Yugoo'th

di NicholasFox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Buio. Era notte fonda, non si riusciva a vedere nulla. Saranno state circa le 3 di notte, o giù di lì. Un uomo alto, con dei capelli lunghi, neri ed untuosi stava percorrendo un vialetto, fatto di sassi. Era come un corridoio lungo. Non c'era luce, e ai lati si ergevano grandi piante tetre e morte. Erano dei salici, ma forse una volta. Ora avevano più l'aspetto di alberi senza vita, prive di ninfa vitale, cadenti. L'uomo indossava una lunga tunica grigia come la nebbia, e la sua testa era coperta da un grande cappuccio, anch'esso grigio come il cielo durante una tempesta. Del suo viso si riusciva a scorgere solamente un naso adunco, una piccola e stretta bocca e due occhi socchiusi, tenebrosi, con delle pupille nere. Le sue mani erano riposte all'interno di piccole tasche ai lati della sua tunica logora. Si avvicinò ad un enorme cancello di ferro nero, con scolpiti disegni di morte, pugnali e spade incrociate, insieme a dei soldati che cadono in battaglia. Pronunciò qualcosa con la bocca, qualcosa in una lingua antica e, forse, oramai morta. La sua voce era fredda e metallica, oltre che profonda. Somigliava ad un tono che poteva avere un uomo sulla sessantina d'anni. Ma no, lui non ne aveva di certo così pochi. Aveva vissuto troppo a lungo. Una vita troppo immensa, ed aveva visto troppe cose. Troppe cose inquietanti. Aveva vissuto la Grande Battaglia fra il regno di Shadon e il regno di Ephaesthood. Aveva combattuto a fianco della sua patria, Shadon, ed aveva visto tanti morti, troppi. Alla fine Shadon cedette e perse. Ma non avevano del tutto perso. Infatti Shadon era il regno della magia oscura, e dei rituali affini alla necromanzia. Con uno di essi riuscirono a riportare in vita tutti i soldati che erano stati decapitati dalla spade di Ephaesthood, ma non osarono riattaccare. Rimase solo la loro sete di vendetta. Un giorno riavrebbero attaccato, ed avrebbero vinto. Questo era certo. L'uomo giunse un cortiletto, anche questo privo di qualsivoglia forma di luce. Era uno spazio circolare, con delle panchine ed al centro una grande fontana, che un tempo doveva contenere dell'acqua. Ora era vuota, asciutta. Non c'era nient'altro. Alla sua sinistra si innalzava una grande villa, un tempo appartenuta a Pulzont, re di Shadon. Però una rivolta nata nel regno lo spodestò, e rimase ucciso dalla folla urlante ed arrabbiata. Da quel momento la sua villa era una fonte di ritrovo per tutte le sette oscure esistenti nel regno di Shadon, e delle loro pratiche di magia nera. Ma più di tutti, utilizzavano quel posto la setta Tartaros, la più potente del regno. Avevano ottenuto il potere durante la Grande Battaglia Shadon-Ephaesthood, e da allora erano quelli che incutevano più terrore. Una volta entrati a far parte dei Tartaros, non ne uscivi più. E se solo ti passasse per la mente il pensiero di abbandonarli, venivi ucciso. Esatto, sapevano controllare la mente. E questo era stato sempre un problema per tutti i regni di Sarhanaeg. In tutto i regni erano quattro: Shadon, regno della magia oscura, Ithaqua, regno degli ottimi pescatori e degli abili navigatori, Ephaesthood, regno dei fabbri, della metallurgia e della tecnologia e Mahkrat, regno di valorosi soldati, di grandi nobili e capitale del mondo. In particolare questi ultimi nutrivano più timore. Il fatto di essere capitale di Sarhanaeg li rendeva un obiettivo più elevato, rispetto agli altri regni. E dunque, controllare questo reame significava avere il monopolio su tutto il mondo intero. L'imperatore di Sarhanaeg, Meshare, aveva stabilito leggi precise circa l'utilizzo della magia nera. Ma di certo agli abitanti di Shadon non era che gli importasse qualcosa. Loro erano gente squallida, inaffidabili. Non si poteva contare su di loro, mai. L'uomo si stava dirigendo verso questa fontana vuota, tirando fuori la mano ed estraendo dalla tasca delle pietre. Erano di un colore nero come la pece, ed emanavano calore. Non scottavano, ma comunque erano caldi. Li guardò un attimo con esitazione. La sua bocca cominciava ad incurvarsi in una smorfia leggermente irritata. Poi chiuse appena gli occhi, e gettò queste pietre a terra. Non appena toccarono la superficie di quella che una volta fu la fontana di Villa Pulzont, si ruppero, emanando del fumo grigiastro, con delle sfumature di un colore sconosciuto. Nell'aria si espanse un odore acre, simile a quello del zolfo e delle uova marce. All'improvviso delle sagome spuntarono ai lati del cortiletto. Avevano tutte la stessa tunica dell'uomo, e lo stesso cappuccio. Emanavano tutti lo stesso odore nauseabondo e tutti avevano dei capelli neri ed untuosi. Erano in tutto una decina, forse poco più. Si misero in cerchio, attorno alla fontana, tenendo l'uomo al centro di esso. Lo stavano tutti fissando. SI notava come l'uomo stava sudando freddo, dall'agitazione. O forse per l'emozione. "L'hai portato, Taldow?" chiese uno di questi all'uomo. Lui rimase un po' in silenzio, poi guardò a terra. La sua risposta non fu quella che tutti si aspettavano, e Taldow lo sapeva bene, infatti il suo tono di voce era basso ed imbarazzato. "No, mi dispiace, mio signore". Quell'uomo, che Taldow aveva chiamato 'signore', lo squadrò un attimo. Stava cominciando ad averne abbastanza di Taldow. Sospirò. "Ti ho dato abbastanza possibilità di portare a termine con successo almeno un'impresa. E tu mi ripaghi così?" stava urlando, infastidito da quell'uomo che un tempo chiamava amico e che un tempo era il suo braccio destro, prima che lo rinnegasse a semplice affiliato della setta. "Dovrei ucciderti io stesso per la tua indisciplina! Ma..." lo guardò dritto negli occhi. L'espressione di Taldow fu di sorpresa. Rvolse il suo sguardo al suo signore, come per chiedergli come mai quel 'ma'. Ma poi la risposta arrivò subito. "...mi servi per un altro scopo. Assai più importante.". Taldow non riusciva a comprendere. Voleva tanto chiedergli qual'era questo scopo, voleva chiedergli tante cose. Ma sapeva che non avrebbe mai risposto, il capo della setta di Tartaros. "Sapevo che avresti fallito, ormai è prevedibile". Il Signore continuò. Taldow ebbe un tuffo al cuore alla parola 'prevedibile. Non si fidava più di lui! Si ricordava bene com'era una volta. Affidava sempre a lui tutte le missioni perchè era sicuro che riusciva a portarle a termine. Ma ora basta, tutto il passato è svanito in un secondo. "Per questo ho incaricato Jawez" indicò con il suo dito unto un uomo dall'altra parte della fontana. "Di portarmi la scatola che ti avevo chiesto". Non poteva essere vero! Non poteva aver incaricato anche quel buono a nulla! Ma doveva affrontare la verità: ormai non valeva più niente. Se si era fatto battere pure da un pivello, appena entrato nella setta. Jawez si avvicinò tremante al Signore, porgendoli la scatola. E ritornò al suo posto, notando con scherno il viso infuriato di Taldow. La scatola era piccola, rossiccia e con dei ricami incisi sul legno. Non si capiva che c'era disegnato, ma di sicuro qualcosa sulla morte. C'era inoltre una lunga strisciolina rossa che incorniciava la parte superiore, di questa scatoletta. "Ti devo togliere l'immortalità. Non mi servi più a nulla." Detto ciò fece un rapido gesto della mano sopra la testa di Taldow, ora inginocchiato, umiliato. Sgranò gli occhi terrorizzato. "Ma così morirò!". Si portò una mano al cuore. Aveva cominciato a battere forte. Guardò supplichevole il Signore, con un espressione triste dipinta sul volto. Lui lo guardò con una finta compassione. "Fra due giorni. Oh, ma che peccato!". Si sentirono alcuni accennare una risatina frettolosa, per poi smettere subito. "Come detto prima, mi servi, proprio in questo momento": "A cosa, Signore?" chiese, ancora scioccato del fatto che gli erano rimasti pochi giorni di vita. "Adesso lo scoprirai." rispose il Signore. Il cerchiò si vece più ampio, perchè tutti fecero due tre passi indietro. Il Signore poggiò la scatoletta di legno sul bordo della fontana, delicatamente. Qualunque cosa contenesse, non era di certo nulla di buono. Poi poggiò una mano sulla spalla di Taldow. "Mi dispiace, ti avevo sempre voluto bene." fu il suo unico commento. Prese un pugnale d'acciaio, forgiato da una fucina di Ephaesthood. Strano, data la rivalità fra i due regni. Ma lì c'erano i migliori fabbri di tutto il mondo di Sarhanaeg, e pure quelli di Shadon si rivolgevano a loro. Nell'impugnatura era dipinto un grande teschio. Taldow sapeva fin troppo bene quanto il Signore ci tenesse a quell'arma. Grazie a quella aveva ucciso una gigantesca creatura che minacciava di distruggere Shadon, ma che ora nessuno si rammentava il nome. Erano passati talmente tanti anni! Puntò il pugnale sulla spalla di Taldow. Con un fulmineo scatto scoperchiò la scatola. Un fumo violenti ne fuoriuscì, un vento capace di radere al suolo qualsiasi albero gigantesco e millenario. Infatti, tutti quei confini di Villa Pulzont vennero invasi da questo turbine di aria. Un uomo volò via, ma gli altri rimasero ancorati al terreno. Il Signore sorrideva, incurante di ciò che stava accadendo. Impugnò saldamente il pugnale e decapitò la testa di Taldow. Questa rotolò all'interno della fontana, lasciando una scia lunghissima di sangue, e schizzandone ancora. Il corpo di Taldow cadde a terra, inerme, ancora un espressione di terrore dipinta sul volto. Non appena il sangue venne a contatto con la scatola, questa prese fuoco. Il Signore rideva e continuava ad urlare "Yugoo'th!" Poi, da questo fuoco rovente, prese forma un mostro. Era enorme, con una pelliccia nera. Aveva delle fauci enormi, per non parlare degli artigli. Delle lunghe unghione appuntite. Se solo ti avesse toccato con una di quelle saresti di sicuro morto. Aveva un viso anch'esso peloso, con un muso lungo. Quello somigliava molto al muso di un lupo mannaro. Aveva due occhi cavi e neri. Dal busto in giù c'era un corpo e delle gambe di un orso. Era un essere metà orso, dalla pancia in giù, e metà lupo mannaro dalla pancia in sù. Una bestia enorme, mai vista in passato. Agguantò due degli uomini della setta e se li mandò dritti in bocca masticandoli e triturandoli con la sua bocca con denti aguzzi, per poi inghiottirli. "Yugoo'th! Non vogliamo farti del male!". La voce del Signore era quasi triste. Si stava rendendo conto di ciò che aveva fatto. Quel mostro, che a quanto pareva si chiamava Yugoo'th si girò verso di lui fissandolo, pieno di odio. In men che non si dica lo agguantò per le sue estremità e tirò. Il Signore si spezzò in due. Non esisteva più. Il mostro inghiottì anche lui. Tutti quelli della setta stavano scappando, impauriti e strillando. Yugoo'th si voltò a guardare la luna, contento finalmente di essere vivo. Partì alla carica, correndo verso l'uscita della Villa Pulzont. Schiacciò il cancello di ferro, come se fosse un pezzo di pane e corse verso la città più vicina: la capitale di Shadon. Ora tutto quel regno era in pericolo, a causa di questo mostro. Ma se fosse uscito da quei confini? Se avesse raggiunto anche gli altri reami? Cosa ne sarebbe stato di Sarhanaeg? Non aveva mai avuto a che fare con mostri del genere, così grandi e così pericolosi. Era una novità.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1


Una calda notte d'estate, quindici anni prima, nasceva Shirer, in un paesino nel regno di Ithaqua. Il paese si trova in riva al mare ed è denominato Kingfisher. E' un posto dimenticato dagli dei: edifici mezzi diroccati, negozi chiusi e cadenti, con delle assi di legno appese a delle minuscole finestre, poche case, anonime, spente. Nell'aria si annusa l'odore salmastro di pesci andati a male. Ovunque guardi, vedi la rovina. Ma non è stata colpa degli abitanti, per quei pochi che sono. Un tempo, erano stati invasi dai guerrieri di Shadon, il regno oscuro del mondo di Sarhanaeg. Dove sono passati loro, rimanevano solamente le macerie, di quel che un tempo erano edifici lussuosi, alti ed eleganti. Ora un cumulo di detriti. Molte persone avevano abbandonato la loro casa a Kingfisher, per trasferirsi a Mahkrat, regno principale di Sarhanaeg. Molti altri sperduti nelle grandi Montagne Trenzalow, che fa da confine naturali fra Ithaqua ed Ephaesthood. Fra quei pochi che avevano avuto il fegato di restare, era un evento straordinario, la nascita di Shirer. I suoi genitori, Ann e Brunner, erano al settimo cielo. Si comportavano con lui come fosse un gioiello prezioso, anche fin troppo apprensivi. Ann, una donna bassa, con un viso angelico, due occhi azzurri come il mare, e i capelli rossi, raccolti in una lunga treccia che cadeva sulle spalle. Brunner, un uomo alto, muscoloso, quasi senza capelli e due enormi baffi neri. Due persone completamente diverse, eppure l'amore aveva prevalso alle loro differenze. Ann era nata e aveva sempre vissuto a Kingfisher, mentre Brunner era originario di Ephaesthood, infatti la sua corporatura era caratteristica di quegli uomini, grandi fabbri. Si erano conosciuti quando Brunner era venuto a Kingfisher, per un viaggio di lavoro. Doveva prelevare del ferro, accumulato lì da un abitante del paese. Un anno dopo, ebbero il loro primo ed unico figlio: Shirer. Aveva preso tutte le caratteristiche della madre, compresa la statura. Anche appena nato, era il più piccolo neonato che avevano mai visto. Col tempo, però, era cresciuto diventando di statura media. Ne' più alto degli altri, ne' il più basso. Cinque anni dopo morì la madre Ann, in un tragico incidente. Da quel momento la tristezza era all'ordine del giorno. Con suo padre non parlava praticamente mai, neppure si guardavano, come se fosse stata colpa di Shirer. Aveva solo cinque anni, un povero ed innocente bambino, che passava le giornate a pensare alla madre. Non dormiva più, a stento riusciva a mangiare un boccone di pane. Suo padre stava fuori casa tutto il giorno, forse alla locanda con i suoi amici a bere qualcosa. Come sempre, d'altronde. Era una sua abitudine. Ma ci andava anche adesso, nonostante la perdita della sua amata Ann. E quando tornava a casa, sbronzo com'era, si chiudeva in camera sua e poltriva per il resto della giornata. 
Quando ebbe 10 anni, cambiò totalmente. Diventò alto, muscoloso, a causa del suo lavoro al porto cittadino. Non era più un ragazzo mingherlino come una volta. Ora era molto diverso. Stava tutti santi giorni, tutto il giorno, al porto di Kingfisher. Tirava su da solo delle scatole enormi e stracariche di pesce e di qualcos'altro. All'inizio non ci riusciva molto, ma poi ci aveva preso la mano, diventano il numero uno dei sollevamenti casse.
Una sera, mentre tornava a casa dal lavoro, in una viuzza secondaria, incontrò un giovane ragazzo. Aveva più o meno la sua stessa età, ma era più basso rispetto a lui (anche se non di tanto). Aveva dei corti capelli castani, tagliati male. Aveva poi un viso olivastro, due grandi occhi marroni, e una bocca, contorta in una smorfia impaurita. Subito, si avvicinò a lui.
"Ciao, amico!" fece Shirer. L'altro ragazzo lo squadrò male all'inizio, ma poi sorrise. Un sorriso, si fa per dire: gli angoli della sua bocca si contorsero in una smorfia all'insù. Poteva sembrarlo, ma secondo Shirer non lo era.
"Hai bisogno di....una mano?" chiese, sembrandosi più convincente di quello che la sua voce che fuoriusciva come un debole squittio.
Il ragazzo spostò lo sguardo a terra, frustato. Shirer non lo riusciva a capire, date tutte le smorfie e gli sguardi strani che faceva. Un tipo strano, stranissimo. Stava quasi per girare i tacchi ed andarsene, quand'ecco che rispose.
"M-mi....sono appena trasferito....con la mia famiglia." sospirò "Ma non mi piace qui!".
Shirer alzò gli occhi al cielo, ora che aveva finalmente capito cos'aveva. Ma non era felice. Insomma, che si lamentava quel tipo?!? Lui ci viveva ogni giorno a Kingfisher. Lui dev'essere stata la prima volta che visitava quel paese. Non poteva parlar così. Shirer poteva farlo, ma non lui. Ma decise di non litigare, anche se doveva mettercela tutta.
"Senti..." cominciò, anche se non sapeva bene cosa dire "...se vuoi, possiamo giocare insieme, un giorno".
Il viso di quel ragazzo si illuminò. Sorrise ancora più forte, e lo guardava con allegria. Sembrava uno di quei bambocci del suo quartiere quando arrivava il carrello dei dolciumi, in strada, con l'offerta 'prendi 3, paghi 1'.
"Davvero?" chiese, tutto eccitato.
Ormai non poteva più tirarsi indietro, quindi annuì.
"Ma solo il Venerdì e la Domenica, quando non lavoro.". Notava con interesse lo sguardo del ragazzo, lo stava quasi facendo imbarazzare. Poi si accorse che non si erano ancora presentati.
"Shirer" e tese la sua mano, incurante se fosse sudata o se era sporca di pesce. Lui la strinse, sempre ridendo, e disse il suo nome. "Archest".
Ma Shirer non poteva sapere che da lì ad un anno, quel nome poteva costargli molto. Non poteva sapere ciò che aspettava a lui e al suo nuovo amico. E se lo avesse saputo, non avrebbe cercato di fare amicizia con lui.
"Allora...ti sei trasferito qui. Da dove e perchè?". Sì, era un impiccione nato, era fatto così. Ma una nuova famiglia, che veniva ad abitare a Kingfisher, non si era mai vista. Non è un ottimo posto per viverci, no di certo. Dunque lo trovava strano.
"Mio padre vendeva pesci alla capitale di Ithaqua." cominciò a spiegare "Poi il suo capo lo ha spedito qui, a lavorare per il negozio che ha qui. Sai, ha una catena.".
In quel paese c'erano tantissimi pescivendoli, praticamente vivevano di quello. In ogni via, se ne trovava uno. E tutti erano in competizione. Non mancava giorno in cui non si trovavano appesi fuori dal negozio cartelli che inauguravano una nuova offerta o un nuovo pesce. Ma anche altri, di pubblicità, come 'Se volete il pesce migliore, venite da Willow's Fish!'. E di sicuro, ogni due giorni, spuntava un nuovo locale, per vendere i loro pesci e crostacei. Ma Archest sembrava avergli letto nel pensiero, perchè disse a quale negozio si riferiva.
"Polp&Squat, Inc.". Ecco, ora Shirer aveva capito. Ce n'era solo uno a Kingfisher, ma non attirava molti clienti. Non perchè avevano pesci cattivi, ma perchè avevano scelto il luogo sbagliato: in un edificio piccolo, ai confini del paese. Chi mai andrebbe lì?
"Domani è Venerdì." cambiò discorso, ne aveva avuto abbastanza di pesci e affini "Puoi venire da me.".
Archest rise. Non capiva come mai, ma era così allegro quel ragazzo. Non come l'inizio però, quando era triste e fissava a terra. Gli serviva solo un nuovo amico, ed ora l'aveva trovato.
"Affare fatto. Ci troviamo qui?" chiese Archest, speranzoso. Non aveva voglia di girare per tutto il paese, preferiva quella vietta come luogo d'incontro, dato che era appena fuori da casa sua.
Shirer annuì. "Qui, domani mattina."
Poi sentì la voce di una donna che chiamava Archest e si congedarono. Poi lui corse dentro a casa sua, dalla persona che lo aveva chiamato. Dovrebbe essere stata sua madre, che altri?
Lui invece tornò al suo appartamento, preso in affitto pochi mesi prima. Salì velocemente le scale, per poi entrare dalla porta di servizio. La porta principale non funzionava ormai dai tempi dei vecchi proprietari. Suo padre era disteso sul divano, a sonnecchiare. Decise che era più prudente non svegliarlo, così sgattaiolò in camera sua. Buttò il gilet color blu sbiadito nel letto. Poi si mise a sedere nella sua scrivania, continuando a pensare a quell' Archest. Certo che era proprio strano, il modo in cui lo guardava, il modo in cui parlava. Prese la bottiglietta di acqua che aveva davanti a sè e ne bevve un sorso, per poi riporla dov'era prima. Il giorno dopo avrebbe dovuto giocare con lui, ma che faceva? Dalla morte della madre non aveva più fatto nessun tipo di gioco, dato sia il cambiamento di suo padre, sia la mancanza di amici. Ma ora ne aveva uno, doveva inventarsene uno. Nascondino? No, si era appena trasferito, non conosceva ancora quel posto. Giusto! Non avrebbero giocato, ma avrebbero fatto un giro turistico a Kingfisher! Ovviamente stando alla larga dai soliti banditi e ladri. Un'idea geniale.


Spazio Scrittore: Questo capitolo è un po' corto, essendo solo l'introduzione dei personaggi, Shirer ed Archest. Ovviamente gli altri capitoli saranno più lunghi ;)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

La mattina seguente Shirer si svegliò di buon'ora. Si alzò faticosamente dal letto, si stiracchiò appena e si diresse verso il bagno. Procedeva con un passo lento, sbadigliò un paio di volte. Aveva ancora sonno, ma Shirer anche se ritornava a letto, dopo essersi svegliato, non riusciva mai a riaddormentarsi. Una volta entrato nel bagno, si posizionò dinanzi al lavandino, guardandosi nello specchio. Aveva capelli tutti sbarazzini, così se li pettinò. Accese il rubinetto e fissò per alcuni istanti l'acqua cristallina che scorreva fluida. Si bagnò le mani, e se le passò sul viso. Era fresca, quasi gelida, e questo bastò a svegliarlo definitivamente. Prese l'asciugamano scarlatto alla sua sinistra, e si asciugò. Uscì dalla stanza, e ritornò in camera sua. Si svestì, e si infilò il solito paio di jeans sbiaditi, ed una T-Shirt azzurra, con raffigurato un delfino. La tunica da lavoro era ancora in fondo al suo letto. Ma oggi era Venerdì: il giorno di riposo.
Andò in cucina, e notò sorridendo come suo padre Brunner se l'era già svignata. Sarà al bar, ci stava da mattina fin sera. Ma poco importava. Si avvicinò al frigo e ne tirò fuori un succo d'arancia. Poi prese da una credenza due fette di pane e della marmellata alle fragole. La sua colazione fu veloce, ci mise poco tempo a finire il suo bicchiere di succo, e il panino, rigorosamente piccolo come tutti quelli che aveva mai mangiato. Il problema era che a Kingfisher arrivano tutti prodotti scadenti. La maggior parte di quelli decenti venivano venduti a Mahkrat o a Ephaesthood. Ma tanto, dopo un po' ci fai l'abitudine.
Dopo un po' si ricordò dell'appuntamento con il suo nuovo amico Archest. Se ne stava dimenticando. Prese al volo un gilet color argento, se lo infilò, e si precipitò giù per le scale che portava alla porta d'ingresso.
In men che non si dica si ritrovò alla casa di Archest. Bussò in un enorme portone di legno, che pochi istanti dopo si aprì. Si affacciò una signora graziosa, avrà avuto intorno ai 30 anni. Aveva un viso delicato, dei lunghi capelli rossicci le ricadevano in ciocche sulle spalle. Non era molto alta. Aveva un elegante vestito color porpora, che finiva con una lunga gonna. Ci mise un po' prima di proferire parola.
"Salve" riuscì a balbettare "Sono venuto a prendere Archest. E' in casa?".
La donna, che doveva di sicuro essere la madre, mi guardò sorridendo. Aveva dei denti bianchi come il latte.
"No. Lo trovi al negozio di suo padre, Polp&Squat Inc. Sai dov'è, o vuoi che ti ci accompagni?". La sua voce era candida, fluida.
"Grazie, so dove si trova." Detto ciò Shirer partì di corsa, verso la via dove si trovava il negozio.
Polp&Squat Inc. era una catena di pescivendoli, con un proprio negozio anche a Kingfisher. Non aveva molti clienti, a causa del luogo isolato dove si trovava. Era l'unico edificio nella Delphin Street: era un viale, con una fila di alberi ai suoi lati. La strada non era molto lunga, e non c'erano case. Proprio per questo allora non aveva clienti. In fondo a questa via c'è il confine di Kingfisher con le campagne del paese successivo. Shirer non ci era mai stato, ma dicevano che si viveva molto meglio. Beh, non era nemmeno mai uscito da Kingfisher.
Ecco, aveva raggiunto Polp&Squat. Era un negozio di modeste dimensioni, con un muro ruvido e grezzo. Una vetrina dava sulla strada, ma era tutta impolverata ed aveva una minuscola ragnatela in un angolo in fondo. Di certo, non poteva attirare potenziali acquirenti. Quando aprì la porta e la oltrepassò, un campanellino vibrò, producendo quel tintinnio fastidioso, che tanto odiava. Subito, un uomo comparì dietro il bancone. Non si sarebbe mai immaginato il padre di Archest così.
Era basso. Aveva pochi capelli, quasi nessuno. In compenso dei lunghissimi baffi gli partivano da sotto il naso. Aveva degli occhialoni forse un po' troppo grandi, le orecchie a sventola, e il naso a patata. Era un uomo non proprio magro, anzi. Era vestito con un lungo camice bianco. O, almeno, bianco lo doveva essere una volta. Dir sporco sarebbe un eufemismo: c'era del sangue schizzato da cima in fondo, poi delle macchie marroni e giallognole. Sarebbe stato difficile a lavarlo.
"Buongiorno. C'è Archest?" chiese, sforzandosi di non ridere per l'uomo. Lui, però, non sorrise. Rimase tutto serio, ed impassibile. Anche se era buffo, era di certo un padre esigente e severo, come Brunner. Lo guardò torvo, per poi rispondere indifferentemente.
"Certo, è qui. Sei tu quello con cui doveva andare a giocare?". Shirer diventò tutto rosso, se lo sentiva. Non era abituato a domande così secche e dirette.
"Ehm...sì."
Il padre non si mosse, continuava a fissarlo. Ma dopo quel che sembrava un' eternità urlò.
"Archest!!! Vieni subito qui!". Con uno sguardo maligno puntò i suoi occhi su Shirer, per poi ritornare nel retrobottega.
Vide quel ragazzo conosciuto solo ieri uscire da una porta. Non era proprio un bel ragazzo: era basso, grosso, con dei capelli corti e castani, ed un viso olivastro. Non il tipo che le ragazze vorrebbero intorno. Ma questo non importava a Shirer: tanto le ragazze escludevano pure lui.
Si avvicinò a lui. "Ciao, amico!" Si salutarono entrambi.
Non sapeva che dire. La tensione era così fitta che una forbice poteva tagliarla. Doveva trovare un argomento per rompere il ghiaccio, ma quale? Cercò di pensare, ma invano.
"Ok, andiamo allora. Ho tante cose da mostrarti."
Partirono, alla volta della piazza di Kingfisher. Corsero per tutte quelle miriade di stradine di ciottoli, ogni tanto spiaccicavano qualche parola, ma entrambi erano molto timidi. Passarono davanti a tutte quelle bancarelle che popolano i viali del paese, davanti a tutti i negozi, a tutti i pescivendoli. Salutavano tutti, e tutti ricambiavano solari. Erano felicissimi, niente poteva renderli tristi in quel momento. Arrivano finalmente alla piazza. Tutti sudati a causa della corsa si sedettero al bordo della grossa fontana. In cima la fontana è stato posizionato la statua di un Angelo, una volta di un marmo bianco da fare invidia a tutti, ora grigio, sporco. E' stata messa proprio al centro della piazza, e stando seduti si aveva la perfetta visione di tutto intorno. A sinistra, c'era il porto di Kingfisher. Ai tempi d'oro brulicava di pescherecci, di navi, di persone e di turisti...oltre ad uno spettacolare mercato, il più grande del reame di Ithaqua. Molti anni passarono, ed ormai cadeva a pezzi dentro al mare. Pochi i pescherecci, e nient'altro. La desolazione. A destra invece potevi ammirare la maestosità del Municipio. Era un edificio enorme. Prima di entrare attraverso la porta dovevi attraversare un portico, anticipato da una serie di colonne grosse. Se andavi vicino ad una di esse e pulivi un po' la superficie potevi intravedere cosa vi era raffigurato: scene di mercato. Una bancarella, con un venditore che urlava informazioni, ed una signora, che teneva in mano un bambino, desiderosa di comprare un pesce....ma tanti altri disegni, ma che ora erano tutti come invisibile, si erano rovinati, spenti.
"Mi piace star qui" esordì Archest "Ho cambiato idea. Questo posto ti da un senso di libertà assoluta."
Shirer non poteva che approvare. Certo, non poteva dir lo stesso lui: di libertà ne aveva gran poca. Però poteva accettare il fatto che si stava bene. Ogni giorno il sole splendeva in alto nel cielo, e si sentiva una lieve soffiata d'aria cristallina, proveniente dal mare. Non era forte, ma giusto.
"Sì" fu l'unica risposta.
Continuavano a fissare il mare in lontananza, che rifletteva la luce del sole, e si infrangeva sui grossi scogli ai bordi della banchina. Poi, a Shirer venne un'idea.
"Archest! Devo farti vedere un posto.". Lo prese per la manica e lo alzò. "Seguimi!"
Prese a correre....no, non correva, ma andava a passo spedito, verso una vietta laterale, in salita. Archest cercava di stargli dietro, per quanto riusciva. Non era in forma, e faticava un po', aveva il fiatone. Si sentiva tutto caldo, e si accorgeva di ogni minima goccia di sudore che gli colava da ogni parte. Nonostante tutto, ci riusciva alla grande, tranne per la salita, che si prese un po' dietro. Ma ogni tanto, per fortuna, Shirer si fermava ad aspettarlo.
Alla fine, raggiunsero insieme (e stanchi morti) la cima di quella salita. Si trovarono all'ingresso di un parco. Questo ingresso consisteva in due capitelli, raffiguranti la dea Wetren, venerata solo nel reame di Ithaqua: era la dea dell'acqua e della pesca. Appena li attraversavi ti trovavi davanti un enorme spazio verde, con una stradina di sassi che la attraversava. Ogni tanto sbucava una panchina, ogni tanto uno spazio giochi, munito di altalena, scivolo e tante altre cose. Non c'era nessuno, ma non era strano. Non ci venivano quasi mai persone. Quelle rare volte in cui c'era anima viva, era quando un anziano signore voleva rilassarsi all'aria aperta.
Secondo Shirer quello era il posto migliore di tutta Kingfisher, ma purtroppo la più sottovalutata.
"Vieni!" continuò Shirer. Andarono, stavolta correndo, verso quello che sembrava una scatola di marmo. Ma avvicinandosi meglio scoprirono che si trattava di un pozzo. Era proprio grande, la circonferenza dell'entrata era enorme, ed era profondissimo. Chissà quanto andava sotto-terra.
"Allora, che te ne pare?" "E'stupendo, una meraviglia!" rispose Archest, in estasi. Si era come rianimato dopo la faticaccia della corsa. Ora era tornato alla colorazione normale, sorrideva, e non aveva più il fiatone.
Shirer raccontò la storia di quel parco e di quel pozzo al suo nuovo amico, che ascoltava tutto interessato. Raccontò di invasioni, di pirati, di incendi....e tutto questo emozionava il ragazzino. Doveva avere un debole per le storie di avventura, di sicuro.
Poi fece qualcosa di inaspettato: si mise in piedi lungo il bordo del pozzo, e cominciò a ridere, ed ad urlare che non era mai stato così felice in vita sua. Si mise a camminare lungo il bordo. Shirer provò a dirgli di scendere, che era pericoloso. Ma lui non ascoltava, e poi era talmente felice che si commosse a vederlo, e cominciò a ridere anche lui.
Il resto avvenne in un secondo. Archest scivolò, e cadde dentro al pozzo. Il sorriso svanì, e il viso di Shirer diventò scuro come il carbone. Sembrava che quella scena andasse a rallentatore. Corse verso il bordo, ed allungò la mano cercando di prendere il piede dell'amico, ma non ci riuscì. Lo vedeva sprofondare nel buio più totale. Si mise a piangere, ma non urlava. Dopo un po' non lo vide più, inghiottito dalle tenebre. Dopo un eternità, sentì un rumore assordante, quanto doloroso: Archest aveva raggiunto il fondo. Si tirò via dal bordo, e corse lungo la via, verso la piazza. Non gli interessava la destinazione, bastava che corresse. Versava tante di quelle lacrime che poteva farci una piscina. Per la prima volta aveva trovato un amico, ed ora era morto! Era morto a causa sua che lo aveva lasciato ballare lungo il bordo del pozzo! Doveva insistere che scendesse, così non moriva. Ma come poteva saperlo, che da lì a poco cadeva e non lo avrebbe mai più rivisto? 
Passò davanti al negozio del padre di Archest, e si piombò dentro. L'uomo uscì da una stanza e prese in braccio Shirer, chiedendogli cosa fosse successo. E lui, fra le lacrime, raccontò tutto. L'espressione vuota e disorientata negli occhi del forte uomo era qualcosa di unico, che non si avrebbe mai più dimenticato.

Spazio Scrittore: Ringrazio tutti quelli che mi hanno sostenuto fino ad adesso, che mi hanno aiutato, incitato. Io lo ammetto che non sono uno scrittore professionista, che faccio tutto giusto. Ma per me è stato bellissimi vedere che la mia storia piace alle persone. Vi ringrazio, dal primo all'ultimo, su EFP, su Facebook, su Forumcommunity. Non finirò mai di dirvi "Grazie". Senza di voi non avrei fatto nulla.

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