La fine dei giochi

di hernoa everdeen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Un brusco risveglio ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Incontri Inaspettati ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Nella fossa dei serpenti ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Che la recita cominci! ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Nel baratro ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI - La fine del buio ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Un brusco risveglio ***


Ciao a tutti,
questa è la mia prima fanfic, spero che vi piaccia!
L'idea è nata mentre leggevo il terzo libro degli Hunger Games. Immaginavo un diverso svolgimento, e quindi eccomi qui a raccontarvelo!
Ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Suzanne Collins e questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 
Non mi resta che augurarvi una buona lettura!
Hernoa Everdeen





Capitolo I - Un brusco risveglio


Lui non c’è. Questo è il primo pensiero non appena mi risveglio a bordo dell’hovercraft che mi ha portata via dall’arena. Peeta non è con me. Non sono riusciti a salvarlo.
Apro gli occhi e trovo il familiare volto di Gale ad aspettarmi. Sorride, ma solo con le labbra. I suoi occhi sono tristi. Mi sussurra: “Katniss, siamo diretti al Distretto 13, ricordi? Là cureranno le tue ferite.” Il suo sguardo mostra la sua preoccupazione per me, ma io non riesco a pensare ad altri che a Peeta.
Cosa gli staranno facendo in questo momento? La mia unica speranza è che non gli facciano del male per causa mia. Devo assolutamente trovare un modo per salvarlo e strapparlo a Capitol City. E a Snow. Lo farò, costi quel che costi.
E, forte di questa speranza, sprofondo di nuovo nell’oblio.
                                                                                                            *
Quando riprendo i sensi mi ritrovo in una sala completamente bianca, distesa su un lettino. Socchiudo gli occhi, abbagliata da tanto biancore. Quando riesco a tenerli aperti senza lacrimare, mi guardo intorno. Sono in una piccola camera senza finestre, con un tavolo alla sinistra del mio letto e una serie di strani macchinari dall’altro lato. Le pareti sono bianche e spoglie, come tutto qui dentro. Non c’è nulla che spezzi la monotonia candida delle pareti, delle lenzuola, dello stesso letto. Non c’è nulla alle pareti, nulla nella stanza, solo delle flebo attaccate alle mie braccia.
Accanto ai macchinari vedo una donna dal volto stanco; avrà circa 50 anni, indossa un camice pulito, una cuffietta di cotone sui capelli e dei guanti per maneggiare le flebo. Quando si accorge che sono sveglia sorride debolmente e cerca di rincuorarmi dicendo che le mie ferite vanno meglio. A quanto pare sono stata incosciente per giorni e tutti qui si sono presi cura di me, lei compresa. Dal canto mio, comincio a sentirmi meglio, almeno fisicamente. Le ferite dell’anima, invece, sono dure a guarire.
Ho bisogno di vedere Gale, devo sapere cosa ne è stato del nostro Distretto e, soprattutto, di mia madre e Prim. Con voce bassa e spezzata mi rivolgo all’infermiera: “P-Potrei vedere Gale?”. Lei annuisce ed esce per andare a cercare il mio amico. Conoscendolo, sarà rimasto fuori dalla mia camera per tutto questo tempo.
Il buon vecchio Gale. Da quando mi ha dichiarato il suo amore prima dell’Edizione della Memoria devo ammettere con me stessa che il nostro rapporto è cambiato. Non riesco ad aprirmi e scherzare con lui come facevo prima, ma in fondo so di poter sempre contare su di lui.
Quando lo vedo entrare incrocia il mio sguardo e capisce immediatamente cosa ho bisogno di sapere.
“Stanno bene, Katniss. Prim e tua madre sono al sicuro qui nel Distretto 13”. Sento un senso di sollievo invadermi. Stanno bene, ripeto a me stessa. Sono salve.
                                                                                                             *
Gale mi racconta ciò che è successo dopo la mia uscita dall’arena: Capitol City ha bombardato il nostro Distretto, radendo al suolo ogni cosa. I superstiti si sono rifugiati qui ed ora il nostro scopo è quello di organizzare una rivolta. Una rivolta che metta fine al mondo perverso e corrotto di Panem e al regno del Presidente Snow.
“Non so se tu sia già abbastanza in forze per questo, ma tutti ti acclamano come simbolo della nostra rivoluzione. Sei diventata la Ghiandaia Imitatrice, Katniss. Ti senti pronta per affrontare ciò che questo comporta?”.
“Sì” rispondo, apparentemente senza esitazione. È ciò che tutti si aspettano da me, non posso deluderli. Lo devo fare.
“Quando si comincia?”
                                                                                                              *
La sala dove si terrà la riunione per decidere il da farsi si trova diversi livelli sopra il reparto per le cure dei feriti, ma ho ancora parecchio tempo prima di dovermici recare. Gale è tornato alle sue occupazioni ed io, nel frattempo, sono libera di girovagare per il Distretto.
Ho modo di vedere che è interamente situato sotto il suolo. Si sviluppa in vari livelli, ognuno adibito ad una precisa funzione. I piani superiori, quelli più vicini all’esterno, sono gli unici a non contenere nulla; vennero costruiti con materiali appositamente più resistenti per fare da barriera nell’eventualità di un attacco aereo da parte delle forze armate di Capitol City. Al di sotto di trovano i livelli contenenti serre ed allevamenti per la produzione dei nostri viveri, intere stanze per l’elaborazione e la conservazione di una svariata quantità di armi, gli alloggi dei sopravvissuti e le postazioni degli strateghi, coloro che hanno lo specifico compito di elaborare un piano per prendere possesso della città e mettere finalmente fine a tutto questo.
Ed ora anche io sono parte di questo piano non ancora definito. Cerco di raccogliere le idee e di pensare alle priorità. Peeta. Voglio salvare Peeta. Non riesco a tollerare di essere al sicuro mentre lui sta subendo chissà quali torture. Quando siamo entrati nell’arena per l’Edizione della Memoria mi ero ripromessa di portarlo fuori di lì, anche a costo della mia vita. Le mie intenzioni non sono cambiate. Lui merita di essere salvato. Devo parlarne con gli strateghi, magari loro hanno delle informazioni sul luogo in cui è rinchiuso.
Mi sto dirigendo verso la sala del Comando, quando sento provenire dalle mie spalle una voce ben conosciuta:
“Katniss!”
Mi volto e accenno un sorriso.
“Finnick, sei tu! Vedo che ti sei completamente rimesso dopo la forte scossa nell’arena.”
“Già, fortunatamente qui sono bravi a prendersi cura della gente.”
Tuttavia, non ha una gran bella cera. Il ragazzo che ho di fronte è solo l’ombra di quello che ho conosciuto. I suoi occhi, sempre così vivaci, ora sono spenti, come se da lui fosse scomparsa ogni traccia di felicità.
“Come ti senti?”
“Io sto bene, Katniss. Me la cavo, ma..” la sua voce si spezza con un singhiozzo “hanno preso Annie. Devono tenerla rinchiusa da qualche parte nelle segrete del palazzo di Snow. Io devo trovarla.”
“Li troveremo, Finnick. Di questo puoi star certo. Ora siamo in due.”
Si asciuga le lacrime e ci dirigiamo insieme verso la sala riunioni, facendoci silenziosamente forza a vicenda. Nutriamo le stesse speranze, lo stesso odio nei confronti di Capitol City. Eppure siamo così diversi: lui, il sex symbol del suo distretto, colui che è riuscito a conquistare il pubblico di Panem con il suo fascino ed il suo carisma; ed io, la cosiddetta Ghiandaia Imitatrice,simbolo della rivoluzione, ma tuttavia così insicura circa il mio ruolo. Sarò all’altezza delle aspettative che tutti hanno nei miei confronti? Riusciremo nel nostro intento? E in che modo?
Non ho il tempo di cercare una risposta alle domande che mi tormentano perchè siamo ormai giunti sulla soglia della porta del Comando. Entro, e la prima persona che scorgo è l’ultima che avrei voluto vedere. Il solito bicchiere in mano, l’aria di averne già consumati alcuni di troppo, Haymitch mi sta guardando con un sorriso arrogante e presuntuoso, e questo basta a farmi infuriare di nuovo. In un attimo sono su di lui e inizio a colpirlo con tutte le forze che mi sono rimaste.
“TU! Maledetto traditore! Come hai potuto abbandonarlo? Non erano questi gli accordi! E come diavolo puoi stare qui a tracannare alcool mentre Peeta è in mano loro??”
“Calmati, dolcezza.” Dice, afferrandomi per i polsi. “Abbiamo qualcosa da mostrarvi.”
Fa un cenno verso un vecchio televisore posizionato sopra il tavolo in mogano a qualche metro da me.
“Non appena ci avranno raggiunti tutti dovremo mostrarti alcune immagini. Non sarà facile per te, ma sappiamo entrambi che il tuo cuore di ghiaccio potrà sopportare anche questo, non è vero Katniss?” aggiunge, buttando giù un altro sorso e vuotando l’ennesimo bicchiere. Porta ancora sul viso i segni del nostro ultimo scontro. Deve essere questo il motivo del suo risentimento nei miei confronti. Ho lasciato un segno che gli ricorda la sua colpa, così non può guardarsi allo specchio senza pensare a Peeta e al suo fallimento. Ed io sono decisa a fare di tutto affinché lo ricordi per tutta la vita.
Dopo una breve pausa mi sento rispondere: “Ti credevo un amico, e invece ti sei rivelato per quello che veramente sei: una delusione. Non mi sarei mai dovuta fidare di te.”
Mi volto, sopraffatta dall’odio che provo nei suoi confronti e, in parte, anche nei miei. Non riesco a non pensare che sia anche mia la responsabilità della cattura di Peeta. Avevo giurato a me stessa di proteggerlo a qualunque costo. Ma ho fallito. Proprio come Haymitch.
Mi sto dirigendo verso l’uscita, per fuggire da lui, da me, da tutti, quando mi si para davanti Plutarch Heavensbee, il Capo Stratega dell’Edizione della Memoria. Con il tono pacato e rassicurante che lo contraddistingue mi invita a rientrare e ad accomodarmi. Dietro di lui fanno la loro comparsa anche Gale e una donna che non conosco, che mi viene presentata come Alma Coin, la Presidentessa del Distretto 13. Sono colpita dal suo sguardo, così penetrante e intenso che sembra possa leggere nel mio cuore ogni singolo pensiero. Mi inquieta, a dir la verità e istintivamente non mi fido di lei, così seria, austera e distaccata.
Sediamo tutti dallo stesso lato del tavolo su cui è posto il televisore che in questo momento mi spaventa per le immagini che mostrerà. Suppongo che gli altri abbiano già visto il filmato in questione, devono aver richiesto la presenza mia e di Finnick per mostrare qualcosa anche a noi. Qualcosa che sicuramente riguarderà Peeta ed Annie! Il mio cuore sobbalza al pensiero di ciò che vedremo e il senso di impotenza mi attanaglia. Senza rendermene conto ho avvicinato la mia sedia a quella di Finnick e siamo entrambi in prima fila per assistere allo spettacolo.
Plutarch ci si rivolge: “Siete pronti?”
Noi annuiamo in silenzio, troppo tesi per dire qualsiasi cosa.
Un istante dopo il televisore si accende e delle grida strazianti invadono la sala.
                                                                                                            *
Ciò che vedo mi gela il sangue nelle vene. Stanno mostrando le immagini dei bombardamenti sul Distretto 12.
C’è gente che urla terrorizzata e scappa, senza una vera destinazione, con la sola speranza di non morire. Gli edifici cadono, sbriciolati dalla forza delle bombe rilasciate senza pietà dagli aerei di Capitol City; le macerie in caduta travolgono tutto, senza ritegno. Una famiglia sta fuggendo proprio nei pressi di un edificio che viene colpito. Il tetto crolla, seguito dagli spessi muri di cemento. Il sadico cameraman indugia sulla scena. Nessuno esce da sotto le macerie. Una famiglia intera si è spenta.
Vorrei distogliere lo sguardo e mettere fine a questa tortura, ma i miei occhi sono incollati allo schermo, sono preda della devastazione e del panico, come se mi trovassi in mezzo a quelle strade. Chiudo li occhi per un solo istante e quando li riapro i bombardamenti sono finiti, gli aerei militari stanno facendo ritorno alla base, lasciandosi alle spalle morte e distruzione.
L’immagine cambia e ci mostra il momento in cui Peeta e Johanna sono stati prelevati dall’arena. Due hovercraft in volo calano una squadra di uomini ciascuno. Questi, senza esitazione, caricano brutalmente i nostri compagni sui carrelli elevatori collegati al primo hovercraft e li fanno risalire lentamente, per permettere a noi ribelli sopravvissuti di vedere i volti dei nostri amici feriti. Rossi di sangue, con gli occhi chiusi, immobili, apparentemente privi di vita. La telecamera zooma sui loro volti, offrendoci dei primi piani agghiaccianti. Poi, gli elevatori raggiungono i portelli, che si richiudono alle loro spalle e permettono ai velivoli di riprendere il volo. Quello contenente Peeta e Johanna apre la strada e, per qualche secondo, volano in fila, poi il secondo hovercraft devia, diretto verso un’altra meta.
Le riprese ora mostrano le immagini di un Distretto parzialmente circondato dalle acque e Finnick sussulta, riconoscendo quelle strade a lui ben note. Si tratta del Distretto della pesca. Dei soldati in uniforme bianca scendono dall’aeromobile e si dirigono verso una piccola casa dalle pareti rosa non distante dal luogo dell’atterraggio. Percorrono il vialetto alberato, cosparso di fiori dai mille colori. Sfondano la porta e una ragazza grida, spaventata da questa improvvisa irruzione. Finnick emette un gemito nel vedere il volto della sua Annie, così minuta e indifesa in confronto a quegli uomini così alti e imponenti. Senza il minimo ritegno la afferrano per i polsi in malo modo,costringendola verso l’ingresso. Lei urla, si dimena e li supplica di lasciarla andare, ma i soldati non si fermano,la portano via di peso, incuranti delle lacrime nei suoi occhi, amare come quelle che anche Finnick sta versando nel vedere la sua amata trattata così brutalmente.
La scena cambia di nuovo e mostra un corridoio buio, sul quale si aprono tre stanze, ognuna occupata da un prigioniero, come dimostrano le targhette nominative sulle grandi porte di ferro sprangate. Il silenzio regna sovrano e le telecamere si spengono.
In sala nessuno ha il coraggio di interrompere il dolore straziante che si è impossessato di me e Finnick. Lui si è spezzato, singhiozza con il volto chino sul tavolo pregando che il silenzio proveniente dalla cella di Annie non significhi che è morta. Io sono sconcertata e furiosa. Sono consapevole che queste immagini sono destinate a me, con il solo scopo di ferirmi e spingermi a rinunciare a qualsiasi atto di ribellione verso Capitol City. Vogliono che mi arrenda, ma non sanno che adesso sono ancora più determinata ad agire. Voglio salvare i miei amici e vendicarmi di tutto il dolore che hanno dovuto sopportare. Voglio che Snow soffra le pene dell’inferno, voglio sentirlo chiedere pietà come la povera Annie,voglio che il suo viso sia macchiato di sangue come i volti di Peeta e Johanna. Ora so di essere davvero la Ghiandaia Imitatrice.
Con un enorme sforzo di volontà sposto lo sguardo verso Gale, verso la Coin e Plutarch. È proprio quest’ultimo che rompe il silenzio, guardandomi dritto negli occhi: “Ho un piano” dice. E il mio cuore riprende a battere.
                                                                                                              *
Ora ci troviamo in una sala adiacente alla prima. Gli spazi sono più ampi, riempiti da tavoli colmi di cartine che raffigurano ogni angolo del territorio di Panem. Plutarch proviene da Capitol City, conosce la città, i meccanismi di difesa e le strade che, dalla nostra postazione,ci condurranno attraverso i boschi sino alla capitale. Il metodo più semplice e veloce per giungere a destinazione sarebbe volare a bordo di un hovercraft fino all’esterno delle mura, ma purtroppo ci è impossibile farlo. Come ci spiega l’ex capo degli strateghi, le torrette di controllo poste sul perimetro cittadino sono in grado, tramite potenti radar, di individuare anche a grandi distanze ogni possibile minaccia aerea. La nostra unica possibilità è di giungere sino ai distretti più vicini a bordo di un piccolo velivolo e, da lì, continuare a piedi cercando poi alcuni accessi sotterranei in disuso ormai da tempo. Lungo la strada nei boschi e nella zona intorno alle mura dobbiamo, inoltre, posizionare qualche decina di micro-telecamere. Potrebbero risultare utili per monitorare le zone circostanti. Le immagini verranno trasmesse qui al Distretto 13 e, in caso di pericolo, saremo avvisati tramite una piccola radio in dotazione a Plutarch.
In questo modo dovremmo riuscire ad evitare di essere scoperti ed entrare in città. Ma è qui che la faccenda si complica: frequenti turni di guardia composti da soldati armati si alternano per salvaguardare la sicurezza per le strade cittadine. Sono accompagnati da ibridi sottoforma di animali rabbiosi addestrati ad attaccare chiunque venga loro segnalato come un intruso. Inoltre, la città è strutturata in quartieri concentrici: ve ne sono tre prima di arrivare al cuore della capitale, ed il passaggio attraverso ognuno di essi è sorvegliato da guardie che richiedono appositi documenti prima di concedere il permesso di entrare.
Qui entra in gioco Plutarch. Usando il suo passepartout vuole farci accedere al cerchio più interno senza destare sospetti. Mentre lui distrae le guardie noi dovremo intrufolarci nella residenza presidenziale e dirigerci alle segrete, dove sono custoditi i nostri amici. Dopodiché, avendo recuperato tre membri in più, ci dirigeremo alle stanze private di Snow per catturarlo e costringerlo a dichiarare i distretti liberi dalla tirannia di Panem.
“Dobbiamo agire in fretta.” dice con sicurezza Gale “Scommetto che anche quelli di Capitol City si stanno già organizzando per attaccare.”
“Senza alcun dubbio” risponde la Coin, “ho avuto modo di conoscere il presidente Snow anni fa, e non è certo il tipo da aspettare che sia l’avversario ad attaccare per primo. Dobbiamo muoverci alla svelta e sperare nel fattore sorpresa.” Ci passa in rassegna con la sguardo uno ad uno.
“Avete 24 ore. Poi si parte.”
                                                                                                            *
Terminati di discutere gli ultimi dettagli, ognuno si dirige ai propri alloggi. Gale si offre di condurmi ai miei, dove finalmente rivedrò mia madre e Prim.
Quando entro nella stanza 507 le trovo entrambe sedute sul comodo letto matrimoniale che occupa metà stanza. Prim si alza e corre ad abbracciarmi, io la stringo forte, non vorrei doverla lasciare andare mai più. Sento le sue lacrime di gioia e le minuscole mani avvinghiarsi a me. Si aggrappa a me ed io a lei.
Quando ci stacchiamo ho modo di guardarla bene in viso: è cresciuta parecchio dall’ultima volta che ci siamo viste, e non intendo solo fisicamente. Ha uno sguardo adulto ormai, le esperienze di queste ultime settimane devono averla toccata profondamente, facendola crescere in fretta, troppo per una ragazzina della sua età. Mi volto verso mia madre, lei sorride, ma non si alza. Con lo sguardo mi sta già dicendo tutto, è il nostro modo di comunicare: poche parole, pochi abbracci. Ci bastano gli sguardi. E dai suoi occhi velati di commozione capisco che è felice di vedermi.
“Sono tornata.” Sussurro, rivolta anche a me stessa.

 



Nota dell'autrice:

Ecco finito il primo capitolo! Spero vi sia piaciuto.
Aspetto i vostri commenti.. Che ansia!!!!! Per favore, siate clementi, ma vi prego di commentare, sia in positivo che in negativo! è importante avere il parere di qualcuno che la legge per la prima volta.. Io credo di sapere ogni riga a memoria ormai!!! =)
Aggiornerò presto con il secondo capitolo, ho già una bella sorpresa in serbo per voi!!
Baci

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Incontri Inaspettati ***


Due ore dopo sono accoccolata sul letto matrimoniale con mia madre e Prim e stiamo parlando del più e del meno. Loro non mi hanno chiesto dell’arena e io non ho avuto il coraggio di chiedere loro della fuga e degli ultimi giorni nel nostro distretto. Siamo tutte intenzionate a dimenticare, anche se per me non è così semplice dato che domani a quest’ora sarò diretta a Capitol City. Non gliene ho ancora parlato, e non so se lo farò. Ho sempre odiato gli addii e non avrei la forza di sostenere di nuovo i loro sguardi preoccupati di perdermi. Per ora voglio solo stringere Prim, tenerla stretta e me e chiudere fuori tutto il resto. Mi concentro sul suo respiro regolare e piano piano sprofondo in un sonno pesante, sentendomi a casa dopo molto tempo.
 
Trascorriamo insieme il resto della giornata, girovagando per il distretto e chiacchierando occasionalmente con altri superstiti. All’ora di cena raggiungiamo la sala comune e sediamo al tavolo con due donne dell’11. Non dicono molto, per la maggior parte del tempo ascoltano i nostri discorsi osservandoci in silenzio. Solo alla fine del pasto, prima di andarsene, una delle due, molto alta, dalla pelle scura e con occhi profondi, mi si avvicina e, prendendomi una mano tra le sue mi dice: “Grazie Katniss. Per ciò che hai fatto per Rue. Crediamo in te e sappiamo che un giorno riuscirai a riportare pace.”
Si allontanano e non posso fare a meno di notare che le persone intorno a noi tengono lo sguardo fisso su di me. Alcuni sorridono, altri semplicemente mi guardano carichi di aspettative. Una bambina bionda dagli occhi azzurro cielo mi viene vicina. Avrà circa quattro anni. Non posso non notare le ferite sul suo corpo e il braccio destro, fasciato fin sopra il gomito e legato al collo con una benda colorata. Il suo corpo mostra le sofferenze che ha subito, ma i suoi occhi sono vispi e felici.
“Tu sei Katniss, vero?”mi chiede con voce vellutata. Io annuisco.
“La mia mamma dice che ci salverai tutti così potremo tornare a casa. Me lo prometti?”
Resto come pietrificata davanti a tanta innocenza. Non posso mentirle, non voglio farlo.
“Ce la metterò tutta.”
Questo sì, posso prometterlo.
Lei mi prende per mano e mi chiede di andare conoscere la sua mamma. La seguo, seppure un po’ imbarazzata dalle attenzioni di questa dolce bambina. Giunte al tavolo, sua madre mi rivolge uno sguardo meravigliato e la bambina grida: “Mamma! Mamma! È lei! La ragazza della televisione!” sorridiamo entrambe davanti a tanta esuberanza e la donna mi si presenta porgendomi la mano: “Piacere, io sono Agnes. E questa piccola impicciona è Lizzie. Perdona la sua invadenza, non fa che parlare di te.”
“Non si preoccupi, signora. Io sono Katniss, piacere di conoscerla” replico.
“Il piacere è tutto mio e, ti prego, dammi del tu” aggiunge stringendomi la mano e guardandomi dritta negli occhi.
Le chiedo di loro e scopro che provengono dal mio stesso distretto. Lei e sua figlia sono riuscite a scappare ai bombardamenti, ma il marito di Agnes non è sopravvissuto. Lo ha visto scomparire sotto le macerie della loro casa, ma ha avuto la forza di proseguire per portare in salvo la loro bambina. Lizzie sceglie proprio questo momento per mostrarmi la sua bambola.
“Si chiama come te” mi dice. La guardo negli occhi, così profondi e innocenti. Mi ricordano terribilmente quelli di Prim, la mia dolce sorellina. Così mi chino verso questa minuta creatura e le sussurro: “Ti andrebbe di conoscere una persona?”.
 
Lizzie e Prim stanno giocando vicino al tavolo dove sediamo io, mia madre ed Agnes. Mia sorella è sempre stata portata per occuparsi dei bambini ed ora sembra felice in compagnia della bambina dai capelli d’oro. Mia madre ed Agnes stanno facendo amicizia, scoprendo di avere parecchie cose in comune. Nel frattempo ho modo di riflettere sul compito che mi aspetta. La partenza è vicina ormai e devo ancora preparare l’occorrente per il viaggio. Non sono sicura di sapere sul serio ciò di cui avremo bisogno per la missione, ma d’altronde non so fino a che punto riusciremo a portarla avanti. Gli ostacoli sono molti, persino Plutarch sembrava teso quando ci parlava del piano.
Salutando, mi dirigo lungo i corridoi verso la nostra stanza, percorrendo la strada ancora sovrappensiero. Non appena entro in camera, metto tutto ciò che potrebbe servire in un vecchio zaino logoro, che poi nascondo sotto il letto. Infilo degli abiti comodi e mi stendo,addormentandomi all’istante.
 
Sto sognando mio padre, gioca con Prim in un giardino fiorito e ridono spensierati. Lei indossa un vestito azzurro lungo fino alle ginocchia che le dona moltissimo. Ha i capelli raccolti nelle sue solite trecce e un sorriso a dir poco radioso. Sembra non avere una preoccupazione al mondo. Volteggia su un’altalena e sembra davvero felice. Mio padre la sta spingendo, sorridendo a sua volta. È vestito molto elegantemente: pantaloni blu notte a sigaretta, camicia azzurra come il vestito di Prim e sopra un gilet blu. Nessuno di noi possiede dei vestiti del genere nel Distretto 12, non ci sono giardini così belli, né divertimenti di alcun genere.
Mia madre li osserva dalla veranda con uno sguardo affettuoso, poi si gira verso di me. Io sono la solita, vestita come se stessi per andare a caccia, scarponcini e capelli legati.
Lo sguardo di mia madre si sofferma sulla mia mano, che è stretta a quella di Peeta.
Peeta!
Mi sveglio di soprassalto. La camera è buia e silenziosa, non c’è nessun pericolo, nessun suono oltre al respiro regolare di Prim. Torno a sdraiarmi e osservo il suo volto addormentato. Sembra serena come nel mio sogno, probabilmente anche lei sta sognando un mondo diverso. Un mondo dove non esistono gli Hunger Games, dove una famiglia non deve lottare ogni mese per sopravvivere, dove si ride, si è felici e si è liberi di sposarsi e avere figli senza il terrore che i loro nomi vengano estratti alla mietitura. È per questo mondo che devo lottare. È in questo mondo che vorrei vivere.
Dopo un tempo che sembra interminabile, Gale entra furtivo in camera; con un cenno mi indica che è ora di partire, poi esce e si chiude la porta alle spalle. Io mi alzo lentamente dal letto, avvolgo nuovamente Prim con la spessa coperta di lana e mi chino per darle un bacio sulla fronte. Sento il suo profumo e mi tiro su. Volto le spalle a lei e a mia madre diretta verso l’ingresso e un pensiero si fa strada dentro di me. Spero che si tratti di un arrivederci.
 
Da quando un piccolo aereo ci ha lasciato in prossimità del Distretto 3, non ci siamo fermati un attimo. Proseguiamo senza sosta, uno dietro l’altro. Non sono mai stata una ragazza sentimentale, ma camminare per i boschi mi mette a mio agio e mi sembra di fare un salto nel passato. Penso a quando io e Gale cacciavamo in attesa della mietitura immaginando una fuga, temendo quella giornata, ma sentendoci al sicuro. Ora le cose sono cambiate, nessuno può dormire sonni tranquilli, nessuno può più concedersi il lusso di uscire dal proprio distretto senza rischiare la vita. E noi stiamo combattendo per recuperare la nostra libertà perduta.
Stiamo camminando da ore ormai,ma nessuno accusa la stanchezza. Sappiamo che ciò che stiamo facendo è per una causa che merita ogni goccia del nostro sudore e procediamo spediti, seppur sempre all’erta, diffidando di ogni ombra, di ogni rumore.
Non siamo un gruppo numeroso, tutt’altro. La squadra è composta da me, Gale, Plutarch e Finnick, che ha insistito per far parte della spedizione nonostante non si sia ripreso dallo shock di vedere Annie rapita. Il ragazzo che ho imparato a conoscere nell’arena non esiste più, ha perso ogni voglia di ridere e di scherzare, il suo fascino è svanito, ha vistose occhiaie e uno sguardo perennemente triste. Tutto il contrario di Gale: lui sembra rinvigorito, mantiene un’andatura sostenuta, il portamento è fiero e ha una luce negli occhi che non avevo mai visto in lui. So che è lo stesso ragazzino che mi aiutava se la caccia per qualche tempo andava male, ma in lui ora c’è qualcosa di strano. Di sbagliato. Ha troppa sete di sangue.
 
Giorno dopo giorno, ora dopo ora, passo dopo passo, ci stiamo avvicinando sempre più a Capitol City. Ormai siamo giunti al Distretto 1, il più vicino alle mura. È qui che inizia la ricerca di uno degli accessi sotterranei che ci condurrebbero all’interno della città. Come ci ha spiegato Plutarch durante il viaggio, questi passaggi erano utilizzati per far entrare clandestinamente prigionieri che non dovevano essere registrati e donne che vendevano sé stesse agli uomini di Capitol City per guadagnare un tozzo di pane, dell’acqua o, nella migliore delle ipotesi, qualche moneta da portare a casa e usare per sfamare la propria famiglia. Fortunatamente, sotto il Presidente Snow queste barbare usanze ebbero fine ed i passaggi furono richiusi per evitare la tentazione di ricadere nei vecchi vizi.
Il nostro obiettivo ora è di trovarne uno. Tuttavia, la ricerca si protrae troppo a lungo e cala la notte. In questa eventualità il piano prevede una sosta presso una piccola casetta diroccata ai margini esterni del Distretto. Siamo consapevoli dei rischi che questo comporta, ma sarebbe altrettanto pericoloso continuare la ricerca di notte, esposti ai radar e senza aver riposato né ripreso le forze. Inoltre, i controlli nelle ore notturne vengono intensificati tramite l’utilizzo di sofisticate macchine in grado di captare movimenti e rumori appena superiori a quelli prodotti da animali di medie dimensioni.
Individuiamo il piccolo edificio al limitare del bosco: è una piccola costruzione fatiscente, dalle mura in legno ormai marcio e dal tetto spiovente in mattoni rossi. Entriamo con cautela e, cercando di fare il minor rumore possibile, appoggiamo a terra gli zaini carichi di armi e viveri e la radio che Plutarch ha portato per le comunicazioni con la base. Potremo utilizzarla solo qui, poi sarà necessario abbandonarla. Se la missione avrà successo torneremo a riprenderla e sarà lo strumento con cui daremo la buona notizia ai nostri familiari nel 13; in caso contrario, se qualcuno dovesse trovarla qui in futuro, penserebbe che sia stata dimenticata da un ufficiale particolarmente sbadato.
L’ex capo stratega accende la radio e la posiziona vicino all’unica finestra del locale, ma dallo strumento provengono suoni indistinti, segno che la ricezione in questa zona non è decisamente il massimo. Mentre Plutarch tenta di collegarsi al comando, io e Gale sediamo a terra, uno accanto all’altra.
“Cosa credi che succederà, Gale?” sussurro io.
Lui fa un cenno verso Plutarch, “Secondo me passerà la nottata cercando un segnale valido, solo per scoprire che Haymitch sta russando davanti alla sua radio, ubriaco fradicio!”
Il suo commento mi strappa un sorriso e mi sembra per un attimo di intravedere l’amico di un tempo.
“Intendevo domani, quando saremo dentro alle mura. Sempre ammesso che troviamo un passaggio” ribatto.
“Andrà tutto bene. Dovremo solo essere molto cauti e sperare che l’idea di Plutarch sia buona come sembrava al distretto. E se qualcosa dovesse andare storto, ho con me una risorsa preziosa”.
Così dicendo, mostra un pugnale nascosto sotto il calzettone destro. Per un istante lo guardo stupita, incapace di dire qualsiasi cosa.
“Gale, da dove arriva questa voglia di vendetta? Non sei mai stato così ansioso di combattere.” E così crudele, aggiungo tra me e me.
“La vita mi ha cambiato. Veder uccidere così tante persone sotto le bombe che piovevano sul distretto. Alcuni erano nostri amici, Katniss. Non sono riuscito a salvarli, non ho potuto fare niente.” Chiude gli occhi per un istante. “Mi sono sentito così impotente, e non voglio sentirmi così mai più. Ora quegli assassini avranno ciò che meritano. Non mi fermerò davanti a niente e nessuno”.
In quel momento dalla radio arriva una voce. Una voce concitata.
“Mi sentite?! C’è qualcuno in ascolto?!”
Plutarch risponde ad Haymitch: “Ti ho trovato finalmente! Noi siamo…”
Ma viene interrotto bruscamente.
“KATNISS!! Voglio parlare con Katniss!”
Mi chiedo cosa ci sia di così urgente da dirmi e da dove nasca il bisogno di parlare proprio con me, visto che l’amicizia tra me ed Haymitch, per quanto mi riguarda, è finita. Decido comunque di avvicinarmi, perché la voce che sta continuando a chiamare il mio nome dalla radio ha una nota stridula.
Mi avvicino al microfono. “Ti ascolto” dico freddamente.
“Katniss, lui sta arrivando!”
“Chi, chi sta arrivando?” rispondo allarmata.
“Snow” sussurra rabbiosamente qualcuno alle mie spalle. “Haymitch deve averlo visto grazie alle telecamere qui intorno” aggiunge una voce dietro di me.
“Haymitch, mi senti? Chi sta arrivando?” ripeto.
“Corri fuori da lì immediatamente. Va’ da lui e - -” Silenzio. La radio ha ricominciato a gracchiare.
Mi alzo di scatto, le parole appena udite rimbombano come tuoni nelle mie orecchie. Va’ da lui. Ma se davvero è Snow che sta arrivando perché dirmi di corrergli incontro? Vuole sacrificare me permettendo agli altri di salvarsi? E io cosa dovrei fare, affrontarlo ora, nel bel mezzo del bosco?
Non riesco a dare un senso a quelle parole, per un attimo penso che Haymitch fosse ubriaco, preda di visioni dettate dai fiumi di alcol che deve aver ingurgitato da quando siamo partiti. Non sarebbe una novità, in effetti. Ma nella sua voce c’era urgenza, c’erano ansia e preoccupazione.
Per me? Decido di fidarmi di lui. Contro ogni logica mi catapulto all’esterno dell’edificio e osservo il paesaggio intorno a me. Guardo attentamente, ma non vedo nulla. Non scorgo nessuno. Il bosco è silenzioso, ogni cosa immobile.
Era davvero ubriaco, penso.
Ma poi... un fruscio, il rumore di un ramo che si spezza.
Sfodero il mio fedele arco, tendendo la corda. Una freccia già pronta a partire. Avanzo lentamente, sento il mio cuore accelerare i battiti quando vedo il lontananza una figura che procede incerta verso di me. Zoppica e non riesce a reggersi in piedi. Cerca di aggrapparsi ai rami degli alberi intorno a lui, ma alcuni cedono. Si rialza e continua ad avanzare. È buio e non vedo di chi si tratti, ma la mia mano è pronta a far patire il colpo quando un fascio di luce lunare lo illumina. Riconosco quei capelli biondi e il mio cuore si ferma.
“Peeta” sussurro.





Nota dell'autrice:

Ve lo aspettavate? Beh, spero di essere riuscita a sorprendervi almeno un pochino..
Il terzo capitolo è quasi completato.. aggiornerò nuovamente a breve..
Intanto vi andrebbe di dirmi cosa pensate della storia sino a qui? =)
Sarei felicissima di avere un vostro parere! Anche per capire dove posso migliorare..

Prima di salutarvi devo assolutamente ringraziare POlicOlOr =)
Grazie infinite della tua recensione! La mia prima recensione! =)
Grazie, grazieee!!! Sono contenta che la storia ti piaccia.. Aspetto un tuo commento a questo capitolo!!

Un bacione a tutti! =)

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Nella fossa dei serpenti ***


Capitolo III - Nella fossa dei serpenti




 
Non posso credere ai miei occhi. Il mio cuore si è fermato e prima di poter mettere insieme le idee mi ritrovo a correre disperata verso Peeta.
È disteso a terra, immobile.
In pochi secondi gli sono accanto. Lo faccio ruotare, così da vedergli il viso. Quel meraviglioso viso per cui sono stata tanto in pensiero. È sporco e coperto di tagli, così come il resto del corpo. Il respiro è affannato, la voce affannata quando, aprendo gli occhi e incontrando i miei, sussurra: “Katniss. S-Sei tu. Ti ho trovata”. E, sorridendo, sviene.
Lo sollevo da terra facendomi passare il suo braccio intono al collo ed inizio a camminare verso il nostro rifugio. Quando lo raggiungo ed entro, adagio Peeta sul pavimento sotto lo sguardo incredulo dei presenti.
Gale ha una faccia impassibile, fredda di fronte al corpo di Peeta. Se non fossi così tremendamente felice di averlo trovato, sarei furiosa con Gale. Certo, non mi aspettavo che lo accogliesse a braccia aperte. Ma non mi aspettavo nemmeno questo. Il mio fantomatico cugino è sempre stato buono con il prossimo, sempre ben disposto verso chi è in difficoltà. Evidentemente, però, non riesce a mettere da parte la faccenda con Peeta.
In compenso Finnick si scuote da suo stato di apatia e raggiunge il ragazzo biondo a terra, si toglie il giaccone e lo posa sotto la testa di Peeta; poi, apre il suo zaino ed estrae delle bende ed un disinfettante per medicare le ferite sul corpo di fronte a lui.
Io osservo la scena in piedi, incapace di muovere un passo. Sono frastornata dagli eventi, incredula di fronte a ciò che è appena successo. Peeta è in salvo. Ciò per cui ho pregato si è avverato. È vivo.
Ora posso concedermi di essere più tranquilla. Mi sono liberata di un enorme peso. Posso affrontare questa missione sapendolo al sicuro.
Mi volto a guardarlo di nuovo. Finnick continua a pulire le ferite lungo quel corpo dalla pelle chiara. Dà da bere a Peeta e ogni tanto si china su di lui e domanda: “Come sta Annie?” oppure “Dov’è Annie?”senza però ricevere una risposta. Deve essere un brutto colpo per lui vedere Peeta in salvo e non sapere nulla della ragazza del suo distretto.
Guardandolo prendo una decisione: mi riprometto di salvare Annie. Devo farlo per Finnick, per ciò che sta facendo ora, e per ciò che ha fatto per me nell’arena. Per essersi preso cura di noi.

 
Mi devo essere appisolata perché ad un certo punto sento una mano sfiorarmi e apro gli occhi di scatto. Peeta mi sta guardando. Lo abbraccio, tenendolo stretto a me e stringendolo così forte da strappargli un sorriso. Lui ricambia la stretta, senza accennare minimamente a staccarsi da me.
“Come sei riuscito a fuggire’” domando io, rompendo il silenzio.
“Io.. in realtà non so come sia possibile, ma una mattina al mio risveglio ho trovato la porta della mia cella socchiusa. Mi sono affacciato per guardare fuori, volevo controllare che non ci fosse nessuno. Poi sono uscito. Ancora nessuno. Così ho iniziato a correre. Quel posto è un vero labirinto, ma con un po’ di fortuna sono riuscito ad uscirne. Dopodiché mi sono trovato in città, sentivo suonare un mucchio di sirene in lontananza. Continuavo a correre, senza sapere dove andare, ma non potevo fermarmi. Li sentivo dietro di me. Sentivo gli ibridi ringhiare e i soldati urlare. Mi nascondevo e, quando li vedevo allontanarsi, tornavo allo scoperto e ricominciavo a correre. Ho trovato dei blocchi delle mura tra i vari livelli che non erano protetti da ibridi o guardie, così mi sono arrampicato. I muri sono piuttosto alti, ma in qualche modo ce l’ho fatta. Presto mi sono ritrovato nei boschi, camminando senza meta.
Stavo solo cercando di allontanarmi da Capitol City, quando ho sentito come l’impulso di cambiare direzione. Ho seguito quello strano istinto e ho ricominciato a camminare. Le felci mi tagliavano sulle braccia e sulle gambe, i rami degli arbusti intorno mi graffiavano il viso, ma continuavo, perché era quello che dovevo fare. Mi capisci? Era un impulso incontrollabile, qualcosa a cui non potevo resistere. Sentivo che questo mi avrebbe portato da te, anche se non potevo sapere che eri nei paraggi.
È stato quando iniziavo a dubitare di aver preso la decisione giusta che mi hai trovato.”
Termina il racconto con un sorriso dei suoi, uno di quelli che coinvolge tutto il viso e a cui non riesci a rimanere indifferente.
Ricambio accennando un sorriso, e un pensiero attraversa fulmineo il mio cervello.
“Peeta, quando sei uscito dalla tua cella hai visto se le due stanze accanto a te erano occupate da qualcuno.. ancora in vita?”
Lui mi guarda interrogatorio e scuote la testa.
“Vicino alla mia cella non ce n’erano altre” risponde.
Strano, penso. Nel filmato ero certa che le celle fossero tre, una accanto all’altra. Magari al principio era lì che li tenevano, poi qualcosa potrebbe avergli fatto spostare gli ostaggi. In ogni caso, mi fido di Peeta. Lo conosco e so che se avesse avuto l’occasione di salvare altre vite non avrebbe esitato un solo istante.
Plutarch interrompe i miei pensieri.
“E’ quasi l’alba, ragazzi. Dobbiamo prepararci per ripartire”.
Io mi volto verso Peeta. So che farà resistenza, ma non c’è altra scelta.
“Ok, noi dobbiamo andare. Tu cerca di contattare Haymitch per radio e chiedigli..”
“Io vengo con voi” ribatte lui calmo.
“Non se ne parla! Non puoi tornare là dentro, devi riposare e curare le tue ferite. Fatti venire a prendere al Distretto 3. Ci rivedremo al 13 a missione terminata”.
Ma non vuole sentire ragioni.
“No. Vengo con voi. Conosco le prigioni, so muovermi per la città. Potrei esservi d’aiuto”.
Si volta verso Plutarch che, guardandomi, annuisce impercettibilmente. Anche Gale mi guarda.
“Sono d’accordo con lui. Potrebbe rivelarsi utile”.
Finnick non apre bocca. Non credo nemmeno che ci stia ascoltando. Guarda la luce che proviene dalla piccola finestra con aria persa. Dev’essere tornato a pensare ad Annie.
Quindi sono tre contro uno, e hanno deciso: Peeta verrà con noi.
Ma so che da parte sua c’è qualcosa di più della voglia di guidarci attraverso la città.
Come se ascoltasse i miei pensieri, mi si avvicina.
“Non posso lasciarti proprio ora che ti ho trovata, Katniss. Mi sono separato da te una sola volta e guarda cos’è successo: ho rischiato di non rivederti mai più”. Si è fatto serio, so che sta ripensando a quando ci siamo separati nell’arena durante l’edizione della memoria. Ho rischiato di morire per la ferita infertami da Johanna e mi sono trovata in mezzo alla lotta tra il gruppo dei favoriti e chi rimaneva di noi.
“Non succederà mai più. Non permetterò a nessuno di separarci di nuovo”.
Non ha ancora smesso di proteggermi. Il solito Peeta.

 
Stiamo cercando da quasi due ore quando Gale trova il passaggio, nascosto da piante e rovi. Con il suo pugnale rimuove ciò che è d’intralcio e scopre una botola dalla maniglia arrugginita. Cerca di aprirla, ma non ci riesce, nemmeno con l’aiuto di Plutarch e Peeta. Dev’essere arrugginita da tempo.
“E ora che facciamo?” domanda Gale rivolto allo stratega.
“Torniamo al rifugio, lì ci penseremo” gli risponde.
Del tutto inaspettatamente, al nostro rientro troviamo qualcuno.
“Ciao dolcezza” dice, rivolgendosi a me. “Vi stavo aspettando”.
Come ci spiega, non avendo avuto più nostre notizie dopo il breve dialogo di questa notte, ha deciso di raggiungerci immediatamente, sperando che l’arrivo di Peeta ci avesse trattenuti più a lungo del dovuto nel nostro rifugio di fortuna.
“Stavo giusto per venire a cercarvi, quando siete piombati qui”.
Plutarch gli spiega della botola e, insieme, organizziamo un piano un po’ folle. Non abbiamo molto tempo per agire. Se rimaniamo fermi troppo a lungo potrebbero accorgersi di noi, perciò abbiamo dovuto pensare a qualcosa alla svelta. Anche io ho partecipato all’organizzazione, anche se la maggior parte dei miei amici si è opposta alle idee che ho avuto. Ma per scarsità di tempo, sono stati costretti ad accettare qualcosa che va contro ogni loro principio.
“Dite che capiranno che c’è sotto qualcosa?”chiede preoccupato Peeta.
“Se anche così fosse, non si lasceranno scappare l’opportunità di avere tra le mani voi due”. Haymitch fa un cenno in direzione mia e di Peeta.
“Andiamo allora”. Plutarch è il primo ad uscire, e si dirige velocemente verso la torretta di controllo più vicina alla nostra postazione, ovvero a circa un chilometro di distanza in direzione sud.
“Guardie! Guardie!” comincia a gridare. Due soldati si precipitano fuori.
“Capo stratega Heavensbee! Cosa ci fa qui?” chiede il primo con aria stupita.
“La credevamo morto..” aggiunge il secondo.
“Ho trovato dei ribelli nascosti nei boschi! Sicuramente stavano progettando un attacco a Capitol City. Aiutatemi a condurli dentro, li ho rinchiusi in un piccole edificio non lontano da qui”.
I due rientrano frettolosamente, per uscire dopo pochi minuti seguiti da altri quattro Pacificatori.
Insieme si dirigono verso di noi. Li vediamo dalla piccola finestra del rifugio.
Quando varcano la massiccia porta in legno restano basiti davanti ad un bottino tanto ricco. Hanno davanti agli occhi nientemeno che la Ghiandaia Imitatrice e altri tre fra i nemici numero uno della città.
“Come li ha trovati?” chiede uno dei soldati.
“Non c’è tempo per le spiegazioni. Ammanettateli e conduciamoli nelle segrete. Li avremo la possibilità di tenerli lontani da qualsiasi cosa avessero in mente e interrogarli come si deve..” aggiunge con un sorriso maligno.
 

In questo modo riusciamo a superare tutti i posti di blocco all’interno della città. Arriviamo di fronte al palazzo presidenziale, sotto lo sguardo incredulo dei bizzarri abitanti di Capitol City. È un edificio imponente, alto almeno dieci piani, interamente costruito in marmo bianco. Lungo la facciata principale spiccano le statue dei vecchi presidenti di Panem, alternate a grandi colonne che donano all’edificio un che di maestoso. Il tutto è situato in mezzo ad una grande piazza, uno spazio ampio dal quale si può controllare il territorio circostante, anche grazie alle numerose telecamere installate sul perimetro del palazzo. Avvicinandomi, scorgo anche il balcone dal quale sventola la bandiera di Capitol City. È da lì che Snow ogni anno annuncia l’inizio degli Hunger Games con la mietitura, e fa sempre in modo di essere in diretta per noi dei distretti.
Anche il balcone è controllato da telecamere. Sono dovunque!
Ma come ha fatto Peeta a fuggire da qui con tutti questi controlli? Non ho tempo per trovare una risposta. Stiamo salendo la gradinata principale e di fronte a noi, con aria più che soddisfatta, si staglia l’uomo al quale ho pensato ininterrottamente dalla fine dei miei primi Hunger Games. Il Presidente Snow.
Al vedermi ammanettata davanti alla sua fortezza un ghigno malefico compare sul suo volto.
“Bene, signorina Everdeen. Ci rivediamo.. Anche se suppongo non fosse in queste condizioni che sperava di reincontrarmi” ride della sua perfida battuta, ignaro che sia proprio questo il nostro piano.
“Conduceteli alle prigioni” ordina severo ai soldati della scorta. “E per quanto riguarda lei”, aggiunge indicandomi “conducetela in isolamento e preparate l’attrezzatura del dottor Sidious".

 
Le guardie mi conducono giù, lungo una scala stretta che sembra non finire mai. Mano a mano che scendiamo, l’aria si fa sempre più pesante e le scale più buie.
Ero pronta a questo, mi dico. Sapevo che Snow mi avrebbe riservato un trattamento speciale. Una sorpresa delle sue. Ne ero consapevole quando ho accettato di far parte della spedizione e non mi tirerò indietro. So che non può uccidermi senza aver prima cercato di estrapolarmi informazioni sul resto dei ribelli, sulla nostra base e quant’altro. E, inoltre, sono certa che non vorrà lasciarsi scappare l’occasione di mostrare a tutta la nazione il suo nuovo trofeo. La ribelle numero uno, la prima persona sulla sua lista nera.
Quindi so di avere ancora tempo. Tempo utile per evadere, liberare gli ultimi ostaggi e portare a termine la missione. Ma so anche che prima mi aspettano atroci sofferenze. Snow ce la metterà tutta per farmi cedere sotto chissà quante e quali torture, ma non lo farò. Devo solo aspettare il momento buono per uscire di qui. E intanto avrò modo di organizzare la mia vendetta.

 
La discesa è finita. Le guardie mi scortano attraverso un corridoio illuminato da luci tremolanti appese al soffitto. C’è un odore veramente sgradevole, e non oso immaginare da cosa o da chi provenga.
Superiamo diverse porte e raggiungiamo la fine del corridoio. Ci si para davanti una porta in ferro battuto nero, con due lucchetti a chiuderla e un’aria assolutamente impenetrabile. Dopo aver aperto tramite apposite chiavi, entriamo nella sala. All’interno c’è solo un lettino con delle cinghie contenitive sui lati, posizionate strategicamente per bloccare collo, petto,polsi, vita e caviglie. Mi vogliono immobile.
I soldati mi fanno sdraiare a pancia in su e cominciano a legarmi. Appena svolto il loro compito, si allontanano bisbigliando qualcosa tra loro, ma so che torneranno presto. Nel frattempo approfitto dei minuti di solitudine per fare mente locale su quanto ho visto di questa fortezza sino ad ora.
Mi devo trovare circa cinque livelli sotto terra. Per giungere fino a qui mi hanno condotta attraverso l’ingresso, svoltando subito a destra e separandoci immediatamente dal resto del mio gruppo, diretto dalla parte opposta. Abbiamo percorso un lungo corridoio sul quale si affacciavano varie sale ben arredate, una delle quali so essere la sala di registrazione dei messaggi di Snow. Plutarch ci è stato molte volte per fare rapporto e decidere con il presidente le possibili strategie dell’edizione della memoria.
Dopodiché abbiamo imboccato le scale che mi hanno condotta fino a qui.
Non ho visto ascensori lungo la strada, ma anche se ce ne fossero, non sarebbe prudente usarli. Potrebbero essere controllati e, se dovessero scoprire che qualcuno di noi è dentro, corriamo il rischio di rimanere intrappolati.
Plutarch ha ancora qualche amico qui a Capitol City e conta su questo, oltre che su Haymitch - tornato alla base per recuperare rinforzi e raggiungerci dopo l’evasione dalle celle - per riuscire nei nostri intenti. Per mettere in atto il piano, però, dobbiamo aspettare che arrivi la sera. Ad occhio e croce dovrebbero essere circa le 11:00.
Non mi resta che aspettare.

 
Sono ancora assorta nei miei pensieri quando sento la porta aprirsi e vedo alcuni inservienti in camice portare dentro un tavolino con le rotelle carico di strani utensili. Riconosco delle pinze, dei tubi per le flebo e siringhe. Molte siringhe, nascoste sotto una serie di fiale dai colori più disparati. Variano dal rosa, all’oro, al verde, all’arancione, al lilla, con le più svariate tonalità di ognuno di questi colori.
Mi ricordano i capelli di Effie il giorno in cui estrasse il nome di Prim, i tatuaggi facciali dorati di Venia, il verde olivastro della pelle di Octavia, l’arancione poi.. è il colore preferito di Peeta.
Sono colori vivaci, ma se si trovano qui, destinati a me, non devono nascondere niente di buono.
Entra un altro individuo, diverso dagli altri, probabilmente superiore in grado rispetto a loro. Osserva attentamente ogni fiala, aggrottando le sopracciglia. Lo vedo soffermarsi su quella color oro. La prende tra le mani e le sorride. Non deve avere tutte le rotelle a posto.
Si gira verso gli inservienti e dice loro di preparare quella fiala e il suo antagonista per la somministrazione. Poi si gira verso di me e con voce un tantino stridula dice:
“Buongiorno, signorina Everdeen. Oggi partiremo con questa. In caso lei non lo sappia, e dubito del contrario, questo è monossido di carbonio allo stato liquido. Ciò che fa è sostituirsi all’ossigeno nella circolazione sanguigna, portandola lentamente al soffocamento dall’interno”.
Fa’ una pausa, per darmi il tempo di assorbire appieno queste informazioni.
“Dicono che la morte per soffocamento sia la peggiore. Beh, dopo queste sedute insieme potrà dircelo lei stessa. Avremo modo di sperimentare molti metodi insieme”.
Mi osserva, in attesa di una reazione. Ma questa non arriva. Sono perfettamente padrona di me stessa.
Non potrà farmi nulla, mi ripeto. Ne ho passate troppe perché questo mi spaventi. Soffrirò, certo, ma il pensiero dei miei cari, dei miei amici, dovrà darmi la forza di sopportare qualsiasi cosa. Lui sembra irritato da questa mia apparente apatia. Di certo si aspettava lacrime, suppliche, urla.
Non da me.
“Cominciamo” abbaia verso un uomo alla sua sinistra. Mi immobilizzano e fissano le cinghi intorno al mio corpo. Inseriscono due flebo nelle mie braccia e si scostano da me non appena hanno finito, guardando lo scienziato pazzo che ho di fronte. Lui continua a fissarmi, mentre si avvicina al mio braccio destro e collega alla prima flebo un sacchettino contenente il liquido dorato.
 

Quando abbiamo messo a punto il piano nel nostro rifugio vicino ai boschi, ero consapevole del dolore che avrei dovuto sopportare. Plutarch era sicuro che non appena quelli di Capitol City avessero messo le mani su di me, Snow avrebbe voluto farmela pagare cara. Io ho accettato comunque, perché non è il dolore fisico che potrà sopraffarmi.
…Ma non ero pronta per questo.
Questo non è dolore, va oltre.
L’effetto non p stato immediato, ma mi lascia senza fiato nel giro di mezzo minuto. Sembra che la trachea si stia chiudendo pian piano, che ogni pensiero svanisca diventando nebbia. La mia gola emette un rantolo, cercando disperatamente aria, che però non arriva. Non riesco più a respirare ormai. Se anche volessi gridare non potrei farlo.
Nei due minuti successivi penso di morire. Desidero morire per mettere fine a questo strazio. Credo sia peggio di qualsiasi cosa abbia mai provato. Vorrei strapparmi il braccio dal quale tutto ciò è partito, vorrei aprire una breccia nella mia gola per permetterle di inalare ossigeno. Lo farei. Ma sono bloccata. E questo aumenta la disperazione.
Non voglio mostrare quello che sto provando, ma ho paura che il mio sguardo inizialmente impassibile stia cedendo, per essere sostituito da uno supplichevole. Mi costringo a tornare seria, di ghiaccio. Chiudo gli occhi e penso a qualcosa che mi faccia stare bene. Funziona, per circa dieci secondi, ma il monossido sta entrando nel mio corpo sempre più in profondità.
E più lui avanza, più la mia lucidità retrocede.
Dopo altri due minuti ho perso anche la capacità di essere razionale. Inizio a vedere immagini che sembrano reali, ma non lo sono. Prim che sorride, i miei genitori abbracciati, Gale che prepara una delle sue infallibili trappole, Peeta che mi dona la perla. Li vedo tutti: Haymitch, Effie, Cinna,Madge, Darius e la senza-voce dai capelli rossi. Sono così lontani. Cerco di afferrarli, ma sfuggono e si allontanano ancora di più da me. Ormai so di essere in preda alle visioni. Sono vicina al punto di non ritorno, quando sento qualcosa di freddo provenire dal mio braccio sinistro.
Fulminea come un tuffo nell’acqua gelata, la mia gola si riapre e torno a respirare avidamente. Tossisco stremata.
Sono di nuovo qui.
Non è ancora finita.
Mi viene lasciato qualche minuto per riprendermi, ed il mio sadico boia si avvicina al mio orecchio sinistro.
“Allora, è così tremendo come immagino?” domanda con un ghigno.
A questo punto sento il braccio destro scaldarsi, e la tortura riprende.


Nota dell'autrice:
questa volta ci ho messo un pò di più per aggiornare, ma spero che ne sia valsa la pena.
Aspetto con ansia vostre recensioni. Che ne pensate? :)
Ringraziamenti doverosi: A POlicOlOr, per le recensioni e i troppi complimenti! Sei fantastica!
Grazie anche ad amolefossette, spero che ti piaccia anche questo capitolo!
Grazie al mio amico Rouge, anche se non può leggere, per il monossido!! Il mio insostituibile amico chimico!!! :)
E grazie anche a Niallhugsme, martaj_99 e jepsikat.

A tutti voi: spero che la storia continui a piacervi. Fatemi sapere cosa pensate!
Ora non mi resta che incrociare le dita e aspettare i vostri commenti.
un bacione
Hernoa Everdeen

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Che la recita cominci! ***


Quando riapro gli occhi, al principio non riconosco la stanza. Mi guardo attorno e vedo le fiale vuote sul tavolino, le cinghie che mi bloccano. Così ricordo.
Le ultime ore sono passate tra le più svariate torture chimiche. Devo essere svenuta dopo la fiala arancione, quella del fuoco.
Sembrava bruciarmi da dentro.
Scuoto la testa, per scacciare le sensazioni che mi stanno tornando alla mente.
Cosa devo fare adesso?
Ormai dovremmo essere vicini all’attuazione del piano. Plutarch ci ha detto di conoscere uno degli uomini addetti alle carceri qui nel palazzo. Sono amici da molti anni e, come lui, anche quest’uomo di nome William è segretamente devoto alla nostra causa. Perciò, all’ora di cena, quando le guardie ed i soldati si ritirano e i controlli sono meno intensi, scatta il piano. William dovrà liberare prima i miei amici, tenuti sotto chiave nelle celle per i prigionieri comuni, e poi, dopo essere stato raggiunto da Plutarch, potrà venire a prendere me insieme al resto del gruppo.
Ora posso solo attendere che arrivi il mio momento e, nel frattempo, riprendere le forze dopo questa giornata estenuante.
 
 
Le ore passano inesorabili. Non ci sono orologi in questa cella, ma capisco che dev’essere passato molto tempo. Troppo.
Dov’è William? Dove sono tutti?
Sto iniziando a preoccuparmi. Come può esserci una falla nel piano? Abbiamo calcolato tutto nei minimi dettagli. Ogni orario, ogni spostamento, ogni singolo passo da fare è stato programmato con la massima accuratezza. Non abbiamo lasciato nulla al caso proprio per evitare imprevisti. Eppure deve essere successo qualcosa.
Continuo a riflettere ripercorrendo mentalmente ogni fase del piano per trovarne il punto debole, fino a che non sento dei rumori provenire dall’esterno. Tiro un sospiro di sollievo.
Finalmente sono qui.
Devono aver avuto un ritardo, ma sono arrivati. Fisso la porta con impazienza, aspettando di veder apparire il volto di uno dei miei compagni.
Invece, ad entrare, è il mio boia.
“Signorina Everdeen, è tornata tra noi. Come si sente dopo i nostri esperimenti?”
Sono troppo scioccata e delusa per rispondere.
Com’è possibile? Dove siete tutti?
“Troppo sconvolta per parlare, vero? Beh, domattina riuscirò a scioglierle la lingua. Il presidente vuole delle risposte da lei. Volente o nolente, gliele darà. Tutti cedono prima o poi. Tutti hanno un punto di rottura. E noi sappiamo bene qual è il suo”.
Devo aver sgranato gli occhi, perché sento quest’essere spregevole esplodere in una risata agghiacciante.
“Vedo che ha capito. Se non deciderà di collaborare, domattina le farò provare una nuova forma di dolore. NON torturando direttamente lei, ma facendole osservare i suoi amichetti soffrire per causa sua. Ci pensi”.
Si avvia verso il portone in ferro, portando via il tavolo con tutte le boccette vuote. Giunto sull’ingresso, si volta nuovamente verso di me.
“Non dimentichi di dormire” aggiunge ironico, uscendo tra le risate.
 
 
Rimango sola in questa maledetta stanza. Qualcosa deve essere andato storto e ora siamo nelle mani dei nostri carnefici. Devo escogitare qualcosa. Non posso arrendermi, sono la Ghiandaia Imitatrice.
Innanzitutto devo pensare ad un modo per uscire da qui e dare la possibilità ad Haymitch – e ai rinforzi che spero abbia chiamato – di penetrare all’interno del palazzo e liberare gli altri ostaggi.
Ma cosa posso fare?
Se solo potessi parlare con Haymitch e fargli sapere dove siamo. Nonostante la rabbia che provo nei suoi confronti, non riesco ad odiarlo veramente. Anche lui ci tiene a Peeta, e so che avrebbe voluto salvarci entrambi. Non dev’essere stato per niente facile lasciarlo.
Ma ora devo trovare un diversivo, qualcosa che catturi l’interesse di Snow e di tutta Capitol City. Dai, Katniss, rifletti. Cosa interessa al popolo di Panem?
Sicuramente gli Hunger Games, e tutto ciò che essi comportano: la parata dei tributi, le sessioni di allenamento, i conflitti e le interviste di Caesar Flickerman.
Ma certo!
Le interviste!
Tutti a Capitol City sono irreparabilmente attratti da qualsiasi cosa appaia in televisione. Potrei apparire in diretta con un messaggio per i ribelli, in modo da far sapere loro la mia esatta posizione. Saranno tutti così intenti a seguire la trasmissione che Haymitch avrà la strada spianata per entrare in città.
Ora, la vera domanda è: come posso apparire in diretta?
Chi coordina le trasmissioni è Snow, quindi per avere ciò che voglio devo trattare con lui.
E lui cosa desidera?
Semplice. Vedermi annientata, sconfitta.
Lentamente, una malsana idea si fa strada in me.
D’accordo, Presidente, hai vinto.
 
 
Com’è possibile che in questo dannato luogo non ci sia nulla con cui attirare l’attenzione di un inserviente?
Non ci sono nemmeno telecamere, che fuori di qui sembrano essere dovunque. Non mi resta che aspettare qualcuno. Così potrò mettere in atto il mio piano. Le possibilità sono contro di me, ma non ho alternative.
 
 
Resto in silenzio, ripassando mentalmente il piano fino a quando mi sembra di impazzire. Dopo quelle che mi sembrano delle ore interminabili, qualcuno entra finalmente in cella. È il solito scienziato.
Guardandomi in viso mostra la solita aria sprezzante.
“Come si sente oggi?” domanda con il solito sorriso arrogante.
“Disposta a collaborare” rispondo.
La mia improvvisa docilità sembra coglierlo di sorpresa. Di certo non si aspettava un cambio di rotta così veloce.
“Bene. È disposta a dare delle risposte al Presidente, dunque?”
Annuisco. “Portami da lui”.
Ci avviamo a ritroso lungo il percorso che solo ieri mi ha condotta qui. Il dottore mi ha ammanettata per evitare problemi, e ha chiesto la presenza di quattro inservienti per scortarmi dal Presidente Snow.
Quando entriamo nelle sue stanze private scopro che non è solo. Prevedibile.
Nonostante io sia di fronte a lui, nell’impossibilità di muovere anche solo un muscolo, teme per la sua incolumità. Mi guarda, studiandomi, cercando di sondare i miei pensieri.
“Infine, ha deciso di collaborare”.
“Di trattare” preciso io. “Voglio fare un patto con lei. Io.. chiederò ai ribelli di arrendersi. Ho tutta l’autorità per farlo, ed è giunto il momento di riconoscere la nostra inferiorità. Non possiamo nulla di fronte a tutto questo” ammetto guardandomi intorno.
“Ma in cambio voglio che lei mi conceda qualcosa.
Voglio che i miei compagni siano rilasciati e che non sia fatto loro nessun male” aggingo.
Questa proposta lo lascia senza parole per qualche istante.
“E cos’ha in cambio da offrirmi?”.
“La Ghiandaia Imitatrice” dico. “Avrà me”.
Snow strabuzza gli occhi, so di averlo colto di sorpresa.
“Quindi sarebbe disposta a sacrificare sé stessa per la salvezza dei suoi compagni? E, se posso domandarlo, da dove viene questa inaspettata voglia di arrendersi?” continua lui.
“Dal semplice fatto che non posso tollerare di veder morire i miei amici. Preferisco saperli al sicuro, lontani da qui. Non mi interessa cosa farà di me”.
Snow riflette a lungo sulle mie parole, per valutarne la sincerità. Sta cercando con tutte le sue forze di capire se questo è solo l’ennesimo trucco della ragazza di fuoco per prendersi gioco di lui o se può fidarsi. Alla fine cede.
“Abbiamo un accordo, signorina Everdeen”.
Si gira verso i suoi per dare istruzioni, ma lo interrompo.
“Solo un’ultima cosa” chiedo. “voglio lasciare un messaggio alla mia famiglia. Un ultimo saluto” aggiungo a voce bassa, con un groppo in gola. Lo guardo implorante, anche se la cosa mi riesce piuttosto difficile.
Esita. Prego di averlo convinto. Tutto dipende da questo.
“D’accordo. Sarà per questa sera. La manderò in diretta televisiva affiancata dal signor Flickerman. Ma sarà lui a dirigere la vostra conversazione. Le porrà delle semplici domande e lei risponderà in modo del tutto pertinente. Se non terrà fede a questo, l’accordo salterà e i suoi amici ne pagheranno le conseguenze. Il suo fidanzato sarà il primo”.
Si avvicina a me e mi sussurra “un passo falso, e lui muore”.
“E’ deciso” dico io. E, con occhi tristi aggiungo “ora faccia di me ciò che deve”.
“Conducetela al primo livello” ordina. I soldati eseguono immediatamente, lasciandolo solo con il capo delle guardie e la sua scorta personale.
 
 
NARRAZIONE IN TERZA PERSONA
 
Il capo delle guardie Stone si affianca al Presidente.
“Complimenti, signore. La ragazza ha finalmente ceduto”.
“Così sembrerebbe. Ma non dobbiamo perderla d’occhio, nessuno di noi. Affido a lei questo compito”.
“Ai suoi ordini, signore”.
“Verrà ricompensato per la sua collaborazione” aggiunge Snow.
“Il merito è suo, signore. È stata sua l’idea dell’infiltrato. Avevano un piano astuto”.
“A proposito, cosa ne è stato dell’inserviente William Dalton?”
“Ho eseguito gli ordini, signore. È stato giustiziato all’alba di questa mattina nelle segrete. Nessuno ha visto o sentito nulla”.
Il presidente sembra soddisfatto.
“Molto bene, può andare”.
E, mettendo la mano alla fronte,Stone esce.
 
 
NARRAZIONE IN PRIMA PERSONA
 
Sono fuori dallo studio di registrazione e Caesar sta annunciando la mia entrata. Mi hanno truccata e agghindata per bene. Indosso un vaporosissimo vestito bianco che ricorda molro quello da sposa che ho provato prima dell’Edizione della Memoria. Suppongo sia l’ennesima beffa del presidente. Nel suo cervello malato pensa di farmi soffrire ricordandomi ciò che ho perso e ciò che non potrò mai avere. Un futuro. Peeta, di nuovo nelle sue mani. Anche se non sa che tutto questo fa parte del nostro progetto. O almeno, prima era così.
Questa mattina hanno annunciato l’intervista di stasera. Sarò in diretta per la mia ultima apparizione in televisione. Gli abitanti di Capitol City non lo sanno, naturalmente. Probabile che pensino che la mia sia una visita di cortesia per annunciare la mia resa e chiedere il cessate -il –fuoco. Ignorano quello che p davvero lo scopo della mia presenza qui. Voglio mostrare ai ribelli che stanno giungendo qui il punto preciso in cui mi trovo, così che sappiano dove raggiungermi una volta entrati nel palazzo e –spero- una volta che avranno liberato gli altri osteggi mentre io tengo tutti occupati con la mia performance.
Ore devo prendere tempo per permettere ad Haymitch e ai rinforzi di penetrare in città. Spero che abbia mantenuto la parola e abbia condotto qui quanti più soldati poteva.
Sento chiamare a gran voce il mio nome
“Katniss Everdeen, la ragazza in fiamme!”
Entro sotto gli scintillanti riflettori dello studio. Avanzo verso la poltrona che mi è stata riservata, saluto Caesar e mi siedo. Sento gli applausi scroscianti del pubblico. Li vedo tutti, con i loro strani tatuaggi, i baffi felini, i vestiti dai colori sgargianti e quei falsi sorrisi stampati sulle loro labbra.
Da voltastomaco.
Caesar mi si rivolge: “Katniss, ci rivediamo. So che questa sera sei qui per mandare un messaggio importante, ma prima vorrei parlare un po’ con te”.
Fa’ una pausa ad effetto.
“E’ passato un po’ di tempo dalla tua ultima visita qui. È stato prima dell’Edizione della memoria. Ce ne vuoi parlare?”
Abbasso gli occhi ed esito prima di rispondere.
Prendi tempo.
Le parole mi rimbombano nel cervello.
Tienili incollati a quegli stupidi televisori!
“Beh, Caesar, se è possibile, l’Edizione della Memoria è stata ancora più terribile della precedente. Io e Peeta non partivamo da favoriti, nonostante gli alti punteggi che abbiamo ottenuto. I nostri avversari erano tutti vincitori come noi, solo che avevano più esperienza dalla loro parte, avendo assistito a più edizioni di noi. Onestamente, non avrei mai pensato di trovarmi qui con te a parlarne” aggiungo con un sorriso complice.
“Sapevi del piano per tirarvi fuori dall’arena?” domanda lui quasi bisbigliando, come se fosse un segreto fra noi e non ci fossero migliaia di persone a guardarci.
“Non ne sapevo niente. Haymitch ci aveva tenuti all’oscuro di tutto. Probabilmente non si fidava di noi, oppure non credeva nemmeno lui nella riuscita del piano”.
Caesar mi guarda pensieroso.
“Eppure ti abbiamo vista tutti scagliare quella freccia verso il campo di forza..”
“Hai ragione”, gli concedo io “ma quella è stata una mia iniziativa. Ammetto di aver provato del risentimento verso gli organizzatori di quest’ultima edizione”
CHE EUFEMISMO!
“Mi stavo aggrappando al mio sogno. Io.. volevo solo la possibilità di sposare Peeta in grande stile e crescere una famiglia con lui. E invece mi sono vista portare via tutto questo in pochi istanti”.
Mi fermo.
Non sono mai stata brava a parlare, soprattutto davanti ad un pubblico. Ma devo guadagnare tempo!
Cosa posso aggiungere?
Parla, Katniss! inventa qualcosa!!
Caesar sta per aprire bocca quando ho un’idea. Questa piacerà a tutti. Meno che a me.
Mi metto le mani sul viso, fingendo di singhiozzare.
“Tutto quello che volevo era crescere mio figlio” dico,asciugandomi lacrime immaginarie dagli occhi. “Ora non potrò più farlo”.
Il presentatore mi prende una mano tra le sue.
“Ti va di parlarne?”
Sì! Esulto interiormente.
“Non mi è facile parlarne.. il dolore è ancora troppo vicino.. ma farò questo sforzo per voi” aggiungo voltandomi verso il pubblico.
Un boato esplode in sala, immediatamente zittito da Caesar.
“Quando mi hanno prelevata dall’arena non sapevo niente. Sono rimasta priva di conoscenza per giorni, e nel frattempo i dottori hanno avuto modo di farmi alcuni esami. Al mio risveglio hanno deciso di non dirmi nulla per evitare di turbarmi eccessivamente. Ero ancora frastornata dagli eventi, mi sentivo debole, ma attribuivo tutto questo alle ferite non ancora guarite del tutto. Loro mi dicevano che ero in salvo, e che presto avrei rivisto Peeta.
Io ero felice!
Che sciocca a non accorgermi della verità. Continuavo la mia vita accarezzandomi la pancia, credendo che all’interno ci fosse vita. Che ci fosse ancora mio figlio”.
Mi fermo di nuovo. Pausa strategica.
“Ma non era così”.
Il pubblico resta senza parole. Pendono dalle mie labbra.
“Ho perso il bambino dopo la scossa nell’arena. La scossa che ho causato io!”
Torno a fingere lacrime per gli spettatori.
Gettando uno sguardo veloce alla folla davanti a me, noto che molti sono commossi, stringono fazzoletti ricamati e non staccano gli occhi da me. Persino Caesar sembra commosso dopo la mia confessione. Si alza e viene ad abbracciarmi.
Il contatto mi irrita profondamente, ma non lo devo dare a vedere. Rimango immobile, immaginando che siano le braccia di Peeta ad avvolgermi, e non quelle dell’ennesima marionetta di Capitol City.
Mi concentro sulla sensazione di calore umano, penso alle persone che non rivedrò mai più. Cinna, ucciso per essermi stato amico, gli abitanti del Distretto 12, morti sotto una raffica di bombe dopo che IO ho scoccato quella freccia nell’arena.
Un’autentica lacrima scorre sul mio viso. La asciugo, sciogliendomi dalla stretta. Caesar mi mette una mano sulla spalla con fare rassicurante.
“Non potevi sapere che la scossa l’avrebbe ucciso. Non devi fartene una colpa. Tutti immaginiamo la tua confusione, soprattutto visto le condizioni emotive in cui ti trovavi”.
Annuisco silenziosa. Stringo le labbra come per trattenermi dallo scoppiare di nuovo in lacrime.
“Io.. vorrei solamente l’occasione di avere una famiglia con Peeta. Ma non so nemmeno dove sia! Non lo vedo dal nostro ultimo incontro nell’arena, quando ci siamo separati”.
L’uomo dai capelli blu di fronte a me sorride.
…Perché sorride?
Dovrebbe essere atterrito dopo tutto ciò che ho inventato. Non mi crede? Sta per smascherarmi davanti a tutti?
“A questo abbiamo pensato noi!” annuncia gioioso allungando il braccio verso la seconda entrata dello studio.
Tutti trattengono il fiato. Me compresa.
Sono confusa, cosa sta facendo?
“Signore e signori, sono lieto di annunciarvi che questa sera con noi c’è anche Peeta Mellark!”
Che mossa è mai questa?
Guardo con la coda dell’occhio il viso di Snow, seduto su una poltrona rossa in platea. È serio, a differenza di coloro che occupano il resto della sala. Tutti ridono, applaudono e si pronunciano in strane esclamazioni.
Ma lui continua a guardarmi silenzioso, come a volermi ricordare le sue parole.
Un passo falso e lui muore.
Teme che io possa fare qualcosa di avventato e questo è il suo modo di evitarlo. Se dovessi davvero fare una mossa considerata pericolosa, Peeta sarebbe il primo bersaglio.
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice:
Ciao a tuttiii!!
Questo è il capitolo un po’ più tranquillo. Spero vi sia piaciuto lo stesso.. ho preferito lasciarvi un attimo di relax visto che il prossimo capitolo sarà tostissimo!! Inizio a chiedervi un favore: non vogliatemi male quando finirete il prossimo capitoloooo!!!
E, vi prego, vi prego, vi prego: commentatemi!! Sono sempre contenta di avere il vostro parere!
 
Come sempre, tantissimi grazie alla mia prima amica di EFP: POlicOlOr =)  =)  Mi sei davvero di sostegno con le tue recensioni! Grazieeeee!!
E un grazie immenso anche ad amolefossette  =) Sei sempre gentilissima!
Grazie a chiunque si fermerà a leggere, recensite e datemi un parere!!!
Tanti baci,
H. Everdeen

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Capitolo 5
*** Capitolo V - Nel baratro ***


Peeta ora è seduto accanto a me e mi stringe forte la mano. Caesar continua a farci domande insulse per intrattenere il pubblico. Chiede a Peeta se sapeva della perdita del bambino e lui, da abile attore ed oratore come sempre, finge di esserne all’oscuro e si dispera. Mi abbraccia e fingiamo insieme, permettendo a Caesar di consolarci e rassicurarci sul fatto che, se la ribellione finirà, avremo tutto il tempo necessario per costruire una famiglia. Ma Peeta è inconsolabile. Sfoggia due occhi gonfi di pianto, come un bambino di Capitol City a cui sia stato negato il giocattolo che più desidera al mondo.
Flickerman continua imperterrito con le domande su come abbiamo vissuto il distacco.
Accanto a Peeta io taccio, lasciando che sia lui a parlare per entrambi, strappando vistosi singhiozzi a tutte le donne della sala.
La nostra intervista sta diventando un bagno di lacrime!
Finalmente arriviamo alla fine. Sono provata da tutta questa messinscena, ma sono anche felice di avere Peeta al mio fianco. Qui, accanto a me, non possono fargli nulla di male. Standogli accanto lo posso proteggere.
“Allora, Katniss. Quale messaggio hai per i nostri spettatori?”
Prendo un bel respiro e guardo dritta nella telecamera.
“Vorrei chiedere ai ribelli la resa totale e la cessazione delle ostilità nei confronti di Capitol City. Nessuno di noi desidera che la guerra continui. Sono già state sprecate troppe vite umane e sono giunta alla conclusione che tutto questo debba finire.
Penso di poter parlare anche a nome di Peeta quando dico che siamo lieti di abbandonare ogni legame con la ribellione”
Lo guardo in viso. Sorride. Non lascia trasparire lo sgomento che deve provare nel sentirmi dire questo mucchio di bugie. Gli stringo più forte la mano ancora legata alla mia e lo fisso negli occhi senza spostare lo sguardo, anche quando ricomincio a parlare.
Ormai fingere uno sguardo adorante verso Peeta non mi riesce più difficile. Gli devo così tanto. Mi sempre stato vicino e, anche se non so con chiarezza quali siano i miei veri sentimenti per lui, so che siamo indissolubilmente legati.
“Vorrei fare una richiesta a tutti voi.
Perdonatemi, e concedeteci di sposarci anche qui, a Capitol City”.
Un boato esplode dalla folla. Sono a dir poco entusiasti. Impazziti, direi io. Non riescono a trattenersi dal piangere, urlare ed abbracciarsi l’un l’altra.
E questo per me è una fortuna, perché, tutti presi da loro stessi, non si sono accorti che i soldati sono spariti. Al loro posto ci sono i nostri compagni del Distretto 13, che indossano le uniformi bianche dei Pacificatori.
 
 
L’intervista è terminata.
Caesar ci congeda e io e Peeta, sempre tenendoci per mano come due perfetti innamorati, ci avviamo sorridenti verso l’uscita dello studio sotto una pioggia di applausi. Non abbiamo il tempo di scambiare saluti o parole che Haymitch ci raggiunge.
“Eccovi, voi due!” esclama.
Guarda le nostre mani ancora intrecciate e aggiunge in tono ironico: “Oh, ma che dolci! ..Sto per avere un attacco di nausea!”
Poi alza gli occhi al cielo e con un sorriso aggiunge: “Non c’è tempo per le smancerie. Seguitemi, andiamo a liberare gli altri. Non sono lontani da qui”.
E così ci avviamo lungo quei corridoi tutti uguali tra loro. Haymitch e Peeta fanno strada; io resto indietro, ma solo di qualche passo. Camminiamo silenziosi, facendo molta attenzione a non fare rumore per evitare di essere scoperti. Le guardie di Capitol City sono state messe fuori gioco dai nostri, che vi si sono sostituiti abilmente e li hanno rinchiusi nelle celle vuote ai piani inferiori di questa immensa fortezza. Tuttavia, non sono riusciti ad eliminare dalla scena l’intero corpo di guardia, alcuni soldati sono ancora in circolazione.
Quindi dobbiamo fare molta attenzione.
Procediamo uno dietro l’altro, nascondendoci non appena sentiamo qualcuno avvicinarsi.
La meta è vicina ormai. La sorveglianza sembra quasi inesistente qui, Haymitch ha fatto bene il suo lavoro.
Finalmente riesco a vedere le prigioni alla fine del corridoio.
Supero i miei amici correndo e mi dirigo verso la prima porta sulla destra. Mi affaccio alla finestrella e vedo Gale, accucciato sul fondo della stanza, serio in volto e pensieroso.
Quando mi vede le sue labbra si curvano in un sorriso mozzafiato. Si alza lentamente, è  un po’ ammaccato. Devono avergli fatto di tutto durante la breve permanenza qui, ma riesce ancora a stare in piedi e camminare.
“Come stai?” gli chiedo attraverso la finestrella di sbarre.
“Bene, Katniss. Stiamo tutti bene tranne Johanna. Lei.. non ce l’ha fatta. È nella cella in fondo a sinistra, quella vicino alla ragazza di Finnick”.
Mi giro verso Haymitch indicandoli di aprire la porta a Gale ed avanzo verso il locale successivo. Non è necessario guardare dentro, perché il bel viso di Finnick è già affacciato alla minuscola apertura sulla porta. Lo sguardo è fisso davanti a sé. Guardo la direzione indicata dai suoi occhi e, nella ella di fronte, scorgo due occhioni azzurri traboccanti d’amore. Il viso di Annie è scavato e sporco di sangue, ma la luce che emettono i suoi occhi la riempie di vita.
Cerco di fare loro un cenno, ma quei due non la smettono di guardarsi. Nemmeno il nostro arrivo pare averli distratti da loro stessi e dalla felicità di essersi ritrovati. Mi lascio alle spalle tutto questo amore voltandomi verso l’ultima cella a sinistra.
Johanna.
Non sono sicura di voler vedere in che stato è, ma per essere sicura che ciò che ha detto Gale sia vero, obbligo i miei piedi a muoversi e avanzo lentamente.
Lo spettacolo che mi si presenta davanti agli occhi è a dir poco raccapricciante. Johanna è riversa a terra con gli occhi sbarrati, le braccia ancora legate al muro con delle catene che sicuramente servivano per tenerla ferma. Il suo viso è magro, troppo magro, la muscolatura sparita, sostituita dalle ossa in vista sotto il sottile strato di pelle che è rimasto. Le numerose ferite su braccia e gambe sono visibilmente infette, coperte di pus e di piccoli animaletti che stanno mangiando ciò che resta di lei.
Lei, che è sempre stata uno spirito libero ed indomito, costretta in gabbia come un animale. Li squarci sul suo corpo indicano che deve aver lottato a lungo, senza cedere alle torture dei suoi aguzzini. Ma non era una prigioniera importante per Snow. Lui ha fatto catturare Peeta per colpire me ed Annie per colpire Finnick. Lei non aveva nessuno. E non era al corrente di dettagli rilevanti per chi la interrogava.
Devono averla lasciata morire qui.
Stringo le labbra e volto lo sguardo.
Nonostante l’odio reciproco fra di noi, non posso evitare di essere dispiaciuta. Quello che le deve essere capitato non si augura a nessuno. Deve aver patito sofferenze inimmaginabili. Chiudo gli occhi per un istante e la rivedo nell’arena.
Forte.
Sfrontata.
Odiosa.
Ma è così che voglio ricordarla.
 
 
Siamo pronti. Mentre risaliamo verso le stanze private del presidente, Haymitch ci raccomanda di essere cauti. Ci ricorda che l’obiettivo della missione non è uccidere Snow, ma catturarlo vivo e sottoporlo ad un processo nel Distretto 13. Credo che questa raccomandazione sia rivolta a me.
Vedrò cosa posso fare in proposito.
Obbedire agli ordini non è mai stato il mio forte. E non so se voglio iniziare proprio ora.
Plutarch ha nascosto le nostre armi in un piccolo ripostiglio vicino all’ingresso del palazzo. Ora andremo a riprenderle e poi ci dirigeremo da Snow.
 
 
Il momento è arrivato. Abbiamo trovato Plutarch vicino all’ingresso e ora siamo tutti e sette davanti alla porta che ci condurrà da quell’uomo dagli occhi di serpe.
Sono nervosa, ma allo stesso tempo così ferma e determinata come non sono mai stata. Questo è il momento che ho aspettato per tutto questo tempo. Voglio trovarmi di fronte a lui e farla finita una volta per tutte. È il responsabile della morte di tutti i ragazzi che hanno partecipato agli Hunger Games, come Rue. È il responsabile della distruzione del mio distretto e delle sofferenze di tutti coloro che sono ancora in vita, costretti a lavorare per dare sostentamento a Capitol City. Non so come potrò trattenermi dallo scoccare una freccia dritto in mezzo ai suoi occhi da serpente. So che non potrò farlo.
Disobbedirò un’altra volta.
Plutarch mi guarda e conta silenziosamente fino a tre, dopodiché lui, Gale e Peeta sfondano la porta con un calcio ed entriamo. Sapevamo che non sarebbe stato solo, e difatti è circondato dai pochi soldati a lui fedeli rimasti nel palazzo.
La sala è molto ampia e fortemente illuminata. Accanto a noi c’è una sorta di divanetto con dei vasi pieni di rose e una libreria a muro stracolma di volumi. In mezzo alla sala un grande tappeto dai colori sgargianti attira gli sguardi su di sé, e in fondo, proprio dietro a Snow e ai suoi, una grande scrivania di legno scuro è posta davanti a un’altra serie di scaffali pieni di libri.
Noi siamo allineati e avanziamo l’uno accanto all’altra. Solo Annie è rimasta indietro. Finnick non vuole rischiare di perderla ancora e la proteggerà facendo scudo con il suo corpo, se necessario.
Ci fermiamo ad una ventina di passi dalle forze nemiche. I soldati hanno le pistole puntate su si noi. Siamo in inferiorità numerica, è vero, ma valiamo sicuramente più di loro. Siamo molto più motivati dei bambolotti di Snow. Gale e gli altri impugnano armi da fuoco di ogni sorta, mentre io ho il mio fedele arco, già pronto a far partire il colpo.
Faccio due passi avanti per iniziare a parlare, ma è Plutarch a rompere il silenzio per primo.
“Si arrenda, presidente. Capitol City ormai è presa. I ribelli sono penetrati all’interno delle mura, ed è solo questione di tempo prima che si riversino qui dentro. Ci segua nel Distretto 13, le concederemo un processo e fino ad allora non le sarà fatto alcun male”.
La tensione si potrebbe tagliare con la lama di un coltello. Aleggia nell’aria mentre aspettiamo tutti di sentire la risposta di Snow. In cuor mio spero, ma so che non si arrenderà, ed è per questo che tengo una freccia pronta. Se dovesse accennare alla fuga, lo colpirei senza esitare, ma sembra che non sia questo il suo piano.
“Siete degli sciocchi se pensate che mi consegnerò a voi. Un hovercraft è pronto qui fuori per farmi fuggire.
Ma non vorrei andarmene senza prima aver mantenuto una promessa, signorina Everdeen”, dice, rivolto a me.
“Le avevo intimato di non fare passi falsi, o sarebbero stati i suoi amici a pagare per lei. Ma non mi ha voluto dare ascolto”.
Detto questo, fa un cenno alle guardie, che, contemporaneamente, prendono tutte di mira Peeta. Io abbasso l’arco e mi volto verso di lui, pronta a prendere i colpi diretti al suo cuore, ma non ce n’è bisogno.
Snow comanda di fare fuoco e solo allora noto dei fucili con mirino a laser sbucare da dietro la grande scrivania. E tutte le lucine rosse puntano su di me.
Mi ha giocato un brutto tiro.
Sapendo che mi sarei preoccupata di guardare e proteggere Peeta, era consapevole che non avrei prestato sufficiente attenzione a me.
Sento i cecchini premere i grilletti e chiudo gli occhi, aspettando il dolore. Ma non arriva. Non sento nulla. Forse la morte è così, indolore.
Ma poi sento un tonfo, come di qualcosa che cade sul pavimento.
Riapro gli occhi e vedo ciò che il mio cuore temeva  di più al mondo.
Peeta si è messo tra me e i cecchini, ha preso i colpi al posto mio ed ora è steso a terra sanguinante.
Le ginocchia mi cedono, e mi ritrovo accanto a lui sul freddo pavimento di marmo bianco. Apro la bocca per chiamarlo, per gridare, ma non ne esce alcun suono. Le lacrime iniziano a scendere a fiotti senza che me ne accorga.
“Cos’hai fatto Peeta?” chiedo tra i singhiozzi che mi lacerano il petto.
Lui mi guarda dritto negli occhi.
“Quello che avrei dovuto fare sin dall’inizio. Salvare te”
Tossisce, e sputa sangue.
I suoi occhi tornano ad aprirsi e cercano i miei.
“Uccidilo, Katniss. So che ce la farai”
Peeta fa un sorriso.
“Ma tu verrai con me, ti faremo curare e ce la farai”
Sorride di nuovo.
“Sappiamo entrambi che non è possibile” dice con un rantolo.
Il suo corpo è scosso da brividi e spasmi. Intorno a noi si è formata una gran pozza di sangue.
Razionalmente so che è la fine, ma non posso accettarlo.
“Peeta” ripeto tra le lacrime.
Lui alza una mano e mi sfiora la guancia. Poi i suoi occhi diventano di ghiaccio ed il suo braccio ricade a terra. Privo di vita.
 
 
Non so come sia successo, né chi mi stia trascinando via a forza. Sono consapevole solo del dolore che mi sta uccidendo. Mi consuma da dentro, lacerando anima e cuore e facendoli in tanti piccoli pezzetti.
Come posso essere stata così ingenua? Ho sempre saputo che Snow voleva uccidere me per prima, e non ho prestato sufficiente attenzione ai dettagli che mi circondavano. Se avessi visto prima i cecchini, come evidentemente aveva fatto Peeta, a quest’ora sarebbe vivo.
E invece non lo è.
Qualcuno mi sta portando via,ma oppongo resistenza. Scalcio e urlo.
“PEETA!” grido.
Ma l’uomo che mi ha afferrato non si ferma.
“LASCIATEMI!! LASCIATEMI!!”
Haymitch mi carica in spalla e corre velocemente fuori dalla stanza, perché i soldati sono raddoppiati e stanno facendo fuoco su di noi. Procede lungo il corridoio e sulle scale che portano ai sotterranei. Io mi aggrappo a lui, abbracciandolo e piangendo come non ho mai fatto.
La mia vita non ha più senso.
Peeta non c’è più.
Peeta - non - c’è - più.
Chiudo gli occhi.
Lui è morto.
Non è vero!
Lui è morto.
“NO!” grido.
Non è possibile, non voglio crederci. Magari, se tornassi indietro a controllare, scoprirei che è solo ferito. Magari se mi giro lo vedrò correre dietro a noi. Magari è tutto un sogno.
Haymitch mi mette giù. Lo guardo e vedo che anche lui sta piangendo. La realtà mi sbatte in faccia come un treno in corsa. Non tornerà. Peeta non tornerà. Non rivedrò più i suoi occhi dolci, non sentirò più il suo tocco né le sue braccia avvolgermi quando accettava di dormire con me. Si è sempre preoccupato degli altri prima di sé. E metteva me davanti a chiunque altro. Haymitch una volta mi disse una frase. Al momento mi aveva colpito, certo, ma ora la sento ancora più intensamente. Disse
 
Potresti vivere centro vite e ancora non meritarlo, lo sai?*
 
E aveva ragione. Peeta era migliore di me. Di tutti noi. E il dolore per la perdita è così straziante che darei qualsiasi cosa pur di riaverlo qui. Ma non posso. Non c’è nulla che io possa fare ormai, se non piangere.
Il mio mentore mi prende il viso tra le mani, bacia la mia fronte e mi stringe forte.
“Shhh” mi sussurra in un orecchio. “Calmati, Katniss. Devi essere forte anche per lui ora. Non vorrebbe vederti così”
Ma non sento le sue parole. Lui continua a parlare, e parlare, ma io riesco solo a pensare al vuoto incolmabile che sento dentro.
Cosa faccio ora?
Peeta, cosa faccio senza di te?
Haymitch mi sbatte contro il miro, intimandomi di ascoltarlo almeno per una volta. Io mi lascio cadere a terra.
“Ora mi serve che tu sia lucida. Concentrati.
Gli altri ribelli ci hanno raggiunti e stanno bloccando tutte le uscite. Snow è chiuso qui dentro. Dobbiamo fare fuori i soldati e catturarlo per portarlo alla Coin”.
Mi guarda speranzoso e asciuga le lacrime che ancora stanno rigando il mio viso.
“No” dico io spostando la sua mano. “Snow è mio”
 
 
Mi alzo di scatto, forte della sete di vendetta che si sta impossessando di me. Sentiamo dei passi dirigersi verso di noi, faccio per andare loro incontro, ma Gale scuote la testa e mi fa cenno di seguirlo. Corriamo lungo l’ennesimo corridoio pieno di celle sui due lati. Corriamo e corriamo. I soldati ci stanno sempre dietro.
Non ho mai visto quest’ala del palazzo, più pulita e decisamente molto silenziosa. Si sentono solo i nostri cuori battere all’impazzata.
Passiamo accanto ad una cella e le mie orecchie registrano un suono,il bisbiglio di una voce disperata.
“Katniss”
Mi fermo.
Quella è la voce di Peeta.
La riconoscerei tra mille. Non posso essermi sbagliata.
Gale si volta e mi vede immobile. Fa uno scatto verso di me e, afferrandomi il polso, mi costringe a seguirlo.
Ci fermiamo poco dopo, sotto una rampa di scale.
Ho ancora il cuore che batte a mille, ma non per la corsa.
Ho sentito la voce di Peeta.
È un brutto scherzo della mia immaginazione?
“Gale, hai sentito niente nel tunnel? Come una voce proveniente dalle celle?”
Lui mi guarda stringendo gli occhi-
“No, Katniss. Non ho sentito proprio niente” risponde secco.
E so che non sta mentendo. Se avesse sentito qualcuno pronunciare il mio nome si sarebbe fermato.
Devo essermi immaginata tutto. È solo un tiro mancino del mio subconscio. D’altronde, non posso smettere di pensare a Peeta. Il mio cuore si rifiuta di accettare quello che gli occhi hanno visto così chiaramente.
Prendo a respirare affannosamente.
La mia testa vola col pensiero al primo anno nella’rena, quando fingevo trasporto baciando Peeta, quando lo consideravo una strategia per metterci in salvo. I sensi di colpa si fanno sentire più che mai. Avrei dovuto trattarlo meglio. Avrei dovuto almeno ricambiare le attenzioni che aveva per me. Avrei dovuto fare molte cose,ma adesso è troppo tardi.
Nessuno riporterà in vita Peeta.
 
 
* la citazione è tratta dal secondo libro della serie, ovvero "La ragazza di fuoco" della nostra adorata Suzanne Collins.


Nota dell’autrice:
 
OK, OK. Calma! Non sguainate le spade.
Fidatevi di me!
E recensite, recensite, recensite. Anche solo per insultarmi.. anche se spero di no!
Il sesto capitolo è quasi pronto, e riserverà delle altre sorprese.
 
Piccoli ringraziamenti come al solito.
A POlicOlOr : grazie come sempre del sostegno, dei complimenti e di continuare a recensire;
Ad amolefossette : spero che la storia continui a piacerti!
A Bellador : continui ad avere ragione, questi due giovani non hanno nemmeno un attimo di tregua!
E anche a MatitaGialla,  herm1998 ,  Little_Hutchers,  Niallhugsme__ , martaj_99,  GossipGirl88 e  jepsikat.
 
Grazie a voi che continuate a seguire la storia e a chiunque legga.
Per favore, recensite!
Un bacione,
Hernoa Everdeen

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Capitolo 6
*** Capitolo VI - La fine del buio ***


Credo di essere ancora sotto shock, ma costringo le mie gambe a muoversi per seguire Gale e gli altri. Nei corridoi ci imbattiamo in alcuni soldati di Capitol City.
Io sono l’ultima della fila, quindi non recito alcun ruolo negli scontri. Lascio semplicemente che Finnick, Gale ed Haymitch abbattano un ostacolo dopo l’altro.
In questo momento nella mia testa non c’è spazio per nulla, tranne che per il dolore.
Probabilmente sto impazzendo, come Annie. Sarò la seconda vincitrice degli Hunger Games resa pazza da Panem. Prima di concedermi questo lusso, però, devo recuperare lucidità e trovare Snow. Solo dopo che l’avrò ucciso potrò lasciarmi andare. Ora devo tornare ad essere di ghiaccio, impenetrabile ed impossibile da scalfire.
Svuoto la mente e mi concentro solo sul compito impellente.
Sfodero l’arco e incocco una freccia, poi corro in testa al gruppo e comincio ad avanzare rapida, annientando ogni nemico così sfortunato da trovarsi sulla mia strada.
Non so dove andare di preciso, così mi lascio guidare dalle voci alle mie spalle. Faccio ciò che dicono e ben presto mi trovo davanti alla stessa sala dove poco fa abbiamo affrontato il Presidente. Nonostante la mia risoluzione, non ho la forza di guardare dentro per controllare se Snow ci sia ancora. Non voglio vedere il corpo esanime di Peeta. Non lo sopporterei. La mia nuova corazza verrebbe spazzata via.
Mi fermo e aspetto che i miei compagni mi raggiungano, così chiederò loro di controllare.
Non ho bisogno di parole con Gale, che sposta Haymitch e, con cautela, mette la testa oltre la soglia. Guarda per qualche secondo all’interno, poi si volta verso di noi scuotendo la testa e riprendendo a camminare.
Giunti all’ingresso, vediamo alcuni dei nostri a terra. Molti non ce l’hanno fatta: i loro corpi sono immobili e i vestiti macchiati di sangue dove le pallottole li hanno colpiti. Ma c’è anche un ragazzo ancora in vita. Gale corre da lui, credo si conoscano. Gli poggia una mano sulla spalla tenendolo fermo mentre controlla le ferite, dopodiché gli domanda qualcosa e, avuta la risposta che aspettava, torna in piedi. Ferma un uomo dei nostri e gli ordina di condurre fuori il suo amico e di portarlo al distretto per le cure di cui ha bisogno. Accertatosi che il soldato abbia capito, torna a voltarsi verso di noi.
“Dice che sono andati da quella parte” riferisce al gruppo, indicando una porta a qualche metro da noi e incamminandosi subito in quella direzione.
Finnick, che fino ad ora si è dedicato quasi esclusivamente alla protezione di Annie, rincorre il soldato che sta uscendo dal palazzo e lo ferma. Dopo aver scambiato qualche parola, torna dalla ragazza bionda che lo aspetta e, con voce dolce, le chiede: “Annie, amore.. Ho bisogno che tu vada con quell’uomo. Devo saperti al sicuro per poter andare avanti”.
Gli occhi di lei lo fissano adoranti, riempiendosi subito di lacrime. Annuisce e sussurra: “Fai ciò che devi e poi torna da me”.
Si abbracciano e scambiano un bacio appassionato, poi, seppur riluttanti, si separano. Annie esce dal palazzo avvicinandosi al finto pacificatore che sostiene l’amico di Gale, mentre Finnick si mette lamio fianco.
“Facciamola finita. Una volta per tutte” dice risoluto.
Seguiamo la strada imboccata da Gale poco prima. La porta si apre su una nuova serie di scale che scendono.
Questo posto è un vero labirinto.
Scendiamo veloci, per recuperare la distanza che ci separa dal resto del gruppo. Quando finalmente li vediamo, ci fanno segno di rimanere in silenzio. Sono accucciati dietro ad una porta massiccia; la indicano, facendoci intendere che Snow si trova lì dentro.
Sicuramente ci stanno aspettando, mi dice una vocina interiore. Sanno che vogliamo il Presidente e avranno ogni singola arma puntata su quest’unica porta. Per entrare dobbiamo farci scudo con qualcosa. Mi guardo in giro: ci sono alcune porte socchiuse, le stanze sembrano vuote, a giudicare dal silenzio che si sente la loro interno.
Entro nella prima. È vuota, ad eccezione di qualche arma residua dimenticata sugli scaffali della parete di fondo. Non mi serve nulla qui. Di armi ne abbiamo a sufficienza.
Esco, ed entro velocemente nella stanza a fianco. Qui noto subito un pesante tavolo di legno e penso che potrebbe fare al caso nostro. Ci ripareremo dietro a questo e ne approfitteremo per sterminare la scorta di Snow. Non so quanti siano, ma sono chiusi lì dentro senza vie di fuga, almeno spero. Anche se ci volessero ore e mi costasse tutto il sangue che ho in corpo, porterò a termine questa missione.
Il mio cuore comincia a pompare sangue più in fretta, preparando tutto il mio corpo allo scontro imminente.
L’adrenalina mi scorre nelle vene come un fiume in piena e faccio un respiro profondo.
Ci siamo.
Siamo arrivati all’epilogo di questa faccenda.
La fine di tutto.
La fine dei giochi.
 
 
Mi avvicino agli altri. Siamo pronti per fare irruzione nella sala dove si nascondono i nostri nemici, quando dall’interno sentiamo qualcuno parlare.
“Richiediamo rinforzi immediati. Passo”
Stanno chiedendo aiuto tramite radio. Maledetti.
“Ci troviamo al livello -2, sala 5-1-3. Raggiungeteci subito. Passo e chiudo”
Quindi tra poco ci sarà movimento qui fuori. Guardo Finnick, che come me ha sentito tutto. Annuiamo contemporaneamente e spieghiamo agli altri il da farsi.
Prima di entrare dobbiamo impedire che i rinforzi li raggiungano. Aspetteremo qui fuori, posizionandoci in modo da non farci vedere ed eliminando i soldati che presto saranno qui. Gale e Finnick entrano nelle due sale di fronte al portone, io ed Haymitch ci nascondiamo nella cella più vicina all’imboccatura delle scale e Plutarch svolta l’angolo per controllare che i nemici non arrivino dal corridoio, nel caso in cui ci sia qualche strada che colleghi questa zona ad altre.
Spero che i soldati arrivino subito. Odio non aver nulla da fare. Mi lascia troppo tempo per pensare e a chi potrei pensare se non a Peeta? Non voglio crollare di nuovo.
Non posso.
Inizio a respirare affannosamente e seppellisco in un angolo del mio cervello la voce interiore che sta piangendo senza ritegno.
Per fortuna non devo aspettare a lungo. Un plotone di soldati arriva dopo pochi minuti, scendendo dalle scale. Sono armati fino ai denti, ma non sono molto numerosi, ne conto cinque. Uno a testa.
Io ed Haymitch aspettiamo che anche l’ultimo ci oltrepassi e poi sfoderiamo i nostri colpi migliori. Io ne centro tre in un attimo, il mio compagno ne atterra uno lanciandogli un pugnale e Finnick uccide l’ultimo uscendo allo scoperto e colpendolo con il suo tridente, portatogli dal suo distretto.
Ora possiamo approfittare del fatto che le persone all’interno della sala aspettino dei rinforzi. Non possiamo indossare le uniformi e fingerci soldati di Capitol City tanto a lungo da avvicinarci molto. I nostri volti sono troppo riconoscibili. Magari, però, potremmo guadagnare pochi ma decisivi secondi per entrare ed iniziare la vera battaglia.
Propongo l’idea al resto del gruppo e tutti approvano.
Decidiamo che Plutarch rimarrà qui fuori con pistole e fucili come un vero soldato di Panem, fingendo di fare la guardia alla nostra sala.
Indossiamo velocemente le divise e prepariamo il tavolo dietro alla porta. Haymitch e Gale sono le persone meno conosciute qui, perciò si fanno avanti, pronti ad entrare. Io sono pronta alle loro spalle. Faccio un cenno a Gale, e lui bussa, deciso.
“Chi va là?” tuonano dall’interno.
“Plotone di rinforzo” dice Gale camuffando la voce.
“Potete entrare” confermano.
Haymitch apre la porta. I soldati all’interno sono una quindicina, non di più. Possiamo farcela.
Mentre i nostri uomini in prima linea avanzano lentamente, noi due rimasti indietro spostiamo il pesante tavolo. Le guardie che ci vedono armeggiare rimangono un po’ sorprese, non capiscono per quale motivo stiamo trasportando all’interno del loro nascondiglio proprio un tavolo.
Gale vede i loro volti farsi diffidenti e si affretta a spiegare che vogliamo usare il mobile per bloccare la porta dall’interno, così che i ribelli non possano entrare. Gli uomini di Snow sembrano approvare l’idea, così il finto-soldato-Hawthorne ci fa cenno di proseguire, rimanendo strategicamente davanti a noi per coprire i nostri visi.
Entriamo nella sala. Non ci hanno ancora riconosciuti.
Io e Finnick teniamo le teste basse, cercando di nasconderci dietro agli elmetti protettivi. Ci scambiamo un’occhiata veloce mentre procediamo. Facciamo qualche passo, poi appoggiamo a terra il tavolo, in orizzontale, fingendoci stanchi.
Lui si china, appoggia le mani sulle ginocchia e tossisce.
Il segnale pattuito.
Ci abbassiamo istantaneamente, nascondendoci dietro al tavolo, mentre Gale ed Haymitch, rimasti sulla soglia per chiudere la porta alle nostre spalle, scattano a ripararsi dietro di noi, non prima di aver estratto le pistole e sparato qualche colpo alla bell’e meglio.
Non sappiamo quanti colpi siano andati a segno, ma sicuramente siamo usciti allo scoperto. Gli avversari hanno iniziato a far fuoco sul tavolo, che però ci protegge bene. Io sfodero l’arco da sotto la divisa e preparo una freccia nella cocca. Aspetto che finisca la prima raffica di pallottole, poi faccio partire un colpo fulmineo. Nello sporgermi dal tavolo ho visto che alcuni nemici sono caduti sotto i colpi di Gale ed Haymitch. Ne sono rimasti pochi, e quasi tutti stanno trafficando con un pesante mobile sulla parete di fondo. Cercano di spostarlo e ci sono quasi riusciti. Snow era a malapena visibile dietro ai suoi. Per quanto possibile, stava cercando di spingere il mobile in accordo con le guardie rimaste.
Perché dietro c’era una porta.
Una porta nascosta che serve sicuramente come via di fuga. Ma io non posso permettere che scappi.
Incocco un’altra freccia e la scaglio furiosamente, colpendo un altro bersaglio. Ne sfodero un’altra ancora. L’ultima. Prendo un respiro, mi sporgo nuovamente e sferro l’ennesimo colpo, che va a segno come i precedenti. Contemporaneamente, Haymitch spara un’altra serie di colpi, abbattendo due soldati. Torniamo a ripararci e si fanno avanti i due belli del gruppo con le loro pistole. Finiscono gli ultimi soldati e ci fanno segno di alzarci. Hanno risparmiato solo Snow, che ci da le spalle.
“Presidente, ha perso. Si volti lentamente mettendo le mani bene in vista”
Lui si volta. E spara un unico colpo.
In mano nascondeva una pistola. Quello era il suo ultimo proiettile, e l’ha sprecato cercando di colpire uno di noi. Poteva usarlo meglio, su sé stesso.
Sorrido nel vederlo davanti a me senza protezione. Mi giro a guardare gli altri esultante, ma sono voltati verso Haymitch, che tiene una mano premuta sul petto.
Una mano che si sta lentamente tingendo di rosso.
Non posso credere a quello che vedo.
Non può succedere ancora! Non anche Haymitch!
Una smorfia di dolore si dipinge sul mio volto, e le lacrime iniziano a scendere incontrollabili. Ma la rabbia è più forte del dolore. Mi acceca emi toglie ogni possibilità di ragionare.
Prendo la pistola dalla mano di Gale e faccio fuoco, usando tutti i proiettili rimasti.
Gli occhi da serpe che mi hanno perseguitata così a lungo ora sono vitrei, senza vita.
 
 
Sono china su Haymitch, che nei brevi secondi della mia furia omicida si è accasciato a terra. Gale gli ha aperto la divisa sul petto per constatare la gravità del colpo.
È molto grave, dice. Dobbiamo portarlo immediatamente alla base e fornirgli tutte le cure possibili se vogliamo che abbia qualche possibilità di sopravvivere.
Non potrei essere più d’accordo.
“Non ho la minima intenzione di perdere anche te, Haymitch. Anche se so che mi costerai molto in alcolici negli anni a venire” cerco di sdrammatizzare la situazione, come fa lui di solito, ma non sono molto convincente.
“Tieni duro, capito? Dai, ti aiuto ad alzarti”
Io da un lato e Finnick dall’altro, lo mettiamo in piedi.
Continua ad avere il respiro accelerato, e il sangue non accenna a fermarsi. Per quanto ci sia possibile, usciamo velocemente dalla stanza con Haymitch in stato di semi-incoscienza.
Sta perdendo molto sangue e non servono le capacità guaritrici di mia madre per capire che se non agiamo in fretta non ce la farà.
Percorriamo le scale ed arriviamo nel salone d’ingresso. C’è un gran via vai di gente, e sono tutti ribelli come noi. Fermiamo uno squadrone e ordiniamo loro di preparare immediatamente un hovercraft medico per un decollo di emergenza. Il personale a bordo inizierà ad operare non appena Haymitch metterà piede a bordo.
“C’è un velivolo pronto qui fuori, con personale medico dal Distretto 13. Ora che la città è stata dichiarata sicura, chiunque avesse capacità specifiche utili sul campo è stato mandato qui. Seguiteci”
Ci fa strada all’esterno dell’edificio, avvertendo l’equipaggio via trasmittente di prepararsi al decollo.
Appena superata la porta, svoltiamo a destra verso il lato est della piazza.
Aveva ragione.
Un hovercraft si staglia imponente nel bel mezzo dello spiazzo davanti a noi. Ha già i motori accesi.
Dal portellone escono quattro figure in camice bianco. Due le riconosco subito. E anche Gale, visto che prende il mio posto per sorreggere Haymitch permettendomi di correre a perdifiato verso le due figure che si stanno avvicinando sorridendo.
Abbraccio la più piccola.
La tengo stretta.
“Sono così felice di vederti, paperella”
Mi abbandono a quell’abbraccio e lascio finalmente andare tutto e tutti. Per qualche istante esistiamo solo io e Prim nel mio mondo.
Mia madre arriva quasi subito emi mette timidamente una mano sulla spalla. Senza esitare mi butto su di lei e l’avvolgo con le braccia.
Durante questa missione sono cambiata. Ho avuto modo di imparare una dura lezione. Non posso sempre proteggere chi vorrei. Non sai mai se quella presente sarà l’ultima occasione in cui vedrai i tuoi amici, i familiari.
Quindi non voglio sprecare altro tempo. Dimostrerò a tutti quanto tengo a loro. L’unico rimpianto è quello di non aver potuto far lo stesso con Peeta.
Lui se lo sarebbe meritato più di chiunque altro.
 
 
L’hovercraft decolla dopo un paio di minuti, e mi devo separare nuovamente da Prim e da mia madre per lasciare che si prendano cura di Haymitch. Faranno il possibile, lo so. Non c’è nessuno meglio di loro nel campo delle cure mediche.
Io ho un ultimo compito da svolgere prima di tornare alla base. Rientro con passo deciso nell’imponente palazzo di marmo. Voglio aprire ogni singola cella di questo posto e liberare tutti gli ostaggi.
Comincio dalle zone conosciute.
Vago dalla mia prima cella -ai livelli inferiori- per poi risalire ai piani superiori. Non sono rimaste molte celle chiuse, i ribelli devono aver già provveduto a liberare gran parte dei prigionieri.
Camminando, mi ritrovo nel corridoio in cui avevo creduto di sentire una voce. Mi avvicino ad ogni cella. Sono già state tutte aperte. Controllo all’interno, ma non c’è nulla se non muffa e qualche sporadico topolino.
Continuo il mio percorso fino ad una nuova ala, dove trovo qualcuno che non avrei mai pensato di rivedere.
Nelle celle di fronte a me ci sono Darius e la ragazza dai capelli rossi.
Con la pistola che ho in tasca, sparo ripetutamente ai lucchetti, e questi cedono. I due sopravvissuti escono e mi guardano con le lacrime agli occhi. Io sorrido, sinceramente felice di rivederli, e faccio loro cenno di seguirmi lungo i corridoi di questo lugubre luogo.
Continuo la ricerca di superstiti in ogni zona del palazzo.
Non ne trovo molti, solo altri quattro. Persone che non conosco, ma che libero comunque. Tutti insieme ci dirigiamo ai piani superiori.
Arrivati nello spazioso atrio ci separiamo. Loro vengono presi in custodia dai miei compagni di distretto per essere condotti al 13, mentre io, ormai senza meta né scopo, mi abbandono sui gradini delle scale che conducono agli studi televisivi.
Ora posso mettere insieme le idee e pensare a cosa ne sarà del mio futuro, anche se non so cosa farò della mia vita. Mi copro il viso con le mani, incapace di formulare qualsiasi pensiero coerente. L’unica cosa che so è che senza Peeta mi seno perduta, completamente privata di ogni voglia di esistere, di qualsiasi desiderio.
Potrei restare seduta qui per il resto della mia vita e disinteressarmi di tutto e di tutti. Ora che Capitol City è stata sconfitta, la mia famiglia è al sicuro. Non hanno più bisogno di me. Non c’è più nessuno che abbia bisogno di me.
Non ho nessuno da cui tornare.
Nemmeno Gale.
Ho iniziato a guardarlo con occhi diversi da quando ho conosciuto Peeta durante i primi Hunger Games. Anche se ancora non lo sapevo, non sarebbe mai potuta essere Gale la mia scelta. Peeta ha sconvolto il mio mondo con la sua dolcezza ed il suo amore per me. Il pensiero che ho negato di ammettere anche con me stessa così a lungo, ormai si è radicato irrimediabilmente dentro le mie viscere.
Non sarò mai più la stessa senza Peeta.
Non ci sarà mai più nessuno come lui. E devo imparare ad accettare la sua scomparsa. Devo farmi forza per le altre persone che come me stanno soffrendo per la perdita di familiari, mariti, amici.
Tornerò al 13 e aiuterò mia madre e Prim. Caccerò per loro e gli altri abitanti del distretto. Farò di questo il mio scopo di vita, e veglierò su Haymitch giorno e notte. Lui rimane l’ultimo legame con Peeta, e non voglio che anche questo vada perduto. Insieme, diventeremo due maledetti ubriaconi che si deprimono per il passato. È deciso.
Mi alzo, ancora sovrappensiero, e comincio a muovermi verso l’esterno dell’edificio.
Sto ancora impugnando il mio arco. Non riesco a separarmene, anche se so che non è più utile qui.
Una mano non proprio delicata mi strattona da dietro, riportandomi alla realtà.
È Plutarch.
“Katniss, ti ho cercata dappertutto! Peeta è vivo!!”
Ma cosa sta dicendo?
Anche lui ha visto il suo corpo senza vita. Un moto d’ira prende il sopravvento in me. Non voglio sentire queste sciocchezze! Riaprono delle ferite ancora aperte, ferite che non si rimargineranno mai.
Abbasso la testa.
“Taci” sibilo glaciale.
“No, ascoltami!” aggiunge, bloccandomi con la sua forte stretta. “Lui è VIVO! Abbiamo catturato uno scienziato mezzo pazzo che farneticava su un infiltrato nel nostro gruppo, un ragazzo grazie al quale sono stati in grado di prevedere le nostre mosse e di mandare a monte il nostro piano.
Il ragazzo era Peeta.
O meglio, un ibrido con l’aspetto di Peeta. Era elaborato per pensare come il vero Peeta, muoversi come lui e persino provare i suoi stessi sentimenti. Quello che abbiamo visto nella foresta fuori dalla città e in televisione con te non era che una copia! Il vero Peeta è vivo, ed è qui da qualche parte.
Prima un soldato mi ha detto di averlo visto aggirarsi un po’ confuso per le stanze del piano terra. E poco fa l’ho visto anch’io, ma non sono riuscito a raggiungerlo”
Un barlume di speranza si accende in me.
Posso credergli e tornare a sperare?
Non voglio tornare ad essere felice per poi rischiantarmi contro l’amara verità.
“Tu.. tu ne sei davvero sicuro? Non mentirmi, ti prego” lo supplico con voce insicura.
“E’ la pura verità, Katniss!” afferma con voce leggermente stridula. Fa una pausa e poi aggiunge dolcemente “Va a cercarlo”
Ora sono io ad afferrarlo in modo brusco per le maniche della divisa.
“Dov’era diretto quando l’hai visto?”
“Stava uscendo nella piazza principale”
Non gli do il tempo di aggiungere altro. Sfreccio fuori dall’ingresso, correndo come nell’arena, quando avevo alle spalle gli ibridi rabbiosi. Ora, però, sono io che rincorro qualcuno.
Non posso ancora credere che questa sia la verità. Tutto il mio corpo è teso, i muscoli degli occhi guizzano da un viso all’altro, cerando forsennatamente dei capelli biondi.
Mi muovo come un’ossessa per la piazza, sentendo accelerare i battiti ogni volta che incontro lo sguardo di qualcuno che somiglia a Peeta. Sto quasi perdendo le speranze quando lo vedo.
E la mia vita riacquista un senso.
Il cuore torna a pulsare e le lacrime scendono, inarrestabili. Mi blocco, sono come pietrificata nel bel mezzo dell’enorme piazza dove per la prima volta ci siamo tenuti per mano durante la sfilata del tributi dei settantaquattresimi giochi.
È proprio mentre sto rievocando questi ricordi che lui incrocia il mio sguardo.
Il cuore salta qualche battito e lascio cadere la mia fedele arma.
Emetto un singhiozzo e comincio a correre verso di lui, che fa lo stesso. Ci separano poche decine di metri, ma sembrano chilometri.
Vorrei correre più velocemente e raggiungerlo all’istante, ma le mie gambe non possono fare più di così.
Quando finalmente lo raggiungo, ci scontriamo e ci uniamo in un abbraccio che vorrei non finisse mai. Ma, sorprendendo tanto lui quanto me, unisco le mie labbra alle sue e lo bacio come non ho mai fatto.
Con l’ardore della passione e la forza della mia nuova felicità.
 
 
 
Nota dell’autrice:
 
Ok, spero che ci sperava in una mia morte violenta alla fine del capitolo precedente si sia ricreduto =)
Era tutto programmato, ma non volevo farvi stare troppo in ansia. E non è stata una strategia per tenervi sulle spine.. in realtà è così che avevo immaginato il libro.
Finalmente è tornato.
Cosa ne pensate allora? Ho avuto un’idea stupida?
Manca solo un capitolo ormai, e la tristezza si fa sentire. È stato un viaggio bellissimo e sono contenta che qualcuno abbia deciso di condividerlo con me e di recensire, dandomi il suo prezioso parere. Come sempre, vi chiedo PER FAVORE di scrivermi cosa pensate. Credo sia una parte importantissima delle storie che scriviamo, le recensioni ci permettono di crescere con le critiche e di gioire con i complimenti.
Perciò vi prego di scrivermi.. anche solo per dirmi “brava” o “fai schifo”. Un parere è un parere, e lo accetterei comunque =)
 
Come al solito, grazie a
POlicOlOr: la prima ad aver recensito e ad avermi fatta sentire autrice =)
amolefossette : che continua a seguirmi e per questo le sono immensamente grata;
Bellador : la mia amica di condivisione.. hehe tu sai a cosa mi riferisco, vero??? E non dirmi “NO mamma patrick dice NO” =)
MatitaGialla per la sua recensione alla mia one shot su Gale e perché sta scrivendo una storia che adoro!
Triskell_ : grazie infinite per la recensione alla one shot su Noi siamo infinito. Credo sia la cosa più bella che qualcuno mi abbia mai scritto. Grazie. La porterò nel cuore per sempre. E grazie dello scambio di mail =)
E grazie anche a herm1998 ,  Little_Hutchers,  Niallhugsme__ , martaj_99,  GossipGirl88,  jepsikat, kyana91,  Marymansi e Petniss e directioner.
 
Tanti saluti, per la penultima volta.
Hernoa Everdeen

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Siamo in viaggio sull’ultimo hovercraft in partenza da Capitol City. Da quando ho ritrovato Peeta non l’ho più lasciato allontanarsi da me. Non che lui lo volesse, certo. Abbiamo parlato a lungo, e gli ho raccontato cos’è successo mentre lui era prigioniero. Continua a tenermi stretta la mano, non vuole più lasciarla andare, per paura di perdermi di nuovo, com’è successo nell’arena.
E io voglio solo che lui continui a stringermi le dita fra le sue.
Non ho mai sentito Peeta come lo sento ora. Percepisco le sue mani che mi stringono, il suo respiro caldo sul collo e le sue labbra che, di tanto in tanto, mi sfiorano i capelli. E il suo profumo.
Dio, come mo il suo profumo.
Sa di fresco, di fiori, di pane, di libertà.
È il profumo dell’amore. È il profumo di casa, della mia famiglia.
Queste sensazioni così nuove mi colpiscono nel profondo. Io ho bisogno di lui. Non me n’ero accorta prima, ma, adesso che ho aperto gli occhi, non li voglio chiudere mai più.
Il volo è breve, troppo per i miei gusti. Starei accoccolata a Peeta tutto il giorno, tutti i giorni per il resto della mia vita. Non sentirei nemmeno il bisogno di mangiare o bere. Ma siamo quasi arrivati al Distretto 13, dove ci aspetta Haymitch. Dovrebbero averlo già operato ormai.
Appena scendiamo la scala per uscire dal velivolo, ci dirigiamo correndo verso il livello dedicato ai feriti gravi. Faccio strada io, dato che, fino a poche ore fa, Peeta non sapeva nemmeno dell’esistenza di un tredicesimo Distretto. Scendiamo di corsa e raggiungiamo l’area che ci interessa. Appena varcata la soglia vedo mia madre uscire dalla sala operatoria. Incrocia il mio sguardo e annuisce.
“E’ andato tutto bene” dice, avvicinandosi a noi “Il proiettile è stato rimosso. Fortunatamente non aveva causato danni irreparabili.
Si riprenderà”
Con queste parole sento di essere guarita. Da tutto il dolore, l’astio, il desiderio di vendetta e la nostalgia delle persone che amo.
Peeta è vivo. Mia madre e Prim sono al sicuro. Haymitch guarirà.
Tutto ciò che desideravo si è avverato.
 
 
Dato che non ci è permesso visitare Haymitch finchè non riprenderà i sensi, decido di uscire all’aperto con Peeta. Passeggiare nei boschi gli piacerà. Ci teniamo sempre per mano. Siamo diventati persino più appiccicosi di Finnick ed Annie. Chi l’avrebbe mai detto?
Peeta è silenzioso mentre camminiamo, il silenzio intorno a noi è rotto solo dal cinguettio gioioso degli uccelli della foresta, che rappresenta alla perfezione il mio umore. Peeta però è taciturno, e non è una cosa da lui.
“Hey, che ti prende?” domando io.
“Ho rischiato di perderti così tante volte, Katniss. Non avrei dovuto permetterti di allontanarti con Johanna nell’arena. Non avrei dovuto permettere a nessuno di separarci. E voglio che questo non succeda mai più”
Si ferma, lasciando andare la mia mano e avvicinandosi ad un grande albero. Si china a raccogliere qualcosa da terra, poi torna a voltarsi verso di me.
In mano ha un fiore giallo, dalla sfumatura tendente all’arancione.
“Non mi è mai capitato di desiderare qualcosa quanto desidero te” sussurra a voce bassa. Poi, riprendendo la mia manoe  guardandomi dritta negli occhi, aggiunge “Io ti amo, Katniss Everdeen. Lo sapevo ancora prima di sfiorarti, lo sapevo sin da quando, da piccoli, a scuola, ti ho sentita cantare e lo so ora, vedendo che creatura meravigliosa sei diventata.
Non posso immaginarmi senza di te al mio fianco, e non voglio farlo. Ma una cosa voglio farla. Ora che è tutto finito.. Katniss” fa un sospiro “vuoi diventare mia moglie?”
Mi lascia senza parole. Come sempre e mi fa tornare alla mente una conversazione con Haymitch, durante il tour della vittoria. Dopo aver affrontato le folle adoranti di Capitol City ed essere tornati agli alloggi, ero stata io e suggerire una pubblica proposta di matrimonio. Peeta aveva accettato, ma poi era subito sparito nella sua camera, ed Haymitch mi aveva detto di lasciarlo in pace. “Credevo che lo volesse comunque” avevo detto io.
“Non così” aveva ribattuto Haymich “lui voleva che fosse vero”.*
Allora mi si era stretto il cuore al pensiero che quello era proprio l’ultima cosa che avrei voluto fare, ma ora le cose sono diverse. Ora ho capito che potrei perdere tutto in un attimo, che nulla è eterno, se non i sentimenti che provo. Ho imparato a vivere il momento. Peeta ha sofferto molto, ed io come lui. Voleva che quel matrimonio fosse vero.
Ed ora lo sarà.
“Sì” rispondo in un sussurro. “Con tutta me stessa”
Lui si avvicina ancora di più, e mi bacia di nuovo.
Ma questa volta è diverso. Questo è il bacio che mi rende per sempre sua.
Quando ci stacchiamo, avvolge al mio dito il gambo del fiore che ha colto. Il fiore simbolo della nostra promessa.
Il fiore che rappresenta la nostra felicità futura.
 
 
DIECI ANNI DOPO
Sono accucciata dietro al tronco di un grande albero. Il cervo a qualche metro da me non sente nemmeno arrivare la freccia che lo colpisce, uccidendolo all’istante. Per oggi può bastare. Il bottino della giornata è piuttosto ricco, e per qualche giorno non ci sarà bisogno di tornare a caccia. Il problema, ora, sarà trasportare a casa questo cervo bello paffuto!
“Ehi, Peeta!” chiamo.
Lui arriva in pochi secondi. Già, è a caccia con me. Vuole imparare, per potersene occupare quando non sarò più in grado di farlo.
“Caspita, hai preso un cervo! Erano mesi che non capitava!” esclama stupito.
Io fingo di essere offesa.
“Stai forse mettendo in dubbio le mie capacità di cacciatrice?” domando con tono irritato.
Lui si acciglia, guardandomi per un attimo, poi scoppiamo entrambi in una fragorosa risata. Mi si avvicina e posa le sue labbra sulla mia guancia. Sono passati anni, ma queste sue piccole attenzioni ancora mi danno i brividi.
Peeta si avvicina al cervo, caricandoselo in spalla, non senza fatica.
“Sicuro di farcela?” domando ridacchiando sotto i baffi mentre lo vedo avanzare incerto sotto il peso della bestia. “Vuoi che ti aiuti?”
“NO!” scatta subito lui. “Me la cavo da solo, non preoccuparti. Andiamo a casa ora. Devi riposare”
E così facciamo.
Camminiamo silenziosi finchè non scorgiamo il Distretto 12, dove siamo tornati a vivere circa un anno dopo la caduta di Capitol City, ora sotto la responsabile guida della Coin. È stata lei a provvedere alla ricostruzione dei distretti e di una rete stradale che li colleghi tutti fra loro. Ora non si sono più barriere tra noi e, anzi, capita spesso di viaggiare per i vari distretti. Peeta porta a tutti il pane, che scambia con altri viveri o utensili necessari. Da qualche tempo porta con sé anche parte delle prede cacciate nei boschi, soprattutto quando viaggia nel distretto della pesca, quello di Finnick, dove la carne non è mai molto diffusa.
Un momento.
Finnick!
Me l’ero scordata! Oggi pomeriggio vengono a casa nostra.
“Ehi, Peeta! Peeta!” lo chiamo allarmata. “Abbiamo per caso qualche dolce in casa? Mi ero scordata che oggi..”
“Finnick, Annie e la piccola vengono a trovarci. Lo so. Me ne sono ricordato, almeno io!
Stai perdendo colpi, eh?” dice sghignazzando.
“Come ti permetti??” grido io di rimando con finta indignazione. Stringo gli occhi a fessura. L’hai voluto tu, Mellark!” sibilo minacciosa, correndo verso di lui e atterrandolo.
Rotoliamo nell’erba ridendo come bambini, fino a che ci fermiamo e Peeta mi guarda negli occhi.
“Sei sempre bellissima, lo sai? Ora più che mai.”
Io accenno un sorriso. Non mi abituerò mai a questo sue modo di essere. Anche dopo tutto questo tempo, il modo in cui Peeta riesce a fare complimenti mi fa arrossire. Sembra così.. sincero. E, avendo imparato a conoscerlo, so che lo è davvero. Questo è uno dei tanti motivi per cui so di essermi innamorata di lui.
E qui, distesa in un prato fiorito, con i colori ed i profumi della primavera, il veto che soffia delicato accarezzandomi la pelle, sento di essere finalmente completa.
Sono felice.
 
 
È pomeriggio inoltrato, ormai. Peeta, Finnick ed io siamo seduti al grande tavolo della nostra cucina a gustare i deliziosi dolcetti preparati da mio marito.
Sembra ancora strano chiamarlo così.
Annie sta giocando con la loro dolce bambina di quattro anni, Rose, quando suona il campanello.
Ci guardiamo, ignorando chi possa essere. Peeta si alza e va ad aprire.
Sulla soglia c’è Haymitch. Gli anni sono passati anche per lui, ma nonostante tutto non è cambiato molto. Beve ancora troppo ed è scorbutico come sempre.
Il nostro Haymitch.
Peeta fa per abbracciarlo, felice di vederlo, ma l’altro si scansa.
“Così, avete organizzato una rimpatriata senza dirmi niente, eh?” ringhia.
“Zio Haymitch!” grida la piccola Rose, correndogli incontro.
“Dolcezza mia!” risponde lui spalancando le braccia e accogliendo la dolce bambina.
“Tesoro, è meglio che lo chiami nonno Haynitch. È un vecchietto, ormai” scherza Finnick.
“Questo vecchietto sarebbe ancora in grado di sfigurare quel tuo bel musino, Odair!
Guardati le spalle!” aggiunge Haymich sfidando il suo giovane amico e facendogli subito dopo l’occhiolino.
Siamo alle solite. Quei due sanno solo scherzare e fingere di essere rivali, ma in fondo si vogliono un gran bene.
Haymitch viene a sedersi al tavolo con noi e si rivolge a me e Peeta.
“Allora, piccioncini. Come stanno i futuri mamma e papà?” ci chiede.
Ebbene sì, sono incinta. Se me l’aveste detto dieci anni fa vi avrei sicuramente riso in faccia. Ma le mie priorità sono cambiate. Peeta desidera tanto dei bambini e, dopo averci riflettuto a lungo, sono arrivata a pensare che anche a me sarebbe piaciuto allargare la nostra famiglia ora che Panem è in pace da un decennio.
Devo ammettere che sono un po’ spaventata, ma accanto a Peeta posso affrontare qualsiasi cosa. E poi, so che ci saranno molte persone con noi.
Mia madre e Prim, che non vedono l’ora di scoprire se sarà maschio o femmina; Gale, che si è costruito una sua famiglia con una ragazza del Distretto 10 ed è andato a vivere lì (anche se nonostante la distanza ci teniamo ancora in contatto); Darius, che, come la ragazza dai capelli rossi, ha riacquistato la voce grazie ad una delle geniali invenzioni di Beetee** e da quel momento non passa giorno senza che ci telefoni; Madge, che vive sempre nel Distretto 12 ed è diventata il nostro nuovo sindaco, nonché una delle mie più care amiche.
Tutti loro ci saranno. Faranno parte del mio futuro. Mio e della mia famiglia.
Ora posso finalmente dirlo, mentre penso a loro, mentre guardo gli amici seduti al tavolo vicino a me e sfioro delicatamente il rigonfiamento sulla mia pancia.
Noi abbiamo vinto.
E non solo gli Hunger Games. Non solo la battaglia contro Snow e Capitol City.
Noi abbiamo vinto nella vita. E voglio passarla con le persone che amo, ridendo con loro, scherzando con loro, giocando con loro.
E questi sono gli unici giochi che vorrò fare da qui alla fine dei miei giorni.
 
Fine.
 
 
 
 
 
* Citazione dal secondo libro “La ragazza di fuoco”
** le prime righe del capitolo 16 (sempre del secondo libro) dicono testualmente “Una volta Haymitch mi ha detto che fanno qualcosa alla lingua dei senza-voce per impedire loro di parlare per sempre”.
Per questo è stato possibile “guarire” Darius e la ragazza dai capelli rossi. =)
 
 
Nota dell’autrice:
 
 
E anche la long fiction è terminata. Che senso di vuoto. Non credevo sarebbe stato così.
Comunque, senza lasciarsi andare ai sentimentalismi, spero che la storia sia piaciuta a tutti. Grazie, come sempre a chiunque si sia preso il disturbo di leggere questa storia. Grazie a chi ha recensito, perché mi ha aiutato a capire dove migliorare e grazie a voi che state leggendo.
Spero di scrivere presto qualcos’altro. Aspetterò di nuovo l’ispirazione, anche se forse qualche idea mi frulla già in testa.
Sarei contenta se mi scriveste un vostro parere, per l’ultima volta, su questa storia.
(momento di disperazione totale)
Ecco gli ultimi ringraziamenti:
A Triskell_, la mia dolce sorella di tastiera, perché mi è stata vicina. Sei una persona fantastica, e lo posso dire con certezza anche se non ci siamo mai viste dal vivo. =)
A Bellador, la futura sposa mia e di Peeta.. ahaha Non vedo l’ora!!! ;)
A POlicOlOr, la prima a recensirmi e a darmi il suo sostegno. Non ti dimenticherò!
Ad amolefossette, con i suoi commenti dolcissimi!
A MatitaGialla, per la sua stupenda recensione, la sua storia fantastica, che sto adorando e non vedo l’ora che continui!! (Ah, il liceo!) Sei bravissima!
A Piumadoro, per la recensione strappalacrime alla one shot che ho scritto sul film “Noi siamo infinito”. Non la dimenticherò mai.
E ad herm1998 , Little_Hutchers, Niallhugsme__ , martaj_99, GossipGirl88, jepsikat, kyana91,  Marymansi, Petniss e directioner ed eleferra93.
 
Vi mando un abbraccio forte, grazie a tutti.
Hernoa Everdeen

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