La Regina degli Ered Mithrin

di Eruanne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***



Capitolo 1
*** Prologo. Capitolo uno. ***


LA REGINA DEGLI ERED MITHRIN


PROLOGO


Lassù l'aria era fredda e rarefatta benché l'estate fosse avanzata, eppure la sentinella parve non farci caso, continuando a puntare gli occhi vigili verso ovest. All'udire l'ennesimo sbuffo scontento si voltò, trascurando il compito assegnatogli, e posò lo sguardo sul corpo intirizzito dell'altra vedetta: aveva posato la lancia a terra, frizionandosi il corpo con le braccia, e batteva i denti sotto la barba folta.

Era giovane, molto più di lui, e si trattava del suo primo vero incarico: era plausibile si comportasse così.

Nonostante i numerosi anni trascorsi, ancora ricordava la sua prima notte di guardia sul lato est degli Ered Mithrin: era inesperto ma elettrizzato, poiché finalmente si rendeva utile per il suo popolo e il sovrano. Rammentò anche l'adrenalina crescente man mano che le ore si erano susseguite, ma mai una volta si era distratto, concentrato com'era a scorgere ogni più piccolo particolare che l'oscurità gli celava. Il suo compagno – un vecchio nano che da tempo aveva raggiunto le Aule di Mandos – gli aveva battuto affettuosamente una mano sulla spalla, mostrandosi fiero del suo operato; disse inoltre che, finalmente, d'ora in avanti avrebbe avuto un valido aiuto.

Il petto gli si infiammò di calore e orgoglio proprio come allora, e batté un solo lieve colpo sulla roccia fredda con il manico della lancia, catturando l'attenzione del ragazzo.

<< Ti chiedo perdono, Bemli >> esordì, sfregando le mani tra loro << Penserai non sia molto efficiente, come sentinella. Solo che... non immaginavo ci fosse così freddo >>.

Il nano non poté fare a meno di ridacchiare di fronte all'ovvietà, scuotendo lievemente la testa coperta dall'elmo << Siamo quasi sul picco di una montagna, è assolutamente normale. Anche io battei i denti in quella gelida notte d'inverno, Tosur >>.

Il ragazzo lo guardò sbigottito, non credendo fosse sopravvissuto così a lungo per raccontarglielo: lui non credeva nemmeno di resistere altri venti minuti come ostaggio del vento sferzante! Ma Bemli era uno dei veterani più esperti e capaci, dedito al lavoro e terribilmente professionale, e ogni cadetto gli portava un profondo rispetto; perciò, quando gli avevano comunicato che l'avrebbe affiancato, si era sentito soddisfatto e intimorito insieme.

I numerosi giovani che l'avevano preceduto avevano descritto il vecchio come silenzioso e burbero, qualche volta dispotico; nessuno si era mai dato pena di parlarci più dello stretto necessario, specialmente dopo ogni tentativo a vuoto di conoscere il suo passato o i suoi anni di guardia. Il sentirgli confessare quel breve e insignificante dettaglio su una fredda serata di tempo prima - soprattutto la prima di servizio - rese Tosur quasi orgoglioso.

Rimase in silenzio per pochi minuti, non trovando parole adatte con cui ribattere: tutte quelle che gli si affacciavano nella mente erano a dir poco inutili e prive di peso.

La mancata risposta impensierì il nano; forse aveva ferito la sua dignità, sminuendone l'operato confrontandolo col proprio? Lo guardò di sottecchi tra uno spostamento d'occhi verso l'orizzonte e l'altro, concludendo che fosse semplicemente intimorito. Non poté impedirsi di sogghignare internamente, ricordando centinaia di espressioni altrettanto simili; pur così anziano era ancora in grado di mettere i novellini in difficoltà e in soggezione davanti al suo cospetto? Il suo smalto non si era scalfito né ingrigito, dunque: al contrario del suo corpo, ora meno scattante e allenato.

<< Non era mia intenzione renderti muto come un pesce, ragazzo >> disse bonario.

Tosur lo guardò sbigottito, domandandosi dove fosse finito il nano severo e silenzioso sempre descrittogli: i suoi amici si erano burlati di lui fin dall'inizio, fornendo quell'informazione falsa? Oppure era una sorta di esame architettato a suo discapito? Doveva scoprirlo. E, perciò, avrebbe dovuto affrettarsi a rispondere.

<< Affatto, signore. Conservavo il fiato >> aggrottò la fronte subito dopo, ripensando alla stupida risposta data.

Bemli, stavolta, lasciò che una bassa risata fuoriuscisse dalle labbra secche << Parola mia, è la prima volta che sento una tale scusante! >>.

Continuò a ridacchiare facendo sì che le orecchie di Tosur andassero a fuoco, per sua gioia e maledizione: ma neppure allora si scaldò a dovere.

Si strinse nelle spalle e borbottò qualcosa che assomigliava a “ Non sapevo che altro dire “ costringendo l'altro a guardarlo con un leggero sorrisetto.

<< Ecco, questa verità l'apprezzo di più. E posso anche intuire i motivi per cui non hai parlato: immagino che molti ti abbiano messo in guardia da me, non è così? >>.

Stavolta sarebbero state le guance a divenire rosate, se non ci fosse stato quel dannato vento a spazzare il calore. Per un fugace momento fu tentato di propinargli una bugia, ma sapeva non l'avrebbe accettata; inoltre, inimicarsi il proprio mentore la prima notte di lavoro non era propriamente un buon modo di cominciare.

<< Sì, è così >> ammise a denti stretti, preferendo osservare i confini da sorvegliare.

Bemli si era stupito della facilità con cui aveva posto la domanda, concludendo che oramai era troppo anziano per arrabbiarsi o prendersela col ragazzo, unica vittima della situazione; pertanto, sorprendendosi nuovamente, lasciò la sua postazione per avvicinarsi al tondo braciere di rame che li divideva. Tolse gli spessi guanti di cuoio nero e sfregò le mani tra loro, non preoccupandosi del colorito violaceo e dell'intirizzimento che le permeava; pose i palmi ad una lunghezza ragionevole dalle fiamme, beandosi del calore delle fiamme guizzanti e aranciate.

A dispetto della vergogna e dell'imbarazzo, Tosur ne seguì l'esempio facendosi scappare un lieve gemito appagato.

<< Per tutti questi anni ho lasciato prevalere il senso del dovere, non curandomi di essere costantemente affiancato da persone. Buona parte di colpa è soprattutto mia >> esordì Bemli, spezzando il silenzio << Non sono il mannaro feroce che credono e di cui ti hanno parlato: sei stato gabbato, giovanotto. Mi dispiace >> concluse, con un sorrisetto che la diceva lunga sul rammarico provato.

<< Siamo stati imbrogliati entrambi >> concesse il ragazzo, con una scrollata di spalle << Anche voi non avete mai provveduto a parlare con le nuove vedette: forse le avreste trovate piacevoli >>.

L'osservò attentamente, e parve notare solo in quel momento quanto le rughe sul suo volto fossero profonde; sembravano scavare la pelle, grazie alla luce tremula del fuoco. Ancora, si domandò se lui sarebbe stato in grado di perseverare nel suo compito così a lungo, e provò la medesima deferenza dei giorni precedenti.

<< Probabilmente. Ed è un vero peccato, se molti di loro erano come te >> si permise di sorridergli sinceramente, cogliendone la profonda confusione << Sei un bravo ragazzo, Tosur. Sarai una buona sentinella >>.

Il cuore del giovane nano sobbalzò e si riempì di gratitudine; buffo come sole poche frasi avessero sciolto la corazza rigida del mentore! Però si sentì in dovere di schernirsi, seppellendo il piacevole sentimento d'orgoglio che pompava furioso in egual misura al sangue.

<< Non penso d'essere molto qualificato per questo lavoro. Non vedo l'ora di rientrare e bere qualcosa di caldo! >> ammise, grattandosi il naso.

<< E' una questione d'allenamento, tutto qui >> disse, agitando una mano << Sapevi a ciò che andavi incontro quando l'hai scelto; presumo che nessuno ti abbia costretto >>.

<< Nossignore. Era la mia aspirazione fin da bambino >>.

<< E il fatto di possedere una buona vista ha contribuito >>.

<< Sì, signore >> fece un rigido cenno col capo, esponendo nuovamente i palmi alle fiamme.

<< Sono requisiti fondamentali, per una sentinella. Non è un mestiere da prendere sottogamba; il regno e persino Sua Maestà ci sono molto riconoscenti >>.

<< Sua Maestà >> borbottò Tosur, incupendosi << Al sicuro tra il tepore delle lenzuola mentre noi siamo qui fuori a tremare >>.

Il vecchio Bemli gli scoccò un'occhiata di disapprovazione, sentendo una sorda collera premere all'altezza dello stomaco << Dorme sonni tranquilli perché sa che noi osserviamo e vegliamo >> sbottò seccamente, senza curarsi di mandare in malora ogni buonsenso << Fai parte di quel gruppo che critica il suo operato e la sua reggenza? >>.

Gli occhi del ragazzo sfrecciarono allarmati attraverso l'oscurità, alla ricerca di ombre o movimenti estranei: per un attimo gli parve che una tremolasse minacciosa, ergendosi alta e imponente al di sopra delle altre, simile a una grande mano pronta ad afferrarli e stringerli con lunghe dita sottili ma letali. Con un brivido gelido che gli attraversò la schiena già congelata, però, constatò che non vi era nessun altro oltre loro due, là. E sospirò piano, sollevato.

Mantenendosi comunque cauto capì che doveva porre rimedio alla fese detta, sapendo d'essere stato frainteso << Certo che no: apprezzo ciò che sta facendo per il regno e il popolo. Non volevo giudicare negativamente >> sussurrò, voltando il capo da una parte all'altra, nervoso.

Bemli rasserenò lo sguardo, alzando le sopracciglia << Non c'è motivo di allarmarsi, giovanotto. Le guardie non entreranno da quella porticina con l'intento di prelevarti per rinchiuderti nelle segrete; il tempo di quei gesti si è concluso secoli fa >>.

Tosur si morse l'interno guancia, non riuscendo a controllare le parole che pronunciò immediatamente dopo con voce piatta e bassa << Non sono loro a preoccuparmi >>.

L'anziano nano si adombrò, annuendo solamente. Era stato sciocco da parte sua iniziare impulsivamente quel discorso, se ne rendeva pienamente conto solo in quel momento. Se Tosur gli avesse detto che, in realtà, faceva proprio parte dei contestatori, si sarebbe cacciato in un grosso guaio. Era da escludere che gli avesse mentito: il modo in cui si era guardato attorno – spaventato e terrorizzato – l'aveva convinto della sua buona fede e, di nuovo, fu costretto ad ammettere che era sveglio e accorto, molto più di lui.

Si spostò dal braciere, prendendo una torcia e accendendola; camminò furtivo verso la porta di ferro tenendo salda la lancia tra le mani, sentendo un serpente di paura attorcigliargli il cuore. Appoggiò l'orecchio alla ricerca di rumori insoliti come passi o respiri pesanti, ma non udì nulla; strinse la maniglia e, di scatto, abbassò e spinse aprendola con foga. Illuminò meglio lo stretto corridoio di pietra, osservando le crepe che percorrevano i muri come se potessero fornirgli indicazioni rivelandogli se qualcuno si era appostato a spiarli: ma nulla mostrò un passaggio umano a parte il loro, e ciò lo confortò lievemente.

Richiuse la porta con un sospiro, e si sfregò stancamente la fronte; ecco, forse era questo il motivo principale per cui non aveva mai dato confidenza ai novellini presentatigli nell'ultimo anno. Il silenzioso sospetto che aleggiava nel regno non giovava a nessuno di loro popolani, a conti fatti: troppo presi dalla diffidenza evitavano di parlare apertamente di certi argomenti, sentendosi al sicuro tra le mura domestiche dove potevano permettersi il lusso di conversare anche in piccoli gruppetti. Gli unici che traevano beneficio da quel timore erano le alte cariche, la maggior parte delle quali tramavano anche senza troppi accorgimenti alle spalle del sovrano; non erano un mistero le discussioni nella Sala del Consiglio, così come erano risapute le ormai rade e misteriose sparizioni di nani che avevano osato contestarli apertamente. Sua Maestà aveva aperto immediatamente delle indagini ma le guardie reali non avevano scoperto nulla, e quelle sotto il comando dei consiglieri – le responsabili di tali atti – non avevano collaborato. Era da loro che bisognava guardarsi costantemente le spalle.

Sentendosi tremendamente stanco e vecchio sospirò nuovamente, rialzando lo sguardo da terra e facendolo vagare sull'orizzonte, verso ovest: e fu allora che lo vide.

Non badò all'occhiata perplessa di Tosur, procedendo spedito verso il parapetto naturale della montagna; appoggiò le mani guantate sulla roccia, assottigliando lo sguardo nella notte. Sentì il suono di passi pesanti, e la figura più alta ma meno massiccia del ragazzo gli si affiancò. Lo udì trattenere il fiato, e la consapevolezza prese lentamente forma in lui: quei lontani e quasi indistinti bagliori di fiamma che si scorgevano non presagivano nulla di buono.

<< Laggiù... c'è il Monte Gundabad, non è vero Bemli? >> gli domandò con paura sempre più crescente.

Il nano sentì la gola inaridirsi, e non badò alle ventate sferzanti e gelide; volse brevemente gli occhi da sentinella alla volta celeste colma di stelle pallide, posandoli poi lungo la catena delle Montagne di Angmar. Cercò di perforarle per arrivare al di là, dove sapeva esserci la fonte di tale paura e sgomento.

<< Esatto, ragazzo >> si ritrovò a sussurrare, domandandosi quando avesse concesso il permesso alle parole di fuoriuscire dalle labbra; tremò, ma non tanto per il freddo, e Tosur se ne accorse.

Fu solo capace di guardarlo con occhi sgranati e colmi di una verità che non voleva essere confermata.

Non disse nulla, perciò l'arduo compito di tramutare i pensieri in parole costernate toccò al vecchio << Quelle luci non provengono dal Monte, ma dal di là: dalla Piana >>.

Una folata a dir poco potente sembrò accompagnare la sua frase, gelida come la voce di Bemli; le fiamme delle torce si spensero quasi all'unisono, rimase solo quella tremolante del grande braciere. Nessuno dei due si voltò, poiché trattenuti da una forza invisibile verso occidente, ad osservare quell'orrore. I loro cuori parvero battere in sintonia, aumentando i colpi potenti come martelli su un'incudine con una velocità spaventosa.

Era da sciocchi illudersi inutilmente: chiunque si stesse preparando ad una marcia dalla Piana di Angmar costituiva un serio e reale pericolo, in qualunque luogo si dirigesse.

Negli anni, Bemli aveva pensato spesso alla fortuna di non aver mai provato sulla pelle il significato del termine “attacco”, e non avrebbe mai immaginato di doversi rimangiare tutto proprio adesso, quando ormai la vecchiaia era già avanzata e il suo tempo stava per volgere al termine.

Rammentava bene l'anno precedente, quando i fuochi nemmeno troppo lontani a sud l'avevano fatto tremare e, d'altra parte, confortare per non essere presente al massacro.

<< Non è detto vengano verso di noi. Potrebbero incamminarsi dalla parte opposta >> sussurrò lentamente.

Tosur si risvegliò dall'intontimento, notando il volto teso e preoccupato quanto il suo a dispetto della debole rassicurazione << Siamo in tempo di pace >> ricordò, con un brivido << Però un numero elevato di torce può significare solo una cosa >> concluse, la voce strozzata.

<< Mi rammarica concordare. Ciò che proviene da quel luogo è maledetto e porta con sé solo morte e distruzione >>.

Tosur deglutì a vuoto, la lingua sembrava esserglisi annodata << Cosa suggerisce, dunque? >>.

Bemli non ebbe bisogno di pensarci: strinse solo i palmi ora fin troppo sudati << Corri nella montagna, e avverti il Capitano delle Guardie di Sua Maestà >>.





CAPITOLO UNO


Il nano richiuse la pesante porta di quercia decorata con intarsi dorati con un tonfo sordo, e poggiò la torcia accesa sul sostegno di ferro attaccato alla roccia liscia.

Fu con immensa difficoltà che si voltò e posò gli occhi azzurri al centro della camera in penombra; prese un profondo respiro tenendo le labbra serrate e, quasi per farsi coraggio, portò le braccia dietro l'ampia schiena. Mosse un primo passo lento e restio, poi un altro, e un altro ancora, non potendo immaginare la spontaneità meccanica con cui gli arti avevano eseguito quell'ordine impartito dal cervello.

Infine si fermò, espirando pesantemente a bocca socchiusa; uno sbuffo di fiato si disperse nell'aria, data la poca temperatura presente. Quella zona era sempre stata piuttosto fredda nonostante si trovasse in profondità, lo ricordava bene: le poche volte in cui vi era stato da ragazzo gli ritornarono nitide nella mente.

All'epoca, però, non avrebbe mai immaginato di provare una tale angoscia, una tale sofferenza, come accadeva da un anno a quella parte.

Posò la mano destra sulla lastra di marmo freddo, percorrendone la superficie con i polpastrelli finché non raggiunse le incisioni; anche l'altra mano si mosse a sfiorare una lastra marmorea praticamente identica e a nemmeno un metro dalla prima, compiendo gli stessi gesti nell'accarezzare quei segni dolorosamente famigliari.

Gli sfuggì un sospiro depresso, mentre il dolore minacciava di invaderlo. Chiuse gli occhi con forza, ma le tanto odiate e note immagini che vide lo afferrarono e trascinarono con violenza, tentando di ghermirlo. Chinò il capo, le mani tremanti a premere sul piano in un inutile tentativo di poter ancora toccare, e abbracciare, coloro che riposavano all'interno di quelle tombe bianche.

Nulla sembrava più avere un senso: né il suo ritrovato regno, benché meno l'esserne il sovrano. Anzi, ora quel ruolo gli risultava anche troppo stretto, come un cappio attorno al collo; lo soffocava, gli schiacciava il petto con una potenza inaudita al pari delle grosse manacce fetide dei tre Troll, o delle fauci possenti del bianco mannaro.

Il pensiero di saperli morti per difenderlo, poi, acuiva il suo stato d'animo. Ricordava indistintamente gli ultimi atti della battaglia, così come i suoni che gli avevano riempito le orecchie facendole ronzare persino una volta che si era svegliato. Eppure... eppure... immagini sfocate di stoffe turbinati, lacere e sporche di sangue, premevano per uscire dalla voragine in cui le aveva rinchiuse; bagliori di spada e suoni sibilanti di frecce le accompagnavano, in un gioco mortale e perverso che l'avrebbe condotto alla pazzia.

Ogni giorno si domandava perché avesse permesso la loro presenza nella Compagnia. Sua sorella era stata perentoria, e il suo iniziale rifiuto ora gli risuonava troppo spesso come una dolorosa ammissione di colpevolezza, una maledizione che difficilmente l'avrebbe risparmiato.

Rammentava bene i loro volti eccitati al pensiero della Riconquista di quel regno che mai avevano avuto occasione di vedere, di quella casa che mai avevano sentito tale. Ripensandoci, non sarebbe stato in grado di rifiutare il loro entusiasmo e la loro grande volontà. E anche Dìs l'aveva capito: per questo aveva acconsentito dopo innumerevoli raccomandazioni e ammonizioni, facendogli promettere di prendersi cura di loro come aveva fatto in tutti quegli anni da quando il marito era morto.

Il giorno della Battaglia dei Cinque Eserciti aveva infranto quel giuramento.

Erano stati loro a difenderlo, fino alla fine. Non lui. Troppo impegnato nella sua personale missione di vendetta, talmente cieco da non accorgersi di altri nemici al di là del più potente, immensamente ottuso per capire ciò che i suoi nipoti stavano sacrificando.

Era a causa sua se quelle due giovani vite si erano spezzate per sempre. Il rimorso non l'abbandonava mai, rendendogli insopportabile ogni dannatissimo momento da quando era accaduta la tragedia.

L'andare nelle cripte ogni qual volta poteva era una sorta di punizione, un tentativo alquanto misero di espiare i propri orrendi peccati: ma tutto rimaneva statico, nulla mutava ogni qual volta tornava in superficie. Ogni qual volta tornava alla vita.

Vita. Una parola ormai quasi priva del suo significato. La trovava tremendamente ingiusta, specie nei suoi riguardi: avrebbe scambiato ogni singola moneta d'oro della Stanza del Tesoro per tornare indietro nel tempo e salvarli entrambi.

Ma non sarebbe stato possibile, né vi sarebbe stata salvezza, per lui. La sua anima era marcia, sudicia del sangue dei suoi nipoti: a volte, gli pareva di scorgere del liquido rosso cupo sui palmi delle mani, e udiva il fastidiosissimo suono di piccole gocce che si infrangevano sul pavimento di pietra.

Gli pareva di udirle anche in quel momento.

Un rumore alle sue spalle lo riscosse e, rapido, mosse la testa verso l'entrata riconoscendo la figura della sorella, ancora con le mani appoggiate al legno. Dìs si mosse piano, respirando l'aria umida e solenne della stanza, e gli si avvicinò; lanciò una rapida occhiata alle rune, distogliendo lo sguardo per timore di venir sopraffatta dal tormento e dalle lacrime che le pungevano già gli angoli degli occhi.

Le dita della mano destra si posarono su un braccio del fratello, stringendo di poco la stoffa della camicia blu; a fatica, Thorin staccò la sua dalla tomba di Kili, accarezzandogliela in un muto ringraziamento per il gesto: una mano tesa che l'avrebbe riportato alla luce, un prezioso aiuto per allontanare la follia. Un atto di solidarietà fraterna, e di chi aveva perso persone fin troppo importanti.

Dìs l'osservò, notando quanto fosse invecchiato in poco più di un anno: i capelli grigi sembravano aumentati tra quelli neri, nuove e profonde rughe scavavano il suo volto dai tratti induriti e stanchi; gli occhi azzurri, un tempo ardenti di un orgoglio senza pari, erano spenti e vuoti, oltre che sofferenti. Il portamento autorevole e retto si era leggermente incurvato, come se un enorme peso invisibile fosse sceso sulle spalle forti ed esse non fossero più in grado di sostenerlo. Le si strinse il cuore, non lo negò: da un lato avrebbe desiderato abbracciarlo e consolarlo finché non avesse versato anch'ella tutte le sue lacrime, ma dall'altro avrebbe voluto scuoterlo, chiedergli di riprendersi e pensare a lei che aveva perduto due figli, non due nipoti. Il sangue del suo sangue. La carne della sua carne. Li aveva protetti e nutriti per nove lunghi mesi, amandoli visceralmente come solo una madre poteva amare, volendo donare tutta se stessa per loro. Volendo sbucciarsi le ginocchia o i gomiti al loro posto, come quando erano piccoli e le correvano incontro singhiozzanti e sanguinanti. Volendo cullarli per tranquillizzarli quando gli incubi li tormentavano non facendoli dormire. Volendo addossarsi tutti i problemi e le responsabilità che la crescita comportava. Volendo offrirsi per quell'impresa gloriosa ma pericolosa che li avrebbe allontanati da lei, e condotti bruscamente alla mercé di bestie immonde e luoghi insidiosi. Volendo morire, per loro.

Deglutì e strinse le labbra, ricordando il motivo del suo viaggio tortuoso nelle viscere della Montagna Solitaria; cercò parole adatte con cui iniziare una qualche frase, riuscendo a parlare seppur con tono roco.

<< Sei atteso nella Sala del Consiglio, fratello. Pare sia giunta una lettera di nostro cugino >>.

Non le rispose, limitandosi a fissare con sguardo vacuo i nomi di Fili e Kili; avrebbe voluto cadere in un oblio nero e denso, ma la mente iniziò a lavorare e a chiedersi il motivo di quella missiva inaspettata, creando possibili congetture che attendevano solo di essere smentite o confermate.

<< Thorin? >>.

La voce bassa di Dìs lo raggiunse, e respirò pesantemente << Immagino tu non ne conosca il contenuto >>.

Sua sorella scosse la testa << Ti attendevano >>.

<< Bene >>.

Si scansò rudemente dal suo lieve tocco, avanzando spedito verso la torcia ancora accesa; l'afferrò, stringendo convulsamente il legno tra le dita, e attese che Dìs lo raggiungesse per uscire. Ma lei non si mosse, donando un lungo sguardo a ciò che rimaneva dei suoi ragazzi: una semplice lastra bianca, e delle misere rune incise.

<< Un genitore non dovrebbe mai seppellire i propri figli. Avrei voluto vederli invecchiare, almeno finché non avessi lasciato questo mondo >> sussurrò, sapendo d'essere stata udita.

Thorin alzò lo sguardo da terra e lo posò sulla sua schiena, vestita con un abito nero a ricami geometrici argentati; i capelli erano intrecciati e raccolti sulla nuca in segno di vedovanza, e mostravano il collo sottile e bianco. Osservandola meglio, notò quanto fosse dimagrita: si chiese quando fosse accaduto, e se fosse stato ancora così cieco da non accorgersene. Evidentemente sì, dato che l'aveva appena appurato.

Un vago sentore di rabbia, il primo da innumerevoli mesi, sembrò sprigionare una debole scintilla nel suo petto; non poteva rischiare di perdere anche lei, non l'avrebbe sopportato.

L'affiancò, circondandole le spalle con il braccio libero; dopo qualche iniziale titubanza, Dìs gli poggiò il capo sulla spalla e si lasciò sfuggire il medesimo sospiro - che molto aveva in comune con un singhiozzo - che l'aveva scosso non appena era entrato.

Rimasero così, abbracciati, cercando conforto nell'altro finché la frase del Re di Erebor non riempì il silenzio.

<< Darei tutto ciò che ho dolorosamente conquistato per poter prendere il loro posto >> confessò, attirandola inconsciamente a sé.

Dìs sentì qualcosa incrinarsi all'altezza del cuore e, in risposta, portò una mano al petto del fratello << Sai che non lo permetterei >> disse, rimproverandolo << Avrei preferito avervi tutti e tre con me, però non possiamo cambiare ciò che è stato. Tu sei rimasto per governarci, Thorin. Devi tornare quello che eri, e fare in modo che il sacrificio dei tuoi nipoti non sia stato vano. La tua gente ha bisogno di te. Io ho bisogno di te, della tua forza e determinazione, del tuo intrepido coraggio e fiero orgoglio >>.

Si guardarono, scavando a fondo negli sguardi dell'altro fino a raggiungere l'anima, dicendosi parole che non sarebbero riusciti a pronunciare ma che aleggiarono e si depositarono sui loro cuori. Dìs aveva ragione: si stava lasciando andare, aveva perso la sua vitalità. Ciò che lo fece ripugnare di sé fu la dolorosa constatazione che non la stava consolando come meritava né che, per quanto disperato, non sarebbe riuscito a riportarli in vita. Nulla di tutto quello che stava patendo li avrebbe risvegliati; eppure, non poteva fare a meno di autocommiserarsi, ripensando mille e più volte alle colpe che l'affliggevano.

<< Mi dispiace >> mormorò, non riuscendo a sostenere il suo sguardo << Ora mi risulta difficile lasciarli andare >>.

La principessa gli lanciò un'occhiata truce, notando il suo rifuggirle << Avresti dovuto pensarci prima, ti pare? >> sibilò, malevola: si rese conto troppo tardi del significato della frase, e si rimproverò duramente; d'altra parte, però, si rese conto d'aver aspettato anche troppo tempo per esternare i suoi reali pensieri.

Ricevette attenzione, e un paio di occhi chiari si posarono sconcertati sul suo volto. Non attese altro, continuando quell'imprevedibile sfogo.

<< Ti avevo chiesto di non portarli con te, ti avevo pregato... >>.

<< E' stata una loro scelta >> l'interruppe, brusco << Erano adulti, sapevano a cosa andavano incontro... >>.

<< Erano solo dei ragazzi, Thorin, partiti per seguire te! >> il tono si alzò notevolmente, le guance si imporporarono << A loro non importava nulla di Erebor, o del drago che custodiva un inutile tesoro! >> inspirò violentemente, ma il tremore non cessò; tacque per brevi secondi e lo sguardo volò a terra, rialzandolo poi lucido di lacrime << Mi hai portato via i miei figli, per sempre. E ora sei qui a compiangerti, non adempiendo ai tuoi obblighi! Da quando permetti un tale comportamento? >> scattò, furiosa.

Thorin schiuse le labbra e aggrottò maggiormente la fronte, attonito. Non disse nulla, e Dìs abbandonò qualsiasi razionalità: lo afferrò per le spalle, scuotendolo così come era scossa la sua anima; desiderava reagisse in qualche modo, perlomeno.

<< Perché ti ostini a non voler vivere? Loro non torneranno indietro, lo sai! >>.

Thorin scattò veloce e le artigliò i polsi in una morsa, gli occhi azzurri scintillanti: di rabbia o tristezza, non avrebbe saputo dire.

Nel frattempo, quelli di Dìs si riempirono di lacrime: prima che potesse anche solo tentare di contrastarle, brucianti lacrime scesero sulle gote, e piccoli singhiozzi scossero quel corpo un tempo florido.

<< Così giovani... così... >> non riuscì a completare la frase, assoggettata dal dolore che rischiava di farla precipitare nella stessa pazzia del fratello. Ma, di nuovo, una forza inaspettata eruppe nel petto facendole assottigliare lo sguardo, ora brillante di una luce pericolosa.

<< Sei stato tu ad ucciderli >> sibilò, pur pentendosene nel profondo << Meriti di vivere nel rimorso, fratello, e meriterai qualsiasi punizione vorranno infliggerti i Valar >> era spossata, però le braccia spinsero rudemente un silenzioso e sconcertato Thorin che le teneva ancora fermi i polsi in una stretta via via sempre più flebile.

Ormai fuori di sé, pronunciò quella frase dal sapore di una condanna << Potrà perdonarti l'intera Terra di Mezzo. Potrai perfino perdonarti e trovare una sorta di felicità. Ma io non ti perdonerò mai >>.

Sentì di soffocare in quella cripta spaziosa e aerata; il fiato le mancò improvvisamente, così come il coraggio e la disperazione con cui si era accanita. Rimase solo il tremore e l'accompagnò un dispiacere tale da renderle opprimente la vista del corpo e dei tratti granitici del fratello. Come prima non disse nulla né reagì, accrescendole l'impotenza e l'ira. Doveva uscire, o le sue azioni sarebbero state imperdonabili; si sciolse facilmente dalla stretta e gli diede le spalle correndo fuori, tanto era il tumulto interiore del cuore.

Il re rimase solo coi fantasmi, udendo le frasi piene di dolore della sorella come se gliele stesse urlando nuovamente. Non la biasimava. Non poteva. Sapeva perfettamente che aveva ragione, e il senso di colpa tornò più vivido che mai rendendogli insostenibile qualsiasi pensiero e la solitudine della sua anima. Strinse le mascelle e, rabbioso, scagliò un pugno al muro scorticandosi le nocche; un fastidioso bruciore lo raggiunse ma era lontano, troppo lontano dal mare d'ira in cui nuotava. Guardò distrattamente le piccole bolle di sangue sulla pelle, espirando rumorosamente dal naso. Se ne andò, irrequieto, tornando in quel mondo di vivi che prima aveva tanto disprezzato: forse, stavolta, l'avrebbe accolto quasi come una benedizione.


<< Dunque? A cosa devo questa convocazione? >> esordì burbero, sedendosi pesantemente sulla sedia del re.

Balin, alla sua destra, estrasse da una tasca della casacca un foglio ripiegato, porgendoglielo << E' giunta una lettera dai Colli Ferrosi, e il messo ha insistito perché ti fosse consegnata personalmente. Nessun altro avrebbe dovuto leggerla eccetto te >>.

Thorin non commentò, accigliandosi solamente per il modo segreto con cui gli era stata inviata, e l'aprì con movimenti secchi e decisi; riconobbe la calligrafia arzigogolata e decisa del cugino e, man mano che procedeva nella lettura, aggrottò le sopracciglia fino a trasformarle in un'unica linea scura. I consiglieri si guardarono tra loro, attendendo con impazienza di conoscere il motivo di tanto turbamento; Dwalin, con le braccia strette al petto, esternò i pensieri comuni.

<< Ebbene? Di che parla? >> chiese, senza neppure dargli il tempo di terminare la lettura.

Thorin non gli rispose, arrivando finalmente alla firma e al sigillo regale di Dain. Ancora stupefatto gliela tese, senza parlare. Lo osservò scorrere silenziosamente le righe ed assumere lo stesso cipiglio che gli aveva percorso i tratti, per poi esternare il suo pensiero tramite un verso incredulo.

<< Allora? >> chiese Balin, innervosendosi.

<< Leggi tu stesso >> borbottò il fratello.

Balin gli lanciò un'occhiata in tralice e prese le lenti: come gli altri arrivò alla conclusione, sbalordito quanto loro.

<< Per Mahal >> borbottò.

<< Saremmo curiosi anche noi, sapete >> si intromise Bofur, alzando eloquente le sopracciglia scure.

Thorin si appoggiò meglio allo schienale dell'alta seggiola in attesa che il suo amico più fidato parlasse.

<< Questa lettera giunge dai Colli: ci informano che una colonna di orchi si sta muovendo a ovest e che, molto probabilmente, si sta dirigendo qui >>.

Il silenzio scese sui rimanenti membri della Compagnia, e si osservarono preoccupati.

<< Non hanno ancora imparato la lezione? >> domandò sarcastico Oin, sistemandosi il corno acustico accanto all'orecchio.

<< A quanto pare no >> commentò Thorin, incrociando le dita sotto il mento << Ma c'è dell'altro >>.

<< Che può esserci? >> chiese petulante Dori, scuotendo la testa.

<< Pare che in tutti questi anni ci sia sfuggito un Regno >>.

<< Sfuggito? >> ripeté Nori << In che senso? >>.

Balin sospirò << Avete mai sentito parlare del Regno degli Ered Mithrin? >>.

<< No, perché non c'è niente, tra quelle montagne >>.

<< Qui ti sbagli, Gloin. Dain ce l'ha confermato proprio qui >> il vecchio nano picchiettò sulla lettera ancora spiegata << La richiesta d'aiuto non proviene dai Colli Ferrosi, ma dagli Ered Mithrin: le loro sentinelle hanno notato bagliori sospetti durante le scorse notti di pattuglia, e temono si tratti di quei mostri; chiedono rinforzi in vista di una possibile battaglia... >>.

<< Aspetta un attimo >> si intromise Bofur, con un cipiglio serio mai visto sul volto << Siamo sicuri non sia una frottola? Voglio dire... abbiamo sempre saputo che le Montagne Grigie erano disabitate! >>.

<< Dubiti delle parole di un Durin? >> chiese Dwalin, stringendo battagliero un pugno.

Il giocattolaio scosse frettolosamente la testa, e Thorin decise di intervenire << Lascialo parlare. Le sue domande sono lecite >>.

L'amico sbuffò sprezzante, ascoltando la questione successiva.

<< Perché la lettera non è giunta dai diretti interessati? >>.

<< Questo non lo sappiamo, ma Dain scrive che non può accorrere in loro aiuto, perciò l'ha inviata a noi >> rispose Balin, scoccando un'occhiataccia al fratello che aveva roteato gli occhi al cielo, già impaziente e pronto per la guerra.

<< Quanto tempo ci rimane prima dell'invasione? >>.

<< Il messaggero è giunto stamattina partendo tre giorni addietro dai Colli Ferrosi, mentre gli Ered avevano inviato un corvo imperiale un paio di giorni prima >>.

<< Cinque giorni >> borbottò Gloin, lisciandosi la barba fulva << Possono essere un'enormità >>.

<< Ammesso partissimo domani, servirebbero altri due giorni di marcia >> rincarò Bombur, pensoso come mai gli era capitato << Potremmo non arrivare in tempo >>.

Molti annuirono d'accordo, e numerosi borbottii invasero la stanza finché non vennero quietati da una vocetta acuta.

<< Ma non sono arrivati altri messaggi >> obiettò Ori, parlando per la prima volta << Gli orchi – se di loro si trattava – potrebbero aver preso un'altra strada addentrandosi nel Reame di Angmar >>.

<< Tu credi sia andata così? >> chiese Dwalin, ben scettico << Abbiamo sbaragliato il loro esercito, ucciso il loro condottiero più feroce e ripresi il nostro regno. Sveglia, Ori: quelli vengono per noi >>.

Il giovane scrivano balbettò qualcosa e gli si imporporarono le guance, facendo sì che Nori prendesse le difese del fratello minore << Stiamo valutando ogni possibilità >> disse calmo, benché gli occhi mandassero lampi di rimprovero << Anche quelle che paiono meno probabili >>.

<< Questa è improbabile! >> esclamò il guerriero << La piana ai piedi delle Montagne di Angmar è infestata solo da quelle odiose creature; non procederanno verso ovest perché là non vi è nulla per cui valga la pena di combattere. Come è certo che il sole spunta a est avanzano contro di noi, probabilmente per vendetta >>.

<< Poco più di un anno è un tempo assai lungo per meditare una rivincita >> borbottò Dori, scuro in volto.

Dwalin sbuffò << Forse si sono riorganizzati trovando un nuovo capo >> rispose, sarcastico << Non so voi, ma non intendo scoprirlo quando ce li troveremo alle pendici della Montagna. Prima partiamo e meglio è >>.

<< Concordo >> disse Balin, annuendo << Se riusciremo a fermarli agli Ered Mithrin non tenteranno un'avanzata e comprenderanno che i Nani sono ancora un popolo vigoroso che si protegge a vicenda >> passò in rassegna i volti dei compagni e amici, fermandosi infine su quello cupo di Thorin << Dobbiamo prendere una decisione, ragazzo, e in fretta. Il destino di un popolo è appeso a un filo troppo sottile per attendere oltre >>.

Undici teste si voltarono verso il re, seduto a capotavola; si massaggiò le tempie col pollice e l'indice, cercando una soluzione al dilemma che lo dilaniava: l'onore e la vendetta lo stavano contendendo brutalmente, spaccandogli il cranio in mille pezzi. Per quanto pensasse, però, rimaneva solo una soluzione.

<< Erebor risponderà >> decretò, con voce vibrante e occhi scuri di rabbia << Rispediremo quel lerciume nel buco da cui è fuoriuscito >>.

Nonostante la contentezza, i cuori si appesantirono al vivido ricordo dei giovani eredi al trono morti in battaglia proprio a causa dello stesso nemico e, a fatica, non posarono lo sguardo sulle due sedie vuote all'altro capo del lungo tavolo di legno; Thorin, invece, assecondò quell'impulso sentendo un desiderio di morte e sangue premere sullo stomaco e propagarsi in ogni dove, tanto potente da fargli stringere spasmodicamente le mani, nascoste a occhi indiscreti.

<< Balin, avrò bisogno della tua presenza qui: Dìs non riuscirà a governare da sola. Dwalin, avverti i soldati: li voglio pronti entro domani mattina, anche se un contingente rimarrà a protezione del popolo e in caso di pericolo; decidi tu chi partirà o meno. Dori, Nori, Ori voi... occupatevi delle cavalcature: voglio i pony più freschi e veloci per ogni membro di questo Consiglio. Oin, Gloin, procuratevi delle mappe del territorio. Bifur, Bofur e Bombur: provvedete alle provviste e agli utensili per il viaggio: fatevi aiutare da altri nani ad impacchettarle con cura. Alle prime luci dell'alba vi voglio pronti a partire, o verrete lasciati indietro >>.


Thorin era nel suo studio, concentrato nello sfogliare alcune vecchie carte e lettere del cugino o del precedente Signore dei Colli Ferrosi alla ricerca di un qualche indizio su quel regno misterioso e improvvisamente comparso dal nulla; ancora stentava a credere alle parole vergare con l'inchiostro nero che l'informavano di questa fantomatica richiesta d'aiuto.

Sbuffò quando posò anche l'ultimo foglio; non vi era alcuna informazione o menzione agli Ered Mithrin, ed era impensabile prolungare la marcia fino ai Colli Ferrosi per richiedere una spiegazione soddisfacente: perciò l'avrebbe ottenuta direttamente dal re del regno.

Incapace di star seduto a lungo si alzò, percorrendo con passi lunghi e pesanti l'intera stanza, le mani costantemente dietro la schiena. Fu così che lo trovò Rella: perso in complicati e tortuosi pensieri a cui se n'erano aggiunti altri.

Aprì la porta – lasciata socchiusa – facendola cigolare un poco, e Thorin si fermò spostando il capo nella sua direzione; la fronte si spianò leggermente, ed un angolo della bocca si piegò di poco verso l'alto in un debole sorriso.

<< E' tardi, non dovreste essere ancora alzata >>.

Rella gli si avvicinò, posandogli una mano sull'avambraccio << So perfettamente quando è tempo di ritirarmi. Tu, piuttosto, dovresti dormire >>.

<< Non vi riesco >> mormorò, osservando il gioco di luce e ombra sul volto della nana; le prese una mano tra le sue, sospirando affranto senza vergogna: chi meglio di lei poteva conoscerlo e comprenderlo?

<< Ho saputo della lettera di Dain >> disse, optando per tergiversare l'argomento di cui inizialmente voleva parlare << Raccontami tutto >>.

Thorin l'accompagnò alla poltrona accanto al focolare acceso, e prese la sedia sulla quale si era seduto; si perse a contemplare la mensola sulla quale stavano i suoi effetti personali insieme a vecchi ricordi d'infanzia, e decise di raccontarle del popolo degli Ered Mithrin.

<< Ne eravate a conoscenza? >> domandò, una volta che ebbe terminato.

Rella era semplicemente sbalordita, ma lo nascose molto bene sotto la solita maschera di compostezza che la contraddistingueva << No. Certo che no. Se così fosse stato te ne avrei parlato immediatamente. Ciò che mi affligge maggiormente, però, è questo nuovo scontro imminente... >>.

<< Ho deciso di aiutare questo sovrano volendo combattere nel suo regno piuttosto che qui, appunto per tenervi al sicuro. Non dovete preoccuparvi >> assicurò, stringendole le dita con affetto.

La nana scosse piano la testa, restituendogli la stretta << Non mi preoccupo certo per me >> ribatté, severa << Sono preoccupata per te >>.

<< Non dovete >> ribadì.

<< Non posso perdere anche te, Thorin >>.

<< Madre... >> tentò, ma lei lo interruppe.

<< No, ascoltami. Sono contenta ti sia lanciato in questa nuova impresa, benché pericolosa; ma, figlio mio, ho paura che la tua ira possa trascinarti in luoghi bui da cui non potrai fuggire >>.

Nuove rughe si formarono sulla fronte del nano e, senza volerlo, si trovò a socchiudere minacciosamente le palpebre << Più oscuri di quelli che sto percorrendo ora? Ne dubito >> ribatté, sprezzante.

Rella sospirò, volendo trovare parole adatte con cui scuotere quell'unico figlio che le rimaneva, quel forte e determinato uomo diventato l'ombra di se stesso. Ma lei era nata dalla roccia, temprata dalle preoccupazioni e sofferenze che l'avevano segnata nel profondo; orgogliosa come poteva essere solo una giovane nana promessa in sposa al futuro Re di Erebor, era divenuta prima fredda Regina sotto la Montagna e poi severa madre dei Principi. Il carattere duro era servito a renderli ciò che erano attualmente, e di questo era estremamente orgogliosa oltre che particolarmente paga: Thorin, poi, le assomigliava più di Dìs, o del povero Frerin morto molti anni addietro. La vecchia Regina Madre aveva riposto tutte le sue più accanite e devote speranze nel nuovo Re sotto la Montagna; finalmente aveva potuto assistere al ritorno in auge del loro potente popolo grazie a quella dolorosa Riconquista che, d'altra parte, l'aveva privata degli eredi diretti.

Questo era stato il prezzo da pagare.

Una minima parte dell'anima inorridì a quel pensiero, eppure non fece nulla per scacciarlo poiché giusto. Il Fato richiedeva sempre delle vite in cambio: Frerin e Thror nella Battaglia di Azanulbizar e di conseguenza anche suo marito, fuggito chissà dove preda della pazzia; i nipoti nella Battaglia dei Cinque Eserciti, morti per permettere a Thorin di sopravvivere e governare come indetto dai Valar.

Purtroppo però il loro sacrificio non portava frutti, al momento, giacché suo figlio non mostrava il benché minimo accenno a voler ricominciare allontanando il senso attanagliante di colpa. Per quanto gli avesse detto che non c'entrava nulla con la tragedia continuava a rimuginarci senza sosta, come in quel momento. Lo capì guardandolo in quegli occhi così diversi dai suoi per colore, ma non per profondità.

Così come comprese che era accaduto qualcosa << Raccontami quel che ti angustia >>.

Thorin si mosse a disagio, ricordando le parole della sorella << Dìs >> disse solamente, prendendo un profondo respiro prima di continuare << Sostiene che sia responsabile della morte di Fili e Kili >>.

Rella alzò gli occhi al cielo, stringendogli spasmodicamente la mano << Sai che non è così! Sono stanca di vederti in questo misero stato, Thorin: è pietoso per un re, e lo è ancor più per il Re sotto la Montagna >> borbottò secca.

Il nano si ritrasse dalla presa ferrea, gli occhi che mandavano lampi furibondi << Ricordare i nipoti defunti è pietoso per voi? >> domandò, contenendo a stento la rabbia << Li ho cresciuti come figli, rimproverandoli per la loro negligenza ma riempiendomi d'orgoglio per gli uomini che erano diventati! Ora non potranno godere dei privilegi che la loro posizione comporta, né potranno sposarsi né invecchiare perché si sono battuti con coraggio e sono deceduti difendendomi coi propri corpi! Come potete dirmi che sono pietoso ai vostri occhi? >> ripeté, calcando volutamente l'aggettivo.

Rella non si scompose, o non lo dimostrò com'era solita fare. Le emozioni trovavano difficilmente accesso tra quei tratti granitici e profondi come pietra. Thorin, invece, in quegli sporadici scatti d'ira dimostrava anche troppo bene i suoi pensieri; incapace di star seduto si era alzato con foga, portandosi ad alcuni metri di distanza dalla madre, indignato e furente con la sua imperturbabile freddezza.

<< Non vi sconvolge saperli morti? >>.

La domanda accusativa la sferzò con brutalità << Naturalmente >> rispose, abbassando il capo << Erano pur sempre gli eredi al trono >>.

Thorin si lasciò scappare un'amara risata << Gli eredi al trono >> ripeté con un sussurro, appoggiando l'avambraccio sulla mensola del caminetto; i suoi occhi chiari si persero tra le fiamme guizzanti, lungo quelle lingue di fuoco dalle sembianze di asce, spade, vessilli e corpi contorti dal dolore.

<< Dimenticavo che nulla vi importa al di fuori del potere >>.

Rella sentì una furia cieca montarle in petto e, senza rendersene conto, si alzò avvicinandoglisi; accadde tutto talmente in fretta che nessuno dei due poté far niente per fermare il corso degli eventi: né la mano che, rapida, volò con ferocia e uno schiocco sonoro sulla guancia destra del Re.

Sbigottito, Thorin si ritrovò col capo voltato di lato dalla forza con cui era stato percosso e, lentamente, portò la mano sulla guancia offesa sentendola calda; la nana, invece, aveva lasciato penzolare il braccio lungo il fianco senza mai distogliere lo sguardo dal suo volto, benché l'addolorasse. Però avrebbe ripetuto il gesto un'altra volta se se ne fosse presentata l'occasione.

<< Il potere che tanto disprezzi ti permette di sedere sul trono che era di tuo nonno! Il potere ti rende temibile e autorevole agli occhi della gente, e degno del loro rispetto! La strada per ottenerlo e mantenerlo è irta di insidie e comporta inevitabilmente delle perdite, ma non per questo bisogna scoraggiarsi. Un Re non si mostra mai debole. Un uomo sì, ed è ciò che lo rende inferiore >>.

Thorin espirò, riconoscendo le frasi che udiva sin da quando aveva memoria, anche se ora storpiate per enfatizzare le sue convinzioni.

<< Sei tenuto a rendere onore alla Casa dei tuoi Padri finché non esalerai l'ultimo respiro, Thorin Scudodiquercia. Se essi potessero parlarti esprimerebbero la loro vergogna nel vederti in questo momento >> sibilò, arrabbiata e... disgustata? Così gli parve. << Perciò, marcerai con convinzione e combatterai con coraggio alzando al cielo lo stendardo dei Durin, facendolo garrire al vento. Se la codardia o qualsiasi altro sentimento inadeguato prevarranno sul tuo cuore come accadde a tuo padre... >> lasciò volutamente la frase in sospeso, trafiggendolo con uno sguardo rovente e ghiacciato insieme, acuendogli la sensazione dello stridere di due lame tra loro << ...puoi risparmiarti la fatica del viaggio di ritorno, e morire sul campo di battaglia >>.

Per la seconda volta, Thorin udì una sentenza tagliente come la lama di un'ascia pendergli minacciosa sul capo: oscillava pericolosamente di qua e di là, minacciando di staccarsi da quel sottile lembo che la sosteneva per conficcarglisi brutalmente sul cranio, uccidendolo atrocemente. Al contrario di prima, però, non sarebbe rimasto in silenzio: l'orgoglio – o ciò che ne rimaneva – gli impedì di tacere e mostrarsi vile. Proprio quello che Rella si aspettava da lui.

<< Tornare o morire sul proprio scudo. La scelta mi pare facile >> constatò ironico, portando meccanicamente le mani dietro la schiena.

<< Dipende da te >> replicò lei, con tono più ammorbidito; gli diede le spalle, incamminandosi verso la porta. Prima di varcare la soglia, però, si fermò e lo guardò un'ultima volta, alzando di poco un angolo della bocca sottile << Sono certa che sarai saggio e saprai trovare la risposta. Riposati, figlio. Domani sarà un grande giorno per il popolo di Durin >> se ne andò senza riuscire a dirgli quanto, in realtà, le dispiacesse per le tremende perdite.

Non rivelandogli quanto le sanguinasse il cuore a causa delle pesanti parole dette. Non confidandogli quanto l'amasse, e quanto temesse per la sua incolumità.

L'ultimo lembo di seta dell'abito sparì in uno svolazzo nero come pece. Come quell'oblio che lui tanto anelava ma che avrebbe dovuto abbandonare. O forse avrebbe dovuto accoglierlo per impedire ad altro di insinuarsi nel cuore eludendo le barriere alte e insormontabili.

Si risedette, appoggiando i gomiti sul legno scuro della scrivania, portando entrambe le mani a coprirgli il volto stanco e dolente, lacerato e confuso, collerico e triste, impotente e battagliero.

Proprio non riusciva ad abbandonare gli ultimi dialoghi, pur desiderando con tutta l'anima di dimenticarli. Di nuovo, innumerevoli sentimenti esplosero nel cuore, confondendolo e devastandolo: primi fra tutti, rabbia verso la sua condizione e amarezza profonda per quel che non sarebbe mai cambiato. Non indirizzò l'ira verso la madre poiché ciò che aveva detto, per quanto meschino e crudele, doveva servire unicamente per il suo bene, per farlo tornare come un tempo. A modo loro, sia Dìs che Rella cercavano di aiutarlo. Ma lui in che modo poteva aiutarsi?

Non trovò risposte.

Rimase in quella posizione a lungo, o forse gli parve tale; improvvisamente, come quando un lampo bianco si scaglia a terra durante un violento temporale, la soluzione gli apparve nitida e chiara. Era talmente semplice che rimase qualche istante come sospeso, immobile come la pietra che lo circondava.

E proprio come pietra sarebbe dovuto diventare.

Permettendo a quel che lo rendeva così debole di indurirsi.

Riversando il suo furore e la sua smania di vendetta verso il nemico.

Immergendosi totalmente in quella nuova impresa che l'avrebbe sciolto dai propri spettri, dalle sue paure. O che l'avrebbe ucciso. Sinceramente, non avrebbe saputo scegliere tra l'una o l'altra; anzi, forse attraverso la morte avrebbe finalmente riavuto la sua libertà.

Non gli importava vivere, o morire.

Ciò che contava era la vendetta. Solo questo. E, per Durin, l'avrebbe ottenuta.

Tirò un ultimo sospiro sentendo la stanchezza martellargli insistentemente sulle tempie, decretando fosse giunto il momento di coricarsi. Lo desiderava immensamente, e ringraziò il suo buon intuito per aver già preparato ogni fagotto per l'indomani all'alba.

Quando riabbassò le mani, nessun sentimento traspariva dal suo viso, né dagli occhi.

Se Rella avesse potuto vederlo sarebbe stata fiera di lui.








CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonsalveeeeeeeeeee!!! Hahahahahaha, ero convinta di rimanere fuori dai giochi per un po' di tempo, e invece mi sono ritrovata impaziente di pubblicare questo primo capitolo con prologo della nuova storia XD!!!

Che ne pensate, vi è piaciuto ^^? Iniziamo già con un'atmosfera pesante per tutti, dalle sentinelle ai nostri Durin rimasti; chiedo umilmente perdono alle fans di Fili e Kili, non potete immaginare il dolore provato nello scrivere questo capitolo ç____ç: lo sapete, è dura che la vena tragica mi abbandoni! Qui abbiamo anche un Thorin devastato dalla perdita dei nipoti, con una sorella che lo “odia” – comprensibile, direi – e una madre molto ambiziosa e forte. Secondo me quel povero nano non vede l'ora di andarsene, anche se al momento accoglierebbe la morte con gioia :'(! Ma ci pensiamo NOI a dargli l'ammmmore che vuole ;)))

Al momento non ho altro da dire, perciò vi chiedo gentilmente di farmi sapere i vostri pareri tramite le vecchie recensioni ;))) ve ne sarò moooolto grata <3!

Alla prossima, un abbraccio a tutti quelli che commenteranno, leggeranno e decideranno di seguirmi :D!

Ciaooooooooooo

Anna <3

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


NOTE DELL'AUTRICE: Questa canzone mi è parsa adatta al capitolo, soprattutto riguardo il titolo “The Other World”; buon ascolto e buona lettura :) http://www.youtube.com/watch?v=4Nzq4UySA2Y

Dedicato a tutti voi, per scusarmi del ritardo.



CAPITOLO DUE

La colonna di nani avanzava ordinatamente e in silenzio da lunghe ore, ormai; il sole aveva già iniziato la sua discesa verso l'orizzonte, pennellando il cielo di colori vivaci e caldi, meravigliosamente roventi. Quasi tutti i membri della Compagnia prestarono scarsa attenzione a quel meraviglioso fenomeno, tranne il giovane Ori: cercava di annotarsi mentalmente le macchie di colore rossastre, aranciate e violacee decidendo di voler inserire quel particolare suggestivo nel suo piccolo diario, pronto per essere riempito con pagine e pagine riguardanti la nuova avventura. Con una stretta al cuore ricordò che non avrebbe più menzionato Fili e Kili raccontando del loro cacciarsi perennemente in guai più grandi – e forzuti - di loro. Sospirò gravemente senza accorgersi dell'occhiata curiosa lanciatagli da Dori e puntò lo sguardo verso la testa della fila, trovando immediatamente la figura di spalle del Re sotto la Montagna. Non si era voltato nemmeno una volta com'era solito fare abitualmente preferendo concentrarsi sui contorni indistinti degli Ered Mithrin, via via meglio delineati.

Si agitò sulla sella sentendosi stanco e dolorante, ed emise un breve gemito; si domandò per quanto tempo avrebbero continuato la marcia ma dedusse dovesse mancare poco, dato che il sole era praticamente tramontato. Come in risposta alle sue domande, Thorin tirò le briglie del pony fulvo facendolo girare leggermente.

<< Ci accamperemo qui per la notte! >> annunciò tonante.

La lunga colonna si fermò, e Ori poté udire diversi sbuffi alle sue spalle; non indagò se i soldati fossero felici o meno di quella sosta, ma di una cosa era profondamente sicuro: era impensabile procedere con l'oscurità imminente.

Thorin smontò dalla cavalcatura e gli altri lo imitarono, lieti di potersi sgranchire le gambe intorpidite; il giovane scrivano faticò un poco nel ritrovare l'equilibrio ma dopo una manciata di minuti tornarono come nuove.

<< Ah, quanto desidererei un bagno caldo e rilassante! >> piagnucolò Dori, asciugandosi il sottile velo di sudore sulla fronte.

Se sperava di trovare manforte sarebbe rimasto deluso, giacché non era dello stesso avviso << Siamo partiti solo stamattina e già ne senti il bisogno? >>.

<< Tu non puoi capire >> disse l'altro, ben convinto << Voi giovani non ne sentite mai la necessità >>.

<< Di cosa? >> si intromise Bofur, gioviale come sempre a dispetto della stanchezza. Aveva ancora le briglie del pony strette tra le mani, e non vedeva l'ora di potersi finalmente stendere tra l'erba alta con uno stelo giallastro tra i denti e il colbacco calato sugli occhi.

<< Stavamo parlando di un bagno caldo. Il genere di cose che servirebbero adesso! >> riprese Dori, alzando gli occhi al cielo come se potesse trovarlo lassù.

Il giocattolaio lo guardò compassionevole per poi stringersi le spalle << Bé, proprio adesso no, posso resistere un altro giorno. Siamo fortunati che il viaggio finirà presto, quindi su con la vita, Dori! Potrai lavarti domani a questa ora >>.

Il nano borbottò qualcosa che assomigliava vagamente a << Giovani! >> e Bofur lo ringraziò per il complimento allontanandosi per portare i pony con gli altri, legati a vari alberi.

Una volta assicuratosi fossero sistemati per bene corse dal fratello e dai suoi aiutanti, già intenti a raccattare il necessario per la cena frugale.

La maggior parte dei soldati era impegnata ad erigere delle tende mentre i restanti, per ordine di Thorin, erano stati mandati in avanscoperta alla ricerca di possibili minacce.

<< Due ore fa abbiamo oltrepassato i confini di Erebor. Siamo totalmente esposti a qualsiasi nemico >> decretò il Re con voce cupa, muovendo gli occhi azzurri lungo il paesaggio poco rassicurante.

Anche Bofur si affrettò a dare una rapida occhiata attorno, giusto per precauzione << Le Terre Selvagge sembrano più inospitali, qui >>.

Dwalin, pochi passi più in là, sentì ed annuì << E lo saranno ancora di più verso la meta >>.

<< Non mi ero mai avventurato da queste parti >>.

<< E' una novità per tutti >> disse calmo Gloin, allontanando la pipa dalle labbra << E non vedo perché preoccuparsi adesso. È quasi ora di cena >> concluse, come a voler porre fine alla questione col solo pensiero del cibo.

Ma Bofur non intendeva demordere << Sulle mappe ho notato che troveremo anche una Brughiera, più avanti >>.

Fu sempre Dwalin a rispondergli << Al centro della catena montuosa, già >>.

<< Capisco >>.

<< Se non ti conoscessi abbastanza direi che sei spaventato, amico >> lo canzonò Nori, sistemandosi meglio con la schiena addossata ad un masso per metà ricoperto di muschio.

<< Vedi, amico, è piuttosto normale >> lo rimbeccò, facendogli il verso << soprattutto se parti per una battaglia verso un luogo sconosciuto non sapendo se e come tornerai a casa >>.

L'istinto lo portò a girarsi verso sud, dove in una qualunque giornata di sole si sarebbe potuta scorgere la massiccia linea della Montagna Solitaria e gli altri, loro malgrado, si ritrovarono a seguirlo condividendone in parte i pensieri e timori.

Dopo la recente Battaglia dei Cinque Eserciti era più che naturale aver paura del futuro, perciò nessuno se la sentì di biasimare il solito scherzoso giocattolaio.

Chi avrebbe potuto rassicurarli sulla buona riuscita dell'impresa e sul rientro nella propria terra? In fondo, bastava così poco per morire...

Fece per aggiungere altro però venne interrotto da un soldato, venuto ad informarli che l'accampamento era stato montato; Thorin lo congedò con un cenno del capo e diede loro le spalle, perdendosi in chissà quali riflessioni. La Compagnia scambiò una lunga occhiata preoccupata mentre il silenzio aleggiava, carico di parole che non sarebbero state pronunciate poiché erano guerrieri e nani rudi. O troppo intimiditi e giovani.

Perciò, lasciarono che il chiacchiericcio dei soldati e il sibilare del vento riempisse quell'opprimente vuoto, e a stento udirono i passi di Bombur finché la sua voce non li destò del tutto.

<< La cena è pronta! >> esclamò allegro, cambiando espressione dopo averli visti in volto; si avvicinò al fratello e gli strattonò la manica della giacca marrone, curioso << Che è successo? >> sussurrò, scoccando qualche rapida occhiata agli altri, che sfilarono loro accanto.

Bofur scosse la testa amareggiato, ma tentò comunque di mostrarsi sorridente << Nulla, Bombur. Forza, andiamo, o non ci lasceranno nulla! >>.

<< Oh, non devi temere, ho già riempito le nostre ciotole! >>.

L'altro lasciò che l'ilarità scacciasse la tristezza << Te l'ho mai detto che, quando vuoi, sei un vero genio? >> scherzò, tirandogli la barba intrecciata.

<< Mi stai dando dello stupido? >>.

<< No no >>.

<< Ehi, stupido a chi? Ci sarai tu! >>.

Avevano raggiunto gli altri che, con un'alzata di occhi verso il cielo, si erano già preparati a sorbirsi il loro infantile battibecco; Thorin tentava di mantenere una sorta di calma, ma i nervi a fior di pelle causati dall'intera vicenda minacciavano di fargli perdere il lume della ragione, specie nel sentirli berciare. Si era giusto ritrovato ad aprire bocca per una sfuriata quando i fratelli smisero per conto loro, dopo che il buon Bofur si era arreso battendo una manata amichevole sulla schiena del fratello.

La cena si consumò senza ulteriori intoppi e il momento di ritirarsi giunse rapidamente; Dwalin rimase a sovrintendere i turni di guardia dei soldati, disposti a coppie lungo i lati del semplice quadrato formato dalle tende. Pochissimi bracieri illuminavano il paesaggio brullo e molte discussioni si erano sollevate in proposito, ma Thorin era risultato irremovibile: chiunque avrebbe notato una marcia di quattrocento nani, e solo gli sciocchi che cercavano di crogiolarsi in una chimera di instabile sicurezza potevano permettersi il lusso di credere di passare inosservati. Loro non lo erano di certo, quindi dovevano fare i conti con quella realtà: molto probabilmente gli orchi li avevano già avvistati e, forse, li stavano seguendo o accerchiando. Era inutile nascondersi. Certo, l'accortezza era sempre presente, ma nulla di più.

Si era trovato immediatamente d'accordo con questa logica, non aveva obiettato. Anzi, se fosse stato per lui avrebbe raccolto un manipolo di nani per correre a stanare quei maledetti prima che loro potessero anche solo pensare all'idea! Invece l'aveva scartata per la troppa avventatezza, oltre al fatto che Thorin non sarebbe stato d'accordo; e se avesse acconsentito si sarebbe gettato a capofitto senza pensarci due volte, incurante della sua vita.

In fondo Dwalin non aveva cuore a proporre quel piano. Era già abbastanza penoso – oltre che frustrante - vedere il proprio amico e fratello di armi in quello stato senza riuscire a far nulla. Servirgli la morte su un piatto d'argento era assolutamente disgustoso.

Salutò con un cenno un soldato che conosceva bene poiché figlio di un carpentiere di Erebor, e si ritrovò a sbuffare scocciato quando notò un'ombra irrequieta che camminava nella tenda del Re. Diresse i passi verso di essa e, dopo essersi annunciato, entrò quasi con impeto scorgendo l'inconfondibile stazza di Thorin, con le mani intrecciate dietro la schiena.

<< Potresti anche accendere una candela >> borbottò, avviandosi verso la lanterna.

<< No, lascia perdere. Preferisco così >>.

Il guerriero si immobilizzò e si girò, rivolgendogli uno sguardo truce che non venne colto dall'altro, anche se gli parve d'intuirlo.

<< Così non va bene, Thorin. Devi provare a dormire >>.

Un verso sprezzante seguì la sua frase, la voce tagliente e roca del sovrano giunse veloce << Non ricordo di essere ai tuoi ordini. Decido io cosa è meglio per me >>.

Non si fece intimorire e, per dimostrarlo, incrociò le grosse braccia piene di tatuaggi e cicatrici al petto << Non mi pare siano buone decisioni >>.

<< Attento, Dwalin. Ti stai addentrando in un terreno rischioso >> lo ammonì, minaccioso e autoritario. Non avrebbe tollerato oltre, ed era bene che l'amico ne venisse a conoscenza.

<< Questo lo so >> le labbra si piegarono in un sorrisetto ironico che non riuscì a vedere finché non udì il tono con cui parlò << La Brughiera Arida è un luogo davvero pericoloso >>.

Thorin assottigliò lo sguardo azzurro lasciando che una tempesta di collera li adombrasse e riempisse il suo corpo facendolo scattare in avanti di un passo << Non prenderti gioco di me! Se sei entrato per i tuoi commenti sarcastici puoi togliere il disturbo e tornare al lavoro! >> sbraitò.

<< Stavo solo... >>.

<< Non mi interessa, vattene >>.

Dwalin sbuffò, piuttosto contrariato << Thorin... >>.

Nemmeno stavolta ebbe il tempo di terminare << Non hai sentito ciò che ho detto? >> l'interruppe, secco.

Il guerriero strinse maggiormente le braccia e cercò di scorgere il volto teso e furibondo dell'amico, ma questi gli era celato. Un silenzio greve piombò su di loro, opprimente come l'oscurità che li circondava; fu questo a spingerlo ad eseguire la rabbiosa richiesta e, a malincuore, comandò ai piedi di muoversi. L'andatura rispecchiava appieno il suo animo poiché era lenta e pesante esattamente come percepiva il cuore, gravato da quei sentimenti che nulla avevano in comune con la sincera amicizia che da sempre aveva accompagnato la crescita di entrambi.

Una parte di sé gli impose di disubbidire e lui, senza riflettere, l'assecondò; quando lo affiancò, trovandosi ad alcuni centimetri dalla sua spalla sinistra, si fermò.

<< E' difficile anche per tutti noi >> sussurrò, cercando di trasmettergli quanto fosse vero.

Il Re serrò la mascella e inspirò profondamente per sopire la rabbia << Fuori di qui. Ora >> scandì bene, trapassandolo con sguardo gelido.

Dwalin dovette mordersi la lingua per non rispondergli sgarbatamente, evitando l'ennesimo diverbio. Già era complicato esprimergli i pensieri al riguardo, in più Thorin si impegnava particolarmente ad evitare qualsiasi confronto rimarcando la sua autorità con ordini ai quali doveva sottostare. La situazione non era delle più rosee, eppure si ritrovava a sperare sempre in un qualche cambiamento che, forse grazie a quella missione, sarebbe avvenuto.

Una volta che il lembo della tenda tornò al proprio posto e l'aria umida della notte gli sfiorò il viso stanco, si permise di sospirare impotente per l'ennesima volta; maledì l'assenza di Balin, anche se, in fin dei conti, nulla sarebbe cambiato. Nemmeno il fratello maggiore era riuscito a risollevare lo spirito dolorosamente ferito e ingiustamente colpevole di Thorin, e Mahal solo sapeva quanto questo lo scoraggiasse.

Scosse brevemente la testa per recuperare lucidità e, senza voltarsi, tornò alle proprie mansioni, certo solo di una cosa: quella notte difficilmente avrebbe chiuso occhio.



Ripartirono non appena spuntò l'alba, dopo aver consumato una ben misera colazione; inutile dire che il vecchio Bombur si lamentò immediatamente e continuò per un bel pezzo fin quando non intervenne un irascibile Bofur, zittendolo malamente. Gli amici si scoccarono occhiate stupite, dato che era un avvenimento a dir poco epocale: mai avevano visto il giocattolaio perdere le staffe così rapidamente. Anzi, mai l'avevano visto perdere la pazienza! Attribuirono la colpa alla terra straniera, sempre più spoglia e brulla; man mano che le ore si susseguivano, infatti, il suolo diveniva più secco, l'erba sempre più rada, le Montagne Grigie più vicine. Non erano lontanamente paragonabili alla fierezza della Montagna Solitaria o all'imponenza delle Montagne Nebbiose, ed erano meno inquietanti ma non per questo meno pericolose, poiché da qualche parte un esercito di Orchi era pronto a replicare l'attacco dell'anno precedente. Thorin fece raddoppiare la sorveglianza e spedì un numero maggiore di sentinelle, ma tutte riferirono che non vi era ombra di nemici; ciò aumentò l'irrequietezza nel gruppo e l'impazienza di arrivare: procedettero spediti senza abbandonare ogni prudenza però nulla mutò, tranne il paesaggio attorno a loro.

Le montagne ora erano un gruppo possente, si stagliavano per chilometri; pur non vedendola perché nascosta, i nani sapevano che dietro quella fila ve n'era un'altra, separata dalla temibile Brughiera Arida. Più di una volta le lamentele dei compagni riguardo quel luogo si erano susseguite nel corso del pomeriggio terso e afoso, rinfrescato solo sporadicamente da un alito di vento, ed erano partite le immancabili scommesse: chi puntava sul doverla attraversare tutta e chi, al contrario, affermava che si sarebbero fermati ben prima di perdere il senno tra la terra arida e polverosa. Tutti però erano d'accordo su un fatto: non conoscevano l'esatta ubicazione dell'entrata del Regno. Non era stata menzionata nella lettera, né ne erano giunte altre. In sostanza procedevano alla cieca. E questo divenne ulteriore motivo di malumore per Thorin Scudodiquercia, che si ritrovò a maledire per l'ennesima volta il momento in cui aveva accettato la richiesta d'aiuto. Non poteva certo rischiare la vita dei suoi uomini marciando avanti e indietro senza meta, per Durin! Ed era inammissibile perlustrare ogni minimo anfratto o crepa lungo i versanti alla ricerca di una porta nascosta; non intendeva ripetere alcuna esperienza passata.

Trattenne l'ennesimo ringhio frustrato mentre numerosi pensieri martellavano con insistenza nella sua testa, specie nelle tempie pulsanti e doloranti. Non riusciva a darsi pace, soprattutto se ripensava allo scontro con Dwalin; una piccola – minuscola, in realtà – parte dell'anima lo rimproverava duramente, dato che l'aveva aggredito senza motivo. La restante, invece, tentava di non fargli pesare tale rimorso e lui, con vergogna, si accorgeva di assecondarla; non voleva ammettere d'essere cambiato ma era la dura realtà con cui conviveva da più di un anno a questa parte.

Si massaggiò la radice del naso e chiuse brevemente gli occhi, cercando un po' di riposo che ultimamente faticava a trovare. La bolla di pensieri lo isolò dal resto: dal calpestio dei soldati a quello dei pony, dal vento che aveva iniziato a sibilare tra le asperità della roccia e da quel rumore strano, come di uno stridere di lama su pietra...

Riaprì gli occhi di scatto e fece per urlare un avvertimento quando una freccia sibilò pericolosamente accanto all'orecchio destro, talmente vicina che udì lo spostamento d'aria; caracollò giù dalla sella e sguainò Orcrist, indietreggiando finché non si ricongiunse con i compagni, scesi a loro volta e pronti a dar battaglia agli orchi.

<< Dove diamine sono? >> domandò Dwalin a voce piuttosto elevata, chiaro invito a mostrarsi.

<< E' arrivata da sinistra, circa lassù >> l'informò Thorin, indicandogli il punto col capo.

Nel frattempo i soldati si erano schierati, alcuni avevano levato gli scudi sopra le teste per evitare di essere colpiti e si erano posizionati davanti alla Compagnia, a loro protezione. Con grande stupore nessun'altra freccia lasciò il suo arco, né si mostrò qualche orrido orco; rimasero immobili a scrutare dovunque, non scorgendo nulla. Spazientiti, iniziarono a muoversi e alcuni abbassarono le armi, ma la voce potente e autoritaria di Thorin li fermò.

<< Non abbassate la guardia! >> si azzardò a guardarsi indietro, verso i soldati << Sono ancora qui >>.

Ebbe appena il tempo di terminare la frase che dei ringhi gutturali li fecero scattare allarmati, i muscoli pronti e gli occhi vigili alla ricerca della fonte: ed eccoli, tre Mannari comparvero alle loro spalle, ringhiando e sbavando dalle fauci protese in avanti, pronti ad azzannare le loro prede. Il sovrano dovette ricacciare un ordine formatosi sulla labbra, perché non sarebbe stato eseguito: aveva quasi urlato a Kili di scoccare una freccia. Il cuore si strinse in una lieve eppure dolorante morsa al ricordo del nipote morto e del fratello maggiore ma non ebbe il tempo di pensarci a lungo, dato che un altro latrato provenne da davanti. Dovette girarsi di scatto con Orcrist saldamente in pugno, pronto ad affrontarli; ma ve n'era solo uno e, ad un'occhiata più attenta, notò che non era esattamente un Mannaro: possedeva più l'aspetto di un lupo, anche se la stazza era decisamente più grande del normale. Scosse la testa, non era il momento opportuno per pensarci; attese l'occasione giusta però la belva non avanzò, limitandosi solo a ruggire famelica.

<< Thorin >> lo chiamò piano Gloin, stringendo quasi convulsamente il manico della sua ascia << che facciamo? >>.

<< Perché non si muovono? >> proruppe Dwalin, spazientito così com'era il sovrano.

<< Non saprei, ma non mi pare il caso di aizzarli! >> rispose Dori, nervoso.

<< Sembrano... in attesa >> mormorò il giovane Ori, abbassando di poco il braccio che reggeva la fionda.

<< Sicuro! Stanno aspettando il momento adatto per mangiarci! >> disse Bofur, sbilanciandosi un poco verso destra; la creatura che aveva di fronte abbaiò, e grosse gocce di saliva scesero a terra. Il giocattolaio tornò nella posizione iniziale senza pensarci due volte, temendo un balzo improvviso.

<< Silenzio! >> intimò Thorin, rabbioso; tentava febbrilmente di trovare una soluzione a quella situazione di stallo, non riuscendoci col chiasso provocato dagli altri.

Tutti attendevano un suo ordine, un cenno, e non aveva intenzione di deluderli; ma d'altra parte aveva anche notato il comportamento piuttosto sospetto delle bestie: non si decidevano ad attaccare, chiaro segno che non appartenevano ad un branco selvatico, o le lame avrebbero già assaggiato artigli e denti aguzzi. No, erano parte di un gruppo cresciuto in cattività, e chiunque li aveva addestrati non voleva nani morti. Per quale motivo?

Irritato ogni oltre misura mandò alla malora qualsiasi prudenza << Fatevi avanti, chiunque siate! Solo i codardi osano nascondersi! >> gridò a pieno polmoni, facendo risuonare l'eco tra la roccia dura e scura della montagna al loro fianco sinistro.

I lupi brontolarono feroci, schioccando le fauci. Alcuni mossero passi in avanti, altri indietro; erano terribilmente agitati, frementi e desiderosi di colpire, lacerare, sbranare, mordere. I nani percepirono chiaramente la tensione raggiungere un picco vertiginoso, i cuori parvero sfondare la gabbia toracica e battere rumorosi e rapidi, ma i loro volti mostrarono cocciuta determinazione unita allo spirito battagliero tipico della loro razza. Li avrebbero affrontati senza paura, persino a mani nude!

In mezzo a quella confusione non si accorsero dei nuovi arrivati finché una nuova voce tonante e bassa non li sorprese più di quanto potessero ammettere.

<< TIKHUZH! >>.

Alla parola, pronunciata in una familiare però ormai pressoché dimenticata lingua aspra, lo sguardo di Thorin saettò incredulo verso l'alto; sulla parete, con i piedi ben saldi su uno stretto passaggio roccioso, stavano delle tozze figure con gli archi tesi, alcune con asce bipenni o balestre.

Cogliendo un movimento si affrettò ad abbassare lo sguardo, notando come le bestie si calmarono visibilmente all'ordine; ridusse gli occhi a fessure e li riportò sospettoso verso i nani – perché di essi si trattava – ancora tesi e pronti a scoccare dardi e frecce al loro indirizzo.

<< Chi siete? >> domandò colui che aveva parlato poco prima, dal volto anziano percorso da vecchie cicatrici, segno che in passato era stato un valoroso guerriero; Thorin immaginò dovesse esserlo anche adesso, e che ricoprisse un ruolo di spicco all'interno della cerchia del re.

Comprese che si sarebbe spazientito presto perciò fu lesto a rispondergli in Khuzdul, sperando di ricordarlo sufficientemente bene << Parli al cospetto di Thorin figlio di Thrain figlio di Thror, Re sotto la Montagna >>.

Il tono fiero e il portamento regale furono ulteriori prove per il nano: dopo un lungo esame alla sua figura e all'esercito alle sue spalle, con un cenno della mano destra obbligò i compagni a rinfoderare le armi; anche Thorin fece altrettanto, senza mai staccare gli occhi di dosso dai lupi, o dai nani sullo sperone roccioso.

Lo straniero si rivolse a due sottoposti che scomparvero ben presto alla sua vista per ricomparire dopo pochi minuti dietro alle belve: con un sonoro fischio le richiamarono e quelle, obbedienti, girarono le spalle e andarono verso di loro; quelle alla coda della fila sorpassarono i nani di Erebor senza degnarli di un'occhiata e raggiunsero i compagni, mordendoli giocosi sul collo ricoperto di pelo.

<< Ubûnat, khahith >> disse uno dei due, un giovane nano dai lunghi capelli castani, accennando un sorrisetto paterno verso i lupi; batté una pacca sul fianco di uno, alto e grosso quanto un pony e poi tornò serio stringendo distrattamente il manico dell'arma.

Dwalin si portò alla destra di Thorin e mimò lo stesso gesto sul manico di una delle sue due asce, lanciandogli un sorrisetto sarcastico quando lo vide corrugare le folte sopracciglia scure.

Il secondo nano, un soldato nel fiore degli anni, si issò sulla groppa di un lupo dal pelo grigio e bianco e gli diede un ordine; la bestia mosse il capo da una parte all'altra e schioccò le fauci mettendosi a correre subito dopo sparendo presto alla loro vista.

<< Chi siete voi, e perché intralciate il nostro cammino? >> domandò imperioso Thorin nella Lingua Corrente, prendendo il comando della situazione; era rimasto in silenzio anche troppo a lungo, e pretendeva delle risposte.

Il capo di quello strambo gruppo di nani decise finalmente di scendere e mostrarsi completamente; era più basso e tozzo di Thorin anche se il volto era austero quasi quanto il suo: numerose rughe costellavano gli angoli degli occhi scuri e della bocca severa, i capelli erano ingrigiti da tempo, le spalle erano ancora larghe e salde come la roccia frustata dal vento fresco ai piedi delle montagne. Non indossava abiti di gran foggia, il che poteva far supporre fosse un nano vagabondo e quelli i suoi compagni di ventura, ma poteva significare il contrario: sotto quella maschera dismessa poteva benissimo nascondersi un nobile. O un Re.

<< Parlate in fretta, poiché questo luogo non è sicuro >> incalzò Thorin, gettando un rapido sguardo ai soldati e ai nuovi venuti.

Il nano lo osservò attentamente per alcuni secondi, dopodiché gli rispose in una Lingua Corrente piuttosto incerta e stentata, tipica di chi non è avvezzo a parlarla << Non vi è da temere. I nostri confini sono sicuri >>.

<< I vostri confini? >> ripeté Dwalin, parlando per la prima volta da quella sorta d'imboscata.

Lo straniero lo squadrò da capo a piedi, e annuì << Siete nel Regno di Ered Mithrin, ora. Seguitemi, vi condurrò a palazzo >>.

<< Aspetta >> lo fermò Thorin, prima che gli voltasse le spalle << Ti ho detto il mio nome e sai chi è la mia gente, però non hai intenzione di appurarlo, né ti sei presentato. Dove si cela l'inganno? >> chiese, già sul chi va là e pronto a dar battaglia grazie all'esercito che stava alle sue spalle, in trepidante attesa.

Il nano alzò un lato della bocca << E' vero, non mi sono presentato: Magan, Seconda Guardia del Re. Al vostro servizio >> aggiunse come di consueto, senza però inchinarsi << E ho avuto il piacere di combattere al vostro fianco, sire >> concluse, trasudando disprezzo da ogni parola.

Thorin strinse rabbiosamente le mascelle e si chiese come ciò fosse stato possibile, dal momento che solo l'esercito di Dain accorse in suo aiuto. Un altro mistero. Altre domande.

<< Se non vi sono altre questioni... >>.

<< No. Andiamo >>.

Magan si voltò verso i suoi soldati ripetendo l'ordine in Khuzdul << Ganag! >>.

Immediatamente gli si affiancò un grosso lupo dal pelo nero e si abbassò, permettendogli di montare in groppa senza alcuna difficoltà; Thorin dovette adeguarsi mentre il senso di non essere del tutto fuori pericolo minacciava di fargli perdere la calma per lasciare il posto all'irascibilità e al dubbio. Possibile fossero davvero quei nani che dopo secoli di assoluto silenzio si erano abbassati a chiedere un aiuto esterno a causa delle circostanze? Stava nuovamente mettendo a repentaglio la vita dei suoi amici e compagni, e dei suoi soldati? Era una trappola architettata a loro discapito? Doveva scoprirlo. Ed era necessario rischiare.

Sbuffò spazientito quando ricordò il numero nettamente superiore rispetto a quei nani dall'antica parlata: erano quattrocento contro una decina. Di che doveva preoccuparsi? Con un paio di poderosi fendenti sarebbe crollato anche quel Magan, riverso in una pozza di sangue rosso brillante. Certo, sempre non ce ne fossero altrettante centinaia nascosti tra le rocce, magari in combutta con un numero altrettanto corposo di luridi orchi.

Questi furono i suoi costanti pensieri mentre rimontava in sella al pony ed alzava il braccio destro a catturare l'attenzione delle file di soldati, e non lo abbandonarono mai, nemmeno quando il fedele Dwalin lo affiancò.

<< Che te ne pare? >> gli domandò il guerriero a voce bassa, lanciando occhiate intimidatorie verso il branco di lupi e rispettivi cavalieri.

<< Ci sono molte faccende che non mi convincono >>.

<< Già, anche a me. Speriamo di ottenere qualche informazione in più una volta raggiunto il palazzo reale >>.

Thorin annuì, stringendo le redini della cavalcatura tra le dita appena tremanti di rabbia << Speriamo non sia tutta una messinscena >> sibilò, gli occhi azzurri sempre più furenti.

Gli occhi di Dwalin saettarono un momento sul volto scuro dell'amico e sovrano, ma si mostrò più che d'accordo poiché i suoi erano gli stessi sospetti; rimpianse l'assenza di Balin, giacché il fratello maggiore era sempre stato portato per la diplomazia. Ed aveva un fiuto particolare nel riconoscere una menzogna, specialmente se ben nascosta come forse in quel caso.

<< Come sappiamo che non ci tradirà? >>.

Thorin girò la testa verso l'amico, non volendo mentirgli << Non lo sappiamo >>.

Sorpassarono le pendici delle Montagne Grigie e il panorama cambiò notevolmente lasciandoli stupiti e in un certo senso meravigliati. I loro occhi non avevano mai veduto una tale terra martoriata ed essi compresero il perché del nome: le belle vallate tra i monti, un tempo rigogliose, ora erano aride e secche, nulla vi cresceva. Profonde crepe segnavano il terreno e numerosi sbuffi di polvere e granelli si alzarono in aria quando cavalli, lupi e nani vi camminarono. Davanti e dietro di loro la catena montuosa sembrava avvolgerli in un enorme semicerchio di dura pietra grigia, fredda e inospitale. Morta così come si erano pensati i suoi abitanti per centinaia di anni.

Cavalcarono ancora, avanzando finché non raggiunsero le pendici delle altre grandi montagne, le cui cime erano ora nascoste ai loro occhi; il vento sferzava i mantelli facendoli ondeggiare, ed era fresco come se l'estate lassù non fosse sopraggiunta a riscaldare ogni cosa. Ma le grandi ombre massicce lasciavano la Brughiera in una sorta di penombra perenne, ed il sole difficilmente trovava il suo spazio. Fu così – tremando leggermente ed avvolgendosi nei rispettivi mantelli che, per fortuna, avevano portato appresso – che la compagnia di Erebor seguì le loro guide finché non si fermarono ai piedi di una parete rocciosa difficile da scalare; non vi erano appigli, né un accenno di sentiero.

Magan fece voltare il suo lupo, ed accennò ai pony << Lasciateli qui. Non possono proseguire lungo il sentiero >>.

<< Di quale sentiero stai parlando? >> domandò scettico Thorin, assottigliando gli occhi dato che non ne scorgeva alcuno.

Il soldato puntò il dito davanti a sé e il Re sotto la Montagna ne seguì il percorso vedendo che effettivamente qualcosa c'era, seppur davvero poco visibile: infatti, nascosto ad occhi attenti, vi era un percorso appena accennato a ridosso del fianco di un rilievo.

<< E dove condurrai gli animali? >>.

<< C'è un passo tra queste due montagne che si collega ai livelli inferiori del Regno. Di solito vi portiamo i lupi >>.

Thorin ponderò velocemente la proposta, vagliando i vari pro e contro; purtroppo per loro non vi erano alternative, dovevano seguirli. Strinse brevemente l'elsa di Orcrist cercando di riprendere un minimo di certezza e sospirò a fondo prima di scendere dal pony. Subito la Compagnia lo imitò e si portò attorno al suo sovrano dopo aver slegato i fagotti; la tensione era palpabile, ciascuno attendeva un qualche segno, una mossa di entrambe le parti per capire come dovevano comportarsi. In special modo, gli sguardi di tutti erano concentrati su Thorin Scudodiquercia e Magan, i quali si scrutavano guardinghi e diffidenti, tutt'altro che cordiali.

Dopo momenti di interminabili silenzio la voce bassa e profonda di Thorin ruppe il silenzio << I soldati rimarranno qui. Facci strada >> ordinò.

<< Thorin! >> esclamò Oin, allarmato; gli si avvicinò, agguantandolo per un braccio << Non possiamo! E se fosse un trucco? >>.

<< Già >> intervenne Dwalin, guardandolo di sbieco << io non mi fido, lo sai bene >>.

<< No >> li zittì il sovrano, alzando una mano << Porteremo una decina di soldati, nulla di più; i restanti seguiranno le cavalcature, e basteremo >>.

Gli altri annuirono soddisfatti e vennero date le disposizioni adatte; in poco tempo furono scelti i soldati e iniziarono così ad inerpicarsi verso l'alto tenendosi il più vicino possibile alla parete. Gli stranieri si muovevano con grande sicurezza mentre i nani di Erebor cercarono di non mettere un piede in fallo. Salirono a lungo e aggirarono l'intero versante fin quando il sentiero non divenne uno spiazzo roccioso sufficientemente largo dato dalla parete scavata e rientrante; una gigantesca porta li attendeva, tanto imponente da togliere il fiato, su cui vi erano incise rune naniche. Lì fuori li attendeva il nano che era stato mandato indietro da Magan; quando li scorse si precipitò dal suo comandante e gli parlò nella propria lingua facendo sì che loro non capissero alcunché. L'unico che riusciva a decifrare il tutto era Bifur, che iniziò a borbottare venendo immediatamente notato.

<< Un vero peccato non conoscere il Khuzdul >> bisbigliò Bofur, amareggiato << Potevamo farcelo tradurre >>.

<< Non ce n'è bisogno >> rispose Thorin a denti stretti; si avvicinò a grandi e sicuri passi a Magan, attirandone l'attenzione con voce autoritaria << Portami dal tuo sovrano, perché desidero conferire con lui. In fretta >> aggiunse, emanando un'aura tanto potente e che non ammetteva repliche da far ammutolire i due.

Il soldato lo guardò circospetto volgendosi poi verso il superiore, chiedendogli spiegazioni con un'occhiata; egli protese un braccio verso l'entrata ancora chiusa, mormorando un << Seguitemi >> piuttosto secco.

La porta scricchiolò e produsse un rumore roboante e profondo quanto un potente tuono, quasi come un ruggito animalesco che a Thorin ricordò per un assurdo momento quello di Smaug; strinse i pugni mentre seguiva la sagoma del nano all'interno della montagna, e fu solo un caso se distolse la mente dai nefasti pensieri per ammirare il lungo ed enorme corridoio dalle volte a crociera, sostenute da imponenti pilastri lavorati in forme spigolose alla cui base si trovavano nicchie con statue di pietra, probabilmente antenati della famiglia reale. In alto, grandi lanterne dalle candele quasi consumate e dal vetro impolverato illuminavano fiocamente il luogo; i passi sulla pietra liscia e scura risuonavano e rimbombavano, il silenzio era padrone. Percorsero il corridoio senza incontrare anima viva, e ciò allarmò oltremodo la Compagnia, poiché non sapeva se pensare ad una trappola o meno; finalmente però esso lasciò il posto ad una finta porta a forma di arco a sesto acuto e al di là vi trovarono la sala regale: giganteschi arazzi colorati impreziosivano le pareti altrimenti fredde e spoglie, il fuoco dei grossi bracieri accesi danzava in lingue rossastre ed aranciate facendo scintillare il trono sopraelevato, posto quasi al termine della stanza e arricchito d'intarsi d'oro. Ai suoi piedi vi erano dei nani, posti in semicerchio e, su questo, stava seduta una figura dai contorni indistinti; solo quando si avvicinarono riuscirono a comprendere di chi poteva trattarsi e, con stupore, trattennero il fiato. Thorin udì distintamente il suo migliore amico sbuffare come contrariato, ma non aveva certo il tempo di appurarne la causa, anche se poteva intuirla.

Chi sedeva sul trono parlò con voce limpida e chiara, seppur guastata dalla difficoltà con cui si esprimeva nella Lingua Corrente << Non siete Dain, Signore dei Colli Ferrosi? >>.

Thorin incontrò il suo sguardo e alzò fieramente il capo, muovendo due passi avanti << Siamo i Nani di Erebor, venuti a rispondere alla vostra richiesta di aiuto. Thorin Scudodiquercia è il mio nome. Voi chi siete? >>.

Gli occhi nocciola si sgranarono appena ma rimasero freddi, le mascelle si contrassero leggermente non appena capì chi si trovava al suo cospetto; le dita strinsero di poco i braccioli di pietra nera al sentire la sfrontatezza nella voce del nuovo – eppure indesiderato - venuto. Non poteva crederci davvero, però sapeva che quel nano non mentiva perché non era Dain.

Inghiottì con difficoltà la bile che raschiava la gola, e si accinse a parlare << La Regina di Ered Mithrin >>.






CANTUCCINO DELL'AUTRICE


Buonasera! Innanzitutto vorrei scusarmi enormemente per il ritardo con cui pubblico: so che vi avrò deluse e me ne scuso :'(. l'ispirazione se n'era andata e non sapete la rabbia nel mettermi davanti al pc senza riuscire a scrivere nulla! Sono un essere ignobile, e merito i peggio insulti :/ almeno spero possa piacere questo secondo capitolo ^^, anche se non succede niente di eclatante! Pazientate, dal prossimo dovrebbero iniziare i giochi veri e propri ;)))

Ringrazio le carissime Carmaux_95, LadyDenebola, Eressea Manx, innamoratahobbit, Krystal91, LilyOok, kenjina, Neryssa, lily75, Yavannah, MrsBalck90, pamagra, Lady of the sea che hanno speso tempo a recensire :))) che farei senza di voi???

Ringrazio coloro che hanno inserito la storia tra le Preferite, Seguite e Ricordate e grazie a chi legge soltanto :) :). Inoltre vorrei ringraziare certe ragazze che col loro sostegno mi hanno confortata, spronata ed aiutata ad andare avanti col capitolo: SIETE FANTASTICHE e vi amo <3!

Un bacione grande, alla prossimaaaaaa

Anna :*


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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


CAPITOLO TRE


Chi siede sul trono parla con voce limpida e chiara, seppur guastata dalla difficoltà con cui si esprime nella Lingua Corrente << Non siete Dain, Signore dei Colli Ferrosi? >>

Thorin incontra il suo sguardo e alza fieramente il capo, muove due passi avanti << Siamo i Nani di Erebor, venuti a rispondere alla vostra richiesta di aiuto. Thorin Scudodiquercia è il mio nome. Voi chi siete? >>

Gli occhi nocciola si sgranano appena ma rimangono freddi, le mascelle si contraggono leggermente non appena capisce chi si trova al suo cospetto; le dita stringono di poco i braccioli di pietra nera al sentire la sfrontatezza nella voce del nuovo – eppure indesiderato - venuto. Non può crederci davvero, però sa che quel nano non mente perché non è Dain.

Inghiotte con difficoltà la bile che raschia la gola, e si accinge a parlare << La Regina di Ered Mithrin. >>

Thorin riduce gli occhi chiari in due fessure per poterla guardare meglio: è giovane, ma non così tanto da meritarsi l'appellativo di ragazzina. Concorda che, probabilmente, può essere coetanea di Fili.

Scaccia quel doloroso fantasma e torna a concentrarsi sugli occhi che lo scrutano minacciosi, gelidi come ghiaccio; paiono inghiottiti dal trucco nero presente sulle palpebre, si perdono impedendogli di capire se sono grandi oppure piccoli, se sono aperti o disgustosamente serrati. L'aiuta solo il luccichio dato dalla luce ammaliante e spesso ingannatrice dei bracieri. Non è la prima volta che vede una nana truccata, poiché rammenta ancora il giorno dell'unione di sua sorella con il marito: la giovane, spensierata ed affascinante Principessa di Erebor aveva stregato parecchi nani rudi, quella lontana mattina. La sua bellezza era stata sovente paragonata alle gemme più luminose e preziose del Regno, e Thrain e Rella ne erano sempre stati oltremodo orgogliosi.

Per lunghi attimi permette ai dolci ricordi di trascinarlo con loro, poi si riscuote: non è il momento. Non è il luogo. Non è lei.

Nota che sul capo è posata una corona di oro e di quelli che paiono rubini fusi che creano intarsi geometrici sulla superficie liscia; constata che non è massiccia quanto quella che gli appartiene, perciò deduce sia appartenuta alla precedente regina e risalga ai tempi in cui il Regno di Ered Mithrin era molto più potente e ricco. Non si perde in ulteriori riflessioni, torna a concentrarsi sulla misteriosa donna; i capelli scuri non sono liberi ma acconciati sulla nuca, tipico segno di vedovanza: dunque è la Regina Reggente da quando il consorte è deceduto, non per altri motivi. Lo sbigottimento iniziale pare scemare, e sa che anche i compagni la pensano allo stesso modo: è oltremodo insolito per una nana governare, e il sapere che ciò ha una causa e non è progettato dal principio li conforta.

Un'ombra massiccia si muove ai suoi piedi catturando la sua attenzione: sconcertato, punta gli occhi in quelli pericolosamente gialli e affilati di una belva. Di un grosso Mannaro dal manto del colore della notte più nera. Spalanca le fauci e sbadiglia, si accorge di quelle presenze estranee nel suo territorio, bassi ringhi salgono dal suo stomaco e trovano compimento quando si infrangono sui denti aguzzi, liberandosi nell'aria dannatamente statica, sospesa. Ognuno attende, ognuno freme. La regina bisbiglia qualcosa e l'animale si placa un poco, però Thorin non riesce a rilassarsi: per la centesima volta si domanda in quale assurda situazione si è cacciato, in quale strana e così straniera circostanza ha cacciato tutti loro. L'ostilità che lei emana nei suoi confronti è pari alla sua voglia di rimangiarsi ogni parola e tornarsene a Erebor: e, per Mahal e tutti i Valar, è un desiderio veramente allettante.

Il lupo si è alzato e, dai gradini, troneggia maggiormente sull'assemblea; rimane placido mentre la giovane gli allunga una breve carezza dietro le orecchie, come farebbe una qualsiasi padrona nei confronti del suo animale domestico. Eppure vi è qualcosa che non lo convince del tutto, se ne accorge troppo tardi: non è un gesto d'affetto, ma un comando sapientemente nascosto. Difatti, una volta staccatosi dal contatto, inizia ad avanzare verso il basso mostrandosi in tutta la sua spaventosa e maestosa grandezza; gli si avvicina, e a Thorin non rimane altro che alzare fiero il capo senza mostrare vacillamento né timore. Si studiano, ogni muscolo è pronto a scattare, la mano sinistra indugia nello sfiorare il manico di Orcrist; il lupo lo annusa e, lento, gli gira attorno, distogliendolo dalla figura seduta sul trono che, malignamente divertita, finalmente decide di parlare.

<< Dovete perdonarlo. Non è abituato ad estranei. >>

<< Nemmeno noi. >> borbotta Dwalin, stringendo i pugni nel vedere quella disgustosa e pulciosa bestia gironzolare attorno all'amico.

Dopo secondi che paiono ore quella passa oltre, superando Thorin per dirigersi verso gli altri.

<< Posso immaginarlo >> si affretta a dire il Re di Erebor, sperando di ricondurla da lui prima che il tutto precipiti e tentando di rimediare alla schiettezza del parente << ma siamo giunti qui in pace, in risposta alla vostra richiesta d'aiuto. Gradiremmo conoscere i dettagli il più presto possibile, e partecipare all'organizzazione della difesa della montagna. >>

Ognuno dei nani lo studia, sposta con discrezione lo sguardo verso la regina, in muta attesa; lei inclina la testa di lato, schiude le labbra << Non ora. >>

Thorin stringe un attimo le labbra, preparandosi a ribattere con ferocia che non c'è tempo da perdere e che, se vogliono salvare quel misero regno e il suo misero popolo, occorre agire in fretta perché gli orchi non aspettano.

Lei capisce il suo disappunto, ed un sentimento di fastidio e collera monta nel petto; si costringe a calmarsi, perché così ha promesso.

Perciò si sbriga a terminare la frase, prima che l'ospite fraintenda << Sarete miei graditi ospiti a cena, e allora discuteremo di ogni dettaglio. Ora verrete scortati nelle vostre camere e sarete chiamati al momento stabilito; nel frattempo vi consiglio di riposarvi. >>

Ad un suo cenno con la mano destra alcuni servi e serve si mostrano, quasi come comparsi per magia dalla profondità delle tenebre che avvolgono il luogo. Thorin però non ha ancora terminato e, caparbio, muove qualche passo in avanti; com'è prevedibile il lupo nero inizia a ringhiare feroce, un avvertimento che lo obbliga a malincuore ad arrestarsi.

<< Prima di congedarmi, mia signora >> inizia, accennando un lievissimo inchino col capo che la donna interpreta come scherno << intendo conoscere il nome di colei che mi ha convocato e desidero sapere se i miei soldati sono stati condotti al riparo, negli alloggi assegnati. >>

La frase la spiazza, lo nota meglio ora che è più vicino al trono, a pochi passi dai suoi bassi gradini; la vede arrossire di rabbia e cercare con lo sguardo una figura alla sua destra e, seguendola, nota un nano anziano che annuisce impercettibilmente; di riflesso, si permette di espirare.

<< I vostri uomini sono già sistemati >> lo informa, fredda << mancate solo voi. In quanto al mio nome, non vedo come possa realmente interessarvi; comunque parlate con Nora, sovrana del regno. E adesso... >> lascia volutamente la frase in sospeso, facendogli intendere che non tollererà altre intrusioni.

Thorin sbuffa contrariato, notando quanto sia particolarmente affettuosa l'ospitalità di quei nani; non le rivolge alcun inchino, la sfida con gli occhi a redarguirlo finché segue il servo, finché non lascia la Sala del Trono alle spalle.

Solo allora si permette di guardare Dwalin; si scambiano un'occhiata, condividendo come sempre i medesimi pensieri e timori.

Devono stare attenti.

Molto attenti.




Espirò pesantemente e portò una mano alla radice del naso, massaggiando il punto caldo che doleva da morire; lo sguardo cadde sulle cosce coperte dalla stoffa rosso cupo finché non trovò la forma solida della corona. La sfiorò con la punta delle dita, provando un immenso sollievo nel sentire il metallo freddo al tatto; aveva bisogno di pensare eppure, allo stesso tempo, era stanca. Non aveva fatto altro da quando aveva congedato gli ospiti e i suoi consiglieri, rimanendo sola nella grande Sala del Trono.

Tentò di relegare in un angolo remoto la rabbia e il disgusto verso Thorin Scudodiquercia preferendo concentrarsi sul problema degli orchi e sulla possibile battaglia che, presto, si sarebbe scatenata ai piedi del suo regno. Lo stesso regno che per numerosi secoli era rimasto nascosto agli occhi di tutti, dimenticato, menzionato solo nelle leggende e negli antichi e impolverati libri di storia.

Non era pronta a rivelare all'intera Terra di Mezzo la sua esistenza. Nessuno di loro lo era.

Ciò che non riusciva a comprendere era perché avessero deciso di attaccarli, in che modo ne erano venuti a conoscenza; e, fatto non meno importante, perché Dain avesse deciso di negare il suo aiuto quando, al contrario, glielo aveva assicurato. La sua firma, nero su bianco, ricordava il suo obbligo. Alzò un angolo della bocca, ilare: forse l'ultimo dubbio l'avrebbe fugato quella sera stessa grazie al nuovo salvatore.

Entrambe le mani strinsero con foga i braccioli lucidi e neri, tanto che le nocche sbiancarono visibilmente; sentì di tremare e s'accorse che il lupo la stava fissando quasi riuscisse a leggerle l'anima. I suoi occhi luminosi sembrarono ammonirla, ordinandole di respirare: e, inconsciamente, eseguì.

Animale e donna si guardarono negli occhi lunghi istanti, e solo dopo che lei abbassò il capo per prima in ringraziamento quello tornò ad accucciarsi a terra. Vi era uno strano rapporto tra loro, non lo negava; ma, in fin dei conti, ciò non capitava tra due esseri che non si appartenevano? Si erano trovati insieme a causa di circostanze esterne ed estranee alla loro volontà; poco importava se si conoscessero da lunghi anni, da che lei ne aveva memoria: non le era mai appartenuto. Non era il Re. Una dolorosa morsa al cuore le spezzò il respiro, ma la scacciò quando udì rimbombare dei passi e l'inconfondibile tintinnio di una spada al fianco; indossò la corona e mutò espressione, tornando la regina imperscrutabile conosciuta all'interno di quelle mura.

Le ombre danzanti presero forma di un giovane nano di bell'aspetto dalla folta chioma color del grano; avanzò senza timore finché non raggiunse il lupo, rivolgendogli un rigido cenno col capo che l'animale sembrò apprezzare. Poi si rivolse a lei: portò la punta delle dita a toccare le palpebre abbassate e allungò le mani avanti a sé, nella direzione della sua sovrana.

<< Novità, Hagan? >>

<< No, mia signora. Le sentinelle non hanno scorto nulla, e io con loro; i fuochi sembrano spariti, inghiottiti dalla terra o dissolti nel cielo >> l'informò cupamente.

<< Non è confortante. Mi domando dove possano essersi rintanati >> sussurrò la giovane, afflosciando le spalle irrigidite << Tu pensi abbiano lasciato perdere qualsiasi tentativo di conquista? >> domandò, una flebile speranza nella voce.

<< Vuoi la verità? >>

<< Non mi aspetto altro da te, Capitano. Dì quel che devi. >>

Lo sguardo di Hagan non vacillò mai, nemmeno di fronte a quella brutale verità che, tuttavia, le avrebbe aperto gli occhi << Credo si stiano organizzando per la più imponente battaglia che gli Ered Mithrin abbiano mai visto. Dovremo essere pronti, perché quando arriveranno saranno brutali e spietati; non risparmieranno nessuno. >>

Alla frase, lo sguardo della giovane saettò sul suo viso e Hagan poté giurare di vederlo pieno di terrore. Sbatté le palpebre per ritrovare il contegno perduto, ma i tremiti incessanti e freddi che le percorsero il corpo furono ben difficili da cacciare. Annuì più volte e si alzò dal trono, scendendo i bassi gradini che la separavano da lui; quando si ritrovò ad un paio di passi gli fecce cenno di alzare il capo, poiché impegnato in un profondo inchino.

<< Il... Re di Erebor è assolutamente indispensabile, dunque. >>

Il tono disgustato non sfuggì alle orecchie del nano e, suo malgrado, si ritrovò ad annuire << Senza i suoi uomini non abbiamo speranze. I nostri soldati sono troppo pochi, e non possiamo chiedere agli anziani o ai giovani di imbracciare le armi: non abbiamo sufficiente tempo. >>

<< Non l'avrei chiesto comunque, giacché alcuni hanno visto troppi inverni, altri troppo pochi. Gli orchi non sono nemici da sottovalutare, ed ogni soldato impreparato equivale ad una loro vittoria. Non posso permetterlo >> strinse involontariamente i pugni, ma il Capitano ebbe cuore a non commentare.

<< Non accadrà >> ribatté fermamente il nano, portandosi il pugno destro al cuore << lo giuro sulla mia vita. >>

La sovrana alzò un angolo della bocca in un sorriso riconoscente << Ti ringrazio, Hagan, ma spero non ce ne sia bisogno. >>

<< Tu come stai? >> le domandò, dopo lunghi attimi di silenzio in cui entrambi si isolarono per riflettere.

Stavolta il sorriso si fece più ampio << E' il Capitano o l'amico che lo vuol sapere? >>

Alla risposta non poté far altro che imitarla, donandole un sorriso sincero seppur stanco << Entrambi, lo sai. Ma credo più l'amico >> concluse, strizzando l'occhio sinistro.

Si lasciò sfuggire un pesante sospiro, e intrecciò le dita delle piccole mani << La testa pare scoppiarmi di dolore e sono confusa, spaventata, arrabbiata. Molto arrabbiata. >>

<< Posso capirne il motivo >> si ritrovò a mormorare, venendo udito.

Strinse la mascella e inspirò a fondo << Non erano la tua famiglia, Hagan >> sibilò, furiosa.

<< Nora - >> tentò di parlare ma non glielo permise.

<< Abbiamo finito di discutere. Ti attendo a cena, dove sarai presentato agli ospiti e potremo discutere di una strategia di battaglia >> ordinò brusca, sorpassandolo per uscire dalla sala.

Hagan volle raggiungerla, fermandola per un braccio, ma il lupo parve capire le sue intenzioni perché si alzò di scatto dal pavimento di pietra mostrando le zanne scoperte e appuntite.

Nora si voltò, guardandolo freddamente e con superiorità: era tornata la donna imperscrutabile a cui aveva giurato fedeltà un anno addietro e per la quale avrebbe dato la vita, se necessario; eppure nella sua anima sapeva esserci ancora la principessa Nora. Ora, solo poche persone potevano ritenersi così fortunate da vederla, e lui non era tra queste; lo era stato – e in rari momenti lo era ancora – ma era irrimediabilmente cambiata da quando era salita al trono. Erano cambiati tutti con violenza, quel lontano giorno.

<< Andiamo, Khael. >>

Il lupo gli donò un ultimo sguardo guardingo con i suoi pericolosi occhi gialli e poi seguì la sua Regina, confondendosi tra le ombre nere.



E' immersa nel mondo dei sogni. Non ricorda da quanto tempo non sogna la sua infanzia, e si ritrova a commuoversi; inoltre, è da molto tempo – un anno e tre mesi, per la precisione – che non si sveglia durante la notte. Eppure, adesso, qualcuno la chiama e la scuote piano ma con fermezza e viene strappata ai suoi sogni così vividi e belli da sembrare reali; oh, quanto vorrebbe fossero tali! Ma tutta la sua vita è cambiata da un giorno all'altro e lei non è riuscita a far nulla; si è trovata a capo di un regno dovendo fare i conti con i sudditi e ciò che restava della sua famiglia.

<< Mia signora! Mia signora! >>

Apre gli occhi e scorge il volto di Gilla, la sua dama di compagnia; indossa un mantello sopra la camicia da notte, e pare angosciata. Ciò la desta del tutto, e si affretta a chiedere cosa succede.

<< Il Capitano Hagan è qui fuori, mia regina; chiede di vedervi, dice che è urgente. Molto urgente! >>

<< D'accordo >> mormora, scostando le coperte dal corpo; si siede sul materasso e poi si alza in piedi, mentre il cuore inizia ad accelerare i suoi battiti: se Hagan ha chiesto di vederla in piena notte significa che è accaduto qualcosa di grave << Aiutami ad intrecciarmi i capelli, non occorrerà una pettinatura elaborata. E portami la vestaglia e il mantello più pesanti che ho. >>

<< Sì, mia signora. >>

Gilla fa come richiesto e, dopo dieci minuti, è pronta per incontrare il soldato; lo trova nel salottino, davanti al focolare acceso mentre è intento a scaldarsi le mani. Indossa il mantello di pelliccia, il che significa che è appena rientrato tra le mura calde del palazzo dopo aver trascorso del tempo all'aperto.

La sente camminare verso di lui, si gira e inchina la testa frettolosamente, salutandola poi con il rito proprio della loro gente.

<< Che succede? >>

<< Mi rincresce svegliarti, mia signora, ma devi venire con me. C'è una cosa che devi vedere, là fuori. >>

Lo stomaco le si stringe doloroso, mentre uno spiacevole presentimento si fa strada nel cuore; conosce molto bene il soldato, sa per certo che deve trattarsi di una faccenda importante e delicata di cui, giustamente, non vuol parlare lì. Le sue stanze sono sicure – ella stessa se ne preoccupa per prima – ma è sempre meglio essere prudenti, specie in quei tempi. Annuisce e si ritrova a seguirlo lungo i vari corridoi e scale mal illuminati, salgono sempre più finché non raggiungono una porta di ferro. Prima di uscire, Hagan prende una lanterna e si volta a guardarla, illuminandole il volto teso e pallido.

<< Copriti bene, fuori il vento è pungente. >>

Non attende risposta perché si volta, la mano stringe la maniglia e tira verso di sé, aprendola. Una raffica la raggiunge in pieno volto facendole lacrimare gli occhi e congelare il naso, però questo non la ferma. Deve sapere. Deve vedere. Esce, ed il paesaggio mozzafiato le toglie il respiro; le stelle sono tantissime, puntini lontani e freddi nell'oscurità più nera della notte. Riconosce il Vecchio Astro e la Vecchia Madre, uno accanto all'altra e più luminosi di tutte le altre stelle, ma poi dei movimenti attirano la sua attenzione: nota due sentinelle, una anziana ben nota e una, giovane poco più di lei, che le rivolgono grandi inchini e mostrano un ossequioso rispetto.

<< Perdonaci, maestà >> si scusa l'anziano, non guardandola in volto.

<< Non hai nulla di cui scusarti, Bemli; non se è importante. >>

<< Lo è, signora. >>

Lei annuisce, e gli rivolge un piccolo sorriso di incoraggiamento; conosce Bemli da quando ne ha memoria ed è certa si tratti di una cosa importante quando nota la sua espressione seria e tesa, che le smorza il sorriso sulle labbra rosee.

<< Mostrami quel che devi. >>

<< Osservate laggiù, verso ovest. >>

Nora segue il percorso del dito e si blocca, schiudendo le labbra; una luce flebile e aranciata si intravvede appena nella Piana di Angmar. Il fiato le si spezza e per alcuni lunghi secondi non riesca ad articolare nulla, nemmeno un pensiero; poi si rivolge ai due nani.

<< Sono fuochi? >>

<< Yar, mia signora. Pensiamo lo siano >> le risponde Bemli, grattandosi pensieroso la lunga barba grigia.

<< Lo sono indubbiamente, maestà >> interviene Tosur, indicando poi il grande braciere alle sue spalle << I colori sono del tutto simili alle fiamme del fuoco. >>

Lei annuisce greve << Da quanto tempo li avete notati? >>

<< Da poco più di mezzora, e ho immediatamente mandato Tosur ad informare il Capitano. >>

<< E' così >> interviene il suddetto, puntando lo sguardo ai bagliori << ma ora paiono essersi smorzati un poco; forse si sono diretti dalla parte opposta. >>

<< E' quello che speriamo tutti. >> borbotta il più anziano del gruppetto, sconsolato.

Nora e Hagan si scambiano un'occhiata, capendosi: nessun posto può essere più sicuro della vedetta per parlare di quell'argomento delicato.

<< Avete fatto un buon lavoro, io per prima ve ne sono immensamente riconoscente. Ora, sareste così gentili da lasciarci soli qualche minuto? >>

Bemli e Tosur annuiscono, e dopo un breve inchino col capo se ne vanno lasciando soli i due giovani; Nora si stringe inconsciamente nel tepore del mantello mentre osserva quel cattivo presagio.

Rimangono in silenzio a lungo, i volti concentrati e apparentemente persi ed assenti finché non è lei a spezzare il silenzio << Verranno qui, non è vero? >> sussurra, senza voltarsi verso il viso del nano.

Lui, al contrario, sposta gli occhi verdi su di lei, soffermandosi sulla treccia frettolosa – alcuni capelli sono sfuggiti e seguono il percorso del vento – attorcigliata alla nuca; gli occhi e le palpebre non sono truccati mostrando chiaramente quanto quel viso sia giovane, e anche la corta barba castana lo dimostra: le donne non l'hanno folta quanto gli uomini, dato che alcune posseggono solo le basette, altre un po' di pizzetto e altre ancora - come Nora – un leggero e sottile velo di peluria.

Conscio di doverle rispondere, cerca di rimediare in fretta poiché sa quanto non ami attendere, specie se è una risposta tanto importante << Non voglio mentirti quando dico che non ne sono certo. Forse, o forse no. >>

<< Allora dobbiamo scoprirlo; mandiamo dei ricognitori. Penserai tu al numero e a chi inviare. >>
<< Come comandi. Ma credo sia opportuno pensare già ad un piano di difesa e d'attacco, in questo caso; non possiamo permetterci di giungere impreparati, se verranno. >>

<< Dobbiamo convocare i consiglieri e discuterne immediatamente >> a dispetto del tono calmo, Hagan ne intuisce la scontentezza e non può fare a meno di sogghignare.

<< Saranno deliziati di un risveglio in piena notte. >>

Nora fa una smorfia di scherno << Probabilmente raggiungeranno la Sala del Consiglio a mezzodì. Sempre se vorranno degnarmi della loro presenza. >>

<< Yar, forse. Però potrai sempre contare su mio padre, lo sai. >>

La regina si permette un lieve sorriso << Garan potrebbe essere l'unico a presentarsi, già >> sbuffa e si friziona le braccia con le mani per scaldarsi << Non mi importa, devono essere avvertiti immediatamente tutti quanti, dal primo all'ultimo. Non accetterò rifiuti. >>

<< Mi assicurerò che eseguano, mia signora. >>

<< Lo so. Andiamo, sarà una lunga notte, e una ancora più lunga giornata ci attende >> distolse a fatica gli occhi nocciola dal bagliore lontano e, col cuore gonfio di pena e paura si incamminò da dove erano venuti, ascoltando i passi pesanti del soldato alle sue spalle.


Esattamente un'ora dopo Nora e Hagan siedono nella Sala del Consiglio, attendendo che i nani arrivino per essere ragguagliati; con immenso compiacimento non devono aspettare molto perché ecco che, dalla porta, compare la figura bassa e tozza di Garan, padre del Capitano.

<< Mia regina >> la saluta, inchinandosi << Figlio >> aggiunge, sedendosi alla sua destra.

<< Benvenuto, Garan. >>
<< Dunque è vero? Si scorgono bagliori a ovest? >>

<< Precisamente, ma vorrei aspettare gli altri prima di raccontare: preferirei parlare una volta soltanto. >>

<< Come è giusto, mia signora >> un'altra voce, untuosa e sgradevole – al contrario di quella di Garan, profonda e dura – si aggiunge al trio; due figure fanno la loro comparsa, anche questi padre e figlio.

Nora reprime un moto di stizza nel vederli, ma non può far nulla: erano consiglieri già prima che si insediasse, e senza una valida motivazione non può cacciarli.

Li osserva prendere posto, notando le facce stanche e tirate di chi è stato fatto scendere dal letto troppo presto, e sapere che lei ne è l'artefice la rinvigorisce; finalmente giunge l'ultima coppia di nani e, ora che sono tutti seduti, a lei non resta che raccontare ciò che ha visto.

Man mano che procede nel succinto racconto nota i loro volti farsi attenti, le posture si irrigidiscono e le sopracciglia si corrugano; infine, cala il silenzio.

<< Per Mahal >> borbotta preoccupato Sisil, l'anziano consigliere << Ciò è orribile! >>

<< Suvvia, non significa nulla! >> interviene lo sgradevole Fanus, uno scintillio strano nei piccoli occhi acquosi neri come pece << Non prova che stiano venendo qui. >>

<< Potrebbero, mastro nano. >>

<< Mio caro ragazzo >> continua, rivolgendo un sorrisino compassionevole all'indirizzo di Hagan << nessuno, e ripeto nessuno, è a conoscenza della nostra presenza, e del regno. Di questo siamo sicuri. >>
Hagan si sta spazientendo, Nora se ne accorge; e, prontamente, decide di parlare << Potremmo esserci sbagliati. Eravamo convinti della nostra invisibilità, ci siamo crogiolati nella sicurezza troppo a lungo. Non vorrei dirlo, ma penso proprio che dovremo prepararci al peggio, miei signori: gli Ered Mithrin non sono più sicuri. >>

<< Sciocchezze! >> esclama Fanus, ricevendo una dura occhiata dalla maggior parte delle persone presenti << E' dall'anno 2570 della Terza Era che siamo nascosti come topi tra queste catene montuose! È semplicemente inaudito che ora un gruppo di orchi voglia attaccarci! >>

Un borbottio di assenso si leva dal gruppo ma stavolta è il giovane Hagan a prendere la parola << Dobbiamo vagliare tutte le possibilità. E una di queste prevede che vengano ad attaccarci >> dice calmo, seppur gli occhi lo tradiscano.

<< Dimmi, Capitano >> interviene un nano poco più vecchio di lui, seduto accanto a Fanus << hai provveduto a spedire dei ricognitori? >>

<< Certo, Doiran >> risponde glaciale il soldato, assottigliando lo sguardo verde << per ordine di sua maestà la regina. Ne sono stati inviati due a piedi e due a cavallo di lupi, cosicché possano battere meglio il territorio alla ricerca di tracce. >>

<< Siete soddisfatti? >> domanda ironica Nora vedendo che, almeno Doiran, mostra la decenza di abbassare gli occhi << Ora, ipotizziamo che la minaccia diventi reale: come procederemo? >> chiede, volendo coinvolgerli.

Garan stringe i pugni sul tavolo di pietra, combattivo << L'unica soluzione è scendere in battaglia. >>

<< Padre, non abbiamo sufficienti uomini, e i soldati non si moltiplicano dal giorno alla notte. >>

Un silenzio denso scende nella sala; ciascuno pensa a possibili soluzioni, una più improbabile dell'altra, fino a quando non se ne staglia una. Nessuno la espone, o non subito: non ne hanno il coraggio. Hagan raccoglie la sua determinazione, si gira verso la sovrana che, nel mentre, ha giunto le mani sotto al mento, incurante dell'etichetta; molto probabilmente è arrivata alla medesima soluzione, ed è comprensibile ne sia sconcertata tanto quanto loro.

<< Servirà l'aiuto dei Colli Ferrosi. >>

Gli occhi nocciola si sgranano di poco, sbatte le ciglia parecchie volte; si gratta inconsapevolmente la pelle della mano sinistra come ogni qualvolta è nervosa, ma nessuno se ne accorge: tutti guardano il soldato.

Lo sbigottimento è palpabile, nessuno sembra raccapezzarcisi; significherebbe la venuta di estranei nel loro regno. Certo, i Colli Ferrosi sono a conoscenza della loro esistenza ma, come da patto, non hanno mai valicato i loro confini. E ora si chiede non solo di passarli, ma addirittura di insediarcisi?

<< Assurdo, semplicemente assurdo >> borbotta Fanus e, per la prima ed unica volta, Nora si trova d'accordo col viscido consigliere.

Eppure sa anche lei che non vi è altra soluzione. È lacerata, lo sente: da una parte la lealtà al suo popolo, a suo padre e ai suoi avi prima di lui, che tanto hanno fatto per proteggere le Montagne Grigie da altri indesiderati visitatori; ma, dall'altra, vi è la distruzione di tutto ciò che tanto hanno faticosamente ricostruito. I piatti della bilancia non sono equiparati, ne è consapevole. Abbandonarsi al passato o abbandonare il futuro?

Vorrebbe chiedere consiglio, ma non può: è sola. Il fardello della reggenza grava sulle sue spalle come mai è successo; solo lei deve decidere.

E mentre attorno alla sua figura china in se stessa si sta scatenando un acceso dibattito, accoglie quella soluzione che potrà salvarli. O, almeno, spera.

<< Sia.>>

Di nuovo cala il silenzio, nessuno osa fiatare. Si sente trafitta da quegli sguardi allibiti però non si mostra indecisa, tutt'altro: alza il mento, fiera, e guarda ciascuno dei nani soffermandosi su uno in particolare.

<< Spediremo una richiesta di aiuto, sperando venga accolta; nel frattempo prepareremo delle strategie, qualsiasi mossa che possa aiutarci. >>

Fanus sbuffa forte per attirare l'attenzione, ci riesce << Mia signora >> comincia, fin troppo lusinghiero << non sappiamo neppure se siamo il loro obiettivo. >>

Una sorda collera minaccia di infiammarle l'animo e, solo in parte, riesce a contrastarla << Vuoi attendere che attacchino le Porte, per convincerti? Desolata, non aspetterò tanto. >>
<< Pazienta finché i ricognitori non tornano, regina. Non agiamo incautamente. >>

Nora assottiglia gli occhi verso Sisil, mentre sente gli eventi scorrere troppo velocemente dalle dita << Ascoltatemi, tutti voi! So bene quanto questa idea non incontri il vostro favore, perché i dubbi che provate sono i medesimi che mi colgono. Per centinaia di anni abbiamo mantenuto questo segreto, però adesso... adesso si presenta una grave minaccia che, se non arginata in tempo, porterà tutti noi alla rovina. Pensate alle vostre famiglie, ai risultati ottenuti negli anni, a tutto quello che abbiamo costruito con le nostre sole forze! Desiderate che tutto venga distrutto? Volete rivedere questo posto lambito dalle fiamme come l'ultima volta? >>

<< Maestà, stavolta non si tratta di draghi, bensì di meri orchi. Il regno è all'interno delle Montagne, e le Porte sono spesse e resistenti. Perché non barricarci e attendere che finisca l'assedio, se si arriverà a tanto? >>

<< Ben detto padre >> rincara Doiran << Non riuscirebbero ad entrare e noi saremmo salvi. >>

<< Sei uno sciocco se pensi questo, Doiran >> lo rimprovera Hagan, lanciandogli un'occhiata di puro fuoco << Le Montagne sono il nostro rifugio, è vero, ma abbiamo anche bisogno della luce del giorno e di ciò che sta all'esterno; per questo usciamo coi nostri lupi. Gli orchi sono creature tenaci, un misero assedio potrebbe diventare lungo e insopportabile per noi quanto per loro; diverrebbero irascibili e farebbero di tutto per entrare: troverebbero le altre porte nascoste – più sottili e vulnerabili – e le distruggerebbero. >>

<< Nessuno conosce gli orchi quanto te, Hagan >> parla Nora, ringraziandolo internamente per la solidarietà << Vorrei lo capiste anche voi, e che pensaste essere l'unica soluzione. Credetemi, se potessi trovare un altro modo piuttosto che chiamare Dain qui... >>

<< Lo attueresti. Lo sappiamo, maestà. >>

<< Ti ringrazio, Garan. Dunque, qual è il vostro verdetto? >>

<< Non abbiamo altra scelta, dico bene? >> dice sprezzante Sisil, uno dei più anziani << Mi ripugna questa idea, ma... per il bene del Regno, accetto. >>

<< Unicamente per il bene del Regno >> ripete Nora, cercando di non badare allo sguardo infuriato che le dona il nano.

<< Accetto anche io. Per il Regno >> la voce burbera di Malir si aggiunge, non le rivolge alcuna occhiata accusatoria, per sua immensa gioia.

Volta la testa verso sinistra, cerca i volti di Doiran e Fanus; il cuore sembra farsi strada attraverso il corpo, prega perché gli altri non sentano nulla tanto batte veloce. Le sembra di impazzire, vuole gridare loro di prendere una decisione, di non indugiare inutilmente in stupidi pensieri perché non v'è tempo.

Ed ecco, quando ogni speranza sembra scemare, Fanus si muove a disagio << Sia come dici, mia signora. >>

Immediatamente dopo anche il figlio si mostra d'accordo; annuisce, non dice niente. Nora non sa come interpretarlo ma si accontenta; non si aspetta una dimostrazione plateale di lealtà, non da loro due. La preoccupazione torna, riesce a rinchiuderla in una cella della mente sperando vi rimanga; sa che non accadrà, però le serve del tempo per pensare lucidamente.

<< Se tutto procede come programmato domani al massimo avremo qualche notizia dagli esploratori, e se entro sera non si faranno vivi invieremo lo stesso un corvo imperiale a Dain Piediferro. Ora occupiamoci di una linea difensiva. >>



Il giorno successivo giunge, e così anche la sera; dei quattro ricognitori ne tornano due, uno a piedi e malridotto e uno in groppa ad un lupo, ferito malamente alla gamba da artigli affilati. Nora viene subito informata, si presenta ella stessa alla Casa di Guarigione, posta ancora più in profondità nella montagna. Non appena i due nani la riconoscono tentano di alzarsi in piedi, ma le ferite non lo permettono, e nemmeno lei; ordina loro di sdraiarsi, e li esorta a raccontarle l'accaduto. Tenta di mantenersi distante e fredda, senza successo: sentire dell'imboscata e della brutalità con cui sono stati attaccati la paralizza, le mozza il respiro. Ascolta dell'uccisione disumana di cui sono stati partecipi, e le pare di figurarsi la scena: accerchiati, sono costretti a inginocchiarsi; il capo di quelle disgustose creature parla nella sua lingua raschiante e aspra, vuol sapere che fanno lì. Non ricevendo risposta decide di passare ai fatti: ordina che vengano trucidati solo due nani, gli altri servono come monito perché tornino da dove sono venuti e dicano che gli orchi si stanno muovendo, stanno venendo a prenderli.

Ciò che accade in seguito è un insieme di lame che cozzano e feriscono, di denti che dilaniano e inghiottono, di sangue che cola come un ruscello.

Nora desidera tapparsi le orecchie e fuggire, invece chiude gli occhi e respira lentamente per calmarsi.

Li ringrazia e si dispiace per i compagni deceduti e perché hanno rischiato la vita; i due le sono riconoscenti, necessitano di cure e lei li lascia alle sapienti mani dei guaritori.

Fa chiamare Hagan, è il momento di attuare il piano; tra le mani regge due foglietti di carta piegati con cura e pronti per essere spediti. Non attende molto tempo che il Capitano compare nella Sala del Trono, e insieme si avviano verso una terrazza scavata nel fianco della montagna, dove li attende un nano anziano incaricato di badare ai grandi e antichi corvi neri. Ne inviano due, per sicurezza; e mentre li osserva volare verso la destinazione prescelta, Nora si ritrova a pregare come mai in vita sua. Tutto dipende da loro, ormai. Si augura non incappino nei nemici.



Sono passati alcuni giorni, giorni nei quali Nora non è mai risultata più agitata e irrequieta; non prova piacere nel cibo, né sente il bisogno di dormire allontanando un attimo i pensieri che vorticano senza sosta. Come può riuscirci se, non appena chiude gli occhi, immagina orrendi scenari di morte, desolazione e paura? Nemmeno la sua famiglia riesce a distrarla, il che la demoralizza. Pensa costantemente ai corvi, a Dain, ai bagliori che paiono spariti ma che sa essere ancora presenti, da qualche parte là fuori.

Tamburella le dita sul marmo freddo del trono; non si è tolta la corona, gesto che compie ogni qualvolta si ritrovi sola. Il mal di testa la tormenta, stringendola nelle sue soffocanti spire; a stento ode i ringhi sommessi di Khael, così come a stento si accorge del soldato fermo ai piedi del trono, inginocchiato a terra e con la mano destra al petto.

<< Mia signora, i soccorsi sono arrivati. >>

Nora alza la testa di scatto, la speranza brilla come una delle fiammelle attorno a lei; ringrazia Mahal e tutti gli dei per questo dono inatteso, però quel che ode subito dopo la fa ripiombare nell'apprensione.

<< Purtroppo non si trattano dei Nani dei Colli Ferrosi. >>

<< Come sarebbe a dire? >> domanda, iniziando ad infervorarsi << Parla in fretta, te lo ordino! >>

Il giovane alza timoroso gli occhi alla sua figura per poi riabbassarli contrito, incerto se continuare o meno: ma la sua regina glielo ha ordinato, lui deve obbedire anche se non la renderà felice << Thorin Scudodiquercia si presenta come salvatore. >>

Di certo ha capito male, deve esserci uno sbaglio. Il Re di Erebor?

Aggrotta la fronte e stringe le mani a pugno, la rabbia monta prepotente: Dain ha infranto il patto e ha inviato il cugino, fautore della sua sofferenza e della sua dannata condizione. E ora lei dovrebbe accoglierlo a braccia aperte? Ah!

D'improvviso il pensiero del pericolo in cui verte la sua gente squarcia la cortina di dolore e ira; pur non volendolo ammettere lei ha bisogno di lui, e della asce e spade che porta. Di certo i suoi soldati sono in numero nettamente maggiore a quelli presenti negli Ered Mithrin, e questo può rappresentare un notevole vantaggio contro gli orchi.

Ripensa a Thorin Scudodiquercia e alla sofferenza che ha provocato tra quelle mura, alla disperazione che ne è seguita e che è presente ancor oggi, come un fantasma che non vuol abbandonare i propri carnefici e gli affetti che ama.

Si riscuote ricordandosi dell'uomo che attende una sua parola << Bene, portalo qui. Quanti nani ha al seguito? >> chiede, fredda come l'inverno più rigido.

<< Quattrocento, mia signora. >>

Un numero sbalorditivo, constata sorpresa. Solo i soldati di Scudodiquercia sono pari all'intera popolazione sotto il suo comando.

<< E' solo? >>

Il giovane la guarda perplesso, non comprendendo immediatamente la domanda; poi però scuote la testa << Viene con la sua Compagnia, e sono in dieci. >>

<< Capisco. Vai, torna laggiù. >>

Esegue e, una volta rimasta sola, chiama le serve affinché preparino le varie stanze; poco prima di congedare l'ultima, però, cambia repentinamente idea << Il sovrano di Erebor starà più comodo nella stanza dell'arazzo dorato. >>

La nana si inchina << Come comandi. >>

Oh sì pensa, tornando a sedersi sullo scranno in attesa dell'arrivo dei consiglieri e degli ospiti decisamente più comodo.





Il nano che lo condusse alla sala da pranzo si presentò in perfetto orario, e Thorin non poté far altro che seguirlo lungo quei corridoi fiocamente illuminati; si girò indietro numerose volte, e la sensazione d'essere costantemente osservato non gli piacque nemmeno un po', anche se lo reputò sciocco e privo di fondamento. Non vi erano che loro, e le ombre delle fiamme sui muri un tempo affrescati e ricoperti di arazzi ora sbiaditi.

Si stava lasciando suggestionare da quel luogo che sapeva di antico e desolato, tutto qui. E ciò era dovuto in buona parte alla totale assenza di nani: a parte qualche sporadico domestico – e i consiglieri che aveva avuto il piacere di conoscere – non vi era nessun altro, lì. Fatto che lo preoccupò più di quanto potesse esprimere.

Riuscì a calmarsi parzialmente quando Dwalin li raggiunse, vestito nel suo abito da cerimonia migliore; nonostante l'aspetto nobile, trasudava la caratteristica forza e durezza che Thorin apprezzava. Anche senza le sue asce o i tirapugni incuteva comunque soggezione, e ciò li avrebbe aiutati enormemente durante il corso della serata.

Non parlarono, per timore che il servo ascoltasse e riferisse tutto alla sua signora; non appena formulò quel pensiero fu inevitabile soffermarsi a pensare a quella nana così misteriosa, così fredda e autoritaria come ogni sovrano che si rispettasse. Lo incuriosiva, non lo negava: non tanto come nana in sé, avrebbe solo voluto dei chiarimenti riguardo il suo popolo e il suo regno del quale non avevano mai sentito parlare. Come erano sopravvissuti alla terribile devastazione operata dai Draghi del Nord? Come erano riusciti a ristabilirsi lì e a convivere con la Brughiera Arida e il luogo ostile? Quali tecniche avevano adoperato per sopravvivere finora?

Dubitava fortemente di riuscire a relegare l'orgoglio per chiederglielo, e sospettava che lei non volesse rispondergli; aveva inteso chiaramente che non era ben accetto, anche se il motivo gli era sconosciuto. Vi aveva pensato a lungo e a fondo, mentre passeggiava avanti e indietro nella stanza assegnatagli, però non era giunto a nessuna conclusione; come poteva essere responsabile di qualcosa che mai aveva commesso? Come poteva suscitare odio profondo in una persona mai vista prima? Forse il suo aspetto le rammentava un personaggio sgradevole con cui aveva avuto a che fare... no, troppo campato in aria, lo sentiva. C'era una spiegazione più tortuosa e nascosta, che rifletteva in qualche modo ciò che rappresentava per lui quella nana: era sfuggente quanto il fumo che si cerca invano di tenere tra le dita.

Talmente perso nei meandri della mente si accorse a malapena che l'ambiente sembrò rischiararsi e, in effetti, ora ai muri vi erano appese più lanterne dalle candele quasi consumate; svoltarono un'ultima volta a destra e dopo alcuni metri una porta dorata con due guardie dal mantello rosso cupo sopra la corazza sbarrarono loro la strada. Il servo non parlò né le degnò di una occhiata, limitandosi ad aprire l'ingresso per condurli in una stanza ampia e ben illuminata, segno ch'era frequentata abitualmente. Thorin – dovette ammetterlo - si era aspettato un banchetto numeroso e sontuoso, segno che la giovane regina voleva impressionarli, ma venne nuovamente sorpreso. Sette persone lo attendevano, inclusa lei, già seduta a capotavola di un lungo tavolo di legno; c'era molto cibo, notò, la maggior parte del quale composto da prodotti della terra come grossi tuberi e verdure che mai aveva visto.

La regina si alzò venendo imitata dai sudditi e, con un gesto, gli indicò il posto vuoto alla sua destra, fermandolo per presentargli un giovane nano seduto a sinistra.

<< Questi è Hagan, Capitano delle mie guardie personali. Sono certa che sarà la persona più indicata con cui parlare di strategie. >>

I due si squadrarono a lungo, e Thorin mostrò più che volentieri il disappunto nel trovarsi invischiato in quella situazione e in quel luogo assolutamente estraneo da ogni logica; Hagan, d'altra parte, palesò il suo fastidio verso quel nano e la sua gente in modo più che diretto, tanto che Thorin si ritrovò a sogghignare malignamente avendolo compreso.

Non si sedettero subito poiché Nora si allontanò dando loro la schiena; si diresse ad un tavolino d'argento e prese tra le mani una coppa colma di cibo, dirigendosi poi in fondo alla stanza, dove sorgeva un altare di pietra che Thorin non aveva scorto quando era entrato. Appoggiò con estrema delicatezza la ciotola sul piano orizzontale, e successivamente si inchinò chinando la testa adorna di trecce; pur non vedendola in volto intuì che si portava le dita agli occhi chiusi per poi indirizzare le mani in avanti, coi palmi ben tesi verso la pietra. Con stupore di entrambi i Durin la giovane iniziò ad intonare una canzone in Khuzdul che il sovrano sotto la Montagna interpretò come ringraziamento alla dea Yavanna, dispensatrice di frutti. Purtroppo non capì le parole, poiché non parlava molto bene l'idioma antico; lui conosceva il Neo Khuzdul, benché parlasse la Lingua Corrente. I nani austeri presenti si aggiunsero alla salmodia e la imitarono, tuttavia senza prostrarsi; Dwalin incrociò il suo sguardo, facendogli capire quanto li considerasse anormali, e Thorin dovette trattenersi dal ridere forte. Passata l'ilarità della situazione, però, ammise di non aver mai assistito ad un rito tanto arcaico, considerandolo affascinante a dispetto della stranezza.

Durò poco, la voce limpida della giovane disperse le ultime note nell'aria, spegnendosi del tutto; solo allora si rialzò e si risedette, aprendo il banchetto dopo essersi servita per prima.

Venne fatta qualche domanda di circostanza, ma per il resto tutto si svolse nel più completo silenzio: gli ospiti non erano di certo avvezzi a conversare amabilmente con altre persone, e i residenti non erano abituati a intrattenere invitati.

Ciascuno fremeva per il momento successivo al pasto, quando avrebbero finalmente parlato; fu naturale mangiare in fretta, e persino Nora si ritrovò a sbrigarsi, conscia solo di voler porre fine a quella lunga giornata e a quel periodo pressoché interminabile.

Quando anche l'ultima briciola fu spazzolata e l'ultimo goccio di birra densa – incredibilmente deliziosa, pensò Dwalin – sparì nelle loro gole, per Nora giunse il momento di iniziare la riunione.

<< Se volete seguirmi, dovremmo spostarci nella stanza adiacente. >>

Thorin si morse la lingua, onde evitare uscite inopportune e scorbutiche; era stanco di tutti questi misteri e faccende nascoste: era troppo chiedere di palare chiaramente, senza ricorrere a inutili indovinelli?

Non esternò alcun pensiero, limitandosi a seguirla con le braccia incrociate al petto; giunsero in una stanza poco più piccola, una specie di anticamera di uno studio sul cui tavolo era stata spiegata con cura una mappa della zona. Ora sì che si iniziava a ragionare davvero!

<< Dunque, come immagino sappiate alcuni giorni fa abbiamo scorto dei bagliori sospetti verso ovest, al di là del Monte Gundabad >> Nora indicò il punto picchiettando con l'indice sulla cartina << Probabilmente si erano radunati nella Piana di Angmar. >>
<< Naturale >> commentò Dwalin, passandosi una mano sulle mandibole.

<< Per precauzione abbiamo inviato quattro ricognitori, e solo due sono tornati indietro, raccontando di orde di orchi bardati di tutto punto e pronti a dar battaglia. Speravamo avessero preso un altro cammino, purtroppo non è stato così: pare si stiano dirigendo qui, e non ne conosciamo il motivo >> concluse, amareggiata.

<< Non credo sia importante quanto, piuttosto, pensare ad arginare qualsiasi loro attacco >> replicò Thorin, rivolgendole un'occhiata profonda.

Nora si ritrovò a non sostenere gli occhi azzurri, e tornò a concentrarsi sulla mappa per ritrovare sicurezza.

<< Ho notato che la Porta Principale non è molto sicura in alcuni punti: presenta delle crepe, e si rischia di rovinarla ancora di più solo muovendola. Come prima ristrutturazione potremmo partire da lì, e– >>

<< Sono state ricostruite dopo l'avvento dei draghi, e sono perfettamente in grado di respingere degli orchi >> lo interruppe Nora, accigliandosi.

Thorin strinse gli occhi, ed una lieve ombra di sorriso sarcastico gli dipinse le labbra sottili << Temo d'essere in disaccordo. Se non sono mai state controllate – e presumo d'aver ragione – presenteranno delle falle. Non è così, Capitano? >>

L'interpellato lo guardò serio, per poi rivolgere una breve occhiata di scuse alla sua signora; si ritrovò ad annuire, e Nora represse a stento un verso scontento << Yar. Purtroppo non abbiamo mai pensato ad un lavoro di riparazione, ma credo sia giunto il momento. >>

Thorin sogghignò, piuttosto gaio nell'aver avuto ragione anche stavolta << Abbiamo sufficienti nani per un lavoro rapido eppure efficace. >>

<< Non sappiamo neppure se abbiamo tempo, potrebbero arrivare da un momento all'altro >> Fanus si affrettò a contestare, scuotendo la testa.

Dwalin e Thorin si guardarono sconcertati, constatando quanto poco sapessero di battaglie – eccetto Hagan, che si premunì di rispondergli con pazienza e calma.

<< Le vedette e altri ricognitori saranno in grado di avvertirci di qualsiasi pericolo imminente; nel frattempo agiremo come stabilito. >>

<< D'accordo >> mormorò Nora, catalizzando inevitabilmente l'attenzione su di sé << se questo sarà in grado di fermarli... ben venga. >>

<< Saranno una protezione in più, ricordatelo >> i loro occhi si incontrarono di nuovo, e stavolta Thorin poté rimirarli a lungo scorgendovi ansia e paura, celati nella profondità di quegli specchi nocciola << Nessun muro vi metterà mai al sicuro. Un muro è solido solo quanto i nani che lo difendono >> si ritrovò a sussurrare, non badando ad altro che a lei, così vicina eppure così distante.

La giovane schiuse le labbra, e sbatté le palpebre una volta soltanto, ritrovando il consueto tono di voce << Non nutro dubbi sul valore dei miei sudditi >> almeno, per la maggior parte di essi.

Il Re di Erebor si ritrovò a sorridere un poco, meravigliandosi della fiducia che la regina nutriva verso il suo popolo; per uno stupido attimo si chiese se il sentimento fosse reciproco, ma preferì cambiare i suoi pensieri << Immaginavo >> disse semplicemente.

Nora non seppe come interpretare quella risposta, se di biasimo oppure di convinzione, e non volle appurarlo. Al momento le importava praticamente molto poco di quel che Thorin Scudodiquercia poteva pensare di lei e della sua gente; ciò che contava era solo il suo aiuto, niente altro. E poi, se i Valar avessero voluto, se ne sarebbe tornato alla sua Montagna Solitaria e ai suoi tesori.

Si impose di calmarsi giacché la rabbia parve rinforzarsi brutalmente, alimentata da quelle considerazioni.

Hagan prese la parola, con sua immensa gratitudine << Divideremo i nani tra la riparazione di fortuna della Porta e la forgiatura di nuove armi e armature. >>

<< Non avrei saputo dirlo meglio >> intervenne Dwalin, cercando con gli occhi il volto dell'amico e re << Sei d'accordo? >>

<< Assolutamente. Dovremo agire in velocità senza tralasciare l'accuratezza; un minimo errore o disattenzione e tutto risulterà vano. >>

<< Non accadrà, mio signore >> disse convinta Nora << I miei fabbri e muratori sono persone competenti. >>

Lo sfidò con lo sguardo a ribattere il contrario, chiedendogli silenziosamente se anche i suoi nani fossero all'altezza delle aspettative e del compito delicato che si prospettava loro; e Thorin raccolse la provocazione senza riflettere << I miei compagni non sono da meno, e io con loro, se ve lo state domandando. >>

Si accorse d'aver indovinato poiché la vide arrossire un po' sotto il suo sguardo glacialmente calmo.

<< Allora faremmo meglio a sbrigarci. Gli orchi non attenderanno i nostri comodi >> passò in rassegna i volti dei consiglieri, rimasti in silenziosa attesa durante quello scambio di battute; si angosciò, chiedendosi perché non fossero intervenuti col loro parere: erano contrari ad ogni idea ma non avevano intenzione di confessarglielo, preferendo agire alle sue spalle come sempre? No, si rassicurò. Solo la lealtà di due di loro era incerta, ma gli altri si erano professati più di una volta dalla sua parte e d'accordo con lei in ogni decisione; sperò col cuore che anche questa occasione fosse così.

<< Naturalmente no, mia regina >> Fanus – proprio lui – parlò per tutti, inchinando il busto in riverenza << Provvederemo subito a scegliere gli uomini più adatti. >>

<< Molto bene; se è tutto, per stasera possiamo ritirarci. Domani mattina appena dopo l'alba dovranno essersi formate le varie squadre. Affido a voi consiglieri la direzione dei lavori: i nani risponderanno a voi, ma pretendo di venire informata per ogni più piccola questione. >>

I sei si inchinarono a confermare il proprio assenso e, per un lungo attimo, Nora si tranquillizzò; forse questa situazione d'emergenza avrebbe appianato ogni dubbio sulla sua reggenza, ed ogni bisbiglio alle sue spalle si sarebbe affievolito in nome della pace e della protezione verso la loro casa. Lo sperò con tutta se stessa. Così come si augurò di non perdere le staffe nei confronti dell'ospite, anche se di questo dubitò fortemente più di una volta. Non se l'avesse avuto costantemente accanto a rammentarle ogni spiacevole fatto.

<< Bene, buonanotte a tutti voi, e grazie per la partecipazione >> con questa ultima frase li congedò e, rapida, si diresse verso l'uscita; mai come ora necessitava di una lunga dormita.



<< Bé, è andata bene, no? >> chiese Dwalin, una volta giunti alla porta della stanza di Thorin << Mi aspettavo un'imboscata e un giretto nelle segrete di questo orrido posto, a dirti la verità. Però sono lieto d'aver concordato un piano d'azione, questo sì. >>
Thorin alzò una mano, guardandosi velocemente attorno << Parla piano, Dwalin. Non mi fido di queste mura, benché meno dei suoi abitanti. >>

Il guerriero si adombrò, muovendo la testa calva sia a destra che a sinistra << Pensi che ci tengano d'occhio? >> sussurrò circospetto.

L'altro alzò le sopracciglia, mostrandosi convinto << Non siamo propriamente bene accetti, anche se non ne capisco il motivo. Persino i ricognitori che ci hanno portati qui trasudavano disprezzo, e la regina ne è stata l'apoteosi. Non so, non mi sento tranquillo; vorrei che tutto si concludesse in fretta per poter ritornare al sicuro. >>

<< Sono ben strani, te lo concedo >> sentenziò l'amico << E sento che molte cose sono state omesse; d'altronde, però, stiamo aiutando la piccola reginetta a salvare il regno: un minimo di ringraziamento non sarebbe male, alla fine. >>

<< Piccola reginetta? >> chiese scherzoso Thorin, lasciandosi scappare un mezzo sorriso.

In risposta, l'altro scrollò le possenti spalle << Chiamala come ti pare, persino col suo nome, ma trovo che questo le calzi a pennello; certo, se preferisci “vedova” non mi opporrò di certo! >>

<< Ah, non sarò certo io a ricordarglielo, grazie. Preferisco conservare quel minimo di rispetto che prova nei confronti del mio titolo, non certo della mia persona >> d'improvviso cancellò qualsiasi traccia di divertimento, tornando serio; gli occhi azzurri furono percorsi da un guizzo scuro mentre si accingeva a parlare << Prima di coricarti ti chiedo un ultimo favore, Dwalin: avverti gli altri, saranno in pensiero oltre che curiosi. >>

<< Era proprio ciò che volevo chiederti. Consideralo già fatto. >>

<< Ti ringrazio. E dì loro di presentarsi qui domani mattina poco prima dell'alba; dovremo discutere sul da farsi, e questa camera sembra la scelta migliore almeno finché non troviamo un altro luogo più appartato. >>

<< Certo, vado subito. Vedi di riposarti per bene, non hai una bella cera. >>

Thorin incrociò le braccia al petto, alzando ilare un sopracciglio << Senti chi parla. >>

Ridacchiarono brevemente, poi Dwalin lo salutò con una pacca sulla spalla sinistra e si incamminò verso gli alloggi dei compagni, meno sfarzosi dei loro poiché non appartenenti alla stirpe di Durin; Oin e Gloin si erano lamentati parecchio, ma dopo che Thorin ebbe sedato ogni protesta imponendosi duramente si erano calmati ed avevano accettato quel piccolo smacco al loro grande orgoglio.

Scosse la testa al ricordo, e si permise un lungo sospiro spossato poiché il corpo necessitava di riposo senza la costante presenza di pensieri; fece vagare lo sguardo verso destra, dove si scorgevano altre porte di legno massiccio e si bloccò, riconoscendo la figura posizionata di spalle della giovane regina; si era fermata non appena si era accorta di altre due decisamente più basse che le correvano incontro e senza pensarci due volte si era accucciata allargando le braccia, accogliendovi un piccolo nanetto che aveva iniziato a tempestarla di parole pronunciate in Khuzdul. Avevano iniziato a ridere e lei gli aveva scompigliato i corti capelli biondi per poi allungare il braccio libero verso un'altra sagoma – stavolta una bambina poco più grande – che si era rifugiata senza indugio nell'abbraccio rassicurante della sovrana. O madre, in quel caso.

Thorin provò una strana sensazione che non riuscì a spiegarsi, che non riuscì a nominare; rimase nascosto furtivo dietro l'angolo del corridoio ad osservare quel terzetto, felice di essersi ritrovato dopo una estenuante giornata lontani l'una dagli altri, e un pensiero lo attraversò rapido radicandosi nell'animo.

Prima che tutto fosse finito avrebbe tentato di capire il motivo di tanto odio. E, se possibile – si ritrovò a pensare scioccandosi di sé – avrebbe cercato di rimediare al torto inconsapevolmente causato.





CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Non posso credere d'averlo concluso, ommamma O.o! E non posso credere d'averci messo così tanto (di nuovo -.-''); sto prendendo una gran brutta abitudine, ma l'ispirazione e il tempo hanno deciso di mettersi contro di me :'(, dannati maledetti! Come detto da Vera76... ho aggiornato proprio per San Valentino XD hahahahahah! Ho quasi paura dei tuoi poteri soprannaturali, caspita O.o! XP Bene, che ne pensate? L'entrata di Nora è di vostro gradimento ;)? E quella dei consiglieri? So che molto probabilmente tutto sarà confuso e poco chiaro, ma sapete come sono fatta: mica pretendete che tutto si spieghi subito, no? Dove sarebbe il bello, altrimenti ^^? Intanto spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche per come è stato impostato e per i sentimenti che spero d'aver trasmesso, e mi scuso ancora per il ritardo, sigh. Ah, piccola nota: il nome del lupo, Khael, in Khuzdul significa “il lupo dei lupi”; nome appropriato per il lupo della regina, vi pare ;)?

Ringrazio le carissime Carmaux_95, LadyDenebola, Eressea Manx, innamoratahobbit, Krystal91, Lady_Daffodil, Vera76, lily75, Yavannah, MrsBalck90, Lady of the sea che hanno speso tempo a recensire :))) che farei senza di voi???

Ringrazio coloro che hanno inserito la storia tra le Preferite, Seguite e Ricordate e grazie a chi legge soltanto :) :).

Un bacione grande, alla prossimaaaaaa

Anna :*


P.S. Mi sono accorta che non ho risposto a tutte le recensioni <.



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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


PREMESSA: Siccome è passato un po' di tempo di sicuro non ricorderete molto che è capitato negli scorsi, quindi eccovi un piccolo riassunto.


Thorin, ora reggente ma distrutto per la morte dei nipoti, accetta di rispondere alla richiesta di aiuto di un regno di cui nessuno era a conoscenza: quello degli Ered Mithrin, guidato dalla giovane e orgogliosa Nora. Ella si aspettava Dain, non certo Thorin, del quale non ha molta simpatia; si trova quindi a dover accettare il suo aiuto anche perché la minaccia degli orchi incombe sempre più e bisogna rafforzare le difese e pianificare un attacco. Aiutata dal fedele Hagan e dagli altri consiglieri – il viscido Fanus e il figlio Doiran, Sisil, Malir e il padre di Hagan, Ganar – Nora espone la situazione a Thorin e Dwalin. Nessuna delle due parti sembra fidarsi dell'altra, però per il bene dei rispettivi regni saranno costretti ad aiutarsi. Inoltre Thorin, percepita la rabbia nei suoi confronti, promette a se stesso di scoprire il motivo e cercare di rimediare.


Credo sia tutto, buona lettura!


A chi mi ha aiutato e dato idee per questo capitolo ^^



CAPITOLO QUATTRO



«Mia signora, stamattina preferite l'abito blu o quello verde?»

«Nessuno dei due, prendi quello nero. Fai in fretta con l'acconciatura, non ho molto tempo.»

Gilla si affaccendò ad eseguire l'ordine dettato seccamente, sbirciando più di una volta la schiena della giovane sovrana mentre le sfilava la lunga camicia da notte bianca; mantenne lo sguardo basso, imbarazzata come ogni qualvolta la sapeva nuda, e si impose di rivestirla velocemente dapprima con la sottoveste di raso e poi facendole indossare il vestito prescelto. Le allacciò il corpetto con dita agili, pregando non cambiasse repentinamente idea desiderando cambiarsi; fortuna volle che i pensieri pressanti le tenessero compagnia, e si dispiacque di quel vago senso di sollievo nel saperla troppo impegnata per notare altro – nella fattispecie il suo operato.

Una volta terminato attese si sedesse davanti alla toeletta di legno, e riprese ad occuparsi della lunga e folta chioma castana in cuor suo sempre invidiata. Raccolse la spazzola passandola sulla lunghezza delle ciocche, trattenendo il labbro inferiore tra i denti quando incontrava nodi particolarmente ostici da sbrogliare; ammirò la compostezza della sovrana durante quel lungo rituale, e trattenne qualsiasi commento quando la vide ancora assorta. Poteva quasi percepire il frastuono dei pensieri vorticanti nella sua regale testa, ed azzardò un'occhiata al riflesso nello specchio tondo appeso alla parete. Lo sguardo era perso in un punto indefinito, ed era più che certa stesse pensando ai nuovi venuti.

Il loro arrivo era passato di bocca in bocca e tutti gli abitanti degli Ered Mithrin ne erano ormai a conoscenza, anche se molti non avevano avuto il privilegio di notarli; lei, invece, era riuscita a spiarli dalla porta che separava l'ala della servitù da quella nobile, ed era rimasta affascinata e intimorita da quel gruppo di estranei, giacché era da lunghi anni che il palazzo non ospitava qualcuno.

Terminò anche la più piccola delle trecce preparandosi a raccoglierle sulla nuca come di consuetudine e sospirò pianissimo pensando alle sue, davvero misere e poche come suggeriva la sua posizione sociale.

Non mentiva a se stessa quando diceva di essere gelosa della sua regina, lo era stata fin dall'infanzia. L'una, principessina che giocava lungo i corridoi del palazzo e l'altra, figlia di un cuoco e di una serva; era praticamente facile indovinare il loro destino. Eppure si era scoperta smaniosa di conoscerla, parlarle anche per poco. Non pretendeva d'esserle amica – non era così sciocca –, voleva solo non risultare una sconosciuta ai suoi occhi. Perciò era entrata presto a servizio, colpendo talmente tanto la precedente regina da vedersi affidare il compito di affiancare la figlia. Ricordava molto bene la felicità ogni qualvolta si svegliava e ripensava all'immenso privilegio capitatole. Le sue poche amiche non erano state altrettanto fortunate, ed alcune avevano dovuto ripiegare sul matrimonio pur di trovare qualcuno che badasse al loro sostentamento; lei poteva ancora permettersi di rimanere sola, anche se era stata corteggiata da qualche ragazzo.

Non sono certo brutta, pensò, rimirandosi per lunghi secondi allo specchio mentre appuntava delle lunghe forcine perché la pettinatura reggesse. Sorrise un poco a quel momento di vanità, ma era pienamente comprensibile quando si aveva a che fare con una padrona come la sua: ogni abito la fasciava alla perfezione e il viso era incantevole benché non fosse di particolare bellezza; inoltre, qualsiasi gioiello indossasse – purtroppo pochi, anche se comprendeva la ragione della sua riluttanza – le donava un portamento ancor più elegante e regale.

La porta alle loro spalle si aprì e per poco non le cadde il pettinino di tartaruga tempestato di smeraldi, tanto era stato lo spavento; si girò frettolosamente e si inchinò, attendendo qualche secondo prima di rialzarsi.

Nora, d'altro canto, rimase seduta e volse lo sguardo allo specchio seguendo la figura finché non le si posizionò quasi alle spalle, ad un paio di passi dalla serva.

«Puoi andare, Gilla» comandò la nuova arrivata «posso terminare io.»

La giovane l'osservò titubante, indecisa di risponderle che no, non le avrebbe mai permesso di completare quel lavoro poco nobile; si trattenne, girandosi verso la regina a cercare conferma. Quella invece la congedò con un gesto, e non le rimase che lasciarle dopo essersi profusa in un altro inchino.

«Come desidera, mia signora» percorse la stanza e si chiuse la porta alle spalle, espirando. Per alcune ore si sarebbe potuta considerare libera.


Una volta sole la nuova venuta si avvicinò maggiormente, posando le mani sulle spalle della regina «Queste occhiaie non ti donano molto, mia cara. Hai avuto difficoltà a dormire?»

«Non ho proprio chiuso occhio.»

Le strinse affettuosamente una spalla, accarezzando la pelle col pollice «Trovi indecoroso che mi occupi di rifinirti le trecce e ti posi il pettinino tra i capelli?» domandò, preferendo cambiare argomento quando si accorse della risposta un poco frettolosa.

Nora scosse la testa, sorridendole «Affatto. Ricordo che quando ero bambina lo facevi spesso.»

«Finché non sei divenuta una vera donna era mio compito. Mi mancava, lo confesso» le arrotolò una piccola treccia sulla nuca ed aggiustò una forcina sul lato destro.

Allungò le dita sulla toeletta prendendo in mano il pettinino d'oro con piccole gemme preziose incastonate, rigirandoselo tra le dita «E' meraviglioso» sussurrò con tono affettuoso «Un dono degno di una regina.»

La ragazza annuì, deglutendo per scacciare il groppo alla gola «Quando me lo donasti non potei capacitarmene, poiché ne eri molto legata.»

«Così come tua nonna si dispiacque quando me lo regalò» ammise, posizionandolo con estrema cura appena sopra la treccina «ma è un passaggio necessario, tramandato da madre a figlia.»

Nora dapprima sorrise e poi si accigliò, poiché si rese conto d'aver quasi terminato quei minuti di calma.

«Immagino tu non sia qui solo per pettinarmi. C'è altro di cui devi parlarmi prima che vada?»

La Regina Madre assottigliò gli occhi, contenta d'essere giunta dritta al punto; Nora era sempre stata piuttosto perspicace, una qualità indispensabile per la sovrana di un regno.

«Sai cosa ti chiedo, ne abbiamo già parlato.»

«Passo forse per una persona orribile se rimango me stessa?»

«» disse, aumentando la pressione sulla spalla sinistra «Sono ospiti. Abiteranno sotto il nostro tetto mangiando il nostro pane e il nostro sale. Devi ricordartelo.»

Nora si voltò, aggrottando la fronte e stringendo le labbra «Rammenti chi è a capo dei nani nostri ospiti?» sibilò arrabbiata.

«In fondo non è stata colpa sua.»

La guardò allibita, schiudendo la bocca mentre una rabbia prepotente la infiammava veloce «Se non si fosse scatenata quella battaglia loro sarebbero ancora qui!»

«Ne sono consapevole, ma ormai è passato più di un anno.»

«E' troppo poco tempo, non ho ancora finito di piangerli. Al contrario di te» sbottò furiosa. Non poteva credere davvero alle parole ascoltate. Era inaudito.
Finalmente la corazza composta e calma della madre si incrinò
«Credi non li pianga? Amavo tuo fratello più della mia stessa vita. E tuo padre...» respirò pesantemente per ritrovare la calma e continuò «Tu parli ancora come la giovane principessa che eri, non come la regina che sei. Devi pensare al bene del tuo popolo, e per questo dovrai moderarti accanto a Scudodiquercia. Non possiamo permetterci se ne vada prima del tempo.»

«Questo lo so» ammise sconfitta, passandosi il palmo della mano destra sulla fronte «però non posso prometterti nulla.»

Parve invecchiare, e ciò accrebbe la morsa al cuore della genitrice, che non trovò parole di conforto.

Non stavolta. Lei era anziana – benché non volesse ammetterlo – e il rancore non faceva più parte del suo essere. Nora, al contrario, aveva ancora molto da imparare. Doveva accantonare il pregiudizio, infantile o meno, e pensare solo al futuro. La fiamma della vendetta e del risentimento bruciavano con assurda facilità nel suo cuore, così come ogni altro potente sentimento. L'amore provato nei riguardi del padre e del fratello non le avrebbe permesso di dimenticare il giorno infausto del passaggio di reggenza.

Vi sarebbe stato altro tempo per ulteriori predicozzi – di questo era fortemente convinta – poiché conosceva bene l'animo della sua bambina e, certo come la sua vita, sapeva che la convivenza con gli stranieri sarebbe stata complicata per entrambe le fazioni. Poteva almeno sperare di placare gli attriti sul fronte della propria famiglia e, con l'aiuto dei Valar, Thorin Scudodiquercia avrebbe fatto la sua parte per non infrangere quel patto d'aiuto.

Inoltre, avrebbero certamente iniziato col piede giusto se Nora si fosse presentata in tutto il suo giovane splendore «Copriti quelle occhiaie, tesoro» le disse «l'aspetto di una vera e forte regina va curato nei minimi dettagli. Ed è proprio indispensabile il vestito nero?»

Per un momento, ecco tornare la Nora adolescente; alzò gli occhi al cielo, trattenendo uno sbuffo «Certo. Non intendo cambiarlo.»

Così aveva deciso, e non avrebbe mutato idea nemmeno per tutto l'oro del mondo. Non solo riguardo lo stupido abito.



«Sei in ritardo.»

Così un irascibile Dwalin accolse il povero Nori non appena questi varcò la soglia della stanza assegnata a Thorin; il nano guerriero stringeva le braccia muscolose al petto possente, ed il solito cipiglio era maggiormente accentuato dalla scontentezza. Se c'era qualcosa che non poteva sopportare erano i ritardatari, specie in quel frangente tanto delicato e instabile.

«Di pochi minuti, per tua informazione» lo rimbeccò il ladro della Compagnia, rivolgendosi poi verso il suo sovrano «Scusami, Thorin.»

Quello agitò una mano con scarsa convinzione «Non importa, ma ora che siamo tutti qui preferirei parlare in fretta, dato che tra poco dovremo trovarci per iniziare i lavori.»

Prese fiato, raccontando dell'incontro e di quel che avevano concordato; nessuno parlò finché non terminò e solo allora Gloin espresse il suo parere.

«Tutto questo mi puzza di imbroglio. Troppe incognite, troppi raggiri e segreti!»

«Sono d'accordo con te, fratello.»
«E che proporreste? Di tirarci indietro e fuggire?»

«Sarebbe una decisione saggia, Bofur.»
«O molto sciocca, invece» ribatté il giocattolaio, infervorandosi «abbiamo dato la nostra parola e io non intendo rimangiarmela passando per bugiardo!»
«Non torneremo a Erebor» chiarì Thorin, ponendo fine al battibecco «manterremo la promessa perché è giusto. Se le parti fossero invertite non vorremmo sapere della fuga dei soccorritori.»

«Da quel che ho capito non siamo ben visti» Dori prese la parola, guardandosi attorno nervoso «Questo non vi fa pensare ad una soluzione... diversa?»

«Non scapperemo» scandì il re, stringendo i pugni «Non mi importa cosa pensano, onoreremo il patto anche se non sarebbe compito nostro! Lei aspettava Dain ma sono sorte delle complicazioni. E' una nana intelligente, comprenderà e accetterà le conseguenze.»

«Non è tanto lei a preoccuparmi, forse» borbottò Dwalin, grattandosi il mento.

Come sempre, l'amico capì «Intendi i consiglieri?»

«Un po' tutto, a essere sincero. Ad esempio, dove sono gli abitanti? Perché non li abbiamo visti?»

«Parla per te.»

Dwalin girò il capo tatuato verso Nori «Cosa significa?»

«Quel che ho detto! Li ho visti durante il mio giretto di perlustrazione. Ci sono abitazioni appena oltre le grandi sale, separate dal palazzo tramite un gigantesco arco di roccia.»

«Sei uscito?»

«Diciamo sgattaiolato... ma non mi ha visto nessuno!» esclamò veloce, notando lo sguardo carico di rimprovero di Thorin «Sono stato attento.»
«E come sono?» gli domandò il fratello minore, curioso.

Si strinse nelle spalle «Come noi, che credevi? Che avessero tre braccia e fossero senza barba?»

Ori arrossì e abbassò il capo, permettendo a Nori di continuare «Hanno abitazioni modeste che hanno visto tempi migliori, ma i nani sembrano abbastanza nutriti e in salute, anche se non molto ricchi.»

«Non vi è sfarzo, qui. Non più» sussurrò Thorin «Hai notato altro?» domandò poi interessato, nonostante l'azione avventata del compagno.

«Sono strani. Molto silenziosi e circospetti nonostante vi siano molti bambini. Come se avessero timore anche solo di parlare.»
«Visto? Sono altamente sospetti! Andiamocene finché possiamo!»

«Gloin!»

Il nano dai capelli fulvi borbottò indignato.

«I loro problemi non devono riguardarci» disse duramente il capo della Compagnia «però agiremo comunque con cautela. Non desidero problemi di sorta durante la permanenza.»

«Giusto» asserì Dwalin.

Il resto annuì partecipe, e Oin prese la parola «Come ci divideremo?»

«Decidete ciò che più vi aggrada. Non vi è molta scelta, dopotutto.»

«D'accordo, Thorin.»

«Molto bene, credo sia stata detta ogni cosa. Andiamo, non facciamoli attendere; non sono nani molto pazienti, specialmente la sovrana.»

Si incolonnarono e superarono la soglia, ma il Re ne richiamò due «Nori, Ori, aspettate un attimo.»

I due si guardarono, perplessi, ma non dissero nulla attendendo fosse lui a compiere la prima mossa.

«Nori, ho bisogno delle tue capacità: perlustra gli Ered Mithrin senza farti scoprire. Intendo conoscere questo luogo, se non avrò occasione di farlo personalmente.»

«Certo, come vuoi.»

«E... Ori?»

Il giovane scrivano spostò timidamente lo sguardo sul volto del suo signore, col fiato sospeso.

«E' tempo di rispolverare un po' di Khuzdul.»




La giornata era trascorsa anche troppo in fretta. Dopo un primo momento di sospetto e diffidenza i nani dei due regni si erano rimboccati le maniche in vista di riparazioni di fortuna e forgiatura di armi; certo, non parlavano granché limitandosi all'essenziale – specie i residenti, terribilmente guardinghi –, eppure era già qualcosa. Thorin si ritrovò a lavorare fianco a fianco col giovane tirapiedi della sovrana, laggiù nelle fucine; queste erano molto diverse da quelle di Erebor – più piccole e rozze, segnate dal tempo impietoso. Dimostravano chiaramente quanti secoli avevano passato, quanti nani avevano lavorato nella fabbricazione di armi ed oggetti comuni.

Quando il Capitano – Hagar, Hanag o qualcosa del genere – si era fermato dicendogli che era quasi ora di pranzo si era limitato a scoccargli una fredda occhiata, asserendo fosse il caso di rimanere a lavorare, data la scarsità di tempo a disposizione. Il nano l'aveva squadrato con un'occhiata stranita chiedendosi forse se stesse scherzando, ma lo escluse e sentenziò che, dunque, avrebbe dovuto informarne la sua signora perché – certamente – li stava attendendo. Lui aveva scrollato le spalle ed aveva continuato il suo lavoro insufflando aria col mantice finché non era scesa proprio lei. Era stata coraggiosa, dovette ammetterlo, e quasi lo divertì il lieve battibecco con cui annunciò la sua aggraziata presenza.

Ascoltò le sue rimostranze, dato che “Siete un re e mio ospite, non mi sarei aspettata lavoraste con gli altri.” “Avrete pur bisogno di mangiare qualcosa o vi nutrirete di aria?”

Quando le fece notare – gentilmente, sia chiaro. Solo un po' seccato – che l'aiuto di un paio di braccia in più poteva creare la differenza ed accorciare i tempi così da risultare leggermente più preparati ad ogni eventualità, allora tacque. Si limitò a guardarlo mentre ci pensava, convenendo avesse ragione. Così lo lasciò tornare al suo lavoro, dicendogli – meglio, ordinandogli – di fermarsi almeno quando un servo gli avesse portato il pasto; e, ultima non meno importante faccenda, la sera avrebbe presenziato a cena.

Poté anche concederglielo, assicurandole una perfetta puntualità.

Dovette ricredersi quando capì di essersi perso.

Gli altri avevano terminato poco prima ma lui aveva perso la concezione del tempo come ogni qual volta si ritrovava a lavorare; tutto svaniva, rimanevano lui e gli attrezzi, suoi fedeli compagni. Si era estraniato e, per sua immensa sfortuna, avrebbe dovuto prestare più attenzione per scorgere quale cunicolo avessero imboccato gli altri nani.


Illuminava il cammino con la lanterna come unica fonte di luce, gettando uno sguardo di pura sufficienza alle ombre danzanti e minacciose. Sembrava volessero prenderlo per portarlo con loro nella profondità della montagna, come carcerieri desiderosi di occuparsi del più infimo dei prigionieri; lui glielo avrebbe concesso volentieri, se non fosse stato così impegnato ad imprecare e contemporaneamente tentare di ricordare la strada. Si fermò, stizzito, stringendo con spasmi rabbiosi il manico della lanterna; annusò l'aria alla ricerca di un sentore di frescura, ma l'umidità laggiù spadroneggiava al pari del peggiore dei tiranni facendogli capire di stare inoltrandosi piuttosto che star risalendo. Stavolta l'imprecazione si sparpagliò lungo i corridoi e le sale buie, accompagnandolo finché non si spense.

Forse sarebbe dovuto rimanere alle forge, così che gli altri avessero potuto trovarlo; ma lui, cocciuto, aveva erroneamente fatto affidamento al suo senso d'orientamento dimenticando di perdersi con estrema facilità . Dopotutto, un paio di anni prima aveva trovato Casa Baggins dopo due tentativi andati a vuoto!

Anche tornare indietro era fuori discussione, poiché aveva svoltato così tante volte da confondersi. Stava decisamente invecchiando.

D'improvviso notò la sagoma di un gigantesco arco di pietra proprio davanti a lui e si avvicinò, pensando d'essere giunto in un luogo quantomeno familiare, anche se di una tale struttura avrebbe avuto memoria. L'aria divenne quasi più pulita e numerosi spifferi arrivarono a scompigliargli alcuni capelli scuri.

I pilastri a sostegno dell'arco erano in realtà due gigantesche sculture di nani – talmente grossi che per circondarli sarebbero servite quindici persone, se non una ventina –. Quello di sinistra era raffigurato in ginocchio, col volto affaticato coperto dalla lunga barba come se dovesse reggere il peso anche dell'altro, posto in piedi. Dalla corona di quest'ultimo – come una sorta di capitello – partiva l'arco rialzato, su cui campeggiavano spesse rune incise.

Erano invocazioni a Mahal, constatò senza particolare entusiasmo, poiché non era raro trovare edifici con quelle preghiere; in questo caso si chiedeva di proteggere l'integrità dei sovrani che si sarebbero succeduti nel tempo e di preservare quel luogo sacro in cui la storia era rappresentata.

Stese il braccio e puntò la lanterna in alto cosicché illuminasse un poco di più l'ambiente circostante, senza successo. Era troppo vasto e quella insufficiente. Cauto, decise comunque di inoltrarsi e curiosare, perché era cresciuto in lui un senso di aspettativa in ciò che si trovava al di là. Dopo pochi passi si accorse, ad esempio, che il suolo era mosaicato e riconobbe con stupore il nome di un villaggio nelle vicinanze degli Ered Luin.

«La mappa della Terra di Mezzo» si ritrovò a bisbigliare, sgranando gli occhi.

Continuò ad avanzare e ammirare il pavimento ricco di dettagli e luoghi – alcuni non esistevano più o avevano mutato nome – quand'ecco mostrarglisi l'imponente sagoma di un'altra colonna. Possibile fosse già finita? Cercò di illuminare meglio che poté per capire se ci fosse una porta o un passaggio che l'avrebbero condotto fuori, invece illuminò il nulla. Il buio assoluto lo inghiottiva. Decise comunque di avanzare fermandosi quasi subito quando scorse il fregio istoriato sulla lunghezza dell'intera colonna; ne seguiva l'andamento tortile e gli parve di riconoscere alcune scene di battaglia e, più giù – appena sopra la base –, si celebrava una vittoria. Si inginocchiò illuminando quel particolare e sfiorando le forme ruvide, appena abbozzate, in bassissimo rilievo; la maggior parte erano rovinate, presumibilmente dal tempo, quindi ne dedusse dovessero essere molto antiche.

Quali altre opere si celavano lì dentro?, si chiese. Una parte di lui gli rammentava di tornare indietro, o perlomeno tentare, piuttosto di rimanere imbambolato ad ammirare quell'insolito tesoro; dall'altra, bé, la curiosità premeva per essere assecondata.

Solo qualche altro passo, poi basta.




Nora odiava immensamente camminare laggiù. Era semplicemente inaudito, lo sapeva bene: un nano che aveva timore di scendere sottoterra? Praticamente un affronto.

Eppure era angoscia quella che l'attanagliava il cuore, che la sospingeva a ribellarsi e ripercorrere la strada per tornare ai suoi alloggi. Si sarebbe rintanata in camera fino al suono della lugubre campana della cena e poi sarebbe uscita come se nulla fosse successo. Si torturò le labbra mordendole con foga mentre si voltava per scoprire se qualcuno la stesse seguendo, ma il buio non le permetteva di scorgere alcunché. Inspirò per darsi coraggio e ripuntò la lanterna avanti, tremando perché l'umidità aveva raggiunto le ossa. Il cigolio prodotto fu l'unico suono tanto forte da spezzare il silenzio, tanto forte da fermarla – ancora –, da farle riguardare il percorso appena compiuto – di nuovo.

Calmati, non essere sciocca, ripeté mentalmente, è il tuo regno. Lo conosci come il tuo corpo.

Poteva asserire di conoscere altrettanto bene i suoi abitanti? Se qualcuno si fosse rintanato in un anfratto buio – e ve n'erano a bizzeffe – con l'intento di aspettarla per ribellarsi e mettere a frutto il piano di detronizzarla?

Non oserebbero. Non ora, così vicini alla guerra.

Ad alcuni non importerebbe.

Le ombre parevano più minacciose, lunghe, dagli artigli ricurvi come quelli di un rapace, sguainavano asce, spade, pugnali affilati.

Respira. Andrà tutto bene, nessuno ti ucciderà oggi.

Sei sicura?

Udiva sghignazzare, sibilare la vittoria, il suo nome sputato con astio privato della musicalità e del significato.

Sì!

Riprese il cammino, gli occhi fissi sul passaggio ancora da percorrere, piena di pensieri fino a quando non scorse il gigantesco arco del tempio. Gli antenati la scrutavano coi loro occhi scavati e privi di pupilla, sembravano porle quella difficile domanda: “Cosa ci fai tu, qui? Non è il tuo posto.” “Chi sei per entrare?” e anche lei, muta e ferma come loro, se lo chiedeva. Non aveva ancora adempiuto il suo principale dovere, ed era reggente da un anno e mezzo; eppure, ogni qual volta giungeva lì riuscendo perfino ad entrare il coraggio vacillava, l'infelicità e l'incapacità la racchiudevano. E dunque tornava indietro, sconfitta e amareggiata nell'orgoglio, sentendo sulla schiena gli sguardi severi e ammonitori dei sovrani che, ancora una volta, aveva disonorato.

Come poteva dichiararsi sovrana se non riusciva nemmeno ad assolvere quel compito, gravoso per lei?

D'improvviso scorse un bagliore di fiamma, come un aranciato fuoco fatuo, e si spaventò. Sentì il cuore battere all'impazzata e le mancò il respiro pensando fossero gli antenati risaliti dalle Aule di Mandos solo per punirla e maledirla fino alla fine dei suoi giorni. Provava un freddo innaturale, certamente era impallidita, lo percepiva; avrebbe voluto scappare o inginocchiarsi e supplicare di risparmiarla, di concederle altro tempo. Promise silenziosamente alla luce sempre più vicina che avrebbe svolto presto il suo dovere, che mai nessun'altra paura avrebbe intaccato la sua persona. E quando comprese che nessuno spirito l'avrebbe condannata ma che invece mostrava fattezze naniche allora, solo allora, si rilassò visibilmente; persino quando riconobbe la figura di Scudodiquercia provò un inaspettato sollievo sfociante quasi in gioia, nonostante sapesse bene di doverlo redarguire.

Lui non impiegò molto tempo a riconoscerla ed entrambi si studiarono attentamente, ad alcuni passi di distanza; i volti mostrarono un insieme di sentimenti turbinanti che mai avevano provato e mai si sarebbero ripresentati. Su tutti trasparì del conforto, il sapere di non essere soli in quell'immensa oscurità desolante e fredda.

Ma anche quel momento statico, sospeso – per quanto potesse essere un balsamo per le loro anime perdute – finì.

Toccò proprio a Nora l'onere di tornare alla realtà, e di riportarci anche l'ospite sgradito «Cosa ci fate voi qui?»

Parlò con timbro talmente flebile che se lui fosse stato anche solo due passi indietro avrebbe faticato ad udirla; per un attimo pensò di raccontarle la verità, però si ravvide in tempo.

«Passeggiavo.»

«Non dovevate avvicinarvi» disse seria, scoccandogli un'occhiata di fuoco.

Grazie alla luce delle due lanterne Thorin vide gli occhi nocciola brillare, le ombre e le luci impegnate in una danza al loro interno. Per qualche secondo si perse ad ammirarli, tralasciando il tono pregno di rimprovero con cui gli si era rivolta, come se dovesse sgridare un bambino a cui era stato proibito qualcosa.

Fu questo, probabilmente, a farlo rinsavire e sbottare «Nessuno me lo aveva detto. E le rune non specificano sia vietato visitare questo luogo, qualunque sia.»

Nora abbassò appena gli occhi. Era vero, né lei né altri l'avevano menzionato perché, sinceramente, non si aspettavano riuscissero a trovarlo. Quella gigantesca sala era per gli abitanti ancor più preziosa di qualsivoglia Stanza del Tesoro.

«Perché nascondere una tale bellezza?» si ritrovò a chiedere il nano, suo malgrado. Ricordava piuttosto bene il pavimento e le colonne scoperte, e non si capacitava dell'oscurità che, a suo parere, doveva essere bandita.

«Non lo nascondiamo. Chiunque sa del tempio, ma non ci entra.»

«E' un luogo sacro?»

Lei annuì, umettandosi appena le labbra «Talmente antico da esserlo. I re vi dimorano, e noi cerchiamo di disturbarli il meno possibile.»

«Si tratta di un cimitero? Non ho visto sarcofagi» chiese, aggrottando le sopracciglia.

«Il Tempio dei Re non è un cimitero, poiché là tutto finisce. Qui invece inizia e si perpetua» notò la confusione sul volto del nano di Erebor e, dilaniata internamente, decise di affidarsi all'istinto riguardo la mossa successiva.

Lo superò, muovendosi verso destra finché non incontrò il grosso braciere sospeso, attaccato al soffitto tramite una spessa catena d'acciaio. Lanciò la lanterna, il vetro infranto come suono solitario ad accompagnarli, e l'attimo successivo una potente fiamma arse seguita da molte altre, altri bracieri collegati al primo mediante uno stretto passaggio percorrente il muro.

Ben presto l'intero tempio scacciò le ombre per far posto alla luce calda e avvolgente che delineò il vasto perimetro in un'immagine difficile da dimenticare, per Thorin. Credeva d'aver visto praticamente tutto nella sua lunga vita, ma dovette ricredersi. La meraviglia di quel luogo ora illuminato lo lasciava senza fiato perché ora poteva ammirarlo in tutta la sua interezza e con i dovuti criteri; la colonna che prima l'aveva convinto della fine della stanza in realtà era una fra le tante che si intervallavano a distanza di svariati metri fino al termine del tempio. Ciascuna era riccamente adornata di fregi e diversa dalla precedente e dalla successiva: vi erano quelle a spirale, quelle lisce, quelle scanalate e altre a cui non avrebbe saputo dare una descrizione, una gerarchia. Sapeva soltanto ch'erano molte, e dividevano lo spazio in tre larghe navate totalmente decorate. Le volte a botte del soffitto parevano abbassarsi minacciose, fortunatamente sostenute. Ma più di ogni altra cosa furono le nicchie a colpirlo; spezzavano la staticità del muro e dei rilievi in esso raffigurati ospitando una statua diversa. Le più lontane non erano nemmeno riconoscibili.

Capì d'essere rimasto con le labbra leggermente socchiuse quando si ricordò di respirare; lanciò un'occhiata al volto di Nora – poteva leggerle compiacimento e orgoglio nel bagliore degli occhi pesantemente truccati – e si avvicinò.

«Questa è la storia del mio popolo dagli albori, mio signore. Da quando Mahal decise di crearci in nome di Eru e ordinò ai suoi figli di abitare gli Ered Mithrin.»

Si girarono verso l'arco a tutto sesto e Nora continuò «Il nano inginocchiato è Bagnar il Costruttore che, per primo, decise di ideare e creare il tempio. Secondo la leggenda impiegò trent'anni per costruirlo e morì prima di vederlo compiuto. Gli succedette il figlio, Kagnus il Paziente. Il piccone che tiene in mano diede l'ultimo colpo alla pietra finale.»

Cambia atteggiamento quando parla di queste cose, si ritrovò a pensare Thorin. In effetti, Nora aveva abbandonato il cipiglio serio e gravoso per uno appassionato, e le parole trovavano facile accesso in lei poiché partivano dal cuore; non le era mai capitato di spiegare a qualcuno il significato del tempio e delle sue statue intimidatorie, però le risultò estremamente facile: doveva soltanto lasciarsi trasportare dall'amore per la storia e per l'arte, di cui erano da sempre stati padroni.

Nessuno parlò finché non raggiunsero la prima nicchia, dalla quale partivano dei bassorilievi – grandi quasi ad altezza naturale – fino alla successiva, dove si fermavano e ne cominciavano altri.

Thorin si avvicinò a li osservò «Sono scene di vita quotidiana.»

«Ogni lastra rappresenta un momento importante della vita dei re. La costruzione di nuove ali del palazzo, l'ideazione delle serre, scambi commerciali con altri popoli, la venuta dei grandi Draghi del Nord e la conseguente distruzione delle vallate seguita dalla cacciata dei miei avi» strinse le labbra, conducendolo in profondità.

I pannelli tra le nicchie mutarono notevolmente in base all'abilità del realizzatore; da bassorilievi divennero alti, altissimi rilievi in cui alcune parti delle figure – ora elaborate finemente, talmente lisce da essere lucide – sporgevano completamente, emergendo dalla linea del piano di fondo in movimenti in alcuni casi concitati. Il periodo di maggior importanza degli Ered Mithrin era attestato dall'inserimento di inserti d'oro o di ferro nel caso di armi, oppure legno, argilla, osso, avorio nei primi fregi.

Ad un certo punto il nano si bloccò, costringendo anche la giovane accompagnatrice ad arrestarsi e puntare gli occhi verso l'alto; sul muro rovinato campeggiavano segni di lunghi e larghi artigli. Non gli fu difficile intuire il colpevole di tale crudeltà.

«Draghi» spiegò Nora, con una voce stranamente tranquilla «Per fortuna non danneggiarono altro quaggiù, al contrario dell'intero regno. Come potete vedere sono presenti solo questi graffi. I Valar protessero il nostro tesoro più prezioso» gli lanciò un'occhiata sfuggente che lui non notò, troppo occupato a maledire quell'immonda razza di bestie perché avevano causato tanto dolore e scempio «Sembra così irreale, eppure calcarono gli stessi ambienti che vedo ogni giorno, che conosco da quando ho memoria.»

«Ne parlate quasi con ammirazione» disse, secco «Vi ricordo che uccisero molti vostri compaesani.»

«Questo lo so benissimo, ma è innegabile provare una sorta di timore... reverenziale. So che non siete d'accordo» ribatté, quando udì lo sbuffo contrariato di Thorin «e pensate pure ciò che volete. Ma questi giganteschi e astuti animali vissero qui per un periodo e–»

«Se eravate così tanto curiosa di vederne uno potevate recarvi a Erebor; fino all'anno scorso il mio regno era l'abitazione di un drago.»

Il silenzio calò come una pesante cappa, solo il crepitio dei fuochi scandiva i secondi interminabili in cui Nora contenne a malapena una rabbia inaudita. La tranquillità si frantumò di fronte alla frase sarcastica e la giovane si pentì d'avergli dato confidenza, di avergli mostrato il cuore delle Montagne Grigie. Il desiderio di rispondergli sgarbatamente e lasciarlo marcire in uno dei contorti corridoi prese il sopravvento.

«Il vostro regno ha già causato abbastanza sofferenza al mio» si ritrovò a sibilare, mordendosi subito le labbra.

Thorin assottigliò gli occhi mentre faville bruciavano negli occhi blu; avanzò qualche ipotesi puramente campata in aria, forse arrivando nelle vicinanze della verità che giusto il giorno prima aveva promesso di scoprire. Ora non ne era tanto certo dato che, molto probabilmente, l'addentrarsi in questo campo li avrebbe portati al punto di rottura.

«E' molto lontana la fine di questo tempio?»

Nora sbatté le palpebre all'udire il cuore riprendere a battere normalmente; aveva galoppato talmente rapido da schizzarle via dal petto. Accolse con gratitudine quel cambio d'argomento anche se non lo dimostrò, scuotendo appena la testa bruna.

«Qui è dove riposa l'ultimo antenato e là, addossato alla parete di est, si trova l'altare.»

Da una tasca nascosta nella gonna nera prese un rametto di lavanda; il profumo aleggiò brevemente nell'aria, e Thorin ritornò con la memoria a vasti campi violacei ai piedi delle Montagne Azzurre, quando il suo popolo era esiliato e distrutto nell'orgoglio. Ricordò lunghe passeggiate in mezzo ai fiori, inebriato e stordito da quella dolcezza che era riuscita ad accantonare per poco la rabbia e il desiderio di rivalsa. Rivide i bambini rincorrersi e ridere coi capelli scompigliati dal vento per poi raccogliere mazzolini da portare alle madri; udì la voce di Dìs mentre richiamava Fili e Kili perché rincasassero e loro la pregavano di aspettare ancora un poco “finché il sole non fosse caduto del tutto”.

Anche Nora era persa nei suoi pensieri; aveva bruciato il rametto e l'aveva posato ai piedi della scultura di gesso talmente ben levigata nei punti lisci e sbozzata nelle vesti da risultare quasi reale e palpabile, da non rendersi conto delle lacrime pronte a scendere sulle guance. Chiese molte cose a suo nonno, quel nano burbero che aveva avuto la fortuna di conoscere e capire, dei cui racconti si beava prima d'andare a letto e delle scene ricreate con i fratelli quando decidevano di giocare insieme – quelle rare eppure indimenticabili volte.

A lui domandò consiglio nei riguardi del regno ma soprattutto degli stranieri, così diversi nonostante l'appartenenza alla medesima razza. Lo guardò negli occhi alla ricerca di un segno, ma il volto spigoloso dai tratti severi e marcati rimase immobile, tristemente muto. Sospirante, chinò il capo in segno di rispetto e portò le dita a sfiorare le palpebre abbassate per poi fletterle in avanti; solo allora rialzò la testa e incrociò lo sguardo curioso di Thorin.

«Che significa quel gesto?»

«E' un saluto. Vuol dire che vedo nel tuo cuore, nella tua anima, e tu puoi fare altrettanto se mosso da buone intenzioni.»

«Trovo sia molto appropriato» disse, cercando di capire se fosse l'aggettivo corretto «Se ogni sovrano ha scolpito ci saranno sicuramente anche delle vostre opere.»

Il silenzio aleggiò a lungo, o così parve a Thorin.

La giovane regina era impallidita e puntava lo sguardo ovunque tranne che sul suo viso; strinse le labbra e le umettò prima di rispondere con un esile «Non ancora.»

Le sembrò piena di vergogna e, per un momento, volle quasi rassicurarla. Ma l'attimo successivo, quando piantò gli occhi nocciola sui suoi, non scorse traccia di negatività; era tornata la donna imperscrutabile ostentata con tanto impegno, come fosse una maschera protettiva contro il resto del mondo. Doveva aver lottato a lungo per mantenersi sul trono e forse ancora adesso non era pienamente accettata dai sudditi.

Così giovane ma così provata, pensava il nano. Non provava pena – era sicuro che Nora l'avrebbe aborrita – eppure gli si strinse il cuore.

Lentamente, senza alcuna fretta, lasciarono il tempio e i re alle loro spalle perché, come gli confidò, non era bene attardarsi a lungo per non disturbare il loro riposo. Non ci furono parole, nemmeno quando la regina riaccese l'unica lanterna rimasta e gliela porse; solo quando oltrepassarono l'arco dei costruttori – la sala alle loro spalle ancora illuminata – venne formulata un'altra domanda.

«Prima avete detto che i re vivono nel tempio. Esattamente che intendevate dire?»

«Voi cosa avete intuito?» gli rispose invece, curiosa di udire la sua risposta.

«Parlavate dei loro spiriti.»

«Non solo. I re vivono davvero laggiù. O meglio, i loro corpi.»

Thorin ancora non capiva.

«Le sculture furono realizzate col gesso fuso sui loro sudari.»

Il volto del nano esplorò una vasta gamma di emozioni, su tutti lo sbigottimento «Sono all'interno

«È tradizione per i re adornare il Tempio con il proprio corpo divenuto statua. Non ci sono tumuli per loro, al contrario degli altri abitanti. Da voi non è usanza?»

«No. Ognuno ha il suo sarcofago in una grande cripta nel cuore della montagna.»

Nora annuì, assimilando l'ennesima diversità. Svoltarono in un corridoio mai calcato prima e Thorin pensò fosse una scorciatoia; d'improvviso sentiva il bisogno di risalire e tornare nelle stanze assegnategli poiché non avrebbe retto ad altre scioccanti rivelazioni su cadaveri e sculture.

«L'ultima statua... era vostro marito?»

Nora si fermò di colpo, gli occhi sgranati «No. No, non sono sposata.»

Per l'ennesima volta le sopracciglia si aggrottarono «Perdonatemi, devo aver frainteso. È che la vostra pettinatura lascia intendere siate vedova»

Stavolta fu il turno della ragazza di mostrarsi perplessa «Non capisco.»

«La nostra tradizione spiega che una nana è vedova se porta i capelli raccolti sulla nuca, come i vostri.»

«Per noi è una questione di rango, anche se la leggenda non è dello stesso parere. Maggiori sono le trecce maggiore è la tua importanza; le serve solitamente ne portano una arrotolata, anche perché non posseggono abbastanza fermargli ed hanno poco tempo per acconciarli come si conviene. In ogni caso non c'entrano... con il matrimonio» terminò in un sussurro, le guance rosate; se per indignazione o pudicizia non avrebbe saputo dire.

Thorin non poté impedire alle labbra di piegarsi leggermente verso l'alto in una specie di sorriso, anche quando notò un grande arazzo sulla parete sinistra; lo catturò il colore rosso scuro, sbiadito così come le rune nere e dorate tra le quali spiccava il nome di Nora alla sua fine.

«Il vostro albero genealogico?»

Quando la vide annuire si avvicinò per studiarlo meglio, stupendosi sempre più delle sue azioni; in quella mezza giornata si era lasciato incantare dalle decorazioni del palazzo, vedendolo sotto una luce diversa. Ancora non capiva quel popolo, né le sue tradizioni o credenze, ma era indubbio ne apprezzasse l'arte, come in quel particolare caso: l'arazzo non era nulla di sfarzoso o complicato – solo nomi e linee arzigogolate che li univano – però gli parve estremamente bello e particolare.

«Avete preso il posto di vostro padre?»

Per la seconda volta la rabbia schiumò ad una velocità impressionante «Siete molto curioso.»

«Voi non lo siete nei miei confronti?»

«No» rispose furiosa, muovendo alcuni passi nella speranza che la seguisse e la smettesse d'impicciarsi di affari che non lo riguardavano. Né adesso né mai.

A quel punto fu impossibile anche per lui mantenere la pazienza imposta «Quale azione ho compiuto per meritare un simile disprezzo?»

Ecco, era giunto il momento tanto atteso. Ogni minuto della precedente stramba e inaspettatamente calma conversazione era stato un accumularsi di minuti in preparazione a quella determinata conversazione.

«Davvero non lo capite?»

«No.»

La regina trattenne a stento un fiume di parole in Khuzdul «Una certa battaglia non vi dice nulla?»

Thorin schiuse la bocca mentre i pezzi iniziavano a combaciare uno per volta anche se alcuni punti erano ancora oscuri; ad esempio, come era stato possibile se solo Dain e i suoi soldati erano arrivati in loro soccorso? Il cugino non aveva mai menzionato l'aiuto dei nani degli Ered Mithrin dopo la Battaglia. Bé, nemmeno i reciproci contatti durante gli anni precedenti.

«Vostro padre ha combattuto.»

Non una domanda, ma una semplice e concisa constatazione alla quale Nora non riuscì a rispondere a causa del groppo formatosi in gola e talmente stretto da risultare doloroso. Ebbe appena la forza di chiudere gli occhi mentre una miriade di ricordi sgomitavano per mostrarsi e, quando li riaprì, deglutì per ritrovare una parvenza d'umanità.

«Sarebbe reggente, ora, così come mio fratello sarebbe il suo erede.»

Tutti abbiamo perso qualcuno quel dannato giorno.

Glielo disse, ma la risposta tagliente gli penetrò il cuore colpendolo con una punta affilata e invisibile.

«Non sarebbe successo se non fosse stato per causa vostra.»

A questo, Thorin davvero non seppe come replicare.





Quando Nora chiuse la porta degli appartamenti alle spalle emise un sospiro talmente straziante da sembrare un singhiozzo. L'altra nana presente nella stanza le si avvicinò preoccupata, allungando una mano nella direzione di Nora, che l'afferrò senza indugiare e strinse cercando di calmarsi, cercando di sbattere velocemente le palpebre per ricacciare le lacrime.

«Per favore, almeno tu dimmi che faccio bene a comportarmi così con gli estranei. Per favore» pregò di nuovo la reggente, stravolta.

Ancora ricordava il precedente dialogo con Scudodiquercia, e più ci ripensava più concordava col fatto che sfiorasse l'assurdo; non solo l'aveva condotto alla scoperta di un luogo normalmente precluso persino agli abitanti, troppo spaventati per scendere ad onorare gli antichi sovrani, ma aveva lasciato che la rabbia le afferrasse il cuore rivelando più di quel che avrebbe dovuto. Dèi, aveva persino parlato del padre e del fratello!

Chiuse gli occhi e gemette, sconsolata come mai in vita sua. L'altra nana la condusse verso una sedia e le porse un corno di legno perché si dissetasse e calmasse con un po' d'acqua.

«Cosa è capitato, Nora?»

«I bambini dove sono?»

«Non temere per loro» la rassicurò con un sorriso «Sono con Garan a studiare i primi re.»

La regina bevve lentamente e appoggiò il corno in grembo, seguendo le linee che lo adornavano sia con gli occhi sia con l'indice, decidendo in parte di mentirle perché non sapeva come avrebbe potuto reagire se le avesse raccontato del tempio.

«Non potrò sopportare Scudodiquercia ancora a lungo. Ha chiesto come sono diventata regina, ha menzionato papà.»

«Ha visto l'arazzo?»

«Sì. Probabilmente si era perso perché fino al tardo pomeriggio era alle fucine. Deve averlo trovato per caso.»

«Capisco. Cosa gli hai risposto?»

Le raccontò in breve lo scambio di battute e attese in silenzio una replica, ma l'altra taceva «Maera, cosa devo fare?»

«Buon viso a cattivo gioco, sorellina.»

«E' un assassino.»

«Lo so» concordò Maera, stringendole una mano «ma abbiamo bisogno di lui. Sopportalo fino allo scontro.»

«Se ci sarà» studiò quel volto simile al suo anche se tra loro intercorrevano sei anni e si sentì rigenerata nel notare un luccichio rabbioso; anche lei non aveva ancora dimenticato i famigliari e il periodo buio che ancora adesso le perseguitava ma, al contrario di Nora, non era sola ad affrontarlo perché si era creata una nuova famiglia.

A stento riuscì a sorriderle, riuscì a sentirsi più leggera non appena si tolse la corona dal capo e la poggiò sul tavolino alla sua sinistra.

«Ti senti meglio?»

Nora annuì e chiuse gli occhi quando Maera le baciò una guancia «Credi deciderà d'andarsene?» chiese in un soffio, timorosa anche solo di dirlo per paura di concretizzare il pensiero. Sarebbe scoppiato il finimondo in quel caso.

«Non pensare a lui ora. Cerca di concentrarti sui lavori e su te stessa; non hai una bella cera.»

«Sono stati giorni impegnativi, e le notti non sono state da meno. Ma hai ragione, devo occuparmi delle difese.»

«A quelle possono sempre pensarci i consiglieri, lo sai.»

«Preferisco partecipare.»

«Lo so» ribatté la maggiore senza dar peso al tono improvvisamente secco quando accennavano ai nani; e come biasimarla?

D'un tratto le porte si aprirono rivelando la presenza di Doiran; non appena si accorse della sua regina chinò il capo e mostrò un accenno di sorriso al di sotto dei baffi castani «Maestà. Non credevo di trovarti qui.»

«Non è raro trovarmi in compagnia di tua moglie, vista la parentela» rispose sarcastica.

Si alzò e guardò il figlio di Fanus raggiungere Maera e donarle un bacio a fior di labbra per poi servirsi con un boccale di birra. Infine si sedette e la guardò, ragguagliandola sugli ultimi sviluppi.

«Grazie ai nani di Erebor la manodopera non ci manca, anche se stiamo procedendo come se avessimo i mannari alle calcagna! Non dico sia un male» si affrettò ad aggiungere, notando le sopracciglia di Nora scattare verso l'alto in un muto rimprovero «Finiremo certamente prima.»

«Hai coordinato i lavori?»

«Certo, mia cara» trangugiò un sorso di birra e si pulì la bocca con il dorso della mano «e ho conosciuto meglio i nuovi venuti. Trovo siano nani molto capaci, non è così Nora?»

L'interpellata strinse di più le braccia al petto e cercò di capire quali pensieri si nascondessero dietro gli occhi scuri del cognato, troppo stanca per riuscirci.

«Non l'ho mai dubitato, Doiran. Dopotutto sono figli di Durin. Se volete scusarmi, ora vi lascio; domani mattina dovrò alzarmi presto per parlare con Hagan del lavoro alla forge.»

«Parla anche con mio padre» la fermò il nano, posando una mano sulla spalla destra di Maera come a volerla proteggere – da chi, poi? Nora provò quasi disgusto – e le sorrise di nuovo, di un sorriso sinistro e sbilenco, o così le sembrò «Si trova a capo della ristrutturazione di una delle porte segrete.»

Sulle labbra le si dipinse un falso sorriso cordiale che non raggiunse gli occhi «Non temere, so perfettamente quali sono i miei compiti. Sono pur sempre la regina.»

L'aria divenne pesante, l'improvvisa voglia di uscire più forte; recuperò la corona e si avviò sicura verso la porta, aprendola. Prima di uscire del tutto si girò verso la sorella «Salutami i bambini e dì loro che in tarda mattinata mi raggiungano nello studio.»

«Certo. Buonanotte Nora, vedi di dormire questa notte.»

«Buona notte mia regina» aggiunse Doiran, inchinandosi profondamente.

Nora annuì appena e chiuse la porta, tornando a respirare. Di una cosa era assolutamente certa in quel momento: sarebbe stato difficile dormire con tutti quei pensieri.






CANTUCCINO DELL'AUTRICE


Buona Pasquetta a tutti voi e Buona Pasqua in ritardo! Ebbene sì, non posso crederci di essere tornata a pubblicare! Sembra che l'ispirazione – almeno per questo capitolo – sia tornata; scusate se è lungo, ma volevo concedere un po' di spazio al confronto tra Nora e Thorin e volevo introdurre altri due personaggi: la madre e la sorella della regina. Oltre ad uno scorcio su Gilla e Doiran.

Inoltre come vedete non ho aspettato chissà quanti capitoli per rivelarvi il motivo della rabbia nei confronti di Thorin, e qui si spiega, anche se non ho detto tutto ;).

Vorrei ringraziare dal profondo del cuore tutte le ragazze che mi hanno sostenuta, spronata, aiutata e che ho avuto la fortuna di conoscere il mese scorso *.* <3 E' stato meraviglioso, sapevatelo XD!

Alla prossima, sperando di non metterci troppo tempo!

Intanto mando un grossissimo bacione a tutte, vostra

Anna



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