di Abigail interruppe la loro lotta di sguardi.

-Dov'è Laila?-

Entrambi i ragazzi si voltarono, dimentichi del fatto che la bionda fosse ancora presente.

Alec non rispose, facendo cenno a qualcuno di venire avanti. Dalle ombre della stanza apparve una delle serve, il capo chino e le mani in grembo.

-Vai a chiamare Laila- ordinò e la servetta, con un solo accennato assenso, scomparve di nuovo.

Una voce però risuonò qualche secondo più tardi nella sala:

-Credo che non la troverà-

I tre si voltarono, incontrando lo sguardo scarlatto di una Lilith, trionfante e strafottente. Fu Alec a farsi avanti.

-Cosa intendi?-

Quello sguardo avrebbe potuto uccidere se solo avesse potuto e in quel momento era tutto per la demone che stava in piedi di fronte a lui.

-Quello che ho detto. La piccola e dolce Laila non si trova più dove l'hai lasciata, ma in un altro luogo, in dolce compagnia-

-Che cosa le hai fatto?!?-

Il demone si stava infuriando. Se si parlava di Laila, allora il suo autocontrollo andava a farsi benedire. Con uno scatto veloce, chiuse una mano attorno al collo di Lilith, mozzandole il respiro.

-Hai tre secondi per rispondere-

Lei lo guardò, senza smettere di ridere, anzi, le sue labbra si inarcarono sempre di più.

-Se mi uccidi, non saprai mai dove si trova quella dolce e tenera sgualdrina. Ti ci porterò, ma se in cambio prometterai di non uccidermi-

Lentamente la presa di Alec si fece meno rigida, sino a lasciare andare il collo della demone, il quale presentava degli evidenti segni rossi. Dopodichè lei spostò lo sguardo anche su Gabe e Abigail.

-Siete invitati anche voi- e, dando le spalle ai tre, prese a camminare.

 

Abaddon, poggiato alla parete della stanza circolare, le braccia conserte sul petto, continuava a guardarmi e io facevo lo stesso. Era come se cercassi di capire quali fossero i suoi piani, soprattutto ora che sapevo che Lilith era d'accordo. Certo, avevo capito fin da subito che la demone non era affatto contenta del mio rapporto con Alec, ma non avrei mai pensato che sarebbe stata capace addirittura di tradirlo.

-Cosa ne sarà di me?- mi venne spontaneo chiedere in direzione del demone.

Quello si schiuse in un diabolico sorrisetto.

-Lo vedrai-

-Lo stai facendo davvero per vendetta?-

-E per cos'altro, scusa? Io ero un re, un dio, e lui mi ha portato via ogni cosa. Mi sto solo riprendendo ciò che è mio-

-E sentiamo. Come avresti intenzione di fare?-

-Aspetta e vedrai-

D'improvviso una luce accecante rischiarò la stanza e io dovetti chiudere gli occhi per non rimanerne accecata. Quando il bagliore si fu diradato, al suo posto stava un uomo, splendide ali spalancate sulla schiena, un lungo cappotto nero che ne ricopriva la figura.

Nonostante mi voltasse le spalle, lo riconobbi all'istante.

Quello lanciò un'occhiata ad Abaddon davanti a lui, poi si voltò verso di me. Mi fissò intensamente, riversandomi addosso un odio che solo con lo sguardo riusciva a trasmettere. Come poteva provare così tanto rancore nei confronti di Alec da accettare un'alleanza con un demone come quello?

-L'hai portato?- lo interruppe l'altro, spazientito.

-Non è stato facile. Ricorda, nessuno deve sapere che io c'entro qualcosa-

-Nessun problema. Un patto è un patto-

L'arcangelo porse al demone qualcosa di voluminoso, rinchiuso in un telo consunto e vecchio. Qualcosa però nel mio corpo si risvegliò, come se avessi la certezza di sapere di cosa si trattava. Il mio sangue ribolliva, come se il misterioso oggetto emanasse un'intensa aurea, la quale mi invadeva come un brutale auspicio.

-Come procede con il piano?- chiese di nuovo l'angelo.

-Tutto liscio. Lilith li sta conducendo qui-

-Bene. Ricordati però: il colpo di grazia spetta a me-

-Come ti pare-

Nello stesso modo in cui era apparso, quello scomparve.

Vidi Abaddon rigirarsi tra le mani l'oggetto misterioso, guardandolo con bramosia e una celata esultanza. Poi si rivolse di nuovo verso di me, avvicinandosi.

Ogni passo che muoveva, era una fitta che mi colpiva al petto e all'addome, temendo anche per l'incolumità della creatura che mi portavo dentro.

Quando fu a pochi passi da me, il demone si fermò.

-Ecco la risposta alla tua precedente domanda, dolcezza-

Con un gesto secco tolse il telo che avvolgeva l'oggetto, facendo mostra di un tomo antico, copertina nera e impercettibile lettere dorate. Era chiuso da tre strani lucchetti.

Lo fissai sconvolta, sospirando poi:

-Il libro del peccatore-

Non ottenni risposta, in quanto una porta sbattè, aprendosi.





NdA
Mi sono appena accorta di aver dimenticato di mostrare la foto di due dei miei personaggi, quindi rimedio immediatamente. Inoltre chiedo venia per il ritardo nella pubblicazione, ma le cose da fare sono tante...un saluto a tutti e vi presento Abigail e Abaddon.


   

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Capitolo 24
*** E infine il sangue del peccatore... ***


Il profilo di una donna si stagliò contro il profilo della porta aperta e io riconobbi immediatamente di chi si trattasse. Nonostante la rabbia che sentivo dentro quasi mi divorasse e le parole feroci stessero per lasciarmi la bocca, dovetti trattenermi, in quanto, alle spalle della nuova arrivata, riconobbi altre tre sagome.

-Laila!!- e prima di rendermene conto una testa di capelli biondi mi oscurò la visuale.

Qualcuno mi stringeva forte contro di sé, mentre avvertivo la sensazione bagnata di quelle che parevano lacrime scivolarmi lungo l'incavo del collo.

Non risposi alla mia amica, non cercai di consolare la sua disperazione, ma il mio sguardo fu subito in quello di Gabe. Lui ricambiò per un attimo, poi fuggì dai miei occhi, dato che probabilmente aveva intuito quello che volevo dirgli: cosa ci faceva Abigail in quel posto? Non gli avevo dato il compito di proteggerla e tenerla al sicuro?

-Laila, stai bene?- mi chiese ancora la mia amica, tentando poi di sciogliere i nodi delle funi che ancora mi tenevano imprigionata.

-Abigail, cosa ci fai qui?- le chiesi allora, l'espressione seria.

-E' complicato. Te lo racconterò quando saremo fuori di qui-

-Mi spiace, ma credo di dover stroncare i vostri sogni di libertà- ridacchiò Abaddon, il quale, sapevo, stava seguendo la scena con un piacere perverso.

Di colpo un'ombra si parò tra noi e lui, una chiara aura demoniaca che impregnava l'aria.

-Speravo di non doverti più vedere, lurido bastardo- ringhiò la voce bassa di Alec.

Non avevo mai sentito quel tono su di lui e per un attimo mi parve di immaginare il colore scarlatto del suo sguardo ancora più intenso.

-Bastardo a me? Tu sei l'usurpatore, il trono del sottosuolo spettava a me!!- sbraitò l'altro demone, stringendo i pugni in un atto di pura ira.

-Io ho preso solo ciò che mi spettava e tu lo sai-

-Non ne sei degno, non è tuo quel potere-

-Vedila come ti pare, ma adesso ce ne andiamo, che tu lo voglia o no-

-Non credo affatto-

Vidi il corpo di Abigail venir sbalzato indietro, mentre la sensazione di qualcosa di freddo mi raggiunse il collo. Con la coda dell'occhio notai chi mi stava alle spalle: Lilith. Ma quando si era mossa?

Mi teneva un pugnale puntato alla gola e un sorriso maligno le si apriva sulle labbra rosse.

Vidi sia Alec che Gabe titubare, quest'ultimo dopo essere andato in aiuto della mia amica e averla aiutata a rimettersi in piedi.

-Bene, adesso che ho la vostra attenzione, lasciate che vi mostri la prima tappa della mia agoniata vendetta- ci schernì Abaddon, estraendo dall'interno della giacca il diario.

Vidi Alec muovere un passo indietro, come se avesse paura.

-Che intenzioni hai?!?- gli disse tra i denti.

-Con questo oggetto acquisirò più potere, più di quanto tu potrai mai avere e mi riprenderò ciò che è mio-

-Nessuno sarebbe capace di gestire una forza come quella, neanche Dio- sussurrò Gabe.

-Io non sono il tuo Signore, Arcangelo. Non ancora almeno-

-Nessuno sa come aprire il diario-

-Su questo ti sbagli. Me lo hanno rivelato-

Se possibile, il mio corpo divenne ancora più freddo di prima, mentre la lama premeva contro la mia gola.

Vidi Abaddon estrarre un piccolo pugnale da dietro la schiena.

-E' ora di cominciare- disse ridacchiando.

Con passi sicuri e cadenzati si avvicinò a Gabe, il quale nascose Abigail dietro di lui.

-Tendi la mano, Arcangelo- disse il demone.

Quello lo fissò in cagnesco, poi lanciò un'occhiata verso di me. Io ricambiai lo sguardo, mentre Lilith mi sollevava la testa e mostrava la mia giugulare con il pugnale fin troppo vicino.

-Allora?- chiese ancora Abaddon.

Riluttante, Gabe tese la mano destra, palmo verso l'alto. Il demone gliela afferrò, poggiandoci sopra la lama e facendogliela stringere. Dopodichè, con un colpo secco, tagliò il povero angelo, che però non fece una piega. Goccie di liquido scarlatto presero a scendere verso il pavimento scuro, creando un ritmo regolare nel silenzio che si era creato tra di noi.

Con uno scatto, Abaddon riafferrò la mano e la sbattè poco carinamente sulla copertina del diario. Guardando l'altro negli occhi, disse:

-Il sangue di colui che cammina nella luce-

Con un rumore sordo il primo lucchetto si aprì. Nel contempo, qualcosa dentro di me parve rompersi.

-Bene, ora tocca a te, uccellino- disse, rivolto ad Abigail.

La mia amica, con sguardo spaurito e confuso, non capendo il perchè anche lei facesse parte di quel piano diabolico, fece per superare Gabe, ma quello la bloccò con un braccio. Per un attimo i loro sguardi si incontrarono e lei appoggiò una mano sul suo braccio, come a volerlo rassicurare. Così l'angelo, anche se contrariato, fu costretto a cedere.

-Molto coraggiosa, ragazzina. Vieni qui- disse Abaddon, facendole segno di porgere il braccio.

Lei ubbidì e in qualche secondo anche il suo palmo fu ferito. Quando la mano ferita toccò la copertina del diario, il demone disse:

-Il sangue di colei che ancora ha un'anima-

E anche il secondo lucchetto si aprì.

Non appena quello si allontanò, vidi la mia amica rifugiarsi tra le braccia di Gabe, il quale la strinse forte al petto.

Dal canto suo Abaddon si avvicinò ad Alec.

-E' il tuo turno, “mio re”- disse, con tono sarcastico.

Quello lo fissò in cagnesco.

-Scordatelo-

-Non ti importa di lei?-

Stavolta a parlare era stata Lilith ancora alle mie spalle. Alec si voltò e per la prima volta da quando era entrato in quella stanza i nostri sguardi si incontrarono. Vidi qualcosa che non avevo mai notato nei suoi occhi: paura.

Io, nonostante la situazione, non potei fare a me di sorridergli dolcemente, come a fargli capire che qualunque cosa fosse successa io sarei rimasta al suo fianco. Non lo feci per circostanza, ma perchè lo pensavo seriamente. Adesso che sapevo quello che provavamo l'una per l'altro, non sarei più fuggita.

Ricambiando il mio sorriso, si voltò nuovamente verso Abaddon, tendendogli la mano.

-Fai in fretta- lo sfidò.

Quello, con poca delicatezza, ferì il suo palmo, poggiandoglielo poi con prepotenza sul diario.

-Il sangue di colui che vive nelle tenebre-

Era una lotta di sguardi e forse solo io notai il terzo lucchetto che si apriva. Sentivo a quel punto il mio corpo intorpidito e pesante, come se qualcosa mi stesse risucchiando a poco a poco ogni energie.

-Lilith, slegala- sentii dire e di colpo la pressione delle corde vennero a mancare.

Abaddon si inginocchiò di fronte a me e, carezzandomi una guancia con la lama del coltello ancora sporca di sangue, disse:

-Adesso tocca a te, dolcezza-

Con violenza mi afferrò la mano, nonostante io tentassi di sottrarmi con tutta me stessa, e me la stese con il palmo verso l'alto. Vidi la lama avvicinarsi alla mia pelle, mentre avvertivo la presa di Lilith che mi teneva per le spalle.

Quando la mia pelle fu lacerata dal coltello, io strinsi i denti, ma comunque una lacrima mi sfuggì, scivolandomi su di una guancia sporca.

Il demone, sorridendo maligno, continuando a guardarmi negli occhi, poggiò il mio palmo ferito sulla copertina.

-E infine il sangue del peccatore-

Dopo quelle parole nella stanza si propagò un'intensa luce e non vidi più niente.

 

Sentivo il mio corpo debole, le palpebre pesanti. Contro la mia guancia sinistra la sensazione del freddo pavimento. Quando avevo perso i sensi?

Finalmente riuscii ad aprire gli occhi, scrutando il profilo di due nere ali piumate che quasi mi coprivano per intera. Solo in quel momento mi resi conto del corpo che mi stava sopra, a protezione.

Mi voltai leggermente, vedendo il volto di Alec, gli occhi chiusi e il respiro visibilmente pesante. Pareva provato, debole quasi quanto me.

-Stai bene?- gli chiesi debolmente, mentre portavo una mano verso la sua guancia.

Mi diedi della stupida subito dopo. Lui però mi guardò, sorridendomi. Nonostante la situazione, mi sentii avvampare, leggera, consapevole che tutto il mio universo si riduceva a quel singolo gesto.

Poi di colpo un'esplosione ci distrasse. Le ali di Alec si spostarono, dando una visione sconvolgente della situazione in cui ci trovavamo: al centro della stanza stava una luce incandescente, circondata da un campo di energia che aveva preso l'aspetto di un violento uragano. Poi ricollegai: il diario era stato aperto e adesso stava sprigionando tutta la sua potenza.

Chi mai avrei potuto controllare una simile potenza?

Notai le sagome di Abaddon e Lilith atte a contemplare quella magica manifestazione, dimentiche del fatto che nella stanza c'eravamo anche noi.

Poco più in là vidi Abigail e Gabe, per fortuna sani e salvi.

Alec allora si alzò, facendo comparire tra le sue mani una spada di fiamme. Lo stesso fece Gabe, in pugno la sua arma di luce.

Entrambi, con uno sguardo di intesa e un passo malfermo, si diressero verso il centro del potere, cercando nel contempo una soluzione a quell'immenso problema. Più però avanzavano, più l'energia li respingeva.

Vedevo i loro corpi venire feriti da un'arma invisibile, ma nessuno dei due pareva voler rinunciare. Debolmente mi alzai in piedi.

In quel momento Abaddon si voltò verso di noi:

-Siete arrivati tardi!! Questo potere adesso è mio!!-

-Nostro, vorrai dire!!- lo riprese Lilith.

-Non credo proprio-

Con uno scatto deciso vidi il ventre della demone venir attraversato da parte a parte da una spada dalla lama nera come la notte. Quella, aggrappandosi alla sezione di lama che non l'aveva trafitta, cominciando a sputare sangue dalla bocca e piangere lacrime purpuree, maledì la vigliaccheria di Abaddon in una lingua che però non riuscii a capire.

Dopodichè, si accasciò al suolo mentre il demone, con un colpo secco, estraeva la sua spada dal corpo senza vita ai suoi piedi.

Nei suoi occhi vidi la follia.

-Adesso non dovrò dividere questo potere con nessuno-

-Bastardo, non ti permetteremo di vincere!!-

-Oh, ma io ho già vinto-

Detto ciò allungò una mano verso quello che in precedenza era stato il diario, toccandolo con la punta delle dita e sentendo il suo corpo irrorato di quell'energia. Si voltò verso Alec e Gabe trionfante.

-Sono invincibile- disse.

Fece per colpire il mio demone, ma qualcosa di inatteso accadde: il naso di Abaddon prese a sanguinare. Quello si portò un dito al viso, osservando poi il suo stesso sangue.

-Cosa significa?- chiese più a se stesso, per la prima volta realmente spaventato.

Mentre il sangue dal naso continuava ad aumentare, il liquido scarlatto prese a scendere anche dalle orecchie e dagli occhi.

-Non è possibile!! Non voglio che finisca così!! Aiutatemi!!- gridò il poveraccio, prima che la sua testa letteralmente esplodesse come un cocomero.

Il silenzio calò su noi tutti, mentre ancora l'energia del diario ancora rischiarava l'ambiente. Tirai un sospiro: ce l'avevamo fatta, in un modo o nell'altro.

Poi una voce alle mie spalle mi fece trasalire:

-Ops, mi ero dimenticato la parte più importante-

Non feci in tempo a voltarmi che avvertii una sensazione fredda all'altezza dell'addome. Abbassai lo sguardo, non prima di incontrare l'espressione di puro terrore sul volto di Alec. Vidi una lama che mi aveva trapassato da parte a parte, mentre sentivo il sapore ferroso del sangue salirmi in gola. Sollevai lo sguardo verso il cielo, cominciando inconsapevolmente a piangere. Poi le ginocchia mi cedettero e, mentre mi accasciavo a terra, avvertii la lama abbandonare il mio corpo con un suono che mi fece venire i brividi.

Dopodichè, prima di chiudere gli occhi sentii solo la voce di Alec, lontana e sussurrata:

-Michele, bastardo!!-




NDA
Lo so, non dovrei avere neanche il coraggio di ripresentarmi con un nuovo capitolo dopo tanto tempo, ma mi sono imposta di finire questa storia, quindi stasera mi sono data una scrollata e ho voluto provare a mettere la parola fine. Lo so, sono stata un pò sbrigativa, ma diciamo che Abaddon era per me solo un personaggio di contorno. il vero cattivone è Michele eheheheheheh
Spero comunque che a chi continua a seguirmi questo capitolo piaccia e mi faccia sapere cosa ne pensa.
Un saluto e spero al prossimo aggiornamento. 
Marty

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Capitolo 25
*** La scelta ***


Alec fissava l'arcangelo con l'odio che gli riempiva lo sguardo. Non era solo quello però: c'era disperazione, impotenza e anche paura. Continuava a spostare lo sguardo dal corpo di Laila, riversa a terra, e Michele, in piedi poco distante, con la lama della spada ancora grondante di sangue.

Un grido si propagò nella stanza. Abigail era caduta in ginocchio, gli occhi ricolmi di lacrime, una mano tesa verso il corpo dell'amica, mentre Gabe la stringeva da dietro, anche lui profondamente scosso.

-Cosa hai fatto, maledetto?!?- esplose in quel momento Alec, muovendosi di un passo.

-Ho impedito che tu avessi una discendenza, Lucifero- rispose tra i denti l'angelo, fissandolo con puro odio nello sguardo.

L'altro, come se d'un tratto un fulmine fosse piombato dal cielo e avesse attraversato il suo corpo, si sentì improvvisamente spiazzato e sperduto.

-Che stai dicendo?-

-La tua cagna non te lo ha detto?-

-Detto cosa?-

Inconsapevolmente, il suo sguardo scarlatto saettò verso Gabe, il quale però rimase serio e impassibile, mentre Abigail, rifugiata contro il suo petto, continuava a piangere disperata.

L'arcangelo scoppiò in una tetra risata. Come poteva quella essere una creatura di colui che domina la luce e il bene?

-Questa dannata portava in grembo il tuo bastardo-

-Menti!! Sai meglio di me che non possiamo procreare, né angeli né demoni-

Non sarebbe caduto in quel tranello, non avrebbe ceduto. La priorità era quella di salvare Laila. Concentrandosi, poteva avvertire il suo battito lento e il respiro sottile, le uniche cose che gli fecero capire che la ragazza era ancora viva.

-E' grazie al sangue del peccatore, idiota. Non ci hai pensato quando hai deciso di divertirti con lei? Ma adesso non ha più importante, ho tolto al mondo un peso e ho impedito a te di continuare a vivere nel tuo bastardo-

Alec, improvvisamente consapevole che quella che Michele gli stava raccontando era la pura verità, si sentì inutile e impotente e avvertì le ginocchia cedergli per la prima volta in vita sua. Cadde a terra, la spada di fiamme ai suoi piedi, il volto basso e le braccia lasciate inermi lungo il busto.

-Bravo Lucifero, quello è il tuo posto, quella è la posizione che più ti si addice: in ginocchio, davanti a me, invocando pietà per la tua anima...ah, giusto, tu non ce l'hai-

Un'altra risata, ma Alec stavolta non ebbe reazione: un figlio, una discendenza. Laila era incinta e non glielo aveva detto? No, aspetta, ci aveva provato, qualche ora prima, quando si erano incontrati fuori dalla sua stanza, ma lui era stato troppo stupido da non ascoltarla. L'aveva lasciata sola, nelle mani di Abaddon, sola a sopportare quella verità di cui lui era l'arteficie.

Sentì dei passi muoversi verso di lui, poi un poderoso colpo al viso che lo fece volare contro il muro. Prima che potesse rendersene conto, una possente presa al collo lo bloccò contro la parete, facendolo affondare di qualche centimetro nella pietra. Nonostante tutto non reagì.

-Dimmi Lucifero, anche lei ti ha implorato quando l'hai uccisa?-

Alec non capì immediatamente e non ci riuscì neanche prima di venir scaraventato di nuovo al centro della stanza, mentre una fitta alla spalla lo fece gridare di dolore. Michele, subito sopra di lui, aveva affondato la lama nella sua spalla destra, inchiodandolo al pavimento.

-Come hai potuto guardarla negli occhi mentre la trafiggevi con la tua spada? Si fidava di te-

D'un tratto lui capì e non riuscì ad evitare di sorridere.

-Perchè sorridi, bastardo?-

-Sei un ingenuo Michele. Hai fatto tutto questo per lei, per Uriel?-

-Non deridermi, Lucifero. Io voglio vendetta-

-Lei era il pericolo, il tumore del Paradiso. Pensi sia stato io a dare il via alla rivolta? Ti sbagli, io ho cercato di fermarla. È stata lei a sfidare Dio, io mi sono semplicemente preso la colpa-

Michele lo fissava, un groppo che gli chiudeva la gola, la mente in completa confusione. Poco lontano Gabe, il quale non si era perso una parola della conversazione nonostante stesse cercando di consolare Abigail.

Ricordava come fosse ieri la rivolta in Paradiso, il giorno in cui Lucifero era stato cacciato dal regno dei cieli, il giorno in cui Uriel, uno degli angeli maggiori, era stato ucciso per mano del caduto.

E adesso lui veniva a dire che era stata proprio Uriel ad architettare la rivolta contro Dio e che lui si era semplicemente preso la colpa? Fosse stato Michele, neanche lui ci avrebbe creduto.

-Menti!!- gridò in quel momento l'arcangelo, piantando ancora più in profondità la spada nel corpo del demone.

Quello strinse i denti gemendo.

-Perchè dovrei, in un momento del genere, poi? Ora che so che la tua vendetta si basava su quello, voglio solo che tu sappia la verità-

-Tu sei famoso per la tua lingua bugiarda, come potrei crederti?-

-Lei ti ha usato, Michele. Tu, il braccio destro di Dio, ti sei fatto ingannare, consumato da un sentimento che di divino non aveva niente. Tu hai anteposto te stesso al bene della tua casa, al bene di tuo Padre-

-Taci!! Tu l'hai uccisa perchè lei aveva scoperto i tuoi piani!! Tu sei il maligno!!-

-Pensala come ti pare-

-Allora perchè ti saresti preso una colpa non tua?-

-Io ti amavo, fratello e tutt'ora lo sto facendo, come ho continuato a farlo nei secoli. Io ti ammiravo, non potevo sopportare che il dolore della sua perdita si sommasse a quello di saperla una traditrice-

Michele lo fissava, non sapeva cosa pensare. Era talmente tanto tempo che andava avanti, progettando la sua vendetta contro di lui, che appresa quella notizia, il suo castello di carte era inevitabilmente crollato.

Lasciando tutti senza parole, Michele si schiuse nell'ennesima risata. Alec lo fissò, senza capire, spaventato dalla sua inaspettata follia.

-Ho smesso di credere alle tue bugie, “fratello”- pronunciò l'ultima parola con un grande disprezzo.

Con un colpo secco estrasse la spada dalla ferita, facendo inarcare Alec sotto di sé, per poi trafiggerlo nuovamente ad un fianco. Il demone sputò sangue.

-Soffrirai, Lucifero-

D'un tratto nel silenzio che si era venuto a creare, un movimento li distrasse entrambi. Si voltarono verso il punto in cui si trovava il corpo di Laila, la quale, inaspettatamente, aveva alzato un poco la testa, puntando i suoi occhi blu in quelli sofferenti del demone.

-Alec...- sussurrò, allungando una mano come a volerlo toccare.

Lui, vedendola sveglia, fece lo stesso, ma un piede di Michele gli premette dolorosamente sul polso.

-La vedrai morire, Lucifero, come io ho visto morire Uriel-

Di colpo il volto di Laila tornò a fissare il pavimento e il suo respiro, agli orecchi del demone, si spense. Per la prima volta da secoli, Alec versò lacrime di sangue.

 

POV LAILA

 

Oscurità. Tranquilla e infinita oscurità. È allora questo che si prova a morire? È questa la

sensazione che ognuno prova quando lascia la vita? Non è poi così male.

La calma, il nulla, l'assenza di problemi, di dolore.

Finalmente anche a me verrà concessa la pace che ognuna merita.

Poi però mi torna in mente lui, ma lui chi poi? Non riesco a ricordare il suo viso,

non riesco a sentire la sua voce, non so distinguere più il suo profumo.

Ma so che per me è importante ricordare.

Devo ricordare!!

D'improvviso vedo davanti a me qualcosa, una porta, un passaggio.

Forse Dio mi ha concesso il Paradiso, dopotutto? Mi sono redenta dal peccato del mio capostipite?

Prendo ad avanzare verso la luce: è calda, sicura, bellissima.

Quando però sto per raggiungerla, una voce dietro di me mi chiama. Mi volto, ma non vedo nessuno.

D'istinto, mi porto le mani al ventre, come se quella sensazione di familiarità venisse proprio da lì.

-Laila...-

Sento una voce pronunciare il mio nome, è diversa da prima, sa di casa.

Alzo lo sguardo, incontrando un paio di occhi blu come i miei, che mi fissano, con amore e pura pietà.

-Papà...- sospiro, ma sembra che lo abbia gridato.

-E' bello rivederti, figlia mia. Mi sei mancata-

-Anche tu, papà. Ma cosa ci fai qui?-

-Ti sto fermando, bambina. Non è ancora il momento di andare-

-Ma io devo, non c'è più niente per me-

-Ti sbagli, ma prima di decidere voglio farti conoscere una persona-

Fece cenno a qualcuno dietro di lui di farsi vedere. Io attesi, curiosa.

D'improvviso mi scontrai con un paio di occhi color del rubino.

 

Era tutto finito. Lei se ne era andata, non c'era più niente da fare. Mentre un grido si alzava verso il cielo, Gabe e Abigail riuscirono finalmente a raggiungere il corpo di Laila. L'angelo la prese tra le braccia, mentre l'amica avvicinava un orecchio alle sue labbra per sentirne il respiro, ma dalla sua espressione si capì che non c'era più niente da fare.

Alec, il quale aveva seguito la scena con attenzione, tornò a fissare il soffitto, o meglio, il suo aguzzino.

-Sai, se la cosa ti può consolare, lei avrebbe dovuto morire comunque- disse l'arcangelo, un sorriso folle sul viso.

-Che vuoi dire?!?-

-Che senza la morte dell'ultima discendente, il potere del libro non poteva essere domato. Però, scomparsa lei, la barriera che ha distrutto quell'idiota di Abaddon è caduta e quindi il diario cerca un nuovo protettore-

-Allora cosa aspetti? Uccidimi e impossessati di quel potere!! Muovi anche te una guerra contro Dio, annienta il sottosuolo e chi lo vive, innalzati come unico signore. Sappi solo che solitudine e paura ti accompagneranno, che mai più troverai qualcuno che ti amerà come lei, se mai lo ha fatto-

-Tu parli di amore, Lucifero? Colui a cui è stato strappato il cuore e i sentimenti parla di amore? Cosa ne sai? Come puoi capire ciò che provo?-

-Mi hai tolto l'unica cosa bella che nella mia lunga esistenza mi sia mai capitata. Si, posso affermare di capirti adesso. L'unica differenza è che quello tra me e lei era vero, mentre non posso dire lo stesso di quello che c'era tra te e Uriel-

-Tappati la bocca e non sprecare fiato!! Ti servirà per implorare la mia benevolenza!!-

Detto ciò, lasciando la sua spada infilata nel corpo di Alec, Michele si allontanò da lui di qualche passo, avanzando verso il libro del peccatore, ancora sospeso a mezz'aria circondato da una luce che si era fatta meno intensa.

Gabe e Abigail seguivano la scena, impotenti, Laila tra le braccia dell'arcangelo, la pelle pallida e il corpo freddo. Alec, lentamente, lasciò perdere Michele e si voltò verso la sua amata, la ragazza che aveva condannato lui al più doloroso dei supplizi. Sorrise appena, mentre sotto di lui una pozza di sangue nero si andava allargando e il suo colorito si faceva sempre più pallido.

Nel frattempo Michele aveva raggiunto il diario, ridendo folle.

-Mia amata Uriel, finalmente avremo la nostra vendetta!!- e detto ciò fu circondato da una potente luce, che inghiottì lui e tutti i presenti.

 

POV LAILA

 

Continuavo a fissare quei piccoli occhi, i quali sapevo di aver già visto, e una disordinata testa di capelli castani. Un bambino, di forse neanche cinque anni, se ne stava al fianco di mio padre, lo sguardo impaurito, ma al tempo stesso curioso.

Mi inginocchiai, come se fossi incantata da quella piccola creatura.

-Ciao, piccolo. Come ti chiami?- chiesi, tendendogli una mano.

Quello, di tutta risposta, si fece ancora più vicino a mio padre, il quale sorrise.

-Avanti, rispondi- lo incitò l'uomo.

-Non ho un nome-

-E perchè?- gli chiesi io.

-Perchè io non sono ancora nato-

Di colpo gli occhi mi si riempirono di lacrime, non appena la consapevolezza mi invase.

-Oh mio Dio- dissi, una mano sulla bocca a bloccare i singulti.

-Hai capito Laila, chi è?- mi chiese mio padre, continuando a sorridere.

-Quello...è il mio bambino- risposi, portandomi nuovamente una mano al petto.

Di colpo mi ricordai ogni cosa, Alec, Gabe, Abigail, Michele. La mia morte.

-Io...mi dispiace, bambino mio. Non sono riuscita a proteggerti-

Inaspettatamente la piccola creatura si scostò da mio padre e mi venne incontro. Io continuavo a piangere, sino a quando la sensazione di qualcosa di caldo sul viso non mi costrinse ad alzare lo sguardo.

Gli occhi di mio figlio mi fissavano, colmi di amore, nonostante lui non mi avesse mai visto. Io, d'istinto, strinsi il suo corpo contro il mio, sino a sentire i nostri cuori battere all'unisono.

-La creatura dentro di te ti ha protetta figlia mia. Hai la possibilità di tornare. Sta solo a te scegliere-

Io mi voltai verso la porta di luce che ancora mi attendeva, per poi fissare di nuovo il mio bambino.

Mi bastò un'occhiata per capire quale sarebbe stata la mia scelta.

 

La luce si attenuò nuovamente, stavolta andandosi a concentrare attorno al corpo dell'arcangelo. Le sue ali bianche era spiegate dietro la schiena, le quali rilucevano di una luce dorata, mentre i suoi occhi, spalancati, erano due pozzi luminosi. Quando parlò, la sua voce pareva composta da più di un individuo.

-Arrendetevi peccatori!!-

Nessuno si mosse, Alec inchiodato a terra dalla spada dell'arcangelo, Abigail e Gabe perchè troppo deboli e spossati per tentare di scappare. Rimasero semplicemente ad attendere la fine.

-Aprite gli occhi e ammirate il vero potere!!-

Di colpo una forza incredibile schiacciò Abigail, Gabe e il corpo di Laila contro la parete, mozzando loro il respiro. Alec, ancora sul pavimento, venne investito in pieno dalla luce. Quando riapparve, il suo corpo era completamente ferito, in ogni parte visibile.

-Sei un pazzo- sospirò stringendo i denti.

-No, non pazzo. Sono Dio-



NDA
Piccolo appunto:
Uriel è una donna.
Stavolta la storia è in terza persona e i pensieri di Laila sono in POV.
La rivolta in Paradiso per me è andata così, quindi Luci è innocente :)
Se non si fosse capito Michele è completamente fuori!!
GRazie ancora a chi mi segue e chi recensisce. Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.
Ci stiamo avviando alla fine eheheheheh.
Un saluto, Marty.

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Capitolo 26
*** Fine? ***


Una risata si schiuse dalle labbra di Michele. C'era però qualcosa di infinitamente triste in lui, qualcosa che solo egli stesso poteva avvertire.

-Cominciando dal sottosuolo, ogni essere vivente, divino e non, si prostrerà, riconoscerà in me il creatore e si inginocchierà chiedendo la grazia. In caso contrario verrà distrutto-

-Perchè fai questo, fratello?- chiese in quel momento Gabe, alzandosi dolorante da terra.

-Perchè, mi chiedi? Perchè è la cosa giusta. Dio è stato fin troppo misericordioso, verso questi putridi demoni e verso gli umani che credeva di aver creato a sua immagine e somiglianza. Ma si è sempre sbagliato, io riesco a vedere al di là. Ognuno di loro è destinato solo ad essere sottomesso e distrutto. Quindi cosa decidi, “fratello”?- concluse, rivolgendosi all'arcangelo.

Gabe lo fissò intensamente, cercando di ritrovare in quello sguardo vuoto il guerriero che lui aveva sempre ammirato e rispettato. Cosa lo aveva fatto cambiare in quel modo? Cosa aveva intaccato la sua anima in modo tanto profondo? Non poteva essere stata solo la scomparsa di Uriel, no. C'era dell'altro.

Fece per muovere un passo, ma una fitta al costato lo fece fermare. Istintivamente si portò una mano alla parte lesa, imprecando quando un dolore acuto gli annebbiò quasi la vista. Diamine, lui era un angelo, come poteva essere ferito in tal modo? Doveva essere stata per forza l'energia sprigionata dal diario.

-Non spaventarti, Gabriele. Non sarò un Dio spietato e privo di misericordia. Vieni con me e spurghiamo il mondo da ciò che è inutile-

Senza volerlo, l'arcangelo si voltò in direzione di Abigail, ancora nascosta dietro la sua schiena. I loro occhi per un attimo si incontrarono e fu come se tutto ciò che si sarebbero voluti dire fosse diventato all'improvviso più chiaro.

-Gabe...- sospirò lei, stringendo al petto la testa di Laila, la quale aveva già assunto un colorito pallido.

Lui le sorrise, per voltarsi poi verso Lucifero, il quale, rimessosi in piedi, a malapena riusciva a mantenere l'equilibrio.

-Pensi che al Paradiso possa andare bene ciò che hai intenzione di fare?- chiese in quel momento Alec, un sorriso strafottente che nonostante tutto gli si era aperto sul viso.

-Non mi interessa più di ciò che vuole il Paradiso. Adesso ci siamo solo io e me stesso, niente di più-

-Diamine, persino io penso che il tuo piano sia folle e privo di senso- ribattè l'altro.

-Ammettilo. Ti rode non essere riuscito tu ad acquisire questo potere, non è vero?-

-Per quanto mi riguarda, le cose mi piacciono così come sono. Io quaggiù e Lui lassù. Ognuno fa quello che deve senza rompere le palle all'altro. Quando sono caduto, per me è stata come una liberazione, un modo per non sottostare più al volere degli angeli. Ma non per questo mi sono messo in testa una sorta di Apocalisse-

-Solo perchè non ne hai avuto le palle, fratellino-

In quel momento la spada di fiamme riapparve tra le mani di Alec.

-Stai pur certo che non ti permetterò di spazzar via il mio piccolo angolo di Paradiso. Quindi preparati-

-Sei uno stupido, Lucifero, lo sei sempre stato. Non hai speranze contro Dio-

-Ti sfugge una cosa, Michele. Tu. Non. Sei. DIO!!- e detto ciò si gettò contro di lui, la spada di fiamma pronta a colpire.

Qualcosa di inaspettato però accadde. Prima che Alec potesse colpire l'arcangelo, un'altra arma cozzò contro la sua, sprigionando un momentaneo bagliore. Gli occhi rubino del demone si scontrarono con quelli chiari di Gabe, messosi tra i due e bloccando l'attacco.

-Che diamine stai facendo?- chiese Lucifero tra i denti, fissandolo con odio.

-Ti sto impedendo di uccidere mio fratello-

-Ma sei impazzito?!? Michele deve essere fermato!! Come puoi proteggerlo dopo quello che ha fatto a Laila?!?-

-Lui ha ragione, gli umani e demoni devono capire qual'è il loro posto. È una follia pensare di potersi mettere contro noi angeli-

-Sei pazzo quanto lui. Gabriele, togliti dalle palle!!-

-Tu me l'hai portata via, l'unica che mi abbia mai fatto sentire migliore. Perchè dovrei concederti la vittoria-

Con un colpo secco dell'arma allontanò il demone, facendolo arretrare di qualche passo. Poi, senza che se ne rendesse neanche conto, un dolore lancinante all'addome, poco sopra una delle ferite che precedentemente gli aveva procurato Michele. Un rivolo di sangue scese dalle labbra fini di Alec, il quale abbassò lentamente lo sguardo, quel tanto che bastava per vedere la lama dell'arcangelo conficcata nel suo corpo.

-Tu, maledetto traditore-

-Non ho mai tradito nessuno, Lucifero. Io, al contrario di te, sono fedele ai miei fratelli-

Quando il demone cadde in ginocchio sputando sangue, una risata di levò nella stanza. Michele rideva della sua vittoria, mentre la spada che Gabe teneva tra le mani spariva in un fascio di luce.

Dimentico per un attimo della situazione, inconsapevole, il giovane alzò lo sguardo verso le due donne rimaste in disparte, incontrando gli occhi di Abigail. La ragazza lo fissava con odio misto a stupore, impossibilitata a credere a ciò che lui aveva appena fatto. Vide le lacrime scendere sulle guancie sporche, mentre una mano si stringeva attorno al tessuto del vestito di Laila, morta tra le sue braccia.

-Sono fiero di te, Gabriele. Per fortuna hai scelto da che parte stare- risuonò la voce di Michele alle sue spalle.

Lo superò, per fermarsi poi in piedi dinnanzi ad Alec, ancora a terra. Quello sollevò un poco il viso, stringendo i denti quando l'arcangelo lo prese per la chioma mora, costringendolo ad alzare ulteriormente la testa.

-Dì le tue preghiere, Lucifero. Chissà che fine fanno i demoni quando muoiono davvero-

L'altro, nonostante la situazione, rise.

-Perchè non me lo dici tu, Michele?-

Quello lo fissò stranito, sino a quando non si accorse di qualcosa che non sarebbe dovuto trovarsi lì.

Abbassò lo sguardo, notando il suo petto trapassato da parte a parte dalla spada di Gabe. Si voltò quanto glielo permetteva la posizione, ringhiando.

-Tu, dannato bastardo-

-Io non ho mai tradito i miei fratelli. Per questo non posso permetterti questo sterminio che hai in mente- disse l'arcangelo.

Poi una seconda fitta scosse il corpo di Michele, mentre la spada di fiamme gli trapassava l'addome. Alec lo fissò con la vittoria nello sguardo.

-Impara a non rompere le palle, Michele, e porta i miei saluti a Uriel, che quella stronza bruci tra le fiamme del mio inferno-

Un'esplosione di luce invase entrambe, mentre il grido di Michele si propagava come un'eco. Quando il bagliore si fu attenuato, quello era sparito.

Anche Gabe cadde in ginocchio, il fiato mozzo.

-Sai, mi hai fatto male, stronzo- disse Alec, sorridendo nonostante tutto.

-Dovevo recitare degnamente-

-Ricordami di non chiederti mai più un favore-

In quel momento un ciclone biondo investì Gabe, facendolo definitivamente cadere a terra.

-Sei un pazzo, un deficiente, uno sciagurato- continuava ad imprecare Abigail, mentre lo colpiva ripetutamente al petto con qualche innocente pugno.

-Ehi, va tutto bene- tentava di calmarla l'arcangelo, ma la ragazza prese a piangere come una fontana.

-Non farlo mai più- piagnucolò la bionda.

Prima che però Gabe potesse ribattere, quella gli serrò le braccia attorno al collo e fece combaciare le loro labbra in un piccolo bacio, il quale lasciò interdetti entrambi.

-Oddio, scusami- disse la ragazza, scostandosi immediatamente e provando ad alzarsi.

Non fece però in tempo, in quanto lui le passò una mano dietro il collo e l'abbassò nuovamente verso di lui, baciandola stavolta con più ardore.

Alec, distolto lo sguardo dai due, aveva riposto tutta la sua attenzione al corpo ormai senza vita di Laila, adagiato poco lontano. Lentamente le si avvicinò, chinandosi per carezzarle una guancia pallida. Dopodichè, con non poca fatica, la prese tra le braccia e fece per andarsene.

-Dove vai?- lo raggiunse la voce di Gabe.

Quello si voltò, serio.

-La porterò dove solo io potrò ammirarla. Rimarrà così per sempre, il mio piccolo gioiello in questo mondo fatto di tenebre-

Era quasi sulla soglia della porta, quando un grido di Abigail lo fece nuovamente voltare.

Una lama aveva trapassato Gabe da parte a parte.

 

Il tempo parve fermarsi, mentre l'arcangelo cadeva a terra, lasciando la visione di un alquanto incazzato Michele, la spada in pugno e lo sguardo colmo d'ira.

Le ferite che Alec e Gabe gli aveva procurato erano aperte e sanguinanti, ma quello non pareva farci neanche caso.

Per la prima nella sua lunga esistenza Lucifero si sentì perduto. Ma non si sarebbe arreso, non senza combattere. Così, con delicatezza, posò nuovamente Laila a terra, facendo ricomparire poi la sua spada di fiamme.

-Non avresti dovuto farlo, Lucifero- ringhiò Michele.

-E perchè no? Mi è sempre piaciuto farti incazzare, fratello- ridacchiò l'altro, scagliandosi poi contro l'arcangelo.

Le spade cozzarono e Alec si accorse quasi immediatamente che la potenza dell'avversario pareva diminuita. Forse le ferite avevano sortito il loro effetto.

-Ti farò raggiungere quella cagna di cui ti sei invaghito-

-Sicuro di non star parlando della tua?-

Una finta a destra, un affondo e un centro: Alec riuscì a ferire Michele ad un'ala, facendolo però incavolare ulteriormente, dato che quello lo colpì al viso con un pugno e lo mandò a sbattere contro il muro.

Il fiato gli mancò e prima che potesse rialzarsi in piedi la punta della spada dell'avversario fu alla sua gola.

-Stavolta ti ucciderò, Lucifero-

-Sai, mi sono stancato delle tue parole-

-Strafottente anche nel momento di morire.Patetico...-

Caricò il colpo e lentamente il demone chiuse gli occhi. Vide Laila che gli sorrideva, che lo chiamava. Vide la loro creatura tra le sue braccia e per un attimo desiderò di raggiungerli, di vivere finalmente un'esistenza che lo soddisfacesse.

D'improvviso un'intenso torpore lo accolse e pensò che la spada di Michele lo avesse finalmente trafitto. Poi però si accorse di avere ancora la facoltà di poter aprire gli occhi e così fece.

Un'abbagliante luce lo stava avvolgendo, un calore che non aveva mai provato. Gli sembrò di intravedere una figura in quel bagliore, qualcuno che sapeva di conoscere.

Quando la luce sparì, scoprì che una figura stava davvero tra lui e Michele, arretrato di qualche passo, l'espressione più sconvolta che mai.

-Tu...come puoi essere qui?-

Un paio di occhi color cobalto fissarono quelli vuoti dell'arcangelo.

-Sono venuta a prenderti a calci in culo, razza di imbecille. Non ti ho ancora ringraziato per quello che mi hai fatto-

Laila. Era viva. Era dinnanzi a lui, più bella che mai.

Con la gola secca cercò di invocare il suo nome, ma ne uscì solo un sospiro. Lei però si voltò ugualmente, sorridendogli.

-Sono tornata- disse solo.

 

POV LAILA

 

-Sono tornata-

Fissai i suoi occhi smarriti, gli stessi che mi avevano riportato indietro dallo scuro oblio in cui ero

finita. Stavolta sarei stata io a salvarlo, a salvarli tutti.

Distogliendo la mia attenzione da lui, la riportai su quella brutta copia di un angelo che mi stava davanti.

-Io...ti avevo ucciso-

-Si vede che lassù non c'è ancora nessun angolo con il mio nome- sdrammatizzai, alzandomi in piedi per fronteggiare l'arcangelo.

In quel momento il mio sguardo si posò di Gabe, a terra, e Abigail sopra di lui, che chiamava il suo nome. Era vivo, lo sentivo, ma non avrebbe resistito a lungo.

Così mossi un passo verso Michele, il quale arretrò.

-Ti spavento?- chiesi semplicemente.

-Chi ti ha riportato indietro?-

-Diciamo che qualcuno preferisci che io rimanga quaggiù ancora per un pò-

Solo in quell'istante notai un peso gravarmi sulla schiena. Mi voltai, stupendomi nel trovare due ali piumate simili a quelle di Alec e degli arcangeli, ma di un particolare colore scarlatto.

-Non ha importanza di come tu abbia fatto a tornare. Ti ucciderò di nuovo se sarà necessario-

-Provaci-

Quando quello mosse un passo verso di me, io semplicemente alzai una mano nella sua direzione, come se fossi certa di quello che stavo per fare.

Il corpo di Michele si fermò all'improvviso, come se delle funi invisibili lo trattenessero. Poi, circondato da una strana luce, prese a mutare, a tornare come era prima di acquisire il potere del diario. Per quanto mi riguardava, nel palmo della mia mano andò concentrandosi quella stessa luce, sino a quando il libro del peccatore non riprese la sua forma.

Michele, completamente prosciugato, cadde in ginocchio, la spada che gli cadde dalle mani.

-Cosa mi hai fatto, strega?!?-

-Il potere del diario appartiene al suo erede. Niente e nessuno se non io ha il diritto di custodirlo. Mi sono semplicemente ripresa ciò che è mio-

-No, non può finire così!!-

Afferrata nuovamente l'elsa della spada, l'arcangelo scattò verso di me. Non me lo aspettavo.

Quando però stava per raggiungermi, una voce tuonò:

-Michele, fermati!!-

Un uomo era comparso alle spalle dell'arcangelo. Una folta barba bianca gli nascondeva metà del viso, mentre due occhi severi erano puntati sull'arcangelo.

Quello, come spaventato dalla presenza, si fermò di nuovo, lasciando l'arma a terra.

-Io...io...- balbettò.

Chi era quell'uomo?

-Ti sei spinto troppo oltre, Michele. Adesso basta. Torna con me in Paradiso e affronta le conseguenze delle tue azioni. Ti prometto che chiederò io stesso che la tua pena non sia eccessiva. Ti sei smarrito, ma se adesso ti fermi potrai tornare sulla giusta via-

-Io...volevo salvare il Paradiso-

-Non in questo modo. Torniamo a casa-

L'uomo puntò una mano verso l'arcangelo, facendolo sparire in un fascio di luce.

Stava anche lui per andarsene, quando Laila lo fermò:

-Aspetti. Chi è lei?-

-Ho avuto molti nomi, figliola, e altrettanti compiti. Sono contento che anche l'angelo caduto abbia trovato uno scopo e sono contento che sia stata tua a darglielo. Forse saranno anni luminosi quelli che verranno. Comunque puoi chiamarmi Pietro- e con un sincero sorriso, anche l'uomo sparì.

 

Non appena anche Pietro se ne fu andato, i corpi di Alec e Gabe furono scossi da una strana energia e le loro ferite si rimarginarono. Abigail si gettò al collo dell'arcangelo, facendomi sorridere veramente per la prima volta dopo tanto.

Lasciando i due alle loro effusioni, io mi voltai in direzione di Alec, il quale, ancora seduto con la schiena contro il muro, mi sorrideva a sua volta. Mi avvicinai, inginocchiandomi e accocolandomi tra le sue gambe.

-Pensavo che stavolta non ci saremo rivisti- mi sussurrò tra i capelli.

-Dopo che ho scoperto di averti ridotto ad un povero cucciolo innamorato? Non mi sarei persa lo spettacolo per niente al mondo- scherzai.

-Ah, davvero?-

Di colpo mi ritrovai a fissare i suoi occhi color del rubino e mi venne inaspettatamente da arrossire. Poi lui, con estrema lentezza, si avvicinò a me, baciandomi delicatamente.

-Resterai con me dunque?- mi chiese poi a fior di labbra.

-E dove potrei andare?-

-Noi due sino all'eternità?-

-Vuoi dire noi tre. Il piccolo Uria non vede l'ora di conoscere il suo papà-





NDA
Cari ignari lettori, siamo giunti alla fine, ma vi avverto, ho in serbo una sorpresina per voi, anche se ve la farò un pò sudare.
Il nome del piccolo mi è venuto un pò così, ma se avete altri suggerimenti, prego, fatevi avanti.
Mi scuso se può sembrare un finale frettoloso, ma parliamoci chiaro: non ne posso veramente più!!!
A parte gli scherzi mi sono divertita a scrivere questa storia.
Avete visto che alla fine ho fatto trionfare l'amore anche per il povero Gabe? Beh, era prevedibile...-.-
Comunque ringrazio infinitamente tutti quelli che mi hanno seguito e invogliato. 
Grazie a tutti.
A presto
Marty

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