Hook-un cuore di ghiaccio

di masked_lady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il risveglio ***
Capitolo 2: *** Salvo ***
Capitolo 3: *** Arabelle ***
Capitolo 4: *** Pensieri ***
Capitolo 5: *** Via di guarigione ***
Capitolo 6: *** Debolezza ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** Attrazione ***
Capitolo 9: *** Resta con me ***
Capitolo 10: *** Guarito ***
Capitolo 11: *** Solo ***
Capitolo 12: *** Ruoli ***
Capitolo 13: *** Ricordi dolorosi ***
Capitolo 14: *** Morgan ***
Capitolo 15: *** Tormento ***
Capitolo 16: *** Elfi su un mercantile ***
Capitolo 17: *** Sorpresa e speranza ***
Capitolo 18: *** Vivo ***
Capitolo 19: *** La regina ***
Capitolo 20: *** Non morire ***
Capitolo 21: *** Ultima notte ***
Capitolo 22: *** Battaglia ***
Capitolo 23: *** Ritirata ***
Capitolo 24: *** La morte dello Spettro ***
Capitolo 25: *** Confessione ***
Capitolo 26: *** Udienza ***
Capitolo 27: *** Memnor ***
Capitolo 28: *** Piano di vendetta ***
Capitolo 29: *** Lo giuro ***
Capitolo 30: *** Soffrirai-prima parte ***
Capitolo 31: *** - Personaggi - ***
Capitolo 32: *** Soffrirai-seconda parte ***
Capitolo 33: *** Soffrirai-terza parte ***
Capitolo 34: *** Un amore eterno ***
Capitolo 35: *** Vita e morte ***
Capitolo 36: *** Risposte ***
Capitolo 37: *** La forza di perdonare ***
Capitolo 38: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** il risveglio ***


Il risveglio

Il risveglio

Tutto era buio. Non aveva avvertito alcun dolore nel momento in cui l’animale l’aveva inghiottito: era una bestia così mostruosamente grande da farlo passare incolume all’interno della propria gola. Pochi secondi dopo che il coccodrillo era scomparso in acqua, qualcosa si risvegliò nell’animo del pirata: qualcosa che gli diceva di non mollare…di non darla vinta a quel ragazzino arrogante e impertinente che lo aveva indotto a lasciarsi andare tra le fauci del mostro che lo perseguitava. Si era risvegliata in lui la voglia di vivere. Così, improvvisamente, si ricordò del coltello da caccia che portava assicurato ad una fibbia all’interno dello stivale e con alcune, caute, mosse riuscì a raggiungerlo con la mano destra e a prenderlo. Prese una boccata d’aria e poi colpì con tutte le sue forze il petto dell’animale, vicino alla gola….nella sua zona più sensibile. Il coccodrillo lanciò un verso di dolore e rabbia nel momento in cui la lama lacerò le sue carni, dopo di che cominciò a dibattersi furiosamente. Hook fu sballottato a destra e a sinistra ma continuò imperterrito a colpire l’animale con il pugnale e ora anche con il suo affilato uncino. Dopo pochi istanti che a lui parvero molto più lunghi di quanto fossero, il mostro smise di agitarsi e si abbandonò alla corrente: era morto. A quel punto al pirata non rimase altro da fare che allargare il più possibile la ferita sul collo del coccodrillo fino ad aprire un varco sufficientemente ampio da permettergli la fuga. Appena fuori dal ventre della bestia, Hook raggiunse la superficie del mare e prese una potente boccata d’aria. Era esausto, ma era anche abituato ad ogni genere di fatica, vista la vita spericolata che conduceva. Senza fermarsi nuotò per quasi un’ora intera e riuscì a raggiungere la riva. Spossato, ansante e stremato ben oltre le forze di un uomo qualunque si accasciò sulla sabbia della spiaggia, troppo debole anche per curarsi della marea che sarebbe potuta salire e trascinarlo nuovamente in mare. Sdraiato sulla spiaggia, con i vestiti e i capelli grondanti acqua, l’uomo si addormentò.

Era notte fonda quando riprese conoscenza per pochi momenti. A distoglierlo dal suo sonno era stato uno stranissimo suono, insieme dolce e triste. Sembrava un lamento, ma era troppo sublime per provenire da una gola umana, troppo straziante e puro, limpido. Eppure avrebbe potuto benissimo essere una voce. Era ancora troppo lontana perché Hook potesse definirla meglio, ma d'altronde il pirata non era nelle condizioni di distinguere neppure il cinguettio di un usignolo dal rumore dei cannoni della sua Jolly Roger. I secondi passavano e il suono si faceva più chiaro e vicino, ancora più triste. Tuttavia, prima che Hook potesse vedere da dove proveniva, piombò nuovamente a terra, sfinito.

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Capitolo 2
*** Salvo ***


Salvo

Salvo

« Dove sono? » Non era del tutto certo di aver pronunciato quelle parole; probabilmente le aveva appena sussurrate, se non pensate e basta. Hook cominciò ad aprire gli occhi, molto lentamente. Aveva la vista appannata e sentiva fitte di dolore pervadergli gran parte del corpo. Accanto a lui sentiva una fonte di calore, ma non riusciva a distinguerla.

« Sono morto? » mormorò non appena la vista gli si fece più chiara. Era troppo debole per alzarsi…si sentiva a malapena in grado di respirare, ma riuscì a muovere il capo quanto bastava per osservare l’ambiente a lui circostante. Non ci volle molto perché notasse un fuoco che scoppiettava in un caminetto di pietra poco distante da lui. Presto riconobbe la pietra nera come la pece su cui era disteso e di cui erano fatte le pareti della stanza in cui si trovava. Era nel Castello Nero. In realtà, quella bizzarra costruzione non era esattamente un castello, ma piuttosto una rocca piuttosto malridotta che, all’origine dei tempi, doveva essere stata una dimora di elfi. Il tempo aveva corroso le pareti e consumato gli affreschi che un tempo dovevano aver decorato i soffitti, ma nonostante ciò, per Hook era sempre stato un ottimo covo, nonché una discreta residenza estiva nei brevi momenti di pace con Pan.

Dunque non era morto. Era nel Suo castello. Questa scoperta lo rassicurò leggermente, perché gli faceva credere di non essere in pericolo, ma restava il problema di come vi fosse arrivato.

Improvvisamente, udì dei passi leggeri ma decisi avvicinarsi, così, per prudenza, decise di fingere di essere ancora privo di conoscenza. Colui che era appena arrivato passò accanto all’uomo disteso e indugiò appena un momento accanto a lui, poi si allontanò. Allora Hook aprì nuovamente gli occhi e getto uno sguardo alla figura, che si trovava in una stanzetta adiacente al salone dove si trovava lui. Vide la figura mentre sembrava in atto di cercare qualcosa. Non appena la distinse, la sua fronte si corrugò: a pochi metri da lui si trovava la creatura più bella che avesse mai visto. Era una donna, ma dirla umana non sarebbe stato esatto a prima vista. Sembrava il risultato della perfetta combinazione tra una fata ed un essere umano. Non era molto alta, ma era difficile per Hook dirlo vista la sua posizione, ma era perfetta nella sua struttura. Era snella e flessuosa, dalle forme modellate alla perfezione; aveva la pelle chiarissima, che a contrasto con l’oscurità e il materiale cupo di cui era fatto il castello, sembrava così luminosa da emanare una luce propria. Aveva il volto di un angelo, dall’ovale perfetto, anche se sfinato in direzione del mento, incorniciato da una gran massa di capelli castano scuro ondulati e lunghi fino alla vita. Appena si fu fatta più vicina, il pirata notò che aveva due grandi occhi marroni, con ciglia lunghe e sopracciglia dall’arco perfetto anche se non molto sottile, e una bocca meravigliosa, dalla labbra piene e morbide. Il naso era lungo e diritto, dal profilo che aveva qualcosa di severo, e dava l’idea che la donna possedesse un certo caratterino.

A contrasto con la natura eterea e luminosa del suo corpo, che pure aveva prevalenza di coloro scuri, c’erano i suoi abiti. Indossava un paio di pantaloni neri aderenti infilati in un paio di stivali da amazzone in pelle ugualmente nera. Il suo splendido busto era fasciato da un corsetto di pelle viola torchiato su una camicia sempre nera. Hook rimase stupito dal suo abbigliamento. Le donna che aveva conosciuto erano sempre state di soli tre tipi: donne di malaffare, succinte e provocanti, grandi dame, eleganti e delicate come fiori troppo fragili, o piratasse, sporche e mascoline. Quella creatura non sembrava essere nessuna delle tre. C’era qualcosa della dama in lei, vista la sua bellezza e il suo portamento altero e deciso, ma sembrava anche una donna abituata ad affrontare le avversità. Il cuore del pirata palpitò per un attimo, ed egli se ne sorprese, anche se non diede al fatto molta importanza in quel momento.

Dopo averla osservata per ancora alcuni istanti, Hook richiuse gli occhi e fece due profondi respiri. Un attimo dopo sussultò: si era appena reso conto di essere stato spogliato ella sua camicia e fasciato sul petto, dove evidentemente aveva riportato una brutta ferita. Fece per toccarsi il petto e si accorse allora di un fatto ancora più strano: il suo uncino era scomparso e con esso l’apparecchio con cui lo fissava al braccio a coprire il suo moncherino. Sentì un potente moto di rabbia invaderlo, ma dovette trattenersi perché la donna, o meglio la ragazza visto che non doveva avere più di venti o ventidue anni, si stava nuovamente avvicinando. Il pirata si distese e richiuse gli occhi, in attesa, mentre con la mano destra si preparava ad attaccare. La ragazza si inginocchiò accanto a lui ed era sul punto di avvicinarsi alla fasciatura sul petto di lui quando Hook, con uno scatto felino che smentiva le sue condizioni precarie, prese per il collo la giovane e la strinse in una morsa d’acciaio.

« Hai trenta secondi per dirmi chi sei! » le disse sibilando con rabbia, il volto vicinissimo al suo, tanto da poter sentire il profumo della sua pelle. La ragazza, seppure aveva sussultato nel momento in cui lui aveva reagito con tanta violenza, ora sembrava stranamente calma. I suoi grandi occhi, così dolci nella forma, non lo erano nello sguardo, che mandava cupi bagliori d’orgoglio ferito e furia.

« Posso dirti con più certezza chi sei tu, » rispose « visto che hai attaccato la persona che ti ha salvato e che è anche completamente disarmata e inferiore a te per forza fisica. ». Al pirata non sfuggì l’insulto e per un momento rimase inerme, profondamente colpito dal coraggio mostrato da quella giovane e dalla sua fierezza.

« Hai fegato, ragazza, ma non mettere alla prova la mia pazienza, perché non sai chi hai salvato. ».

« So benissimo chi sei…. Hook » le parole di lei suonarono come una frustata. Era splendida. Un ulteriore contrasto che affascinava al primo sguardo era tra la dolcezza del suo aspetto e dalla freddezza del suo essere. Poteva essere una dea, oppure un’amazzone forgiata nell’argento puro. « Lasciami, e avrai le tue risposte. ».

Non era una supplica, né una richiesta. Era un vero e proprio ordine. Rimasero per un attimo a fissarsi negli occhi come a misurare uno la forza d’animo dell’altro. Alla fine, Hook la lasciò, ma continuò a fissarla. Lei, da parte sua, guardò a sua volta quell’uomo crudele , dannatamente affascinante, con i ricci morbidi e più scuri dei suoi e gli occhi di ghiaccio, chiarissimi e penetranti. Il pirata , anche ferito, aveva un aspetto virile ed attraente, aspetto che gli era valso la compagnia intima di numerose donne di malaffare, sebbene provassero ribrezzo per il suo braccio mutilato.

« Chi sei? » ripetè.

La ragazza si alzò in piedi. Effettivamente non era molto alta. « Non sono nessuno. Mi chiamo Arabelle e ho dovuto approfittare del tuo castello per fuggire dai miei perseguitori. Questo è tutto. » Aveva una voce veramente melodiosa, quando non era in collera.

« No che non è tutto » disse lui. « se sai chi sono, perché mi hai salvato e curato? Non puoi non sapere che potrei ucciderti una volta rimesso in salute. » Era una cosa azzardata da dire, vista la sua situazione, ma Hook era sempre stato avventato, e amava il rischio più di ogni altra cosa.

Improvvisamente lo sguardo di lei si spense. Era come se qualcosa dentro di lei fosse morto in quel momento. « Io non lascio gli uomini a morire. Se una volta guarito deciderai di ricompensarmi dandomi la morte, e so perfettamente che ne saresti capace e anche felice, non mi importerà. Forse te ne sarò persino grata. ». le sue parole turbarono il pirata, che era abituato a donne piagnucolose ed inutili e, soprattutto, a vittime che imploravano pietà prima di morire. Per un momento, il suo ghigno malefico si attenuò.

« Ora che abbiamo chiarito che, almeno per il momento, nessuno di noi sta per morire, devo cambiarti la fasciatura. » Disse Arabelle, decisa. Si inginocchiò di nuovo accanto a Hook e lui, da parte sua, essendo totalmente impreparato al carattere della giovane, non seppe che altro fare se non sdraiarsi e consentirle di fare ciò che doveva. Con un tocco delicatissimo, Arabelle tolse la vecchia fasciatura dal petto dell’uomo. Hook non potè trattenere un fremito quando le dita di lei gli sfiorarono il taglio che si era procurato, ma non si trattava di un fremito di dolore. Arabelle rimase per un secondo appena a contemplare la corporatura robusta ma muscolosa del pirata. Aveva il busto perfetto con i pettorali scolpiti e un unico gruppetto di radi riccioli scuri al centro del petto. Lo osservò fino a percorrere con gli occhi la linea dell’addome, che terminava nella riga di peluria che scompariva nei pantaloni. Non c’era molto da dire: era chiaro ad entrambi, tacitamente, che si ammiravano a vicenda. Lui era rimasto colpito dalla giovane bellezza così forte e determinata che aveva di fronte, mentre lei non provava alcun timore nei confronti dell’uomo affascinate e crudele dai tratti raffinati che stava disteso davanti a lei.

Arabelle cambiò rapidamente la fasciatura e si alzò, guardando l’uomo di fronte a sé con aria altera, da regina. « Guarirai presto, ma ora devi riposare, altrimenti la ferita non riuscirà a rimarginarsi a fondo »

« Non ho sonno » ribattè Hook. La giovane a quella risposta scoppiò involontariamente in una risata argentina.

« Cosa diamine hai da ridere? » le gridò contro lui. La dolcezza di lei svanì immediatamente nel nulla, così come era comparsa.

« Non osare mai più rivolgerti a me in questo modo. Sarai anche il più crudele pirata dell’isola, o anche il più crudele mai esistito. Non mi interessa. Se vorrai uccidermi, più in là, ne parleremo quando verrà il momento, ma per ora tieni presente che hai bisogno di me. ». Hook rimase interdetto, quasi inebetito dalle sue parole: nessuno aveva mai osato parlargli così e quei pochi che vi si erano avvicinati non erano sopravvissuti. « Qui non sei più Hook, il feroce pirata sanguinario, ma solo un uomo ferito, che di fronte alla morte non guadagnerebbe nulla dalla sua fama di assassino. » non c’era rabbia o ira nel tono di voce di Arabelle, ma solo una calma e una razionalità spaventose e inquietanti. « Qui non ci sono pirati o vittime, ma solo un uomo che ha bisogno di cure e una donna che glie le darà. » Così detto, girò sui tacchi e uscì dalla stanza, lasciando Hook solo con il battito del suo cuore, che era accelerato notevolmente. Il pirata era furioso, ma dentro di sé, qualcosa si era placato e provava uno strano senso di pace. Nella sua mente una sola domanda: “ chi sei tu, Arabelle, che hai tanto coraggio da potermi sfidare? ”.

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Capitolo 3
*** Arabelle ***


Arabelle

Arabelle

Hook si era addormentato poco dopo che Arabelle era scomparsa dalla stanza. Infatti, nonostante egli avesse detto con estrema decisione di non avere sonno, il suo stato decideva per lui le ore che necessitava dormire. Non sapeva che ora fosse quando si svegliò di soprassalto. Il suo, tuttavia, non fu un sonno tranquillo. In effetti, non conosceva sonni tranquilli da moltissimi anni, da molto prima che arrivasse all’isola che non c’è e cominciasse la sua lunga vita immortale. Oltre che per questo comunque, fece l’ennesimo dei suoi incubi. Rivisse tutta la sua disavventura con il mostro, la sconfitta inflittagli da Pan….la morte gli era passata accanto come mai prima di allora. Ma più di tutto ricordò ciò che quel ragazzo arrogante e i suoi amici ragazzini avevano detto per fargli perdere la speranza.

“ Vecchio, solo, defunto ” Quelle parole lo tormentarono infinitamente durante il sonno. Echeggiavano nella sua mente come lame taglienti che gli trafiggevano il cuore. “ Vecchio, solo, defunto. Vecchio, solo, defunto. Vecchio, solo, defunto. ”. Si agitava nel sonno senza rendersene conto, la fronte corrugata. Dopo quelle parole orribili, fecero capolino nella sua memoria anche le sue stesse frasi.

“ Tu morirai solo e senza amore. Come me. ”. Oh se ricordava il momento in cui le aveva pronunciate! La prima frase l’aveva detta con rabbia e compiacimento, ma poi aveva mormorato l’altra con estrema desolazione e rassegnazione. L’aveva mormorata più a se stesso che a Peter Pan.

Poi di nuovo le fauci del coccodrillo si chiusero su di lui…….

« Noooooooooooooooooo!!!! » Gridò alzando il busto di scatto, febbricitante. Ansimava e si guardava intorno smarrito, ricordando forse solo allora che cosa era realmente accaduto. Fece un respiro profondo, tentando di calmarsi.

« Cosa accade? » chiese un’altra voce altrettanto ansimante. Arabelle era comparsa pochi secondi dopo nel salone, muovendosi in fretta, ansiosa. Hook scattò in piedi con un’agilità ed un forza che in parte gli erano conferite dalla febbre e dal delirio.

« Non avvicinarti! » Le gridò. In quell’ordine stava tutta l’autorità di Jason Hook, il tanto temuto capitano pirata. Arabelle fece un passo deciso verso di lui nonostante l’ordine ricevuto, ma lo sguardo furioso dell’uomo la costrinse a fermarsi. « Perché sei qui? Cosa vuoi? » stava ancora gridando, ma la ragazza non battè ciglio di fronte alla sua furia. Al contrario rise, la stessa risata argentina che poche ore prima Hook aveva repentinamente spento.

« Sono molte le cose che vorrei, Jason Hook. » rispose. « Da te… nulla, direi. Ti ho sentito gridare e sono venuta a vedere cosa succedeva, tutto qui. ». Era davvero una stranissima ragazza. Il pirata fu costretto ad ammetterlo. Subiva trasformazioni incredibili, se la situazione lo richiedeva. Un momento era un fiore d’acciaio, intoccabile, impossibile da raggiungere o ferire, un momento dopo era la creatura più umana e dolce su cui avesse mai posato gli occhi. Di nuovo la sua mente formulò quella domanda: chi sei?

Ad ogni modo, la risposta di lei sembrava averlo confuso, disorientato, perché si appoggiò stanco alla parete di roccia e la fissò senza riuscire a dire nulla. Possibile che quella sconosciuta fosse così gentile con lui? Con LUI poi? Lui che era crudele, l’incubo del Mondo che non c’è e che aveva sempre usato le donne per una e solo una cosa nella sua vita?

« Mi permetti di avvicinarmi? » gli chiese lei, con la voce dolce, quasi lo volesse carezzare con il suo suono. L’uomo non rispose e per la prima volta in tutta la sua vita abbassò lo sguardo di fronte ad un altro essere umano. In quel momento, in quel brevissimo momento, la giovane aveva vinto la sua fierezza e malvagità. Probabilmente Hook non se ne rese neppure conto, ma era accaduto qualcosa di miracoloso in quell’istante. Arabelle si fece più vicina, quasi timidamente, fino ad arrivargli esattamente accanto. Gli prese il braccio destro, quello sano, e se lo appoggiò intorno alle spalle, mentre lei gli cingeva la vita.

« Puoi camminare? » gli domandò. Hook assentì brevemente con il capo, così la ragazza lo condusse lentamente fuori dal salone. Percorsero un breve corridoio, che l’uomo riconobbe come quello che conduceva ad una delle stanze da letto che era solito usare nelle sue permanenze al castello. C’era un enorme letto a baldacchino, dalle tende rosse, posto proprio al centro della stanza, arredata per il resto da mobili elfici di grande valore e da alcuni dipinti sbiaditi. Arabelle condusse Hook davanti al letto e lo aiutò a stendersi, dopo di che lo coprì con il lenzuolo di broccato rosso.

« Continua pure a riposare. » gli disse « tra poco andrò a procurare qualcosa da mangiare. » Fece per andarsene, ma non fece in tempo a fare un passo che l’uomo le afferrò un polso, bloccandola. Quando lei si voltò per un lungo istante i suoi occhi rimasero incantati, fissi nelle iridi ghiaccio del pirata, fredde eppure in quel momento così straordinariamente espressive.

Non seppe definire cosa esprimessero, ma ne rimase affascinata. Hook, da parte sua, era completamente allibito, spiazzato di fronte a tanta bellezza e un carattere così particolare che gli impediva di essere come sempre padrone della situazione.

Dopo quelli che parvero minuti interi, Hook parlò.

« Aspetta » disse in un sussurro. La ragazza rimase ferma, come lui aveva chiesto, in attesa. « Siedi »

Come richiesto da lui, Arabelle si sedette sul letto accanto a lui, mentre entrambi sembravano inconsapevoli del fatto che Hook non le aveva lasciato il polso. Lo stringeva, anzi, come se esso rappresentasse il suo unico contatto con la realtà.

« Chi sei? » le chise, ancora più piano, continuando a fissarla rapito, senza accorgersene. « Io devo sapere ». calcò molto il tono sul “devo”, così che la giovane comprendesse che era serio.

« Te l’ho detto. Mi chiamo Arabelle. Non sono nessuno, nessuno di particolare almeno. » abbozzò un sorriso e Hook, nonostante il dolore lancinante al petto dovette ammettere che era davvero la donna più bella che avesse mai visto.

« Voglio sapere chi sei » continuò lui, insistente, ma non era un comando, come quando l’aveva afferrata per la gola la prima volta che l’aveva vista…era una richiesta, quasi una supplica a dire il vero.

Di nuovo Arabelle sospirò, ma stavolta con rassegnazione. « E va bene! » anche la sua voce era ora ridotta ad un sussurro. « Ero la sorella di un nobile, un nobile parigino. Il giorno del mio ventesimo compleanno, durante la notte, degli uomini sono penetrati nella mia stanza e mi hanno portata via, senza che nessuno se ne accorgesse. Quando mi risvegliai, mi trovavo su un vascello pirata, in mezzo all’oceano, ancora con indosso la mia camicia da notte e circondata da energumeni la cui vista mi provocò non poco terrore. Uno di loro si prese la briga di spiegarmi dove mi trovavo. Quando mi parlò dell’Isola che Non c’è….non ci credetti…ma ho dovuto ricredermi. » sorrise malinconica.

Hook ascoltava con estrema attenzione e notò che gli occhi di lei si erano fatti distanti, freddi. Era tornata la creatura inafferrabile che sapeva essere, mentre proseguiva nella narrazione.

« Mi diedero questi vestiti e alcuni cambi d’abito, dicendomi che ero ormai proprietà del comandante della nave, che ancora non avevo visto. Ma lo vidi presto. Quella sera stessa, fui convocata nella sua cabina e lui mi spiegò con estrema cura che di lì a pochi giorni sarei diventata la sua donna. Io mi rifiutai, ma la cosa non servì a nulla. Non capivo perché Dio mi avesse riservato questo destino, perché quel pirata avesse scelto proprio me per diventare la sua compagna, né lo comprendo ora. Tutto ciò che sapevo per certo era che non mi sarei prestata a niente di ciò che mi era stato annunciato. Durante la notte, mi gettai in mare e nuotai fino a riva. Raggiunsi questo castello e mi ci rifugiai, sperando che non mi trovassero. Sono qui da una settimana oramai. ». Sospirò un’ennesima volta e finalmente spostò lo sguardo su Hook, che aveva la fronte corrugata dalla riflessione sulle parole di lei. « Ora sai chi sono. »

« Si » sussurrò il pirata, impressionato suo malgrado da ciò che aveva sentito. Ne era rimasto colpito perché non comprendeva come un pirata dell’isola potesse volere una compagna fino al punto di spingersi oltre la loro dimensione per tornare sulla terra. Poco distante dall’isola capo dell’arcipelago, sull’isola dei pirati, non mancavano certo bordelli e altri mezzi di divertimento per un pirata. Perché dunque volere una donna come quella tutta per sé? Naturalmente era una splendida creatura e ciò avrebbe potuto essere un movente più che accettabile, se non fosse stata nobile ed estranea al Mondo che Non c’è.

« Si lo so » ripetè lui. In realtà avrebbe voluto farle tante di quelle domande che l notte non sarebbe bastata. Si trattenne, perché era stanco e dolorante, ma anche perché era stupito: il suo cuore aveva palpitato una seconda volta durante il di lei racconto e le era dispiaciuto per lei. Questo non gli era mai successo nei confronti di nessun altro essere. Tentò di scacciare il pensiero, liquidandolo come una debolezza dovuta al dolore e alla bellezza di lei.

« Ora devi riposare, efferato assassino. » Pronunciò quell’appellativo dolcemente, non come un insulto e il cuore dell’uomo perse un battito. Effettivamente in quella circostanza anche lui trovava un che di comico nella sua fama di sanguinario pirata, quando più che sanguinario ora era sanguinante. Ma fu il sorriso di Arabelle a disarmarlo, per l’ennesima volta. Riacquistò presto la sua solita espressione ghignante e fastidiosamente crudele che era ormai la sua espressione abituale, ma la giovane non si scompose neppure di fronte a quel suo nuovo cambiamento.

Arabelle si alzò in piedi e con passi eleganti e sicuri lasciò solo nella stanza l’uomo ferito. Nel vederla allontanarsi in tutta la sua inumana bellezza, la pietra che si trovava in mezzo al petto di Jason Hook prese a battere forte.

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Capitolo 4
*** Pensieri ***


Sempre lui

Sempre lui

Jason Hook non si destò per diverse ore e stranamente fece un sonno tranquillo, senza incubi. Quando finalmente si svegliò, non seppe dire che ora fosse, perché nel castello nero, e in particolare in quell’ ala, non c’erano finestre. Cio mise qualche secondo per rimettere a fuoco la sua posizione e ricordare cosa era accaduto quella notte. Quando ricordò perfettamente il racconto della ragazza, non potè fare a meno di arrabbiarsi con se stesso: come era potuto accadere che le parole di Arabelle lo avessero sconvolto al punto di mostrarsi debole di fronte a lei?

Infatti, ciò che preoccupava il pirata più di ogni altra cosa in quel momento, era il pensiero che Arabelle avesse notato la sua esitazione, il suo sguardo e il suo interessamento. Già, perché anche se lui mai lo avrebbe ammesso, neppure con se stesso, si era interessato alla sorte della ragazza. Il fatto che lui avesse stranamente messo da parte il suo ego smisurato e la sua malvagità, anche se soltanto per pochi istanti, era segno che qualcosa in lui non andava. Cosa era cambiato?

Come ho potuto? si disse, respirando piano, ancora disteso Che fosse la febbre?Il dolore?Che diavolo mi è preso? Mentalmente rivisse quegli istanti in cui aveva trattenuto il polso di lei nella sua mano sinistra e si maledì ancora una volta. Maledetta strega!! Perché è questo che sei: una maledetta strega astuta. Per poco non pronunciò davvero quelle parole ignobili. Tra sé e sé sperò che il suo cambiamento, il suo “ momento di debolezza ” come lo stava definendo lui, non fosse apparso così evidente alla giovane. In ogni caso, non accadrà più. Starò ben attento alle tue stregonerie d’ora in poi, Arabelle! Dannazione a me! Non devo chiamarla per nome! È una donna per Diana! Una stupida, comunissima donna.

Sei sicuro? Fu una strana voce a parlare dentro di lui. Una voce che non sentiva da tanti tanti anni, forse fin dalla sua infanzia. Oh, al Diavolo lei e le sue stregonerie! Tentò di alzarsi, ma, dimentico del suo stato, si mosse troppo velocemente e gli sfuggì un gemito di dolore più forte di quanto avesse voluto. Infatti in pochi secondi, sentì i passi di Arabelle che si avvicinavano alla stanza. In breve anche la sua figura comparve visibile. Era bella, questo Hook dovette ammetterlo nonostante fosse in collera con lei e con se stesso. Indossava i pantaloni del giorno prima, con gli stessi stivali, e una camicia bianca troppo larga per lei, probabilmente confezionata per un uomo. Non portava il corsetto. Aveva un’espressione preoccupata sul volto, espressione che le disegnava i lineamenti rendendoli ancora più perfetti di quanto fossero già. Si avvicinò rapidamente al pirata accostandosi al letto.

« Tutto bene? » gli chiese premurosa.

« Ti ho forse chiamata? Levati dai piedi! » Hook le inveì contro, scortese come solo lui era capace di essere. Lentamente, così lentamente che l’uomo potè studiare ogni movimento dei muscoli facciali di lei, l’espressione preoccupata di Arabelle scomparve ed ella si trasformò di nuovo.

« Come ti permetti? » sibilò a denti stretti « Come osi? ». I suoi magnifici occhi mandavano lampi cupi. Aveva un aspetto talmente fiero e nobile in quel momento che Hook l’ammirò segretamente. Sarà anche una strega, ma è bella da far dannare un angelo. Si era fermata di colpo e fissava il pirata con un’espressione di sommo disgusto.

« Credevo ci fossimo chiariti riguardo le nostre momentanee posizioni, o mi sbaglio? » La voce di lei era ancora un rauco sussurro.

« Ma di che diavolo stai blaterando, femmina? » le rispose lui, acido.

« Blatero eh? » disse di rimando lei. « La prossima volta non mi scomoderò a venire da te, dannato Jason Hook. ». Così dicendo, si allontanò dal letto con passi veloci e lampi negli occhi. Hook non la chiamò. Lei non ritornò.

Passò quasi un’ora e il pirata, seppure non si era pentito per come l’aveva trattata, sentiva uno stranissimo peso all’altezza dello stomaco. Qualcosa che non aveva nulla a che fare con le sue ferite. Qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Dannata donna!& così testarda e orgogliosa. Insolente per giunta! Deve solo ringraziare di non essere una delle mie donne, altrimenti nulla le avrebbe risparmiato una buona dose di cinghiate. In realtà, non era molto convinto di quello che stava pensando, ma era vero che l’atteggiamento di Arabelle nei suoi confronti era completamente diverso da quello che qualunque altra donna avesse o avrebbe mai avuto. Possibile mai che non abbia paura di me? Immerso in questi suoi pensieri non si accorse quasi del fatto che la ragazza stava tornando nella camera. Aveva la stessa espressione dura e glaciale di quando se ne era andata infuriata e offesa, ma qualcosa era cambiato: portava con sé una specie di piccolo vassoio fatto con una roccia piatta.

« Sei tornata vedo! » Hook pronunciò quelle parole con più acredine di quanta realmente ne provasse. Era invece rimasto piacevolmente sorpreso della ricomparsa di Arabelle.

« Non posso salvarti per poi farti morire di fame. » Il tono freddo con cui rispose, fece capire all’uomo che era realmente solo per quello che era tornata da lui, altrimenti ne avrebbe volentieri fatto a meno. Così detto poggiò accanto al pirata il piatto, su cui egli distinse more, bacche e lamponi. Erano comuni nel Mondo che Non c’è, ma in quel momento sembrarono al pirata come qualcosa di straordinario. Represse immediatamente anche quel pensiero.

« Se uscita dal castello » non era una domanda, dunque Arabelle non rispose, limitandosi a fissarlo intensamente per alcuni secondi.

« E dunque? »

« Non dovresti uscire se la tua situazione è tanto grave. » si limitò a spiegare lui. Arabelle fece una risata amara, breve. « E da quando il terrore del Mondo che non c’è si interessa alla mia situazione? ». Una domanda semplice, forse la più naturale del mondo dal momento che la loro non era una circostanza normale, tantomeno amichevole per quanto riguardava Hook. Nonostante fosse una domanda innocente, suscitò nel pirata una stranissima rabbia.

« Ma che diavolo t’inventi, donna? » le gridò contro « Ho solo detto la verità! Per quel che mi riguarda, potrei sbudellarti all’istante se non avessi bisogno di te! ». Ma è la verità Jason? Si che lo è! Ciò che nteriormente si rispose, però, non convinse troppo neppure lui. Ma Arabelle si.

« Lo so Jason. Lo so. » Lo disse mestamente, come se la cosa le provocasse dolore, ma in realtà era soltanto che sapeva perfettamente con chi aveva a che fare, e non aveva mai pensato di poterlo cambiare. Se solo mettessi da parte il tuo stupido orgoglio non saresti male Jason Hook. Ma la tua natura è troppo malvagia ed egoista per cambiare. Arabelle non potè impedirsi di pensarlo…. Era sempre stata un ottimista, allegra, ridente e solare, anche se con un carattere forte. Ma questo prima che fosse rapita. Prima dell’orrore che ha dovuto subire e di cui non avrebbe mai parlato con nessuno, né ora né mai.

Hook scattò non appena le parole della ragazza giunsero alle sue orecchie. Con la mano destra le afferrò nuovamente il collo, stringendo ancora più forte della volta scorsa, se possibile. Arabelle non mosse un muscolo per fermarlo o per opporsi.

« NON-TI-AZZARDARE-MAI-Più-A-CHIAMARMI-PER-NOME MI SONO SPIEGATO? » scandì con ira ogni parola, per assicurarsi che il messaggio fosse stato recepito dalla ragazza. Lei lo guardò fissa, senza un attimo di esitazione o di debolezza di qualche tipo. Lei sembrava non potesse mai essere debole.

« Forza, stringi ancora di più e facciamola finita. » Gli disse « Ora o tra qualche giorno, quando sarai guarito,….. cosa cambia? ».

Non è possibile! Hook non poteva credere alle sue parole, eppure gli occhi di lei erano limpidi e calmi. Era davvero pronta ad affrontare la morte dunque? Istintivamente aumento un po’ la presa sul suo collo, ma lei non si scompose minimamente. Rimasero fermi per alcuni istanti, così, ma fu Hook a dare il primo segno di cedimento. I suoi occhi colmi di una furia ceca ed incontrollabile, che avevano cominciato a brillare di rosso per l’imminenza dell’uccisione, attenuarono impercettibilmente la loro espressione. Impercettibilmente, si, ma Arabelle se ne accorse e in un attimo tirò fuori, Dio solo sapeva da dove, uno stiletto dall’impugnatura pregiata e lo puntò alla gola del pirata. Inutile dire che l’uomo fu più che sorpreso del suo gesto e di nuovo la furia prese il sopravvento su di lui.

« Lasciami immediatamente » Calma. Lei era sempre calma. Era calma ma ogni sua parola aveva la stessa forza che se fosse stata urlata da un uomo robusto e dall’aria minacciosa.

« Perché se avevi detto che potevo ucciderti? » Ignorando lo stiletto, Hook aveva avvicinato il volto a quello della ragazza e i loro nasi erano a qualche centimetro di distanza, non di più. Arabelle spinse maggiormente la lama contro il suo collo.

« È così, infatti. Ma io desidero una morte rapida, non uno strangolamento lento e patito, se non ti dispiace. » Quasi il pirata rise delle sue parole. Aveva la grazia di una gran dama, quale era, ma aveva la grinta ed il carattere che avrebbero fatto invidia a molti pirati dell’isola. La lasciò immediatamente, con uno scatto simile a quello che aveva fatto per agguantarla. La giovane si massaggiò per un momento il collo, poi lo fissò ancora con quelle meravigliose iridi scure « Voglio la tua parola che non tenterai mai più di uccidermi, a meno che tu non sia completamente certo che è questo ciò che vuoi. Se sarà così, sono certa che non perderai tempo ad infliggermi sofferenze. »

« E cosa, di grazia, ti fa credere che io sia disposto a darti la mia parola d’onore per qualcosa su cui io non sono d’accordo? » ringhiò Hook, compiaciuto della propria risposta.

Arabelle ghignò « Il fatto che, anche se evidentemente non te ne sei reso conto, hai ancora il mio stiletto alla gola. ». Hook sussultò: aveva ragione. Non si era accorto che, mentre lui le aveva lasciato la gola, lei non aveva abbassato la guardia ed era ancora pronta a colpire. Maledetta! Pensò con tutta la convinzione che aveva in corpo. Lei sorrise triste. « Allora, ho la tua parola? ».

Il pirata dovette ricorrere ad ogni briciola di autocontrollo che possedeva per annuire in segno di assenso senza mostrare quanto in realtà fosse adirato per averle consentito di mettergliela nel sacco. La ragazza si rilassò appena sentita la sua risposta. Sospirò un paio di volte, poi si ravviò i capelli, che erano in disordine, e lo guardò.

« Perché ti ostini a fare così? »

« Cos’ì come dannazione? » non aveva gridato, ma ci era andato molto vicino.

« A fare finta di odiarmi come se fossi il tuo peggior nemico, cosa che non sono, solo per mascherare il tuo…. Come definirlo senza offenderti….?Ah, ecco: comportamento insolito di ieri notte. ».

Ci mancò poco che al pirata si fermasse il cuore seduta stante per quello che aveva appena sentito. Ma come diavolo ha fatto? Allora è davvero una strega. Maledetta, maledetta, maledetta, maledetta!

« No, non lo sono. » disse lei.

Per la seconda volta, Hook trasalì « Che cosa hai detto? » Possibile che avesse pronunciato i suoi pensieri senza accorgersene? Doveva per forza aver parlato.

« Ho detto che non sono una strega » rispose lei « Ma tu questo lo sai bene, non è vero? È solo che non vuoi che qualcuno ti capisca ». Un altro dannatissimo colpo basso per Hook, che a quel punto non sapeva più che diavolo inventarsi per riprendere il controllo della situazione. Per qualche minuto rimasero entrambi in silenzio, guardandosi, poi Arabelle si alzò.

« Io vado ora. Tornerò per cambiarti le bende più tardi. Non sia mai detto che il grande Jason Hook sia costretto a stare in mia compagnia. ». Il tono con cui lo disse fu indecifrabile, ma ancora una volta lui rimase di sasso nel vederla lasciare la stanza con la sua andatura elegante.

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Capitolo 5
*** Via di guarigione ***


Hook stava davvero guarendo in fretta

Hook stava davvero guarendo in fretta. Le cure di Arabelle erano veramente efficaci e la maggior parte delle sue ferite si era rimarginato. Rimaneva soltanto il taglio profondo sul petto che ancora non si era del tutto richiuso e che gli causava non poche sofferenze quando tentava di muoversi. Dall’ultima volta che aveva parlato realmente con la ragazza era stata quando le aveva stretto il collo nella mano destra, ma da allora erano trascorsi due giorni interi. Due giorni in cui lei non accennava a sciogliere la cortina di ghiaccio che alzava quando il suo orgoglio e la sua fierezza venivano intaccate. Hook, da parte sua si era limitato a rispondere con monosillabi se lei gli chiedeva qualcosa, altrimenti, non parlava affatto.

La mattina del quinto giorno dal suo incontro con la giovane, Hook giaceva nel grande letto, profondamente addormentato, permettendo al suo corpo di recuperare le forze perdute. Arabelle entrò nella stanza verso le dieci, per portargli altre more come colazione, ma appena si fu fatta abbastanza vicina, si accorse che l’uomo stava dormendo. Poggiò il “ piatto improvvisato ” che aveva in mano su un mobile accanto al letto, poi fece per andarsene.

Fatti pochi passi però, si trattenne e si voltò. Tornò indietro e, facendo molta attenzione a non svegliarlo, si sedette accanto a lui. Non potè trattenere un sorriso triste mentre lo osservava. Tenne i suoi occhi incollati per un po’ a studiare attentamente quel volto mascolino dai tratti raffinati, il naso lungo e diritto, le palpebre che in quel momento celavano due occhi grigi e freddi come l’inverno. Aveva qualche segno d’espressione intorno agli occhi, ma nulla di troppo evidente. Lei decise che doveva avere circa quarant’anni, forse qualche anno in meno. I capelli neri ed ondulati, quasi ricci erano sparsi sul cuscino. Per la prima volta Arabelle notò che portava un orecchino al lobo sinistro; nulla di particolare, si trattava solo di un piccolo cerchio in oro, ma gli conferiva un aspetto zingaresco, maledettamente affascinante.

Con gli occhi seguì la linea del collo dell’uomo, le spalle ampie e forti, il torace possente dai pettorali ben disegnati, anche se non troppo scolpiti. L’addome piatto e muscoloso semicelato dal lenzuolo rosso fu la tappa seguente dello sguardo della fanciulla, che ricordava benissimo quando l’aveva osservato la prima volta e aveva scorto la linea di peluria scura nascondersi dentro i pantaloni di lui, lasciando il resto all’immaginazione. Tornò a guardare le sue braccia: erano forti, davano un senso di potenza e sicurezza al guardarle, ma il sinistro era stato orrendamente mutilato. Presentava infatti un moncherino al posto della mano sinistra. Arabelle provò un misto di compassione e pietà nel vederlo, perché osservando l’altra mano, grande, dalle dita forti ma affusolate, da aristocratico, pensò che quell’uomo, se non fosse stato malvagio, sarebbe nato per essere nobile.

Quando con lo sguardo tornò sul viso dell’uomo, si accorse con piacere che non l’aveva svegliato. Istintivamente, allungò una mano in direzione del petto di lui e sfiorò la cicatrice ancora fresca della sua ferita. Sentì i muscoli di Hook irrigidirsi nel sonno a quel contatto ma per qualche strana ragione, non fu in grado di interromperlo.

Proprio mentre stava per smettere di accarezzargli la ferita ed andarsene, la mano di Hook le afferrò il polso, e, per la prima volta, ella trasalì. La stretta però non era spiacevole, anzi, era gentile, come avesse solo voluto trattenerla e non punirla per quella che lui avrebbe definito insolenza.

Si fissarono, perché il pirata si era ormai svegliato, e Arabelle vide che qualcosaa nei suoi occhi si era addolcito.

« Che ci fai qui? » le domandò.

« Ti ho portato qualcosa da mangiare. » replicò lei tranquillamente. Stavolta fu il turno dell’uomo di osservare lei. Era davvero splendida. La più bella donna esistente, si ritrovò a pensare lui. Indossava una camicia bianca e un corsetto nero su un pantalone marrone decorato con disegni in oro. Stivaletti alla caviglia completavano il tutto. Le sue forme delicate e flessuose erano fasciate alla perfezione. Ma iol suo volto era qualcosa che Hook non avrebbe mai dimenticato. Pallido, dalla pelle di porcellana finissima, la bocca non troppo grande, ma morbida e dalle labbra piene, anch’esse pallide però. I capelli ondulati di lei erano lasciati completamente sciolti e fungevano da cornice per quello sguardo focoso e passionale che le sue iridi scure possedevano sempre.

Si riprese dall’incanto. « Non dovevi disturbarti » Le lasciò il polso, quasi con rammarico « Ma intendevo qui, accanto a me. Cosa facevi accanto a me. ».

« Non lo so » Era la verità. Arabelle non sapeva che cosa l’aveva spinta ad avvicinarsi a lui e ad avere quel contatto intimo con il suo corpo, così decise che era inutile inventare scuse. Di nuovo rimasero in silenzio entrambi. Solo dopo un po’ lei si alzò per prendergli la colazione.

« Devi mangiare qualcosa. » glie lo porse gentilmente.

« Perché sei gentile con me? ».

Fu un attimo. Quella domanda sembrò per la prima volta cogliere di sorpresa la ragazza, che non seppe come rispondere. Hook però fu paziente e attese.

« Te l’ho detto: io non lascio gli uomini a morire. ». Fu poco convincente, perché il pirata la fissò così intensamente che sembrò potesse penetrarle l’anima.

« Sai cosa intendevo, femmina. »

« NON CHIAMARMI COSì » fu la volta di Arabelle di gridare e lui ne rimase sconvolto. La fissò come se non si fosse mai aspettato una reazione del genere da parte sua. Lei che sembrava tanto padrona di sé….. aveva gridato contro di lui.

« Bada donna, nessuno ha mai osato usare questo tono con me. » ringhiò lui, di nuovo in collera.

« Non mi interessa » riprese lei recuperando il controllo « Ho un nome e tu lo conosci bene. Se deciderai di rivolgerti a me in futuro lo userai, altrimenti i miei principi morali riguardo il non lasciare gli uomini a morire li getterò in mare insieme a te. ».

È meravigliosa! Sarebbe un fantastico pirata… Pensò Hook Peccato sia così… così…Così bella? Intelligente? Fiera? Ma che diavolo mi prende? Cosa accidenti sto pensando, ? Che il diavolo se la porti!

« Come osi? Vattene da qui! » le disse, irremovibile.

« Non ci penso neppure! » rispose calma lei « Devo anche cambiarti la fasciatura »

« VATTENE IMMEDIATAMENTE! » stavolta Hook gridò così forte da far tremare le mura del castello. L’insolenza della giovane, seppure lo aveva piacevolmente colpito, lo aveva anche ferito nell’orgoglio di pirata, comandante, leggenda di terrore.

Vedendo che lei non si era minimamente scomposta e che oltretutto non accennava a muovere un muscolo, nonostante fosse ancora dolorante, il pirata si alzò dal letto e si parò di fronte a lei. Arabelle non fece una piega e lo fissò fiera anche quando lui, ormai vicinissimo a lei la sovrastava con ben venticinque centimetri di altezza in più rispetto a lei.

« Vattene! » stavolta la sua voce fu quasi un sussurro, vicinissimo a lei tanto da farle respirare il suo stesso fiato.

« No! » rispose sempre calma lei.

Qui Hook tentò di fare un passo ancora verso di lei, adirato, ma il dolore prese il sopravvento e per un attimo si piegò su se stesso, portando la mano al petto, sulla ferita. Stranamente, Arabelle, apparentemente dimentica dell’affettuoso scambio verbale che avevano appena avuto, si precipitò su d lui, preoccupata, tentando di sorreggerlo. Infatti, per essersi alzato così di corsa, il taglio sul petto gli si era riaperto.

Non appena lei tentò di toccarlo, tuttavia, lui si alzò di nuovo, apparentemente tornato in forze e l’aggredì, alzandosi di nuovo in tutta la sua altezza.

« Stammi lontana, maledetta sgualdrina! »

SCIAFF!!!!!!

Fu un attimo. Un breve, insulso attimo. Appena le parole dell’uomo uscirono dalla sua bocca e arrivarono alle orecchie della ragazza, lei gli diede uno schiaffo talmente forte da fargli voltare la testa. L’intensità del colpo smentiva l’apparente fragilità di Arabelle. Rimasero immobili, lui con la testa voltata ancora ed un’espressione di furia mista a sorpresa negli occhi; lei adirata, splendida nella sua rabbia che le faceva lampeggiare gli occhi e storcere le belle labbra. Alcune ciocche di capelli le erano ricadute sui seni, arruffandosi appena e ancora oscillavano. Dopo appena qualche secondo, Arabelle non perse tempo ad attendere una qualche reazione da parte di lui. Girò sui tacchi e se ne andò. Dopo ancora un po’, Hook portò la mano a toccarsi dove lei lo aveva colpito e ci fu un istante in cui la rabbia svanì dai suoi occhi.

Lei era andata via. Ormai era lontana. Non c’era nulla che potesse fare, nulla che potesse dire. Non sarebbe tornata. Eppure qualcosa di misterioso e sconosciuto si mosse dentro di lui, facendogli balenare di nuovo davanti la visione della giovane sorridente e dolce, per poi sostituirla con la ragazza che era uscita poco prima, con la tempesta negli occhi ed il sangue bruciante che pulsava evidentemente nelle sue vene. Si vedeva che se solo avesse potuto, se fosse stata fisicamente in grado di competere con lui, gli avrebbe fatto pagare caro quell’affronto. Era più orgogliosa di un uomo, quella stupenda creatura. E dire che le donne che Hook era abituato a frequentare non consideravano affatto degradante essere chiamate sgualdrine.

Da quando era uscita erano trascorsi alcuni minuti, ma il pirata non si era mosso. Con lei era sparito anche qualcos’altro dalla stanza. Arabelle aveva lasciato come un senso di vuoto, che lui non aveva mai sentito.

« Mi dispiace… ». Fu un sussurro. Un mormorio appena percettibile. Era udibile solo da lui, ma nonostante ciò sentì, stranamente il bisogno di dirlo.

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Capitolo 6
*** Debolezza ***


Debolezza

Debolezza

Effettivamente, Arabelle non tornò da Hook per tutto il giorno. Neppure a sera, quando solitamente gli portava l’ultimo pasto della giornata, si fece vedere. Hook dovette provvedere da solo a se stesso e anche se aveva una gran fame, non la chiamò. Eppure, la lontananza della ragazza gli aveva causato sconforto. Nulla di più, certo, ma di sicuro sconforto.

Accidenti e dannazione eterna a me! Come mi è venuto in mente di parlarle così? Quei pensieri cominciarono a popolare la mente del pirata quando ormai era trascorsa la notte e stava per sorgere il sole. Non è una sgualdrina, perché l’ho insultata? Faceva a gara con la sua coscienza per stabilire… coscienza? Quale coscienza? Ebbene sì. Qualcosa di molto simile ad una coscienza si era fatta largo nel ghiacciolo che aveva al posto del cuore. Non sapeva cosa aveva generato quella stranissima presenza in lui, ma ora doveva farci i conti.

Al Diavolo lei e le sue stregonerie! Se l’è meritato!

Ne sei sicuro?

Si!

Lei è buona. Ti sta curando.

Non esistono le persone buone. Avrà qualche interesse nel farlo.

Ne sei sicuro?

Si!

Davvero?

Taci!

Eppure più ripensava a quello che era accaduto, più si convinceva del fatto che era la sua coscienza ad avere ragione. Era stato uno sciocco. Uno sciocco accecato dal suo stesso orgoglio e dal suo animo nero. Ad ogni modo, quando finalmente era giunto a quella conclusione, era scesa la notte e certamente la ragazza era andata a coricarsi in qualche luogo del castello. Inoltre, lui stesso non avrebbe mai potuto alzarsi dal letto e resistere per più di qualche momento senza cadere preda del dolore.

Non gli rimase altro da fare che tentare di prendere sonno.

Sonno che non tardò a farsi vivo, anche se popolato dagli stessi incubi che avevano scosso la sua prima notte al castello. Di nuovo quella frase, quegli insulti… quelle verità! Eppure, chiunque avesse mantenuto un pizzico di razionalità in corpo, si sarebbe reso conto del fatto che si trattava di uno stupido scherzo infantile, sebbene crudele. Ma per lui, quelle parole erano pari a lame taglienti che gli trafiggevano il corpo.

Vecchio!

Eppure, un uomo di trentasette anni non poteva essere definito vecchio da nessun’altro a parte un ragazzino arrogante di quattordici anni. Fin qui, anche Hook si rendeva conto dell’assurdità…e ancora non ci badava troppo.

Solo!

Eccola la verità!! Lui era solo. Completamente e tristemente solo. Aveva tutte le donne che voleva nel suo letto, pronte ad esaudire ogni minima fantasia che lo eccitasse. Erano belle, divertenti e disinibite, docili e timorose di lui. Proprio come lui stesso desiderava. Ma non lo amavano. Amavano il piacere dell’avventura, l’essere a contatto con il suo corpo muscoloso, virile, attraente. Amavano la fama di essere state con il pirata più temuto dell’Isola Che Non C’è. Amavano tutto questo. Ma non lui. La sua ciurma era una banda di galeotti assassini che ubbidivano ad ogni suo comando, ma a parte questo? Erano davvero disposti a dare la loro vita per lui? Alcuni si, di questo ne era certo, ma chi lo amava? Nessuno. Era solo. Solo. Solo. Sempre e per sempre solo.

Poi, all’improvviso, parve che le tenebre attorno a lui si rischiarassero. Qualcosa lo svegliò, dolcemente, piano. Qualcosa che non era tangibile. Hook si alzò puntellandosi sui gomiti, finalmente lucido, ed ascoltò: nell’aria, anche se non molto vicino a lui, si sentiva una voce melodiosa. Era talmente bella da far invidia al più raro usignolo esistente. A tratti calda e profonda, ad altri acuta, flebile e delicata. Una voce di donna. Era così ammaliante da far girare la testa ad Hook. Ma non poteva essere una donna terrena. No. Nessun essere umano avrebbe potuto produrre suoni simili.

Poi finalmente ricordò: Era la stessa voce misteriosa che aveva sentito prima di svenire sulla spiaggia. Persino allora essa aveva avuto il potere di scuoterlo nel profondo del suo essere, e non ne comprendeva ora come allora la ragione. Trattenne il respiro involontariamente, per non offuscare neppure con il suo fiato quel meraviglioso canto. Era una lingua arcaica quella pronunciata dalla voce, forse un vecchio dialetto elfico. Di fatti, Hook ne riconobbe alcune parole. Riconobbe “ strazio ”, “ tortura ”, poi credette di aver udito la parola amore. Ecco dunque di cosa stava parlando quella canzone: di un amore impossibile, profondo e doloroso, carico di sventura. Doveva per forza essere dunque una ballata elica dei tempi antichi, perché era il popolo degli elfi del nord che amava cantare di questi strani sentimenti così sconosciuti per il pirata ferito.

Dopo ancora qualche minuto, l’incanto si spezzò. Con un un’ultima vibrante nota, la voce si ridusse ad un eco e poi al nulla. Il cuore di Hook, riprese a battere furiosamente, quasi a volergli uscire dal petto, mentre il respiro accelerava. Quella notte, non riuscì più a riprendere sonno.

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Capitolo 7
*** Rivelazioni ***


Rivelazioni

Rivelazioni

Trascorsero altri giorni senza che Arabelle si facesse vedere dall’uomo. Giorni in cui egli, anche se lentamente, privato delle cure di lei, era ulteriormente migliorato. Ma nonostante il suo corpo stesse guarendo, la sua mente stava peggiorando. Non sapeva che cosa gli stesse accadendo…era una sensazione così strana, mai provata in tutta la sua vita. Non seppe definirla, ma una cosa era certa: se Arabelle non fosse tornata in quella stanza presto, Hook sarebbe impazzito. Sfortunatamente, ella non si fece viva. Si limitava a lasciare del cibo e dell’acqua per lui dietro la porta della camera, bussando prima di andarsene per far comprendere a lui che il pasto era alla sua portata. Non lo degnava di una parola. Il pirata si era spesso ritrovato a contare le ore all’orologio appeso alla parete, per attendere l’ora del pasto successivo e sperando segretamente di vederla entrare. Non era mai accaduto.

Hook non sapeva che giorno fosse quando decise di prendere in mano la situazione prima di perdere la ragione. Era abbastanza in forze da potersi alzare in piedi, così raggiunse lo scrittoio che si trovava a pochi metri dal letto a baldacchino e vi si sedette. Prese in mano un foglio di carta e una penna a piuma, poi cominciò a scrivere. Dieci minuti dopo, circa, piegò il foglio ed attese. Non dovette aspettare molto, perché erano già le sette e in pochi minuti, sentì i passi della ragazza avvicinarsi sempre di più alla porta. La sentì bussare due volte prima di lasciare a terra il cibo ed allontanarsi. Allora si alzò dallo scrittoio, prese il cibo e al suo posto lasciò il biglietto.

Hai appena fatto una sciocchezza! Che cosa pensi di ottenere? La sua mente era sempre tendente alla sua natura, e di nuovo faceva a gara con la sua coscienza.

Hai fatto la cosa giusta, non temere.

Non è vero. Sono ridicolo, e per cosa poi?

Per la più bella e splendente creatura che abbia mai messo piede nel mondo che non c’è. Non è forse abbastanza?

Forse.

Funzionerà, vedrai.

Non mi interessa in realtà.

Non è vero. Veramente, stavolta Hook non ebbe bisogno che la sua coscienza gli dicesse che aveva appena mentito: se ne era reso conto da solo nel momento in cui aveva pronunciato quelle parole. La battaglia tra la coscienza e la sua indole durò fino a che non si fu seduto sul letto. Fu la coscienza a vincere stavolta.

Mangiò rapidamente ciò che la giovane aveva lasciato per lui, poi si distese nuovamente, piuttosto stanco e in attesa di un qualche segno da parte di Arabelle. Un segno che non giunse. Quando erano ormai le due di notte passate, Hook si addormentò, stremato più dall’attesa che dai dolori. Solo allora Arabelle si avvicinò alla porta della sua stanza e prese il biglietto che lui aveva lasciato per lei. Lo prese tra le mani sentendo un tuffo al cuore, mentre il respiro le si faceva difficoltoso. Lo aprì e trovò alcune righe scritte con una grafia molto particolare, ordinata nel suo complesso, ma dai caratteri non esattamente tradizionali: una grafia degna del suo proprietario.

Arabelle, non sono bravo con le parole, tantomeno con le scuse. Una parte di me pensa ancora di non dovertene, lo ammetto, ma il tuo silenzio mi fa sentire in colpa. Per la prima volta nella mia vita mi sento in colpa. Non mi crederai. Lo so.

Hai ragione, tuttavia: io qui non sono un pirata, tu non sei una prigioniera, come invece forse vorrei fossero i nostri ruoli. E hai ragione quando dici che ho bisogno di te, anche se non è qualcosa che mi piace dover ammettere. Non sono ancora tornato in forze.

Ti do la mia parola che non ti mancherò più di rispetto e la mia parola, sebbene quella di un pirata, è sempre stata onesta e tenuta in grande considerazione da tutti.

J.H.

Appena ebbe letto quelle parole, Arabelle sentì una rabbia incontrollabile invaderla. Da una parte, avrebbe voluto lasciare l’uomo al suo destino, ma il suo cuore non chiedeva altro che poterlo perdonare, e sapeva anche che quella lettera gli era costata molto cara. Per scriverle quel biglietto, Jason Hook aveva dovuto calpestare il suo orgoglio e la sua fierezza, cosa, che, a quanto aveva sentito, non aveva mai fatto per nessuno. Decise, per il momento, di non fare nulla, anche perché a quell’ora avrebbe fatto bene a dormire un anche lei.


La mattina dopo, Hook si svegliò presto, verso le otto, dolente perché evidentemente Aabelle non aveva trovato o forse addirittura accettato le sue scuse. Quando fu completamente sveglio, attese ancora che la ragazza si facesse viva, ma l’orologio suonò le dieci senza che di lei si vedesse l’ombra. Per la rabbia, l’uomo diede un pugno sul letto, proprio di fianco a lui. Sul volto gli si dipinse un’ espressione di rabbia feroce e un secondo dopo aver colpito il materasso, lanciò un grido terribile, in cui si avvertiva tutta la sua rabbia e la sua frustrazione, sentimenti, tra l’altro, che lui stesso non avrebbe desiderato provare.

Alcuni momenti dopo però, si udirono i passi della giovane avvicinarsi. Sentendola venire verso la camera, Hook sussultò di speranza.

Ma perché mi fa questo effetto? Dannazione!

Un secondo dopo che ebbe formulato quel pensiero, vide la porta aprirsi e così Arabelle fece il suo glorioso ingresso nella stanza da letto. Dirlo glorioso era dire poco, in verità. Non solo era bella più che mai, fasciata in un semplice abito di cotone color crema, che le arrivava alle caviglie, avvolgendole il busto con un corpetto aderente e scollato, ma era davvero regale. I suoi passi risuonavano meno del solito, perché al posto degli stivali portava un paio di scarpette bianche, prive di tacco. I capelli erano come sempre sciolti sulle spalle, innaturalmente ordinati in onde fitte e perfette. Il volto era più pallido del solito, ma i suoi occhi lo illuminavano come se fossero stati dei tizzoni ardenti di fierezza. Quella ragazza era nobile nell’anima.

Il battito cardiaco del pirata accelerò notevolmente, tanto che sembrava che stesse per uscirgli il cuore dal petto.

« Arabelle… »

« Ti ho sentito gridare » lo interruppe lei.

« Si » fu la risposta idiota di lui, che non sapeva cosa altro dire.

« Stai male, forse? Le ferite hanno ricominciato a sanguinare? » Non c’era traccia di preoccupazione nella sua voce e questo fece più male di una coltellata al pirata.

« No. Sto bene. »

Rimasero a fissarsi alcuni istanti, Arabelle eretta e altera come una regina, mentre Hook non riusciva a staccare gli occhi dai suoi. In realtà, il suo istinto di uomo gli comandava di percorrere con gli occhi, almeno, il bellissimo corpo di lei, che non aveva mai visto con un abito femminile, ma i suoi occhi erano come una calamita per lui. Più attraenti di qualunque forma.

« In questo caso… » Disse lei, girandosi e facendo per andarsene di nuovo. Fece appena tre o quattro passi quando Hook non seppe resistere e la chiamò.

« Aspetta! »

Lei si fermò subito, però non si voltò a guardarlo, rimanendo di spalle.

« Non andare via. Non lasciarmi qui di nuovo. » Non era una supplica, perché il feroce pirata non sapeva supplicare. Non ancora almeno.

« Non ne vedo la ragione. » rispose lei. « Sei quasi guarito, e poi, cosa mai potresti fartene di una sgualdrina nella tua condizione? ».

« Non hai letto il mio messaggio? » le chiese lui, sospettoso. Lei era ancora di spalle e Hook non sopportava l’idea di non poterle guardare il volto, di non poter decifrare le emozioni in quei occhi di tempesta.

« L’ho letto. » sussurrò lei « ma non basta a far sì che io dimentichi »

« VOLTATI DANNAZIONE! » Stavolta l’uomo non potè impedirsi di gridare. Arabelle non si mosse, se non qualche momento dopo, quando l’eco dell’urlo di Hook si fu spento nella stanza. Era calma, innaturalmente calma mentre si voltava. Lo fece, in più, con una lentezza esasperante. Quando furono di nuovo faccia a faccia, il pirata recuperò il controllo della sua voce, prima di parlare di nuovo.

« Non mi hai creduto, vero? ».

« Forse. »

« Forse non è una risposta, Arabelle! » Si pentì amaramente per aver pronunciato quelle semplici parole con un tono duro e privo di sentimento, come era abituato a fare, del resto. Infatti, aspettò che lei lo fulminasse con lo sguardo e che uscisse offesa per l’ennesima volta dalla camera.

Ma non successe.

Al contrario, L’espressione ferita e orgogliosa, distaccata della ragazza, cedette rapidamente il posto ad un sorriso. Hook ebbe un tuffo al cuore: era il sorriso più bello che avesse mai visto. Era un sorriso sincero, non provocante e malizioso come quello delle sue donne abituali, né infantile come quello di Wendy Darling, la sciocca ragazzina innamorata del suo acerrimo nemico. Era un sorriso sincero, che le illuminò il volto, facendole brillare i superbi occhi marroni. Hook rimase attanagliato, stupito, da quella reazione, l’unica a cui, probabilmente, non era preparato. Si era immaginato furia, rabbia, offesa, anche grida e insulti, ma non un sorriso. Non un sorriso così bello e disarmante?

Non farmi questo, Arabelle! Non farlo! Oh ma che dico? Sorridi sempre così, fa che ti possa vedere sempre come ora.

Ma che ti prende? Sei uscito di senno?

Non lo so. Ma quella di prima è la verità.

Al sorriso, seguitò una breve risata sommessa,che sconvolse maggiormente l’uomo, se possibile. Arabelle fece due passi avanti, verso il letto di lui.

« Allora, dopo tutto, dicevi il vero. » Non avrebbe potuto essere più enigmatica. Hook si rasserenò nel sentire che gli credeva, ma non comprese cosa avesse potuto farle cambiare idea da un momento all’altro.

« Come lo hai capito? » le domandò, pervaso dalla curiosità.

Arabelle sorrise di nuovo, anche se meno intensamente di prima. Lo guardò dritto negli occhi e si avvicinò ancora.

« Caro capitano, » sospirò « mi pare di capire che non te ne sei neppure accorto, ma mi hai chiamata per nome. ». Era la verità. Era vero anche che non se ne era reso conto. Hook assunse un’espressione veramente buffa, tanta era la sua sorpresa. Si riprese presto, però, troppo preso dal sorriso della giovane, che ora era ancora più vicino a lui.

« Dimenticherò il tuo insulto solo se mi giuri, ora di mantenere la parola che mi hai già dato nel messaggio. » disse poi lei, tornata seria.

Hook deglutì « Lo giuro. » disse solennemente. Arabelle tornò a sorridere.

« Grazie, Jason Hook. » Sospirò nuovamente « ora, per favore, permettimi di abbassare la guardia, almeno per poco tempo. ».

Il suo tono era così dolce che in quel momento il pirata se ne sentì ammaliato. Forse, se gli avesse chiesto così di lasciare ferito il castello nero, che era di sua proprietà, in più, lo avrebbe fatto. Era come ipnotizzato.

« Non capisco. » fece lui.

« Mi spiego: conosci la mia storia, almeno in parte, perciò sai che non posso mai smettere di guardarmi le spalle. » Qui Hook annuì impercettibilmente in segno di comprensione « Almeno fino a che i nostri ruoli non saranno ristabiliti, almeno quando sono con te, fa in modo che non debba temerti. Ultimamente non mi capita spesso di poter parlare con un essere umano senza che quello mi ricatti o aspiri a qualcosa da me. »

Anche se non lo diede a vedere, il pirata rimase molto colpito dalle parole della giovane. La comprese, inoltre: era stanca, stanca di avere paura e di stare in guardia. Lui la paura non l’aveva conosciuta se non in pochi casi, ma sapeva benissimo cosa voleva dire stare sempre in guardia. Anche sulla Jolly Roger non dormiva mai senza lasciare un occhio aperto e senza tenere una pistola sotto il materasso. Sapeva che vivere così era stancante, a volte.

« Lo giuro, Arabelle. Sarà come desideri. » per un attimo, la ragazza rimase profondamente sorpresa dalla facilità con cui l’uomo le aveva mostrato il suo favore e la sua comprensione. Lo fissò con un vago cipiglio per qualche secondo, scrutando i suoi occhi freddi come per scavare nella sua anima.

« Dici davvero, Jason Hook? »

« Si »

« Grazie! » Fu poco più di un sussurro, ma arrivò al cuore del pirata, incrinando ulteriormente la barriera di ghiaccio che lo ricopriva. Era incredibile come un essere piccolo ed esile, come quella ragazza, potesse incutere soggezione e rispetto ad un uomo terribile e crudele come Jason Hook, che non cedeva nulla a nessuno.

« Ad una condizione! » disse tutto d’un fiato lui mentre Arabelle faceva di nuovo per allontanarsi. A quelle parole, la ragazza lo guardò un po’ stupita ma in attesa che proseguisse. « Desidero sapere chi sei. »

Lei sorrise « Sai già chi sono. ».

« No. » la contraddisse lui « So il tuo nome, come sei giunta qui, ma non so chi sei. »

« E cosa vorresti sapere? » Ora era il cuore della ragazza a battere più forte del normale.

« Vorrei che mi parlassi di te. Non importa cosa dirai in particolare, ma voglio conoscerti. ».

« E come mai desideri conoscermi? ». Arabelle non era sicura di sé, mentre faceva quella domanda, perché lo strano ed inaspettato interessamento di lui l’aveva colpita. L’aveva colpita nel profondo del cuore, perché mai si sarebbe immaginata che lui le rivolgesse una domanda del genere.

Sii sincero, ti prego. Non ingannarmi. La mente di lei gridava ripetutamente quella richiesta, speranzosa di essere esaudita nel suo desiderio di verità.

« Perché sei speciale, ragazza. Nessuno era mai stato capace di tenermi testa e meno che mai di averla vinta con me. Prego inoltre che tu sia la prima e l’ultima ad avere questo potere. » La stava fissando con uno sguardo intenso e penetrante, quello sguardo che era rispettato e temuto da tutto il mondo che non c’è.

Arabelle lo fissò con pari intensità, poi si girò e si allontanò verso la porta della stanza.

« Dove stai andando? » la fermò lui.

Lei si voltò « Vado a prenderti delle bende pulite. » sorrise e uscì.

Tornò circa cinque minuti dopo con in mano della stoffa bianca di cui Hook si domandò la provenienza. Era serena e calma come quando era uscita e nel vederla avvicinarsi al letto, il pirata ebbe un ulteriore sussulto. Ormai cominciava ad abituarsi all’effetto che gli faceva la presenza di Arabelle. D’altra parte, ricordava come si era sentito solo e perso nei giorni in cui lei non si era fatta vedere. In breve, la ragazza si era seduta sul letto, accanto a lui e aveva cominciato a togliergli le vecchie bende. Hook si rilassò immediatamente al tocco delle sue dita piccole e delicate sul suo petto. Arabelle, da parte sua, si rese conto dell’effetto che gli stava facendo e non potè fare a meno di provare un lieve imbarazzo. Come si sentiva minuta in confronto a lui, il cui corpo caldo e ben modellato incuteva paura per la sua imponenza e, suo malgrado, attrazione per la sua bellezza. Brividi sconosciuti pervasero entrambi mentre la giovane sfiorava il taglio profondo sul petto di lui, ormai quasi del tutto rimarginato. Hook non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era assurdo: l’aveva detestata ed insultata, poi qualcosa in lui era cambiato improvvisamente, anche se aveva tentato di nasconderlo. Infine, la sua lontananza glie la aveva inaspettatamente resa preziosa, quasi cara. Non riusciva assolutamente a spiegarselo.

« Allora, » fu Arabelle a rompere il silenzio « cosa voi sapere? »

« Della tua vita prima di venire qui »

« Della mia vita prima di venire qui. » lo ripetè come un eco, quasi assaporando il significato di quelle parole. « Che dire? Te l’ho detto: ero la sorella di un nobile, la mia vita era sfarzosa e vuota. ».

« Si, ma tu! Tu cosa facevi? »

Arabelle sospirò. « Io trascorrevo le mie giornate a leggere, ricamare e dipingere, mantenendo i rapporti con il resto della buona società parigina. Avevo una dama di compagnia, Eloise, che però non era di compagnia come avrebbe dovuto. » Qui sorrise tristemente, annegando in quei ricordi che sembravano essere mesti e dolorosi per lei.

« Poi? » la incalzò lui.

« Poi…. Poi c’era Philippe. ». Nel sentire quel nome, il cuore del pirata perse un battito, senza neppure sapere di chi si trattasse.

« Tuo marito? » chiese con più tristezza di quanta avrebbe dovuto mostrarne.

Arabelle scosse piano la testa « No, ma lo sarebbe diventato presto. Era il mio fidanzato. ».

A quelle parole un silenzio di tomba piombò nella stanza. Hook sembrava come in trance, mentre lei non riusciva a guardarlo in volto. Era come se quella rivelazione avesse raggelato l’ambiente e l’atmosfera di piacevole intimità che si era venuta a creare. Un silenzio così carico di parole non dette e di domande non poste che sembrava parlasse più di mille discorsi.

« Sei innamorata, dunque » Fu Hook a rompere il silenzio per primo. Il suo tono era noncurante, ma dentro di lui qualcosa gli diceva che non era del tutto indifferente alla risposta che lei avrebbe dato.

Arabelle lo fissò per un attimo prima di rispondere. « No. »

« No? » ripetè un po’ incredulo lui.

« No. Il fidanzamento fu combinato da mio fratello, Enrique. Non ho mai amato Philippe, anche se la sua compagnia era piacevole e si trattava senza ombra di dubbio di un ottimo giovane. E di discreti mezzi oltretutto. ».

Hook deglutì « Raffinato? »

« Si. Raffinato, educato, nobile, ricco e bello. » Arabelle pronunciò quell’elenco quasi mnemonicamente. Il fatto era che suo fratello le aveva detto quelle esatte parole quando le aveva comunicato la sua decisione riguardo l’imminente matrimonio.

« E con tutte queste…. Ammirevoli qualità…. Tu non lo amavi? » stavolta il tono di Hook era davvero incredulo. Infatti, se una qualsiasi delle donne che aveva conosciuto avesse mai incontrato un partito del genere, lo avrebbe certamente amato a prima vista.

« Esatto. »

L’argomento era di gran lunga troppo personale perché potesse esserci una totale mancanza di imbarazzo. Arabelle tenne quasi sempre il capo chino, mentre gli bendava le ferite, senza mai guardarlo in volto. Lui, invece, al contrario, la fissava senza sosta, con il battito cardiaco a mille.

Perché mi fai questo effetto? Perché, Arabelle? Il pirata non riusciva a darsi pace. Doveva capire che cosa era cambiato tanto rapidamente e, soprattutto, drasticamente, in lui da quando quella ragazza era entrata nella sua vita.

« Come puoi vedere, le mie giornate erano piuttosto noiose. » Arabelle provò a cambiare argomento, ma non vi riuscì fino in fondo, perché nella testa di Hook stava ancora rimbombando il nome Philippe. Passarono altri momenti di silenzio, poi la ragazza si alzò in piedi, come animata da una fretta improvvisa.

« Le tue ferite sono molto migliorate. Il taglio che hai sul petto è quasi del tutto rimarginato. Presto sarai guarito. »

Hook non le rispose: era troppo occupato a studiare i suoi movimenti, le sue espressioni. La guardava come se conoscere ogni particolare di lei fosse la sua ragione di vita. Per fortuna, lui stesso non se ne rendeva conto.

« Ti ringrazio. Ti sono debitore. » riuscì infine a dirle.

« No. Non mi devi nulla Jason. » disse lei in fretta « Ricordati che ti sei preposto di uccidermi, quando ne avrai l’occasione. ». Non c’era odio o rancore nelle sue parole, però non c’era dubbio sul fatto che fosse seria. Ricordava perfettamente le parole di lui e le teneva a mente. Le teneva a mente persino ora che avevano raggiunto una specie di tregua.

Hook non seppe cosa dirle a riguardo. Aveva ragione. Perfettamente ragione, ma dirle che non l’avrebbe uccisa, in quel momento, avrebbe significato troppo per lui.

Non potrei mai ucciderti! Lo pensò, ma non lo disse. Forse un giorno lo avrebbe fatto, ma non ora.

« Ora devo andare. » disse lei.

« Dove vai? » le aveva domandato improvvisamente lui, forse con troppo impeto.

« A leggere qualcosa, credo. Giorni fa ho notato che c’è una vasta biblioteca qui al castello. ».

Hook la guardò più intensamente per qualche istante, suscitando la curiosità della ragazza. « Leggi qui! ». Il tono era perentorio, ma il suo sguardo non dava l’impressione che si trattasse di un ordine.

Arabelle era piuttosto sorpresa « Qui? Perché? ».

« Accidenti, ragazza! » esclamò lui « Decidi liberamente, ma non farmi domande! ». Era irritato, ma più con se stesso che con lei. Arabelle lo comprese.

« Va bene. Solo un istante. » Detto questo, sparì dalla stanza per tornare dopo alcuni minuti con un volume abbastanza consumato in mano.

Hook la guardò con attenzione prendere una sedia e posizionarla accanto al letto, in modo che potessero guardarsi, se la situazione lo richiedeva.

« Che cos’è? »

Arabelle sorrise lievemente « È una vecchia leggenda elica, da quanto mi è sembrato di capire. Ho anche visto per caso alcuni elfi quando i miei carcerieri hanno attraccato su un’isola non molto distante da qui. ».

« Leggi ».

La ragazza lo guardò in modo strano. « Vuoi dire…? »

« Si. » fu la secca risposta del pirata.

Arabelle rimase interdetta per alcuni momenti. Poi finalmente si riprese. Aprì il libro alla prima pagina e cominciò a leggere. Ad alta voce.


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Capitolo 8
*** Attrazione ***


Attrazione

Attrazione

I due giorni che seguirono furono sereni, quasi felici. Hook trascorreva molto tempo con Arabelle, il più del quale ascoltando la ragazza che leggeva per lui. Inaspettatamente, il pirata si era rivelato a lei capace di essere gentile, anche formalmente cordiale. Del resto, la maggior parte dei suoi inganni, praticati nella sua carriera di filibustiere, erano riusciti anche grazie alla sua capacità di essere affabile e raffinato. Ma Arabelle sapeva riconoscere un sorriso falso o uno sguardo doppiogiochista. Non era quello il caso, anche perché lo stesso uomo appariva colto alla sprovvista da queste sue manifestazioni.

Era pomeriggio, quando Arabelle terminò di leggere per lui. Chiuse con grazia il libro e lo posò sullo scrittoio poco distante dal letto. Era ancora più bella del solito se possibile: di nuovo in tenuta da amazzone, con i pantaloni e gli stivali, lasciava ancora in mostra il suo corpo. I capelli non erano sciolti come al solito, ma parzialmente raccolti dietro la nuca. L’ovale del viso le risaltava di più. Stranamente aveva due leggere occhiaie, che se non le intaccavano la bellezza, la rendevano più umana, meno eterea. Che non avesse dormito?

« È ora di medicarti » disse piano. Hook era ancora rilassato, ancora calmato e rassicurato dalla voce calda e melodiosa di lei. Non aveva mai udito una voce simile.

« Mi sento meglio oggi. »

Lei sorrise « Ti senti meglio perché sei quasi guarito, Jason. » rispose lei, mentre gli scioglieva le bende « Non manca molto ormai. ».

« Non manca molto per cosa? » chiese Hook perplesso. Le dita della giovane si muovevano leggere e abili sulla sua pelle, sfiorandola appena. Per l’uomo fu come se venisse inondato da una scarica elettrica lungo tutto il corpo. Un brivido lo percorse lungo la spina dorsale. Anche Arabelle sembrò rimanere non indifferente a quel contatto, perché le sue dita presero a tremare leggermente, sebbene lei sembrasse impassibile. Come se non avesse udito la domanda di lui, non rispose.

« Per cosa, Arabelle? » la incalzò lui alzando un po’ il tono di voce.

« Perché tu possa tornare alla tua vita. Al tuo ruolo, se così preferisci. ».

Il cuore del pirata perse un colpo. In quegli ultimi due giorni era stato talmente bene che aveva dimenticato che presto sarebbe giunto il momento di tornare alla Jolly Roger e al suo equipaggio. Agli arrembaggi e alla guerra contro Pan. Alle battaglie tra pirati e ai bordelli. Alle razzie e alla ricchezza e fama. Alla solitudine.

« Non sembri felice. » considerò lei « Credevo fosse ciò che desideravi. »

« Infatti » rispose pronto lui.

Lo desideravo. Hai detto bene. Prima lo desideravo. Ora non so più cosa voglio.

« La ferita è a posto, quindi il rischio che si infetti è praticamente inesistente a questo punto. » analizzò con occhio esperto la giovane « Per essere certa che si cicatrizzi a dovere, però, devo applicarvi sopra un impiastro di erbe. ».

Hook la guardò incredulo « Un impiastro di erbe? »

« Si. » fece lei « L’ho già preparato. È di là » Si allontanò con passo svelto, quasi di corsa e ricomparve in un baleno accanto al pirata con un sacchetto di stoffa. Lo aprì piano e vi immerse dentro una mano. Quando l’ebbe tirata fuori, le dita erano sporche di una crema verde scuro dall’aspetto mollo ma che emanava un profumo di lavanda molto intenso.

« Sta fermo. » si raccomandò, prima di sedersi accanto a lui. Avvicinò cautamente la mano all’inizio del taglio, poi vi posò sopra le dita e cominciò a spalmare l’impiastro con lenti movimenti circolari. Appena ebbe incominciato, Hook trasalì.

« Ti fa male? » chiese, preoccupata.

« Si » mentì lui. In realtà non avvertiva quasi per niente dolore; era stato il contatto con la mano della ragazza a fargli quell’effetto. Arabelle intanto continuava a percorrere il taglio lasciando un sottile strato di quella crema di erbe. L’uomo chiuse gli occhi, rilassandosi al suo tocco, che però, più che rilassarlo, in quel momento gli stava trasmettendo scariche e brividi finora mai provati di tale intensità.

« Posso farti io una domanda stavolta? » domandò Arabelle, guardandolo dritto negli occhi, ora di nuovo spalancati.

« Parla. » disse lui.

La ragazza indicò con la mano pulita il suo moncherino. Non smise mai di fissarlo, per paura che pensasse che la cosa le creava ribrezzo o imbarazzo.

« Come è accaduto? »

Un moto di rabbia sconvolse Hook al ricordo di quella esperienza dolorosa sia nel fisico che nell’orgoglio. Ogni volta che riviveva ciò che era accaduto quella notte, il suo istinto omicida si risvegliava e chiedeva vendetta.

« Non pensavo che fosse un ricordo tanto doloroso per te ». disse lei. Evidentemente lui non se ne era accorto, ma aveva assunto un’espressione spaventosa e aveva stretto a pugno la mano destra fino a bloccare l’afflusso di sangue alle nocche delle dita.

« Non è doloroso. Io non conosco il dolore. » disse lui con voce bassa e ringhiante « La notte in cui ho perso la mano è il ricordo a cui mi appiglio quando ho bisogno di un motivo per continuare a vivere. »

« E quale sarebbe questo motivo? »

Hook la fissò. Gli occhi grigi quasi stavano virando al rosso « Vendetta! » sussurrò con odio. Arabelle divenne improvvisamente triste, mesta e preoccupata.

« Davvero vivi per questo, Jason Hook? Per la vendetta? »

L’uomo fece una risata breve, malvagia « E per che cos’altro dovrei vivere allora? »

« Non posso dirtelo io. » disse sempre più triste lei « Bisogna scoprire da soli una ragione per vivere, ma ho imparato sulla mia pelle che la vendetta non è un buon motivo. »

« A me è stato molto utile, invece. Non so che cosa avrei fatto se non avessi avuto il desiderio di vendetta che mi ha sempre caratterizzato ».

Arabelle sospirò « Capisco ».

Involontariamente, mentre continuava a spalmare l’impiastro sulla ferita, si era distratta e parlando con lui aveva sfiorato inavvertitamente con la mano il capezzolo sinistro dell’uomo. Egli sussultò, ma non per sorpresa, perché un’altra scarica lo aveva attraversato, partendo dalla zona inguinale. Arabelle si scostò immediatamente, ma non senza aver notato che il pirata aveva deglutito silenziosamente al suo tocco.

« Capisco anche perché non vuoi parlarmene. » disse poi, per sviare l’attenzione di entrambi dal momento di imbarazzo appena passato.

« Non ho mai detto che non avrei risposto alla tua domanda. ». Era stato più brusco di quanto avesse realmente voluto, ma perdeva il controllo quando rammentava Pan e tutto ciò che gli aveva fatto solo per il capriccio di un ragazzino impaurito dalla vita.

« Allora parla, ti ascolto. » disse lei in un sussurro.

L’uomo prese un respiro profondo per recuperare l’autocontrollo, poi cominciò a raccontare.

« È stato Pan a farmi questo. Lui è… »

« So chi è Pan. » lo interruppe lei.

Hook parve sorpreso « E come fai a conoscerlo? »

Arabelle fece spallucce « Quando ero sul vascello dei miei rapitori, ho sentito alcuni di loro parlarne, ma non so come mai tu e lui siete così nemici. »

« È stato tutto un suo capriccio. Lui vive in una realtà dove tutto è un gioco, anche la sofferenza, purchè sia quella altrui. Mi ha scelto come nemico, e da allora non ho più avuto tregua. Sono arrivato al punto di odiarlo almeno quanto lui odia me nella sua stupida mente infantile ».

« Capisco » fece la ragazza.

« Una notte, mentre stavamo combattendo, come d’usanza, sul mio vascello da lui abbordato con i suoi bimbi sperduti, mi sorprese alle spalle. Voltandomi, finse un affondo che mi preparai a parare. Invece resi solamente vulnerabile la mia mano sinistra, che mi tagliò senza pietà. » Guardò Arabelle con il fuoco nelle iridi di ghiaccio « Ma non glie lo rimprovero: io avrei fatto lo stesso al suo posto. La mano tagliata la diede in pasto ad una bestia mostruosa, un coccodrillo dalle dimensioni gigantesche che, assaggiata la mia carne, mi ha inseguito senza darmi tregua nella speranza di finire il pasto. ».

Aveva cominciato a tremare di rabbia, giunto a quella fase del racconto. La ragazza ascoltava senza battere ciglio, trasformandosi nuovamente nella creatura inarrivabile che nel profondo forse era.

« Che ne è ora del mostro? » domandò, mentre si puliva la mano dall’impiastro.

Hook rise mesto, poi sul suo volto si disegnò la sua solita espressione crudele. « Il mostro è morto »

« Morto? » ripetè lei « E come? »

« Mi aveva inghiottito vivo la notte che mi hai condotto qui. L’ho ucciso e sono riuscito a fuggire dalle sue fauci. Non è stato facile. ». Qui Arabelle sussultò involontariamente. Mai avrebbe pensato che quell’uomo avesse potuto riportare quelle ferite da uno scontro del genere. Tenicamente, visto l’avversario che aveva dovuto affrontare, era uscito quasi illeso dal combattimento.

« Sono passati tre anni dalla notte in cui Pan mi mutilò. Non potrò mai dimenticare che devo a lui questa mia ridicola condizione. ».

« Condizione grazie alla quale la tua fama è aumentata in maniera considerevole. » sentenziò la ragazza. « L’uncino che porti al posto della mano è forse l’arma più temuta qui, da quanto mi è parso di sentire. ».

Un bagliore rosso apparve negli occhi del pirata « Questo è più che certo, che il Diavolo mi porti! »

Aveva stretto il pugno destro a tal punto che la circolazione sanguigna del braccio era quasi bloccata. Le nocche delle dita erano ormai livide per lo sforzo e la mancanza di ossigenazione. Semisdraiato, riviveva quell’episodio che tante volte aveva maledetto nei sui pensieri e nelle sue memorie.

Improvvisamente, Arabelle interruppe il contatto visivo con lui. Egli ne rimase sorpreso e incuriosito. Lentamente, molto lentamente, la ragazza avvicinò le sue piccole mai a quella grande e serrata dell’uomo. Con una delicatezza che poco aveva di umano,gli sfiorò il pugno chiuso, assumendo un lieve cipiglio. Hook per poco non trasalì a quel tocco sublime, che lo scosse nel profondo, lo risvegliò in un certo senso. Ancora più lentamente, Arabelle lo indusse a schiudere le dita, lasciando che il sangue tornasse a scorrere correttamente. Egli non oppose la minima resistenza, tanto era rimasto stordito da quel gesto così strano. In pochi secondi, la sua mano era di nuovo distesa e lui era un po’ più calmo di quando aveva terminato il racconto.

Quando non ci fu più bisogno di continuare, Arabelle gli lasciò la mano, lasciandolo interdetto. Lo guardò di nuovo e notò che, fosse per la rabbia di poco prima o per il suo comportamento, aveva la fronte leggermente aggrottata e lo sguardo confuso. Allora fece qualcosa che per l’uomo sarebbe stata impensabile: avvicinò quella stesso mano che aveva usato sulla sua al suo viso, alla sua fronte, per l’esattezza, e la distese con un semplice tocco dei polpastrelli. Nel frattempo, non smise neppure per un istante di guardarlo negli occhi. Mentre lo fissava, potè vedere con chiarezza i cambiamenti che avvennero nel suo sguardo. Vide l’odio ed il rancore trasformarsi in qualcosa di indefinibile, dolce, ma al contempo brutale, infinito ma inesplorato. Qualcosa che non avrebbe dovuto essere nel suo sguardo.

Quando la giovane ritirò piano la mano, lui la prese gentilmente per il polso e la trattenne. Non fece null’altro in un primo momento: rimase solo fermo in quella posizione, mentre Arabelle lo fissava a sua volta. Stavolta però, era lei ad essere sorpresa dalla reazione di lui. La presa sul polso di lei era così lieve, ma nello stesso tempo così inesorabile e decisa che Arabelle non soppese la cosa migliore fosse liberarsene o consentire quel contatto. Un contatto che le dava i brividi.

Hook teneva ancora la mano di lei sospesa a mezz’aria poco distante da dove si era posata prima. « Come hai fatto? »

La giovane parve non comprendere « A fare cosa? »

La voce del pirata l’aveva colta di sorpresa, perché dirla gentile era minimizzare. Era calma, pacata, esprimeva sorpresa per ciò che era accaduto, ma non solo. Era una carezza per l’anima il modo in cui aveva pronunciato quelle parole.

« Hai lenito le mie ferite. » spiegò. Non c’era bisogno di precisare a quali si riferisse: Arabelle capì immediatamente di quali stava parlando e che non erano certo i tagli causati dallo scontro con il coccodrillo.

« Non ho fatto nulla » disse piano, quasi timidamente, ma senza abbassare lo sguardo

« Oh si, invece. » insistette lui « Hai fatto svanire la rabbia che mi aveva pervaso con un semplice tocco. È come se tu sapessi cose che io non conosco. Ma se è così, per Diana, spiegamele. Fa quello che vuoi ma fa in modo che io possa capire come hai fatto a far assopire l’odio appena nato in me. ». Per molti altri secondi, Arabelle non gli diede alcuna risposta. Lui però non era deciso a rassegnarsi e ancora le teneva la mano bloccandole il polso ancora più strettamente. Nel parlare alla ragazza per la seconda volta, il suo tono, già diverso dal solito quando le aveva rivolto la prima domanda, era ulteriormente cambiato. Ora era anche più basso, la voce quasi roca e così carezzevole da impressionare entrambi. Possibile che Hook potesse parlare in quel modo? Un amante non necessariamente sarebbe stato capace di un timbro tanto accattivante. Non c’era altro modo per definirlo, infatti, se non innocentemente seducente. Innocentemente, perché l’uomo non sembrava comprendere ciò che faceva.

« Non so di cosa parli, Jason Hook. » fu la risposta rapida di Arabelle.

« Invece io credo che tu lo sappia benissimo. » la contraddisse lui « Però non vuoi dirmelo. Perché? ».

Stavolta gli occhi di lei si accesero di bagliori di tempesta « Te lo ripeto: non so di cosa parli. Non ti capisco! Io non ho fatto nulla. » Anche la sua voce si era fatta più alta e sicura, ma si avvertiva comunque un senso di cambiamento anche in lei. « Lasciami andare. » gli ordinò.

Hook la fissò un’ultima volta, poi fece come lei gli aveva chiesto. La lasciò talmente all’improvviso che Arabelle non se ne accorse neppure in un primo momento. Ad ogni modo, sebbene ormai fossero svincolati da quel contatto fisico, sembrava che nessuno dei due fosse intenzionato a spezzare quello visivo.

Dopo altri minuti, finalmente, lei riuscì a rompere quel terribile silenzio « Se ho fatto qualcosa di buono, ne sono felice, Jason. »

Hook la fissò ancora più intensamente « Non so se era qualcosa di buono. Questo non lo so davvero, ma è qualcosa di strano e, soprattutto, è stato molto potente. ».

In quel momento, il pirata sentì una smania incontrollabile di toccarla. Non importava dove, esattamente, ma desiderava di nuovo il contatto con la sua pelle morbida e fresca. Eppure qualcosa gli impedì di sfiorarla. Era come se credesse di contaminarla, profanarla in qualche modo con il suo tocco.

Che razza di significato ha tutto ciò? Si chiese subito.

Lo sai! Fu la risposta del suo cuore. Ormai non era più completamente sbagliato chiamarlo cuore. Era ancora ben protetto da uno strato di ghiaccio, ma questo era molto, troppo sottile, perché quel muscolo a lui sconosciuto potesse tacere.

No, non lo so.

Si, invece, lo sai, ma ancora non vuoi saperlo. Era vero. Era un enigma, certo, ma non avrebbe saputo esprimerlo con parole differenti. Sentiva di conoscere ciò che gli stava accadendo, ma al contempo gli sembrava qualcosa di indefinibile, assurdo, ultraterreno e non sapeva dargli un nome.

« Ora è meglio che vada. » disse Arabelle, alzandosi in piedi e prendendo il sacchetto con l’impiastro di erbe « Altrimenti nessuno di noi due avrà nulla da mangiare questa sera. »

Hook la guardò con una strana espressione. Che fosse preoccupato?

« Arabelle! » la chiamò mentre lei aveva già cominciato ad allontanarsi.

« Si? » ella si voltò verso di lui con un movimento fluido del capo che le fece ondeggiare le fitte onde simili a boccoli in maniera molto seducente.

« Io…. » improvvisamente egli non ricordava il motivo per cui l’aveva chiamata. Forse non l’aveva mai saputo davvero. « Io… sta attenta »

Ma che diavolo mi succede? Possibile che le abbia detto una cosa del genere?

Ebbene si. Lo hai fatto.

Arabelle lo guardò per un istante, poi sorrise in una maniera così tenera e grata per quel segno d’interessamento da parte di lui, che Hook se ne sentì quasi stordito. Non gli rispose. Si limitò ad annuire per un momento in segno di assenso, poi sparì, leggiadra come una brezza mattutina, lasciando solo il pirata a fissare il vuoto della stanza lasciato da lei.

Tornò un’ora dopo, all’incirca. Era quasi completamente fradicia e Hook se ne chiese la ragione. Ella tuttavia, non ebbe tempo per dargli spiegazioni e si diresse dove evidentemente aveva stabilito il suo alloggio per cambiarsi d’abito. Passò quasi un’altra ora quando Hook sussultò nel letto: aveva di nuovo udito la voce melodiosa che perseguitava i suoi pensieri come un fantasma. Stavolta il canto era più lento e basso. Sempre triste, sciolse ancora un po’ la cortina di ghiaccio che offuscava i sentimenti del feroce pirata.

Era ancora più bella se possibile, e pareva anche che si fosse fatta più vicina rispetto alle volte precedenti. La voce di un elfo della razza più pura non avrebbe potuto mai eguagliare un suono simile. La fronte di Hook cominciò ad imperlarsi di sudore dopo che furono trascorsi altri due o tre minuti dall’inizio del canto. Quella voce lo turbava quanto la vicinanza di Arabelle e altrettanto intensamente come egli voleva scoprire di più su quella creatura, desiderava scoprire da dove proveniva quella voce.

Non seppe con esattezza quanto durò la canzone, fatto sta che la voce tacque improvvisamente così come era comparsa. Hook aveva il respiro affannato e il battito accelerato. Non sapeva cosa fare, ma era scosso.

« Arabelle! » chiamò poco dopo « Arabelle!! ». Il suo era un grido disperato, anche se un po’ arrabbiato.

In breve la ragazza comparve nella stanza, piuttosto trafelata e affannata. « Cosa succede? » chiese, allarmata.

Hook non fece in tempo a rispondere, perché aveva gettato l’occhio su di lei: evidentemente l’aveva chiamata mentre era intenta a vestirsi, perché non aveva ancora completato l’opera. Indossava i pantaloni neri aderenti che molto spesso le aveva visto indosso. Sopra di essi portava solo un bustino intimo semislacciato che lasciava intravedere le curve delle sue forme. Mai per Hook una donna fu tanto desiderabile. Tra l’altro, il pirata se ne rese conto solo allora, ma Arabelle era molto più giovane delle donne che normalmente frequentavano le sue lenzuola.

Vent’anni.... Diamine! Così giovane e bella, fiera e indomita. Chi è colei che ho di fronte? Ormai i pensieri nascevano spontanei e incontrastati nella mente di Hook. Eppure se poteva abituarsi al fatto di essere affascinato da lei, non si sentiva ancora pronto all’idea di desiderarla. E invece nel vederla in quel modo il suo desiderio si era manifestato in tutta la sua urgenza ed immediatezza, provocandogli tensioni dove, per fortuna, il lenzuolo celava la carne.

« Che succede? » chiese ancora la ragazza. Era inconscia di essere seminuda, oppure non dava peso alla cosa, questo nessuno era in grado di dirlo con esattezza, ma comunque si comportava come se la cosa non le importasse.

« Nulla. » la tranquillizzò lui « Ho sentito uno strano suono, e non è la prima volta che mi accade. Non hai sentito nulla? ».

Arabelle scosse le spalle « No. »

« Era come… un canto » provò a precisare lui, come se così facendo avesse potuto ottenere una differente risposta. Ma lei scosse nuovamente le spalle.

Il respiro del pirata era ancora molto affannato. Praticamente lo aveva trattenuto per tutta la durata del canto e ora si ritrovava completamente a corto di ossigeno. Si era anche alzato con il busto, appoggiandosi sui gomiti per rimanere per metà sdraiato.

Arabelle fece qualche passo verso di lui « Non hai un aspetto molto sano » considerò. Continuò ad avvicinarsi fino ad arrivare a pochissima distanza da lui. Gli toccò la fronte con il dorso della mano destra. Quel contatto con la sua mano fresca e delicata provocò un’altra ondata di piacere nel corpo virile dell’uomo, che ora si sentiva del tutto a disagio, cosa che mai gli era successa durante le sue visite nelle case di piacere dell’isola dei pirati.

Oltre al disagio, però, avvertiva anche qualcosa di diverso e non esattamente piacevole. Qualcosa che Arabelle non tardò a notare.

« Ma tu hai la febbre! » esclamò la ragazza all’improvviso. Effettivamente la fronte dell’uomo scottava pericolosamente. « Com’è possibile? ». Anche se la sua voce non lo dava a notare, Arabelle era molto preoccupata. Hook poteva leggerlo nei suoi meravigliosi occhi scuri che temeva per il suo stato. A causa dell’emozione suscitatagli dal misterioso canto angelico e anche dalla vicinanza della giovane, si era talmente scosso ed emozionato, che il suo corpo, indebolito dalle ancora recenti ferite, aveva reagito facendo salire la temperatura corporea. Ora poteva sentirne le conseguenze: era intorpidito e ipersensibile nella parte superiore del busto. Inoltre si alternavano fasi di iper reattività e collasso. Sebbene lui fosse molto abile nel resistere al dolore fisico e facesse di tutto per apparire in buono stato, Arabelle si accorse che non era così in salute come voleva dare a pensare.

« Non muoverti! » gli intimò. Uscì dalla camera e tornò appena qualche secondo dopo con una pezza di cotone che aveva velocemente inumidito nel canale poco lontano che dava sul fiume. Si precipitò verso il letto e posò la pezza fredda sulla fronte bollente e sudata del pirata. Questi sussultò appena ma chiuse gli occhi, stordito da quel brusco cambiamento di temperatura. La giovane continuò per un po’ a tamponargli la fronte, nella speranza di abbassare la febbre, ma purtroppo non ottenne molti risultati.

Hook sentiva che la sua temperatura stava salendo sempre di più, vertiginosamente e non si era mai sentito tanto debole in tutta la sua vita. In verità aveva avuto la febbre solo tre volte da quando era nato e mai era stata così alta e così violenta, spossante.

« Che mi succede? » sussurrò.

« Shhh » gli disse soltanto lei, continuando a tamponargli la fronte.

I minuti trascorsero, ma la febbre non scese nemmeno un po’, anzi, se possibile, aumentò ancora. Arabelle non sapeva più che cosa fare. conosceva la causa di quell’improvviso calo di salute.

« Arabelle… » mormorò lui. Non fece però in tempo a finire la frase, sempre che ve ne fosse una, perché perse i sensi.

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Capitolo 9
*** Resta con me ***


Resta con me

Resta con me

Arabelle rimase accanto a Hook per quasi un ora, ma egli non riprese conoscenza. Quando rimase privo di sensi per quasi due ore, la ragazza ricominciò a tamponargli la fronte con la pezza bagnata nel tentativo di generare in lui qualche reazione. Era preoccupata. Non lo ammise subito, ma era preoccupata e anche molto.

Forza! Ti prego, reagisci. Tu devi vivere dannato Jason Hook!

Dopo qualche minuto, finalmente l’uomo riprese conoscenza, anche se era completamente in preda al delirio.

« Pan! Maledetto! » quelle furono le prime parole che pronunciò. Arabelle sperava in qualcosa di più sensato, perché si vedeva chiaramente che il pirata aveva forse delle allucinazioni, o stava sognando, ma comunque non era presente alla realtà.

« Sshhh » gli fece lei, sempre tamponandogli la fronte « Va tutto bene, non sono Pan » Ma tanto era tutto inutile. Hook non sentiva una sola parola di quello che lei gli stava dicendo. Era completamente immerso nei suoi sogni.

Per un po’ parve calmarsi, si rilassò sul letto, il respiro perfettamente regolare, ma poi ricominciò a dimenarsi furiosamente.

« Nooooooooo!!!! ». Quel grido, fece quasi tremare le mura del castello e la ragazza ne rimase quasi stordita. Si chiese che cosa doveva aver sognato per generare in lui una reazione tale. Purtroppo non c’era nulla da fare se non aspettare che si calmasse.

Passarono due ore prima che il delirio cessasse e Hook prendesse sonno. Arabelle finalmente potè rilassarsi e fu allora che si rese conto del suo abbigliamento. Fece per andarsene per mettersi qualcosa di più indosso, quando sentì che una mano si chiudeva sul suo polso, lieve per la mancanza totale di forze.

« Arabelle » fu appena un sussurro, ma lei lo udì perfettamente e si voltò. Hook aveva gli occhi semiaperti e la stava fissando a sua volta.

« Jason! » esclamò lei senza nascondere il sollievo nel vederlo cosciente e lucido, sebbene molto debole. « Come ti senti? »

La domanda andò a vuoto perché l’uomo chiuse gli occhi e non le rispose. Li riaprì solo alcuni istanti dopo, per fissarli di nuovo in quelli di lei, che non avevano mai abbandonato il suo volto.

« Arabelle » mormorò di nuovo

« Sono qui Jason. » disse lei avvicinandosi piano, sempre con lui che le tratteneva il polso dolcemente. Non appena si fu avvicinata, le labbra dell’uomo si schiusero lentamente e mentre chiudeva gli occhi in preda ad un altro collasso, Arabelle lo sentì chiaramente mormorare un’ultima frase.

« Resta con me. »

Quelle parole la colpirono nel profondo del cuore, ma la misero anche in difficoltà: che cosa doveva fare? Doveva andare via, lasciandolo solo a riposare oppure doveva rimanere insieme a lui come le aveva chiesto? Decise in fretta, ma non senza riflettere. Si avvicinò molto piano al letto, liberandosi dalla stretta di lui. Si allacciò il più strettamente possibile il corsetto, in modo da lasciare scoperti meno centimetri possibile del suo corpo, poi si sdraiò accanto a lui. Hook, profondamente addormentato, non venne svegliato dai movimenti leggeri ed accorti della ragazza. Questa si appoggiò con riluttanza sul materasso, e venne investita da un brivido nel momento in cui venne inevitabilmente a contatto con il corpo dell’uomo. Quando la sua spalla toccò quella di lui, avvertì un grande calore, proveniente per la maggior parte dal corpo del pirata, ma che si espanse presto anche al suo.

Hook sussultò appena nel momento in cui Arabelle si appoggiò a lui. Non si svegliò, ma diede segno comunque di avvertire la presenza di lei, che tra l’altro risultava molto rassicurante per lui. Ella avvertì strane sensazioni nel contatto con lui, sensazioni che non aveva mai provato prima ma che sapeva classificare benissimo. Era stata inondata da una scarica di desiderio. Un desiderio che represse subito dopo essersene resa conto, ma che la stordì lo stesso per la sua potenza.

Ci volle molto tempo prima che Arabelle riuscisse a rilassarsi e a prendere sonno, vista l’agitazione che la vicinanza di quell’uomo le procurava, ma alla fine la stanchezza vinse anche lei e si addormentò.

La mattina seguente, a svegliarsi per primo fu lui. Aprì gli occhi molto lentamente e aspettò di riuscire a vedere chiaramente tutta la stanza. Era lucido, stranamente: l’ondata di febbre era passata improvvisamente così come era giunta, lasciandolo solo profondamente spossato. Dopo qualche istante, si accorse di avvertire una strana presenza accanto a sé, così voltò lentamente il capo. Il suo cuore fece una capriola nel momento in cui vide che la presenza al suo fianco era il bellissimo e delicato corpo di Arabelle. Era sdraiata su di un fianco, con il capo appoggiato all’angolo del cuscino, poco distante dal volto di lui. Il corpo dolce e minuto era accoccolato su se stesso, dandole un’aria innocente, da bambina. I lineamenti del volto erano rilassati e la sua bocca lievemente dischiusa era la cosa più bella che Hook avesse mai visto in tutta la sua vita. Così invitante, desiderabile da fargli girare la testa. Quando era cominciato tutto quel turbinare di emozioni dentro di lui? Non lo sapeva, ma ora ne avvertiva la potenza e l’imperiosità.

Deglutì impercettibilmente quando il suo sguardo vagò sul busto di lei, coperto alla meglio da quel corsetto intimo che si era stretta il più possibile sul seno prima di coricarsi. Era divina. Nessuna amante da lui vista o conosciuta avrebbe mai potuto aspirare a tanta bellezza. Quella di Arabelle era una grazia fiera e orgogliosa che vinceva tutto e tutti.

Improvvisamente, le palpebre della ragazza si mossero lievemente. Hook non riuscì a staccare gli occhi da lei anche se la vide svegliarsi. L’istante in cui si guardarono fu uno dei più magici di cui mai si sentirà parlare.

Il pirata avrebbe voluto dirle mille cose, senza realmente decidersi per nessuna, ma riuscì solo a pensare che quella giovane aveva cambiato qualcosa nella sua miserabile anima nera.

« Cosa fai qui? » le domandò. Avrebbe voluto davvero essere duro, indifferente mentre pronunciava quelle parole, ma riuscì solo ad essere calmo ed incredulo, come realmente era.

Perché non riesco a fingere? Perché non riesco a mostrare ciò che voglio far vedere? Non riusciva a capacitarsi del fatto che Arabelle gli impedisse, in qualche modo, di essere diverso da come realmente era. Era cominciato, quello strano incantesimo, sin dall’inizio, quando lui aveva cercato di essere spietato perché aveva avuto un momento di debolezza con lei. Ma già allora era stato difficile. Ora era impossibile.

Arabelle si alzò a mezzo busto, facendo sì che le fitte onde dei suoi capelli cadessero morbidamente di lato. « Sei stato tu a chiedermi di restare. »

« Io? » domandò incredulo lui. In effetti non ricordava nulla di quello che era accaduto durante il delirio, meno che mai di averle domandato una cosa del genere. Eppure non riusciva a rammaricarsi di quello che aveva fatto.

« Si. Sei stato tu. » confermò lei, alzandosi a sedere « Sicuramente stavi delirando, tuttavia non ho voluto rischiare: avevi la febbre davvero molto alta. » Ora era in piedi accanto al letto, privando Hook del calore rassicurante ed eccitante del suo giovane corpo. « Mi dispiace. »

Lui la guardò senza capire a cosa si riferisse. Per cosa poteva dispiacersi? « Di cosa? »

« Di averti oppresso con la mia presenza tutta la notte. » spiegò lei con la massima naturalezza. « So bene che la mia vicinanza non ti è gradita Jason Hook. ».

Ormai il pirata aveva imparato che quando lei pronunciava il suo nome per intero, era sempre seria. Dunque era questo che pensava di lui. Non seppe se rammaricarsene oppure esserne lieto. In lui ormai c’erano due parti fortemente contrastanti. Decise che la cosa migliore da fare era non rispondere.

Arabelle allungò una mano per poggiargliela sulla fronte. « La febbre è scomparsa, ma è meglio se rimani il più possibile fermo per evitare che ricompaia. »

Hook la guardò studiando ogni particolare di lei, ogni minimo, piccolo dettaglio. Gli capitava spesso di farlo, in realtà, a volte anche senza rendersene conto. La vide che si stringeva le braccia al petto, ma sembrava più un gesto dettato dalla sensazione di freddo che da un sentimento di pudicizia.

« Vado a vestirmi. » disse infatti subito dopo « Tornerò per portarti qualcosa da mangiare. » Non uscì immediatamente. Rimase anche lei per diverso tempo ferma a guardare negli occhi di Hook che la fissavano a loro volta. In quello sguardo, di norma freddo e penetrante, c’era un fascino innato, ma che in quel momento celava qualcosa di strano, indecifrabile per lei ed incomprensibile per lui. A furia di fissarsi, ad entrambi il respiro si fece affannoso, così come il battito cardiaco accelerò notevolmente. Quando Areabelle sentì di non resistere più a quello strano contatto, che pareva li tenesse legati, raccolse tutte le sue forze ed uscì dalla stanza.

Per Elentari : sono molto contenta che la storia ti piaccia e mi hanno fatto davvero molto piacere i tuoi commenti. Spero infatti che continuerai a recensire i nuovi capitoli. Aspetto con ansia il tuo parere. saluti e baci.

Per Thiliol : le tue recensioni sono state le prime e mi hanno trasmesso la voglia di continuare a postare altri capitoli, ma mi è dispiaciuto che non abbia commentato più dopo il secondo. Se c’è qualcosa che non ti piace, me ne dispiaccio. In caso aspetto tue notizie. P.S. : mi sono ispirata al film con Jason Isaacs, proprio come credevi tu.

Per aya_chan : sono molto felice che Arabelle ti piaccia. Riguardo il suo racconto…. Bè…non voglio dirti nulla per non rovinarti la sorpresa eheheh. Baci.

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Capitolo 10
*** Guarito ***


Guarito

Guarito

Trascorse una settimana. Una settimana di sguardi più eloquenti delle parole. Non avevano parlato molto, in verità, ma quel poco che si erano detti, anche se riguardava ferite e metodi per curarle, portava con sé mille pensieri.

Hook era sempre meno padrone di se stesso e la cosa lo infastidiva indicibilmente, ma tanto non poteva farci nulla. Era troppo tardi, anche se non se ne rendeva pienamente conto. In quella settimana sentiva come ore i minuti che Arabelle trascorreva lontano dalla stanza dove lui era sdraiato. Era molto più in forze rispetto ai giorni precedenti, tanto che era riuscito ad alzarsi dal letto e a mettersi seduto più comodamente su una poltrona di broccato che si trovava in un angolo della stanza. La ragazza trascorreva molto tempo con lui, ma da quando avevano dormito insieme la notte del suo delirio, si era fatta più seria, taciturna, un vero fiore d’acciaio. Impenetrabile come un diamante.

I suoi silenzi erano particolarmente inquietanti per Hook, che spesso la guardava leggere per lui o finire di medicarlo come a voler svelare almeno uno dei suoi tanti misteri. Primo dei quali era sicuramente la sua impossibile bellezza. Ogni giorno sembrava più radiosa almeno nei lineamenti. O forse era lui che la vedeva così? Fatto sta che quando si trovava vicino a quella pelle, quei capelli e quel volto, egli non desiderava altro che avvicinarsi e toccarli. Contemporaneamente sentiva anche quella strana sensazione che gli diceva di non profanare quella bellezza anche solo sfiorandola. Questo poi era un fatto ancora più strano ed irrazionale del suo desiderio di lei: lui aveva sempre trattato le donne con poco rispetto, in particolare le sue amanti. Una donna non poteva essere profanata dal tocco di un uomo, secondo il suo modo di pensare: era a quello che servivano le donne. E allora perchè lei avrebbe dovuto essere differente?

Non sapeva come comportarsi. Non lo sapeva e ciò lo irritava profondamente. L’unica cosa che riusciva a consolarlo da quella situazione a lui così estranea e sconosciuta era la consapevolezza del fatto che stava guarendo. Sentiva le forze animargli di nuovo i muscoli in tutta la loro potenza. Non mancava molto al momento della libertà.

Della libertà o della solitudine? Si chiedeva continuamente.

Un altro mistero che non era riuscito a svelare era quello della misteriosa voce che cantava la notte o al mattino presto. Durante quella settimana l’aveva udita altre volte, ognuna delle quali aveva sortito su di lui il medesimo effetto. Quando sentiva quei suoni celestiali, era come se un laccio lo afferrasse stretto al petto e stringesse fino a dolergli. Poi il laccio cominciava a diventare quasi parte di lui, a fondersi con la stessa natura del suo essere. Improvvisamente, infine, svaniva nel nulla, lasciando al suo posto un vuoto incolmabile. Che cosa poteva essere? Quale forza misteriosa al mondo poteva avere un tale effetto su di lui, che aveva il cuore di pietra e l’anima dannata come l’Inferno al quale era destinato?

In quei giorni stava scontando ancora il contrasto tra mente e cuore. Un contrasto che non era in grado di fronteggiare.

Quando la settimana terminò, si sentiva ancora più collerico e adirato con se stesso e con il mondo intero, e anche con Arabelle, per avergli sconvolto l’esistenza a tal punto. Ciononostante non poteva fare a meno di lei. Lui, uomo, pirata anche se raffinato a suo modo, desiderato da tutte le donne dell’isola dei pirati, temuto, rispettato, riverito, assassino, lui non riusciva a fare a meno di quella donna. Quella donna che era poco più di una fanciulla, con ben diciassette anni meno dei suoi e molto più cuore di quanto lui ne avrebbe mai potuto sognare. Lui aveva bisogno di lei.

Quanto tempo era trascorso da quando lui era stato portato da lei nel castello? Quarantacinque giorni, a detta di lei. In quarantacinque giorni Arabelle aveva penetrato la cortina di ghiaccio che gli rivestiva il cuore e lo aveva reso impotente di fronte a qualcosa che mai aveva saputo controllare: i sentimenti. Quegli stessi sentimenti che persino Peter Pan era riuscito infine a provare, portando la sua piccola Wendy con sé nel suo mondo. Quei sentimenti che solo a lui, ormai erano rimasti preclusi. E che ancora lo erano, perché una parte di lui vi si opponeva con tutte le sue forze, chiamando Arabelle strega e lui sciocco e debole.

All’esatto scadere della settimana, Hook era deciso a porre fine a quello straziante conflitto interiore, in un modo o in un altro. Arabelle era stata con lui per tutta la mattina a per buona parte del pomeriggio. Infine, quando erano ormai le sei, ella si congedò rapidamente da lui, dicendo che aveva bisogno di riposare anche lei. Promise che sarebbe tornata quando fosse stato il momento di cenare.

Hook la vide andare via a malincuore, ma non disse una parola. Rimase sulla poltrona a riflettere e aspettando che arrivasse l’ora di cena con un’impazienza che smentiva la sua collera nei confronti della situazione.

Non passò mezz’ora da quando lei si era assentata che egli trasalì nel sentire di nuovo, per l’ennesima volta in quei giorni, quella voce. Stavolta i suoni che emetteva erano molto meno tristi e malinconici. Sembrava una canzone che recava gioia più che dolore. Inoltre, Hook riconobbe che la lingua non era elfica. Non seppe distinguerla, ma fu certo che non si trattasse di uno dei dialetti di quello strano popolo. Durò più del solito stavolta, e come sempre lui attese che smettesse assaporando ogni nota, ogni accento di quella meravigliosa voce che lo rapiva. Provò le solite sensazioni e strinse quasi convulsamente i braccioli della poltrona tanta era la concentrazione su quei suoni. Quando il canto cessò, portò la stessa sensazione di vuoto che sempre generava nell’uomo. Egli fu tentato di chiamare Arabelle come aveva fatto quando gli era salita la febbre, ma pensò che non fosse necessario. La ragazza doveva essere distesa in quel momento, forse addirittura addormentata. Si ripromise, tuttavia, di parlarne con lei non appena gli avesse portato la cena.

Era ancora di quell’opinione quando Arabelle fece il suo ingresso nella camera, portando con sé un piatto dal quale proveniva un profumo molto invitante. Era splendida, con i soliti pantaloni neri a fasciarle le gambe superbe e tornite e una camicia nera da donna stavolta. Questo fatto era un cambiamento apparentemente banale ma notevole nel risultato: la stoffa leggera le disegnava la vita ed una scollatura modesta le incorniciava un decolletè perfetto e delicato. I capelli sciolti ravviati all’indietro erano una morbida cascata di onde e boccoli perfettamente disegnati. Era seria, impassibile, quasi, ma gli occhi le brillavano di una luce che avrebbe potuto illuminare l’isola intera.

« Sono riuscita a pescare stasera. » lo disse con poco entusiasmo, ma Hook sapeva che era contenta di aver procurato qualcosa di diverso dalle bacche come pasto. Molte volte era già accaduto che ella portasse al castello un pesce o una pernice, che poi aveva fatto arrostire su un focolare di fortuna.

« Devi mangiare. » gli disse, sedendosi in maniera composta accanto a lui. Forse troppo composta, quasi rigida. Hook cominciò a trafficare con un filetto di pesce che probabilmente era stato pescato nel laghetto poco distante dal castello. Era stato ben cucinato, anche se la sua preparazione era stata arrangiata secondo le possibilità offerte dalla situazione.

Mentre mangiava osservò attentamente la ragazza e notò che sembrava inquieta. Quando aveva finito metà del pasto, ella si alzò dal letto e cominciò a passeggiare avanti e indietro lungo la stanza, con lentezza esasperante.

« Arabelle » la chiamò lui appena ebbe finito « ho una domanda »

« Parla! » disse lei tornando ad avvicinarsi a lui e con voce nettamente più naturale.

« Io… » per quanto non fosse un uomo con peli sulla lingua, Hook trovava difficoltà a farle la domanda che tanto aveva desiderato porle. « Io ho sentito qualcosa prima che tu arrivassi. ».

« Sarebbe? » domandò lei, guardandolo curiosa.

« È una voce. Sicuramente si tratta di una voce. L’ho sentita molte volte da quando sono qui…una volta persino sulla spiaggia, prima che mi trovassi. » prese un bel respiro « Tu non hai mai sentito nulla? »

Arabelle lo guardò attonita « No. Assolutamente no! » scosse la testa per enfatizzare la risposta.

Lui la guardò incredulo ed insistente « Ne sei sicura? »

« Si. » disse lei « Ma perché ti interessa tanto? »

Questa era la domanda che temeva di più in assoluto. Se l’era anche aspettato, ma aveva sperato fino all’ultimo che non glie la rivolgesse. Ma ora non restava altro da fare che dire la verità. Magari non tutta, ma la verità.

« È da tempo che voglio sapere di chi è quella voce così strana. »

« Strana? Perché la definisci in questo modo? » lo interruppe lei

« Perché è troppo bella per essere vera. È come se fosse magica. » spiegò lui soprappensiero, cercando le parole giuste per descriverla « Ho sentito alcune volte della musica elfica, che è tra le più celestiali al mondo, ma mai ho sentito qualcosa che si avvicinasse allo splendore di quella voce. » Si fermò per osservare Arabelle in volto. Quelle parole sembravano così strane pronunciate da lui, con la sua voce roca e profonda, graffiante.

« È dunque così bella? » la ragazza sembrava incredula

« No! » disse lui « È più che bella. Se non l’hai mai sentita non puoi comprendere. Mi ha rapito. »

Arabelle era più seria che mai « Quando l’hai sentita l’ultima volta? »

« Poco più di un’ora fa. ».

« E cosa cantava? »

« Non saprei dirlo. » rispose, sforzandosi a tal punto per non cedere al ricordo delle sensazioni che aveva provato che strinse a pugno la sua unica mano. Era solito fare quel gesto quando era in difficoltà a sotto grande fatica mentale. « Ma una volta ho riconosciuto un dialetto elfico in una ballata molto triste. Troppo triste per una persona sola. Sembra che ogni volta canti in una lingua differente. »

« E l’hai udita la prima volta la sera che ti ho portato qui? »

« Si. Sulla spiaggia. Proprio prima di perdere i sensi. ». Non capì perché gli avesse rivolto quella domanda, dato che ne conosceva già la risposta.

Dopo un attimo di silenzio, Arabelle scoppiò a ridere. Hook la fissò incredulo, stranito da quella reazione così strana. Lei rideva e rideva. Rise fino alle lacrime, eppure con una compostezza senza pari. Ogni tanto l’uomo vedeva che tra le risate lei lo guardava e lui non poteva fare a meno da pensare che si era reso ridicolo di fronte a lei. Lui. Lui ridicolo di fronte ad una donna.

Maledetta ragazza! Per colpa tua sono vulnerabile. Non so come né perché, ma è così che mi sento.

Arabelle nel frattempo continuava a ridere e a ridere, tenendosi lo stomaco. Era così bella quando rideva! Le si illuminava ancora di più il volto, mentre le si disegnava una lieve fossetta ai lati della bocca. I capelli ondeggiavano seguendo i fremiti del suo petto; la pelle lievemente arrossata.

« Che diamine hai da ridere? » Non riuscì ad essere brusco come avrebbe voluto, aveva quasi rinunciato a provare ad essere come era sempre stato, con lei ma si sentiva che era chiaramente irritato dal comportamento della ragazza, che non aveva nemmeno fornito spiegazioni al riguardo.

Finalmente Arabelle parve calmarsi e lo guardò dritto negli occhi sorridendo. Non era un sorriso lieto, però, ma quasi mesto. « Rido perché la sorte è buffa Jason Hook. »

Hook si fece sospettoso « Che diavolo stai dicendo? »

La giovane sorrise ancora, poi si alzò in piedi e fece alcuni passi verso il centro della stanza, dandogli le spalle.

« Dannazione! Dove pensi di andare? Mi devi almeno delle spiegazioni!! » Era adirato stavolta. Davvero adirato.

« E le avrai le tue spiegazioni, non temere. » Rispose lei, quasi un sussurro. Gli dava ancora le spalle e dopo un po’ Hook cominciò a domandarsi seriamente se ella non si stesse prendendo gioco di lui. Poi, però, Arabelle fece un respiro profondo e accadde l’impensabile.

When I saw you I was stunned, afraid

Because you were all I wanted and all I was scared of

Then I knew you and my soul began to be yours.

( Quando ti ho visto ero attonita, spaventata perchè tu eri tutto ciò che volevo e che temevo, poi ti ho conosciuto e la mia anima ha cominciato ad essere tua )

Era la voce che aveva udito! In quel momento, seppure la voce della ragazza gli stava infondendo le stesse emozioni di sempre, Hook era anche incredulo oltre ogni dire per quella scoperta.

Dunque la voce misteriosa…era quella di Arabelle! Non è possibile! Devo stare sognando… non può essere… E invece, sebbene tentasse di trovare un modo per dimostrare a se stesso che non si trattava di lei, non c’era nulla da fare. Avrebbe riconosciuto quel timbro tra mille se glie ne avessero proposti tanti. Quegli accenti celestiali che facevano vibrare le note più dolci e tristi mai scritte erano gli stessi che lo avevano tenuto sveglio la notte, a domandarsi chi fosse l’essere dotato di un talento simile.

What should I do now?

Have I to love you? To kill you?

I’d kill you if this would be the way,

The way to set me free.

( Cosa dovrei fare ora? Devo amarti? Ucciderti? Ti ucciderei se questo fosse il modo per rendermi libera )

Hook aggrottò la fronte e ascoltò, chiudendo gli occhi. Assaporava ogni sillaba pronunciata da quelle labbra d’angelo. Labbra che ora non poteva vedere, perché Arabelle gli stava dando ancora le spalle. Che avesse paura di guardarlo? Eppure non ne aveva mai avuta….

No, I can’t kill you

It would be another way to kill myself and I don’t want this for us.

So I’ll kill myself

Only then you’ll be able to see me and understand

Only then you’ll love me.

( No, non posso ucciderti, sarebbe un’altro modo di uccidere me stessa. Allora mi uccido; solo allora sarai capace di vedermi e di capire. Solo allora mi amerai. )

Con un ultimo, profondo suono, la canzone si spense, lasciando un eco prolungato e il vuoto nel petto di Hook, che sembrava come fosse in trance. Teneva ancora gli occhi chiusi, per concentrarsi completamente sul suono e non perdere neppure un secondo di quel canto. Quando l’eco fu spento, egli aprì gli occhi, ma aggrottò ancora di più la fronte. Guardò Arabelle che ancora era di schiena e pregò dentro di sé che si voltasse. Fu esaudito, perché la ragazza si girò molto lentamente per guardarlo a sua volta. Aveva gli occhi lucidi, probabilmente commossi dalla canzone che lei stessa aveva cantato. Per il resto era impassibile, diritta e fiera come una dea.

« Ora hai avuto la tua risposta. » gli disse, con voce ferma « E anche le tue spiegazioni. »

Hook non potè fare altro che fissarle gli occhi lucenti di lacrime non versate e sussurrare « Si. »

« Sei soddisfatto? » continuò a domandargli.

« Si! » un altro sussurro. Era come se la capacità di parlare gli fosse stata tolta improvvisamente. Avrebbe voluto dire mille cose, invece riuscì soltanto a formulare quella risposta sintetica e monosillabica che aveva dato. Si sentiva stranamente leggero. Leggero e pesante al medesimo tempo, colmo e vuoto, triste e felice, adirato e calmo. Che cosa mi sta accadendo?

Nessuno dei due parlò per un po’ , poi Arabelle si avvicinò nuovamente al letto dove Hook era disteso, fino ad arrivargli di fianco.

« Devo controllare il taglio » Egli sapeva a quale si riferiva. Il taglio che si era procurato sul petto era l’unico che aveva impiegato molto tempo per cicatrizzarsi. Arabelle gli scoprì il petto e osservò con attenzione la ferita. Ma a quel punto non c’era più nessuna ferita. Al suo posto una sottile cicatrice che attraversava il torace dell’uomo in tutta la sua ampiezza. Vi posò sopra una mano, delicatamente. Hook quasi gemette per quel contatto così lieve e così agognato da parte sua. Quando lei lo toccava, o lo sfiorava anche lievemente, in lui si accendeva un fuoco che non aveva mai provato in tutta la sua esistenza. E quello stesso desiderio ora lo aveva totalmente imprigionato, costretto a subirne l’autorità come uno schiavo subisce quella del padrone. Involontariamente, ma con necessaria, devota, obbedienza.

« La ferità si è completamente rimarginata. » osservò la ragazza « Le tue forze? »

Hook la guardò intensamente « Mi sento vivo. »

« Vuol dire che ti senti in forze? »

« Si. Decisamente si. » Effettivamente, l’uomo si sentiva molto bene. Ora poteva camminare e muoversi con la stessa agilità e forze che aveva prima del suo scontro con Pan e poi con il mostro.

« Allora posso dirti che sei completamente guarito. » sentenziò la ragazza.

« Completamente? » Il pirata sembrava scettico. In realtà non si aspettava di guarire tanto velocemente. Inoltre sapeva che cosa lo aspettava una volta finita la convalescenza.

« Si, Jason. Completamente » confermò lei « tra due, tre giorni al massimo potrai tornare alla Jolly Roger ».

Sentendo quelle parole, qualcosa si risvegliò nell’uomo. Non seppe cosa, ma fece svanire tutti i dubbi, le indecisioni e le inconsapevolezze riguardo lo strano incantesimo che Arabelle aveva fatto su di lui.

La ragazza aveva tenuto la mano sul petto di lui tutto il tempo, e ora stava lentamente scostandola con l’intenzione di uscire dalla stanza. Non fece in tempo, perche Hook vi mise sopra la sua, imprigionando la piccola mano di lei tra il suo petto e le sue dita.

« Tu cosa farai? » le chiese.

Arabelle sorrise « Io? Cosa mai potrei fare io, Jason Hook? » disse tristemente « Io andrò per la mia strada. Lascerò questo castello al più presto. Ognuno tornerà al suo posto, come desideravi. » Lo guardò nel profondo degli occhi « Anche io mantengo la parola data. ».

Hook non era più padrone di sé in quel momento. Lui che era sempre stato privo di sentimenti che non fossero odio e rabbia, sempre controllato, attento a non far trasparire nulla che non fosse la malvagità che lo animava, non sapeva più controllarsi. Era accaduto tutto in un istante, o forse era lui che non si era reso conto di quanto quella giovane creatura avesse aperto una breccia nel suo cuore, rendendolo sensibile a lei. Ora si sentiva attraversato da brividi e spasmi e i suoi occhi mandavano lampi. Non riusciva a pensare se non alla ragazza che aveva di fronte.

« Vieni con me! »

Arabelle fu sconcertata da ciò che aveva udito. « Cosa? »

« Vieni con me! » ripetè lui più forte, stringendo di più le piccole dita di lei « Sulla mia nave. Vieni con me sulla Jolly Roger. »

Era serio. Si sentiva chiaramente che era serio, che non stava scherzando. Era completamente fuori controllo. La voce che dentro di lui avrebbe subito detto che era stato uno sciocco a proporre una cosa simile, nemmeno parlò: tacque. Era come se fosse morta.

Arabelle rimase completamente immobile « Perché? »

Lui la fissò con trasporto. Come se avesse voluto perdersi in quegli occhi scuri e profondi come un lago. « Ho bisogno di averti con me. ».

« Stai delirando ancora? » Quelle parole erano rivolte più a se stessa che a lui. Infatti le pronunciò con un tono così basso che lui le udì appena.

« Dico sul serio, Arabelle. Vieni con me » stavolta scandì con cura ogni parola, come per marcare l’intensità con cui desiderava la risposta affermativa di lei.

Ella rise piano, tristemente « E cosa potresti mai fartene di me? » era seria ma anche un po’ sarcastica « Non sono certo capace a maneggiare la spada, o le armi da fuoco. Sarei solo un intralcio per voi. ».

« Troverei chi ti ha portata qui. Ti vendicherei. ».

Arabelle scosse piano la testa, in maniera quasi infantile « Non sembri più in te, capitano… »

« Infatti è così maledizione!!! » quasi gridò. « Non sono più in me, per colpa tua, dannata ragazza. » Si alzò a mezzo busto, ma era ben lungi da lasciare andare la mano della ragazza. « Però dicevo sul serio. Saresti al sicuro sulla mia nave e i miei uomini ti proteggerebbero se glielo ordinerò. »

Lei rimase muta. Ferma e muta, con lo sguardo fisso sugli occhi di ghiaccio dell’uomo che aveva davanti.

« Non dovresti più temere chi ti cerca. » insistette lui.

« Ma non dovrei forse temere te? » disse lei, sempre più inarrivabile, più altera « Tu non rappresenti forse un pericolo per coloro che ti stanno accanto? Tu, feroce assassino dall’odio bruciante come l’inferno, vorresti che io ti seguissi. »

« Ti proteggerei, come tu hai salvato me. »

« E dovrei fidarmi di te? E per cosa? » Arabelle era seria e sconsolata. Estremamente razionale anche in una situazione come quella. « Tu volevi uccidermi. » gli ricordò.

Hook rimase zitto per un attimo. Era vero. Aveva desiderato molto ucciderla in un primo momento, ma poi quell’intenzione era diventata impossibile per lui almeno quanto lo sarebbe stata l’affondare volontariamente il suo vascello.

Si alzò in piedi, cercando di trattenere la mano di lei nella sua. Sforzo che fu inutile, dal momento che lei si liberò non appena la stretta di lui ebbe ceduto minimamente. Tuttavia, non si allontanò.

« Dovresti, si! » le disse, avvicinandosi sempre di più a lei. « Perché non riuscirei ad ucciderti, dannata ragazza, come non vi sono riuscito in tutto questo tempo. »

Stavolta Arabelle fece un passo indietro, guardandolo a metà tra il sospettoso e lo speranzoso. « Perché te l’ho impedito. »

« Tu credi? » le disse, con rabbia « È vero, ma non nel senso che intendi tu, Arabelle. Pensi davvero che non sarei stato capace di ucciderti quando eri distratta? O magari di sorprenderti la notte mentre eri addormentata? » Si stava avvicinando sempre di più a lei e la giovane arretrava ad ogni passo di lui, avvicinandosi sempre di più al muro dietro di lei. Arabelle non sapeva cosa rispondere a quelle parole. Effettivamente lui avrebbe potuto ucciderla molte volte, ma non l’aveva fatto.

« Avevi bisogno di me. » mormorò, con lo sguardo fermo e fiero.

A quelle parole Hook si illuminò di una luce quasi folle, gli occhi che mandavano bagliori cupi e penetranti come mai lo erano stati prima. I muscoli delle braccia e delle spalle guizzarono. « È vero. E ho ancora bisogno di te. » le disse « Più di prima adesso, ho bisogno di te. ».

Arabelle scosse la testa « Sei guarito ora. »

« MALEDIZIONE! PERCHè NON CAPISCI? ». gridò con tutto il fiato che aveva in corpo e la ragazza sussultò suo malgrado.

Hook era completamente fuori di sé. Continuava ad avvicinarsi a lei lentamente, ma inesorabile. Alcuni passi dopo, Arabelle toccò il muro con la schiena. Lui era a pochi centimetri da lei, quindi non aveva via di fuga. Rimase impassibile e controllata, al contrario di lui, a guardarlo in volto. Quel volto affascinante e virile, bello, che la scrutava dalla sua altezza, ben superiore a quella di lei. A quel punto non rimaneva altro da fare se non mettere le carte in tavola.

« Capisco. » sussurrò.

L’uomo la guardò per diversi istanti, intensamente, con lo sguardo più dolce e passionale che si possa immaginare. Non se ne rendeva neppure conto, ma ormai era così. Quella ragazza gli era entrata dentro in modo irreparabile.

« Capisci? » le sussurrò di rimando, sempre più vicino « Dimmelo. Voglio che tu lo dica con le tue labbra. »

Arabelle lo guardò, anche lei con trasporto, anche se non folle e incontenibile come quello di lui. « Ho capito! ». Lo disse piano, ma Hook potè udirlo chiaramente e qualcosa si mosse dentro di lui.

Le si fece ancora più vicino, una mano non sarebbe passata attraverso i loro corpi, tanto essi erano vicini l’uno all’altro. Con la mano destra, Hook afferrò delicatamente ma saldamente la vita sottile della ragazza, attirandola ancora più vicina a sé e alzandola un po’ da terra, tanto che lei dovette mettersi in punta di piedi. Arabelle non oppose resistenza, ma continuò a guardarlo mentre la stringeva al suo petto forte e ampio.

Quando lui si fermò, per guardarla ulteriormente, lei lesse qualcosa di straordinario in quegli occhi di norma freddi e in quei lineamenti aristocratici contorti in un’espressione di gioia e dolore al contempo. Alzò piano il braccio destro e lentamente posò la mano sul volto di lui, aprendo a ventaglio le dita sulla guancia sinistra dell’uomo. A quel contatto così dolce e carezzevole, Hook chiuse per un momento gli occhi e aumentò la presa sulla vita di lei. Fu un attimo. Forse anche meno. Fu lei a muoversi per prima, lasciando di stucco il pirata. Si sporse lievemente, sorretta dalla presa salda del braccio di lui e tenendogli la mano sul volto si avvicinò a lui. Un secondo dopo, Arabelle poggiò le labbra si quelle di lui. L’emozione che si generò in Hook fu talmente forte che egli non riuscì a reagire di fronte a quel gesto. Dopo poco, la ragazza si scostò da lui di qualche centimetro. Solo allora egli l’afferrò con entrambe le braccia e portò la sua unica mano sulla schiena di lei, afferrandola saldamente. Si chinò su di lei e la baciò a sua volta, ma il suo non fu un bacio casto. Arabelle schiuse le labbra consentendogli di rendere il bacio profondo, travolgente.

Sebbene il bacio fosse carico di un desiderio che non poteva essere frenato, Hook si rese conto che in esso non vi era nulla di volgare, come invece era sempre stato con tutte le sue donne. Continuarono a baciarsi per diverso tempo. Arabelle si strinse a lui portando entrambe le mai a stringersi sulla nuca dell’uomo, affondandole nei suoi capelli in una carezza celestiale.Hook sentì che le viscere gli si contorcevano, che il cuore martellava nel petto e che tutto intorno a lui sembrava girare vorticosamente, lui ed Arabelle i soli ed unici punti fermi.

La giovane poteva sentire i muscoli pel petto scoperto di lui guizzare velocemente, mentre attraverso la stoffa dei pantaloni sentiva crescere qualcosa che urgentemente chiedeva di essere ascoltata.

Eppure, presto, Arabelle si scostò da lui, anche se rimase all’interno della sua stretta. Entrambi avevano il respiro irregolare per la mancanza di ossigeno e per l’emozione improvvisa.

« Vieni con me. » sussurrò ancora lui, poco distante dalla sua bocca. « Ti prego, vieni con me. » ripeteva quelle parole come una nenia, aritmicamente, continuamente, sulle labbra di lei.

Arabelle si allontanò ancora per guardarlo « Giura che sarò al sicuro. »

« Lo giuro. » disse lui, la fronte corrugata dalla serietà e dalla voglia irrefrenabile di baciarla di nuovo.

« Allora, Jason Hook, tra due giorni tornerai alla Jolly Roger… » gli disse piano « e io sarò con te. » Non sorrise mentre lo diceva, ma strinse le spalle di lui, da ciò egli comprese che non scherzava.

In quel momento Hook si sentì leggerissimo. Era una sensazione che non aveva mai provato e che lo sopraffaceva. Tentò di baciarla di nuovo, ma Arabelle si ritrasse e si liberò dalla sua stretta.

« Devi riposare. » gli disse piano, guardandolo negli occhi. Era così bella in quel momento, così umana. Diversa dalla regina indomita che sapeva essere. « E anche io. »

« Ma… »

« No. Dobbiamo essere in forze per affrontare i giorni che verranno. » disse subito lei. Non gli diede il tempo di ribattere ed uscì dalla stanza con passo svelto, lasciandolo solo con i propri istinti e con il proprio battito cardiaco, che martellava furiosamente.

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Capitolo 11
*** Solo ***


Solo

Solo

Per la prima volta nella sua vita, Hook aveva dormito un sonno veramente tranquillo. Nessuno degli incubi che solitamente lo tormentavano si era fatto vivo durante la notte.

Al mattino, quando si svegliò, risentì sulla labbra il sapore della bocca di Arabelle. Il bacio che si erano scambiati il giorno prima era stato qualcosa di indescrivibile. Era stato come trovarsi in Paradiso e all’Inferno nel medesimo tempo. Una sensazione che non poteva essere dato provare se non una sola volta nella vita.

Egli rammentò tutto quello che aveva provato la sera prima, mentre la stringeva a sé, sempre più vicina, come se da un momento all’altro fosse potuta svanire come un miraggio. Ma non si era trattato di un miraggio: lei era vera, reale, ed era stata reale tra le sue braccia quando l’aveva baciata. In verità non sapeva quale forza insormontabile avesse potuto spingerlo ad avvicinarsi tanto a lei, ma era accaduto, e non era stato respinto. Se lo fosse stato, probabilmente la sua disperazione avrebbe raso al suolo l’isola che nonc’è.

Hook stava facendo i conti con quello strano e meraviglioso sentimento a lui da sempre precluso chiamato amore. E non si trattava di un amore qualunque. Si tratta di un sentimento, infatti che può manifestarsi, nello stesso caso in molte, moltissime forme. Non era l’amore tenero che c’era tra Wendy e il suo odiato Pan; ma non era neppure l’amore più maturo e rispettoso che di norma si instaurava tra un uomo ed una donna. Il suo era un amore che chieda e dava senza sconto, che bruciava di passione. Il suo amore chiedeva che le anime si fondessero in una sola al pari dei corpi, che i cuori battessero all’unisono per l’eternità, appartenendo l’uno all’altra anche se in involucri differenti. Era un amore senza pari, come pochi al mondo erano esistiti e di quelli che, se sfortunati, portavano alla morte.

In un certo senso, era crudele che Hook dovesse imparare ad amare in maniera tanto brutale ed immediata, ma era questo, forse, l’unico modo per penetrare il suo cuore.

Si alzò agilmente dal letto, pensando che di li a poco tempo, Arabelle sarebbe stata con lui, sulla sua nave. E dopo? In quel momento per lui il dopo non aveva nessuna importanza. Esisteva solo il presente, per il resto avrebbe trovato una soluzione. Era molto presto, si accorse guardando l’orologio alla parete: le otto del mattino. Molto probabilmente Arabelle stava ancora dormendo. O forse no?

Decise infine che sarebbe andato a cercarla. Si mise indosso una lunga vestaglia di seta rossa e nera, che prese dall’unico, piccolo armadio che si trovava nella camera e si avviò verso la porta. Appena l’aprì e fece alcuni passi fuori dalla soglia però, sentì il suo piede sinistro urtare contro qualcosa. Abbassò lo sguardo e vide che per terra stava una pietra rotonda e piuttosto grossa. Non gli sembrava di averla notata le altre volte che era arrivato fino alla soglia della stanza, così si chinò per raccoglierla.

Mentre allungava la mano notò uno strano particolare: sotto la pietra, c’era quello che sembrava un foglio bianco, piegato e riposto lì perché non venisse accidentalmente spostato. Lo prese in mano e lo guardò attentamente. Era un biglietto, piegato una sola volta e scritto con una grafia elegante ed ordinata. Avrebbe giurato, pur senza averla vista prima, che quella fosse la scrittura di Arabelle.

Lo aprì velocemente ed iniziò a leggere.

Il momento è arrivato. Le nostre strade devono dividersi, anche se non sono mai state unite, in realtà. Le mie cure ti hanno consentito di tornare perfettamente in salute e me ne compiaccio. La vita scorre potente nelle tue vene capitano Hook.

Sono andata via questa notte, mentre tu eri addormentato. Se puoi non odiarmi per questo, perché era la cosa giusta da fare. Le persone difficilmente cambiano, quando da cambiare è la loro natura in tutta la sua essenza. Non avrebbe avuto senso che io ti seguissi sulla tua nave. Anche dopo quello che è successo ieri sera. A questo proposito, considera l’accaduto come un omaggio ad un tempo, che anche se avrebbe potuto esserci, non ci sarà mai. Nulla di più.

Ho fatto giungere un messaggio alla Jolly Roger, informando la tua ciurma del tuo stato e della tua posizione. Confido che non tarderanno ad arrivare.

È il momento di dire addio. Se mai ci rincontreremo, sappi che non mi devi nulla, né io a te. Se vorrai, potrai uccidermi, altrimenti sarà una tua scelta. Ripeto: non mi devi nulla.

Addio, Jason Hook, e che la vita che ti ho restituito sia per te motivo di gioia.

Arabelle.

Aveva appena terminato di leggere e il suo cuore aveva smesso di battere per alcuni istanti. Quello che era scritto in quel biglietto non poteva corrispondere alla verità. Non poteva. Non doveva. Rilesse il messaggio da capo per essere certo che ciò che aveva capito non era solo uno scherzo frutto della sua mente. Purtroppo non era così, anche se lui lo avrebbe preferito nettamente.

Accartocciò il foglio e lo gettò a terra con rabbia. Cominciò poi a percorrere tutte le stanze dell’ala nord del castello, quelle abitabili, in cerca della ragazza. Il suo cuore non si rassegnava e neppure la sua mente.

« Arabelle!! Arabelle » la chiamò disperatamente, con odio, anche, per quello che ormai non c’erano dubbi che avesse fatto.

Dopo aver percorso l’ala nord in lungo e in largo, Hook tornò davant alla sua stanza, con il fiato corto e il vetriolo al posto del sangue a scorrergli nelle vene. Raccolse il biglietto da lui stesso gettato poco prima e lo rilesse. Lo rilesse una, due, tre, quattro, volte, finchè non fu in grado di saperla anche senza leggerla quasi. La fronte gli si corrugò, lampi rossi gli accesero gli occhi e sferrò un pugno molto forte alla parete di roccia più vicina a lui.

Infine, si lasciò cadere in ginocchio e prese alcuni respiri profondi. Il grido che ne seguì, si narra che fu udito fin sulla Terra.

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Capitolo 12
*** Ruoli ***


Ruoli

Ruoli

Quando si era finalmente reso conto che il biglietto lasciatogli da Arabelle diceva il vero, Hook si era trascinato nella stanza da letto dove aveva riposato in tutti quei giorni e, dopo essersi rimesso l’uncino e l’apparecchio che lo sosteneva, si era accasciato sulla poltrona. Era arrabbiato e disperato. Rivisse con la mente ogni minimo dettaglio di quei quarantasette giorni che aveva trascorso con la ragazza, con quella creatura così giovane, bella, angelica e pura, ma che con lui era stata la più crudele delle meretrici. Sentiva il vuoto dentro di sé. Nient’altro che sordo, desolante e inaffondabile vuoto.

Fu immerso dai ricordi fino a che il sonno non lo travolse, inducendolo a poggiare la testa sullo schienale della poltrona in una posizione che sarebbe stata scomoda per chiunque se non avesse avuto le forze prosciugate da un tormento grande quanto il mare.

« Capitano! Capitano! » fu una voce che lo chiamava a svegliarlo. Gli parve che fosse di Spugna: ne riconobbe il timbro acuto e stridulo « Capitano! ».

Anche se in lontananza, poteva udire dei passi nel castello, segno che i suoi erano giunti a prenderlo per ricondurlo alla sua nave.

Proprio come aveva detto lei…. Pensò Hook tristemente. Ancora non riusciva a capacitarsi di quello che era accaduto. Ancora il suo cuore aspettava in trepidazione dicendogli che era stato tutto un brutto sogno. Arabelle non se era andata e presto lui si sarebbe svegliato. Ma la verità era ben altra! Il destino era stato doppiamente crudele con lui. In primo luogo, gli aveva assegnato un amore bruciante come il fuoco, ma in secondo luogo, glie lo aveva tolto dal petto proprio quando aveva deciso di abbandonarsi ad esso.

« Capitano!! » stavolta la voce si era fatta più vicina.

Hook prese una boccata d’aria e rispose. « Signor Spugna! »

« Avete sentito? Deve essere da questa parte » la voce del suo primo ufficiale e fedele braccio destro si avvicinava sempre di più e così i passi di coloro che lo stavano seguendo.

Pochi minuti dopo, alcuni uomini della sua ciurma fecero la loro comparsa nella stanza, capeggiati da Spugna. Questi era sempre il vecchio strambo che Hook ricordava, con i pantaloni troppo larghi e la camicia a righe troppo stretta. Gli occhialini rotondi poggiati ben saldi sul suo piccolo naso da bambino.

« Oh, grazie al cielo capitano! State bene! » disse avvicinandosi tutto trafelato. Si fermò a poca distanza da lui, che si era alzato in piedi, nel frattempo. Dietro di Spugna, in disparte, stavano sette dei suoi fedeli bucanieri. Hook ne riconobbe immediatamente alcuni: Nudler, paffuto e con le mani messe al contrario a causa di una malformazione; Rolf, un europeo imponente proveniente dalla Svezia, biondo, con i capelli lunghi e sporchi ed una barba corta e rada; l’Africano, un nero dalla muscolatura potente e la pelle nera come la pece, calvo; Bill Jukes, che aveva un tatuaggio su ogni centimetro di pelle. Poi c’erano il Fachiro, un giovane indiano dagli occhi azzurri e la pelle scura, piuttosto magro che portava sempre un turbante; il suo fedele Drac-nar un cinese che aveva studiato le arti marziali del suo paese per anni e infine il guercio, un uomo tozzo dai corti capelli neri che aveva un’occhio di vetro nell’orbita sinistra.

Tutti questi, che erano rimasti in disparte, si inchinarono immediatamente alla vista del loro comandante.

« Zolfo e bile fiammeggianti! » esclamò Hook, quasi urlando « Quanto tempo ci avete messo razza di cani rognosi! »

« Scusate, capitano » fece Spugna « il messaggio che riportava la vostra posizione è stato trovato da Nudler solo due ore fa. Abbiamo fatto il più presto possibile. »

« Dannazione! La prossima volta che mi fate aspettare così tanto vi farò appendere per i piedi al pennone, chiaro? » Era sempre in grado di far tremare di paura i suoi pirati, ma al nominare del messaggio che Hook sapeva essere di Arabelle, il suo cuore aveva perso un battito.

« Si capitano »

« Bene, ora volete decidervi a riportarmi alla mia nave? » ordinò lui.

Spugna si agitò immediatamente e fece segno agli uomini di avvicinarsi al capitano per sorreggerlo ai lati, nel caso avesse avuto bisogno di un appoggio durante il tragitto per la scialuppa.

« Pensavamo tutti che foste morto, capitano. » spiegò l’ometto, incredulo oltre ogni dire «Vi abbiamo visto tutti cadere nelle fauci della bestia e… » non fece in tempo a finire la frase, perché Hook era scattato agilmente in avanti e gli aveva puntato l’uncino alla gola.

« La prossima volta che sento qualcuno nominare quello che è accaduto quella maledetta notte, chi avrà parlato non vedrà il giorno dopo, SONO STATO ABBASTANZA CHIARO? »

« Si si si si capitano, ma c..c..c..certo che si » balbettò Spugna in preda al terrore. Molte volte si era ritrovato l’uncino del capitano puntato pericolosamente vicino alla giugulare e ogni volta, anche se riusciva a tenere al sicuro la pelle restava terrorizzato. Aveva visto Hook fare cose terribili con quell’arma letale che portava al posto della mano mancante e non voleva assolutamente essere il prossimo a sperimentare quanto esso fosse affilato.

« Bene… » disse in tono affabile Hook, ghignando crudelmente. « Andiamo allora. ».

Ripresero il cammino e giunsero nella parte del castello che era diroccata, quella dove Hook aveva allestito il suo covo, con tanto di scoglio per i condannati a morte. O meglio, per i fortunati condannati ad una morte rapida.

Giunsero presto alla scialuppa, ormeggiata nella laguna che entrava nel castello e vi si posizionarono dentro. Nessuno parlò durante il tragitto, che fu anche piuttosto breve, perché l’acqua era calma e la corrente era a loro favore. Appena giunti alla nave, Hook fu accolto da un grido di benvenuto da parte dei suoi uomini, la maggior parte dei quali era rimasta a bordo per sorvegliarla.

« Bentornato capitano! » fece uno di loro, che questi non distinse bene perché seminascosto dagli altri. Hook si ritrovò a pensare che almeno su una cosa Arabelle aveva avuto ragione: lui era il capitano della Jolly Roger, il feroce pirata assassino che dominava l’isola che non c’è e che in tutto il mondo a cui essa apparteneva era conosciuto e temuto. Quello era il suo ruolo.

« Uomini della ciurma! » gridò « avvicinatevi: ho degli ordini per voi. » Immediatamente tutti gli si fecero attorno, pronti a obbedire ad ogni suo comando, anche perché in caso contrario ci avrebbero rimesso la vita. « Dovete formare tre gruppi e setacciare da cima a fondo l’isola. Mi sono spiegato? »

« Sissignore! » fecero tutti quasi in coro.

« Bene. Il vostro obiettivo è una giovane donna, dai capelli e dagli occhi scuri. » continuò a spiegare il pirata « dovete trovarla e portarla qui da me, viva e, soprattutto, incolume. Chiaro? »

« Sissignore! »

Hook ghignò « Molto bene, vedo che la mia assenza non vi ha fatto dimenticare come ci si comporta. » qui rise, piano, sbeffeggiandoli « Se riuscirete nel vostro intento, al vostro ritorno ci sarà rum da bere per tutti. » A quelle parole, gli uomini esultarono e cominciarono a formare i gruppi da lui richiesti. Solo Bill Jukes rimase un momento perplesso ed in disparte mentre i suoi compagni già organizzavano la ricerca.

« Capitano, » disse « posso chiedere come faremo a riconoscerla? »

Non appena gli altri sentirono quale domanda aveva posto, si fermarono a loro volta per ascoltare la risposta.

« Molto bene, Jukes! » disse Hook « avevo trascurato questo dettaglio. Diciamo che è fiera come una tigre e opporrà resistenza nel momento in cui la troverete. Ma fidatevi, non avrete dubbi nel riconoscerla. La mia amica ha un biglietto da visita difficile da nascondere. » Qui rise di gusto, pensando all’inarrivabile bellezza della ragazza. Inarrivabile persino per lui, che era riuscito a baciarla, ma che non aveva ottenuto null’altro se non un cuore spezzato. Un cuore che ancora gli doleva nel petto anche se mostrava tutti la sua migliore maschera d’indifferenza.

Bill Jukes annuì in segno di comprensione e poi si avviò alle scialuppe insieme al resto della ciurma. Hook rimase solo con il fedele Spugna.

« Venite capitano » disse quest’ultimo « Vi accompagno nella vostra cabina. »

In realtà, quella di Hook non era una cabina, ma quasi un appartamento, che occupava tutta la poppa nord della nave in lungo e in largo. Si componeva di due stanze. Una, la più grande, era decorata in uno stile barocco, molto lussuoso, con tappeti orientali che coprivano interamente il pavimento, diversi mobili dalla fattura pregiata e uno scrittoio piuttosto grande vicino alle finestre di vetro rosso e blu. Al centro del pavimento, da una parte stava il cembalo, che l’uomo amava spesso suonare, soprattutto se era di buonumore. Dall’altra parte, distante, più vicino alle finestre, c’era un lungo tavolo rettangolare, dove Hook si faceva servire quotidianamente i pasti dalla cambusa. Poco distante dal tavolo, infine, c’era una porta che conduceva alla sua camera da letto. Questa era grande e ricca di broccato, che ricopriva le finestre, il grande letto a baldacchino a due piazze, mentre altri tappeti decoravano il pavimento di legno. In entrambe le stanze, poi stavano alcune poltrone, posizionate alla buona, per permettere a Hook di oziare ogni qual volta lo desiderava.

« Prego, capitano, lasciate che vi aiuti a sistemarvi. » Spugna si avvicinò a Hook di spalle e lo aiutò a togliersi la vestaglia. L’uomo rimase a torso nudo, con la cicatrice della sua tremenda ferita perfettamente in mostra. Spugna volò alle spalle della poltrona che sapeva essere la preferita del pirata e lo fece accomodare al meglio.

« Eravamo così in pena per voi, capitano… » raccontò l’ometto « Eravamo completamente persi senza di voi. »

« Lo credo bene! Senza di me non sareste neppure capaci di vestirvi da soli! » Ghignò nuovamente a quella sua battuta di spirito, poi fece segno a Spugna di portargli un bicchiere di moscato. Immediatamente fu servito « E ora, Spugna, vattene da qui. Voglio stare solo. »

« Ma come capitano: non volete sapere le novità accadute in vostra assenza? »

Per averlo contraddetto, Spugna dovette subire un’occhiata gelida, quasi omicida, da parte del suo comandante. Immediatamente si scusò e fece per andarsene.

« No, aspetta » lo fermò Hook poco prima che quello oltrepassasse la soglia della porta. « dimmi che diavolo è successo, ma fai presto maledizione. »

Spugna corse di nuovo da lui, tornando sui suoi passi fino a trovarglisi proprio di fronte. Hook lo guardò con un’espressione impaziente.

« Ecco…sono successe molte cose…. »

« BANDO ALLE CIANCE!! SII RAPIDO » gridò il capitano, versando mezzo bicchiere di moscato sul pavimento, macchiando i suoi preziosi tappeti.

« Pan non si è visto da quando voi siete… scomparso, capitano. C’è chi crede che sia rimasto sulla terra insieme a quella ragazzina, Wendy. »

Gli occhi di Hook brillarono e un ennesimo ghigno gli increspò le labbra. « Molto interessante, Spugna. Davvero molto interessante. » commentò prendendo poi a sorseggiare lentamente il vino che era rimasto nel bicchiere. « Poi? »

« Poi… le sirene dicono che sull’isola dei pirati, c’è un certo movimento… Sembra che molti tra i grandi comandanti della nostra razza abbiano deciso di prendere moglie ».

Hook quasi si strozzò nel sentire quelle parole. « Che cosa? ». Lo aveva quasi gridato. Innanzitutto, che un pirata prendesse moglie era qualcosa di inaudito, perché una delle regole più amate della pirateria era la libertà totale, che comprendeva anche il doversi legare necessariamente ad una sola donna, quando l’isola dei pirati ne annoverava a centinaia tra le sue file. Ma la cosa più terribile, era che quel fatto gli fece tornare alla mente il racconto di Arabelle, il fatto che fosse stata rapita da un pirata perché diventasse la sua donna. Forse c’era qualche collegamento. Sicuramente non poteva trattarsi solo di una coincidenza e quella notizia, forse, lo avrebbe aiutato a ritrovarla.

Perché non c’era cosa che desiderava di più se non ritrovarla.

« Come sarebbe a dire? » chiese ancora.

« È proprio così capitano! » esclamò Spugna « Me ne sono talmente meravigliato che inizialmente ho creduto di non aver sentito bene. E invece…. Era proprio così! »

« E chi diamine sarebbero questi comandanti? » Hook finse indifferenza, ma non gli riuscì più di tanto. Se Spugna fosse stato una persona più perspicace, si sarebbe accorto sicuramente che il suo capitano aveva avuto un sussulto quando aveva aperto l’argomento e che gli occhi gli si erano illuminati non poco per la curiosità ora che poteva conoscere i nomi dei pirati da lui accennati.

Diamine! Pensò Hook Se conoscessi i loro nomi, forse potrei ritrovarla!

Era completamente ossessionato dall’idea di ritrovare Arabelle. Non riusciva a darsi pace. Il cuore gli batteva forsennatamente ogni qual volta ripensava a lei, alla sua bellezza, alla sua fierezza. Lei. Lei che era stata l’unica donna che non aveva avuto paura di lui e che gli aveva concesso di avvicinarsi senza aver prima concordato un pagamento in denaro. Lei che aveva tenuto tra le braccia e che era stata tanto vicina, per poi svanire.

« Bè… » ponderò Spugna « Ci sarebbe Silver, che ha annunciato la sua imminente unione con Jeannette…poi.. »

« Aspetta! » lo fermò Hook, con un’espressione a metà tra il divertito e lo stupito sul volto « Non vorrai dire Jeannette la ragazza che lavora alla taverna del Sole? »

« Si capitano, proprio lei. »

Hook scoppiò in una risata divertita e maligna. Conosceva bene quella ragazza, con la quale aveva trascorso molte notti, impegnandola in lotte corpo a corpo molto piacevoli. Era una ragazza molto graziosa, con lunghi e lisci capelli rossi e gli occhi azzurri, che vantava un corpo dalle forme molto invitanti. Era però una donna molto facile e volgare, cosa che gli rendeva difficile crederla sposata, anche se i matrimoni, secondo la legge dei pirati, duravano solo tre anni.

« Spero che Silver sia preparato condividere sua moglie con la sua ciurma, perché non credo che Jeannette si accontenterà di un uomo solo. » qui rise ancora, probabilmente figurandosi la scena del matrimonio di quella sgualdrina. « Poi?, va avanti » disse al Spugna.

« Poi le sirene hanno detto che Bloody Mark sta per sposare Mary Ford » Hook non conosceva Mary Ford, perciò sentì di non poter commentare quell’unione come aveva fatto con la prima. « Black Jack si è da poco proposta a Sophie Rosseau, poi sembra che stia per sposarsi anche Ardet, capitano. »

Hook non conosceva neppure quella ragazza, ma al sentire nominare Ardet sussultò « Ardet? Ne sei certo? »

« Sissignore, così dicono le sirene. » rispose l’ometto.

Hook conosceva molto bene Ardet, perché era figlio dell’uomo che gli aveva fatto da padre per un certo lasso di tempo, il famoso pirata Morgan. L’unico uomo al mondo che avesse guadagnato un minimo rispetto da parte di Hook.

« Che mi si crepi la consecutio! » esclamò stupito « E chi diavolo vorrebbe sposare Ardet? »

Spugna fece spallucce « Non la conosco, capitano, ma le sirene dicono che si chiama Marie Montcalm. »

Per Diana! Ardet che si sposa: questa sì che è una novità!

« A questo proposito, capitano, » disse ancora Spugna « il capitano Morgan è stato avvertito del vostro imminente ritorno appena abbiamo ricevuto il vostro messaggio »

Non mio razza d’idiota!

« Ha risposto che fra tre giorni verrà a farvi visita insieme a suo figlio. »

« Molto bene! » fece Hook « E poi? »

Spugna sembrò perplesso « Che intendete? »

« Zolfo e bile fiammeggianti! » gridò Hook in preda ad una rabbia improvvisa. « Hai il cervello di un babbuino! » Spugna sussultò per la sopresa e chinò il capo in segno di scusa « Chi altro si sposa? »

« Nessuno, capitano. » Spugna sembrava allibito. In effetti, lo strano comportamento dell’uomo nell’insistere perché gli fossero rivelati gli altri nomi, che poi effettivamente non c’erano, dei prossimi a sposarsi, era dovuto al fatto che sperava con tutto se stesso di sentire nominare Arabelle tra le donna designate dai corsari. Ma non era stato così. Arabelle, che pure era stata molto chiara riguardo a ciò che le era successo, anche se un po’ sintetica, sembrava non essere mai esistita. Eppure non poteva aver fatto molta strada dal castello nero, in poche ore. L’isola era piena di pericoli e la jungla non era facile da attraversare.

« Vattene! » disse Hook a Spugna, mormorando « FUORI!! ». Il povero vecchio pirata si alzò velocemente e corse fuori dalla cabina del comandante, chiudendo piano la porta.

Il cuore di Hook stava facendo capriole nel suo petto. Il sangue ribolliva nelle vene dell’uomo per la disperazione e per la rabbia. Arabelle non c’era, Arabelle era scomparsa. Arabelle. Arabelle. Arabelle. Egli terminò il vino in un solo sorso, poi lanciò il bicchiere verso la parete opposta, frantumando il pregiato cristallo con il quale era stato realizzato.

Perché?Perchè?Perchè dannazione?

Hook non trovava pace. Solo poco tempo prima aveva trovato il messaggio della ragazza e ora gli sembrava ancora tutto tremendamente irreale, tremendamente sbagliato. Arabelle avrebbe dovuto essere con lui, in quella stanza in quel momento, non chissà dove, scomparsa ed introvabile, forse, per lui o per chiunque altro.

E se l’avessero catturata? Per Lucifero! Non può essere, non DEVE essere!!!

La sua mente non trovava tregua in nessun modo. Strinse convulsamente i braccioli della poltrona, ma neppure in quel modo riusciva a distogliere l’attenzione dal ricordo della giovane.

Rimase chiuso nella sua cabina per molte ore. Non accettò che nessuno entrasse nella stanza cos’ come nella sua mente se non il suo ricordo di Arabelle. Un ricordo che era sacro e doloroso per lui. Rifiutò malamente persino il pasto che Spugna gli portò quando arrivò l’ora di pranzo. Non volle vedere nessuno.

Nessuno, infatti, avrebbe dovuto vederlo mentre si affannava pensando ad una ragazza che lo aveva respinto, che però ancora teneva tra le sue mani il suo cuore, avendo la possibilità di cullarlo ed accarezzarlo, oppure di frantumarlo per sempre.

Nessuno avrebbe dovuto vederlo mentre rompeva ogni cosa che gli capitava a tiro.

Nessuno avrebbe dovuto vederlo piangere.

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Capitolo 13
*** Ricordi dolorosi ***


Ricordi dolorosi

Ricordi dolorosi

Quella sera, Hook fu disturbato ulteriormente, nonostante i suoi ordini tassativi perché fosse lasciato solo. Quando sentì bussare alla porta, infatti, non reagì bene.

« Maledizione! Possibile che siate così ottusi da non capire il significato della parola “solo”? » urlò in direzione della porta.

Fu la voce timida di Spugna a rispondere « Capitano, perdonate, ma sono tornati gli uomini. »

In un lampo, Hook si precipitò fuori dalla cabina travolgendo letteralmente il poveretto, che fu costretto a farsi da parte per non cadere a terra. Una volta giunto sul ponte, il capitano si rivolse alla ciurma, spiccio

« Ebbene? »

Fu il Guercio a farsi avanti tra tutti i pirati « Signore, abbiamo perlustrato l’isola in lungo e in largo, ma della ragazza da voi descritta non c’è traccia. »

Hook guardò il pirata con sguardo omicida « Ne siete certi? »

« Si, capitano. »

« DANNAZIONE! » gridò al cielo, facendo sobbalzare Spugna, che gli si trovava accanto « NON è POSSIBILE CHE SIA SCOMPARSA NEL NULLA! »

« Signore… » stavolta si fece avanti Nudler « Io ed il mio gruppo abbiamo trovato questo, vicino alla baia delle sirene ». Detto questo allungò il braccio sinistro verso Hook, porgendogli qualcosa che a prima vista sembrava essere di stoffa. Egli prese in mano quello che gli stavano porgendo e lo esaminò: era il busto di Arabelle. Quello che aveva indosso quando era rimasta accanto a lui quella fatidica notte, mentre lui, in preda al delirio, aveva trovato nella sua vicinanza l’unico contatto con la realtà e con la vita.

« Questo è suo. » disse piano « Ben fatto, Nudler. »

« Signore, » provò a dire Bill Jukes « chi è la ragazza che stiamo cercando? ».

Hook lo fissò malevolo « Lo hai detto Jukes. Solo una ragazza, nulla di più. ».

« Ma allora, » disse un pirata che stava ancora in mezzo agli altri « Se non è nessuno d’importante, non ha senso che ci affanniamo a cercarla. ».

Dopo quella frase calò immediatamente il silenzio tra la ciurma. Infatti, tutti avevano previsto cosa sarebbe accaduto a breve. Hook rimase fermo appena per un momento, poi affidò nelle mani di Spugna il corpetto di Arabelle e si avvicinò a grandi passi all’uomo che aveva osato contraddirlo così nettamente. Negli occhi una sola cosa era visibile: la voglia di uccidere.

Il malcapitato indietreggiò impaurito, essendosi reso conto, troppo tardi, dell’errore che aveva commesso.

« Scusate…io…io…vi prego. » balbettò in preda al terrore. Quando Hook mostrava la parte più pericolosa e spietata di sé, trasformava anche il più coraggioso degli uomini in un agnellino spaurito e tremante.

Si fermò proprio di fronte al pirata. « Bene… » disse, ghignando « Visto che ti sei scusato in tempo, la tua vita sarà risparmiata » sentenziò. Immediatamente il pover’uomo si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Sospiro che ti tramutò in un grido di dolore nel momento in cui Hook gli conficcò l’uncino nella carne del braccio destro, poco sotto la spalla.

« Ho detto che la tua vita sarebbe stata risparmiata, non che non saresti stato punito per la tua insolenza. » il ghigno malefico di Hook si allargò notevolmente, mentre sussurrava quelle parole nell’orecchio del malcapitato. Subito dopo, sfilò l’uncino dal suo braccio e si voltò verso il resto della ciurma. « Se qualcun altro ha delle obiezioni, possiamo discuterne subito… »

A nessuno sfuggì la macabra ironia celata dietro quelle parole. Nessuno, infatti parlò.

« Bene. Vedo che ci siamo capiti, uomini. » Fece Hook, tornando accanto a Spugna e riprendendo in mano il prezioso trofeo che Nudler aveva riportato. « Chi sia quella ragazza o perché io la stia cercando non vi riguarda. Cercate di tenerlo a mente. Ciò che deve importarvi, è che va trovata. Ad ogni costo. Questo significa che domani mattina continuerete le ricerche. Non vi occuperete di altro fino anche quella ragazza non sarà qui, davanti a me. »

« Sissignore! » la risposta fu data da tutti, all’unisono. Hook si ritirò nuovamente nelle sue stanze, dopo aver dato a Spugna delle disposizioni per la cena. Disposizioni che prevedevano di portargliela il più tardi possibile.

Una volta solo, il pirata entrò nella sua stanza da letto e si sedette sul morbido materasso di piume, tenendo in mano il corpetto che sapeva essere di Arabelle. Lo avrebbe riconosciuto tra mille, anche se lo aveva visto per poco tempo in uno stato di confusione totale. Lo tenne in mano, sfiorandolo con estrema delicatezza. Una delicatezza che neppure lui sapeva di possedere. Lo percorse in tutte le sue dimensioni, come a volerne studiare ogni dettaglio, conoscerlo profondamente. Ricordò come quell’indumento aveva aderito così diligentemente alle curve del busto della giovane, disegnando ed avvolgendo ogni sua curva, ogni centimetro di pelle morbida, calda e profumata.

Al ricordo della sua pelle, Hook chiuse gli occhi, contraendo i muscoli della mascella e portò alle narici la stoffa che teneva tra le mani ( naturalmente si intende mano ed uncino ). Inspirò profondamente e, attraverso l’odore d’erba e di umido, cui era sicuramente stato sottoposto l’indumento, sentì l’odore di Arabelle. Subito sentì il suo sangue accendersi di desiderio e bruciare nelle vene come fuoco vivo. Digrignò i denti fino a sentire dolore, rammentando quella giovane creatura che ormai lo teneva in pugno. Perino essendo lontana, continuava a tenerlo in pugno.

Rivide il suo viso, i suoi capelli, che erano morbidi come se fossero stati di velluto, i suoi occhi….

No! I suoi non erano occhi! Pensò Erano molto di più! Erano lo specchio della sua anima, perché nessuna stella avrebbe mai potuto brillare quando quelle iridi marrone scuro.

Rivide il suo sorriso, che lo aveva scaldato sin dalla prima volta che lo aveva visto, le sue labbra. Al ricordo delle sue labbra, che aveva assaporato, un’altra ondata di desiderio lo invase, lasciandolo accaldato e tremante.

E la sua voce… Dio, se avesse potuto esprimere cosa era capace di fargli, quella voce celestiale. Quando l’aveva sentita prima di scoprire che fosse proprio la voce di Arabelle, quel suono l’aveva catturato, poi era stato il segno che gli aveva fatto comprendere che non sarebbe riuscito a fare a meno di lei. Lei che di lì a poco lo avrebbe lasciato per sempre.

No! Che il Diavolo mi porti,non sarà per sempre. Costi quel che costi, non importa quando o dove, né quanti biglietti di addio mi lascerai, io ti ritroverò. Allora mi darai le tue spiegazioni.

Presa quella decisione, Hook continuò a ricordare gli istanti passati con lei, e ogni particolare del suo corpo, del suo carattere, di lei in ogni senso possibile. Per molto tempo toccò con mani riverenti quel corsetto, lo amò perfino, perchè era qualcosa di lei. In verità, era l’unica cosa di lei che gli era rimasta, oltre al ricordo, che però da solo, non riusciva a bastargli.

Perché, Arabelle? Perché mi hai fatto questo? Pensò ormai prossimo alle lacrime. Lacrime che lui versava veramente di rado, dalle quali aveva distillato il suo potente veleno, così potente da uccidere all’istante. Tu mi hai indebolito e rinforzato insieme, mi hai curato le ferite solo per aprirmene una più grande che non posso curare senza il tuo aiuto. Che tu sia dannata Arabelle!!

Qui pianse. Pianse silenziosamente, mentre le lacrime scivolavano lente sul suo volto, inesorabili, bagnando la stoffa dell’indumento intimo che teneva tra le mani.

Se solo potessi odiarti!!

Aveva detto bene. Se solo avesse potuto! Ma non poteva. Per quanto si sforzasse, non ci riusciva. Provava disperazione, tristezza, desolazione e senso di vuoto. Provava anche rabbia, perché lei lo aveva lasciato solo proprio quando lui aveva reso manifesto il suo sentimento, anche se non verbalmente. Provava tutto questo, ma non provava odio nei suoi confronti.

Portò alle labbra l’unico pezzo di lei che aveva per sé e lo sfiorò, lo baciò come se fosse stato la sua ancora di salvezza. Una parte di lui gli dava del pazzo, del folle e del debole, ma lui non dava ascolto a quella parte di sé che si faceva sempre più piccola ed insignificante. Non l’ascoltava più da tempo.

Chi sei tu per avermi fatto questo? A me, Jason Hook, che non conosco sentimenti che non siano odio, rabbia e desiderio di vendetta? A me che ora penso a te come all’aria che respiro, che ti desidero come desidero vivere, come desidero il mare, il cibo, il vino. A me che se non mi sei accanto non trovo più senso neppure alla salute che mi hai restituito. A me che…ti amo.

Finalmente era riuscito ad ammetterlo con se stesso, a dare un senso a quella tortura che lo stava consumando pezzo a pezzo, lentamente. L’amava. Ogni parte di lui l’amava. La desiderava con una forza che mai aveva provato con nessuna delle sue innumerevoli amanti, che pure erano belle, desiderabili, alcune persino donne di una certa levatura. Non era neppure paragonabile ad esso il desiderio che aveva per Arabelle. Lei era più giovane di tutte loro, più bella, più innocente, più pura, eppure così crudele… Il desiderio che aveva di lei era desiderio di averla. Di averla tutta, però, corpo e anima, cuore e mente, di averla con sé sempre e per sempre.

Ripensò a tutti i quarantasette giorni trascorsi al castello. Uno per uno.

Era completamente immerso in quei ricordi, completamente sopraffatto. Non si rese conto del tempo che passava, nemmeno quando il sole era oramai tramontato all’orizzonte, lasciando il posto alla tenebra.

Si risvegliò solo quando sentì Spugna bussare alla porta annunciandogli che la cena era pronta per essere servita.

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Capitolo 14
*** Morgan ***


Morgan

Morgan

Trascorsero due giorni, da quando Hook era tornato sulla Jolly Roger. Due giorni durante i quali il pirata non aveva fatto riposare neppure per un minuto i suoi uomini, impegnandoli giorno e notte nelle ricerche di Arabelle. Essi avevano eseguito senza la minima esitazione i suoi ordini, ma per quanti sforzi facessero, della ragazza, non v’era traccia sull’isola. Cercarono anche in quello che era stato il vecchio nascondiglio di Peter Pan, di cui oramai conoscevano l’ubicazione, ma niente.

In quelle quarantotto ore, Hook non trovò pace neppure per un momento. Neppure per un istante il suo cuore smise di sperare che i suoi uomini l’avrebbero trovata e portata da lui. Ma non era accaduto.

In quelle due notti, egli non riuscì a trovare riposo neppure durante il sonno, che era abitato da una sola immagine: il volto di Arabelle. Esso gli appariva continuamente, facendogli provare brividi e spasmi in tutto il corpo. Non si era mai sentito così al solo pensare ad una donna. Non sapeva come combattere quel morbo che lo stava infettando sempre più, giorno dopo giorno, momento dopo momento. Soprattutto, però la cosa che maggiormente lo spaventava era il non sapere a che punto sarebbero arrivati il suo struggimento e la sua ossessione per lei prima di smettere di aumentare. Ma avrebbero smesso davvero?

Durante la notte, tenne accanto a se il corsetto di Arabelle, stretto tra le braccia quasi fosse stato lei in persona. Ne assaporò innumerevoli volte l’odore, come in preda ad una smania incontrollabile. Ma se la presenza di quella piccola parte di lei gli dava conforto, da una parte, dall’altra lo rendeva ancora più sconsolato, perché accendeva in lui la brama di avere la vera Arabelle con sé.

La particolarità di quella ragazza che tanto lo stupiva era il fatto che, a suo modo, fosse simile a lui. Anche lei, infatti, portava una maschera, spesso. Qualcosa diceva a Hook che quando si mostrava altera e fredda, ella stesse nascondendo sentimenti più grandi della freddezza; sentimenti che non voleva condividere con coloro che le stavano attorno.

E così faceva lui, ora che aveva conosciuto l’amore, anche se ancora non ci aveva fatto i conti completamente. Lui che ricopriva il suo ruolo alla perfezione, ora come era sempre stato, doveva nascondersi ai suoi uomini per non far vedere loro che era diventato debole, vulnerabile, umano, suo malgrado.

Quella mattina, Hook fu svegliato, come al solito, da Spugna, che stava bussando alla porta della cabina.

« Capitano! » chiamò l’ometto « Siete sveglio? »

Hook si alzò a mezzo busto dal letto, stringendo ancora il prezioso corsetto della ragazza « Dannazione! Signor Spugna! »

« Ah, allora siete sveglio capitano! »

« Maledetto topo di sentina! » gridò Hook « Mi avete svegliato voi con le vostre inutili ciance! »

Ci fu un momento di silenzio, come se il pirata aspettasse che gli strepiti del comandante continuassero, professando insulti nei suoi confronti. Quando poi, alcuni secondi dopo continuava ad esserci il silenzio, Spugna proseguì. « Scusate signore, ma dovevo essere certo che foste sveglio. »

« E perché mai? »

« Capitano, » disse esitante « la Fria è in vista! »

La Fria, la nave di Morgan. Hook si rese conto solo in quel momento che erano trascorsi i due giorni antecedenti al suo incontro con il vecchio pirata. Era stato talmente preso dalle sue disperate ricerche della giovane, da dimenticarsi dello scorrere del tempo.

« Che mi si crepi la consecutio! » esclamò, alzandosi dal letto e nascondendo velocemente il corsetto sotto i cuscini « Spugna, entra e aiutami a vestirmi! »

Subito il vecchio entrò negli appartamenti del comandante e lo aiutò ad indossare l’apparecchio per fissare l’uncino. Poi lo aiutò a vestirsi, visto che nella sua condizione, era più probabile che lacerasse il tessuto degli indumenti, piuttosto che lo sistemasse. Dal suo vasto armadio, scelse il completo di velluto rosso, indumento che riservava solo per le occasioni importanti. Effettivamente, rivedere Morgan dopo quasi un anno, per lui era qualcosa di molto vicino ad un’occasione importante. Una volta pronto, andò sul ponte e vide che la Fria si faceva sempre più vicina. Entro pochi minuti, sarebbe stata perfettamente accostata alla Jolly Roger.

« Signor Spugna! » chiamò

L’ometto corse meglio che potè fino ad arrivare al suo fianco « Comandi signor capitano! »

« Qual è l’ora? » Chiese, calmo. Fatto, questo,alquanto strano, visto che Hook aveva sempre avuto uno scarso amore per orologi e tempo, anche prima che la sveglia annunciasse l’arrivo del coccodrillo.

Spugna guardò il suo orologio da taschino « È l’una capitano. »

Hook ghignò « Molto bene. Date disposizione che il pranzo sia preparato e servito il prima possibile nella mia cabina. Ho degli ospiti. ». Detto questo, tornò nelle sue stanza, aspettando che gli fosse annunciato l’imminente sbarco di Morgan. Una volta solo, tentò di accantonare il pensiero di Arabelle, ma gli fu difficile, visto che stava per incontrare un uomo il cui figlio stava per prendere moglie a breve.

Trascorsero i minuti, e finalmente sentì il suono familiare di un’asse che veniva a toccare il legno della sua nave. Quello era il segno che Morgan stava sbarcando. Gli parve di sentire i suoi passi decisi, solo un po’ pesanti per il fatto che il vecchio filibustiere, che tempo prima aveva trascorso alcuni anni sulla Terra, era andato un po’ avanti negli anni.

Una volta certo del fatto che il suo compagno fosse sulla Jolly Roger, Hook uscì dalla sua cabina per andare ad accoglierlo sul ponte, insieme al resto della sua ciurma. Appena uscito, vide che Morgan era lì, al centro del ponte principale della nave. Era un uomo sui cinquant’anni, di altezza media e di corporatura robusta. Aveva corti capelli castano chiaro, lisci e un paio di occhi neri come la pece, che ti trapassavano da parte a parte, se lui voleva scrutare nel profondo della tua anima. Indossava un semplice paio di pantaloni marroni e una camicia bianca sotto un gilet nero, di semplice fattura.

Accanto a lui, Hook distinse la figura di un giovane alto e snello, ben proporzionato e abbastanza muscoloso. Era il figlio di Morgan, Ardet.

Ardet aveva trent’anni, era bello, dai tratti mascolini ben disegnati, la pelle lievemente abbronzata e i capelli biondo chiaro che gli arrivavano poco oltre le spalle in onde appena accennate. I suoi occhi erano gli stessi del padre, neri e profondi, ma meno aggressivi, incorniciati da ciglia lunghe, forse l’unica cosa nella figura del ragazzo che aveva un che di femmineo. La mascella, infine, era incorniciata da una corta barba ben curata che cresceva solo sul mento e un po’ ai lati, senza comprendere le guance o il labbro superiore. Questi indossava un completo di seta nera con stivali alla corsara, sempre neri, che gli arrivavano al ginocchio. Come il padre portava una spada al fianco sinistro.

« Morgan! » esclamò Hook avanzando verso di lui « Che piacere! ». Quando gli fu davanti gli strinse la mano e subito dopo l’avanbraccio, come si usava tra i filibustieri.

Morgan gli rivolse un ghigno che aveva qualche cosa in comune con un normale sorriso « Jason! » disse « Bentornato nel mondo dei vivi » Qui risero entrambi, brevemente. Poi Hook rivolse la sua attenzione al giovane « Ardet! È un onore rivederti qui sulla mia nave. ».

Il giovane si inchinò brevemente, chinando il capo, senza rispondere alle parole del pirata. Per quello che Hook sapeva di lui, non era mai stato molto loquace.

« Appena ci hanno comunicato che eri sopravvissuto, non abbiamo perso tempo. » spiegò Morgan « Siamo subito partiti per venire qui. »

« Lo apprezzo. » disse brevemente Hook. « Venite nei miei appartamenti. Parleremo più tranquilli e mangeremo qualcosa non appena ci porteranno il pranzo. ».

Si diressero tutti e tre nella cabina di Hook, con lui davanti a precederli per mostrare loro la strada. Entrarono e gli ospiti si accomodarono su due poltrone accanto alla vetrata, mentre Hook si sistemò sulla sua preferita, proprio di fronte a loro. Si guardarono per un po’, con uno sguardo che, secondo le norme della spietata pirateria, avrebbe dovuto essere cordiale.

« Allora, Jason » disse Morgan, rompendo il silenzio « ci chiedevamo come hai fatto a sopravvivere, vista la tua terribile disavventura. »

Hook ebbe un tuffo al cuore, ricordando come era sfuggito dalle fauci della bestia. Ma soprattutto ricordando a chi doveva la sua sopravvivenza. Senza Arabelle, infatti, sarebbe morto dissanguato, o a causa di infezioni. Senza le sue cure a poco sarebbe servito l’essere sfuggito al coccodrillo.

« È una storia lunga, Morgan. » disse piano, guardandolo intensamente « lunga e per niente interessante. »

Morgan scoppiò in una risata aspra « A chi vuoi darla a bere, Hook? » gli disse « Non ad un vecchio amico, certo. Diciamo piuttosto che non ne vuoi parlare. » aprì le braccia in segno di impotenza « Lo capisco e rispetto la tua scelta! »

Il capitano della Jolly Roger fissò con sguardo penetrante gli occhi del pirata che aveva di fronte a sé. Era sorpreso di come avesse capito subito; eppure era certo di aver nascosto bene il tremore della sua voce. D’altra parte, Morgan era sempre stato un uomo molto perspicace, capace di cogliere la minima emozione in colui che gli stava di fronte.

« Piuttosto… » continuò quello « Non sei rimasto ferito? »

« Solo un graffio…nulla di grave. » rispose pronto l’altro.

« E come hai fatto a non farlo infettare? » domandò curioso Morgan. Forse un po’ troppo curioso, ma del resto, anche la spiccata curiosità era caratteristica peculiare di Morgan.

Hook spostò lo sguardo da lui al figlio, poi di nuovo a lui « L’ho fasciato subito con un pezzo di stoffa che ho strappato dalla mia camicia. ». Fu certo che la sua spiegazione, falsa come il fatto che il sole sorge ad ovest, fosse risultata convincente.

Morgan ghignò « Davvero? » disse piano « Hai coraggio, Jason. E anche tutta la mia ammirazione. Non deve essere stato facile per te sopravvivere per più di un mese da solo, senza nessuno che ti aiutasse in una situazione simile. ». Si fermò, guardandolo con intensità e l’ombra di un sorriso si dipinse sulle sue labbra sottili. Per un attimo, Hook credette di aver notato una punta di sarcasmo nella voce di Morgan, ma fu solo per un attimo.

« In effetti non è stato facile. » si limitò a commentare.

Morgan sbuffò. « Facile? Per Bacco! Sarà stato un tormento. Devo complimentarmi con te: sei stato magistrale. Non è così Ardet? » Si rivolse al figlio, seduto sull’altra poltrona in un atteggiamento molto rigido.

I giovane guardò Hook con sguardo ambiguo « Magistrale. » mormorò.

Rimasero in silenzio per alcuni istanti, squadrandosi l’un l’altro, anche se amichevolmente. Ardet era fermo, come in attesa di qualcosa, mentre suo padre stava comodamente adagiato sulla poltrona di broccato verde, guardando Hook negli occhi. Hook, da parte sua, ricambiava il suo sguardo, con le sue iridi ghiacciate ed impenetrabili per chiunque. Per chiunque tranne che per Lei.

« Allora! » esclamò Hook, rivolgendosi al giovane biondo « Le sirene dicono che stai per prendere moglie, Ardet. ». Finse indifferenza, con successo, ma dentro il suo petto, il cuore stava martellando furiosamente.

« È così infatti. » confermò quello.

Morgan sorrise rivolto al figlio « Il mio ragazzo! » si sentiva che era orgoglioso di lui « In verità io ero contrario, ma se lui vuole così… che così sia fatto! »

Hook ghignò « In verità ero curioso di sapere come mai. »

Il giovane non sembrava aspettarsi una domanda del genere, perché inarcò un sopracciglio, fissando prima il suo interlocutore, poi suo padre.

Morgan rispose per lui. « È giovane. Quella donna gli piace… sai com’è, no? » ghignò a sua volta in direzione di Hook, che ricambiò la sua espressione malandrina.

« Perché? » chiese poi « Non puoi prendertela senza scomodarti a sposarla? »

« È esattamente quello che gli ho detto io. » disse Morgan prima che Ardet potesse rispondere « Ma lui… credo voglia essere sicuro che questa donna sia solo sua. »

A Hook non restò altro da fare se non annuire freddamente. « Capisco. » sospirò profondamente « Come si chiama? »

« Marie Montcalm » rispose Ardet. Hook ricordò che Spugna gli aveva detto quel nome quando era rimasto a parlare con lui il giorno del suo ritorno. Però da allora lo aveva dimenticato.

« È bella? » continuò a chiedere.

Stavolta fu Morgan a rispondere « Mio figlio ti direbbe di si, ma è solo perché ne è invaghito. » rise piano per un momento « Se vuoi un parere onesto e, soprattutto, disinteressato, è graziosa, ma niente di particolare. Se ne vedono tante come lei in giro. »

Hook rimase impassibile. Pensò a quanto quella descrizione fosse diversa da quella che corrispondeva ad Arabelle, che era bella e preziosa quanto una gemma.

Chissà come mai Ardet ha deciso di legarsi ad una donna simile! Pensò

Forse l’ama!

Non diciamo sciocchezze! L’amore non esiste; è solo una favola per bambini sciocchi come Pan!

Sai benissimo che non è così! Era vero. Lo sapeva bene, ma non riusciva sempre a chiamare amore il sentimento che sentiva per Arabelle. Non ci riusciva perché lui non credeva nell’amore. Non era in grado di provarlo. O meglio, prima di incontrare Lei non era stato mai in grado di provarlo.

« Bene. » disse, cercando di sembrare effettivamente interessato all’evento « In questo caso…Congratulazioni Ardet! ». Non potè fare a meno di ghignare un po’ quando incontrò lo sguardo del giovane, che sembrava a disagio a parlare dell’argomento.

Morgan sbuffò « Congratulazioni? Puah! » sbeffeggiò apertamente « Mio figlio deve essere matto per decidere di prendere moglie. Voglio dire… so che la nostra legge lo permette e che, tre anni non sono poi tanti… ma non vedo che necessità abbia. » Hook rise di gusto alle parole del filibustiere « Una donna che vive con te… che pretenderà la fedeltà, che tu dovrai darle per legge… Per Diana! Altro che congratulazioni! Piuttosto…Condoglianze, figlio! ». Si allungò per dare una pacca sulla spalla destra del giovane, che rimase in silenzio mentre suo padre e Hook ridevano lanciandosi occhiate complici.

A quel punto, Spugna entrò nella cabina per annunciare che il pranzo era pronto. A quelle parole, Morgan si alzò in piedi molto agilmente, con un’espressione compiaciuta sul volto squadrato. Hook diede disposizioni perché il pasto fosse servito e restò a guardare dalla sua poltrona mentre Ardet si alzava anche lui e si andava ad accomodare accanto al padre.

« Tu non vieni, Jason? » lo chiamò Morgan.

Hook si alzò e andò a sedersi a capotavola, ma la sua mente era altrove. Quello era il primo pasto che faceva in compagnia da quando Arabelle lo aveva lasciato solo. Negli ultimi tempi lei era stata solita restargli accanto durante i pasti, a volte anche mangiando insieme a lui. Ora che di nuovo si ritrovava a condividere il cibo, la compagnia gli sembrava così sbagliata!

In breve Spugna, seguito da Nudler, il Fachiro e Bill Jukes, portò sul tavolo un’aragosta superba e del pesce arrostito. Tutto ciò non restò molto tempo intatto, perché Morgan vi si fiondò sopra con un appetito a dir poco sorprendente. Ardet non era da meno, anche se mangiava con più rispetto per la creanza rispetto al padre. L’unico a mantenere un contegno impeccabile era proprio Hook, che sorseggiava del moscato tra un boccone e l’altro.

A fine pasto, Fu servito del rum di prima qualità, poi fu la volta dei sigari. Morgan ne fumò quattro di fila, Ardet solo due, mentre Hook decise che per quella volta si sarebbe astenuto.

Alla fine del quarto sigaro, Morgan si stiracchiò e si rivolse a Hook « Allora, visto che ci siamo rilassati e rifocillati, penso si possa passare alle cose serie. ». In effetti il suo tono era molto, molto serio, senza traccia di sarcasmo o di ambiguità. Hook ne rimase quasi impressionato.

« Parla pure, Morgan. » lo incitò.

« Ebbene… » comiciò quello « da quando tutti ti credevano morto, sono circolate certe voci… » s’interruppe, probabilmente senza sapere come proseguire il racconto, poi prese maggiore coraggio e continuò « Alcuni dei miei uomini hanno sentito, per caso, Silver che parlava con la sua ciurma, all’isola dei pirati. »

« E dunque? » chiese Hook, che fino a quel punto non comprese dove Morgan volesse andare a parare.

« Dunque parlavano di te, Jason » disse « Di te e della Jolly Roger. »

Hook ghignò e ridacchiò, senza scomporsi « Non me ne stupisco. Chi meglio di te può sapere quanto io sia conosciuto, temuto e rispettato nel mondo che non c’è. ».

Morgan, che in una circostanza diversa avrebbe certamente riso della battuta del compagno, rimase serio e impassibile. « Dico sul serio, Jason. Ciò che dici è vero, ma non è questo il punto. »

« E allora qual è, per Diana? » stavolta Hook cominciava ad inquietarsi.

Morgan si sporse sulla poltrona. « Il punto è che Silver Ha deciso di requisire la Jolly Roger. »

Per un momento, calò il silenzio nella stanza, poi Hook rise, piano ma deciso, come se avesse appena sentito la cosa più improbabile del mondo. Morgan e Ardet restarono muti, in attesa che si calmasse.

« Requisire la mia nave? » disse ancora mezzo ridacchiante Hook « E come penserebbero di riuscirci? »

« Attaccandola! »

La risposta di Morgan fu così diretta che Hook smise immediatamente di ridere e lo fissò incredulo, forse finalmente conscio che l’amico stava parlando seriamente.

« Parli sul serio allora! » sussurrò.

« Non sono mai stato così serio in tutta la mia vita! » confermò quello « E bada che Silver ha una nave molto grande e potente. Se volesse, potrebbe attaccarvi e sbaragliarvi senza troppe difficoltà. »

Hook si alzò di scatto, affondando l’uncino nel legno del tavolo « Che ci provi! » gridò « Se solo proverà ad avvicinarsi alla Jolly Roger, giuro su Lucifero che raderò al suolo il suo Ocean e tutta la sua ciurma. »

Morgan rise « Impetuoso come sempre, vedo! »

Hook lo fissò malamente « Lo sono sempre quando vengono messe in ballo le cose che sono di mia proprietà! » sibilò, furioso.

Ardet guardò Hook mentre si ergeva in tutta la sua altezza, con gli occhi fiammeggianti e l’uncino ancora conficcato nel tavolo.

Morgan rimase calmo, facendogli segno di rilassarsi. « Suvvia Jason! Non è il caso di agitarsi…. »

« Perché vuole farmi questo affronto? » chiese, con le narici dilatate per la furia.

Morgan sospirò « Sembra che voglia la Jolly Roger come regalo di nozze per la sua futura sposa…. ».

« CHE COSA????? » Hook grodò talmente forte che il vetro delle finestre della stanza tremò pericolosamente. Ardet sobbalzò. Suo padre, invece, non fece una piega.

« Jason. » gli disse « Almeno ora ne sei a conoscenza e potrai pensare ad un contrattacco. Tutto si risolverà. Poi, non devi temere nulla, perché quando arriverà il momento, la Fria sarà a tua disposizione. »

« Vuoi dire che… » psovò a dire Hook

« Si! » disse Morgan « Voglio dire che ormeggerò la mia nave poco lontano da qui, perciò se mai Silver dovesse decidere di attaccare, troverà due navi da espugnare non una. ».

Hook si sentì un po’ più calmo a quelle parole. Se la Fria e la Jolly Roger Erano insieme, Silver avrebbe potuto anche scordarsi del suo regalo di nozze per quella sgualdrina di Annette. In pochi minuti, riuscì a calmarsi.

« Ti ringrazio, Morgan. Lo apprezzo molto »

Il vecchio pirata fece un gesto per liquidare la cosa « Non dirlo neppure. Conoscevo tuo padre Jason, quando infestavamo le acque della Giamaica prima che lui fosse portato qui. Il minimo che possa fare per onorare la sua memoria è aiutare suo figlio quando ne ha bisogno. ».

Hook annuì in segno di comprensione, poi vide Morgan alzarsi, seguito dal figlio.

« Ora è tempo di tornare alla mia Fria. » disse il vecchio.

Hook si alzò a sua volta e li accompagnò alla porta della cabina. « È stato un piacere rivederti, Morgan. » poi si rivolse ad Ardet « Ardet, ancora congratulazioni. »

Il giovane ricambiò il saluto con un cenno del capo, poi seguì suo padre in direzione del ponte. Qui si salutarono un’ultima volta secondo le usanze, cioè stringendosi di nuovo la mano e poi l’avambraccio, poi entrambi gli ospiti tornarono sulla loro nave, ancora legata alla Jolly Roger per mezzo della passerella.

Rimasto solo, Hook tornò nella sua cabina, fissando il mare, con in testa una sola domanda: Dove sei, Arabelle? Non sopportava l’idea che fosse lontana, di non sapere che cosa le stava accadendo. Si sentiva impazzire. Da quando aveva ceduto ai propri sentimenti, essi gli erano piombati addosso come avvolgendolo in una morsa. Erano diventati forti e potenti come mai avrebbe creduto, diventando una vera ossessione.

Non riusciva a comprendere: tutte le volte che aveva desiderato baciare una donna, aveva trovato il modo di farlo e il suo desiderio era stato soddisfatto, senza ripresentarsi. Perché la voglia che aveva avuto di baciare Arabelle non era cessata né diminuita quando l’aveva fatto? Essa era aumentata, obbligandolo a rivolgere il pensiero alle labbra di lei per ogni secondo, fino a consumarlo.

Tornò dopo poco nella sua camera da letto e riprese tra le mani il corsetto della ragazza, amandolo di nuovo, annusandolo ed accarezzandolo. Ancora si perse nel mare dei ricordi e ancora si chiese quando tutto quel dolore sarebbe finito.

Ogni cosa che gli accadeva, ogni parola che pronunciava glie la riportava in mente, più forte che mai. E in quel caso, per combattere il suo nemico, non sarebbe servito quanto affilato fosse il suo uncino, o la lama della sua spada.

Cosa si fa quando il nemico da combattere è il proprio cuore?


Volevo ringraziare di cuore i miei lettori, che, vedo, continuano a lasciarmi i loro commenti. Un grazie quindi a Thiliol ad aya chan e ad Elentari. Spero vivamente che continuerete a leggere i miei lavori e a commentarli. Elentari ha già scoperto e letto la mia nuova ff, sempre su peter pan. Si intitola Perdono…se vi capita…leggetela e ditemi che ne pensate. Baci a tutti.

P.S. Vorrei mandare un saluto anche a Guido. Ho visto che questa storia è inserita tra i tuoi preferiti, ma non ma hai mai lasciato un commento. Mi piacerebbe, per una volta, sentire quello che pensi.

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Capitolo 15
*** Tormento ***


Tormento

Tormento

I giorni passarono. Eccome se passarono. Hook quasi non se ne accorse, ma trascorse un mese da quando Arabelle era scomparsa senza una parola. Ma se era scomparsa dalla sua vita, non era però scomparsa dal suo cuore. Non ci sono altre parole per descrivere cosa il pirata aveva provato durante quei tremendi trenta giorni. Niente se non parole già dette, lacrime già versate e asciugate.

Il corsetto della ragazza aveva sempre il suo posto, accanto a Hook durante la notte o tra le sue mani se sentiva il bisogno di consolarsi. Ma più di tanto non poteva fare quel piccolo pezzo di stoffa e stecche di balena. Non poteva certo soddisfare i bisogni dell’anima e della carne quanto avrebbe dovuto fare Arabelle in persona. No. Quello avrebbe dovuto essere compito suo. Suo, suo e solamente suo. Perché Hook non voleva nessun’altra. Non riusciva pensare a nessun’altra come riusciva a pensare a lei. Era stregato, ipnotizzato, completamente preso.

Era la notte del 26 aprile, in quell’isola che conosceva solo la primavera e l’estate, che si alternavano senza lasciare posto ai mesi invernali, anche se essi comparivano normalmente. Hook era disteso nel suo letto, ma non dormiva. Era, piuttosto, in uno stato di dormiveglia, che lo intorpidiva e lo faceva stare un po’ qui, un po’ lì. Per tutta la notte l’aveva sognata, e ora stava nel letto, stanco, stremato dai suoi stessi ricordi, aspettando un segno che qualcosa era cambiato. Perché qualcosa doveva cambiare!

Poi, all’improvviso, il delirio, la speranza….

When I saw you I was stunned, afraid

Because you were all I wanted and all I was scared of

Then I knew you and my soul began to be yours.

Si alzò immediatamente, di scatto, non appena sentì quelle parole echeggiare nell’aria, poco lontane.

« Arabelle!! » chiamò, disperato « Arabelle dove sei? » cominciò ad aggirarsi nella stanza, in cerca di un segno della sua vicinanza, almeno del fatto che fosse tangibile, reale. Non stava sognando, di questo ne era certo.

Poi, improvvisamente, appena ebbe recuperata tutta la lucidità che normalmente si perde nel sonno, si rese conto di un piccolo particolare che non aveva notato. Quella era la voce di Arabelle, ma non vibrava più degli accenti passionali e celestiali che tanto l’avevano conquistato.

Tuttavia, continuò a seguire quel suono che lo attirava come se fosse stato in trance. Completamente rapito da una canzone che aveva udito una sola volta, ma che conosceva così bene….

What should I do now?

Have I to love you? To kill you?

I’d kill you if this could be the way

The way to set me free.

La voce continuava a cantare senza fermarsi. Hook era fuori di sé oramai. Aveva passato troppe notti a sperare che la ragazza tornasse in qualche modo da lui, che almeno gli spiegasse perché l’aveva lasciato da solo, in preda alla malinconia, quando aveva detto che lo avrebbe seguito sulla sua nave.

« Arabelle!! » continuò a chiamarla, ma lei niente. Si mosse in direzione della finestra, notando che lì il suono si faceva più chiaro, più nitido. Con il cuore che batteva furiosamente, aprì la finestra e si affacciò, svegliando gran parte della ciurma, che oramai cominciava a domandarsi il perché degli strani comportamenti notturni del comandante. Egli, infatti, spesso la notte gridava il nome della giovane durante il sonno.

« Arabelle! » gridò, stavolta con rabbia, perché lei era lì da qualche parte e cantava, ma non gli rispondeva.

Quando abbassò lo sguardo sul mare, però, si accorse di qualcosa che per poco non gli fece perdere i sensi per la delusione: proprio sotto la sua nave, c’era un gruppetto di cinque sirene, quelle creature infernali e malvagie nella loro ambiguità. Erano loro a cantare. Lo seppe per certo perché vide che due di loro ancora intonavano la canzone.

« No! » disse molto piano, guardandole lì, che lo prendevano in giro, imitando la voce di Arabelle per illuderlo con la credenza che lei fosse lì davvero.

« No, no,no,no NOOOOOOOOOOOOO!!!! » ripetè, accrescendo sempre di più il tono di voce, fino a gridare alla notte.

« Maledette! » urlò alle sirene, che continuarono a guardarlo dal basso, ridacchiando e cantando ancora « Maledette creature! Perché vi prendete gioco di me? »

Seguì un altro coro di risatine infantili e irritanti, che erano più dolorose di una ferita aperta per lui, in quel momento. Infine, una sirena si fece avanti rispetto alle altre. Aveva lunghi capelli rosso fuoco e un viso attraente, ma Hook sapeva che quella bellezza era solo apparente, giacchè avevano tutte le mani simili ad artigli palmati e un corpo squamoso e orribile.

« Sigd vatelfg Hok!!! »

Disse questo diretta al pirata, mentre le sue compagne ridevano dietro di lei, sentendo le sue parole.

« Sigd vatelfg Hok » ripetè. Hook sapeva benissimo cosa stava dicendo, perché conosceva la lingua delle sirene, ottime informatrici, se e quando lo volevano. LO stavano canzonando, prendendo in giro senza pietà. Stavano dicendo “ Hook prova amore ”.

« Maledette! Maledette! » disse ancora il pirata. L’odio con cui le guardò in quel momento sarebbe stato sufficiente a spaventarle, se non fosse stato mescolato anche ad una grande disperazione che non si riusciva a nascondere.

« Dillo! Dillo! » lo incalzò la sirena dai capelli rossi, nella sua lingua.

Hook si sporse maggiormente dalla finestra « Fingd fers sigd lot ».

Sibilò quelle parole nella lingua di quelle creature con impeto tale da dover stringere i denti, per impedirsi di gridarle. Le sirene risero ancora e dopo un momento, scapparono via, scomparendo tra i neri flutti del mare.

Hook richiuse la finestra e tornò nella sua stanza, sedendosi sul letto e affondando le mani nei capelli. Strinse i denti per impedirsi di singhiozzare come una femminuccia, cosa che però aveva fatto già molte volte dal suo ritorno alla nave.

“ Se l’amore è l’inferno, è lì che sono ”. Era questo che aveva risposto alle provocazioni delle sirene, che lo avevano preso in giro un’ultima volta prima di fuggire. Lo pensava davvero: il suo era un inferno personale, privato da cui nessuno avrebbe potuto tirarlo fuori. Nessuno tranne Arabelle.

No, per Lucifero! Si disse in quel momento. Arabelle non c’è più. È il momento di mettere fine a questo tormento.

Rimase sveglio a pensare per quasi mezz’ora, poi si distese, imponendosi di non toccare il corsetto della ragazza e deciso a trovare una soluzione rapida per liberarsi di quella sua ossessione.


La mattina dopo, Il pirata si svegliò presto, sempre più deciso a fare ciò che si era prefissato. Non appena fu certo di essere lucido, mandò a chiamare Spugna e si fece servire la colazione. Mentre l’ometto gli riempiva il piatto di aringhe affumicate, Hook si fece più serio.

« Spugna… » disse deciso « Quando avrò terminato di mangiare porterai da me Nudler, poi mi aiuterai a radermi. Chiaro? »

« Signorsì comandante! » disse semplicemente quello. In verità, il vecchio si chiese cosa avesse in mente il capitano, per svegliarsi ad un’ora tanto lesta per lui e per chiedere di qualcuno, soprattutto.

In pochi minuti, Hook si saziò di aringhe e di moscato, che da sempre gli facevano da primo pasto della giornata. Fece segno a Spugna di andare a chiamare l’uomo che aveva chiesto ed attese. Dovette aspettare poco, perché Nudler giunse con una rapidità impressionante persino per coloro che lavoravano sotto la bandiera di Jason Hook.

« Mi avete mandato a chiamare capitano? » Chiese quello appena entrato negli alloggi del suo superiore.

« Si, Nudler. » rispose affabile Hook « Ho bisogno dei tuoi servigi. »

Il pirata annuì prontamente « Ai vostri ordini signore! »

« Bene! Dai disposizioni perché si faccia vela verso l’isola dei pirati. » Disse il capitano « Il vento è a favore? »

« Signorsì capitano. Soffia anche notevolmente »

A quella risposta Hook ghignò: se il vento era a loro favore, sarebbero arrivati prima del calar del sole. Infatti, quell’isola non era distante come si poteva credere dal momento che non era visibile dalla loro postazione all’isola che non c’è. Era anche piuttosto piccola, covo di pirati per brevi lassi di tempo e miglior lido di belle donne, rum e musica.

« Allora non perdete tempo! »

Nudler fece per congedarsi, ma venne fermato appena in tempo « Un’ultima cosa Nudler. » disse Hook con un tono stranamente affabile « Una volta arrivati ho in programma di passare la serata in piacevole compagnia; questo significa che, come sempre, dovrai essere tu a procurarmi la ragazza e a condurla qui. »

Il pirata fece spallucce e annuì « Come volete, signore. »

« Stavolta però, ho degli ordini precisi » continuò Hook, pensando intensamente e guardando il suo secondo sovrintendente « La voglio giovane, con gli occhi e i capelli scuri. Mi sono spiegato? E bada che non sia troppo in carne. »

Nudler rimase un po’ interdetto. Solitamente, quando il capitano aveva in programma una serata all’insegna di quel genere di divertimento, chiedeva che gli fossero portate giovani donne dai capelli biondi o rossi e molto formose. Si chiese dunque che cosa poteva aver determinato quel cambiamento repentino nei gusti dell’uomo. Ad ogni modo, esattamente come spesso Hook in persona definiva i suoi uomini, Nudler era “un povero idiota”, che non vantava grande perspicacia ed era anche molto attento a non ficcare troppo il naso negli affari altrui. Specie se erano gli affari del capitano.

« Come volete. »

Hook ghignò ancora « Molto bene. Ora vai e fai ciò che ti ho detto! ».

Ritenendosi ufficialmente congedato, Nudler uscì dalla cabina di Hook, cominciando a riferire alla ciurma gli ordini ricevuti. Poco dopo la sua scomparsa dalla stanza, Spugna ricomparve alla vista di Hook, con rasoio in mano e bende calde. In breve il vecchio ebbe rasato ad arte il volto del comandante, tralasciando i baffi ed il pizzetto che tanto amava. Aveva una ricrescita di soli due giorni, ma quando si trattava di avere a che fare con un’amante, Hook era molti scrupoloso. Non fosse altro per il fatto che doveva soppesare al ribrezzo che il suo braccio mutilato causava nelle donne.

Ma non a tutte! Pensò Hook Arabelle non ha mai mostrato di provare discusto per la mia ferita. Scacciò presto quel pensiero. Si era ripromesso di non pensare alla ragazza per tutta la giornata. Poi, se il suo piano fosse andato a buon fine, sarebbe riuscito per sempre a cancellarla dalla sua vita e dal suo cuore.

Mentre Spugna andava via, avendo terminato il suo compito, Hook poteva sentire la nave che aveva preso velocità. Ci sarebbe davvero voluto un tempo relativamente breve per giungere alla meta designata. Sospirò profondamente, concentrandosi su qualcosa che non fosse Arabelle. Quando credette di aver sufficientemente accantonato il ricordo di lei, si alzò dalla poltrona dove era stato seduto fino a poco prima e si diresse nella sua stanza. Prese una vestaglia di seta rossa e nera con disegni orientali e, non senza difficoltà, la indossò. Si guardò allo specchio, ritenendosi soddisfatto della propria immagine. Era affascinante, con i pantaloni di pelle nera aderenti e il torso nudo fino a sotto l’ombelico, che era incorniciato dalla lunga vestaglia lasciata aperta. I muscoli che aveva conquistato sin dalla giovane età, prima di giungere in quel luogo, erano sempre evidenti e sopiti sotto le membra forti e robuste. Il volto aristocratico e altero era ben disegnato, attraente. Si potevano notare solo quei pochi segni d’espressione attorno agli occhi, ma nessuno pareva averci mai fatto caso. Gli occhi, poi, chiari e freddi come un mattino d’inverno, erano come al solito distaccati, sprezzanti.

Complessivamente la sua figura era molto affascinante, in ogni particolare che andasse dai lunghi capelli quasi ricci, tanto erano ondulati al collo virile e ben piazzato tra le spalle ampie, o in qualunque centimetro del suo corpo.

Si sta avvicinando il momento della verità! E per Diana, deve essere come spero, altrimenti la mia sarà finita.

Intanto la nave avanzava, avanzava sempre più. Lui si sdraiò sul letto, pregustando con sguardo sognante ciò che sarebbe accaduto si lì a poco.

Non trascorsero neppure due ore quando Spugna bussò alla porta della cabina per informarlo che erano arrivati a destinazione. Hook se ne compiacque, perché era molto ansioso di scoprire ciò che si era prefissato. Cosa fosse, poi, non lo sapeva nessuno.

Dalla sua cabina sentì la ciurma darsi da fare per gettale l’ancora e per mettere in mare una scialuppa. Scialuppa sulla quale, presto, Nudler avrebbe condotto sulla Jolly Roger la ragazza che aveva richiesto.

Così fu. Un’ora dopo, Hook sentì che la scialuppa veniva issata di nuovo sul vascello, e poi udì anche i passi che sapeva di Nudler avvicinarsi ai suoi appartamenti, seguiti da altri passi più leggeri.

Non era mai stato nervoso prima di un incontro combinato di quel genere, ma ora sentiva che il suo cuore batteva un po’ più forte del normale. Sapeva che quello sarebbe stato un momento cruciale.

« Capitano Hook! » Nudler bussò rispettosamente alla porta « È permesso? »

Hook deglutì « Vieni avanti, Nudler! »

Il pirata entrò, facendo segno alla persona che lo seguiva di entrare anche lei al suo seguito. « Vi ho portato la ragazza che avete chiesto. Rimase fermo ed attese, come sempre che il capitano gli dicesse se era soddisfatto o meno. Nel frattempo si era fatta avanti una giovane donna che doveva avere venticinque o ventisei anni. Era piuttosto alta, snella e ben fatta, anche se sembrava avere un po’ troppo poco seno e la vita non proprio sottilissima. Aveva la pelle lievemente abbronzata, con qualche lentiggine sul naso piccolo e all’insù. Il volto era ovale, un po’ paffutello sulle guance e gli occhi nocciola incorniciati da lunghe ciglia. I capelli erano lunghi e lisci, castano scuro, un po’ arruffati e lasciati liberi sulle spalle.

Indossava un semplice vestito color crema, molto scollato, il che enfatizzava il fatto che fosse molto poco dotata. Il suo sguardo era sereno, segno che quella non era la sua prima volta. Del resto, le amanti di Hook erano sempre state esperte. Nonostante sembrasse serena, però, c’era qualcosa nei suoi occhi che esprimeva qualcosa di strano. Hook riconobbe quel sentimento: la giovane era intimorita perché evidentemente mai si era trovata a così poca distanza da lui, che aveva la peggior fama tra tutti i pirati del mondo che non c’è.

« Ben fatto, Nudler! » disse serio, senza guardarlo. « Ora sparisci, non voglio essere disturbato ». Proprio come lui aveva detto, Nudler scomparve quasi senza fare rumore, lasciando la ragazza nelle mani del capitano.

Hook si andò a distendere a mezzo busto sul letto, squadrando la ragazza.

La somiglianza è buona. Non quanto avrei voluto, ma è qualcosa, forse anche abbastanza. Pensò guardandola con occhio critico.

« Avvicinati, ragazza! » le disse, cercando di non apparire troppo sgarbato. Lei obbedì immediatamente, arrivando ad essergli proprio di fronte. Nei suoi movimenti c’era molta provocazione, segno che sapeva esattamente cosa doveva fare e che era perfettamente in grado di portarlo a termine.

« Più vicina » le disse, alzandosi a sedere. Lei gli si mise praticamente in braccio. Poiché Hook era notevolmente più alto di lei, i loro volti erano quasi alla stessa altezza. « Il tuo nome. »

« Margaret. » rispose quella, schiudendo le belle labbra. Hook guardò mentre quella bocca voluttuosa mentre articolava la parola appena udita e desiderò baciarla. Senza troppi complimenti, come aveva sempre fatto in quelle occasioni, prese ciò che volle.

Le afferrò saldamente la nuca e portò il volto di lei vicinissimo al suo. Con rapidità forzò la bocca di lei a schiudersi e a consentirgli l’accesso. Margaret, naturalmente, non oppose resistenza e baciò il pirata infilandogli la lingua in bocca e lasciando che lui assaporasse la sua. Dopo qualche secondo, Hook smise di baciarla. Aveva un buon sapore ed era desiderabile, ma qualcosa non era come avrebbe dovuto essere. Infatti, tempo prima, sarebbe bastata la vista di quella giovane a scatenare in lui il desiderio, mentre dopo un bacio caldo come quello, la voglia di possederla sarebbe divenuta irrefrenabile. Stavolta, invece, a vederla, non aveva avuto nessuna reazione, e neppure dopo averla baciata.

Ad ogni modo continuò quel gioco. Le slacciò i primi bottoni del corpetto, per poi lasciare che lei finisse l’opera. Quando i suoi seni furono liberi anche da quella poca biancheria che portava, Hook vi immerse il volto, baciandoli e mordendoli con però meno foga di quanta avrebbe dovuto avere. La carne della donna era profumata e tiepida, molto invitante, anche se i seni erano piccoli, ma non gli faceva alcun effetto.

Maledizione!!! Esclamò Hook nella sua mente.

Margaret prese ad accarezzare sensualmente i capelli dell’uomo, mentre lui continuava a baciarle il seno. Dopo un po’, Hook gettò la ragazza riversa sul letto, liberandosi poi della vestaglia, che costituiva un intralcio a quel punto. Margaret mugolò di piacere quando lui si chinò su di lei, riprendendo a baciarla e percorrendole il busto con l’unica mano che aveva. La denudò rapidamente e alla vista del giovane corpo nudo sotto di lui, finalmente vide qualche risultato. Sentì che dentro i pantaloni qualcosa si tendeva e avvertì una lieve fitta di piacere. Troppo lieve però! Margaret aveva intanto cominciato a sbottonargli i pantaloni, gemendo ad ogni suo tocco, in attesa.

Proprio quando Hook stava per prendere posizione tra le gambe di lei, però, accadde qualcosa. Non solo la sua erezione si mostrò troppo debole per poter proseguire nell’opera da lui cominciata, ma vide qualcosa che non avrebbe dovuto vedere in quel frangente. Vide Arabelle nella sua mente. Semplice, triste, seria, inafferrabile, che lo guardava delusa. I suoi occhi lo fissavano accusatori, come per dirgli che l’aveva tradita.

Provò a scacciare quel pensiero e per un momento ci riuscì, tornando a dedicarsi a Margaret. Poco dopo, però, il volto estatico della giovane prostituta sotto di lui si fuse ai suoi occhi con quello di Arabelle. In quel momento, il pirata ebbe una duplice reazione: da una parte, la sua eccitazione aumentò notevolmente, dall’altra provò repulsione per la donna sotto di lui non appena si rese conto che non era quella che avrebbe voluto.

In quel momento, proprio quando Margaret stava per portare le mani al suo inguine, Hook si scostò bruscamente da lei.

« DANNAZIONE!!! » gridò con tutto il fiato che aveva. Margaret si alzò a mezzo busto, confusa, sorpresa da quella reazione inaspettata. Hook la guardò un’altra volta, ma di nuovo il volto di Arabelle, desolato, si sovrappose al suo, facendolo sentire sporco, in colpa per quello che stava per accadere e che, senza l’intervento del ricordo di lei, forse alla fine sarebbe accaduto.

« Signore…» provò a dire Margaret « Va tutto bene? »

Hook la fissò con odio « Vattene. »

« Non capsco…io… »

« FUORI DI QUI!!! » l’urlo che emise fece tremare le pareti della Jolly Roger, mentre Margaret, confusa sempre di più e anche spaventata, raccolse i suoi vestiti e si rivestì in fretta nella stanza accanto, prima di correre via.

Hook si riallacciò i pantaloni mezzi aperti e poi cominciò a colpire ogni oggetto che gli capitava sottomano, scaraventandolo contro le pareti o sul pavimento.

« Maledetta Arabelle! » gridò. Nella sua voce, però, si udivano più le lacrime trattenute, che l’odio. « Che cosa mi hai fatto? » continuò a strepitare, disperato. Infatti, quello che si era prefissato di scoprire, era se sarebbe stato capace o meno di continuare la sua vita come l’aveva sempre concepita. Voleva sapere se sarebbe stato in grado di giacere ancora con una donna.

Quello che aveva scoperto, però, era che non era più neppure in grado di desiderare, soltanto, una donna. Ad eccezione di Lei. Non era riuscito a trovare la voglia di possedere Margaret, perché aveva in testa Arabelle. Lei era presente in ogni fibra del suo corpo, nel suo cuore, nella sua testa. Era persino nel suo sangue, che ribolliva ogni volta che pensava a quando l’aveva baciata, trasformandosi in piombo fuso.

Quando ebbe rotto quasi ogni oggetto fragile presente nella stanza, si accasciò sul letto dove poco prima stava per possedere una bagascia qualsiasi. Pensò alla ragazza con tutto se stesso, quasi che così facendo potesse farla apparire davanti a sé. Vide il suo volto, le sue labbra, il suo corpo perfetto e giovane che non poteva neppure essere paragonato a quello della donna che era appena uscita dalla sua cabina. In verità, aveva chiesto che fosse bruna proprio per comprendere se il suo desiderio per Arabelle poteva essere estinto con una somiglianza. Ebbene, non poteva.

Lacrime silenziose gli uscirono dagli occhi per cadere a terra o sul petto ancora nudo. La visione di Hook in quello stato era qualcosa di assurdo, impossibile. Quell’uomo così fiero, crudele, spietato e potente, che non aveva mai avuto bisogno di nessuno, piangeva lacrime di sangue per una ragazza che lo aveva salvato e abbandonato con la stessa rapidità con cui il mare cambia le sue correnti. Quel corpo tanto imponente e affascinante era piegato su se stesso, quasi a voler cercare consolazione nel suo interno.

Chi, tra quelli che conoscevano il capitano Jason Hook avrebbe mai potuto dire che lui e quello accasciato sulle lenzuola di seta fossero la stessa persona?

Dopo un po’, cercò di darsi un contegno e chiamò Nudler.

« Si, signore? »

Hook sospirò profondamente « La ragazza è andata via? »

« Si, capitano. »

« Allora scendete a terra e provvedete che sia pagata. » c’era rabbia nelle sue parole « E ora fuori!!! FUORI!!! ». Nudler corse via per non dover essere colpito da una bottiglia vuota di moscato.

« Lucifero! Cosa vuoi da me? » disse guardando i pezzi di vetro e di coccio rotti sul pavimento della stanza « Perché mi hai mandato quell’angelo, che mi perseguita come un demone, con le sue atroci tentazioni? Se vuoi che vada all’inferno, ebbene sia, ma fa che lei ritorni da me! »

Corse a prendere il corsetto della ragazza e lo strinse , portandolo alle labbra « Ti prego…. Ti prego…. » mormorò, pensando alla ragazza e sperando con tutto se stesso che potesse sentirlo. Era oltremodo buffo che un uomo di trentasette anni, affascinante e della sua risma dovesse implorare per chiedere qualcosa. Purtroppo, però, quel qualcosa era l’unica nel mondo che non c’è che Hook non avrebbe potuto avere con la forza, con il denaro o con il ricatto.

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Capitolo 16
*** Elfi su un mercantile ***


Elfi su un mercantile

Elfi su un mercantile

« Signor Spugna! Gli uomini sono tornati a bordo? » Chiese Hook quella sera al suo fedele primo ufficiale. Aveva infatti dato loro qualche ora di svago da spendere sull’isola dei pirati prima di tornare presso i lidi a loro familiari.

« Si capitano, tutti. »

« Bene, allora diamoci da fare. » disse « Salpiamo! »

Spugna annuì e cominciò subito a darsi da fare per eseguire l’ordine il prima possibile. Hook rimase sul ponte, a contemplare il mare. Era così calmo, così immenso e bello, illuminato dai raggi rosso fuoco del sole che tramontava all’orizzonte. Ma anche il mare cominciava a perdere attrattiva ai suoi occhi oramai. Era troppo consumato dall’attesa e dal rimorso. Sapeva che avrebbe dovuto reagire in qualche modo, ma non trovava occasione.

Si diresse verso il ponte secondario, dove si trovava il timone, e scansò l’uomo che lo stava governando. Voleva dirigere lui la sua nave. Sapeva che almeno in quel modo sarebbe riuscito a distrarsi.

Governò la Jolly Roger per diverso tempo. Fu costretto a farsi dare il cambio quando, a notte inoltrata, cominciò a sentire che il sonno si faceva strada in lui. O era la troppa melanconia?

« Avvertitemi quando saremo arrivati! » disse semplicemente a Bill Jukes prima di ritirarsi nella sua cabina. Accese tutte le candele che aveva per cercare di far luce. Non sentiva troppo sonno in verità, ma desiderava oltremodo lo stare solo. La solitudine era il suo unico rifugio quando sentiva che i sentimenti gli piombavano addosso. Non doveva assolutamente farsi vedere da anima viva in quelle condizioni. Si sentiva un cucciolo spaurito, una donnicciola a comportarsi in quella maniera, ma non poteva fare altrimenti. La sua volontà aveva ben poca autorità in merito. Qualche tempo dopo, finalmente, spense le candele e andò a coricarsi.

Qualche ora dopo fu svegliato nuovamente da un suono troppo familiare. Una voce cantava nell’aria, poco distante da lui. Hook si alzò a mezzo busto, domandandosi quanto il suo cuore avrebbe retto in circostanze come quelle. Era certo che non avrebbe potuto sopportare quella tortura ancora per molto. E ora poi anche le sirene avevano deciso di aggravare le sue pene.

Si alzò e andò alla finestra. Senza neppure aprirla, le vide, insieme, che ridacchiavano mentre due di loro cantavano in coro imitando la voce di Arabelle perfettamente. Erano così crudeli a torturarlo così! Ma le sirene, si sapeva, erano esseri oscuri, inclassificabili per quanto riguardava la loro indole.

Rimase fermo a fissarle finchè non se ne andarono. Fu allora che, proprio mentre stava per tornare a distendersi, Spugna entrò di corsa nei suoi appartamenti.

« Perdonate capitano! » disse, con il respiro affannato e tenendosi una mano sul petto, come a voler calmare il battito cardiaco. « Abbiamo avvistato una nave. ».

Gli occhi di Hook, nonostante l’oscurità, brillarono di una luce malvagia, mentre guardavano l’ometto. « Dove? »

« A poca distanza da noi, signore. » spiegò Spugna « Sembra che sia un mercantile. »

Hook ghignò « Un mercantile? »

« Sissignore! » confermò l’altro « Un mercantile elfico a quanto abbiamo potuto vedere. »

« Che mi si crepi la consecutio! » esclamò il pirata « Un mercantile di elfi! La fortuna comincia a girare di nuovo a mio favore! » stava parlando piano, quasi un sussurro. Spugna infatti, non udì le sue parole.

« Do ordine di avvicinarci, capitano? »

Hook si sistemò l’uncino al meglio « Zolfo e bile fiammeggianti! Signor Spugna, dite agli uomini che si preparino all’arrembaggio. »

Spugna non se lo fece ripetere due volte e si affacciò alla soglia della cabina del comandante « Sentito uomini? All’arrembaggio!! ».

A quell’esclamazione seguì un coro di grida entusiaste: era da quando Pan aveva iniziato la sua faida mortale con il loro capitano che non attaccavano una nave.

Hook andò subito nella sua cabina a prepararsi. Infilò rapidamente una camicia nera e si allacciò la sua spada al fianco, seguita da due pistole cariche. In ultimo affilò l’uncino, che brillò nell’oscurità della stanza. Fatto questo si precipitò sul ponte, dove tutti gli uomini erano pronti, in posizione d’attacco, con le spade e le pistole in pugno.

« Spegnete le lanterne. » ordinò secco « Se siamo fortunati non ci hanno ancora visto. » Immediatamente la nave fu avvolta dall’oscurità. A vele spiegate, la Jolly Roger avanzava inesorabile verso il mercantile, potendo contare su maggiore leggerezza e velocità. Hook era concentrato sull’obiettivo. Lo fissava senza togliergli gli occhi di dosso, inchiodandolo con il suo sguardo penetrante.

Anche in quella situazione, seppure per poco, il suo pensiero si rivolse ad Arabelle. Anche in quella circostanza non riusciva a distrarsi completamente dall’immagine di lei.

« Le previsioni? » domandò al Guercio, che era il più vicino a lui.

« Contiamo di riuscire a fiancheggiare la nave tra meno di mezz’ora, capitano. »

Hook ghignò così crudelmente che il pirata che gli aveva risposto fece alcuni passi indietro per distanziarsi da lui. Quando il capitano era in quelle condizioni, ci si poteva aspettare qualunque reazione da lui.

« E allora aspettiamo uomini! » esclamò, generando un’altra ovazione « Se davvero si tratta di elfi, ricaveremo un bottino considerevole! ». Effettivamente, il popolo degli elfi era famoso per i suoi tesori e per la sua bravura nella lavorazione di gemme e di qualunque genere di metallo, specie se prezioso. Se fossero riusciti a conquistare il vascello mercantile, ne avrebbero ottenuto grande ricchezza.

I minuti passarono, e la Jolly Roger si faceva sempre più vicina alla nave. Hook e i suoi uomini erano in fermento, pronti ad attaccare senza pietà.

Ad un certo punto, la nave mercantile sembrò essersi accorta della loro presenza, e soprattutto della loro pericolosa vicinanza, perché tentò di virare d’emergenza. Purtroppo per loro, però, era troppo tardi. La Jolly Roger era troppo veloce perché riuscissero a sventare un suo assalto, specie dal momento che solo poco più di cento metri separavano ormai le due navi.

« Tenetevi pronti uomini! » gridò Hook. Mancava poco. Molto poco. In breve Bill Jukes e il Fachiro lanciarono la passerella con i rostri per agganciare definitivamente la nave, mentre molti uomini, primo tra tutti Hook, si lanciavano dalle cime per assaltarla. Una volta che tutti furono arrivati al ponte della nave mercantile, Poterono notare che effettivamente l’equipaggio era composto da elfi. Anche la nave era caratterizzata dalla loro particolare fattura, ma nell’oscurità non era stato possibile dirlo con certezza.

Tuttavia, se si trattava di elfi, erano tutti elfi armati. Erano così luminosi che sembravano emettere una luce propria. Per la maggior parte erano biondi, ma alcuni avevano i capelli rosso scuro o bianchi. Non avevano barba, perché a loro non cresceva. La loro pelle era così brillante che la luna nel cielo sembrava buia, al confronto.

« Forza uomini! » Hook lanciò l’ultimo segnale che annunciava l’attacco vero e proprio. I pirati si lanciarono contro gli elfi, che combatterono valorosamente per difendere i tesori che la nave doveva trasportare. Il ponte principale del mercantile si era trasformato in un campo di battaglia. Urla giungevano da ogni parte e di tanto in tanto, il legno del vascello si tingeva di rosso; un rosso che scorreva nelle vene di un pirata o di un elfo. Questo non si sarebbe potuto dire prima della fine dello scontro.

Hook combattè come un leone, come aveva sempre fatto, e uccise almeno dieci avversari. Di tanto in tanto lanciava grida di incoraggiamento dirette ai suoi, che a loro volta rispondevano per fargli capire che tutto procedeva come doveva.

Passò un’ora di combattimento e spargimenti di sangue, ma infine la nave fu presa. Proprio mentre infilzava l’ultimo elfo rimasto vivo, Hook vide in lui alcuni particolari che aveva scorto nella sua Arabelle, e provò un’atroce fitta di dolore nel vedere spegnersi nella morte la luce che quella pelle bianca emanava, pensando che al posto dell’elfo guerriero, avrebbe potuto esserci la ragazza.

« Uomini! » gridò, poi, mettendosi di fronte ai suoi « VITTORIA!!! ».

« URRà!!!! » gridò l’intera ciurma della Jolly Roger, quando Hook alzò la spada verso il cielo in segno di trionfo.

Erano tutti esausti, stremati dal combattimento, quindi aspettarono qualche istante prima di dirigersi sottocoperta, con l’intenzione di scoprire quali tesori avevano guadagnato con il loro assalto. Hook fece capo alla fila che si formò per andare dabbasso. Una volta scesa la breve scaletta, si trovarono di fronte molte porte. Su una di esse era scritto “ stiva ” nella lingua degli elfi, perciò l’aprirono, certi di trovare il carico della nave. In effetti, in quella piccola stiva, era custodito un tesoro degno di un re. C’erano gioielli lavorati con la massima cura, con gemme preziose incastonate nell’oro. Era evidente che quel carico doveva essere destinato a qualche strano commercio, perché gli elfi non avrebbero mai tenuto per loro quegli oggetti. Il motivo stava nel fatto che quelle creature consideravano l’oro un metallo impuro. Per i loro oggetti preziosi, gli elfi usavano solamente diamanti, argento, filigrana e perle. Per qualche stana credenza pensavano che l’oro, metallo usato dai pirati e comunque dai mortali, corrompesse l’animo di chi lo aveva in possesso.

« Che mi si crepi la consecutio! » esclamò Hook alla vista di quelle immense ricchezze « È più di quanto avrei pensato! ». Dietro di lui, i suoi uomini fissavano a bocca aperta il contenuto della stiva, che brillava nella notte al pari degli elfi stessi, morti da poco, spezzati dalle loro lame profane.

« Chi lo avrebbe detto capitano? » disse Spugna « È veramente qualcosa di sbalorditivo! »

« Portate tutto nella stiva della mia nave » ordinò Hook « Io andrò nei miei alloggi e attenderò che avrete scaricato tutto quanto. Controllate anche negli altri locali. » Detto questo, Hook tornò trionfante sulla Jolly Roger. Il suo ghigno di trionfo, però fu presto offuscato da un ricordo e da delle sensazioni che avrebbe voluto per sempre cancellare dalla sua esistenza. Ripensò ad Arabelle, al fatto che non aveva mantenuto la sua promessa di seguirlo sulla sua nave, ai suoi misteri, che era riuscito a svelare solo in parte. Com’era bella! Così giovane e fresca, meravigliosa e fiera come una regina non avrebbe mai potuto essere. Così insensibile e crudele…

La cosa che lo faceva stare peggio era la consapevolezza del fatto che, nonostante le sue speranze fossero vane, i suoi ricordi dolorosi, non poteva farne a meno. L’esistenza che aveva condotto fino a quando non era stato salvato da lei…senza Arabelle non aveva alcun senso.

Entrò curvo nei suoi appartamenti, con l’immagine della ragazza in mente, così limpida che gli sembrava di vederla davanti a sé come reale.

Perché, se avevi intenzione di abbandonarmi, mi hai ridotto così? Non riesco neppure a toccare una donna senza che mi baleni davanti il tuo viso, impedendomi di andare avanti. Qui sospirò, dolente. Sempre che sarei riuscito ad andare avanti. Nessuna donna potrà mai avere le tue attrattive ai miei occhi.

Si abbandonò sulla poltrona di broccato rosso, con le mani tra i capelli e i gomiti sulle ginocchia, tentando con ogni mezzo di scacciare quei ricordi dolorosi dalla sua mente. Senza successo purtroppo.

A quel punto si alzò e si versò del rum in un bicchiere di cristallo finissimo, vuotandolo, poi, in un solo sorso. L’alcol gli bruciò la gola, al suo passaggio, ma almeno lo distrasse per un attimo. Per un attimo. Ma a Hook un attimo non bastava.

Andò a sdraiarsi sul letto, senza neppure svestirsi. Si mise supino, prendendo profonde boccate d’aria, pensando al bottino appena conquistato….. aggrappandosi a qualunque pensiero gli potesse offuscare la mente dall’immagine di Arabelle. Questa però tornava sempre, più nitida e forte. A un certo punto, gli tornò alla mente il momento in cui la vide per la prima volta, dal basso del suo giaciglio di fortuna. Gli era parsa così irreale, così magica e ultraterrena da mozzare il fiato. Rammentò di averle stretto la gola e i polsi e ricordando il contatto con quella pelle che avrebbe potuto essere seta pura, il sangue prese a ribollirgli e la gola gli si seccò istantaneamente. Tanta fu l’eccitazione che quel piccolo dettaglio gli procurò, che dopo pochi secondi, avvertì che il suo membro si tendeva con una rapidità sorprendente, pulsando piano contro la pelle dei pantaloni. Per la forza con cui era accaduto ciò, Hook gemette di sorpresa e di piacere. Sentì che brividi sublimi gli accarezzavano il corpo, partendo dal basso ventre. Non riusciva quasi più a pensare, rimanendo supino e stringendo i pugni per controllare la crescente eccitazione che stava avendo la meglio su di lui.

Come può farmi questo il solo pensiero di lei, quando sono improvvisamente incapace di desiderare un’altra donna?

Represse meglio che potè il pensiero che aveva scatenato in lui quella reazione, ma prima che la sua eccitazione potesse scemare, esso fu sostituito da un altro ricordo, più intenso e travolgente: quello delle sue labbra che esercitavano sulle sue una pressione lieve e cedevole. A quel punto, nulla potè contro gli istinti del suo corpo. Non solo la sua eccitazione divampò ancora di più, ma fu colto da spasmi, seppure lievi, che lo condussero presto ad una breve scarica di fiotto caldo che lo sorprese e deliziò insieme.

Che il Diavolo mi porti! Fu l’unica cosa che riuscì a pensare quando ebbe recuperato il controllo. Il respiro gli tornò regolare solo dopo alcuni minuti e con grande sforzo da parte sua.

Cercò di concentrarsi sui rumori che la ciurma provocava nel trasportare i tesori dal mercantile alla Jolly Roger. Ci stavano impiegando parecchio tempo, ma come biasimarli, visto il carico da spostare? Ad un certo punto, udì dei passi che si facevano sempre più vicini.

« Capitano! » era la voce di Spugna.

Hook cercò di mantenere il suo solito controllo, anche se gli era difficile visto che era da poco uscito da uno strano vortice d’estasi « Per Diana Spugna! Che succede? »

L’ometto sembrò a disagio, dal tono di voce che seguì « Ecco, capitano…gli uomini hanno finito. »

« Molto bene. Ora sparisci! » Hook era seccato, ma non tanto dalle parole dell’uomo quanto dalla sua stessa condizione.

« Signore…ci sarebbe dell’altro. » mormorò Spugna, facendosi non poco coraggio per prendere nuovamente la parola.

« Maledizione! Che cos’altro c’è? » Gridò Hook

« A bordo del mercantile c’erano altri passeggeri. » disse il vecchio piano.

Hook si rizzò a sedere sul letto, con l’espressione di chi non crede di aver capito bene cosa ha appena sentito. « Altri passeggeri? » chiese « E chi, per Diana? »

Spugna sospirò « Sette persone in tutto, capitano. Tre ragazze, e Quattro giovani femmine elfo, a sentire Nudler. »

Quella notizia tirò un po’ su di morale il pirata, che ghignò, soddisfatto. Oltre al bottino, avrebbero guadagnato anche qualcosa in più dalla vendita dei prigionieri all’asta mensile dell’ isola dei pirati.

Le ragazze potrò venderle a qualche casa di piacere, o ad una taverna. Pensò, ponderando attentamente le possibilità. Mentre guadagnerò un patrimonio vendendo gli elfi a qualcuno dei miei compagni. Effettivamente, le femmine elfo erano molto ricercate come concubine dai pirati più facoltosi e anche dai signori che vivevano al di là dello stretto. Infatti, non solo possedevano una straordinaria ed eterea bellezza, ma erano anche dotate di poteri magici, anche se non pericolosi.

« Molto bene, Spugna. » disse rapidamente « Portatele nella stiva e badate che restino illese. Domani mattina me ne occuperò io. »

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Capitolo 17
*** Sorpresa e speranza ***


Sorpresa e speranza

Sorpresa e speranza

Il sonno di Hook, quella notte, fu più tranquillo di quanto avesse osato sperare. Naturalmente il pensiero di Arabelle lo tormentò come al solito, ma la stanchezza causatagli dalla battaglia e dallo struggimento provato dopo ebbero, infine, la meglio su di lui, che si addormentò.

Tutta la ciurma, tra l’altro, tranne gli uomini di turno per governare il timone, era rimasta coricata fino a tardi, dato che la notte precedente avevano passato il tempo ad attaccare la nave mercantile piuttosto che a dormire. Hook, però, fu quello che dormì più di tutti. I suoi sogni non furono terribili come accadeva sovente, ma naturalmente ebbero come soggetto la meravigliosa ragazza che desiderava con tutto se stesso. Era inevitabile. Non avrebbe mai potuto liberarsi di lei, nemmeno con la forza. Sfinito dal combattimento cominciato con se stesso, però, Hook cominciava ad accettarlo e a rassegnarsi.

Fu solo quando tutta la nave era ormai sveglia ed attiva che il pirata si destò. Se il suo sonno era stato tranquillo, però, altrettanto non fu per il risveglio. Infatti, fu destato da un suono che lo tormentava costantemente nei suoi sogni, ma che oramai sapeva non essere reale.

When I saw you I was stunned, afraid

Because you were all I wanted and I was scared of

Hook si alzò a mezzo busto, maledicendo mentalmente quelle dannate sirene, che evidentemente non avevano intenzione di lasciarlo in pace.

Then I knew you and my soul began to be yours

Stava per alzarsi in piedi di scatto, ma rimase un istante ad ascoltare. Sebbene sapesse che non si trattava di altro se non di una crudele illusione di quelle creature ammaliatrici, Hook si concesse di sentire almeno qualche nota di quella voce bugiarda che imitava quella della sua Arabelle.

What should I do now?

Have I to love you? To kill you?

I’d kill you if this could be the way

The way to set me free

Hook sospirò profondamente, chiudendo gli occhi. Si abbandonò completamente a quelle note a lui tanto care e familiari, provando ad immaginare le labbra di Arabelle pronunciare quelle parole, gli occhi scuri e brillanti che sia astraevano dalla realtà.

No, I can’t kill you

It would be another way to kill myself

So I’ll kill myself

Only then you’ll be able to see me and understand

Only then you’ll love me

Hook fu attraversato da spasmi indescrivibili mentre ascoltava quelle note che sapeva sarebbero state le ultime. Con quella strofa il canto sarebbe terminato in un eco lungo e doloroso, come era sempre accaduto. Come era accaduto quando Arabelle aveva davvero cantato per lui e come ogni volta le sirene volevano deriderlo con il suo ricordo.

L’uomo inspirò profondamente, attendendo che arrivasse quell’eco che avrebbe segnato la fine dell’illusione, volendo assaporare anche quello.

Ma l’eco non giunse. Al suo posto, un’altra strofa.

But now, I see you while you’re looking at me

I listen to you

While you tell me that you love me

And stop me before I jump.

( ma ora ti vedo mentre mi guardi, ti ascolto, mentre mi dici che mi ami e mi Fermi prima che salti. )

Hook aprì gli occhi di scatto, con il massimo stupore dipinto negli occhi blu. Il canto era continuato. Era continuato con note sempre più dolci e diverse, che non aveva mai udito. Arabelle non aveva mai cantato dopo la terza strofa di quella ballata, né tantomeno le sirene. Il pirata rimase pietrificato, incapace persino di respirare.

La voce, meravigliosa e calda proseguì.

What should I do now?

Should I run away? Should I love you?

Yes, I’ll love you

Because you are my breath, my soul, my destiny.

I won’t leave you again, no I won’t

I won’t….

I won’t….

I won’t…

( cosa dovrei fare ora? Dovrei fuggire via? Dovrei amarti? Si, ti amerò, perché sei il mio respiro, la mia anima, il mio destino. Non ti lascerò di nuovo. Non ti lascerò…. Non ti lascerò…. Non ti lascerò… )

Quella volta il canto terminò davvero, ma prima che L’eco potesse spegnersi nell’aria, Hook si alzò di scatto, per metà ammaliato, per metà sconvolto, per andare alla finestra della cabina. Immediatamente l’aprì e si affacciò, percorrendo con gli occhi l’acqua, alla ricerca delle sirene. Di loro, però nessuna traccia.

Il cuore del pirata cominciò a battere così forte che egli per un momento credette che gli avrebbe sfondato il petto. Chiuse la finestra così forte che un vetro si incrinò, poi si diresse verso la porta della cabina.

« Signor Spugna! » chiamò a gran voce non appena l’ebbe aperta. Ciò che vide lo lasciò senza parole più di quanto già non fosse. Tutti gli uomini della ciurma, infatti, erano rimasti immobili, con lo sguardo perso nel vuoto ed un’espressione completamente inebetita. Neppure il grido di Hook riuscì a scuoterli.

« Zolfo e bile fiammeggianti! Spugna!!! » Stavolta l’urlo del capitano fu così forte che molti uomini si voltarono verso di lui. Spugna uscì da sottocoperta e si fece presto largo tra la ciurma, correndo più veloce che potè verso Hook.

« Dite capitano! » aveva l’affanno, ma cercò di darsi un contegno.

Hook, oramai, era talmente nervoso ed emozionato che il suo sguardo sconfinava nella follia. « Spugna…. » mormorò, con la gola fattasi improvvisamente secca « Quella canzone… ». Deglutì, scoprendosi incapace di continuare nel suo interrogatorio.

Per fortuna il vecchio corse in suo aiuto « Oh, l’avete sentita anche voi, capitano? » gli chiese, stupito.

« Dimmi subito chi era che cantava!! »

Spugna, a quella domanda, assunse un’espressione indecifrabile, quasi estatica. « Capitano… si tratta di una delle persone che erano a bordo del mercantile. » spiegò, con un filo di voce. « Io l’ho vista. Ero sottocoperta con lei quando ha cominciato a cantare. »

Hook sentiva il suo cuore rimbombargli nelle orecchie, tanto quasi da impedirgli di sentire cosa gli stava dicendo il suo ufficiale. Per un momento, sentì le gambe molli, poi come fossero state di piombo. Era un delirio dei sensi, del corpo, dell’anima stessa.

« Chi è? » chiese, mentre sentiva che il sangue cominciava a bruciargli nelle vene « Una delle ragazze? »

Spugna scosse la testa « No, signore. Nudler l’ha messa con gli elfi, ed effettivamente ci sono alcune somiglianze, ma non può essere una di loro… ha i capelli scuri ».

A quel punto, Hook si sentì quasi svenire e dovette sorreggersi al corrimano che aveva di fianco per non cadere a terra. Nel suo cuore un dubbio si stava rapidamente trasformando in una certezza stravolgente, meravigliosa e terribile. Sul suo volto apparve un’espressione di speranza talmente sincera che Spugna si preoccupò che non si sentisse male.

« Spugna… » mormorò, ai limiti della resistenza « Ne sei certo? »

L’ometto annuì con decisione. « Si, capitano. Ero sottocoperta, come vi ho detto, per portare il pasto ai prigionieri, quando una voce bellissima mi ha domandato su quale nave ci trovassimo. » Per Hook quelle parole erano come un balsamo miracoloso per le sue ferite, lasciate aperte da più di un mese, oramai. Intanto Spugna continuava. « Quando ho risposto che eravamo sulla Jolly Roger, la ragazza si è abbassata il cappuccio del mantello, rivelandomi le sue sembianze, poi ha cominciato a cantare. »

Il vecchio sembrava ancora stupito al ricordo di quanto era accaduto, ma non certo quanto Hook, che ora non aveva più quasi per nulla il controllo di se stesso.

« Spugna » disse con urgenza, la voce decisa ma tremante « Portala da me. »

« Come dite, capitano? »

Hook lo fissò, lo sguardo infuocato, colmo di speranza, paura e desiderio che a malapena venivano controllati « Porta la ragazza da me. Immediatamente! » Ci mancò poco che gridò quando diede l’ultimo ordine. Spugna sembrò sorpreso solo per un attimo, poi scattò sottocoperta portando con sé Nudler e l’Africano.

Hook rientrò nella sua cabina, cominciando a camminare avanti e indietro come una belva in gabbia, torcendosi l’uncino con l’unica mano. Era totalmente scombussolato, tremante addirittura, al pensiero che, forse, Arabelle era sottocoperta.

Dio, Lucifero.. chiunque ci sia lassù! Ti prego, fa che la mia non sia un illusione… Fa che sia lei.

Passarono i secondi, lenti ed inesorabili come se fossero ore intere, mentre Hook ansimava piano per l’emozione e per la trepidazione.

Poco dopo sentì dei passi avvicinarsi. Erano i passi di più persone, questo era chiaro, ma erano anche diversi: di solito, quando ordinava che qualcuno venisse condotto da lui, i passi risuonavano rapidi, sicuri, zelanti. Stavolta, invece, erano lenti, leggeri e quasi esitanti.

Il cuore cominciò a battergli all’impazzata, ancora più forte di prima. Sentì la porta aprirsi, lentamente, gravemente. A quel punto il cuore smise di battere forsennatamente per rallentare fin quasi a fermarsi. Il pirata si immobilizzò, proprio accanto alla sua poltrona di broccato rosso, tentando di sembrare indifferente a ciò che stava accadendo.

Finalmente, entrarono nel salottino quattro figure: una era Spugna, che era entrato per primo e che sembrava colpito da qualcosa di indefinibile, altre due erano l’Africano e Nudler che stavano ai lati dell’ultima persona entrata. Questa era molto più bassa dei pirati che l’avevano scortata fin lì, mentre le sue sembianze erano completamente celate da un mantello di velluto verde con ampio cappuccio tirato a coprire il volto. Se lei non era davvero un elfo, come invece pensava Nudler, di sicuro il suo mantello lo era. Lungo fino a terra, ricamato con fregi d’oro sui contorni.

Hook fissò gli occhi su quella figura, senza neppure degnare di attenzione i pirati che l’avevano condotta lì. Ad ogni modo… essi scomparvero quasi immediatamente dalla stanza, come se avessero indovinato i pensieri del loro comandante.

Non appena la porta si fu chiusa alle loro spalle, Hook rimase solo con la figura incappucciata, che probabilmente lo stava guardando a sua volta, da sotto la stoffa del cappuccio. L’uomo aveva la gola così secca che non riuscì neppure a parlare. Rimase quindi muto, in attesa di qualunque segno da parte sua , anche il più piccolo. Infatti così accadde: dopo essere rimasti entrambi fermi e zitti per altri secondi, la figura portò le mani ai bordi del cappuccio e, con lentezza esasperante, lo abbassò.

Il cuore di Hook mancò diversi battiti quando si trovò a guardare il viso bello e impassibile di Arabelle. Era lei. Era davvero lei, davanti a lui, ferma come una statua, bella come una dea, una regina, e, in quel momento, fredda come una scultura di ghiaccio. Aveva i capelli ondulati, stavolta quasi ricci, raccolti in parte dietro la testa, a formare un ordinato chignon, mentre il resto delle ciocche era stato lasciato libero di ricaderle sulla schiena. La pelle emanava ancora quella straordinaria luminosità che ricordava vagamente la luce emessa dalla carnagione degli elfi. Era bella come la ricordava, forse anche di più, anche se in quel momento era inarrivabile, non dolce e appassionata come il pirata l’aveva sognata in tutti quei giorni.

Dopo momenti quasi interminabili, la ragazza parlò. « Ci rincontriamo, Jason Hook ». Anche il suo tono era impassibile, come il suo sguardo. Quella freddezza, che era familiare all’uomo come propria, fu come una coltellata per lui, sentendola provenire da lei.

« Arabelle… » disse Hook, come incantato « Sei davvero tu? » ancora non credeva che lei potesse essere reale dinnanzi a lui. L’aveva sognata talmente tante volte che ora non credeva fosse vero.

« Si, capitano. » disse lei. « Evidentemente era destino che io salissi su questa nave ». In quel momento, un bagliore di dolcezza comparve nei suoi begli occhi scuri, accendendoli per un secondo di una luce interna. Hook avrebbe pagato tutto l’oro del mondo solo per vedere sempre Arabelle con quello sguardo rivolto a lui.

Dopo qualche altro secondo, Hook non riuscì più a controllarsi e si avvicinò a grandi passi a lei, che rimase ferma nella sua posizione. Si fermò proprio di fronte a lei. Arabelle fissò gli occhi in quelli di lui, che la guardava dall’alto, essendo di altezza notevolmente superiore alla sua. Per diversi momenti, restarono a fissarsi. Hook aveva lo sguardo perso, incantato dal volto di lei, che però ricambiava l’occhiata con freddezza, senza traccia del terribile e inarrestabile trasporto che invece mostrava l’uomo che aveva davanti.

Se questo è l’amore…. Sono pronto ad ammetterlo al mondo intero, solo perché mi dia un segno…una piccola speranza.

Dopo un po’, mentre ancora erano fermi in quella posizione, Hook non riuscì più a trattenersi e alzò lentamente la mano destra in direzione del viso di Arabelle, con l’intenzione di sfiorarlo. Proprio quando stava per toccarle la guancia però, una scintilla le attraversò le iridi e sentì che una delle sue mani afferrava il suo braccio con discreta forza, considerato che era una donna, bloccandolo a mezz’aria. Lui se ne sbalordì.

Prima che potesse dire qualcosa, Arabelle ruppe il silenzio per prima.

« Avete sbagliato mano, capitano. » il suo tono non era affatto piacevole. Gli ricordò la prima volta che gli aveva rivolto la parola, mentre lui le stringeva la gola. « Di solito, è con l’altro vostro arto che giustiziate i prigionieri. ».

Era stata beffarda, sprezzante, crudele. Per lui fu come una coltellata al cuore. Lui che la guardava come se fosse stata l’unica cosa di valore che aveva, come se fosse stata l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi.

Hook si svincolò dalla presa di lei, allontanando la mano. « Cosa vuoi dire? »

Arabelle rise, ma non fu una risata vera, di allegria. Prese con ambo le mani il braccio sinistro di lui, portando l’uncino a sfiorarle la gola con la punta della lama. « Ricordate il vostro proposito. » disse piano, ma con estrema decisione « È giusto che lo portiate avanti. ». Gli stava dando del voi. Come sembrava inadeguato, a lui, quel tono formale sulle labbra di lei, che invece avrebbero dovuto essere sulle sue sin da quando aveva messo piede nella stanza. Quello era il loro posto. Quello sarebbe stato giusto.

« Arabelle, che cosa stai dicendo? » chiese infine il pirata, la cui passione aveva ceduto, seppure solo in parte, il posto allo sgomento.

Lei si allontanò di alcuni passi da lui. « Avete compreso benissimo. Forse non avete trovato la mia lettera? ».

« SMETTILA DI PARLARE COSì! » Hook, alla fine, aveva gridato, così forte da far tremare le pareti. Persino Arabelle, che era sempre stata così controllata e calma, aveva sussultato. Di nuovo egli annullò le distanze tra loro, andandosi a parare di fronte a lei. « La tua lettera, dici! » esclamò, in preda alla rabbia e alla confusione « Ricordo molto bene la tua lettera, Arabelle.… » anche il suo tono ora era freddo e distaccato, beffardo, ma il suo sguardo non era come avrebbe dovuto essere, in quel caso.

« Allora che cosa volete da me? » domandò Arabelle, « Perché mi avete fatta portare qui? ».

« Dovevo vederti. » disse senza entusiasmo o smanceria. Era solo la pura e semplice verità. « È più di un mese che aspetto di vederti. »

« Perché? » domandò Arabelle, stringendo gli occhi.

Hook le afferrò un braccio, poco sotto la spalla. Era completamente fuori di sé « Perché devi sapere! » le disse « Tu…. Tu mi hai rovinato, Arabelle. » le disse, avvicinandosi di più alla sua faccia. Lei non si ritrasse, ma dallo sguardo che gli rivolse era chiaro che non gli avrebbe concesso di avvicinarsi oltre « Mi hai reso vulnerabile, debole, incapace di vivere la mia vita come ho sempre fatto. » Un lampo di sofferenza gli attraversò gli occhi. « Perché mi hai fatto questo? Perché? ».

La ragazza lo fissò impassibile « Non capisco. ».

« Si che capisci! » la incalzò lui, gettandola a terra, poco distante dai suoi piedi. Arabelle rimase a terra, ma con la massima dignità, continuando a guardarlo. « Quella sera….quella maledetta sera tu mi dicesti che avevi capito. Ed era vero. Che il Diavolo mi porti! Era vero, Arabelle. Tu avevi capito quello che stavo dicendo. »

A quel punto, Arabelle abbassò lo sguardo per la prima volta. Fu solo un istante, ma a Hook bastò per capire che non si era sbagliato. La ragazza ricordava e sapeva che lui aveva ragione.

« Si. È vero » ammise, guardandolo negli occhi, un po’ più umana « Ma è anche vero quello che ho scritto. »

Hook le si avvicinò ancora di più se possibile, torreggiando su lei. Le porse la mano per aiutarla ad alzarsi. Lei però la rifiutò e si alzò da sola, arretrando prudentemente per un po’. Nel momento in cui lei evitò quel breve ed innocente contatto fisico, Hook sentì una scossa di rabbia e dolore così forte da fargli ribollire il sangue. Una parte di lui avrebbe voluto afferrarla, stringerla tra le braccia e baciarla, con o senza la sua volontà, ma l’altra parte non riusciva ad accettare l’idea di averla senza che lei lo desiderasse. Sembrava strano, ma il pirata desiderava completamente e totalmente l’amore di quella giovane creatura. Lo desiderava e non voleva nulla che potesse fare da mezzo termine. Non si sarebbe accontentato.

« Adesso ti rifiuti anche di toccarmi! » esclamò con rammarico. « Se la mia vicinanza ti è sgradita, perché mi hai baciato? ».

Arabelle corrugò le sopracciglia lievemente al ricordo che lui aveva evocato « Perché era la cosa giusta…in quel momento era la cosa giusta. » respirò profondamente « Ma non serve tornare al passato. Bisogna vivere il presente, con un po’ di riguardo per il futuro, ed è per questo che sono andata via. ».

Era veramente splendida, con gli occhi malinconici e le labbra appena curvate in alto. Le onde dei suoi capelli erano belle come lui le ricordava. Avrebbe tanto voluto accarezzarle, per sentire come quella notte la loro morbidezza tra le dita ruvide.

« Avevi promesso di seguirmi. » le ricordò lui « mi dicesti che saresti venuta con me. ».

La giovane lo fissò seria « Era ciò che volevi sentirti dire. » Aveva ricominciato a dargli del tu, e questa era una buona cosa, ma vista le parole che pronunciò, il pirata non fece caso a quel particolare.

A quella risposta, Hook sentì un desiderio irrefrenabile di schiaffeggiarla, ma sapeva bene che non avrebbe mai potuto, in nessuna circostanza. Le si avvicinò minaccioso, tuttavia. Lei non arretrò.

« Mi stai dicendo…. Che ciò che è accaduto… non era.. vero? » sibilò rabbioso. « MI STAI DICENDO QUESTO? »

Arabelle abbassò lo sguardo un momento, poi disse risoluta « Si. »

« NO!! » gridò Hook, in preda alla disperazione « Non è vero. Non deve essere vero! » Le afferrò di nuovo il braccio sinistro, scuotendola forte « Dimmi che stai mentendo. »

Lei si divincolò senza riuscire a liberarsi. « Non è così. È la verità! »

Hook la lasciò andare di scatto « Bugiarda! ». Arabelle trasalì a quell’insulto, m,a continuò a fissarlo senza alcun apparente timore.

« Siete testardo, capitano. » considerò « Ma le cose stanno così ».

« E come stanno, allora? »

« Potrei domandarti la stessa cosa! » replicò di scatto la ragazza « Perché mi hai chiesto di seguirti qui? Perché mi hai baciata? Per quale assurdo piano malvagio avevi progettato di condurmi qui con te? »

Hook non poteva credere a quello che sentiva. Arabelle credeva, dunque, che lui avesse in mente qualcosa di orribile per proporle di andare via con lui.

Le si avvicinò piano, lentamente, mentre l’ira nei suoi occhi cominciava scemare « Perché volevo proteggerti. » Lo disse con una dolcezza che aveva poco di suo. Era come se le parole gli uscissero dalla bocca senza che lui se ne rendesse conto. Però erano vere.

Arabelle, però rise mesta a quella risposta « Suvvia, Jason Hook, siamo sinceri. Perché avresti dovuto proteggermi? » sorrise senza allegria « Non c’è alcun debito da saldare….posso badare a me stessa. Dunque perché? »

L’uomo a quel punto non resse più. Se avesse aspettato solo un istante ancora, sarebbe probabilmente morto di dolore. Un lampo di sofferenza gli attraversò il viso, facendogli corrugare la fronte. In un attimo che parve lunghissimo, cadde ai suoi piedi, in ginocchio, guardandola dal basso con un trasporto senza difese.

« Ti avrei protetta perché ti amo! » finalmente lo disse. Finalmente lo ammise. Fu un attimo in cui il tempo sembrò fermarsi. Tutto vorticava attorno a lui e potè vedere con lentezza innaturale il vago cipiglio della ragazza trasformarsi in un’espressione meravigliata e confusa nell’udire la sua confessione. Non desiderava tornare indietro. Desiderava che lei comprendesse e lo accettasse. Lo accogliesse e lo amasse con la sua stessa intensità, perché senza una speranza di ciò, non sarebbe sicuramente sopravvissuto.

« Che cosa? » riuscì a dire lei.

Hook deglutì « Ti amavo. Ti amo » ribadì « Ma non è il termine esatto, perché addirittura sminuisce quello che sento per te. »

Arabelle si era oramai ripresa dalla sorpresa che aveva provato alla sua dichiarazione. Fece alcuni passi indietro e sorrise, tristemente.

« Tu non puoi amare, Jason Hook. Non sai amare. »

Quelle parole lo ferirono così tanto che sentì le lacrime salirgli agli occhi, ma le represse prima che potessero liberarsi.

« Perché mi fai questo? » le chiese, disperato, oramai quasi non più lui.

« Non sto facendo nulla. » disse lei, irremovibile « Ho solamente detto la verità »

L’uomo la fissò desolato e si alzò da terra, grave. Si allontanò da lei e le diede le spalle, per nascondere le mille emozioni che gli attraversarono il viso.

Maledizione! Come può essere? Pensò, sull’orlo dell’abisso Come può farmi questo, come può respingermi così dopo avermi reso schiavo?

Arabelle si mosse dietro di lui, per avvicinarsi alla finestra e guardare di fuori, il mare, che sotto di loro sembrava così quieto, al confronto delle loro anime. Dopo qualche secondo, parlò di nuovo.

« Se non hai intenzione di uccidermi, allora rendimi la libertà. » provò a chiedere. Hook si voltò di scatto, adirato e terribile.

« Libertà dici? » domandò, con i lampi negli occhi, i muscoli della mascella contratti e tesi per lo sforzo di non radere al suolo la cabina. « E chi ridarà a me la mia vita? Tu mi hai guarito, mi hai fatto vivere, mi hai incatenato a te. E ora mi respingi senza pietà. » chiuse gli occhi per non gridare « Io potrei ridarti la libertà ma la mia esistenza sarebbe finita. ».

Arabelle gli si avvicinò di poco e Hook avvertì la speranza crescere dentro di se. Sfortunatamente, però, la ragazza si fermò a pochi passi da lui. Era talmente bella da togliere il fiato e questo non fece che aumentare la sofferenza dell’uomo, che per giorni e giorni non aveva desiderato altro che toccarla, abbracciarla, guardarla…. Baciarla..possederla. Era stata come un sogno persecutore per lui, ma ora i suoi desideri gli si stavano rivoltando contro. Lo avrebbero presto annientato.

« Perché mi odi tanto, jason Hook.? » chiese con un filo di voce.

Hook era confuso. « Odiarti, Arabelle? » chiese allibito « Se c’è una sola cosa al mondo che non riesco a concepire è proprio quella di odiarti. » le si avvicinò ancora « Ci ho provato sai? Ci ho provato e non è servito a nulla. A nulla, hai capito? Da quando mi hai lasciato, il pensiero di te mi segue ovunque io vada e mi perseguita. Non sono riuscito a toccare nessuna donna da allora…. ». La guardava con un amore che ogni donna vorrebbe vedere rivolto a sé, ma Arabelle, seppure anche lei donna, non poteva credere che stesse dicendo la verità.

« Come posso crederti? » chiese, impassibile « Tu sei Hook. L’assassino, il bugiardo, il malvagio. » stava per continuare, ma non potè, perché lui le si fece così vicino che riuscì a sentire il suo odore, dolce e aspro allo stesso tempo. Era l’odore del mare.

Le si parò di fronte e la fissò con grande intensità « No. » replicò «Sono solo un uomo che ha bisogno di te, come quando mi trovasti sulla spiaggia, ferito. » Arabelle sentì qualcosa dentro di sé incrinarsi, a restò risoluta e impassibile mentre lui proseguiva « Sono solo questo, Arabelle, e sta a te decidere se curarmi, anche questa volta. ». La voce di lui che aveva un timbro roco e profondo, graffiante, sembrava trasfigurata mentre le parlava, implorandola di amarlo, implorandola di guarirlo.

Lui tentò di nuovo di toccarle il volto, ma la ragazza si scostò, evitandolo. Il volto dell’uomo si sgretolò all’istante e lanciò un grido al soffitto, così potente che la ciurma non poteva non averlo sentito.

« Dannazione! » strepitò « tu mi amavi…. » non era una domanda, ma Arabelle scosse ugualmente la testa in segno di risposta.

« No? » disse lui « Perché menti? » era fuori controllo. Diede un forte pugno alla parete, incrinando pericolosamente le travi.

Stavolta lei non gli rispose neppure, limitandosi a fissarlo, eterea come la luna e fredda come il ghiaccio che aveva sciolto nel petto del pirata.

« Rispondi, maledizione!!! »

Silenzio.

« E va bene. » disse lui ai limiti della follia « Non vuoi dire la verità? Ebbene sia! Ma non uscirai mai più da qui finchè non avrai ammesso che mi ami. »

Arabelle era sempre seria e ferma. « Io non ti amo, Jason Hook. »

« Dannata ragazza! » rise lui, ormai pazzo « Ti diverti a torturarmi così! Allora? Bene…bene… sarà come vuoi allora. »

Si allontanò da lei e si affacciò alla porta della cabina « Signor Spugna! » Immediatamente l’ometto comparve davanti a lui « Portate qui gli effetti della prigioniera, se ne aveva. Poi date disposizioni affinché, in mia assenza, qualcuno rimanga sempre con lei, per sorvegliarla. » le lanciò un ultimo sguardo carico di passione « Ma se qualcuno dovesse anche solo toccarla….non sopravviverà a lungo. Chiaro? »

Spugna guardò per un momento Arabelle , poi annuì vigorosamente. Fu congedato e sparì dalla vista dei due. Hook prese un respiro profondo, poi si voltò verso Arabelle, che era rimasta impassibile mentre dava quegli ordini che la riguardavano direttamente.

« Hai sentito, Arabelle? » le chiese, così piano che lei dovette sforzarsi per sentirlo.

«Si. » rispose semplicemente.

In Hook si riaccese un bagliore di speranza « Ebbene? » tornò ad avvicinarsi « Perché non metti fine a ciò prima ancora che inizi? »

Arabelle lo guardò con immensa tristezza « E come potrei mai? » Sembrava una domanda reale, non civettuola oppure retorica. Solo una domanda.

« Amami…. » sussurrò l’uomo, chinandosi impercettibilmente verso il volto di lei. La sua non era solo una condizione: era una supplica, una necessità impellente. La ragione della sua esistenza era stata tradotta in quell’unica parola. Arabelle lo fissò con una strana espressione. Probabilmente compassione, per se stessa oppure per lui. Si allontanò di qualche passo, cominciando a slacciarsi il mantello, che cadde a terra, rivelando un abito lungo, bianco, elfico come l’indumento che lo ricopriva. Quella stoffa leggera, probabilmente seta, la faceva splendere ancora di più con il suo candore. Si trattava di un abito a vita alta, in stile impero, con una scollatura ampia ma morigerata e le maniche lunghe, aderenti fino al gomito, larghe a partire dall’avanbraccio. Non c’erano disegni o fronzoli. Era un abito semplice, modesto nonostante la sua bellezza.

In quel momento Hook la desiderò con tutto se stesso, sentendo che ciò che credeva morto per sempre dopo l’esperienza di Margaret si risvegliava prepotentemente.

Arabelle lo fissò in modo strano, quasi indulgente. Poi, improvvisamente, allargò le braccia in segno di resa.

« Se è questo ciò che vuoi, prendilo. » sospirò « Se ciò che hai in serbo per me finirà, in questo modo, allora che sia! »

La sua voce era limpida e ferma, il che significava che non stava mentendo. Sarebbe davvero stata disposta a cedersi in cambio della libertà tanto agognata. Per Hook però, quella possibilità fu come l’ennesima coltellata al cuore.

« Come puoi pensare questo? » le disse « TI desidero con tutta l’anima, ma non è questo ciò che voglio da te. »

Arabelle lo sbeffeggiò « La tua anima è nera, Jason Hook. Cosa altro potrebbe volere se non questo? » di nuovo accennò brevemente al suo corpo, con la testa.

Hook lanciò un altro grido disumano. Le sue erano grida dell’anima, che provenivano dal profondo dell’abisso in cui era situato il suo cuore pulsante. Le parole non potevano esprimere il tormento che lo stava invadendo. Il dolore che sentiva ad ogni sprezzante parola della giovane, era come una ferita aperta sulla pelle. Era un dolore sordo, penetrante e incurabile, se non dalla sola Arabelle.

« Eppure, quando passasti quei giorni con me, al castello, non eri dello stesso parere. »

Lei lo disilluse « Nessuno può darti questa certezza. » raccolse il suo mantello da terra « Ma ad ogni modo, ciò che è accaduto in quel tempo è morto. Morto, capitano, hai capito? » Era incredibile come in ogni situazione Arabelle riuscisse a mantenere la sua voce ferma e tranquilla, senza lasciar trasparire la minima emozione.

Hook era folle dal dolore « Non per me. Mai sarà morto, per me. »

Arabelle non replicò. Lui si recò verso la porta della stanza, aprendola e facendole segno di avvicinarsi. La ragazza obbedì, perché sapeva che , per lei, era giunto il momento di tornare sottocoperta. Proprio mentre stava per essere affidata a Spugna, Hook l’afferrò per un braccio, facendola indugiare un istante sulla soglia.

« Hai scelto tu questo destino. » le sussurrò all’orecchio, facendola rabbrividire « Ricorda che solo tu hai il potere di sottrarti ad esso. Amami, Arabelle. È tutto ciò che ti chiedo. »

Lei si voltò di qualche centimetro « Quello che hai imposto, non è un prezzo dappoco. ». C’era rimorso, tristezza nella voce di lei, e Hook se ne rammaricò molto. Ma per continuare a vivere aveva bisogno di speranze e se quello era il modo in cui avrebbe potuto ottenerle, allora non aveva scelta.

Prima di scendere sottocoperta, sul ponte, Arabelle si voltò una sola volta per lanciare un ultimo sguardo al suo carceriere.

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Capitolo 18
*** Vivo ***


Attesa

Vivo

Trascorsero due giorni da quando Arabelle fu condotta da Spugna nella stiva. Due giorni di torture per Hook. Se aveva pensato che quello che aveva patito in assenza della ragazza fosse stato terribile, non aveva ancora affrontato quelli ch’egli causava il suo rifiuto. Infatti, per due giorni, Arabelle rimase muta, sola, in una parte della stiva separata da quella dove si trovavano le altre prigioniere.

In quei due giorni, Hook la mandò a chiamare diverse volte nei suoi appartamenti, interrogandola per scoprire se aveva cambiato idea riguardo il loro rapporto. La risposta, però, era sempre no. L’aveva tormentata, ripetendole quello che provava per lei, implorandola, scongiurandola e prostrandosi ai suoi piedi come non avrebbe fatto per nessuna divinità. Nonostante ciò, tuttavia, Arabelle non cedeva, facendogli capire che per lui non c’erano speranze. Mentre lui pronunciava frasi che avrebbero sciolto il cuore di qualunque donna, lei rimaneva ferma come una statua di granito. Insensibile come fosse stata di pietra.

Intanto, durante la notte, l’uomo soffriva le pene dell’inferno, rimanendo sveglio per cause continuamente diverse, ma sempre legate alla ragazza. Ora faceva incubi di ogni sorta, nei quali lei si toglieva la vita per non concedergli il suo amore, ora si eccitava a causa di ricordi semplici ma per lui cari, strepitando per il piacere e per la disperazione che esso gli procurava. Altre volte, invece, piangeva silenziosamente perché una parte di lui sapeva che ciò che desiderava non si sarebbe mai verificato.

La sola lontananza di Arabelle, sapendola così vicina a lui gli creava sofferenza. Ma lei era lontana in molti sensi da lui.

Oh, se solo avesse potuto cancellare i suoi ricordi! Allora avrebbe vissuto felice, non ricordando l’ebbrezza provata quando si erano baciati, per la prima ed ultima volta, quando l’aveva vista e sentita sua, tra le braccia, quando lei, per sbaglio o deliberatamente lo aveva toccato. Quel corsetto che aveva amato come la sua stessa Arabelle giaceva sempre accanto a lui, nel tentativo di compensare il vuoto che sentiva.

Allo scadere di cinque giorni da quello fatidico, che aveva cambiato la sua vita, Hook prese una decisione che gli costò dolore e forze che credeva di non avere più da molto tempo. Per quella decisione, Hook si consumò portandosi talmente vicino alla pazzia, che se non avesse agito in tempo, di certo vi sarebbe rimasto intrappolato davvero.

Quella sera, chiese, come al solito a Spugna, di condurre da lui la ragazza e di lasciarli soli fino a nuovo ordine. L’ometto obbedì e portò nella cabina Arabelle. Era sempre meravigliosamente bella, anche se il suo abito era stropicciato e consunto, la stoffa opaca e strappata in alcuni punti. I capelli erano completamente raccolti dietro la nuca, con solo alcuni riccioli che le cadevano scompostamente intorno al volto. Il suo sguardo era triste, spento, come se anche lei stesse sopportando la peggiore delle torture in quei giorni. Ma Hook sapeva che non era così: nessun dolore avrebbe mai potuto eguagliare il suo.

IL pirata, da parte sua, aveva un aspetto singolare. Manteneva il suo fascino proibito come Arabelle conservava la bellezza ultraterrena, ma aveva anche lui lo sguardo perso, inconsolabile, privo di qualunque vitalità. Sembrava che si fosse vestito solo per dovere, tanta era la depressione e la desolazione che lo avevano invaso. Indossava dei pantaloni in pelle nera con degli stivali dello stesso colore, poi aveva una camicia bianca aperta su petto e la sua solita vestaglia orientaleggiante.

Rimasero a guardarsi l’un l’altro per alcuni momenti. Arabelle sembrava sfinita e quella vista provocò nel pirata una fitta di dolore acuta e penetrante.

« Avvicinati, Arabelle. » disse piano, senza guardarla in volto. Lei fece come lui aveva chiesto, ma lo fece in maniera apatica, rassegnata, sapendo che cosa l’aspettava.

Sempre senza alzare lo sguardo su di lei, Hook parlò ancora. « Amami, Arabelle. » La solita supplica, la solita struggente supplica che attendeva una risposta. Arabelle restò in silenzio.

« Mi ami? » chiese, ancora più piano lui.

La ragazza attese un istante prima di rispondere, come sempre. « No. ».

Il sospiro che seguì da parte di Hook fu così straziante che Arabelle dovette ammettere che l’aveva colpita. A quel punto l’uomo si alzò e andò a cadere ai suoi piedi, alzando lo sguardo adorante. Tese le mani verso di lei, come a chiamarla, a reclamarla a sé in una tacita richiesta.

« Guardami. » chiese. Lei lo guardò, con uno sguardo che non si sarebbe potuto definire con certezza. « Vedi cosa hai fatto di me? » continuò lui « Io che mi disgusto alla sola idea di dover chiedere qualcosa, sono qui, in ginocchio, ad implorarti. » Sospirò, abbassando le mani e lo sguardo « Sono temuto, rispettato, servito e accontentato in ogni mio desiderio, ma sto impazzendo per colpa tua. »

Arabelle distolse lo sguardo dai suoi occhi « Perché? » fu un sussurro quasi impercettibile. Era come se il carattere forte e determinato della ragazza fosse momentaneamente scomparso, causa la stanchezza forse.

« Perché? » ripetè Hook, per cui la risposta era così ovvia che le parole non sarebbero servite. « Come fai ad essere così ceca? Non c’è istante in cui non pensi a te, in cui non soffra a causa tua… Perché non vuoi capire che ti amo? » Alzò lievemente il tono della voce, ma questo bastò perché Arabelle tornasse a guardarlo negli occhi « Ti amo. » ripetè « Ti adoro. Mi sei entrata nell’anima, nel sangue, nelle viscere…. Non ho vissuto che una semivita da quando tu, crudelmente, mi hai abbandonato. »

Arabelle continuava a rimanere in silenzio, muta, impassibile di fronte a quelle appassionate dichiarazioni dell’uomo. Dichiarazioni che la stavano stremando per i rifiuti che le strappavano.

Hook attese un momento che lei gli desse un qualunque segno di comprensione, ma quando si accorse che quel segno non sarebbe giunto, proseguì « Sai cosa vuol dire dover tremare al solo vederti entrare nella stanza dove mi trovo? Desiderare toccarti ogni momento temendo, al contempo, di profanarti con il mio tocco? Hai una vaga idea di cosa ho dovuto patire già sin dagli ultimi giorni in cui mi hai curato? » corrugò la fronte per lo sforzo « Non sai cosa significhi per me. Tu stessa mi hai definito crudele bugiardo ed assassino, quindi dovresti sapere che scompensi ha provocato in me questa emozione. Capisci? Non riuscivo a pensare a nulla, a fare nulla, perché tutto ciò cui la mia attenzione era rivolta eri tu. Sei tu. ». Da quelle labbra menzognere stava uscendo un fiume di parole che contenevano tutta la sincerità del mondo. Il cuore dell’uomo stava palpitando nel suo petto, forte e vivo, vulnerabile alle ferite, senza la corazza che lo proteggeva. Il suo corpo forte e virile stava tremando impercettibilmente alla sola vicinanza dell’oggetto delle sue brame.

« Ho sempre avuto sottomessi, intorno a me, mai pari. Eppure se tu me lo chiedessi, farei qualunque cosa tu voglia solo perché sei stata tu a chiedermela. » lo sguardo gli si fece assente « Così bella, così giovane e fresca,…. Io sono indegno anche solo di stare alla tua presenza, ma ho bisogno che tu mi ami per continuare a vivere. » sospirò « Se solo sapessi….ho provato persino a cercare una tua somiglianza in un’altra donna, ma non è servito a nulla… non sono neppure riuscito a portare a termine quello per cui l’avevo fatta chiamare qui…. »

Era terribilmente serio. Arabelle lo guardava con odio misto a compassione negli occhi da cerbiatta, mentre ascoltava le sue parole. Era strano vedere quell’uomo terribile pronunciare frasi talmente appassionate e guardare la ragazza con occhi infuocati e teneri allo stesso tempo. Era quasi innaturale, ma era la realtà.

« Amami, Arabelle…. Amami.... amami … » ripetè piano, pregandola con tutto se stesso.

Arabelli schiuse le labbra lentamente, segno che stava per parlare. Hook fissò quella bocca così bella voluttuosa e sferzante, sperando in una sua parola di speranza, conforto.

« Non posso. » furono le sole parole che la ragazza pronunciò e lo fece con tanta desolazione che all’uomo sembrò che il mondo stesse per sprofondare all’inferno portandolo con sé.

« Ti prego… » sussurrò in un’ultima, straziante richiesta.

Arabelle scosse la testa « Non posso. » Era una sua illusione, o l’aveva detto con tristezza? Tanto la cosa non aveva più importanza: l’ultimo tentativo era stato fatto ed era fallito. Ad Hook non restava più altro da fare se non mettere in atto la sua decisione. Una decisione che gli sarebbe sicuramente costata la vita.

Si alzò agilmente in piedi, suscitando lo stupore della ragazza davanti a lui. Rimase fermo un istante, guardandola come se quella fosse stata l’ultima volta che la vedeva e volesse quindi imprimere nella mente ogni suo particolare. Dopo poco, però le diede le spalle e si diresse verso il grande tavolo che si trovava poco lontano. Arabelle lo vide aprire un cassetto ed estrarre un foglio arrotolato e sigillato, che le porse.

« Prendilo. » le disse, vedendo che esitava. La ragazza lo prese tra le mani delicate e lo osservò: sembrava un comunissimo foglio bianco, arrotolato e sigillato con lo stemma di Hook, un uncino.

« Che cos’è? » domandò, seria. Ora che il pirata aveva smesso di professarle i suoi sentimenti, sembrava aver riacquistato il suo carattere singolare.

Hook la guardò con dolore « È un mio ordine scritto. » le spiegò « Firmato e sigillato. ». Arabelle lo guardò senza capire, così lui la incitò ad aprirlo.

Lei lo fece e lesse le poche righe che vi erano scritte:

Io sottoscritto Jason Hook, capitano della quarantafuochi Jolly Roger, con la presente dichiaro che la prigioniera numero 3, che consegnerà questo messaggio, è da me dichiarata libera di lasciare la nave insieme ai suoi eventuali congiunti non appena sbarcheremo.

Jason Hook.

Mentre leggeva quelle parole, Arabelle ebbe un tuffo al cuore per la gioia e per l’incredulità. Hook invece era l’ombra di un uomo. Il suo sguardo freddo, distaccato e crudele aveva ceduto il posto a quello che si sarebbe detto lo sguardo di un uomo in punto di morte.

« Cosa significa ? » domandò lei, con un filo di voce.

L’uomo la guardò in un modo che scosse il cuore della ragazza, nonostante tutto, perché era così sofferente che sembrava stesse per scoppiare in lacrime da un momento all’altro.

« Significa proprio quello che pensi: sei libera, Arabelle. Non ti tormenterò più. ». Con uno sforzo enorme continuò « E anche le altre prigioniere sono libere. » Arabelle era senza parole, ma mantenne il contegno che la caratterizzava. « Lascerete la nave il prima possibile. »

« Perché fai questo? » gli domandò la giovane, scrutando da lontano nei suoi occhi grigi.

Hook ebbe uno spasmo di dolore che si mostrò apertamente sul suo volto, prima di rispondere alla domanda. « Perché sono stanco, Arabelle. » rise amaramente « Sei il mio respiro, per questo non posso più tenerti prigioniera in una stiva. Non sopporto più questa situazione. » le disse serio e addolorato. Lei lo guardava con gli occhi grandi e carichi di uno stupore nuovo. Sembrava diventare ogni secondo più bella agli occhi del pirata. « Tu non mi ami… e io, del resto, forse non merito il tuo amore. » distolse lo sguardo dal volto di lei, dandole le spalle con uno sforzo incredibile « Và, ora. Ti prometto che non sarai intralciata, né ora, né al momento dello sbarco. ».

Lei era completamente attonita « Dici sul serio? » sussurrò.

« Purtroppo si, » rispose lui « Ti prego, vai. ».

Quelle furono le ultime parole che pronunciò. Dopo che il loro eco si fu spento nell’aria, Hook rimase immobile, con gli occhi chiusi e le sopracciglia aggrottate, aspettando di sentire i passi della ragazza che usciva dalla cabina. Il suo cuore sarebbe andato via con lei, ma non poteva più fare nulla per cambiare le cose. Si sentiva vuoto, spento, stanco e solo. La cantilena dei bimbi sperduti gli echeggiò nella mente di nuovo “ vecchio, solo, defunto ” per diverse volte. Era come se i quarantasette giorni vissuti nel castello nero con lei fossero stati solo un sogno, una beffa crudele del fato. Il suo destino, era quello di morire insieme all’amore non corrisposto che nutriva per quella ragazza, che vicino a lui sembrava una vera bambina, così piccola e fragile se paragonata al corpo forte e robusto di lui, così giovane eppure così fredda….

Ma il suono dei passi di lei che si allontanava non vennero. Trovò la cosa strana, visto che dovevano essere passati diversi istanti da quando le aveva consegnato il foglio che garantiva per la sua libertà. Si voltò lentamente per vedere come mai non fosse ancora andata via.

Arabelle era rimasta ferma, completamente immobile. Lo stava fissando con un’espressione che gli fece gonfiare il cuore. Era incredula, si, ma c’era anche qualcos’altro nei suoi occhi; qualcosa che non sapeva definire. Lo sguardo che gli rivolgeva era talmente strano e intenso che Hook a sua volta non riuscì a staccarle gli occhi di dosso, perplesso.

Improvvisamente, la ragazza posò su uno scrittoio che aveva vicino il foglio che aveva appena ricevuto, poi fece un solo passo verso di lui, che sentì il suo cuore saltare nel petto per la sorpresa di quella reazione.

« Ma…allora… non mentivi. » esclamò lei. L’uomo non rispose, non comprendendo nulla di ciò che stava accadendo. Cosa era arrivato a splendere negli occhi di lei? Era speranza?

Arabelle fece alcuni lenti, ma decisi passi verso di lui, che era sempre più confuso e sempre più emozionato. Ora i suoi occhi erano splendenti come stelle e vivi come mai li aveva visti. Il respiro di Hook si fece affannato, mentre il pulsare del sangue nelle vene divenne una corsa sfrenata.

Da quella distanza, la ragazza lo fissò intensamente

« Mi hai liberata…. » sussurrò, più a se stessa che a lui. Hook non fece in tempo a rispondere o a dire alcunché, perché Arabelle sorrise in un modo così aperto e disarmante che lui ebbe paura di perdere i sensi in quel momento.

In un lampo, la ragazza annullò le distanze tra loro e, con impeto, gli gettò le braccia al collo.

Per Hook quello fu qualcosa di magico, straordinario e terribile. Il suo cuore parve esplodere e il sangue divenne piombo fuso nelle vene e nelle arterie. Era così confuso e felice in quel momento, che dovette impiegare diverso tempo prima di rendersi pienamente conto del fatto che Arabelle lo stava abbracciando. Ad un certo punto sentì che le piccole ed affusolate mani di lei gli stavano stringendo una le spalle, l’altra la nuca, accarezzandola dolcemente. Allora perse completamente il controllo e la strinse a sé con forza, incredulo e grato per quell’unico momento che sapeva sarebbe svanito nel momento in cui lei lo avrebbe lasciato andare.

La strinse forte, come se avesse paura di vederla svanire da un istante all’altro, come nebbia, come un sogno troppo reale che aveva preso il sopravvento.

« Quanto ti amo… non lo sai. Non lo sai… » le sussurrò triste in un orecchio, sentendo che piano piano allentava la presa sul suo collo per staccarsi da lui. Hook la guardò sentendo che ora il loro distacco sarebbe stato ancora più doloroso per lui.

Ti amo. Ti amo troppo per una sola vita… ma perché non sei andata via dalla cabina come avevo detto.? Che bisogno c’era di torturarmi ancora?

La lasciò andare, distogliendo gli occhi dai suoi ancora prima di incrociarli, per timore di non resistere. « Devi andare ora. » le disse « Se non te ne vai, mi farai morire… e non troverò più la forza di farti andare via. »

Sentì una risata trattenuta, breve e si voltò verso di lei. Ciò che vide lo eccitò e immobilizzò insieme: Arabelle stava ancora sorridendo, gli occhi luccicanti di poche lacrime non versate. Come lo guardava!! Ma soprattutto, non disse nulla di sprezzante, né lo smentì quando lui le ebbe detto che l’amava.

Tutta la freddezza del feroce pirata, dell’efferato assassino, erano scomparse, come pure il suo controllo e la sua razionalità calcolatrice. Riusciva solo a restare immobile mentre lei continuava a fissarlo in quel modo sublime, che lo faceva sentire leggero e vivo. Ma ancora non capiva.

« Cosa… » provò a dire, ma fu interrotto. Infatti, Arabelle aveva portato le dita a sfiorargli le labbra, intimandogli di tacere. Appena un momento dopo, smise di sfiorarle con le dita per coprirle con la sua bocca.

Fu un attimo. Un attimo in cui posò decisa le labbra su quelle di lui, in un bacio casto, ma ugualmente intenso. Hook sentì la testa girare e le sue membra prendere fuoco. Non rispose al bacio, tanta era l’emozione che lo sopraffece. Nel frattempo, però, Arabelle continuava a baciarlo, cominciando a schiudere le labbra, lentamente.

Staccandosi un istante per riprendere fiato, la ragazza lo guardò negli occhi, poi accostò nuovamente la bocca a quella di lui.

« Ti amo. » sussurrò a meno di due centimetri dalle sue labbra. Hook sentì che il cuore si fermava, tutt’ a un tratto. Aveva sentito bene?

D’impulso, senza riuscire a dominarsi, la staccò da sé per guardarla negli occhi « Cos’hai detto? » le chiese, in preda al delirio « Ripetilo! »

Lei gli accarezzò il volto con una mano, così dolcemente che lui chiuse gli occhi per l’emozione.

« Ti amo. » ripetè poi lei.

Le gambe dell’uomo, normalmente così salde e robuste, gli cedettero al punto che Hook si lasciò di nuovo cadere a terra davanti a lei. Tenne lo sguardo basso, gli occhi frenetici che vagavano da un posto all’altro della stanza, posandosi ovunque tranne che su di lei. Due sole lacrime gli scesero lungo le guance e non furono lacrime rosse, come quando piangeva di solitudine. No. Da quelle lacrime aveva distillato il suo potente veleno perché erano lacrime amare, rabbiose ed invidiose. In quel momento però pianse di gioia.

« Mi ami…? » chiese con un filo di voce, tornando a guardarla, esitante. Cosa, quella, strana per lui.

Arabelle sorrise dolcemente ed annuì. Hook non era in sé dalla gioia, ma una parte di lui vedeva tutto come un sogno bellissimo, dal quale presto si sarebbe dovuto svegliare.

« Ma… da quando sei qui….tu.. » farfugliò, delirante e confuso.

« Lo so » lo interruppe lei. « Ma ora è diverso. »

L’uomo rimaneva nella confusione, con il suo unico appiglio alla realtà il volto di lei.

« Poco fa… anche allora… » Si riferiva, ovviamente, al fatto che lei lo aveva rifiutato persino pochi minuti prima, lasciando che sprofondasse nella più nera disperazione. Arabelle comprese ciò a cui egli alludeva.

« Ora è diverso » ripetè.

Hook la fissò come se fosse stata una ninfa, una dea: con adorazione assoluta. « Perché? » mormorò, smanioso di comprendere.

La ragazza sorrise dolcemente « Ti amavo anche prima, Jason Hook.Solo che prima non potevo fidarmi di te. » A quel punto si inginocchiò a sua volta, davanti a lui. In questo modo, lui tornò a superarla in altezza, anche se non quanto prima. « Tu ti saresti fidato di te stesso? »

L’uomo non seppe cosa rispondere. Ammise con se stesso che la ragazza aveva ragione e torto al medesimo tempo. Ma fu solo un momento, perché l’attenzione che aveva prestato a quelle ultime parole non fu completa. La sua mente era ancora ferma a quando lei aveva detto che lo amava.

« Mi hai liberata! » continuò lei « So quanto ti sarebbe costato farlo, non solo per ciò che provi, ma anche perché, come tutti sanno, il capitano Hook non rilascia i prigionieri senza ricavarci del denaro, almeno. Se lo avessi fatto… sarebbe stato perché mi amavi davvero. »

Ora fu chiaro tutto. Finalmente Hook comprese le parole e il comportamento della ragazza e dovette trattenersi non poco per non piangere altre lacrime di gioia.

« Mi ami… » ripetè sommessamente, come se non riuscisse a capacitarsene, dopo tutti i rifiuti e i tormenti che aveva dovuto affrontare. Allungò la mano a toccarle il volto e stavolta Arabelle non si ritrasse al suo tocco. Quando entrò in contatto con la serica pelle di lei, Hook emise un gemito impercettibile. Arabelle si appoggiò contro la sua unica mano, mentre si allungava verso di lui e lo baciava nuovamente. Fu un altro bacio dolce, rassicurante e tremendamente eccitante per il pirata, che per infinite notti aveva sognato di nuovo quelle labbra.

« Ti amo. » ripetè lei « Ti amo da morire Jason Hook! » usò il suo nome completo, quindi lui seppe che diceva sul serio, come ogni volta che faceva così.

Hook rispose al bacio di lei alzandosi in piedi e alzando anche la ragazza con lui. Schiuse le labbra e lei fece altrettanto, trasformando il casto bacio in qualcosa di profondo, travolgente, urgente. L’uomo premeva la mano sulla vita di lei, spingendola sempre più verso di sé, mentre le mani piccole della giovane gli accarezzavano la nuca e il collo, cingendogli le spalle ampie e forti.

« Strana e meravigliosa creatura » disse Hook quando si staccarono per un momento, con lo sguardo selvaggio, libero da ogni finzione « Non so come hai avuto questo potere, ma mi hai reso completamente tuo. » Tornò a baciarla, con passione urgente, la lingua che le assaporava le labbra senza un attimo di tregua. « Senza di te…non sono più niente! »

Arabelle lo guardò con un amore infinito, bruciante di desiderio e tremendamente vero. « Sono dunque tanto, per te? » sussurrò nella sua bocca.

« Non si può descrivere quello che sei per me. » rispose subito lui, tornando a baciarla. Non c’era attimo in cui non sentisse il sangue ribollire, il cuore battere forsennatamente e la ragione andarsene lentamente. La felicità che stava provando era troppo intensa perché potesse essere priva di dolore, anche se si trattava di un dolore buono.

« Resterai? » le chiese in preda alla disperazione « Ti prego, dì che resterai, Arabelle…. »

Per tutta risposta, lei lo abbracciò così forte che il suo busto aderì perfettamente con quello di lui. « Si. » fu un sussurro lieve, carezzevole, che mandò completamente in estasi l’uomo, che oramai non sentiva null’altro che le pressioni dei seni di lei sul suo petto attraverso la stoffa.

« Non smettere di baciarmi, Arabelle. » disse lui « Non smettere mai! ». Senza farselo ripetere, la ragazza tornò a baciarlo appassionatamente, fino a che, improvvisamente, non si sentì che due braccia forti la sollevavano. In un attimo, si ritrovò in braccio a quell’uomo che l’adorava come una cosa sacra. Egli spostò le labbra dalla bocca di lei al collo, mentre gli stringeva le spalle aggrappandosi a lui. Cominciò a fare dei rapidi e decisi passi verso la stanza attigua: la sua camera da letto. Arabelle non si oppose.

Una volta entrati, senza smettere di baciarle il collo con smania quasi bisognosa, Hook chiuse la porta con un calcio. Poi si diresse verso il grande letto a baldacchino e vi depose il piccolo e snello corpo della ragazza, con una delicatezza tale che si sarebbe potuto dire avesse paura di romperla con quel semplice gesto.

Lui si avvicinò a lei fin quasi a sovrastarla completamente, guardandola con il fuoco bruciante al posto delle iridi, mescolato ad una tenerezza smisurata a formare un magico miscuglio di emozioni.

« Quanto ho aspettato… quanto ho sognato… » sussurrò con voce già arrochita da desiderio mentre si curvava su di lei a baciarla ancora, sempre con passione maggiore. Arabelle rispose con eguale foga al tocco delle labbra di lui, facendolo perdere in una follia dei sensi e dell’anima.

Quando si staccarono per un attimo, lei lo fissò con amore così totale che Hook temette per l’ennesima volta di svenire sotto il peso di quello sguardo, poi gli prese il volto tra le mani, facendogli fissare gli occhi nei suoi.

« Aspettavo che mi liberassi…. » mormorò, seria « Era l’unico modo che avevo per fidarmi di te. E lo hai fatto. » Così detto, gli stampo sulle labbra un bacio di fuoco.

Hook gemette, soprafatto da tanta passione, sentendo subito il suo corpo rispondere con urgenza quasi violenta. Sotto la pelle c’era una statua di metallo bollente che ribolliva e bruciava. Rispose al bacio con forza, prendendo la nuca di lei nella mano.

Ad un certo punto, Arabelle staccò le mani dal collo di lui per andare a cercare il suo uncino. Con non poca abilità, fece scattare il meccanismo che lo teneva agganciato e lo gettò via, da qualche parte su pavimento.

« Ti amo » gemette Hook nella bocca di lei, che a sua volta ripetè che lo amava. L’uomo sentì di volerle chiedere come mai allora lo aveva abbandonato al castello, ma si disse che lo avrebbe fatto in un altro momento. Ora nulla importava se non il fatto che lei era lì, con lui.

In preda al delirio della carne, egli le tracciò una scia di baci infuocato sul volto, sulla mascella, il collo e le spalle. Qui si staccò un momento per guardarla, sentendola fremere sotto il suo peso. Aveva gli occhi lucidi, le palpebre leggermente appesantite e la bocca dischiusa, arrossata. Lo guardava come ogni uomo sogna di essere guardato dalla donna che ama. Vedendola così, Hook cedette e portò la mano dietro la schiena di lei, iniziando a scioglierle i lacci che tenevano chiuso il vestito.

Arabelle, a sua volta, gli fece scivolare dalle spalle la vestaglia di seta, che con un fruscio andò a cadere accanto all’uncino, sul pavimento. Le mani di entrambi erano avide, ma lente, gravi, assaporando istante per istante quello che stava accadendo. Il primo indumento ad essere sfilato dopo la vestaglia fu la camicia di Hook, che, una volta tolta, rivelò il petto forte e muscoloso, snello e ampio dell’uomo. Un petto che Arabelle conosceva bene, visto che lo aveva curato da gravissime lesioni. Ella si tirò su a sedere, con il vestito semislacciato che pendeva pericolosamente, mostrando sempre più stralci di pelle nuda e bianca. Egli si alzò con lei, intontito, sopraffatto dal desiderio. Tremò come una foglia quando la ragazza allungò le dita a toccare ed accarezzare la cicatrice di quel taglio che aveva medicato innumerevoli volte, in quei giorni in cui esistevano solo loro. Poi gemette forte quando le labbra di lei sostituirono le dita, baciandogli il petto, dove era stato ferito e risalendo poi sulle spalle e sul collo, fino a trovare di nuovo la sua bocca.

Ansimando per l’impazienza, Hook allargò ancora la scollatura del vestito di lei, fino a liberare i suoi seni. Quella vista, il pirata si eccitò come mai gli era accaduto, la sua passione si accese oltre ogni possibile ritorno. Erano due collinette bianche e sode, tenere e non molto grandi, ma tonde e dalle punte impertinenti, già inturgidite. Non aveva mai visto qualcosa di tanto bello in tutta la sua vita.

L’abbracciò con impeto, urgenza e le baciò di nuovo il collo e le spalle.

« Amami… ti prego… » ansimò nell’orecchio di lei.

Arabelle, per tutta risposta, cominciò ad accarezzargli il petto così delicatamente che le sue dita sembravano piume, che al loro passaggio lasciavano una scia di fuoco sulla pelle dell’uomo.

« Ti amo. » gli disse,poi, guardandolo negli occhi e baciandolo sulle labbra, assaporando le sue, così dolce e aspre al contempo.

Hook gemette ancora e allora abbassò la testa fino a trovarsi a contatto con il suo seno, baciandolo con foga esasperante. Era ormai completamente folle. Nessuna donna gli aveva mai fatto un tale effetto, neppure nei suoi sogni più audaci. La ragione era completamente persa in quella tortura sublime che stava vivendo. Ad un certo punto, quando oramai la carne della ragazza era arrossata a causa dei baci ricevuti, l’uomo avvertì che le manine della giovane stavano armeggiando con l’apparecchio che teneva al braccio sinistro agganciato alla spalla opposta, a cui fissava la sua arma letale.

Per un momento, Parve riprendere coscienza, desiderando fermarla mentre tentava di sganciare la chiusura, memore del disgusto che tutte le sue amanti provavano per quella parte di lui. Era pur vero che durante la sua permanenza con lui, ella non aveva mostrato ribrezzo, ma probabilmente, in quella situazione sarebbe stato diverso.

Fece per fermarla, ma Arabelle lo fermò con uno sguardo. Vinto, ormai da tempo, Hook la lasciò fare. Con una dolcezza sorprendente, la ragazza gli sfilò il congegno, poi, guardandolo negli occhi, accarezzò il moncherino e lo coprì di baci, dapprima dolci, quasi avesse sperato di guarirlo con il solo tocco delle labbra, poi smaniosi, appassionati, come gli aveva baciato le labbra fino a poco prima.

Se aveva ripreso un poco di controlllo, Hook a quel punto lo perse del tutto e anche di più. Afferrò Arabelle tra le braccia e la strinse risoluto, appassionato,, continuando a baciarle il collo e le spalle e riprendendo, poi a liberarla dal vestito.

Nel frattempo, il sole era calato e le loro ombre generate dalle candele danzavano sulle pareti di legno, giocando con le loro figure.

L’abito elfico della ragazza scivolò a terra con un fruscio simile a quello che aveva prodotto la vestaglia di lui. La stanza si riempì preso di gemiti e sospiri, provenienti dalle gole di entrambi. Hook era come spinto da un istinto incontrollabile. Subiva passivamente le regole del corpo e del cuore, lasciando in disparte la ragione e il controllo. Se quello era un sogno, avrebbe voluto non svegliarsi mai.

Arabelle rimase con solo una sottoveste corta e semitrasparente che partiva dalla vita snella per arrivare alle ginocchia. L’uomo la tolse gravemente, osservando come la ragazza restava nuda e palpitante sotto di lui. Nessuna donna, per quanto bella, per quanto giovane, avrebbe mai potuto aspirare a tanta perfezione.

Si lasciarono di nuovo cadere supini, Arabelle sotto il peso del corpo possente del pirata. Quasi subito ella staccò le mani dalla schiena forte di lui per portarle a sciogliere i suoi riccioli, che scesero sul seno e sui cuscini di seta come una cascata scura.

Hook riprese a baciarla mentre scostava le lenzuola di seta, facendo spazio ai loro corpi. Gemendo senza controllo mentre Arabelle gli sfiorava la schiena, il petto, il collo forte e ben piantato, l’uomo le accarezzò ogni centimetro di pelle, dalle spalle ai senti, dall’addome alla pancia e percorse avidamente con le dita le gambe snelle ed affusolate. Infine, mentre la ragazza si agitava sotto di lui, con la mano le sfiorò la sua parte più intima, strappandole un gemito forte e inducendola ad aggrapparsi a lui. Sentì subito che era umida, pronta ad accoglierlo, e allora qualcosa dentro di sé esultò dalla gioia e per l’estasi. Arabelle portò le mani sul basso ventre di lui, che fu scosso da brividi inimmaginabili al tocco di quella carezza, più audace delle altre fino a quel momento ricevute. Si chinò rapido a baciarla, andandole in aiuto. In breve, fu libero anche da quell’ultimo indumento che li separava.

Sena smettere di baciarla, si accomodò meglio sopra di lei e sentì che Arabelle portava la gambe ai lati del suo bacino, in un gesto invitante, accomodante che lo fece impazzire.

Prese una delle mani di lei, che stava accarezzandogli la nuca ed il cuoio capelluto, per portarla a toccare la sua eccitazione, che pulsava quasi dolorosamente. Al contatto con la pelle liscia e bollente della sua virilità, Arabelle ebbe un sussulto, ma non ritirò la mano, accarezzando quella parte nascosta del bel corpo dell’uomo, strappandogli gemiti e sospiri inimmaginabili. Se non l’avesse presa presto, era certo che sarebbe impazzito.

« Ti amo. » le sussurrò per l’ennesima volta all’orecchio « ti amo…ti amo…ti amo… » strepitò, fuori di sé, mentre lei continuava ad accarezzarlo, con una mano sulla sua virilità e una sulle sue spalle « Vedi cosa sei riuscita a farmi? Mi hai stregato, Arabelle. Sono solamente e completamente tuo. »

Arabelle sospirò nella sua bocca « Amore mio…. »

A quelle parole una sacra solitaria scivolò sulle guance dell’uomo, andando a cadere sulle labbra della ragazza. Qui venne raccolta da un altro bacio appassionato e di fuoco vivo.

« Sto impazzendo…» gemette lui, con il volto appoggiato nell’incavo del collo di lei « Ti prego, dimmi che sei mia… dimmelo ed io ti apparterrò per sempre… dimmi che… » nuovamente Arabelle lo zittì sfiorandogli le labbra con le dita. Dita che subito vennero afferrate e baciate come fossero state sacre, la sua stessa aria per respirare.

« Si… » ansimò lei, guardandolo negli occhi.

Hook sospirò di pura gioia a quella risposta e le coprì il busto di baci carichi di desiderio, ma di un desiderio che non è di questo mondo.

Perso completamente in quel delirio, l’uomo strinse a sé la ragazza, che a sua volta lo avvolse con le sue piccole braccia, e con un colpo deciso, forse appena un po’ troppo deciso, fu dentro di lei.

« Ah! » sussultò forte Arabelle, mordendosi le labbra e stringendolo maggiormente, conficcandogli le unghie nella carne della spalle.

Dopo quella prima stoccata, Hook si fermò di scatto, sentendo anche poi la reazione di lei. Si staccò appena da lei per guardarla in viso. Aveva le guance arrossate dal desiderio, che la facevano apparire meno eterea, negli occhi un’espressione di piacere misto a dolore. Nel momento fatale e divino in cui era entrato dentro di lei, il pirata aveva avvertito una strana, sconosciuta resistenza, che pure alla fine era stata vinta, e aveva sentito un minuscolo strappo. Ora che si era fermato, gli parve di sentire qualcosa gocciolare per un solo attimo sulle lenzuola di seta.

Senza bisogno di guardare, comprese.

« Arabelle…. » riuscì solo a sussurrare. Lei ricambiò il suo sguardo, con l’aria di chi sa di essere scoperto. Infatti, quegli eventi apparentemente senza importanza, lo strappo, il dolore che aveva visto delinearsi momentaneamente sui bei tratti della ragazza, significavano una ed una sola cosa. Arabelle era vergine.

Hook in quel momento si sentì terribile, perché non aveva pensato a quella eventualità. Come avrebbe potuto, visto che in vita sua non aveva mai avuto una donna che non fosse esperta? Inoltre, quando tutto era cominciato, Arabelle non gli era sembrata timida nè estranea a quel tipo di contatti fisici. Lui, poi, era stato troppo preso da se stesso e dal suo delirio dei sensi per pensare anche solo lontanamente a quella eventualità. Ora il pensiero che avesse sofferto per il suo impeto lo distruggeva.

« Arabelle, » ripetè « Perché non… non me lo hai detto? » ansimò, tentando di controllare le fitte dolorosamente piacevoli che gli stavano attraversando il membro e il fuoco che, partendo dal basso ventre lo stava consumando.

Lei lo guardò, arrossata e tremendamente seria « Non potevo…non volevo trattenerti. »

Hook la guardò profondamente commosso e ancora più eccitato da quelle parole, che per lui erano più dolci del miele.

Quella creatura non avrebbe meritato un amore come il suo, si disse, che pure era grande e senza confini. No, avrebbe dovuto avere un sentimento composto e rispettoso di un uomo più giovane di lui e senza tutte le sue macchie. Eppure quella stessa meraviglia che giaceva tra le sue braccia condivideva la sua natura passionale al punto da non impedirgli di violarla con tutta la forza del suo…del loro desiderio.

Con un sospiro di gioia grata, Hook la baciò come ancora non aveva fatto e cominciò a muoversi dentro di lei. Cercò di dominarsi, ma Arabelle gli fece capire che non ve ne era bisogno sollevando i fianchi per andargli incontro, così che potesse andare più a fondo. I suoi movimenti divennero preso molto profondi, anche se non rapidissimi. La ragazza si aggrappò a lui, respirando piano, spesso lanciando brevi e sommessi mugolii.

Lui la strinse a sé con il braccio mutilato, dato che con l’altro teneva il busto sollevato per non schiacciarla. La strinse forte, con energia e determinazione, perché fosse così vicina a lui da poter sentire il suo cuore che batteva contro il suo petto.

Dopo minuti o millenni di estenuanti carezze e vibranti affanni, Il corpo muscoloso dell’uomo si irrigidì ed egli sentì che la sua pazzia d’amore si scaricava in un lungo fiotto caldo all’interno del ventre di Arabelle, che a quel punto raggiunse l’apice del piacere, mordendo la carne della spalla di lui.

Con un breve e roco grido soffocato, Hook si abbandonò con il volto sul collo di lei.

« Arabelle » sussurrò « ti amo. » Non era vero. Il suo era qualcosa di ancora più assoluto e complesso dell’amore. Ma nessuna parola è ancora stata inventata per definirlo, anche se adorazione è quella che vi si avvicina maggiormente.

Rimase dentro di lei ancora per alcuni istanti, poi rotolò supino, portandola con sé fino a farla sdraiare sopra di lui. Entrambi erano affannati, accaldati e si guardavano come chiedendosi come avevano potuto resistere tutto quel tempo stando lontani. Perché il loro amore non era quello tiepido degli adolescenti, né la semplice, semifredda, passione che gli uomini spesso provano. Era un amore assoluto, caldo, che chiedeva carne e doveva ottenere carne, ma che pretendeva in pegno anche l’anima.

« Mio angelo… » le disse lui mentre le accarezzava il viso e i capelli « Ti prego, dimmi che non ho sognato… dimmi che era reale. » Era ancora profondamente stordito dal piacere e spossato, ma temeva realmente che se si fosse addormentato, al risveglio avrebbe scoperto che era stata solo una crudele illusione.

Arabelle chinò la testa e gli posò un bacio sul petto, proprio sul cuore, dove la ferita da poco riportata era stata più profonda. Poi alzò lo sguardo, tanto tenero quanto esigente e gli si avvicinò.

« Lo era… » sussurrò, chinandosi a baciarlo sulle labbra « Io ti amo. ».

Hook rispose con passione a quell’ennesimo bacio, stringendola ancora, sempre più forte. Di nuovo sentì le membra prendere fuoco e ardere senza sosta, al punto che Arabelle, sdraiata su di lui, sentì che la sua virilità premeva forte contro il suo ventre, di nuovo pulsante, di nuovo esigente.

Quella notte, si unirono molte altre volte, perché la lontananza che avevano dovuto patire, doveva essere, almeno in parte, placata.

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Capitolo 19
*** La regina ***


La Regina

La Regina

La mattina dopo Hook si destò presto, a causa del suo stomaco, dal momento che la sera prima non aveva dato disposizioni per la cena. Quando aprì gli occhi, la prima cosa che notò fu che, accoccolata sul suo petto, dormiva la creatura più bella che avesse mai visto. Arabelle era lì, reale, tangibile, con la testa appoggiata sul suo petto e i capelli sparsi che spandevano il loro profumo. Illuminata dai raggi del mattino che trafelavano dalla finestra, la sua pelle bianca sembrava ancora più luminosa. Si era addormentata a notte fonda, insieme a lui, in quella posizione, tenuta stretta tra le braccia dell’uomo, mentre lei stessa teneva il braccio sinistro avvinghiato alla vita di lui. Hook sentì il cuore gonfiarsi a quella vista.

In tutta la sua vita, se aveva avuto numerose amanti, non aveva permesso a nessuna di dividere con lui il letto. Arabelle, invece, si era addormentata accanto a lui, quella notte, dopo che si erano uniti diverse volte, disperatamente. Ancora non riusciva a credere che ciò che era accaduto fosse vero. Di certo, se aveva provato una gioia immensa e grande sollievo anche fisico, quando l’aveva avuta, si rendeva conto che il suo ardore, la sua passione, il suo amore, non avrebbero mai trovato pace se non nell’appagarsi, perché il suo sentimento era talmente forte da reclamare il diritto ad essere una cosa sola con l’oggetto della sua ossessione.

Dopo essere rimasto a contemplarla per un po’ di tempo, senza muoversi, il pirata sentì che Arabelle si stava svegliando. La vide alzare la testa e spalancare i grandi occhi scuri, che brillavano come mai li aveva visti. Tuttavia non sorrideva. La guardò mentre si tirava su a sedere, coprendosi il petto con il lenzuolo, e voltarsi verso di lui con aria seria. Troppo seria.

« Che cos’hai? » le domandò piano Hook.

Arabelle sospirò « Paura. »

Il pirata si tirò su a sedere a sua volta, guardandola senza capire « Di cosa? ».

« Che ora io non significhi più nulla » era di nuovo Arabelle, in tutto e per tutto, con la sua sincerità così spontanea e disarmante ed il suo carattere di ferro.

Sentendo cosa era che la turbava tanto, Hook si sentì profondamente sollevato. Le prese le spalle, da dietro e l’abbracciò teneramente. Non sapeva neppure lui di possedere quella gentilezza.

« Mi hai offerto il tuo corpo già una volta, quando ti ho fatta portare qui per la prima volta, sapendo che eri tra i prigionieri. » le sussurrò « Ma non ti ho presa. »

Arabelle sospirò, senza voltarsi a guardarlo « No, non lo hai fatto. »

« Io desidero il tuo corpo da impazzire, Arabelle, ma solo come conseguenza del tuo amore. Altrimenti, perché fare tanti sforzi quando potevo prendere ciò che volevo senza troppe cerimonie? » le disse calmo, pensando con tutto se stesso che quelle parole erano vere. Le accarezzò devotamente le spalle e la schiena, aspettando una qualunque reazione da parte sua. Poteva sentire il suo respiro, ricordando che la notte trascorsa lo aveva respirato dalla sua stessa bocca mentre la baciava. « Sono io che ho patito le pene dell’inferno da quando sei sparita. » proseguì poi, mormorando « Sono io che ti ho implorato per tre giorni senza ottenere nulla. Sono io che devo domandarmi se sia vero o no quello che è successo… » C’era una tristezza ed una malinconia nella voce di lei, che la indussero a voltarsi. Lo guardò per un attimo, poi lo baciò, con tenera forza sulle labbra. Hook rispose al bacio con passione, accarezzandole il viso ed i capelli.

« Ti amo. » le disse « Ti adoro. » Si sentiva dal tono di voce che non stava mentendo, perché c’era un impeto appassionato che non è possibile fingere.

« Anche io. » rispose lei, mettendo fine a quell’amplesso di bocche. « Ma credi che io non abbia sofferto dopo essere fuggita? »

« E perché lo hai fatto, allora? » chiese lui, più forte di quanto avrebbe dovuto. Il ricordo di come aveva scoperto che lei non era più al castello era ancora qualcosa di molto doloroso per lui.

Arabelle gli voltò nuovamente le spalle, sospirando. Hook non sopportava di non poterla guardare negli occhi mentre parlava, ma si trattenne dal voltarla, perché era evidente che per rispondere a quella sua domanda stava facendo un grosso sforzo.

« Io…. Dovevo. » rispose semplicemente, con un filo di voce.

Hook però non si accontentò nemmeno un po’ di quella spiegazione. « No. Non dovevi, Arabelle. Non dopo che mi avevi baciato. Ho rischiato d’impazzire quando ho trovato la lettera che avevi lasciato. » Era adirato, ma non in quel momento. Era come se fosse arrabbiato con il passato. Il presente, per fortuna, lo aveva ripagato per le sue tribolazioni.

« Invece dovevo… » replicò Arabelle, appena un po’ più decisa « perché non è facile avere fiducia quando si ama un uomo come te e quando la posta in ballo è te stesso » quando accennò a lui in quel modo, Hook non potè adirarsi e neppure darle torto. Effettivamente, nessuno avrebbe potuto fidarsi di lui in un frangente del genere, ma lo comprendeva solo ora che amava ed era amato. Si era infatti reso presto conto che le sue passate esperienze con le sue amanti non lo avrebbero aiutato in alcun modo ad affrontare al meglio il suo amore per la ragazza.

Qui Arabelle si voltò nuovamente verso di lui e lo guardò risoluta negli occhi « È stato un bene che le cose siano andate come sono andate. » disse « Altrimenti non avrei saputo la verità. ». Pronunciò quell’ultima frase con grande trasporto e Hook si sentì rimescolare le viscere per la gioia. Era incredibile: sembrava così piccola, ancora una ragazza, ma sapeva tenere testa a lui, uomo fatto e, soprattutto, a lui nel vero senso della parola.

Questa volta fu lui a baciarla, quasi di scatto, sorprendendola e facendola sussultare. Lei gli allacciò subito le braccia al collo, facendo cadere il lenzuolo che le copriva il seno in modo già precario. Gli si strinse contro e lui la circondò con le braccia, teneramente. Dopo un po’, però Hook si scostò.

« Ci sono cose che devi dirmi, Arabelle. » le disse piano « Cose che devo comprendere, »

« Si » rispose semplicemente lei.

« Cosa ci facevi su quel mercantile? » le chiese subito dopo il suo assenso « Era una nave elfica e difficilmente quel popolo si fida di coloro che sono estranei alla Razza. » Arabelle abbassò lo sguardo, come cercando di nascondere un’emozione. « E tu non sei un elfo, anche se la prima volta che ti ho vista non ho potuto fare a meno di pensarlo. »

« Gli elfi non hanno colori che non siano di luce sulla loro persona. » considerò lei, semplicemente, « mentre io ho occhi e capelli molto scuri. »

Hook annuì « Dunque? » attendeva una risposta da parte di lei, era evidente. Arabelle sospirò e gli toccò il volto, una sola volta, lievemente, teneramente.

« Ti prego… » ansimò lui sotto il suo tocco « Sbrigati a rispondere alle mie domande, perché…. » le afferrò la mano e la scostò dolcemente « Non so quanto riuscirò a resisterti. ». Era vero. Ogni volta che lei lo toccava, anche se per poco, il pirata non riusciva a contenere il fuoco che gli si accendeva nelle viscere. La sua infatti, non fu una dichiarazione affettata. Probabilmente non sarebbe stato neppure capace di farne. Aveva detto quelle parole con estrema serietà, perché erano la verità, forte e potente e altrettanto semplice.

Arabelle gli sorrise. « È vero… Non sono un elfo. Non posso esserlo. » alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi. « Ma ho sangue di elfo nelle vene. ».

Per Hook sentire quelle parole fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. La guardò come se fosse stato certo di non aver ben compreso. « Che cosa? »

« È così Jason. »

« Ma…ma come…? »

« Come è possibile? » lo precedette lei, con un sorriso birichino e malinconico sul volto « Mia nonna era un elfo. » spiegò con naturalezza « Una delle figlie del re, che ancora oggi governa il suo popolo, forte nella sua immortalità. »

Il cuore di Hook era come se fosse stato fermo. Tutto pareva fluttuare intorno al pirata dopo quella rivelazione. Rivelazione che spiegava molte cose. Finalmente comprese come mai Arabelle possedeva la sua incredibile bellezza, la sua natura eterea che smentiva la prevalenza di toni scuri nel suo corpo, la sua pelle pallida come il chiaro di luna. E la sua voce…. Quella magnifica voce che gli aveva stregato il cuore come e quanto il suo carattere d’acciaio. Ora tutto aveva un senso.

« Ma allora… » riuscì solo a sussurrare. La gola gli si era arsa improvvisamente.

« Mi dispiace… » disse lei, guardandolo seria in volto « So che la cosa non è facile da accettare. » Dal suo tono di voce si sarebbe potuto dire che pensasse che lui fosse in procinto di guardarla come un mostro. Infatti era ciò che pensava.

Hook però la guardò con amore infinito e la strinse a sé « Non è facile per me accettare, infatti… » disse piano, mentre Arabelle lo guardava desolata « Come io possa essere tanto fortunato, come possa meritarti. ».

In un lampo, l’espressione della ragazza si trasformò da desolata ad incredula.

« Sei la creatura più perfetta che abbia mai visto… nobile… né donna né bambina.. né umana, né elfo. Ma di tutte una parte. Mia Arabelle! ». Quelle parole non avrebbero potuto essere più dolci per lei, che lo guardò invasa da una luce nuova, diversa eppure familiare.

Immediatamente la ragazza gli gettò le braccia al collo, perdendo le sue dita sottili tra i folti capelli di lui. Hook trovò presto la bocca di lei e la baciò con passione, facendola sdraiare sotto di sé e tirando a coprirli il lenzuolo di seta. Così allacciati passarono doversi momenti, le bocche congiunte, i corpi aderenti l’uno all’altro. Hook sentì che la felicità che non credeva esistesse era davvero lì per lui, a portata di mano, per sempre. In breve tempo, la sua virilità si accese, diventando rovente e pulsante, ma Arabelle, sentendola contro la propria pelle nuda, arrestò il loro amplesso di bocche e di mani, ansimando.

« Aspetta…. Per favore.. »

A malincuore e non senza sforzo, l’uomo recuperò il controllo e la guardò negli occhi, lo sguardo reso languido dal desiderio impellente.

« C’è altro che desideri sapere? » gli chiese lei « Voglio che tutto sia risolto quando usciremo da questa stanza. »

Hook sospirò « Dimmi come fai ad essere umana. » chiese con un filo di voce, accarezzandole le labbra con le dita ruvide.

« Mia nonna… amava un mortale, che fu rapito e condotto qui. » Hook non resistette e a quella pausa la baciò di nuovo, gli occhi pieni di luce fosca sebbene la stesse ascoltando con attenzione « Trovarono un modo di fuggire…non so come… e si sposarono. Mio padre era il loro unico figlio. » Fu sintetica, ma al pirata bastò quella spiegazione per comprendere ciò che doveva essere avvenuto. Gli parve quasi di vedere la bella principessa elfo, con l’uomo che era il nonno di Arabelle, fuggire insieme sulla Terra e perdere la speranza dell’immortalità legata all’isola che non c’è, ma ottenendo la possibilità di amarsi.

Un unico dubbio gli fece aggrottare le sopracciglia e lo fece scostare dalla bocca di lei resa rossa dai suoi baci « Perché non me lo dicesti? »

Arabelle lo fissò con intensità « Per la stessa ragione per cui sono fuggita, Jason Hook. Puoi perdonarmi? »

L’uomo la guardò con i freddi occhi resi brucianti dall’amore, dalla passione e dalla gratitudine. Si, perché il pirata era anche grato al destino che gli aveva concesso di vedere realizzato il suo sogno più grande.

La baciò con impeto, chiudendole la bocca con la sua quasi con violenza, mentre Arabelle rispondeva al bacio. Tra un sospiro di piacere e l’altro, la ragazza parve ricordarsi che lui voleva certamente domandarle altre cose, e tentò di fermarlo.

« Aspetta… » ansimò « Jason…» ma neppure lei era molto sicura di volerlo fermare, dato che il suo desiderio di sentirlo dentro di sé, il suo bisogno di lui era grande quanto quello dell’uomo.

« Shhh » le intimò lui, dolcemente « Dopo. » Arabelle rimase ancora un po’ rigida, stranamente, ma dopo pochissimo Hook le prese una mano nella sua e se la posò sul petto accaldato. « Toccami, Arabelle. Ti prego! »

C’era una tale urgenza nella sua voce, un tale bisogno che la ragazza si rilassò completamente alle sue carezze, cariche dei pensieri più sfrontati, e a sua volta accarezzò e massaggiò il corpo muscoloso e virile del suo amante.

« Ti amo » gli sussurrò nella bocca, poco prima di emettere un gemito lieve. Lui, infatti, le aveva appena cominciato ad accarezzare le gambe risalendo fino al pube.

Hook la contemplò per un istante, così bella, lì tra le sue braccia, sua finalmente e arrossata e palpitante dal desiderio di lui. Non avrebbe mai pensato che vedere la propria donna in quello stato sarebbe stato così diverso dal vedere un’amante di una notte.

« Ti amo. » le disse di rimando « Se solo il mio amore e il mio desiderio avessero una qualche fine! Ma non esiste una fine, amore mio. » la baciò ancora, rapidamente, mentre lei continuava a gemere al suo tocco « E nemmeno vorrei che fosse diverso. »

La baciò di nuovo, ma stavolta le labbra rimasero accostate a quelle di lei, ardenti e bisognose di essere ricambiate. Questa volta, il loro bisogno era così urgente che non persero tempo. Appena pochi istanti dopo, Hook entrò dentro di lei, lentamente, come per cautela, rammentando ciò che era accaduto la notte precedente. Stavolta però, Arabelle non avvertì nessuna fitta di dolore, ma solo un incessante e bruciante piacere. Anche le volte che avevano fatto l’amore dopo la prima volta di lei non aveva avvertito dolore, ma stavolta fu ancora più piacevole.

Hook gemette per il piacere che avvertiva e per la gioia, e quasi non venne troppo presto per l’emozione, abbassando gli occhi sulla ragazza e vedendo che si mordeva il labbro inferiore, con gli occhi chiusi e la braccia strette dietro il suo collo. Quanto aveva atteso per vederla così!

Sempre muovendosi dentro di lei, si curvò fino a trovarsi prossimo al suo orecchio destro « Amore mio! » le disse, la voce roca e ormai rotta dall’imminenza dell’orgasmo « Amore mio! ».

Arabelle sorrise, senza però aprire gli occhi, e lo strinse maggiormente a sé, con le braccia e con le gambe, che aveva sollevato ai lati dei fianchi di lui.

«Ti amo… JasonHook… » mormorò lei, la voce rotta a sua volta, mentre veniva scossa da brividi di piacere che la stavano portando quasi alla pazzia. Hook alzò la testa e la baciò, reso appena impacciato dai suoi stessi movimenti. In pochi istanti, raggiunsero il piacere quasi contemporaneamente e Hook si rilassò sul corpo di lei, ricoprendole il busto di baci appassionati.

Dopo un po’, il pirata, senza scostarsi da lei, riprese con le sue domande.

« Dunque è per la tua parentela con il re degli elfi che sei stata condotta a bordo del mercantile. » non era una domanda

« Si, è così. » confermò Arabelle parlandogli all’orecchio.

Hook sospirò profondamente « E i tuoi persecutori? » domandò « Conosci il nome di colui che ti ha fatta rapire? »

« No! » Arabelle rispose di scatto, quasi energicamente e l’uomo se ne stupì, anche se solo per un attimo. Subito, però, la ragazza si riprese « Ma anche l’avessi saputo? »

Egli si alzò a mezzo busto ancora semisdraiato su di lei e la fissò negli occhi con una serietà allarmante « Ti avrei chiesto di rivelarmelo e lo avresti condannato a morte. » Arabelle sembrò stupita « Si, è così: per ciò che ti è stato fatto, avrei ucciso lui e tutta la sua ciurma. Ti avrei vendicata. »

Lei lo guardò con i suoi splendidi e fieri occhi, come a voler penetrare la sua anima « Lo avresti fatto davvero? »

« Si. » lo disse gravemente, quindi la ragazza comprese che era stato terribilmente serio ne dirle quelle parole. Per lei, avrebbe davvero ucciso.

Hook, nel vederla sentì che tutto intorno a lui girava vorticosamente. I suoi occhi erano come calamite sfavillanti.

« Arabelle… » cominciò a dire piano « io….» Si bloccò, come incapace di proseguire. Lei lo fissò intensamente, come a volerlo incoraggiare, ma non ottenne alcun risultato. In effetti Hook voleva dire qualcosa che in un certo senso gli pareva irreale, detta da lui.

Dopo alcuni secondi, Arabelle lo canzonò « Non dirmi che tu » e sottolineò accuratamente il “ tu ” « hai paura di dire qualcosa!! ». Non era una derisione, ma effettivamente ne era rimasta stupita.

Hook continuò a fissarla, allontanandosi dal corpo accogliente e meravigliosamente bello per prendere un po’ di distanza. Se si trovava troppo vicino a lei sentiva ogni sua certezza andare via, se non si trattava del contatto del loro corpi. Dopo un paio di respiri profondi, la fissò ancora più intensamente di quanto in genere già facesse e disse, quasi in un sussurro « Arabelle… vuoi diventare la mia donna? »

Il tempo parve fermarsi. Hook vedeva solo l’espressione attonita della giovane diventare sempre più intensa sul suo volto.

« Non lo sono già? » chiese lei, che sembrava non avere compreso appieno il significato delle sue parole.

« Si, di fatto si. » confermò lui « Ma io intendevo… se volevi diventare la mia sposa… la regina della mia nave. »

Arabelle rimase di stucco per diversi momenti, poi gli si avvicinò, lentamente, camminando a gattoni senza distogliere lo sguardo dal suo. Hook sentì il cuore battere a mille e le guance avvampare per l’emozione. Appena un secondo dopo era febbricitante. Sentiva che se non avesse risposto subito alla sua domanda, sarebbe impazzito per l’attesa, che gli sembrava più lunga di quanto non fosse.

Arabelle ora era proprio davanti a lui, quasi completamente scoperta e terribilmente seria in volto, impenetrabile. Quando gli fu abbastanza vicina, gli circondò il collo delicatamente, con le mani, ai lati, facendolo gemere per quel semplice contatto, poi gli si strinse abbastanza da fargli sentire le pressioni cedevoli dei suoi seni sul petto.

« Ti prego…rispondi… » sussurrò lui sotto le sue carezze.

Arabelle gli accarezzò con le labbra il collo e la clavicola, poi, sentendolo fremere di desiderio, gli si accostò alla bocca, sempre fissandolo.

« Si. » mormorò abbastanza forte perchè lui la sentisse e tremasse di gioia « Si…. Si… si… si. » continuò a sussurrare, felice. Immediatamente Hook la prese tra le braccia e la baciò con passione infinita, mentre sentiva il cuore esplodergli nel petto per la gioia.

Rimasero a baciarsi e a stringersi per diversi minuti, mentre il pirata la guardava tra una pausa e l’altra. Non sorrideva, ma i suoi occhi freddi e chiari esprimevano una gioia tale che non aveva bisogno di parole o gesti per essere riconosciuta e compresa.

« Grazie… » le sussurrò all’orecchio quando la ragazza smise di baciarlo per guardarlo negli occhi.

« Di cosa? »

Hook le accarezzò il volto con amore e adorazione infinite « Di esistere…di amarmi…di avermi guarito… di tutto, Arabelle. »

Un altro bacio infuocato fu la risposta.

Dopo minuti o millenni di carezze e sussurri, Hook e Arabelle si staccarono l’uno dall’altra e si guardarono per un attimo, poi il pirata scese dal letto dopo aver raccattato da terra la vestaglia che la sera prima era caduta.

Se la mise indosso e poi si diresse verso l’armadio che stava davanti al letto, aprendolo solennemente.

« Devi indossare qualcosa, » spiegò rovistando tra i suoi vestiti. Era concentrato, nella ricerca di qualcosa di adatto. Finalmente il suo viso si illuminò, segno che aveva trovato quello che stava cercando. Si voltò verso la ragazza, che lo fissava curiosa, mostrando tra le mani quello che sembrava un abito nero e rosso, di ottima fattura, semplice ma elegante allo stesso tempo. Era ornato con disegni rossi sulla gonna, ampia e lunga come si conveniva.

« È per me? » domandò lei appena esitante.

« Si. » rispose Hook, adagiando l’abito sul letto disfatto, proprio accanto alla ragazza. « Indossalo, dovrebbe essere della tua misura, più o meno. ».

L’uomo si sedette sul letto, guardando Arabelle mentre prendeva tra le mani l’abito. Gli si strinse il cuore vedendola in procinto di indossare qualcosa che le era stato dato da lui….gli ricordava che finalmente la cosa che più desiderava al mondo era sua. I lunghi giorni passati a tormentarsi erano ormai terminati, ma ancora non riusciva a capacitarsene. Forse non ci sarebbe riuscito mai.

Senza alcuna traccia di vergogna, Arabelle si accinse ad indossare l’abito che Hook le aveva dato. Dovette farsi aiutare da lui per allacciare il corsetto ed il busto, però, perché i lacci e le fibbie si trovavano sulla schiena. Una volta pronta, si voltò verso il pirata e a lui mancò il fiato. L’abito le stava a pennello, né troppo largo né troppo stretto. La gonna scendeva fino alle caviglie, quando avrebbe dovuto toccare terra, segno che l’unica pecca stava nel fatto che Arabelle era un po’ più alta di quanto avrebbe dovuto. La stoffa nera contrastava deliziosamente con la sua pelle pallida e le maniche lunghe di organza lasciavano intravedere le braccia. La scolatura era audace, ma non succinta, e lasciava intravedere appena il solco delle collinette dei seni di lei. I capelli sciolti sulle spalle in ordinate onde simili a boccoli le conferivano un’aria selvaggia pur essendo perfettamente definite. Era splendida e per la prima volta, con indosso quel vestito, l’uomo si rese conto che quella era Arabelle, ma non solo: quella che aveva di fronte era la sposa di Jason Hook.

« Sei meravigliosa » le disse , desiderando toccarla ma non riuscendovi per l’emozione. Per fortuna lei lo precedette, posandogli una mano sul petto coperto dalla sottile stoffa della vestaglia e baciandolo sulle labbra dischiuse, una sola volta, dolcemente, senza alcuna pretesa di spingersi oltre.

« Grazie. »

« Avrai bisogni di altri vestiti… » considerò lui

Arabelle scosse le spalle « Con me, nella stiva ho alcuni cambi d’abito. »

« Ma non basteranno. » replicò lui « Una volta liberati i prigionieri, verrai con me all’isola dei pirati e ti procurerò tutto ciò di cui hai bisogno. »

La ragazza lo guadò meravigliata negli occhi « Non serve… » riuscì solo a dire.

« Invece si. » la corresse deciso lui « serve perché ora tu sei mia, diventerai la mia sposa… e dovrai eserlo in tutto e per tutto. » qui si fermò, prendendole il volto dolcemente e sentendo il cuore lacerarsi per non potere accarezzarla con entrambe le mani. « Ti amo. »

Stavolta Arabelle si sporse in punta di piedi e lo baciò con passione, accarezzandogli le labbra con la lingua e sentendo il sapore della sua pelle. Hook rispose a quel bacio sentendo il sangue che gli si incendiava.

« Ti amo. » disse di rimando lei una volta che si staccarono. « Ma… credevo che non ci fossero donne a bordo della tua nave. » disse poi, con un’espressione sospettosa sul bellissimo viso.

« Infatti è così » confermò il pirata.

« Ma allora come fai ad avere questo vestito nel tuo armadio? »

Hook si allontanò da lei di alcuni passi, lo sguardo fattoglisi improvvisamente oscuro, impenetrabile. Arabelle si chiese cosa avesse detto di così strano, limitandosi a guardarlo e ad aspettare una sua risposta.

« Questo vestito… » disse lui piano « Era di mia madre. »

Il tempo si fermò. Mai Arabelle aveva creduto una cosa simile. Se Pan fosse stato lì, in quel momento, sarebbe scoppiato a ridere, sbeffeggiandolo e dicendogli che era impossibile che lui avesse una madre come tutti gli altri. E invece era proprio così e Hook la ricordava anche molto bene.

« Dici sul serio? » chiese lei.

Hook si voltò a guardarla mesto in viso. « Si. »

« È…. morta? » lo disse esitando, stentando anche lei a credere che quell’uomo spietato e crudele potesse avere un vivo ricordo della sua infanzia nella sua mente.

« Si. Quel vestito è l’unico ricordo che ho di lei. » Rispose riavvicinandosi alla ragazza. Aveva gli occhi nuovamente freddi.

Arabelle gli andò incontro, risoluta « Allora non posso accettarlo. »

Hook sbuffò e l’abbracciò « E invece devi, perché ora il passato è morto insieme a lei…l’unica persona al mondo per cui abbia nutrito affetto. Ma tu… » seguitò poi, accarezzandole i capelli. « Tu sei la sola persona che io abbia amato realmente, con un’intensità che neppure tu sospetti. »

Il cuore di Arabelle si sciolse come neve al sole sentendo quelle parole sussurrate nel suo orecchio. Era così strano per entrambi vedere come quell’uomo tanto potente ed inarrivabile potesse cadere definitivamente in potere di quella ragazza così speciale che gli aveva fatto comprendere di avere anche lui un cuore.

« Ti amo. » gli disse

Hook la fissò gravemente « Mi sembra sempre che tu non me lo dica abbastanza. O forse è solo che solo ieri sera noi….. » dovette bloccarsi, incapace totalmente di proseguire. Comunque non ve ne sarebbe stato alcun bisogno.

Arabelle lo baciò dolcemente e lui tentò di approfondire quel contatto tra di loro, inducendola a schiudere i petali delle sue labbra. Tuttavia la ragazza si scostò piuttosto presto, guardandolo intensamente.

« Ci sono ancora molte, forse mille cose che non sai di me. »

Hook le posò un dito sulle labbra « Non ha importanza. » le disse afferrandole la vita e stringendola a sé con tenera veemenza « Avrai tempo per parlarmene. Ora mi interessa solo averti. ».

Si separò da lei dopo averle stampato sulle lebbra un ennesimo bacio di fuoco, poi si diresse all’armadio per cercare degli abiti anche per sé. Scelse il completo rosso, di velluto e cachemire, perché quella occasione sarebbe stata la più importante tra tutti gli eventi per cui l’aveva indossata. In poco tempo fu pronto, anche se dovette domandare aiuto alla ragazza per indossare l’apparecchio al braccio sinistro e poi l’uncino. Una volta sistemato, guardò Arabelle, eretta davanti a lui come una statua, splendida ed eterea, sua. Il fuoco consumava gli sguardi di entrambi, per cui quando si baciarono nuovamente, si lanciarono l’uno verso l’altra quasi contemporaneamente. Allacciarono le braccia e le mani, mentre Hook faceva attenzione a non ferirla inavvertitamente con l’uncino di ferro. Avevano entrambi il fiato corto quando si separarono.

« Dobbiamo andare. » sentenziò.

« Dove? » La giovane era stupita.

Lui la prese per la vita, lievemente, facendole avvertire le pressioni delle dita sul corpetto del vestito. « Ho un annuncio da fare. »

Arabelle era stata perplessa prima e lo era anche ora, ma mise senza esitazione la mano in quella di lui quando glie la porse. Si diressero entrambi verso la porta di legno di mogano, che definiva il confine tra quella che era stata la loro alcova e il mondo esterno.

Prima di aprirla, Hook guardò un’ultima volta quanto fosse bella colei che gli stava di fianco. Era così strana… come nessuna donna o ragazza che aveva incontrato. Giovane, eppure matura, saggia e coraggiosa. Piccola ed esile, ma tutt’altro che fragile.

Attraversarono la soglia della cabina di Hook con passo grave, quasi solenne e alla loro comparsa tutti i bucanieri intenti al loro dovere oppure che stavano giocando la fortuna ai dadi insieme ai loro compagni, si voltarono di scatto e si alzarono in piedi. Molti si alzarono persino. L’Africano, che si trovava più vicino degli altri al comandante ed alla bella prigioniera, si inchinò formalmente al loro cospetto.

« Avete ordini capitano? » chiese, riuscendo a malapena a distogliere lo sguardo dalla giovane bellezza la suo fianco. Arabelle si accorse che quasi tutti gli uomini sulla Jolly Roger la stavano fissando, più o meno rispettosamente. Anche Hook se ne accorse, ma non ne fu geloso, perché sapeva che una volta detto ciò che si accingeva a dire, nessuno avrebbe potuto sfiorarla nemmeno in sogno, ma fiero.

Ghignò in direzione del negro « Fate radunare gli uomini qui sul ponte. Fate presto. ».

Immediatamente il pirata si inchinò una seconda volta e si voltò verso il resto della ciurma. « Avete sentito, cani rognosi? » gridò « Tutti sul ponte, immediatamente!!! ».

Ogni uomo a bordo della nave si posizionò sul ponte, curioso di scoprire che cosa avesse di tanto importante da comunicare il capitano, che tra l’altro teneva sottobraccio quella meravigliosa creatura. In realtà, molti degli uomini di Hook avevano avuto qualche sospetto circa la relazione che doveva legare la ragazza al loro comandante. Altrimenti perché interessarsi tanto a lei e mandarla a chiamare nella sua cabina ogni giorno?

« Uomini della ciurma! » gridò Hook, in tono solenne, come si conveniva ad un perfetto oratore « Ho un annuncio da fare! ». Il silenzio calato sugli uomini era totale, ghiacciato « Da un mese a questa parte prenderò moglie. »

Non si può descrivere come divennero le espressioni dei pirati quando udirono quelle parole. La parola stupito…minimizza ciò che realmente era… ma possiamo provare ad immaginare una cosa del genere, solo molto accentuata. Spugna fissò Hook con gli occhi che minacciavano di fuggirgli dalle orbite.

Il capitano continuò « Siete stati chiamati perché conosciate la mia futura sposa, la vostra signora. Ogni suo desiderio sarà per voi ordine tassativo, mi sono spiegato? »

« Sissignore!! » gridarono in coro i feroci filibustieri, che non riuscivano a credere alle loro orecchie.

Hook spostò lo sguardo su Arabelle, negli occhi un amore infinito, continuando però a rivolgersi ai suoi uomini « Stasera, per festeggiare, daremo fondo alle mie riserve di rum! » qui una serie di esclamazioni di approvazione si levarono dagli uomini sottostanti. «Dunque è con immenso onore che vi presento Arabelle… » qui si fermò un momento, rendendosi conto per la prima volta di non conoscere il cognome della ragazza «… la mia donna… la mia sposa… » la fece andare avanti a lui, affinché, dal ponte sottostante, tutti potessero vederla bene « ….la vostra regina! »

Subito tutti i pirati lanciarono grida festose e fischi di approvazione, per rendere chiara la loro gioia e per accogliere con onore a bordo della Jolly Roger quella bellezza che aveva saputo conquistare un cuore indomito.

Vorrei ringraziare tutti coloro che leggono questa mia fanfiction, in particolar modo Elentari, aya_chan e Thilio, che mi fanno sempre giungere i loro commenti. Un saluto speciale poi, anche a Guido e ad eilinn ( spero di aver scritto bene ), che, anche se non commentano mai, hanno questa storia tra i preferiti.

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Capitolo 20
*** Non morire ***


Non morire

Non morire

Arabelle si compiacque del fatto che gli uomini della Jolly Roger l’avevano accolta con entusiasmo. Sorrise dolcemente nel sentire le urla di gioia ed approvazione che furono dirette a lei una volte che Hook ebbe dato l’annuncio che tanto agognava.

Spugna si fece più vicino e, in qualità di primo ufficiale e fedele servitore del comandante, ottenne il privilegio di posare le labbra sulla candida e piccola mano della ragazza. Lei fu felice di concedere quel gesto all’uomo, che gli era stato simpatico fin dalla prima volta che lo aveva visto, mentre ancora era prigioniera nella stiva.

Hook osservò Arabelle, compiaciuto ed orgoglioso.

È davvero una regina. Pensò con tutto se stesso Ed è la mia regina..

Non avrebbe potuto infatti scegliere un appellativo migliore per lei, che stava dimostrando di esserne perfettamente degna. Manifestava dolcezza e compostezza, come si addiceva ad una giovane della sua età, ma allo stesso tempo emanava una sorta di aura di potere superiore, che rendeva riverenti e adoranti tutti coloro con cui aveva a che fare. Era un’amazzone, una guerriera, e se non sapeva usare le armi, di sicuro sapeva combattere con l’orgoglio e la fierezza. Gli pareva quasi di rivedere i suoi grandi occhi mandare lampi a lui, proprio a lui pur sapendo chi fosse, mentre aveva in pugno la sua gola e con essa la sua vita.

Aveva riempito il suo cuore, dopo avergli fatto scoprire di possederne ancora uno, che poteva fare altro oltre ad odiare. E ancora lo teneva in suo potere. Non avrebbe potuto essere altrimenti.

Quando tutti gli uomini, uno per uno, si furono inchinati di fronte a lei, Hook la prese per la vita e con uno sguardo so congedò dalla ciurma dietro un ulteriore coro di applausi e fischi, in parte anche maliziosi. Ad ogni modo, per i filibustieri, i cui matrimoni duravano tre anni, concedersi prima dell’unione non era affatto una ragione di vergogna per una donna, soprattutto se in procinto di giurare fedeltà all’uomo cui si è data. Non aveva nulla a che vedere con l’etichetta dei signori comuni, che non esiterebbero a schernire e denigrare con offese una donna che avesse fatto ciò. Per questo possiamo dire che, se i fischi dei pirati contenevano malizia, non era affatto malizia crudele.

« Non avrei mai pensato che sarebbe stato così. » disse Arabelle mentre Hook chiudeva nuovamente la porta della cabina alle loro spalle.

« Cosa? » le chiese lui.

La ragazza si strinse nelle spalle « Tutto questo, l’essere presentata ai tuoi, che fino a poche ore fa mi conducevano lacera, sporca e prigioniera nella tua cabina. »

Hook rise brevemente, sinceramente divertito da quelle constatazioni. Arabelle era davvero speciale, una continua sorpresa per lui. « Sei forse pentita? »

« Mai! » rispose con veemenza la giovane, avvicinandosi a grandi passi verso di lui, fino a trovarglisi proprio davanti. « Non potrei mai pentirmi di questo. » gli gettò le braccia al collo e gli si strinse contro, quasi a voler diventare tutt’uno con lui.

Hook la strinse con il braccio integro, con forza tale da toglierle il respiro « Dì che sei mia, Arabelle. » le disse, con il volto nascosto nei soffici capelli di lei. « Ti prego..voglio sentirtelo dire. »

Ella si scostò abbastanza da guardarlo in viso « Lo sono. »

Subito dopo aver dato quella risposta, Hook si curvò a baciarla appassionatamente, stringendola ancora più forte. Un’altra particolarità del carattere meraviglioso di lei, era che, seppure capace di dolcezza infinita, non risultava mai affettata o, peggio, smielata. Neppure nel professare il suo amore o nel manifestare la passione della carne, Arabelle risultava tale. Semplicemente diceva la verità e si assecondava ad essa, senza divagare o crogiolarsi nelle cose inutili.

Il loro bacio fu passionale e pericolosamente infuocato, come lo erano stati tutti quelli che si erano dati da quando si erano ritrovati.

« Per Diana, Arabelle! » sussurrò Hook poco distante dalla bocca di lei « È mai possibile che io ti desideri tanto? »

« Si, perché è lo stesso per me. » rispose Arabelle per poi baciarlo di nuovo. Dopo pochi secondi, però fu lui a separarsi dalla bocca avida di lei.

« Se non ci fermiamo ora, non mi fermerò affatto. » mormorò, cercando di mantenere un minimo di controllo.

Arabelle lo fissò con occhi foschi e brucianti « E sarebbe così terribile? ». L’ironia nella sua voce era evidente, ma il suo volto non lasciò trasparire alcuna emozione se non la passione che stava divorando senza tregua. Passione tale da eguagliare quella dell’uomo, le cui membra sembravano gridare per il desiderio.

Hook le si avvicinò fino quasi a toccare le sue labbra di nuovo con le proprie « Il fuoco che scateni in me, prima o poi mi consumerà. » e la baciò ancora, stavolta con nessuna intenzione di fermarsi. E pensare che si erano uniti, l’ultima volta, meno di due ore prima…! Eppure a nessuno dei due sembrava così… era una frenesia folle, alimentata dalla sensazione di non essere completi senza avere contatto con il corpo dell’altro.

Senza smettere di divorarsi reciprocamente le labbra, camminarono goffamente fino a raggiungere la soglia della stanza da letto di Hook.

Proprio mentre stavano per entrare ed abbandonarsi alla loro passione, però, furono disturbati da qualcuno che stava bussando insistentemente alla porta.

Il pirata si scostò malvolentieri dalla sua amata per girarsi adirato verso la porta « Zolfo e bile fiammeggianti! » sbraitò « che succede? »

« Capitano! C’è un messaggio per voi. » era Spugna « è arrivato or ora con un falco. »

Hook assunse un’aria leggermente perplessa e lasciò la vita di Arabelle, che sembrava stupita quanto lui.

« Vieni avanti! »

Spugna entrò nella cabina con la sua solita andatura leggermente zoppicante e resa goffa dalla vecchiaia imminente. « Eccolo signore. » disse porgendo un biglietto ripiegato nella mano del capitano. Arabelle si affiancò a Hook, un vago cipiglio dipinto sul volto ancora acceso dalla passione.

Il pirata aprì il foglio e lesse mentalmente, troppo rapidamente perché Arabelle potesse terminare anche lei la lettura.

Caro amico,

ti scrivo per informarti che ci sono novità importanti riguardo la faccenda di cui abbiamo discusso l’ultima volta che ci siamo visti. Molto importanti. Verrò da te per discuterne questo pomeriggio, dopo che il sole avrà segnato le sei. Ti chiedo perdono per il disturbo che ti recherò…ma è necessario per la tua salvezza e quella dei tuoi uomini.

M.

Non fu difficile per Hook capire che quel messaggio era stato mandato da Morgan. Egli sarebbe dunque arrivato nel pomeriggio per parlargli.

Evidentemente Silver ha in mente qualcosa….

Richiuse il biglietto e lo conservò in un cassetto della grande tavolata nella stanza. Arabelle era perplessa, visto che non era riuscita a scorgere interamente il contenuto della lettera che era giunta. Hook si voltò verso di lei e verso il vecchio pirata con aria seria e gli occhi tremendamente accesi.

« Spugna, puoi andare. » disse brevemente « Avverti gli uomini che avremo ospiti a sera. »

Il vecchio annuì e si affrettò a lasciare gli alloggi del comandante, che ora era rivolto con un misto di apprensione e rabbia verso Arabelle.

Trascorsero alcuni momenti di silenzio, poi, la ragazza non resistette più e decise di porgergli quella domanda che le bruciava dentro il petto.

« Cosa accade? »

Hook rimase serio, forse troppo perché Arabelle non insistesse per strappargli informazioni « Dimmelo! »

« Oggi pomeriggio verrà un mio…compagno, e probabilmente porterà con sé suo figlio. » spiegò rapidamente.

La ragazza sembrò perplessa, seppure senza apparente motivo « E perché? »

Hook sospirò, avvicinandosi di alcuni passi a lei « Perché dobbiamo discutere di una…questione delicata. »

Il pirata era confuso. La battaglia navale che si prospettava tra lui e quel cane di Silver non l’aveva mai preoccupato. In effetti, anche ora si sentiva abbastanza sicuro. La sua Jolly Roger, sebbene di piccola taglia rispetto al galeone del suo nemico, era sempre stata un’ottima nave, soprattutto veloce, i suoi uomini dei feroci combattenti e lui….bè, lui aveva la fama di essere il migliore spadaccino del mondo che non c’è.

Eppure ora non si sentiva più tanto tranquillo. Ma non per lui…no. Lui era sicuro di cavarsela, in un modo o nell’altro ma era Arabelle il problema. Arabelle non sarebbe stata certo al sicuro sul suo vascello, dove sarebbero rimbombati i cannoni ed infuriata la battaglia. Se le fosse accaduto qualcosa, Hook sarebbe sicuramente morto di dolore.

« Che questione? » Arabelle ormai non ammetteva altri temporeggiamenti. Era ben decisa a sapere che cosa stava succedendo. L’uomo sapeva bene, conoscendo il suo carattere di ferro, che avrebbe ottenuto le sue informazioni, in un modo, o nell’altro.

Le accarezzò il viso una sola volta, ghignando quasi tristemente « C’è una battaglia imminente. ». Alla fine decise che la verità era meglio dirla subito, senza esitazioni.

« Che cosa? »

« Hai sentito bene, Arabelle. » confermò serio, annuendo per rafforzare la convinzione di lei.

La ragazza sembrò allarmarsi, anche se solamente i suoi occhi lo diedero a vedere. « E quando? »

« Non lo so, ma probabilmente Morgan viene proprio per dirmi questo. » rispose continuando ad accarezzarle il volto…. Che gli sembrava così liscio e morbido a confronto con tutte le altre pelli di donne che aveva toccato. Non fece caso al fatto che, al sentire nominare Morgan, Arabelle spalancò impercettibilmente gli occhi. Fu solo un istante, e se lui lo vide, non gli diede peso.

« Perché non me lo hai detto? » chiese con la tristezza più profonda nella voce. Eppure, anche in quella situazione, essendo ferita dal suo silenzio, Hook ammirò il suo contegno e la fierezza che brillava nei suoi occhi.

« Perché non davo peso a questa faccenda. » spiegò « Avevo quasi dimenticato che prima o poi sarebbe giunto il momento. »

« E ora? » chiese lei, rivolgendo lo sguardo alla finestra, in una manifestazione di indifferenza.

Hook si tolse il cappello piumato che aveva in testa e si allontanò in direzione della porta, lentamente, senza smettere di guardarla. « Ora cambia tutto. » sospirò e per la prima volta si sentì preoccupazione nella sua voce roca « Ci sei tu… quindi, prima della battaglia, farò vela verso l’isola degli elfi. Lì qualcuno si prenderà certo cura di te, vista la tua discendenza. »

Immediatamente Arabelle puntò di scatto gli occhi nei suoi, con un accenno d’ira che le lampeggiava nelle iridi « Io non voglio lasciare questa nave. »

Hook la fissò a sua volta, « E invece devi, perché non saresti al sicuro qui »

« So badare a me stessa capitano Jason Hook. »

Lui la guardò con intensità. Era dannatamente seria e lui sapeva bene, che, se glie lo avesse permesso, sarebbe davvero rimasta a bordo della Jolly Roger, anche se infuriava una battaglia.

« Lo so. » non potè fare a meno di dirle. Durante il tempo che avevano trascorso insieme al castello nero, lui aveva avuto modi di rendersi conto che la ragazza era perfettamente in grado di cavarsela anche nella avversità. Sicuramente, però, in una situazione di pericolo come quella che si prospettava, non ce l’avrebbe fatta.

« Allora resterò qui. » insistette lei. Era determinata e rendeva impossibile qualunque replica. Eppure Hook non poteva dargliela vinta.

« Non se ne parla! » le disse avvicinandosi fino ad arrivarle proprio davanti « dannazione, ragazza, hai idea di cosa mi succederebbe se dovesse accaderti qualcosa? » stava quasi gridando e i suoi occhi mandavano lampi al pari di quelli di lei. Si fronteggiavano quasi come due avversari, in quel momento.

« Non mi accadrebbe nulla. » disse ferma « Ti ripeto che so badare a me stessa »

Hook sbuffò « Non voglio correre rischi! » ringhiò.

« Se mi permetto di correrli io…perché non potresti tu? »

« DANNAZIONE!! » stavolta il pirata gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, ma Arabelle non fece una piega. Non era mai stata impressionata dalle reazioni violente che talvolta egli aveva. « Possibile che non capisci? » chiese poi lui, stavolta sussurrando, quasi « Se ti lascio rimanere qui, in ballo ci sarà la tua vita. E se la perdi… io morirò con te. » La ragazza si rabbonì un poco a quelle parole, abbassando appena la guardia « Ma al contrario della tua..la mia morte non sarà rapida…ma un lento declino fatto di sensi di colpa e dolore lacerante. In confronto, quello che ho passato in tua assenza, sarà come fare una passeggiata al sole. »

Rimasero in silenzio per alcuni secondi, entrambi con il fiato corto, poi Hook, in preda all’emozione, l’afferrò quasi con disperato bisogno, inducendola a mettersi in punta di piedi e ad inarcarsi contro di lui.

« Ancora non hai capito quanto potere hai su di me. » disse a pochi centimetri dalla sua bocca « E Lucifero sa quanto mi costa ammetterlo! »

La baciò con impeto tale che l’impatto risultò quasi doloroso per entrambi, pi rallentò il ritmo per assaporare ancora quei petali di rosa che amava tanto. Arabelle sfiorò con le dita il suo collo, in una carezza sublime che lo mandò in estasi.

« Se è davvero cos’, allora andrò dagli elfi…ma… non riesco ancora a credere di significare tanto per te. » confessò piano.

« Infatti è qualcosa che non posso descrivere correttamente a parole. » le rivelò « Sappi solo che non ho scelta. Sono completamente in tuo possesso. Ti appartengo. » Dal tono della sua voce, Arabelle comprese che stava dicendo il vero. Lo abbracciò strettamente e si fece avvolgere dalle sue braccia forti, che davano sicurezza e, al contempo, la facevano sentire in pericolo. Perché amare un uomo come lui…era certamente pericoloso.

« Ti amo. » gli disse, sussurrandoglielo all’orecchio. L’uomo la sollevò da terra e andò a sistemarsi sulla poltrona di broccato rosso, che era abbastanza grande da permettergli di tenerla comodamente in braccio.

Qui ripresero a baciarsi per diversi minuti, ma furono baci teneri, fini a se stessi. Quando si staccarono, Arabelle accomodò la testa nell’incavo del collo del pirata, che sentì il cuore battergli forsennatamente.

« Ci sono così tante cose che vorrei domandarti… » disse avvolgendo le braccia attorno a lei.

« Fallo allora. » lo incitò la ragazza « Ma ti avverto che ci saranno alcune risposte che, forse, non potrò darti. » Alzò la testa per guardarlo in viso « Ti fiderai lo stesso di me? »

Vedendo come fosse sincera anche il quel frangente, Hook non potè fare a meno di ammirarla ancora di più. Le ravviò i capelli sfiorandole appena la tempia. « Non l’ho mai detto a nessuno, prima d’ora…. Ma… mi fido di te, Arabelle. E non ho intenzione di chiederti null’altro, se non una cosa. »

« Di cosa si tratta? »

La baciò un’ ultima volta, poi parlò. « Vorrei che mi parlassi di tua nonna, vorrei sapere com’era fatta. »

Arabelle si rasserenò sentendo che cosa voleva sapere. Sorrise e il volto le si illuminò come se fosse stata all’aperto, investita in pieno dai raggi del sole. Era così bella in quel momento che il cuore del pirata mancò un battito. « Mia nonna…. » cominciò sospirando « Era già piuttosto anziana quando ero piccola. Morì quando avevo otto anni. » si strinse di nuovo contro di lui. « Ricordo che era molto dolce e saggia, comprensiva… e soprattutto, anche alla sua età, era molto bella. Sembrava avere venti anni meno di quanti ne avesse in realtà. Suppongo che si trattasse di un dono del suo sangue elfico, anche se aveva perduto l’immortalità. »

Hook la strinse ancora più forte, provando ad immaginare quella donna così singolare come lei la stava descrivendo.

« Un giorno, ricordo che, curiosando nelle stanze della tenuta, ho visto un suo ritratto. Era qualcosa di indescrivibile. »

« La ritraeva da giovane? » domandò lui, certo che fosse così.

« Si. » rispose lei, « Quel dipinto fu fatto poco dopo il suo matrimonio con mio nonno, a quanto stava la data allegata. Ricordo che l’immagine era quella di una donna dalla pelle impossibilmente bianca e perfetta, con un viso ovale, ma dai tratti definiti, i capelli raccolti sulla nuca in un’elaborata acconciatura che però non nascondeva fitte onde del colore del sole. Un colore che, in un mortale, non potrebbe essere scorto. I suoi occhi poi, erano come quelli della signora anziana che era diventata, ma più brllanti, di un blu così intenso che faceva quasi male guardarlo. » Qui s’interruppe, persa nel ricordo di quell’esperienza che tanto l’aveva sconvolta a suo tempo. Ricordava perfettamente cosa aveva provato il momento in cui posò gli occhi su quel ritratto. Si era sentita attratta e intimorita da tanta bellezza, ma anche esterrefatta, perché a detta di tutti color che vedevano quel quadro, lei assomigliava in maniera impressionante alla donna dipinta.

Certo, lei aveva i capelli scuri, ma aveva le stesse onde simili a boccoli, gli stessi occhi, fatta eccezione per il colore delle iridi. La pelle, poi, era esattamente identica, bianca e senza l’ombra di una lentiggine. Lo stesso aveva per i tratti, anche se Arabelle aveva ereditato qualcosa da suo padre, come il profilo leggermente aquilino del naso, che a sua volta assomigliava al marito della principessa elfo.

Raccontò tutto questo all’uomo sotto di lei, che la confortava con il semplice calore della sua presenza. Lui rimase in silenzio per tutto il tempo, ascoltando attentamente ogni sua parola. Quando ella ebbe terminato il racconto, Hook fu quasi certo di essersi fatto un’immagine abbastanza precisa della principessa che aveva rinunciato all’immortalità. Inoltre, finalmente, riuscì a spiegarsi l’immensa bellezza di Arabelle, che le aveva , non a caso, ricordato un elfo la prima volta che l’aveva vista, o comunque un essere fatato. C’erano solo poche cose ancora che desiderava sapere.

« Allora, la tua voce…. » provò a chiedere…

Arabelle sorrise « Si, anche quella è una sua eredità…ricordo che mi cantava spesso delle strane melodie, quando ero piccola, e mi insegnò anche la sua lingua. »

« La tua voce mi ha stregato anche prima di sapere che fosse tua… » le confessò, senza guardarla « era come un balsamo per le mie ferite interiori, mentre tu ti prendevi cura di quelle esteriori. »

Arabelle lo baciò, in pieno sulle labbra, felice di apprendere ciò che le aveva appena detto. Allacciò le mani dietro la sua nuca e le immerse nei suoi riccioli scuri, che portava lunghi sulle spalle fino a toccargli le scapole.

« Sai invece, io quando ho iniziato ad amarti? » gli chiese poi. Lui scosse la testa, rendendosi conto di non esserselo mai chiesto. Era stato così felice nell’apprendere che era ricambiato, da non interessarsi a null’altro. « Quando mi hai chiamata sgualdrina. ».

Hook non riuscì a non sgranare gli occhi, anche se di poco, sentendo quelle parole. Tutto si sarebbe aspettato, meno che una dichiarazione del genere.

« E come sarebbe? » chiese, visibilmente stupito

Arabelle rise. Mentre il suono della sua risata si espandeva nell’aria, Hook avvertì una serie di brividi lungo il corpo. Era come se quella risata riuscisse a scaldarti come un fuoco d’inverno. « Ti ho schiaffeggiato, rammenti? » Hook annuì « Da quel momento ho capito che, se mi avevi ferito tanto con un epiteto che non avrei esitato a ignorare detto da un uomo della tua risma -qui lui ghignò- , non poteva che essere perché mi avevi colpito. »

Hook l’abbracciò forte e la baciò. Non riusciva mai a saziarsi dei suoi baci, anche se non riusciva spiegarsi il motivo. Era ancora tutto nuovo per lui, una scoperta continua.

« Mio amore. » le disse, tra un bacio e l’altro « Ma come posso meritarti, io? » Era una domanda, ma in un certo senso non lo era. Hook sapeva che in realtà lui no la meritava. Lei era giovane, incredibilmente bella, coraggiosa, nobile, con un quarto di sangue elfico nelle vene, intelligente e fiera. Lui, invece, era un uomo fatto, pirata, crudele e con una fama da far tremare le fondamenta della terra. In più era mutilato. Tutto questo, ai suoi occhi, non bastava a renderlo degno di una simile creatura, sebbene fosse attraente e ricco, a modo suo.

« Quando ho incontrato il mio bisnonno, sulla mia isola… » già la chiamava mia, tanto gli era sembrata familiare « mi è sembrato di rivedere mia nonna, tanta era la somiglianza tra i due. »

« Immaginava di incontrarti? » le domandò lui.

La ragazza scosse energicamente la testa « dall’espressione che ha avuto quando sono giunta al suo cospetto, direi di no, ma mi ha riconosciuta quasi subito, per via della mia somiglianza con lei e… » qui s’interruppe, esitante. La sua voce era sempre ferma, ma aspettò di guardare per alcuni secondi gli occhi del pirata prima di continuare « e per i miei poteri. »

Hook rimase di stucco « Poteri? » riuscì solo a sussurrare.

Arabelle gli prese il volto tra le mani « Ricordi quando ti dissi che non ero una strega? » gli rammentò « E in realtà tu non avevi detto nulla? »

Hook non rispose, ma i suoi occhi si rabbuiarono. Effettivamente ricordava molto bene quell’episodio, che, a suo tempo, lo aveva incredibilmente turbato.

Arabelle proseguì « Ti avevo letto nel pensiero. » Lo disse così piano che per poco egli non credette di aver capito male o di aver immaginato quelle parole. Possibile che fosse così? Che ella avesse questo potere?

« Puoi leggere nel pensiero? »

Arabelle sorrise « Non sempre, anzi, in casi rari, ma… si. »

Se l’uomo era sconvolto da quella rivelazione, non lo diede a vedere, perché la sua mente aveva registrato un particolare non indifferente che poteva ricollegarsi a quella storia. Prima di farne parola, però, fece accoccolare meglio la figura della giovane sul suo corpo che, in confronto al suo, sembrava molto più grande. Le accarezzò distrattamente i capelli con la mano destra, sentendola mentre si rilassava al suo tocco. Dopo che fu certo che si fosse rilassata, parlò, con appena un filo di voce.

« Allora perché non mi hai creduto, quando ti ho detto che ti amavo? » Arabelle alzò la testa, mentre lui proseguiva senza mascherare la rabbia e la delusione nella sua voce « Perché, per tre giorni mi hai lasciato tra i tormenti, quando avremmo potuto trascorrerli insieme, amandoci, recuperando il tempo perduto?...perchè… » Avrebbe senz’altro continuato, se lei non avesse posato le dita sulle sue labbra, inducendolo al silenzio.

Subito dopo, sostituì le labbra alle dita in un bacio dolce, in verità quasi casto « Caro Jason Hook… » disse con la voce che era più calda e dolce del miele « Io, a volte posso leggere il pensiero, ma i pensieri possono trarre in inganno. È il cuore, quello che conta realmente, e io non posso leggere nel cuore degli uomini. » Sospirò « Nessuno può farlo. »

Hook, nel profondo del cuore, comprese le sue parole e si rammaricò, per la prima volta in tutta la sua vita, di essere quello che era. Se fosse stato un uomo rispettabile, forse Arabelle gli avrebbe creduto sin dai tempi del loro bacio al castello nero.

Le prese il mento fino a sollevarle il volto al livello del suo « Ma ora mi credi? »

Negli occhi della ragazza passò un lampo di malizia, misto a passione urgente « Non forse fato abbastanza per dimostrartelo? »

Si baciarono, unendo le labbra febbrilmente, mentre Hook accarezzava con desiderio le gambe di lei da sopra la gonna e le stringeva la vita. Trascorsero così parecchi secondi, mentre si assaporavano introducendo l’uno la lingua nella bocca dell’altro. Poi furono nuovamente interrotti da Spugna, che bussò per chiedere se il capitano avesse delle disposizioni per il pranzo.

« Dì al cuoco di preparare i suoi piatti migliori. » disse guardando però Arabelle « Deve superare se stesso. » La ragazza sorrise e lo baciò di nuovo, sentendo distrattamente Spugna che si allontanava per andare a riferire gli ordini al cuoco di bordo.

« Sembri davvero felice… » constatò nella bocca di lui.

Hook le morse affettuosamente il labbro inferiore « Lo sono. »

Dopo diverse altre carezze, Arabelle tremò per un brivido improvviso che la scosse lungo la spina dorsale.

Hook si preoccupò immediatamente « Che cos’hai? »

« Nulla… » disse subito lei, per tranquillizzarlo « È solo che… » Sembrava essere sul punto di dire qualcosa di importante, perché raddrizzò la schiena ed avvicinò il viso a quello del pirata per poterlo guardare comodamente negli occhi. Era seria come non l’aveva mai vista. « Io ho acconsentito ad andare sull’isola degli elfi, come mi hai chiesto. Tu devi promettermi una cosa, però. »

L’uomo annuì « Parla. »

« Non morire. »

In risposta a quella richiesta tanto straziante, Hook sentì il cuore esplodergli nel petto e la baciò con foga, ricambiato dalla stessa passione.

Come sempre ringrazio tutti per gli splendidi commenti che lasciate. Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.

Per Aya chan : volevo dirti che, se vai a rivedere il capitolo 18, troverai scritto che è ancora il padre della nonna di Arabelle a governare il popolo degli elfi. Per il resto delle tue domande, un po’ troverai qui delle risposte… il resto…bè è ancora tutto da scoprire.

Se non vi siete stufati di leggere la storia…vi informo che sono previsti ancora diversi capitoli…i misteri non sono che cominciato!!!

Baci

Masked_lady.

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Capitolo 21
*** Ultima notte ***


Ultima notte

Ultima notte

Dopo il pranzo, che fu a dir poco principesco, Arabelle e Hook si coricarono sul grande letto di lui, stretti l’uno nelle braccia dell’altro. Rimasero per molto tempo in silenzio, ascoltando solo il rumore del battito dei loro cuori e dei loro respiri. Di tanto in tanto, il pirata accarezzava lievemente il corpo della ragazza sdraiata accanto a lui, la testa poggiata sul suo petto.

Dalla finestra proveniva una luce soffusa, e il verso di alcuni gabbiani indusse Arabelle a sollevare la testa.

« Li ho sempre amati. » disse distrattamente.

« Chi? »

« I gabbiani. » spiegò « Fin da quando ero bambina, ho sempre amato questo strani uccelli, sebbene mia madre detestasse le loro strida. »

Hook sospirò, stringendola di più a sé « Li sentivi spesso? »

Lei annuì vigorosamente « La tenuta di famiglia era molto vicina al mare… » Nella sua voce, il pirata distinse chiaramente una grande nostalgia. Non disse nulla, perché non sapeva come si faceva a consolare una ragazza triste. Lui era solito uccidere le persone, anche quelle più vicine a lui, non consolarle. Non sapendo cosa fare, decise di manifestarle il suo appoggio accarezzandole la guancia che non era posata sul suo cuore.

« Sai che ucciderei coloro che ti hanno condotta fin qui. » disse gravemente « E ancora non ho perduto la speranza di farlo. »

« No! » disse lei con una determinazione incredibile « Non voglio che tu lo faccia. »

Hook si stupì di quella reazione. Si sarebbe aspettato un grido di gioia al pensiero di essere vendicata, non certo quelle parole di diniego.

« Perché? » non potè fare a meno di domandarle.

La ragazza cambiò posizione fino a trovarsi faccia a faccia con lui « Finita questa battaglia, che non sappiamo ancora se e quando avrà luogo, non voglio più che tu ti metta in situazioni tanto pericolose. »

« Ma… » constatò lui « Arabelle, questo sarebbe comunque impossibile. »

« Non ho detto che devi smettere di essere ciò che sei. » disse subito ella, intendendo che aveva frainteso le sue parole « E anche avessi detto quello, so bene che non potesti mai abbandonare la vita da filibustiere. » Gli prese il volto tra le mani e si curvò a baciarlo « So tutto questo eppure sono qui e ti seguirò ovunque riterrai opportuno andare. » Stavolta fu lui a baciare lei « Ciò che volevo dire è che è diverso assalire con un piano ben definito un vascello o un mercantile, piuttosto che essere coinvolti in missioni suicide e battaglie navali ad armi pari. »

Hook dovette ammettere che la ragazza era senza dubbio molto intelligente e saggia. Non avrebbe potuto trovare una compagna migliore. Ciò nonostante, era più che deciso a vendicare la sua amata.

« Non correrò rischi… ma ti vendicherò. Hai la mia parola. » insistette.

Arabelle assunse un’espressione talmente angosciata da far venire le lacrime agli occhi. Lei, che era sempre fiera e contenuta, stava mostrando, in quel momento una delle parti più fragili di sé.

Gli attaccò le labbra alla bocca, come per tentare di sanare il dolore che le aveva invaso l’anima. Hook le afferrò la nuca per impedirle di smettere di baciarlo, per trattenerla ancora sulle sue labbra. Gli sfuggì presto un gemito di eccitazione, ma si trattenne dal dare sfogo ai suoi istinti, in quel momento poco nobili.

«Non ho modo di farti promettere che non lo farai, vero? » sussurrò lei, con angoscia profonda nella voce quanta ne aveva nello sguardo.

Hook scosse la testa «Temo di no. » rispose « Ciò che è giusto è giusto, anche per un uomo come me. »

Arabelle fece un profondo sospiro, rinunciando ad ogni tentativo di dissuaderlo dalle sue intenzioni. Si sdraiò su di lui, aderendo completamente al suo corpo, fino a poggiare il capo, visto che lui la superava notevolmente in altezza, sul suo ventre. Infilò le mani nella sua giacca, trovando la camicia di batista e tentando di sentire la pelle di lui attraverso la stoffa sottile.

Questo gesto strappò all’uomo un altro gemito soffocato, più forte del precedente. Se la ragazza non si fosse fermata presto, sarebbe esploso se non l’avesse presa presto.

« Volevo ringraziarti. » mormorò lei, distogliendolo dal proprio piacere.

Hook si sorprese « E di cosa? »

« Di non avermi fatto altre domande sul mio passato…sul luogo da cui provengo..sulla mia famiglia… »

Egli le accarezzò la testa con devozione, amore assoluto « Non voglio nemmeno sapere troppo sul tuo passato. Quello che mi interessa è il presente. Ora tu sei mia e dio ti appartengo. Niente può cambiarlo. »

Arabelle rise «Per tre anni, forse… » c’era amarezza nella sua voce, lui potè percepirla chiaramente, ma non comprese a cosa fosse dovuta.

« Che cosa intendi? »

Senza esitare, la ragazza gli rispose « I matrimoni dei pirati durano tre anni… »

Finalmente gli fu chiaro cosa era che la preoccupava e ne rimase un po’ scioccato e un po’ sorpreso « Temi forse che ti getterò via? »

« Non te ne farei una colpa. » disse lei, sinceramente « Ma non è forse così che fate voi pirati? »

Immediatamente Hook si alzò a mezzo busto, inducendola ad alzarsi a sua volta. Giunto alla stessa altezza del viso di lei, le prese la mano sinistra nella sua e la guardò negli occhi «Io non posso cambiare la legge. » cominciò a dire « Ma posso assicurarti che se avessi pensato che tre anni con te mi sarebbero stati sufficienti, non sarei impazzito tanto dal dolore quando credevo di averti perduta. »

Arabelle rimase in silenzio, ad ascoltare con il cuore in gola.

« Allo scadere dei tre anni…ti riprenderò in moglie, come la legge vuole. E anche dopo lo scadere di altri tre anni. Per l’eternità, se necessario. »

Per la prima volta, una lacrima solitaria solcò il viso di Arabelle, lasciando impressionato Hook, che non l’aveva mai vista piangere o intristirsi. Era bellissima anche con gli occhi resi lucidi dall’emozione e il volto rigato dal passaggio di quell’unica gocciolina salata.

Ella si sporse verso di lui e lo abbracciò come se fosse stato la sua ancora di salvezza…come qualcuno che è affamato si getta sul cibo che gli compare davanti. Hook, dopo un po’, scambiò le posizioni fino a trovarsi a mezzo busto sopra di lei. Qui, allora la baciò appassionatamente, desiderando solo farle sentire quanto l’amasse. Sicuramente sarebbe si sarebbero spinti molto oltre se non fosse nuovamente stato per il terribile tempismo di Spugna, che, proprio in quel momento,cominciò a bussare alla porta della cabina.

« Signor capitano! »

Hook, desolato per l’ennesima interruzione, si separò a malincuore dalle labbra di Arabelle per voltarsi e rispondere all’uomo alla porta « Che succede? »

« Morgan, capitano. » rispose l’’altro da fuori la porta «Sta’affiancando la Jolly Roger per salire a bordo. »

« Bene. Fallo salire, io arriverò immediatamente. »

« Sissignore, comandante. »

I passi dell’ometto si allontanarono rapidamente e Arabelle vide che Hook si tirava su a sedere e le porgeva la mano per fare altrettanto.

« È arrivato il mio compagno. » le disse semplicemente

Arabelle sembrava tesa « M..Morgan? »

L’uomo annuì « Era un amico di mio padre, anche se lo ricordo a malapena. Sarà un piacere per lui conoscerti e per me presentargli la mia futura moglie. ».Così detto, l’aiutò ad alzarsi e a ravviarsi i capelli, poi le porse il dorso della mano, come facevano i gentiluomini di alto rango. Arabelle posò la mano sulla sua e con lui si avviò verso l’ingresso degli appartamenti. Qui Hook le lasciò la mano dopo avervi posato sopra un bacio, rispettosamente, indicandole la finestra per suggerirle una posizione per attendere.

Uscì subito dopo e in un baleno rientrò seguito da Morgan e dal giovane figlio, Ardet. Quando tutti e tre furono entrati nella stanza, cu fu un momento in cui gli ospiti guardarono con curiosità, forse troppo evidente, la ragazza accanto alla finestra.

Subito, però, Hook la raggiunse e le prese la mano, ostentando un’espressione orgogliosa. « MorganArdet…sono fiero di presentarvi Arabelle…. » qui entrambi fecero un sorriso di circostanza, appena un po’ forzato per quello che riguardava il giovane, mentre più somigliante ad un ghigno per quanto riguardava il più anziano. «..la mia futura sposa. »

Qui il ghigno di Morgan si fece più largo. Arabelle sentì un brivido percorrerla lungo tutto il corpo e la sua espressione si fece tesa e forzata. Hook tentò di rassicurarla stringendole appena di più la mano, che, al contrario, sembrava essere improvvisamente priva di ogni vitalità.

Dopo minuti che parvero ore, Morgan avanzò verso di lei e le rivolse un breve ma perfetto inchino.

« È un onore fare la vostra conoscenza, Arabelle. » disse con estrema galanteria « E parlo anche a nome di mio figlio, che purtroppo non ha molta dimestichezza con le buone maniere. »

Arabelle a malapena rispose a quel cordiale omaggio, rimanendo tesa e, se possibile, più pallida del solito.

« Arabelle?? » la chiamò Hook, riportandola alla realtà con il suono della sua voce.

« Oh…chiedo scusa. » disse lei con un filo di voce « È un onore anche per me, signore. »

Morgan sorrise di gusto, osservandola da capo a piedi, proprio come fece Ardet « È molto bella, Jason. » considerò, cominciando a girarle attorno come un predatore fa con la preda « Forse più bella della promessa di mio figlio. »

Arabelle sussultò quasi impercettibilmente, mentre tentava di sorridere a quel grazioso complimento.

Hook ghignò « Dici sul serio, vecchio mio? Eppure l’ultima volta l’hai dipinta come una superba creatura. »

Morgan allargò le braccia in segno di resa « E lo è, davvero ! Ma non avevo ancora posato gli occhi sulla tua futura sposa… » qui si fermò, cominciando a grattarsi il mento con un vago cipiglio « Piuttosto…non mi avevi detto che avevi intenzione di prendere moglie anche tu come il mio sconsiderato figlio. »

Hook cominciò ad invitare tutti i presenti a sedere davanti alla tavola, dopo aver domandato a Morgan e Ardet se intendevano fare loro compagnia a cena. « In effetti, Morgan…non lo sapevo. »

Il pirata rispose con uno sguardo eloquente, diretto prima a Hook, poi ad Arabelle, che gli sedeva proprio accanto « Posso capire e insieme non posso…» disse, con un tono di scherno « Ma non è mio desiderio entrare nelle tue faccende private. »

Ardet teneva lo sguardo fisso sulla ragazza e Hook se ne accorse, provando una fitta di gelosia e rabbia, nonostante Arabelle dimostrasse di essere chiaramente a disagio sotto quello sguardo insistente. Tuttavia, per amore dell’amicizia, o di qualunque cosa fosse che lo legava ai nuovi arrivati, non disse nulla, anche perché, essendo la sua amata particolarmente bella, non poteva certo impedire che qualcuno la guardasse con desiderio.

« Non farti tanti scrupoli. » rispose, levando il suo bicchiere di moscato in direzione di Morgan «Posso almeno dirti che è grazie a lei se ora sono qui seduto a conversare con voi. »

Il suo interlocutore spostò lo sguardo sulla giovane con una lentezza esasperante. Quando i suoi occhi raggiunsero l’obiettivo, inarcò un sopracciglio con fare sospettoso, mantenendo comunque un’espressione bonaria. « Davvero? »

« Si, signore. » rispose Arabelle,un po’ più decisa di poco prima.

« Impressionante. » commentò sarcastico Ardet.

Arabelle lanciò uno sguardo carico di un sentimento strano al giovane, in risposta alla sua mancanza di delicatezza. Se Hook non fosse stato certo del fatto che era la prima volta che si incontravano, avrebbe detto che quel sentimento fosse odio.

Hook ghignò « Vedremmo se la tua Marie sarà capace di fare altrettanto, se la situazione lo richiederà. »

Morgan scoppiò in una sonora risata, battendosi una mano sulla coscia e dando una gomitata al figlio « Ottimo spirito, davvero jason… » disse quasi arrivato alle lacrime per il tanto ridere « Ma temo di essere d’accordo con te, amico mio. Marie Montcalm non è una fanciulla adeguata alla vita in nave….troppo delicata. »

Hook rise di gusto « Ma Ardet…. Si è invaghito di lei… »

« Già, che il diavolo se lo porti. » disse affettuosamente Morgan, battendo una mano sulla gamba del figlio per non far fraintendere le parole appena pronunciate « tra tutte le donne graziose che poteva trovare sull’isola dei pirati, anche se un po’ più… facili… proprio di quella verginella doveva incapricciarsi? »

Arabelle tossì, mentre sorseggiava il moscato dallo stesso bicchiere dove poco prima aveva bevuto Hook.

« Ti senti bene? » le domandò quest’ultimo vedendola in difficoltà. Lei annuì, avendo però le lacrime agli occhi e posò una mano sulla gamba di lui, da sotto il tavolo. Immediatamente, lui la coperse con la propria. « Non parli molto, Arabelle… come mai? »

« Arabelle…. » mormorò Ardet, gustando il suono del suo nome tra le proprie labbra « Che nome affascinante. » anche qui si poteva notare una certa ironia e stavolta Hook fu certo di non sbagliarsi vedendo la ragazza lanciargli uno sguardo inceneritore.

« Fossi in te presterei più attenzione alla tua fidanzata, Ardet, che alla mia. » Intervenne. Non c’era astio nella sua voce, ma fu chiaro a tutti i presenti che diceva sul serio. Morgan, infatti, non trovò motivo di ribattere.

Il govane incassò il colpo senza fare una piega, ma risponendo educatamente « Lo farò, Jason. »

Per alcuni momenti, il silenzio piombo nella stanza, interrotto solo dal rumore dei bicchieri di cristallo che tintinnavano quando qualcuno sorseggiava il vino.

Mentre Hook finiva il proprio, sentì Arabelle cercare di nuovo la sua gamba, sotto il tavolo. Si voltò verso di lei e la vide tesa, ma complessivamente serena. Per questo, di nuovo coprì la mano di lei con la sua e tornò a fissare gli uomini che avevano davanti.

Il silenzio di tomba fu spezzato dall’arrivo di Spugna, accompagnato dall’Africano e da Bill Jukes. Tutti e tre portavano dei vassoi con portate strabilianti di pesce fresco cucinato con estrema raffinatezza. Il pasto fu servito in maniera impeccabile, come sempre, e prima che i pirati lasciassero la stanza per consentire il desinare ai loro superiori, Hook fermò Spugna sulla soglia della porta.

« Spugna! »

L’ometto si voltò « Avevo promesso del rum agli uomini. » ricordò improvvisamente « Provvedi affinché abbiano ciò che ho detto. »

Il luogotenente annuì soddisfatto e fece per lasciare la cabina, ma fu fermato dalla voce di Morgan, che in quel momento non era gioviale, ma imperiosa.

« Fermo. » Di nuovo calò il silenzio nella stanza. Egli si rivolse a Hook « Mi scuso se mi sono permesso di dare un ordine ad uno dei tuoi uomini, ma è necessario che tu rimandi i festeggiamenti per il tuo imminente matrimonio. »

Hook restò perplesso « E perché? »

Artabelle aveva spalancato gli occhi visibilmente, stringendo ancora di più la mano dell’amato, sperando in cuor suo di non aver indovinato la causa di quell’improvviso cambiamento.

« Perché domani, avrai bisogno che i tuoi uomini siano sobri. »

Hook comprese all’istante. Arabelle capì a sua volta e sentì il cuore sgretolarlesi nel petto. Ardet ghignò e quell’espressione fece gelare il sangue nelle vene alla ragazza.

Morgan aveva lo sguardo fisso su Hook, che, senza smettere di ricambiare l’occhiata, si rivolse a Spugna «Vai e lascia perdere il rum. Ora spiegherò io tutto alla ciurma. »

Detto ciò, si alzò in piedi, mormorando delle scuse in direzione dei commensali, si allontanò per arrivare sul ponte. Qui trovò quasi tutti gli uomini ad aspettarlo, perché ricordavano perfettamente la promessa di festeggiamenti del loro comandante.

Hook prese un bel respiro « Uomini della ciurma! » immediatamente tutti si raccolsero attorno a lui « I festeggiamenti andranno rimandati. »

Nudler, sentendo quella tremenda notizia, si fece abbastanza audace da rispondere « Perché, capitano? »

Subito dopo di lui, molti altri pirati si unirono al coro di proteste, seppure moderate in relazione a quella novità.

«Silenzio, cani rognosi! » gridò hook, ristabilendo immediatamente l’ordine tra tutti i presenti. « O vi pianto l’uncino nelle carni. » se c’era una minaccia temuta dagli uomini della Jolly Roger,era proprio quella.

« ma signore… »

« Domani avremo una battaglia da combattere! »

Bastarono quelle semplici parole per generare un grido di gioia ed eccitazione nella piccola folla di bucanieri, che bramava la rissa quanto bramava il rum. Forse anche di più. Intendendo che essi avevano accolto bene il cambiamento di programma, Hook fece ritorno nei suoi appartamenti.

Qui trovò Arabelle e i suoi due ospiti esattamente come li aveva lasciati, seduti ai loro posti, con in mano le posate per accingersi a riprendere il pasto La ragazza era a dir poco cerea, per cui Hook comprese che doveva aver capito anche lei il messaggio, ancora tra le righe, di Morgan.

« Dunque… » cominciò a dire prendendo a sua volta posto « Mi pare di aver compreso che.. »

« Si. » rispose immediatamente Morgan, accompagnato da un cenno di assenso da parte del figlio « Sarà domani. Ho un mio informatore che è più che attendibile per dirti questo. »

Hook inghiottì noncurante un pezzo di aragosta « Quando esattamente? »

Ardet si raddrizzò sullo schienale della sedia « All’alba. »

Il sangue di Hook parve congelarglisi nelle vene. Infatti, questo avrebbe significato che non avrebbe avuto il tempo di mettere al sicuro Arabelle come aveva previsto. Non ce ne sarebbe stato il tempo.

Ella rimase impassibile, continuando a mangiare piccoli bocconi di pesce arrosto con una grazia ed un contegno degni del suo lignaggio. Non rivolse lo sguardo verso nessuno dei presenti, che invece continuarono a parlare della battaglia imminente come se si fosse trattato di un qualsiasi argomento di conversazione.

Una volta terminata la cena, Hook vece servire una piccola prozione di liquore di ciliegia come chiusura del pasto. Arabelle lo rifiutò con ostinazione, dicendo che aveva bevuto abbastanza moscato durante il pasto.

Morgan si rilassò completamente, tenendo in mano il bicchiere di liquore « Sai, avevo intenzione di chiudere il galeone di Silver. »

« Che intendi, esattamente? » chiese Hook facendosi più interessato alla conversazione.

« Semplice. » spiegò con espressione malignamente compiaciuta l‘altro « Quando Silver attaccherà, la mia Fria resterà nascosta dietro una sporgenza… pensavo dietro la laguna delle sirene, magari. » sorseggiò ancora un po’ di liquore « Poi, mentre tu avrai dato già un po’ di filo da torcere a quel miserabile, darò l’ordine di chiudere il suo galeone tra il mio e il tuo… Non avrà scampo. »

Era così maligna l’espressione che stava ostentando, che fu evidente quanto il pirata amasse gli scontri sanguinari e una sicura vittoria durante essi. Hook dovette ammettere che il piano che aveva escogitato era semplice, ma senza ombra di dubbio efficace. Se lo avessero messo a punto correttamente, Silver non avrebbe avuto di certo alcuno scampo, dovendo rinunciare al suo proposito di donare la Jolly Roger alla sua svergognata futura sposa.

« Ottima strategia, Morgan! » commentò Hook. Levò il calice alla sua salute, ottenendo un’immediata risposta da parte dell’amico, che, prima di levare al calice a sua volta, lanciò un brevissimo sguardo ad Arabelle.

« C’è una cosa, però, su cui devo metterti a parte » disse il vecchio filibustiere, osservando con moderato interesse il materiale di cui era fatto il suo bicchiere « Silver ha un nuovo luogotenente, e pare che sia molto pericoloso. »

Hook si sporse sul tavolo, aggrottando le sopracciglia per la concentrazione, mentre la ragazza seduta al suo fianco trasalì violentemente e, se possibile, impallidì ancora una volta.

Nel frattempo Morgan proseguì, serio « Si è già guadagnato una certa fama, sulla nostra isola….i nostri lo chiamano lo Spettro. »

« Lo Spettro? » chiese Hook, incuriosito da quel bizzarro soprannome.

Morgan ghignò « Pare che porti le vesti completamente nere, molto somili a quelle di quegli strani guerrieri orientali….. come si chiamano…? » schioccò le dita cercando la parola giusta, che in quel momento sembrava non tornargli alla mente.

« Ninja » completò Ardet venendo in suo aiuto.

« Si, ecco…ninja! » ripetè Morgan.

Hook era talmente assorto nei suoi pensieri riguardo quel misterioso personaggio. « Credo di averne sentito vagamente parlare, prima del mio….incidente… con Pan. » disse soprappensiero « Non fu forse lui a partecipare al famoso saccheggio del galeone di Antoin? »

Antoin, celebre pirata del mondo che non c’è, secondo solamente ad Hook, era morto durante quella celebre battaglia navale, ucciso proprio dalla lama di quello strano personaggio. Il pirata non aveva dato molto peso a quell’avvenimento, perché la lotta contro Peter Pan aveva occupato tutte le sue priorità a quel tempo, che era piuttosto prossimo. Ora che Morgan glie lo aveva richiamato alla mente, però, avvertì una certa curiosità, visto che era stato capace di battere un pirata famoso come Antoine, tra l’altro ancora piuttosto giovane.

« Esattamente! » confermò Morgan.

Arabelle era ormai priva di ogni vitalità. Aveva le labbra esangui, il viso pallido e tirato e gli occhi lucidi, tremanti d’agitazione. Stringeva convulsamente il bordo del tavolo con entrambe le mani. Hook non la notò solo perché era completamente concentrato sulle parole di Morgan, altrimenti si sarebbe certo allarmato. Non aveva mai visto Arabelle in uno stato del genere, quindi sarebbe davvero stata una brutta sorpresa per lui.

« Dicono che sia uno spadaccino invincibile. » sentenziò, Ardet, stranamente più loquace del solito, quella sera.

« Invincibile…puah! » sbuffò Hook « Se è così credo che avrà una brutta sorpresa…in caso dovesse incontrare la mia spada. »

Morgan ghignò «Ciò avverrà di sicuro »

« Perché dici questo? »

« Perché sembra che, il caro Spettro, abbia giurato pubblicamente che si sbarazzerà di te, anche più facilmente di come ha fatto con il defunto Antoine. »

Hook strinse convulsamente i pugni. Un’offesa del genere non poteva certo restare impunita e, al momento opportuno, avrebbe provveduto a raffreddare la superbia di quell’uomo.

Il silenzio calò nella stanza per una seconda volta. Arabelle cercò di catturare lo sguardo di Hook, ma non ottenne risultati.

Se pensa di avere la meglio su di me…si sbaglia di grosso pensò Hook con tutta la determinazione che possedeva. Gli darò una morte pubblica così umiliante che implorerà pietà davanti a tutta la mia ciurma.

Dopo diversi secondi trascorsi così, nel totale silenzio, Morgan si alzò e fece segno ad Ardet di fare altrettanto.

« Noi dobbiamo congedarci da voi, ora. » disse solennemente il più anziano « Si è fatto tardi ed abbiamo una battaglia da preparare per domani. » ghignò, gli occhi accesi da un lampo di brama sanguigna molto simile a quello che si accese poco dopo nei glaciali occhi di Hook.

Quest’ultimo si avvicinò e porse il braccio all’amico « Domani allora. »

« Domani. » rispose quello.

Sia Morgan che Ardet porsero rapidamente i loro omaggi alla splendida Arabelle, che era bianca come un lenzuolo. Furono accompagnati sul ponte da Spugna, sotto lo sguardo indagatore di Hook, che aveva preso nella sua la piccola mano tremante della sua amata.

Una volta che la Fria ebbe cominciato ad allontanarsi dalla jolly Roger, Hook sospirò profondamente.

« Signor Spugna! » gridò, facendo accorrere il vecchio ufficiale al suo cospetto « Avvertite immediatamente tutti gli uomini affinché siano pronti domattina all’alba a difendere la nave. »

« Si, signor capitano. » disse gravemente l’ometto, dirigendosi verso la stiva, dove erano situate le brande dei filibustieri.

Una volta scomparso anche lui, Hook ed Arabelle rientrarono negli appartamenti di lui e chiusero la porta alle loro spalle.

Per la prima volta egli si rese conto di quanto la ragazza era uscita turbata da quell’incontro con Morgan e suo figlio. Era totalmente bianca e le labbra cominciavano solo ora a riprendere un po’ di colorito roseo. Era bellissima persino in quel frangente, ma ciò nonostante, il pirata sentì una stretta al cuore.

« Non potrò condurti in salvo. » dichiarò semplicemente « Mancano solo poche ore all’alba e non riusciremmo a raggiungere l’isola degli elfi abbastanza in tempo. »

Arabelle rimase, ferma, muta come una statua. Se non fosse stato per il graduale alzarsi ed abbassarsi del suo petto, la si sarebbe potuta davvero dire una statua.

« Hai sentito ciò che ho detto? » la incitò lui.

Arabelle annuì lentamente, come e compiere quel piccolo e semplice gesto le stesse costando a vita.

« Sei sconvolta. » considerò hook, avvicinandosi a lei di alcuni passi. « Che cosa ti succede. »

« Ho paura. » disse finalmente lei, con appena un filo di voce.

L’uomo abbassò lo sguardo, incredibilmente desolato « Posso capirlo, ma prenderemo tutte le misure possibili affinché tu possa restare al sicuro. »

Arabelle fissò lo sguardo nei suoi occhi glaciali, incredibilmente impassibile « Temo per te. Non per me. »

A quelle parole, subito Hook la prese tra le braccia, stringendola contro il suo petto per tranquillizzarla, calmarla. « Non mi accadrà nulla. »

« Non puoi esserne sicuro. »

La ragazza alzò la testa verso di lui e lo guardò talmente angosciata che Hook sentì il mondo attorno a loro sgretolarsi. Era vero, effettivamente, che non poteva avere quella certezza, ma con l’aiuto di Mrogan, non c’era assolutamente alcun rischio.

« Invece si. » rispose tuttavia, per non causarle altre ansie e preoccupazioni « E ti prometto che darò una lezione a quello Spettro o come diavolo pretende di chiamarsi. »

Era un singhiozzo quello che aveva sentito? Impossibile, Arabelle non era una ragazza incline al pianto

« Ne sono sicura. » rispose, cercando di essere fiduciosa. Cosa che in realtà non era. Gli allacciò le braccia dietro il collo e lo baciò sulla bocca, sentendo il lieve sapore del liquore mescolato a quello delle sue labbra.

Hook sentì il desiderio crescere, insieme, però, all’apprensione. Si separò a malincuore dalla bocca di lei e la fissò con grande intensità « Sai usare la spada? »

« Si. » rispose lei, un po’ esitante.

« E sai sparare? »

Lei annuì energicamente, chiedendosi che cosa avesse in mente per farle quelle domande.

« Allora domani, quando verrà il momento, » spiegò Hook, stringendole la vita ancora di più « Ti chiuderai qui dentro e ti nasconderai meglio che puoi. Ti lascerò alcune pistole ed una spada nel caso qualcuno riesca a penetrare qui dentro. »

Arabelle comprese, allora, quali fossero le sue intenzioni. In effetti, non avrebbe potuto fare di meglio per la sua protezione, date le circostanze. Per questo gli fu immensamente grata in quel momento.

« Pensi che riusciresti a cavartela? » domandò lui con apprensione.

Ella sorrise, senza però che gli occhi seguissero l’esempio delle labbra « Io me la cavo sempre, Jason Hook. »

Si baciarono di nuovo, con passione ma anche con dolore, perchè entrambi temevano l’uno per la vita dell’altro. Hook allacciò la sua mano dietro la vita di lei, sentendola fremere per la vicinanza de loro corpi.

Lui fece un ghigno molto simile ad una specie di sorriso « Lo so, Arabelle. ».

Entrambi si diressero verso la stanza da letto, lentamente, gravemente, semiabbracciati. Qui il pirata si sedette sul morbido materasso di piume e fissò gli occhi sulle splendida figura della sua promessa. Arabelle lo fissò triste e incuriosita dal suo modo di squadrarla, domandandosene la ragione.

Per fortuna, pochi istanti dopo, egli espresse i suoi pensieri « Sei un sogno. » fu un sussurro, forse poco di più, ma fece brillare gli occhi di lei di lacrime che non si sarebbero mai versate.

« Arabelle… » la chiamò lui, distogliendola dalle sue stesse emozioni « Canteresti per me? ». Era una semplice richiesta, ma in certo senso era anche molto di più. Si trattava di una vera e propria supplica. Arabelle lo guardò con l’universo che le brillava negli occhi scuri, talmente brucianti, in quel momento, da sembrare due palle di fuoco a contrasto con la pelle candida.

Si allontanò di qualche passo, poi prese un bel respiro, dandogli le spalle e cominciò ad intonare una melodia.

You’re all to me, you know

I’m incomplete without you

And all I need in my life is to be by your side

What could I do without you?

( Sei tutto per me, lo sai. Sono incompleta senza di te. Tutto quello di cui ho bisogno nella mia vita è starti accanto. Cosa potrei fare senza di te? )

Era evidente che aveva scelto quella canzone appositamente per le circostanze in cui in quel momento si trovavano. Le note su cui si articolavano le parole erano talmente strazianti da catturarti il cuore e lacerarlo dal dolore. Ma di certo, oltre le note, era anche l’interpretazione di Arabelle a rendere quelle parole così vere.

This could be the last moment we spend together

This could be the end

I don’t want to say end

But, this, for us, could be the last night.

( Questo potrebbe essere l’ultimo momento che passiamo insieme. Potrebbe essere la fine. Io non voglio dire fine, ma questa, per noi, potrebbe essere l’ultima notte. )

Per la prima volta, Hook sentì de lacrime di commozione affacciarsi ai suoi occhi freddi e crudeli. Le ricacciò indietro, considerandole segno di debolezza, ma oramai sapeva che il suo cuore era stato toccato. Era stato toccato nel profondo, dove credeva che nessuno sarebbe mai potuto giungere, mentre Arabelle aveva saputo toccarlo con il solo suono della sua voce angelica. Se fosse stato un poeta e non un uomo di mare, per quanto raffinato, le avrebbe dedicato infinite composizioni.

La melodia continuò.

This is the moment we waited for.

This is going to be our point of non return

If this must be so

I’ll spend all this night, the last night

Just kissing you.

( Questo è il momento che aspettavamo. Questo sta per diventare il nostro punto di non ritorno. Se deve essere così, passerò tutta la notte, l’ultima notte, baciandoti. )

I won’t cry or say something stupid

I’ll just love you with all my hearth

I’ll just love you because this

This could be the last night.

( Non piangerò dirò qualcosa di stupido. Ti amerò soltanto, con tutto il mio cuore. Ti amerò soltanto perché questa potrebbe essere l’ultima notte. )

Con un’ultimo vibrante accento di dolore, la canzone terminò. Nel frattempo, Hook si era alzato in piedi, tenendosi però a distanza da lei per evitare di spezzare inavvertitamente quella magia. Quando la canzone fu terminata, Arabelle rimase di spalle, guardando un punto fisso di fronte a lei, con il cuore che le batteva forsennatamente e il respiro affannato. Solo pochi momenti dopo, l’uomo trovò la forza ed il coraggio per avvicinarsi a lei e toccarle una spalla. La sua voce, come sempre aveva avuto il potere di scuoterlo nel profondo.

« Arabelle… » mormorò, volendo dire mille cose e nel frattempo non sapendo esattamente cosa dire.

Lei si voltò lentamente quasi esitando, e poi lo guardò negli occhi, creando quasi un filo invisibile che li teneva legati. Poco dopo, alzò la mano destra ad accarezzargli il volto, scendendo sul collo, semicoperto dal colletto della camicia di batista.

Hook sospirò, sentendo quel tocco celeste sulla propria pelle e sentì che le membra cominciavano a formicolare lievemente.

Negli occhi di lei c’era un’espressione indecifrabile che lo raggelò. Si sarebbe potuto dire un misto di passione, desiderio, dolore e rassegnazione, ma sicuramente c’era anche dell’altro. Solo che lui non riuscì a decifrarlo.

Dopo quasi un minuto in quella posizione, Arabelle afferrò delicatamente i lembi della giacca di Hook e, girandogli attorno, glie la sfilò, posandola, poi su uno sgabello di legno scuro poco distante dal letto. Hook sentì che il formicolio stava diventando molto rapidamente una violenta eccitazione, ma mantenne il controllo, imprigionato dalle carezze della giovane.

Tornatagli di fronte, Arabelle cominciò a sbottonargli la casacca rossa, un bottone per volta, come se fosse stato un rituale, tanto lo faceva lentamente. Quando, sbottonando l’ultima parte, sfiorò accidentalmente i pantaloni sottostanti di lui, all’uomo sfuggì un gemito soffocato, che lo portò a catturare le labbra di lei con estrema tenerezza.

Effettivamente, stavano entrambi consumando quei momenti con lentezza e serietà degni della canzone che lei aveva terminato poco prima. Era come se quella fosse davvero la loro ultima notte.

Arabelle schiuse le labbra e accarezzò quelle di lui con la lingua, consentendo poi l’ingresso della sua nella bocca. La casacca del pirata raggiunse prestissimo la giacca, sullo sgabello. Fu lui, staccatosi momentaneamente da lei, a togliersi la camicia di batista.

La ragazza osservò per un momento il torso denudato di lui, come a volere imprimere nella mente ogni particolare di quel corpo virile e perfetto, poi lo abbracciò e riprese a baciarlo, stavolta con maggiore passione. Hook la strinse con desiderio di sentirla contro di sé, pelle nuda contro pelle nuda. Infatti, dopo poco, la fece voltare e cominciò, anche lui lentamente, a slacciarle i lacci del corsetto dell’abito.

Arabelle sospirò, abbandonandosi ad ogni minima sensazione che sentiva, chiudendogli occhi e lasciando che Hook le sfilasse l’abito, dalla testa, chinandosi a prendere l’orlo della gonna.

Una volta rimasta in sottoveste, la ragazza guardò l’amante con una dolcezza infinita negli occhi. Si sarebbe potuto credere che stesse per svenire, per quanta emozione esprimeva.

L’uomo, a sua volta, oramai aveva perduto il controllo delle proprie sensazioni e sentiva una smania terribile di possederla, perciò si tolse l’apparecchio che gli teneva l’uncino e le prese tra le braccia, sollevandola e depositandola sul letto. Qui lei lo baciò una sola volta, sulle labbra, per poi passare a dedicarsi al suo petto e alle braccia, mettendo di nuovo grande cura nel ricoprire di attenzioni il moncherino del braccio sinistro. Sembrava che ogni bacio che vi posava sopra potesse guarirlo e renderlo nuovamente integro.

Hook la trasse a sedere e le sfilò anche l’ultimo indumento che li separava… rimanendo solo lui ancora coperto dagli stivali e dai pantaloni. Si tolse gli stivali e fece sedere Arabelle su di sé. Quando i loro sessi entrarono in contatto, sebbene separati da un ulteriore strato di stoffa, Arabelle gemette sentendo l’immediata erezione dell’uomo premere per essere liberata.

Con un rapido movimento, la ragazza li slacciò, sentendo che era giunto il momento, altrimenti non sarebbe riuscita ad avere il controllo di sé. Spinti entrambi da una frenesia che non trovava sfogo nella lentezza dei movimenti tenuti fino a quel momento, Hook afferrò i fianchi di Arabelle e la assecondò con le braccia mentre lei si accomodava sopra di lui, sorreggendosi alle sue spalle forti. Con un solo, fluido movimento, egli fu dentro di lei, completamente. Sentirono una pace totale, in quell’istante. Arabelle lo baciò con passione sulle labbra, mentre cominciava dondolarsi avanti e indietro, ritmicamente, gemendo per il piacere.

Guardandola, il pirata non potè fare a meno di pensare che era la cosa più bella che avesse mai visto, così, arrossata leggermente sulle guance, gli occhi semichiusi, le piccole mani aggrappate a lui per impedirsi di crollare nell’abisso. Chiuse gli occhi a sua volta, cominciando a muoversi più velocemente, accelerando quella danza di piacere che avevano intrapreso. Affannati, si accarezzavano freneticamente, mentre si dondolavano e gemevano per le fitte di piacere che sentivano.

« Amore » mugolò lei senza quasi nemmeno rendersene conto, i muscoli contratti, la pelle accaldata.

« Si…amore mio » sussurrò di rimando Hook catturandole le labbra in un bacio profondo. Continuarono a dondolarsi così, irrigidendosi gradualmente per l’imminenza dell’orgasmo, fino a che Arabelle non lo raggiunse. Si inarcò contro di lui, senza smettere di muoversi seppure più lentamente, consentendo anche lui di raggiungerla in quel luogo di piacere dove aveva appena fatto ingresso. Si abbracciarono convulsamente, sentendo entrambi che il corpo dell’altro era l’unico contatto con il mondo reale…l’unica cosa che importava.

Arabelle fu la prima riprendersi dall’ondata di piacere… e guardò l’uomo rilassarsi a sua volta, languidamente, mentre i muscoli tornavano al loro stato di stasi.

Nascosero entrambi il volto nel collo dell’altro. Rimasero così per diversi istanti, ma nessuno dei due era ancora appagato, perciò Hook la prese di peso e la fece sdraiare sotto di lui. Cominciò a ricoprirle di teneri baci la carne del petto…del collo e dei seni, mentre la carne tenera e giovane palpitava sotto le sue labbra.

Egli stesso, del resto, era infuocato in ogni centimetro di pelle, di sangue. Gli occhi avevano di umano solo l’amore immenso per lei, che traspariva attraverso la cortina di passione che li offuscava.

« Ti amo… amore mio… » le disse chinandosi sulla sua bocca un’altra volta, mentre lei gli accarezzava le spalle e la schiena, dolcemente « Mio dolcissimo amore mio. »

Arabelle sorrise, gli occhi appena appesantiti dal languore.

I won’t cry or say something stupid

I’ll just love you with all my hearth

Cominciò a canticchiare a bassa voce, quasi un sussurro vicino all’orecchio di lui, così che potesse udirla. Sentendo di nuovo quelle parole, il pirata sussultò piacevolmente.

I’ll love you because this

This could be the last night

Non c’era bisogno di molto per comprendere cosa gli stava dicendo. La tristezza velata dal piacere con cui pronunciò quelle parole spinse l’uomo a baciarla nuovamente su tutto il corpo, accarezzandola con adorazione e devozione, anche nel suo punto più segreto. L’amore che c’era in quella stanza in quel momento era talmente intenso che si poteva quasi toccare.

Con disperata fame, Hook poggiò la bocca su un capezzolo di lei, succhiando la carne come fosse stato un bambino e fremendo e provocando fremiti alla sua amante.

Si alzò un momento per guardala negli occhi e vi lesse una supplica evidente e urgente. Poi lei si alzò a mezzo busto e prese a baciarlo avidamente mentre lo accarezzava lungo le spalle e il petto. Lo abbracciò forte, mentre con le mani scese lentamente a sfiorargli l’addome, il ventre, poi ancora più giù…pericolosamente vicino all’inguine.

Hook emise un gemito soffocato « Ti prego… ti prego, Arabelle, toccami… ». Implorò senza fiato. Lei si staccò da lui e fece scendere le sue dita delicate ancora più giù, fino a che non sentì la rigida durezza del membro eretto di lui.

Hook le si aggrappò come inizialmente aveva fatto lei, per non crollare, gemendo senza sosta, tentando di soffocare i versi che gli si formavano in gola. Dopo altri minuti di carezze, erano ormai un groviglio di membra che bramava nuovamente di congiungersi. Allora Hook baciò Arabelle un’ultima volta, poi le allargò gentilmente le gambe e si accomodò su di lei.

Entrò piano nel suo corpo questa volta… lentamente. Lei gemette di desiderio e rovesciò il capo all’indietro, sui cuscini, mentre lui cominciava a dare atto a lunghi e profondi movimenti. Non ci volle molto perché vennero entrambi, quasi contemporaneamente, e si abbracciarono rimanendo in quella posizione per un po’. Arabelle accarezzò i capelli dell’uomo, respirando affannata. Erano entrambi accaldati e spossati, senza dubbio appagati, per cui Hook rotolò su un fianco e prese tra le braccia la bellissima ragazza.

« Io ti amo. » le disse mentre poggiava il capo sul suo petto, abbracciandolo come per paura di perderlo.

« Anche io ti amo, Jason. »

Rimasero a lungo a baciarsi e ad accarezzarsi, dolcemente, senza alcuna frenesia. La notte era ormai fonda quando si addormentarono e, quando accadde, era come se nella stanza echeggiassero ancora le ultime frasi della triste canzone di lei.

This could be, for us, the last night.

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Capitolo 22
*** Battaglia ***


Battaglia

Battaglia

L’alba giunse presto. Troppo presto. Arabelle fu la prima a svegliarsi: per la preoccupazione non aveva avuto un sonno tranquillo, quindi non appena udì i gabbiani, si destò di soprassalto. Il sole stava sorgendo all’orizzonte e fuori dalla cabina si sentivano già gli uomini della ciurma che si davano da fare per prepararsi alla battaglia.

Sentendola muoversi nel suo abbraccio, anche Hook si svegliò.

« Che succede? » le chiese ancora non completamente lucido.

Arabelle lo guardò mesta « L’alba…. » sussurrò così piano che quasi il pirata non riuscì ad udirla.

Immediatamente il pirata fu lucido, ricordando che, almeno per quel giorno, l’alba annunciava sventura e sangue. Si alzò a mezzo busto e la guardò, così bella e tristemente fissava fuori dalla finestra, l’orizzonte, ormai colorato di rosso e oro. « È l’alba. » riuscì solo a ripetere.

« Il momento…. » continuò lei. Così triste, illuminata dai raggi rossi del sole del mattino che provenivano dalla finestra, sembrava un essere superiore, oppure un fantasma. Hook si alzò a sedere e la cinse con le braccia, teneramente.

« È vero…è il momento. » confermò prendendole il volto per farla voltare verso di lui. « Ma il momento di mostrare a tutti cosa succede a chi osa sfidare Jason Hook »

Arabelle sorrise dolcemente « Si, amore mio. » Lo baciò una sola volta, intensamente, senza schiudere le labbra, desiderando solo sentirlo vicino, trattenerlo accanto a lei per un po’.

Lui rispose al bacio e l’abbracciò ancora più stretta, poi si staccò con una stretta al cuore « Devo andare. » Ella annuì in segno di assenso e lo guardò alzarsi nella sua nuda virilità e potenza. Dopo un attimo appena, il pirata si voltò verso di lei e la chiamò piano « Aiutami a vestirmi, Arabelle. »

Senza neppure esitare un istante, la ragazza si alzò, anch’ella nuda e gloriosa nella sua bellezza e gli si parò di fianco. Prese l’apparecchio per fissare l’uncino e l’aiutò ad indossarlo. Poi Hook si infilò un paio di pantaloni di pelle nera.

Arabelle si diresse verso l’armadio ed estrasse una camicia di cotone, nera e pulita e aiutò il suo uomo ad indossarla. Poi fece lo stesso con un gilet corto e anch’esso nero. In ultimo, gli porse l’uncino, che Hook fissò senza difficoltà alla base di ferro. Una volta pronto, si voltò a guardarla, bella, nuda e pavida.

Le posò un bacio leggero sulle labbra, prima di indicarle un fagotto vicino al letto che la sera prima lei non aveva notato.

« Lì ci sono i tuoi abiti. Indossa quanto di più comodo riesci a trovare, mentre io prendo le armi. ». uscì subito dopo averle detto cosa fare e uscì dai suoi appartamenti per andare nell’armeria. Prese quattro pistole e due spade, poi tornò da dove era venuto.

Trovò la ragazza già vestita e pronta all’azione. Aveva indossato i suoi pantaloni neri e una camicia bianca, tenuta ferma da un corsetto nero.. Era divina, una principessa guerriera. Aveva anche parzialmente legato i capelli dietro la nuca, per restare più comoda ed avere maggiore fluidità nei movimenti eventualmente richiesti. Hook l’ammirò profondamente per il coraggio che mostrava.

« Sei bella, Arabelle. » le disse amaramente « Non credo che potrò mai dire abbastanza quanto lo sei. »

Lei gli sorrise e prese senza esitare le pistole e la spada che le porgeva. Posò tutto accanto al letto e poi tornò a pararsi di fronte a lui.

Proprio mentre stava per pronunciare una qualche parola, la porta della cabina. Si spalancò di colpo.

« Capitano! » era Bill Jukes, tutto trafelato. Evidentemente aveva corso per riferire il più presto possibile « La nave di Silver è in vista. ».

Arabelle sussultò, ma mantenne un’espressione impassibile. Hook annuì e fece segno al filibustiere di tornare al suo posto. Di certo, oramai tutti i pirati erano ai posti di combattimento, pronti ad affrontare la battaglia.

Quando Jukes fu andato via, Hook si rivolse alla ragazza, che in quel momento stava assicurandosi il fioretto al fianco sinistro, legandolo alla cintura. « Devo andare » disse semplicemente « Trova un posto sicuro dove nasconderti. Qualsiasi cosa succeda, non uscire da qui. »

« Va bene. » rispose lei, guardandolo sicura, solo un po’ in apprensione per lui. Hook le si avvicinò fino a che tra i loro corpi non ci fu spazio e le afferrò la vita con tenera forza. Le catturò le labbra in un bacio profondo, passionale, che li coinvolse al punto di far girar loro la testa.

« Torna da me. » sussurrò Arabelle, quando potè prendere di nuovo aria « Ti, prego. ».

Hook la baciò una seconda volta, stringendola a sé più che potè « Lo prometto. »

Rimasero ancora qualche istante a baciarsi, le labbra incolate in una danza sfrenata, i corpi aderenti l’uno all’altro e i cuori così vicini da compenetrarsi, poi, con un dolore oltre l’immaginabile, Hook si separò da lei, quasi di scatto.

« Ti amo. » le disse serio.

Lei gli stampò sulle labbra un ultimo bacio, stavolta solo posando le labbra sulle sue « Ti amo. » ripetè.

Senza voltarsi indietro, stavolta Jason Hook lasciò la cabina, che fu immediatamente chiusa a chiave dall’interno dalla ragazza. Come pensava, tutti gli uomini erano pronti.

« Comandi, signore! » disse Spugna, che se anche non poteva più combattere a causa dell’età avanzata, era un ottimo ufficiale.

Hook ghignò, compiaciuto dall’imminenza del tanto temuto combattimento « Ritirate l’ancora e spiegate le vele. Spugna, a te il timone. ».

Il galeone del pirata senza onore stava facendosi sempre più vicino, in pochissimi minuti sarebbe stato a tiro di cannone. L’attesa era snervante per tutti. C’era una tensione quasi elettrica nell’aria. Hook era sulla soglia del quadro, con la mano e l’uncino appoggiati alla ringhiera di legno che precedeva le scale, e fissava con un lampo omicida e crudele la nave che si avvicinava al suo vascello. Da come lo fissava sembrava quasi che lo incitasse a giungere più rapidamente.

« Spugna! » chiamò « Il mio cannocchiale! » ordinò porgendo la mano destra per ricevere l’oggetto. Quando esso fu nelle sue mani, egli lo utilizzò per osservare in lontananza i pirati a bordo dl galeone. Il primo che scorse fu Silver.

Silver era un uomo sui quarant’anni, ancora di bell’aspetto e di corporatura robusta, giovanile. Portava una corta barba nera che gli incorniciava il viso magro. In quel momento stava dando ordini a uno dei suoi ufficiali, sicuramente per concordare gli ultimi particolari della strategia. Hook provò un forte moto di rabbia pensando all’ignobile gesto, ignobile anche per un pirata, di voler rubare il vascello ad un altro comandante della loro razza solo per donarlo ad una sgualdrina.

Ormai erano a tiro di cannone, ma stranamente non fecero alcuna mossa per colpire le Jolly Roger. Hook decise di far trascorrere ancora qualche minuto.

Finalmente vide che si aprivano i boccaporti sul fianco del galeone per fare spazio alle bocche dei cannoni. Quello era il momento.

« Uomini! » gridò « Virate a destra di trenta gradi! » In quel modo, colpire la Jolly Roger sarebbe stato più difficile per Silver, che invece aveva il fianco sinistro ben scoperto. « preparate i cannoni! » disse infine.

Appena un minuto dopo, partì da Silver il primo colpo che cadde in acqua a pochi metri dal legno della nave di Hook. Ancora poco e l’avrebbero colpiti. Per fortuna la J.R. poteva vantare un’artiglieria più potente di gittata rispetto a quella dell’avversario. Quando Hook diede quindi ordine di fare fuoco, la nave di Silver fu colpita.

Hook lanciò un grido di gioia e compiacimento, vedendo che era riuscito a provocare un danno abbastanza serio al legno nemico. Usò nuovamente il cannocchiale per osservare la reazione del filibustiere a quel colpo ricevuto. Vide che era contrariato, certo, ma anche innaturalmente calmo per essere uno che ha appena ricevutola prima parte di una sconfitta imminente.

« Facciamo fuoco a volontà, capitano? » chiese Nudler, che si trovava sul ponte, poco distante da Hook.

« Non ancora. » voleva capire cosa infondesse tanta fiducia a Silver, che sembrava troppo calmo. Troppo tranquillo.

Qualche minuto dopo, La Jolly Roger era distante all’incirca cento metri dalla nave dell’avversario, e qui Silver diede l’ordine di fare fuoco, dado fondo a tutti i cannoni di cui disponeva. Hook diede immediatamente lo stesso ordine, riuscendo a colpire numerose volte la nave nemica, ma incassando anche sul suo vascello alcuni colpi ben assestati.

Hook sperò ardentemente che Arabelle si fosse nascosta come le aveva ordinato, perché se le fosse accaduto qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato. Non avrebbe potuto continuare a vivere sapendo di non essere riuscito a proteggerla adeguatamente.

« Forza! Continuate a fare fuoco razza d’idioti! » incitò con veemenza. Ancora pochi minuti, infatti, e le due navi si sarebbero trovate l’una di fronte all’altra, pronte per l’arrembaggio. Quella era l’unica occasione in cui avrebbe potuto indebolire ulteriormente Silver.

Pochi colpi di cannone dopo, Hook si ritenne abbastanza soddisfatto. Infatti, molti degli uomini di Silver erano caduti in mare, tramortiti o addirittura uccisi dai suoi colpi di cannone. Anche lui aveva riportato qualche danno, ma nulla di particolarmente grave. Nudler e alcuni dei suoi stavano gia provvedendo a riparare parzialmente i fori causati dall’impatto con le palle. Ancora, non aveva perso nessun uomo.

« Preparatevi, cani rognosi! » ringhiò, guardando con brama sanguigna Silver accostarsi alla Jolly Roger. « Lasciate che vengano…gli daremo filo da torcere e li rigetteremo in mare. »

Finalmente vide che alcuni uomini del nemico agganciavano la sua nave con una specie di cime con dei rostri. A quel punto, anche lui scese sul ponte principale, sfoderando la spada e preparandosi a combattere. I primi uomini furono sconfitti abbastanza facilmente, con pochi colpi di spada da parte dei suoi audaci filibustieri, ma ne arrivarono presto degli altri. Anche se la cosa non importava gran chè, vista la tempra singolare della sua ciurma, Hook notò che gli uomini a servizio di Silver, erano almeno il doppio dei suoi.

« Forza! » gridò Hook « Difendete la nave! »

E la vostra regina! Lo pensò ma non lo disse, perché tradire la presenza di Arabelle a bordo della nave avrebbe potuto, nel caso si fosse verificato il peggio, esserle fatale.

Finalmente arrivò un uomo con il quale valesse la pena incrociare la lama, ma non era comunque abbastanza bravo per tenerlo impegnato. Con un paio di stoccate e un affondo, il suo cadavere giacque ai piedi del pirata.

In quel momento, in un attimo che parve terminare più tardi di quanto avrebbe dovuto, Hook vide comparire sulla sua nave, dal nulla, una figura vestita completamente di nero. Aveva il volto completamente coperto da un telo nero, che lasciava a malapena visibile la forma degli occhi e nulla più. Alla cintura portava un fioretto molto affilato e sottile. Lo Spettro.

In realtà, Hook, che nonostante il fragore della battagliasi era fermato ad osservarlo, si sarebbe aspettato un personaggio alquanto diverso, viste le voci che erano circolate su di lui. Non era molto alto né particolarmente robusto. Sembrava anzi, piuttosto gracile sotto quella montagna di tessuti neri, che lasciavano intravedere gambe agili e forti.

In un attimo, la sua nera figura gli fu davanti. Si squadrarono per un istante, completamente dimentichi della confusone attorno a loro, poi cominciarono a girare in tondo, senza smettere di guardarsi. Sembrava una danza tra fiere.

Fu Hook a rompere per primo il silenzio « E così…. » disse leggermente ironico « Tu saresti il grande Spettro… non è così? »

L’altro sfoderò il fioretto ed annuì prontamente, restando in guardia.

« E saresti tu ad aver giurato di annientarmi…» Hook sfoderò la spada a sua volta.

Stavolta lo Spettro non disse nulla né compì gesti che potevano essere interpretati come una risposta di qualche tipo.

Hook lo derise « Mi stupisci. Nessun uomo d’onore rifiuterebbe la propria parola quando viene il momento di portarla a termine. » Qui rise, con gli occhi che mandavano lampi terribili. In quel momento era di nuovo il terrore del mondo che non c’è, lo spietato pirata sanguinario che aveva sterminato eserciti e popolazioni.

Lo Spettro mise fine alla conversazione assumendo una posizione di attacco. In un lampo, attaccò con una rapidità sorprendente. Hook parò il colpo senza alcuna difficoltà e rispose con altrettanta agilità. Dopo una prima serie di colpi, Hook fu costretto ad ammettere che quello strano personaggio era bravo. Molto bravo e veloce, in più.

Hook tentò un affondo che avrebbe steso anche il più formidabile avversario, ma che venne parato apparentemente senza difficoltà dall’agile figura vestita di nero. Duellarono per diversi minuti, senza che nessuno degli uomini di Hook o di Silver li disturbasse.

Dannato! Pensò Hook È bravo, ecco come mai Antoine è uscito sconfitto quando si sono scontrati

Era terribilmente vero. Per un momento, Hook temette per la propria vita e anche per quella di Arabelle. Per la prima volta, infatti, stava combattendo con un avversario che era completamente alla pari con lui.

Tentò un altro affondo, ma anche questo andò a vuoto, facendogli maledire mentalmente il momento in cui non gli aveva sparato quando lo aveva visto avvicinarsi.

Ma dove diavolo è finito Morgan?

Si rese conto, in quel momento, che il pirata avrebbe dovuto essere lì a momenti, anche se ancora non se ne vedeva l’ombra, quindi avrebbe solo dovuto resistere a quello scontro.

Lo Spettro attaccò con una mossa che hook non aveva mai incontrato prima nei suoi numerosi scontri, Per poco, infatti, non venne ferito da essa. Per altro tempo rimasero a scambiarsi colpi e stoccate a non finire, con furia incredibile, e Hook sentiva il sangue ribollirgli nelle vene per lo sforzo e anche per la stizza di non essere riuscito ancora a sconfiggerlo.

Poi, finalmente, la speranza. Riuscì a disarmarlo, catapultando la sua spada sul lato opposto del ponte, e tentò di ucciderlo con un ennesimo affondo, ma con uno scatto fulmineo, lo Spettro scomparve dalla sua portata per finire diversi metri più in là, alla ricerca dell’arma perduta. Approfittando di quel momento di pace, Hook riuscì a prendere una profonda boccata d’aria e a guardare all’orizzonte. Lì vide, con gioia, che la Fria di Morgan si stava avvicinando molto rapidamente. Non appena fosse giunta, per Silver non ci sarebbe stato più scampo.

Si guardò intorno, frenetico, vedendo che i suoi uomini erano in vantaggio, ma alcuni di loro erano stati abbattuti e giacevano ai suoi piedi senza vita, proprio come gli avversari sconfitti. A quel punto, quindi, non gli rimase alto da fare che entrare a sua volta nella mischia e menare colpi a spron battuto.

Il pensiero gli si rivolse un’altra volta alla creatura divina che stava nascosta nei suo appartamenti, in attesa che lui vincesse e che la battaglia si placasse. Se Morgan fosse giunto presto, allora altrettanto presto sarebbe finito il combattimento.

Hook cercò con lo sguardo la figura dello Spettro, ma non la vide più… sembrava che si fosse dileguata nel nulla. Poi, improvvisamente, la scorse di nuovo. Come lui, stava menando colpi a destra e a sinistra contro i suoi uomini, che l’avevano accerchiato. Con estremo orrore vide il Fachiro crollare a terra, ferito a morte dalla lama della figura ammantata di nero. Hook avvertì una scarica di rabbia tale che avvertì un impulso quasi irrefrenabile di fondarsi contro di lui e tagliargli la gola. Si trattenne solo ricordando che non era così facile sorprenderlo.

La Fria, intanto si era fatta più vicina. Altri duecento metri e si sarebbe trovata proprio dietro il vascello di Silver, pronta per chiuderla e venire in suo aiuto. Sentì che il cuore esultava al pensiero di quale faccia avrebbe fatto il suo avversario vedendo che la sua sorte era segnata.

Uccise un altro uomo di Silver si guardò ulteriormente intorno, facendo pochi passi sul ponte. Purtroppo vide che altri cinque o sei dei suoi erano stati uccisi. Lo Spettro continuava a mietere vittime.

Si diresse nuovamente verso di lui, incrociando le loro lame per distogliere la sua attenzione dall’Africano, che sembrava particolarmente in difficoltà. La figura vestita di nero sussultò vedendo lo sguardo omicida di Hook, che evidentemente non era deciso a fermarsi davanti a nulla questa volta. Le loro lame cominciarono a fare scintille, tanta era la veemenza con la quale si colpivano a vicenda. Hook desiderò ardentemente poter vedere il volto del suo formidabile avversario, ma era inutile: il suo volto continuava ad essere completamente coperto.

« Fatti vedere, cane! » sibilò quando una mossa elaborata lo portò a trovarsi faccia a faccia con lui. Tentò di strappare la stoffa della sua copertura con l’uncino, ma lui si ritrasse in tempo, per un soffio, facendo sfuggire un ringhio dalle labbra del bucaniere.

Mentre stavano per incrociare le lame un’altra volta, Hook vide che finalmente la Fria era vicinissima al galeone del suo avversario. Era il momento. Il momento che aveva aspettato fino ad allora, durante la battaglia che aveva dovuto, per un po’, combattere da solo. Vide la nave accostarsi al massimo al vascello di Silver, pronta a chiudere la nave avversaria. Hook la osservò con immenso compiacimento.

Ma con suo sommo orrore, la Fria sorpassò il nemico.

Il pirata non credette ai propri occhi, ma non ebbe tempo per farsi molte domande, perché dovette parare un altro colpo infertogli dalla spada dello Spettro. Altre mosse di lame sferraglianti distolsero la sua attenzione da quello che stava accadendo, ma per poco, perché il suo avversario, con un balzo degno di un felino, uscì dalla sua portata, scomparendo nella mischia per la seconda volta.

Hook rimase solo, ansimante, domandandosi dove fosse scomparso, ma fu solo per un istante. Infatti non perse altro tempo prima di voltarsi a vedere che cosa stava facendo Morgan, che non aveva chiuso Silver tra due fuochi come avevano concordato appena la sera prima.

Con un tuffo al cuore vide che il galeone del suo compagno stava accerchiando la Jolly Roger.

Con un balzo molto simile a quello fatto dallo Spettro poco prima, Hook tornò sulla soglia del quadro e recuperò il cannocchiale posato a terra per vedere cosa stava avvenendo sulla Fria. Guardando all’interno dell’utilissimo strumento, vide che la ciurma di Morgan era pronta a combattere, il loro comandante in piedi, sul ponte secondario, reggendo la rotta del timone. Ma perché stavano cambiando la rotta?

Improvvisamente, guardando dal cannocchiale, Hook scorse la figura di Ardet davanti ai suoi filibustieri. Aveva dipinta sul volto un’espressione ghignante maledettamente crudele. Era un’espressione di trionfo. Hook la riconobbe senza difficoltà perché era la stessa che tante volte si era dipinta sul suo di volto, che si era guadagnato la sua fama anche grazie a quello.

Improvvisamente vide che la Fria aveva chiuso la Jolly Roger tra due fuochi, non il vascello di Morgan, e finalmente comprese. Comprese e sentì che la rabbia diventava qualcosa di palpabile e impossibile da contenere.

Morgan lo aveva tradito.

Non sapeva ancora la ragione, né in quel momento fu abbastanza lucido da domandarsela. L’unica cosa di cui era certo era che l’unica persona per la quale aveva sempre nutrito un minimo di fiducia, l’amico di suo padre, lo aveva tradito, probabilmente per allearsi con Silver. E tutto fu chiaro. Capì come era stato manipolato fin dalla prima volta che lui ed il figlio avevano messo piede sulla Jolly Roger. Capì che l’unico interesse nel concordare con lui quella strategia di difesa era fare in modo che lui la seguisse per poter essere incastrato. E sentì il mondo attorno a lui crollare.

Come fosse stato improvvisamente dotato di un dono di preveggenza, vide la sua sconfitta, la sua Arabelle presa dal nemico e probabilmente venduta come schiava o come concubina…. Non poteva sopportarlo.

Lanciò un grido che non aveva in sé nulla di umano e si mise a menare colpi disperati di spada, trafiggendo chiunque gli capitasse a tiro. Uccise, in questo modo, moltissimi uomini di Silver, ma oramai stavano assalendo la sua nave anche quelli di Morgan.

Che tu sia maledetto, Morgan! Tu e la tua stirpe traditrice.

In pochi secondi, tutta la ciurma del suo vecchio compagno era sul ponte della Jolly Roger. Gli uomini di Hook non poterono fare nulla per fermarli, perché erano troppo pochi e per di più impegnati a combattere. Toccò a lui ucciderne quattro o cinque con non poco sforzo, visto che erano ben addestrati nell’arte della spada. Un sesto perse la vita con la gola lacerata dal suo uncino, e fu l’ultimo a morire, prima che Hook fronteggiasse Ardet.

Il giovane gli si era parato davanti, con la stessa fastidiosa espressione di trionfo che lo rendeva tanto odioso agli occhi di Hook. Teneva le gambe allargate in segno di spavalderia, la spada già sguainata in pugno. Lo stava fissando.

« E così, capitano… » gli disse beffardo « Ci si rivede presto. Non è vero? ».

Hook ricambiò lo sguardo d’odio profondo « Tu, bastardo traditore! » sibilò, trattenendosi a stento dallo scagliarglisi contro. Fu il giovane ad avvicinarsi cautamente fino ad attaccarlo con la spada. Menarono diversi colpi, ancora freddi, senza nessuna pretesa di morte per nessuno dei due.

Ad una pausa, Ardet ghignò e proseguì. « Sei sorpreso, Jason? » Hook non rispose, tentando un affondo ben studiato, ma che fu schivato dalla figura del giovane « Eppure pensavo che non fossi tanto ingenuo. Chi l’avrebbe mai detto? Jason Hook…un povero credulone! » Scoppiò in una tremenda risata che fece rabbrividire il pirata, che non desiderava altro che vendicare quell’affronto il prima possibile. Altri colpi di spada volarono tra i due.

« Sai, in fondo avresti dovuto aspettartelo…. » disse il giovane.

Hook ghignò a sua volta, parando un tentativo di sfregiarlo dell’avversario « Davvero? »

Ardet rise nuovamente « Si, Jason. In fondo mio padre è qui per la tua nave, certo, ma anche per consentirmi di riprendermi ciò che mi appartiene. »

Hook fu assalito da una terribile confusione. L’odio che provava in quel momento, vedendo i suoi uomini morire e pensando alla sua donna in pericolo mortale era tanto bruciante che avrebbe potuto incendiare l’intera isola che non c’è. Senza contare che le parole di Ardet, a quel punto, erano per lui oscure.

« Che cosa diavolo dici, bastardo? »

Ardet ghignò un’altra volta, in maniera terribile « Non capisci, capitano? » pronunciò la parola capitano con un disprezzo infinito « Sei stato tu a consigliarmi, proprio ieri, in verità… a dedicare maggiore attenzione alla mia promessa sposa. »

Se prima Hook era confuso, ora era del tutto costernato ed allibito. « Parla chiaro miserabile! » gli gridò contro, con tutta la forza che aveva.

Il giovane continuò a stare un minuto o più, ancora in silenzio, costringendo l’avversario a torturarsi nel dubbio più terribile.

Poi, finalmente, cominciò a spiegare « È per la mia fidanzata che sono qui. »

« DI CHE STAI PARLANDO? »

Un’altra risata malvagia, come neppure lui ne aveva mai fatte in vita sua. E questo è dire tutto. « Ancora non capisci? » ghignò « Sono qui per Marie Montcalm. »

Hook rimase muto, completamente muto. Era sempre stato un uomo di grande intelligenza e perspicacia, ma non riusciva davvero a comprendere come potesse, Ardet, pensare che Marie Montcalm, la sua promessa sposa, avesse qualcosa a che fare con la sua amata Jolly Roger.

« Oh, perdonami! » continuò l’altro, ghignando più apertamente e con uno sguardo di totale odio e compiacimento, mentre pronunciava quelle ultime parole. « Volevo dire che sono qui per… la contessa Marie Arabelle Montcalm. »

Se gli avesse sparato un colpo di pistola dritto nel petto, gli avrebbe fatto meno male. Hook sentì le gambe indebolirsi e la testa girare. Come aveva potuto pronunciare quel nome in quel contesto…?

Cosa?... Cosa..? Mio Dio, non può essere vero. Non deve essere vero!! Possibile che….??

« Non te lo ha detto? » continuò spietato quello « Non ti ha detto di essere in procinto di diventare la mia donna? Strano… »

Hook ribollì di rabbia « È UNA BUGIA!!! »

« Oh, no, mio caro Jason….è solo la pura verità. » lo canzonò il giovane « Arabelle, come la chiami tu… è Marie Arabelle Montcalm, la mia promessa. » Rise sguaiatamente « Questo non comporta necessariamente che lei ne sia felice, è ovvio…. Ma è così. »

Improvvisamente altri tasselli di un puzzle ancora in via di risoluzione si misero al loro posto. Rivide Arabelle, pallida ed emaciata durante la cena della sera prima… rivide come era diventata agitata quando aveva visto Morgan e Ardet entrare dietro di lui… salutarla e prendere posto a tavola con loro…

« Ma allora…» disse piano, con rabbia « Sei stato tu!! »

L’accusa sarebbe stata incomprensibile per chiunque all’infuori di loro due, perché celava tati misteri quanti ne erano appena stati svelati.

Ardet annuì con lentezza esasperante « Si, Jason, io. » confermo « io e mio padre l’abbiamo rapita e condotta qui. Siamo stati noi a tenerla prigioniera…io l’ho voluta come mia. »

Quella confessione era come una tortura per Hook, che combatteva quasi senza fiato e con gli occhi resi rossi dalla rabbia e dal desiderio di vendetta. Se molte cose gli erano state chiare, grazie a quelle subdole parole, molte altri misteri esse avevano portato con loro. Perché, ad esempio, se Ardet e Morgan hanno rapito Arabelle, lei, riconoscendoli ( perché era certo che li avesse riconosciuti ) non aveva parlato?

Il pensiero di cosa potessero averle fatto gli stringeva il cuore in una morsa dolorosa.

« Bastardo! » ringhiò contro il giovane, che sembrava alquanto divertito dalla scena che si stava svolgendo. Pochi colpi dopo, Ardet riuscì a ferire di striscio il braccio di Hook, che mandò un lieve lamento, e rise di nuovo.

« Questo bastardo avrà ciò che vuole, ora, Jason Hook. » lo schernì senza pietà. Era uno spettacolo veramente degno di nota quello dei due uomini che si fronteggiavano in quella maniera. Non si poteva stabilire chi dei due ostentasse maggiore odio rispetto all’altro.

Pochissimo tempo dopo, Hook, che ancora tentava di sconfiggere l’avversario, sentì che il fragore della battaglia attorno a lui si placava rapidamente. Ardet si fermò, il solito ghigno beffardo sulle labbra, inducendo l’altro a guardarsi intorno.

La Jolly Roger era stata completamente invasa dalle ciurme di Silver e Morgan, mentre degli uomini di Hook ne rimanevano ben pochi. Questi, tra l’altro erano stati accerchiati dal nemico, alcuni persino disarmati, e si erano disposti in circolo, pronti a battersi fino alla morte se il loro comandante glie lo avesse ordinato. Ma non avvenne. Con il fiatone e l’orgoglio ferito, Hook fissò con odio profondo prima Ardet, poi la figura di Morgan, che si era avvicinata, nel frattempo, fino ad affiancarsi a quella del figlio.

« Maledetto cane! » gli ringhiò contro. Morgan, che gli si era fatto ancora più vicino, non temendo la sua spada visto che Ardet lo teneva sotto tiro, e rimase impassibile.

Ad un certo punto sorrise mestamente « Salve Jason. »

Hook tentò di scagliarglisi contro, ma la punta del fioretto di Ardet puntata contro la gola lo trattenne. Allora dovette accontentarsi di fulminarlo con lo sguardo e chiedergli spiegazioni da quella misera posizione. Mai si era trovato in una situazione tale. Mai era stato sconfitto.

« Come hai potuto, Morgan, falso bastardo! »

« Silenzio! » lo zittì quello « Non parlare di cose che non comprendi e non conosci, Jason. »

Hook ringhiò « Come osi intimare a me il silenzio? » gli disse, gli occhi attraversati da lampi rossi. « Come hai osato tradirmi! »

« Oh, io oso…. » confermò Morgan, mentre il ghigno di suo figlio si allargava impassibilmente « Perché vedi…. Ci sono molte cose che tu non sai…e che temo non saprai mai…perciò a che scopo continuare ad agitarsi? »

Oltre alla sconfitta, Hook doveva sopportare anche di essere beffato da quell’essere spregevole. « Che cosa vuoi, Morgan? »

Morgan sorrise, e il suo sarebbe stato un sorriso amabile se la situazione non fosse stata quella « Semplice, Jason. Vendetta. »

« Vendetta?.... E per cosa? »

« Questo non ti riguarda…ancora… » disse quello, diventando di colpo più serio… « Ma credimi…l’ho raggiunta egregiamente, anche grazie al mio adorato figlio. »

In quel momento, l’uomo spostò lo sguardo alla sua sinistra, ghignando mentre una figura vestita di nero si avvicinava.

« credo che tu abbia già fatto conoscenza con il nostro più che valente alleato. » disse Mrgan, posando un braccio sulla spalla minuta dell’uomo con cui Hook aveva incrociato la lama appena poco tempo prima « Non è un abile spadaccino? » rise, con gioia, a quella sua battuta sarcastica, adita più che altro, a ridicolizzare l’avversario sconfitto. « Vedo però che non l’hai ucciso, come avevi giurato…. » continuò rivolto allo Spettro « Mi sorprendo. »

La figura si mosse appena, avvicinandosi di qualche passo a Hook, per guardarlo in volto. Era davvero minuto, osservò il pirata, e anche più basso di lui di almeno quindici centimetri. Non riuscì a vedere gli occhi dello Spettro, ma fu certo che stava ghignando, in quel momento.

« Non era il momento giusto. » spiegò con voce roca, indefinibile, attraverso la stoffa del suo cappuccio « Ma arriverà di certo, prima o poi. »

Hook fece per afferrargli la gola, ma era ancora accerchiato. Se avesse potuto, lo avrebbe sventrato seduta stante.

Morgan avanzò a sua volta « Bene…allora, visto che a me non interessa se vive o muore… » disse rivolto allo Spettro « È a te che spetta decidere del suo fato. »

Hook sentì le viscere che gli si contorcevano per la rabbia e per il dolore. Inoltre, anche sapendo che Arabelle gli aveva mentito, aveva un terrore incontrollabile riguardo al suo destino. Continuava a ripetersi che dovevano averle fatto qualcosa di orribile per costringerla a non parlare.

Fissò serio lo Spettro, che gli stava ancora davanti, in attesa di sentire il suo responso, che avrebbe decretato la sua sopravvivenza o meno. Una parte di lui avrebbe voluto che decidesse la morte,perché così sarebbe morto con onore combattendo fino all’ultimo, ammazzando almeno tutti i nemici che poteva fino a che non fosse giunta la sua ora. L’altra parte, però gli ricordava che se fosse morto non avrebbe potuto vendicarsi, né conoscere la completa verità e riprendersi Arabelle.

Improvvisamente, la figura in nero prese un respiro profondo « Che viva! » esclamò…con voce piuttosto bassa. Detto questo, scomparve dalla sua vista, nei recessi di una delle navi presenti.

Ardet rise « Avete sentito, padre? Lo Spettro ha scelto la vita. » rise, una risata tremenda, folle.

Morgan annuì energicamente « Ebbene, così sia. » disse sorridendo amabilmente « ma che sia il mare a decidere per loro. Come la nostra legge impone. »

Hook tentò di muoversi, ma fu immediatamente accerchiato da due energumeni molto forti, che lo afferrarono per le braccia, immobilizzandolo. Tentò di divincolarsi, ma fu del tutto inutile.

« Un traditore che parla di legge… » disse hook « Questo si che è buffo. »

Morgan lo guardò con ira « Tra i presenti e anche tra gli assenti, non sono stato certo io il traditore. ». Con quell’ultima frase enigmatica, egli se ne andò, lanciando uno sguardo eloquente ad Ardet, che sorrise al padre.

« Allora, ciurma! » disse il giovane « Montate l’asse. » subito si levarono esclamazioni compiaciute. Dall’inizio dei tempi, gettare i prigionieri in mare era una pratica che riscuoteva molto successo tra i bucanieri.

Hook venne trascinato da color che lo tenevano fermo, fino ad un angolo del ponte. Qui vide che dei suoi uomini non ne rimanevano che una decina, tra cui l’Africano, Nudler, il Guercio e il vecchio Spugna. L’asse fu montata molto rapidamente, come se fosse stata impaziente di accoglierli.

Il primo ad essere fatto cadere fu Spugna. A lui seguirono l’Africano e tutti gli altri. Hook fu lasciato per ultimo. Con l’orgoglio che gridava giustizia, egli salì sulla passerella, incontrando lo sguardo compiaciuto di Ardet, che aveva gli occhi brillanti per il piacere della vittoria.

Avanzò lentamente, gravemente, con una dignità che solo lui avrebbe mai potuto avere. Prima di lasciarsi cadere tra i flutti, Hook lanciò un ultimo, disperato sguardo alla sua cabina, dove sapeva di stare abbandonando quanto di più caro aveva al mondo.

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Capitolo 23
*** Ritirata ***


Ritirata

Ritirata

L’acqua lo investì in un solo colpo. Era fredda, pungente, spietata. Hook riuscì a raggiungere la superficie solo dopo alcuni secondi, tanto era sceso in profondità dopo il fatidico tuffo.

Finalmente riuscì a respirare e sentì l’aria su di ancora più fredda dell’acqua in cui era immerso. Si voltò quasi subito, per vedere come le tre navi, tra cui, anche la sua Jolly Roger si allontanavano lentamente da lui.

E con la Jolly Roger, si allontanava Arabelle. O meglio, la contessa Marie Arabelle Montcalm. Ma chiunque fosse in realtà, fino a che non avesse conosciuto l’intera verità, per Hook sarebbe rimasta per sempre solo Arabelle. La sua Arabelle.

Solo il pensiero che ella potesse avergli raccontato delle bugie, lo lacerava nel profondo, ma non era ancora arrivato il momento di pensare a quello.

Prese un’altra boccata d’aria e poi cominciò a dirigersi verso la riva, non molto distante, seguendo i superstiti dei suoi uomini.

In quel momento gli parve di rivivere un momento già trascorso: lui che uccideva il coccodrillo e sveniva per la stanchezza e le ferite sulla riva. Ma stavolta, non ci sarebbe stata nessuna voce dolce da sentire prima di piombare nel sonno. Nessuno a curarlo e ad aiutarlo, perché la persona che lo aveva fatto in passato era prigioniera in balia dei suoi rapitori. E lui che aveva giurato di proteggerla e vendicarla!

Per la prima volta in vita sua, Hook si sentì vile, indegno. Indegno persino di aver posato gli occhi su una così rara bellezza. Ma ormai era tardi per i rimpianti. La sola cosa che poteva fare era pensare a salvarsi, così da poter mantenere comunque la sua parola.

Perse il conto delle bracciate che dovette fare per raggiungere finalmente la riva di quella che riconobbe come l’isola che non c’è. Una volta toccata terra, si sentì leggero e piombò al suolo, proprio come aveva fatto tempo prima. Stavolta, però, accanto a lui c’erano altri uomini, esausti esattamente come lui.

Aveva un terribile affanno, quindi lasciò che il battito cardiaco tornasse regolare, prima di provare ad alzarsi a mezzo busto e a rivolgere lo sguardo verso i suoi compagni.

Vide che l’Africano gli si era avvicinato lentamente, camminando gattoni.

« Capitano? » lo chiamò, quasi del tutto privo di voce.

Hook tossì: aveva ingoiato un po’ di acqua di mare « Silenzio! » sbraitò forte quanto la gola gli permetteva in quel momento. Ancora non era in grado di conferire con qualcuno. Doveva prima far sì che la sua testa smettesse di turbinare insieme a pensieri che lo stavano torturando. Se fosse svenuto, avrebbe accettato la cosa con gioia in quel momento, perché almeno avrebbe avuto modo di smettere di pensare.

Dopo alcuni minuti, fece un respiro profondo e si alzò, lentamente, non avendo completo equilibrio. « Spugna! » chiamò.

« Sono qui, capitano. » rispose la familiare ma debole voce del suo primo ufficiale. Fece alcuni passi seguendo la direzione dalla quale proveniva la voce e trovò l’ometto sdraiato supino a terra, con il respiro ancora affannato. Alla sua età avrebbe dovuto ritirarsi dalla pirateria, ma per qualche strana ragione non lo aveva fatto.

« Sei tutto intero? » domandò Hook, con una punta di premura nella voce.

Il vecchio annuì, aggiustandosi poi gli occhialetti rotondi, che stranamente era riuscito a non perdere durante il tuffo e la nuotata. In breve tutti i superstiti della battaglia furono in piedi seppure affaticati e intorno al loro comandante. Hook sentì nuovamente la rabbia esplodergli nel petto, ripensando a tutto quello che era accaduto.

« Nudler, » chiamò poi « Dove siamo esattamente? »

Il pirata si grattò il mento per un attimo, guardandosi attorno con aria pensosa « Dovremmo essere sul versante ovest, capitano. » sentenziò. Anche se aveva usato il condizionale, Hook sapeva che era certo di dove si trovavano. Nudler aveva sempre avuto un dono per l’orientamento.

La cosa più bella della loro posizione era che si trovavano molto vicini al castello nero. L’Africano aiutò Spgna ad alzarsi e si misea fianco di Hook.

« Avete ordini, signore? »

Il comandante, con un sospiro, fissò i suoi occhi di ghiaccio in quelli neri del negro « Al castello, uomini. ».

Si misero in marcia, gravemente, camminando di buona lena, ma senza affrettarsi troppo, altrimenti sarebbero arrivati del tutto privi di forze.

Mentre camminava Hook sentiva il cuore sgretolarsi mentre la sua memoria correva ai fatti appena accaduti. Mille e mille dubbi gli frullavano in testa e giurò a se stesso che, appena avrebbe avuto l’opportunità, sarebbe riuscito a dar loro delle risposte.

Che ne sarà di Arabelle,adesso che è in mano di Morgan e Ardet? Continuava a domandarsi. La ragazza era finita in mano, anche a causa sua delle uniche persone da cui aveva fatto di tutto per fuggire, esponendosi a grande rischio.

Quello era l’interrogativo principale, ma ne aveva anche moltissimi altri. Ad esempio si domandava come mai lo Spettro avesse avuto tanta voglia di ucciderlo. Anche se poteva essere un’altra delle bugie di Morgan, Hook era certo delle intenzioni dello strano personaggio, perché le aveva avvertite quando si erano affrontati. Inoltre, essendo alleato del traditore, lo Spettro aveva comunque firmato la sua condanna a morte.

Ma perché lasciarmi andare se aveva desiderio di liberarsi di me?

Perché, quando avrebbe potuto farmi tagliare la gola seduta stante, senza sforzi di sorta?

Effettivamente la situazione stava andando complicandosi sempre di più, ma, come in tutte le faccende, una risposta doveva pur esserci.

Camminarono per quasi tre ore, facendosi largo tra la flora selvaggia della jungla con le loro spade affilate. Il castello era poco distante, certo, ma raggiungerlo a piedi dovendo tagliare per la foresta non era facile come poteva sembrare. Tuttavia, Hook aveva optato per quel sentiero nella previdenza che, forse, qualcuno avrebbe potuto scorgerli e non essere troppo clemente. Se, ad esempio, gli indiani li avessero trovati, non avrebbe importato quanto valorose fosse lui e quanto lo fossero i suoi uomini. Sarebbero certamente morti.

Al tramonto, finalmente, videro la figura imponente del castello stagliarsi contro gli ultimi raggi solari di quel giorno. Sembrava una costruzione fantasma, vista da quella prospettiva.

Hook si diresse con il suo manipolo di uomini verso l’ingresso secondario, che conduceva alla parte ancora abitabile del castello. Varcando la soglia di quell’ingresso, fu assalito da un’altra valanga di ricordi, dolorosi e piacevoli allo stesso tempo.

« Dove volete fermarvi, capitano? » domandò Spugna, quando furono entrati tutti e si trovarono al centro di un enorme salone con il pavimento ricoperto di tappeti.

Hook pensò un momento prima di rispondere « Nella stanza rossa, signor Spugna. » il suo fu quasi un sussurro, perché il motivo per cui aveva scelto di riposare nella stanza rossa, anche se poteva essere conosciuto solo da lui, era abbastanza forte da scuoterlo persino nella voce.

« Sentito uomini? » disse a gran voce l’ometto « Controllate che la stanza sia pronta! ».

Hook attese, immobile, mentre tre dei suoi andavano a preparare la stanza rossa. Ricordò quando Arabelle ce lo aveva portato, quando era ferito, e aveva dormito tra le lenzuola di seta, pensando a chi fosse quella stupenda creatura alla quale doveva la vita. Sospirò profondamente e scacciò via quel ricordo così doloroso per lui. Si diresse nella stanza e la trovò pronta e, povero lui, esattamente come l’aveva lasciata dopo la fine della sua permanenza. Gli parve quasi di rivedere le immagini come a teatro, con lui come attore accidentale.

Fece l’ennesimo dei suoi sospiri e quasi impazzì dal dolore per averla perduta, troppo presto visto quando l’aveva ritrovata. E in che mani era rimasta poi! Anche se probabilmente l’orgogliosa e fiera ragazza non l’avrebbe mai ammesso, lui aveva capito che la cosa che temeva maggiormente era di finire nelle mani dei suoi rapitori.

Ma perché non smascherarli, per Diana!

Lo scoprire quel mistero, sembrava essere diventato la ragione della sua vita.

Congedò i pirati e si avvicinò al letto a baldacchino, sfiorando le lenzuola quasi con adorazione, chiudendo gli occhi e ricordando quella prima notte che aveva dormito con accanto il corpo della sua donna. Rabbrividì al solo pensiero di cosa Ardet avrebbe potuto imporle di fare…. Ma per fortuna Arabelle era una ragazza speciale, combattiva come una tigre selvaggia. Lui lo sapeva meglio di tutti.

« Signore? » era Nudler. Hook non l’aveva sentito tornare nella stanza, ma non trasalì, perché i suoi ricordi lo avevano portato ad una specie di trance « Perdonate… »

« Parla pure. ». Non si voltò.

Il bucaniere avanzò di appena un passo, esitante « Ecco, ci chiedevamo se non volevate che alcuni di noi vadano a procurare qualcosa per il pasto. »

Hook ci mise un po’ di tempo per registrare le parole che aveva appena sentito. « Si. Andate! » ordinò senza troppa convinzione. In quel momento sembrava quasi che una luce dentro di lui…quella grinta anche immorale che lo aveva sempre caratterizzato, si fosse spenta per sempre.

Nuovamente solo, si sedette sul letto con un sospiro incredibile, la mente ancora prigioniera di ricordi lontani e recenti.

Come ho potuto sperare?

Lei è ancora tua. Rispose una parte di lui.

Altre immagini. Il loro primo bacio, il momento in cui gli aveva puntato alla gola il suo stiletto, l’attimo in cui l’aveva abbandonato e lui aveva trovato la sua lettera….

Ma perché sono stato così debole? Tanto debole…da amare?

L’amore non è una debolezza….

Oh, si che lo è. A cosa mi ha portato? Sono sconfitto, solo e tradito. Arabelle mi ha mentito.

Sospirò profondamente un’altra volta. Eppure i ricordi di quando l’aveva ritrovata e lei aveva detto di amarlo erano così vividi, così veri! Lei era stata sua! L’aveva amato con il corpo e con la mente e il sentimento che leggeva nei suoi occhi era reale. Hook sapeva che era reale, perché lui stesso era sempre stato molto bravo a fingere…ma l’amore vero era qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto simulare. E lei lo aveva amato.

Ma allora, perché mentirmi?

Sempre la stessa domanda che gli si riproponeva nella mente. Sempre la stessa, inesorabile fonte di dubbio. Come aveva potuto nascondergli qualcosa. Lui che aveva giurato di proteggerla e vendicarla….

Ma come avrei potuto pensare proprio a Morgan?

Se esisteva una persona, prima di Arabelle, di cui Hook aveva sempre pensato di potersi fidare, era proprio il migliore amico di suo padre, il caro vecchio filibustiere che tante volte lo aveva aiutato nel corso della sua adolescenza e che lo aveva istruito sulle meraviglie dell’isola che non c’è.

Infatti, anche se era qualcosa che probabilmente non avrebbe mai saputo nessuno, Hook non era sempre stato parte del mondo che non c’è. No. Lui era il figlio di un ricco borghese divenuto pirata durante il fiorire della compagnia delle indie orientali. Lui e suo padre, quando Hook era stato ragazzo ( nonostante il suo disprezzo per i giovani, ebbene anche lui lo era stato…) avevano navigato in lungo e in largo nelle americhe, sia settentrionali che meridionali.

In seguito, quando lui aveva appena vent’anni, suo padre scomparve. Lui tentò di cercarlo, ma non riuscì ad avere sue tracce, così domandò aiuto a Morgan, anche allora suo fedele amico. I mesi passarono e l’unica cosa che si ottenne fu la scomparsa di Morgan, misteriosa come quella di suo padre.

L’ormai uomo Hook passò gli anni a cercare entrambi, fino a che un giorno, quando ormai aveva rinunciato ad ogni speranza e si era ormai fatto uomo maturo, era finito senza rendersene conto in una dimensione fantastica, ritrovando Morgan. Suo padre, a suo dire, era stato ucciso durante una battaglia navale contro un rivale.

Da allora, rimase sempre nel mondo che non c’è, affascinato e rapito dalla promessa di avventure ed immortalità che esso prometteva.

Mai avrebbe pensato che Morgan fosse un traditore. Mai avrebbe dubitato di lui. Eppure era stato proprio lui a togliergli, anche se ancora non ne conosceva la ragione, le uniche due cose di cui gli importasse davvero: la sua nave e la sua donna.

Fu distolto dai suoi pensieri solo dall’arrivo di Spugna, che gli annunciava che Bill Jukes era ritornato con alcune lepri che si accingeva ad arrostire. In verità il pirata non aveva molto appetito.

« Preparate il fuoco… nel camino del salone dove siamo entrati. Io vi raggiungerò tra poco. »

Spugna annuì e scomparve dalla sua vista. Hook fece un respiro profondo e si alzò in piedi. Prima di uscire dalla stanza diede un’ultima occhiata al letto dove quella notte avrebbe dovuto accingersi a dormire.

Il suo ultimo pensiero fu il domandarsi se le lenzuola conservassero ancora, dopo tutto quel tempo, il profumo della pelle della ragazza mischiato con quello della sua.

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Capitolo 24
*** La morte dello Spettro ***


Piano di vendetta

La morte dello Spettro

Due giorni trascorsero e Hook ed i suoi rimasero nascosti come dei fuggitivi nel castello nero, rimuginando silenziosamente sui fatti accaduti durante la battaglia che aveva decretato la loro rovina.

Il terribile pirata trascorreva la maggior parte del tempo a sua disposizione tentando di dare un senso alle recenti rivelazioni. Sfortunatamente, però, i misteri si erano rivelati troppi perché lui da solo potesse risolverli. Infatti, per quanto si sforzasse, nemmeno ad uno riusciva a dare risposta.

Per prima cosa, si domandava come mai Morgan e Ardet lo avessero tradito, cosa li avesse spinti a tanto. Morgan soprattutto, visto che il figlio non aveva mai mostrato grande simpatia verso di lui. Hook sospettava che il loro tradimento fosse in qualche modo collegato alle parole enigmatiche che gli erano state dette prima che il suo vecchio amico si allontanasse. “ Tra i presenti e anche tra gli assenti non sono stato certo io il traditore. ” Cosa mai poteva significare?

Un'altra delle domande che Hook si poneva riguardava il silenzio di Arabelle. Le sue menzogne. In primo luogo, perché aveva mentito riguardo la sua identità, poi sul perché non aveva identificato i due uomini come i suoi rapitori. Sicuramente non poteva essere possibile che non li avesse riconosciuti, altrimenti perché mostrare nervosismo al loro cospetto?

In ultimo, ma non meno importante lo tormentava il desiderio di scoprire l’identità dello Spettro. Chi era quella misteriosa figura completamente vestita di nero che aveva giurato di ucciderlo? E perché poi? E ancora più strano era il fatto che lo avesse lasciato vivere dal momento che le sue intenzioni erano mirate alla sua morte.

Non c’era nulla di chiaro o di normale che fosse accaduto in quel giorno. Il solo pensiero che anche la sua donna potesse avere qualcosa a che fare con il tradimento di Morgan gli faceva gelare il sangue nelle vene.

Durante quel pomeriggio, Hook decise che la situazione richiedeva che lui ristabilisse l’ordine in quel maledetto mondo e ricordasse a tutti che deteneva la supremazia. Per questo motivo, convocò nel salone accanto alla stanza rossa tutti gli uomini che erano sopravvissuti con lui. Una volta che gli uomini si furono seduti intorno a lui, in circolo, Hook cominciò a parlare

« Uomini! » disse solennemente, con la sua ammaliante voce roca contratta dalla rabbia « È il momento. Il momento di vendicare il mio affronto e di riprenderci ciò che ci appartiene. La mia nave e la vostra libertà sono state prese da traditori indegni anche solo di posare gli occhi su di noi. »

Nudler annuì con decisione « È vero! » gridò seguito da un coro di appoggio da parte di quasi tutti i presenti.

« Sono due giorni che ci nascondiamo qui dentro come dei luridi lebbrosi, quando è stato Morgan a toglierci quanto abbiamo di più caro. » continuò Hook, ignorando l’intervento dei suoi uomini. « Ciò per cui viviamo…quello che amiamo… è rimasto sulla mia Jolly Roger. » qui abbassò la voce, quasi inconsapevolmente, pensando alla sua adorata Arabelle, che non aveva fatto in tempo a guarirlo dalla sua sofferenza passata, che era già sparita in mano a crudeli traditori che non avranno per lei alcuna pietà.

Spugna parve intuire i pensieri del comandante, perché, una volta spenti i mormorii precedenti, parlò con voce estremamente pacata. « Capitano, se voi comandate, andremo a liberare la nostra regina. »

A quelle parole seguì un lungo momento di silenzio, poi fu il caos. Hook rimase imperterrito e per la prima volta notò quanto in realtà Spugna lo conoscesse bene. E pensare che quell’ometto tanto buffo e goffo si nascondeva dietro la paura del suo uncino quanto e più di tutti gli altri. Gli altri uomini, vedendo anche la reazione inequivocabile del capitano, gridarono entusiasti, esclamando “ giusto! ” oppure “ è vero! ” con estrema determinazione.

« SILENZIO! » gridò Hook, gli occhi fuori dalle orbite. Immediatamente le voci cessarono « Non sono cose che vi riguardano! ». Aveva gridato ancora, ma si sentiva che nella sua voce c’era qualcosa di diverso. Si intuiva il dolore. Lui, che era sempre stato una statua di ghiaccio, mostrava involontariamente dolore agli occhi dei suoi uomini.

Prese un respiro profondo, poi continuò « La mia donna è sulla Jolly Roger. È vero. Ma non dobbiamo farci condizionare da questo, altrimenti non avremo possibilità di vittoria. » era vero, purtroppo e lo sapeva bene. « Dobbiamo concentrarci sulla mia nave, e l’unico modo per riprendercela è trovare un modo per indurre Morgan a cederla. Dubito che la troveremo sguarnita di uomini. » Il problema, oltre quello della resistenza che gli uomini di Morgan avrebbero opposto, era anche il modo di trovare la nave. Chissà dove si trovava ora, la sua Jolly Roger, che si era allontanata, mentre loro nuotavano verso la riva, insieme alla Fria e all’altro galeone.

Spugna prese la parola « Ma, capitano, come faremo a riconquistare la nave? Noi siamo solamente dodici, compreso voi. »

Hook ghignò e in quel momento la sua espressione fu addirittura più tremenda di quella che aveva avuto Ardet mentre confessava i suoi misfatti, compiaciuto. « L’importante è che Lucifero mi dia un segnale. Un unico segno di avvistamento della Jolly Roger, allora io vi dico che, con un piano adeguato, riusciremo a riprendercela. Se necessario, rapiremo Morgan in persona. »

Nudler agitò i pugni con rabbia. « Traditore! » disse con astio.

Hook avrebbe voluto rincarare la dose di insulti nei confronti del suo ex compagno d’arme ma era troppo in pena per Arabelle in quel momento per occuparsi delle svariate definizioni attribuibili a lui. In due giorni chissà cosa le avevano già fatto. Magari l’avevano uccisa, oppure già fatta sposare con Ardet.

« Ora dobbiamo solamente cercare di rimanere calmi, pazienti. Farete dei turni di guardia verso la costa, così se qualcuno di voi dovesse avvistare la mia nave o anche quelle di Silver e Morgan, verrà immediatamente ad informarmi. » dichiarò solennemente. Vide che i suoi uomini annuivano energicamente, con espressioni serie e convinte « Tu sarai il primo Jukes! » esclamò poi, piano. Immediatamente Bill Jukes scattò in piedi, fece al suo comandante un frettoloso saluto militare e poi scattò fuori dal castello, a cercare la postazione migliore per controllare la spiaggia.

Quando fu scomparso alla vista degli altri presenti nel salone, Hook sospirò « Non ci resta che attendere, ciurma. » Detto questo, si ritirò nella stanza rossa, sprofondando di nuovo nelle sue dolorosissime elucubrazioni mentali.

Rimase chiuso nella stanza per diverse ore, non cenò e fu catturato dal sonno quando ormai si era fatta notte fonda. Sfortunatamente fece incubi terribili, tra cui alcuni in cui Arabelle lo prendeva in giro per non aver capito che lei gli aveva sempre mentito e uno in cui la sua dolce amata veniva torturata a morte dai suoi nemici. Si svegliò di soprassalto quando ancora il sole non era sorto e non riuscì più a prendere sonno.

Ad ogni modo, per quanto si sforzasse e pensasse senza sosta, non riusciva a venire a capo dell’assurda situazione in cui si trovava. E lo Spettro era uno dei tasselli più complicati di quel puzzle. Era incredibile: non sapeva chi fosse né perché aveva giurato di ucciderlo, ma questo fatto e anche la sua grande bravura nella scherma glie lo avevano reso particolarmente odiato. Non gli era mai capitato di desiderare la morte di qualcuno che aveva visto una sola volta.

Ciò che importava, comunque, era che anche grazie al suo intervento, Hook aveva perso la Jolly Roger e Arabelle. Questo era un motivo più che valido per ucciderlo.

Fu scosso dal suo tormento mentale solo quando oramai era mattino e Nudler entrò di corsa, tutto trafelato, nella stanza rossa, trovandolo seduto sul letto e sovrappensiero.

« capitano!! » era piuttosto agitato « Presto. » ansimava, il che rendeva difficile comprendere le sue parole. Hook aggrottò le sopracciglia e attese che il pirata si fosse calmato abbastanza da parlare in maniera comprensibile. « Signore…la Fria… »

Hook si alzò di scatto, con gli occhi che lampeggiavano selvaggiamente « Dove? »

Nudler prese un respiro profondo « A circa duecento metri dalla riva…poco lontano da qui. »

« Hai veduto uomini? »

« Solo alcuni, capitano. » rispose subito quello « E con loro c’era lo Spettro. »

A quelle parole, Hook assunse un’espressione terribile, spaventosa al punto che lo steso Nudler non potè impedirsi di arretrare di un passo di fronte a tanta rabbia e crudeltà.

« Chiama tutti immediatamente! » ordinò perentorio mentre usciva dalla stanza superando l’ancora affannato pirata. Si diresse a grandi passi verso il salone presto raggiunto da Spugna e da tutti gli altri. Dopo appena un momento in cui tutti gli uomini lo squadrarono intimorititi dalla sua espressione almeno quando Nudler, Hook parlò.

« È il momento. » Tre parole. Tre parole che fecero scatenare nei presenti un urlo eccitato per l’imminenza della vendetta. « Nudler… » chiamò poi. « È abbastanza vicina da arrivarci a nuoto? ». Parlava della Fria, ovviamente e l’interpellato comprese.

« Si, capitano. Ribadisco che non era a più di trecento metri dalla spiaggia. »

Hook ghignò ancora di più. Se era davvero così vicina, allora sarebbe stato un gioco da ragazzi avvicinarla senza essere scoperti e assaltarla.

Chissà se Morgan tiene alla sua nave almeno quanto io tengo alla mia! Si disse pregustando la vendetta. Qualcosa però lo scosse dalla sua esuberanza. Infatti, se la nave era così vicina alla costa e con pochi uomini rispetto a tutti quelli che avrebbe dovuto avere, era piuttosto strano. Che fosse un’ennesima trappola dei traditori? Scacciò quel pensiero. Se anche si trattava di una trappola, loro sarebbero stati silenziosi come serpenti e agili come ghepardi. Non sarebbero riusciti a soggiogarli un’altra volta.

Poi…a bordo della Fria…c’era lo Spettro. Quale migliore occasione di ucciderlo se non questa, con tutti gli elementi a favore?.

« Preparatevi a nuotare, uomini della ciurma…. » disse piano, poi gridò « E a combattere! »

Un grido di risposta fu più che sufficiente per lui. Mentre gli uomini si armavano fino ai denti, liberandosi anche degli indumenti più ingombranti, Hook passò per caso davanti ad uno specchio a parete. Osservandosi, stentava a riconoscersi nell’uomo che vedeva. I segni d’espressione intorno agli occhi si erano fatti più evidenti e la pelle era assottigliata e cerea. Solo le iridi di ghiaccio conservavano i lampi che sempre le avevano caratterizzate. Questo particolare, però, gli fece comprendere che, per quante peripezie avesse dovuto affrontare, lui era ancora Jason Hook. E come tale, avrebbe ottenuto ciò che voleva.

Prese un fioretto leggero e abbastanza corto dal magazzino della armi che si trovava nel castello nero, poi diversi stiletti di varia forma, che assicurò con delle cinghie agli avambracci e ai polpacci. Le pistole sarebbero state inutili, perché, dovendo nuotare per raggiungere la Fria, la polvere da sparo si sarebbe sicuramente bagnata.

In pochi secondi, gli uomini furono pronti e si disposero in fila per seguire il loro comandante verso la vendetta.

Hook non si fece certo attendere. Ghignò in direzione di Spugna, poi si mise a capo della suddetta fila e cominciò a marciare. Uscirono dal castello nero e si incamminarono nella jungla per un breve tratto. Fatti appena cento metri, Hook potè vedere anche lui la nave di Morgan, ormeggiata anche più vicino alla riva di quanto si era aspettato.

Giunti a pochi metri dalla spiaggia e ancora protetti dalla flora selvaggia del posto, Hook si fermò e si voltò di scatto verso gli uomini. Aveva gli occhi fiammeggiati e, sotto il sole del mattino i suoi capelli avevano riflessi rosso scuro che sarebbero stati molto belli se non gli avessero conferito l’aspetto di un diavolo dell’inferno.

« Uomini. » disse solennemente, ma a voce relativamente bassa « Ascoltate: ora noi ci avvicineremo alla riva senza farci scorgere e ci getteremo in mare. Raggiungeremo lo scafo a nuoto, silenziosi, poi ci arrampicheremo sul fianco che vedremo essere il meno protetto e saliremo sulla Fria. » tutti annuirono, avendo compreso appieno quali fossero le intenzioni del comandante.

Hook continuò « Una volta saliti sul ponte, darete il meglio di voi, perché dobbiamo sorprendere i pochi uomini che ci vedranno per primi e non dar loro modo di dare l’allarme. Mi sono spiegato? »

« Sissignore! » risposero tutti in coro.

Egli fece per proseguire il cammino, ma si fermò subito per voltarsi un’ultima volta « Un’altra cosa, uomini…. » disse, quasi in un sussurro. « Lo Spettro è mio!! »

Gli uomini ghignarono a loro volta, comprendendo il desiderio di Hook di cimentarsi con un avversario degno di lui e di abbatterlo per soddisfare il suo desiderio di vendetta.

Stavolta si misero definitivamente in marcia. Hook era sempre davanti alla fila, gli occhi che di umano non avevano più nulla. Ciò che desiderava era catturare Mordìgan, o anche Ardet, convincerlo a dargli delle spiegazioni e a rendergli la Jolly Roger, poi, in seguito ucciderlo e riprendersi la sua donna. No, non la sua donna. Il suo angelo, la sua fata, la sua dea. Senza di lei, chiunque in realtà fosse, Hook si sentiva vuoto e perso. Desiderava ancora averla accanto, sentirla parlare, vedere i suoi grandi occhi scuri che lo scrutavano fino a penetrargli l’anima. Voleva ancora sentirla cantare….stringerla a sé sentendo i suoi sospiri d’amore mentre consumavano la loro passione nel letto di lui….

Era quello che desiderava. Era quello che voleva riprendersi. Era per questo che doveva vendicarsi e vendicare lei.

Erano oramai arrivati sulla riva della spiaggia e per fortuna ancora nessuno aveva dato segni di aver notato la loro presenza. A dire la verità, da quella distanza, la nave sembrava quasi deserta.

Si immersero tra i lutti chiari dell’acqua salata sulla quale erano abituati a vivere. Era fredda e fece rabbrividire Hook, che però si dimenticò quasi subito di essere capace di provare sensazioni fisiche, tanto era concentrato sul suo obiettivo. Nuotarono a lungo, lentamente, forse più lentamente del dovuto, perché se avessero creato troppi sconvolgimenti della superficie dell’acqua, qualcun osi sarebbe accorto di loro.

Quando mancarono meno di cento metri al raggiungimento della meta, i pirati cominciarono a fare lunghi tratti nuotando sott’acqua, mimetizzando maggiormente la loro presenza.

Hook sussultò di piacere e soddisfazione quando le sue dita giunsero a toccare il duro legno chiaro di cui era fatta la Fria. Per un attimo restò fermo ad ammirare la fattura e la lucentezza del materiale con il quale era stata realizzata, poi si voltò verso Spugna e ghignò terribilmente. Aggirò la nave per pochi metri, fino a che non trovò la scaletta appositamente disegnata in rilievo sul legno. Lanciò un’ennesima occhiata eloquente ai suoi, poi cominciò a salire, seguito a ruota da Nudler e l’Africano.

Erano tutti uomini fieri ed allenati, perciò non fu difficile per loro scalare il muro di legno rappresentato dalla fiancata della Fria. Hook fu il primo a scavalcare l’orlo del ponte principale e vide che, in un angolo stavano tre uomini semiaddormentati che non avrebbero certamente rappresentato un problema. Con passo felino, dannatamente silenzioso, Hook e Nudler li raggiunsero senza che si svegliassero. L’africano li raggiunse e ne sgozzò due in un lampo. Hook, vedendo che a quel punto il terzo uomo era quasi del tutto sveglio, gli tappo la bocca con la mano destra e lo guardò minaccioso negli occhi.

« Fa silenzio se ci tieni alla vita. » gli intimò, terribile come un uragano delle Antille. L’uomo, che aveva sicuramente appena superato la soglia della trentina, annuì lentamente, timoroso per la propria incolumità. Hook quasi rise nel constatare che i suoi uomini erano certamente meno pavidi di quelli del traditore.

Dopo una altro momento, proseguì « Ci sono molti altri uomini a bordo? » chiese lasciandogli libera la bocca ma puntandogli l’uncino alla gola.

Il malcapitato deglutì e si schiarì la voce « Una ventina, sottocoperta. »

Nudler, Spugna e l’Africano si lanciarono un’occhiata eloquente sogghignando quasi quanto il loro comandante, che teneva ancora sotto minaccia di sgozzamento il suo accidentale informatore.

« E lo Spettro? » chiese con voce sibilante, terribile, diabolica.

« È nel quadro. Vi prego….» supplicò quello, rabbrividendo e gemendo come un bambino indifeso al contatto con la lama affilata dell’uncino di Hook. Quest’ultimo diventò serio venendo a conoscenza della posizione del suo avversario mortale, tanto bravo da riuscire quasi a ferirlo.

Hook guardò Nudler gravemente, mentre gli ultimi dei suoi uomini salivano sulla nave. « Voi occupatevi degli uomini sottocoperta » ordinò « Non voglio superstiti. » precisò. Nudler ghignò in segno d’intesa « Spugna, tu rimarrai qui sul ponte, insieme a me. » Hook spalancò gli occhi freddi « Ho qualcuno da chiamare non appena avrete terminato la pulizia delle stive. »

Tanto era stato preso dalla disposizione degli ordini, si era quasi dimenticato completamente dell’uomo che fremeva di paura in attesa di conoscere la sua sorte. Se ne ricordò solo quando lo sentì mugolare qualcosa di incomprensibile.

« cosa hai detto? » lo incitò duramente, premendo maggiormente l’uncino sulla sua gola.

L’uomo si fece coraggio « Vi prego…lasciatemi vivere… »

Hook considerò un momento la sua proposta, poi chiese « Oltre allo Spettro c’è qualcun altro a bordo della nave? Di grado superiore intendo. »

« No, signore. » rispose quello, singhiozzando.

Hook ghignò « Bene…. » disse, prima di fare cenno a Nudler di andare sottocoperta con gli altri a eseguire gli ordini « Riguardo alla tua vita… » ricominciò « devi sapere che io non amo né i codardi, né quelli che tradiscono il loro comandante. E tu, mi spiace, sei entrambi. »

Registrando le parole dell’uomo che lo teneva sotto tiro, l’uomo non fece attempo a spalancare gli occhi per il terrore e la sorpresa che l’uncino di Hook gli aveva già squarciato la gola. Il cadavere cadde a terra con un tonfo sordo, che si aggiunse allo sferragliare proveniente dalla stiva, dove ormai infuriava la battaglia tra i suoi uomini e quelli di Morgan.

Lasciando che il sangue del codardi macchiasse il legni del ponte, Hook, seguito a ruota dal fedele Spugna, si diresse verso il quadro. Aprì la porta della cabina del comandante, con forza, facendola sbattere alla parete. Era l’unica porta del quadro, quindi era certo che lo Spettro sarebbe stato lì.

Infatti, seduto su una sedia di fianco ad una semplice finestra, stava la minuta figura dell’uomo che aveva giurato di uccidere Jason Hook. Era sempre vestito completamente di nero, portava pantaloni larghi e stivali alla corsara, una camicia di seta e una specie di casacca al ginocchio stretta ai fianchi da una serie di lacci. Tutto rigorosamente nero. Aveva anche il solito cappuccio sul capo, che impediva nuovamente a Hook di conoscere le fattezze del suo nemico.

Quando lo Spettro notò la sua intrusione, si alzò di scatto dalla sedia, rimanendo però stranamente immobile, a fissarlo attraverso la stoffa del cappuccio.

« Salute a te, bastardo! » disse beffardamente Hook, sfoderando lentamente la spada e avvicinandosi a grandi passi.

Lo Spettro arretrò cautamente, sfoderando a sua volta il fioretto, con agilità sorprendente. Si mossero all’interno della stanza squadrandosi con aria guardinga. Negli occhi di Hook brillava un lampo omicida terribile, spietato, folle.

« Spero che tu ti renda conto che è giunto il momento della tua morte. » disse Hook, la voce ridotta ad un sussurro, tanto era rabbiosa. « La tua anima è pronta ad incontrare il tuo destino? » lo sbeffeggiò.

« la mia si…e la tua? » rispose quello con la solita voce indefinibile e profonda, camuffata dalla stoffa del cappuccio.

« Allora vieni fuori ed affrontami alla luce del giorno…. Perché non ne vedrai un altro! » disse Hook, oramai folle dalla brama di uccidere. Senza dargli le spalle, uscì lentamente dalla cabina per prendere posizione sul ponte, poco distante da Spugna. Lo Spettro lo seguì a ruota, parandoglisi davanti, la spada sempre bassa.

La figura di Hook torreggiava completamente sullo strano personaggio ed egli avrebbe dato non sapeva cosa pur di conoscere l’identità di colui che lo odiava a tal punto da volerlo uccidere senza un affronto da vendicare.

Si misero in posizione d’attacco, le lame della spade che si toccavano appena.

« Che tu possa marcire all’inferno, maledetto! » sibilò Hook, rabbioso, pazzo di odio « Perché anche grazie a te ho perduto tutto ciò che amavo. »

Lo strano personaggio non diede accenno di risposta, ma continuò a rimanere in posizione di guardia. Hook era una figura formidabile di fronte a lui. I ricci capelli scuri bagnati che gli ricadevano sulla schiena e sugli occhi, che brillavano come tizzoni ardenti illuminati dai raggi solari.

Vedendo che lo Spettro rimaneva impassibile Hook cominciò a sferzare colpi. L’avversario li parò senza difficoltà, attaccando a sua volta, sena successo. Spugna rimaneva in un angolo, osservando la scena apparentemente impassibile.

Le due figure combattevano con estrema ferocia, attaccando e parando i colpi dell’altro. Lo Spettro era davvero bravo, ma stavolta Hook non era stato stremato da altri combattimenti precedenti. Questo gli consentiva di rispondere molto più agilmente alle provocazioni della lama dell’avversario.

Nel frattempo, gli uomini avevano terminato di combattere sottocoperta erano tornati sul ponte principale. Si tenevano a distanza, ma osservavano con estrema attenzione e anche apprensione quel combattimento formidabile.

Hook vide che oramai la missione era praticamente compiuta e vinta… Gli sarebbe bastato dire una parola e lo Spettro sarebbe stato circondato dai suoi ed immobilizzato, senza possibilità di fuga. Ma lui era sempre stato un uomo cui piaceva portare avanti una sfida, soprattutto se si trattava di una sfida interessante e motivata da ragioni d’onore.

Un affondo andò a vuoto per un soffio da parte di Hook, perché lo Spettro aveva una posizione di vantaggio in quel momento, ma si poteva vedere chiaramente che stava cominciando ad indebolirsi. Non sembrava avvezzo ai combattimenti troppo prolungati, per quanto maneggiasse con destrezza la lama.

« Sei bravo…te lo concedo… » mormorò Hook parando un colpo con una mossa particolarmente difficile « Ma questo non basterà a salvarti. »

Anche questa volta lo strano personaggio sembrò non aver alcun interesse al rispondere a tono alla provocazione di Hook. Si limitava a portare avanti il duello. Entrambi piroettavano e volteggiavano talmente velocemente ed agilmente che sembrava più una danza la loro, anche se la danza della morte.

Ci vollero diversi minuti prima che lo Spettro desse cenni di cedimento, ma poi, alla fine, Hook si accorse che il suo avversario era ormai sfinito, ed essendo evidentemente più allenato di lui, ne approfittò. Portò le loro posizioni in modo che si trovassero longitudinalmente rispetto al ponte. In un lampo fece sì che lo Spettro si trovasse con le spalle rivolte verso il pennone. Ci vollero diversi secondi prima di vincere completamente la sua resistenza, ma infine Hook riuscì a farlo indietreggiare.

Un momento dopo accadde qualcosa di incredibile. Hook lo portò ad essere con le spalle vicinissime al pennone e appena ad un metro di distanza da esso, eseguì un passaggio molto elaborato e riuscì a disarmarlo. Un secondo dopo, gli aveva trafitto l’addome.

Lo Spettro lanciò un gemito strozzato, ma non gridò, né emise alcun tipo di lamento. Hook aveva la brama sanguigna negli occhi, ormai diventati rossi. Spinto dalla follia omicida e dalla soddisfazione, con un ghigno terribile spinse la figura incappucciata fino ad infilare la punta della sua lama, che fuoriusciva dalla schiena del suo nemico, nel legno del pennone.

Rigirò di quasi quarantacinque gradi la spada nella carne dello Spettro, con l’intenzione di causargli il maggior dolore possibile, poi guardò i suoi uomini con espressione di trionfo. Tutti i presenti non ricambiarono lo sguardo esultante perché ancora risentivano della tensione accumulata durante il duello.

« Allora… » disse Hook, con il fiatone, ma determinato « alla fine non sei stato tu ad uccidere me… » guardò la ferita che gli aveva causato. Gli aveva trafitto numerosi organi vitali, dunque non sarebbe certamente sopravvissuto. Tuttavia, la ferita non riusciva a provocargli una morte rapida. Hook se ne compiacque, così, oltre all’agonia, lo Spettro avrebbe dovuto sopportare anche l’umiliazione.

Improvvisamente, si ricordò del fatto che la figura vestita di nero era ancora incappucciata.

« Ora… è giunto il momento di mettere da parte le maschere amico mio. » Disse le ultime due parole con un disprezzo senza pari. « È venuto il momento di scoprire chi sei. »

Lanciò un ultimo sguardo ai suoi uomini, che bramavano quanto lui di conoscere il loro nemico, quel grande e valoroso avversario che avevano veduto una sola volta ma che era riuscito ad uccidere il Fachiro, ferire a morte molti di loro e a mettere in difficoltà persino il loro imbattuto capitano.

Vedendo quanto tutti desiderassero quel momento, Hook ghignò terribilmente e, senza sfilare la lama dall’addome ferito del suo nemico, con un gesto rapido, gli tolse il cappuccio che ne celava le sembianze, vedendolo per la prima volta in viso.

E il suo cuore si fermò.

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Capitolo 25
*** Confessione ***


Confessione

Confessione

Il cuore di Hook smise di colpo di battere. I suoi occhi si rifiutarono di vedere quello che si era parato innanzi. La mano che teneva la spada tremava come una foglia sull’elsa, incapace di fare una sola mossa. Era lo shock, l’impotenza, la meraviglia, l’incredulità, che si erano impossessate di lui.

E come lui, altrettanto immobilizzati dal terrore e lo stupore erano i suoi uomini.

La gola gli si era arsa dalla pazzia, impedendogli di emettere alcun suono. Un brivido lo scosse e non fu certo di piacere, mentre osservava al rallentatore il nero cappuccio dello Spettro rivelarne le sembianze.

Aveva tremato come un bambino vedendo lunghe ciocche castane ricadere sulla stoffa nera della camicia del suo nemico, in onde fitte, quasi ricce. La vista gli si annebbiò, quasi fosse stata abbagliata dalla lucentezza e lo splendore della pelle bianca che contrastava con lo scuro dei capelli. Meravigliosi occhi marroni lo guardavano senza vederlo, accecati dallo shock del colpo da lui inferto.

Hook vide quella bocca rosea che amava e adorava, quella linea severa di un naso perfetto, la dolce curva della mandibola e degli zigomi.

Hook, in un attimo, morì quando si rese conto che sotto il cappuccio dello Spettro c’era il volto di Arabelle.

Non aveva parole. Del resto, anche avendone avute, che cosa avrebbe potuto dire. Se il cuore aveva ripreso a battergli, lo fece così piano e sommessamente che lui non se ne rese conto. Non perse tempo a domandarsi perché Arabelle fosse lì, se fosse stata lei lo Spettro fin dall’inizio o perché. In quel momento la sola cosa che importava per lui, era il fatto di aver ucciso la ragazza che amava. Il solo essere per cui nutrisse amore, adorazione pura, era ritto davanti a lui, con la lama della sua spada che gli trapassava lo stomaco da parte a parte.

Dopo alcuni istanti, Hook parve riacquistare un minimo di lucidità. Giusto quel tanto che bastava per sfilare la lama dal corpo della ragazza e vederla cadere di peso tra le sue braccia. Lui stesso cadde in ginocchio nel momento stesso in cui prese Arabelle.

Guardandola, con un tuffo al cuore che sembrava più che altro un’esplosione, egli si rese conto che lei doveva essersi in parte ripresa dallo shock della ferita e lo stava guardando amorevolmente, con dolcezza.

« Jason… » disse, in un sussurro appena percettibile.

Ricordando quanto fosse bella la sua voce, che cantando produceva suoni celestiali, gli occhi del pirata si riempirono di lacrime trattenute.

« Arabelle, » provò a mormorare « Io… » Ma non sapeva cosa dirle. Quali parole avrebbero avuto senso in quel momento? Effettivamente, nessuna parola poteva servire in quel frangente. Tutto ciò che Hook desiderava era di riportare indietro il tempo di appena qualche minuto, solo il tempo necessario a non infliggerle quel colpo mortale.

Diamine! Pensò, quasi scosso da convulsioni Sta morendo….e sono stato io ad ucciderla. Quale punizione sarebbe più crudele di questa?

Arabelle fu scossa da un tremito « Jason, » riuscì a dire un po’ più forte di prima « ti prego..nello scrittoio…nella cabina.. aprilo.. »

Hook registrava a malapena le parole della ragazza. Il dolore che stava avvertendo era insopportabile. Era come una marea che lo invadeva, portando via tutto ciò che gli era caro, ogni speranza. La voglia di gridare era grande.

« Prendi la lettera. » terminò la giovane, il bellissimo volto reso cereo dalla morte imminente e le sopracciglia aggrottate per la sofferenza.

Hook deglutì « Si. » disse « Oh mio Dio! Si! Lo farò. » disse piano, tentando di scacciare dalla mente la consapevolezza che in pochi secondi la sua amata non sarebbe stata più con lui. Gli si sarebbe spenta tra le braccia. Come la fiammella di una candela ormai consumata, Arabelle sarebbe inevitabilmente morta.

La cosa più incredibile di quel momento era che aveva cominciato a sorridere. La ragazza, nonostante l’agonia e i tremiti che le sconvolgevano le membra, stava sorridendo in direzione del suo assassino.

Hook la stringeva a sé come se avesse potuto, così facendo, donarle un po’ della sua essenza vitale e risparmiare a lei la morte.

« Arabelle… Dio..! » stava cercando un modo per alleviarle la pena, ma come avrebbe potuto?

Lei alzò un braccio tremante e portò le dita, già fredde, a sfiorargli il volto. « Ssshh » mormorò quasi a voler lei consolare lui. Quasi che fosse lui ad essere sull’orlo dell’abisso. « Jason… » ripeteva spesso il suo nome, incurvando le labbra in un lieve sorriso che si sarebbe potuto dire di beatitudine se le circostanze fossero state differenti. « nella lettera… troverai tutto..ciò.. .che vuoi…sapere. » sibilò, la voce che oramai stava diventando solo un rauco sussurro. Eppure, anche così, era divina.

« Ma perché? » ringhiò alla fine Hook. Il suo però, era un tono disperato, non adirato. La sua rabbia contro se stesso era incredibile. Si odiava per averla amata, per averle consentito di entrare nella sua anima, e per le circostanze che sin dall’inizio furono avverse al suo sentimento. E ora, si odiava per averla uccisa, quando la sola cosa che voleva era riprendersela. Le avrebbe fatto rivelare tutti i suoi segreti, probabilmente l’avrebbe anche maltrattata, imprigionata, punita, ma non poteva sopportare l’idea di farle del male. Lei era come l’ossigeno per lui.

Anche se lei gli avesse detto di odiarlo e di averlo voluto uccidere sin dall’inizio, l’avrebbe lasciata vivere e l’avrebbe tenuta con sé. Ma l’aveva uccisa.

« Jason, la morte non è così grave come sembra. » rispose lei, mentre le palpebre cominciavano ad abbassarlesi.

Hook la scosse dolcemente. I pirati presenti erano immobilizzati dalla scena, incapaci di dire o fare alcunché. « Arabelle! » la chiamò. « resta con me! »

Con un ultimo sforzo, ella sorrise « Non posso… » disse semplicemente, chinando lo sguardo sulla sua ferita « Non vedi? »

Un ennesimo ringhio, che sarebbe divenuto presto un urlo, morì nella gola del fiero capitano. Come poteva rimanere così calma?

Ti prego, Arabelle! Ti imploro! Accusami, guardami con odio, sputami in faccia, anche, ma non fare così! Non far sembrare tutto facile.

La ragazza prese un respiro profondo, che era più un rantolo che altro. « Jason! » chiamò, decisa, anche se la sua voce era quasi inesistente a questo punto. Hook la guardò con amore infinito, con passione, anche, mista a sofferenza, perché la cosa più bella della terra stava per abbandonare il mondo conosciuto alle creature che vivono.

« Jason, » ripetè lei, portando la mano sulla ferita, come a volerla indicare «… Grazie! ». Sorrideva. Non lo stava deridendo, né lo diceva per farlo sentire in colpa. Era un ringraziamento vero. Era sincero e spontaneo.

Hook sentì le forze abbandonare anche lui. Nulla sembrava muoversi. Era il silenzio attorno alla nave, a loro, nell’intero mondo che non c’è.

La ragazza emise un altro terribile rantolo, poi tossì e lungo l’angolo destro della sua bellissima bocca scese un rivolo di sangue. Gli organi interni le si erano spappolati causandole un emorragia interna che aveva raggiunto la gola.

Hook avrebbe voluto urlare la sua disperazione nel vederla così e non poter fare nulla per rimediare a colpo fatale che glie la stava strappando crudelmente.

Arabelle lo guardò un’ultima volta, poi il suo cuore battè per l’ultima volta. Spirò lentamente, afflosciandosi come una insulsa marionetta tra le braccia dell’uomo che le aveva tolto la vita. I suoi occhi si spensero gradualmente, fino a diventare due vitree macchie scure senza alcun significato.

Hook, in preda a convulsioni dolorose all’altezza del petto, la scosse, prima piano, poi sempre più forte, fin quasi a farle ciondolare le membra inerti.

In preda al dolore, che ora non aveva più ostacoli al suo sfogo, si chinò sul collo della ragazza e lasciò che le lacrime scendessero. Cominciò a dondolarsi sulle ginocchia, trascinando anche il cadavere di Arabelle con sé in quel movimento. Restò in quella posizione per molti minuti.

Spugna sentì una singola lacrima solcargli la gota sinistra, rugosa e appassita. Nessuno degli uomini osava muoversi, né tantomeno andare vicino a Hook e toccarlo. Stavolta neppure Spugna avrebbe potuto fare nulla per lui.

Dopo ancora qualche momento, Hook smise di dondolarsi e gettò la testa all’indietro, lanciando un grido che non aveva più nulla di umano. Era la voce dell’angoscia, del senso di colpa, della consapevolezza, del dolore e della solitudine. E dell’odio verso se stessi. Fu un grido che fece muovere le correnti del mare, tremare il legno della nave su cui si trovavano, rabbrividire i feroci bucanieri che erano al seguito di quell’uomo ammirevole pur nella sua spietata condotta.

Anche quando Hook smise di gridare, l’eco della sua voce si spense molto lentamente. Strinse nuovamente a sé il corpo senza vita di Arabelle e si alzò in piedi, tenendolo in braccio, sollevato come uno sposo solleva la novella sposa prima di varcare la soglia della camera nuziale. Il suo sguardo era freddo, vuoto e vitreo, come quello della fanciulla che teneva tra le braccia. Sembrava che fossero entrambi morti, con la sola differenza tra loro il fatto che l’uomo pareva rimasto in parte sulla terra.

Superò tutti gli uomini, lentamente, gravemente, con la morte nel cuore ed entrò nella cabina dove aveva fronteggiato lo Spettro. Se solo avesse saputo chi era in realtà! Raggiunse un piccolo letto separato dal resto dell’appartamento, che sapeva essere di Morgan, e vi depose delicatamente il corpo di Arabelle, con amore infinito, quasi fosse stata solo addormentata e lui avesse avuto timore di destarla. Nel petto, il cuore gli batteva forsennatamente e l’anima non gli dava pace.

Con una furia improvvisa che contrastava con la delicatezza avuta nel toccare le spoglie della sua amata, Hook raggiunse lo scrittoio. Era l’unico della stanza, così diede per scontato che fosse quello il mobile di cui Arabelle aveva fatto menzione prima di morire. Non perse tempo e aprì lo scomparto con eccessiva forza, tanto che lo ruppe.

Non gli importava. La sola cosa che importava era eseguire l’ultimo desiderio della ragazza, leggere quella dannata lettera di cui gli aveva parlato. Probabilmente, se avesse letto, sarebbe riuscito a mettere fine al suo tormento, a dare un senso ai fatti accaduti. O forse no. Alla morte di Arabelle, però, non sarebbe mai riuscito a dare un senso. La sola cosa che desiderava, in quel momento, era togliersi la vita e raggiungerla, in paradiso o all’inferno, ovunque la sua anima si trovasse.

Vide che nel cassetto che aveva appena divelto si trovava una busta, non sigillata, che conteneva uno o più fogli, non ne era ancora sicuro. La prese in mano e, girandola, vide che, con la grafia che sapeva essere stata quella di Arabelle, era scritto qualcosa.

Per te, Jason Hook, la verità.

Hook sentì il suo cuore mancare un altro battito. L’aprì lentamente e con le dita tremanti, facendo attenzione a non toccare la carta immacolata con la lama macchiata di sangue del suo uncino. Tirò fuori il contenuto della busta e vide che si trattava di tre fogli scritti con la bella calligrafia di lei, a righe molto fitte.

Con il cuore in gola, cominciò a leggere.

Caro Jason, se stai leggendo queste parole vuol dire che io sono morta. So che morirò presto e so che avverrà per mano tua. Non ti angosciare inutilmente per me. La morte è, da un po’ di tempo, l’unica cosa in cui spero sinceramente.

Quando sono stata con te, per la prima volta mi sono detta che forse, però, la morte non era la sola cosa che mi aspettava. Evidentemente non era destino che potessi essere felice.

Hook, leggendo quelle prime righe, per poco non si sentì soffocare, soffrendo indicibilmente per lei.

Questo è il momento in cui saprai la verità. Tutta la verità, finalmente. Non sarà piacevole, come non lo è per me scriverla. Fatti coraggio e continua a leggere.

So che Ardet ti ha rivelato la mia vera identità. Quello che ti ha detto è vero: io sono la contessa Marie Arabelle Montcalm. Quando ci siamo conosciuti non ti ho mentito, perché ti dissi di essere una nobile francese e, in effetti, Arabelle è il mio secondo nome. Credo addirittura di avere usato più spesso quello anche sulla Terra. Ho scelto di non rivelarti il mio nome completo per precauzione.

La seconda cosa che devi sapere e che sicuramente ti starai domandando e se ti ho amato davvero. La risposta è si, Jason. Ti ho amato con tutta me stessa. E ti amo ancora, anche adesso che, prigioniera su questa nave, scrivo queste parole.

Hook sentì una fitta di sollievo misto a dolore leggendo quelle prime rivelazioni. Il fatto che lei lo avesse davvero amato, in un certo senso, lo consolava e gli impediva di sentirsi sciocco per aver creduto ad una cosa non vera.

Ma ancora erano molte le cose che non quadravano e lui desiderava, prima di lasciarsi impazzire dal dolore e togliersi la vita, conoscere tutta la verità. Per questo prese un respiro profondo e continuò a leggere.

Comincerò dall’inizio, affinchè tu possa comprendere ogni cosa.

Ricordi che ti parlai di Philippe, il mio fidanzato, in Francia? Ebbene, anche se allora non lo sapevo, si trattava di Ardet. Mio fratello Enrique era entusiasta di lui, perché era giovane ricco e bello. Il cognato ideale, per lui.

Il giorno del mio ventesimo compleanno fui rapita, come ti ho detto, e portata sulla Fria, dove Morgan mi spiegò che avrei dovuto sposare suo figlio, per pagare un debito contratto molto prima della mia nascita. Mi spiegò tutto anche riguardo quello, ma te lo racconterò più tardi.

Io mi rifiutai di sposare Ardet, allora Morgan fece qualcosa di terribile: usò la stregoneria contro di me. Si, perché sua madre, Jason, era una strega. Quando viveva sulla terra, fu bruciata sul rogo. Suo figlio ne ereditò i poteri magici e li usò per vendicarsi di me e di te.

So che per te sarà difficile credere a tutto ciò che ti sto dicendo, ma ti prego! Non pensare che stia mentendo. La morte non mente mai e io so bene che sto per morire.

Al principio, la sola cosa che voleva era vedere me sposata e te morto, così mi ricattò: io avrei avuto due mesi di tempo per ucciderti, altrimenti mio fratello sarebbe stato ucciso. Se avessi fatto qualunque cosa per rivelarti dei suoi piani e del ricatto che mi aveva imposto, sarebbe stata la morte per entrambi.

Ti trovai sulla spiaggia e tutto sarebbe stato terribilmente facile per me. Bastava pugnalarti e così salvare la vita di mio fratello. Ma non ho potuto. Ancora non so perché ma non ho potuto. Ti ho curato e, prima di decidere di portare a termine il compito che mi era stato affidato, mi innamorai di te. Un amore che era maledetto dal principio e che avrebbe portato me, te e mio fratello alla rovina.

Lacrime di fuoco gli riempirono gli occhi, bruciandoli e ferendogli il cuore. Leggendo ciò che Arabelle aveva scritto, Hook provò una pena ed una disperazione che, unite al dolore per la perdita subita e per il modo in cui ciò era avvenuto, lo portarono ad un passo dalla follia. Era allo stesso tempo avido di conoscere il seguito del racconto lasciato per lui ed il solo desiderio di porre fine al suo tormento, lasciando al Diavolo tutto il resto.

Tuttavia, ricordò che Arabelle gli aveva detto di leggere ciò che aveva scritto. Evidentemente, se non fosse stato importante, non avrebbe avuto tanta sollecitudine. Così lesse ancora.

Con la magia, notando che tardavo nel tornare alla Fria a missione compiuta, Morgan vide che cosa stava accadendo a me a te. Così mi mandò un biglietto, durante una notte, dicendomi che aveva fatto uccidere Enrique, visto che io non avevo rispettato i patti. Dovetti fuggire e raggiunsi l’isola degli elfi. Incontrai mio nonno e gli chiesi di liberarmi, ma non potè fare nulla. Neppure gli elfi hanno potere quando in gioco c’è una stregoneria.

Mi offrì di restare con lui, protetta dai simili di mia nonna, ma io rifiutai, perché desideravo tornare sulla Terra, mettermi al sicuro da Morgan, fuggire il più lontano possibile da quell’incubo. Accettai, però una scorta in incognito, su un mercantile. E qui tu mi trovasti.

Sperai di aver trovato la mia occasione di felicità. Ero con te, tu mi avresti protetta, anche se io non potevo farti parola dei miei rapitori, non potevo dir nulla per fateli identificare.

Quando Morgan e Ardet giunsero sulla tua nave, compresi che la mia vita stava volgendo al termine e che la loro vendetta su di me per non averti ucciso e per aver rifiutato Ardet sarebbe stata grande.

Rammenti com’ero nervosa durante la cena? Ora comprenderai le ragioni, credo. Quando andasti ad avvertire gli uomini della battaglia, mi lasciasti sola con loro. Quella fu la rovina.

Morgan usò nuovamente la magia: mi disse che se non avessi combattuto al loro fianco durante la battaglia, fingendo di essere un uomo, lo Spettro, tu saresti morto. Naturalmente io accettai.

In realtà, fui davvero io ad uccidere Antoine, e sai perché? Perché aiutò Morgan a rapirmi, Jason. Riuscii a vendicarmi almeno di lui. Mi guadagnai una fama non desiderata, ma non ho mai giurato di ucciderti. No.

Morgan te lo disse sapendo che tu avresti accettato la sfida e avresti voluto uccidere colui che aveva fatto un tale affronto. Poco importava quando, perché la battaglia lì’avrebbe vinta lui. Sapeva che saresti tornato e sarei stata, o meglio, lo Spettro sarebbe stata la tua prima vittima.

Capisci adesso? Tutto quello che ti ha detto sullo spettro era mirato al fatto che tu mi uccidessi. Ardet sapeva che sarebbe stata la cosa peggiore che potessero farti, se tu avessi ucciso la donna che amavi. Loro avrebbero avuto la Jolly Roger, la vendetta e Ardet avrebbe potuto divertirsi con me…prima di usarmi come esca per te.

Si, Jason. Ardet ha abusato di me.

Ti prego non fare nulla. La mia sofferenza ora è terminata. Fa che lo sia anche la tua.

Sentendo ciò che Arabelle gli aveva detto in quella lettera, Hook mandò un altro terribile grido. Aveva fatto esattamente ciò che Morgan si aspettava, uccidendo la sua donna, la sua giovane, dolce, e piccola donna. Con lei aveva ucciso anche il suo cuore.

E Ardet aveva….. Dio! Non riusciva a pensarci, eppure non poteva smettere. Vedeva ogni secondo le mani di quel lurido traditore sulla serica pelle di Arabelle, che lottava per non cedere, per non aprirsi a nessuno che non fosse lui. Era la follia….

Ora è giusto che tu sappia per quale ragione Morgan ci odia, in particolare te. Perché abbiamo dovuto pagare per il nostro amore, per la nostra vita ed esistenza, anche se innocua. Quello che segue è il suo racconto, lo stesso che mi fece la prima volta che fui sulla Fria.

Morgan trovò tuo padre, qui, ma non sapeva come uscire dal mondo che non c’è, non ancora, perciò vi rimase.

Tutto cominciò quando si innamorò perdutamente di Meridies, un elfo bellissimo e puro, la cui presenza offuscava persino la luce del sole. Era mia nonna. Lei lo rifiutò, nonostante lui tentasse ogni mezzo per farsi amare.

Meridies era già innamorata di mio nonno, un prigioniero di un altro pirata, un conte. Desideravano fuggire insieme. Non domandarmi come si conobbero, perché non lo so. Questo rimarrà un mistero irrisolto, probabilmente.

Fatto sta che Morgan si decise, ad un certo punto, per un’azione sleale: volle rapire Meridies, ma per farlo avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di tuo padre, Jason, perché la principessa elfo era sempre ben protetta.

Il tuo genitore, però che era un uomo giusto, anche se da principio non lo si sarebbe potuto dire, rifiutò di aiutare il suo migliore amico, perché credeva nell’intensità dell’amore di mia nonna per il giovane prigioniero, tra l’altro ricambiato. Non solo rifiutò di diventare complice di Morgan, ma vedendo che egli non voleva ragionare ed aveva intenzione di uccidere mio nonno, andò ad informare di tutto Meridies e l’aiutò a fuggire sulla Terra insieme al suo amato.

Morgan non si vendicò su di lui, ma non glie lo perdonò mai.

E ha atteso tanto per avere la sua vendetta. Jason, tu non puoi nemmeno immaginare quanto rancore lui abbia covato in tutto questo tempo. È diventata quasi una follia la sua, una ragione di vita.

L’occasione di vendicarsi gli è giunta quando suo figlio, sulla Terra si è incapricciato di me. Vederci sposati era per lui un modo per dare un lieto fine anche al suo sentimento deluso. Poi, tu saresti morto per mano mia, e Morgan non avrebbe neppure dovuto esporsi.

Quando poi ha compreso che tra noi era accaduto l’impensabile, è stato ancora meglio per lui, che ha rivisto se stesso nel figlio rifiutato per un altro. Ha pensato bene, dunque, di prendersi la tua nave e le tue ricchezze e, soprattutto, di fare in modo che tu mi uccidessi. Capisci? Ognuno ha avuto quello che voleva, eccetto noi. Morgan ha avuto la vendetta, Ardet ha conosciuto il mio corpo e ora comanda la Jolly Roger. Io, come ormai è certo, sono morta e tu, se davvero mi amavi come dicevi e come ho visto, sei morto insieme a me.

Siamo giunti al termine del viaggio, amico mio, mio amato. Ho però delle richieste. Promettimi che le esaudirai.

Desidero in primo luogo che tu continui a vivere, che vendicherai la mia morte e la nostra sconfitta. Desidero che tu navighi ancora e che ami. Si, Jason. Tu devi amare. Troverai qualcuna degna di te e la farai felice. Ne sono certa. Solo….rammentami, ogni tanto.

Devi portare il mio corpo al re degli elfi. So che lui avrebbe voluto che riposassi nelle terre degli immortali. Giacerò nel campo dei morti, insieme a tanti elfi che hanno conosciuto la fine dell’esistenza per scelta o per combattimento.

Poi, Jason, devi leggere la lettera che sta sotto il cuscino del letto di questa stanza. L’ho nascosta lì per te. Se non ti fidi delle mie parole, quella sarà la prova che non ho mentito.

È giunta la fine, mio amore. Non ci sono altre parole per me. Presto non ci saranno neppure altri respiri o battiti.

Non ho mai voluto ingannarti. In un certo senso, si può dire che non l’ho fatto. Una piccola parte di me ancora spera di non dover mai farti leggere questa lettera.

Addio, Jason Hook.

Per sempre tua, nella vita e nella morte

Countesse Marie Arabelle Montcalm

O, se questo nome è per te ancora causa di dubbi,… solo Arabelle.

Il cuore del pirata sembrava davvero fermo in quel momento, tanto piano faceva sentire il suo battito. Il respiro era corto e debole, gli occhi umidi e sgranati, la fronte corrugata. Il fiero corridore del mare, in quel momento, non c’era più. Era come se si fosse trasformato, se la corazza che aveva sempre portato si fosse sciolta solo in quel determinato istante.

Quello che aveva letto l’aveva sconvolto ancora di più di quanto la morte stessa di Arabelle avesse già fatto.

Voleva piangere e urlare, distruggere tutto quello che gli capitava a tiro. Arabelle era stata messa in una posizione impossibile e per questo aveva pagato con la vita. Non si era sbagliato su di lei.

E ora lui era diventato il suo carnefice, distruggendo la sola cosa, forse, che valesse la pena adorare, sulla Terra o in cielo. Se le cose fossero andate diversamente, lui l’avrebbe adorata e idolatrata come una cosa sacra.

Perché questo a me? Gridò nella sua mente, con forza Perché ho dovuto vedere questo giorno maledetto?

E pianse. Pianse. Pianse. Pianse lacrime amare, lacrime di rabbia e dolore perché aveva distrutto una vita ed un’anima, la sua, con un solo gesto. Con un colpo di spada tutto era diventato buio.

Ma non poteva neppure uccidersi, perché la sua amata aveva espresso chiaramente il desiderio che vivesse. Ecco, dunque, perché lo Spettro gli aveva risparmiato la vita. Finalmente Hook comprese anche quello. Arabelle non voleva la sua morte, quindi non avrebbe potuto farlo uccidere e questo Morgan lo sapeva. Esattamente come sapeva che, se fosse sopravvissuto, avrebbe ucciso il suo avversario.

Quel bastardo aveva fatto in modo che Arabelle si condannasse da sola, facendolo vivere, e che Hook fosse l’esecutore della sentenza.

Prese un lume posato sullo scrittoio e lo lanciò con forza contro la parete, fracassandolo in mille pezzi.

Poi andò verso il letto della cabina a frugare sotto il cuscino, su cui era il capo del suo amore, come aveva scritto Arabelle. Vi trovò un’altra lettera.

Stavolta però, era una busta dalla carta vecchia e consumata, molto ingiallita dal tempo e dalle intemperie. L’aprì con delicatezza e il cuore debole dopo aver notato che non recava scritto destinatario o mittente. Era un solo foglio, poche righe scritte con una grafia piccola e spigolosa. E lesse.

Mi dispiace. Non posso fare quello che chiedi.

So che capirai, perché sei sempre stato una delle poche persone di cui mi fido. Ti prego non rischiare di compiere una sciocchezza, solo per il tuo sciocco orgoglio. È inutile, inoltre. Sai che non servirebbe a nulla. Si toglierebbe la vita piuttosto. Non è una mortale, debole e soggetta a cambi di sentimento. Non ti aiuterò. Non questa volta.

Lasciala stare.

Jakob Hook

Leggendo la firma, Hook provò una stretta al cuore che glie lo fece tornare a battere forsennatamente per un attimo. Jakob Hook. Suo padre.

Evidentemente le parole di Arabelle trovavano un’ulteriore conferma in quelle del vecchio pirata, oramai defunto. Dunque egli si era rifiutato davvero di diventare complice di Morgan nel rapimento.

Ecco cosa voleva dire quella frase. Tra i presenti e anche tra gli assenti non sono certo io il traditore.

E anche l’ultimo tassello del puzzle era messo al suo posto. Morgan parlava di Jakob Hook quando aveva pronunciato quelle parole. Lo considerava un traditore dopo che non gli aveva dato il suo appoggio.

Stavolta, tenendo la lettera nelle sue mani, Hook urlò davvero. Di nuovo le pareti vibrarono e gli uomini che ancora aspettavano di fuori sobbalzarono, quasi commossi da tanta disperazione.

Dopo essersi sfogato per l’ultima volta, il pirata si inginocchiò davanti al corpo senza vita della ragazza e affondò il capo sul suo ventre, appena sotto la scura macchia di sangue della ferita. Le strinse convulsamente le mani, bagnandole i vestiti di lacrime silenziose e mormorando il suo nome innumerevoli volte. L’accarezzò, le baciò le labbra, delicatamente, poi con passione, quasi che con il suo ardore avesse potuto restituirle la vita. La guardò, la strinse, le sfiorò le membra, baciando persino la ferita che ne aveva causato la morte, come per guarirla. E gridò, pianse, si disperò senza possibile ritorno. Pianse piano, sommessamente, come spesso fanno gli uomini. Gli occhi gli diventarono rossi, ma per la prima volta questo non volle dire che stava per uccidere, ma che stava morendo lui stesso, nel profondo dell’anima.

Adorò per diversi minuti il corpo di Arabelle, come una statua divina. E pianse su di lei. Le sussurrò frasi dolci e poi appassionate, ora candide, ora infuocate, come fosse stata ancora viva. Poi parve rammentare che il destino l’aveva fatta andare via e allora cambiò tono. La supplicò.

La implorò di tornare da lui, di svegliarsi, di vivere per amor suo, ma niente oramai avrebbe potuto riportargliela.

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Capitolo 26
*** Udienza ***


Udienza

Udienza

Passarono quasi due ore prima che Hook uscisse dal quadro e avanzasse fino a fronteggiare i suoi uomini. Questi erano rimasti in attesa, senza dire nulla, sedendosi sul ponte a parlare tra di loro. Nessuno avrebbe, infatti, potuto fare nulla per il loro comandante e, del resto, mai lo avevano veduto in quello stato.

Quando finalmente uscì, sembrava più morto che vivo. La sua pelle era pallida e smunta, gli occhi arrossati e gonfi per il pianto. Persino il suo incedere, benché sempre regale e fiero, pareva cambiato. Era come se galleggiasse sul pavimento, che fluttuasse, tanto era debole il peso che veniva bilanciato sulle gambe. Era l’ombra di ciò che era sempre stato.

« Spugna. » un sussurro. Sembrava non avesse più neppure la voce. Quella sua ammaliante voce roca aveva ceduto il passo ad un rauco mormorio.

L’ometto avanzò rapidamente verso il capitano. In quel momento non sembrava neppure pericoloso, neppure in grado di uccidere.

« Dite capitano. »

Hook fissò gli occhi nei suoi. Era sprofondato in un luogo da dove non c’era più ritorno. « fate vela verso l’isola degli elfi. »

Spugna annuì debolmente, incapace di dire o fare alcunché. Anche il resto della ciurma rimase imperterrito, immobile, senza osare neppure muoversi al cospetto di quell’uomo ridotto ad un fantasma a causa del dolore. La sua figura ben disegnata e crudelmente affascinante era prostrata davanti alla sofferenza. I capelli scuri ormai quasi asciutti ondeggiavano mossi dal vento.

Come era uscito dal quadro, vi ritornò lentamente, richiudendo la porta alle sue spalle. Nessuno disse una parola mentre spugna cominciava a dare le disposizioni per il viaggio che, per fortuna, non sarebbe durato a lungo.

Hook guardò la cabina in cui era appena entrato. Arabelle era ancora sdraiata sul letto di Morgan, con le mani giunte proprio sopra la ferita. Le aveva pulito la bocca dal sangue, così che sembrava davvero che dormisse. Era così bella anche nella morte che il pirata avvertì un altro sbocco di pianto salirgli agli occhi. Ma si trattenne, anche perché la sua mente non sembrava più essere completamente viva.

Le si avvicinò e ancora una volta le si inginocchiò davanti. Avvicinò la mano al suo viso con una cautela incredibile, come se avesse avuto paura di scalfire la sua perfezione. Una perfezione che solo la morte conferisce.

« Arabelle. » mormorò con tenerezza, folle dal dolore e dall’amore « Mio amore… come hai potuto chiedermi di non uccidermi? Mi hai chiesto di vivere quando la sola cosa che vorrei ora è raggiungerti, prendendo il mio veleno. » le stava parlando come se fosse stata ancora viva, con una dolcezza esasperata, struggente.

« Non sono più vivo, senza di te. » singhiozzò « Come hai potuto pensare, anche solo concepire la possibilità che io possa ancora amare? » qui pianse per alcuni secondi, accarezzandole i capelli sciolti sul cuscino. « Io esaudirò tutte le promesse che mi hai domandato, ma questa davvero…non puoi chiedermi di farlo. »

Prese un respiro profondo, poi prese una mano della ragazza nella sua « Io, Jason Hook, giuro davanti a tutti i testimoni dell’Inferno che non amerò mai nessun’altra. Perché nessuna mai potrebbe darmi quello che tu mi hai dato. Non esiste creatura, umana o meno che sia, che potrebbe offuscare la tua presenza nella mia anima, Arabelle. »

Le baciò la mano che aveva stretto fino a quel momento nella sua, con una passione che si vedeva incancellabile persino dalla morte.

« Ma tu, perché sei voluta morire? » aveva ricominciato a parlarle teneramente, quasi fosse stata una bambina che aveva preso le decisioni sbagliate e ora ne pagava inevitabilmente le conseguenze. << Perché hai lasciato che questo avvenisse? Potevi uccidermi tu…no, questo non l’avresti fatto mai… ma potevi rifiutarti di combattere, ora che ero venuto per ucciderti. » sospirò, accarezzandole la testa « Forse così le cose sarebbero andate come era giusto andassero. »

Pianse ancora. Sentì che la Fria stava muovendosi, accompagnata dal vento a favore. In poco tempo sarebbero arrivati a destinazione.

« Ti sto portando dove hai chiesto. » le sussurrò « Vedi? Tutto ciò che hai domandato, fatta eccezione per…quello…sarà esaudito. E io vendicherò la tua morte, amore mio. » La rabbia ora era evidente nella sua voce « Morgan pagherà per il suo affronto e Ardet sarà punito altre l’immaginabile per quello che ha osato farti. »

Nuovamente Hook ebbe dei flash del giovane che violava la carne pura e ribelle di Arabelle, che opponeva resistenza a quel contatto intimo, che solo con lui aveva voluto avere. Magari ad un certo punto non aveva nemmeno più opposto resistenza… notando quanto essa fosse inutile.

Se solo Ardet fosse stato in quella stanza, in quel momento, Hook avrebbe sfogato su di lui qualunque emozione di rabbia, odio, risentimento e orgoglio ferito, dolore e disperazione.

Si alzò in piedi e si sdraiò accanto alla ragazza, ignorando la freddezza delle sue membra. Cercò, folle com’era, di non pensare al fatto che le sue braccia non l’avrebbero più stretto, le sue piccole mani delicate non avrebbero potuto più accarezzargli la nuca come solevano fare. Era stata sua per così poco tempo. L’illusione di felicità che aveva avuto era stata così breve che non aveva neppure fatto in tempo a rendersene conto.

Abbracciò strettamente e teneramente il corpo di Arabelle e giacque in quella posizione per diversi minuti. In effetti, i minuti presto divennero ore e il sole aveva già compiuto grande parte del suo corso quotidiano quando finalmente il pirata si alzò a mezzo busto, sempre senza staccare gli occhi da lei.

« Manca certamente poco all’arrivo. » disse in un sussurro, rivolto alla ragazza « Cosa dirò a colui che riceverà il tuo corpo? Che accadrà quando scopriranno che sei morta per mano mia? »

Arabelle era sempre più pallida, sempre più eterea. Eterea come non era mai stata neppure in vita, resa marmorea dal candore dell’oblio.

Hook, invece, sembrava un uomo diverso. Era come se, grazie al dolore, avesse scoperto di essere debole come chiunque altro e si comportasse da essere umano capace di emozioni e passioni.

Chiunque ricordasse l’uomo formidabile e valoroso che aveva terrorizzato intere isole, sarebbe rimasto pietrificato nel vederlo così trasformato. Le sembianze erano le stesse, certo, ma nei suoi occhi freddi c’era un dolore misto a tenerezza che mai aveva solcato il mare tempestoso del suo animo. E i suoi gesti erano resi lenti e delicati, contatti di piuma sulla pelle di Arabelle. Al solo pensiero che la sua splendida bellezza sarebbe rimasta deteriorata dal corso del tempo, tramutandola in una cosa scheletrica, faceva provare all’uomo cose incredibili. Una rabbia ed un rimpianto lo invasero a quelle immagini che gli attraversarono la mente.

Il lento oscillare del legno della Fria si era fatto più incalzante. Hook chiuse gli occhi, provando ad immaginare di trovarsi sulla sua amata Jolly Roger, nel suo letto, con Arabelle accanto, magari stretta tra le sue braccia dopo che era stata nuovamente sua. Quello sarebbe stato perfetto. Quello sarebbe stato giusto. Avrebbe ascoltato la sua risata, sentito il tocco lieve delle sue dita e, perché no, l’avrebbe persino ascoltata mentre dava disposizioni ai suoi uomini. Infatti, sin dalla prima volta che l’aveva vista, aveva compreso che era una donna destinata al comando. Fiera ed indomita come un fiore selvaggio.

Avrebbe vissuto con lei, con unico scopo della sua vita adorarla e venerarla. Il suo amore era come un miscuglio di due sentimenti opposti. Se da una parte, la idolatrava come una dea, dall’altra la desiderava e la voleva come se fosse stata l’altra parte di sé che necessitava di avere riunita al suo corpo per provare la completezza. Era una follia, un’ossessione, una brama che andava al di là di tutto il resto.

Anche le sue future scorribande sarebbero state mirate a rendere ricca e gloriosa la sua regina, la sua sposa, il suo angelo d’argento.

Avendo poi scoperto la sua bravura nel saper usare le armi, l’avrebbe fatta conoscere sull’isola dei pirati come la più bella e ardita ragazza del mondo che non c’è. Tutti l’avrebbero amata. Tutti l’avrebbero voluta. Ma sarebbe stata solo sua.

Invece il crudele destino gli aveva riservato questo.

Ma avrebbero pagato tutti. Morgan, Ardet, Silver. Tutti avrebbero provato la sua vendetta più tremenda per quello che gli avevano fatto.

Trascorse dell’altro tempo, ma Hook non vi fece troppo caso. Si rese conto di essere rimasto a lungo con il corpo della ragazza solo quando udì dei colpi leggeri alla porta della cabina che non era la sua.

« Capitano… » era Spugna « Perdonate… ». Parlava in un sussurro desolato, anche lui evidentemente partecipe del lutto del tremendo uomo di mare.

Hook si schiarì la voce, senza però riuscire a distogliere lo sguardo da Arabelle « Vieni avanti. »

L’ometto aprì la porta con estrema cautela e fece qualche passo oltre la soglia. « Capitano, siamo giunti a destinazione. ». mentre lo diceva, notò quasi immediatamente dove si trovava Hook, la sua posizione addolorata ed adorante accanto alla salma della sua vittima, del suo amore. Era ancora difficile per la sua ciurma credere che l’assassino del mondo che non c’è potesse amare, ma vedendolo in quello stato si convinsero tutti che la ragazza doveva davvero avere smosso qualcosa all’interno dell’anima dell’uomo.

« Molto bene. » rispose lui « gettate l’ancora e fare preparare una scialuppa. ». Hook accarezzò ancora la guancia della giovane, sapendo che una volta ceduto il suo corpo nelle mani degli elfi, non sarebbe più stata sua.

Spugna annuì e andò via, lasciando nuovamente il comandante alla sua solitudine.

« Hai visto mio amore? » sussurrò Hook « Siamo arrivati nella tua patria. È giunto il momento. » Detto questo si alzò in piedi e poi la prese tra le braccia, sollevandola con estrema delicatezza. Portandola con sé, uscì dal quadro, offrendosi agli sguardi della ciurma. La bellezza di Arabelle, anche nella morte, abbagliava ogni uomo presente, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso quasi al pari dello stesso Hook.

Non appena la scialuppa fu pronta, l’Africano e Nudler vi entrarono dentro, per andare ai remi, seguiti dal sempre presente Spugna. Toccò a lui ricevere il corpo di Arabelle tra le braccia per permettere a Hook di entrare a sua volta nella piccola imbarcazione. Fu per poco, però, perché il fiero pirata non aveva intenzione di cederla a nessuno nemmeno ora che era morta.

La scialuppa fu calata in mare e lentamente si avvicinò alla riva. L’isola degli elfi, sulla quale Hook non era mai stato, si presentava come una terra di media estensione, dal paesaggio collinare verdeggiante. Sembrava, dalla loro distanza, che minuscoli punti di luce si stagliavano sparsi nel verde della vegetazione. I pirati si domandarono di cosa si trattasse. Complessivamente, si vedeva chiaramente che doveva trattarsi di un luogo magico, fatato.

Anche se mi reca dolore dirlo, è questo il luogo a cui appartieni, Arabelle. Pensò Hook, dolente ed affranto Tu eri nata per vivere qui, tra gli incanti della tua gente. Ma nessuna magia potrebbe mai eguagliare quella della tua persona.

Una lacrima rossa gli scorse lungo la guancia sinistra, ma non se ne vergognò. Non più. Oramai l’uomo che si vergognava di provare sentimenti mortali era morto da tempo. Più precisamente, era morto quando aveva conosciuto quell’angelo che ora teneva inerte tra le braccia.

Il dolce ondeggiare della scialuppa, più marcato rispetto a quello del vascello, era un piccolo conforto per l’uomo. Gli sembrava come se si trovasse in un sogno, o meglio in un incubo, da cui però si sarebbe svegliato. Come sarebbe stato bello svegliarsi e trovarsi accanto a lei sulla Jolly Roger nel suo letto…nel loro letto.

Tornò alla realtà quando sent’ il legno della barchetta urtare contro la sabbia della costa. Si alzò tenendo in braccio l’esile figura della giovane e si guardò intorno. Da vicino, l’isola era ancora più bella di come sembrava da lontano.

La vegetazione non era selvaggia e indomita come quella dell’isola che non c’è, ma ricordava, piuttosto, una foresta buona e luminosa, anche se ormai i raggi del sole erano quasi scomparsi all’orizzonte. Gli alberi, di innumerevoli forme e tipologie, si ergevano fieri davanti a loro, lasciando spazio, talvolta, a piccoli e stretti sentieri.

Le luci che Hook aveva notato erano, si accorse, generate da cristalli finissimi e brillanti che ornavano le cime di alcuni degli alberi. Sembravano stelle tenute prigioniere.

Avvertì, mentre faceva i primi passi, la strana sensazione che aveva provato spesso quando era stato vicino ad Arabelle, quando lei era viva…. Dio, si trattava solo di poche ore prima! Ovvero, gli sembrava di stare profanando con i suoi passi un suolo sacro e puro. Forse si trattava di uno strano incantesimo elfico, oppure, semplicemente, quelle creature e tutto ciò che era loro legato, erano davvero pure e ultraterrene.

Davanti a loro si presentava un sentiero un po’ più ampio di tutti gli altri, che scompariva tra gli alberi. Hook sospirò profondamente e si avviò verso di esso, rivolgendo un cenno del capo ai suoi uomini per indurli a seguirlo.

Camminavano lentamente, timorosi e guardinghi, scrutando con sospetto tutto ciò che li circondava, dalle piante ai sassi, un po’ per meraviglia, un po’ per paura di brutte sorprese.

In quel luogo magico tutto sembrava essere brillante. Quello che sarebbe stato un semplice sentiero costeggiato da abeti pareva, invece, una strada per il paradiso. Hook era, però, troppo assorto nel suo dolore per apprezzare quella bellezza. La sola cosa che ancora lo teneva attaccato alla realtà era il lieve peso del corpo della ragazza che ancora stringeva devotamente tra le braccia. Il suo essere inerte in quell’abbraccio era la sola cosa, insieme alla ferita che aveva da tempo smesso di sanguinare, che poteva lasciare intendere che fosse morta. Era ancora troppo bella e troppo vera perché Hook smettesse di pensare a lei come una cosa vivente. Era pura follia, certo, ma era così.

« Dove siamo, amore mio? » disse il pirata noncurante del fatto che tutti gli uomini che lo seguivano si sarebbero stupiti del suo comportamento insolito. « Dove conduce questo sentiero? »

Le parlava come se lei avesse davvero potuto rispondergli.

Proseguirono lentamente fino a che non giunsero in una piccola radura da cui si diramavano ben quattro strade differenti, nel bosco. Qui si fermarono, no avendo idea di dove andare. Le strade sembravano tutte uguali, ad eccezione del fatto che andavano in quatto direzioni diverse.

« Da che parte capitano? » si azzardò a domandare Spugna, dal momento che Hook non accennava a prendere una decisione.

Infatti, egli era rimasto a guardare la ragazza che teneva in braccio, come in attesa che la rivelazione giungesse da lei. Persino ora che Spugna gli aveva rivolto la parola non sembrava essersene accorto.

« Capitano? »

« Prenderemo il sentiero che prosegue lungo la nostra linea » disse ad un tratto, staccando finalmente gli occhi da Arabelle.

La sua voce era ancora molto debole, ma stavolta era stato possibile avvertire la consueta punta di durezza che ne faceva la voce di un comandante. Per questo tutti obbedirono senza esitazione.

Hook camminava per primo, nuovamente, guidando gli uomini verso l’ignoto.

Il sole era ormai tramontato quando si udì un rumore. Sembrava un lieve fruscio, un suono appena percettibile, in verità, ma che Hook udì molto chiaramente. Per questo, fece appena due passi, molto cautamente, prima di ritrovarsi faccia a faccia con una figura sbucata improvvisamente dall’alto.

Subito i pirati dietro di lui estrassero spade e pugnali, ma il nuovo venuto non fece una piega. Rimase impassibile ed innaturalmente immobile, fissando Hook.

Era un elfo, su questo non c’era ombra di dubbio. Era alto più o meno quanto lo stesso capitano, ma snello e apparentemente molto giovane. Se non si fosse saputo che si trattava di una creatura immortale, non gli si sarebbero potuti attribuire più di venticinque anni. Indossava una lunga tunica azzurro chiaro, senza disegni, che scendeva su un paio di pantaloni dalla foggia orientale, stretti alla caviglia, dello stesso colore. Ai piedi un paio di scarpe bianche con la punta rivolta verso l’alto.

Se il suo abbigliamento poteva definirsi esotico, il suo aspetto era più che abbagliante: aveva la pelle chiarissima, marmorea, che emanava una sorta di chiaro e tenue bagliore, come fosse accesa dall’interno. I lineamenti erano definiti e perfetti come quelli di una statua greca. Aveva grandi occhi dal taglio perfetto e dal colore azzurro impossibilmente chiaro, come quelli un husky. I capelli poi erano lunghi fino alle spalle, appena mossi e color biondo platino. Spugna, vedendolo, sospettò che se fosse stato messo accanto al Sole, lo avrebbe oscurato.

Dopo alcuni momenti in cui Hook e l’elfo si squadrarono, quest’ultimo parlò.

« Salute, uomo del mare. » anche la sua voce era bella; cristallina e morbida.

« Salute, elfo dei boschi. » rispose il pirata con estremo sforzo. La bellezza incredibile di quella creatura gli ricordò che, fino a qualche giorno prima, aveva con sé una ragazza che lo amava e nei quali lineamenti si potevano scorgere delle somiglianze con lui.

Il nuovo arrivato gettò uno sguardo intenso sulla salma di Arabelle e i suoi occhi si inondarono di dolore, anche se i suoi lineamenti non subirono alcuna deformazione dettata dall’emozione.

« È la nostra principessa umana che tieni tra le braccia. » considerò, alzando lo sguardo addolorato negli occhi del fiero corridore del mare « Quale misero destino ti fa condurre qui colei che amiamo sopra ogni cosa? »

Hook non rispose.

« Rispondi, uomo! » lo incalzò quello. Il tono era perentorio, ma la voce era calma e pacata. Hook si chiese se controllare le proprie emozioni fosse una prerogativa elfica oppure se quel giovane in particolare sapeva bene come fare.

Giovane! Hook si stupì di pensare a lui in quei termini. Poteva tranquillamente avere centinaia di anni senza che la cosa apparisse minimamente.

Il pirata respirò profondamente « La morte. »

L’elfo fece un passo verso di lui, sempre più dolore evidente nel suo sguardo. « Lo vedo, umano. » rispose « Re Memnor deve essere informato di ciò. » anche la voce dell’elfo era ridotta ad un sussurro, ora.

Hook guardò di nuovo Arabelle, dolente, non più vivo « È per questo che siamo qui, elfo. » rispose « Arabelle voleva essere condotta in questo luogo. »

L’elfo allungò le braccia, lentamente « Dalla a me, uomo. » Era quasi un ordine, ma era troppo pacato perché Hook potesse considerarlo tale. E in ogni caso, lui non prendeva ordini da nessuno, meno che mai se si trattava di Arabelle.

Si ritrasse bruscamente « Non la cederò a te. » sibilò, pazzo dalla sofferenza « Arabelle è mia. »

Lo sguardo dell’elfo, da addolorato, passò all’adirato. « Come osi rivolgerti con quel tono a me? » Calcò molto il “ me ”, ma Hook non ci fece praticamente caso. « lei appartiene alla nostra gente! » continuò con fervore « Anche se il sangue si è macchiato, lei ha i Doni, lei ha la bellezza. Lei è mia molto più di quanto non sia tua, uomo! »

Doni; bellezza; tutte cose che Hook comprendeva e non comprendeva se messe in bocca alla strana creatura davanti a lui. Di cosa stava parlando? Anche se la sua mente non era del tutto lucida, in quel momento, una parte di lui si rese conto del fatto che le parole dell’elfo celavano altri misteri, altre soluzioni da trovare. Non c’era ancora la pace per lui.

« Ti sbagli…elfo! » rispose infine.

Quello non fece una piega « Avremo modo di discuterne in futuro, se ancora non ti basta ciò che ho detto per convincerti. »

Hook sospirò e tenne ancora più stretta la ragazza a sé « Ma chi sei tu, creatura delle foreste? »

L’elfo si erse in tutta la sua statura, assumendo un aspetto fiero ed orgoglioso « Lo scoprirai uomo, tu che hai osato profanare la nostra terra con la tua indegna presenza e le carni della nostra principessa con il tuo tocco mortale. »

C’era un profondo disprezzo nella sua voce e Hook l’avrebbe ucciso seduta stante molto volentieri, se non fosse stato consapevole del fatto che non sarebbe di certo stata una buona idea cominciare la loro permanenza sull’isola uccidendo uno dei suoi abitanti.

Guardò l’elfo negli occhi, con dolore « Se lo scoprirò, allora sarà, come hai detto, quando verrà il momento. » disse molto piano « Ora portami dal tuo re. »

L’altro lo guardò intensamente per diversi momenti « Re Memnor ti concederà udienza, umano. » affermò con ferma decisione « E io ti condurrò da lui…. »

Fece una pausa e Hook fece per fare un passo avanti, bloccato poi dalla voce dell’elfo che proseguiva.

« Ma solo se mi renderai il corpo della mai amata. »

Ok, scusate se ho ritardato con questo capitolo, ma è un periodo un po’ impegnato per me questo.

Comunque ringrazio sempre quelli che mi lasciano commenti, perché mi fanno molto piacere.

Aya Chan: mi è dispiaciuto che non mi facessi più sapere cosa ne pensi…fatti sentire ok? Baci

Per il resto annuncio che ho scritto altre tre ff. Se vi va…leggetele e, sempre se vi va, lasciate un commento.

Per gli appassionati di Harry Potter ho scritto due one shot:

1)Ti devo chiedere una cosa

2)Tempo e rimpianti

Se invece vi piace il signore degli anelli…. Ho scritto:

Eowyn,il destino di una principessa.

Questa è una ff che prevede una serie di capitoli…. È in stesua il secondo.

Baci a tutti e grazie per aver letto questo nuovo chap.

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Capitolo 27
*** Memnor ***


Memnor

Memnor

Hook, nonostante la follia causatagli dal dolore, non potè fare a meno di stupirsi ed indignarsi.

« La tua amata? » ripetè con voce spezzata, stringendo possessivamente Arabelle contro il suo petto. Si disse, in un impeto momentaneo di lucidità, che doveva sicuramente aver sentito male.

Ma l’elfo che aveva davanti fu irremovibile « Si, umano. » rispose incredibilmente pacato « Io sono Imdal. Colei che tieni tra le braccia è per me sacra ed inviolabile. Per questo reclamo il diritto di averla tra le braccia. »

Hook sentì la rabbia disperata esplodergli nel petto « Tu non poserai un dito su di lei prima che io abbia incontrato il tuo re. »

La creatura immortale lo squadrò da capo a piedi per alcuni secondi, sprezzante. Infine rivolse uno sguardo adorante ed addolorato alla giovane ragazza priva di vita.

« Ti condurrò da lui, umano. » gli disse calmo « Allora sarà Il mio re a decidere a chi affidare la salma della nostra principessa umana. » Abbassò lo sguardo una sola volta, e non per timore. Sembrava immerso in un dolore molto profondo che non sconvolgeva, però, i suoi lineamenti perfetti. « Tu privi me e molti altri come me all’agonia, riportandoci Eder spenta e muta. »

Se le parole spenta e muta furono abbastanza chiare da decifrare, il pirata ebbe qualche difficoltà nel definire il significato dello strano nome che l’elfo aveva pronunciato.

« Eder? » ripetè confuso.

« Si. Eder è il nome che lei porta tra la nostra gente, umano » Spiegò quello « Ora seguitemi: re Memnor vi riceverà, quando vedrà che cosa gli riportate. »

Detto questo, voltò le spalle agli uomini senza altri preamboli e cominciò a camminare con grazia lungo il sentiero su cui già si erano spinti. Dopo un primo momento di incomprensione, Hook cominciò a seguirlo, e con lui anche tutti i suoi uomini. Una lacrima silenziosa gli scorse lungo la guancia destra.

« Oh, Arabelle! » sussurrò « Altri segreti, altri misteri… La mia vita è finita e ancora pago per aver osato posare gli occhi su un tesoro da me immeritato. »

L’elfo dovette sentirlo, perché voltò un istante la testa, senza smettere di camminare. Lo guardò con un’espressione indecifrabile, non chiara.

Spugna e gli altri piratai si limitavano a proseguire nel loro cammino senza dire una parola, anche loro affranti dalla perdita della regina che avrebbe dovuto essere fonte do orgoglio per un’intera ciurma.

Quante cose rappresentava! Quanti ruoli ricopriva quella meravigliosa ed apparentemente fragile creatura.

Lei era Arabelle, la giovane assennata amata dal più crudele e feroce degli uomini; era Marie Montcalm, la sposa bramata da un giovane senza scrupoli; era lo Spettro, un guerriero abile e veloce che sapeva dare il meglio di sé in una battaglia e ora era anche Eder, principessa umana dell’isola degli elfi.

Che destino crudele le aveva riservato la vita.

A lei, ma anche a Hook, che si credeva immune ad emozioni e passioni che non fossero odio, rabbia e vendetta.

Il sentiero stava diventando sempre più tortuoso. Ad un certo punto, cominciò ad essere rivolto in salita e mano a mano che proseguivano, gli alberi si facevano sempre più splendenti, più belli, più perfetti, anche se era qualcosa di difficile da spiegare.

Camminarono per ancora diversi minuti, poi giunsero ad una biforcazione. Qui Imdal si fermò.

« Siamo quasi arrivati, umano. » disse rivolto a Hook « la reggia del nostro sire è vicina, così come i nostri luoghi d’esistenza. Ti avverto però, che stai ricevendo un privilegio enorme. Nessun uomo è entrato nel nostro reame. »

Hook annuì molto brevemente, gli occhi di norma fieri arrossati e gonfi dalla disperazione. Non c’era privilegio o onore che potesse ricondurlo alla realtà. E pensare che lui era sempre stato odiato, temuto e rispettato! Se un suo nemico lo avesse visto in quelle condizioni, sicuramente sarebbe scoppiato a ridere.

Ripresero il cammino e stavolta, dopo appena pochi passi, Hook si vide circondato da costruzioni fiabesche in cristallo d’argento, luminoso come le stelle del cielo e brillante come il sole. La vegetazione brillava di altrettanto splendore accanto a quel materiale che non avrebbe saputo definire. C’erano cupole, tende bianche di tessuto finissimo simile a veli, alberi i cui rami si intrecciavano a cupole e pinnacoli di quelle che avrebbero potuto essere delle case.

Ben presto, comparvero alla sua vista anche individui di quella razza antica ed eterea. Tutti, maschi e femmine, erano talmente belli che guardarli faceva male agli occhi. Tutti avevano lunghi capelli biondi, bianchi o color del rame, qualunque sfumatura fosse simbolo di luce e calore. Tutti avevano la pelle splendente e il portamento leggiadro e aereo. Tutti gli ricordarono in qualche modo Arabelle.

Oltrepassarono case su case, fino a giungere davanti ad un edificio che Hook comprese subito essere la dimora del re e della sua famiglia. Era un palazzo magnifico, ancora più bello e brillante di tutte le case che avevano incontrato fino a quel punto. Il pirata aveva visto, in piccolo, costruzioni simili alla corte delle fate.

L’elfo nuovamente si rivolse a lui, molto serio, quasi imperturbabile « Questa è la casa di sire Memnor. Attenderai nel salone che io vada ad avvertirlo della vostra presenza. »

Con il cuore quasi morto, Hook annuì nuovamente e varcò la soglia del grande portone del palazzo. Ciò che vide lo indusse a chiudere gli occhi per non abbagliarsi davanti a tanta radiosità e tanto splendore. Tutto era chiaro e luminoso, bello. Si trovavano in quello che doveva certamente essere il salone di cui aveva parlato Imdal, perché era una stanza dalle dimensioni enormi e piena di decorazioni esotiche e magiche. La luce, invece che da candele, come ci si sarebbe aspettato, era fornita da una specie di sfere fluttuanti che brillavano impassibilmente, illuminando a giorno l’intero ambiente.

Non appena il portone si fu chiuso dietro di loro con un tonfo leggero, due elfi armati di spada e lancia avanzarono fino a trovarsi davanti a loro. Hook si chiese da dove fossero sbucati.

Imdal fece a sua volta un passo avanti verso di quelli e rivolse loro la parola in elfico, impedendo così ai pirati di comprendere una sola parola.

I soldati, entrambi biondi e talmente simili da poter essere fratelli, rivolsero una breve occhiata ai pirati, per poi annuire e consentire il passaggio solo a Hook e a Imdal.

« Uomini, aspettate qui il mio ritorno. » disse Hook con un filo di voce, congedandosi da loro e seguendo l’elfo che li aveva accompagnati fino a lì . Salirono una maestosa scalinata che avrebbe potuto benissimo essere fatta di marmo. Non pronunciarono una parola.

Chiunque, al posto di Hook ed in una circostanza diversa, si sarebbe fermato spesso ad osservare la bellezza esotica dell’elfo e dell’ambiente che li circondava. Esotico, forse, non era neppure il giusto aggettivo. Era indefinibile l’ambiente in cui il pirata si trovava: tutto era magico ed etereo, con qualcosa che ricordava, però, lo stile orientale, arabo o cinese. Lo stesso Imdal catturava lo sguardo come una calamita, per la sua bellezza ed il suo fascino abbaglianti.

Ma Hook non aveva tempo né volontà per occuparsi di ciò che gli accadeva. Era come morto. Il battito del suo cuore era appena accennato e la sua mente era annebbiata. La sola cosa che lo risvegliava da quello stato semicatatonico era la consapevolezza che si sarebbe vendicato e che Arabelle era ancora stretta tra le sue braccia, seppure per poco. Ancora non riusciva a capacitarsi di come avrebbe fatto a cederla a qualcun altro. Anche se era ciò che lei stessa gli aveva chiesto, non vi riusciva.

« Siamo quasi arrivati. » disse ad un certo punto l’elfo, sempre impassibile come una statua « Incontrerai re Memnor nella sala del trono. »

Finita la scalinata, Hook lo seguì per un breve corridoio, adornato con numerosi ritratti di elfi, maschi o femmine, sempre bellissimi, che dovevano appartenere o essere appartenuti alla stirpe reale. Alla fine del corridoio, Imdal aprì una porta nera, intarsiata d’argento e fece segno a Hook di entrare.

Il pirata esitò, per un istante « Ma… »

« Entra. » lo interruppe subito l’elfo « Il re saprà darti tutte le risposte di cui hai bisogno. » di nuovo nei suoi occhi comparve un dolore profondo e antico, che sembrava lo stesso consumando dall’interno. Era stranissimo osservare quel volto perfetto, angelico ed imperturbabile acceso solo dagli occhi, per quanto riguardava le emozioni.

A quel punto, Hook si fece avanti nella sala. Vide che era un altro grande salone, illuminato alla stessa maniera di quello d’ingresso. La prima cosa che spiccava era l’alto trono di marmo e cristallo che si ergeva addossato alla parete di fondo. Era un trono imponente, ma non massiccio. Era, invece, pieno di pinnacoli e decorazioni d’edera che svettavano verso l’alto, testimoniare la magnificenza e l’importanza di colui che vi si sedeva. Ai fianchi di quel trono ve ne erano altri due, posti allo stesso livello, ma più bassi e appena meno elaborati nelle rifiniture. Erano, però vuoti. Sicuramente doveva trattarsi di quelli destinati alla regina e al principe ereditario.

Seduto sul trono centrale, c’era un elfo che si sarebbe definito a prima vista un re per il suo sguardo fermo, di ghiaccio, proprio come quello che Hook aveva sempre avuto con i suoi subalterni, e anche con il resto del mondo, prima di conoscere Arabelle.

La ragazza e il pirata contrastavano vivamente con l’ambiente circostante. Infatti, entrambi avevano i capelli scuri ed erano vestiti di nero.

« Vieni avanti umano. » disse solennemente il re, con voce melodiosa ma profonda.

Hook obbedì e avanzò di alcuni passi, fino a distinguere bene la figura del sovrano degli elfi.

Egli era alto, anche se da seduto non si manifestava in tutta la sua statura, snello ma dall’aspetto robusto sotto una casacca rosso scuro e un paio di pantaloni dello stesso colore. Ai piedi portava un paio di stivali neri, di pelle morbida. Aveva un viso perfetto, dai lineamenti squadrati e ben delineati, la pelle chiarissima e splendente di luce propria. Aveva lunghi capelli biondo oro che gli scendevano oltre le scapole, ondulati e ordinati, lucenti come quelli di una donna. Gli occhi erano di un blu turchese elettrico.

Hook ricordò la descrizione che Arabelle gli aveva dato di sua nonna e notò delle somiglianze incredibili. Non v’era dubbio sulla loro parentela.

La cosa che più stupì il pirata fu il fatto che il sovrano non dimostrava più di trenta, al massimo trentadue o trentatre anni, mentre doveva essere vivo da almeno un secolo per quanto riguardava il tempo trascorso dalla fuga della nonna di Arabelle. Sicuramente, però doveva avere molti più secoli di quanti egli potesse pensare. Lo faceva comprendere la saggezza dei suoi occhi.

Occhi che, vedendo cosa recava tra le braccia, si velarono di tristezza.

« Quale sventura è capitata, umano, perché tu mi riporti Eder in questo stato? » chiese, la voce malinconica, ma anche lui, come Imdal, imperturbabile.

Hook non rispose. Non avrebbe saputo cosa dire. Non in quel momento.

L’elfo si alzò in piedi « Non sai tu che colei che rechi tra le braccia è anche solei che amo di più al mondo? Come le mie figlie…ella è parte di me… » si avvicinò, lentamente, ma risoluto Allungò le mani a toccare il volto cereo della ragazza, con estrema delicatezza. Aveva le mani lunghe ed affusolate, con unghie trasparenti e piuttosto lunghe.

« Sire… » sussurrò Hook, con un filo di voce « Voi non potete sapere. »

L’elfo alzò lo sguardo, compassionevole « Tu credi, Jason Hook? » disse « Io capisco molto più di quanto tu riesca a vedere, ma non preoccuparti: non serbo rancore nei tuoi confronti e avrai modo di avere tutte le risposte che necessiti conoscere. »

Conosceva il suo nome. Hook non se ne rese quasi conto, ma egli lo conosceva. Le sue parole furono quasi rassicuranti per il pirata, il quale ancora stringeva la giovane a sé come fosse stata la sua ancora di salvezza.

« Il tuo dolore troverà pace. » proseguì il sovrano « Ma perché ciò avvenga, bisogna che tu intraprenda con me un viaggio. Così comprenderai ogni cosa e capirai come mai il dolore di noi elfi non è come il tuo. » Hook non riusciva a capire a fondo ciò che gli stava dicendo « Per favore, Hook, estraniati dalla morte per il tempo necessario a rivelarmi il suo destino e per conoscere il suo. »

Allungò una mano delicata a sfiorare la fronte del pirata. Appena la punta delle dita di quella creatura gli toccarono la pelle, Hook sentì un vago tepore invaderlo e si sentì più rilassato. Il dolore che sentiva era ancora dentro di lui, pronto ad esplodere con la furia di un vulcano, ma era come se fosse diventato latente, silente, relegato ad un angolo buio della sua anima.

« Che cosa avete fatto? » chiese, sentendosi un po’ di più se stesso.

L’elfo accennò ad un sorriso « Ho solo alleviato le tue pene, per consentirti di apprendere e spiegare. » rispose « Ma sappi che, una volta terminato questo incontro, la tua sofferenza dovrà esserti restituita. Nemmeno la magia degli elfi può cancellare le emozioni. »

Hook annuì. Era come se fosse improvvisamente rinvigorito, come se la morte di Arabelle fosse stata qualcosa accaduto anni prima e lui non stesse tenendo il suo cadavere tra le braccia.

« Sire… » cominciò a dire « Ho bisogno di sapere. »

« Certo! » rispose pronto l’elfo « È comprensibile e sarai accontentato. La situazione ti conferisce il diritto alla conoscenza dei nostri segreti. »

« Vi prego, parlatemi…raccontate… » non riusciva a terminare la frase, ma per fortuna Memnor intese perfettamente ciò che l’uomo aveva intenzione di domandare.

Aprì le braccia in segno di resa « Cosa potrei dirti, uomo? » sospirò profondamente « Anche se tu stesso non vuoi accettarlo, hai già compreso quasi tutto. »

« Voglio sentirlo da voi, sire. » Nel dolore, anche e meno intenso, Hook riusciva anche ad essere rispettoso, cosa che non era mai stato.

« Vieni con me. » gli propose « Il giardino della mia casa sarà un luogo più adatto per parlare, ma prima dovrai consegnare a mani più adatte il corpo della mia figlia perduta. »

Ed entrambi si incamminarono verso un’uscita secondaria della sala del trono, in silenzio, gravemente. Hook rammentò, allora, di tenere la sua amata tra le braccia, ma non pianse, essendo sotto l’influsso magico del potere di Memnor.

Usciti, si trovarono in una stanzetta semibuia, dove si trovavano tre donne elfo. La loro sola presenza bastava a riempire di luce soffusa la semioscurità dell’ambiente. Appena si accorsero della presenza del re si alzarono in piedi dai loro sedili di marmo. Erano tutte e tre bellissime, non potè fare a meno di notare il pirata, e non dimostravano più di venti anni. Indossavano lunghe vesti di seta e raso bianche, dalle rifiniture pregiate, e portavano gemme splendenti al collo e alle caviglie. La prima, la più alta, aveva un viso allungato e regale, occhi di un azzurro quasi bianco e lunghi e lisci capelli biondo oro. La seconda era un po’ più bassa di lei e aveva una gran massa di capelli di colore rosso intenso, le cui ciocche si ordinavano in magnifiche onde simili a boccoli….erano i capelli di Arabelle, fatta eccezione per il colore. Gli occhi di questa erano verde chiaro, cristallini, dallo sguardo dolce ed ammaliante.

La terza, infine, aveva i capelli color rame semiraccolti dietro la nuca, lievemente mossi. Gli occhi azzurro cielo brillavano maliziosi, indice che quella doveva essere, tra tutte la più vivace.

In bellezza, nessuna donna mortale avrebbe potuto eguagliarle, eccetto la compianta ed amata ragazza che era morta coraggiosamente per non sacrificare colui che amava.

Memnor si fermò proprio di fronte a loro, con aria solenne e addolorata « Figlie mie, accogliete nelle vostre mani Eder e preparatela a recarsi tra i dormienti. »

Hook vide che, non appena gli sguardi delle principesse si posarono sul cadavere che ancora recava con sé, portarono le mani alla bocca, graziosamente, ma in un gesto di profondo dolore e disperazione. La più alta si fece avanti tendendo le braccia, per afferrare le membra della ragazza.

Il re guardò Hook mentre cedeva a malincuore Arabelle e lo tranquillizzò « Queste sono le mie figlie, uomo. » disse indicando le giovani « Ilder –quella alta e bionda- Ignis -quella con i capelli rossi- e Medrel –l’ultima-. »

Una volta fatte le presentazioni, re Memnor tirò un profondo sospiro di sofferenza, poi aggiunse « Se Meridies fosse qui con loro…allora le avresti conosciute tutte. »

« che intendete? » chiese Hook, sorpreso. Dopo poco, dallo sguardo che l’elfo gli rivolse, comprese: Meridies doveva essere la nonna di Arabelle, la figlia fuggita. Abbassò lo sguardo sul corpo della ragazza che Ilder aveva adagiato su una sorta di letto dalla foggia antica. Sentì una stretta al cuore e sentì di non aver bisogno di avere la risposta a quella domanda.

Memnor guardò le sue figlie e sua nipote con affetto infinito, devoto. Gli fece poi cenno di seguirlo, fuori da quella stanzetta, mentre le giovani elfo si attorniavano vicino al cadavere, cominciando a fare qualcosa di cui Hook non fece in tempo a capire nulla.

« Meridies era la mia figlia maggiore. » spiegò a un tratto.

« L’avevo compreso. » rispose Hook, bloccandolo « Arabelle mi ha parlato di lei. »

Memnor si voltò incuriosito verso di lui « Arabelle? » poi la fronte gli si spianò « Oh, vuoi dire Eder… »

« Eder? Non ho mai conosciuto questo nome, anche se mi pare di aver capito che appartiene alla stessa persona che io chiamo Arabelle. »

L’elfo rimase in silenzio, regale e solenne nel suo portamento deciso ma aggraziato « Si, Jason Hook. » confermò « La ragazza che hai condotto qui è per noi Eder. Ho scelto questo nome per lei, perché anche lei appartiene alla nostra gente, per quanto corrotta dal sangue della vostra razza. » quel riferimento avrebbe potuto benissimo essere offensivo, ma il tono pacato con cui era stato pronunciato rendevano chiaro che si trattava solo di una precisazione, per di più veritiera.

« lei è la nostra principessa umana. » continuò « Se fosse rimasta con noi…avrebbe potuto beneficare anche del Dono. »

Hook inarcò un sopracciglio « Il Dono? »

Memnor annuì lievemente « l’immortalità. »

Il pirata rimase sorpreso da quella rivelazione, tanto da rimanere in silenzio per alcuni momenti.

Stavano camminando lungo un altro corridoio, che terminava in quella che sembrava una grande vetrata ad altezza d’uomo.

Quando vi furono davanti, Memnor allungò la mano destra a toccare il vetro…o qualunque materiale fosse e sussurrò alcune parole elfiche che il pirata non riuscì a comprendere. Un attimo dopo, la vetrata si apriva magicamente davanti a loro.

« Seguimi. » gli disse l’elfo.

Camminarono per alcuni secondi e Hook si trovò circondato dal giardino più bello che avesse mai visto. Le piante erano di ogni forma e genere, dai colori vivaci ed incredibilmente brillanti. Statue di cristallo aggiungevano splendore e luminosità a quel paradiso, che pareva illuminato a giorno anche se il sole era da tempo tramontato.

Fiori bellissimi si affacciavano da ogni parte, offrendosi alla vista. Gocce di rugiada si potevano talvolta intravedere sulle corolle. Infine, ogni tanto si vedeva una fontana, magnifica nei dettagli più particolari, nella scultura e nella grazia della forma.

Memnor vide l’espressione stupita dell’uomo e se ne compiacque « Vedo che il mio giardino ti piace. »

L’altro non rispose perché era senza parole, completamente.

« Era il giardino preferito da Meridies… » mormorò il sovrano « E anche Eder lo ha molto apprezzato quando è stata qui. »

« Arabelle… » esclamò Hook voltando la testa verso l’elfo improvvisamente, come se si fosse ricordato solo in quel momento del fatto che la ragazza era stata in quel palazzo.

« Si. »

Fecero alcuni passi verso una pianta di gigli « Questi erano i fiori che preferiva…mi ha detto. » spiegò.

Hook provò un’altra stretta al cuore. Amava ed aveva amato profondamente quella creatura, ma aveva avuto talmente poco tempo da condividere con lei da non sapere neppure cosa le piacesse.

Dopo ancora qualche secondo, il pirata trovò il coraggio di porre la domanda che più di tutte lo stava divorando « L’ elfo…Imdal… » si bloccò un momento incapace di proseguire.

« Si? » lo incoraggiò Memnor, benevolente.

« Egli ha detto che amava la vostra principessa umana… Io…credo di non sbagliarmi dicendo che si tratta di Arab.. Eder. » anche sotto l’influsso della magia dell’elfo, la sua voce s’incrinò terribilmente nel pronunciare quelle parole. Aveva già dovuto affrontare il fatto che era stata contesa da un essere spregevole che l’aveva violata senza alcun riguardo.

Persino lui, anche prima di incontrare Arabelle, non aveva mai preso una donna contro la sua volontà. Lo riteneva scorretto e anche poco producente per la reputazione della sua virilità. Era una cosa sciocca e orribile oltraggiare una donna, anche secondo lui.

« È vero. » ammise Memnor « Imdal la ama…e non è certo il solo. »

Quelle parole furono una pugnalata alla schiena per Hook, anche sapendo che essendo lei morta non avrebbe dovuto combatter o preoccuparsi dei rivali.

Tuttavia fu stupito « ma… credevo che lei fosse stata qui per poco tempo. »

L’elfo accarezzò un giglio bianco, probabilmente pensando alla sua nipote perduta « Infatti…ma vedi..le cose da noi sono molto diverse da quelle di voi umani. »

« Ovvero? »

« Noi siamo immortali, capitano Hook. » spiegò con aria assorta il re « Ma lo siamo perché fa parte della nostra razza esserlo, non perché siamo nel mondo che non c’è. » si voltò a fronteggiarlo « Per noi i sentimenti sono come una profezia, un destino. Quando incontriamo colei che amiamo, non possiamo amare nessun altro per un secolo, quale che sia la risposta dell’interessato. » sospirò « È una specie di incantesimo, se pensarla così può aiutarti a comprendere. »

Hook sospirò a sua volta « Credo di capire cosa intendete. Andate avanti. »

Fecero altri passi per il giardino, allontanandosi sempre di più dal punto in cui si entrava nella stanzetta e poi nella sala del trono. Sembrava che per ogni passo che facevano, quel luogo diventasse sempre più bello.

« Quando vediamo colei a cui siamo destinati…cadiamo subito sotto l’influsso di quell’incantesimo. E non possiamo fare altro che sperare di essere ricambiati. In quel caso, la coppia diventa eterna, come la nostra esistenza. »

« Altrimenti? »

Memnor lo fissò intensamente « Altrimenti patiremo un secolo di sofferenza, prima di essere catturati da un altro amore. Ma l’attesa è lunga umano. Molto lunga. »

Hook comprese ricordando quello che aveva dovuto patire quando aveva creduto di aver perso Arabelle. E si era trattato solo di un mese! Cosa sarebbe accaduto se avesse dovuto trascorrere un secolo in quello stato?

Intanto l’elfo continuò « Quando Eder è giunta qui, alla mia presenza, molti dei miei soldati o luogotenenti furono colpiti da lei. Caddero sotto l’influsso del sentimento, ammaliati dalla sua bellezza esotica. Come avrai notato, non esistono elfi con occhi o capelli scuri.

Eppure lei è come noi, anche se non lo è in un certo senso. Imdal è uno di quelli che l’amano. La sua morte, per un secolo, causerà loro grandi ferite. »

Il pirata rispose allo sguardo, sentendosi improvvisamente indignato e disperato « La sua sofferenza non eguaglierà mai la mia! » disse con forza.

Memnor fece un gesto aggraziato con le mani « Ti sbagli, umano. »

« Voi dite? »

« Si. » disse l’elfo con fermezza « La nostra sofferenza…le nostre emozioni, sono pari alle vostre. Noi, però da molto prima di voi, per natura ed abitudine, sappiamo di dover fare i conti con l’eternità.

Noi siamo capaci di contenere ciò che proviamo, perché altrimenti, ne moriremmo. »

Il pirata non poteva aver sentito bene. Memnor non poteva aver parlato di morte rivolgendosi al suo popolo. Nessuno moriva nel mondo che non c’è. Nessuno. Figuriamoci poi un elfo!

Il re parve indovinare i pensieri dell’uomo, perché continuò risoluto nel suo discorso. « Oh, si, capitano Hook: anche noi elfi possiamo morire. Se siamo uccisi, moriamo come i mortali, ma moriamo anche se siamo invasi da grande dolore. Per la maggior parte di noi, che sono esseri del bene, i nostri sentimenti sono così puri che ci investono con la loro potenza e sta a noi contrastarli e contenerli. Se non lo facciamo moriamo. Piombiamo in uno stato di… depressione, direste voi, per poi passare alla catatonia e in seguito alla morte. » qui fece una pausa « Io stesso ho rischiato una morte di questo tipo due volte nella mia lunga esistenza. Sono stato sopraffatto dal dolore per la perdita di Meridies e, in seguito, da quella della mia regina. »

Hook rimase sconcertato, senza parole.

« Ora comprendi perché sembriamo tanto freddi? » domandò infine Memnor.

Effettivamente, il pirata aveva compreso davvero! Loro non erano freddi, ma dovevano sforzarsi di esserlo, soprattutto se provavano un sentimento molto intenso. In caso contrario, sarebbero andati incontro alla distruzione.

Seguirono alcuni istanti di silenzio, in cui l’uomo e l’elfo si guardarono intensamente, come imparando a conoscersi, tacitamente.

Fu Memnor a rompere il silenzio.

« So che l’ami. »

Hook trasalì. « Si. » disse, senza preoccuparsi del fatto che il suo amore, in quelle terre elfiche avrebbe potuto essere male accetto « Con lei sono morto anche io. »

« Lo vedo, umano. » fu la risposta « Dovevi amarla davvero molto. »

« Io l’amo davvero molto. » precisò Hook.

Memnor sospirò profondamente « So che l’hai uccisa tu. »

Per il pirata fu come ricevere un colpo di pistola in pieno petto. Non poteva avere sentito bene.

« Cosa? »

L’elfo fece alcuni passi, allontanandosi da lui « So che l’hai uccisa tu. » ripetè « da quando sei venuto al mio cospetto ho capito come erano andate le cose. Non dimenticare, poi, che gli elfi sono dotati di particolari poteri. Sospetto che Eder abbia ereditato i miei, dal momento che con sua nonna fu lo stesso. È il mio sangue. »

Hook sospirò « dunque sapete tutto. »

« Si, » fece l’elfo voltandosi « tutto e anche di più, capitano Hook. »

« Cosa volete dire? » chiese quest’ultimo avvicinandosi a grandi passi al re.

Memnor lo guardò desolato. « Io posso essere mentalmente legato ai miei consanguinei. A volte ho potuto sentire ciò che Eder provava. Conosco gli strazi che ha dovuto patire. Tutti quanti. »

Dal tono terribilmente triste con cui pronunciò le ultime due parole fece credere a Hook che egli sapesse anche che Arabelle era stata violata. Non volle indagare. Non sarebbe stata sicuramente una buona mossa da parte sua. Del resto lui stesso cercava di allontanare quel pensiero dalla mente.

« ella ti aveva scelto, umano. » disse infine Memnor « Ti aveva scelto come allo stesso modo fece mia figlia con il suo sposo fece quasi un secolo fa. »

« Io non ne sono certo. » ribattè Hook. « Non sono più certo di nulla. »

L’elfo sorrise, per la prima volta. Ma era un sorriso triste, di rimprovero, anche se non verso il proprio interlocutore « Ti sbagli, se non sei certo di quello che provava. » disse « Ho sentito quanto intenso fosse il suo amore per te. Infatti è solo per questo che oggi sei stato ammesso in questo palazzo, tra la mia gente. Penso che tu sappia che il tuo non è un nome amato tra gli abitanti del mondo che non c’è. »

Hook chinò il capo « Ne sono consapevole. »

« allora cerca di essere grato per il destino che ti ha concesso di ricevere un dono a te non destinato. »

Era perfettamente chiaro il fatto che stesse riferendosi all’amore che Arabelle gli aveva concesso, non tanto al fatto che si trovava in quel luogo con lui. Ad ogni modo, non era adirato, mentre lo ammoniva.

« Lo sono. »

Una lacrima silenziosa gli scese lungo la guancia sinistra, lasciando un marchio di fuoco al suo passaggio. Il dolore, che il pirata provava, anche se ancora latente, si faceva sentire spesso… e non era comunque possibile ignorarlo.

Memnor lo guardò un momento, poi fece alcuni passi avanti, superandolo con la sua solita grazia elfica.

« Avranno finito, ormai. » disse tra sé e sé. Hook non comprese a cosa si stava riferendo. « Seguimi. »

Lo seguì attraversando il meraviglioso giardino in tutta la sua lunghezza. Lì’elfo camminava con una leggerezza ed un portamento davvero incredibili e degno di ammirazione. Anche Imdal era caratterizzato da grande eleganza, nei movimenti, ma Hook sospettò che la grazia superiore del re fosse qualcosa legato anche alla sua condizione di potere oltre che a quella di creatura magica.

Dopo diversi momenti, davanti al pirata si spalancò una vista che lo fece tremare e rabbrividire.

Davanti a lui stava uno stranissimo complesso architettonico con dei giacigli creati naturalmente da basi di cristallo e rami di quercia intrecciati tra loro. Sembrava che ci fossero tanti letti disposti tra le fronde di una serie di alberi maestosi. Ogni giaciglio era rivestito da un coperchio di cristallo, che proteggeva ciò che si trovava al suo interno senza impedirne la vista.

E in ogni giaciglio si trovava un elfo. Hook si accorse rapidamente che ogni elfo stava nella stessa posizione: rigido, apparentemente addormentato, con le mani giunte sul ventre, a stringere qualcosa di prezioso che poteva essere un gioiello oppure un pezzo di stoffa.

Aveva davanti una specie di cimitero elfico. Comprese immediatamente che quelli erano i dormienti di cui Memnor aveva fatto cenno alle sue figlie prima di andare con lui nel giardino. Solo che non stavano dormendo. Erano morti.

« Vieni, umano. » disse il re « Vedrai Eder come avrebbe dovuto essere se avesse accettato la sua vita in mezzo alla sua gente. In mezzo a noi. »

Precedette il pirata per andare a salire dei gradini di pietra che Hook non aveva notato. Sembravano, come i giacigli, scavati nel legno dei tronchi o dei grossi rami degli alberi. Con riluttanza, egli seguì l’elfo fin sul livello più alto di quella pianta della morte. Era strano, però, il fatto che, nonostante quella vista avrebbe dovuto provocare dolore e tristezza in chi guardava, generò in Hook solo un senso di adorazione e ammirazione. Nonostante la morte fosse in stretto contatto con quello strano cimitero…esso pareva più una pianta di bellezza.

Arrivati in cima, Memnor gli indicò un giaciglio poco lontano, facendogli segno di andare avanti.

Il pirata obbedì e ciò che vide, anche con l’incantesimo dell’elfo, lo fece cadere in lacrime in ginocchio. All’interno di quel sarcofago trasparente c’era Arabelle, lavata e pulita, rivestita con un abito elfico bianco, splendente. I capelli sciolti erano sparsi sotto la sua nuca come a formare un alone scuro attorno alla sua testa. Onde perfette ed ordinate che sembravano acconciate appositamente da una pettinatrice, anche se lui sapeva che non era così.

Il vestito le fasciava il busto fino a sotto il seno, poi si allargava in una serie di strati di seta e organza, rendendola ancora più eterea e bella di quanto già fosse.

Il volto, come sempre pallidi, splendeva di luce propria come quello degli altri elfi. Aveva un’espressione seria, rilassata, impassibile. La bellissima bocca era pallida ma perfetta come l’ultima volte che Hook l’aveva baciata. Gli occhi chiusi erano come due stelle coperte da un panno.

Anche lei aveva le mani giunte sul grembo, e stringeva qualcosa che il pirata riconobbe subito, provando un’altra fitta di dolore: era lo stiletto che due volte lei gli aveva puntato alla gola nel castello nero. Ricordava perfettamente che Arabelle gli aveva detto di avere cominciato ad amarlo in una di quelle occasioni. Capì che Memnor aveva detto il vero quando aveva affermato di conoscere l’intera verità. Quello stiletto era stato importante per la ragazza e ora lo stringeva a sé nell’eterna notte.

« Rimarrà così in eterno. » disse l’elfo, distraendo Hook dai suoi pensieri e dal suo dolore « Non si decomporrà, perché il nostro Dono rimane con noi nella morte. »

Hook l’immaginò, bella e intaccabile dal tempo, per l’eternità. Pianse silenziosamente. Non riuscì più a trattenersi.

Memnor gli si avvicinò « La sua felicità era la mia e lo è tuttora. » affermò solennemente « Fa ciò che ti ha chiesto. »

L’uomo alzò la testa di scatto, sopraffatto dal dolore, senza vergogna per le sue lacrime.

L’altro continuò « Devi vendicarla, capitano. È tuo dovere ora. »

« Si… » disse lui con un filo di voce.

« ora è giunto il momento di ridarti ciò che deve appartenerti. » disse poi il sovrano, con voce grave. « Ti prometto che avrai modo di riprenderti dal tuo dolore. Capirai che ti servirà per combattere i suoi assassini. »

Hook si alzò di scatto, distrutto. « Sono io che l’ho uccisa…sono io il suo assassino. »

« No. » asserì Memnor scuotendo la testa. « Lo capirai…tutto verrà con il tempo. Tu ucciderai i suoi veri assassini non appena avrai le forze necessarie. Fino ad allora, sarai ospitato a palazzo con i tuoi uomini. Bada, umano…nessuno ha mai avuto un così grande privilegio, tra quelli della vostra razza. »

Il pirata annuì, senza staccare gli occhi dalla meravigliosa figura di Arabelle. « Vi ringrazio. »

« Ora avvicinati, Jason Hook. » qualcosa nel modo in cui pronunciava il suo nome gli ricordò dolorosamente i momenti in cui la ragazza lo aveva fatto « È il momento di affrontare le tue emozioni. »

Lentamente, molto lentamente, Memnor alzò una mano a toccargli la fronte, come aveva fatto prima di condurlo nel giardino. Lo toccò per appena due o tre secondi, poi Hook fu scosso da un forte tremito e cadde in ginocchio, sopraffatto dal ritorno delle emozioni parzialmente rimosse.

Un attimo dopo si accasciò a terra, sentendo nuovamente tutto il peso della disperazione e del senso di colpa. Tutta la mancanza che sentiva della giovane creatura ora senza vita.

E sotto tutto quel peso, egli gridò tanto forte che i cristalli dei giacigli tintinnarono. Il re degli elfi, invece, rimase impassibile, con uno sguardo di comprensione nelle iridi blu.

Sotto tutto quel peso, Hook non potè fare altro che soccombere.

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Capitolo 28
*** Piano di vendetta ***


Piano di vendetta

Piano di vendetta

Il pirata si svegliò in una stanza magnifica, dall’arredamento principesco. Non aveva mai visto niente di tanto bello. Era sdraiato su un letto a due piazze, dalle lenzuola di un tessuto che superava persino la seta in quanto a morbidezza. Era attorniato dai colori della luce e dei raggi splendevano brillanti, provenienti sia dalle finestre che dalle bizzarre sfere luminose.

Appena aprì gli occhi, si guardò intorno per un momento, confuso. Vide tede e tessuti quasi impalpabili sia sul letto che accanto alle grandi finestre rivolte ad oriente. Mobili color crema o bianchi stavano in tutti gli angoli della stanza, ma non fece attempo a definirli, perché immediatamente sentì che la morte si impadroniva di lui.

Non gridò per miracolo, soffocando il volto tra i morbidi cuscini del letto su cui si trovava. Ricordò ogni cosa: Memnor che gli restituiva il dolore, le sue emozioni nella loro completezza, lui che perdeva i sensi sotto il peso di tanta forza superiore a quella umana. Evidentemente il re degli elfi aveva dato ordine che fosse condotto in quella stanza per farlo riposare. Doveva anche aver dormito molto, visto che dalla notte, ora era giunto il giorno.

Pianse istericamente, come neppure una donna avrebbe mai potuto, e si chiese se quei sentimenti fossero sempre stati sepolti nella sua anima oppure facessero parte dello strano e bellissimo incantesimo di Arabelle.

Arabelle, Eder, Marie Montcalm…. Che importanza aveva? L’avrebbe chiamata sempre con il nome che lei gli aveva detto, solo per abitudine, ma poco importava se lei fosse tutte e tre o anche nessuna. Lei era semplicemente lei.

Lei , altrettanto semplicemente, non c’era più.

Smise di piangere alcuni minuti dopo, ma quando alzò il volto dai cuscini, la sua bellezza virile ed il suo fascino avevano ceduto il posto all’immagine di un uomo pervaso dalla sofferenza. Aveva gli occhi gonfi e rossi, nessuna scintilla di vita nelle iridi, a d animarle, neppure di natura crudele. Stravolta era davvero morto.

Maledetto sia il coccodrillo, per non avermi dilaniato si disse dolente perché se lo avesse fatto, sarei morto molto più rapidamente di quanto non stia accadendo ora.

Si torse le mani e, senza piangere, si lasciò andare a dei lunghi e prolungati singhiozzi. Non poteva farci nulla. Era completamente catturato da se stesso.

Dopo un po’, però, parve riprendersi. Alzò la testa in un atteggiamento fiero e risoluto che sarebbe risultato intimidatorio se i suoi occhi non avessero espresso solo disperazione. Evidentemente stava pensando a qualcosa di molto grave e con grande risolutezza. Era come se improvvisamente avesse compreso qualcosa di importante e, forse, anche di difficile.

Rimase in quella posizione per alcuni secondi e stava per alzarsi, se non che, vide che la porta della sua stanza si apriva lentamente.

Si stupì alquanto quando si rese conto che la persona che stava entrando nella stanza era Imdal, l’elfo che si diceva innamorato del suo angelo. Egli andò verso di lui, aggraziato, con il passo leggero e tanto elegante da fare invidia ad un felino.

« Seguimi, umano. » disse, pacato come al solito « Re Memnor ha chiesto di vederti tra pochi minuti. » Fece per dargli le spalle e condurlo dal sovrano, ma la voce profonda e roca del pirata lo fermò.

« Aspetta. »

Imdal si voltò nuovamente e lo fissò con grande intensità « Cosa c’è umano? »

Hook si alzò in piedi e lo raggiunse fino a fronteggiarlo « Devo parlare con te. »

« E come mai hai bisogno di conferire con me? » Per la prima volta l’elfo sembrava mostrare una punta di sorpresa, che sconvolgeva il perfetto equilibrio dei suoi tratti.

« Perché devo sapere. »

L’uomo e l’elfo rimasero per alcuni momenti a squadrarsi. Il primo era addolorato al punto di fare pena, anche se conservava di nuovo un contegno degno della sua intramontabile fama. Il secondo era fermo ed immobile nella sua bellezza immortale.

« Molto bene. » acconsentì Imdal « ma sii rapido, perché il mio sire ti sta aspettando. »

Hook annuì gravemente « L’amavi? »

Una domanda sola, che venne posta con una rapidità ed una serietà sorprendenti. Quelle parole sembrarono congelare l’aria attorno a loro. L’elfo era diventato ancora più impassibile di quanto già non fosse, il che è dire tutto. Sembrava si fosse tramutato in una statua. Hook si sentì morire nell’attesa della risposta.

« Io l’amo, umano. » rispose calcando il tono sul presente del verbo. « Tu non puoi comprendere… » liquidò la cosa in un modo così palese che il pirata sentì la rabbia ribollirgli dentro.

« NON OSARE! » gridò esasperato da quella insinuazione. « È vero… io non posso comprendere i segreti di voi esseri immortali… ma non osare mai più smentire il mio amore. »

Imdal assunse una stranissima espressione di disprezzo, buffa forse perché risaltava innaturalmente sui suoi lineamenti perfettamente sereni, solitamente « Amore! » sbuffò « Cosa pretende di sapere, un mortale, dell’amore! E per di più questo mortale! » gli girò intorno, mentre Hook lo seguiva con lo sguardo, attendendo la sua prossima mossa.

« Non puoi biasimarmi per aver detto ciò che penso… » continuò l’elfo « In fondo, sei stato tu a volermi parlare. »

« È vero, ma ciò che mi interessava era solo sapere se ne eri davvero innamorato, non se ritenevi che io ne fossi capace o no. »

Per altri due o tre secondi restarono in silenzio, a guardarsi con furia repressa negli occhi.

Imdal sospirò « Conosco la sua storia. » disse piano. Troppo piano perché non si comprendesse che stava cercando di dissimulare la sua collera « So di chi è la colpa se lei non è qui, ora, ad accogliere gli sguardi adoranti di coloro che la amano. »

L’elfo aveva sibilato quelle parole con tanto di quel veleno nella voce, che per un attimo Hook avvertì più la voglia di farsi avanti e trafiggerlo con l’uncino che il senso di colpa per ciò che, effettivamente, era accaduto.

Ma, inevitabilmente, una volta passato quell’attimo, il pirata sentì che una nuova ondata di dolore lo trafiggeva senza la minima pietà.

« È vero » ammise, addolorato « Ma non sai… »

« Taci, umano! » gli intimò Imdal « Questa conversazione non è opportuna e sarà meglio fermarci prima che la calma che la mia gente ha sempre ostentato svanisca. »

La sua voce lasciava comprendere che davvero stata perdendo il controllo delle sue emozioni immortali. Hook, dal canto suo, era troppo disperato per sostenere uno scontro, anche se solamente di natura verbale. Sapeva che anche in quel caso ne sarebbe uscito perdente.

Ci volle qualche istante prima che entrambi recuperassero il completo controllo della situazione, poi l’elfo gli si parò davanti, appena un po’ arrogante.

« Dobbiamo andare. »

In silenzio, non potendo fare null’altro, Hook gli tenne dietro, seguendolo nella sala del trono, la quale risultò anche essere abbastanza vicina. Non appena vi entrarono, Hook notò immediatamente che c’erano molte persone presenti. Per prima cosa,i suoi uomini erano adunati accanto alla parete est, mentre alla sinistra di Memnor si trovavano una decina di elfi armati di spade e frecce. Avevano tutta l’aria di essere dei guerrieri.

Imdal chiuse la pesante porta della sala dietro le loro spalle e precedette Hook davanti al sovrano, inchinandosi alla sua presenza.

« Maestà, » disse solennemente « Possiamo cominciare al vostro ordine. »

Hook era disorientato. Non comprendeva a cosa si riferissero le parole del suo rivale. Che cosa avrebbero dovuto cominciare?

Quando era entrato, Spugna aveva mostrato una certa apprensione, mentre il resto dei suoi uomini era rimasto in attesa, immobile. La tensione nella sala del trono era quasi tangibile.

Un momento dopo, Memnor, fino a quel momento seduto sul trono, si alzò in piedi solennemente e fece segno a Hook di avvicinarglisi.

« È il momento, capitano Hook. » gli disse molto piano, come se avesse voluto essere udito solamente da lui « Hai ripreso conoscenza delle tue emozioni ed hai avuto una notte intera perché esse si adattassero nuovamente alla tua anima. » Gli si mise di fianco, facendo frusciare la lunga veste di raso bianca che portava. I capelli lunghi lo rendevano molto simile all’immagine di angelo che molti mortali hanno. « Ora puoi scegliere se usare il tuo dolore nella maniera giusta. »

Il pirata comprese immediatamente cosa voleva dire. Prese un profondo respiro ed annuì « Sono pronto. »

Memnor annuì a sua volta come per rafforzare la determinazione dell’uomo che aveva davanti. Subito dopo gli voltò le spalle, tornando ad avvicinarsi al suo trono.

« La vendetta è a portata della tua mano, umano, delle nostre mani. » affermò il re « gli assassini della principessa umana devono pagare. »

Utilizzò l’appellativo che gli elfi avevano conferito alla giovane, non appena si era scoperto il suo legame di sangue con lui, con tanta tenerezza da rendere evidente a tutti quanto dolore egli fosse costretto a trattenere nel suo cuore. Eppure, nonostante tutto, continuava la sua orazione senza esitazione alcuna. E anche per questo aveva l’attenzione di tutti i presenti, umani e non.

« Eder non aveva colpe. » disse con forza « Eppure è stata spenta dalla crudeltà della razza umana, che da secoli ci caccia ci usa come schiavi…come merci preziose da vendere nei mercati. » a questo punto volse uno sguardo eloquente a Hook ed ai suoi uomini. Infatti, se non direttamente coinvolti, essi erano pirati, dunque appartenenti a quella classe di esseri che catturavano gli elfi e li vendevano come schiavi a chi era in grado di presentare un’offerta appetibile.

Era un destino crudele quello che gli umani del mondo che non c’è avevano riservato a quelle creature. Ma Hook stesso non se ne era mai curato prima di conoscere il segreto dell’ unico amore che avrebbe mai provato in tutta la sua lunga esistenza. Ora ne sentiva, invece, il peso.

Intanto Memnor proseguiva « Oggi abbiamo la possibilità di rimediare. Oggi noi stringeremo un’alleanza che ci permetterà di abbattere il nostro nemico e ristabilire l’ordine di giustizia. » guardò prima Hook, poi Imdal. « Oggi assisteremo e faremo da testimoni al patto di collaborazione tra il pirata più ardito del nostro mondo, seppur consumato dalla sofferenza, e del mio generale supremo. »

Hook parve perdere i sensi, per un attimo. Guardò l’elfo che era poco distante da lui e, senza che questo gli avesse rivolto alcun cenno, seppe di aver capito bene. Imdal era dunque il generale delle guardie elfiche di Memnor.

Ma come poteva il sovrano credere possibile un’alleanza tra loro? Troppe incomprensioni, troppo rancore e rivalità li separavano, anche in quell’ora buia.

Gli uomini di Hook cominciarono ad essere irrequieti. Che avessero o no indovinato la tensione che circolava tra i due capitani in quel momento, aveva poca importanza. Si sentivano comunque pronti a vendicare quella che avrebbe dovuto essere la loro regina…la meravigliosa fanciulla con sangue di elfo nelle vene che aveva reso il loro comandante più umano, più docile e clemente verso di loro, anime dell’Inferno. Era incredibile quanto potere riuscisse ad avere l’amore.

« Siete legati, ora. » disse Memnor « Avvicinatevi a me. »

Essi obbedirono e, mentre si avvicinavano, il re scese a sua volta dal suo trono. Per prima cosa,posò la mano esile e affusolata sulla spalla di Imdal.

« Sei sempre stato un valoroso guerriero. » gli disse, impassibile, ma chiaramente convinto di ciò che faceva « La mia ammirazione è sempre stata rivolta te, così come le speranze di averti nella mia famiglia, se Eder avesse ricambiato il tuo amore. » il generale abbassò lo sguardo, probabilmente sopraffatto dalle speranze disilluse « Ma purtroppo, le cose non sono andate come entrambi ci aspettavamo. Dobbiamo resistere, altrimenti andremo a riposare con i dormienti, accanto alla nostra compianta. So che ti farai forza e che vendicherai la sua scomparsa. Non provare rancore, altrimenti il secolo che ti spetta di attendere sarà per te come un millennio. »

Imdal annuì lievemente, un movimento appena percettibile che però fu abbastanza per il re, che si allontanò da lui gravemente per rivolgere l’attenzione al pirata.

Quando Hook avvertì gli occhi perennemente giovani e fatati dell’elfo incontrare i suoi, sentì il peso della saggezza conferita dall’eternità che essi recavano con loro. Provò un brivido che represse a stento. Lo sguardo di Arabelle riviveva in quegli occhi. Numerosi ricordi di momenti felici e tristi risalirono alla sua mente vedendo quelle iridi blu elettrico che dagli occhi della ragazza avevano di diverso solo il colore.

Anche a lui, Memnor posò la mano sulla spalla destra.

« Umano, sono costretto dalle circostanze ad assegnarti questo compito al quale anche Eder desiderava che adempiessi. » disse « E la volontà della principessa ritrovata, la principessa umana, è per me sacra anche ora che essa dorme con i deboli ed i caduti tra noi. » Hook poteva avvertire tutto il peso di quelle parole, come una cascata di macigni. « Utilizza la tua sofferenza, umano. Usala affinché possa condurti alla vittoria e al compimento dell’impresa. »

Si allontanò da entrambi i capitani designati e si voltò a fronteggiare tutti i presenti. Imdal e Hook pendevano dalle sue labbra.

« Darò a costoro duecento dei miei soldati più valorosi, perché così il nostro trionfo sarà assicurato. » Indicò gli elfi armati alla sua sinistra « Essi sono i comandanti dei manipoli, che da adesso sono agli ordini di entrambi voi. Non avrete da temere alcuna sconfitta. »

Ci fu un momento di pausa. Memnor fissava in attesa Imdal e Hook, che a loro volta avevano assimilato ogni singola parola delle sue disposizioni.

Dopo qualche secondo, l’elfo parlò « Mio signore, come faremo a trovare il nemico da abbattere? »

Memnor annuì gravemente, quasi si aspettasse una domanda del genere « Le mie sentinelle hanno avvistato due navi corsare a poca distanza da qui. » rivelò, provocando l’immenso stupore di Hook « Una di queste si direbbe essere la nave dell’umano nostro ospite. »

La Jolly Roger! Il pirata comprese subito cosa voleva dire. Se lui aveva la Fria di Morgan, il suo nemico mortale si trovava sicuramente sul so veliero perduto. La vendetta era a pochi passi da lui. Se i traditori avessero pagato per le loro colpe, lo spirito di Arabelle avrebbe trovato la pace… riposando insieme a quelli dei dormienti del cimitero di Memnor.

« capisci cosa significa, capitano Hook? » gli domandò infine il sovrano elfo.

« Si. » fu la limitata risposta dell’uomo, che ora, insieme al dolore, aveva nel petto una profonda brama di vendetta. Entrambe le sensazioni dovevano essere placate e, se fosse riuscito a dare pace a una, avrebbe avuto certamente più possibilità di acquietare l’altra. Ma nel suo cuore sapeva bene che, per quanto potesse acquietarsi, la perdita della ragazza lo avrebbe consumato giorno per giorno, fino a condurlo alla morte.

Chi avrebbe mai potuto immaginare che Jason Hook, capitano della Jolly Roger, temuto pirata del mondo che non c’è e nemico giurato di Peter Pan sarebbe perito per amore?

Memnor era impassibile come sempre, ma nei suoi occhi si leggeva una profonda determinazione. Aveva lo sguardo di un re che stava inviando i suoi migliori uomini a vendicare un affronto che non sarebbe mai stato ripagato abbastanza.

« Allora andate. » disse rivolto a Hook e l’elfo accanto a lui « La tattica d’attacco è già stata elaborata dai capitani. Non dovrete fare altro che assimilarla ed, eventualmente, apportare qualche modifica. Ma bisogna che facciate resto, perché i nostri nemici potrebbero avvistare la Fria prima che abbiamo modo di cominciare l’attacco »

Imdal annuì « L’ideale sarebbe attaccare domani, al sorgere del sole. »

Hook ne convenne. Sapeva che l’alba era sempre stata l’ora migliore per iniziare una battaglia, perché la luce era quella giusta e, anche simbolicamente, consentiva maggiore slancio nel combattimento. Annuì a sua volta, lentamente. Arabelle sarebbe stata vendicata ancora prima di quanto si sarebbe aspettato.

Non ci fu bisogno di ringraziamenti, anche perché Hook non era molto avvezzo a farne, ma il gioco di sguardi tra lui e Memnor fu sufficiente perché il pirata facesse intendere che apprezzava l’aiuto offertogli e l’occasione datagli e perché l’elfo, invece, gli facesse comprendere che, per lui, la vendetta della principessa umana era qualcosa di importante e che riteneva dovesse spettare proprio a lui.

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Capitolo 29
*** Lo giuro ***


Lo giuro

Lo giuro

La notte fu terribile. Non chiuse occhio neppure per un istante. Jason Hook continuava a vedere il volto di Arabelle, perfetto nella morte, disteso e sereno mentre il corpo della ragazza giaceva tra i dormienti della casa di Memnor. Nonostante la serenità apparente dei tratti del suo splendido volto, Hook sapeva che Arabelle era morta dopo atroci sofferenze. La ferita che le aveva causato durante il loro scontro era stata terribile. Era di quelle che lacerano più organi interni alla volta e lo fanno in punti strategici, rallentando dolorosamente l’oblio.

Sarebbe morto tra le fiamme dell’inferno pur di risparmiare del dolore alla sua amata, la sua donna ma anche la sua bambina, il suo angelo in terra. E invece era stato lui a farle questo…lui… e senza sapere che cosa aveva dovuto patire.

Il buio circondava la stanza…le sfere luminose erano spente e giacevano silenziosamente sul pavimento ricoperto di tappeti orientali, molto simili a quelli che lui teneva nella sua cabina, sulla sua amata Jolly Roger. Lui era steso sul grande letto, completamente vestito, per di più in abiti elfici.

Memnor gli aveva fornito degli abiti nuovi, puliti e, soprattutto, integri: quelli vecchi erano sdruciti e lacerati in diversi punti, a causa della battaglia e dei giorni di latitanza. Ora vestiva una casacca azzurro chiaro che era dello stesso colore dei suoi occhi glaciali. Sotto di essa aveva una camicia bianca e dei pantaloni azzurro chiaro più chiari ancora della casacca e un paio di stivali gialli con la punta rivolta verso l’alto. I capelli scuri, quasi ricci, contrastavano con tutto lo splendore delle sue vesti conferendogli un’aria quasi spettrale.

E spettrale era anche il suo volto, la sua anima.

Stava sdraiato sul letto con gli occhi spalancati. Avevano persino cominciato a dolergli per quanto tempo era che non provava a prendere sonno. Stanco era stanco, ma chi avrebbe potuto dormire in un frangente del genere?

Riviveva tutta la sua esistenza, a cominciare da quando era giunto nel mondo che non c’è, quando aveva cominciato la lotta contro Pan. Chi avrebbe mai potuto dire che avrebbe amato tanto? Lui? Eppure adesso stava morendo d’amore, la sua energia stava esaurendosi poco alla volta, in una lenta agonia.

Mentre stava così immerso nei suoi pensieri, sentì come un fruscio, una spostamento lievissimo d’aria. Dapprima non ci fece caso, rimanendo legato alle sue elucubrazioni mentali, ma poi qualcosa lo costrinse ad alzare lo sguardo.

« Jason…»

Non poteva essere, ma il suo cuore perse ugualmente un battito. Quella era la Sua voce! L’aveva sentita chiaramente, quantunque fosse stato quasi un sussurro quello che portava il suo nome. Ma ne era certo, perché nessuno lo pronunciava mai e quei pochi che lo facevano non l’avrebbero mai fatto così. Solamente Lei sapeva chiamarlo in quel modo.

Alzò la testa, seguito dal busto, di scatto, quasi furiosamente, mentre volgeva lo sguardo nella stanza. E lì la vide. Bella come un angelo, una visione celeste al centro del pavimento, c’era Arabelle, vestita con l’abito bianco che le aveva visto indosso mentre giaceva tra i dormienti. I capelli sciolti sulle spalle cadevano come una cascata di riccioli scuri, scendendole fino alla vita. Era molto, molto pallida, ma bella come sempre e forse di più. Gli sorrideva tristemente, con gli occhi lucidi. Si vedeva che era preda di una grande emozione, ma, come era tipico del suo carattere, manifestava grande contegno e dignità nel suo dolore. Dolore? Gioia? Chi avrebbe mai potuto definire cosa stava nei suoi meravigliosi occhi scuri, brillanti come stelle tra quello splendore della sua pelle.

Sono forse impazzito? Non potè fare a meno di pensare il pirata Se questa è una tortura dell’Inferno al quale sono certamente destinato, io prego di restarvi!

Non riusciva a muoversi o a parlare. Era totalmente immobilizzato da quella visione, che ora stava facendo un passo avanti verso di lui. Hook notò che aveva i piedi scalzi.

« Jason… » ripetè ella un po’ più forte.

Stavolta egli non riuscì a tacere, guardandola estasiato e sentendo che anche i suoi occhi mascolini si velavano di lacrime come mai era successo « Arabelle! »

Dio! Quel momento era qualcosa di indescrivibile per lui. Era come se fosse finalmente morto e allo stesso tempo gli fosse stata riconsegnata la vita.

La ragazza stava continuando ad avanzare, lentamente, aggraziata come tutti gli elfi ma anche come solo lei era capace.

« Sono morto, Arabelle? » chiese infine lui.

Ella scosse la testa dolcemente, sorridendo appena. I capelli ondeggiarono sensualmente e magicamente, seguendo il movimento del suo capo. Riusciva ad essere angelica e allo stesso tempo un’atroce tentazione. Solo lei aveva quel potere. Ora era a pochi passi da lui.

« Allora sto sognando? » insistette Hook, in preda alla follia, al delirio d’amore « Dimmelo, Arabelle! »

La ragazza scosse la testa nuovamente, allo stesso modo di poco prima e avanzò fino a sedersi sul letto, davanti a lui. Il pirata ebbe un tremito e si scostò. Per la prima volta nella sua vita ebbe paura. Paura e gioia infinita mescolate tra loro.

Era come ipnotizzato, incantato… il cuore gli batteva forsennatamente e credette davvero di essere vittima di un folle delirio.

Non osava toccarla, per paura che svanisse come era apparsa. E se così fosse accaduto, sarebbe certamente morto di dolore. Non poteva correre quel rischio.

Improvvisamente vide le labbra di lei schiudersi, dolcemente, come i petali di un fiore.

« Non temere. » gli disse con la sua voce meravigliosa, di miele, che tanto amava.

Era terribile come un uomo di trentasette anni, come lui, che aveva affrontato più di un secolo nel mondo che non c’è, terrorizzandolo al solo sentire pronunciare il suo nome stesse tremando come un foglia davanti all’immagine di una ragazza.

Ad un tratto, Arabelle allungò una mano, lentamente, a sfiorargli il volto. Hook rabbrividì e non si mosse, pietrificato com’era. Il tocco delle sue dita…. Era il Suo tocco. Anche se l’aveva provato per relativamente poche volte, lo avrebbe riconosciuto tra mille. Smise di respirare quando Arabelle si sporse verso di lui, così lentamente da sembrare che non si stesse muovendo affatto.

In un secondo, posò le labbra fresche e dolci su quelle di lui. Non c’erano pretese in quel bacio, era poco più di una carezza delle labbra.

Il tremito di Hook divenne un vero e proprio spasmo incontrollabile. Chiuse gli occhi e, sempre senza osare muoversi, gustò assaporò quel tocco celestiale della bocca del suo unico amore. Se era un sogno, sperava di non doversi mai svegliare.

Poco dopo, la ragazza si staccò da lui, senza però ritirare la mano dal suo viso. « Sono io… » mormorò, tentando di fargli un sorriso incoraggiante. E il cuore del pirata si sciolse come la cera consumata dalla fiamma.

Allungò la mano ad afferrarle un braccio, con tocco incredulo, mentre gli occhi diventavano lucidi per l’emozione.

« Quale crudele illusione è questa? » disse, sentendosi morire. « Sei uno spirito, un demonio venuto per tormentarmi? »

Era quasi rabbioso in quel momento, ma la stretta che esercitava sul braccio della ragazza era lieve e quasi carezzevole. Ella continuava a sorridere tristemente.

« Ti prego, Jason. » disse accarezzandogli la guancia mal rasata a causa di giorni trascorsi nel bosco « Devi credermi. »

Quello sguardo deciso e supplichevole gli fece stringere il cuore. Sentì due lacrime scendergli lungo le guance mentre continuava a tremare.

Improvvisamente, Arabelle ebbe un singhiozzo sommesso.

This, for us, could be the last night.

Un brivido terribile percorse la schiena dell’uomo mentre sentiva la voce della giovane cantare quelle parole. Le ricordava bene, come se fossero state impresse a fuoco nella sua memoria e sulla sua pelle. La voce di lei era autentica, mentre lei stessa era corporea, vera e splendida davanti a lui. Non ebbe più dubbi e sospirò, stringendola convulsamente a sé.

Sentì le piccole dita di lei intrecciarsi dietro la sua nuca e pianse di gioia, quasi senza rendersene conto. Quello era un altro motivo per credere alla sua visione, perché nessun sogno o allucinazione avrebbe mai potuto essere tanto reale da regalargli quelle sensazioni adorate e desiderate. Ogni piccolo gesto o respiro era come lo ricordava. Unico ed inconfondibile, inimitabile.

Il suo corpo snello e delicato era aderente al suo, teneramente vicino eppure così desiderabile. Ma il desiderio venne soppresso perché la povera mente del capitano non era in grado di sopportare un tale shock.

« Arabelle… » mormorò con passione « Arabelle, Arabelle Arabelle…. » ripetè più volte quella parola, felice di sentire il respiro regolare della ragazza e il suo battito cardiaco contro il suo petto.

Fu solo dopo alcuni minuti che riuscì a lasciarla andare, a malincuore, per guardarle il volto. Era proprio lei, bella e divina, e anche lei, come lui, aveva pianto di gioia.

« Come… » provò a domandare.

Un dito di Arabelle andò a posarsi sulle sue labbra, zittendolo « Shhh » gli disse « Abbiamo poco tempo. »

Quelle parole, oscure per lui, gli lasciarono altri dubbi, ma come poteva notarli proprio in quel momento, quando la sua vita gli stava davanti ad un passo dalle sue braccia, dalle sue labbra e dai suoi occhi?

« Devi ascoltarmi. » disse seria lei, guardandolo negli occhi.

Hook annuì automaticamente, incapace di pensare « Ti ascolto amore mio, » sussurrò « ma ti imploro, prima di dire qualunque cosa, baciami. » le si avvicinò lentamente « baciami e lenisci il mio cuore. Liberalo dal dolore. »

Era davvero lui che parlava così? Non lo sapeva. Era troppo anche per un’anima dannata come la sua quello che stava accadendo da pochi giorni a quella parte.

Arabelle sorrise e lo guardò con gli occhi pieni d’amore. Si avvicinò a sua volta al volto di lui e lo baciò, come le aveva chiesto. Stavolta però, fu un bacio vero, profondo, travolgente. Era un bacio vivo e bruciante, anche se non urgente.

Accarezzandole la bocca con la lingua, intrecciando le loro labbra, Hook fu certo che quello doveva essere il Paradiso, non l’Inferno.

« Oh, Arabelle. » mugolò tra un bacio e l’altro « Amore! »

Lei gli diede un ultimo bacio, leggero e lo guardò in viso « Ti amo, lo sai, Jason Hook? » Lo abbracciò velocemente e strettamente per lasciarlo andare un attimo dopo.

Era di nuovo seria ed ora lui avrebbe ascoltato qualunque cosa avesse dovuto dirgli.

« Domani andrai a cercare Morgan, non è vero? » gli chiese, con apprensione.

Hook annuì.

« Devi fare attenzione! » gli disse, preoccupata « Quell’uomo sa come farti soffrire e non avrà paura di usare le sue capacità per farlo. » accarezzò devotamente il volto dell’uomo « Non dimenticare che ha dei poteri magici. Dovrai sorprenderlo prima che possa usarli. »

Hook prese la mano di Arabelle nella sua « Non devi temere per me. Tu sei viva, non so come, ma lo sei. » rispose con energia e felicità « Se ti so in salvo, posso affrontare il Diavolo in persona! »

A quelle parole, la ragazza s’incupì un po’ « Dovrai affrontarlo comunque, amore mio. » rispose « Non devi lasciare che il pensiero di me ti influenzi. »

« Che vuoi dire? » domandò attonito.

Arabelle scosse la testa piano « Non ha importanza. Domani dovrai usare tutta la tua abilità contro i nemici che affronterai. So che Memnor ti ha affidato dei soldati e con loro l’impresa sarà più facile. » sorrise tristemente « So che riuscirete…che riuscirai, ma non voglio che tu ceda alla sofferenza, in qualunque modo essa ti venga causata. »

Hook annuì, guardandola con amore e tenerezza, pensando impossibile di vederla ancora lì, davanti a sé.

« Giuramelo, Jason. » lo incitò « Devi giurarmelo! » c’era nella voce di lei un’urgenza che non le aveva mai sentito, e proprio pere questo, forse, egli accettò il giuramento come chiedeva senza indagare sulle motivazioni.

« Lo giuro. »

La ragazza gli sorrise nuovamente, stavolta felice. « Ti ringrazio. »

Hook allungò la mano ad accarezzarle i capelli, come a voler controllare un’ultima volta che ella fosse reale. La tristezza che aveva negli occhi era così intensa da suscitare pietà.

L’accarezzò lievemente sfiorandola appena « Arabelle… » disse piano « Perdonami. »

« E di cosa, Jason? » rispose lei, sorridendo ancora di più e sorprendendolo « Quali colpe pensi di avere che io debba perdonarti? »

Il pirata rimase stranamente sorpreso « Io ti ho uccisa… » scosse la testa, correggendosi « Voglio dire…ti ho ferita.. non lo so! Tu eri morta tra le mie braccia… come può essere? » La guardò incredulo, come se avesse improvvisamente recuperato la ragione e si stesse ponendo le domande giuste.

Ma ancora una volta, lei lo fermò « Non ora…non è importante. »

« Hai ragione. » convenne lui, stringendosela al petto ancora una volta. « Non è importante. Non mi interessa! »

Era così piccola e fragile in confronto a lui, che sembrava sul serio una bambina da proteggere. Solo Hook sapeva che invece si trattava di una ragazza meravigliosa, una giovane donna molto forte che era stata capace persino di tenergli testa in combattimento. Sentì che i suoi capelli profumavano come sempre, ma era un profumo nuovo, più intenso. Forse era lui che lo sentiva tale per il dolore della mancanza.

La ragazza si scostò dal petto di lui abbastanza da potergli accarezzare il volto dai lineamenti ben marcati, soffermandosi sull’accenno di barba che gli era cresciuto.

Hook le catturò nuovamente le labbra con un’esigenza tanto tenera che nessuna donna avrebbe mai saputo ritrarsi. Arabelle gli si strinse contro e lasciò che lui la facesse sdraiare sul letto. Continuarono a baciarsi, stavolta con l’imponente figura dell’uomo che sovrastava le membra delicate della giovane.

« È troppo, Arabelle. » mormorò febbricitante il pirata dopo essersi separato dalle labbra di lei.

Ella sorrise, quasi tristemente « Cosa? »

« Questo…la felicità. » spiegò « Fino ad un momento fa stavo morendo dal dolore… » la baciò di nuovo « E ora sei qui…non so come ma sei viva! » Le coprì di baci il collo, le spalle lasciate scoperte in parte dal vestito e la sentì fremere sotto di sé. Se la cosa lo eccitò, non se ne rese neppure conto, perché in quel frangente, ogni bacio che le dava non era volto a farla sua, ma solo a sentire che era reale, che era davvero viva e palpitante sotto di lui. Era come un modo per guarire se stesso.

Mentre era occupato ad accarezzarla e baciarla, non notò che lo sguardo di lei si era fatto improvvisamente cupo e triste. Fu solo un istante però, come abbiamo detto, quindi, quando alzò lo sguardo su di lei, non vide nulla che potesse renderlo sospettoso.

« Ti amo. » le disse sulle labbra, gli occhi ardenti e lucidi per le lacrime di felicità non versate.

Arabelle gli prese il volto tra le piccole mani « Amore… devi anche giurarmi che non ti incolperai più della mia morte. »

« Lo giuro. Te lo giuro amore mio. » rispose prontamente lui, accecato dalla felicità « Ma cosa importa ora? »

« Importa tutto, Jason Hook. » ribattè dolcemente, quasi indulgente « Non ci sono momenti in cui le cose smettono di avere importanza. Ma hai giurato e questo mi basta. »

Hook sentì brividi di piacere lungo tutto il corpo, ma erano lievi, sublimi…gli impedivano di fare qualunque ragionamento.

« Baciami, Arabelle. » la implorò « Baciami e non smettere mai. Ricordi che già una volta te lo dissi? »

Lei rise per un momento e poi gli si attaccò alle labbra, febbricitante. « Ti amo, Jason Hook. »

Egli la strinse, sotto di sé, continuando ad accarezzarla devotamente, lievemente come mai aveva fatto. Lentamente cominciarono ad ansimare piano, anche perché la mano esperta del pirata si era insinuata sotto la stoffa dell’abito di Arabelle, dalla parte delle gambe…mentre lei aveva preso a baciargli il collo oltre che le labbra. La passione sembrava essersi riaccesa.

Ma la ragazza si staccò presto da lui.

« Cosa c’è? » le chiese.

Lei non gli rispose, ma gli sorrise, il che lo calmò abbastanza da aspettare la sua prossima mossa. Girò intorno al letto e si sedette accanto a lui, che era sdraiato a mezzo busto. Gli accarezzò il volto e, chinandosi su di lui, lo fece sdraiare e rilassare. Lo baciò sulle labbra, teneramente, consentendo l’ingresso alla sua lingua esigente. Hook gemette piano, sia di piacere che di gioia, mentre restava alcuni secondi in quella posizione.

Pochi secondi dopo, però, Arabelle staccò le labbra da quelle dell’uomo e glie le accostò all’orecchio « Ricorda il giuramento. »

Perché la sua voce era così triste? Così lieve? Hook ebbe un tuffo al cuore vedendola alzarsi da sopra di lui e guardarlo negli occhi. La voce che aveva avuto l’aveva insospettito, ma quello sguardo lo stava pietrificando: era triste, desolato, disperato. Vide lacrime affacciarsi a profanare quegli occhi stupendi.

La vide allontanarsi a passi lenti. Sorrideva, ma era un sorriso di dolore, poteva vederlo benissimo. Arabelle singhiozzò una sola volta, molto piano, ma bastò a spezzare ciò che era rimasto del cuore del pirata, che non capiva cosa stesse accadendo.

Dopo altri due o tre passi, Arabelle mandò un bacio straziante con la mano all’uomo che amava e scomparve gradualmente fino a che nella stanza, Hook non si ritrovò solo.

Si dice che c’è sempre una prima volta per tutto. In quei giorni, egli aveva avuto molte prime volte, ma ancora ne mancava una. Ed era quello il momento.

Comprendendo soltanto che lei, di nuovo, non c’era più, senza sapere che cosa fosse accaduto perché, sentì la sua anima disgregarsi.

Non c’era tempo né modo di urlare, di piangere o di distruggere oggetti. Il dolore era troppo intenso, troppo forte per essere in qualche modo sfogato. Cadde soltanto riverso sul letto, come una marionetta senza fili.

Per la prima volta, Jason Hook perse i sensi.

Ecco il nuovo capitolo. Spero che vi piaccia e scusate il ritardo.

Purtroppo ho molte cose da fare in questi giorni, perciò sarò più lenta nell’aggiornare. Perdonatemi.

Intanto godetevi questo capitolo e recensite numerosi. Voglio sapere che ne pensate ok? Bacioni a tutti.

Aya Chan : rispondo in ritardo alla tua domanda…io non porto la tesina perché l’anno prx avrò la maturità…ho 18 anni ma sono di gennaio…quindi ho perso 1 anno. Fammi sapere come è andata però. In bocca al lupo.

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Capitolo 30
*** Soffrirai-prima parte ***


Soffrirai

Soffrirai

Poche ore dopo che Arabelle era scomparsa, Hook riprese conoscenza. Era sfinito, distrutto. Quello che aveva passato era stato davvero troppo. Vedere la sua amata tornare da lui, in carne e ossa, solo per poi scomparire poco dopo, era veramente impossibile da sopportare.

Si alzò a mezzo busto, lentamente, sentendo il peso delle lacrime non versate farsi strada nel suo cuore e anche nei suoi occhi, che divennero presto lucidi. Non appena ricordò quanto era accaduto singhiozzò una sola volta, sommessamente.

« Arabelle! » chiamò tra sé e sé « Amore mio…. »

Per alcuni secondi rimase ad invocare il suo nome, poi sembrò bloccarsi di colpo, come se avesse improvvisamente ricordato un particolare fondamentale dell’accaduto.

Mi hai chiesto di giurare, ed io ho giurato… pensò ma allora era per questo che sei venuta…

« È per questo che sei venuta? » ripetè a parole, rivolgendosi amorevolmente all’aria nella stanza, dove la ragazza era tornata da lui solo per abbandonarlo ancora. « Sei venuta per questo…. »

Si alzò in piedi, girando per la stanza lentamente. Sembrava stesse cercando di riconoscere un segno di lei, anche una piccola cosa. Un piccolo segno. Null’altro.

« Ho capito, amore. » mormorò « Sei venuta da me per avvertirmi… avvisarmi. » sembrava davvero pazzo, a quel punto. Parlava all’aria come se Arabelle fosse stata davvero davanti a lui, da qualche parte « Per dirmi che soffrirò… ma mi hai fatto giurare di resistere…di resistere per te. E lo farò, amore mio, ma quale sforzo mi chiedi! »

Chiuse gli occhi, figurandosi l’immagine di lei, bella e splendente « Ho giurato e manterrò la mia parola. » Era più deciso adesso, meno agitato, ma ancora si leggeva la desolazione nel profondo dei suoi occhi.

Non potevi trovare un altro modo per avvisarmi? Così è stato troppo crudele. Troppo doloroso.

Eppure una parte del mio cuore sta ancora esultando per averti vista un’altra volta.

Sospirò, cercando di trovare dentro di sé la forza per compiere ciò che doveva e desiderava fare. Poi, come investito di una improvvisa determinazione, avanzò fino alla porta della sua stanza e uscì. Oltre la sua soglia, vide subito che si era radunata una piccola folla, composta da elfi, in parte e dai suoi uomini. Dopo qualche secondo, Spugna si fece avanti.

« Vi siete svegliato, capitano. » disse con la sua vocetta quasi infantile. « Vi stavamo aspettando. »

Hook lo guardò senza vederlo, annuì senza averlo ascoltato. Era come se non fosse stato davvero lì. Tutto il suo essere era incentrato sulla vendetta terribile che aveva in mente di compiere. Nulla aveva senso, nulla importava all’infuori di quello e delle ultime parole rubate di Arabelle. Nulla.

Sorpassò deciso, ma lento, il suo primo ufficiale, per essere accolto dagli sguardi curiosi e sospettosi degli elfi presenti. Non vi erano dubbi sul fatto che si trattasse di elfi guerrieri.

In mezzo a loro, Imdal.

Non appena il suddetto elfo posò gli occhi su di lui, gli si avvicinò solennemente, aggraziato come un felino. Nelle sue iridi azzurro chiaro si celava una strana emozione. Probabilmente si trattava di una qualche forma di dolore, perché non aveva certamente un aspetto felice.

« Ti sei svegliato, umano. » considerò, di nuovo con una punta di disprezzo.

Hook era troppo addolorato per ricacciargli in bocca quell’insulto che per Imdal era la parola umano, ma riuscì comunque a rendere palese quanto trovasse di cattivo gusto la cosa.

« Ti sarei grato, elfo, se usassi il mio nome, » La sua voce era stata incredibilmente calma. Imdal, però, non riuscì ad ignorare quanto la sua richiesta fosse stata imperiosa. Non ammetteva nessun tipo di repliche.

Stranamente, non continuò lo scambio di battute « Ho già una strategia, Hook, » gli disse « Ma dovremmo parlarne in privato, prima di dare il via alla missione. La nave non aspetta. »

Senza attendere una risposta, l’elfo cominciò ad allontanarsi dalla piccola folla di uomini ed elfi radunatasi intorno a loro. Hook non potè fare altro che seguirlo.

Mentre camminavano, uno di fianco all’altro, il pirata non potè fare a meno di notare che lo sguardo del suo nuovo compagno d’arme sembrava distrutto. Il dolore per la perdita della sua amata era stato sempre evidentemente grande in lui, ma questa volta pareva ancora più profondo. Il pensiero che Arabelle fosse morta si fece strada dentro di lui distogliendolo da ciò che probabilmente provava Imdal.

Entrarono in una delle stanze del palazzo, chiudendo dietro di loro una pesante porta di quercia con dei disegni di metallo splendente. Non appena furono soli, Imdal fece avvicinare il pirata ad un grande tavolo sul quale era stata distesa una cartina. Era la mappa delle isole vicine.

« Qui è dove le sentinelle di re Memnor hanno avvistato le due navi corsare. » disse puntando il dito su una laguna poco distante dal’isola degli elfi « Stanotte abbiamo avuto conferma del fatto che una delle navi in questione è la Jolly Roger. »

Hook annuì con decisione « La mia nave. »

« Non ancora. » precisò l’elfo, con la sua solita voce calma e pacata « Ma confido che non avremo difficoltà a mettere fuori combattimento gli uomini che si trovano a bordo dell’altro vascello. »

Gli uomini di Silver stavano sull’altra nave. Hook l’aveva quasi dimenticato, tanto era stato preso dal pensiero di Morgan.

« Qual’ è il tuo piano? » domandò infine, smanioso di procedere e prendersi la sua vendetta.

Imdal lo fissò un istante « Ci apposteremo qui » spiegò indicando un punto sulla mappa, poco distante dalla laguna delle navi « Non appena vedremo che una delle due navi sarà lasciata incustodita, noi… »

« Non è detto che ciò avvenga. » lo interruppe Hook.

L’elfo sorrise, o meglio, stirò pigramente le labbra senza lasciare che i suoi occhi seguissero il loro esempio « Invece si! C’è sicuramente un motivo se esse sono giunte qui insieme, così vicine. »

« Lo penso anche io, ma come possiamo esserne certi? »

« Se appartenessi alla nostra razza lo saresti. » rispose enigmaticamente Imdal « Noi siamo abituati ad ascoltare le voci invisibili. »

Hook non comprendeva le sue parole. Non gli appartenevano e certamente non erano facili da decifrare. Per un attimo fu fortemente tentato di non fare domande al riguardo, ma non resistette.

« Cosa intendi? La tua lingua è oscura. »

Il nuovo sorriso che si dipinse sul volto perfetto dell’essere aveva qualcosa di sprezzante, ma il pirata non se ne curò. Probabilmente lui e Imdal non sarebbero mai riusciti ad appianare il loro odio reciproco. Odio, tra l’altro, dettato da ben evidenti ragioni.

« Forse la tua gente lo definirebbe sesto senso… Noi, invece sappiamo che si tratta di messaggi che la natura ci manda. Il vento, il sole, la terra… sono informatori molto precisi ed affidabili quando si sa come ascoltarli. » La solita voce pacata spiegò con maestria quei particolari. Il pirata non fu certo di avere ben compreso, ma di certo aveva le idee meno confuse di un attimo prima.

« Non appena vedremo una nave incustodita, l’assalteremo, raggiungendola sulle nostre imbarcazioni. »

« Ci vedranno. » Sentenziò Hook scuotendo la testa lentamente, con rassegnazione. « È impossibile. »

« No, non ci vedranno, invece. » lo contraddisse « Noi elfi sappiamo come chiedere aiuto all’acqua. »

Stavolta Hook non ebbe bisogno di domandare spiegazioni, perché Imdal lo anticipò.

« Lo vedrai. » disse semplicemente, stroncando ogni possibile tentativo del pirata di fare richieste. Hook, dal canto suo, non sentì il bisogno di insistere.

Non aveva motivo di sospettare qualcosa, visto che Memnor desiderava la ventetta quanto lui per ciò che era accaduto alla sua discendente, la sua principessa umana. Arabelle, Eder, che importanza aveva? Ella aveva significato così tanto per entrambi che un nome non avrebbe potuto pesare tanto da separare i loro rancori. Essi erano una cosa sola. Ed oltre a loro, anche Imdal aveva bisogno di vendicare la sua signora, il suo amore.

Era così strano pensare ad Arabelle come la donna amata dall’elfo che aveva davanti. Non era, però dovuto al fatto che si trattava di Imdal. Solamente Arabelle faceva la differenza: Hook non riusciva a pensare a lei come la donna amata da nessuno all’infuori di lui.

« Attaccheremo la suddetta nave. » la voce dell’elfo lo riportò alla realtà « Poi abborderemo la seconda senza difficoltà, e tu avrai la tua vendetta. » si fermò per un istante, rabbuiandosi « Ed io avrò la mia. »

« Sei certo del nostro successo? »

Egli si erse in tutta la sua altezza « Gli elfi sono formidabili guerrieri. » Era vero. Questo hook lo sapeva molto bene visto che aveva dovuto affrontarli quando aveva attaccato il loro mercantile a bordo del quale si trovava la creatura che gli aveva sciolto il cuore.

« Allora non ci resta altro da fare che prepararci. Tra poco sorgerà il sole. » disse il pirata, guardando fuori da una finestra e notando che il buio della notte si stava schiarendo gradualmente.

Senza rispondergli, Imdal si allontanò in direzione della porta della camera dove si trovavano. Hook lo seguì con passo svelto fino ad essere nuovamente al so fianco.

Fatti appena pochi passi, Nuovamente la mente del pirata si perse in dolorosi ricordi di sensazioni provate la notte appena passata. Rivide Arabelle, splendida accanto a lui e gli parve di riavvertire ancora il tocco delle sue fresche labbra.

Per diversi secondi restò in balia di quei ricordi così dolorosi, poi udì la voce dell’elfo che aveva al fianco rivolgersi pacatamente e mestamente a lui.

« È venuta da te, non è vero? »

Non poteva avere sentito bene. Non poteva certo riferirsi a… O forse si?

« Di chi parli? »

Imdal si voltò, dolore profondo nei suoi occhi di ghiaccio « Di Lei. » Stavolta, dal modo in cui lo sentì pronunciare quel “lei”, Hook non ebbe più dubbi. Ma come poteva sapere? Come poteva aver indovinato cosa era accaduto solamente poche ore prima?

« Non fare domande e non temere. » lo rassicurò, stranamente, quello « È qualcosa che non potresti comprendere. Ma voglio che tu mi risponda. È venuta da te come penso? »

Il pirata restò stupito per alcuni secondi, poi smise di camminare e si voltò verso il compagno. « Si. »

Dopo aver pronunciato quella semplice parole, vide l’anima dell’elfo sgretolarsi davanti ai suoi occhi. Il suo sguardo tradì le emozioni che stava provando.

« Lo sapevo. » disse in un sussurro.

« Cosa vuoi dire? »

Imdal si adirò « Ti avevo detto di non fare domande. » Fece per voltarsi e riprendere la loro strada, ma, con occhi febbricitanti, Hook lo afferrò per un braccio e lo trattenne.

« Invece mi risponderai. » Non aveva più la minima traccia di raziocinio. Sentire quelle parole dette da Imdal e, soprattutto, sapendo che erano riferite ad Arabelle, lo scosse molto.

L’elfo si strattonò via dalla sua presa « Non ti devo niente. » sibilò, stranamente perdendo il suo solito contegno.

« Questa risposta me la devi, invece! » insistette l’altro, calmo ma irremovibile.

Ci fu un lungo momento in cui i due si fissarono intensamente negli occhi. Avevano entrambi le iridi molto chiare, quasi uguali, non fosse stato per il fatto che quelle del pirata tendevano di più al grigio piombo e quelle dell’elfo all’azzurro.

Ed entrambi avevano uno sguardo di rabbia terribile.

Stranamente, il primo a calmarsi fu Imdal.

« Quando uno di noi elfi muore e va a giacere insieme ai dormienti » cominciò a spiegare « La vita che gli scorre nelle vene gli dà la possibilità di tornare sulla terra, come spirito dalla forma corporea, per una volta sola. Una soltanto. » c’era una sofferenza indicibile nella sua voce, ma riusciva a contenerla sufficientemente « Il fatto è che… ti è concesso di vedere una persona sola. »

Fu un colpo per Hook, sentire quelle spiegazioni. Era chiaro ciò che gli era stato detto, ma era come se non riuscisse comunque a registrarlo.

Dunque Arabelle è davvero tornata per me…. E se è così.. mi ama. Persino ora, mi ama. Ma allora…

Finalmente comprese.

« Avresti voluto che venisse da te, non è vero? » domandò senza quasi pensare a quello che stava dicendo.

Imdal lo guardò addolorato e offeso, ma rispose sinceramente « Si. » sospirò, facendo un attimo di pausa « Ma sapevo che non sarebbe stato così. Il cuore, spesso, si fa inseguire chimere impossibili. »

Hook restò sorpreso da quelle parole.

« la mia, capitano, » continuò l’altro « Durerà cento anni. E non è detto che la magia del nostro popolo mi permetterà di amare ancora. Non sempre accade. »

In quel momento il pirata provò lo strano impulso di confortarlo. Non era da lui, ma riuscì ad avere pietà di quell’essere, per alcuni versi a lui superiore, che doveva patire qualcosa che lui stesso, per un breve periodo aveva assaggiato.

L’elfo gli diede le spalle « capisci, adesso? Comunque vadano le cose, se amerò o non amerò, so che soffrirò. »

E Hook comprese.

Piaciuto? Spero di si, fatemi sapere. Comunque è solo una parte di un chap che dovrò spezzare in tre per ragioni di praticità. Spero di postare presto la seconda parte.

Vorrei ringraziare e salutare kucchi, che ha messo la storia tra i preferiti e dirle che se commenterà il capitolo ne sarò onorata.

Baci a tutti.

Sempre vostra

Masked_lady

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Capitolo 31
*** - Personaggi - ***


Documento senza titolo

Questi sono i personaggi, secondo una mia possibile interpretazione.Fatemi sapere che ne pensate.

Quetsa dovrebbe essere Arabelle, però dovete considerare solamente viso e busto...visto che lei non è una sirena. Che ne dite?

Questo...bè...lo conosciamo no?

questa potrebbe essere Meridies, la nonna di Arabelle, se le fate i capelli ondulati. Poi qualunque modifica della vostra fantasia, la lascio a voi.

E in ultimo, questo è Memnor. Allora, mi lasciate un commento con le vostre impressioni? Baci.

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Capitolo 32
*** Soffrirai-seconda parte ***


Soffrirai

Salve a tutti!!! Ecco la seconda e penultima parte di questo chap. Era troppo lungo ed impegnativo perché potessi pubblicarlo tutto in una volta…sorry.

Come al solito ringrazio per le recensioni e avverto che mancano pochi capitoli alla fine di questa ff.

Baci a tutti.

Soffrirai

Non rispose all’elfo. D’altronde, cosa mai avrebbe potuto dirgli? Insieme, si diressero in silenzio verso la folla di soldati e pirati e si recarono dal re.

Memnor augurò loro il successo e Hook vide quanto il dolore della perdita fosse evidente sul suo bellissimo volto immortale. Erano i suoi occhi a confessare ciò che provava, visto che il suo viso sembrava scolpito nel marmo,e , come la pietra, era impassibile.

Era la natura degli elfi essere così.

Ma non toglieva nulla a ciò che sentivano.

Forse sentivano anche più intensi sentimenti degli esseri umani.

L’immortalità, anche se garantita a tutti, nel mondo che non c’è, quando scorre nelle tue vene, è sempre motivo di sofferenza. Stolti coloro che la bramano, perché non potrebbero sopportare il peso degli anni sulle loro spalle.

Ora Hook ed Imdal stavano partendo. Erano fermi sulla soglia del palazzo di Memnor, aspettando che i soldati terminassero di prendere tutte le armi che gli servivano. Il re degli elfi aveva messo a loro disposizione la sua armeria. Il pirata aveva scelto per sé una spada lunga e dalla lama sottile, perfettamente bilanciata, e due pugnali lucenti, assicurati uno all’avambraccio sinistro e uno alla gamba destra.

Imdal, invece, aveva preferito una sciabola dalla fattura araba o comunque orientale. La lama si staccava dall’elsa in una lamina sottile che terminava in una curva più ampia. Aveva legato i capelli dorati in una coda stretta sull’osso occipitale, in modo da non avere noia dal fatto che potessero ricadergli sulla fronte durante il combattimento.

Erano entrambi pronti alla battaglia.

Erano pronti a prendere la loro vendetta.

Erano pronti a morire pur di averla.

Erano pronti, perché si trattava di Arabelle.

Anche i soldati di Memnor erano pronti a sacrificare la loro vita immortale per vendicare la principessa umana. Anche coloro che non avevano subito gli effetti dell’amore avrebbero volentieri consegnato la loro vita per uccidere Morgan.

Quello, tuttavia, era un onore che sarebbe spettato a Hook. Il pirata, nonostante neppure dagli elfi fosse amato per la sua reputazione e per la sua fama, era comunque rispettato. Un rispetto, quello, dettato dal fatto che tutti sapevano che si trattava di colui che aveva posseduto l’amore di Arabelle.

Avere l’amore di una donna del loro popolo, soprattutto se di stirpe reale, era segno di grande nobiltà e valore.

« I tuoi uomini sono tutti pronti, Hook? » chiese Imdal, senza guardarlo negli occhi.

Il pirata annuì lentamente « Si. »

« Allora dovremmo andare, altrimenti avremo dei problemi con la marea. »

Dopo avergli confidato il suo dolore, l’elfo sembra va essersi placato nei suoi confronti. Non che fosse gentile, ma ostentava una sorta di pigra rassegnazione al fatto che entrambi avrebbero dovuto collaborare per raggiungere uno scopo comune. Il giorno del suo arrivo, forse, non avrebbe neppure accettato un’alleanza con lui.

Dal canto suo, Hook non era interessato a chi lo affiancava, ma solo all’obiettivo che gli si stava per parare innanzi. La vendetta: Morgan e Ardet nelle sue mani.

Solo Dio e forse il Demonio sapevano che cosa sarebbe loro accaduto, perché la rabbia di un uomo innamorato non ha limiti. Soprattutto se quell’uomo è Jason Hook e se ha dovuto patire tutte quelle sofferenze senza che avesse modo di lenirle.

« AVANTI, UOMINI! » gridò ai pirati, che levarono un urlo di gioia sanguinaria al pensiero della battaglia. Anche loro volevano che il destino della loro regina fosse vendicato.

Subito dopo di lui, Imdal pronunciò alcune parole in lingua elfica, sicuramente incitando i soldati, perché questi risposero son un esulto pari a quello della ciurma di Hook, levando in alto le sciabole.

Si misero in marcia, camminando abbastanza velocemente, per non perdere tempo inutile. Gli elfi di Memnor, nelle loro armature scintillanti, sembravano stelle del firmamento.

Attraversarono il regno rapidamente, mentre le spose dei soldati si affacciavano alle soglie delle dimore splendenti, per rivolgere loro un ultimo saluto. Sebbene la missione che erano in procinto di compiere fosse molto meno rischiosa di quanto si potesse pensare, era molto probabile che almeno alcuni di loro non avrebbero fatto ritorno nella loro terra.

Alcuni secondi più tardi, Imdal cominciò ad osservare lo sguardo malinconico di Hook.

« Cosa turba i tuoi pensieri, umano? » disse. Stavolta ci fu poco disprezzo nella sua voce, mentre pronunciava la parola umano. E Per questo, il pirata non ci fece caso.

« Vuoi davvero saperlo, elfo? »

Impassibile come sempre, quello replicò « In verità, credo di saperlo. »

Hook non era sicuro. C’era troppo dolore in ciò a cui stava pensando. Se Imdal avesse indovinato i suoi pensieri, non sarebbe rimasto così imperturbabile.

« Stai pensando a Lei. » continuò quello. Effettivamente, Arabelle era al centro dei suoi pensieri come sempre. Hook sapeva che vi sarebbe rimasta in eterno.

« Non smetterò mai di farlo. » Disse a sua volta.

L’elfo restò in silenzio, abbassando lo sguardo per un attimo. Hook tentò di scacciare l’immagine della ragazza dalla sua mente, ma purtroppo non vin riuscì.

« Non cercare di cancellarla dalla tua mente. » disse Imdal, facendolo sobbalzare « Immaginarla ti sarà utile mentre combatti. Ti assicurerà la vittoria. » Stavolta sì che aveva sentito disprezzo e tristezza nella sua voce. Tuttavia, quello che più lo sorprese era il fatto che l’elfo gli avesse letto nel pensiero. Oltre ad essere un fenomeno incredibile, gli fece rammentare Arabelle ancora più nitidamente, visto che lo possedeva anche lei.

« È così che farai tu? » Non potètte fare a meno di ricambiare il suo disprezzo con altrettanta rabbia.

Imdal si fermò, facendo immobilizzare anche i soldati e i pirati che li seguivano a poca distanza. Si voltò verso Hook senza scomporre minimamente i suoi perfetti lineamenti. I suoi occhi parlavano per loro.

« Lei appartiene alla sua gente. » disse in un sussurro, sibilando, quasi « Doveva essere mia! »

« Davvero? » lo sbeffeggiò di rimando il pirata, accecato dalla furia e dal dolore « E cosa ti ha risposto quando glie lo hai detto? »

Un’ombra scura attraversò gli occhi glaciali dell’elfo e Hook comprese di aver toccato un tasto dolente. Chissà cosa aveva risposto la ragazza alla dichiarazione dell’elfo!

« Tu non sai. Non saprai mai. » disse semplicemente l’altro, cercando di trattenersi dall’uccidere all’istante il suo compagno di viaggio. Un elfo non aveva nella sua natura l’istinto di uccidere. Eppure, per Lei, se questo avesse potuto procurargliela, Imdal avrebbe assassinato Hook senza pensarci due volte.

Fu quest’ultimo a fare un cenno del capo ai suoi uomini e a riprendere a camminare in direzione della spiaggia.

Imdal non potè fare altro se non seguirlo un attimo dopo, tentando di recuperare l’autocontrollo tipico della sua razza.

Per evitare di continuare quel discorso infelice, entrambi rimasero in silenzio per diversi minuti.

Il rumore dei loro passi sul sentiero che stavano percorrendo era il solo suono che si poteva udire. C’era una pace, in quelle terre, che Hook non credeva esistesse. Una sensazione simile l’aveva provata solo quando Arabelle era con lui, tra le sue braccia, oppure mentre la stringeva dopo averla fatta sua.

Cosa avrebbe dato per provare ancora quella sensazione!

Oramai erano usciti dal reame di Memnor. Attorno a loro c’erano solo gli alberi, alti e maestosi, che sembravano salutare anche loro il manipolo di combattenti.

Imdal sospirò, « Cosa hai intenzione di fare a coloro che l’hanno uccisa? » chiese, esitante, senza guardare il pirata negli occhi.

Occhi che divennero subito rossi. « Tu cosa faresti? »

Quella risposta parve essere sufficientemente esauriente per l’elfo, il quale annuì e stese le labbra in un sorriso triste.

« Meritano di morire. » continuò Hook « Ma meritano anche di peggio. »

« Cosa vuoi dire, umano? » Imdal sembrava perplesso.

Il pirata rise, isterico. Non era certo una risata gioiosa, ma quella di un uomo che si trovava costretto a rivivere una parte dei suoi ricordi che avrebbe voluto seppellire nell’Inferno.

« Non posso dirlo » confessò, sinceramente « ma potrai leggerlo nella mia mente, non è vero, elfo? »

Imdal annuì quasi impercettibilmente e, prima che Hook potesse anche rendersene conto, penetrò nei suoi ricordi.

In un attimo, la mente dell’elfo trovò in quella di Hook la parola stupro. E fu il caos.

Gli occhi di Imdal si accesero di lampi impossibili da immaginare, il suo grido si levò al di sopra del cielo, mentre i suoi eterei e bellissimi lineamenti si contraevano in una smorfia di rabbia e dolore fino a diventare mostruosi.

Hook fu il solo a restare impassibile davanti a quello spettacolo. E lo fu semplicemente perché l’aspetto e la reazione di Imdal corrispondevano allo stato costante della sua anima.

Elfi e uomini presenti sussultarono e indietreggiarono di alcuni passi, aspettando che quello si calmasse. Ci vollero diversi momenti.

Quando infine fu calmo, fu come se cambiasse improvvisamente. Senza preavviso, così come tutto era iniziato, tutto terminò. I lineamenti dell’elfo tornarono belli come prima, in una trasformazione portentosa.

Si rivolse a Hook, gli occhi ancora furenti « Chi è stato? » Disse a voce piuttosto alta « Chi? »

« Ardet. » rispose prontamente l’altro « Il figlio di Morgan. » Il solo ricordo del suo ultimo incontro con il giovane che aveva osato toccare la sua donna, fece rabbrividire di rabbia il pirata.

« È su quelle navi? »

Hook annuì « Insieme a suo padre. » rispose « Sono loro la causa di tutte le sofferenze della tua principessa. »

« Eder…. » mormorò Imdal, chiudendo gli occhi per cercare di calmarsi. Quando li riaprì era effettivamente più padrone di sé.

Si guardarono intensamente, uno negli occhi dell’altro, per diversi momenti. C’era tutto il mondo in quello sguardo, e non era un mondo bello. Ma soprattutto c’era una promessa.

Una promessa muta, tacita e silenziosa.

Una promessa certa come l’Inferno.

Ardet soffrirà”!

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Capitolo 33
*** Soffrirai-terza parte ***


Soffrirai

Soffrirai

Una volta giunti a riva, non fu difficile intercettare i due velieri, poco distanti dalla spiaggia, in effetti.

Imdal scrutava le vele delle navi con uno sguardo che, se avesse potuto, avrebbe incendiato i tessuti di cui erano fatte, risparmiando loro la fatica di raggiungerle.

Ma Hook non aveva intenzione di rinunciare alla sua vendetta.

Glie lo aveva chiesto Arabelle.

Era stato il suo ultimo desiderio, espresso anche nella lettera.

Ma, soprattutto, lo voleva lui.

Dopo pochi secondi in cui entrambi restarono fermi, quasi immobili nella loro posizione, Imdal si voltò verso il pirata.

« Siamo giunti al momento. »

« Si. » rispose solennemente l’altro.

Un ultimo momento di silenzio, poi l’elfo chiuse improvvisamente gli occhi e mormorò delle parole incomprensibili per Hook e per i pirati della sua ciurma. Si trattava, evidentemente, di una formula o comunque una frase elfica arcaica.

Dopo pochi secondi, le acque della riva si incresparono in maniera molto strana, innaturale, per poi tornare al loro stato originale.

Hook non comprese quello che era successo, e rimase perplesso nel vedere, invece, l’espressione soddisfatta di Imdal.

« Cos’è accaduto? » gli domandò, curioso ed impaziente.

L’elfo si voltò verso di lui e un’espressione di sdegno comparve sui suoi splendidi lineamenti. Il pirata provò l’impulso di sventrarlo in quel preci so istante. Se si trattenne fu soltanto per riguardo alla missione che stavano per compiere e per il fatto che avrebbe significato un affronto a Memnor.

« Non mi aspetto che tu comprenda, umano. » rispose l’altro con voce calma « Perciò il mio consiglio è di fidarti di me e di ripetere le mie mosse. »

Hook ghignò di rabbia, ma una fitta di dolore lo trafisse nel momento in cui gli apparve nuovamente il volto di Arabelle. La rivide morente, tra le sue braccia, mentre lo ringraziava per averla uccisa. Allora non aveva compreso il motivo delle sue parole, ma dopo aver saputo che cosa aveva dovuto passare e cosa ancora avrebbe passato se fosse vissuta, capiva molto più di quanto avrebbe desiderato.

Quando vide che l’elfo si dirigeva verso l’acqua seguito da alcuni suoi soldati, avanzò anche lui, seguendolo come lui stesso gli aveva amabilmente consigliato. Nel momento in cui i loro piedi toccarono l’acqua, il pirata sentì uno strano formicolio invaderlo, partendo dalle gambe e risalendo lungo la spina dorsale. Non comprendendo cosa gli stesse accadendo, guardò Imdal, che, al suo fianco, aveva un ghigno soddisfatto disegnato sulle labbra perfette.

« Cosa diavolo è successo? » chiese senza troppe cerimonie.

L’elfo rise « Guarda davanti a te, umano. La magia è intorno a noi, senza che la tua mente ottusa riesca a percepirla. »

Adirato per l’offesa aperta del suo rivale, Hook ringhiò sommessamente, tuttavia, fece come aveva detto l’elfo. Davanti a lui stavano, effettivamente, una ventina di scialuppe di legno, esili come canoe indiane, ma completamente differenti. Il suo stupore fu davvero grande, perché fino a pochi secondi prima, quelle imbarcazioni non erano state lì. Ne era certo.

« Non possono vederci. » spiegò Imdal indicando i vascelli con un cenno del capo « Il formicolio che hai sentito è dovuto al fatto che sei entrato nella sfera di protezione visiva in cui siamo rinchiusi. »

Finalmente, il pirata comprese che cosa era successo: il movimento dei flutti che, almeno in un primo esame, non aveva portato a nulla, il formicolio…l’apparizione improvvisa delle scialuppe. La magia degli elfi era davvero grande. Hook non potè fare a meno di ammetterlo almeno con se stesso.

Senza profferire parola, tutti i presenti salirono a bordo delle scialuppe e cominciarono ad avanzare verso la Jolly Roger. Il piano era stato ampiamente concordato: i pirati di Hook e i soldati elfici di Imdal avrebbero attaccato entrambe le navi e avrebbero sterminato tutti coloro che vi si trovavano a bordo, fatta eccezione per Morgan e Ardet, che dovevano essere consegnati loro ancora vivi e in buono stato.

Il solo privilegio che Imdal aveva preteso per sé, era di poter assistere e partecipare all’uccisione di coloro che avevano causato morte e sofferenza ad Arabelle. Un privilegio che Hook gli aveva accordato molto volentieri.

Come avevano previsto, nessuno notò la presenza delle scialuppe con loro a bordo, anche se in circostanze normali, non sarebbe stato affatto difficile. Senza alcuna difficoltà, Hook, Imdal e i suoi, scalarono le pareti della Jolly Roger, mentre altri elfi si dirigevano verso l’altra nave. I due comandanti si lanciarono un ultimo sguardo, privo di inimicizia, prima di darsi all’arrembaggio.

Non appena furono sulla Jolly Roger, con un grande balzo, la sorpresa degli uomini di Morgan, che si trovavano quasi tutti sul ponte principale, fu sorprendente e anche soddisfacente per Hook.

E fu sangue.

Un bagno di sangue versato senza pietà.

Sangue e morte.

Hook avanzava tra i nemici, seguito da alcuni dei suoi uomini più fidati, mutilando corpi e tagliano gole con il suo sempre infallibile uncino, tracciando il suo sentiero nel rosso cupo. Alcuni elfi caddero sotto il peso di colpi a tradimento da parte di alcuni dei pirati loro avversari, ma furono veramente pochi. Un niente se paragonati a tutti i corpi che giacevano ai loro piedi.

Il tempo sembrò fermarsi.

Hook aveva tanto sognato quel momento che ora gli pareva irreale, come se si trattasse di un’altra, l’ennesima illusione.

Si rese conto che avevano vinto solamente quando intorno a loro non ci furono che cadaveri e Imdal gridò qualcosa in elfico per celebrare la sconfitta del nemico. Solo allora si permise di respirare profondamente.

Gli apparve il volto di Arabelle, da viva. Gli sorrideva e una lacrima le stava scendendo lentamente lungo il volto pallido e bello. Hook sapeva che era un’allucinazione, ma era talmente reale….talmente vera che fu sul punto di allungare una mano davanti a sé per cercare di toccarla. L’amore per quella creatura celestiale lo aveva cambiato a tal punto! Non sapeva completamente chi fosse quello sconosciuto che si torturava per la morte di una ragazza. Non lo sapeva eppure lo sapeva.

« Abiamo vinto, umano. » Imdal era comparso accanto a lui, distogliendolo dai suoi pensieri e dal suo dolore.

« Si, elfo. Così pare. »

« Ho mandato il resto degli uomini a cercare coloro di cui hai domandato. » lo informò. « Confido che presto saranno qui. » Nella sua voce c’era qualcosa di strano. Qualcosa che Hook non riuscì a definire. Probabilmente si trattava solo di una sua impressione. Del resto, poi, non poteva preoccuparsi della voce del suo rivale quando le sue membra fremevano per il desiderio di vendetta.

« per me il tempo e scaduto, Hook. » sussurrò in modo strano, infine. Stavolta il pirata non potè fare a meno di notare che qualcosa non andava come avrebbe dovuto.

Si voltò verso Imdal « Che cosa vuoi dire? »

La malinconia e il dolore sul volto angelico dell’elfo erano evidenti « Solo che vado via. »

« come sarebbe a dire? »

« È esattamente così. Torno sull’isola. Non hai bisogno di altro da me e dai miei soldati. Non voglio assistere alla tortura dei tuoi nemici. »

Lo stupore di Hook salì totalmente alle stelle « Sono anche i tuoi, Imdal »

L’elfo assunse un’espressione terribilmente triste e malinconica. Hook non avrebbe mai creduto di vedere simili emozioni sul volto perfetto ed immortale di una creatura del genere. « Hai ragione. » ammise « Ma la mia vita non può essere legata, come la tua, alla vendetta. Fino a che non scadranno i cento anni che mi libereranno dal peso del mio povero e sventurato amore, il mio posto è dove riposa la mia compagna, la mia amata. La vendetta sta agli umani. »

Hook avrebbe voluto aggredirlo per il modo in cui continuava a pronunciare con disgusto la parola “ umani ”, ma l’impulso svanì nello stesso istante in cui vide comparire cinque elfi di Imdal che portavano con sé Morgan e Ardet. Allora il suo cuore mutò in pietra e non ebbe che pensieri di vendetta e tortura.

Prima di andare via con i suoi, Imdal si parò davanti ai due prigionieri.

« Per ciò che avete fatto alla mia amata, la mia principessa umana, che la maledizione di tutte le stirpi elfiche possa abbattersi su di voi. Non avrete mai pace in questo e in nessun altro mondo. Siete condannati ed io gioirò nel sapervi tali. » Parole semplici, dirette, sincere. Hook le ammirò e le apprezzò, anche perché per la prima volta comprese fino in fondo a che punto fosse il dolore e la rabbia ceca dell’elfo che, però, diversamente da lui, sapeva come trattenersi.

Morgan e Ardet non fiatarono, semistorditi da quelle che certamente era stato un colpo alla testa ricevuto da poco. Con un ultimo cenno del capo in segno di congedo, Imdal voltò le spalle a Hook e se ne andò, seguito a ruota dai suoi soldati elfici.

I prigionieri furono presi immediatamente da due dei pirati al servizio del capitano addolorato, che, con uno sguardo di profondo odio, rese nota la sua volontà. « Per te, Morgan, che credevo mio amico e che hai tradito me, mio padre e la mia donna, una fine ingloriosa. Quella che meriti. » si rivolse a Spugna, che si era avvicinato poco prima,raggiungendo il suo fianco sinistro « Appendetelo al pennone della mia nave. E fate in modo che vi resti a morire. Ma che non muoia di sete. » Le ultime parole che pronunciò furono quasi maliziose, accompagnate da un ghigno che definire malvagio sarebbe stato riduttivo. « Verrà fatto rifocillare ogni giorno. Saranno gli avvoltoi ed il caldo ad ucciderlo, dopo, naturalmente, che sarà diventato ceco. »

Sentendo quale sorte avrebbe dovuto affrontare, il vecchio lupo di mare tentò di divincolarsi, ma le forti e giovani braccia dell’Africano lo tenevano saldamente.

Hook ghignò nuovamente, poi si rivolse ad Ardet « Quanto a te, mio caro fratello acquisito, il tuo destino sarà poco diverso da quello del tuo amato genitore. » rise, spietato. « Semplicemente, per ciò che hai fatto alla mia donna, pagherai rimanendo per qualche tempo da solo con me….nella mia cabina. »

Fece un cenno con la mano destra ai suoi uomini, che lo intesero come un segnale di azione. Da una parte, Morgan fu portato accanto al pennone, mentre cominciavano ad eseguire la sentenza del capitano, dall’altra, Hook entrava con l’Africano ed Ardet nella sua cabina.

Non appena la porta fu chiusa dietro di loro, sembrò quasi che l’aria stessa fosse impregnata di sangue.

Hook sfoderò la spada e la puntò contro la gola del giovane, che non sembrava più tanto arrogante, ora che non si trovava in posizione di vantaggio. Tremava come una foglia.

« Non sei più tanto sicuro di te stesso, vero? » lo schernì « Lo sei solo quando ti è possibile vincere. »

Ardet non rispose.

« Non parli? Allora rimediamo subito. » Lo sguardo di Hook non aveva nulla di umano. Un demone sarebbe apparso più incline alla pietà, in quel momento. Con una stoccata da maestro, gli recise una mano. La sinistra. Proprio la stessa che era stata tolta a lui da Pan.

Il grido di dolore di Ardet squarciò il cielo, mentre si chinava e si piegava su se stesso, stringendo il moncherino sanguinante con la mano sana.

Hook rise, ebbro di piacere sadico « Al contrario di me…tu non saprai mai se una qualche donna riuscirà a non provare ribrezzo per il tuo braccio. » Il dolore affiorò per un istante attraverso la furia. Abbassò il tono di voce « Lei mi amava. Capisci? » Sembrava stordito dal suo stesso ricordo, ma no aveva abbassato la guardia. Non si vergognò neppure di mostrare il lato debole della sua anima davanti all’Africano « Lei amava anche questo, di me. » alzò il braccio con l’uncino « Ha baciato la mia ferita, l’ha guarita con le sue labbra. » Gli sfuggì un singhiozzo, poi il dolore svanì e tornò ad essere il corsaro furioso e vendicativo « Ma tu hai violato le sue labbra. Il suo corpo. » gridò le ultime parole, sfregiandogli il volto con un’altra stoccata.

Ardet continuava a gridare senza ritegno.

« L’hai violentata. Le sue tenere carni buone, fiere e nobili, tu le hai sporcate con le tue mani…e con i tuoi fluidi impregnati di tradimento almeno quanto il tuo sangue!!! »

Gli tagliò anche la mano destra, poi, quasi subito dopo, lo afferrò per i capelli, facendogli inclinare la testa di lato. Il suo orecchio destro volò insieme alle sue mani inerti, sul pavimento.

Oramai, il giovane aveva smesso di gridare. Lo shock del dolore lo aveva reso insensibile alle sensazioni corporee, ma non alla paura. E Hook, in quel momento, sembrava uscito dall’inferno.

« Arabelle non meritava ciò che le hai fatto. » strepitò, fuori di « Neppure il tuo lurido sguardo doveva profanarla! »

Per la prima volta, Aret rise « E perché, Jason, tu eri degno di lei? »

Hook rimase sorpreso dalle parole del giovane, che sembrava tornato arrogante e sicuro. Forse era a causa del dolore.

Nel frattempo, egli proseguì « Tu l’hai toccata. L’hai violata almeno quanto me. »

« NO! » gridò Hook, furioso « lei mi voleva quanto io volevo lei. Invece tu l’hai stuprata. »

Con la spada, gli tagliò un lembo di pelle sopra il ginocchio, facendolo gemere di sofferenza.

« Ed è stata una bellissima notte, quella. » disse Ardet, una volta recuperata la voce.

Per un attimo, Hook fu sul punto di tagliargli la gola per mettere a tacere quella sua lingua bugiarda e serpentina. Tuttavia si fermò appena in tempo. Ghignò, soddisfatto.

« Vedo che i miei giochi funzionano…. Ma è inutile che mi provochi. Non riuscirai ad indurmi ad ucciderti e a lenire così le tue sofferenze. » gli diede una pacca sulla spalla prima di costringerlo ad aprire la bocca « Il bello deve ancora venite, Ardet. »

Con una mossa fulminea, prese lo stiletto che portava nello stivale e glie lo infilò in bocca. Ardet gridò e rigettò sul pavimento una piccola cosa sanguinolenta.

La sua lingua.

La risata di Hook fece rizzare peli persino all’Africano, che non aveva finora fatto una piega. « Almeno così non dorò più sentire le tue chiacchiere inutili. »

Gli si parò innanzi « Ora possiamo continuare la nostra conversazione. »

Mezz’ora dopo, quasi, Ardet era ridotto ad una cosa sanguinolenta sul pavimento della cabina di Hook. Gemeva e si contorceva nell’agonia, ma era ancora vivo e senziente. La morte lo attendeva sul pennone, insieme al padre.

Terminata la sua opera, Hook ordinò all’Africano di condurlo fuori e di issarlo al pennone. Lui, invece rimase a fissare il mare. Il suo cuore aveva trovato sollievo nella vendetta, ma la morte di Arabelle era ancora insopportabile. Lo sarebbe stata per sempre.

Non poteva evitarlo.

Gli apparve nuovamente il suo viso, sorridente. Allora non potè fare a meno di pensare ancora a cosa Ardet le aveva fatto.

E agì.

« Fermo. » ordinò all’uomo che stava issando Ardet « Portalo più giu. »

Senza chiedere spiegazioni, il pirata eseguì l’ordine.

Quando il giovane fu alla giusta altezza, Hook armeggiò con il suo stiletto per alcuni secondi e di nuovo Ardet gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.

Quando si voltò e si scansò, il capitano teneva tra le mani della carne irriconoscibile, mescolata a tessuto.

Ardet, dietro di lui, aveva l’inguine sanguinante e piatto.

Con una furia ceca negli occhi, Hook alzò il suo macabro trofeo. Gli attributi che avevano violato il suo amore. La ciurma lo guardava basita.

Hook ansimava, stringendo la carne ancora viva e rossa « Per Arabelle! ».

Ardet fu issato subito dopo che il suo grido di trionfo si spense.

Scusate scusate scusate il ritardo!!!!! Ho avuto un sacco da fare negli ultimi giorni. Perdonatemi.

Anche se un po’ corto spero vi sia piaciuto. Perdonate eventuali errori dovuti alla fretta….

Ringrazio tutti i lettori.

Kucchi mi auguro che le morti siano state atrici a sufficienza per ciò che avevano fatto….fammi sapere.

Aspetto le vostre recensioni. Mi raccomando.

Baci anche a Elentari, Thiliol, Guido e Aya chan. Mi dite che ne pensate? Smack.

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Capitolo 34
*** Un amore eterno ***


Un amore eterno

Un amore eterno

La Jolly Roger era semideserta. Gli uomini non erano sul ponte,in parte indotti a distendersi sottocoperta dalla stanchezza, in parte semplicemente inorriditi dallo spettacolo macabro che ornava il bel veliero.

Ardet e Morgan erano ancora appesi là dove Hook aveva ordinato.

Due giorni.

Erano trascorsi due giorni dalla carneficina che aveva avuto luogo su quel legno e il lezzo dei corpi in stato di inizio di putrefazione cominciava a farsi sentire. Nessuno era in grado di sopportarlo a bordo della nave. Quello che era accaduto era stato troppo doloroso, troppo intenso ed insensato perché uno solo dei filibustieri resistesse all’ennesima atrocità.

Solamente Jason Hook, imperterrito, rimaneva sul ponte principale.

Nel suo sguardo freddo come il ghiaccio non c’era più un briciolo d’umanità, né di vita. Era vuoto, prosciugato dall’interno come un frutto maturo mangiato con il cucchiaio, di cui rimane solamente la buccia. Non aveva quasi mangiato da quando aveva ottenuto la sua vendetta. La maggior parte del tempo la trascorreva a fissare i corpi pendenti ed esangui, orribilmente mutilati.

Nell’area appena sotto di loro si era formata una piccola macchia scura, frutto del sangue che era caduto a terra da loro e poi si era seccato.

Morte

Desolazione.

Tutto ciò che sembrava regnare sulla Jolly Roger era il silenzio tipico dei cimiteri. Eppure Hook sembrava sereno, seppure spento. Non era minimamente turbato dalla vista dei cadaveri, né dal loro puzzo. Neppure la sua stessa trascuratezza lo smuoveva.

Di tanto in tanto passeggiava avanti e indietro sul ponte. Da sottocoperta gli uomini lo sentivano, quando faceva così. Allora interrompevano qualunque attività e rivolgevano al soffitto i loro sguardi, cercando di comprendere e, se possibile aiutare il loro capitano.

Perché, come avevano compreso dalla venuta Di Arabelle, anche lui era umano.

E gli umani soffrono.

Quella sera, tuttavia, Hook non camminò. Era immobile come gli stessi cadaveri che guardava tanto intensamente. Spostò lo sguardo sul mare, che era calmo e sereno, ornato dall’oro rosso degli ultimi raggi del giorno. Il sole, infatti, faceva appena capolino all’orizzonte.

« Ora sei vendicata, amore mio. » per la prima volta, dopo due giorni, anche se molto piano, parlò. « Li vedi? Sono morti. Come te. Ma tu non li vedrai, perché loro sono all’inferno, mentre tu, invece, se davvero esiste qualcosa di simile al paradiso, è lì che ti trovi certamente. » Due lacrime gli rigarono le guance e per un po’ la voce gli si incrinò. Aveva sul volto un’espressione talmente tenera e disperata da apparire quasi grottesca sui suoi tratti aristocratici e forti abituati a minacciare.

« Li vedi? Hanno pagato e tu hai il tuo riposo. Ma io? » singhiozzò sommessamente « Cosa ne sarà di me? Non posso continuare a vivere senza di te. So che sembra una frase impossibile da pronunciare per me, Ma è così. Il Diavolo mi è testimone: non sono mai stato un vigliacco. Ma se non ho paura di affrontare le fiamme dell’Inferno, ho paura di vivere senza di te. Una vita immortale, tra l’altro. »

Si piegò su se stesso e pianse. Pianse per diversi minuti, come un bambino. Come quei marmocchi pulciosi che lui detestava tanto. Ma nessuno ci sarebbe stato per consolarlo. La mano gentile di Arabelle non si sarebbe più posata sulla sua semiruvida pelle di uomo. Non carnefice, non mostro, non crudele assassino. Uomo. Solamente quello eppure anche tutto il resto.

Un uomo della sua risma che in quel momento era ridotto ad una cosa piagnucolante distrutta. E desiderava solo un tocco, un bacio, uno sguardo. Eppure molto, molto di più.

« Dimmi che ci sei, Arabelle. Torna da me. » sussurrò, guardandosi intorno come se si aspettasse di vederla apparire da un momento all’altro. « Torna da me come facesti quella notte prima della mia battaglia. Non ho sognato, e Imdal me ne diede la conferma. Tu eri con me. » pianse ancora, poi si rialzò, improvvisamente rinvigorito dalla speranza.

« Torna da me! » chiese, supplichevole « TORNA DA ME! » stavolta lo gridò, con tutto il fiato che aveva in corpo.

Non accadde nulla.

Di nuovo dolce e supplichevole, egli proseguì il suo monologo, rivolgendosi ad uno spirito che, oramai non poteva più sentirlo.

« Sei crudele, amore mio. » disse, quasi ridendo, isterico « Lo sei sempre stata in un certo senso, ma ti ho amata anche per questo. Ma ora lo sei più di quanto posso sopportare. » Sembrava che si stesse davvero rivolgendo con dolorosa stizza a qualcuno che si trovava lì. Era tutto talmente reale che Arabelle sembrava prendere davvero forma.

« Torna da me…. » continuò a sussurrare il pirata, con la desolazione negli occhi color acciaio. Era come una nenia.

Dopo molti secondi, Hook alzò il capo, fiero e indomito, animato da una strana e sinistra luce interiore « E sia! » esclamò, in preda al delirio « Se non vuoi tornare da me, allora verrò io da te. » Cominciò a muovere grandi passi verso la sua cabina « Romperò la promessa, amore mio, perché non sono in grado di portarla a termine. Non ce la faccio. »

In pochi secondi, fu davanti al suo scrittoio, intento ad aprirne un cassetto, le dita aristocratiche tremanti e pallide. Estrasse una bottiglietta trasparente, poco più grande di una fiala, che conteneva un liquido rosso.

Chiunque avrebbe riconosciuto il contenuto. Veleno. Il veleno mortale di Hook, distillato dai suoi stesso occhi rossi, quando piangeva.

Il pirata fissò per alcuni istanti quella fialetta come se fosse stata la sua salvezza. Lo sguardo dell’affamato che vede il cibo dopo giorni di digiuno. Lo sguardo del desiderio folle di chi guarda la morte e vede la sua unica speranza di vita.

« Arabelle….» sussurrò amorevolmente « Mia dolce, intrepida, splendida creatura. Sto venendo da te. » si arrestò per asciugarsi le lacrime e darsi un contegno. Persino in quell’istante teneva alla sua immagine. Un capo era e un capo avrebbe dovuto essere anche di fronte all’oblio. « Che questo veleno, che io stesso ho distillato, possa darmi la morte. E se non potrò stare con la mia donna neppure come spirito, che Lucifero mi prenda pure. Perché il mio amore non avrà mai fine. »

Sollevò la fiala mortale e la stappò.

« Il mio amore è stato unico e sempre lo sarà. Non c’è speranza per me. »

L’avvicinò alla bocca, con lentezza esasperante.

« Perché ho perduto il mio amore eterno. »

E con una sola sorsata, Jason Hook inghiottì l’intero, mortale contenuto della fiala.

Lo so che il chap è un po’ corto e anche molto in ritardo. Scusatemi tanto. Prevedo di scrivere presto per aggiornare la mia storia e mi auguro che non abbiate perduto interesse a causa della lunga attesa.

Recensite, per favore, perché mi fa molto piacere sentire i vostri pareri. Baci baci.

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Capitolo 35
*** Vita e morte ***


Vita e morte

Vita e morte

Attese.

Rimase immobile, con il volto livido e gli occhi chiusi, aspettando che il veleno facesse il suo corso e gli desse finalmente la morte. Sapeva bene che non ci volevano che pochi secondi, tanto era efficace. In quei pochi attimi di vita che ancora gli rimanevano, fissò nella mente il volto di Arabelle, magnifico in vita così come nella morte. Per la prima volta nella sua vita, Jason Hook pregò.

Per la verità, non sapeva bene neppure lui chi stesse pregando. Dio, il Diavolo… gli antenati..gli spiriti venerati dalle fate dell’isola…

Che importanza aveva? Pregò perché gli fosse concesso di ritrovarLa, di averla di nuovo accanto a sé, almeno nel luogo in cui si fosse trovato.

Mentre i secondi passavano, tuttavia, intento com’era a pregare e a immaginare, non si rese conto che il tempo in cui il veleno avrebbe dovuto agire era passato oramai da almeno due minuti. E non avvertiva neppure alcun sintomo di malessere.

Quando se ne accorse, finalmente, aprì gli occhi di scatto e corrugò la fronte, per un attimo dimentico del dolore. Non accadeva nulla. Attese ancora, ma non diede nessun segno di effetto.

Di scatto, riprese in mano la fiala, controllando che fosse veramente quella in cui teneva il veleno. La sua inefficacia lo aveva sbalordito al punto di dubitare persino di sé stesso. Ma la fiala era quella giusta, e anche il sapore del veleno lo rendeva familiare, perché era dolce e vagamente salato.

“Distillato dai suoi stessi occhi rossi, quando piangeva.” Il sapore delle lacrime era inconfondibile, quindi per quale dannata ragione non aveva funzionato?

Con una furia degna di una tigre, Hook si alzò di scatto in piedi e lanciò la fiala vuota sul muro, fracassandola in mille piccoli frammenti. Con un grido animalesco tirò un pugno proprio accanto al punto esatto dove si era infranta la boccetta.

« Allora è così? » gridò, in preda alla follia e all’incomprensione « Non mi è permesso di stare con lei neppure in questo modo? Nemmeno la morte mi vuole? » camminò avanti e indietro come una tigre in gabbia, gli occhi che cominciavano a diventare rossi per la rabbia « Perché? Dannazione, perché? Non posso morire? Eppure non sono stato immune agli artigli del coccodrillo o alla spada di Pan. »

Nessuna riflessione, tuttavia, gli portò consiglio o soluzione. Il suo mortale veleno, infallibile con chiunque lo avesse accidentalmente o deliberatamente bevuto, era stato inutile con lui. E non riusciva a trovarne la ragione. Forse non esisteva neppure, quella ragione.

Arrabbiato con se stesso e con il mondo intero che non gli aveva neppure permesso di morire da uomo d’onore, allungò la mano verso lo stiletto dal manico ornato di gemme che teneva sul tavolo. Posizionò la punta sul cuore e fece un respiro profondo, preparandosi a colpire con tutta la forza che aveva.

E la morte venne.

Venne, ma non nel modo in cui il fiero pirata si sarebbe aspettato.

I suoi sensi si acuirono immediatamente, captando il suono appena in tempo, un attimo prima di affondare la lama nelle carni.

« NO!!! »

Era stato un momento. Un momento solo. Per diversi secondi rimase immobile, frastornato, folle, incapace di dire o fare qualunque cosa. Gli occhi gli saettarono automaticamente a destra e a sinistra. Non poteva essere.

Senza dubbio la follia aveva preso il sopravvento sulla sua povera mente innamorata, perché ciò che aveva sentito non poteva essere reale.

La voce che aveva sentito era inconfondibile, tuttavia. Era una bellissima voce femminile. La voce del suo amore.

Era forse possibile? Possibile, in qualche modo, che Arabelle stesse cercando di fermarlo dall’oltretomba dal compiere quell’atto che lei non avrebbe approvato?

Hook non lo sapeva, ma chiuse gli occhi, respirando piano, grato fino in fondo all’anima per aver potuto udire ancora una volta quel tono melodioso, che aveva amato in ogni momento. Ogni momento, da quando avevano litigato nel castello a quando l’aveva udito modulare gemiti e sussurri d’amore.

Poi si rese completamente conto del fatto che qualcosa non stava andando secondo quella che si poteva definire la normalità. Infatti, sulla nave era calato un silenzio profondo e immobile, come se il tempo si fosse fermato per magia. Infatti, anche se i suoi uomini si trovavano sottocoperta, i loro movimenti e le parole che pronunciavano si udivano abbastanza chiaramente dal ponte e dalla cabina del comandante.

Ora nulla su muoveva.

L’intera nave sembrava completamente morta.

Hook, perplesso, si alzò in piedi con l’intenzione di andare a controllare il ponte, ma fece appena due passi che dovette sorreggersi allo scrittoio per non crollare dall’emozione.

Tu che sei il mio respiro

Mi mantieni in vita.

Nonostante la morte sia su di noi

Sono tornata da te.

Le stagioni possono cambiare

Il mare muterà le sue correnti

Ma io sarò ancora qui per te

Tornerò per te.

Quel canto aleggiava nell’aria in maniera strana, spettrale e misteriosa. Erano parole italiane, che il pirata conosceva perché componevano il corpo di una ballata famosa all’epoca delle sue scorrerie sulla Terra. Molte volte l’aveva udita intonare o anche cantare durante le sue visite in quei lidi.

Eppure adesso sembravano un richiamo alla morte.

C’era un legame troppo stretto tra quella canzone e le parole che aveva rivolto appena poco tempo prima allo spettro della sua amata. Rammentava perfettamente la richiesta di tornare che le aveva rivolto con rabbia ed amore. E inoltre, la voce era quella di Lei. Non aveva dubbi su questo. Persino la leggera sfumatura dell’imitazione delle sirene qui mancava, dandogli la certezza di qualcosa di impossibile,ma c’era comunque qualcosa di non chiaro.

Se possibile, infatti, quella voce pareva ancora più limpida e perfetta di quando l’aveva udita l’ultima volta.

Come tu hai chiesto

Come io ti ho chiesto

Sono tornata da te

Attraverso il mare e le selve dell’oblio

Hook rammentò, allora, quella terribile notte e quell’alba ancora più atroce, quando la battaglia era imminente ed Arabelle, pur sapendo cosa l’aspettava, aveva temuto per lui. Gli aveva chiesto di tornare da lei.

Quale canzone, quale melodia sarebbe stata più appropriata?

Mi vedi?

Mi senti amore mio?

Non stai sognando, è ancora giorno

Ed io sono qui.

Non poteva essere reale. Doveva essere senza dubbio impazzito. Oppure finalmente il veleno aveva fatto effetto e quello era l’inferno che gli era stato riservato. E la pena, davvero, non avrebbe potuto essere più atroce.

Ci vollero alcuni istanti prima che il pirata riprendesse una parte delle forze perdute. Seguirono alcune strofe che non udì neppure, intento a sentire lacrime tiepide scendergli sulle guance.

Ma erano lacrime dolci.

Erano lacrime del tutto prive di colore.

Raccolse tutto il coraggio che era rimasto in fondo al suo povero cuore e mosse alcuni, incerti passi verso la porta dei suoi appartamenti. La raggiunse con le membra che gli tremavano di impazienza. Che cosa ci sarebbe stato ad attenderlo una volta spalancata quella soglia? Fuoco e fiamme? Diavoli dalla coda biforcuta che lo deridevano mentre aleggiava la canzone con la voce di Arabelle? Pur di continuare ad ascoltare Quella voce, Jason Hook era pronto ad affrontare anche quello.

Il mio canto suona per te

E sempre suonerà

Nella vita e nella morte, mai cesserà

Ed ora lo odi perché sono tornata da te.

Come tu hai chiesto

Come io ti ho chiesto

Attraverso il mare e le selve dell’oblio

Sono tornata da te.

L’ultima nota echeggiò a lungo. Hook aveva il timore di spezzare quel prezioso incanto aprendo la porta, perciò attese fino a che nell’aria non tornò quell’innaturale silenzio.

Infine, la soglia si aprì davanti a lui.

Ciò che vide lo sconvolse, perché non gli pareva di avere udito alcun suono. Invece, tutti i pirati della sua ciurma stavano in piedi sul ponte, immobili e sbalorditi, guardandosi intorno come in preda a grande confusione.

« Capitano… » fu un sussurro lieve quello emesso da Spugna. Il fedele Spugna che, anche in quella circostanza, come per magia, si trovava a pochi passi dal suo spietato comandante.

Hook, però non lo udì, perché, guardandosi intorno anche lui, cercando di comprendere la situazione, vide qualcosa, sulla spiaggia, che attirò completamente la sua attenzione.

Qualcosa di luminoso, che spiccava contro il verde cupo della foresta della terra degli elfi. Qualcosa di terribilmente familiare…..

Non fece in tempo a domandarsi alcunché, perché udì nuovamente la strana voce echeggiante, poco più di un sussurro, proprio accanto al suo orecchio destro.

« Vedo le salme della mia vendetta, Jason Hook. Ti ringrazio per questa vista che guarisce le mie pene. » Non può descriversi lo stupore che si dipinse sul volto del pirata, né tantomeno il tremore che si era impossessato di tutte le sue membra. La voce era di Arabelle, su questo non c’era alcun dubbio, ma sembrava la voce d un fantasma. Un uomo superstizioso quale lui era avrebbe avuto terrore, ma se si trattava dello spettro della sua donna, non avrebbe temuto nulla.

Di nuovo, la voce parlò « Non esitare, adesso. Devi prendere una decisione. »

« Quale? » la domanda, appena un mormorio, uscì dalle labbra fiere dell’uomo quasi senza che lui se ne rendesse conto.

Era una risata, o meglio l’eco di una risata, quella che aveva sentito per un istante?

« Apri il tuo cuore, Jason. » disse la voce « Se dentro di te c’è ancora fede in qualcosa, riprenditi la tua vita, altrimenti, accetta la morte. Ma a cosa ti porterà? »

Hook era frastornato, completamente privo della ragione, della capacità di reagire. Per la verità non comprendeva appieno nemmeno le parole che aveva appena udito. Si trattava forse di un enigma di sorta?

Ciò nonostante, diede la risposta che riteneva giusta « Mi porterà da te…… » sussurrò lievemente.

Attorno a lui i pirati erano stupiti quasi quanto lui. Non comprendevano cosa stava accadendo e tenevano gli occhi puntati sul comandante. Pareva che credessero lui possedesse la risposta a quel mistero.

« Ne sei certo, Jason? » chiese la voce, con un tono così enigmatico da far quasi perdere la testa all’uomo folle d’amore. Ora aveva perduto anche quell’ultima certezza che aveva. « Cerca nel tuo cuore. Non lasciare che si congeli ancora. »

Stavolta riconobbe chiaramente l’accento di Arabelle in quelle strane parole. Il suo cuore palpitò e Hook si sentì quasi svenire. L’eco dell’ultima frase aleggiava ancora nell’aria mentre lui chiudeva lentamente gli occhi e cominciava a respirare profondamente.

Mentre rimaneva in quella posizione, incurante totalmente degli sguardi confusi e allibiti dei suoi uomini, sentì come se una brezza lievissima gli accarezzasse la pelle. In quel momento, il suo cuore sembrò trovare la pace, ascoltando il silenzio e concentrandosi sulla voce tanto amata. Una sensazione del genere non l’aveva davvero mai provata in vita sua. E finalmente comprese.

Aprì gli occhi di scatto e li fissò su quella strana sagoma luminosa che aveva scorto sullo sfondo della foresta. I contorni gli parvero diventare sempre più nitidi, mano a mano che la guardava…. Ma non sapeva spiegarsene la ragione, visto che si trovava troppo distante perché potesse distinguerla. Per un istante sentì la magia operare tra lui e la misteriosa figura.

E dopo pochi secondi, sentì il cuore fermarsi nel vedere delinearsi il volto di Arabelle, sorridente e bellissima. Ebbe una fugace visione di una veste bianca che l’avvolgeva, ma stranamente non riuscì a coglierne i particolari come aveva fatto con il viso.

Poi la vide sorridere ancora di più e sentì le viscere fare capriole nel suo ventre. E la voce si fece nuovamente udire, ma stavolta vide chiaramente le labbra della ragazza, o qualunque cosa fosse al momento, muoversi e pronunciare quelle parole.

« Cosa aspetti a venire da me, Jason Hook? » un invito, questo, che fu per lui più sconvolgente di qualunque cosa. Se gli avessero sparato nel pieno del petto in quell’istante, sarebbe stato meno sorpreso.

Vedendo che non accennava a muoversi, Arabelle continuò, ridendo piano « Un uomo come te non avrà certo paura di un fantasma… »

Fu allora che il pirata lanciò un grido di gioia appena trattenuto. L’aveva schernito come era solita fare nel castello nero, quando aveva curato le sue ferite. Tutte le sue ferite.

Non poteva non essere lei. La sua regina. Nessun’altro avrebbe potuto parlargli in quel modo.

Senza riflettere oltre, sotto lo sguardo allarmato della sua ciurma, salì sul bordo della prua della sua nave e si gettò in acqua con un tuffo perfetto. Scomparve tra i flutti per riemergere pochi metri più avanti. Nuotava come se ne andasse della sua vita, e in un certo senso era davvero così.

Ogni bracciata lo portava sempre più vicino alla meta desiderata, più vicino alla sua sola speranza di vita. La salvezza dalla follia del dolore era a soli pochi metri da lui quando la vide muovere dei passi verso la sua direzione. Quando finalmente si alzò…gocciolante sulla spiaggia, si trovò a pochi metri da lei e vide che era reale. Regale, magnifica. Più bella di come la ricordava.

La guardò con desiderio disperato…come un assetato nel deserto che giunge ad un’oasi piena di acqua.

Potè vederla attentamente, adesso. Indossava la veste bianca con cui era stata adagiata tra i dormienti. Le fluttuava intorno come un’aura splendente. La vita alta, stile impero evidenziava il suo seno perfetto e alto, mentre le maniche arrivavano al gomito e poi si allargavano e allungavano fin quasi a toccare terra, mettendo in mostra le sue braccia bianche e delicate.

I capelli sciolti ondeggiavano con il vento lieve che soffiava intorno a loro. Nessun angelo…..nessuna visione avrebbe mai potuto essere più bella.

E lei, ora era reale, vera e corporea. Non era una visione come quella che aveva avuto nel palazzo di Memnor. Molto, molto di più.

Si fermò a due metri da lei, incapace di proseguire oltre. Vide che sorrideva dolcemente, felice. Ma era sempre la sua Arabelle, con la determinazione di una leonessa e il carattere forte della principessa che era.

La riconobbe completamente solo allora, leggendo tutto questo nei suoi occhi splendenti.

Non resistette oltre.

Si slanciò come una tigre verso di lei, con furia quasi rabbiosa, e l’afferrò stringendosela furiosamente al petto. Si lasciò cadere in ginocchio insieme a lei, sulla spiaggia, abbandonandosi a violenti singhiozzi. Arabelle ricambiò il suo abbraccio con la dolce forza che Hook ricordava e questo lo fece gioire immensamente. Erano tutte conferme del fatto che lei era davvero lì.

« Oddio….. » disse, poco più di un sussurro, stringendo la ragazza sempre più forte, come se qualcuno, da un momento all’altro, avesse potuto portargliela via. « Oddio, oddio, oddio. »

Arabelle rimase in silenzio, accarezzandogli la schiena e sorridendo. Dai suoi occhi scesero due sole lacrime solitarie, ma il sorriso non abbandonò mai le sue labbra.

Attesero alcuni istanti che il pirata calmasse i suoi singhiozzi, che lo avevano scosso come se la sua tempra non fosse stata altro che una menzogna. Ci vollero diversi minuti prima che Hook recuperasse il controllo di sé, ma infine Arabelle riuscì a staccarsi dalla sua stretta quel tanto che bastava per guardarlo in volto, amorevolmente.

« Amore mio….. » gli sussurrò lievemente, cercando di svegliarlo da quello stato di shock e contemporaneamente confessandogli ancora una volta ciò che provava.

Hook rimase quasi immobile, fissandola sempre con quello sguardo folle d’amore e passione, mentre imprimeva ogni dettaglio della fisionomia di lei, già chiara nel suo cuore come nella sua mente.

« Che Lucifero mi porti con sé, Arabelle! » esclamò Hook « Tu sei… reale! » La sua esclamazione avrebbe potuto sembrare ironica, come quelle che faceva quando comandava la nave più temuta del mondo che non c’è, e combatteva contro Pan, senza la presenza di una donna. Ma non era così. Il suo sussurro appena percettibile era stato accompagnato da lacrime trattenute e da uno sguardo così estraneo alla sua abituale fisionomia, da risultare quasi assurdo.

Arabelle non fece in tempo a rispondergli, perché Hook, in un lampo le aveva afferrato il capo con gesto risoluto e aveva premuto con forza le labbra su quelle di lei, stringendola poi nuovamente a sé. Quel bacio non era principalmente una dimostrazione d’affetto, ma piuttosto una prova concreta, più fisica, della presenza di Arbelle davanti a lui.

Lui che ancora non riusciva a capacitarsene……. Che ancora sospettava…. Che ancora non riusciva a trovare la fede necessaria a dare tregua alla sua povera anima ferita.

Probabilmente, aveva pensato, baciandola avrebbe avuto la certezza che non riusciva a trovare altrimenti.

Quando quel contatto terminò, I due rimasero qualche istante a guardarsi negli occhi, ancora incerti, ancora impauriti. Arabelle sorrideva ancora, tentando di infondergli maggiore scurezza, ma anche lei era sopraffatta dall’emozione. Semplicemente, forse la sua posizione era più semplice da sopportare di quella dell’uomo.

Recuperato un po’ di se stesso, Hook parlò nuovamente tentando di dominarsi « Ora mi dirai, dannata ragazza, come fai ad essere qui davanti a me. » qui la strinse di nuovo « E Lucifero sa se ne sono grato! » aggiunse in un sussurro.

Arabelle sorrise ancora di più e fu lei a baciarlo, stavolta. Un tocco lieve, carezzevole, delle labbra rosee e fresche che il pirata amava tanto.

E che gli fece quasi perdere i sensi.

« Sono qui…. Sono vera. » gli disse poi, rassicurante e bella « E stavolta è per sempre. »

Hook cominciava a recuperare quasi completamente se stesso. La sua mente e il suo cuore vivevano completamente dipendenti da Arabelle, oramai, e se lei era lì, poteva guarire anche dal baratro della follia.

« Ma…come…? » provò a dire. Arabelle, però, lo zittì scuotendo la testa dolcemente. Ora sorrideva meno, ma il suo sguardo valeva più di qualunque sorriso potesse fare. Amore, passione, malinconia, regnavano in quegli occhi luminosi come tiranni la cui autorità li rendeva schiavi.

« Avrai modo di saperlo. » rispose.

Hook la osservò attentamente, mentre parlava. Era un velo di tristezza quello che le aveva attraversato lo sguardo? Se era così…svanì quasi subito.

Ella gli prese il volto tra le mani fresche e dolci « Ma abbiamo tempo, Jason. Non credi? » sospirò profondamente, mentre Hook sentiva il cuore accelerare violentemente il battito.

Quelle parole erano una promessa di calore umano, di amore, che nessun uomo nella posizione del pirata avrebbe mai potuto respingere. C’era tutta la disperazione della separazione in quelle parole. Ed effettivamente, il tempo sarebbe stato generoso con loro anche se avessero atteso qualche ora per le spiegazioni.

In fondo, cos’erano le spiegazioni di fronte alla resurrezione?

Nient’altro che semplici cavilli da affrontare una volta stemperate gioia e sorpresa.

Arabelle gli volò tra le braccia come se attratta da forze invisibili. Hook la strinse con impeto e la sollevò da terra, felice. Si sentiva leggero, un’anima pressata in un corpo troppo pesante.

Lanciò un segnale alla Jolly Roger che, già, previdente, aveva cominciato a muovere verso la spiaggia. Senza lasciarsi neppure per un istante, salirono sulla nave, aiutati dagli uomini di Hook, che non osavano profferire parola di fronte a quella scena tanto sconvolgente quanto commovente. Anche loro compresero ch le domande sarebbero potute essere riservate ad un altro tempo, più consono.

Arabelle, eterea, piccola e leggera tra le braccia dell’amante, raggiunse in tempi brevissimi il letto che troppe poche volte avevano condiviso insieme. Arrivati lì, i loro movimenti divennero lievissimi, colmi di meraviglia per quel contatto ritrovato. Ella riusciva però a trattenere l’emozione molto più dell’uomo, anche se si sarebbe potuto dire l’opposto.

Si spogliarono gentilmente, dolcemente, concedendosi tutto il tempo di cui avevano bisogno per guardarsi, riscoprirsi. Hook levigò con le grandi mani ogni parte del corpo della sua donna, aggrappandosi alle sue esili spalle come se potesse sorreggerlo. Arabelle applicò le labbra al petto di lui. Una carezza lievissima, che percorse le clavicole, l’incavo dello sterno, il collo e la mascella, fino a giungere sulle labbra che ricambiarono il bacio.

A quel punto, ogni controllo perse forma e i loro movimenti divennero più urgenti. Ogni bacio che Hook posava sul suo amore, gli restituiva un po’ della vita che lo aveva abbandonato negli ultimi giorni di pena. Ogni brivido di piacere lo riportava in quel paradiso proibito che credeva di avere perduto per sempre.

« Amore mio! » esclamò, quasi senza fiato, mentre si sdraiava sopra di lei, attentamente. Lo sguardo che lei gli restituì lo calmò come se la tempesta del suo cuore avesse ritrovato la pace. Nel contempo, lo inondò di una passione senza fine che lo portò a spingersi dentro di lei, costringendola ad inarcarsi contro il suo petto. Si strinsero quanto più poterono, baciandosi e respirando l’alito dell’altro. Ritrovarono molte volte la loro casa, l’amore e la tregua da rabbia ed odio.

Fino al mattino seguente, entrambi, da morti diverse ma altrettanto terribili, tornarono alla vita.

Finalmente sono riuscita a postare nuovamente. Chiedo scusa per il ritardo, ma tra vacanze, malattia e cose da fare ho avuto davvero poco tempo.

Ringrazio come sempre sia i semplici lettori che coloro che trovano un po’ di tempo per lasciarmi un commento.

In particolare, quindi, mi rivolgo a kucchi, Elentari, Thiliol, aya chan.

Spero che anche questo chap vi piaccia. Perdonate eventuali errori di battuta e spero lascerete un commento anche stavolta.

Come sempre, baci

Masked_lady

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Capitolo 36
*** Risposte ***


Risposte

Risposte

 

Quando il sole si fu levato all’orizzonte, i suoi raggi penetrarono gentilmente attraverso il vetro della grande finestra della camera di Jason Hook. Egli giaceva disteso accanto alla sua donna, stringendola a sé con forza quasi esagerata per permettere che lei si addormentasse. Eppure da ore respirava lievemente contro il petto dell’amante, incurante della stretta convulsa.

Hook invece, non era riuscito a prendere sonno. Per tutta la notte si erano uniti, consumando passione e dolore, liberandosi del dubbio della reale presenza dell’altro. Stranamente, però, rispetto a lui, Arabelle sembrava più serena, più calma. Il pirata era certo che quel comportamento fosse dovuto al fatto che lei sapesse più di lui riguardo agli eventi delle ultime ventiquattr’ore.

Ma non aveva fretta, perché sapeva che avrebbe potuto farle tutte le domande che avesse voluto, una volta sveglia. La cosa che desiderava fare ora, per placare ulteriormente il suo povero cuore ferito, era guardarla dormire stretta a lui.

Era splendida, bianca e bella nel suo pallore contrastante con lo scuro dei capelli. Il suo respiro lento e regolare non lasciava adito a dubbi sul fatto che stesse dormendo. Il piacere di vederla così, semicoperta dalle lenzuola e rassicurata dal calore della presenza di lui, fu la cosa più bella cui egli potesse pensare.

Quando il sole le colpì il volto, ella aprì lentamente gli occhi. La sua mano destra andò a sfiorare il petto di Hook per tutta la sua lunghezza, fino a che non trovò il ruvido della barba in ricrescita sulla mascella.

Il pirata si sentì invadere da un calore rassicurante. Era dolce e bruciante al medesimo tempo. Era l’effetto che gli faceva ogni contatto con lei. Era una sensazione troppo forte perché potesse mai ignorarla. Con l’unica mano, quella con cui stringeva a sé la vita della ragazza, accostò le dita di Arabelle alla bocca e le baciò con una tenerezza commovente.

Fu solamente allora che ella alzò lo sguardo su di lui. Gli parve che il sole fosse pallido al confronto di quelle stelle che si posarono sui suoi occhi.

« Sei sveglio. » mormorò, sottolineando l’evidenza.

Hook l’attirò a sé « Si. »

« Perché non mi hai svegliata? »

Il pirata la baciò senza rispondere, godendosi quel bacio come se lei dovesse svanire subito dopo. Ancora, nonostante la notte passata insieme, non riusciva a togliersi dalla testa quella paura.

Molto probabilmente, si sarebbe liberato di quel dubbio terribile solamente dopo aver ottenuto le risposte che cercava. E, tutto sommato, probabilmente quello era il momento adatto per porre le domande.

« Arabelle… » cominciò a dire « Sto diventando pazzo. »

« Immagino che voglia delle risposte, Jason. » Riusciva sempre ad anticiparlo, a sapere cosa desiderava senza che lui glie lo chiedesse. Che fosse grazie al suo carattere ed al suo spirito d’osservazione o del suo potere non lo sapeva, ma era ugualmente straordinario.

Le sollevò il mento con la mano destra, per costringerla a guardarlo dritto negli occhi. « Non sai come sono stato. Hai voluto attendere a parlarmi dicendo che avevamo tempo. E avevi ragione amore mio, perché non avrei resistito un solo istante ancora senza averti. » la baciò di nuovo, intensamente, profondamente. Lei gli accarezzò le labbra con la lingua, prima di schiudersi alla sua.

« Chiedi, Jason. Ti risponderò. Saprai tutto ciò che c’è da sapere. »

Hook non sapeva bene da dove cominciare. Da quando era scomparsa aveva saputo davvero cos’era l’inferno. E infine era stato lui ad ucciderla. Quante cose avrebbe desiderato chiederle! Troppe per una vita intera.

E ancora una volta fu lei ad andargli incontro, ad aiutarlo.

« Lo so che sono tante le cose che vorresti domandarmi, amore mio. » gli disse seria, senza abbandonare i suoi occhi. « Ma è importante che tu sappia che nulla di ciò che è accaduto è stata colpa tua, o mia. Le cose dovevano andare come sono andate. »

« Dannazione, Arabelle! Come fai a parlare con tanta leggerezza di quello che è successo? » L’abbracciò improvvisamente, sentendo la dolce pressione dei seni di lei sul petto ampio e forte. « Hai idea di come mi sono sentito quando ti ho ucciso? Ho creduto di morire. E dire che di morti sulla coscienza ne ho tanti. » Non potè fare a meno di sorridere pensando al fatto che proprio lui si era sentito morire per aver ucciso una persona. « E come sono stato dopo, quando ti ho vista cadavere sulla Fria…. »

Ella lo zittì, baciandolo dolcemente « Lo so…ti ho sentito. » sussurrò.

Hook la guardò sconvolto « Mi hai sentito? »

« Si. » rispose lei, prendendolo per le ampie spalle con le sue piccole mani delicate, per trasmettergli un po’ della sua convinzione. « Ogni parola che mi hai detto, ogni pensiero che mi hai rivolto…io li ho sentiti tutti Jason. » Lo sguardo di lui, a quelle parole si riempì di lacrime non versate. E Arabelle gli baciò gli occhi con dolcezza.

« Oddio! » mormorò lui. « Come ho fatto a stare senza di te! Come? Nulla aveva più importanza per me, lo sai questo? Volevo solo morire…. » le ultime sillabe si ridussero ad un sussurro appena percettibile mentre le accarezzava il volto, smanioso di conoscere tutta la verità. Se era tornato alla vita, era grato di questo, anche se sospettava che ci sarebbe voluto del tempo prima di abituarsi alla nuova realtà. Ma voleva comprendere. Doveva comprendere.

La prese per le spalle, tornando ad essere determinato. Tornando ad essere, finalmente, lui. « Devi spiegarmi come hai fatto, quella notte a tornare da me. » le disse, tentando di mantenere la calma. Non era abituato a porgere le sue domande in maniera diplomatica e quella situazione non era certo favorevole ad un cambiamento repentino.

« Quel maledetto elfo… » continuò alzando gli occhi al cielo.

Arabelle scattò, liberandosi improvvisamente dalla sua stretta « Non osare parlare così di lui! »

Vedendo la sua reazione, Hook la fissò stordito. Mai l’aveva vista tanto fiera e determinata, ma c’era anche qualcos’altro che non comprendeva.

« Dannazione! » esclamò « Che cosa ti prende? »

Lei sembrò ricomporsi, ma evitò il suo sguardo e si coprì il seno con il lenzuolo. Quel comportamento fu ancora più sospetto di quello precedente.

Il pirata le si avvicinò di scatto, sentendo la rabbia e la gelosia invadergli le viscere. Il dolore che aveva letto negli occhi della ragazza non poteva essere equivocato stavolta.

« Arabelle! » disse sforzandosi di non ringhiare il suo nome « Dimmi perché lo hai difeso? Sei certa di aver capito a chi mi riferivo? »

Di nuovo non rispose.

« Dimmi di chi parlavo Arabelle! Dimmi che non ti riferivi a lui. »

Finalmente la ragazza alzò lo sguardo fiero in quello freddo e geloso di lui. « Parlavo di lui. »

Quelle parole furono come uno schiaffo in pieno viso per il fiero pirata. Egli si ritrasse di scatto da lei come se lo avesse colpito e la guardò incredulo e disgustato. Si sentiva ferito nel profondo.

« Imdal…. » sussurrò.

Arabelle annuì « Si, Jason. Lui. »

Hook chiuse gli occhi come in preda ad una visione che non riusciva a sopportare.

« E non mi pento assolutamente di aver reagito in quel modo » disse poi lei « Imdal significa molto per me. » le ultime parole furono poco più di un sussurro, ma le pronunciò senza mostrare segni di cedimento.

Hook le afferrò il polso destro e lo strinse fin quasi a farle male, ma la ragazza non reagì, proprio come era accaduto la prima volta che si erano incontrati. Lo sguardo dell’uomo, da innamorato e tenero era divenuto furioso e talmente triste nel profondo, da far credere che stesse addirittura per piangere. Lei invece era algida, coraggiosa e impassibile nella morsa d’acciaio della mano che la stringeva.

« Lo ami? » chiese senza pietà Hook.

Arabelle lo guardò come se non lo riconoscesse « Che cosa ti succede? »

« Rispondi! » gridò Hook, in preda alla furia. Strinse ancora di più il braccio della ragazza, che continuò, tuttavia a restare immobile.

Quel momento era critico per entrambi, perché la sorpresa e il dolore erano quasi scomparsi, ma rimanevano molte incomprensioni. Forse troppe, tra loro.

Fortunatamente Arabelle comprese ogni cosa, dimostrando ancora una volta di sapere dominare il fuoco di un uomo crudele che doveva ancora fare i conti con se stesso e con l’amore.

Con lentezza incredibile, liberò il polso dalla stretta dell’uomo, addolcendo appena l’espressione dei suoi occhi. Hook la lasciò andare abbastanza facilmente vedendo che qualcosa in lei stava cambiando. Guardandolo intensamente negli occhi, Arabelle poggiò la mano destra sul petto di lui, proprio dove si trova il cuore. Al tocco della mano di lei, il muscolo sotto la pelle di Hook palpitò sensibilmente e lo stesso furore del pirata sembrò momentaneamente placarsi. Ma non lo diede a vedere, perché i grigi occhi rimasero gelati.

« Come puoi dire così? » domandò lei con un filo di voce. « Pensi forse che sia possibile? »

« Perché mai non potrebbe? » Hook aveva placato lievemente il tono di voce.

Arabelle rise, suo malgrado, sentendo la risposta « Jason! Sciocco, orgoglioso uomo! Dovrei ucciderti su due piedi per aver anche osato sospettare di me. »

Hook rimase sinceramente stupito da quelle parole. L’ultima cosa che si aspettava era che la ragazza ridesse di lui e lo schernisse in quella particolare circostanza.

« Non ho intenzione di farlo solamente perché riesci a risultare buffo ai miei occhi quando ti comporti in questa maniera. » Rise ancora, poi si ricompose « Non hai forse detto, tu, che una volta terminata la tua convalescenza non eri riuscito ad toccare nessun’altra donna, meno che mai ad amarla? »

« Si. »

Anche se le aveva risposto senza esitazione, Hook ancora non riusciva a comprendere dove Arabelle volesse andare a parare.

« E allora, santo cielo, perché mai per me avrebbe dovuto essere diverso? » Gli parlava come si fa con i bambini che non vogliono ammettere l’evidenza. Un tono che lui non aveva mai sperimentato prima. D’altra parte, chi mai avrebbe osato rivolgerglisi così?

Almeno, però ora comprendeva cosa stava cercando di dirgli. Il suo sguardo recuperò la serietà che non metteva da parte la dolcezza.

« Ma lui ti ama. » Puntualizzò « Non vorrai dirmi che non ne sai nulla. »

Ella annuì « Infatti lo so. Mi ama come nessuno mai potrebbe immaginare. » corrugò la fronte « Forse neppure tu. »

Hook la guardò sorpreso oltre ogni dire. Sentì il cuore frantumarglisi per quella risposta tanto eloquente e tanto disarmante. « Che cosa hai detto? ». Lo chiese come un connato a morte che ha appena ricevuto la chiamata sul patibolo senza saperne nulla.

« Hai sentito bene, Jason. » rispose calma lei « Ma non devi prendertela, perché si tratta solamente di una cosa naturale. Neppure lui avrebbe mai potuto comprendere te. Appartenete a due razze completamente differenti. E tu non sei esattamente il tipo di uomo che qualcuno degli elfi avrebbe mai potuto immaginare al mio fianco. »

« Cosa diavolo stai cercando di dire? » tagliò corto lui, confuso ed addolorato.

« Voglio dire che non puoi immaginare le cosa che sono accadute, sin dall’inizio della nostra storia. Tu non sai quanto io debba ad Imdal. E quanto anche tu devi a lui, se solo te ne rendessi conto. »

La conversazione aveva preso una strana piega agli occhi del pirata. Le emozioni non erano mai state il suo forte, mentre in quelle ultime ore ne aveva provate fin troppe. Effettivamente, da quando aveva incontrato Arabelle, erano accadute tante, troppe cose strane perché lui potesse ignorarlo. E sapeva bene che una parte di esse lui non la conosceva. Tuttavia, provare il dolore per la perdita della sua donna e gioia per rivederla viva davanti a sé, era troppo perché comprendesse che la stessa donna non vedesse quanto lui la amava. Perché era questo che lei, in fondo aveva detto.

La guardò ferito « Come puoi parlare così, Arabelle? »

« Posso, Jason, e ho degli ottimi motivi per farlo. » fu la secca risposta.

L’uomo si alzò dal letto, incurante della propria nudità, voltandole le spalle. Si infilò velocemente dei pantaloni neri ed una camicia di egual colore, prima di ergersi in tutta la sua altezza davanti alla porta della camera.

« Perché mi hai ingannato? »

Arabelle lo fissò incredula « Che cosa? »

« Perché mi hai fatto credere di amarmi? » continuò « Perché ti sei presa gioco di me, quando io ho sacrificato tutto per te? Ti ho dato tutto ciò che sono. Ho imparato ad amare per te! »

« E io? » lo interrupe lei bruscamente, guardandolo adirata « Io non ho sacrificato me stessa per te? Ti ho dato il mio cuore, la mia virtù, quando tu saresti stato l’ultimo uomo a cui avrei mai pensato di offrirla! Ho rinunciato al mio popolo e alla mia casa per te! Alla mia vita sulla terra…. »

Stavolta la ragazza aveva detto le giuste parole. Hook rimase in silenzio, ammettendo tra sé e sé che aveva ragione. In quanto a ciò che avevano dato l’uno all’altra, erano perfettamente pari.

« Maledetta ragazza! » la apostrofò, senza però troppa cattiveria « Ti prego dimmi che non mi hai mai mentito su ciò che provavi. Se me lo dirai io ti crederò e ti ascolterò. Ma, ti supplico, sii sincera, perché la ragione non mi assiste più. »

Da adirato che era quando aveva cominciato, aveva terminato in una supplica accorata. Non aveva mai parlato in quel mondo nella sua vita, eccetto quando l’aveva ritrovata sul mercantile di elfi e l’aveva implorata di concedergli il suo cuore.

Era diventato un uomo incapace di sopravvivere senza l’oggetto delle sue brame. E il dolore sul suo volto era evidente e pietoso.

Arabelle lo vide immediatamente e anche la sua espressione si ammorbidì. La pietà inondò i suoi splendidi occhi scuri. Si alzò anche lei, nonostante il freddo che le fece venire immediatamente la pelle d’oca, e, nuda, gli andò incontro rapidamente. Gli cinse la vita con le braccia esili e lo strinse, appoggiando per un attimo la testa sul suo petto. Hook sentì le porte del paradiso aprirsi per lui, ma era ancora troppo presto per poter decidere se si trattava di un segno positivo oppure del preludio di qualcosa di brutto.

« Jason Hook » cominciò lei, alzando la testa per guardarlo « Io ti amo. Ti ho sempre amato e sempre ti amerò. Su questo non devi avere mai dubbi. » Si alzò in punta di piedi e lo baciò sulle labbra, così dolcemente che Hook temette di perdere i sensi. Allora la strinse a sua volta e ricambiò con entusiasmo il suo bacio.

« Allora ti ascolto, Arabelle. » le disse, finalmente in pace « Dimmi ciò che hai da dire. Ti ascolterò, adesso. »

La ragazza prese un lungo respiro, poi cominciò « So perfettamente ciò che desideri sapere, Jason. L’importante è che tu capisca che, avendo letto la lettera che ti lasciai prima di morire, non c’è nulla che tu non sappia di me. Riprendi ad amarmi come se ci fossimo svegliati quella mattina, e la battaglia non ci sia mai stata. »

« Farò come vuoi. » rispose in un sussurro.

Ella si diresse nuovamente verso il letto e si avvolse nel lenzuolo di seta prima di voltarsi e parlare « Per prima cosa, immagino che tu voglia sapere come mai il tuo infallibile veleno non ha avuto effetto. »

Il veleno. Lo aveva completamente dimenticato da ore! Vederla nuovamente, via insieme a lui., lo aveva così stordito che il resto del mondo aveva perduto forma.

« Si. » fu la sua risposta « Dimmi ciò che sai »

« Rammenti ciò che si è sempre detto di quel liquido mortale? »

Hook corrugò la fronte « Si. »

« Ripetimelo, Jason. »

Il pirata sentiva che la confusione ricominciava ad assalirlo. Ciononostante, fece come Arabelle aveva detto.

Sospirò, poi ripetè « Il veleno personale del capitano Hook. Distillato dai suoi stessi occhi rossi, quando piangeva. »

Arabelle sorrise improvvisamente, evidentemente soddisfatta di ciò che le aveva detto. Hook, però continuava a non capire.

« Non ti sei mai domandato che cosa provassi, quando piangevi? » la voce della ragazza era dolce, ma anche estremamente stupita. Come se per lei la risposta a tutto quell’enigma fosse evidente.

Hook rimase in silenzio, pur riflettendo. Effettivamente non aveva mai pensato a niente del genere, perché non ne vedeva la ragione. E, in tutta sincerità, non la vedeva neppure in quel momento. Le emozioni non avevano mai avuto nulla di interessante per lui. Era già abbastanza raro che ne provasse.

Arabelle comprese benissimo il motivo del suo silenzio, anche perché la stava guardando in maniera del tutto inequivocabile. Il dubbio lampeggiava nei suoi occhi.

« Dolore, Jason. » spiegò pazientemente « Anche se non te ne rendevi conto, accecato dalla rabbia, il tuo dolore era racchiuso in quelle lacrime. »

« Tu credi? » le chiese, in parte scettico « Eppure io non ho mai pianto di dolore, mai. » Si fermò per guardarla un attimo « Mai a parte… »

Ella lo fermò con uno sguardo. In quegli occhi c’era tutta la comprensione delle parole che egli non era riuscito a pronunciare.

« Anche se hai cercato sempre di soffocare la tua umanità, di negare a te stesso la capacità di amare e l’essere vulnerabile, non puoi cambiare ciò che sei, Jason. Un uomo. Solo un uomo. »

« Mettiamo che tu abbia ragione. » ammise lui « Cosa avrebbe a che fare questo con il fatto che il veleno non ha avuto effetto? »

Arabelle sospirò, cercando di trovare le parole adatte « Il dolore, se usato in modo sbagliato, come tu facevi prima, può ucciderti. Il dolore sincero, come era invece quello che provavi mentre piangevi la mia morte, è straziante, ma è un dolore buono. » Lo guardò negli occhi « Bevendo il tuo veleno, hai solo intensificato la tua sofferenza. È magia antica, questa, Jason. Molto antica. »

Il pirata finalmente sentiva che ogni tassello stava andando al suo posto. Tutto andava chiarendosi e la situazione cominciava a sembrargli meno confusa ed assurda. Nonostante questo, però, il suo cuore non aveva ancora trovato quella pace che agognava da quando aveva visto morire la sua donna.

« Ora ho capito… » sussurrò, abbassando lo sguardo e andandosi a sedere accanto ad Arabelle « Ma… Imdal…. »

« Imdal ci ha donato la felicità. Ti odia almeno quanto ha sempre amato me, eppure non ha esitato a concederti ciò che lui stesso avrebbe voluto. »

« Che cosa vuoi dire? » chiese Hook, improvvisamente agitato da quelle strane parole. La prese per le spalle « Parla chiaro dannata ragazza! »

Arabelle rise brevemente sentendo la veemenza con la quale Hook cercava di convincerla a rivelargli tutto e subito. Sapeva però che, a modo suo, chiamarla in quel modo non era altro che una sorta di affettuoso nomignolo. Per questo gli sorrise dolcemente prima di continuare la sua spiegazione. « Imdal era buono, Jason. Non devi badare alla vostra rivalità, dettata da questioni differenti. »

Nuovamente una strana tristezza le velò lo sguardo, mentre evitava quello del suo amante. Stavolta Hook non rimase in silenzio di fronte a quella stranissima manifestazione. Tra l’altro, aveva notato anche qualcos’altro, di strano.

« Arabelle » le disse, sospettoso, obbligandola a guardarlo « perché continui a riferirti ad Imdal parlando al passato? »

Un dubbio terribile si era impadronito della sua mente. Un dubbio che, in un certo senso, sperava si avverasse e no.

Gli occhi di lei si riempirono di lacrime « Perché gli devo la mia vita, Jason. » Era la prima volta che lui sentiva le lacrime nella sua voce, e questo lo spaventò « E tu gli devi la tua felicità »

« Che stai dicendo? » la interruppe quasi gridando.

« Che, se io sono qui, è perché al mio posto, tra i dormienti, giace Imdal »

 

 

 

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Capitolo 37
*** La forza di perdonare ***


La forza di perdonare

La forza di perdonare

 

Hook rimase senza parole. Continuò a fissare Arabelle senza riuscire a rispondere per diverso tempo.

Lei, dal canto suo, abbassò lo sguardo, vergognandosi di tutto ciò che era successo, delle bugie che aveva dovuto dire, delle morti ingiuste che aveva causato. Imdal non sarebbe dovuto morire.

« Cosa stai dicendo, Arabelle? » chiese infine il pirata « Che Imdal ha… » non sapeva come continuare.

« Ha scambiato la sua vita immortale con la mia. »

Tutto era assurdo agli occhi di Jason Hook in quel momento. Eppure, per quanto assurdo, sembrava anche acquistare un senso, in qualche modo. Come mai Arabelle avrebbe potuto essere innanzi a lui se veramente non fosse accaduto qualcosa di straordinario?

E che un elfo agisse come aveva fatto il suo rivale non era forse straordinario?

Arabelle alzò lo sguardo di nuovo « Io lo so che sembra assurdo, Jason, ma è la verità. » gli disse « Non è più il tempo delle menzogne… non lo sarà mai più. »

« A questo punto non so più a cosa devo credere e a cosa no. » fu la secca risposta di lui, che le voltò le spalle ed emise un profondo sospiro. « ma so che ti amo. » Si voltò nuovamente e la prese tra le braccia. Il lenzuolo che l’avvolgeva cadde a terra mentre la sollevava.

« Anche io ti amo. » disse lei accarezzandogli il volto « E ti prometto che da questo istante non sentirai più nessuna bugia dalle mie labbra. »

« Dimentica quello che ho detto. Ero adirato e confuso. Quando mi hai mentito è stato sempre per ragioni gravi. Mi hai anche salvato la vita mentendomi. »

Il pirata si sedette ancora una volta sul letto, tenendo la ragazza in braccio.

« Comunque ti prometto la stessa cosa. » terminò « Se tutto il mondo potrà avere ragione di dubitare di noi, mai dovremmo noi dubitare l’uno dell’altra. »

Con un bacio sigillarono quell’accordo.

Arabelle lo abbracciò e nascose il volto nell’incavo del collo di lui « Troverai mai la forza di perdonare, Jason? Me…Imdal… riuscirai a concederci il tuo perdono? »

Hook le fece alzare il volto fino a tenere i loro sguardi incatenati e seri.

« Marie Arabelle Montcalm » disse solennemente « Di cosa mai dovrei perdonarti? Di avermi reso felice? »

La ragazza spalancò i grandi occhi bruni per la meraviglia, ma non fece in tempo a dire alcunché, perché Hook le aveva afferrato il capo con gesto risoluto e l’aveva baciata quasi brutalmente, tanta era la passione disperata che lo consumava. Ella ricambiò il bacio con entusiasmo, sentendo due lacrime scenderle lungo le guance.

Si abbracciarono ancora più stretti, godendo del reciproco contatto, della sola presenza dell’altro.

Hook sorrise tra un bacio e l’altro « La mia guerriera… »

Arabelle scoppiò a ridere sentendo quell’appellativo pronunciato da lui « Anche ora lo sono ai tuoi occhi? »

Il suo scherzo allusivo non sfuggì di certo al pirata, che inarcò un sopracciglio, malizioso e la baciò ancora, anche se più brevemente « Sempre. »

Arabelle, agilmente, cambiò posizione su di lui. Gli si mise a cavalcioni, in modo che il suo inguine entrasse in contatto son quello di lui, celato dai pantaloni. Nessuno dei due aveva intenzione di andare avanti in quel senso, ma il contatto dei loro corpi, per intero, era qualcosa di rassicurante, giusto.

Mentre lui la cingeva con le braccia forti, Arabelle si allacciò stretta a lui, con braccia e gambe. Voleva sentirlo il più vicino possibile.

« Ti ho vendicata, amore mio. » le disse in un orecchio, dopo un po’. « Coloro che ti hanno fatto del male ora sono meno che niente. Solamente corpi senza vita. »

L’aveva detto con rabbia, ripensando a quello che Ardet le aveva fatto soffrire quando l’aveva portata via da lui. Non c’era nulla di romantico in quella confessione. Del resto, anche se innamorato follemente, Jason Hook sarebbe rimasto per sempre Jason Hook.

Arabelle si staccò da lui quanto bastava per guardarlo in volto.

« Lo so. » rispose in un sussurro « Ho visto i corpi pendere dai pennoni, Jason. Non meritavano una fine diversa. »

Negli occhi della ragazza, sempre fieri ma con un fondo di dolcezza, comparve un lampo di odio terribile, che fece rabbrividire persino il suo amante, per un attimo. La ragazza non avrebbe mai dimenticato ciò che le avevano fatto, neppure ora che il suo cuore aveva trovato la vendetta e anche la pace.

Hook la cullò e l’accarezzò per tranquillizzarla, calmarla, ma non vi riuscì del tutto. Inoltre, non era neppure certo di desiderare che lei dimenticasse. Lui non aveva mai dimenticato ciò che Pan gli aveva fatto, le sofferenze che gli aveva inflitto.

« Lo sai qual è stata la cosa più terribile? » gli chiese soffocando un singhiozzo.

Hook non era del tutto certo di volerlo sapere « No. »

Lo guardò in viso e fece scivolare le mani delicate ad accarezzargli il petto, lievemente, per poi spostarsi verso le spalle.

Tenne lo sguardo basso mentre continuò ciò che aveva cominciato a dire.

« Il non sapere se sarei più riuscita a fare l’amore con te. »

Sentendo quelle parole, Hook proruppe in un ringhio d’angoscia terribile « perché mi fai questo, Arabelle? » sentì che non era arrabbiato con lei « Non voglio pensarci più. Neppure tu devi. » le disse, con la furia negli occhi grigi.

L’abbracciò stretta, sul volto furia ceca al solo pensiero che qualcuno potesse portargliela via o farle del male ancora. Era la sua donna, la sua guerriera, ma allo stesso tempo era la cosa più delicata e fragile che aveva. L’avrebbe protetta ad ogni costo.

« Hai ragione. Perdonami. »

« Nessuno tu farà più del male, Arabelle. » le disse, determinato « Te lo giuro su ciò che ho di più caro. »

La ragazza rise, rammentando con affetto la prima volta che le aveva dato la sua parola… molto, molto tempo prima, quando ancora tra loro neppure un bacio era mai avvenuto.

Rimasero abbracciati in quella posizione per alcuni minuti, poi Arabelle cominciò a sentire freddo e, senza neppure rendersene conto rabbrividì tra le braccia dell’amato.

« Hai freddo. » constatò lui.

« Un po’. »

Gentilmente il pirata la scostò da sé e la avvolse nelle coperte disfatte del letto che avevano da poco condiviso. Sentendosi al caldo e rassicurata, la ragazza si abbandonò ancora una volta al suo abbraccio. Stavolta, però, fu lui a nascondere il volto nel petto profumato e morbido di lei, che invece gli cullava la testa dolcemente.

« Non voglio più lasciarti andare. » mormorò, concedendosi di mostrare un briciolo di debolezza. Ancora non riusciva ad abituarsi all’idea di avere tanto bisogno di qualcuno, nonostante tutto quello che era accaduto fino a quel momento.

Lei sorrise, poggiando la guancia sui capelli di lui « Non ce ne sarà mai più occasione. »

Dopo ancora qualche istante, Hook lasciò andare a malincuore la ragazza e terminò di vestirsi. Lei lo osservò senza parlare. Gli piaceva guardarlo mentre faceva qualcosa. Quando si ama, persino i semplici gesti quotidiani diventano speciali.

Quando ebbe finito Hook si sedette accanto a lei, che ancora era coperta unicamente dalle coperte.

« Ora dobbiamo andare, amore. » le disse « la mia ciurma si starà chiedendo cosa faremo. »

Lei annuì « Hai ragione. Mi vesto immediatamente. »

Fece per alzarsi a sua volta, ma un attimo dopo si ritrovò bloccata sul etto, supina e semiscoperta. Hook, con un balzo, le era saltato addosso inchiodandola al materasso con il suo peso. Scherzando, cosa che mai aveva pensato di fare in tutta la sua vita, le si posizionò sopra, facendosi strada tra le sue gambe con il bacino, e la baciò appassionatamente sulla bocca.

Arabelle finse di protestare ma cedette facilmente a quella inaspettata ma gradita manifestazione d’affetto.

« Forse non avrò altre occasioni per dirtelo come si deve. » disse lui, accarezzandole il collo con le labbra « Mi conosci…. Non sempre cedo alle emozioni. »

« Allora approfitta Jason. »

La guardò intensamente negli occhi « Ti amo perdutamente Arabelle. »

Il sorriso che gli rivolse lo ripagò di tutte le paure e tutti i dubbi che aveva avuto in tutto il tempo in cui era rimasto senza di lei.

« Non appena avrò risolto alcuni cavilli con la mia ciurma… diventerai mia moglie? » le domandò esitante.

« Si. » rispose in un soffio la ragazza « Mille volte si. »

Si baciarono di nuovo, a lungo, poi il pirata la lasciò andare.

Lei, però lo afferrò per la manica della camicia e non gli permise di andarsene.

« Jason. » gli disse « C’è ancora una questione da risolvere. Non puoi negarmela. »

Hook si preoccupò un po’ sentendola parlare in questo modo.

« Parla. » la incoraggiò.

Arabelle sospirò profondamente « Questa notte non dormirò accanto a te. »

Hook la guardò confuso « Cosa intendi? »

« Jason…. Io… ricordi quando tornai da te, al palazzo di Memnor? »

« Si. » il ricordo del dolore che aveva provato nel vederla apparire solo per essere ancora una volta abbandonato da lei gli squarciò il petto.

« Io credo che Imdal stanotte verrà da me. »

Sentendo quelle parole, Hook si sentì raggelare. Inoltre, si rese conto che effettivamente era molto probabile che ciò che Arabelle aveva detto accadesse. Dopo tutto, Imdal aveva amato la sua donna molto e profondamente. Per quanto questo potesse rattristarlo, sapeva che era vero.

« Si. » non seppe cosa altro rispondere.

Arabelle intuì il suo silenzio come un segno di disagio e si alzò per baciarlo sulle labbra. « Amore, so che non ne sarai contento…ma….dopo quello che ha fatto per me… per noi…non posso negargli di vedermi un’ultima volta. »

Hook avrebbe voluto rispondere che invece poteva e avrebbe dovuto negarglielo, ma in fondo al cuore, che ormai non era più ricoperto di ghiaccio, sapeva che la ragazza aveva ragione.

Si chinò a sua volta e la baciò a lungo, dolcemente, accarezzandole il labbro inferiore con la lingua.

« E sia! » rispose con grande sforzo « ma da domattina, Arabelle, sarai soltanto mia. »

Ella lo baciò, lo accarezzò e lo ringraziò, piangendo di gratitudine, poi cominciò a vestirsi. Hook la guardò come lei aveva fatto con lui, consapevole che, stavolta, nessuno li avrebbe mai più divisi.

 

 

Ciaoooooooooooooo!!

Lo so, sono in ritardassimo, ma ho avuto un periodaccio.

Perdonatemi.

Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo e vi informo che è l’ultimo. Manca solo un epilogo che pubblicherò a breve.

Spero che commenterete numerosi.

Ringrazio tutti coloro che hanno questa storia tra i preferiti e spero che NemesyBlack mi faccia sapere che ne pensa.

Baci a tutti

Masked_lady

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Capitolo 38
*** Epilogo ***


Epilogo

Epilogo

 

L’alba era giunta. Hook camminava avanti e indietro ansiosamente, sul ponte della Jolly Roger. Era in attesa di qualcosa.

Più precisamente, era in attesa di qualcuno.

La notte non aveva quasi chiuso occhi per l’ansia e la gelosia, consapevole che quelle ore sarebbero trascorse lente, inesorabili.

Arabelle aveva dormito nella stiva. Arabelle, aveva fatto quella scelta perché sapeva che Imdal avrebbe desiderato parlarle per un’ultima volta. E, per quanto lui stesso avesse acconsentito e lo avesse compreso, non poteva davvero fare a meno di sentirsi agitato.

Inoltre, il sole era sorto da quasi mezz’ora, ma della ragazza non v’era traccia. Cominciava davvero a preoccuparsi.

Poi, finalmente, la vide salire sopracoperta, fulgida e bella come la prima volta che l’aveva incontrata, avvolta nei suoi pantaloni neri, la camicia ed il corsetto di egual colore, il fioretto che le pendeva di fianco.

Il vento le scompigliava le onde castane, che le incorniciavano il volto, in pittoresco disordine. Una piratessa, una regina, un’amante, una guerriera. Arabelle era tutto quello, senza mai abbandonarsi ad uno solo di quei ruoli.

Era la donna che aveva permesso a Jason Hook di amare.

« Finalmente! » esclamò più duramente di quanto avrebbe voluto « Ero in ansia. »

La ragazza gli si parò davanti. Aveva il volto rigato dal passaggio di alcune lacrime, ma ora non stava piangendo. La sua espressione, anzi, era dura, determinata e altera.

« È andato via ora. » disse semplicemente.

« Allora? » Hook era impaziente di conoscere ciò che le aveva detto, ma da una parte non era del tutto certo di volerlo sapere.

« Ti manda a dire che non considera uno spreco aver dato la sua vita immortale per me, anche se sono tua. » rispose, con una calma incredibile e snervante « E si raccomanda che tu abbia cura di me. »

Hook annuì, cercando di trattenere la rabbia « E poi? »

Dopo un attimo di silenzio ed immobilità assoluta, Arabelle si erse in tutta la sua altezza, alzando il mento con atteggiamento degno della regina che era « Jason Hook, quello che è stato detto nella stiva, questa notte, tu non lo saprai mai. »

Il pirata, a quelle parole, sentì il legno sotto i suoi piedi cedere « Che cosa vuoi dire? »

« Voglio dire, » spiegò lei, sempre estremamente calma « che ora Imdal è morto. Non è mai stato un ostacolo per te. Né tantomeno potrebbe esserlo ora. Come ti ho già ripetuto, non l’ho mai amato, ma è giusto che le parole che mi ha detto stanotte rimangano tra noi. Il suo cuore è sempre stato mio, come lui stesso ha detto, ed è giusto che miei rimangano anche tutti i suoi segreti. »

Terribilmente affranto, Hook la guardò, annuendo debolmente « Se è questo ciò che desideri… »

Ancora, dopo tanto tempo, sembrava così strano, per lui essere così accondiscendente…

Sforzandosi di spezzare la tensione quasi palpabile nell’aria attorno a loro, Arabelle abbozzò un sorriso, poi fece un passo verso di lui, tanto che le loro vesti si sfioravano.

Alzò lo sguardo sino a fissare gli occhi glaciali, ma pieni d’amore e gelosia, del pirata « Ciò che desidero, Jason, sei tu. »

Dopo aver sussurrato quelle parole si alzò in punta di piedi e lo baciò appassionatamente sulle labbra, mentre attorno a loro cominciavano a comparire i membri della ciurma, destati dall’ormai forte luce del sole.

Hook la strinse tra le braccia, rendendo quasi folle la passione racchiusa in quel bacio. Labbra contro labbra come se avessero voluto compenetrarsi, entrare l’uno nell’anima dell’altro.

Quando si staccarono, si rivolsero uno sguardo che racchiudeva grande tenerezza e felicità, ma anche pensieri che solo tra le lenzuola potevano prendere forma. Uno sguardo d’amore. Adorazione.

Arabelle si avvicinò ancora una volta alle labbra dell’uomo, ma stavolta si fermò prima di toccarle.

« Il mare è in fremito. » sussurrò sulla sua bocca « Non aspetta altro che noi lo conquistiamo. »

Sentendo quelle parole, il cuore del pirata prese a battere forsennatamente. La baciò di nuovo, ma più rapidamente, con maggiore fretta, poi le rivolse uno sguardo pieno d’orgoglio.

« Signor Spugna! » gridò, staccandosi da lei e dandole le spalle.

L’ometto comparve immediatamente alla sua presenza « Comandi, capitano! »

« Date disposizioni per la partenza. Salpiamo immediatamente. »

Il primo ufficiale parve confuso « Come avete detto? »

Hook ghignò, soddisfatto « hai sentito bene. » si rivolse all’intera ciurma, gridando « Dico a tutti, uomini! Salpiamo! »

Un grido di gioia risuonò sul ponte della Jolly Roger, mentre tutti cominciavano a darsi da fare per eseguire l’ordine. Solamente Spugna rimase impalato, confuso.

« Ma capitano… » disse « Cosa faremo? »

Hook ghignò ancora, ma per la prima volta, comparve anche un’ombra di sorriso nella sua espressione, seppure in pubblico. Senza rispondere, si voltò verso la ragazza e la guardò negli occhi. Mentre ricambiava il suo sguardo, sorridendo, egli le prese una mano.

A quel punto, senza smettere di guardarla, rispose « Andiamo a conquistare il mare. »

Quella risposta, anche se vaga, accontentò Spugna, che si diresse anche lui a svolgere i suoi compiti.

Dopo qualche istante, senza motivo apparente, sia Hook che Arabelle cominciarono a ridere di pura gioia nella soddisfazione della libertà appena conquistata.

Quel giorno, mentre la Jolly Roger salpava e cominciava a solcare i mari del Mondo che non C’è, sulla punta della prua c’erano due persone che scrutavano l’orizzonte una di fianco all’altra, respirando insieme l’aria salmastra che scompigliava i capelli di entrambi e li mescolava.

Due persone dai cuori uniti e legati insieme, come i loro destini, e come intrecciate erano le loro mani.

 

 

 

 

Eccoci giunti alla fine!!!!!!

Spero che l’epilogo vi sia piaciuto e che abbiate gradito la storia in generale. Ringrazio calorosamente, come al solito, tutti i lettori e coloro che hanno la storia tra i preferiti.

Spero che lascerete tutti un commento, visto che si tratta dell’ultimo capitolo postato.

Fatemi sapere cosa ne pensate e anche se, magari più avanti, apprezzereste l’idea di un seguito.

Grazie a tutti del sostegno che mi avete dato con le vostre recensioni.

Baci

Masked_lady.

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