Rabbit heart and Lion heart di MedusaNoir (/viewuser.php?uid=85659)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Rabbit heart and Lion heart
Prologo
Non
era ancora suonata la campanella della fine delle lezioni e
già Brienne aveva
dovuto abbandonare la classe di Inglese per raggiungere
l’ufficio del preside,
in fondo al corridoio che partiva dalla caffetteria.
Come
al solito, era stata convocata a causa del comportamento indisciplinato
di uno
studente; come al solito, lo studente apparteneva alla sua classe di
Biologia
e, come al solito, era stato
beccato
a fumare nel cortile della scuola.
Non
dovette neanche varcare la soglia della presidenza per accertarsene,
perché
l’odore di nicotina le invase violentemente le narici; una
sorta di follia la
colse, dare le spalle ai doveri di capo del Consiglio Studentesco e
tornare
alla sua lezione, ignorando l’ennesima richiesta del suo
superiore, ma durò ben
poco: Brienne Tarth era una donna d’onore e non si sarebbe
mai tirata indietro.
Mai,
nonostante i tentativi del preside di utilizzarla come
“spaventapasseri” per
tutti gli studenti fuori controllo.
Fece
un respiro profondo, si sistemò rapidamente i corti capelli
biondi e il
colletto della camicia che spuntava fuori dal cardigan grigio, poi
bussò.
«Avanti.»
«Voleva
vedermi, preside?» chiese educatamente Brienne, come se nelle
ultime due
settimana non avesse ripetuto quella domanda almeno tre volte.
Il
preside Tully scattò in piedi, cerimonioso, giocando con la
lunga barba rossa
striata di bianco che incorniciava il suo volto rugoso. «Ah,
signorina Tarth,
benarrivata.» Le fece cenno di prendere posto sulla sedia
vuota.
Prima
di eseguire l’ordine, Brienne rivolse un fugace sguardo alla
chioma bionda che
spuntava dello schienale della sedia accanto alla sua, notando che lo
studente
che – come al solito
– avrebbe dovuto
riportare in classe non tentava neanche di mantenere una postura
adeguata al
luogo in cui si trovavano; una gamba nascosta dai jeans era poggiata
sopra un
bracciolo, con arroganza.
«Mi
duole farti perdere tempo,» esordì il preside,
torturandosi di nuovo la barba,
«ma ho reputato opportuno chiamarti per risolvere una
questione piuttosto
incresciosa…»
«Andiamo,
vecchio, basta con i preamboli» lo interruppe una voce alla
sinistra di
Brienne. «Siamo ospiti abituali del tuo ufficio, che bisogno
c’è di essere
formali ogni volta? Dillo: ho fumato un’altra volta a scuola
e la donzella
dovrà avvertire il comitato, così mi metteranno
una nota di demerito che non
varrà assolutamente niente, perché mio padre paga
ogni singola sedia su cui
poggiate il vostro culo. Possiamo andare adesso?»
Jaime
Lannister, le sue famose buone maniere e la capacità di
ricordare a tutti,
professori e preside, di essere in grado di buttarli per strada da un
giorno
all’altro – il che era la ragione per cui nessuno
lo aveva ancora cacciato
dalla King’s Landing High. E le sue minacce non erano a
vuoto: era stato
soprannominato Headslayer per aver fatto trasferire in un altro
istituto il
vecchio preside Aerys Targaryen.
Se
non si fossero trovati nella presidenza, probabilmente Brienne lo
avrebbe preso
a pugni.
“E
gli farei parecchio male,” realizzò,
perché la sua stazza non era come quella
delle altre studentesse. Brienne era alta quasi due metri e aveva le
spalla
larghe di un nuotatore, oltre a un viso ben poco conforme
all’idea di bellezza
che aveva il mondo.
Brienne
Tarth faceva paura, era quello il motivo per cui il preside credeva che
riportare Lannister in aula quasi ogni giorno potesse spaventarlo e
indurlo ad
abbassare la cresta, ma non avrebbe mai funzionato: se anche lo avesse
preso a
pugni, “Headslayer” si sarebbe fatto una risata
prima di risponderle con la
stessa moneta. Perlomeno lui non faceva differenze tra ragazzi e
ragazze.
Hoster
Tully lanciò uno sguardo di fuoco a Lannister, ma invece di
urlargli contro riportò
gli occhi su Brienne e le disse: «Potresti pensarci tu? Mi
faresti un grosso
favore.»
«Certamente,
signor preside.»
Senza
aggiungere altro, Brienne strattonò Lannister per la manica
del giubbotto rosso
e oro e lo alzò in piedi, lieta almeno che il ragazzo non
opponesse resistenza.
«Andiamo.»
«Con
calma, donzella, non c’è fretta.»
Aveva
ragione: appena usciti dell’ufficio del preside, furono
investiti da una folla
di studenti che si dirigevano presso la caffetteria della scuola per
godersi il
meritato pranzo.
«Dammele»
mormorò a denti stretti Brienne.
Lannister
sollevò un sopracciglio, ma il suo ghigno trattenuto le fece
capire che ci
aveva visto giusto. «Che cosa?»
Brienne
frugò nelle tasche del suo giubbotto, ignorando i suoi
«Ehi!», fino a quando
non ebbe trovato un pacchetto di sigarette.
«Queste»
rispose, prima di gettarle nel secchio della spazzatura accanto a loro.
«Che
peccato» sospirò Lannister. «Ne ho solo
altri due a casa.»
Estrasse
l’accendino e se lo rigirò fra le dita,
finché Brienne non gli spinse le spalle
contro il muro. «Non devi farlo a
scuola.»
«Sta’
calma, donzella! Non perdere tempo ad arrabbiarti, tanto si sa che mio
padre
sistemerà le…»
«Non
mi importa di tuo padre, Headslayer»
sbottò, strappandogli anche l’accendino dalle
mani. «Potrà anche tirarti fuori
dai guai, ma io devo fare il mio lavoro.»
«Speri
di essere notata così?» la canzonò
Lannister. Approfittò della sua momentanea
incapacità di replicare per allontanarla da sé,
poi – mani in tasca e sorriso
sardonico sul volto – girò l’angolo
oltre la caffetteria.
«Ti
restano ancora due ore di lezione prima di tornare a casa!»
gli gridò dietro
Brienne, sfiancata dal suo atteggiamento.
«Lo
so, lo so! Vado solo in bagno, o vuoi tenermi d’occhio anche
mentre piscio?»
Lo
lasciò andare, maledicendolo in silenzio per tutto il tempo
che avrebbe
continuato a farle perdere.
*****
L’aria
alla King’s Landing High si stava facendo fin troppo
soffocante per Jaime, che
era fuggito via all’ultimo suono della campanella di quel
giorno, lasciando
perdere le attività extra previste per il pomeriggio. Era
stanco di quella
scuola, dei professori e della presunzione degli studenti del penultimo
anno
come lui, che sembravano avere come unico scopo nella vita quello di
ottenere
più crediti extra possibili per poter accedere ai migliori
college – come Dorne
o, per chi voleva scappare dalla propria vita, la lontana Meereen.
Jaime
avrebbe voluto scappare anche lui, ma non con la scusa di un college
lontano da
King’s Landing: voleva andarsene e ricominciare da zero,
dimenticare il suo
nome, la sua famiglia e tutto ciò che faceva parte del suo
passato.
Masticando
una gomma durante il tragitto verso casa, Jaime si chiese se avrebbe
trovato
più aria, tra le pareti della villa, rispetto a quella che
la scuola gli negava.
“Fino
alle cinque,” si rispose, “poi Cersei
tornerà e ricominceranno i problemi.”
Si
era chiesto più volte come sarebbe stata la sua vita se
avesse fatto scelte
diverse: un padre orgoglioso dei suoi risultati scolastici, un fratello
di
dieci anni con cui giocare a fare i cavalieri e una sorella da prendere
in giro
per l’eccessiva attenzione al proprio aspetto fisico.
Ma
non aveva avuto possibilità di scelta, quella era la cruda
verità. A Jaime
Lannister non era mai stata data l’opportunità di
scegliere chi amare e questo
aveva mandato tutti in malora.
«Sing,
sing, sing, sing» cominciò a
canticchiare tra sé dopo aver sputato la gomma, cercando di
cancellare quei
pensieri negativi dalla testa, invano. «Everybody start to sing like dee,
dee, dee, bah, bah, bah, dah…»
Quando
pensava alla propria esistenza, la vedeva rappresentata in un quadro
surrealista: un deserto con rocce come lame di un temperino, pronte a
colpirlo
in qualsiasi momento, e sopra un sole che cercava di splendere, ma che
una
montagna celava in parte.
Quella
montagna era costituita da miriadi di globuli rossi, tutti del suo
stesso tipo
– e della sorella. Jaime e Cersei condividevano la casa, la
classe di
Sociologia e il sangue, ma durante la gravidanza della madre avevano
condiviso
anche l’utero; Jaime e Cersei erano nati insieme e insieme se
ne sarebbero
andati, questo era ciò che sosteneva sua sorella, ma non
aveva idea di quanta
felicità gli dessero quelle parole.
La
felicità che precedeva la presa di coscienza della loro
situazione.
«When
the music goes around, everybody’s goes
to the town…» cantò a voce
leggermente più alta, sperando che servisse a
qualcosa.
Avrebbe
dato tutto pur di essere un ragazzo normale.
Con
una famiglia vera, non un padre freddo e assente che pensava solo al
mantenimento
del buon nome dei Lannister, un fratello affetto da nanismo e una madre
morta
dandolo alla luce; una famiglia dove il padre non odiasse il figlio
minore, una
famiglia dove lui fosse libero di trattarlo come un bambino e non come
una
persona che era dovuta diventare adulta troppo presto, una famiglia
dove sua
sorella non fosse altro che una sorella.
Forse,
in un qualche paese dell’estero, avrebbero accettato un
matrimonio tra
consanguinei; forse nessun dio, in quello sconosciuto e remoto paese
dell’estero,
avrebbe potuto giudicarli.
Forse
esisteva davvero, quel paese, ma non sarebbe bastato a salvarlo dalla
paura più
grande: quella di sapere che Cersei – la bella Cersei
Lannister, reginetta
della scuola, fidanzata con il popolare Robert Baratheon – lo
vedeva solo come
un fratello.
Diede
un calcio a una lattina, che si andò a schiantare contro un
palo. «Swing,
swing,
swing, swing, listen the trumpet swing» insistette.
«Blow, blow, blow, blow, listen to
the trombones go!»
Jaime
Lannister odiava la sua vita e voleva fare il possibile per
distruggerla, così
non avrebbe pensato agli occhi di sua sorella – come i suoi.
Ai
suoi capelli – maledettamente come
i
suoi.
Alle
sue…
Questa
volta il suo piede incontrò il ferrò del cancello
di Casterly Rock. Jaime,
dolorante, portò lo sguardo sul leone che svettava poco lontano, in cima
all’arco che fungeva da
entrata nella villa.
Il
leone, simbolo di coraggio – c’era qualcuno che
volesse prestargliene un po’?
“Non
possiamo scegliere chi amare,” si ripeté ancora
una volta, aprendo il cancello.
Vorrei ringraziare prima di tutto A g
n e per avermi fatto da beta (♥), poi voi per aver
letto: invio a tutti cioccolata&caramellegommose :3
Ho scritto la mia prima AU sul fandom di GOT (a pensarci bene, credo
sia la mia prima AU in assoluto) e, beh, spero vi sia piaciuta.
Anche questa storia partecipa alla Mistery
Weekly Table-y dello PY, con i prompt:
- AU
- Rabbit
Heart (Florence + The Machine)
- Sing,
Sing, Sing (Benny Goodman)
- immagine
Cosa dire? Mi sarebbe sempre piaciuto scrivere una storia AU, ma non
sapevo da dove iniziare; guardando alcune puntate della terza stagione
di GOT, poi, Jaime e Brienne mi sono sembrati (DI NUOVO)
così carini... ehm, due personaggi che interagiscono tanto
bene tra loro che mi hanno finalmente ispirata.
Non ho niente da dire su Brienne, che spero di essere riuscita a
mantenere IC, ma per quanto riguarda Jaime preferisco precisare che
c'è un motivo per cui, a primo impatto, può
apparire OOC: ho cercato di trasportare il suo amore per la sorella ai
giorni nostri, dove due amanti incestuosi non siedono su un trono (per
generazioni), aggiungendo anche un (apparente? Chi lo sa) disinteresse
di Cersei nei suoi confronti. Pensandoci, nella mia testa è
venuto fuori un ragazzo che si sente inadeguato e che prova una
maggiore empatia per il fratello rispetto al resto della famiglia; ma
non aggiungerò altro, perché il resto
arriverà dalla bocca di altri personaggi.
Un'ultima informazione: non appariranno personaggi della "nuova
generazione", ma mi concentrerò sui personaggi
già nati al tempo di Aerys II; per necessità di
copione, ho inoltre dovuto adattare la loro età alla storia.
Grazie ancora per aver letto ♥
Medusa,
a Lannister
|
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Capitolo 2 *** Capitolo primo ***
Capitolo primo
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click.
Il
puntatore del mouse si fermò sulla scritta “Cersei
Lannister” in attesa che la
pagina si caricasse. Con aria annoiata, la ragazza di fronte allo
schermo del
computer osservò i dati che spuntavano sulla destra.
Frequenta: King’s Landing High
Risiede a: King’s Landing
Religione:
Culto dei Sette Dèi
Impegnata
con: Robert Baratheon
Cliccò
sull’ultima informazione, arrivando al profilo di un
avvenente diciottenne
dallo sguardo pieno di vita, che brandiva con fierezza una coppa
d’oro delle
dimensioni della sua testa. Scorrendo le ultime immagini caricate, la
sua
fidanzata lo vide circondare con un possente braccio le spalle
dell’amico Ned,
ballare in discoteca con un bicchiere di qualche cocktail pesante in
mano,
stringere alcune ragazze sconosciute, tenere per mano la bella Cersei
– e solo
in quella foto, notò lei, gli mancava il sorriso.
Sorse
invece sul volto della maggiore dei Lannister quando lo
notò, un sorriso simile
a un sogghigno: suo fratello minore – il
nano – avrebbe detto che
quell’espressione rivelava i suoi pensieri, che
somigliavano a un “Se non sono felice io, non hai diritto di
esserlo neanche
tu.” Avrebbe avuto ragione.
Il
suo IPhone squillò, costringendola ad alzarsi dal letto per
rispondere; quando
vide il volto grasso di Wanda, Cersei storse il naso e chiuse la
chiamata, pur
consapevole che presto o tardi le sarebbe toccato parlarle. Chiuse con
un colpo
secco il portatile e si sedette alla scrivania per finire i compiti:
come
prevedibile, era riuscita a scrivere il tema di psicologia e a
terminare gli
esercizi di fisica, ma trigonometria le dava ancora qualche problema.
Estrasse
la penna decisa a concludere tutto prima dell’appuntamento
con le sue amiche,
ma poggiandola sul quaderno si accorse che era finito
l’inchiostro; nel
cercarne un’altra nei cassetti della scrivania, le sue mani
trovarono una
vecchia cornice che Cersei aveva perfino dimenticato di avere messo
via. La
foto era stata scattata sette anni prima e ritraeva la famiglia
Lannister al
completo.
“No,
non siamo tutti. Lo siamo stati solo fino all’arrivo del
mostro.”
Il
“mostro” sorrideva tra le braccia del fratello
maggiore, agitando la piccola
manina. Aveva tre anni, ma la sua statura non sarebbe cresciuta di
molto nel
corso del tempo: avrebbe fatto meglio a non ridere quel patetico assassino. Se non fosse stato per lui,
in quella foto – accanto all’austero Tywin
Lannister, il direttore della
Westeros Bank – sarebbe apparsa anche Joanna, bella e fiera
com’era stata
perfino il giorno della sua morte, quando dando alla luce Tyrion aveva
represso
i gemiti di dolore mordendosi le labbra. Invece della vecchia famiglia,
“quella
vera” come la chiamava Cersei, restavano solo suo padre e i
due gemelli. Jaime
aveva gli stessi occhi verdi e i capelli dorati della sorella, ma era
stato il
solo a voler tenere in braccio Tyrion, l’unico a considerarlo
parte della
famiglia. Cersei accarezzò l’immagine del fratello
gemello, soffermandosi a
riflettere su quanto il suo volto – come quello di lei
– promettesse bellezza e
popolarità fin dai dieci anni…
Eppure
la popolarità di cui godeva Jaime era ben diversa da quella
di Cersei: a lui
non interessava uscire con gli studenti di ottima famiglia e ottenere
buoni
vuoti e riconoscimenti dalla scuola; Jaime sembrava divertirsi solo
facendosi
riprendere in continuazione dai professori e ascoltando musica a tutto
volume.
A Cersei non dispiaceva avere l’impressione di ascoltarla
insieme a lui, divisi
com’erano da una sottile parete rossa, ma avrebbe voluto che
suo fratello fosse
meno infantile e più predisposto allo studio.
D’altra parte, le redini della
società del padre sarebbero state prese da lei, per cui non
doveva preoccuparsi
dell’istruzione di Jaime.
Questo
le fece ricordare che doveva ancora concludere gli esercizi di
trigonometria.
Ripose nel cassetto la cornice e tolse il tappo alla nuova penna, ma in
quel
momento il suo telefono segnalò l’arrivo di un
messaggio.
“Lysa
è arrivata, maledizione.”
Avrebbe
dovuto rimandare lo studio alla sera, perché quello che
doveva fare al momento
era più importante di qualsiasi ripasso. E rispondeva al
nome di “shopping”.
Non
che lei acquistasse abiti nei centri commerciali, ma aveva bisogno di
guardare
le vetrine con le sue amiche per scegliere il vestito più
adatto e scattargli
una foto, così che il sarto rinomato che aveva vestito i
fratelli Lannister fin
da bambini potesse cucire una creazione simile a quella adocchiata da
lei.
Simile, non identica: il suo sarto avrebbe dato vita a un abito che
solo lei
avrebbe potuto indossare.
Si
mise un filo di trucco, confidando nella sua bellezza naturale, e
afferrò la
borsetta che giaceva sul letto. I suoi passi risuonarono nella casa
vuota: suo
padre era ancora a lavoro, la tata di Tyrion lo aveva accompagnato
dalla
fisioterapista e Jaime era chissà dove nella
città. Cersei sperava solo che non
si mettere nei casini, un giorno o l’altro.
Lysa
e Wanda attendevano nella macchina che il vecchio Hoster Tully aveva
prestato
alla figlia, ma Cersei passò loro accanto e salì
nella decapottabile rossa che
Tywin le aveva regalato per il sedicesimo compleanno; non disse nulla,
aspettò
solo che le sue amiche la raggiungessero.
«Sei
bellissima oggi, Cersei.» Walda la Grassa montò a
fatica nei sedili posteriori,
armeggiando con il seno prosperoso che le ostacolava ogni movimento. Si
diceva
che Walder Frey avrebbe dato come dote delle figlie e delle nipoti una
somma
pari al loro peso e solo questo poteva spiegare la costante presenza di
ragazzi
intorno a lei.
«Come
se fosse possibile per lei essere brutta»
ridacchiò Lysa, prendendo posto nel
sedile del passeggero. Scosse la testa per far ondeggiare i lunghi
capelli e
Cersei pensò che se stava cercando di risultare bella anche
lei aveva
decisamente fallito in partenza.
Walda
e Lysa, le ragazze che ronzavano sempre intorno all’ape
regina: Walda era del
terzo anno come lei, Lysa del secondo e la loro amicizia con Cersei le
rendeva
orgogliose e corteggiate da diversi studenti della King’s
Landing High. Loro
credevano che lo facessero per il fascino innato o una sorprendente
intelligenza, ma Cersei era l’unica a vedere realmente come
stavano le cose. E
cioè che Hoster Tully e Walder Frey grondavano denaro,
l’uno proprietario del
prestigioso hotel Trident nonché preside della scuola e
l’altro direttore della
più grande compagnia di assicurazioni del paese.
Lo
vedeva bene, perché era lo stesso motivo che aveva spinto
lei ad avvicinare le
sue ragazze. Con il tempo erano diventate “amiche”,
si poteva dire, ma non le
avrebbe mai degnate di confidenze preziose. Le interessava solo
stringere
legami con le loro famiglie.
Mise
in modo e avvertì la brezza primaverile agitarle i capelli
dorati, annuendo di
tanto in tanto per fingere di ascoltare le incessanti chiacchiere di
Lysa. I
suoi pensieri erano concentrati sull’abito perfetto che
avrebbe indossato in
occasione dell’incoronazione da reginetta della scuola;
doveva trovare la
stoffa e le scarpe adatte, oltre a occuparsi del completo di Robert,
ovviamente
coordinato al suo. Ricordò la foto che aveva visto poco
prima, ricordò anche la
freddezza con cui lui le aveva preso la mano: non c’era amore
tra di loro, solo
lo stesso tipo di legame che teneva unite Cersei, Lysa e Wanda.
Oltre
a un ardente desiderio di vendetta.
*****
«È
permesso?»
«Oh,
sei qui, meno male!»
Brienne
rimase sulla soglia, in attesa che l’unico studente facente
parte del SAC
recuperasse dal tavolo i fogli della riunione e li raccogliesse in una
cartellina, che mise poi diligentemente nella borsa. Lo
osservò con cura,
soffermandosi sulle dita che si affrettavano tra le fotocopie e i
documenti,
sui radi peli che spuntavano dagli avambracci scoperti, sul riflesso
della luce
artificiale dei lampadari sugli occhi scuri, sulle labbra increspate
nel
costante sorriso; Brienne non lo osservò con lo sguardo del
capo del Consiglio
Studentesco e vide tanti particolari che i suoi compagni – ne
era certa – non
avevano mai notato.
Soprattutto
perché erano impegnati a elogiare il fascino e il talento
sportivo del fratello
maggiore: capitano della squadra di football, organizzatore delle feste
più
popolari nonché fidanzato dell’indiscussa
reginetta della scuola, Robert
Baratheon aveva il fascino necessario a far passare chiunque in secondo
piano.
Chiunque, perfino suo fratello Renly, che tutta la scuola amava per
l’ottimo
ruolo svolto nel SAC da quando aveva iniziato a farne parte. Renly non
sembrava
curarsi di essere messo in ombra da Robert, però, e al
contrario era ben felice
di aiutarlo quando le sue folli idee rischiavano di farlo finire nei
guai.
«Il
preside Tully vuole che gli porti questi documenti»
esordì Renly, annientando
il silenzio che era calato nella stanza, mentre estraeva altre
cartelline
dall’armadio all’angolo. «E la
professoressa Tyrell esige che Jon le consegni
la lista degli studenti del terzo anno che non hanno intenzione di
frequentare
il college, così potrà “metterli a
cucire rose e fare soufflé, almeno si
renderanno utili”, parole sue.»
«Il
consiglio è andato bene?»
«Ottimamente,
direi. Eccetto per il momento in cui il vecchio Frey ha rischiato di
passare a
miglior vita in nostra presenza; per fortuna qualcuno gli ha ricordato
che ha
un matrimonio da organizzare, altrimenti sarebbe restato in silenzio
fino a
perdere conoscenza.» Renly rise, divertito dalla sua stessa
battuta. Brienne
represse un sorriso.
«Ha
intenzione di far parte del SAC anche il prossimo anno?»
«Sicuro,
uno dei suoi figli più piccoli sta per iscriversi alla
nostra scuola, insieme a
un paio di nipoti. Nipoti del ragazzo, intendo dire. Che hanno la sua
stessa
età.»
«Walder
Frey dovrebbe capire che è arrivato il momento di smettere
di giocare.»
«Non
lo farà» asserì Renly con una smorfia.
«Sforna assicurazioni ogni giorno e
quelle che servono a lui sono i suoi figli: non si darà pace
finché non sarà
certo che almeno un figlio su cento sia degno di ereditare la Frey
Insurance.»
«A
proposito di genitori, ho incontrato Rickard Stark mentre venivo qui,
l’ho
visto parlare con il docente di Biologia.»
«Ah,
il professor Pycelle! O “maestro”, come preferisce
essere chiamato lui. Ecco,
immagina che bel comitato è il nostro: Frey e Pycelle
rischiano di lasciarci le
penne durante ogni riunione, Olenna Tyrell non fa che sparare
frecciatine a
Stark e ai “lupi”, come lui chiama i suoi figli,
senza dargli il tempo di
replicare e poi ci sono io, il più giovane, che deve badare
a tutti loro. Ora
capisco perché il preside Tully fosse così restio
a farmi entrare nel comitato.
Troppe responsabilità, certo, ma credevo si riferisse agli
studenti.» Mise
sottobraccio le cartelle prelevate dall’armadio e ne
consegnò una a Brienne.
«Bene, andiamo.»
«A
chi devo portarla?»
«A
Jon Arryn, così ne approfitti per farti dare quella lista
– sperando che la
professoressa Tyrell non voglia davvero prendersela con quei poveri
studenti
del tuo anno! Sai dove si trova l’ufficio del counselor,
vero?»
Brienne
annuì. «Ci ho passato parecchio tempo, negli
ultimi mesi.»
«Bene.
Ti va di prendere una boccata d’aria?»
La
proposta di Renly fu improvvisa quanto piacevole. Brienne avrebbe
dovuto
ammettere che doveva ancora scrivere un tema per il giorno successivo,
presentare il verbale dell’ultima riunione del consiglio
studentesco e in più,
come lui le aveva chiesto, passare da Arryn, ma nel cielo
c’erano poche nuvole,
l’aria era calda e il suo cuore batteva più
velocemente quando aveva Renly
accanto.
«Sì»
acconsentì, seguendolo fuori dall’edificio
scolastico.
«Mi
servirebbe del riposo di tanto in tanto» confessò
lui. Si sedette sugli spalti
del campo da football e inspirò profondamente. «Le
lezioni, il consiglio, gli
esami di fine anno… Non ho più tempo neanche per
guardare un film.»
«Tuttavia
il lavoro che stiamo facendo adesso ci sarà utile in
futuro.»
Renly
ridacchiò. «Tipico di te, Brienne Tarth,
sottolineare l’aspetto onorevole
e vantaggioso di tutto ciò. A
proposito di “vantaggioso”, come sta andando il
ruolo di Ditocorto nel
consiglio studentesco?»
«Baelish?
Fa bene il suo lavoro, riesce sempre a trovare i fondi per organizzare
gli
eventi scolastici. Ha chiesto di potersi occupare personalmente del
prom.»
«Mi
sembra un’ottima idea, se davvero è in grado di
far apparire soldi dal nulla
come si dice.»
«È
così.»
“Le
lezioni, il consiglio, gli esami di fine anno”: tutto
ciò avrebbe dovuto
spronare Brienne ad abbandonare quella pausa e tornare tra le mura
della
scuola, ma poter passare qualche minuto in compagnia di Renly sembrava
quasi un
sogno…
«Ehi,
Renly!»
…
un sogno destinato a finire in fretta.
Brienne
osservò – e quanto poi
se ne pentì –
gli occhi del suo amato illuminarsi senza l’aiuto della luce
del sole o di una
lampadina alogena, mentre si posavano sul ragazzo in pantaloncini corti
che si
era avvicinato agli spalti.
«Loras,
ciao!»
Loras
Tyrell era bello; era
oggettivamente
bello, con i folti capelli ricci ancora bagnati – Brienne
immaginò che avesse
appena finito di svolgere il suo ruolo come capitano della squadra di
pallanuoto – e le guance rasate. La sua era bellezza
femminea, delicata, così
in contrasto con quella di Robert, eppure le sue ammiratrici alla
King’s
Landing High erano lo stesso numero del fidanzato di Cersei Lannister.
Ammiratrici che, stando a sentire le voci, avrebbero fatto meglio a
perdere la
testa per un altro ragazzo.
“Come
avrei dovuto fare io.”
Brienne
si alzò nel momento esatto in cui Loras li raggiunse.
«Scusate,» disse, «ma
devo correre a consegnare questi documenti prima che Jon vada
via.»
«Ah,
già, è vero. Mi dispiace averti distratta dal tuo
compito, Brienne.» Renly le
rivolse una smorfia mortificata.
Lei
avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che era stata felice di prendersi
qualche
minuto di pausa, ma la sensazione di un pugno alla gola glielo
impedì; si
limitò a fare un brusco cenno di saluto a entrambi e scese
gli spalti,
sentendosi una stupida.
Non
doveva dare adito alle chiacchiere che circolavano nella scuola, era un
comportamento da sciocchi: Renly e Loras erano amici da quando il
capitano di
pallanuoto era entrato alla King’s Landing High tre anni
prima e passavano
parecchio tempo insieme, ma questo non significava che fra loro ci
fosse
qualcosa più di una profonda amicizia. Si stimavano
reciprocamente, molto
probabile, e negli ultimi tempi Renly era stato più vicino a
Loras per aiutarlo
nella scelta del college; tutto finiva lì, però,
e quando Renly avrebbe
lasciato la scuola al termine di quell’anno per completare
gli studi in una
scuola estera…
“Abbandonerà
anche me.”
No,
non era questo a cui doveva pensare. Una volta che lui si fosse
trasferito
dalla King’s Landing High, Brienne avrebbe potuto prendere il
suo posto nel
Comitato Avvertenze Scolastiche; questo significava abbandonare il
Consiglio
Studentesco, ma lei era certa che Peter Baelish sarebbe stato un valido
sostituto. Già, non doveva pensare a cos’altro
avrebbe significato dire addio a
Renly, senza sapere dove sarebbe…
Il
suo sguardo fu attirato improvvisamente da una figura che, vedendola
arrivare, si
era nascosta dietro uno degli alberi del cortile. Brienne avrebbe fatto
finta
di niente, se qualche istante dopo non avesse notato una striscia di
fumo
nell’aria. Pur sapendo cosa – o meglio chi
– avrebbe trovato, pur consapevole che poco lontano da
lì Jon Arryn stava
lasciando l’edificio scolastico per tornare a casa, Brienne
fece un balzo per
cogliere sul fatto l’incauto studente.
«Oh,
sei tu! Mi hai fatto prendere un colpo, donzella»
esclamò Lannister con un
leggero sussulto. «Dovresti annunciare la tua presenza, la
prossima volta.»
Brienne
gli strappò la sigaretta di mano, la gettò a
terra e la spense con la punta
delle scarpe. Era adirata. «È vietato fumare a
scuola!» soffiò, fuori di sé. La
cartellina che teneva sottobraccio pareva urlare
“Urgente”.
«Non
lo sapevo, grazie dell’informazione.» Senza penarsi
di lei, Lannister estrasse
un’altra sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e
armeggiò con
l’accendino. «Accidenti, non funziona…
Non è che hai da accendere?»
Doveva portarlo dal
preside, di questo era consapevole; doveva trascinarlo fino al suo
ufficio
senza perderlo un momento di vista, attendere che Hoster Tully
terminasse la
sua ramanzina e affidare quello studente ribelle a un professore
– ma di
professori, ormai, non dovevano essercene più nessuno e
ciò voleva dire che
avrebbe dovuto assistere lei alla
sua
punizione. Gettò un’occhiata al parcheggio: Jon
stava cercando le chiavi della
macchina nella borsa di pelle.
«Non
ho tempo da perdere con te» disse a Lannister,
sequestrandogli pacchetto e
accendino. Fece per andarsene quando lui parlò di nuovo.
«Ehi,
niente preside oggi?»
Continuò
a camminare.
«Mi
stai lasciando andare? E i tuoi
doveri di capo del consiglio?»
Non
doveva ascoltarlo.
«Oh,
là c’è il caro Jon! Potrei raggiungerlo
e dirgli che ti ho beccata mentre
fumavi; d’altronde hai anche il corpo del
reato…»
«Non
ti crederebbe mai» mormorò Brienne, ma stava
cominciando a perdere la pazienza.
«Beh,
ma crederà facilmente alla storia di uno studente scoperto
nell’atto di infrangere
le regole e lasciato andare senza alcuna punizione. Gli
basterà sentire sui
miei vestiti l’odore del fumo…»
«Che
cosa vuoi?» sbottò infine,
inchiodando e voltandosi verso di lui.
Lannister
si strinse nelle spalle. «Solo divertirmi un
po’.»
«D’accordo,
aspetta che vada a parlare con Jon e poi tornerò a
prenderti…»
«Oh,
ma in quel caso io non sarò più qui»
sghignazzò.
«HEADSLAYER!»
Brienne gli diede un colpo con il palmo della mano in pieno petto.
Ormai era
disperata, tra lo stress dei doveri e degli esami, le voci che
circolavano
nella scuola e la presenza costante nella sua vita della persona che
più
detestava al mondo. «Devo consegnare questi documenti a Jon
prima che vada via,
scrivere il verbale della riunione del consiglio, studiare…
Cosa devo fare per
farti smettere?!»
«Esci
con me.»
Sbatté
le palpebre, certa di non aver capito bene.
«Co-cosa?»
«Non
ti sto chiedendo un appuntamento, donzella. Mi dispiace, ma non sei
proprio il
mio tipo. Voglio solo vedere come sei fuori da scuola e magari
sfidarti… che
so, a una partita a bowling?»
Ormai
erano a pochi metri dal parcheggio, ma Jon aveva trovato le chiavi e
stava
aprendo la portiera. Le restava solo una manciata di secondi.
«A
biliardo» decise in fretta. «Alle nove da Flea
Bottom.»
Lannister
storse le labbra in un ghigno divertito. «Non vedo
l’ora.»
*****
Il
Flea Bottom era, molto probabilmente, l’ultimo posto in cui
Jaime avrebbe
immaginato di trovare il capo del Consiglio Studentesco: si trattava di
un
locale malfamato, sul quale circolavano le peggiori leggende
metropolitane e
che veniva frequentato esclusivamente da poco di buono o studenti che
avevano
abbandonato il percorso di studi. Il posto perfetto per il ragazzo che
stava
diventando lui, a pensarci bene: forse Tarth voleva dargli un assaggio
di
quella che sarebbe stata la sua vita se non avesse smesso di fare il
ribelle.
“Ma
ne ho bisogno,” pensò, ispirando il fumo dalla
sigaretta.
Era
il modo migliore che aveva per fuggire, perché lui era strano – malato, degenerato
– e allora a cosa serviva impegnarsi
per diventare l’erede di Tywin Lannister quando ciascuno dei
Sette Dèi giocava
a suo sfavore?
Non
doveva pensarci. Spense la sigaretta e lanciò
un’occhiata alla strada: dovevano
essere le nove ormai e Tarth ancora non si vedeva. Gli avrebbe dato
buca? No,
non era il tipo, era fin troppo onorevole e amante del dovere. Jaime
stava
pensando di avvicinarsi al parcheggio per andarle incontro, temendo che
qualcuno avrebbe potuto aggredirla, ma in quel preciso istante la
“donzella”
comparve all’orizzonte, le mani che riponevano nella borsa un
mazzo di chiavi,
e lui continuò a sostare sulla soglia del locale. Vedendola
incedere con
sicurezza, si chiese anche come avesse potuto pensare che esistesse un
uomo
tanto stupido da cercare grane con quell’enorme orso biondo.
“Cazzo,
se è brutta.”
Per
fortuna aveva avuto la decenza di non mettersi un abito scollato o roba
del
genere – ma, di questo, Jaime fu lieto soprattutto
perché così lei stava
evitando di offrirsi come bersaglio di un mucchio di motociclisti
pronti a
deriderla. Attese che si avvicinasse e le rivolse un sogghigno
compiaciuto.
«Benvenuta,
donzella» la apostrofò con un finto inchino.
«Spero che il posto sia di suo
gradimento.»
«Altrimenti
non l’avrei scelto» si limitò a
mugugnare Tarth, superandolo e facendo il suo
ingresso nel Flea Bottom. Jaime la seguì immediatamente.
Il
locale era rimasto come le due volte in cui lui era stato lì
per prendere una
sbronza: c’era puzza di fumo e una nebbiolina aleggiava tra i
clienti, mentre
una barista piuttosto succinta sui trent’anni si faceva largo
tra di loro,
accogliendo con un sorriso malizioso le pacche sul sedere. Alcuni
uomini ancora
in abiti da operai si stavano concedendo una birra intorno al tavolo al
centro
del pub; il loro aspetto era poco rassicurante, ma ben presto per Jaime
fu
chiaro che non avrebbero fatto del male a una mosca e che, al
contrario, il
proprietario del locale sembrava utilizzarli per impedire agli altri
avventori
di prodigarsi in scazzottate. C’erano diversi tavoli liberi,
ma Jaime preferì
avvicinarsi al bancone e prendere posto su uno degli sgabelli.
“Vediamo
se questa pertica riuscirà a reggersi qui sopra.”
Ci
riuscì, dopo aver barcollato un po’.
«Ti
offro da bere.»
«Posso
pagarmelo da sola, Lannister.»
«Allora
pagati il tuo primo drink, se tieni tanto al tuo stupido orgoglio.
Vorrà dire
che ti offrirò il secondo giro, il terzo, il quarto: bevi
pure fin quanto
riesci a fare entrare in quel tuo gigantesco corpo.»
«Non
devi darti arie solo perché sei pieno di soldi.»
«E
a che serve essere pieni di soldi se non per darsi arie?»
Jaime fece un cenno
al corpulento barista. «Una birra scura. E la gentile
donzella prende…?»
«Un’altra
birra. Chiara.»
Il
barista borbottò qualcosa, apparentemente infastidito, poi
tirò fuori dal lavandino
due bicchieri macchiati e li restituì loro quando furono
pieni di schiumosa
birra nera.
Jaime
ridacchiò. «A quanto pare, devi adattarti al loro
menù.»
Tarth
aggrottò la fronte, ma non replicò;
avvicinò invece il bicchiere al volto, lo
annusò e bevve un sorso della birra.
«Perché
hai scelto questo posto?»
«È
il primo che mi sia venuto in mente pensando al biliardo.»
«Non
conosci altri locali? Devi venire in questa… Senza offesa,
amico» Jaime si
rivolse al barista, che si limitò a grugnire. «Bettola?»
«Qui
non hanno problemi a giocare contro una donna.»
Jaime
scoppiò a ridere. «Mi sembra un’ottima
motivazione: rischio di infezione e di
malattie mortali, norme igieniche neanche prese in considerazione,
pessima
compagnia, ma non ti trattano come una
donzella. Vorrei davvero possedere la tua furbizia, mi
aiuterebbe molto
nella vita. Perlomeno se avessi intenzione di morire giovane e con un
coltello
da macellaio infilato nelle budella.»
Lei
aggrottò di nuovo la fronte, ma scelse di non rispondere
alla provocazione.
Quella serata non si stava rivelando divertente come Jaime aveva
prospettato.
Mandò giù il resto della birra in silenzio,
osservando due operai sulla
cinquantina che si sfidavano a biliardo; la barista succinta
provò ad
abbordarlo diverse volte, fingendo di doversi chinare per pulire il
balcone e
tentando di dargli una bella visuale dell’abbondante seno, ma
Jaime non la
degnò di attenzione.
C’era
una sola donna nella sua vita.
E,
a quel pensiero, ordinò rapidamente un bicchiere di vodka,
lo bevve in un sorso
e lo sbatté sul bancone, alzandosi. «Su, fammi
vedere quanto sei brava.»
Lo
era, brava. Lui non se ne rese conto finché non si accorse
del suo gioco:
sembrava che fosse in grado di reggere una stecca tra le mani, ma senza
conoscere
le regole del biliardo, perché per diversi turni le sue
palle non rischiarono nemmeno
di entrare in buca; solo in seguito Tarth si rivelò
un’ottima giocatrice.
Tendeva le braccia sul tavolo, concentrandosi sullo schema migliore da
attuare,
e dopo un po’ arrivò persino a rilassarsi e a
permettersi qualche sorriso di
scherno da rivolgere a Jaime. Invece che dargli fastidio,
però, quel
comportamento lo fece sentire meglio.
«Mi
concedi una rivincita, donzella? Credo di essere un po’
arrugginito… La mia
stecca è scivolosa, aggiungerei.»
Tarth
si tolse il giacchetto e lo lanciò sulla sedia vicina,
scoprendo le possenti
braccia. La maglietta bianca che indossava enfatizzava ancora di
più le
ridicole dimensioni del suo seno e Jaime si chiese se in quel luogo
nessuno la
trattasse da donna perché la massa di imbecilli che
frequentava il locale non
si era accorta che lo fosse.
«Bella
scusa, Headslayer. Perché non ammetti che una donna ti sta
stracciando?»
«Concedimi
quella rivincita e potrai vantarti che si tratta davvero di
questo.»
Dopo
un paio di tentate rivincite, tuttavia, Jaime cominciò a
irritarsi: “Brienne la
Bella”, come era soprannominata a scuola, impugnava la stecca
con la stessa
attenzione di una spada, tenendola poi ritta davanti a sé
mentre studiava le
mosse del suo avversario e questo atteggiamento lo innervosiva. Si
riteneva
bravo nel biliardo – si esercitava spesso con quello che
aveva in casa, contro
un Tyrion che doveva arrampicarsi su una sedia per tirare - e allora
perché
sembrava impossibile battere Tarth?
«Sai,
donzella, se impiegassi la stessa abilità nel cercarti un
uomo, di sicuro
saresti piena di pretendenti nonostante la tua brutta faccia.»
«Non
mi interessano i pretendenti.»
Ma
Jaime doveva aver colto nel segno, perché le guance della
ragazza arrossirono
lievemente.
«Nessuno
vuole sposare la figlia di un gioielliere?»
insisté, approfittando del suo
momentaneo imbarazzo per mandare un colpo in buca. «Si dice
che gli zaffiri che
vende tuo padre siano i più pregiati della
città.»
Tarth
rimase in silenzio, concentrata sul gioco.
«Eppure
è impossibile che dentro quell’enorme corpo non ci
sia un cuore.»
«Certo
che c’è un cuore.»
«E
non ha mai battuto per qualcuno? Non ti rattrista essere sempre
sola?»
«Non
ti ho mai visto con una donna» sbottò, voltandosi
verso di lui. «Non sfogare la
tua frustrazione su di me come fai sulla scuola.»
Jaime
rimase momentaneamente interdetto. «Frustra…?
Credi davvero che sia frustrato
perché non ho nessuno che mi scaldi il
letto?» Ancora una volta, Tarth non rispose, così
lui continuò: «Le donne che
mi faccio, non le prendo certo da scuola. Faccio un giro in qualche
locale, ne
abbordo una e me la fotto, e il giorno può pure andarsene a
fanculo.»
Non
era vero: l’unica persona di cui gli fosse realmente
importato qualcosa non lo
avrebbe mai degnato di uno sguardo – se non come un fratello.
Lui, però, non
avvertiva il bisogno di soddisfare le proprie voglie con
un’altra donna, stava
bene così; forse avrebbe cominciato, un giorno, ma non ora.
Ora nella sua mente
vagava solo l’immagine di Cersei.
Decise
di allontanare l’attenzione da sé. «E
tu? Qualcuno ha mai avuto il coraggio di
fotterti? Per quanto tempo passi dentro la scuola, gli unici che
potrebbero
farlo sono il vecchio Tully, i professori o i tuoi sudditi
del consiglio… Ah, dimenticavo il piccolo
Baratheon: anche
lui deve aver preso un posto letto nella scuola. Ma quello non
c’è rischio che
ti guardi, è troppo impegnato a farselo mettere dentro
da...»
Qualcosa
lo sollevò da terra e lo spinse contro la parete, facendo
crollare a terra la
stecca e l’ennesimo bicchiere di vodka che stava bevendo. A
pochi centimetri
dalla sua faccia, i denti storti di Tarth gli ringhiavano contro e
Jaime si
aspettò di vedere la sua bocca schiumare.
«Chiudi
quella bocca.»
«Perché?»
la sfidò. «È Renly il ragazzo perbene
che vorresti presentare al tuo paparino?»
«Non
parlare di lui.»
«Gli
hai mai detto che ti piace? No, certo che no: sei fin troppo uomo per i
suoi
gusti.»
«BASTA!»
L’urlo
di Brienne la Bella fece voltare tutti i presenti nel pub, che smisero
di colpo
di ridere e parlare. Jaime la fissò negli occhi azzurri,
improvvisamente serio.
«Non
lo biasimo» mormorò, calmo. «E non
biasimo nemmeno te. Non possiamo scegliere
chi amare.»
Le
stesse parole che gli avevano attraversato la mente qualche giorno
prima,
accompagnate dalla stessa malinconia; quasi non si accorse che Tarth
l’aveva
lasciato andare, che gli aveva rivolto un ultimo sguardo tra il furioso
e il
sospettoso e che infine, dopo aver raccolto il giacchetto e la borsa,
era
uscita dal Flea Bottom. Jaime rimase qualche istante assorto nei propri
pensieri, la schiena ancora poggiata al muro, poi scosse la testa e
decise di
riprendersi e di abbandonare quel locale di merda. Avanzò
verso il bancone e
lasciò una banconota di grosso taglio – neanche
controllò quanti soldi fossero
– alla barista, che lo stava guardando con gli occhi
sgarrati, probabilmente
sorpresa della scena che aveva appena visto.
«Ripagaci
pure il bicchiere rotto e, che ne so, qualche cazzata come i
“danni morali”.»
Gli
operai, invece, si erano immersi di nuovo nella loro conversazione,
come se una
ragazza che urlava contro un suo coetaneo non fosse degno del loro
intervento;
forse avevano visto delle coppie avere delle scenata del genere, forse
non
credevano che una donna avrebbe potuto mai rappresentare un serio
pericolo per
un uomo, a Jaime non importava. Lasciò il Flea Bottom e si
diresse verso la
strada di casa, consapevole che a quell’ora non ci fossero
più autobus e che
avrebbe dovuto farsi una lunga camminata; sperava solo che, al suo
arrivo,
sarebbe stato troppo stanco per passare un’altra notte
insonne a pensare a sua
sorella.
«Non
lo
biasimo.»
Alcune
voci dal parcheggio del locale attirarono la sua attenzione. Jaime si
fermò,
pensò per un momento di proseguire e infine udì
una voce conosciuta gridare:
«Lasciatemi!»
Senza
riflettere oltre, si fiondò verso il parcheggio per scoprire
un gruppo di
cinque uomini ammassato intorno a un gigante dalle fattezze femminili;
per
qualche strana ragione, il gigante stava avendo la peggio, ma
c’era un altro
aggressore poco lontano che imprecava, tenendosi tra le mani il volto
pieno di
sangue.
«Mi
ha spaccato il naso! Quella troia mi ha spaccato il naso!»
La
sua voce raschiata, decise Jaime, non gli piaceva, così si
avvicinò a lui e gli
assestò un colpo dietro la nuca per farlo svenire. Poi
pensò che la cosa
migliore da fare fosse allontanare gli aggressori dalla loro vittima.
«Ehilà,
gente!» urlò, facendoli voltare. «Che ne
dite di lasciar stare la donzella e
farvi offrire qualcosa da bere? La barista mi deve dei soldi.»
Le
labbra spezzate di Tarth si mossero a formare, sorprese, la domanda:
«Lannister?»
Uno
di quegli uomini – quello che sembrava un caprone e che aveva
tutta l’aria di
essere il capo della gang – scrocchiò le dita e si
fece avanti con un sogghigno
divertito sul volto barbuto. «Ehi, ragazzi, il figlio di
papà vuole offrirci da
bere.»
Per
tutta risposta, Jaime sfoggiò il suo migliore sorriso.
«Mi avete riconosciuto,
quindi.»
«Si
sente la puzza di Tywin Lannister lontano un miglio,
ragazzino.»
«Stando
a ciò che si dice di mio padre, dev’essere la
mancetta che mi ha dato ieri.
Allora, ragazzi, cosa ne pensate? Volete un giro di birra?»
Il
caprone scoppiò in una risata sgradevole, rauca, e con un
gesto secco della
mano fece avvicinare i suoi compagni. «Non ci piacciono i
figli di papà»
rispose. «Né tantomeno i Lannister.»
«Come
non detto, speravo potessimo diventare amici. Ehi, donzella, si va a
casa.»
«Io
non credo proprio.»
Jaime
aveva osato troppo: riuscì a schivare il colpo di uno dei
malviventi, ma non fu
in grado di proteggersi dal secondo pugno che volò dritto
contro il suo
stomaco. Fu costretto a piegarsi e il suo avversario ne
approfittò per piantare
un altro colpo contro la sua schiena. Sentì Tarth gridare
poco lontano, ma la
fulminò con lo sguardo per avvisarla di non muoversi:
quell’unica occhiata gli
fece capire che lei stessa era consapevole di non poter fare nulla,
perché si
teneva il braccio destro come se fosse rotto. Il caprone e il suo
gruppo
andarono avanti per un po’, riempendolo di calci alle gambe e
allo sterno,
sputandogli addosso e spingendogli il volto nel fango; Jaime
provò a reagire
per quanto riuscì, ma era impossibile cavarsela uno contro
cinque. E Tarth, per
quanto inutile, sembrava essere sparita.
«Eccoli!»
sentì poi la sua voce gridare.
Gli
operai erano con lei, ma Jaime poté solo immaginarlo,
perché la testa gli
doleva in modo pazzesco e la sua vista era coperta dal fango. Non
riusciva
nemmeno a muovere le gambe.
«Lannister!»
Tarth si chinò accanto a lui, pulendogli lo sporco dal viso
e sollevandogli il
mento per controllare una ferita che Jaime non poteva vedere.
«Stai bene?»
«Non
sono un giocattolo che si rompe facilmente» rispose Jaime con
un accenno di
risata che lo fece tossire.
Il
volto preoccupato e livido di Tarth divenne sfocato, poi scomparve del
tutto.
Prima di tutto, perdonate il preoccupante ritardo con cui aggiorno. Mi
dispiace, ho impiegato un sacco per scrivere questo capitolo, spero non
sarà così anche per i prossimi.
Sì.
Certo.
Voglio proprio vedere, mh.
L'importante è che l'aggiornamento arriverà, su
questo non ci sono dubbi.
Un grazie immenso ad A g
n e, che mi ha dato una mano ache con questo capitolo
nonostante gli impegni in Inghilterra. Ti voglio bene, donna
♥
In questo capitolo (per la precisione nella terza parte) ci sono dei
richiami alla storia originale di Mart- della serie tv. Della serie,
ovvio. Non si può scrivere sui libri *si appunta anche
questo*. Alcune frasi del dialogo fra Jaime e Brienne sono riprese
dalla terza stagione ("I don't blame you" e così via), come
lo sono il tentativo di stupro da cui lui la salva e la vendetta che
subirà. Il capo del gruppetto di assalitori ha l'aspetto di
un caprone a causa della barba appuntita che ha nella serie tv; non
c'entra niente l'originale Vargo Hoat, il Caprone, perché
non si può scrivere sui libri. Pura casualità.
Nella serie tv, Jaime salva Brienne a caro prezzo, ma qui ho preferito
salvargli la mano: trovato che amputargliene una non fosse adatto al
contesto moderno. E poi Jaime mi ha implorato di fargli andare bene
almeno una storia.
Il SAC è il Consiglio Avvertenze Scolastiche americano,
composto da uno studente, due professori e due rappresentanti dei
genitori. Il Flea Bottom è un richiamo al Fondo delle Pulci
che nella serie tv dev'essere certamente stato nomintato.
Sì, di sicuro. Non mi baso sui libri.
Grazie a tutti per avere atteso e per aver letto anche questo capitolo,
grazie anche a chi ha messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite
o l'ha recensita ♥
A presto!
Medusa,
a Lannister
|
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Capitolo 3 *** Capitolo secondo ***
Capitolo
secondo
A
Jaime non piaceva rimanere a casa: era la prima volta, in sedici anni
di vita,
che era costretto a passare le giornate in camera sua, senza poter
neanche
lasciare il letto e prendersi da bere in cucina.
Un
braccio ingessato, frattura allo sterno e lividi lungo tutto il corpo
– perfino
su quel bel faccino che ora, tumefatto e violaceo, è
così diverso dal volto di
Cersei – ecco qual era stata la conseguenza per avere tentato
di difendere una
ragazza dallo stupro. Se contava anche le ore di incoscienza al termine
di
quella maledetta serata, i debiti che Tarth aveva contratto con lui
diventavano
incredibilmente difficili da ripagare. Ma se l’era cercata,
lo sapeva bene:
avrebbe potuto chiedere subito aiuto agli avventori del
Flea Bottom – perlomeno a quelli che
sembravano avere un po’ di sale in zucca – o
evitare di tirare fuori la solita
tiritera sul suo cognome e sui soldi che uscivano dal culo di Tywin
Lannister.
Era una soluzione perfetta per i problemi scolastici, decisamente meno
per quelli
riguardanti dei teppisti di merda.
Teppisti
che – Jaime si era ripromesso – un giorno avrebbe
ritrovato e fatto pentire di
tutti i calci che aveva ricevuto.
Suo
padre aveva insistito affinché il figlio fosse riportato a
casa dall’ospedale
il prima possibile, in modo che ad assisterlo fossero i migliori
specialisti e
non dottorucoli da strapazzo. Jaime non aveva protestato solo
perché era stufo
degli sguardi curiosi degli altri pazienti, che probabilmente si
chiedevano
come mai il figlio del direttore della banca avesse trovato grane in un
postaccio come il Flea Bottom – non che protestare con Tywin
Lannister avesse
mai fruttato qualcosa.
Durante
la mattina Jaime riceveva la visita di un rinomato medico della
città e di una
vecchia infermiera; altre due si davano il cambio il pomeriggio e la
notte, gustando
perlopiù il televisore a ottantaquattro pollici che era nel
salone ed entrando
di tanto in tanto in camera del malato per controllare le sue
condizioni.
Quando Tyrion rientrava da scuola, portava libri e quaderni in camera
del
fratello e faceva i compiti con lui, così da fargli
compagnia, e Jaime era
felice di poter avere qualcuno con cui scherzare.
Aveva
pensato che le parti peggiori della giornata sarebbero state le ore in
cui
Tyrion era dalla fisioterapista e, eccetto l’andirivieni
dell’infermiera di
turno, tra lui e Cersei si sarebbe stagliata solo una parete rossa e
oro; non
aveva però messo in conto le visite della sorella, che
avvenivano sempre quando
Tyrion non c’era. Cersei sedeva sul bordo del letto di Jaime
e leggeva dal
tablet le ultime notizie inerenti la politica e l’economia,
per poi informalo
dei pettegolezzi che giravano a scuola riguardo la sua disavventura. Un
giorno
gli disse che aveva fatto in modo di metterli a tacere,
perché era stufa di
sentir sussurrare malignità su di lui. A volte restava nella
stanza per un’ora
intera, mettendo da parte temi e compiti e i preparativi per il prom, e
a Jaime
piaceva vederla sorridere, seduta sul letto o sul davanzale della
finestra con
un libro in mano: sembrava che Cersei sapesse che la sua sola presenza
lo
allietava più di qualsiasi altro visitatore, ma non poteva
immaginare quanto al
contempo si sentisse teso e frustrato per un amore che non avrebbe mai
potuto
soddisfare. Quando sua sorella andava via il dualismo delle sue
emozioni
raggiungeva l’apice, perché Cersei lo salutava
sempre con un bacio sulla
guancia, a volte casualmente vicino alle labbra, accarezzandogli i
capelli
biondi.
Ogni
tanto, quando i compiti di capo del Consiglio Studentesco le
permettevano un
pomeriggio di tregua, anche Tarth veniva a fargli visita. Tyrion gli
aveva
raccontato che “quel donnone di due metri” non
aveva voluto lasciare l’ospedale
finché non l’avevano tranquillizzata sulle
condizioni di Jaime; lui non
stentava a credere che potesse essere la verità e non
perché si fidava
cecamente, come sempre, delle parole del fratello minore, ma
perché non si
aspettava niente di meno da una ragazza onorevole come Brienne la Bella.
Durante
la sua prima visita, Brienne aveva dei punti sopra l’occhio
destro e il braccio
ingessato come il suo, ma quel pomeriggio di metà maggio
almeno la ferita sul
volto sembrava essere guarita. Arrivò mentre Tyrion faceva i
compiti e Cersei
era fuori con le amiche.
«Dunque…
Mi è stato chiesto di fare un tema sulla mia
famiglia.» Suo fratello si grattò
la testa, guardando la pagina bianca del quaderno come assorto in una
profonda
riflessione. «“Mio fratello è ok, mia
sorella è una stronza e mio padre caga
oro.” Che ne dici, può andare?»
Jaime
sghignazzò. «Un’ottima sintesi, ma forse
sarebbe meglio evitare l’ultima parte:
non vorrai che i tuoi compagni vengano a frugare nei nostri
cessi.»
«Per
il Sette Dei, non lo vorrei mai!» si finse scandalizzato
Tyrion. «Ne andrebbe
del buon nome della nostra famiglia… E per di più
papà non avrebbe un posto
dove cagare nel caso gli scappasse qualche lingotto! Che ne dici di
“il mio
amato padre ci delizia ogni giorno col suo olezzo
dorato”?»
«L’oro
è un colore, Tyrion.»
«Ma
ha un suo profumo.»
«Touché.»
In
quel momento una delle infermiere – rugosa e sulla mezza
età, come se Tywin
temesse che suo figlio rimanesse a letto per così tanto
tempo da dover
ripiegare su una donna di un ceto sociale molto più basso
– bussò alla porta e,
all’assenso di Jaime, introdusse un visitatore nella camera.
«Ha
ospiti, signorino.»
“Signorino”:
Tyrion ridacchiò, illustrando perfettamente ciò
che anche Jaime pensava di
quello sciocco appellativo.
«Falla
entrare, grazie.» Con le infermiere Jaime cercava di
mostrarsi gentile, perché
sapeva che trattare bene loro e non i professori avrebbe fatto
infuriare suo
padre – e lui si era appena reso conto di avere una vena
masochista.
Aveva
visto il faccione lentigginoso di Tarth dietro la schiena
dell’infermiera. Il
capo del Consiglio Studentesco entrò nella stanza,
stringendo tra le braccia
una pila di quaderni che Jaime intuì essere gli appunti
delle lezioni che stava
perdendo.
«Buon
pomeriggio, donzella» la accolse. «Posso
presentarti mio fratello Tyrion? Non
credo vi siate mai incrociati nella mia stanza.»
Tyrion
scese dalla sedia e si avvicinò a Tarth per stringerle la
mano. «Ci siamo visti
all’ospedale, ma non mi sono presentato. Tyrion Lannister,
piacere.»
Jaime
fu divertito dall’espressione della ragazza: Tyrion aveva
dieci anni, ma il suo
comportamento spingeva gli sconosciuti a pensare che fosse la sindrome
di
nanismo a farlo apparire, oltre che basso, anche così
giovane. Tarth rispose
comunque alla stretta di mano, parlando al bambino come se fosse in
presenza di
una persona della sua età.
«Il
mio nome è Brienne Tarth e il piacere è
mio.»
Tyrion
parve compiaciuto dal modo in cui gli si era rivolta e rispose con un
sorriso.
«Che
cosa porti, donzella?»
Brienne
si avvicinò al letto e poggiò i quaderni sul
comodino. «Gli appunti delle
materie che non stai seguendo. Gli esami sono vicini e potrebbero anche
permetterti di farli a casa, se…»
«Non
hanno rinunciato a bocciarmi e basta, vero?»
«Non
sapendo che tuo padre potrebbe fare pressioni sul SAC.»
«Divertente
questa» si intromise Tyrion. «Tutti i tuoi
“Lo dirò a mio padre” si sono
dimostrati un’arma a doppio taglio.»
«Se
mi promuovono o mi rimandano non mi cambia niente.» Jaime
sollevò l’unica
spalla libera. «Basta che mi lascino in pace.»
«Stai
diventando un cliché, fratellone.»
Notò
che Tarth stava trattenendo un sorriso e si chiese se avrebbe chiesto
ripetizioni a Tyrion per riuscire a chiudergli la bocca. Poi lei si
voltò verso
di lui e studiò i lividi che aveva ancora sotto gli occhi e
sul collo.
«Come
stai?»
«Potrebbe
andare meglio, ma sto tornando a essere bello come prima. Non voglio
rischiare
di farmi vedere a scuola con te e costringere i nostri compagni a
chiedersi chi
dei due sia il bello e chi la bestia.»
«Tornerai
a scuola prima della fine dell’anno, quindi?»
«Non
ne ho idea, ma a settembre sarò di nuovo lì per
farti dannare.»
«Studia»
fu l’unica cosa che parve venire in mente a Tarth.
Già, Tyrion doveva proprio
darle delle ripetizioni. «Biologia ha spiegato molto, ma ho
fatto degli
schemi…» Nella fretta di prendere il quaderno
dalla pila sul comodino, Tarth
fece cadere una cornice. La raccolse e la scrutò.
«È
la prima volta che ti vedo insieme a tua sorella. Siete quasi
identici.»
Con
il braccio ancora funzionante, Jaime le strappò la cornice
dalle mani. Si
accorse che Tyrion aveva aggrottato le sopracciglia, sorpreso.
«Ci
credo, siamo gemelli. E ora sei
pregata di tenere le mani a posto.»
Non
avrebbe voluto essere scortese, ma era stufo di sentirsi dire quanto si
somigliassero lui e Cersei. La gente pensava che fosse un complimento,
ma per
Jaime il motivo di quella straordinaria somiglianza era solo una
dannazione.
*****
«Hai
visto com’era figo Loras oggi?»
«L’ho
visto mentre si allenava con la squadra, è
così… sexy.»
«Oooh,
quanto vorrei che mi invitasse al ballo!»
Cersei
sospirò. Probabilmente suo padre, per ottenere gli agganci
che avevano fatto di
lui l’uomo più potente di King’s
Landing, aveva dovuto fin da giovane sorbirsi
pranzi d’affari e partite di golf con gente con la quale non
avrebbe neppure
parlato, se non fosse appartenuta al suo ceto sociale, ma Cersei
credeva che
non poteva in alcun modo avere incontrato persone più noiose
e scoccianti di
Lysa e Walda. Passavano il tempo a cianciare sui belloni della scuola,
fantasticando su quali di loro le avrebbero invitate al ballo e quale
abito
avrebbero indossato.
Sfogliò
distrattamente la rivista che stava tentando di leggere.
«È gay.»
Walda
si interruppe, l’espressione sognante distrutta da un paio di
parole lapidarie.
«Scusa?»
«Loras
Tyrell è gay, lo sa tutta la scuola.»
Lysa
ridacchiò e Cersei si chiese se fosse più stupida
di quanto pensasse – e la
riteneva più stupida della cameriera di Casterly Rock che
lei stessa aveva
fatto licenziare, perché quell’idiota non si era
presa neanche la briga di
attendere che una Cersei di otto anni fosse uscita dalla sala da pranzo
prima
di mettersi a frugare tra l’argenteria.
«Sei
una forza, Ce!»
“Cersei.
Mi chiamo Cersei. E tu farai meglio a ricordartelo, se non vuoi che ti
faccia
tagliare la testa e la appenda sulle punte del cancello di Casterly
Rock.”
«Non
era una battuta, Lysa.»
«Ma
dai, Cersei. È solo la voce messa in giro da qualche
maligno» commentò Walda,
sistemandosi sulla testa un anello di carta come se fosse una corona.
Cersei
la fulminò con i suoi occhi verdi. «Pensi di avere
qualche possibilità di
essere nominata reginetta?»
Walda
avvampò vistosamente e si tolse la finta corona, per poi
chinare imbarazzata il
capo. «N-no, scusa… Volevo solo vedere che
ef-effetto avrebbe…»
«Goditi
quella tiara di carta, perché non ne vedrai
altre.» Cersei scavallò le gambe e
si alzò dalla sedia. «Dov’è
la vodka?»
«Cersei,
non dovremmo bere così presto…»
«Non
vuoi essere una ragazza cattiva?»
La
smorfia maliziosa sul suo volto convinse Lysa e Walda a scambiarsi
un’occhiata
complice, per poi correre a estrarre dall’armadio una
fiaschetta argentata
molto capiente. Ne versarono mezzo bicchiere per ciascuna di loro, ma
Cersei
fece segno di volerne ancora, così Walda fu costretta a
svuotare la fiaschetta.
In un attimo la reginetta della scuola fece scomparire gran parte della
vodka.
«Cos’hai,
Cersei?» le chiese Walda, che fingeva di apprezzare quel
liquido trasparente
sorseggiandolo lentamente. «Oggi sembri piuttosto
tesa.»
Cersei
fece ondeggiare la vodka nel bicchiere, in silenzio, e Lysa ne
approfittò per
rispondere al posto suo. «Mia sorella ha visto Rhaegar ieri!
Non voleva
dircelo, faceva tutta la misteriosa, ma l’abbiamo sentita
parlare con Ned al
tel-»
«BASTA!»
Lysa
si interruppe, spaventata dal rumore del vetro che sbatté
sulla sua scrivania.
«Le
stavo solo dicendo…»
«Se
avessi voluto che Walda sapesse questa storia, le avrei
risposto.»
«Perché
non potevo saperlo?»
«Già,
perché?»
La
lingua di Lysa stava diventando un problema: parlava troppo e le
rivolgeva
spesso frecciatine condite da uno sguardo indagatore e vagamente
appagato.
Credeva che fosse così facile trovare un punto di cedimento
in Cersei? Non
gliene avrebbe data la soddisfazione.
Rhaegar
Targaryen e Lyanna Stark si erano fatti vedere in città.
Dopo tre mesi dalla
loro fuga, si erano deciso a comparire a casa del vecchio preside della
King’s
Landing High; Hoster Tully era a cena da Aerys e Rhaella Targaryen per
informare
il suo amico delle novità apportate al sistema scolastico e
Catelyn, la sua
figlia maggiore, lo aveva accompagnato – Lysa non aveva
voluto andarci, si
annoiava in occasioni del genere e Cersei si era chiesta se non sarebbe
stato
meglio, per lei, avvicinare Catelyn al posto di quell’idiota
della sorella
minore. Poco prima che venisse servito il dessert, la cameriera aveva
annunciato, visibilmente agitata, che i signori avevano altri due
visitatori.
Catelyn
aveva appena accennato alle urla di Aerys, che aveva spinto lei e il
padre a
congedarsi in fretta, ma si era soffermata sul particolare che credeva
fosse
più importante per Ned Stark: il pancione di sua sorella.
Cersei
non sapeva che Lyanna fosse incinta; non lo sapeva nessuno, neppure
Catelyn a
giudicare dalla preoccupazione che Lysa aveva sentito nella sua voce
– Lysa era
così stupida da poter scambiare un tono euforico con del
nervosismo, ma Cersei
pensava che questa volta avesse ragione. Quella notizia
l’aveva fatta andare su
tutte le furie: Rhaegar era il suo
fidanzato, il loro matrimonio era già stato deciso quando,
da un giorno
all’altro, quel bastardo era fuggito con Lyanna Stark! Jaime
si era preso il
merito di aver fatto andare via dalla King’s Landing High il
preside Aerys, ma probabilmente
Tywin non avrebbe compiuto un atto così decisivo contro
quello che avrebbe
dovuto diventare suo suocero se il nome dei Lannister non fosse stato
infangato
con un fidanzamento rotto all’improvviso.
Rhaegar
era il ragazzo più popolare della scuola – bello,
intelligente, eccelso in
tutti gli sport che aveva praticato – e stare con lui era per
Cersei la cosa giusta; quando si
era vista
rifiutata per una ragazzina insulsa come Lyanna non aveva perso tempo a
piangere, ma aveva subito indirizzato la propria rabbia verso Robert
Baratheon,
che a sua volta aveva sperato di avere qualche possibilità
con la sorella del
suo migliore amico, della quale era innamorato da anni.
«Non
possiamo permetterci di essere messi da parte» gli aveva
detto e Robert, seppur
riluttante, aveva infine accettato la sua proposta.
Cersei
sapeva che il suo ragazzo passava gran parte del tempo a destreggiarsi
tra
altre donne, nella speranza di togliersi dalla testa Lyanna, ma
l’unica cosa
che contava per lei erano le apparenze. I Baratheon erano un importante
partito
e dal momento che Stannis studiava ad Asshai e che Renly sembrava
più che
convinto dei propri gusti sessuali – qualunque fossero le
dicerie su lui e
Loras che Lysa e Walda consideravano solo come diffamazioni –
l’unica scelta
disponibile era Robert, che al contempo era anche il più
popolare tra i tre
fratelli. Non l’avrebbe mai amata come amava Lyanna, allo
stesso modo in cui
Cersei non lo avrebbe amato come Rhaegar – che l’aveva
tradita, aveva messo incinta un’altra mentre erano
ancora
insieme – ma l’amore non era essenziale nella sua
scalata al successo.
«Cersei?»
Si
riscosse dai propri pensieri. «Non voglio parlare di
loro.»
Walda
si sporse verso di lei, sinceramente preoccupata. «Sei ancora
innamorata di
Rhaegar?»
«Innamorata?»
Cersei la scansò con un movimento secco del braccio.
«Come ti viene in mente?»
«Già»
si inserì Lysa. «Non potrebbe stare con Robert, se
amasse ancora un altro.»
Il
suo orgoglio ricevette un colpo affilato come l’affondo di
una spada. Non
voleva che qualcuno pensasse che lei fosse ancora innamorata di Rhaegar
– non lo era, non lo era, non lo era
– ma
neanche che fosse così volubile da averlo dimenticato tanto
in fretta. L’amore
non era importante per lei, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa senza
pensare ai
sentimenti dell’altra persona.
«Qualsiasi
cosa» rifletté ad alta voce.
«Come?»
Cersei
scosse la testa e sollevò il mento, cercando di riparare
quell’orgoglio ferito.
«L’amore non guida le mie azioni. Potrei fare
qualsiasi cosa e farla passare
per amore.»
«Qualsiasi?
Allora bacia il professor Pycelle!» la sfidò
Walda, ridacchiando divertita.
«No,
aspetta.» Il lampo che balenò negli occhi di Lysa
non prometteva niente di
buono. «Ho un’idea migliore.»
*****
«…e
l’organizzazione del prom spetta a Petyr Baelish.»
Alle
parole di Brienne, Petyr si alzò e si portò una
mano al petto, sorridendo in
quel modo mellifluo che a lei dava il voltastomaco.
«Cercherò di svolgere al
meglio il mio ruolo. Spero solo che alcuni di voi possano darmi una
mano… Cat,
cosa ne dici? Posso contare su di te?»
Catelyn
raccolse le fotocopie che aveva fatto per la riunione e
aggrottò la fronte. «A
cosa posso esserti utile?»
«Il
menù della serata ha bisogno di essere esaminato da un
occhio femminile. Se
vuoi, posso portartelo stasera a casa…»
«Stasera
ceno da Ned, ma puoi lasciarlo a Lysa. Ti aiuterò
volentieri.»
«Oh.»
Petyr si attorcigliò il pizzetto. La sua esclamazione era
apparsa come un suono
deluso, ma il volto ancora sorridente non lasciava trasparire nulla di
simile.
«D’accordo, lo affiderò a Lysa. Sono
certo che sarà felice di vedermi.» Disse
l’ultima frase a bassa voce, tanto piano da poter essere
udita solo da Brienne
che era in piedi accanto a lui e stava raccogliendo le sue cose;
sembrava
parlare tra sé e sé.
Brienne
non lo degnò di un secondo sguardo, consapevole che
Ditocorto era in grado di
mascherare qualsiasi emozione, e dopo aver salutato gli altri membri
del
Consiglio Scolastico si diresse verso l’ufficio del
counselor. Controllò
l’orologio e decise che, quel pomeriggio, non sarebbe andata
a trovare
Lannister. Si era recata spesso da lui per un misto di sensi di colpa e
rispetto verso la persona che l’aveva salvata da… non voleva neanche pensarci. E ora, al
termine della scuola e con
l’esame finale alle porte, avrebbe dovuto rendere quelle
visite meno frequenti,
ma ancora non se la sentiva: Lannister giaceva nel suo letto e di certo non passava le giornate a
studiare, e lei che era in debito nei suoi confronti doveva aiutarlo a
prepararsi per gli esami nonostante il poco tempo disponibile a
entrambi. Però
quel giorno aveva avuto la riunione del Consiglio Scolastico e doveva
ancora
andare a parlare con Jon, quindi era costretta a rimandare. Quel
pensiero le
strinse inspiegabilmente lo stomaco.
Bussò
alla porta del counselor e si portò una mano alla ferita
sopra l’occhio, che le
doleva ancora a tratti. Lannister aveva rischiato la vita per correre
in suo
soccorso… Con i suoi modi stupidi e insolenti, certo,
però l’aveva tratta di
impaccio quando lei ne aveva avuto bisogno. E, ancora una volta,
ricordò di
essergli debitrice.
«Avanti.»
Brienne
entrò nell’ufficio e attese di fronte alla
scrivania, mentre Jon le dava le spalle,
intento a sistemare qualcosa sugli scaffali.
«Ah,
Brienne, sei tu.» Jon le sorrise, affabile. «La
riunione è andata avanti per le
lunghe?»
«Sì.
Gli ultimi giorni sono i più impegnativi.»
«Siediti,
siediti!» Raccolse le mani sotto il mento e la
guardò attentamente. A Brienne
parve che si soffermasse sulla ferita che si stava cicatrizzando.
«Come va il
braccio?»
«È
guarito, non era una frattura grave.»
«Brutta
storia, gran brutta storia… Stai bene adesso?»
«Sì.»
Era
strano il modo in cui Jon la stava fissando, come se attendesse
un’ulteriore
risposta; alla fine, il counselor si sistemò gli occhiali
sul naso e aprì la cartellina
che aveva poggiato sulla scrivania. «Allora… sei
interessata alla Law School, a
quanto vedo. Qui a King’s Landing ne abbiamo una molto
valida.»
«Non
punto a quella.»
«Già,
lo immaginavo. Il tuo sogno è la Sunspear di Dorne, non
è vero?»
Brienne
annuì. «È la più
valida.»
«Ti
ci vedo, sai, a studiare legge. Sei inflessibile, una persona su cui si
può
sempre contare.» Jon attese ancora che lei parlasse, ma non
lo fece. «E tu ce
l’hai, qualcuno su cui contare?»
«Come?»
Brienne aggrottò la fronte, sorpresa, e Jon le rivolse un
sorriso di
incoraggiamento.
«Gli
studenti contano su due persone: te e Renly Baratheon. Ma lui
– non so se hai
saputo – è intenzionato a frequentare
l’ultimo anno in un’altra
scuola…»
Deglutì
e annuì un’altra volta. Quel pensiero le dava la
nausea, la faceva sentire
spaesata.
«Certo
che lo sapevi, era ovvio… Sai anche di essere la studentessa
più quotata per
prendere il suo posto? Dovrai lasciare il Consiglio Scolastico per
entrare nel
SAC, ma questo non significa un impegno di meno conto; al contrario,
oltre gli
studenti anche il personale della King’s Landing High
conterà su di te.»
«Lo
fanno già» disse, pensando al ruolo di
spaventapasseri che svolgeva per il
preside.
«Senza
contare la tua media, che è inferiore solo a quella di pochi
altri… La scuola
ti porta come un esempio. Sei – ripeto – una
persona su cui si può contare per
qualsiasi cosa. Ma è difficile sopportare una tale pressione
da sola. Hai
qualcuno con cui confidarti? Qualcuno con cui parlare delle tue
aspettative, dei
tuoi sogni? Del tuo futuro?»
«Tu
sei qui per questo.»
Jon
scosse la testa, sorridendo ancora. «No, Brienne, io sono qui
per guidarti
nella scelta del college. Sto parlando di un amico. Sei così
impegnata con lo
studio e il Consiglio Scolastico da farmi chiedere –
permettimi la
sfacciataggine – se tu abbia qualcuno con cui passare il
tempo libero.»
«Non
ho… non ho spesso tempo libero.»
«Questo
lo so, ma ne va sempre ritagliato un po’.»
Brienne
si agitò sulla sedia. Pensava che avrebbe parlato con Jon
della Law School, che
lui avrebbe saputo indirizzarla alla scelta delle materie
dell’ultimo anno che
le sarebbero stata più utili per il futuro, non che avrebbe
cercato di
psicanalizzarla. Non era il momento giusto: doveva tornare a casa per
finire i
compiti e… Interruppe i propri pensieri. Già,
nelle sua vita c’era solo la
scuola, ma era fatta così, non poteva mettere tutto da parte
per…
«Torni
sempre a casa dopo le lezioni e le riunioni?» Fu come se Jon
le avesse letto
nel pensiero.
«S-sì…
No, non sempre. Ultimamente faccio visita a Jaime Lannister. Gli porto
gli
appunti.»
«Ah.»
Sembrava interessato a quella notizia, ma non sorpreso. «E
cosa fate? Gli dai
solo gli appunti o parlate anche?»
«Beh…
A volte ci capita di parlare.»
«Della
scuola?»
«Sì.
E dalla sua guarigione.»
«Dimenticavo,
era con te quella sera.»
«Mi
ha salvato la vita.»
«Quindi
vai da lui perché gliene sei grata.»
«Sì,
esatto.»
«Ma
quella sera perché eravate insieme?»
Brienne
si torse le mani, irrequieta. Non le piaceva quel tono da
interrogatorio né lo
sguardo indagatore di Jon. «Dovevo farlo, mi
aveva… ricattata. Niente di serio»
aggiunse subito, con un improvviso senso di colpa per non avere fatto
il
proprio dovere quel pomeriggio di alcune settimane prima. «Ma
ero obbligata a
uscire con lui.»
«Per
quanto tempo?»
«Solo
quella volta.»
«No,
volevo sapere per quanto tempo eri costretta a stare con lui, quella
sera.»
Aggrottò
ancora la fronte. «Non c’era un orario
prestabilito.»
«E
quanto siete rimasti insieme?»
«Due
ore… due ore e mezza, forse. Era molto buio quando sono
andata via.»
«Avresti
potuto tornare a casa prima?»
«Sì,
immagino di sì.»
«Ma
non l’hai fatto. E non gli dovevi ancora niente.»
Ora il sorriso di Jon era
aperto. Il counselor sembrava soddisfatto mentre si alzava e
l’accompagnava
alla porta dell’ufficio. «Ti ho già
preparato un piano di studi per il prossimo
anno, eccolo qui.»
Brienne
afferrò il foglio che le stava tendendo. «Credevo
ne avremmo parlato insieme…»
«Penso
che approverai le mie scelte, e penso anche che un po’ di
tempo libero ti farà
bene. Va’ a trovare il giovane Jaime Lannister, anche se non
dovessi avere
appunti da dargli. Fatevi una chiacchierata, parla del tuo
futuro.»
«Non
mi sembra la persona adatta per un discorso del
genere…»
«È
un perditempo, è vero, e onestamente io
non sceglierei lui per parlare di questioni serie. Ma tu
l’hai già scelto.» Con
un ultimo sorriso enigmatico, Jon la congedò.
«Buona serata, Brienne, e in
bocca al lupo per gli esami finali.»
*****
Si
svegliò verso sera, quando il sole oltre la finestra stava
tramontando.
Avvertiva un peso sul letto e credeva che fosse Tyrion, ma non appena
aprì gli
occhi scoprì che a sedere al suo fianco era Cersei. Era la
prima volta che sua
sorella gli faceva visita mentre dormiva.
«Ehi»
mugugnò Jaime con la voce ancora impastata dal sonno. Si
tirò a sedere per
guardarla meglio: ormai le sue condizioni stavano migliorando ed era
anche
libero di muoversi per casa, di tanto in tanto e con l’aiuto
di una delle infermiere.
«Ciao.» Lo disse con più dolcezza di
quanto avrebbe voluto e sperò che Cersei
interpretasse quella inaspettata tenerezza come la confusione data da
un sonno
interrotto.
Sua
sorella stava sfogliando uno dei quaderni che Tarth gli aveva lasciato;
non
appena udì la voce di Jaime, lasciò andare gli
appunti per concentrarsi su di
lui.
«Come
stai?»
«Voglio
fumare.»
Cersei
gli rivolse una smorfia divertita. «Alzati e cerca le tue
sigarette… Se nostro
padre non le ha già trovate e confiscate.»
«Vorrei,
ma» Jaime si indicò le gambe «da solo
non posso fare niente. Puoi prendermele
tu? Ti do qualcosa in cambio.»
«Come
siamo gentili oggi» notò Cersei, alzandosi. Senza
aspettare ulteriori
istruzioni, aprì il primo cassetto della scrivania.
«È
il sonno.»
«Ecco
qua.»
Jaime
estrasse una sigaretta e se la portò alla bocca, poi ne
porse una a sua
sorella. «Ed ecco a te la tua ricompensa.» Le
accese entrambe e osservò Cersei
aspirare il fumo, cercando di non pensare alle sue gambe accavallate e
coperte
solo da un filo di calze. Erano più vicine di quanto fosse
in grado di sopportare
e dovette fare ricorso a tutta la sua forza di volontà per
evitare di posarvi
una mano.
«Solo
questo? Speravo in un bacio del mio dolce fratello.»
Lo
disse senza malizia apparente, ma Jaime dovette cercare in fretta un
altro
argomento, preoccupato dal battito accelerato e frastornante del suo
cuore.
«Allora,
dov’è Tyrion?»
«Con
la tata, l’ha portato dalla fisioterapista. È
passata anche una tua amica.»
Sollevo
un sopracciglio. «Un’amica?»
«Brienne
la Bella. La Vergine Tarth. O come vuoi chiamarla» rispose
Cersei, fissandolo
intensamente negli occhi verdi. «Le ho detto che stavi
dormendo.»
«Gentile
da parte tua.»
Si
limitò a stringersi nelle spalle, continuando a tenere lo
sguardo sul suo.
«Che
c’è?»
Imprevedibilmente,
sua sorella sussultò e si voltò, agitata.
«Niente.»
«Cersei?»
Sembrava
imbarazzata e si ostinava a non dire cosa la rendesse così
nervosa: di Cersei
Lannister manteneva solo l’aspetto fisico, in quel momento.
Alla fine tornò a
guardarlo e gli posò una mano sui capelli, come faceva ogni
volta che andava
via. Jaime avrebbe desiderato che restasse ancora un po’
– ancora una vita, ancora
un’eternità.
«La
cena è quasi pronta» lo avvertì Cersei.
Lasciò scorrere la mano sulla sua
guancia e il suo tocco scaldò il cuore di Jaime allo stesso
modo in cui gli
strinse lo stomaco; senza riflettere, posò una mano sulle
dita di sua sorella e
strinse le palpebre, assaporando il calore di quel tocco.
Un
istante dopo, un paio di labbra morbide e umide si posarono sulle sue.
Buonciao dopo tanti mesi!
Mi dispiace avervi fatto attendere, ma sappiate che i prossimi capitoli
sono pronti: aggiornerò domenica prossima!
Allora, prima di tutto ringrazio la mia beta A g
n e che è bellissima e bravissima e
levubì ♥ Poooi... Vi è piaciuto il
personaggio di bimbo!Tyrion? È quello di cui mi ha divertito
più scrivere! Il riferimento a Rhaegar e Lyanna era
d'obbligo, ma soprattutto perché non ci riesco proprio, a
non infilare Rhaegar da qualche parte. Non ci sono citazioni
telefilmiche, ma le troverete nei prossimi capitoli; qui posso solo
parlare delle ferite riportate da Jaime, che mi sono sembrate essere il
sostitutivo migliore a un taglio della mano.
Non uccidetemi per il finale. E non uccidetemi per ciò che
accadrà nel prossimo capitolo, perché scriverlo
è stato dolorosissimo.
Con quest'ultima nota allegra vi saluto e vi ringrazio per la lettura
♥
Medusa,
a Lannister
|
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Capitolo 4 *** Capitolo terzo ***
Capitolo terzo
Cersei
allontanò lentamente le labbra da quelle del fratello, che
avevano iniziato a
dischiudersi, e spalancò gli occhi verdi pronta a scoprire
l’espressione disgustata
di Jaime. Era pronta a spiegargli il motivo del suo gesto, prima che
lui si
facesse strane e inquietanti idee su quel bacio, ma ciò che
trovò sul suo volto
fu solo incredulità mista all’abbozzo di un
sorriso.
E
ciò le fece rivoltare lo stomaco dal dolore.
Si
alzò di scatto dal letto, dandogli le spalle, ma Jaime le
afferrò il polso e la
tirò a sé.
“Ti
prego, fa’ che voglia solo una spiegazione. Ti prego, ti prego.”
Avvertì
le dita del fratello scorrere lungo il suo braccio, raggiungere le
spalle,
accarezzare il suo collo e voltargli il viso; con ostinazione Cersei
guardò un
punto fisso del muro, cercando una calma che il suo cuore in tumulto
non voleva
concederle. Le sue guance erano un bollore e la mano di Jaime riusciva
incredibilmente
a rinfrescarla, ma non era quello che lei voleva, no, non lo voleva,
no, non
doveva succedere, no, no, no.
«La
cena è quasi pronta» ripeté, cercando
invano di divincolarsi da quella leggera
presa. Avrebbe potuto alzarsi di nuovo e dargli una leggera spinta
– Jaime poteva
utilizzare un solo braccio e ancora non era in grado di alzarsi dal
letto – ma
l’agitazione non le permetteva di compiere qualsiasi azione:
era costretta a
rimanere seduta lì, con le dita di suo fratello sullo zigomo
e la sua vicinanza
incredibilmente nauseante.
«Devo…
finire i compiti, Jaime.»
«Non
parlare come una ragazzina.» Del tono canzonatorio tipico del
fratello non
restava più niente, in quel momento. Parlò con un
sussurro, cercando un
contatto visivo, per niente preoccupato di un possibile e improvviso
arrivo dell’infermiera
di turno.
Cersei
non voleva guardarlo negli occhi, non voleva costringersi ad ammettere
ciò che
aveva appena realizzato: Jaime che da studente modello si era
trasformato in
adolescente ribelle, Jaime che fumava e beveva e non gli interessava
farlo di
nascosto al padre, Jaime che non portava mai a casa una ragazza, Jaime
che
riteneva Rhaegar e Robert degli imbecilli, Jaime che cercava di
rimanere il meno
possibile da solo con la sorella… E se quella sera, al
parcheggio del Flea
Bottom, il suo gemello non avesse rischiato la vita per difendere
Brienne
Tarth, ma perché voleva farsi del male?
Che
cosa aveva appena combinato lei?
«No,
aspetta. Ho
un’idea migliore.»
Cersei
e Walda rimasero
in silenzio, attendendo la sfida di Lysa. Lei, per tutta risposta, le
osservò
soddisfatta di se stessa per qualche secondo, prima di sorridere in
modo
sgradevole e dire: «Jaime Lannister.»
«Ma
è suo
fratello!» esclamò Walda, storcendo il naso
disgustata. «Era meglio Pycelle.»
«Lo
so, proprio
per questo ho proposto Jaime. Allora, Cersei, pensi di riuscirci? Di
poter –
com’è che avevi detto? – “fare
qualsiasi cosa e farla passare per amore”?»
«Sarebbe
difficile fargli credere che lo ama… È sua
sorella, no? Non ci crederebbe mai.»
«Un
bacio,
allora. Basta quello. Che ne pensi, Ce?»
Cersei
rifletté
in un attimo, guidata dall’orgoglio più che dalla
ragione, e infine rispose:
«Sì, lo farò.»
Si
alzò di nuovo dal letto, con più decisione, ma la
mano di Jaime aveva di nuovo
circondato il suo polso e lei non riusciva a strattonarsi da quella
presa.
«Cersei…»
Incontrò
i suoi occhi – che erano come i suoi, esattamente come i
suoi, verdi e
profondi, verdi e colmi di segreti, verdi e imploranti,
sebbene di desideri diversi – e provò
pietà per lui. E ancora nausea e
disgusto. Erano la stessa persona.
“Siamo venuti al mondo insieme e ce ne andremo
insieme” erano soliti ripetersi
da bambini, ma in che modo Jaime aveva interpretato quelle parole?
Si
scostò i capelli biondi dal volto e cercò di
darsi un contegno. «Mi sono presa
la ricompensa che mi ero aspettata per averti passato le
sigarette.»
«L’hai
fatto solo per quello?»
«Certo
che no, si trattava di una scommessa.»
Le
dita di Jaime si irrigidirono. Cersei capì che doveva
approfittarne, così si
staccò dalla sua presa e decise di distruggere tutte le
speranze che il suo
gemello si era creato nel minuscolo attimo di quel bacio.
«Lysa
e Walda mi avevano sfidata a baciarti, perché avevo detto di
poter fare qualsiasi
cosa e farla passare per amore. Beh, non potevo certo illuderti che
fosse
amore, no? Non ci saresti caduto neppure se fossi stato un idiota, chi
bacia il
proprio fratello per amore?»
“Tu”
pensò, guardando lo sguardo di Jaime riempirsi di rabbia e
vergogna. Portò il
suo sulla mano che lui aveva lasciato andare e che, per qualche motivo,
era
ancora immobile nell’aria, come in attesa di essere presa di
nuovo; cercando di
imprimere in quel gesto tutto il ribrezzo possibile, se la
passò sulla maglietta
per fingere di pulirla.
«Non
hai prove…»
«Cosa?»
Jaime
si morse le labbra, cercando evidentemente un motivo per continuare a
illudersi. «Quelle cretine sono nascoste da qualche parte?
Come fanno a sapere
che hai vinto la scommessa?»
Cersei
si strinse nelle spalle. «Forse si aspettano che tu lo vada a
raccontare in
giro.»
«Non
lo farò» sussurrò Jaime, fissando il
lenzuolo steso sopra le sue gambe.
Cersei
avrebbe voluto correre via dalla stanza, rimanere finalmente sola ed
evitare di
vederlo cadere in pezzi. Era Jaime, diamine, era
Jaime, non un qualsiasi fottuto ragazzo che stava rifiutando,
era solo fratello e lo amava come tale, non voleva fargli del male, non
voleva,
non…
Doveva
fingere che quel comportamento fosse normale. Che anche Jaime stesse
provando disgusto
per quel bacio e che, non appena lei se ne fosse andata, sarebbe
scoppiato a
ridere per quella situazione imbarazzante. Che tutto si sarebbe
concluso lì.
«Vado
a cena, dirò all’infermiera di portarti
giù.»
«Non
serve.» La voce di Jaime continuava a mantenersi bassa, i
suoi occhi puntati
sulle lenzuola rosse. «Mangerò…
mangerò qui.»
«D’accordo.
Buonanotte, Jaime.»
Suo
fratello non rispose mentre Cersei si richiudeva la porta alle spalle.
Inspirò
profondamente e attese che il suo cuore cessasse di battere
all’impazzata
contro la gabbia toracica, prima di presentarsi al cospetto del padre,
che
avrebbe indagato con lo sguardo, chiedendole cosa la stessa
preoccupando. Non
poteva rischiare di tradire il segreto di Jaime, non poteva nemmeno
rischiare
che suo padre ipotizzasse che qualcosa non andasse, no, no, non poteva.
Inspirò
ancora, si stirò la gonna e si diresse verso la propria
camera, decisa ad
attendere il ritorno di Tyrion prima di comparire nella sala da pranzo.
Avrebbe
informato Lysa e Walda della riuscita della scommessa dopo cena, con
tutta
calma. O avrebbe aspettato qualche giorno, fingendo di non essere
riuscita a
trovare Jaime da solo.
Abbassò
le palpebre e le sollevò di nuovo, più decisa di
prima.
*****
Il
caldo era sempre più pressante man mano che la stagione
estiva si avvicinava.
Brienne si passò una mano sulla fronte per asciugarsi il
sudore, poi strinse
tra le braccia i libri che stava portando, preoccupata che le potessero
scivolare a terra. Erano le cinque del pomeriggio e finalmente lei era
riuscita
a liberarsi dagli impegni con il Consiglio Studentesco, impegni resi
ancora più
gravosi dall’avvicinarsi della fine dell’anno
scolastico e del prom; l’unica
cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era correre a casa e
riprendere a
ripassare per gli esami finali da dove si era interrotta quella
mattina, ma poi
un pensiero le aveva attraversato la testa: da quando aveva parlato con
Jon
Arryn, non aveva avuto molto tempo per passare a trovare Jaime
Lannister e
l’unica volta che ci aveva provato, circa una settimana
prima, la sua
bellissima e glaciale sorella le aveva detto che stava dormendo.
Nonostante
la somiglianza tra loro, Brienne stentava ancora a credere che Jaime,
indisciplinato e ribelle per definizione, e Cersei, la ragazza
più corteggiata
della scuola, fossero gemelli. Certo, i loro occhi erano dello stesso
colore –
così come i loro capelli – ma c’era
qualcosa che differenziava il verde di
Jaime da quello di Cersei… Speranza e invidia? Brienne
scosse la testa,
dicendosi di non pensare a cose tanto assurde. Jaime e Cersei
Lannister, come
tutti i gemelli eterozigoti, presentavano alcune differenze tra di
loro, esteriormente
e interiormente, sebbene quelle fisiche fossero più lievi;
non c’era motivo di
perdere tempo a rifletterci.
Quando
giunse di fronte all’imponente entrata di Casterly Rock,
Brienne si chiese se
avesse fatto bene a rinunciare allo studio. La risposta le giunse
immediatamente: “Ho bisogno di fare una pausa dalla scuola e
ho promesso a Jon
che sarei passata a trovare Lannister.”
Solo
che lei non glielo aveva mai promesso.
Suonò
comunque il campanello, attendendo che qualcuno le venisse ad aprire.
“Non
sua sorella” sperò. La vista di Cersei Lannister
la metteva sempre a disagio:
lei era bella, popolare, intelligente e ammirata da tutti i professori
e da
gran parte degli studenti, mentre Brienne era… Brienne.
“La Vergine Tarth.”
Ripensare a quell’appellativo rischiò di farle
rivoltare lo stomaco.
Udì
il suono di qualcosa che veniva strascicato lungo il pavimento, poi il
silenzio
e di nuovo quel rumore. Quando la porta si aprì, Brienne
notò una sedia e, in
piedi lì accanto, il piccolo Tyrion.
«I
miei non sono in casa e io sono minorenne» recitò
il bambino. «Divertente,
potrei usare questa scusa per tutta la vita.»
«Forse
non ti ricordi di me. Sono…»
«…Brienne,
l’amica di Jaime. Non sei un volto difficile da
dimenticare.»
“L’amica
di Jaime”: non era certo la definizione che Brienne si
sarebbe aspettata.
«Sei
solo?»
«C’è
la tata con me, ma stiamo giocando a nascondino e lei crede che la stia
cercando: non ha idea che io sappia già dove si è
nascosta – dove si nasconde ogni
maledettissima volta. Perciò stavo
leggendo un libro in santa pace.» Tyrion le mostrò
il volume che aveva in mano.
«Storia
dei draghi» lesse Brienne. «Tuo fratello
mi aveva detto che ti piacevano i draghi.»
«Già.
Sogno di poterne cavalcare uno un giorno, così da volare
sopra Casterly Rock e
dare fuoco alle chiappe di mio padre. O di mia sorella, ho solo
l’imbarazzo
della scelta.»
Non
aveva mai sentito nessuno parlare in tal modo della propria famiglia,
così si
ritrovò inaspettatamente ad arrossire. Forse Tyrion se ne
accorse, perché le
rivolse un fugace sguardo, ma cambiò argomento.
«Sei
venuta a vedere Jaime, immagino.»
«Sì,
volevo sapere come procedesse la sua guarigione.»
«Domani
gli toglieranno il gesso al braccio. Secondo i dottori, inoltre,
potrà riprendere
a camminare già fra un paio di giorni, anche se
dovrà aiutarsi con le
stampelle. Poco male, almeno potrà godere del suono degli
uccellini. Però» Tyrion
si interruppe mentre la scortava al piano superiore «in
quest’ultima settimana
è stato un po’ strano. Forse gli manchi»
ridacchiò divertito.
Brienne
arrossì prima che potesse rendersene conto.
«Strano in che senso?»
«Oh,
non aspettarti che abbia cominciato a studiare! Rimane in silenzio, non
fa
altro che guardare la televisione e fumare, e un paio di volte
l’ho beccato
mentre beveva una birra che non ho idea da dove abbia preso.
Probabilmente ha
corrotto una delle infermiere: sa essere seducente, se vuole. Siamo
arrivati.
Vi lascio soli, credo sia il momento di andare a cercare la mia
tata.»
«Grazie,
Tyrion.»
Brienne
lo osservò allontanarsi fischiettando, poi bussò
piano alla porta. Nessuna
risposta. Bussò più forte.
«Avanti.»
Quando
entrò fu avvolta dall’odore nauseante del fumo.
Lannister guardava la tv
sdraiato a letto, senza alcuna sigaretta in mano, ma Brienne
immaginò che
avesse passato l’intera giornata a fumare. La
degnò solo di una rapida
occhiata.
«Ah,
donzella, sei tu.»
«Disturbo?»
Il
sorriso mesto che Lannister le rivolse la sorprese.
«Accomodati pure.»
«Tyrion
mi ha detto che domani ti toglieranno il gesso al braccio»
disse Brienne,
prendendo posto sulla sedia accanto al letto.
«E
dopodomani potrò camminare di nuovo. Qualcosa che io non
so?»
Notò
che era infastidito, ma non sembrava che lo fosse dalla sua presenza.
Il
posacenere sul comodino era completamente pieno.
«Vuoi
che lo svuoti?»
Lannister
seguì il suo sguardo. «Non sei la mia
infermiera.»
«Credevo
volessi evitare che lo vedesse tuo padre.»
«Se
fosse stato così, non l’avrei messo in bella
mostra. E mio padre non sale mai a
trovarmi, per la cronaca.»
Brienne
aggrottò la fronte. «Come mai? Dovrebbe detrarre
del tempo dal suo lavoro per farti
visita.»
«Oh,
ma lui è spesso a casa! Rientra alle otto di sera ed esce di
casa esattamente
dodici ore dopo. Ma in quel lasso di tempo non ricorda di avere tre
figli.»
Lannister sbuffò, piegando le labbra verso l’alto.
«E pensare che già un tempo
sembrava averne due. Ora gli è rimasta
solo…» Non concluse la frase, ma si
voltò e cercò sotto le coperte fino a estrarre
una sigaretta. «Passami
l’accendino, Tarth.»
«Fumare
non ti fa bene.»
«E
invece ascoltare le tue prediche lo fa?»
Brienne
capì che non aveva senso discutere, non in quel momento e in
quel luogo: non
erano a scuola e Lannister era libero di fare ciò che
preferiva della sua
salute. Gli passò l’accendino che era sulla
scrivania e l’aiutò ad accendere la
sigaretta.
«Tyrion
mi ha detto che non hai aperto libro in quest’ultima
settimana.»
«Tyrion
deve smettere di fare la spia» replicò Lannister,
ma non sembrava molto
interessato a quella questione. «Dimmi qualcosa che io non
so. Notizie dal
mondo esterno?»
«Fra
pochi giorni ci sarà il prom, ho incaricato Petyr Baelish di
pensare alla sua organizzazione.»
«Oh,
il caro Ditocorto farà un ottimo lavoro. Mi
dispiacerà perdermelo.»
«Sarai
guarito per allora, potresti partecipare e…»
«Sarcasmo,
donzella. Non ho alcuna intenzione di andare al prom.»
«È
l’evento dell’anno.»
«E
io lo salterò: perfettamente in linea con il mio
personaggio. Tu che farai, ci
andrai con il tuo amato Renly?»
Brienne
non si aspettava di sentirlo nominare. Avvampò violentemente
e cercò di
nascondere il volto. Sì, sperava che Renly la invitasse al
ballo; sì, prima di
addormentarsi fantasticava sull’espressione del ragazzo
mentre attendeva che
salisse sulla limousine che aveva noleggiato; sì, sapeva di
non avere alcuna
speranza. Non per questo, tuttavia, parlarne con qualcuno – con Jaime Lannister –
l’avrebbe fatta
sentire meglio.
«Andrò
da sola» si limitò a rispondere. «Mio
padre mi ha preso un abito per la festa e
spera di vedermi indossarlo, non posso deluderlo. Mi
accompagnerà lui stesso.»
Da
come parlò, Lannister non parve avere udito la sua risposta:
«Faresti meglio a
togliertelo dalla testa, donzella» disse, fissando la parete
di fronte. «Non
hai possibilità con lui.»
Lei
arrossì di nuovo. «Non ho mai pensato di
avere…»
Lannister
si voltò per guardarla negli occhi. «Lui si fotte
Loras Tyrell, non è una
stupida diceria.»
Sentire
quelle parole uscire dalla sua bocca fece gelare il sangue a Brienne;
erano
numerose le voci che a scuola giravano su loro due e già in
passato Lannister
aveva dimostrato di crederci, ma ora Tyrion l’aveva definita
“l’amica di
Jaime”, e un amico non sarebbe
mai stato tanto diretto con lei. Non le avrebbe mentito in una maniera
così
crudele.
«Smettila.»
Lannister
scoppiò a ridere di fronte al suo dolore.
«Perché ti ostini a fingere di non
saperlo? Tutta la scuola ne è a conoscenza: quei due scopano
come ricci dalla
mattina alla sera, Renly si fa infilzare dalla spada di
Loras… Scegli tu la
versione che preferisci. Il succo è lo stesso. E se credi il
contrario, se
credi che un giorno Renly si accorga di te e mandi a fanculo il suo bel
capitano di pallanuoto per amor tuo… È arrivata
l’ora di aprire gli occhi,
donzella.»
Non
sapeva cosa dire: era andata da Lannister perché credeva di
fargli un favore,
portandogli gli appunti delle lezioni che stava perdendo, e
perché voleva
ripagare il suo debito con lui. “Ora basta” si
disse. Il debito era stato
pagato.
«Ci
vediamo a scuola.»
Si
alzò, lasciò sul comodino libri e appunti
– non notò che la foto dei due
gemelli Lannister era sparita – e si diresse a passo di
marcia fuori dalla
stanza, lasciandolo con le sue sigaretta, la sua birra e la sua
solitudine.
*****
I
preparativi fervevano all’interno della King’s
Landing High. A pochi giorni dal
prom, Ditocorto guidava il resto del Consiglio Studentesco nella scelta
delle
decorazioni, nella disposizione dei tavoli e
nell’organizzazione delle elezioni
del re e della reginetta del ballo; sovente delegava i compiti agli
altri
studenti, ma quando si trattava di accordi e pagamenti era il solo ad
avere in
mano la situazione.
Renly
estrasse da un scatola di cartone le luci con cui addobbare gli
esterni,
controllando attentamente che nessuna fosse rotta: l’anno
precedente Selyse
Florent era dovuta correre dall’altro lato della
città in cerca dell’unico
supermercato ancora aperto per potere acquistare una nuova confezione
di luci
colorate a poche ore dall’inizio del prom.
Quest’anno avrebbero utilizzato solo
quelle bianche ed era meglio accertarsi con largo anticipo che fossero
ancora
in ordine. Guardandosi in giro, Renly si disse di complimentarsi con
Ditocorto
non appena ce ne fosse stata l’occasione: aveva scelto un
tema davvero originale
per quel prom, nonostante di primo acchito fosse sembrato poco
appropriato.
Tuttavia, di fronte a tutto quel bianco, nessuno avrebbe potuto
obiettare che
“L’inverno sta arrivando” fosse una
cattiva scelta.
«Dove
posso metterlo?»
Renly
si voltò verso Catelyn Tully, che teneva in mano un grosso
cesto di stelle
alpine. «Portalo nella serra insieme alle altre,
così non rischieranno di
appassire.»
Catelyn
annuì e si allontanò, ma prima che Renly potesse
tornare a occuparsi delle luci
un’altra studentessa comparve a chiedergli aiuto.
«Mi dispiace disturbarti, ma
non trovo Baelish…»
«Non
mi disturbi affatto.» Renly rivolse un ampio sorriso al
donnone che gli si era
parato davanti. Nonostante la sua altezza, Brienne Tarth era timida e
per nulla
spaventosa, sebbene a primo impatto apparisse il contrario.
C’era qualcosa in
lei – forse l’indifferenza con cui reagiva alle
derisioni di alcuni studenti –
che suscitava in lui una profonda simpatia. «Di cosa hai
bisogno?»
«Ha
chiamato il catering, vorrebbe sapere a che ora potrà
venire.»
«Accidenti,
questo è un compito per Petyr!» esclamò
Renly prima di scoppiare a ridere. «Ho
provato a sostituirlo, ma ho fallito miseramente. Dev’essere
ancora dal
preside, si staranno facendo una bella chiacchierata… E noi
qui a sgobbare.»
Posò una mano sul braccio di Brienne, che si
irrigidì. La ritirò quasi
immediatamente. “Non ama il contatto umano”
pensò. «Vado a cercarlo, tu di’
pure all’addetto al catering che lo richiameremo noi entro
un’ora.»
Anche
Brienne annuì, ma mentre quell’espressione
concentrata donava a Catelyn una
bellezza riflessiva – o almeno così aveva sentito
chiamarla da Ned Stark – su
Brienne serviva solamente a renderla più grottesca. Era una
piacevole
compagnia, certo, e un’ottima studentesca, però il
suo aspetto giocava
eccessivamente a suo sfavore, dalla corporatura grossa e mascolina alle
lentiggini che le tempestavano il viso. Si chiese se avesse un
accompagnatore
per sabato.
“Verrà
da sola” realizzò. “Le chiederei di
accompagnarmi, se solo qualcuno non
fosse capace di ingelosirsi perfino vedendomi con
lei.”
Lasciò
le luci sopra uno dei tavoli ancora ammassati contro il muro e si mosse
in
direzione della presidenza; Ditocorto si era allontanato
mezz’ora prima per
discutere del volume della musica e delle ultime spese, ma non aveva
ancora
fatto ritorno e Renly immaginava bene perché: Petyr Baelish
era un mago
nell’ottenere ciò che voleva, per cui
probabilmente ora era comodamente seduto
di fronte alla scrivania del preside Tully, con le braccia conserte e
un
sorriso accattivante, muovendo spesso il busto in avanti per illudere
il suo
interlocutore che stessero parlando in confidenza.
Renly
sbuffò e scosse la testa divertito, finché il suo
sguardo non fu attirato da
uno dei numerosi volantini affissi alle pareti: Cersei Lannister
sorrideva
affabile, i lunghi capelli biondi legati in un’elegante
treccia che le arrivava
ai seni. Sembrava avere già in pugno la vittoria e di sicuro
le sue amiche
erano certe dell’inferiorità delle rivali,
perché alcuni volantini erano stati attaccati
sopra quelli di altre ragazze. Catelyn, rifletté Renly, era
veramente l’unica –
esclusa Lyanna Stark, che tuttavia non frequentava più
quella scuola – a poter
competere con lei in fatto di bellezza, ma si era rifiutata
categoricamente di
mettersi in mostra con una campagna per diventare reginetta della
scuola.
D’altro canto, i candidati re non avevano neppure perso tempo
a pubblicizzarsi:
suo fratello Robert e Loras Tyrell erano i favoriti della
King’s Landing High,
però Renly sapeva di avere anche lui un posto alto nella
classifica degli
studenti più popolari. Di certo non l’aveva mai
avuto Stannis, e forse era per
questo che se n’era andato; Selyse, l’unica a cui
fosse veramente importato di
lui, di tanto in tanto si chiudeva ancora in bagno a piangere.
Era
quasi giunto al corridoio della presidenza quando un’ombra
apparve dal nulla e
lo spinse contro gli armadietti.
«Che
cos…?»
Non
fece in tempo a terminare la domanda perché un paio di
labbra carnose coprirono
la sua bocca; realizzando dal profumo che gli arrivò alle
narici chi fosse la
persona che aveva di fronte, Renly la strinse a sé e
ricambiò il bacio.
«Sei
pazzo?» esclamò infine, allontanando il ragazzo e
sorridendogli. Si guardò
intorno. «Qualcuno avrebbe potuto vederci!»
«Mi
sei mancato» replicò Loras Tyrell, imbronciando le
labbra. Aveva ancora addosso
la divisa della sua squadra; Renly si soffermò sulle
goccioline d’acqua che
scendevano dalle punte dei suoi capelli castani.
«Avevi
così tanta fretta di rivedermi che non ti sei nemmeno
asciugato?» lo prese in
giro.
«Fa
caldo, ci penserà il sole. Usciamo in cortile?»
«Non
posso, mi sto occupando del prom. Ditocorto è sparito, devo
trovarlo per
parlargli del catering…»
«Chi
se ne importa, del catering» ribatté Loras,
avvicinandosi per baciarlo di
nuovo.
«Loras,
non qui.»
«D’accordo.»
Si
spostarono nel bagno degli uomini, sperando che nessun studente ne
avesse
bisogno. Di sicuro era molto più appartato del corridoio,
pensò Renly.
Loras
gli passò una mano sulla corta barba. «Ti
preferisco senza.»
«Se
adori i glabri, trovati un bimbetto.»
«È
te che voglio.»
Sapeva
come farlo sorridere, allo stesso modo in cui Renly sapeva che Loras amava vederlo sorridere.
Affondò le dita
nei suoi capelli e gli morse il labbro inferiore, solleticandogli il
collo con
le dita.
«Come
vanno i preparativi?» gli chiese Loras, piegando il capo
all’indietro per
permettergli di baciarlo sotto il mento.
«Alla
grande» rispose Renly in un sussurro.
«Si
sa già chi sarà eletta reginetta?»
«Te
la giochi con Cersei Lannister.»
Loras
lo scacciò ridendo. «Credevo di giocarmela contro
tuo fratello, ma devo dire
che la corona della reginetta mi donerebbe. Godrei anche solo nel
vedere la
faccia di Cersei diventare rossa dalla rabbia.»
«A
quel punto però dovresti ballare un lento con
Robert.»
«Sai
chi vedo come il re?»
Renly
si accorse dello sguardo accattivante che gli stava lanciando.
«Fa’ il serio!
Non potrei mai competere contro mio fratello, è molto
più popolare di me.»
«Gli
studenti ti adorano. Tu fai tutto quello che dev’essere
fatto, però non te ne
compiaci. Saresti meraviglioso come re…»
Loras
concluse la frase baciandolo di nuovo, ma con più trasporto
di prima; anche
Renly si lasciò andare, assaporando quel breve momento di
felicità che si
concedevano di tanto in tanto. Rimasero avvinghiati per diversi minuti,
respirando l’uno il profumo dell’altro, poi Renly
posò una mano sui capelli di
Loras.
«Devo
andare, mi verranno a cercare se non mi vedono
tornare…»
«Vengo
da te stasera.»
«No,
Robert ha invitato Ned e i suoi amici per fare baldoria…
Vediamoci sabato dopo
il ballo.»
«Avrai
casa libera?»
«Meglio:
avrò una limousine tutta per noi.»
Loras
sorrise e lo baciò di nuovo mentre tornavano nel corridoio.
Fu in quel momento
che udirono qualcosa cozzare contro gli armadietti; la testa di Renly
scattò
verso destra, proprio dove Brienne li stava fissando con il volto
completamente
rosso.
«Non
ti vedevo arrivare…» cercò di
giustificarti, tentennante. «Io… È
meglio se
torno in palestra…»
«Brienne!»
«Non
ho visto niente. Non… dirò
niente…»
Dopo
quelle parole si voltò e si diresse a passo svelto verso la
palestra, mentre
Renly e Loras si scambiavano uno sguardo preoccupato.
*****
«Passami
l’ombretto!»
«Dove
l’hai messo? Non lo trovo.»
«Vicino
allo specchio. Su, Walda, sbrigati!»
«Ragazze,
a che ora passerà Robert?»
«Doveva
stare qui dieci minuti fa.»
La
voce controllata di Cersei destò Jaime dal suo sonno. Il
ragazzo sollevò
leggermente le palpebre, scrutando nell’oscurità
della camera; da oltre la
parete alle sue spalle le arrivava il chiacchiericcio di sua sorella e
delle
sue amiche. Non sapeva che ore fossero, era crollato a dormire alle tre
e non
aveva alcuna intenzione di lasciare la sua stanza, nonostante ora le
gambe glielo
permettessero almeno in parte.
Era
la sera del prom e lui era consapevole che avrebbe fatto meglio a
continuare a
dormire – obiettivo facilmente raggiungibile, dal momento che
nelle ultime
notti si era dimostrato difficile per lui prendere sonno.
«Cavolo,
Cersei, quel vestito ti sta d’incanto!»
«Mh.»
«Eh,
Walda? Non lo pensi anche tu?»
«È
magnifico, Cersei!»
«Grazie.»
«Tuo
fratello verrà?»
«Non
credo.»
«Sta
ancora male?»
«È
guarito, riesce a muoversi con le stampelle.»
«E
allora perché non viene al prom? Uffa, Cersei, mi avevi
promesso che mi avrebbe
invitata!»
«Che
diavolo dici, Lysa? Non ho mai detto niente del genere.»
«A
proposito di lui, come…?»
«Hai
preso lo champagne, Walda?»
«Eh?
Dici a me? Sì, certo, l’ho messo in frigorifero,
così sarà fresco quando
usciremo.»
«Hai
intenzione di scolartelo nella limo, Ce?»
«Al
prom ci saranno solo punch e birre analcoliche, e noi dobbiamo
festeggiare a
modo nostro.»
«Ma
prima andremo a cena…»
«Saremo
pronte anche per quella, allora.»
Jaime
rovistò sul comodino in cerca dell’Ipod ed
esultò dentro di sé quando riuscì a
trovarlo; si infilò in fretta le cuffie per evitare di
sentire altro – cosa gli
dava fastidio, la voce di Cersei o la consapevolezza che sarebbe andata
al
ballo con Robert? O le stronzate che dicevano Lysa e Walda?
Impostò la
riproduzione casuale e le sue orecchie furono subito invase dalle note
di The Bear and the Maiden Fair.
Sospirò,
sotterrandosi di nuovo sotto le coperte nonostante il caldo.
Quando,
alcuni minuti dopo, il suo istinto lo spinse a sollevare nuovamente le
palpebre, Jaime notò un raggio di luce sul pavimento, in
prossimità della porta
che, capì, era stata socchiusa. Abbassò il volume
quel tanto che gli bastò per
udire Cersei fare il suo nome.
«Jaime?»
Non
rispose, ma attese ugualmente che le se ne fosse andata prima di
tornare ad
ascoltare la musica. Cullato dalle note si immerse di nuovo nei sogni,
sperando
di lasciarsi l’immagine di sua sorella alle spalle
– non l’aveva nemmeno distinta
nel buio, e allora perché ora poteva vederla chiaramente con
l’abito rosso che indossava,
con i capelli raccolti in uno chignon e i piedi nascosti da un paio di
scarpe
dorate? Nel sogno Cersei non era truccata, non aveva né
rossetto né cipria né
un filo di matita, non le serviva niente per renderla più
bella, perché Cersei
per Jaime era la perfezione. Tutti dicevano che loro due erano uguali,
e allora
perché l’aspetto di Cersei non era corrotto come
quello di Jaime? Forse perché
tutte le cattiverie di sua sorella non avrebbero mai potuto eguagliare
l’orrore
dell’attrazione perversa che Jaime provava per lei?
Cersei
era al prom, in mezzo a decine e decine di persone dalle facce
indistinte, e
ballava con Robert Baratheon, con Ned Stark, con Renly e anche con
Stannis, con
Loras Tyrell e altri numerosi ragazzi che Jaime non riconosceva. Poi,
d’un
tratto, la folla si divise. Al centro della pista apparve una donna
gigantesca
costretta a forza in un vestito rosa molto piccolo per lei; aveva un
fiocco in
testa e si muoveva goffamente sui tacchi, ma dopo qualche passo uno dei
tacchi
si spezzò e lei cadde a terra. La gente scoppiò
in una risata immensamente lunga…
E la ragazza non
poteva fare niente, perché quando cercava di tirarsi in
piedi qualcuno la
spingeva di nuovo sul pavimento, poi cominciarono gli insulti; Jaime
non li
distingueva, ma dall’espressione di lei capì che
dovevano essere terribili.
Di
colpo, infine, le parole si fecero largo nella sua testa:
«Brienne la Bella! La
Vergine Tarth! Brienne la Bella!»
Alcuni
studenti si avvicinarono a lei e le versarono il miele fra i capelli
già biondi
e non importava quando Tarth implorasse, non importava che anche la sua
vista
fosse impedita dal colare del miele, loro continuarono comunque; e,
quando
ebbero finito, acclamarono a gran voce: «L’orso!
L’orso!»
Dal
fondo della sala apparve un orso bruno ancora più grande di
Tarth, che rimase
improvvisamente sola. Tarth correva, sbatteva contro le pareti, cercava
qualcosa con cui difendersi, ma trovò solo una misera spada
di legno. La agitò
contro l’orso pur non vedendolo distintamente,
menò un fendente e poi un altro,
mancò il suo avversario entrambe le volte. L’orso
cercò di toglierle il miele dai
capelli e la sua zampa rimase incollata, così lui decise di
spalancare le
fauci…
Jaime
si svegliò di colpo, respirando affannosamente fino a quando
non si rese conto
che era stato solo un sogno. Tarth… Perché
sognava quella ragazza? Perché dal prom
la scena era passata al combattimento con un orso?
“Perché
il prom è un
combattimento con l’orso,
per Tarth. Perché per fare contento suo padre
indosserà un vestito rosa e si
darà in pasto agli studenti.”
Quell’idea
continuava ad apparirgli assurda, ma poi, d’un tratto
ricordò le parole che
Lysa aveva pronunciato quando lui era ancora nel dormiveglia:
«Lo scherzo per
Tarth funzionerà, non è vero? Mi hanno detto che
è tutto pronto per stasera… Non
vedo l’ora di assistere alla scena!»
Jaime
scostò malamente le coperte, accese la luce e
arrancò verso le stampelle.
Doveva fare in fretta.
Buona domenica primav- ehm, ok, qua fuori c'è un tempo da
Nord. No, direi più da Isole di Ferro. Bella roba.
Come vi è sembrato il capitolo? *schiva i massi* Ok,
d'accordo, Jaime starà soffrendo come un cane, ma... *schiva
altri massi* Certo, anche Brienne starà malissimo,
però... *schiva scoglio* "Soffriranno, ma dopo staranno
meglio!" (cit. necessaria)
Per quanto riguarda le citazioni e i rimandi telefilmici, ne ho
inseriti un paio: uno in bocca (o meglio "mente") di Cersei e alcune
frasi nel dialogo Renly/Loras. Se siete dei veri fan(atici), riuscirete
a scovarli u.u E, beh, neanche a dirlo, ma la scena finale dell'orso.
La prossima settimana pubblicherò l'epilogo, che
vedrà unicamente i POV di Jaime e Brienne, ma
sarà perfino più lungo degli altri capitoli, ehm.
Spero che la storia vi stia piacendo!
Medusa,
a Lannister
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Capitolo 5 *** Epilogo ***
Epilogo
Voleva
solo rimanere a casa quella sera; chiudersi a chiave in camera fingendo
di
stare male, sotterrarsi sotto le lenzuola e leggere un buon libro.
Forse in tv
avrebbero passato perfino un bel film, una di quelle storie
d’azione che
tenevano con il fiato sospeso per due ore e mezza. Già, era
quello che le ci
voleva, non un’altra stupida commedia romantica come quella
che aveva
ingenuamente creduto potesse, un giorno o l’altro,
prospettarsi per lei.
Solo
che per le ragazze come Brienne Tarth non c’era un lieto fine
– men che meno al
prom. Renly non avrebbe ballato con lei e, se anche lo avesse fatto,
avrebbe
pensato tutta la sera a un’altra persona; buffo, avevano
sempre detto a Brienne
che aveva marcati lineamenti mascolini, eppure ora che essere uomo le
avrebbe
fatto comodo sentiva come mai la consapevolezza di essere una donna.
“Che
importa? Avrebbe scelto Loras comunque.”
La
voce di Lannister le rimbombò nella testa: «Non lo
biasimo. E non biasimo
nemmeno te. Non possiamo scegliere chi amare.»
Brienne
affondò il volto nel cuscino, cercando di dimenticare quelle
ultime settimane.
E il suo aspetto virile, e le spalle larghe, e la consapevolezza di
essere più
brava a minacciare un uomo che a farlo cadere ai suoi piedi. Da bambina
aveva
perfino preso lezioni di scherma, dopo che suo padre aveva realizzato
che la piccola Brienne non faceva
una bella
figura in un delicato tutù rosa.
“Se
fossi nata in un’altra epoca, avrei potuto fare il cavaliere.
Avrebbero
comunque deriso una donna in armatura, ma avrei reagito puntandogli la
spada
contro. In un’altra epoca, forse, sarei stata
felice.”
Qualcuno
bussò alla porta; intuendo chi fosse, Brienne si
limitò a mormorare: «Avanti.»
Come
si era aspettata, sulla soglia della camera comparve suo padre.
«Hai una
visita, Bree.»
Brienne
si puntellò con i gomiti sul materasso. Selwyn Tarth, che
era rimasto
profondamente deluso dalla decisione della figlia senza tuttavia
ostacolarla,
appariva ora in preda a sentimenti contrastanti: nervoso, speranzoso,
lievemente
contrariato e allo stesso tempo determinato a essere felice per
qualsiasi
scelta di Brienne.
“Sarà
Baelish” rifletté lei scendendo dal letto e
dirigendosi verso il corridoio. “O
forse Catelyn, ma è più probabile che sia un
uomo, se papà ha riacceso le
speranze di vedermi uscire stasera. Resterà deluso: saranno
venuti a chiedermi
una mano per un problema inaspettato alla festa…”
Smise
di pensare quando raggiunse le scale. Da lì poteva
perfettamente vedere la
persona che era in piedi di fronte agli ultimi gradini, un ragazzo
biondo in
abito elegante che teneva una campanula nel taschino della giacca e che
si
reggeva a una stampella; il visitatore dovette udire i suoi passi,
perché si
voltò verso la scala e fissò contrariato Brienne.
«Non
sei ancora pronta? Quanto ti ci vuole a infilare un abito?»
«Lannister»
mormorò incredula Brienne. «Che ci fai
qui?»
«Ti
porto al ballo» si limito a rispondere lui stringendosi nelle
spalle.
«Non
è uno scherzo divertente.»
«Già,
è proprio uno scherzo. Sai, non vedevo l’ora di
architettarne uno del genere:
buttarmi giù dal letto, uscire vestito elegantemente con una
bella stampella a
coronare la splendida visione di me, noleggiare una
limousine…»
Brienne
spalancò gli occhi. «Una limo…? Dove
hai trovato chi ti noleggiasse una
limousine a quest’ora?»
Lannister
sorrise beffardo. «Sono un Lannister, ricorda. Ottengo sempre
quello che
voglio, e ora quello che voglio è che tu ti infili lo
splendido abito che
sicuramente tuo padre ha comprato per te, che ti metta una costosissima
collana
di zaffiri e che venga al ballo con me.»
«Io…
io non vengo, Lannister. Ho delegato i miei compiti agli altri membri
del
Consiglio Studentesco…»
«Chi
se ne frega: tu verrai come ospite, non come organizzatrice. Non
è d’accordo, signor
Tarth?»
Solo
in quel momento Brienne si ricordò della presenza del padre
alle sue spalle. Lo
guardò e notò un’espressione incerta
sul suo volto, ma quando si rivolse a
Brienne parlò con la sua tipica sincerità:
«Ha ragione. Vai, o lo rimpiangerai
per sempre.»
A
quel punto lei non trovò altra via d’uscita che
tornare in camera ed eseguire
gli ordini. Stentava ancora a credere che suo padre e Jaime Lannister
avessero
unito le forze per spronarla a presentarsi al prom; continuò
a rifletterci
mentre indossava l’abito blu appeso alla finestra, mentre si
sistemava i
capelli corti e calzava un paio di scarpe con il tacco basso. Quando
infine si
guardò allo specchio, pensò di sembrare un
fenomeno da baraccone, ma si fece
forza e scese al piano inferiore.
Lo
sguardo di suo padre non tradiva altro se non orgoglio e per un istante
Brienne
temette di piangere. Concentrò la propria attenzione su
Lannister, che
persisteva a fissarla con quel sogghigno irritante.
«Tieni»
disse Selwyn, prendendo un girocollo di zaffiri e legandolo intorno al
collo
della figlia.
«Papà,
non posso…»
«Hai
ragione: devi.»
Arrossendo,
Brienne lasciò che suo padre facesse il suo lavoro e poi si
voltò per
abbracciarlo. Con la coda dell’occhio notò che
Lannister attendeva in silenzio,
anche lui con un dono nella mano libera.
«Il
braccio è guarito qualche giorno fa, ma rischia di rompersi
di nuovo sotto
tutto questo peso» scherzò, porgendole una scatola
trasparente. «È un corsage.
Va legato sul polso.»
«So
cos’è un corsage.»
«E
allora smetti di fissarlo e indossalo.»
Ma
Brienne continuava a fissare il pacchetto, ora nelle sue mani, senza
accennare
ad aprirlo. Fu Lannister a doverlo fare.
«Santo
cielo, donzella, non sei neanche in grado di accettare un
regalo?» la prese in
giro mentre le legava il corsage
sul
polso destro. «Questo è stato difficile da
rintracciare anche per me, devo
ammetterlo. “Noi non facciamo corsage
con le campanule…” “Voi non farete
più corsage,
se lo verrà a sapere mio padre” ho detto io. Non
che abbia intenzione di
lamentarmi con lui, ma è sempre divertente vedere
l’effetto che quella minaccia
ha sulle persone: mezz’ora dopo le campanule erano state
trovate e il pacchetto
era pronto.»
Brienne
ora si guardava il polso, incredula più che mai, tuttavia si
costrinse a
rivolgersi a Lannister quantomeno per ringraziarlo.
«Lannister, io… io ti
ringrazio.»
«Oh,
quanto sei formale! Avresti potuto farlo in modo più
originale. Prendi questo corsage.»
«Che
intendi dire?»
«Non
mi chiedi perché proprio le campanule?» Lannister
sorrise ancora una volta, ma
ora non c’era niente di beffardo nella sua espressione.
«È un segno di
gratitudine, Tarth.»
Brienne
non seppe cosa dire, ma il volto avvampò. Si girò
verso suo padre e lo
abbracciò ancora una volta per evitare che Lannister si
accorgesse del suo
imbarazzo, poi seguì il suo accompagnatore nella limousine
che aspettava fuori
dalla villa; dovette rallentare quando si accorse di avere superato
Lannister,
che arrancava con la sua stampella, così prese il suo
braccio libero e lo aiutò
a raggiungere l’auto.
*****
Erano
rimasti in silenzio per tutta la durata del viaggio, Tarth che guardava
ostinatamente fuori dal finestrino e Jaime che fissava il sedile vuoto
di
fronte, battendo di tanto in tanto con la punta del bastone sulle gambe
di un
ingombrante tavolinetto. Quando apparvero le luci bianche che
decoravano
l’esterno della scuola, Jaime notò che Tarth
cercava goffamente di sistemare il
corsage, di aggiustarsi la corta
capigliatura bionda e di lisciare le lievi pieghe del vestito.
“Sembra un orso
in abito da sera” rifletté lui. Ma dovette
ammettere che il blu dei suoi occhi
era straordinario.
«Aspetta»
le disse quando lei poggiò la mano sulla maniglia dello
sportello. Attese che
l’autista aprisse il suo, girò lentamente intorno
alla limousine appoggiandosi
alla stampella e, come si conveniva a un cavaliere, aprì la
portiera per
consentire alla sua dama di scendere. «Lasciami fare il
gentiluomo.»
«Non
serviva» bofonchiò Tarth, ma afferrò la
sua mano e lo seguì verso l’entrata
della palestra. Forse non lo lasciò andare perché
temeva che potesse crollare a
terra, appena uscito dalla fase di guarigione, e Jaime le fu grato
perché
sarebbe andata certamente così.
Fu
divertente notare gli sguardi che lanciarono loro gli studenti, fu
divertente
anche vederli parlare l’uno all’orecchio
dell’altro. Com’era possibile che il
rispettabile capo del Consiglio Studentesco fosse venuta al ballo in
compagnia
di un ragazzaccio come Jaime Lannister? E com’era possibile
che lui avesse
scelto come dama una donna così brutta?
“Non
potevo scegliere Cersei.”
Come
era ormai diventata abitudine negli anni e soprattutto negli ultimi
giorni,
Jaime si impose di non pensare a sua sorella e cercò di
concentrarsi sulle decorazioni
del prom.
“Devo
dire che hanno fatto davvero le cose in grande.”
Decorazioni
di ghiaccio artificiale pendevano dal soffitto lungo le finestre,
mentre le
luci bianche che abbellivano anche l’esterno della palestra
erano posizionate
lungo tutto il perimetro del soffitto; i tavoli brulicavano di cibo di
ogni
genere e perfino il punch era di un colore azzurro chiaro. La
combriccola di
Robert Baratheon – di Robert, non di Cersei,
perché non doveva pensare a
Cersei, no – non era ancora arrivata, ma c’erano
già parecchie persone. Quando
Jaime si voltò per chiedere a Tarth se
quell’entrata in scena le fosse
piaciuta, vide che Catelyn Tully stava venendo verso di loro.
«Brienne»
disse, rivolgendo uno sguardo confuso a Jaime. «Non credevo
saresti venuta
stasera. Come stai?»
Tarth
arrossì e Jaime non seppe se fu per una bugia che doveva
essere appena stata
scoperta o per la mano che continuava a stringere la sua.
«Meglio» rispose. «Credevo
di essere influenzata o… o qualcosa del genere. Ma poi
è passato.»
“Che
bugia del cazzo.”
«Ah,
allora è così. Temevo che fosse uno scherzo di
cattivo gusto ideato da Petyr
per essere l’unico ad avere il controllo della situazione
qui.»
«Non
voglio toglierglielo. Sono qui solo come ospite.»
A
quel punto Catelyn lanciò di nuovo un’occhiata
contrariata a Jaime, che per
tutta risposta agitò la mano nella sua direzione e le
regalò un sorriso
gioviale. Forse così avrebbe pensato che doveva essersi
completamente
rimbecillito anche lui, oltre a Brienne Tarth.
«Beh…
Allora vado, devo lasciare al dj la lista delle canzoni per la serata,
stamattina Lysa mi ha messo nella borsa quella sbagliata. Per questa
stupidaggine Ned e io abbiamo dovuto abbandonare la cena prima che
finisse. Allora…
Divertitevi.»
“Non
è certo avara di occhiatacce” pensò
Jaime, cogliendo il terzo sguardo
lancinante che Catelyn gli lanciò.
«Allora,
donzella, ci gettiamo in pista?»
Tarth
lo fissò con quegli incredibili occhi blu, senza tuttavia
dargli una risposta.
«Cosa?»
«Balliamo?»
«Io
non so ballare.»
«Figurati
io, ho tolto il gesso ieri!»
«No,
io… Non voglio ballare, Lannister.»
«D’accordo,
allora andiamo a prendere del punch, vuoi?»
«Lannister.»
Brienne lo fermò prima che procedesse verso il buffet.
Teneva gli occhi fissi
al pavimento. «Perché mi hai invitata al
ballo?»
“Perché
mi incuriosiva sapere che reazione avrebbero avuto i nostri compagni.
Perché
ballare con una stampella non sarebbe stato abbastanza comico.
Perché volevo
vedere un orso in abito da sera.”
«Ti
ho vista in sogno» si limitò a rispondere.
*****
«Brienne!»
Riconobbe
subito quella voce ed ebbe l’istinto di voltarsi prima ancora
di ricordare di
darsi un contegno, di non apparire come se si appigliasse
disperatamente
all’affetto che provava per lui, di serrare le labbra ed
evitare di fissarlo con
un’espressione inebetita e distrutta. Renly le era corso
incontro e aveva il
disperato bisogno di parlarle, a giudicare dal modo in cui la stava
fissando.
Si diede della stupida perché il suo primo pensiero fu di
non avere più le dita
della mano destra intrecciate con quelle di Lannister.
«Renly»
mugugnò imbarazzata, cercando qualcosa da osservare che non
fossero la sua
bocca e i capelli scuri, ma il ragazzo si spostò per poterla
guardare negli
occhi.
«Ho
bisogno di parlarti in privato, posso?»
Brienne
cercò di farsi forza: sapeva benissimo di cosa Renly avesse
urgenza di
discutere e anche quanto male le avrebbe fatto sentirlo –
come se vederlo non fosse stato
abbastanza.
Dando una rapida occhiata alla palestra, si accorse che Lannister
doveva essere
ancora in bagno, perché non si vedeva da nessuna parte,
né nei pressi del
buffet né accanto all’entrata. O forse era uscito
a fumare, fregandosene ancora
una volta delle regole.
Annuì
e seguì Renly nel primo corridoio disponibile.
«Ti
ho cercata ieri…»
«Stavo
male» mentì Brienne, consapevole tuttavia che ogni
bugia le causasse un lieve
rossore sul volto. «Non credevo neppure di venire
stasera.»
«Oh,
mi dispiace. Come stai adesso?»
Perché
Renly era così premuroso? Perché non arrivava al
punto, invece di soffermarsi a
chiederle se fosse guarita? Perché
doveva farla innamorare di sé ancora una volta, come aveva
fatto ogni giorno da
quando si erano conosciuti, da quando il primo anno Brienne era
inciampata nei
lacci delle scarpe e lui era stato il solo, nel cortile della scuola, a
evitare
di ridere e ad aiutarla a rialzarsi?
«Sto
bene, non c’è bisogno di preoccuparsi»
liquidò rapidamente la faccenda.
«Brienne.»
Si
era voltata, evitando di nuovo il suo sguardo, ma si rese conto di
quanto quel
comportamento apparisse infantile, così vomitò le
parole che Renly voleva
sentirsi dire.
«Non
volevo spiarvi, ti stavo solo venendo a cercare dal preside. Te lo
giuro, non
lo dirò a nessuno, sarò riservata.
Io…»
Senza
darle il tempo di accorgersene, Renly la abbracciò.
«Spero
di non essere cambiato ai tuoi occhi.»
“Non
ho più speranze.”
«So
che la gente mormora di me e Loras, ma non voglio che i miei fratelli
ne
abbiano la certezza…»
“Io
ce l’ho, invece, e fa terribilmente male.”
«Deridermi
sarebbe il minimo: so che non accetterebbero i miei sentimenti, so che
mi
darebbero del… malato.»
“Di
malato c’era solo il pensiero che qualcuno potesse
innamorarsi di me.”
«Non
voglio che anche tu mi veda così. Un malato, un
pervertito.»
“Non
potrei mai.”
«Non
potrei mai» ripeté Brienne ad alta voce,
ritrovandosi a ricambiare la stretta
di Renly. Si aggrappò alle sue spalle, cercando di
trattenere le lacrime.
Il
ragazzo la lasciò andare dopo qualche secondo, sorridendo e
accarezzandole i
capelli biondi. «Tengo molto alla tua opinione, Brienne.
Tengo alla tua
amicizia.»
Fu
troppo: Brienne si slacciò completamente dal suo abbraccio,
dandogli le spalle
per impedirgli di vedere i suoi occhi rossi e cercando di riacquistare
un
respiro regolare. «Devo tornare.»
«Io
andrò via, invece. Qui hanno tutto sotto controllo e, per
quanto mi piacciano i
festeggiamenti, c’è qualcuno che mi aspetta. Se mi
eleggeranno, che altri si
predano pure la mia corona. Ti auguro un buon proseguimento di
serata.»
«Bu-buona
se…»
«Ah,
Brienne!»
Consapevole
di essere abbastanza lontana perché lui non potesse
scrutarle bene il volto,
Brienne si girò. «Sì?»
«Chi
è il tuo accompagnatore?»
«Jaime
Lannister» rispose dopo un attimo di esitazione.
Non
si aspettava che Renly avrebbe sorriso e ne fu sorpresa; si
sentì come se le
stesse leggendo nel più profondo della mente, era questa la
sensazione che dava
il suo sguardo. «Sono felice per te.»
Lo
osservò allontanarsi dopo un rapido cenno di saluto con la
mano, finché non fu
uscito completamente dalla sua vista, poi rientrò in
palestra. E rischiò di
scontrarsi con Lannister.
«Dove
ti eri cacciata?» le chiese, aggrottando la fronte.
«Stavo…
cercando una cosa» rispose evasiva Brienne.
«Sai
che quando menti arrossisci? Ehi, cos’hai fatto agli
occhi?»
Con
uno scatto mosse la testa verso destra, in modo da impedire che
Lannister
capisse che aveva pianto. Lui la fissò per qualche momento,
poi le afferrò di
nuovo la mano. «Prima non abbiamo fatto la foto di rito.
Andiamo, ora è libero,
e…» Si bloccò, fissando
l’arco floreale sotto cui Robert Baratheon e Cersei
Lannister si erano appena abbracciati in una posa degna di due
regnanti.
Brienne notò che Jaime aveva serrato la mascella per una
frazione di secondo,
prima di proseguire: «Aspetteremo che abbiano finito. Altro
punch?»
*****
Cersei
volteggiava leggiadra nella pista da ballo, sorridendo al ragazzo che
la teneva
fra le braccia; di tanto in tanto Robert la concedeva senza riluttanza
ad altri
cavalieri e anche a loro lei elargiva sorrisi e sguardi languidi. I
suoi
capelli biondi erano acconciati in un elegante chignon proprio come nel
sogno
di Jaime, con due ciocche ricce che le ricadevano delicate ai lati del
volto.
Al polso aveva una rosa rossa. Per diversi minuti Jaime
dimenticò di essere al
ballo con un’altra ragazza, per un momento ebbe perfino
l’istinto di gettarsi
tra le braccia di sua sorella prima che lei scegliesse un nuovo
cavaliere, ma
lo represse e si voltò verso Brienne.
«Non
avete proprio voglia di danzare, milady?»
«Non
sono una lady.»
«No,
non lo sei. Sei un cocciuto capo del Consiglio Studentesco che sogna
solo di
scappare via da qui»
Tarth
sembrava perfino sorpresa che lui avesse indovinato. Non che potesse
essere
altrimenti: lei e Jaime non erano fatti per vivere a King’s
Landing; in realtà
non erano fatti per vivere tra le persone. Stava per rispondere alla
sua
espressione stupita quando fu interrotto dal fischio che annunciava
l’accensione di un microfono.
«Prova,
prova…» echeggiò tra le pareti della
palestra la voce di Lysa Tully. «Bene,
direi che possiamo cominciare!»
«Abbiamo
cominciato ore fa, stupida gallina» commentò Jaime
a bassa voce.
Tarth,
accanto a lui, aveva aggrottato la fronte. «Dovrebbe esserci
Baelish al suo
posto.»
«Eccoti
servita.» Jaime le indicò il ragazzo tronfio e
soddisfatto che era appena
salito sul palco.
«Il
nostro caro Petyr» riprese Lysa, e dicendo quelle parole
rivolse a Ditocorto uno
sguardo carico di desiderio «mi ha concesso di annunciare il
re e la reginetta
del ballo di stasera.»
“Ma
guardatela: sembra che non veda l’ora di farsi sbattere al
muro da quel
piccoletto!”
«Ho
pensato che fossi la persona più adatta» disse
Ditocorto, donandole un
sorrisetto complice. Le gote di Lysa arrossirono, ma Jaime non
trovò nulla di
eccitante in quelle parole. «Come si suol dire, prima le
signore» aggiunse poi
il ragazzo sul palco. Consegnò una busta da lettera dorata
all’annunciatrice,
che storse il naso vedendo il nome all’interno, ma
immediatamente sostituì il
suo disappunto con un’espressione raggiante che non avrebbe
potuto essere più
falsa di così.
«La
reginetta del prom di quest’anno è…
CERSEI LANNISTER!»
Gli
applausi scrosciarono nella palestra mentre gli studenti più
vicini al palco si
allargavano per fare posto alla reginetta della scuola. Cersei sembrava
ancora
più bella di poco prima, quando per un momento era rimasta
sola e Jaime aveva
esitato, e non si profuse in espressioni meravigliate o in
ringraziamenti
eccessivi mentre raggiungeva Lysa e Ditocorto; salì con
grazia sul palco,
afferrando la mano di Baelish, e sorridendo alla folla attese che la
sua amica
le posasse sul capo la coroncina di veri diamanti: alle
King’s Landing High
amavano fare le cose in grande.
«Vi
ringrazio di avermi scelta» disse Cersei al microfono,
mostrandosi compiaciuta,
ma non troppo. Felice e basta. Poggiò per un istante le dita
della mano
sinistra sulla coroncina, come ad aggiustarsela sulla testa, ma quel
gesto fu
chiaro a chi, come Jaime, la conosceva da una vita: Cersei stava
toccando ciò
che era suo, immensamente soddisfatta di sé, e non aveva mai
avuto il dubbio di
fallire nell’impresa di ottenerlo. «Sono fiera di
rappresentare questa scuola e
ringrazio l’intero Consiglio Studentesco, e in particolar
modo Petyr Baelish,
per la serata di successo che hanno organizzato. E grazie di nuovo a
tutti voi
per averla fatta funzionare.» Elargì ai suoi sudditi un secondo e più largo
sorriso, poi rimase in silenzio,
attendendo che Lysa annunciasse il nome di Robert.
“Pensa
come ci rimarrebbe male se dovesse aprire le danze con Loras
Tyrell” pensò
Jaime. “A Robert non fregherebbe un cazzo, ma a Cersei non
piacciono gli
imprevisti.”
Nonostante
come lo aveva trattato, nonostante quel bacio che per pochi, splendidi
istanti
lo aveva riempito di speranza e che si era rivelato essere solo frutto
di una
scommessa, Jaime non riusciva ad avercela completamente con lei; vedeva
i suoi
difetti come aveva sempre fatto, ma era se stesso che biasimava. Per
l’ennesima
volta, si vergognava di essere la persona che era.
«È
giunto il turno di eleggere il re!» esclamò Lysa
con voce ancora più
squillante. Aprì la busta, gettò una rapida
occhiata al suo interno e annunciò:
«JAIME LANNISTER!»
Non
aveva sentito bene. Tra il brusio della folla che circondava lui e
Tarth, la
voce negli altoparlanti gli era arrivata così indistinta da
fargli credere che
Lysa avesse chiamato il suo nome; eppure gli studenti ora guardavano
nella sua
direzione, sorpresi e in attesa, ma Jaime dovette prima notare lo
stupore sul
volto della sua dama per rendersi conto di avere capito bene.
«Su,
Headslayer, sali sul palco!» lo spronò Lysa,
facendogli segno di raggiungerli.
A
Jaime quella buffonata non piaceva affatto. Non gli piaceva il clima di
festa,
non gli piacevano i poveri idioti costretti a noleggiare limousine pur
di
portarsi a letto le loro dame, non gli piaceva essere al centro
dell’attenzione
per qualcosa di cui non gli fregava niente; si era precipitato a casa
di Tarth
per metterla in guardia dallo scherzo che Cersei e le sue amiche le
stavano
preparando, ma a metà strada aveva deciso di accompagnarla,
se necessario, e di
cercare di non perderla mai di vista in modo da evitarle
l’imbarazzo, quando ne
sarebbe arrivato il momento.
Jaime
odiava quelle buffonate, ma Jaime odiava anche se stesso e ancor
più odiava le
emozioni che le dava stare accanto a sua sorella, per questo non si
fermò a
riflettere mentre avanzava lentamente verso il palco, per questo non lo
sfiorò
l’idea di andarsene da lì senza reclamare la sua
corona.
“Una
corona che non merito” pensò e ne fu certo quando,
finalmente sul palco, vide
con la coda dell’occhio la mascella serrata di Cersei e
udì Lysa sussurrarle
maligna: «Non mi hai fornito prove: me lo devi.»
Jaime
non si accorse nemmeno di chi fu a mettergli la corona in testa, era
troppo
concentrato a guardare Cersei, che ora era tornata a elargire sorrisi
alla
folla sotto il palco. Poi, d’un tratto, sua sorella
incontrò il suo sguardo.
Jaime avrebbe voluto baciarla lì, davanti a tutti, mandando
a fottersi quelle
leggi che gli vietavano di essere felice con lei.
“Ma
lei lo sarebbe, con me?”
«Vuoi
dire qualcosa, Headslayer?» gli chiese Lysa, riportandolo
alla realtà. Alla
consapevolezza che Cersei non avrebbe mai ricambiato il suo bacio, non
importa
quanto affetto provasse per lui.
«Credo
che Cersei abbia già detto tutto» rispose,
sorridendo sornione.
Sembrava
che Lysa stesse godendo di ogni singolo momento passato sullo stesso
palco dai
due gemelli e Jaime ebbe l’impulso di buttarla giù
dal palco. In uno dei suoi
sogni l’aveva fatto, quando Cersei era regina di un vasto
continente e aveva
una relazione incestuosa con il fratello; era stato perfino un bambino
quello
che Jaime aveva spinto giù da un torre.
“E
se l’ho fatto con un bambino, figuriamoci quante volte lo
farei con Lysa
Tully.”
«Diamo
di nuovo inizio alle danze, allora!» esclamò
Ditocorto.
Jaime
dovette poggiarsi a Cersei per riuscire a scendere le scale del palco e
la mano
della gemella sulla sua schiena era calda, così in contrasto
con la sua
abituale freddezza, e quando furono in pista lo costrinse ad
abbandonare la
stampella e a farsi portare da lei.
«Dovrebbe
essere l’uomo a condurre» le fece notare con una
smorfia.
«L’uomo
finge sempre di farlo, ma è la donna a muovere
entrambi» rispose Cersei,
restituendogli anche la smorfia.
Sembra
di guardarsi allo specchio. In un specchio splendido, però,
privo di
imperfezioni e indicibilmente magnifico. Jaime amava quello specchio,
lo amava
con ogni parte del suo corpo, ma era costretto a guardarlo e basta,
come si
faceva con tutti gli specchi. Credeva che avrebbe tremato stando tanto
vicino a
sua sorella, ma la stretta dietro la sua schiena era salda, lui si
sentiva al sicuro. Come poteva? Non
ne aveva
idea, forse stava davvero ballando con uno specchio e non se
n’era reso conto.
«Brienne
la Bella, eh?» chiese infine Cersei dopo diversi minuti di
silenzio in cui
aveva cercato di distogliere lo sguardo dal suo, ostinatamente fissato
su
quegli occhi verdi. «Era l’unica dama disponibile
un’ora prima del ballo?»
«Ero
io l’unico cavaliere rimasto disponibile, per sua sventura. E
suo padre aveva
una tale bella collana di zaffiri da farle indossare che non ho avuto
il coraggio
di costringerlo a lasciarla nella scatola.»
Cersei
storse la bocca, pensierosa, e di nuovo concentrò lo sguardo
su qualcosa che
non fosse il volto del fratello. «Lysa me la
pagherà.»
«Ne
ero certo.»
«No,
Jaime, sono seria, non mi è piaciuto questo scherzetto ai
tuoi danni.»
«Tu
hai fatto di peggio.»
Non
le diede il tempo di ribattere, perché la canzone era
finalmente finita e lui
poté lasciarla andare in mezzo alla pista, zoppicando fino
alla stampella che
Tarth stava custodendo per lui.
*****
Quando
Lannister disse all’autista di accostare, Brienne si
guardò intorno e riconobbe
la strada parallela a quella dove si trovava la sua abitazione; doveva
avere
un’espressione perplessa, perché non appena il suo
cavaliere le aprì la
portiera e la vide le rivolse un sorrisetto beffardo.
«Hai
paura che voglia ucciderti e rubarti il vestito?»
Brienne
scese dalla limousine trattenendo i lembi della gonna,
perché temeva che la sua
inesperienza con abiti tanto femminili rischiasse di rovinare il regalo
di suo padre.
«Perché ci siamo fermati qui?»
«Volevo
passeggiare, ti va?»
Annuì
e lo seguì lungo il marciapiede. Avrebbe potuto trovare
strano il comportamento
di Lannister, se solo non lo fosse stato da quando si era presentato a
casa
sua. Jaime Lannister, l’Headslayer,
era venuto a prenderla con una limousine e un corsage
per portarla al prom: difficile immaginare una scena più
surreale. Quella serata era così strana che raramente
Brienne si ritrovò a
pensare alle parole di Renly e non le venne mai il tremendo desiderio
di
scoppiare a piangere.
«Ti
sei divertita?» le chiese Lannister, camminando con le mani
nelle tasche dei
pantaloni neri. La campanula si distingueva ancora sulla sua giacca e
istintivamente Brienne portò le dita al corsage
stretto al polso.
«È
stata una bella serata.»
«“Poteva
andare peggio”: è quello che stai pensando,
vero?»
«Non
avrei mai pensato di andare al ballo con te»
rivelò Brienne.
Lannister
la guardò negli occhi blu. «Io non avrei mai
pensato di andarci, con te o con
qualunque altra persona. Ma a quanto pare siamo destinati a
sbagliarci!»
Ridacchiò e a lei parve così sinceramente
divertito che azzardò un sorriso.
Camminarono
l’uno a fianco all’altra fino al vialetto
dell’abitazione di Brienne e si
fermarono sotto la porta. Brienne trafficò con le chiavi,
alla ricerca di
quella giusta.
«Tuo
padre è rimasto alzato ad aspettarti?» le chiese
intanto Lannister, appoggiando
una spalla al muro.
«Mi
ha scritto un messaggio: è andato a guardare la partita da
un suo amico, credo
che non sia ancora tornato.» Finalmente trovò la
chiave giusta e la infilò
nella toppa. Quando la ebbe girata, si voltò a guardare
Lannister e si chiese
se si aspettasse di essere invitato dentro; lui, però,
l’anticipò.
«È
ora di andare, non riesco più a stare in piedi.»
Si sfilò la campanula dal
taschino e la porse a Brienne. «Tienila tu, non starebbe bene
nella camera di
un ragazzo.»
Brienne
l’afferrò. «Grazie per la
serata.»
Lannister
la stava di nuovo scrutando negli occhi, in silenzio. Alla fine si
girò verso
il vialetto. «È stato un piacere, Tarth. Metti una
buona parola per me con il
preside, mi raccomando, ché non vorrei ci pensasse mio
padre.»
Brienne
rimase a osservarlo mentre si allontanava e, quando fu quasi sparito
dalla sua
vista, stava per entrare in casa nel momento in cui
dall’altra parte della
strada notò una figura che le faceva segno di raggiungerla.
«Qui!»
stava quasi sussurrando, ma per Brienne fu facile capire cosa le stesse
dicendo. Guardandola meglio, si accorse che si trattava di Walda Frey.
Era sul
marciapiede, accanto a un cespuglio che la nascondeva per
metà, e da come le
faceva segno Brienne intuì che dovesse esserci qualche
problema con il vestito,
perché la ragazza non accennava a muoversi: forse era
rimasta incastrata in uno
dei rami che sbucava dal cespuglio e non aveva voluto farsi vedere da
Lannister
in quelle condizioni. “L’avrebbe presa in giro a
vita.”
Si
avvicinò a lei, domandandosi anche da quando i Frey
abitassero da quelle parti,
ma a metà strada nel vialetto udì il rombo di un
motore.
Due.
Tre.
Sempre
di più e sempre più vicini.
Intorno
a lei comparvero le luci di una dozzina di fari che le puntavano
contro; quando
finalmente riuscì a vedere che cosa stesse fossero,
scoprì dodici o tredici motociclette
che cominciavano ad accerchiarla, salendo perfino sul prato della
villa; Brienne,
spaesata, cercò di ritornare verso la porta, ma
un’altra moto si mise fra lei e
l’abitazione.
Era
in trappola.
*****
Qualcosa
lo fece tornare indietro. L’istinto, il rombo di un motore o
la strana
nostalgia per quella campanula che aveva lasciato a Tarth. Forse fu il
ricordo
delle parole dette da Lysa quando lui era ancora immerso nei sogni,
forse il
desiderio di rivedere la sua dama – per dirle cosa, poi?
Tuttavia,
non appena si girò e tornò a incamminarsi verso
la villa di Tarth, Jaime ebbe
la certezza di avere fatto la cosa giusta: le parole di The
Bear and the Maiden Fair invadevano l’aria.
La
gamba appena guarita gli faceva male, ma Jaime cercò di non
pensarci e camminò
più velocemente, zoppicando e imprecando a denti stretti. La
scena che gli si
presentò davanti, una volta giunto dove aveva lasciato
Tarth, lo fece esplodere
di rabbia.
Una
trentina di studenti era affollata davanti alla villa e cantava a
squarciagola,
incitando con le braccia un gruppo di motociclisti che stava
circondando
Brienne Tarth. Quei teppisti erano vestiti come gli uomini che avevano
aggredito la ragazza al parcheggio del Flea Bottom e Jaime
riuscì perfino a
distinguerne chiaramente un paio, che non si erano nemmeno presi la
briga di
indossare un casco per celare la propria identità.
Avanzò ancora zoppicante
verso alcuni studenti, tra i quali intravide Lysa e Walda, ma non
Robert
Baratheon. E nemmeno Cersei.
“Non
ha mai amato sporcarsi le mani.”
«A bear there was! A bear, a bear! All black and
brown and covered with
hair!»
Afferrò
il ragazzo che sembrava gridare più degli altri e lo
afferrò per il colletto
della camicia; nel farlo, la stampella gli cadde a terra, ma Jaime non
se ne
curò.
“Locke”
lo riconobbe. Era uno studente del loro stesso anno, un poco di buono
che
pensava solo a fare casino.
«Smetti
di correre e comb…» stava per urlare Locke, ma fu
interrotto dall’azione
improvvisa di Jaime.
«Che
cazzo state facendo?!»
Locke
sembrò sorpreso di vederlo. «Pensavo te ne fossi
andato…» Non perse comunque
l’espressione divertita e sicura di sé.
«Che te ne pare di questo spettacolino,
eh? Non sembra anche a te che questa canzone si adatti alla perfezione?
L’orso
Brienne la Bella!»
«And down the road from here to there, from here to
there three boys, a
goat and a dancing bear!»
Jaime
strinse la presa, sollevandolo da terra. «Lasciatela
andare» sibilò,
rivolgendogli uno sguardo di fuoco.
«E
perché dovremmo farlo? È così
divertente! Loro
se ne sono fottuti del tuo nome, vuoi provare a dirgli di chiamare il
tuo
paparino?»
Lo
lasciò andare solo per tirargli un pugno in pieno volto.
Locke cadde a terra,
tra lo sguardo dei presenti, che ora si erano accorti
dell’arrivo di Jaime.
Lysa era impallidita.
«La
vuoi, Headslayer?» gli chiese Locke, pulendosi con la manica
della camicia il
sangue che era cominciato a sgorgargli dal labbro superiore.
«Va’ a prenderla.»
Jaime
non se lo fece dire due volte.
«I called for a knight, but you're a bear! A bear, a
bear! All black and
brown and covered in hair!» cantavano ancora in
pochi.
«Mettiti
dietro di me!»
Tarth
sussultò a quelle parole, non aspettandosi
l’arrivo di Jaime, e lo guardò
smarrita. «No!»
Come
era solito fare, Jaime se ne fregò: la spinse dietro di
sé, mettendosi fra lei
e un motociclista che si era arrestato di fronte a loro;
l’uomo continuava a
far rombare il motore, dando l’impressione di essere pronto a
investirli senza
neanche dispiacersene.
«Togliti
di mezzo!» gli urlò.
«Fottiti»
si limitò a rispondere Jaime.
Il
motociclista stava lasciando andare il freno, quando Walda Frey
gridò: «FERMI!»
La
canzone cessò immediatamente, così come il rombo
dei motori si affievolì.
«Fa’
quello che ti pare» stava dicendo Walda a qualcuno, che Jaime
ipotizzò essere
Lysa «ma io non mi ci metto, contro i Lannister. E contro
Cersei.»
Jaime
provò un moto di sollievo quando Lysa diede ordine ai
motociclisti di andarsene
e lasciarli in pace: probabilmente aveva promesso loro una grande somma
di
denaro se avessero ubbidito a tutti i suoi ordini, perché
loro non se lo fecero
ripetere e riaccesero i motori solo per girarsi verso la strada. Quando
lui e Tarth
furono rimasti soli e anche la folla di studenti si fu dispersa,
lasciando solo
un prato devastato dalle ruote, Jaime si rese conto che non poteva
più reggersi
in piedi. Crollò a terra, udendo la gamba fare un suono che
non gli piacque per
niente, e subito Tarth corse da lui.
«Stai
bene?» gli chiese allarmata. Forse temeva che le sarebbe
svenuto tra le braccia
come settimane prima, ma Jaime sapeva che non sarebbe andata
così.
Le
rivolse un sorriso beffardo. «Non mi spezzo tanto
facilmente.»
«Io…
io…» Tarth voleva piangere
dall’umiliazione, ma non l’avrebbe mai fatto di
fronte a lui, Jaime ne era certo.
«Un
“grazie” basterebbe.»
«Grazie,
Lannister. Grazie davvero.»
Jaime
si tirò a sedere, posando la mano sul braccio di Tarth per
farsi leva. Era
brutta Tarth, con quelle lentiggini e i denti storti e la stazza di un
giocatore di football, era brutta e quel vestito la rendeva solo
più ridicola.
Ma i suoi occhi blu erano i più belli che Jaime avesse mai
visto.
«Jaime»
le disse. «Il mio nome è Jaime.»
Eeeeeeee... ecco arrivati alla FINE!
...ma chi voglio prendere in giro, è palese che ci
sarà un seguito, questi due non hanno sofferto abbastanza!
IO AMO IL PROM! Amo le cose sceme come le limousine, i corsage, gli
inviti, i bei vestiti, l'elezione del re e della reginetta... AMO
TUTTO! Dovevo inserirlo per forza. Bene, questa minilong è
praticamente una teen comedy. Incest!Teen comedy. Wenchslayer!Teen
comedy. Ad ogni modo, non fate mai leggere ciò a Martin.
Brienne che pensa che sarebbe stato meglio nascere nel Medioevo... beh,
era di un'ironia tragica troppo bella per non essere messa. Ci sono
diversi rimandi: Locke e la scena dell'orso nella serie tv,
l'indecisione di Jaime prima del "Ti ho vista in sogno" del libro. Che
poi, diciamocelo, "Ti ho vista in sogno" non si può sentire;
avrei
preferito "Ti ho sognata" o "Ho sognato di te" (traduzione letterale al
massimo, quest'ulrima), ma volevo farvi ricordare proprio quella scena.
Il finale, poi... Poteva essere altrimenti? Già l'ho dette
nelle note di un'altra storia, nel mondo di Martin molto gira sui nomi,
e con Jaime e Brienne più di tutti ("Sterminatore di Re",
"Il mio nome è Jaime", "Il suo nome è Brienne",
"Chiamala con il suo nome, chiamala Brienne"...), per sottolineare la
loro ricerca di identità e questo è bellissimo.
Jaime riesce finalmente a diventare un "cuor di leone", e il modo
migliore per mostrare il suo cambiamento, a mio parere, era inserire
quella frase.
Bene, detto ciò spero che la storia vi sia piaciuta! Grazie
a chi l'ha appena cominciata e grazie ancor di più a chi mi
sta seguendo da mesi, attendendo aggiornamenti che arrancavano a
manifestarsi.
Grazie a tutti, e grazie ad Agne, fedelissima beta ♥
Medusa,
a Lannister
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