La forza del perdono

di kk549210
(/viewuser.php?uid=449929)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Festa di laurea ***
Capitolo 2: *** Una visita di famiglia ***
Capitolo 3: *** Doloroso risveglio ***
Capitolo 4: *** Una roccia di gridi ***
Capitolo 5: *** Tutta l'angoscia di Sarah ***
Capitolo 6: *** I consigli di un padre ***
Capitolo 7: *** Risoluzione ***
Capitolo 8: *** La forza del perdono ***
Capitolo 9: *** Amore e morte ***
Capitolo 10: *** In exitu Israel de Aegypto ***



Capitolo 1
*** Festa di laurea ***


LA FORZA DEL PERDONO
 
Disclaimers: i personaggi e il marchio JAG non mi appartengono. Questa FF è stata scritta senza alcun fine di lucro.
 
 
NdA: Il finale di “With or without you” era volutamente aperto. Questo nuovo racconto, sua naturale continuazione, chiarisce i punti rimasti in sospeso. Ora Sarah si trova a dover sciogliere antichi nodi che le opprimono l’anima e che rischiano di mettere in crisi non solo lei, ma la sua intera famiglia. Ringrazio in anticipo tutte le lettrici (e i lettori) della loro cortese attenzione.
 
 
  
-Complimenti, carissima! Siamo fieri di te! – disse Harriet abbracciando la sua cara Mattie.
-Ecco un regalo che ti servirà di ispirazione! – fece Bud offrendole un pacco con un vistoso fiocco rosso.
-Grazie, SuperBud! Che cos’è? Non mi dire che è la collezione completa di “Star Trek”… - rise felice e soddisfatta la ragazza.
-Noo – le rispose il capitano Roberts con un sorriso intrigante.
-Se fosse stato per lui, ti avrebbe regalato anche la spada laser di Luke Skywalker – soggiunse Harriet in vena di scherzi.
Mattie scartò il regalo. Il modellino in scala di uno Stearman, giallo come quello di suo padre.
-È fantastico! Grazie!
-Almeno questo non vola. – commentò Tony – Così non mi costringerà a fare capriole pericolose tra le nuvole!
-Non sai cosa ti perdi – gli disse Bud, memore delle sue avventure giovanili a bordo dell’aeroplano di nonno Rabb.
-Brava, Mattie! – le disse AJ dandole un bacetto. Nonostante la sua nuova passione per la medicina, Mattie rimaneva pur sempre il suo primo amore.
James, Nicki e Paul si assiepavano intorno alla neolaureata, anche loro fieri di avere in famiglia una ragazza così brillante. Un inventiere, come diceva Maria, quando parlava tutta orgogliosa della sua sorellona. I quattro Roberts, dopo avere sbaciucchiato a dovere Mattie, si unirono a Sarah e ai loro cuginetti al tavolo dei bambini per una partita di domino, messa a duro rischio da Gabriel che lesto lesto cercava di afferrare le tessere e di farle volare via.
Il Mc Murphy’s era addobbato a puntino e la musica si diffondeva gradevolmente a medio volume. Harm e Sarah avevano deciso di affittarlo per la festa di laurea di Mattie. In fondo, quello era un luogo tanto familiare, sia per loro che per gli amici. La sede di tanti momenti di relax e di gaia convivialità. L’atmosfera era molto gioiosa e giovani e adulti si mescolavano con grande spontaneità e naturalezza.  Gran parte dei compagni di corso dell’MIT erano molto affascinati dal vecchio AJ, che deposte le due stelle aveva acquisito un nuovo spirito di bonaria cordialità. Non proprio tutti, però.
-Ciao! Ti ricordi me? – chiese una biondina semisvestita avvicinandosi al bancone, dove Harm stava prendendo una birra.
 “Ah, rieccola! Ma almeno questa volta ha azzeccato un vestito di stagione… Fa un caldo!” pensò lui, sperando che la ragazza, a distanza di due anni, avesse un po’ calmato i suoi bollenti spiriti.
-Ah sì, all’MIT… Ciao. – le rispose con un tono cordiale ma neutro, per evitare di gettare benzina sul fuoco.
-Non siamo mai stati presentati. – disse lei ammiccando -  Io sono Lizzy.
“Ci risiamo! Ma almeno questo è un luogo pubblico… non dovrei correre rischi…” rimuginò tra sé lui, porgendole la mano.
-Harm.
-Piacere, Harm. Tanto piacere – fece Lizzy con un tono che non prometteva nulla di buono – Sai che non sei male nemmeno in borghese?
“Accidenti alla buona educazione! Non avrei mai dovuto stringerle la mano… ora questa polipa non mi lascia più!”
-Un ordinario padre di famiglia… - disse Harm un po’ brusco, sottraendo la mano alla ragazza che si stava allargando inopportunamente e indicando la semplice polo nera e i jeans che indossava.
-E io che speravo di vederti con l’uniforme bianca… “No, adesso mi rivende quel vecchio adagio dell’uniforme  estiva e delle ali d’oro… quando ero giovane, sì che mi faceva gioco… ma alla mia età, che palle..” … sai cosa si dice dei piloti della Marina in uniforme bianca?
-Papà… sono stanca! E Gabo ha mal di pancia… - piagnucolò Maria mettendosi tra i due e indicando la mamma che si avvicinava con il bambino in braccio.
“Bello l’amore mio! Mi ha salvato dalla piovra… promossa nostromo, seduta stante”
Harm la prese in braccio e le diede un tenero bacetto. Sia per ringraziarla del tempestivo soccorso sia per stornare le cattive intenzioni della ex compagna di stanza di Mattie. Chissà che l’immagine del paterfamilias non riuscisse a cancellare quella affascinantemente pericolosa del Top Gun pensionato.
-Quanti dolci ha mangiato questo maialino?  - disse il padre accarezzando sulla pancia il piccolo che aveva il broncio colpevolmente incorniciato da sbaffi di crema pasticcera – Gabo, tesorino. Lo sai che non devi ingozzarti di bignè. Ti fanno venire male al pancino.
-Dodi bibè – brontolò Gabriel che non sopportava l’idea che una voluttuosa scorpacciata si fosse trasformata in un acuto dolore.
-Scusa, dobbiamo andare  - fece Harm sganciandosi finalmente dai tentacoli di Lizzy.
-Ciao, grazie per essere venuta a festeggiare la nostra Mattie – si congedò Sarah con un sorriso di circostanza.
La famiglia Rabb uscì dal pub.
-Non è necessario che torni anche tu, Harm – gli disse la moglie quando ebbero caricato i bambini in auto – Ce la faccio da sola.
-Ma Gabo ha il mal di pancia… - protestò lui. Non aveva la benché minima intenzione di rientrare da Mc Murphy’s e di essere arpionato di nuovo dalla seduttrice dell’MIT.
-Due carezze, un po’ di camomilla e passa tutto. E non vorrei che Mattie ci rimanesse male, se ci vede andare via tutti e due…
-Allora vado via io, rimani tu…
-Non fare storie – replicò Sarah un po’ irritata – Puoi sempre tornare con Bud o con AJ…
-C’è una biondina, una ragazzotta che mi punta… Dai, amore, fammi scappare…
-Una biondina? Proprio il tuo tipo – disse la moglie con un sorriso sarcastico. Chiuse con violenza la portiera e partì sgommando.
Harm rimase sul marciapiede attonito e un po’ spaventato. Il tono di Sarah gli era sembrato strano e insolito. Non era più da lei fare una scenata di gelosia. Dopo la terapia con il dottor Benjamin e soprattutto dall’arrivo dei bambini era sempre stata serena ed equilibrata. Ora non gli restava che ritornare sui suoi passi e rientrare nel locale. Per fortuna sulla porta si imbatté in Frank che era uscito a fumare e si intrattenne con lui.
-Bella festa, Harm. Sono molto felice per Mattie. Se l’è meritata proprio – disse il patrigno.
-Eh già. Ha lavorato davvero sodo in questi anni… Frank, ti posso chiedere un piacere?
-Certo, figliolo.
-Aiutami a liberarmi da una compagna di Mattie… mi si era letteralmente attaccata addosso e temo proprio che torni alla carica, se torno là dentro da solo.
-Due minuti e finisco. Oneri e onori della bellezza, caro Harm. Non puoi pensare di andartene in giro con quella carrozzeria e di non essere notato – e ridendo gli diede un’affettuosa pacca sulla spalla.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Una visita di famiglia ***


 
 
Sarah era sempre più tesa, nervosa. Harm non riusciva a capacitarsene. Aveva cercato di parlarle, ma sua moglie si era chiusa  in un caparbio mutismo. Possibile che avesse frainteso il suo dialogo con Lizzy? Come poteva anche solo sospettare che lui volesse fare il cascamorto con una coetanea di sua figlia? No, non poteva essere quello. Sarah lo conosceva bene. Ma Harm continuava a non capire. Non voleva forzarle la mano, ma vederla così taciturna e chiusa in se stessa lo faceva soffrire. E faceva nascere in lui il timore che quell’elettricità prima o poi si sarebbe scaricata anche sui bambini. Quella sera Maria gliene aveva già dato un chiaro saggio. Durante il bagnetto era stata agitata e dispettosa e aveva rubato le paperelle a Gabriel. Poi, mentre le asciugava i capelli col phon, si era divincolata come un’anguilla.
-Basta papà! Mi bruci l’orecchio! – aveva esclamato tutta indispettita.
E ora non restava che sperare che anche la cena non si trasformasse in un campo di battaglia. Ma Harm rimase ben presto deluso e soprattutto preoccupato.
-Non voglio le carote! Sono cattive. Voglio la torta di zia Harriet! – sibilò la bambina.
-Dai, Maria… proprio le carote che ti piacciono tanto, non vedi che belle le rotelline? – disse Harm cercando di calmarla.
-No no no! Non le voglio. Sono cattive! – ribatté la piccola sempre più risoluta.
-Basta, Maria! Mangia e non fare storie! – disse Sarah già spazientita.
-Voglio la torta al limone! Quella buona della zia! - fece Maria e si mise in piedi sulla sedia per sfidare apertamente la madre.
-Totta mone – rise Gabriel.  Un timido tentativo di unirsi alla rivendicazione sindacale. Tutto pur di gustare un po’ di quel fantastico e sofficissimo dolce.
-Maria, piantala! Mi hai proprio stufato! – gridò la madre, questa volta proprio arrabbiata.    
La bambina si rimise a sedere e ammutolì, limitandosi a fissare il piatto con occhi di fuoco.   
Harm si sentiva inerme e privo di forze. La pace familiare era turbata dal capriccio inspiegabile di Maria e dalla reazione incontrollata di Sarah. I bambini, si sa, non vanno certo matti per le verdure. Ma sua figlia era sempre stata ghiotta di carote, tanto che lui amava vezzeggiarla chiamandola “il mio piccolo coniglietto”. La piccola aveva sicuramente respirato e riflesso l’alta tensione sprigionata dalla mamma.
A complicare la situazione già intricata, si mise di mezzo anche un inaspettato visitatore che suonò alla porta.
-Buonasera, capitano! Scusi il disturbo…
-Buonasera, colonnello… Non si preoccupi, abbiamo appena finito di cenare.
L’ospite inatteso entrò in cucina.
-Buonasera, Sarah. Ciao, bambini!
-Ciao – fece Maria alzando la testa dal piatto, curiosa di vedere chi fosse arrivato.
-Tao – sorrise il piccolino agitando la manina e facendo cadere a terra le carote.
-Ciao, zio Matt - rispose Sarah con scarso entusiasmo.
Il colonnello Matthew O’Hara, il suo zio materno. L’ultima persona che lei avrebbe voluto vedere in quei giorni. Sapeva che era uscito da tempo da Leavenworth, dopo aver scontato quattro anni di reclusione per avere rubato il documento originale della Costituzione ed essersi esposto con provocatori proclami antigovernativi, inserendosi piratescamente sulle frequenze della ZNN. La sua visita gettava su Sarah una sinistra inquietudine. La donna ne presagiva già il motivo e avrebbe preferito sprofondare mille miglia sotto terra, nascondersi dentro a un fuoco, piuttosto che affrontare faccia a faccia una delle persone più importanti della sua vita. Uno dei pochi che la conosceva in tutte le sue debolezze e le sue fragilità. Colui che per primo l’aveva aiutata ad affrontare il lato oscuro di se stessa, aiutandola a vincere l’alcolismo e spingendola a entrare nel corpo dei Marine.
-Sarah, avrei bisogno di parlarti… - esordì lo zio Matt.
-Bambini, è ora della nanna – disse Harm, che aveva intuito che la faccenda doveva essere seria.
Gabriel planò volentieri dal seggiolone alle sue braccia e Maria lo seguì abbastanza docilmente. La sfuriata di prima le aveva scaricato le batterie e sentiva le palpebre farsi pesanti.
-Ci racconti la storia di quel papà con le ali? E del figlio volante?
-Dedalo e Icaro?
-Sì – disse contenta la bambina.
-Certo, coniglietto.
“Storia dell’aviazione. Capitolo uno. Speriamo di non fare anche noi la fine di Icaro” pensò Harm sconsolato.
Sarah non poteva certo cacciare via suo zio. Lo fece accomodare nello studio e si chiuse dentro con lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Doloroso risveglio ***


Harm si svegliò e si ritrovò solo nel letto. Un’occhiata alla radiosveglia. Le cinque e dieci.  Nella sua stanzetta, Gabriel stava parlottando tutto allegro con il suo linguaggio di gorgheggi e di parolette mozze.
“Sta sviluppando un ottimo carattere, aperto e gioviale” pensò il padre, rincuorato anche dal fatto che molto probabilmente Sarah era con lui. Si rigirò sul fianco e stava per rimettersi a dormire quando il bambino iniziò a piangere. Harm decise allora di alzarsi e di andare a vedere. Il piccolino si era messo in piedi nel lettino, mentre Maria dormiva come un sasso abbracciata ad Arcadio. Ma di Sarah nemmeno l’ombra. Improbabile che fosse andata a correre a quell’ora. Da quando c’erano i bambini, preferiva fermarsi qualche volta in palestra dopo il lavoro.
-Papi, loio latte – disse Gabriel smettendo di piangere alla vista del padre.
-Sì, tesoro. Ora papà ti dà il lattone buono… vieni  – lo rassicurò Harm prendendolo in braccio.
Scese giù in cucina con il bambino che, rincuorato dalla prospettiva di un anticipo di colazione, aveva ricominciato a chiacchierare.
-Papi bello, Babo bello… Loio latte e bòtto.
Accese la luce, mise Gabriel sul seggiolone e cominciò ad armeggiare per preparare il latte.
“Di giorno faccio l’avvocato, di notte il barista” pensò.
Nella penombra del soggiorno, si stagliava una figura seduta sul divano, al buio. Sarah.
-Mami – disse il bambino.
-Mamma? – gli chiese Harm agitando il biberon per far sciogliere il biscotto.
-Tì – fece Gabriel indicando con il braccino la madre.
Harm riprese in braccio il piccolo e andò in soggiorno.
-Sarah, che ci fai qui? – le chiese vedendola seduta al buio, con lo sguardo perso nel vuoto. Quell’immagine lo turbò profondamente. Negli ultimi giorni era stata scontrosa e taciturna. E la visita di suo zio aveva peggiorato la situazione. Non poté non tornargli alla mente quel terribile compleanno di due anni prima, quando, dopo la sfuriata contro Bud e Harriet, l’aveva trovata in casa davanti alla bottiglia di vodka semivuota e in preda al delirio. Oppure il periodo più remoto, quando si era scoperto che la morte di Webb era solo una finzione e Sarah era molto depressa. Il momento in cui alla diagnosi di endometriosi si era aggiunto il tradimento del suo compagno.
-Mami bella… - disse il bambino arrampicandosi in grembo alla madre e iniziando a succhiare tutto soddisfatto la sua colazione.
-Niente di speciale, non riuscivo a dormire e sono scesa giù per non darti fastidio – rispose lei mentre accarezzava dolcemente i riccioli di Gabriel.
-Non penso che non sia niente. Sono giorni che sei strana. Dovremmo parlarne.
-Non adesso – replicò Sarah indicando il figlioletto.
Harm annuì e si mise a sedere vicino a lei sul divano, attirandola a sé. Sarah non si sottrasse, ma appoggiò la testa sulla spalla del marito, sempre tenendo stretto Gabriel che continuava beato a ciucciare. Rimasero in silenzio finché il bimbetto non ebbe tirato fino all’ultimo sorso.
-Mami, nanna… - disse stropicciandosi gli occhietti.
-Non ce la faccio, Harm. Portalo di sopra tu.
Harm prese Gabriel che, a tutta prima un po’ contrariato, si abbandonò poi sereno tra le braccia del padre. Pochi minuti ed era già risprofondato nel sonno al sicuro del suo lettino.
-Sogni d’oro, angioletto mio – disse il padre accarezzandogli la testa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una roccia di gridi ***


-È sempre più bello, il nostro bambino…
Sarah era ancora di sotto, al buio. Harm si sedette accanto a lei e tornò ad abbracciarla.
-Sì, è bellissimo. E ha un carattere molto allegro e simpatico. Ha la stoffa del comico – la assecondò lui, sperando che così facesse calare la cortina impenetrabile e silenziosa di cui si stava circondando – Mangia sempre come un torello, ma quante energie brucia!
-Il pediatra ha detto che sta crescendo bene e il suo peso e la sua altezza sono giusti per la sua età…
Harm depositò un bacio sulla fronte della moglie. Era orgoglioso della sua famiglia, dei suoi bambini, di tutti e tre. E soprattutto di Sarah, una madre amorevolmente meravigliosa. Ma ora la tensione e l’angoscia che si teneva dentro la maceravano e cominciavano a sortire effetti negativi anche sui bambini. Su Maria in particolare, che ultimamente si era esibita in una serie di capricci altrimenti inspiegabili, che avevano irritato oltremodo la madre. Pur nel silenzio, Harm leggeva già da giorni rabbia e malinconia negli occhi della moglie. All’incirca dalla festa di laurea di Mattie. Qualcosa doveva essere successo. Forse si era ripresentato un nodo del passato non ancora sciolto e la visita dello zio Matt non era stata certamente casuale. Ma ora la situazione era vicino al punto di rottura.  Bisognava chiarire al più presto, forse anche riprendere le sedute con il dottor Benjamin, se necessario.
-Sarah… - esordì timidamente.
-Sì, Harm?
-Quant’è che sei qui? – chiese lui prendendola alla lontana.
-Dall’una.
Harm la strinse forte. Non aveva dormito quasi nulla, allora. Il macigno doveva essere davvero insostenibile.
-Ho combinato qualcosa io? Sai, noi maschietti siamo animali molto semplici. Dei veri bisonti nella prateria dei sentimenti.
-No, Harm. Tu non c’entri nulla.
-Non sarà mica per quella cretina alla festa di Mattie? Guarda che era lei che ci provava… e mi dava parecchio fastidio. Mi sono preso Frank come guardia del corpo… letteralmente – disse lui con un sorriso.
-No, no. Figurati… tu non hai nulla da rimproverarti… 
-Allora, cara… se non è stato il marinaio cattivone, – le disse facendole il solletico sotto il mento per alleggerire la greve situazione – chi è stato a ridurti così? Sei tesa, intrattabile. Maria sta assorbendo come una spugna… è diventata più capricciosa della principessa sul pisello. Gabo ancora no, per fortuna, lui è un incrollabile ottimista.
-Mi dispiace, caro… i bambini non hanno colpa. Non sai quanto ci sto male.
-Non è meglio parlarne? Se portiamo il peso in due, diventa più leggero…
-È una cosa mia, non voglio farti stare male…
-Nella buona e nella cattiva sorte, Sarah. Abbiamo già avuto fasi molto tempestose, supereremo anche questa. Dobbiamo però riprendere il controllo prima che sia troppo tardi.
Sarah si sciolse dall’abbraccio e sospirò, abbandonando la testa fra le mani. Poi il suo cuore contratto e ferito non resse più e si sciolse in un pianto dirotto. Alti singhiozzi che la facevano sussultare. Harm era diviso tra la profonda apprensione per la sua compagna e il sollievo perché quel pianto disperato risuonava come una vera richiesta di aiuto. Uno spiraglio si stava aprendo. Le cinse di nuovo le spalle e la abbracciò stretta.
-Mia madre è a Washington. Ha la leucemia. Sta morendo – disse lei tutto d’un fiato, come per sputare fuori la roccia di gridi che le si era sedimentata nell’anima.
Ora tutto era finalmente chiaro e patente agli occhi di Harm. L’accenno che Mattie gli aveva fatto a una strana visita che Sarah aveva ricevuto un pomeriggio. Una donna che lei aveva liquidato freddamente, ma che l’aveva lasciata inquieta. Anche il suo lungo dialogo con lo zio, chiusi nello studio per un tempo interminabile,  si poteva ora leggere sotto la giusta luce. Harm baciò teneramente la moglie sulla fronte. Quante ferite doveva portare ancora Sarah nel suo cuore! Per lui la vita era stata molto più semplice. Aveva avuto un dono mirabile: due genitori sani, felici ed equilibrati che gli avevano donato tutto il calore e l’affetto di cui erano capaci. Suo padre era sì scomparso, ma era stata la guerra a portarselo via. Sua madre era ancora presente, seppur a distanza, a sostenerlo e ad amarlo. E Frank era stato un altro straordinario regalo: un nuovo padre che gli si donava con tutti i mezzi, sia materiali che affettivi.
Come si sentiva fragile ora, quasi disarmato, di fronte a tanto dolore! Rabbia, delusione, senso di colpa, abbandono: sentimenti che in lui non si erano mai incarnati  così profondamente come in sua moglie.
-È venuta a casa, il 17 luglio. Erano nove anni che non la vedevo. Dal funerale di papà, là all’ospizio in California. Non l’avevo nemmeno riconosciuta. Allora era diventata molto grassa. Adesso è quasi uno scheletro. L’ho mandata via. Non ho più niente da dirle.
-Immagino che  tuo zio…
-Sì, ha cercato di farmi cambiare idea. Mi ha detto che mia madre ora è stata ricoverata al Sibley Memorial e che vuole vedermi.  Ormai le fanno solo cure palliative. I medici dicono che ha una prospettiva di vita di due settimane, forse anche meno…
-Sarah, prima che sia troppo tardi… ricordi cosa è successo con tuo padre?
- Ma io l’ho già perdonata… il giorno in cui è morto mio padre – disse Sarah.
- Ne sei proprio sicura? – le chiese il marito
- Gliel’ho detto, poco prima del funerale…
- Ma gliel’hai detto con le parole o anche con il cuore? – insistette lui.
Sarah non volle rispondere. Si alzò dal divano e andò in cucina a preparare la colazione. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tutta l'angoscia di Sarah ***


Sarah era sempre più turbata e depressa. La domanda di Harm l’aveva messa del tutto a nudo e lei non sapeva proprio dove andare a nascondersi da se stessa. Dalla rabbia, dal senso di abbandono, dalla frustrazione. Il cumulo dei ricordi scendeva su di lei, come l’onda pesante sul capo di un naufrago. La sera del suo quindicesimo compleanno, era andata a dormire a casa di un’amica. Suo padre, Joseph MacKenzie, al solito ubriaco e in preda alla cieca gelosia, aveva minacciato e ferito la moglie con un coltello, accusandola di avere un amante. Al suo rientro a casa, il mattino seguente, Sarah non aveva più trovato sua madre. Sparita dalla sua vita, insieme al suo amato cane, Ruggle. Joe era un alcolista violento, ma nei due anni seguenti si era preso cura di lei. A modo suo, ma almeno non l’aveva abbandonata.
Un’altra parte di sé la tormentava e la pungolava. Un senso di colpa gigantesco e minaccioso che la  opprimeva e la raggelava come l’ombra di un mostro deforme e orripilante in un incubo infantile.  “Ma gliel’hai detto con le parole o anche con il cuore? ” aveva chiesto Harm, scavando a fondo nella sua anima per individuare il male che la straziava ed aiutarla ad estirparlo. Sarah era ben conscia della risposta e per questo si sentiva in colpa. Non per il passato, quando aveva nutrito e cullato in cuor suo il pensiero insano che la fuga della madre fosse dovuta alla sua incapacità di difenderla dalla furia alcolica di Joe MacKenzie.  Era il presente che non le lasciava pace. Ora sua madre era vecchia e malata. Inerme e condannata a morte da un male che le scorreva inesorabile dentro le vene. E non poteva più farle del male o dirle parole vacue o rabbiose, come al funerale del padre, nove anni prima. Sarah si sentiva fallita e colpevole per tutti i capi d’accusa che la sua coscienza presentava contro di lei. Come figlia, stava rabbiosamente ignorando chi le aveva dato la vita e che ora le stava implicitamente chiedendo perdono, per una riconciliazione in exitu. Come madre, era ormai un veleno per i suoi bambini, che meritavano invece amore e dolcezza. Le reazioni di Maria erano evidenti, ma anche Gabriel senz’altro pativa, in maniera sotterranea e nascosta e quindi più pervasiva e destruente. Harm le aveva perdonato già  troppe intemperanze. Non si meritava proprio una moglie così incompleta. Una donna egocentrica, schiava di se stessa e dei propri fantasmi, che lo allontanava proprio quando lui voleva stare al suo fianco. Nella buona e nella cattiva sorte.       
Sarah si sentiva paralizzata. La vita scorreva intorno a lei, ma in lei era come inquinata alle radici. Cosa avrebbe potuto fare? Da dove le sarebbe venuto l’aiuto?
Mattie era in California con Tony. Non era giusto turbare la sua vacanza, tanto agognata quanto meritata. Non se la sentiva neppure di sconvolgere Harriet o Bud con le sue angosce. E Harm aveva sofferto troppo per causa sua. Non poteva aspettarsi che la tirasse di nuovo fuori dal buco nero.
 
 
 
 
-Buongiorno. Sono Sarah MacKenzie.
-Buongiorno, carissima – rispose una voce maschile dall’altro capo del telefono.
-La disturbo?
-No, assolutamente. Come stai, Sarah?
-Purtroppo ho un problema e avrei piacere di parlarne con lei. 
-Quando vuoi, sai che sono  piuttosto libero durante la settimana.   
-Le va bene domani dopo le 17.30?
-Va benissimo. Ti aspetto domani, allora.
-Grazie. A domani – rispose Sarah un po’ sollevata.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** I consigli di un padre ***


Nel suo ufficio al Pentagono, Sarah non riusciva a lavorare. Le ronzavano ancora nelle orecchie e le rimbombavano nella mente le ultime parole di Harm, quella mattina. “A questo punto il perdono serve più a te che a tua madre”. Ancora una volta suo marito le aveva letto dentro, era riuscito a dirle la verità più schietta ed evidente ma, proprio per questo, più penetrante e dolorosa. Sarah sapeva bene quello che doveva fare, quale fosse il vero bene, per sé e per le persone che amava. Ma incarnare quelle parole, quei concetti, le sembrava arduo, quasi impossibile. Si sentiva come un nano davanti a un muro altissimo, senza corde e senza chiodi.
Giunta finalmente l’ora dell’appuntamento, salì in macchina e accese la radio, sperando che una musica allegra potesse dissipare le oscure nebbie che sentiva attorno a sé, che la accarezzavano con le loro mani gelide e minacciose. Un Notturno di Chopin invase l’abitacolo. Ma Sarah non vi percepì la dolcezza amorosa di quella magica e indimenticabile sera dei biscotti della fortuna, in cui Harm aveva fatto scoprire, a lei incredula e autodifensiva, il tanto sospirato anello di fidanzamento. In quelle note c’era tutta la melancolia romantica, il dolore della perdita e dell’abbandono.      
 
 
-Benvenuta, carissima! – la accolse calorosamente il suo ospite.
-Buonasera, reverendo Turner.
-Vieni nel mio studio, Sarah. Staremo più tranquilli.
L’amabile e anziano cappellano militare le fece strada in una stanza luminosa, con grandi scaffali stracarichi di libri e un’ampia scrivania.
-Accomodati – le disse indicandole una poltroncina e si sedette in quella a fianco – Tutti bene a casa?
-Sì.
-I tuoi bambini sono meravigliosi. Mattie è una ragazza di straordinaria intelligenza e sensibilità. E Harm è un uomo dai mille talenti. Chi l’avrebbe detto che sarebbe diventato un marito e un padre così attento e sensibile?
-Ha ragione, sono molto fortunata. Sono io quella sbagliata. Sto facendo andare tutto in malora.
-No, Sarah. Come puoi dire una cosa del genere? State facendo un ottimo cammino, considerato anche il fatto che volete rispettare le radici di Gabriel e Maria, comprese quelle religiose. La vostra famiglia è un autentico dono di Dio.
-Il fatto è che sto male, tanto male. E i miei figli, soprattutto Maria, ne stanno risentendo molto.
-Raccontami cara.
-Le conosce un po’ la storia della mia famiglia d’origine, sa che è tutt’altro che felice.
Il pastore battista annuì.
  Il problema è mia madre. Non la vedevo da nove anni, dalla morte di mio padre. Ora è qui a Washington ed è venuta a cercarmi, ma io non le ho voluto parlare – disse lei usando un tono neutro che cercava di nascondere la rabbia e il senso di colpa. Ma non riuscì a proseguire. Il reverendo Turner rimase rispettosamente in silenzio. La sua interlocutrice non doveva sentirsi forzata o messa alle strette.
 
 
-Mia madre sta morendo ma io non riesco proprio a perdonarla – proruppe alla fine, tra i singhiozzi.
Il cappellano si alzò dalla sua poltrona e abbracciò Sarah, come solo un padre può fare.
 
 
-La rabbia e il senso di colpa sono sentimenti molto comuni in questi casi. – le disse consolandola – E sono due facce della stessa medaglia.
“Quest’uomo è davvero speciale. Ha saputo davvero leggere nel mio cuore, vedere i miei sentimenti, senza che io glieli rivelassi” pensò Sarah.
-E io cosa devo fare? Come posso scacciarli?
-Sarah, potrei farti un sermone su questo argomento. Ma penso che non conterebbe nulla. La risposta può venire solo da te. Sappi solo che se la rabbia è una gran brutta cosa, il senso di colpa è ancora peggio. E’ un’arma potente in mano al Diavolo che ci paralizza e ci impedisce di fare il bene che vorremmo.
-E’ vero, non riesco a combinare niente di buono. Sono diventata persino intossicante, per Harm e i bambini.
-Prima di perdonare lei, devi riconciliarti con te stessa. A questo punto, il perdono serve più a te che a tua madre.
“Proprio quello che mi ha detto Harm…” pensò Sarah.
-Ma come faccio con Harm e i bambini?
-A volte l’amore non basta. Di sicuro tuo marito starà cercando di aiutarti in tutti i modi. Ma non è detto che ci riesca. Tu però, fa’ chiarezza dentro di te.
 
 
Sarah uscì rincuorata dal colloquio. Ora sapeva che cosa fare, o almeno da dove iniziare. Era decisa: avrebbe intrapreso quella strada. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Risoluzione ***


-Sarah, ne sei davvero sicura? Ripensaci. Non tanto per me, ma per i bambini…
-È la scelta migliore, Harm.  Lo faccio proprio per i bambini. Non  possiamo andare avanti così. Stanno assorbendo tutta questa tensione. Bisogna che me ne stia un po’ per conto mio, per fare chiarezza.
Harm non riusciva ad accettare che Sarah se ne andasse. Nemmeno per pochi giorni. Il solo pensiero che sua moglie volesse allontanarsi da lui  in quel momento così critico lo inquietava. Nonostante l’apparente freddezza e decisione che leggeva nei suoi occhi, la percepiva ancora molto tesa e tormentata. Avrebbe voluto starle accanto e aiutarla a liberarsi da quel peso così opprimente. Ma la sua decisione era irrevocabile. Lei uscì dalla stanza con la sacca, quasi in punta di piedi. Contava di uscire presto, prima che si svegliassero i bambini. Mai avrebbe voluto farsi vedere da loro in quegli istanti dolorosi, e soprattutto dover affrontare le domande di Maria. Ma la bambina, quasi attratta da una forza irresistibile, destata da un’inconscia intuizione, quella mattina era già in piedi. Proprio lei, che era una gran dormigliona.
-Mamma, dove vai? – chiese facendo capolino dalla sua stanza, incuriosita dallo strano dialogo tra i genitori.
-Devo andare via per qualche giorno…
-Dove? – insistette la piccola – In un posto lontano? Su una nave?
Sarah era come pietrificata.
-No, tesoro – intervenne Harm – La mamma deve andare dalla nonna che è molto malata.
-Nonna Trish sta male? – chiese Maria rabbuiandosi – Oppure nonna Wanda?
-No, è la mia mamma che sta molto male – disse Sarah sbloccandosi. Non poteva tirarsi indietro di fronte alle proprie responsabilità. Harm avrebbe già dovuto accollarsi il peso della famiglia, nei giorni a venire. Non poteva scaricargli addosso anche il macigno della verità.
-La tua mamma? Dov’è? Perché non l’ho mai vista? – la bambina voleva sapere.
-Abita tanto lontano, amore – mentì la madre.
-Voglio venire con te, mamma – disse la piccola, prendendo Sarah per un braccio.
-Non è possibile, Maria.
-Sarò buona, buonissima. Te lo prometto, mammina.
-Sai, coniglietto – disse Harm prendendo in braccio la bambina per rassicurarla– La nonna è all’ospedale, dove ci sono tante persone malate. Non è un posto per bambini.
-Ma tu rimani con noi, papà? O vai via anche tu? – chiese Maria preoccupata.
-Certo, io sto qui con te e con Gabo. – rispose Harm accarezzandole la testa – Ora però saluta la mamma.
-Ciao, mamma. Torna presto, ti prego! –fece la piccola protendendo le braccine.
-Tesoro, non ti preoccupare – disse lei stampando un bacio sulla guancia di Maria.
Sarah uscì di casa con un peso ancor più greve sul cuore.  La sua bambina di certo si sentiva in colpa per la sua partenza. Quella catena di dolore doveva essere spezzata, al più presto. E solo lei poteva sferrare il colpo decisivo.



Maria era rimasta turbata da quanto aveva visto quella mattina. La mamma aveva un’aria così triste che le era venuta voglia di piangere. Ma poi c’era stata una lunga e serena giornata di giochi a casa della zia Harriet.
-Papà, abbiamo fatto dei disegni per la mamma – disse tutta fiera a cena – Guarda!
-Sono bellissimi, tesoro – rispose il padre osservandoli con attenzione.
-Babo pinge – intervenne Gabriel, che non voleva essere escluso dai complimenti. Anche lui aveva fatto la sua parte, lasciando l’impronta delle sue manine sui fogli colorati. Le tempere da dita erano un vero spasso.
-Anche tu sei bravissimo, campione!
-AJ tato…
-Hanno di nuovo giocato al dottore? – chiese Harm a Maria.
-Sì. AJ dice che vuole fare il dottore. Gabo è il suo patente preferito.
-Paziente, Maria.
“Che strano bambino, il mio figlioccio. Ma in fondo, un medico in famiglia potrà fare comodo, un giorno”.
    
  
 
Maria si mise il pigiama e aiutò il suo fratellino.
-Mia bella bella – disse Gabriel tutto allegro acchiappando la treccia della sorella.
-Gabino, facciamo una sorpresa a papà? – gli chiese Maria in un orecchio.
-Tì  - rispose lui ridendo.
La bambina prese il piccolino per mano e insieme sgusciarono verso la stanza dei genitori.
 
 
 
Harm, uscendo dal bagno, fu attirato da schiamazzi e sonore risate che provenivano dalla sua camera.
-Papà! Vieni a giocare con noi! – disse la bambina tutta entusiasta.
Il padre era rincuorato alla vista della spensieratezza di quei due monellacci che ridevano come matti, saltando e facendo capriole sul letto.  Ma era molto stanco e svuotato di energie. Quella giornata era stata molto difficile. L’immagine di Sarah lontana, che affrontava da sola l’angoscioso travaglio, gli era balenata davanti agli occhi per tutto il tempo.
-È ora di dormire, Maria – le rispose e cercò di acchiapparla.
-Allora dormiamo tutti e tre nel lettone – rispose prontamente lei.
“Una piccola ricattatrice. E si è pure tirata dietro quel birbone di Gabo” pensò. Ma non aveva proprio forze per opporsi a quella affettuosa richiesta.
-Nanna nanna. Papi, Babo e Mia – fece il bambino gettandosi a peso morto sul letto.
-Va bene, bambini.
-Ti zirbitto – disse Maria facendo una pernacchia sulla guancia del padre.
-Che cosa?
-Ti zirbitto. Lo fa Rudy, la figlia del dottor Robinson. L’ho visto alla TV dalla zia.
“Almeno non hanno guardato Star Trek. Bud ha già rovinato Mattie”.
I due piccoli si coricarono accanto al loro papà e abbracciandolo stretto si addormentarono. Anche Harm, spossato dal vortice di mille pensieri, si abbandonò finalmente al sonno. Come un vedovo lacerato dal dolore che si abbarbica tenacemente alla vita e all’amore

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La forza del perdono ***


Sarah non voleva più soffrire. “A questo punto, il perdono serve più a te che a lei”. Queste parole, sia di Harm che del cappellano Turner, le si erano come stampate nella mente e da lì le erano scese giù nel cuore. Goccia a goccia. Sentiva che era ora di imprimere una svolta decisiva alla sua vita. Lo doveva alla sua famiglia, ad Harm e ai loro figli. Ma soprattutto a se stessa.  Voleva essere felice, anzi lo desiderava con tutte le sue forze.
 

 
Entrò con timore e tremore nella stanza. Ed ecco una piccola figura, quasi una larva leggerissima e inconsistente, distesa tra le bianche lenzuola del letto d’ospedale. Il fantasma di sua madre. Era l’ora della riconciliazione. Non perché doveva, ma perché quella era la volontà che aveva sentito crescere dentro di sé in quei giorni di dolore e di angoscia. Come una forza impellente a cui non riusciva a sottrarsi.
Si avvicinò al letto della madre che sembrava assopita e si fermò ad osservarla. A Sarah sembrava di non provare più nulla. Ma la rabbia e il senso di colpa non erano svaniti lasciando il lei il vuoto. Al loro posto, solo pace. Prese quindi la mano della donna che le aveva dato la vita e che fino a poco prima gliel’aveva anche  lacerata, e la accarezzò. La madre si accorse del suo tocco gentile e aprì gli occhi.
-Sarah, cara… sei venuta - disse con un filo di voce.
-Mamma… - rispose dolcemente la figlia..
-Che gioia vederti… non ci speravo più.
-Non ti affaticare, mamma. Sono qui, con te.
-Perdonami, figlia mia.
Sarah non rispose nulla. Non era più il tempo delle parole. Quelle gliele aveva dette superficialmente nove anni prima, alla morte di Joe, suo padre. Ora era giunto il momento di far parlare il cuore. Continuando a tenerle la mano, le posò un bacio sulla fronte. E sentì le lacrime salire, ma non fece nulla per trattenerle.
 
 
 
 
Questa volta non era successo come con suo padre. Sarah non era arrivata fuori tempo massimo per stabilire un contatto, per riconciliarsi con la sua famiglia d’origine e con il suo doloroso passato. Ma ora sua madre era entrata in coma, le avevano detto i medici. Si era avviata lungo l’anticamera della morte.
Sarah uscì nel corridoio, con la mente gravida di un inusitato senso di sospensione. Come se tutta la sua vita precedente fosse stata riavvolta intorno a un fuso e fosse in procinto di essere tagliata. E ora lei attendeva un nuovo inizio. Ma ignorava completamente quale sarebbe potuto essere. Si sedette su una poltrona a pensare. Accanto a lei, una donna di una cinquantina d’anni che beveva un caffè e leggeva alcuni fascicoli. Sul suo viso, stanco e affaticato da chissà quante nottate insonni passate lì in ospedale, risplendeva però un’aria serena. Il lungo saio e lo scapolare di jeans chiaro, l’ampio fazzoletto bianco legato dietro la nuca rivelavano la sua scelta di vita. Una suora cattolica. Sarah ricordò l’agonia di suo padre, in quell’ospizio californiano gestito dai francescani, quando aveva trattato con ostilità e diffidenza il frate che donava conforto ai moribondi. Le sembrò che anche in quell’occasione le fosse stata offerta la possibilità di guardarsi dentro con gli occhi di un altro. Ma questa volta, però,  non intendeva guastarla.
-Le è mai successo di sentirsi sospesa?
-Come dice, signora? Sospesa? Nel senso di non essere mai arrivata a un punto fermo?
Sarah annuì.  
-Tutti i giorni – rispose la suora lasciando di stucco la sua interlocutrice, che si aspettava tutt’altra risposta - La vita è un cammino.   Ah, io sono suor Martha.
-Piacere. Sarah – sorrise colpita dalla stretta energica della esile donna.
-Le suonerà strano, ma anche per noi monaci la vita è piena di buche e di cadute. Soprattutto per noi.  
-Mi permette una domanda personale?
Suor Martha sorrise annuendo. Essere monaci nel deserto della città, soprattutto in un paese complesso come gli Stati Uniti, comportava anche situazioni come quella.
-Lei è felice della sua vita?
-Molto. Anche se non mancano le fatiche. Ad esempio il lavoro a contatto con persone molto diverse da me, per convinzioni e per scelte. E anche accompagnare un Fratello attraverso il dolore – disse alludendo al reparto di malati terminali in cui si trovavano - non è facile nemmeno per me, mi creda. Ora devo andare, mi scusi – si congedò da Sarah appoggiandole una mano sulla spalla, in atto di benedizione – Pace a te!
Sarah le sorrise in atto di ringraziamento. Suor Martha si alzò e andò ad abbracciare affettuosamente un ragazzo giovane che la aspettava nel corridoio. Forse un familiare del monaco morente.
Quella donna di Dio le aveva risposto con sincerità, senza farle prediche o domande. E ora Sarah rivolgeva al proprio cuore lo stesso quesito fondamentale.
“E io, sono davvero felice della mia vita?”

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Amore e morte ***


Sarah era nella piccola stanza d’ospedale. Il respiro della madre, prima affannoso, si stava sempre più affievolendo.  E lei sapeva che molto presto, questione di ore o di minuti, la sua vita si sarebbe spenta. Come una candela consumatasi lentamente. Mentre sedeva tutta assorta nei propri pensieri, sentì una mano sulla spalla. Un tocco a lei molto familiare e carissimo.
“Harm!” lo chiamò lei con gli occhi e con il cuore.
“Sarah!” Una voce, pur senza parole. Eccolo, lui era venuto! 
Suo marito si chinò su di lei per baciarla sulla fronte. Poi la strinse forte.
“Grazie” gli disse lei con lo sguardo.
“Non potevo lasciarti sola, in questo momento” rispose lui con una carezza, tanto silenziosa quanto eloquente.   
 
 
 
 
 
Salendo in auto, Sarah si sedette inavvertitamente su un giocattolo di gomma. Il suono buffo che ne uscì le strappò il sorriso. Harm alzò al suo solito le sopracciglia, come per dirle “Che cosa ci vuoi fare? Gabo il lanciatore…”. In ospedale le era rimasto accanto, nell’ultima ora, tenendole la mano. In silenzio. Con la sola voce dell’amore e della condivisione piena.
-I bambini? – chiese lei, riportata alla quotidianità dall’elefantino mordicchiato che teneva in mano.
-Sono con Harriet e Bud – rispose il marito con semplicità, e poi aggiunse – Non me la sentivo di lasciarli alla baby sitter, oggi.
“La nostra famiglia è unita. È questo il fuso su cui arrotolare la prossima matassa. ” pensò Sarah.
-Harm – esordì dopo un attimo di pausa – Penso che sia giunto il momento di cambiare la mia vita. In questi giorni ho riflettuto molto, non solo sul rapporto con mia madre.
Il marito ascoltò in silenzio. Non voleva né metterle fretta, né commentare. Quest’ultimo era un difetto che faticava a tenere sotto controllo. Ma il bene di Sarah valeva anche questo sacrificio.
-Sto pensando seriamente alla possibilità di lasciare il corpo dei Marine. Ero una ragazza sbandata, schiava della bottiglia, quando lo zio Matt mi orientò verso questa strada. La stessa scelta da lui. Ma ora sono una donna nuova, non sento più il bisogno di indossare la divisa. E poi sai che il lavoro al Pentagono non mi ha mai veramente soddisfatto.
-Lo so, amore. E mi è sempre dispiaciuto che per tornare a Washington tu abbia dovuto rinunciare al JAG. – rispose Harm “No, non vorrai mica fare la casalinga? Non sei Harriet…” pensò. Ma si vergognò all’istante di essere stato fulminato da un’idea tanto peregrina.
-Potrebbe esserci per me un posto in uno studio privato.
“Non avrà incontrato un altro carrierista in Porsche… ” rimuginò lui, arrossendo per il pensiero un po’ geloso e malevolo che aveva concepito.
-All’ospedale ho conosciuto una monaca cattolica.
-Una monaca? – questa volta Harm non riuscì a trattenere lo stupore. Non riusciva proprio a seguire i ragionamenti di sua moglie.
-Sì, suor Martha. Sai, sembrava anche a me una cosa dell’altro mondo. Ma nella sua comunità tutti hanno un lavoro part time. E lei è esperta in diritto minorile e familiare.  Nello studio con cui collabora hanno bisogno di un avvocato. Ci sto pensando su. Ovvio che dovrò lavorare sodo. E anche rimettermi a studiare.
-Se è quello che vuoi veramente, amore, hai tutto il mio appoggio. Desidero solo che tu sia felice.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** In exitu Israel de Aegypto ***


-Papà, ora la nonna è sottoterra? – chiese Maria.
-Solo il suo corpo, amore – rispose Harm.
-Un giorno possiamo andare a vedere dove sono i nostri genitori? – chiese la bambina prendendo la mano del padre.
-Le persone care che sono andate in cielo sono sempre insieme a noi. E così Aureliano e Tranquilina, il tuo papà e la tua mamma, sono sempre qui – e le toccò il cuore – Ma se ti fa piacere, andremo a Miami al cimitero.
-Grazie, papà.
Harm aveva impiegato tanti anni per accertare e poi soprattutto per accettare la morte di suo padre. Ma da tempo ormai non avvertiva più nemmeno il desiderio di andare al Muro alla vigilia di Natale. La comunione d’amore che sentiva con Harmon Rabb sr era vera e piena.  Un legame che andava oltre la morte, anzi che attraverso questa trovava il suo compimento.
Sua moglie prese in braccio Maria e la baciò. La piccola protese le braccine e si avvinghiò forte al collo della mamma. Alla tempesta era subentrata una grande bonaccia. Nel cuore di Sarah erano germogliate rigogliosamente la pace e la serenità. E una nuova forza che le avrebbe consentito di camminare sicura lungo il sentiero  della vita, insieme alle persone che amava. La forza del perdono
 
 
 
NdA: Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno seguito e recensito con tanta cura e attenzione questa “terza giornata”. Grazie anche a quanti hanno semplicemente letto silenziosamente. E ai futuri lettori, se ce ne saranno.
Le vicende della grande famiglia proseguiranno, in altre due “giornate” di questa serie, con la varietà umana e sentimentale che anima la vita. Ho intenzione di completare questo progetto narrativo, con la gioia e la voglia di far vivere ancora questi “caratteri” e con la consapevolezza di poter provare, strada facendo, quella che Filippo Tommaso Marinetti definiva “la voluttà di essere fischiati”. A ognuno il suo brivido.  

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2258239