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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Introduzione *** Capitolo 2: *** Prologo *** Capitolo 3: *** Cercando un pò di pace *** Capitolo 4: *** Ares, Dio della Guerra *** Capitolo 5: *** Pianificando la guerra *** Capitolo 6: *** Colpe da scontare *** Capitolo 7: *** Le dodici fatiche di Pegasus *** Capitolo 8: *** L'Idra e il Leone *** Capitolo 9: *** L'assalto dei berseker *** Capitolo 10: *** Distruzione in Siberia *** Capitolo 11: *** La cerva dalle corna d'oro *** Capitolo 12: *** Il cinghiale di Erimanto *** Capitolo 13: *** Capitolo undicesimo: Assalto all'Olimpo *** Capitolo 14: *** Capitolo dodicesimo: Fratelli di battaglie *** Capitolo 15: *** Capitolo tredicesimo: Le cavalle di Diomede *** Capitolo 16: *** Capitolo quattordicesimo: Le stalle di Augia *** Capitolo 17: *** Capitolo quindicesimo: Sulle tracce del niente *** Capitolo 18: *** Capitolo sedicesimo: Combattimento sull'Etna *** Capitolo 19: *** Capitolo diciassettesimo: Le paludi di Stinfalo *** Capitolo 20: *** Capitolo diciottesimo: Il toro di Creta *** Capitolo 21: *** Capitolo diciannovesimo: L'ultima Legione *** Capitolo 22: *** Capitolo ventesimo: Glastonbury in fiamme *** Capitolo 23: *** Capitolo ventunesimo: Ippolita, Regina delle Amazzoni *** Capitolo 24: *** Capitolo ventiduesimo: Il terribile Gerione *** Capitolo 25: *** Capitolo ventitreesimo: Combattendo insieme *** Capitolo 26: *** Capitolo ventiquattresimo: Caccia nella Foresta *** Capitolo 27: *** Capitolo venticinquesimo: Tifone e Giasone *** Capitolo 28: *** Capitolo ventiseiesimo: Il giardino delle Esperidi *** Capitolo 29: *** Capitolo ventisettesimo: Veleno mortale *** Capitolo 30: *** Capitolo ventottesimo: Chiarimenti necessari *** Capitolo 31: *** Capitolo ventinovesimo: L'infuocato scontro *** Capitolo 32: *** Capitolo trentesimo: L'ultima fatica *** Capitolo 33: *** Capitolo trentunesimo: Eterno terrore *** Capitolo 34: *** Capitolo trentaduesimo: Il massacro degli Argonauti *** Capitolo 35: *** Capitolo trentatreesimo: Il brigante di anime *** Capitolo 36: *** Capitolo trentaquattresimo: La grande paura *** Capitolo 37: *** Capitolo trentacinquesimo: Il flagello degli uomini *** Capitolo 38: *** Capitolo trentaseiesimo: Ritrovarsi *** Capitolo 39: *** Capitolo trentasettesimo: Assedio finale *** Capitolo 40: *** Capitolo trentottesimo: Fino alla fine *** Capitolo 41: *** Capitolo trentanovesimo: La grande alleanza *** Capitolo 42: *** Capitolo quarantesimo: Verso l'apocalisse *** Capitolo 43: *** Epilogo *** Capitolo 44: *** Schede tecniche Cavalieri di Atena, Olimpo, Asgard e Avalon *** Capitolo 45: *** Schede tecniche dei Berseker e figli di Ares ***
Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M
Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M.
Kurumada
ALEDILEO presenta
I CAVALIERI DELLO ZODIACO
2
“LA GRANDE GUERRA”
Nota dell’Autore:
Gli eventi di questa fanfic seguono logicamente e cronologicamente
“FULMINI DALL’OLIMPO”, che ne costituisce, in quanto a trama e personaggi,
l’ossatura iniziale. È consigliata quindi la lettura di tale fanfic (presente
su EFP), per una migliore comprensione dell’opera!
Un ringraziamento particolare a Shiryu, editore nonché correttore e
utile consigliere.
Un
boato scosse il Regno Sottomarino, facendo sussultare Marins che vagava
all’interno del Tempio di Nettuno, nel silenzio più completo. Tutto era in
ombra, ma il ragazzo sapeva come muoversi, non essendo la prima volta che vi si
recava. Cercò con fare sicuro una stanza sotterranea, una cripta segreta, il
cui accesso era celato ai più, nella quale Atena aveva nascosto un prezioso
oggetto al termine del sacro conflitto contro il Dio dei Mari dell’anno
precedente.
“Eccolo!”
–Esclamò, osservando il Vaso di Nettuno, protetto dal sigillo di Atena.
Per
quanto mille pensieri lo invadessero in quel momento, Marins li cacciò via,
curandosi soltanto della propria missione. Afferrò il vaso con cura e corse
via, ritornando in superficie ed uscendo dal retro del Tempio Sottomarino, per
un passaggio nascosto che l’Antico gli aveva insegnato.
“Finalmente!”
–Esclamò un ragazzo, osservando il compagno ricomparire tra le rocce dietro al
Tempio di Nettuno. –“Stavo iniziando a preoccuparmi!” –Commentò, visibilmente
più rilassato nel vederlo sano e salvo. –“Sono arrivati!” –Aggiunse, con un
filo di voce.
“Sì!”
– Sospirò Marins. –“Lo sento!”
Pochi
secondi dopo grida allucinanti lacerarono l’aria, urla confuse di cosmi
inquieti e maligni, espressione diretta della malvagità insita nell’animo di
quei Guerrieri Scarlatti.
Marins
si voltò per un attimo indietro, quasi tentato di correre via, per combattere a
fianco dell’ultimo difensore, ma sapeva che non avrebbe potuto farlo. Non a
costo di compromettere la missione! E quella veniva prima di ogni altra
cosa.
La
voce squillante di Febo lo riportò al presente, in corsa, lontano dal tempio,
lontano dalla guerra. Vi fu uno scintillio di cosmi e poi nulla più, i due
amici scomparvero, e il Vaso di Nettuno con loro.
Ignaro di tutto questo, un uomo dai capelli viola stava
combattendo sulle scalinate del Tempio Sottomarino, difendendo con
l’incantevole suono del suo flauto la reggia del suo Signore, ultimo dei sette
Generali degli Abissi ancora in vita. Di fronte a lui, un’intera armata dalle
fiammeggianti vestigia scarlatte, che pareva determinata a non lasciarsi
intimorire dal musico marino.
Syria
delle Sirene tremò per un momento, consapevole che quella sarebbe stata la sua
ultima melodia. Accostò il flauto alle labbra, e sprigionò tutto il suo cosmo
in una seducente sinfonia di morte.
Erano
trascorsi due giorni dalla fine della guerra sull’Olimpo e i lavori di
ricostruzione procedevano a passo spedito. Zeus, Signore Supremo degli Dei, era
determinato a riportare il Sacro Monte agli antichi splendori, ricreando quella
mitica atmosfera che aveva permeato la sua esistenza, e quella degli altri
abitanti, per millenni. Grazie al suo cosmo divino, la Reggia Olimpica era
stata ricostruita e al suo interno erano alloggiati tutti i Cavalieri Celesti
sopravvissuti, nonché i Cavalieri di sua figlia, Atena, Dea della Giustizia,
uscita fortemente provata e indebolita dalla tortura a cui era stata sottoposta
da Crono, stritolata dalle folgori divine nella Bianca Torre del Fulmine.
La
Dea era stata ricoverata nelle stanze di Asclepio,
Dio della Medicina, una delle poche Divinità scampate alla furia assassina dei
figli di Ares, non trovandosi quella notte sull’Olimpo, bensì in viaggio, per
motivi di ricerca, in località note a lui soltanto. Zeus in persona aveva
ordinato al Sommo Guaritore di curare urgentemente sua figlia, medicando anche,
appena possibile, i Cavalieri.
In tutti quei due giorni Atena era rimasta distesa su un
morbido letto, sotto l’attento sguardo del Dio della Medicina e del Padre degli
Dei che continuamente si era recato a farle visita, per quanto i suoi impegni
fossero abbondanti. E al capezzale della Dea non mancavano i suoi Cavalieri,
gli undici Cavalieri sopravvissuti alla Guerra Sacra e alla Scalata
dell’Olimpo, Pegasus in primis.
Il
ragazzo dagli occhi marroni non si era staccato un attimo dal letto della
propria Dea, osservandola continuamente, divorato dall’angoscia, nella speranza
di vederla aprire gli occhi quanto prima. Neppure l’insistenza di Sirio e
Andromeda, a cercare di distrarre i suoi pensieri, era servita per staccarlo da
quell’attesa piena di agonia. Neppure l’annuncio della partenza di Cristal.
“E
dove va?” –Chiese Pegasus, ascoltando le notizie che Sirio gli aveva portato.
“Ad
Asgard! Vuole accompagnare Ilda personalmente, per ringraziare Odino del
prezioso aiuto fornitoci durante la guerra!”
“Capisco…” –Mormorò il ragazzo, con lo sguardo stanco.
“In
realtà, credo che voglia rivedere Flare!” –Disse
Sirio, comprendendo il desiderio dell’amico.
“E
chi non lo vorrebbe?” –Commentò Pegasus, con una certa amarezza. –“Chi non
vorrebbe trascorrere del tempo con la persona amata, per quanto difficile possa
essere una relazione?! Per quanto impossibile possa essere tale amore?!”
“Pegasus…” –Sospirò Sirio, ma non trovò la forza per dire
altro.
Il
verde ciuffo di Andromeda entrò poco dopo nella stanza, salutando gli amici e
chiedendo notizie su Atena, le cui condizioni, per quanto migliorate, erano
ancora poco promettenti. La Dea si trovava in uno stato di semicoscienza,
incapace di vedere e parlare,e di accorgersi di chi le stava intorno.
“Non
preoccuparti!” –Disse Andromeda a Pegasus. –“Anche se Milady non può vederci,
sono sicuro che lei sa che siamo qua! Sa che le siamo vicini anche stavolta, in
questa battaglia che sicuramente vincerà! Sente il nostro cosmo, e quello le
darà fiducia e calore!”
Pegasus
sorrise, ringraziando l’amico, e quello fu il primo sorriso sincero che spuntò
sul suo volto dopo due malinconici giorni. Ma rifiutò comunque l’invito a fare
una passeggiata insieme a lui e Sirio, preferendo rimanere al capezzale di
Isabel.
“Voglio
esserci quando si sveglierà!” –Affermò, con gli occhi lucidi. –“Perché lei si
sveglierà! Ne sono sicuro!”
“Certamente…” –Commentò Sirio, prima di allontanarsi con
Andromeda.
Usciti
dalle stanze di Asclepio, i due parlarono tra loro,
preoccupati per il coinvolgimento emotivo dell’amico.
“Sono
due giorni che è così! Non mangia, non dorme! Ha persino rifiutato di farsi
medicare, per non perdere tempo!” –Incalzò Sirio, augurandosi che Isabel si
risvegliasse al più presto, prima che Pegasus diventi un vegetale.
Camminando,
i due amici arrivarono nella sala anteriore della Reggia di Zeus, dove
incontrarono Phoenix e Tisifone, indossanti i loro
normali abiti.
“Bene,
grazie! Le mie ferite si stanno rimarginando!” –Commentò la donna, il cui corpo
era stato messo a dura prova durante la scalata dell’Olimpo.
“Dov’è
Cristal?” –Domandò Andromeda al fratello.
“Sta
ultimando i preparativi! Lui e Ilda partiranno tra poco! Portando con loro le
salme di Mizar e Alcor!”
–Rispose Phoenix.
Ed
entrambi non poterono fare a meno di ripensare ai due fratelli di Asgard, alla
loro tragica storia e a come il loro rapporto si fosse evoluto in quell’anno
trascorso insieme, al punto da diventare un’affiatata coppia di guerrieri,
abili in combattimento. Una coppia di guerrieri che aveva saputo tenere testa a
un temibile avversario, Sterope del Fulmine, primo
tra i Ciclopi Celesti, sacrificando la vita affinché la giustizia potesse
trionfare e tornare a splendere come una stella sull’intera Terra.
Anche
Ilda, Celebrante di Odino, aveva rischiato di seguire i suoi guerrieri,
gravemente indebolita dall’esplosione di luce di cui il suo corpo si era fatto
carico, per abbattere la barriera energetica creata dai cosmi delle Divinità
defunte. Ma forse il destino aveva scelto una strada diversa per lei.
“Forse
le Norne…” –Aveva commentato la Regina di Midgard, riaprendo gli occhi, di fronte allo sguardo
esterrefatto di Cristal e degli altri Cavalieri.
–“Forse Urd, Werdandi e Skuld hanno un altro destino per me!”
“Odino
ha ancora bisogno di te, Ilda!” –Le aveva sorriso Cristal.
–“E tua sorella altrettanto!”
Ilda
ebbe la possibilità di incontrare il Signore dell’Olimpo, di fronte al quale si
inginocchiò con umiltà, chiedendo perdono per aver levato la mano contro sua
figlia e i suoi Cavalieri l’anno precedente, posseduta dall’Anello del
Nibelungo. Ma Zeus, magnanimo e stupendo, l’aveva pregata di alzarsi e parlare
con lui senza abbassare lo sguardo, non ritenendo ve ne fosse alcun bisogno.
“Come
non ho alcun bisogno delle tue scuse, Ilda di Polaris!
Tutt’altro! Grande è il debito nei tuoi confronti e nei confronti del tuo Dio,
il Signore degli Asi! E non sia mai detto che Zeus
non sappia essere riconoscente con chi ha volontariamente combattuto per lui!”
“Credo
che lavorare insieme per mantenere la pace sulla Terra sia la maggiore
responsabilità di cui possiate farvi carico, mio Signore!” –Aveva risposto
Ilda. –“Insieme ad Atena, e a Odino!”
“Sicuramente,
nobile Celebrante! Tuttavia voglio farti un dono! Chiedi senza esitare e io
esaudirò la tua richiesta! È il minimo che possa fare per ricompensarti, almeno
in parte, delle perdite subite!”
“Mio
Signore, non c’è che una cosa che desidero!” –Aveva commentato Ilda, con voce pacata
ma decisa. –“Tornare ad Asgard, nella mia città, tra la mia gente che aspetta
la mia opera! E portare con me i corpi dei miei guerrieri, cosicché io possa
dare loro degna sepoltura nella loro terra natale!”
“Comprendo
in pieno la tua richiesta, Celebrante di Odino! E ti aiuterò nell’impresa,
affiancandoti alcuni Cavalieri Celesti che ti scortino fino nelle fredde
distese nordiche!”
“Non
è mia intenzione creare disturbo al Signore degli Dei…”
“Nessun
disturbo, semplice riconoscenza!” –Aveva risposto Zeus, prima di far chiamare
il suo fidato Messaggero.
Pochi
istanti più tardi un uomo alto con mossi capelli grigi, ricoperto dalla sua
Armatura Celeste, era entrato nella Sala del Trono, inginocchiandosi di fronte
a Zeus: Ermes, il Messaggero degli Dei. A lui Zeus aveva affidato l’incarico di
scortare Ilda ad Asgard, insieme a un paio di Cavalieri Celesti sopravvissuti.
Insieme a loro sarebbe andato anche Cristal,
desideroso di tornare ad Asgard e ringraziare Odino, nonché rivedere Flare.
Quel
pomeriggio, quando Ilda e Cristal lasciarono
l’Olimpo, il Cavaliere del Cigno provò un forte senso di tristezza nel
separarsi nuovamente dai suoi compagni, a cui tanto era legato, da un vincolo
profondo capace di trascendere ogni tempo e luogo.
“Forse
dovrei restare con voi…” –Disse, incontrando gli
sguardi di Andromeda, Sirio e Phoenix.
“Atena
capirà, Cristal! Non preoccuparti!” –Sorrise
Andromeda, prima di abbracciare l’amico.
“Ne
sono certo anch’io!” –Aggiunse Sirio, rincuorando il ragazzo.
Pochi
minuti dopo Ilda e Cristal iniziarono la discesa
dell’Olimpo, seguendo il Messaggero degli Dei, e i due Cavalieri Celesti che
portavano le salme di Mizar e Alcor,
che il Cavaliere del Cigno aveva provveduto a ricoprire con splendide teche di
ghiaccio, per mantenere inalterati i loro corpi. In un lampo di luce
scomparvero, dirigendo i loro cosmi verso le terre del Nord.
Nel
frattempo, nell’armeria della Reggia di Zeus, due ragazzi stavano trafficando,
per sistemare le armi ancora in buono stato. Il primo non era molto alto e
indossava una semplice veste, fermata in vita da una cintura; aveva capelli
castani, un po’ ricciuti, e occhi marroni e sembrava un giovinetto di sedici
anni, per quanto ne avesse in realtà molti di più, avendo ricevuto in dono da
Zeus l’immortalità.
Era
Ganimede, il Coppiere degli Dei, ripresosi dalla ferita allo stomaco causatagli
da Flegias. L’altro era Giasone, il suo più caro
amico, uno dei pochi Cavalieri Celesti rimasti in vita. Oltre ai due, infatti,
erano sopravvissutisoltanto Castore e Polluce, grazie al
sangue divino che scorreva dentro di loro, per quanto le loro condizioni
fossero molto gravi, il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom
dell’Eridano Celeste, e pochi altri. Dodici su
duecento Cavalieri Celesti scesi in campo.
“Dannato
Flegias!” –Borbottava Giasone, sistemando le lance.
–“Pagherai per tutto questo! Il sangue degli eroi versato sul Monte Sacro non è
scorso via invano, ma è il sangue dei martiri che hanno lottato per un mondo
migliore! Un mondo in cui il Sommo Zeus saprà portare luce e speranza alle
umane genti, e non quella tirannia della Guerra che avresti voluto instaurare!”
Ganimede
aiutava l’amico, passandogli le lance e le altre armi, recuperate dalle
insanguinate distese dell’Olimpo, tra le lacrime per i compagni caduti.
“Abbi
fede, Giasone!” –Commentò infine il Coppiere degli Dei. –“Il Sommo Zeus saprà
riportare l’Olimpo agli antichi splendori, magnanimo e giudizioso come sempre!”
“Questo
non renderà la vita ai Cavalieri caduti, né cancellerà il sangue versato sul
Monte Sacro! Sangue fraterno, di Cavalieri valenti che hanno dato la vita per
difendere il loro Signore da coloro che reputavano invasori!”
“E
invece l’invasione è partita dall’interno!” –Esclamò Ganimede, amareggiato.
“Vorrei
avere Flegias tra le mani, quel dannato bastardo!”
–Esclamò Giasone, brandendo una spada con rabbia. –“Gli taglierei la testa con
le mie mani, e gli aprirei il corpo per vedere se esiste un cuore dentro di lui
o se è un corpo vuoto e freddo, incapace di qualsiasi emozione!”
“Comprendo
la tua ira, Giasone! Ma cerca di controllarti. Essa non si addice al candido
animo dei Cavalieri Celesti, che dovrebbero essere al di sopra degli umani
sentimenti!”
“Sai
una cosa, Ganimede?” –Borbottò Giasone, scocciato che l’amico lo rimproverasse.
–“Credo sia tutta un’illusione! Gli Dei e i Cavalieri preposti alla loro difesa
non possono esimersi dal considerarsi umani, dal provare gli stessi sentimenti
che albergano nell’animo dei mortali! Se lo avessimo capito prima, invece di
credere di essere superiori e immortali… forse molte
cose sarebbero andate diversamente!” –Aggiunse, piantando la spada in un fodero
e sistemandola tra le altre, di fronte agli occhi silenziosi dell’amico, che
capì che era meglio non replicare oltre, per non rischiare di discutere ancora
con lui.
Non
molto distante dai due servitori di Zeus, tre uomini seduti ad un ampio tavolo
di marmo discutevano con preoccupazione degli eventi accaduti di recente.
“Non
sono affatto tranquillo!” –Esclamò uno di loro, alzandosi in piedi. Alto e ben
fatto, con corti capelli castani, un viso maschile, su sui brillavano due occhi
verdi, parlava con decisione, sicuro del fatto proprio. Ma anche angustiato per
le sorti di un amico di cui non aveva notizie da due giorni ormai. –“Sono due
giorni che non avverto il cosmo di Virgo! –Affermò Ioria del Leone, girando nervosamente intorno al tavolo.
–“E questo non è normale!”
“Calmati
Ioria! Questo non significa che Virgo
sia in pericolo!” –Cercò di tranquillizzarlo un altro uomo, alto quanto lui, ma
con capelli mossi e castani, ed un viso più giovanile.
“Dohko ha ragione!” –Concluse il terzo, con voce squillante.
–“Virgo dispone di un potere così grande da non
temere rivale alcuno, ed inoltre, non dimenticarlo, può ridurre il suo cosmo al
minimo, in modo da renderlo impercettibile, soprattutto alle lunghe distanze!
Ed è probabilmente questo ciò che avrà fatto, per timore di essere scoperto da Flegias!”
“Scorpio, per favore! –Urlò Ioria.
–“Credi davvero che Virgo sia ancora in giro per il
mondo a inseguire Flegias? Da quarantotto ore?! Non
essere illuso! Noi Cavalieri d’Oro ci spostiamo alla velocità della luce, siamo
capaci di percorrere in un secondo sette volte e mezza la circonferenza della
Terra! Dove credi che siano andati rincorrendosi per due giorni? In un altro
universo? No, è successo qualcosa, Virgo deve essere
in pericolo e non riesce a mettersi in contatto con noi!”
“Adesso
tranquillizzati, Ioria!” –Esclamò Dohko.
–“Sono d’accordo che non dobbiamo allentare la guardia, né illuderci che la
guerra sia finita, ma al tempo stesso non dobbiamo farci prendere da inutili
allarmismi! Virgo sa il fatto suo, su questo non c’è
dubbio, e sono sicuro che se fosse in pericolo, per quanto sia orgoglioso, non
avrebbe esitato a inviarci un messaggio tramite il cosmo!”
“E
se non potesse farlo?” –Domandò Ioria.
“Per
quale motivo non potrebbe farlo?” –Intervenne Scorpio.
–“Nella peggiore delle ipotesi, in cui Flegias lo
abbia scoperto, i due avranno iniziato un combattimento, un lungo combattimento
dato che Flegias, come abbiamo visto, è un guerriero
forte e malvagio, ma neppure lui può essere così potente da limitare il Custode
della Porta di Ade, da impedirgli di usare il cosmo per comunicare con noi!”
–Ma Ioria non si tranquillizzò affatto.
“Tutto
questo tuo nervosismo è fuori luogo!” –Disse Dohko.
–“Ma non credo sia dovuto solo a Virgo!”
“Uh?!”
–Ioria non rispose, limitandosi a continuare a camminare
intorno al tavolo di marmo. Tirò un fugace sguardo fuori dalla grande finestra
e intravide due sagome parlare tra loro, nel fiorito Giardino di Zeus. La
Sacerdotessa dell’Aquila, Castalia, e il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste. E
ciò contribuì ad aumentare la sua agitazione.
La
mano di Scorpio, adesso più rilassato, si appoggiò
sulla sua spalla, accennando un sorriso. –“C’è qualcos’altro che ti turba?”
–Chiese il Cavaliere. Ma il Leone non rispose, facendo un cenno con il capo e
ringraziandolo, prima di allontanarsi per uscire dall’armeria.
In
quel momento arrivò Mur dell’Ariete, pregando il
ragazzo di rimanere, desiderando mettere al corrente anche lui di una sua
recente scoperta.
“Di
cosa si tratta?” –Domandò Scorpio, osservando lo
sguardo preoccupato di Mur.
“C’è
nebbia intorno all’Olimpo!” –Commentò il Cavaliere di Ariete. –“Una fitta
foschia che mi impedisce di usare a pieno i miei poteri mentali!”
“Che
vuoi dire?” –Incalzò Scorpio, mentre Dohko annuiva con il capo, avendola sentita anche lui.
“Ieri
sera, preoccupato per Virgo, ho cercato di mettermi
in contatto con lui tramite il cosmo, ma non sono riuscito a raggiungerlo!”
–Spiegò Mur.
“È
ciò che ho tentato di fare anch’io!” –Esclamò Ioria.
“Ma
io avrei dovuto riuscirci, Ioria!” –Puntualizzò Mur. –“Avendo dedicato anni al perfezionamento dei miei
poteri psichici, sono rimasto sorpreso nel notare, nonostante il crollo dello
Scudo di Ares, una nebbia che mi impediva di andare oltre! Non soltanto alla
ricerca di Virgo, ma mi è stato difficile arrivare
persino al Grande Tempio e cercare Kiki, che avevo
inviato ad Atene ieri pomeriggio per portare ad Asher
e agli altri Cavalieri di Bronzo la notizia della nostra vittoria!”
“Incredibile!”
–Commentò Scorpio, iniziando ad essere preoccupato a
sua volta.
“Una
misteriosa tenebra continua ad avvolgere l’Olimpo, e credo che lo Scudo di Flegias non fosse che una delle frecce al suo arco!”
–Rifletté Dohko.
“Credi
che ci sia ancora lui dietro tutto questo?”
“Io
mi chiederei un’altra cosa… se c’è solamente lui
dietro tutto questo!” –Commentò amaramente Mur,
incontrando lo sguardo preoccupato di Ioria e Dohko.
Mentre
i Cavalieri d’Oro discutevano nell’Armeria, e Cristal
e Ilda venivano accompagnati ad Asgard da Ermes, Pegasus continuava a sedere
sul letto accanto a Isabel, sperando di vederla aprire gli occhi quanto prima.
La Dea della Giustizia aveva messo duramente alla prova la sua fisicità nella
guerra contro Crono, combattendo per un’intera giornata contro le folgori che tentavano
di privarla della vita.
“Non
soltanto!” –Aveva commentato Zeus, ascoltando il cosmo della figlia. –“Le
folgori di Crono erano come lo Scudo di Ares, non si sono limitate a ferire il
suo corpo, ma anche ad indebolire il suo spirito, il suo cosmo, succhiando la
sua energia, svuotandola della sua preziosa linfa!”
“Puoi
guarirla?” – Le aveva chiesto Pegasus, con le lacrime agli occhi.
“Posso
provarci!” –Aveva risposto Zeus, donando alla figlia un po’ del suo cosmo. –“Ma
sua soltanto è la volontà di reagire, di ritrovare quel cosmo che il figlio di
Ares le ha portato via!”
Isabel! Mormorò Pegasus, sfiorando un braccio della donna,
ed immaginando di vederla sollevarsi e sorridergli. Sospirò, chiedendosi cosa
stesse accadendo nell’animo della sua Dea.
Isabel
stava immaginando di essere ancora una bambina, che passava le giornate
inseguendo farfalle e aspettando la sera, per sedere sulle gambe del nonno e
ascoltare le fiabe e le leggende che Alman di Thule amava raccontarle. Da sempre studioso e affascinato
dalla mitologia, classica o celtica, o di qualunque cultura fosse, Alman adorava condividere con l’acquisita nipotina tali
leggende. Una sera viaggiavano con Giasone, alla ricerca del Vello d’Oro nella
lontana Colchide, un’altra erano troiani, impegnati a
difendersi dal possente assedio messo in atto dai greci. Un’altra infine erano
angeli, in volo verso paradisi lontani, alla ricerca di un po’ di pace. Una
pace che, Isabel pensava, tardava purtroppo ad arrivare.
Improvvisamente la visione dei suoi sogni cambiò,
sfuocando e venendo completamente divorata da un oceano di guizzanti fiamme,
che fagocitavano tutto ciò che incontravano sul loro cammino. Isabel tentò di
urlare, ma le grida le morirono in gola, sopraffatta dalla paura e dal terrore.
Sinistre risate echeggiarono nella sua mente, e in quel turbine infuocato che
pareva risucchiarla al suo interno, in una lenta ma inesorabile discesa verso
il basso, verso l’oscurità profonda e senza fine.
D’un tratto però, un dolce suono riecheggiò nell’aria,
prima leggero, come un fischio da lontano, poi si fece sempre più incalzante,
giungendo a sovrastare le maligne risate provenienti dalle fiamme. Una melodia
soave, fatale, un incantesimo suadente che Isabel ricordò di aver già sentito,
quando era imprigionata all’interno del Sostegno Principale nel Regno
Sottomarino di Nettuno. Un cosmo, affatto ostile, parlò alla sua anima, sulla
scia della musica da lui stesso creata.
“Dea
Atena!” –Esclamò una soave voce.
“Questa
melodia… tu sei…” –Commentò
Isabel, riconoscendo il musico. –“Syria della Sirena, uno dei sette Generali di
Nettuno!”
“Proprio
così. Sono lieto che abbiate riconosciuto la mia voce, Dea Atena, e spero di
farvi cosa gradita con quest’ultimo mio canto!” –Disse il Generale, mentre
dolci note suonavano nell’aere.
Intrappolata
in quello sconosciuto limbo, Isabel cercava di capire cosa stesse accadendo,
mentre le note di Syria la avvolgevano, liberandola dalla morsa delle mortifere
fiamme malvagie.
“Non
ho mai avuto l’occasione di ringraziarvi, e forse è pretestuoso farlo adesso,
in punto di morte! Ma ho tanto bisogno di farlo, Dea della Giustizia! Ho
bisogno di aprire il mio cuore e ringraziarvi per la luce che portaste nel mio
animo, quel giorno, molti mesi fa, quando combattevo contro Andromeda alla Colonna
dell’Atlantico del Sud! Il vostro canto, splendido e soave, giunse alle mie
orecchie, anzi no, giunse al mio cuore, mondandolo dai dubbi e mostrandomi la
via per la salvezza, per la giustizia! Grazie a voi ho saputo mettere i miei
poteri al servizio del prossimo, portando ristoro con la mia musica ai bambini
di mezzo mondo, felice nel produrre gioia nel loro animo!”
“Syria!”
–Lo richiamò Atena improvvisamente, quasi si risvegliasse da un sonno profondo.
–“Cosa succede? Perché questo tono cupo?”
“Sto
morendo, Vergine Dea!” –Confessò il Generale. –“Flegias,
figlio di Ares, non ha gradito il mio tentativo di oppormi alla sua volontà,
ostacolando il recupero del Vaso di Nettuno, e ha espresso la sua vendetta
inviando un esercito di Guerrieri Scarlatti nel Regno Sottomarino, con il
compito di distruggere ogni cosa!”
“Terribile…”
“Dono
a voi quel che resta del mio cosmo, Dea Atena, e della mia musica! A voi che mi
avete salvato! Permettetemi, adesso, di ricambiare il favore!” –Sorrise Syria,
mentre un caldo cosmo avvolgeva lo stanco corpo di Isabel.
“Generale… ti prego, non andare…”
–Pianse Atena.
“State
in guardia, Dea della Giustizia! La guerra non è finita e presto dovrete
nuovamente difendere questo splendido mondo… Anche
per me!” –Commentò Syria, mentre la musica che accompagnava la sua voce salì
d’intensità, fino all’ultima nota. Quindi si chetò e il musico scomparve,
cedendo ad Atena le sue ultime forze e guidandola, con la sua musica, verso la
luce.
Mezzo
minuto dopo Isabel aprì gli occhi, ritrovandosi su un letto nella Reggia di
Zeus, di fronte agli occhi attoniti, ma felici, di Pegasus, seduto vicino a
lei. La donna sorrise, ritrovando il volto del ragazzo a cui tanto aveva
pensato nei mesi precedenti, fin da quando era terminata la Guerra Sacra; ma
non ebbe il tempo di dirgli niente che l’Olimpo fu scosso da un violentissimo
cosmo.
Superando tutte le ripristinate difese, una feroce emanazione cosmica invase il
Sacro Monte, liberando, al suo passaggio, incandescenti lingue di fuoco che
tutto invasero, che tutto divorarono, sopraffacendo gli stessi Cavalieri
Celesti e di Atena.
In
un lampo di luce rossastra, i Cavalieri di Atena e i difensori Olimpici,
accorsi alla Reggia di Zeus per capire cosa stesse accadendo, furono travolti e
abbattuti, mentre le vampe di fuoco si schiantavano contro il grande portone
della Sala del Trono, facendolo crollare poco dopo.
Zeus,
seduto sul trono, a colloquio con la sua sposa, la Regina degli Dei, si mise
immediatamente in piedi, puntando il fulmine dorato contro il crudele invasore,
il cui cosmo aveva riconosciuto subito.
“Sanguinario,
assetato di guerra e di violenza, al punto da farne il perno della tua
esistenza, funesto ai mortali e alle Divinità tuoi familiari, Dio senza
misericordia, che ti nutri di odio e di aggressività, sei dunque tornato, Ares,
Dio della Guerra?” –Disse Zeus, mentre Era si stringeva a lui preoccupata.
Immense vampate di fuoco stavano divorando l’Olimpo,
isterilendo la verdeggiante erba del Sacro Monte, impregnando l’intero suolo
del velenoso e malvagio cosmo del loro Signore, il possente Dio che della
Guerra aveva fatto la ragione stessa della sua esistenza, della sua essenza.
Ares era il suo nome, figlio di Zeus e di Era, spirito della Battaglia e Dio
senza misericordia, il meno amato dalle popolazioni libere, per la sua indole
violenta e sanguinaria, idolatrato invece dai suoi oscuri seguaci e dagli
uomini e dalle creature dall’animo corrotto e malvagio.
“Sei
dunque tornato, figlio?” –Commentò Zeus, seduto sull’alto trono della sua
Reggia. Ma alle sue orecchie non giunse risposta alcuna, soltanto una maligna e
profonda risata, che risuonò nell’etere, smuovendo l’indistinta massa di
energia che si trovava ai piedi della scalinata della Sala del Trono.
“Non
sono qua fisicamente!” –Rispose infine un’indistinta voce. –“Non ancora! Ma
verrò presto a prendere il mio trono! Il trono che mi spetta come Signore
Supremo della Guerra!”
“Cinquecento
anni confinato nel limbo della dimenticanza non hanno cambiato la tua indole,
né placato la tua ambizione, a quanto vedo!” –Giudicò Zeus, con un sospiro.
“Tutt’altro!”
–Rise Ares. –“L’hanno irrobustita! Mi hanno irrobustito! Aumentando la mia
forza, solidificando le mie intenzioni, più bellicose che mai, ed eliminando
completamente ogni traccia di dubbio o di compromesso dal mio animo!”
“Ed
ogni sentimento… immagino…” –Commentò Era, intervenendo per la prima volta.
“I
sentimenti non aiutano in battaglia, madre!” –Replicò Ares, e a Era non sfuggì
lo sdegno con cui le parlò. –“Solo un guerriero forte e deciso può sopravvivere
all’oscura epoca che sta giungendo!”
“E
tu saresti quel guerriero?” –Esclamò Zeus. –“Tu, Ares Brontoloigos, il
distruttore di uomini?! Tu, Ares Miaiphonos, dalle mani macchiate di sangue?!”
“Io
piegherò questo monte, estirpando la sua maledetta erba, e la tua stirpe
bastarda!” –Sibilò Ares, dando libero sfogo alle vampate incandescenti del suo
cosmo, che invasero l’intera Sala del Trono e la Reggia di Zeus. –“Sterminerò i
tuoi Cavalieri, e quelli della tua idealista figlia, piantando le loro teste su
lance acuminate e usandole come proiettili infuocati da lanciare contro queste
mura con le mie catapulte infernali! E quando arriverò qua, per prendere le
vostre misere vite, mi supplicherete di non uccidervi, vi prostrerete ai miei
piedi, disperati e con l’animo distrutto, mi adorerete come si confà ad una
vera Divinità!”
“Tu
vaneggi!” –Fu la risposta di Zeus, che senz’altro aggiungere concentrò il cosmo
sulla mano destra, liberando un guizzante fulmine energetico che si schiantò
sull’emanazione cosmica del Dio della Guerra, senza produrre alcun risultato,
non essendo Ares presente fisicamente sull’Olimpo, ma liberando la sala dalla
sua nefasta presenza. Le vampe incandescenti si ridussero di intensità, fino a
scomparire, mentre alle orecchie dei Signori degli Dei giunsero le ultime
parole di Ares.
“La
Grande Guerra è iniziata! Nel segno di una sanguinosa vendetta desiderata da
millenni! Ah ah!”
Zeus
si sedette nuovamente sul trono, mentre la confortante mano di Era si posava
sul suo braccio, per rincuorarlo, nonostante l’evidente tensione che regnava
anche nella Regina degli Dei.
“Non
finirà mai, vero?” –Commentò una voce, proveniente dall’ingresso della grande
stanza.
Zeus
e Era fissarono l’entrata, il grande portone abbattuto da Ares, sopra il quale
erano in piedi una decina di Cavalieri, preoccupati ma anche determinati a
superare questa nuova minaccia.
“No,
Phantom!” –Rispose il Signore degli Dei. –“Almeno non adesso!” –Aggiunse,
chiedendosi a quali orribili massacri si sarebbe abbandonato suo figlio.
Mentre
lo spirito di Ares conversava con Zeus nella Sala del Trono, una truppa dalle
scarlatte armature raggiunse il Grande Tempio di Atene, senza incontrare resistenza
alcuna. I guerrieri superarono quel che restava delle vecchie mura perimetrali,
incamminandosi a marcia forzata lungo la via principale, passando tra rovine di
case distrutte e resti di armi abbandonate, segni evidenti di una recente
battaglia che vi si era combattuta.
“Poveri
sciocchi!” –Commentò l’uomo che guidava l’assalto. Era un moretto dai capelli
corti, alto e dal fisico atletico, ricoperto da una splendente, quanto
inquietante, Armatura Divina, che dava l’idea di mortali fiamme infernali che
salgono verso il cielo, quasi per afferrare un pezzo di infinito a loro negato.
Flegias, il Rosso Fuoco, figlio di Ares.
“Bruciate
tutto!” –Ordinò lo spietato guerriero. –“Non risparmiate niente e nessuno! Che
il marchio di Ares venga impresso su quest’empio santuario che ha osato opporsi
al nostro potere!”
“E
i Cavalieri di Atena, mio Signore? Dove sono?” –Chiese un berseker.
“I
sopravvissuti curano le loro ferite sull’Olimpo, martoriati da un’estenuante
guerra che li ha indeboliti, e lasciati scoperti!” –Sogghignò Flegias,
ripensando alla perfezione del suo piano.
I
berseker distrussero tutto ciò che trovarono sul loro cammino, demolendo le
costruzioni rimaste, abbattendo statue e appiccando il fuoco ovunque, in una
mortale processione di crudeltà. Arrivati a ridosso della Collina della
Divinità, i guerrieri di Ares diressero le loro attenzioni verso un gruppo di
costruzioni che, lo percepivano chiaramente, erano ancora abitate, popolate
dagli ultimi superstiti del Grande Tempio. I feriti durante l’assalto di Eos e
dei Cavalieri Celesti, insieme alle Sacerdotesse che di loro si stavano
prendendo cura e agli ultimi difensori rimasti.
“Ecco
le nostre prede!” –Ghignò un uomo, srotolando la ferrosa catena della sua palla
chiodata.
“Umpf...
infermi e fanciulle…” –Commentò un altro, che brandiva un’ascia. –“Perderemo la
forma contro di loro!”
“Poche
chiacchiere, ed eseguite gli ordini!” –Li zittì Flegias, ordinando di assalire
l’ospedale.
Mentre
la carica dei berseker si dirigeva verso la costruzione, cinque ragazzi ne
vennero fuori, un po’ malconci e con le armature in parte distrutte,
lanciandosi contro di loro, per difendere l’infermeria.
“Uh?!”
–Restò sorpreso, il guerriero dalla palla chiodata.
“I
Cavalieri di Atena!” –Intervenne un altro.
“Esatto,
invasori del Grande Tempio!” –Esclamò uno dei ragazzi, con aria determinata.
–“Siamo i Cavalieri della Dea della Giustizia, il cui santuario avete
irrispettosamente profanato!”
“Non
farci ridere, ragazzino!” –Lo derise un berseker. –“Ti reggi in piedi per
miracolo, nonostante il tuo corpo sia pieno di ferite e il tuo cosmo sia uno
sputo nel cielo! E osi permetterti un tono simile?! Contro di noi, i berseker
del Sommo Ares?!”
“A…
Ares?!” –Mormorarono i Cavalieri di Bronzo, sconcertati. Ma uno di loro, stringendo
i pugni, li incitò a reagire. –“A qualunque divinità siate votati, pagherete il
vostro affronto, sgherri di un Dio malvagio!” –Tuonò il ragazzo dai capelli
castani, bruciando il proprio cosmo.
I
compagni fecero altrettanto, mentre all’interno dell’ospedale le Sacerdotesse e
i feriti si stringevano impauriti gli uni alle altre, confidando che il potere
di Atena li avrebbe protetti.
“Sono
Asher dell’Unicorno!” –Esclamò il ragazzo che finora aveva parlato.
“E
noi siamo…” –Intervenne Geki, ma una decisa voce maschile li interruppe.
“So
già chi siete!” –Esclamò Flegias, avanzando in mezzo al mucchio di berseker,
che subito si scansarono al passaggio del loro Comandante. –“E so anche che non
valete niente!”
“Che
cosa? Ma come osi?” –Tuonò Aspides dell’Idra.
“Basterà
un dito per spazzarvi via!” –Sibilò Flegias, concentrando il cosmo sull’indice
destro.
“Maledetto!”
–Urlarono Black il Lupo e Ban del Leone Minore, scattando avanti.
“Nooo…
Fermiii!!!” –Gridò Asher, ma era troppo tardi.
Un
lampo di luce rossastra sprigionò dal dito di Flegias, travolgendo i due
Cavalieri di Bronzo e scaraventandoli lontano, contro le mura dell’ospedale,
facendole crollare su di loro, e provocando grida e panico tra i rifugiati al
suo interno.
“Non
si sporchi le mani con loro, mio Signore, li lasci a noi!” –Esclamò il
guerriero dalla palla chiodata. –“Li uccideremo tutti! Così!” –E nel dir questo
roteò la catena sopra di sé, prima di scagliarla avanti.
Asher,
Geki e Aspides scattarono in direzioni diverse, per evitare l’affondo del
berseker, ma vennero comunque colpiti, essendosi la sfera chiodata moltiplicata
in infinite copie. Altri guerrieri si fecero avanti, brandendo lance e spade, e
lanciandosi senza pietà alcuna sui Cavalieri di Bronzo. A nulla servirono la
tenace passione che i cinque ragazzi misero nel difendere l’ultimo nucleo del
Grande Tempio, a nulla servì la loro disperata preghiera per Atena. Tutti
vennero travolti, infilzati dalle acuminate lance dei berseker, stritolati
dalle nere catene o abbattuti dai loro scudi.
“Ma...
maledizione…” –Urlò Asher, rimettendosi in piedi un’altra volta, mentre il suo
corpo era dilaniato da mille ferite sanguinanti. –“Brucia cosmo dell’Unicorno!
Fino ai limiti estremi!” –E un’aura violetta, dalle argentee sfumature, circondò
il suo corpo, permettendogli di distruggere le frecce avvelenate che i suoi
nemici gli stavano scagliando contro. –“Vai, Corno d’Argentooo!” –Urlò,
liberando il suo attacco energetico.
Esso
travolse un gruppetto di berseker che si era fatto avanti, permettendo a Geki e
agli altri di rimettersi in piedi, ma fu solo una vittoria effimera, che non
riuscì a cambiare le sorti della battaglia.
Flegias,
rimasto in disparte ad assistere al massacro, scatenò la sua tremenda Apocalisse
Divina, investendo i cinque Cavalieri di Bronzo, i cui corpi martoriati si
schiantarono a terra, provocando ampie fosse chiazzate di nobile sangue. Un
secondo colpo fece saltare in aria l’ospedale, annientando le ultime speranze
dei fedeli di Atena, mentre i berseker si avventavano sui corpi inermi dei
Cavalieri di Bronzo, affondando in essi le loro lame.
Con
un ultimo mastodontico sforzo, Geki si rimise in piedi, ruggendo come un’orsa,
dimenandosi come una fiera, afferrando uomini per il collo, per le braccia, e
gettandoli via, mentre le lance acuminate dei guerrieri di Ares gli sfondavano
il petto.
“Kiki!!!”
–Urlò Geki, mentre anche Aspides, Black e Ban si rialzavano. –“Portalo via!
Adesso!”
Il
fratellino di Mur, che era rimasto nascosto dentro l’ospedale, e si era salvato
per miracolo dal crollo della costruzione, intuì le intenzioni di Geki, le
stesse che il Cavaliere dell’Orsa gli aveva segretamente comunicato qualche ora
prima.
“In
caso di bisogno, tu dovrai salvarlo! E portarlo da Atena, affinché sappia cos’è
accaduto e sappia che i suoi Cavalieri sono caduti con onore!” –Gli aveva
detto, con occhi lucidi, ma non disperati.
Kiki
aveva annuito, consapevole della grande responsabilità che gravava sulle sue
spalle, e preoccupato come non mai alla possibilità di una nuova guerra. Una
guerra che, lo sapeva anche lui, non era lontana dal manifestarsi, sentendo
cosmi inquieti agitarsi per la Grecia.
“Morite!”
–Tuonò Flegias, ordinando ai suoi cento berseker la carica finale.
“Atenaaaa!!!”
–Urlarono Geki, Aspides, Black e Ban, bruciando l’ultima traccia di cosmo che
albergava dentro di loro. –“Ragazzi, nooo!!!” –Strillò Asher, mentre Kiki lo
afferrava per un braccio.
Le
porte dello spaziotempo vibrarono per un secondo, proprio mentre una scure
affilata si abbatteva sull’Unicorno. In un lampo di luce Kiki e Asher
scomparvero, venendo feriti soltanto di striscio, ma furono comunque raggiunti
dal Divino Cosmo di Ares, che martellò la loro mente sconvolta.
Flegias
non se ne curò troppo, spazzando via gli ultimi difensori con una nuova Apocalisse
Divina. Il Grande Tempio era adesso nelle sue mani, nelle sapienti mani di
un uomo che ne avrebbe fatto dono al suo Signore, l’unico vero Dio a cui la sua
esistenza era consacrata: la Guerra.
Tutti
sull’Olimpo sentirono arrivare i due Cavalieri di Atena, e lo stesso Zeus li
aiutò a superare i campi difensivi del Sacro Monte e a teletrasportarsi
direttamente alla Reggia di Zeus, dove Kiki e Asher apparvero pochi istanti
dopo. Il fratello di Mur reggeva il corpo sanguinante dell’Unicorno, ferito in
più punti e con le lacrime agli occhi per aver perso i suoi vecchi amici.
“Asher!”
–Esclamò Sirio il Dragone, avvicinandosi al ragazzo, per sorreggerlo.
Andromeda
fece altrettanto, mentre i Cavalieri d’Oro presenti si guardavano sconvolti,
riconoscendo che le loro tremende previsioni avevano trovato realtà.
“Che
cosa è successo?” –Domandò Zeus, affiancato da Era e dal suo Luogotenente.
“A…
Ares... hanno attaccato il Grande Tempio!” –Balbettò Asher. –“Distrutto ogni
cosa... fatto strage di…” –E con le lacrime aggiunse. –“…di Cavalieri!”
Sirio
e Andromeda ebbero un singulto, mentre anche gli altri Cavalieri espressero il
loro rammarico, e la loro rabbia nei confronti del Dio della Guerra.
“La
vendetta di Ares è infine giunta!” –Commentò Zeus. –“Il Grande Tempio di Atena
è stata la sua prima mossa… la prossima sarà l’Olimpo!”
“Dobbiamo
fermarlo!” –Esclamarono Phantom e Giasone.
“Quel
bastardo…” –Commentò Phoenix, stringendo i pugni con rabbia.
“Frena
la tua collera, Cavaliere della Fenice!” –Lo fermò Mur dell’Ariete, dispiaciuto
quanto gli altri, ma determinato a non lasciarsi vincere dall’angoscia. –“Ares
non è nemico di poco conto e qualunque mossa decideremo di fare dovremo prima
valutare ogni opzione, per non rischiare avventatamente!”
“Mur
ha ragione!” –Intervenne Libra. –“Dobbiamo agire con prudenza!”
“Ma
cosa volete valutare?” –Si lamentò Phoenix. –“Ares vuole distruggere tutti noi,
e noi dobbiamo combatterlo, se non vogliamo essere travolti dalla sua furia!”
“Ares
vuole voi!” –Commentò Asher con un filo di voce. Tutti i presenti si voltarono
verso il Cavaliere dell’Unicorno, appoggiato a Sirio e ad Andromeda. Aveva il
volto deturpato da una lunga ferita sanguinante, e lo sguardo perso, ma
respirando a fatica riuscì a parlare nuovamente.
“Prima
di andarcene dal Grande Tempio, Ares ci ha mandato un messaggio! Impresso a
fuoco nella nostra mente!”
“È
vero! L’ho sentito anch’io! E per un momento ho pensato che volesse impedirci
di lasciare il Grande Tempio!” –Urlò Kiki.
“E
cosa ha detto?” –Chiese Scorpio.
“Poche parole…” –Esclamò Asher, e in quel momento gli
parve di sentire la voce del Dio tuonare dentro il suo corpo. –“Se Pegasus e i
suoi quattro compagni hanno a cuore il tempio della loro Dea, che vengano da
me, loro soltanto, che vengano a riprenderselo! O lo trasformerò in un luogo
sacrificale, dove gli immacolati corpi dei loro cari verranno offerti in dono
al Dio Supremo della Guerra, come agnelli sull’altare di Cristo!”
“Immacolati
corpi?!” –Balbettò Andromeda, non capendo. –“Che cosa significa?”
“Credo
che Ares voglia giocare duro! Ha deciso di colpirci sul vivo, mirando ai nostri
sentimenti!”
“E
questo che significa, Grande Mur?” –Chiese Sirio, mentre un lampo di paura si
fece strada nella sua mente. –“Maestro…” –Aggiunse, rivolgendosi a Dohko.
Il
Cavaliere della Bilancia annuì con il capo, avendo capito, anch’egli, a cosa
Ares si riferisse.
“Fiore
di Luna!!!” –Urlò Sirio.
“Calmati
Sirio! Non ci sono prove certe al riguardo!” –Replicò Dohko. –“La foschia che
avvolge l’Olimpo limita anche i nostri sensi e, considerando che Fiore di Luna
non possiede un cosmo, non sono nelle condizioni per capire se effettivamente
si trovi ancora ai Cinque Picchi!”
“È
probabile che quello di Ares sia solo un tentativo di metterci paura!”
–Commentò Scorpio. –“Colpendo i nostri sentimenti, per spingerci a gesti
avventati! In fondo… ci conosce a malapena! Come può sapere chi sono i nostri
parenti, o le persone che abbiamo care?!”
“Qua
ti sbagli, Cavaliere di Scorpio!” –Intervenne Phantom dell’Eridano Celeste.
–“Ares forse non vi conosce, ma qualcun altro sì! Qualcuno che ha passato mesi
ad osservare le vostre gesta, tramando nell’ombra ai danni vostri e del Monte
Olimpo! Qualcuno che, ahimè, ha più frecce al suo arco di quante mai avremmo
immaginato!”
“Flegias!”
–Continuò Giasone, confermando le supposizioni del compagno. –“Egli ha seguito
le vostre mosse, sia quando combattevate contro Asgard, Apollo, Nettuno e Ade,
sia in seguito, quando sotto l’effetto del Talismano della Dimenticanza
assaporavate deliziosi momenti di una vita normale, priva di guerre! È stato
lui ad ordinare ai Ciclopi Celesti di raggiungere i Cinque Picchi e Luxor per
uccidervi, prima che aveste la possibilità di recuperare la memoria!”
“Lui
sa come arrivare a voi, Cavalieri di Atena!” –Esclamò Phantom, avvicinandosi a
Sirio e ad Andromeda, e sospirando dispiaciuto. Per qualche secondo nessuno
parlò, riflettendo sulla strategia da mettere in atto, finché una cristallina
voce maschile non risuonò nell’intero stanzone celeste.
“Se
Ares vuole noi, non lo faremo certamente attendere!”
Tutti
i presenti si voltarono verso un corridoio laterale, da cui spuntarono due
figure, tenendosi per mano. Un ragazzo dai corti capelli castani, affiancato da
una fanciulla dai lunghi capelli viola.
“Pegasus!”
–Esclamò Andromeda, sorridendo alla vista dell’amico, e della sua Dea.
“Atena!”
–La chiamò Zeus, felice nel vederla finalmente in piedi.
“Padre!”
–Esclamò Isabel, incamminandosi verso di lui, reggendo in mano lo Scettro di
Nike.
“Come
stai, figlia mia?” –Domandò il Dio, osservandola nella sua fragile ma
incantevole bellezza.
“Molto
meglio, grazie, e lo devo alle tue cure, al tempo che hai dedicato a prenderti
cura di me! E dei miei Cavalieri!” –Rispose Atena, inginocchiandosi di fronte
al Signore degli Dei. –“E di questo ti sono grata, oh potente Zeus!”
“Era
il minimo che potessi fare, Atena!”
“Avrei
voluto che il nostro incontro in quest’epoca avvenisse in circostanze più
felici!” –Commentò Atena, rialzandosi. –“Ma a quanto pare ci è stato negato!
Crono prima, e Ares adesso, minacciano la pace sulla Terra, ed è mio dovere
combattere affinché la libertà e la giustizia trionfino!”
“Questa
guerra non appartiene a te soltanto, Atena!” –Rispose Zeus, lasciando vagare lo
sguardo per la grande sala. –“È stata dichiarata guerra a tutti gli esseri
viventi, una guerra che Ares ha intenzione di combattere fino in fondo, con
ogni mezzo possibile, con ogni mezzo atto a conseguire il suo scopo finale!
Quello di dominare sul mondo intero dall’alto dell’Olimpo!”
“E
noi non ci tireremo indietro, Sommo Zeus!” –Esclamò la voce decisa di Pegasus,
facendo voltare nuovamente il Dio. –“Troppo dipende da noi in questo momento, e
grandi sono le responsabilità che gravano sulle nostre spalle, ultimi custodi
di una pace mai giunta! Ma per quanto terribili e spietati siano i nostri
avversari, non ci faremo da parte, non ci faremo vincere dall’angoscia, dalla
disperazione, da quel senso di impotenza che Ares vorrebbe istillare nei nostri
cuori, danneggiando il nostro animo di Cavaliere!”
“Pegasus
ha ragione!” –Lo affiancò Phoenix. –“Se Issione aveva soltanto un decimo della
volontà di dominio di Ares, allora faremmo bene a sbrigarci, ad indossare le
nostre armature e a correre al Grande Tempio, per dargli una bella lezione!”
“Impetuoso
cuore il tuo, Cavaliere della Fenice!” –Commentò Zeus. –“E forse non
completamente cosciente della devastante potenza distruttrice del Dio della
Guerra!”
“Ne
sono cosciente, mio Signore!” –Rispose il ragazzo. –“Ma so anche che da noi,
dalla nostra capacità di reagire, dipende la salvezza dell’intera Terra, di
quella splendida Terra piena di mille opportunità! E per quanto a me la più
grande credo che sia stata negata, ho ancora troppi motivi per non rinunciare a
vivere!” –Zeus sorrise per un momento, colpito dalle parole dei Cavalieri di
Atena, mentre il caldo tocco della mano della sua sposa, Era, sfiorava il suo
robusto braccio.
Sirio, Andromeda, Phoenix e Pegasus si riunirono al centro
del celeste atrio, proprio dove Atena, tre giorni prima, aveva lasciato Phoenix
e Castalia, per entrare da sola all’interno della Sala del Trono, sperando di
evitare un sanguinoso conflitto. Ma aveva fallito, e adesso un nuovo nemico
minacciava la libertà delle genti libere della Terra, obbligando i Cavalieri ad
una nuova battaglia. Una battaglia alla quale non si sarebbero certamente
tirati indietro.
I
quattro amici convennero che, per il momento, avrebbero dovuto accettare le
condizioni imposte loro da Ares. Se realmente il Dio della Guerra e i suoi
figli avevano catturato Fiore di Luna e le altre persone a loro care,
imprigionandole, era loro dovere correre a salvarle, liberando anche il Grande
Tempio di Atena dalla nefasta presenza dei loro nemici.
Patricia! Si stava rodendo il fegato Pegasus, stringendo i
pugni per non esplodere. Se Ares ha osato levare un dito contro di te, se ti
ha fatto del male… io… io… lo ucciderò con le mie stesse mani!Una mano amica gli sfiorò una spalla,
leggendo i suoi pensieri e sorridendogli, incitandolo ad essere forte, a non
lasciare che la rabbia divori la propria ragione, spingendolo a cedere al lato
oscuro.
“Conosci
il tuo dolore!” –Disse Phoenix. –“E controllalo! Può essere utile alleato in
battaglia! Ma non lasciare mai che domini, non lasciare che prenda il
sopravvento! O non ne usciresti vivo!”
Pegasus
sorrise, ringraziando l’amico per l’appoggio. Chi meglio di lui può sapere
cosa significa perdere la persona amata? Chi meglio di Phoenix può comprendere
il dolore e la frustrazione nel sentirsi impotenti di fronte alla morte? La
voce di Scorpio richiamò Pegasus alla realtà.
“Non
siate frettolosi, Cavalieri dello Zodiaco! Siete ancora coperti dalle ferite
dell’ultima battaglia, e già volete correre a rischiare la vita in una
truculenta guerra?”
“Arde
in noi, Scorpio, il fuoco della speranza!” –Commentò Sirio. –“Della speranza
delle genti libere di vedere nuovamente la luce del sole, la luce di un
domani!”
“Piuttosto,
il problema fondamentale sono le nostre armature!” –Disse Andromeda. –“Per
quanto si autorigenerino, dopo lo scontro con Crono erano messe molto male,
danneggiate in più punti!”
“Stesso
discorso vale per le nostre vestigia!” –Esclamò Phantom, mentre anche Giasone
annuiva.
“A
questo proposito…” –Risuonò la voce del Sommo Zeus. –“Mi sono permesso di
affidare ad un amico il compito di ripararle!” –I Cavalieri sgranarono gli
occhi, sorpresi dall’affermazione del Dio, che spiegò loro che Efesto,
nell’Olimpica Fucina del Monte Etna, era al lavoro per riparare le loro
armature, che adesso, grazie all’abile mano del Fabbro degli Dei, saranno
ulteriormente rafforzate.
“E
pronte per essere messe alla prova!” –Sbatté i pugni Pegasus, mentre la sua
mente vagava via, al di là del Sacro Monte, perdendosi nella sterminata terra
sotto di esso, e chiedendosi disperatamente come stesse sua sorella Patricia.
Ares aveva ordinato ai suoi berseker
di prendere possesso del Grande Tempio di Atena, eliminando gli ultimi
difensori, ed occupandolo con le proprie armate. Un esercito numeroso e ben
equipaggiato, le cui corazze erano state ricreate e potenziate grazie al
simpatico espediente a cui Flegias era ricorso
durante la battaglia sull’Olimpo.Raccogliendo infatti il sangue delle Divinità e delle Celesti Creature
uccise sul Sacro Monte, era stato possibile carpire anche il nascosto potere
che risiedeva in esso, oltre che usare la loro energia, diretta e convogliata
nella Pietra Nera.
“Sire!”
–Aveva ardito chiedere un guerriero, mentre il Nume dava le proprie
disposizioni, riferendosi al Tempio dell’Apocalisse. –“A che pro occupare il
Tempio di Atena, se già disponevamo di uno?”
“Perché
è più semplice e meno dispendioso, in termini di tempo e di energia, sfruttare
una casa già fatta, che non doverne ricostruire una!” –Aveva commentato il Dio,
con un sogghigno malefico, dovuto allo smacco che era riuscito a infierire alla
sua eterna rivale, Atena.
E intanto, con la mente, vagò indietro, ripensando al suo
maestoso, quanto lugubre, santuario, il Tempio dell’Apocalisse, qualche
centinaia di chilometri a nord-ovest di Atene, nascosto tra le nebbie del monte
Othrys, dove il Dio aveva imperato per millenni,
dirigendo le sanguinarie campagne militari dei suoi guerrieri, i ferocissimi berseker, orgoglio e vanto del Dio della Guerra, che in essi
trasmetteva una parte di se stesso, la parte più crudele e assetata di sangue,
che riusciva a divorare il loro organismo e ad avvelenare il loro animo,
facendone una spietata macchina da guerra nelle sue sapienti mani. Questa era
l’unica utilità, secondo Ares, del suo esercito. Niente di più. Non gli
importava altro di loro, né chi fossero né da dove venissero. Sapeva che erano
al suo servizio e che avrebbero combattuto per lui, anche a prezzo della vita,
e quello era ciò che gli interessava.
Che
altra utilità potrei trovare in loro? Se non considerarli strumenti per
raggiungere il potere? Sono sbandati, delinquenti, oscure figure dall’animo
inquieto e malato, che si rifugiano volontariamente da me per prestare servizio
nelle mie armate, dimenticando il loro triste e ramingo passato e trovando
finalmente un senso alla vita, uno scopo per cui valga la pena vivere e
lottare: la Guerra, suprema Madre del mondo. Essa, con il suo ardore, con le
sue prospettive di gloria e impero, attira gli uomini e corrode la fede nella
pace e nella libertà, facendone schiavi disperati, che non esiterebbero a
tagliare la gola al fratello pur di raggiungere le supreme vette del potere!
Estremo
esempio del disinteresse che Ares aveva nei confronti dei suoi guerrieri era il
fatto stesso che non li conoscesse, che essi non avessero un nome,
semplicemente un sostantivo che li indicava. Dimentichi delle proprie origini,
quegli uomini sporchi e bastardi erano chiamati con epiteti, spesso
dispregiativi, riferiti al loro aspetto fisico o, molto più frequentemente,
all’arma che erano soliti maneggiare. Scure, Balestra e Falcetto non erano che
un esempio di questa triste consuetudine diffusa all’interno della grande
armata dei berseker di Ares. Solamente i guerrieri di
alto livello, spesso figli bastardi di Ares, potevano vantare un nome proprio e
maggiore considerazione da parte del Dio della Guerra, per quanto comunque egli
non provasse per loro altri sentimenti di interesse, che non lo stesso
disprezzo che manifestava per tutti gli altri.
“Un
po’ spoglia questa sala, non trovi, Padre?” –Esclamò Flegias,
rubando Ares ai suoi pensieri.
Il Dio della Guerra si trovava alla Tredicesima Casa del
Grande Tempio, nelle stanze che erano state del Sacerdote della Dea, Shin prima e Gemini dopo, proprio nel grande salone dove
Pegasus e Arles avevano combattuto l’anno prima.
“Sobria,
la definirei!” –Commentò il Nume, prima di esplodere in una grassa risata.
“Sempre
meglio delle catacombe in cui sei stato costretto a vivere ultimamente!”
–Ironizzò Flegias, ricordando i sotterranei del
Tempio dell’Apocalisse, dove Ares aveva riunito i suoi guerrieri.
“Un
gesto resosi necessario dalle circostanze! In questo modo ho potuto evitare di
essere scoperto e grazie al potere della Pietra Nera, che ha raccolto le
energie liberate sul Monte Olimpo, ho potuto richiamare i miei berseker, armandoli di nuove vestigia, temprate nel Divino
Sangue degli Dei caduti, e di una nuova determinazione!” –Detto questo si
lasciò cadere sul trono in velluto rosso, al centro della sala. –“L’ora della
mia vendetta è giunta! Crono è stato un illuso, se ha creduto davvero che tu lo
avessi liberato per permettergli di dominare il mondo, con i suoi fratelli
Titani! Ma aveva un’ottima meta finale, la stessa, se pur in forma maggiore, che
ho io! Distruggere l’Olimpo ed estirpare la bastarda razza dei Cavalieri,
sostituendoli con guerrieri a me fedeli, che porteranno la mia parola, il credo
della Guerra e delle Fiamme, in tutto il mondo!”
“E
grazie a me questo progetto, che coltivi da millenni, diverrà realtà!”
–Commentò Flegias.
“E
sia, lo ammetto, sei stato abile! Abile e scaltro! Hai saputo sfruttare gli
antichi contrasti tra le Divinità per orchestrare questo piano che ha permesso
la mia rinascita in quest’epoca, e mi ha offerto la possibilità, unica nel suo
genere, di fare a pezzi gli avanzi delle armate di Zeus e di Atena, e di sedere
sul Trono Olimpico!”
“Non
sottovalutare comunque i Cavalieri di Atena! Altrimenti rischieremmo di cadere
nell’errore di Issione e di Crono, che pensavano di
poterli escludere dai loro progetti!”
“Non
è mia intenzione farlo, Flegias! E non ho bisogno che
tu mi ricordi come comandare!” –Tuonò Ares, espandendo il suo fiammeggiante
cosmo nell’intera sala.
Flegias
fu piegato dall’oscuro potere del Dio della Guerra, schiacciato a terra da una
poderosa energia cosmica che sentì entrare dentro di lui, dilaniandone anche lo
spirito.
“Pur
tuttavia mi hai liberato dal Sigillo di Atena!” –Esclamò Ares, lasciando infine
libero il mitologico figlio. –“E sei un abile combattente, sarebbe un peccato
ucciderti così! Ma sia chiaro che non tollero altri rimproveri od osservazioni,
neppure da te!”
“Come
desideri!” –Affermò Flegias, ansimante,
inginocchiandosi di fronte a lui.
“E
adesso va’! Assicurati che tutto sia pronto per ricevere i nostri ospiti! Phobos e Deimos saranno qua a
momenti, per aiutarti!”
“E
che ne è del prigioniero?” –Domandò Flegias, stupito
nell’udire parole simili.
“Ooh…” –Sogghignò Ares, accarezzandosi lo scuro pizzetto.
–“Ho fatto in modo che non possa più nuocere a nessuno! Ah ah ah!” –Ed esplose in una sadica risata, mentre Flegias si allontanava. Rimasto solo in quella che un tempo
era stata la reggia di Atena, Ares smise di ridere, riflettendo, con
preoccupazione, sulla strana fedeltà che il figlio sembrava mostrare nei suoi
confronti. E si augurò, per il bene del Rosso Fuoco, che non stesse facendo il
doppiogioco. Altrimenti…Commentò,
carezzando la sua spada infuocata. Saprò prendere adeguate contromisure! Ah
ah ah!
Flegias uscì in fretta dalla
Tredicesima Casa, spuntando sul piazzale antistante in un nuvoloso pomeriggio
di maggio. Sentiva le grida sboccate dei berseker
risuonare per l’intero Grande Tempio, impegnati in allenamenti o
nell’allestimento dell’accoglienza per i Cavalieri di Atena. Ma la cosa che
maggiormente percepiva nell’aria era il violento e ardente cosmo di Ares
impregnare ogni cosa, dall’animo del guerriero più blando, alle mura delle
Dodici Case dello Zodiaco.
Questo, si disse, non è più il Santuario della
Dea Guerriera! Adesso è divenuto il luogo ove i suoi Cavalieri periranno, di
una morte violenta e sanguinaria, senza organi che suoneranno marce funebri, né
fiori sui loro corpi martoriati! Sogghignò, fiero del suo successo: aveva
usato tutti, tessendo la tela del suo diabolico piano in maniera abilissima, al
punto che, se Loki avesse saputo di essere stato
usato a sua volta, avrebbe potuto fregiarsi del titolo di Dio dell’Inganno.
Fin da quando era stato risvegliato, il Rosso Fuoco aveva
dedicato tutti i suoi sforzi e le sue energie a portare il Caos nel mondo, il
disordine completo, scardinando gli equilibri preesistenti, approfittando di
antipatie reciproche e ansie di infinito mai sopite, che le corrotte anime
degli Dei e dei guerrieri avevano dentro. Aveva risvegliato Crono, liberandolo
dai divini sigilli in cui il suo cosmo era bloccato, allettandolo facilmente
con la prospettiva di una facile vittoria sull’Olimpo, e gli aveva donato una
Pietra Nera, nella quale, a sentir lui, sarebbe convogliata l’energia scaturita
dal violento conflitto che si sarebbe combattuto sul Sacro Monte. Un conflitto
voluto, fortissimamente voluto, dal Flagello degli Uomini. Sostituito Zeus e
messo Crono sull’Olimpico Trono, Flegias era quindi
passato a cercare alleati, in quel folle piano di dominio, e aveva trovato in Issione, figlio del suo divino Padre, un ottimo braccio
destro, per quanto egli non fosse a conoscenza del complotto, ma semplicemente
desideroso di emergere e occupare un posto nel nuovo ordine che Zeus, dal suo
punto di vista, avrebbe portato nel mondo. Issione
era un guerriero in gamba! Ma aveva un solo difetto. Pensava in piccolo! Per
quale motivo accontentarsi di dominare l’Olimpo, quando si può conquistare
l’universo intero?
L’altro alleato fu Loki, il Dio
nordico dell’Inganno. Un alleato di vecchia data! Commentò Flegias, ricordando l’intrigante figura della Divinità. A
lui, e a sua figlia Hel, fu affidato il compito di
recuperare i Cavalieri d’Oro, permettendo a Cristal
di ricevere i messaggi che Virgo gli stava inviando,
e consentendogli di raggiungere il Niflheimr e
liberarli, proprio come Flegias voleva.
Sì, li voleva sull’Olimpo a combattere contro i Cavalieri
Celesti, in una devastante esplosione di energia che egli avrebbe raccolto,
grazie allo Scudo di Ares, celato dalle nuvole, e convogliato nella Pietra
Nera, la vera Pietra Nera, quella che portava al collo, non certamente quella
che aveva donato a Crono. Quella era soltanto una rozza e volgare copia che
altro non mostrava al Dio che una minima parte dell’energia raccolta, mentre la
rimanente veniva destinata da Flegias a risvegliare
Ares, Dio della Guerra, e i suoi berseker, infondendo
in essi un nuovo cosmo carico di odio. Issione era
entrato nel piano, convinto realmente che Zeus volesse distruggere Atena, e Flegias se ne era servito, facendone un comandante al suo
servizio, ordinandogli di uccidere i Cavalieri dello
Zodiaco, sicuro che, in caso di un attacco estremo, come quello portato dai
Ciclopi Celesti, essi avrebbero ricordato, correndo a combattere sull’Olimpo,
fornendo ulteriore energia alla Pietra Nera. Se poi non avessero ricordato, o
qualcuno fosse caduto in seguito, magari uccidendosi a vicenda con qualche
Cavaliere Celeste, non sarebbe affatto stata una sciagura per Flegias! Tutt’altro!
Tra poco saranno qua, lo sento nell’aria! Giudicò,
socchiudendo gli occhi. Perfetto, ed io sarò pronto ad accoglierli…
prima di proseguire, quindi, nella mia ricerca! Non aggiunse altro, ma
scivolò via, lungo la scalinata di marmo delle Dodici Case.
Nel frattempo, sull’Olimpo, Zeus aveva convocato uno
straordinario consiglio di sicurezza nella Sala del Trono, per deliberare una
strategia comune per fronteggiare la minaccia di Ares, al quale aveva invitato
le Divinità sopravvissute all’eccidio operato da Flegias,
Phobos e Deimos, e i suoi
due Cavalieri Celesti, Giasone e Phantom, oltre che a
Dohko della Bilancia, il più anziano tra i Cavalieri
di Atena e l’uomo dotato di maggiore esperienza.
Era sedeva a fianco del Dio dell’Olimpo, su un trono più
basso di quello di Zeus, ma ugualmente splendente, ricoperta da un candido
abito di seta che le Sacerdotesse dell’isola di Samo,
su cui la leggenda voleva che la Dea fosse nata, avevano tessuto per lei
millenni prima. In piedi, alla base della scalinata, c’erano Artemide, Dea
della Caccia, ricoperta dalla scintillante Veste Divina, Atena, con ancora
indosso il suo tradizionale abito bianco, e Demetra, Dea delle Coltivazioni,
scampata miracolosamente al massacro, essendosi mutata in albero. Oltre che Phantom, Giasone e Dohko.
“La minaccia rappresentata da Ares è consistente!” –Disse
Artemide, battagliera e determinata a vendicare i suoi Cacciatori sterminati
dai figli di Ares. –“Cosa conti di fare, Signore dell’Olimpo?”
“Reagire! Questo è d’obbligo!” –Rispose Zeus, dall’alto scranno.
–“Ma ponderare le nostre mosse, per non cadere in facili allarmismi! Tra gli
Dei dell’Olimpo, Ares è quello che più mi è odioso, e sempre gli sono state
care le guerre e i massacri!”
“Pegasus e i suoi compagni avranno certamente bisogno di
aiuto!” –Intervenne Giasone. –“Da soli contro le centinaia di berseker di Ares è una follia!”
“Non sono tanto i berseker a
preoccuparmi!” –Commentò Artemide. –“Ma il Dio stesso, con il suo infuocato e
malvagio potere, e i suoi sanguinari figli, Phobos, Deimos e Flegias, capaci di
uccidere persino delle Divinità!”
Atena sospirò per un momento, prima di sentire il delicato
tocco della Dea delle Coltivazioni sfiorarle il braccio, per confortarla con un
sorriso.
“Mio Signore…” –Intervenne Phantom. –“La prego, consenta a me e a Giasone di
affiancare Pegasus e gli altri! Grande è il mio desiderio di prestare loro
aiuto e difendere la libertà sulla terra!”
“Avrai modo di scendere in campo, Cavaliere dell’Eridano Celeste!” –Esclamò Zeus. –“Ma non a fianco di
Pegasus, non al Grande Tempio!”
“Come sarebbe?”
“Ho un’importante missione da affidarti, Phantom! Presta orecchio alle mie parole! Voi tutti pensate
che i Cavalieri Celesti siano stati sconfitti e che, a parte i presenti e i Dioscuri, miei figli, non ci siano altri difensori
dell’Olimpo!”
“Non è forse così, Sommo Zeus?” –Chiese Artemide, non
capendo a cosa il Nume si riferisse.
“Non completamente, Dea della Caccia! Un buon stratega
deve saper scegliere la migliore soluzione, non solo in attacco ma anche in
difesa”! –Commentò Zeus. –“Per questo motivo scelsi di dividere il mio
esercito, nascondendo una parte in un luogo segreto!”
“Che cosa?!” –Sgranarono gli occhi Giasone e tutti gli
altri. –“Ci sono altri Cavalieri Celesti?!”
“Esattamente! Un’intera legione per l’esattezza,
l’ultima!” –Rispose il Dio, alzandosi. –“Phantom, tu
sarai il mio Messaggero quest’oggi, surrogando momentaneamente alle funzioni di
Ermes, impegnato ad Asgard! Ti recherai a Glastonbury,
per risvegliare la legione dormiente e condurla qua, sul Divino Monte, affinché
possa ruggire ancora il battagliero spirito assopito dentro di essa!”
“A Glastonbury, mio Signore?!”
–Balbettò Phantom.
“Proprio così, Luogotenente! In Inghilterra! Là, molti
secoli addietro, druidi e Sacerdotesse del popolo fatato dell’Isola Sacra, in
riconoscenza dell’aiuto prestato loro durante una sanguinosa battaglia, mi
concessero di nascondere parte del mio esercito, in modo da mantenerlo fuori
dai conflitti minori e sempre efficiente… pronto per
l’ultima guerra!”
“Ma mio Signore, se esisteva questa nascosta armata,
perché non è intervenuta prima, quando avevamo bisogno di loro?” –Chiese
Artemide.
“Perché essa ha ricevuto da me il divino ordine di non
muoversi mai, fino al giorno in cui io stesso, Signore Supremo dell’Olimpo,
l’unico a conoscenza della sua esistenza, non l’avessi richiamata a me!”
–Spiegò il Dio. –“Usa i tuoi poteri mimetici ragazzo, una volta fuori
dall’Olimpo! I berseker di Ares riescono ad arrivare
ovunque, purtroppo, e non vorrei tu cadessi in qualche imboscata!”
“Abbia fiducia in me, Signore dell’Olimpo, e non la
deluderò!” –Esclamò Phantom.
“Ne sono convinto!” –Sorrise Zeus, prima di incitarlo a
partire. –“E adesso va’, più veloce della luce, raggiungi l’ultima legione e
conduci qua i miei Cavalieri!” –Detto questo, il Luogotenente salutò le
Divinità e i Cavalieri presenti e si accomiatò, partendo subito per
l’Inghilterra.
Zeus discese qualche gradino, prima di posare lo sguardo
sul Cavaliere di Libra. –“Sarai contento, immagino, di rivedere il tuo vecchio
allievo!”
“Co... come?!” –Balbettò Dohko,
non capendo.
“L’uomo che guida le mie truppe, l’uomo al quale affidai
il compito di addestrare e mantenere in efficienza l’ultima legione, è il tuo
vecchio allievo, da te allenato fino a quattordici anni fa!”
“Ascanio?!” –Balbettò Dohko, sorpreso e al tempo stesso felice di sapere che il
suo discepolo stava bene.
“Esattamente!” –Rispose Zeus Tonante.
Per un momento la mente di Dohko
volò via, oltre quelle quattro mura, ricordando il giovane dagli occhi scuri
che aveva allenato fino a quattordici anni prima. Uno dei tanti discepoli che
aveva avuto e a cui aveva insegnato a prendere confidenza con il cosmo dentro
sé. Uno di quelli a cui era maggiormente affezionato, quasi quanto lo era a
Sirio. Un’ombra passò improvvisa sul suo cuore, velando il sorriso al pensiero
di rivederlo. Un’ombra che gli ricordò il compagno di Ascanio,
valente e generoso come lui, cui il destino fu però impietoso nei suoi
confronti.
La
voce decisa di Zeus pregò Dohko e Giasone di
allontanarsi, affidando al secondo il compito di organizzare la difesa
dell’Olimpo, facendosi aiutare anche dai Cavalieri di Atena, mentre le Divinità
rimanevano riunite a conclave nella Sala del Trono. Dohko
salutò Giasone, raggiungendo i Cavalieri d’Oro suoi compagni nell’armeria, Mur, Scorpio e lo sfuggente Ioria, che non aveva assistito neppure all’arrivo di Asher sull’Olimpo, impegnato a conversare con una persona.
“Sono
pronto a partire!” –Esclamò Scorpio, rivolgendosi al
compagno.
“Siete
davvero sicuri?” –Domandò Mur, preoccupato per loro.
“Dobbiamo
farlo, Mur! Per Pegasus e i Cavalieri dello Zodiaco!”
–Spiegò Scorpio. –“Dobbiamo controllare cos’è
realmente accaduto in Cina e in Giappone, se Fiore di Luna e Patricia sono
davvero state rapite dai guerrieri di Ares!”
“E
in tal caso ci metteremo sulle loro tracce, per liberarle!” –Concluse Dohko, prima di fare un cenno a Scorpio
per partire. I due Cavalieri d’Oro si avviarono verso l’uscita, prima che la
maschile voce di Ioria li richiamasse.
“State
sprecando il vostro tempo! E, così facendo, danneggiate noi che rimaniamo qua,
a cercare un modo per attaccare l’infame carogna di Ares!”
“Ioria!” –Lo rimproverò Mur.
“Cosa
c’è, Mur? Vuoi zittirmi ancora come quando cercasti
di impedirmi di intervenire contro Nettuno? Ma anche quella volta furono
Pegasus e gli altri a rischiare la vita, combattendo anche per noi!”
“Ioria, è proprio per Pegasus e gli altri che noi partiamo!
Per salvare, se necessario, le persone che loro hanno care!” –Spiegò Dohko, cercando di mantenere un tono tranquillo. –“Non c’è
nessuno che hai caro, tu? E non vorresti saperlo in salvo?”
“Io
vorrei solo andare a cercare Virgo!” –Rispose il
Leone, deviando il discorso di Libra. –“Ma la mia corazza non è ancora pronta!”
–Urlò, tirando un pugno sul tavolo di marmo.
“Abbi
pazienza, Ioria, la sto riparando!” –Commentò Mur. –“Le Armature d’Oro richiedono maggior tempo e
precisione, e…”
“È
quello che mi hai detto stamani quando riparavi la corazza di Libra! E sono
stanco di sentirtelo dire!” –Brontolò Ioria. –“Perché
non hai aggiustato prima la mia?”
“L’ho
fatto deliberatamente, Ioria! Credevo che tu avessi
qualche questione in sospeso da affrontare, sul Monte Olimpo, che non
prevedesse l’uso dell’armatura!”
Ioria
rimase un attimo ammutolito, incapace di rispondere qualcosa, mentre i volti
preoccupati di Scorpio e Dohko
restarono fissi su di lui, osservandolo con attenzione.
“Non
ci sono altre questioni da affrontare, Mur!” –Rispose
infine, moderando il tono. –“Ti prego di sbrigarti! Non appena la mia armatura
sarà pronta partirò alla ricerca di Virgo!”
Scorpio e
Dohko non dissero altro, limitandosi a salutare i
compagni e a lasciare l’Olimpo, dirigendosi verso est, per scoprire cosa era
realmente accaduto ai Cinque Picchi e a Nuova Luxor.
Perdonami
Ioria, se ho ritardato nelle mie consegne! Pensò Mur, rimettendosi al
lavoro. Ma non è stato solo il sincero credere che tu avessi bisogno di
parlare con qualcuno, con qualcuno di particolare, qua sull’Olimpo!Mur cercò di scacciar via quei nefasti pensieri, ma essi,
come avvoltoi, tornarono a ghermire la sua mente, mentre Kiki
lo aiutava, porgendogli il materiale per riparare le Vestigia di Leo. C’era un
altro motivo per cui Ariete non avrebbe voluto lasciar partire Ioria, una visione che era apparsa nei suoi sogni:
l’immagine di una grande luce che divora un’isola in un mare di fiamme,
un’isola su cui si stagliano agonizzanti i corpi di Ioria
e di Virgo.
Quando
Ilda di Polaris raggiunse Midgard le parve che
fossero passati anni da quando se ne era andata; invece era stato solo cinque
giorni prima. Era un freddo mezzogiorno nordico e la cittadina sembrava
apparentemente disabitata. Nessuno camminava per le strade in parte ancora
innevate, ma tutta la popolazione era chiusa in casa. Ilda, avvolta da uno
scuro mantello, passò per la strada principale, dirigendosi verso il Palazzo,
affiancata da Cristal il Cigno e da Ermes, e seguiti
dai Cavalieri Celesti che conducevano il feretro dove riposavano Mizar e Alcor.
D’un
tratto dei bambini spuntarono da dietro l’angolo di una strada, rincorrendosi
tra loro e si bloccarono completamente quando videro la strana processione. Di
fronte a loro c’erano uomini ricoperti da scintillanti armature, lucenti come
le stelle, che sembravano diradare la fredda brezza di Asgard soltanto
passandovi attraverso.
“Bambini,
non abbiate paura!” –Sorrise loro Ilda, scoprendo il capo. Ma ciò contribuì a
spaventarli ancora di più. –“Che strano!” –Commentò, osservando i bambini
fuggire via, quasi terrorizzati.
“Sembra
quasi che abbiano visto un fantasma!” –Mormorò Cristal,
prima di voltarsi e sorridere alla Celebrante di Odino, facendole cenno di
proseguire oltre. Ilda acconsentì, continuando il cammino, giungendo fino al
portone esterno della grande rocca del Palazzo della Celebrante. Cristal sorrise, riflettendo quanto fosse simile al Valhalla che egli aveva avuto modo di ammirare giorni
prima.
“Gli
somiglia moltissimo, non è vero?!” –Sorrise Ilda, intuendo i pensieri del
giovane.
“Sì!”
–Rispose Cristal.
“Questi
luoghi sono splendidi, Celebrante di Odino!” –Disse Ermes, intervenendo nella
conversazione. –“Da molti secoli ormai non mi ero più spinto così a nord, ma
rivedere questi luoghi, ammirare lo splendore di queste mura, così forti e
resistenti, è per me motivo di serenità!”
“Ti
ringrazio per le tue parole cortesi, Messaggero degli Dei, e rinnovo a te, e ad
ogni altro membro dell’Olimpica Reggia, l’invito a visitare Midgard ogni volta
che ne sentirete la necessità! Sarete sempre trattati come ospiti nella nostra
città! L’accoglienza nelle terre di Asgard è sacra!”
Proprio
mentre Ilda finiva di parlare un rumore massiccio di passi richiamò la sua
attenzione e dall’interno del Palazzo uscì una decina di uomini, ricoperti da
armature dalle fattezze vichinghe.
“Uh?!”
–Mormorò Cristal, chiedendosi per quale motivo
fossero armati di asce e di scudi.
“Eccola,
guardate! Allora è vero!” –Esclamò uno dei guerrieri.
“Incredibile… deve aver venduto l’anima al demonio!”
–Continuò un altro.
“Questo
non cambia la realtà delle cose!” –Li zittì un terzo.
“Uomini
del Nord!” –Li chiamò Ilda, con tono neutrale. –“Per quale motivo indossate le
vostre corazze da battaglia, e brandite armi nella città sacra di Odino?! Non
sapete che è vietato! Le guerre sono terminate e Midgard è tornata ad essere
una città di pace!”
“Midgard
sarà libera soltanto quando sarai morta, ex-Celebrante!” –Gridò un uomo, che
brandiva una lancia. Senza aggiungere altro, l’uomo scagliò con tutta la sua
forza la lancia contro Ilda, la quale, stupefatta e sconvolta, non riuscì a
muovere un muscolo per spostarsi. Fu Cristal a
fermare la lancia, afferrandola con il braccio sinistro e congelandola,
mandandola in frantumi.
“Che
atto è mai questo?!” –Domandò rabbioso il Cavaliere del Cigno. –“Rivolgere
un’arma contro la vostra Celebrante di Odino, la Regina di Asgard?!”
“Asgard
non ha re né regine! Odino l’ha abbandonata secoli fa, e da allora è sempre
rimasta esposta alle intemperie e alla violenza del clima!” –Esclamarono gli
uomini. –“Ilda è una traditrice! Come Odino prima di lei! Dopo averci lasciato
in balia, lo scorso anno, dei Cavalieri di Grecia, che avevano invaso la nostra
terra, pochi giorni fa è fuggita ad Atene con loro, nella calda e assolata
Atene, quella terra che noi mai vedremo né avremo!”
“Non
è questo il nostro destino, Uomini del Nord!” –Cercò di spiegare Ilda.
–“Combattere Atene per avere il sole sarebbe una follia, un bagno di sangue
assurdo di cui Odino non vuole macchiarsi!”
“Sciocchezze!
Come tutti i regnanti, tu, Ilda di Polaris, pensi
solo al tuo benessere! Vivi rinchiusa nel tuo bel Palazzo, riscaldato e
protetto, e non sei costretta a sopportare i freddi venti nordici, le
devastanti bufere che imperversano sulla cittadina di Midgard, che mietono i
nostri raccolti, che falcidiano gli animali e il nostro spirito di
sopravvivenza! Hai ingannato per troppo tempo la tua gente, vecchia strega, e
non sei più degna di rappresentarci!”
“Tacete,
miserabili!” –Esclamò Cristal, con rabbia. –“Ilda è
un’ottima sovrana, che ha pregato Odino per tutti questi anni, per ottenere la
sua clemenza e il suo interesse, per permettere a voi, a tutti quanti voi,
compresi gli ingrati e gli irriconoscenti, di sopravvivere in quest’erma
terra!”
“Miserabile
sarai tu, straniero invasore!” –Gridò un uomo.
“Uccidiamolo!”
–Gli andò dietro un secondo.
“Provateci!”
–Sorrise Cristal, con aria di sfida.
“Adesso
basta! Sono stata fuori dalla mia città per cinque giorni, cinque lunghissimi
giorni in cui non ho mai smesso di pensare alla mia gente, al mio popolo che
vive di stenti in questa nordica e fredda regione! Ma ho dovuto comportarmi
così, per esprimere il mio ruolo nel mondo e nel corso degli eventi! Eventi
troppo grandi e complessi da potervi adesso spiegare bene, ma che hanno richiesto
la mia presenza, al fine di proteggere anche Midgard, come la Terra tutta!”
“Eventi
che le hanno fatto dimenticare i compiti primari della sua funzione,
Celebrante!” –Esclamò un uomo, uscendo dal palazzo. I guerrieri si spostarono
per fare posto al nuovo arrivato, che indossava una lunga tunica marrone, che
lo copriva completamente, fermata in vita da una cintura scura, che gli
conferiva un aspetto quasi sacerdotale.
“Conte
Turin!” –Esclamò Ilda, riconoscendo l’uomo, un suo
vecchio consigliere, appartenente alle antiche famiglie reali di Midgard.
“Infelice
di rivedervi, Celebrante di Odino!” –Sogghignò il conte.
“Cos’è
questa storia?” –Chiese Ilda, indispettita. –“Avete organizzato una rivolta in
mia assenza?”
“Una
rivolta?! Oh oh!” –Rise bruscamente il conte. –“Non
mi permetterei mai! Ho semplicemente accelerato gli eventi, in vista di una
vostra successione!”
“Questo
è alto tradimento!”
“Questa
è la fine della vostra era sbandata!” –Le rispose il conte, ordinando ai
guerrieri di ucciderli.
I
dieci uomini che erano attorno a lui si lanciarono avanti, brandendo le loro
asce e le loro lance, dirigendosi verso Ilda, ma nessuno di loro riuscì a
compiere più di cinque passi che si ritrovò praticamente trasformato in statua
di ghiaccio. Cristal aveva espanso il proprio cosmo,
utilizzando il potere glaciante che gli era proprio
ed aveva fermato l’effimera corsa dei guerrieri.
Il
Conte Turin, che non si aspettava che Ilda rientrasse
a palazzo con una scorta di Cavalieri, probabilmente di Atena, rimase ammutolito,
osservando le dieci sagome di ghiaccio andare in frantumi pochi istanti dopo.
“E
adesso a noi!” –Esclamò Cristal, facendo un passo
avanti, verso l’uomo che aveva sobillato quella vergognosa rivolta.
“Fermati
Cristal!” –Lo chiamò Ilda. –“Non è mio desiderio che
le scale del Palazzo di Midgard si tingano di sangue! Conte Turin,
vi prego, siete sempre stato uno dei miei più anziani consiglieri, cosa vi ha
spinto a questo atto increscioso?”
“La
speranza, Ilda di Polaris! La speranza di poter dare a
Midgard un sole!” –Esclamò l’uomo e, senza aggiungere altro, tirò fuori un
coltello affilato da sotto la tunica e se lo piantò nel cuore, accasciandosi
pochi istanti dopo.
“Conte
Turin!!!” –Gridò Ilda, sconvolta, precipitandosi
avanti. Cristal e Ermes le furono accanto,
preoccupati per il precipitare della situazione, mentre Ilda sollevava il corpo
insanguinato e morente del vecchio consigliere. –“Perché?!” –Gli domandò, con
gli occhi gonfi di lacrime.
“Ci
avevano detto che eravate morta, che eravate caduta in guerra, lontano da
Midgard, lontano dalla terra che avreste dovuto difendere fino alla fine!”
–Balbettò il conte, prima di spirare. –“Non l’avete difesa abbastanza,
Celebrante, e presto, molto presto, anche Midgard cadrà nell’ombra!”
Nient’altro
aggiunse il Conte Turin, spegnendosi tra le braccia
della Sacerdotessa di Odino.
Cristal,
immaginando che tutto ciò avesse sconvolto il fragile animo della Regina, offrì
la propria mano ad Ilda, per aiutarla a rialzarsi, e la condusse all’interno
del Palazzo. Nessuno di loro si accorse di una figura, ammantata di uno scuro
mantello, che aveva seguito l’intera scena nascosta dietro i vetri del Palazzo.
Una figura che scomparve poco dopo.
“Perdonatemi!”
–Esclamò la Regina di Midgard, rivolgendosi ad Ermes. –“Non era questa
l’ospitalità di cui avrei voluto farvi dono, Messaggero degli Dei!”
“Non
vi sentiate in colpa, Celebrante di Odino! Moti di ribellione da parte di
uomini ingrati e corrotti hanno dominato la storia, anche quella dell’Olimpo,
perciò comprendo perfettamente!” –La rassicurò Ermes. Ma Ilda, quelle parole,
non la convinsero affatto. O meglio, non le condivideva.
Il
Conte Turin non era un ingrato né un uomo corrotto! Rifletté la Celebrante, qualche minuto dopo,
rinchiusa nelle proprie stanze. Aveva chiamato due ancelle e si era fatta
preparare una vasca di acqua calda, dando disposizioni che i propri ospiti
venissero alloggiati nelle migliori stanze della reggia e che fossero messi a
loro disposizione tutti i servitori possibili, imbandendo un banchetto
sostanzioso per il tardo pomeriggio. Era uno dei miei consiglieri, un saggio
a cui spesso ho chiesto illuminanti pareri sulla vita della città! Che cosa lo
ha spinto ad approfittare della mia assenza per sobillare questa rivolta? E se
non fosse stato da solo? Se non fossero stati solo dieci coloro che hanno
prestato orecchio alle sue idee? E se tutto il paese fosse d’accordo con lui,
concorde sul fatto che io non sia degna di rappresentare Midgard e celebrare
Odino per loro?! Si chiese, immersa nei caldi vapori della sua vasca da
bagno.
Ooh
Odino, vieni in mio soccorso! Sono davvero così indegna di rappresentarti?! Ma nessuna voce rispose alla sua domanda, soltanto
il vento che sbatteva impetuosamente i rami degli alberi esterni, increspando
le loro fronde e scuotendole dalla neve.
Un’ora più tardi
Ilda ricevette Ermes, Cristal e i Cavalieri Celesti
nel grande Salone del Fuoco, ad una tavola perfettamente imbandita, anche se
non molto abbondante.
“Vogliate
scusarmi, Messaggero degli Dei! Ma la mia città, come ben sapete, è stata
attaccata cinque giorni fa, dai Ciclopi Celesti inviati da Flegias!
E in questo stato di emergenza non ho potuto far preparare un migliore
banchetto!” –Esclamò Ilda, invitando i Cavalieri a sedersi.
“Non
dovete preoccuparvi, Regina di Midgard! È un piacere e un onore per me sedere a
questa ricca tavola!” –Disse Ermes, accomodandosi, imitato dagli altri
Cavalieri Celesti. –“Temo purtroppo che non potrò fermarmi a lungo! Ho sentito
cosmi inquieti agitarsi in Grecia e un’improvvisa vampata di energia accendersi
sul Monte Olimpo! Qualcosa di oscuro è tornato dal limbo in cui lo avevamo
confinato, un potere grande e malvagio, determinato a distruggere Zeus, Atena e
gli Dei tutti!”
“Che
cosa?!” –Esclamò Cristal, subito preoccupato per la
sua Dea.
“Non
temere per la Dea della Giustizia! Ella, adesso, si trova nel luogo più sicuro
e irraggiungibile sulla faccia della terra!” –Lo tranquillizzò Ermes. –“Spero
soltanto che non diventi la sua prigione!” –Aggiunse, con un pizzico di amarezza.
“Oscuri
sono questi tempi, e ogni regno è chiamato ad affrontare i suoi problemi!”
–Sospirò Ilda. –“Eppure anche qua, tra i ghiacci eterni, confido ancora in un
raggio di sole, nella luce buona delle stelle, che possa illuminare il cammino
e garantire a noi, e a chi verrà dopo di noi, un futuro!”
“Polaris è la vostra stella, mia Regina”! –Sorrise Ermes.
–“Conoscete la sua storia?”
“Ooh, molte leggende circolano sulla stella Polare, la guida
dei naviganti!”
“Tra
le molte, una è la mia preferita! Una leggenda pellerossa narra che un gruppo di guerrieri smarritisi nella foresta
avrebbero visto una fanciulla che indicò loro la stella Polare per aiutarli a
ritrovare l'accampamento. Come ricompensa essi la posero in cielo dove sarebbe
stata sempre vista come la guida verso il Polo e il vero Nord! E voi siete come
quella fanciulla, guida per il vostro popolo, un faro per la vostra gente! Non
dimenticatelo!”
Ilda sorrise, compiaciuta per la
gentilezza del Dio dei Mercanti, e si chiese se fosse realmente così che il
popolo la considerava. O forse vedono in me soltanto una dispotica tiranna
che ha scelto per la sua gente un destino di fame, freddo e miseria?!
La dolce voce di Cristal la rubò nuovamente ai suoi pensieri, e la fece
sorridere e ricordare Flare, sua sorella, ancora ad
Asgard, alla corte del Dio Odino. Le era mancata in quei giorni, come era certa
che pure a Cristal fosse mancata, ma sapeva che
solamente là sarebbe stata al sicuro.
Terminato il banchetto, Ermes si
accomiatò dalla Celebrante di Odino, rinnovando l’alleanza che Zeus, poche ore
prima, aveva inequivocabilmente fissato.
“Da oggi…”
–Esclamò Ermes, lasciando la città del nord. –“Asgard e Atene sono più vicine!”
“Che possano esserlo per sempre, in
pace e serenità!” –Aggiunse la Regina, salutando i Cavalieri Celesti. Anche Cristal la abbandonò, avviandosi verso Asgard. Non aveva
intenzione di fermarsi molto, forse soltanto un’ora, ma doveva vederla. Sì,
voleva vedere Flare.
Heimdall
non fu affatto sorpreso quando trovò Cristal il Cigno
sul pinnacolo roccioso dove il ragazzo e Flare
avevano atteso il Guardiano del Ponte-Arcobaleno pochi giorni prima. Lo guardò
di sottecchi, com’era solito fare, e lo trovò proprio come lo aveva lasciato:
vivo e con una percentuale maggiore di baldanza, dovuta al desiderio di
rivedere l’amata Flare. E questo lo fece sorridere.
“Salute
a te, Heimdall, Dio Guardiano del Ponte-Arcobaleno!”
–Esclamò Cristal, inginocchiandosi, mentre il
colorato ponte arrivava a lambire la superficie della montagna su cui si trovava.
“Bentornato,
Cavaliere del Cigno!” –Rispose Heimdall, con voce
tonante. –“Vedo che porti il medaglione della Principessa di Asgard!” –E indicò
il talismano che Cristal portava al collo.
“Esattamente!
Mi è stato donato dalla Principessa Flare prima della
partenza, per permettermi di ritrovare la via che mi conducesse alla corte di
Odino da cui ho ricevuto doni e benevolenza!”
“Non
credo ne avresti avuto bisogno, onorevole Cavaliere!” –Si limitò a commentare Heimdall, facendo cenno a Cristal
di alzarsi e incamminarsi con lui lungo Bifrost.
–“Odino non ama i visitatori, soprattutto quelli inattesi, ma nel tuo caso
credo si tratti di un’eccezione ben voluta!”
“Non
mi tratterrò a lungo, solo il tempo necessario per ringraziare il tuo Signore… e rivedere una persona a me cara!” –Precisò Cristal, proseguendo a passo svelto su Bifrost,
insieme ad Heimdall.
“Come
preferisci! Odino un tempo non avrebbe accettato così frequenti visitatori al
suo palazzo, essendo sempre stato piuttosto schivo, soprattutto nei confronti
di voi abitanti del Regno di Mezzo! Ma temo che arriverà un giorno in cui
dovremo combattere unendo tutte le nostre forze!” –Detto questo, Heimdall non aggiunse altro, per quanto Cristal
avrebbe voluto saperne di più. Ma non insistette, limitandosi a ringraziare il
Dio per la sua disponibilità e a correre al Palazzo di Asgard, dove incontrò
finalmente Flare.
La
Principessa era in piedi sulla porta della grande Reggia, avvolta da un candido
abito color latte, sul quale scendevano i suoi lunghi e voluminosi capelli
biondi. Aveva trascorso gli ultimi giorni nell’angoscia per la guerra in corso
e nella speranza di rivedere il giovane da lei amato, temendo che la profezia
delle Norne riguardasse proprio lui. E il resto
del tempo l’ho passato a chiedermi se ho realmente fatto la scelta giusta?! Se
questo è realmente ciò che voglio?!
“Flare!” –La chiamò Cristal,
correndole incontro.
“Cristaaal!!!” –Urlò lei, felice di gioia, scendendo in
fretta i gradini dell’ingresso del palazzo e gettandosi letteralmente tra le
sue braccia.
I
due si scambiarono un profondo sguardo carico di amore e felicità, prima di
abbandonarsi ad un intenso bacio. Ignari che, qualche piano più in alto,
qualcuno li stesse osservando.
“Cristal il Cigno è di nuovo ad Asgard!” –Commentò Freyr, il Dio della Bellezza e della Fecondità. –“Di questo
passo dovremo regalargli un alloggio privato!” –Ironizzò, allontanandosi dalla
grande finestra che dava proprio sull’ingresso del Palazzo di Asgard.
Nessuno rispose
alla frase del Dio, alle cui orecchie giunsero soltanto mugugni di riflessione.
“Chiederà
di incontrarti, probabilmente per ringraziarti!” –Continuò Freyr,
avvicinandosi all’uomo seduto su uno scranno.
“Ed
io non lo farò!” –Rispose una decisa voce maschile. –“No, Freyr,
non adesso! Abbiamo cose più importanti di cui occuparci! Rintracciare Loki, per esempio!”
“Temi
ancora un suo complotto?!”
“Io
non lo temo, Freyr! Io lo aborro! Ma al tempo stesso
non posso privarmene! Perché lui è l’ago della bilancia! Una delle chiavi del
mantenimento dell’equilibrio!” –Detto questo, l’anziano sovrano si alzò in
piedi, trascinandosi fuori dalla stanza, avvolto nei suoi preoccupanti
pensieri.
Molti
metri più in basso, Flare condusse Cristal all’interno del palazzo, tenendolo per mano e
ponendogli continuamente domande, su Ilda, su Atena, su Pegasus e i suoi
compagni.
“Sono
stata così angosciata, così preoccupata! Perché deve esserci sempre la guerra?”
Già,
perché? Si chiese Cristal
a sua volta. Forse perché fa parte dell’umana vita? La storia ci insegna che
non esiste popolo che non abbia combattuto almeno una volta, che non esiste
epoca che non sia stata segnata da guerre o conflitti. E nei più importanti,
quelli in cui si sono decisi i destini dell’intero pianeta, i Cavalieri hanno
giocato un ruolo fondamentale. I Cavalieri, e gli Dei dietro di essi.
“Tua
sorella ti prega di rientrare a Palazzo quanto prima!” –Le spiegò Cristal, raccontandole l’accaduto. –“Ha bisogno di parlare
con te! Di vederti!”
“E
anch’io ho bisogno di lei…” –Sospirò Flare.
“Di
lei soltanto?!”
“Qualcuno
vuole salutarti, se hai un minuto da dedicare a loro!” –Evitò il discorso Flare, con un serio imbarazzo nella voce.
Cristal
aggrottò un attimo la fronte, quasi deluso dalla risposta della ragazza, e
chiese a chi si riferisse; ma poi realizzò, rattristandosi per un momento,
prima che la mano candida di Flare lo conducesse in
una grande sala, dove quattro uomini li stavano attendendo.
Due ragazzi alti
e ben fatti, con corti capelli celesti, affiancati da un altro ragazzo dai
mossi capelli grigiastri e gli occhi argentei, e da un quarto, più in disparte,
dai lisci steli biondi. I guerrieri di Asgard, adesso ascesi al cielo degli Einherjar.
“Cristal!” –Esclamarono Mizar e Alcor, avvicinandosi al ragazzo.
“Amici!”
–Sorrise Cristal, con le lacrime agli occhi.
Per quanto non
fossero vivi, non fisicamente, e quelle fossero soltanto le loro anime, in
quella dimensione, in quell’incantata terra sopra le nuvole, avevano
consistenza fisica. Quanto bastava per renderli davvero reali, proprio come li
aveva conosciuti.
“È
un piacere rivederti!” –Esclamò Orion.
“Orion!” –Commentò Cristal. –“Non
so come ringraziarti per la tua spada! Essa mi è stata utile arma in
battaglia!” –E allungò una mano per sollevarla. –“Ecco, credo sia giunto il
momento di rendertela!”
“Non
preoccuparti! È un dono che ti ho fatto, a nome di tutti i Cavalieri di Asgard!
Adesso appartiene a te!”
“Ma…”
“Non
vorrai discutere con noi, no, biondino?!” –Intervenne Artax.
–“Impugna quella spada, Cristal, per combattere per
la tua Dea! E per le persone a te care, che vuoi salvare!”
Cristal non rispose, fissando il ragazzo negli
occhi. In un attimo la sua mente lo riportò in quell’afosa caverna dove lo
aveva affrontato molti mesi addietro. Anche lui aveva una persona da salvare,
ma l’aveva sacrificata, per la fedeltà che nutriva nei confronti della sua
sovrana.Che abbia adesso dei
rimpianti? Si chiese. Ma Artax non aggiunse
altro, allontanandosi dal piccolo gruppo.
“Credete
che sia possibile incontrare Odino?!” –Azzardò la richiesta il Cavaliere del
Cigno. –“Vorrei ringraziarlo per il suo aiuto, e porgerli i saluti della mia
Dea!”
Mizar, Alcor e Orion si guardarono un
momento tra loro, senza sapere cosa rispondere, e questo fece preoccupare Cristal.
“Odino
non può ricevere nessuno!” –Intervenne una nuova voce, entrando nella stanza.
–“È molto impegnato in questi giorni, ma ti porta i suoi saluti, Cavaliere del
Cigno!”
“Principe
Freyr!” –Esclamò Cristal,
felice di rivederlo.
“Vorrei
che fossero tempi migliori e che avessimo più tempo per conversare, ma credo
che oggi non ci sia concesso!” –Affermò il Dio, avvicinandosi. –“No, Cristal! Una nuova guerra sta iniziando, o forse una nuova
battaglia della stessa guerra, e già i tuoi compagni combattono in Grecia, contro
un antico sovrano in cerca di rivalsa!” –Quindi afferrò un ciocco di legno e lo
gettò nel braciere al centro della sala. –“Ma prima di tornare in Grecia, credo
che qualcuno abbia bisogno di te altrove!”
Le
fiamme del braciere crepitarono per un momento, prima di iniziare a muoversi,
alle parole del Dio della Bellezza, trasformandosi in immagini, non troppo
nitide, ma sufficienti per mostrare a Cristal un vero
e proprio inferno. guerrieri demoniaci intrisi di sangue e violenza che
marciavano per portare terrore e disperazione.
E
una delle loro mete era molto vicina al suo cuore. Troppo, perché potesse
ignorarla.
Pegasus,
Sirio, Andromeda e Phoenix raggiunsero l’Etna, scendendo fin dentro la profonda
Divina Fornace ove lavorava Efesto, il Dio della
Lavorazione dei Metalli. Sirio era stato l’unico, ad eccezione di Cristal, ad averlo visto personalmente, al Tempio dei
Mercanti, durante la battaglia sull’Olimpo, ed aveva capito essenzialmente due
cose di lui. Che era un Dio saggio e passionale, capace di provare umani
sentimenti, come quelli di disperazione nel vedere la propria sposa, la Dea
Afrodite, massacrata dai suoi degeneri figli, e capace di usare la ragione per
discernere tra il bene e il male, e che era un Dio dotato di grande potenza e
resistenza. Non soltanto aveva saputo resistere agli attacchi di Cristal, ma era persino sopravvissuto all’infuocata Spada
di Flegias, che il figlio di Ares aveva infilato nel
suo collo. Grondante sangue e debolissimo, Efesto
aveva infatti trovato la forza di rialzarsi, trascinandosi a fatica fuori dalle
rovine del Tempio, dove Giasone, in perlustrazione per conto di Zeus, lo aveva
trovato, e dove Asclepio poi lo aveva medicato. Il
divino cosmo di Efesto aveva fatto il resto, sanando
in parte le sue ferite, quelle fisiche almeno. Ma per quelle sentimentali non
c’era stata speranza alcuna.
“Divino
Efesto!” –Commentò Sirio, rivolgendosi al Dio,
impegnato a sistemare un’ala della corazza della Fenice.
“Le
vostre armature sono pronte!” –Parlò questi, senza voltarsi. –“Devo solo
aggiustare una cosa!”
“Ti
ringraziamo, Dio del Fuoco e della Metallurgia!” –Affermò Pegasus, facendosi
avanti. –“Grande è l’aiuto che ci stai dando, e te ne siamo grati!”
“Non
ringraziatemi, in fondo state facendo anche il mio volere!” –Rispose Efesto, stupendo i ragazzi. –“Non c’è cosa che maggiormente
vorrei al mondo che vedere quei maledetti figli di Ares morti! Uccideteli, e
portatemi i loro cadaveri, cosicché io possa gettarli nelle profondità
dell’Etna e dare loro la fine che meritano!”
I
Cavalieri dello Zodiaco rimasero in silenzio, colpiti dalla schiettezza delle
parole del figlio di Zeus, ma consapevoli che il dolore che portava dentro era
certamente umano, dovuto al più nobile, e al più terribile, dei sentimenti
umani, l’amore. L’amore che aveva perduto.
“Probabilmente
hai ragione, Dio del Fuoco!” –Commentò infine Phoenix, unico a trovare la forza
di parlare. –“Ma spesso, purtroppo, la vendetta non placa la nostra
disperazione! E anche davanti al corpo morto del nostro nemico, ci continuiamo
a chiedere perché… Ci continuiamo a chiedere cosa
avremmo potuto fare perché le cose andassero diversamente, cosa avremmo potuto
dire per rendere migliori i pochi giorni vissuti con la persona amata?! Ma alla
fine, ci rispondiamo che non c’è niente di diverso che avremmo potuto fare!
Perché quello che abbiamo fatto era ciò che sentivamo, ed era la cosa migliore
e più vera di noi stessi che potevamo regalare all’altro!”
Efesto
annuì a fatica, reprimendo un singhiozzo, ma non rispose alle nobili parole di
Phoenix, che molto colpirono il suo cuore. Si voltò verso le armature e spiegò
ai ragazzi di averle riparate, ridando loro la lucentezza che avevano
originariamente, e tutta la loro potenza.
“Non
soltanto!” –Aggiunse il Dio. –“Voi sapete di quali materiali sono fatte le
vostre armature?”
“Uhm…” – I Cavalieri si guardarono per un momento straniati,
non sapendo cosa rispondere. –“Oro?” –Azzardò uno. –“Platino?” –Aggiunse un
altro.
“Tutte
le armature, di qualsiasi Cavaliere, non sono mai completamente fabbricate con
il materiale dell’ordine a cui appartengono! Le Armature d’Oro non sono
interamente di oro, materiale lavorabile con difficoltà, ma di una lega mista,
di cui l’oro rappresenta il componente principale, ma non l’unico! Lo stesso
discorso può essere fatto per le Armature d’Argento e per quelle di Bronzo, una
lega di bronzo e di rame!” –Spiegò loro Efesto. –“Le
Vesti Divine, quelle che noi Divinità indossiamo, sono realizzate con una lega
di oro e avorio, e di un terzo elemento, lavorate a temperature altissime,
impregnate di sangue e cosmo divini, capaci di elevare tali metalli ad un
livello superiore, trascendente! Questo perché solitamente chi indossa una
Veste Divina è, appunto, un Dio o un Cavaliere di alto rango, difensore supremo
della Divinità, come erano i Ciclopi Celesti! Per le vostre corazze vi è una
sottile, ma degna di nota, differenza! Che non sono state create come tali, ma
lo sono diventate in seguito, nell’Elisio, quando voi, bruciando con ardente
determinazione il vostro cosmo, il vostro animo, la vostra stessa vita, fino ai
limiti estremi, avete trasformato i resti delle Armature di Bronzo presenti sul
vostro corpo, mescolati con i resti delle Armature d’Oro andate distrutte,
nelle Armature Divine, vestigia simili in tutto e per tutto alle Divine Vesti
da me forgiate!”
“E
questo le rende inferiori?” –Domandò Andromeda.
“Inferiori?!”
–Rifletté Efesto. –“Forse, in quanto non forgiate da
mano divina! Ma l’esperienza e la storia che risiedono in esse le rendono
superiori a qualsiasi altra corazza! Le vostre Armature di Bronzo, quelle che
avete indossato nella Guerra Sacra contro Ade, derivano dai resti di quelle che
andarono distrutte contro Nettuno, rinate col sangue di Atena; e quelle, a loro
volta, non derivavano dai frammenti delle vostre prime corazze, sorte a nuova
vita col sangue dei Cavalieri d’Oro, dopo la scalata delle Dodici Case?!”
–Sorrise infine Efesto. –“Credetemi, Cavalieri di
Atena, le vostre Armature non cederanno così facilmente! In loro risiede ormai
il vostro cosmo, impregnato delle battaglie e delle esperienze che avete
sostenuto, temprato dai duri allenamenti a cui siete stati sottoposti, e
rinforzato dal sangue dei Cavalieri d’Oro e da quello Divino di Atena!!! Poco
altro avrei potuto aggiungere ad un così grande prodigio della natura!”
“Capisco…” –Commentò Pegasus, che in realtà non stava
capendo niente.
“Tuttavia
ho ritenuto opportuno farvi un dono!” –Esclamò Efesto,
mostrando loro un pezzo di roccia dalle argentee sfumature.
“Cos’è?”
–Chiese Pegasus. –“Argento?”
“Ah
ah! Affatto!” –Rispose il Dio, riponendo la roccia su un piano da lavoro. –“È
il metallo più prezioso della storia dell’umanità, il terzo elemento di cui
sono costituite le supreme Vesti Divine!”
“Il
metallo più prezioso?!” –Mormorò Andromeda.
“Che
sia dunque…” –Accennò Sirio.
“Il
mithril!” –Affermò Efesto,
mentre i suoi occhi si illuminarono al suono celestiale di quella parola. In un
batter di luce le Armature Divine dei Cavalieri si scomposero, venendo ognuna
attirata dal cosmo del suo custode e ricoprendo i loro corpi.
“Incredibile!
Sento in essa una grande energia, un profondo calore!” –Esclamò Pegasus, mentre
la Celeste Armatura lo ricopriva. –“E inoltre, l’armatura…
sembra molto più leggera!”
“È
l’energia che viene dalle stelle, Cavalieri! Di cui il mithril
è espressione!” –Affermò Efesto.
“Mithril…” –Commentò Pegasus. –“Un nome che evoca leggenda!
Un metallo dalle magiche proprietà, resistentissimo e al tempo stesso
leggerissimo!”
“Il
mithril deriva le sue mistiche proprietà dall’essere
combinazione de i quattro elementi naturali, ed è un minerale alieno, se così
si può definire, che si crea quando un corpo celeste si schianta sulla
superficie terrestre! Se un meteorite è abbastanza grande da sfondare
l’atmosfera, esso collide poi con la crosta, con la terra, in un impatto che
genera temperature inimmaginabili! E il materiale di cui è composto si fonde
con i minerali e con l’atmosfera che lo circonda, dando vita ad un nuovo
materiale, il quinto elemento, o mithril, che risulta
creato dall’unione dei quattro elementi, terra, fuoco, aria e acqua! Non esiste
niente di più resistente in natura! Ed io, adesso, ve ne ho fatto dono, sicuro
che vi sarà utile nella guerra che vi aspetta!”
“Hai
dunque ricostruito le nostre armature con il mithril?”
–Domandò Andromeda, mentre Efesto esplodeva in una
grossa risata.
“Oh
no, Cavalieri! Non ho abbastanza mithril per creare
dal nulla quattro nuove corazze, particolarmente elaborate come le vostre!
Nessuno ne ha! Il mithril è molto raro, come rari
sono i corpi celesti che si schiantano sulla superficie terrestre! L’ultimo, al
quale attinsi per ottenere del mithril, fu quello di
Tunguska, in Siberia, nel 1908! Mi sono soltanto limitato ad usarlo per
riparare le parti danneggiate, lasciando che infondesse alle vostre vestigia
tutta la sua devastante potenza!”
“Ti
ringraziamo, Divino Efesto, per il tuo aiuto! E ti
promettiamo che non sarà speso invano il tempo che ci hai dedicato!” –Disse
Pegasus, mentre anche gli altri ringraziavano il Dio del Fuoco.
“Grazie
a voi, Cavalieri di Atena! Siete riusciti a portare un raggio di sole fin
quaggiù, nelle viscere della Terra!” –Chiarì il Nume, prima di voltar loro le
spalle e rimettersi al lavoro. Aveva ricevuto ordini precisi da Zeus e doveva
sbrigarsi, per riparare le Armature Celesti dei Cavalieri dell’Olimpo e
preparare nuove armi quanto prima.
Pegasus
e i suoi tre amici, dopo aver ringraziato il Dio del Fuoco, tornarono in
superficie, sentendosi più leggeri e rincuorati dall’aver ricevuto un simile
dono. Unirono i cosmi e scattarono verso Atene, arrivando al Grande Tempio poco
dopo e restando a bocca aperta per l’enorme sfacelo in cui lo trovarono
abbandonato. Costruzioni distrutte, mura abbattute, cadaveri gettati in strada,
tra la polvere, mescolati ai detriti. Persino gli alberi erano stati bruciati,
isterilendo la rada natura del santuario, e ancora vampe di fuoco esplodevano
caoticamente intorno a loro.
“Terribile!”
–Commentò Pegasus, guardandosi intorno. Lui che al Grande Tempio ci aveva
vissuto, trascorrendoci sei anni di allenamento, sentiva come se fosse stata
distrutta una parte di sé. E questo non fece che aumentare il suo dolore e la
sua rabbia.
Tristi
e addolorati i quattro amici si incamminarono lungo quel che restava della Via
Principale, giungendo in fretta all’ampio spiazzo dove l’anno precedente
avevano lasciato Lady Isabel trafitta dalla freccia di Betelguese,
prima di iniziare la scalata delle Dodici Case. E là si presentò loro il più
infelice e macabro spettacolo mai visto.
Infilate
dentro scarlatte picche acuminate, c’erano le teste di quattro uomini, di
quattro Cavalieri che Pegasus e gli altri conoscevano bene, essendo stati loro
amici e compagni di vita. Erano quelle di Geki, Ban, Black e Aspides,
barbaramente massacrati da Flegias e dai berseker di Ares.
“Che
gli Dei ci proteggano!” –Esclamò Sirio, correndo verso le lance.
Andromeda
scoppiò in lacrime, nauseato da un simile spettacolo di efferata crudeltà,
mentre Phoenix e Pegasus rimasero quasi immobilizzati, incapaci di fare o dire
qualcosa. Il loro voltastomaco aumentò quando videro che dietro le lance
c’erano cadaveri abbandonati, corpi macchiati di sangue, che altri non erano
che quelli di giovani donne, di fanciulle uccise e mutilate.
Improvvisamente
una forte emanazione cosmica esplose nel piazzale, dando nuovo impeto e vigore
alle fiammelle sparse per l’area. Come richiamate dal loro signore, le vampe di
fuoco si allungarono verso il cielo, lunghe lingue che circondarono gli
attoniti Cavalieri dello Zodiaco. Una figura comparve in mezzo alle fiamme,
scivolando tra loro come se nulla potessero contro di lui. Ricoperto dalla sua
scintillante Armatura Divina, Flegias si fermò
proprio davanti ai quattro Cavalieri, sfoderando la sua infuocata spada ed con
un ghigno malefico.
“Siete
arrivati infine?!” –Commentò il Rosso Fuoco, scaricando un rapido e violento
fendente di energia incandescente verso i quattro amici, che furono obbligati a
separarsi per evitarlo. –“Ih ih ih... Avete visto che
bella accoglienza vi abbiamo riservato?!”
“Bastardoo!!!” –Urlò Pegasus. E senza aggiungere altro
scattò avanti, concentrando il cosmo sul pugno destro e scagliando centinaia di
luminosi colpi verso il figlio di Ares, il quale li evitò tutti, muovendosi ad
una velocità maggiore, prima di balzare, con un’abile piroetta, proprio di
fronte alle picche insanguinate. Le afferrò con un gesto bruto, gettandole via,
insieme alle teste che vi erano piantate, in un rogo poco distante, in cui, a
sentire Flegias, aveva bruciato anche i corpi poco
prima.
“Sei
un maledetto!” –Urlò ancora Pegasus, affiancato questa volta da Phoenix e
Sirio. Il colpo congiunto dei tre compagni però non raggiunse Flegias, protetto da una mistica barriera su cui l’attacco
dei Cavalieri si infranse, venendo assorbito da essa e poi espulso,
travolgendoli.
“Lo
Scudo di Ares mi difende, sciocchi! Le mie difese sono insormontabili
per comuni Cavalieri come voi!” –Li schernì Flegias.
–“Ma se proprio volete combattere…” –E sollevò il
braccio.
Le
fiamme che erano intorno a loro si mossero al suo comando, diventando due alti
muri incandescenti che corsero lungo la scalinata di marmo che conduceva alla
Prima Casa di Ariete.
“Eccolo...
il Tempio di Ares!” –Esclamò Flegias, mentre i
Cavalieri di Atena sgranavano gli occhi.
“Bugie!
Questo è il Tempio di Atena! Quelle sono le Dodici Case dello Zodiaco!” –Tuonò
Pegasus.
“Non
più! Il Grande Tempio di Atena è ormai leggenda, questi sono i Templi dell’Ira,
custoditi dai Dodici Berseker della Guerra, i guerrieri
supremi scelti da mio padre per accogliervi nella sua Reggia!”
“Dov’è
Ares?” –Gridò Phoenix. Ma Flegias non rispose,
superando nuovamente i Cavalieri dello Zodiaco con un balzo e atterrando
proprio sulla scalinata che conduceva alla Prima Casa.
“C’è
un nuovo Sacerdote sul trono di Grecia!” –Commentò il Rosso Fuoco, mentre un
sorriso malsano gli deturpava il viso. –“E presto siederà sul trono
dell’Olimpo! Ah ah ah! Ah, dimenticavo, ha anche
nuove ancelle che lo servono!”
“Che
cosa?!” –Domandarono Pegasus e Dragone.
“Già...
ragazze giovani, molto carine. Fanno le difficili, ma poi si scioglieranno!”
“Fiore
di Luna!” –Mormorò Sirio.
“Uhm,
sì, mi pare che una si chiami proprio in quel modo!” –Sogghignò Flegias, prima di volgere lo sguardo verso Pegasus e
Andromeda. –“In quanto alle altre due…”
“Maledetto!
Se hai fatto del male a mia sorella…” –Urlò Pegasus,
scattando avanti con rabbia e scagliando un poderoso attacco lucente contro il
figlio di Ares. Ma questi fu nuovamente difeso dallo Scudo di Ares,
all’interno del quale scomparve poco dopo.
“Flegias!!!” –Urlarono i Cavalieri.
“Arrivederci,
amici!” –Ironizzò il Rosso Fuoco. –“Vado a uccidere le vostre amichette... se
volete assistere allo spettacolo, perché non mi raggiungete? Sono alla
Tredicesima Casa!!!” –Detto questo il suo cosmo scomparve, facendo avvampare
nuovamente le lingue di fuoco, e lasciando i quattro compagni da soli ai piedi
della scalinata del Grande Tempio.
“Che
facciamo adesso?” –Domandò Andromeda.
“Non
hai sentito cosa ha detto quel pazzo? Patricia è alla Tredicesima Casa!
Dobbiamo andare a salvarla! E anche Fiore di…”
–Esclamò Pegasus.
“Calmati,
Pegasus!” –Lo fermò Phoenix, afferrandolo per un braccio. –“Non necessariamente
ciò che Flegias ha detto deve essere vero! Potrebbe
essere un trucco!”
“E
nel dubbio cosa dovremmo fare? Rimanere qua ad aspettare?” –Rispose il ragazzo,
liberandosi dalla presa dell’amico.
“Sono
preoccupato per Fiore di Luna!” –Intervenne Sirio.
“E
io per Nemes! Credo che Flegias
si riferisse a lei!” –Esclamò Andromeda.
“Ma
non per questo mi lascerò travolgere dai sentimenti!” –Aggiunse Sirio, facendo
voltare Pegasus verso di lui. –“E ti prego di fare altrettanto, Pegasus!”
“Sirio…” –Mormorò il ragazzo.
“Verrò
con te, alla Tredicesima Casa, e credo che anche Andromeda e Phoenix faranno
altrettanto! Non solo per salvare le persone a noi care, ma anche per battere
Ares, che nelle stanze del Sacerdote si è rintanato!” –Esclamò Sirio.
–“Probabilmente stiamo facendo il suo gioco. Chissà quali insidie nasconderanno
le Dodici Case! Ma che altra scelta abbiamo? Rimanere qua, inermi, a lasciar
trascorrere le ore senza far niente? Mentre il mondo urla disperato sotto gli
assalti dei berseker?”
“Sono
con te, amico!” –Esclamò Pegasus, mettendo una mano sul polso dell’amico.
Andromeda e Phoenix fecero altrettanto, prima di urlare insieme a squarciagola
e lanciarsi avanti, lungo la scalinata di marmo, diretti verso la Prima Casa.
Le
fiamme che costeggiavano la gradinata si mossero al loro passaggio, avvampando
e ululando come infernali creature, ma niente riuscì a fermare l’avanzata dei
Cavalieri della Speranza, che in pochi attimi giunsero nel piazzale antistante
la Casa dell’Ariete. In quel momento un tremendo boato scosse il Grande Tempio
e i Cavalieri sentirono la terra sotto di loro tremare, venendo spinti
indietro, mentre il pavimento si schiantava in più punti, venendo sollevato
impetuosamente da una mostruosa creatura emersa dal sottosuolo.
Sembrava
un drago, ma aveva nove teste, ed era completamente bardata, ricoperta da una
cotta di materiale sconosciuto che le dava un aspetto guerriero e orribile. Le
teste, unite al corpo da lunghi colli ricoperti di aculei, erano mostruose e su
esse spiccavano grandi occhi rossi intrisi di sangue, ed avevano enormi fauci
che sputavano fuoco.
“Ma… che creatura mostruosa è mai questa?” –Domandò
Andromeda, osservando la bestia che si dimenava per liberarsi completamente dal
terreno.
“C’è
un’unica bestia dal simile aspetto!” –Commentò Sirio. –“Una bestia mitologica
chiamata Idra di Lerna!”
“L’Idra
di Lerna?!” –Esclamò Pegasus.
Improvvisamente la bestia si mosse, allungando alcune
teste verso di loro, e iniziando a sputare fiamme, lunghe vampate di fuoco
dirette contro i Cavalieri dello Zodiaco, che si divisero, cercando di evitare
di essere colpiti. Pegasus saltò indietro, evitando una vampata dell’Idra, ma
subito un’altra testa lo attaccò nuovamente, costringendolo a muoversi ancora.
Andromeda tentò di fermare le fiamme, ma la sua catena si rivelò inutile, come
a suo tempo contro il Cavaliere della Fiamma. Sirio e Phoenix attaccarono
direttamente la bestia, ma i loro colpi vennero respinti dalla corazza
dell’animale, prima di essere travolti dalle infernali fiamme.
“Ah
ah ah! Rinunciate all’impresa, Cavalieri di Atena! L’Idra di Lerna non è bestia da domare così facilmente!” –Esclamò una
voce, proveniente dalla Prima Casa.
“Chi
sei tu?” –Domandò Sirio. –“Rivelati!”
“Sono
il guerriero dell’Idra di Lerna, primo e unico dei
Dodici guerrieri di Ares che affronterete!” –Esclamò questi, uscendo fuori
dalla casa.
Era
un uomo alto, dai capelli rasati, con un viso tondo e occhi scuri, e una
cicatrice sul collo. Era ricoperto da un’armatura violacea, rifinita da
striature rossastre, che emanava proprio l’idea della mitologica bestia di cui
era il guerriero. L’elmo aveva la forma di una testa di drago, dalle fauci
spalancate, mentre i pugni erano protetti da lungi artigli biancastri che
partivano dall’avambraccio.
“Lasciaci
passare!” –Urlò Pegasus.
“Mai!”
–Rispose questi, senza scomporsi minimamente. –“Il mio Signore ha aperto i
giochi in vostro onore, e ricevere il premio finale mi alletta particolarmente!”
“Premio
finale?!”
“Non
lo sapete?! Ares ha messo una taglia sulle vostre teste!” –Spiegò il guerriero
dell’Idra di Lerna. –“Chi riuscirà ad uccidere voi
Cavalieri dello Zodiaco otterrà un posto come Governatore nel nuovo ordine che
il Dio della Guerra imporrà al mondo, oltre che enormi ricchezze e tesori!”
“Incredibile!”
–Mormorò Andromeda, rimasto a bocca aperta. Ma fu Phoenix, con la sua
immancabile prontezza di spirito a rispondergli.
“Umpf… Dovremmo sentirci onorati, allora! Se persino il
Divino Ares mette una taglia sulle nostre teste, significa che siamo famosi!”
“Famigerati,
oserei dire!” –Ironizzò Pegasus, strusciandosi il naso.
“Presto
non riderete più! Uccidili, Idra di Lerna!” –Gridò il
berseker, mentre l’immonda creatura si gettava su di
loro, allungando le sue infuocate teste.
I
quattro Cavalieri si divisero per evitare le vampate infuocate, cercando poi un
modo per contrattaccare. Pegasus scattò avanti, concentrando il cosmo sul pugno
destro, e scagliando il suo micidiale Fulmine di Pegasus contro la
bestia infernale, che fu colpita e la sua corazza danneggiata in più punti,
mentre versi osceni esplodevano dalle sue bocche.
“Ora!”
–Urlò Sirio, balzando in alto.
Il
braccio destro del Cavaliere del Dragone si illuminò, prima che il ragazzo lo
abbattesse sulla mitologica bestia, sfoderando la lucente Excalibur, la
lama capace di recidere ogni male. La spada di Sirio tagliò due teste
dell’Idra, mozzandole quasi all’altezza del corpo, facendo spuntare un breve
sorriso di vittoria sui Cavalieri di Atena. Sorriso che però si trasformo in
stupore, e preoccupazione, quando videro che, proprio come nel mito di Eracle,
le teste dell’Idra ricrescevano.
“Ah
ah ah! Non riuscirete mai ad averne ragione! L’Idra di Lerna
non può essere uccisa da voi, sciocchi mortali!” –Li derise il berseker di Ares, balzando in alto, verso di loro.
Il guerriero atterrò proprio davanti a Sirio, concentrando
il cosmo sulle braccia, facendo illuminare di rosso gli artigli della sua
armatura.
“Fauci
dell’Idra di Lerna, azzannate!” –Urlò, muovendo con velocità estrema le sue braccia.
Sirio
cercò di parare i colpi del guerriero, muovendo velocemente lo Scudo del
Dragone, su cui si infransero gli acuminati artigli dell’Idra. Grazie al mithril e ad Efesto lo scudo è
adesso più resistente! Pensò, concentratissimo sul nemico. Ma gli
affondi di questo guerriero sono diretti e potenti, non so quanto potrò
resistere ancora senza reagire! Un colpo potente del guerriero dell’Idra di
Lerna si schiantò sullo scudo di Sirio, senza riuscire
a danneggiarlo, ma permise al berseker di bloccare il
braccio del Cavaliere, colpendolo poi con l’altro braccio e spingendolo
indietro, fino a lanciarlo contro la rocciosa parete laterale.
Quindi
si voltò verso gli altri Cavalieri dello Zodiaco, impegnati ad affrontare
l’Idra di Lerna. Pegasus, su spinta di Andromeda e
Phoenix, aveva provato persino ad oltrepassarla, e correre avanti, ma l’Idra
riusciva a fronteggiare tranquillamente molteplici avversari
contemporaneamente, bloccando ogni possibilità di fuga. Il ragazzo aveva optato
quindi per un gesto più drastico, balzando in aria e roteando su se stesso fino
a creare la Cometa Lucente, con la quale si era lanciato contro l’Idra,
sfondando il suo corpo. Phoenix aveva approfittato di quel momento per
scagliare, contro lo squarcio aperto da Pegasus, le Ali della Fenice,
mentre Andromeda usava la Catena nella conformazione a spirale, per fermare
quante più teste possibili dell’Idra.
Le
fiamme della Fenice raggiunsero le interiora della bestia, facendola impazzire
per il dolore, mentre un secco colpo della Catena di Andromeda faceva
sbattere le teste tra di loro, che crollarono a terra poco dopo.
“Noo!!!” –Urlò il guerriero dell’Idra di Lerna,
sfoderando i suoi pericolosi artigli, che diresse contro Andromeda, impegnato
con la sua catena e impossibilitato a difendersi.
Il
ragazzo venne colpito in pieno dai fendenti luccicanti e spinto indietro, ma
prima che il berseker fosse su di lui, Sirio fu
svelto a porsi nel mezzo e a proteggere l’amico con lo Scudo del Dragone.
“Ancora
tu?” –Ghignò il guerriero dell’Idra di Lerna, il cui
pugno artigliato aveva nuovamente sbattuto contro lo scudo di Sirio.
“Che
vuoi farci? Sono piuttosto testardo!” –Esclamò Sirio, liberandosi del guerriero
con una rapida e decisa mossa, e spingendolo indietro, prima di bruciare al
massimo il proprio cosmo. –“Colpo Segreto del Drago Nascente!” –Urlò,
travolgendo in pieno, dal basso verso l’alto, il guerriero di Ares, che fu
spinto indietro, ricadendo a terra e perdendo l’elmo della corazza, che venne
scheggiata in più punti. Quando si rialzò, trovò i quattro amici uno accanto
all’altro, pronti per dargli nuovamente battaglia.
“Ne
vuoi ancora?” –Chiese Pegasus, con baldanza. Ma in quel momento l’Idra di Lerna si riprese, risollevando alcune teste, seppur a
fatica, e iniziando a sputare vampate infuocate contro i Cavalieri.
“Mi
occupo io dell’Idra!” –Urlò Andromeda, liberando nuovamente la sua catena.
“Sono
con te!” –Lo affiancò il fratello, lasciando a Pegasus e a Sirio l’avversario.
“Non
è leale attaccarlo in due!” –Commentò Sirio, nobile come sempre.
“Ma
sono convinto che i guerrieri di Ares non si porrebbero il problema…”
– Brontolò Pegasus.
“Ma
noi siamo i Cavalieri di Atena, Pegasus!” –Gli ricordò Sirio, offrendosi per
continuare il combattimento. –“Tu corri avanti! Alla seconda casa! Noi ti
raggiungeremo presto!”
Pegasus
esitò un momento, restio ad abbandonare subito gli amici. Quegli stessi amici
che aveva ritrovato dopo lunghi mesi in cui erano stati separati.
“Coraggio!”
–Incalzò Sirio, prima di lanciarsi avanti, contro il guerriero dell’Idra di Lerna. –“Se realmente Fiore di Luna e Patricia sono qua,
dobbiamo salvarle quanto prima, e liberare il Grande Tempio dall’immonda
presenza di Ares!”
“Sì!”
–Si disse Pegasus, stringendo i pugni. –“Questa è la nostra missione!”
Non
aggiunse altro e voltò le spalle a Sirio, scattando via, verso l’ingresso della
Prima Casa. L’Idra di Lerna tentò di fermarlo, ma
Andromeda e Phoenix occuparono l’attenzione della bestia, permettendo a Pegasus
di evitare le vampe di fuoco e raggiungere l’entrata della Casa di Ariete. Vi
infilò dentro, correndo come un fulmine, diretto verso la Casa del Toro.
Pegasus
stava correndo lungo la scalinata di marmo che dalla Prima Casa dello Zodiaco
conduceva alla Seconda, ripercorrendo lo stesso cammino che l’anno precedente
aveva percorso con gli amici, per salvare Lady Isabel, trafitta ai piedi del
Grande Tempio dalla freccia di Betelgeuse. Per un
attimo si chiese se non fosse uno scherzo del destino il fatto di ritrovarsi
nuovamente in una corsa contro il tempo, attraverso i dodici palazzi dei
Cavalieri d’Oro. Ma questa volta la posta in gioco è ancora più alta! Si
disse. Non soltanto la salvezza di Atena, ma quella dell’intera Terra, che
rischia di essere percorsa dalle malvagie armate di Ares, addestrate per
distruggere ogni cosa!
Tutto immerso nei suoi pensieri giunse nel piazzale
antistante la Casa del Toro, senza accorgersi di due luminosi occhi che,
nascosti nelle ombre del colonnato greco, lo fissavano attentamente. Un attimo
dopo gli occhi furono su di lui, mentre un agghiacciante ruggito accompagnava i
loro movimenti.
“Ehi!”
–Urlò Pegasus, venendo sbattuto a terra da una bestia grande e furiosa, dalle
sembianze simili a un leone. –“E togliti!” –Esclamò, gettando via con un calcio
la furente fiera.
Questa,
scalciata da Pegasus, ricadde compostamente sul selciato con le quattro zampe,
prima di voltarsi e caricare nuovamente il ragazzo.
“Maledizione!”
–Commentò questi, mentre il leone muoveva rapidamente i suoi artigli.
Con
un balzo, evitò un affondo della bestia, saltando sopra di lei e colpendola con
un pugno, scaraventandola lontano, senza ucciderla. Non fece in tempo a gioire
che subito Pegasus fu costretto a difendersi, sollevando le braccia davanti al
viso per non essere colpito da guizzanti fasci di luce.
“Che
cosa?!” –Si chiese il ragazzo, mentre una veloce figura si muoveva di fronte a
lui.
Rapidi
gruppi di cinque fasci lucenti fendevano l’aria con forza, schiantandosi tutti
sull’Armatura Divina di Pegasus, che, ritemprata da Efesto,
riusciva a sopportare l’assalto del nuovo nemico. Stanco di subire, il giovane
passò al contrattacco, bloccando un braccio del suo avversario e scaraventandolo
poi lontano, contro le colonne della Seconda Casa. Il guerriero fu però abile a
unire le gambe, appoggiandosi alla colonna per darsi una spinta e balzare
nuovamente sul Cavaliere di Atena, muovendo le braccia alla velocità della
luce.
“Artigli
di Nemea, colpite!” –Gridò il
guerriero, mentre una fitta pioggia di raggi di luce piombava su Pegasus, che
dovette muoversi ad alta velocità per evitare di essere colpito.
Qualche
fascio energetico raggiunse comunque la sua armatura, senza distruggerla,
proprio mentre il guerriero precipitava su di lui. Ma Pegasus fu svelto a
spostarsi a sinistra, lasciando che il suo avversario atterrasse sul pavimento,
prima di concentrare il cosmo sul pugno destro e scagliare un violento colpo
energetico contro il petto del berseker.
“Aargh!” –Urlò questi, colpito in pieno dal lucente Fulmine
di Pegasus, mentre l’impeto del colpo del Cavaliere di Atena lo
scaraventava indietro, facendolo sbattere con forza contro una colonna esterna
del Tempio del Toro, abbattendola.
“Chi
sei, guerriero di Ares?” –Domandò infine Pegasus, senza allentare la guardia.
“Non
è evidente?!” –Rispose questi, rimettendosi in piedi a fatica.
Era
un uomo non molto alto, con mossi capelli neri, viso abbronzato e virile,
ricoperto da un’armatura dal colore marrone, con scarlatti riflessi di morte,
che raffigurava un leone. Il pettorale della corazza aveva la mostruosa forma
di un leone dalle fauci spalancate, mentre lunghi artigli ricurvi coprivano le
sue mani. Il mantello era marrone, composto dalla pelle di qualche animale.
“Sono
il guerriero del Leone di Nemea, seconda delle fatiche che dovrete affrontare,
sporchi bastardi di Atena!”
“Seconda
fatica?!”
“Esattamente!
Come Eracle nel mito fu costretto ad affrontare Dodici Fatiche, decise da Euristeo, Re di Tirinto e di
Micene, ugualmente voi, Cavalieri prediletti di Atena, siete costretti dal
Sommo Ares ad affrontare i suoi dodici guerrieri, per salvare le fanciulle la
cui vita vi è tanto cara!”
“Le
fanciulle…” –Mormorò Pegasus. –“Patricia!!!” –Urlò,
ma il guerriero di Nemea fu presto su di lui, muovendo velocemente le mani,
mentre violenti raggi energetici partivano dai suoi artigli.
“Muori!”
–Gridò, cercando di colpirlo. E ci riuscì, stridendo sulla divina corazza del
ragazzo in più punti, senza mai raggiungere il corpo al di sotto, impenetrabile
barriera per il berseker di Ares. –“Cadi, trafitto dagli Artigli del Leone
di Nemea!” –Incalzò, continuando a sferrare pugni energetici contro
Pegasus, che sembrava lasciarlo fare, limitandosi a indietreggiare e a cercare
di evitare i colpi. Infine, il Cavaliere di Atena reagì, bloccando con la mano
destra il pugno di Nemea.
“Uh?”
–Si chiese il berseker, non riuscendo a liberare la mano dalla presa del
ragazzo.
“Questo
gioco è durato fin troppo!” –Commentò Pegasus, bruciando il cosmo. –“E adesso
mi sono stufato! Sono in ansia per mia sorella, e per i nostri cari, e non
posso più perdere tempo a giocare con te! Quindi, a cuccia gattaccio!”
“Giocare?!”
–Urlò rabbioso Nemea, ferito nell’orgoglio. Ma prima che potesse aggiungere
altro, fu spinto indietro da Pegasus, che raccolse il cosmo sul pugno destro,
scattando rapidamente avanti, liberando la sfolgorante energia del Fulmine
di Pegasus. Nemea non riuscì neppure a muovere un muscolo, venendo colpito
in svariate parti del corpo dai centinaia di pugni luminosi portati dal
ragazzo, che lo superò, fermandosi dietro di lui.
“Ho
già affrontato un Cavaliere del Leone!” –Chiarì Pegasus. –“E ti garantisco che
egli è l’unico che possa vantarsi di un simile titolo!” –Detto questo concentrò
il cosmo sulle mani, prima di scagliare il suo attacco più potente.
Il
berseker si voltò, tentando di reagire, ma fu travolto dall’esplosione di luce
che Pegasus liberò. La Cometa Lucente colpì in pieno il guerriero del
Leone di Nemea, sollevandolo e trapassandolo, distruggendo la sua corazza e
facendolo schiantare al suolo in una pozza di sangue.
“No...
non è possibile... io, il Leone di Nemea, ucciso così miseramente…
con un solo colpo…” –Rantolò, prima di spirare.
Pegasus
quietò quindi il proprio cosmo, dando le spalle a Nemea e al suo leone, e
infilando a passo deciso nel corridoio centrale della Seconda Casa. Per qualche
momento ripensò ad Aldebaran, il buon vecchio
Cavaliere del Toro, e al loro combattimento in quelle sale. Il primo scontro
combattuto durante la scalata delle Dodici Case, il primo nel quale riuscì ad
espandere il proprio cosmo al massimo, cercando di raggiungere quel fantomatico
settimo senso di cui Mur aveva in precedenza parlato
loro. Adesso del settimo senso ne era completo padrone, ed anche dell’ottavo,
che gli aveva permesso di raggiungere vivo l’Inferno. Pegasus sorrise, prima di
dedicare una preghiera al suo vecchio amico, il Cavaliere del Toro, sicuro che
anche in quel momento, dal Paradiso dei Cavalieri, lo stesse osservando. Sarai
fiero di me, Aldebaran! Pensò, scattando lungo la
bianca scalinata dietro la Casa del Toro, diretto verso la Casa dei Gemelli.
Anche
l’anno precedente aveva dovuto correre da solo alla Terza Casa, lasciando
Sirio, Cristal e Andromeda a combattere contro il
Toro Dorato, ma poi li aveva ritrovati, vittime dell’illusione del Cavaliere di
Gemini. Tutti questi pensieri occupavano la mente del rampollo di Atena, quando
un urlo, in vicinanza della Casa dei Gemelli, lo distrasse, costringendolo ad
accelerare il passo.
“Questa
voce…” –Si disse, superando con un balzo gli ultimi
gradini della scalinata. –“Che sia lei?”
Un
nuovo grido risuonò nell’aere, confermando il
terribile sospetto di Pegasus. Aveva riconosciuto quella voce, la stessa che
aveva tanto cercato negli anni precedenti, la stessa che gli raccontava le
favole quando era bambino. Patricia! Mormorò Pegasus, stringendo i pugni
e gettandosi di corsa nel corridoio principale della Terza Casa, seguendo le
grida della sorella.
Giunto
nel centro della Casa, una scena raccapricciante si presentò di fronte ai suoi
occhi. Patricia era distesa a terra, con il viso gonfio e dolorante, mentre un
gruppo di guerrieri di Ares la stava schiaffeggiando e insultando.
“Patriciaaa!!!” –Urlò Pegasus, scaricando un violento
assalto contro i berseker.
“Attenti!”
–Gridarono alcuni, cercando di evitare il Fulmine di Pegasus. Ma furono
tutti travolti e scaraventati lontano, mentre le loro corazze esplodevano sotto
i lucenti colpi del Cavaliere di Atena.
Esaurita
la sua rabbia, Pegasus si chinò sulla sorella, osservando con dolore il suo
volto sanguinante, e la aiutò a rimettersi in piedi.
“Patricia...
come stai?”
“Pe…Pegasus…” –Mormorò la
ragazza, tremando impaurita.
“Va
tutto bene! Adesso va tutto bene!” –Le disse il fratello, abbracciandola, per
confortarla.
Patricia
accettò l’abbraccio, sentendo le robuste braccia corazzate stringersi intorno
al suo esile corpo. Un momento dopo, una luce brillò intensa nei suoi occhi,
mentre la ragazza sollevava il braccio destro, brandendo un gladio dorato.
“Aaah!” –Urlò Pegasus, mentre la lama si conficcava nel suo
collo. –“Patriciaaaa…Perchéé?!”
“Perché
siamo in guerra!” –Furono le ultime parole che Pegasus udì, accasciandosi al
suolo in una pozza di sangue, di fronte allo sguardo diabolicamente soddisfatto
della sorella.
Nel
frattempo, mentre Pegasus correva verso la Casa del Toro, qualche decina di
metri più a valle, Sirio era impegnato in battaglia contro il guerriero
dell’Idra di Lerna, un discreto combattente, ma che,
come ebbe a osservare Dragone, non era certamente al pari dei grandi nemici che
avevano affrontato in passato, Arge lo Splendore tra
gli ultimi.
Il berseker si lanciò avanti, con l’artigliato pugno teso,
mirando al cuore del drago, ma Sirio fu rapido a sollevare lo scudo, lasciando
che il colpo si scontrasse con esso. Con un gesto rapido, sollevò il braccio
destro, che subito si accese di una dorata luce, abbassandolo di colpo sul
nemico.
“Excalibur!!!” –Gridò Sirio, tagliando il braccio destro del
guerriero.
“Aaargh!!!” – Urlò questi, indietreggiando, mentre con
l’altro braccio si reggeva l’arto sanguinante.
“Arrenditi
adesso, guerriero di Lerna! Lasciaci passare ed avrai
salva la vita!” –Cercò di spiegargli Sirio, non essendo suo desiderio
affrontarlo.
“Lasciarvi
passare?! Sei folle ad avanzare una simile richiesta, Cavaliere! Sono il
berseker scelto da Ares per fermarvi, questa è la mia missione, questo è
l’unico scopo della mia esistenza: combattervi qua e vincervi, o morire
lottando fino alla fine!”
“Che
senso ha tutto questo, Cavaliere?!” –Domandò Sirio, con malinconia.
“Non
chiamarmi Cavaliere! Io sono un berseker, guerriero del Fuoco e della Morte!”
–Gridò il guerriero di Lerna, facendo avvampare il
proprio cosmo violetto, carico di striature rossastre.
Incredibilmente
il braccio che Sirio gli aveva amputato si ricreò da solo, proprio come le
teste dell’Idra di Lerna, venendo addirittura
ricoperto dalla sua armatura scarlatta.
“Che
prodigio è mai questo?” –Domandò Sirio, sconcertato.
“Nessun
prodigio! Solo il dono offerto dal Sommo Ares a me, Guardiano dell’Idra di Lerna, unito alla bestia da un duplice legame!” –Esclamò il
berseker, bruciando il proprio cosmo. –“Un dono che mi rende praticamente
invincibile! Potrai colpirmi quante volte vorrai con la tua spada, ma non
riuscirai mai a uccidermi, perché il mio corpo curerà da solo le proprie
ferite, cicatrizzandole e rendendomi pronto a combattere ancora!”
“Incredibile!”
–Commentò Sirio, iniziando a pensare a un modo per superare quella difficoltà.
Il cosmo del guerriero di Lerna
aumentò improvvisamente d’intensità, raggiungendo vaste dimensioni, mentre
l’uomo socchiudeva gli occhi. Che sta facendo? Si chiese Sirio,
sollevando lo scudo avanti a sé, preoccupato per un repentino attacco.
“Nella
costellazione dell’Idra, ispirata al mito della bestia sconfitta da Eracle,
risplende una luminosa stella chiamata Alphard, la
solitaria, o Cuore del Dragone, per la sua posizione centrale, nell’immensa
costellazione!” –Esclamò il guerriero di Lerna.
–“Adesso subirai sul tuo debole corpo il suo sterminato potenziale!!! Cuore
del Dragone!!!”
Un’estesa
massa energetica, simile a una grande cometa, sfrecciò verso Sirio,
travolgendolo all’istante, senza che il suo robusto scudo potesse contrastarla,
fino a farlo schiantare contro la parete rocciosa retrostante, che ricadde su
di lui, sommergendolo di pietre.
“Perfetto!”
–Commentò Lerna, soddisfatto, voltandosi verso la
Prima Casa.
Andromeda e Phoenix erano riusciti nel loro intento,
abbattendo la mitologica bestia, grazie ai molteplici usi della Catena di
Andromeda, che aveva stritolato le teste dell’Idra, fermando i suoi
movimenti, mentre Phoenix la colpiva al cuore, divorandolo con le infuocate Ali
della Fenice.
“Nooo… Maledetti!” –Urlò il berseker, osservando il triste
spettacolo.
L’immonda carcassa dell’Idra stava bruciando davanti a
lui, dilaniata dalle immortali fiamme della Fenice, mentre Andromeda e Phoenix,
in piedi vicino ad essa, si preparavano ad affrontare il loro nemico. Il
berseker concentrò il cosmo sulle mani, lanciandosi avanti, ma un boato
proveniente dalla sua sinistra lo fermò, costringendolo a voltarsi. E a
trovarsi Sirio davanti, ancora vivo.
“Dove
stai andando?” –Domandò il Cavaliere del Drago, togliendosi gli ultimi detriti
di dosso.
“Sei
piuttosto duro a morire, Cavaliere di Atena!” –Commentò il berseker, riportando
su di lui le sue attenzioni.
“Ho
valide motivazioni che mi spingono a non arrendermi, guerriero di Lerna!” –Esclamò Sirio, bruciando il proprio cosmo verde
smeraldo.
“Ed
io ne ho altrettante per ucciderti!” –Sibilò il berseker, scattando avanti. –“Fauci
dell’Idra di Lerna, azzannate!” –E liberò i suoi
avvelenati artigli, che vennero però fermati tutti dallo Scudo del Dragone,
capace di roteare ad altissima velocità.
Sirio non rimase ad aspettare l’affondo del berseker,
scagliando un violento assalto contro di lui.
“Colpo
Segreto del Drago Nascente!” –Urlò,
travolgendo in pieno il guerriero di Ares che ricadde al suolo molti metri più
indietro. Non fece in tempo a rimettersi in piedi che dovette fronteggiare un
piano energetico che, creato da Sirio con un rapido movimento del braccio
destro, aveva scavato un solco nel terreno e si era diretto verso di lui. Fu
colpito alla gamba destra, ma riuscì a rialzarsi, concentrando il proprio
cosmo, pronto per lanciare nuovamente il suo colpo segreto.
“Non
farlo!” –Lo richiamò Sirio, con voce decisa, ma al tempo stesso triste.
“Che
cosa?!” –Domandò il berseker, stupito dal solenne tono adottato.
“Non
lanciare nuovamente il Cuore del Dragone, o morirai!”
“Sarai
tu a morire invece, Cavaliere di Atena!” –Ghignò il guerriero, espandendo il
proprio cosmo. –“Non puoi resistere nuovamente ad Alphard!”
“Non
mi raggiungerà! Perché saprò colpirti prima che tu liberi la sua energia,
raggiungendo il Cuore del Dragone!”
“Che… cosa?!” –Balbettò il berseker, fermandosi un momento.
“Proprio
così! Non credere che non abbia notato il tuo punto debole!”
“Umpf... avrei dovuto immaginarlo…”
–Commentò Lerna, riprendendo ad espandere il proprio
cosmo. –“Del resto… è lo stesso che hai tu…”
“Sirio…” –Mormorò Andromeda, in pena per l’amico, ma questi
gli fece cenno di non preoccuparsi.
“Adesso
lanceremo entrambi i nostri colpi, esponendo il nostro cuore agli assalti dell’altro!
Se raggiungerò il Cuore del Dragone, il cuore dell’Idra di Lerna,
ti impedirò di rinascere! Chi riuscirà a colpire per primo l’altro sarà il
vincitore! Lo sconfitto non avrà una seconda chance!” –Si fermò un momento poi
si rivolse a Andromeda e Phoenix. –“Se dovessi morire continuate voi!
Raggiungete Pegasus alla Seconda Casa!” –Non aggiunse altro, espandendo il
proprio cosmo verde smeraldo.
Lo
spiazzo antistante la Casa di Ariete fu percorso da una notevole tensione,
mentre gli energetici poteri dei due guerrieri si scontravano. Il berseker
scattò in avanti, liberando il violento potere di Alphard,
il Cuore del Dragone, mentre Sirio faceva lo stesso, caricando il Drago
Nascente. I due poteri si scontrarono a mezz’aria, fronteggiandosi per
qualche secondo, finché lo scintillante dragone di smeraldo non travolse
l’immonda Idra, facendola a pezzi.
Il
berseker fu trapassato dall’energia lucente di Sirio, schiantandosi a terra tra
i frammenti della sua armatura distrutta, ma anche il Cavaliere di Atena fu
colpito e spinto indietro, fino a sbattere contro le rocce retrostanti e
ricadere a terra, perdendo l’elmo a diadema dell’Armatura Divina.
“Sirio!”
–Urlarono Andromeda e Phoenix, raggiungendo l’amico ed aiutandolo a rialzarsi.
“Sto… sto bene!” –Balbettò Sirio, rimettendosi in piedi. Si
tastò la fronte, percorsa da un rivolo di sangue, e poi si avvicinò al corpo
distrutto del berseker di Ares, il quale, con un ultimo filo di voce, mormorò
parole indistinte, rivolte al Cavaliere di Atena.
“Sei
stato bravo… Hai raggiunto il Cuore del Dragone!”
“Sapevi
di perdere, ma hai continuato a lottare, fino alla morte! Perché?” –Gli domandò
Sirio, chinandosi su di lui.
“Non
te l’ho detto?” –Mormorò questi. –“Sono un berseker del Sommo Ares, e come
tutti gli altri vivo della Guerra… e della Morte…” –E più non parlò.
Sirio
sospirò per un momento, prima di rialzarsi e fare un cenno ai due fratelli.
“Coraggio,
andiamo! Pegasus starà sicuramente combattendo più avanti!”
“Sì!
Corriamo!” –Lo affiancò Andromeda, lanciandosi dietro a lui all’interno della
Prima Casa.
Dietro
di loro li seguì Phoenix, stupito nel trovarsi, per la prima volta, a correre
con loro verso un comune obiettivo, avendo sempre preferito correre da solo.
Sorrise, ritenendosi fortunato a poter dividere la vita insieme ad amici
simili.
I
tre compagni raggiunsero in fretta la Seconda Casa, dove trovarono il cadavere
di un guerriero disteso a terra, mentre un leone, piuttosto malconcio, leccava
le sue ferite.
“Pegasus
deve averlo sconfitto ed essere andato oltre!” –Disse Sirio, incitando gli
amici a fare altrettanto.
Oltrepassarono
la Casa del Toro, ma quando giunsero fuori, Andromeda urlò ai due compagni di
fare attenzione. Rapida come un fulmine, la Catena di Andromeda sfrecciò
nell’aria, deviando alcune frecce incendiarie. Sgherri di Ares uscirono fuori
da dietro le rocce dove si erano appostati, assaltando i tre Cavalieri con
lance e picche.
“Aaah!” –Gridarono follemente. –“Morte ai Cavalieri di
Atena!”
La
risposta di Phoenix non si fece attendere. –“Ali della Fenice!” –Urlò,
liberando la maestosa sagoma dell’uccello infuocato, che travolse i berseker,
scaraventandoli contro la parete rocciosa laterale, prima che la guizzante Catena
di Andromeda penetrasse gli ultimi che erano rimasti.Dopo questo breve scontro i tre amici
continuarono a correre, giungendo in fretta alla Terza Casa.
“Strano!”
–Commentò Sirio. –“Non sento nessun cosmo al suo interno! Che Pegasus sia già
andato oltre?” –In quel mentre, anticipando di mezzo secondo un grido di spavento,
la Catena di Andromeda vibrò minacciosamente, puntando verso l’entrata del
Tempio.
“Ma…” –Mormorò Sirio, che gli sembrava di conoscere quella
voce.
Un
secondo strillo gli strappò ogni dubbio, riconoscendo la ragazza da lui amata.
“Fiore
di Luna!” –Urlò, infilando svelto nella Casa dei Gemelli.
“Prudenza,
Sirio!” –Esclamò Phoenix, correndogli dietro, insieme a Andromeda.
Quando
giunsero nella sala centrale del Tempio trovarono una scena simile a quella che
si era presentata a Pegasus pochi minuti prima. Fiore di Luna giaceva a terra,
con le vesti lacere e il viso ferito, mentre un gruppetto di berseker di Ares
la insultava, minacciandola con delle armi.
“Colpo
segreto del Drago Nascente!” –Esclamò
Sirio, travolgendo i guerrieri.
“Ooh Sirio!” –Urlò Fiore di Luna, in lacrime.
Il
ragazzo la aiutò ad alzarsi, stringendola forte, e cercando di rassicurarla. –“Stai
tranquilla… è tutto finito! Non aver paura!”
Phoenix
e Andromeda rimasero leggermente in disparte, ad osservare la scena con
commozione, felici che Fiore di Luna fosse sana e salva. Troppo tardi Andromeda
si avvide che la sua Catena continuava ad essere in tensione, segnalando un
pericolo nascosto ma ancora presente.
“Sirioooo!” –Urlò il ragazzo, mentre un gladio dorato si
piantava nel collo del Cavaliere del Drago. Anche Sirio cadde a terra, in una
pozza di sangue, davanti allo sguardo singhiozzante di Fiore di Luna.
Dopo
la fine della guerra sull’Olimpo, che i Cavalieri di Atena e di Zeus avevano
creduto di combattere perché voluta dal Dio del Fulmine, Ares e i suoi figli si
erano mossi velocemente, utilizzando l’energia della Pietra Nera, di cui Flegias non volle rivelare la provenienza, nemmeno al padre
e ai fratellastri, per ricreare il loro spaventoso esercito di berseker e
inviarli per il mondo a portare morte e distruzione. La prima destinazione dei
Guerrieri Scarlatti fu il Tempio di Nettuno, sia per recuperare il Vaso del Dio
dei Mari, che già Flegias aveva tentato di
raggiungere in precedenza, sia per vendicarsi dell’onta subita, radendo al
suolo il Tempio Sottomarino e uccidendo l’ultimo custode, Syria della Sirena,
che aveva incantato il Messaggero Olimpico, convincendolo a desistere
dall’impresa. Ma anche quella volta del Vaso di Nettuno non c’erano state
tracce.
“Maledizione!”
–Aveva brontolato Flegias, ascoltando il racconto di Phobos e Deimos, al cui comando i
berseker si erano mossi. –“Dove diavolo è finito? È un vaso, non può sparire
così!”
“Perché
tanto interesse nei confronti di quell’oggetto?” –Aveva chiesto Phobos, al fratellastro. –“Non abbiamo forse potere a
sufficienza per abbattere i miserabili Cavalieri di Atena e di Zeus?”
“Il
potere non è mai abbastanza!” –Lo aveva zittito Flegias,
chiudendo in fretta la conversazione.Ma
il Dio della Paura non era parso convinto, sospettando che Flegias
volesse il vaso per il motivo più semplice. Liberare Nettuno e farne un alleato
da usare a suo piacimento, anche contro di loro se ve ne fossero stati i
presupposti. Ma Ares aveva ordinato ai figli di non litigare tra loro.
“Non
mi interessa che vi amiate!” –Aveva detto, nelle catacombe del Tempio
dell’Apocalisse. –“Ma pretendo che, finché ubbidirete a me, e mi servirete, non
leviate la mano uno contro l’altro, destinando la vostra rabbia, il vostro
odio, verso i Cavalieri di Atena e di Zeus, i nostri veri nemici!”
“Sì,
Padre!” –Avevano affermato Phobos e Deimos, inchinandosi di fronte a lui. Flegias
non si era inginocchiato, limitandosi a radunare un buon numero di berseker per
organizzare la sua missione: occupare il Grande Tempio di Atena, ponendovi le
basi per il nuovo impero della Guerra.
Ares
aveva informato i figli di procedere con la fase successiva, prima di
congedarli e rimanere solo con la sua amante. La terribile e sanguinaria
Divinità, antica come lui, eterna complice di guerre e devastazione, ma anche
passionale femmina capace di far ardere il virile corpo del Dio della Guerra.
L’aveva abbracciata, sdraiandola a terra, mentre le chiassose grida dei suoi
guerrieri esplodevano nei sotterranei intorno a loro.
Il
piano di Ares si strutturò in maniera semplice, inviando i berseker in tre
diversi posti della Terra, in Giappone, in Cina e in Siberia, con lo scopo di
rapire alcune persone care ai Cavalieri di Atena, in modo da disporre di
un’ulteriore arma, emotiva, da utilizzare contro di loro. Il grosso dell’armata
invece sarebbe invece stato impegnato ad assaltare il Grande Tempio e a
prenderne possesso, prima di muovere poi verso l’obiettivo finale: l’Olimpo. Le
armate che diresse verso l’Asia non erano affatto numerose, una trentina di
guerrieri in tutto, non ritenendo opportuno sprecare utili elementi in missioni
apparentemente semplici, essendo tutti i Cavalieri di Atena riuniti
sull’Olimpo.
“E
presto avranno altro a cui pensare, che non alle loro terre d’origine!” –Aveva
sogghignato Ares, ordinando ai suoi berseker di portargli le quattro persone
che desiderava usare come esca.
Il
primo gruppo, composto da una decina di berseker, raggiunse facilmente il
Giappone e la città di Nuova Luxor, avendo ricevuto precise istruzioni da Flegias, che aveva passato molti mesi a studiare i
Cavalieri di Atena, soprattutto i cinque che riteneva più pericolosi.
“Per
quanto siano solo Cavalieri di Bronzo, hanno compiuto imprese che rasentano il
miracolo!” –Aveva ripetuto il Flagello degli Uomini. –“Non dobbiamo
assolutamente sottovalutarli! –E il padre, terribile guerriero ma anche
abilissimo stratega, aveva ascoltato il consiglio del figlio, pianificando
un’ottima tattica con il dichiarato scopo di colpire al cuore. Di colpire i
sentimenti umani.
“È
dunque questo l’ospedale della Fondazione Thule?”
–Esclamò uno dei berseker.
“A
quanto pare sì, Balestra!”– Rispose un altro.
“Coraggio!
Andiamo e prendiamo le due donne! Non credo sarà un’impresa difficile! Ah ah ah!” –Rise il primo, esortando gli altri guerrieri.
Erano
in dieci, tutti ricoperti da cotte scarlatte, intrise del violento cosmo di
Ares che avrebbe reso inquieto persino lo spirito di un eremita. Erano quasi
tutti soldati semplici, ad eccezione dei tre che li guidavano, a cui Flegias aveva impartito l’ordine diretto, Rostro, Scure e
Balestra.
Il
primo, Rostro, era grosso e robusto, di origini orientali, con lisci capelli
neri raccolti in un codino, ed aveva un’armatura ornata da due scudi rotondi,
fissati ai bracciali, dal bordo seghettato e tagliente; Scure, era alto e
magro, ed aveva il viso coperto dalla nera visiera del suo elmo, impugnando
continuamente la sua ascia da battaglia. Balestra, infine, era il più basso dei
tre, alto come un bambino, ma era il più veloce e scattante, e la sua armatura
era dotata di una balestra fissata sul braccio destro, capace di scagliare una
moltitudine di frecce in un unico colpo.
I
tre berseker, seguiti dal resto della truppa, entrarono rumorosamente
nell’ospedale, mentre le numerose persone presenti all’interno iniziarono a
urlare spaventate, alla vista di quei guerrieri sconosciuti e armati. Balestra
scagliò qualche freccia incandescente in giro, che esplosero non appena
raggiunsero un qualsiasi bersaglio, aumentando la paura e la confusione dei
civili.
“Ah
ah ah! Guarda come scappano!” –Rise Scure di gusto.
“Dove
andiamo?” –Si chiesero i guerrieri, rivolgendosi a Rostro, che rimase fermo per
un momento, concentrando i propri sensi, prima di indicare una scala che
conduceva ai piani superiori.
“Di
là!” –Disse, odorando l’aria con il suo naso grugnante. –“Sento un lieve cosmo!
Deve essere quello della Sacerdotessa!” –Ma prima che i Guerrieri Scarlatti
riuscissero a muoversi, tre ragazzi balzarono di fronte a loro, sorprendendo i
berseker per il loro strano aspetto. Indipendentemente dall’età, che li
presentava come giovanissimi, i tre indossavano armature particolari, che
parvero ai guerrieri di Ares quasi metalliche, delle macchine-robot.
“Fermatevi!”
–Esclamò il più alto tra i tre ragazzi. –“E andatevene da questo luogo di
cura!”
“Ah
ah ah! E chi sei, tu, moccioso per intimarcelo?!” –Tuonò Rostro, ridendo di
gusto.
“Shadir è il mio nome, Cavaliere d’Acciaio al servizio di
Atena!”
“E
noi siamo Benam e Lear!” –Esclamarono gli altri due
ragazzi.
“Cavalieri
di Acciaio?! Che diavoleria è mai questa?!” –Si chiesero i berseker. Ma
nonostante la sorpresa iniziale, non provarono alcun timore di quei bambocci,
lanciandosi avanti senza esitazione.
“Foste
anche dei robot, non fermerete la nostra avanzata!” –Esclamò Scure,
concentrando il cosmo sul braccio. Quindi sbatté la scure che reggeva in mano
nel pavimento, distruggendolo e creando una fenditura nel terreno che diresse
verso i tre Cavalieri d’Acciaio, obbligandoli a separarsi, per non essere
travolti.
In
quella Balestra sollevò la propria arma, scagliando centinaia di frecce contro
i tre ragazzi, che dovettero muoversi continuamente per non venire feriti. Shadir tentò di aspirare le frecce con la sua armatura,
riuscendo in parte nell’intento, ma fu comunque trafitto da alcuni dardi che si
piantarono nella sua corazza, frantumandola. Benam
usò allora le onde elettromagnetiche del suo elmetto, per lanciare suoni in
grado di arrivare al cervello dei berseker, e infatti alcuni di loro caddero al
suolo, stringendosi la testa con dolore, ma su altri il suo potere non fece
effetto. Un dardo di Balestra trafisse Benam al
collo, spingendolo indietro, sanguinante. Lear cercò di aiutare l’amico, ma
Scure piantò nuovamente la propria ascia nel pavimento, scagliando un fendente
energetico contro il ragazzo, che fu travolto e scaraventato indietro, tra i
frammenti insanguinati della sua armatura.
“Benam! Lear! Nooo!” –Urlò Shadir, in lacrime, nel vedere i corpi inermi dei suoi
amici massacrati senza pietà dagli sgherri di Ares. Ma non ebbe tempo per
piangere che fu costretto ad affrontare l’assalto del suo nemico, il colosso
Rostro, che liberò i suoi scudi rotanti, che si moltiplicarono in infinite
copie, abbattendosi sul Cavaliere d’Acciaio da ogni lato. Shadir
riuscì ad evitarne alcuni, ma fu centrato alla schiena da un altro, che gli
distrusse l’Armatura d’Acciaio, scagliandolo in alto, mentre un ultimo disco
rotante gli tagliava la testa. Pegasus! Atena! Perdonateci! Non abbiamo saputo… difendere Patricia! Quello fu l’ultimo pensiero
di Shadir.
“Adesso
possiamo proseguire!” –Esclamò Rostro, fissando nuovamente gli scudi alle sue
braccia.
I
Guerrieri Scarlatti corsero in fretta al piano superiore, travolgendo senza
pietà tutti coloro che trovavano sul loro cammino. Quando arrivarono nella
stanza dove, secondo Rostro, avrebbero dovuto trovarsi Nemes
e Patricia, Scure abbatté la porta con un colpo secco della sua ascia, entrando
per primo, e trovandola maledettamente vuota.
“Possibile?!”
–Si chiese Rostro, ritenendo improbabile che il proprio fiuto avesse sbagliato.
Annusò nuovamente l’aria, prima di correre alla finestra aperta ed osservare il
paesaggio. Dietro all’ospedale si estendeva un verdeggiante boschetto, dove
spesso i medici conducevano i pazienti per farli svagare un po’. Rostro
sogghignò, ordinando ai suoi di seguirlo.
“Nel
bosco!” –Urlò, buttandosi dalla finestra. Gli altri lo seguirono all’istante,
distruggendo il muro della stanza, e gettandosi di sotto, atterrando sul
selciato e correndo verso la pineta.
“Tentano
di sfuggirci, ma non ci riusciranno!” –Esclamò Rostro.
“Le
troveremo! Le staneremo!” –Ghignò Scure.
“Puoi
ben dirlo!” –Rispose il gigante, prima di staccare i due scudi rotanti e scagliarli
avanti. – “Aprite la via, miei rostri!” –Gli scudi rostrati del berseker fendettero l’aria, facendo strage di rami e di piante,
continuando a roteare nel bosco, inseguiti dal suo padrone e dagli altri
guerrieri, finché non furono fermati da un secco colpo di frusta. –“Aaah ah, scovate!” –Mormorò Rostro, soddisfatto.
In
una piccola radura, al centro dell’alberato boschetto, due donne erano appena
giunte, ansimanti per la lunga e improvvisa corsa. Una della due, alta e ben
fatta, con mossi capelli biondi, indossava una minima forma di protezione, che
non era possibile definire una corazza, tanto insignificante era la porzione di
corpo che copriva, essendo stata probabilmente distrutta in precedenza, e in
mano reggeva una frusta, con la quale aveva fermato il volo dei rostri; mentre
l’altra era una semplice ragazza impaurita, che nascondeva il pallido volto
dietro il corpo della compagna.
“Nemes del Camaleonte e Patricia, suppongo!” –Esclamò
Rostro, fermandosi al limitare del cerchio, insieme ai suoi guerrieri.
“Chi
siete voi? E perché avete attaccato un ospedale?” –Tuonò Nemes.
“E
tu perché sei fuggita, bellezza?” –Rise Scure. –“Non dovresti far arrabbiare i
guerrieri del Dio Ares!”
“Ares?!”
–Esclamò Nemes, terrorizzata.
“Adesso
non fare storie, gambe lunghe, e vieni con noi!” –Esclamò Rostro, facendo un
passo avanti. –“Tu e la ragazza siete attese dal nostro Signore! Un uomo a cui
non si può dire di no!”
“Mai!”
–Urlò Nemes, schioccando con forza la sua frusta in
terra.
“Stupida!”
–La insultò Balestra, scagliando due frecce incandescenti, che si piantarono
nel terreno ai piedi delle ragazze, esplodendo immediatamente e scagliandole
indietro, mentre Scure piantava la sua ascia in terra, con gran fragore,
creando una piccola faglia che corse rapida verso le donne.
“Aaah!” –Urlò Patricia, cadendo all’interno, ma Nemes fu svelta ad afferrarle un braccio con la frusta.
“Coraggioo!” –Gridò la Sacerdotessa del Camaleonte.
–“Resisti!” –E iniziò a tirare, mentre Patricia si aggrappava alla frusta con
l’altro braccio.
Nemes
riuscì a ritirare su Patricia giusto in tempo per essere afferrata da dietro da
Rostro, che la sollevò, insieme alla sorella di Pegasus, e le fece roteare su
se stesso per qualche secondo, davanti agli occhi divertiti degli altri berseker.
“Guardate
come volano!” –Esclamò il colosso, lanciando le due donne, che ricaddero
bruscamente al suolo qualche metro avanti.
“Adesso
basta giocare!” –Urlò Balestra. –“Alzatevi e venite con noi!” –E nel dir questo
scagliò una nuova freccia verso di loro. Ma il dardo incandescente non
raggiunse mai il bersaglio, venendo colpito in pieno da un violento fascio di
luce, che lo distrusse sul colpo.
“Uh?”
–Si chiesero Balestra e gli altri guerrieri di Ares, cercando di capire cosa
fosse successo.
Una
figura velocissima saettò di fronte ai loro occhi, prima di balzare in aria,
proprio al centro dello spiazzo aperto in cui avevano trovato Nemes e Patricia. I dieci berseker sollevarono lo sguardo
verso il cielo, proprio per incontrare l’abbagliante luce del sole che
splendeva alto sopra di loro.
“Aaah!” –Urlarono alcuni, mentre violenti fasci di luce
trafiggevano il loro corpo.
“Ma...
cosa?!” –Gridò Balestra, caricando nuovamente la sua arma e scagliando dardi
sopra di lui, senza avere chiaro un obiettivo. Ma tutte le frecce furono
annientate, e lo stesso Balestra trafitto da un raggio di luce che lo perforò
completamente, disintegrando la sua armatura.
“Muori!”
–Urlò Scure, caricando l’ascia di energia e puntandola contro l’indefinito
nemico. Ma la misteriosa figura fu più rapida di lui, colpendolo violentemente
sulla mano destra, prima di trafiggerlo da parte a parte, con una lunga asta
dorata.
“Bastardo!”
–Intervenne quindi Rostro, staccando i dischi della sua corazza e lanciandoli
avanti, con le loro lame taglienti. Una scarica di energia luminosa li
distrusse all’istante, mentre un’altra colpì in pieno il gigante di Ares,
scaraventandolo indietro. Gli ultimi berseker furono annientati con un lampo di
luce, mentre alcuni caddero nella voragine che Scure aveva creato poco prima.
Quando
la battaglia ebbe termine, Nemes e Patricia si erano
rimesse in piedi, ancora intimorite dalla situazione. Si voltarono verso il
centro dello spiazzo e videro una scintillante figura ergersi nel mucchio di
cadaveri. Nemes la guardò con attenzione, ma non
riuscì a riconoscervi nessuno di familiare, nessuno dei Cavalieri di Atena che
aveva incontrato o di cui aveva sentito parlare.
“State
bene?” –Domandò la figura, incamminandosi verso di loro.
Era un ragazzo non troppo alto, con mossi capelli
biondissimi, chiari come la cenere, e due sorridenti occhi nocciola, che
spuntavano sul suo candido viso. Indossava un’armatura dall’accattivante
design, di uno sconosciuto materiale risplendente di luce propria, che sembrava
trasmettere la luminosità delle stelle. In mano stringeva un lungo bastone
dorato, con il quale aveva colpito i guerrieri di Ares, decorato in cima in
modo da sembrare più uno scettro che un bastone.
“Chi
sei, tu?” –Fu l’unica cosa che riuscì a chiedere Nemes,
affascinata da quell’eterea apparizione.
“Sono
qua per salvarvi, e per portarvi al sicuro!” –Commentò il ragazzo, allungando
una mano verso le due donne. –“Questo è il compito che mi è stato assegnato dal
mio Maestro, e che sono stato ben lieto di eseguire!”
Nemes e
Patricia si guardarono un attimo allibite, prima di accettare l’aiuto dello
sconosciuto Cavaliere. Non appena sfiorarono la sua mano, vi fu un lampo di
luce e i tre scomparvero da Luxor.
***
Il
secondo gruppo di berseker si recò invece in Siberia, nelle gelide lande del
Nord della Russia, alla ricerca di un piccolo villaggio, estremo avamposto
della civiltà in quelle terre immortali.
“Per
un moccioso?!” –Brontolò un guerriero, stringendosi nel suo scuro mantello.
–“Siamo venuti fin qua, in capo al mondo, per uno stupido moccioso?!”
“Stai
zitto, stupido d’un Kriss!” – Lo chetò un altro,
dandogli un pugno in bocca. –“Gli ordini del Dio della Guerra non si
discutono!”
“Non
era mia intenzione farlo, Daga! Solo che io detesto il freddo, e i ragazzini!”
“Se
è solo questo ciò che ti preoccupa, allora tranquillizza il tuo animo! Tra poco
torneremo nella calda Grecia, con la nostra preda!” –Esclamò il guerriero
chiamato Daga.
I
guerrieri di Ares arrivarono al villaggio di Kobotec,
composto da una cinquantina di abitazioni scarse, circondati dalla loro
fiammeggiante aura cosmica, che li fece apparire proprio come dei demoni venuti
a portare la distruzione in quel luogo dimenticato dagli Dei.
“Guardali
come corrono a rintanarsi!” –Esclamò il berseker chiamato Kriss,
osservando la popolazione rifugiarsi nelle loro case. –“Ah ah ah! Che paurosi!”
Agli
ordini di Daga, il Comandante di quella piccola brigata, i Guerrieri Scarlatti
appiccarono il fuoco in vari punti del villaggio, distruggendo tutto quello che
trovavano sul loro cammino, mentre si guardavano intorno come avvoltoi, alla
ricerca dell’oggetto della loro cerca. Daga sfoderò la spada che portava con
sé, lanciandola avanti, fino a piantarsi contro la porta di una casa, proprio
mentre un vecchio stava cercando di correre dentro.
“Fermati,
vecchio uomo! E dimmi dove trovare il ragazzino chiamato Jacob!”
“Jacob?!
Perché lo volete? Chi siete?” –Esclamò terrorizzato il vecchio.
“Risposta
errata!” –Commentò Kriss, sgozzandolo con un colpo
solo del suo pugnale malese.
“Non
perdete tempo inutilmente!” –Sibilò improvvisamente una voce, facendo voltare
Daga, Kriss e gli altri. Dietro di loro, avvolta da
uno scuro mantello di pelliccia, una figura li aveva accompagnati fin dalla
Grecia, nonostante il desiderio di Ares che ella rimanesse al suo fianco.
“Ho
da fare qualcosa a Nord!” –Aveva esclamato la figura ammantata, salutando il
Dio della Guerra. –“Qualcosa che, credo, ti farà molto piacere! Portare strage
e distruzione!” –Aveva sogghignato, digrignando i denti giallastri. Daga, Kriss e gli altri annuirono con il capo, continuando le
ricerche del ragazzino, mentre un forte vento soffiava impetuoso sull’intero
villaggio, com’era abitudine nella Siberia settentrionale.
“Voi!”
–Urlò Daga, irrompendo in una casa e rivolgendosi a una coppia accucciata di
fronte al caminetto. –“Dov’è Jacob? Ditemelo o vi ucciderò!”
La
coppia non disse niente, ma a Daga sembrò di sentire la donna pronunciare
parole di una preghiera in russo, prima di sfondare loro il cranio con un colpo
deciso di spada.
“Lo
abbiamo trovato!” –Esclamò improvvisamente un berseker, costringendo Daga a
raggiungerlo. Nella strada Kriss e altri avevano
radunato una decina di bambini, tutti quelli che avevano trovato.
“E
quale sarebbe?” –Domandò Daga.
“Questi
sono tutti i mocciosi del villaggio! Jacob sarà uno di loro!” –Disse un
guerriero.
“Idiota!”
– Gridò Daga, mozzandogli la testa con la spada. –“A noi serve un bambino, non
dieci!!!” –Urlò, mentre la tempesta siberiana sembrò aumentare di intensità.
“No!”
–Tuonò improvvisamente una voce, che a Daga e agli altri parve invadere tutto
il cielo boreale. –“A voi servirà solo un prete, per confessare gli infami
peccati di cui vi siete macchiati!”
“Chi?!”
–Esclamò Daga, guardandosi intorno, stringendo forte la lama in mano. Gli altri
berseker fecero lo stesso, muovendosi con prudenza nella tempesta che si faceva
sempre più violenta.Improvvisamente una
voce risuonò nell’aria e quella, per molti di loro, fu l’ultima che udirono.
“Polvere
di Diamanti!!!” –Un violento turbine
di gelo si abbatté sulla truppa di guerrieri di Ares, travolgendoli e
congelandoli, prima di distruggere i loro corpi poco dopo.
Daga,
Kriss e altri due berseker furono gli unici a
sopravvivere a quell’assalto, oltre alla figura ammantata, che sogghignò
osservando l’uomo che aveva desiderato incontrare. Cristal
il Cigno.
Il villaggio nel quale Cristal
aveva trascorso sei anni della propria esistenza, quando si allenava sotto gli
attenti e partecipi occhi del Maestro dei Ghiacci, era stato attaccato,
barbaramente messo a ferro e fuoco da un gruppo di guerrieri dalle vestigia
scarlatte: i berseker di Ares, incaricati dal Dio della Guerra di raggiungere
il confine estremo della Siberia per recuperare un ragazzo, Jacob, un caro
amico di Cristal, e condurlo in Grecia, per usarlo
come arma contro il Cavaliere del Cigno.
“L’arma
più efficace sarebbe un’altra, in realtà…” –Aveva
commentato Flegias, quando aveva esposto il proprio
piano al padre. –“Ma non è, al momento, nelle nostre forze attaccare Asgard!”
“Capisco
ciò che vuoi dire, Flagello degli Uomini!” –Aveva risposto Ares. –“Per quanto
la deliziosa Principessa di Polaris sia un delizioso
bocconcino che potrebbe allietare quest’oscura sala, attaccare Odino ed Asgard
sarebbe troppo dispendioso… e perché il piano riesca
non dobbiamo compiere neppure un passo falso, non dobbiamo rischiare neanche
uno dei nostri uomini, concentrandosi solo sull’obiettivo finale!”
E così
Flegias aveva ordinato a Daga e ai suoi scagnozzi di
recarsi in Siberia, dove avevano radunato una decina di bambini, ma prima che
riuscissero a scoprire quale fosse Jacob, un Cavaliere dalle Divine Vestigia
del Cigno era intervenuto, travolgendoli con il suo potere congelante.
“Come
osate?” –Tuonò Cristal, apparendo in mezzo alla
tormenta, che sembrava scivolare sulla superficie della sua corazza, quasi da
lui ammaestrata. –“Come osate attaccare le libere genti del mio Paese, per
portare distruzione su queste immacolate terre?”
“Un
Cavaliere di Atena?!” –Rifletté Kriss. –“E cosa ci fa
qua? Non erano tutti sull’Olimpo?”
“Poche
storie!” –Lo zittì un altro. –“Facciamolo fuori! –E scattò avanti, insieme ad
un compagno. Kriss e Daga rimasero fermi, ad osservare
l’atroce morte dei loro compagni, divenuti statue di ghiaccio ed esplosi nel
breve arco di pochi secondi.
“Incredibile!”
–Mormorò Daga. –“La fama dei Cavalieri di Atena è meritata!”
Cristal
non disse niente, limitandosi ad osservare i propri avversari. Davanti a lui
c’erano un uomo alto e robusto, con fitta barba scura e folte sopracciglia,
ricoperto da un’armatura scarlatta ornata da una spada a lama larga e dritta;
mentre il suo compagno, più basso e più magro, aveva il viso scavato e disordinati
capelli grigi, e brandiva un kriss, un pugnale malese
con lama a biscia.
“Questa
sarà la vostra tomba, biechi assassini!” –Urlò Cristal,
espandendo il proprio freddo cosmo.
Daga
e Kriss si trovarono completamente paralizzati,
mentre anelli di ghiaccio roteavano intorno al loro corpo, fermando i loro
movimenti. In quel momento, Cristal sbatté i pugni
verso il cielo, mentre una fitta cupola di ghiaccio dalle lucenti sfumature
iniziò a cadere su tutti loro.
“Aurora
del Nord! Colpisci!”–Tuonò il
Cavaliere del Cigno, sbattendo entrambe le mani avanti.
La devastante potenza del colpo di Cristal
raggiunse i due berseker, travolgendoli in un impetuoso vortice che li
scaraventò molti metri addietro, tra i frammenti delle loro corazze, grondanti
sangue.
“Aaah…” – Mormorò Daga, prima di spirare. –“Luminoso e
splendente è il cosmo di costui… come quello di un
vero Cavaliere di Atena…”
Cristal,
lanciato il suo colpo, corse avanti, dal gruppo di bambini che, in preda al
terrore, si era rifugiato dietro un muro mezzo diroccato, per sincerarsi delle
loro condizioni. Tutto preso dai suoi affetti, si accorse troppo tardi di una
corrente energetica che iniziò a fluttuare nell’aria, fermando, poco a poco, i
suoi movimenti.
“Che
cosa succede?” –Esclamò Cristal, realizzando di
potersi muovere con molta fatica.
“Ti
eri forse dimenticato di me, Cavaliere del Bianco Cigno? –Chiese una voce,
obbligando Cristal a voltarsi verso lo spiazzo dove
aveva affrontato i berseker.
“Che
cosa? Chi sei tu?” –Domandò, osservando un’ammantata figura camminare di fronte
a lui.
“Eh
eh…” –Sogghignò la voce, e a Cristal
parve di vedere orribili denti digrignarsi dentro lo scuro cappuccio. –“Sono
colei che metterà fine alla tua esistenza, spezzando le tue ali, in modo da
impedirti di volare ancora! Sono colei che ti avvolgerà in una stretta mortale,
annientando l’Armatura Divina che porti, la cui lucentezza offende l’oscurità
distruttrice che regna nel mio animo!” –E nel dir questo, la figura gettò via
con un’agile mossa il mantello nero, rivelando il suo vero aspetto. Quello di
una donna, dalle orribili sembianze. –“Sono Enio, la
Dea della Strage e della Distruzione! Amante e complice di Ares, e, come lui,
follemente inebriata dalla Guerra!”
“E…Enio?!” –Mormorò Cristal, mentre quel nome gli evocava immagini atroci nella
sua mente, immagini delle imprese omicide che Ares ed Enio
avevano compiuto insieme ai tempi del mito.
“Dovresti
essere onorato, Cigno Bianco, all’idea di morire per mano mia! Sarò colei che
sporcherà le tue ali, gettandoti in un fango da cui non uscirai mai più! Un
fango fatto del tuo stesso sangue!” –Sogghignò Enio,
prima di esplodere in un’isterica risata.
La donna espanse il proprio cosmo, che si presentò sotto
forma di ardenti striature violacee, che pervasero l’aria, stridendo fortemente
con il gelido potere del Cigno, e della natia Siberia.
Cristal
cercò di fare altrettanto, nel tentativo di liberarsi dalla mortale e
intimorente presa della Divinità. Crudele e sanguinaria come Ares!
Commentò, prima di chiedersi cosa stessero facendo i propri compagni. Che
stiano già combattendo contro i berseker? Maledizione, ancora una volta sono
lontano da loro! Ma forse è stato un bene che sia venuto qua, al Nord, o non
sarei mai potuto arrivare in tempo per salvare Jacob e gli abitanti di Kobotec!
Il
Cavaliere del Cigno espanse il proprio cosmo, spalancando le scintillanti ali
della sua Armatura Divina, che sfortunatamente non era stata ancora riparata
dai danni subiti nella guerra sull’Olimpo. Quindi si concentrò sul suo
avversario, studiandolo attentamente, per elaborare un piano di attacco.
La
donna era terribilmente brutta, presentando un aspetto quasi demoniaco, con un
corpo magro e una carnagione biancastra, quasi violacea, ricoperta solo in
parte dalla sua Veste Divina, dal color indaco spento. Il viso era orribile, in
parte coperto dai lunghi, lunghissimi capelli mori che le scendevano lungo
tutto il corpo, guizzanti come serpenti di fuoco. Ma la cosa più orribile a
vedersi erano gli occhi, di fuoco, capaci di fulminare ad un solo sguardo.
Cristal
storse il naso e gli venne in mente un parallelismo con un’altra orribile donna
che aveva affrontato pochi giorni prima: Hel, figlia
di Loki, Regina del Niflheimr,
l’Inferno Nordico.
I
suoi pensieri furono interrotti da un violento attacco di Enio,
che liberò il suo devastante potere sotto forma di scattanti venature di
energia, che percorsero il terreno scuotendolo fin nelle fondamenta. L’intera
superficie del villaggio fu scossa, facendo crollare molte case, mentre la
gente terrorizzata scappava via, senza avere posto alcuno nel quale rifugiarsi.
“Uah ah ah! Siii… fuggite!
Scappate, in preda alla paura che accompagnerà i vostri ultimi aliti di vita! Enio, Dea della Strage, è qua per portarvi la distruzione!”
–Tuonò, ridendo pazzamente.
“Maledettaaa!!!” –Urlò Cristal,
concentrando tutta la sua forza nel pugno destro e scattando avanti. –“Polvere
di Diamanti!” –Ma la tempesta di gelo si perse nella corrente energetica
creata da Enio, che parve animarsi al pensiero della
donna. Le violacee striature avvolsero Cristal,
stringendolo e stritolandolo, come serpenti, mentre l’intera superficie
dell’Armatura Divina iniziò a infiammarsi.
“È
naturale!” –Commentò Enio. –“Non dimenticare la
Divinità a cui sono devota, l’unica madre di tutto! La Guerra! La Guerra che
porta ovunque le sue fiamme di morte, le stesse vampe mortali che ardono nel mio
cosmo! E che ti uccideranno!”
“Mai…mai…” –Urlò Cristal, tentando di liberarsi dalla morsa di quelle
striature energetiche, ma esse andarono aumentando di intensità.
“Ah
ah ah! Il Cigno presto non volerà più!” –Rise Enio,
liberando ulteriormente il proprio potere. I lunghi capelli scuri si
allungarono a dismisura, strisciando come serpi sul terreno ghiacciato e
avvolgendosi intorno al corpo inerme di Cristal,
stringendolo con tutto il loro infuocato calore.
“Muori,
Cigno!!!” –Gridò Enio, mentre i suoi occhi rossi si
infiammarono.
Un’immensa
vampata di energia percorse l’intero corpo di Cristal,
stridendo con forza sulla sua corazza divina. Per quanto resistente fosse,
aveva subito parecchi danni sull’Olimpo, soprattutto durante lo scontro con
Eros, Dio delle Forze Primordiali, al Tempio dell’Amore, e, per quanto si autorigenerasse, era passato troppo poco tempo perché la
riparazione fosse completa.
“Devo...
devo reagire!!!” –Si disse il ragazzo, espandendo il proprio cosmo.
Forza
Cristal!
Mormorò Jacob, riunito insieme agli altri bambini. Coraggio! Lo incitò a
distanza, come tutti gli abitanti del villaggio nascosti nelle loro case, gli
stessi che l’anno precedente erano stati salvati proprio da Cristal,
dalla rabbia del Maestro di Ghiacci e dei suoi scagnozzi.
“Aaaahhh!!!” –Gridò il Cigno, mentre il proprio cosmo bianco
cresceva a dismisura. Evocando i ghiacci, di cui era signore, Cristal cercò di congelare i capelli di Enio,
riuscendovi in parte.
“Che
cosa?! Sta gelando i miei capelli?!” –Esclamò Enio,
indispettita.
“Aaahh, in nome dei ghiacci della Siberia!!!” –Urlò Cristal, bruciando al massimo il proprio cosmo.
Il
freddo potere del Cigno congelò i capelli che lo rendevano prigioniero,
formando un’unica massa indistinta di ghiaccio che distrusse poco dopo,
liberandosi dalla mortale presa della Dea.
“Bastardo!”
–Gridò Enio, mentre Cristal
si accasciava al suolo per l’enorme sforzo sostenuto.
La
Dea ritrasse i propri capelli, ormai strappati sulle punte, maledicendo il
giovane per aver osato opporsi a lei, alla furia distruttrice che portava
dentro.
“E
che adesso ti mostrerò!!! Alzati!!!” –Urlò ancora la folle Dea. –“Vuoi forse
che ti aiuti?!” –Sogghignò, sollevando una mano avanti a sé. Come creata dal
niente, una goccia cadde dalla mano della Dea della Distruzione, ma pochi
istanti prima di toccare il terreno, esplose in un devastante cerchio di
energia.
“Dropsofloneliness!” –Gridò Enio, lanciando il
suo speciale attacco.
Dal
punto in cui la goccia era caduta, si dipartirono cerchi concentrici di
energia, ad un’impressionante velocità, superiore persino a quella della luce. Cristal non fece neppure in tempo a rimettersi in piedi che
fu travolto dal piano energetico lanciato dalla Dea e scagliato in alto.
Una
seconda goccia cadde dalle mani di Enio, e una nuova
serie di anelli concentrici si sviluppò, come una goccia cade in un lago e crea
onde nell’acqua attorno. Il rinnovato assalto travolse ancora Cristal, scaraventandolo lontano, danneggiando in parte la
sua corazza. Il ragazzo perse l’elmo e si ritrovò con la faccia a terra, nella
fredda neve in cui era cresciuto.
“Addio,
Cigno!” –Urlò Enio, lasciando cadere una terza goccia
di energia. –“DropsofLoneliness!”
Una
nuova serie di anelli concentrici sfrecciò verso Cristal,
ma quella volta, miracolosamente, il Cavaliere del Cigno riuscì a fermare
l’attacco di Enio, bloccando il piano energetico con
le mani.
“Che
cosa?! È assurdo?! Come puoi fare questo?!” –Si stupì Enio,
prima di rinnovare con vigore l’assalto. Il nuovo impeto acquistato dal piano
energetico falciò la mani di Cristal, distruggendo i
guanti protettivi e facendole sanguinare, e lo scaraventò indietro, spaccando
parte dei coprispalla.
“Dovresti
ringraziarmi, invece di opporre resistenza! Morirai qua, dove sei cresciuto e
dove hai conquistato l’armatura! In queste terre imperiture cadrà il Cigno! Ah
ah ah! Sei pronto per l’ultimo canto?” –Esclamò Enio, avvicinandosi al ragazzo, steso a terra in una pozza
di sangue.
Ma
incredibilmente Cristal scattò verso la Dea,
scivolando sul terreno innevato come solo lui era abile a fare, puntando alle
gambe di Enio.
“Cosa
vuoi fare?!” –Gridò la Dea, mentre Cristal, proprio
sotto di lei, le afferrava le gambe, liberando al massimo il suo cosmo glaciante. –“Vuoi congelarmi? Sei ridicolo!”
Ma
la risata le morì in bocca quando sentì il freddo gelo del Cigno penetrare
dentro di lei. Questo la fece infuriare, facendo esplodere il proprio cosmo infuocato.
I capelli della Dea della Distruzione si allungarono nuovamente, raggiungendo
il ragazzo ai suoi piedi e attorcigliandosi intorno al suo corpo, mentre il suo
cosmo violetto lo aggrediva con forza.
Non
contenta di ciò, lasciò cadere una nuova goccia di energia sulla schiena del
giovane Cavaliere del Cigno, nel punto di congiunzione tra le ali della sua
armatura e lo schienale, spaccandolo. Ma anche questo non fece desistere Cristal, che continuò nella sua opera di congelamento,
stupendo Enio per la tenacia che stava dimostrando.
“Basta!
Bastaaa!” –Urlò la Dea, i cui piedi erano ormai
murati al terreno ghiacciato, e presto anche le sue gambe sarebbero state
incapaci di muoversi. –“Bastaaa!!!” –Gridò ancora,
sollevando il ragazzo da terra con i suoi capelli, stritolandolo con il suo
infuocato cosmo violetto.
“Anche
se dovessi morire…” –Balbettò Cristal,
col poco fiato che gli era rimasto. –“Io ti porterò con me…”
–E allungò il braccio destro, concentrando su di esso l’energia fredda del suo
cosmo. –“Polvere di Diamanti!”
L’attacco
ravvicinato travolse Enio, spingendo la sua schiena
all’indietro, sottoponendola a un notevole sforzo, dato che le sue gambe, dalle
cosce in giù, erano praticamente congelate, unite al terreno in un’indistinta
massa di gelo, pari sicuramente allo Zero Assoluto.
La
Dea della Strage avvampò di rabbia, stritolando il Cavaliere del Cigno nella
sua mortale presa. Le bianche ali dell’Armatura Divina non ressero a tutta
quella pressione, andando in frantumi poco dopo, mentre Cristal
stringeva i denti per il dolore. Sarebbero morti così, pensò il Cavaliere di
Atena. Lui, stretto nella mortale presa della Dea della Strage, con il corpo
dilaniato da indicibili tormenti infuocati che sentiva entrare nel profondo del
cuore; lei, semicongelata e disperatamente in balia
dei ghiacci eterni della Siberia. Cristal mosse
nuovamente il braccio destro, caricandolo di fredda energia cosmica, ma prima
che potesse colpire di nuovo i capelli di Enio si
arrotolarono intorno ad esso e la Dea vi concentrò la rovente fiamma del suo
cosmo malvagio.
Improvvisamente,
mentre entrambi i contendenti erano al loro massimo sforzo, un fulmine azzurro
si schiantò su di loro, rischiarando la fosca aria attorno. L’energia sferzante
prodotta dal fulmine distrusse parte dei capelli di Enio,
permettendo a Cristal di muoversi più disinibitamente
e liberarsi dalla presa della Dea della Strage. Un secondo fulmine li separò,
scaraventando entrambi indietro.
Quando
Cristal si rialzò, ansimando a fatica e sputando
sangue, vide chiaramente la Dea ferita dal fulmine che si era appena schiantato
su di loro, e un’indistinta sagoma di figura umana avvicinarsi.
“Chi
osa?!” –Tuonò Enio, rimettendosi in piedi,
oltraggiata per l’affronto.
A
pochi passi da entrambi, apparve un giovane ricoperto da una scintillante
armatura azzurra, una delle più belle e brillanti che Cristal
avesse mai visto. Sembrava fatta di cristalli di ghiaccio.
“Stai
bene, Cristal?” –Domandò l’ignoto guerriero, con voce
sincera.
“Sì...
sì…” –Balbettò Cristal, non
sapendo cosa dire. Non conosceva quel ragazzo, né aveva mai avvertito il suo
cosmo, il quale, adesso poteva percepirlo chiaramente, era vasto ed esteso,
superiore indiscutibilmente a quello dei Cavalieri d’Oro. Ma non aggressivo nei
suoi confronti. Un cosmo di così vaste dimensioni può appartenere soltanto… soltanto a un Dio?! Si disse Cristal, faticando nel rimettersi in posizione eretta.
Il
ragazzo, non troppo alto, con corti e ritti capelli mori e splendenti occhi
azzurri, su un viso maschile e ben curato, non aggiunse altro, volgendo lo
sguardo verso Enio, la quale aveva espanso il proprio
cosmo, liberando nuove gocce di energia.
“DropsofLoneliness!!!” –Urlò Enio, mentre i
devastanti piani di energia cosmica sfrecciavano verso lo sconosciuto. Questi
però non ebbe problemi ad evitarli, saltando in alto ad una velocità superiore
e contrattaccando con il suo colpo segreto, il fulmine azzurro che aveva
rischiarato il cielo poc’anzi.
“Aaargh!” –Urlò la Dea della Distruzione, mentre tutto il
suo corpo veniva avvolto, stritolato da quei guizzanti fulmini energetici.
“È
tua adesso, Cristal!” –Esclamò il ragazzo.
Cristal
non se lo fece ripetere due volte, bruciando al massimo il proprio cosmo
glaciale, e sollevando le braccia sopra di sé. Aveva poca energia, ma
sufficiente ancora per un ultimo compito.
Maestro
dei Ghiacci, Acquarius, Abadir,
madre mia! Voi tutti che in me avete creduto, che di questa terra siete stati
l’orgoglio, sorreggetemi ancora una volta! Cosicché io possa liberare il mondo
dalle forze oscure! Rifletté Cristal, mentre la scintillante sagoma di un versatore
dorato apparve dietro di lui, reggendo una brocca colma di energia cosmica.
“Per
il sacro Acquarius!” –Urlò, liberando le Divine Acque in essa contenuta.
Come
un fiume di glaciale energia, il colpo
segreto investì Enio, ancora intenta a
liberarsi dal groviglio di fulmini dello sconosciuto ragazzo, spingendola
indietro e trasformandola in una statua di ghiaccio, ricoprendola fino
all’ultima parte del suo orrendo corpo.
Cristal
cadde a terra in ginocchio, ansando per lo sforzo sostenuto, prima di sollevare
nuovamente lo sguardo verso il suo avversario. La statua di ghiaccio andò in
frantumi, travolta da un’infuocata esplosione energetica che stupì lo stesso
Cavaliere del Cigno, preoccupato di doversi confrontare nuovamente con lei. Ma
di Enio non vi erano più tracce.
Sorpreso,
ma al tempo stesso rincuorato, Cristal tentò di
rimettersi in piedi, voltandosi verso lo sconosciuto guerriero che gli aveva
prestato aiuto. Ma incredibilmente anche lui era scomparso. Che abbia
sognato?! Si disse, facendo qualche passo avanti. Niente! È sparito nel
nulla! Il suo cosmo ha lasciato la Siberia!
“Cristaaal!!”– La squillante voce di Jacov
risuonò sull’ampia distesa di ghiaccio.
Il
ragazzino, tanto affezionato a Cristal, corse verso
l’amico, seguito da alcuni abitanti del villaggio.
“Cristal! Stai bene?!” –Domandò Jacov,
osservando il volto stanco del ragazzo e la sua armatura danneggiata in più
punti, mentre sangue usciva copioso dalle sue ferite.
“Sì..
non temere…” –Abbozzò un sorriso Cristal,
un po’ troppo tirato da risultare credibile.
Alcuni
abitanti si offrirono per medicare il ragazzo e dargli un pasto caldo, per
ringraziarlo per essere nuovamente corso in loro soccorso. Cristal
accettò l’invito, ma precisò che si sarebbe trattenuto molto poco.
“Le
stelle di Grecia brillano di sangue!” –Osservò il ragazzo, pensando ai
compagni. –“Pegasus! Amici! Una nuova battaglia state già combattendo! Non
temete, Cristal sarà presto con voi!”
Phoenix
e Andromeda erano letteralmente sconvolti. Erano giunti con Dragone alla Terza
Casa, un tempo presieduta da Gemini, e vi avevano trovato Fiore di Luna,
l’amica di infanzia di Sirio, in balia di alcuni sgherri di Ares. L’avevano
salvata, ma lei, inspiegabilmente, aveva ferito Sirio, colpendolo sul collo con
un gladio dorato, prima di iniziare a urlare, ad osservare spaventata l’amore
della sua vita accasciarsi al suolo, in una pozza di sangue.
“Aaah!!!” –Gridò Fiore di Luna, che sembravaimpazzita, sconvolta per l’accaduto.
“Fiore
di Luna!” –La chiamò Phoenix, con aria decisa. Ma la ragazza non rispose,
infilando in un corridoio laterale e scappando via in lacrime. –“Fermati!” –Le
urlò Phoenix, inseguendola. Andromeda fece lo stesso, depositando delicatamente
Sirio a terra, e correndo dietro al fratello.
“Fiore
di Lunaaa!” –Urlò, cercando di comprendere il suo
assurdo comportamento.
Corsero
per qualche minuto in oscuri corridoi, scarsamente illuminati, seguendo le
grida e i pianti della ragazza, prima di ritrovarsi, incredibilmente, in un
fitto bosco.
“Un
bosco?!” –Sgranò gli occhi Andromeda, osservando stupefatto la rigogliosa
vegetazione intorno a loro. –“All’interno della Terza Casa?!”
“Non
siamo più all’interno!” –Lo corresse Phoenix, indicando in alto. In cima, oltre
le prospere fronde degli alberi, spuntava un cielo cupo e nuvoloso, il cielo di
Atene.
Fiore
di Luna era scomparsa, e sembrava non aver lasciato traccia alcuna, quando un
nuovo grido risuonò nell’aria. Una voce femminile che Andromeda conosceva bene.
“Nemes!” –Gridò il ragazzo, correndo verso il punto da cui partiva
la voce.
“Prudenza!”
–Gli andò dietro il fratello, a cui tutte quelle stranezze stavano dando da
pensare.
Corsero
in mezzo al bosco fino a una piccola radura, circondata da alti alberi
fronzuti. Là, con la schiena appoggiata a un albero, trovarono Nemes del Camaleonte, con il corpo coperto di ferite
sanguinanti e il volto scoperto, rigato dalle lacrime e dal terrore. Andromeda,
sopraffatto dall’emozione, corse senza pensarci due volte verso l’amica,
incurante delle vibrazioni della catena.
“Nooo, Andromeda!!!” –Urlò Phoenix, mentre il ragazzo
afferrava l’amica per aiutarla a rialzare.
Accadde
tutto in un attimo, ma fu sufficiente a Nemes per
ferire Andromeda con un pugnale, strusciandolo contro la sua gola. Le Catene
di Andromeda, per difendere il loro custode, saettarono immediatamente
contro la ragazza, impedendole di affondare ulteriormente la propria lama, e
costringendola a balzare indietro, per non essere travolta.
“Andromedaaa!” –Esclamò Phoenix, preoccupato, mentre il
fratello barcollava per qualche istante, prima di cadere a terra. Ma invece di
correre in suo aiuto, Phoenix agì di testa sua, concentrando il cosmo sul pugno
e scagliando un violento colpo energetico contro il Cavaliere del Camaleonte.
Un
sottile raggio di luce che centrò in pieno la mente della ragazza, penetrandola
da parte a parte.
“Fantasma
Diabolico!” –Esclamò Phoenix,
ordinando alla ragazza di raccontare cosa stesse accadendo. –“Dov’è Fiore di
Luna? Per quale motivo ci avete attaccato?”
“Ah
ah ah!” –Rise improvvisamente Nemes, e Phoenix, per
quanto l’avesse incontrata soltanto una volta, al termine della Guerra Sacra,
percepì oscure vibrazioni nel suo animo. E nella sua voce.
“Tu
non sei Nemes!” –Esclamò infine il Cavaliere della
Fenice. –“Rivelati per ciò che sei, bastardo guerriero di Ares!”
Le
parole di Phoenix colsero nel segno, obbligando la donna a rivelare il suo vero
aspetto. Le sue forme mutarono, distorcendosi davanti agli occhi stupefatti del
Cavaliere di Atena, mentre la sua risata si faceva sempre più sadica, quasi
seducente, in un crescendo di diabolica malizia.
“Ottimo
intuito, Cavaliere della Fenice”! –Esclamò una voce di donna, dai toni più
sicuri e fermi di quelli delle ragazzine che aveva impersonato finora. –“Aver
vissuto per anni sulla Regina Nera, tra la fame e la morte, deve averti reso
più sospettoso dei tuoi incauti compagni! È bastato un nulla, un semplice gioco
di ricordi, per annientarli! Tutti e tre!”
Phoenix
non rispose, osservando la donna di fronte a sé. Era alta e slanciata, con un
viso bianco, con due piccoli occhi marroni, che esprimevano determinazione e
astuzia, mentre lunghissimi capelli lisci e castani, simili agli steli di un
fiore, le cadevano sulla sua schiena. Ma la cosa che maggiormente lo colpì fu
la sua armatura: una corazza dal colore marrone chiaro, perfettamente in linea
con la natura circostante, e dalle particolari decorazioni verdastre, come i
gambaletti e i coprispalle, dotata di un elmo,
stretto come quello di Capricorn, con affisse due
lunghe corna dorate che salivano verso il cielo, proprio come le corna di un
cervo.
“Ma
certo… tu sei… la Cerva
dalle Corna d’Oro!” –Esclamò infine Phoenix.
“Onorata
di conoscerti, Cavaliere della Regina Nera!” –Sorrise la donna, con malizia.
–“Benvenuto nel bosco di Cerinea, di cui sono la
custode!”
“Non
chiamarmi con quel nome, io sono Phoenix, Cavaliere di Atena della
Costellazione della Fenice! La Regina Nera è soltanto un ricordo, un amaro
ricordo!”
“Oooh…” –Sogghignò la donna. –“Lo so bene! Ed è grazie ad un
ricordo che ti vincerò, come ho vinto i Cavalieri tuoi compagni!”
“Maledetta!”
–Urlò Phoenix. E senz’altro aspettare espanse il proprio cosmo, incandescente
come l’infuocato animale che lo rappresentava. –“Ali della Fenice!” –E
liberò il possente uccello infuocato. Ma la Cerva di Cerinea,
che probabilmente si aspettava tale attacco, non rimase immobile ad aspettare.
Allargò le sue braccia, fino a portarle a 45° rispetto alle gambe, mentre anche
le corna del suo elmo fecero lo stesso, piegandosi verso il basso di 45°. Le
punte degli arti si illuminarono, di un acceso bagliore dorato, creando un
cerchio che passando per le quattro estremità girava tutto intorno alla donna,
prima di moltiplicarsi in infiniti cerchi roteanti su se stessa, sulla Cerva di
Cerinea, origine e perno di quel movimento circolare.
Le
Ali della Fenice, per quanto colpo potente e violento, si schiantarono
sui cerchi della donna, non riuscendo a penetrare l’abile barriera creata da
quel veloce ondeggiare di dischi di luce.
“Cosa?!”
–Esclamò Phoenix, incredulo che la donna avesse potuto rimanere illesa dal suo
attacco.
“A
me il gioco, adesso!” –Sorrise maliziosa la Cerva di Cerinea.
Quattro
violenti raggi energetici partirono dalle estremità delle braccia e delle corna
della donna, dirigendosi verso Phoenix, alla velocità della luce. Il ragazzo fu
svelto ad evitarli, saltando in alto, ma subito si trovò a doverne fronteggiare
altri, ed altri ancora, quattro attacchi contemporanei e continuati, ciascuno
portato alla velocità della luce. Per un totale di quattrocentomila attacchi
al secondo! Troppi! Mormorò, stringendo i denti, mentre un raggio
energetico lo colpiva allo stinco destro. Un secondo raggio lo ferì ad un’ala,
sbilanciandolo, e questo permise alla Cerva di Cerinea
di colpirlo in pieno petto, con un raggio unico, prodotto dall’unione dei
quattro distinti fasci energetici. Phoenix fu travolto e scaraventato indietro,
schiantandosi con fragore contro un albero e ricadendo a terra, nel folto
sottobosco.
“Colpito
una volta, colpito per sempre!” –Sogghignò la Cerva di Cerinea,
rilassando la propria posizione. –“Me lo insegnò il mio maestro…
Quando un Cavaliere perde la concentrazione, perde anche la battaglia! È
bastato colpirti in un unico punto, per sbilanciarti! Sei debole, Cavaliere!”
Phoenix
non rispose alle schernite della donna, cercando di rimettersi in piedi, per
quanto il petto gli dolesse. Tastò l’armatura e la trovò bollente, proprio come
il suo umore. Irato e desideroso di rivalsa. Ma poi cercò di placare il suo
animo, recuperando la ragione, sepolta dentro sé, in qualche luogo che persino
lui a volte faceva fatica a comprendere dove fosse, e si concentrò sulla sua
avversaria. Un’abilissima guerriera, niente da dire! Commentò,
osservandola. Ed è persino bella!
“Cosa
c’è? Ti sei morso la lingua, Cavaliere?” –Lo provocò la Cerva di Cerinea.
“Tutt’altro!
Non sono mai stato desideroso di conversare come adesso!” –Ironizzò Phoenix.
“Mi
fa piacere! Adoro scambiare quattro chiacchiere con le mie prede! Prima di
ucciderle!” –Ed esplose in una grossa risata.
“Cosa
ne hai fatto di Sirio e Andromeda? E dov’è Pegasus?”
“Non
sono ancora morti, se è questo che ti preme sapere! La lama con cui li ho
colpiti era intrisa di curaro, un veleno che impiega circa un’ora prima di
agire completamente sull’intero organismo! Vi porterò ad Ares come dei
vegetali, pronti per essere gettati nella bocca di Ade!”
“Nella
bocca di Ade finirai tu, strega!” –Urlò Phoenix, scattando avanti, con il pugno
destro carico di energia rovente. –“Pugno Infuocato!”
Ma la Cerva di Cerinea evitò l’affondo del ragazzo con sorprendente
facilità, semplicemente roteando su se stessa, mentre il pugno di Phoenix le
passava davanti al naso. Con una mossa decisa afferrò il braccio del ragazzo e
lo sollevò di peso, scaraventandolo indietro, ma Phoenix, sfruttando le ali
della sua Armatura Divina, fluttuò nell’aria, ricadendo a terra compostamente.
È
veloce! Rifletté. Proprio come la
Cerva del mito! E si ricordò della terza fatica di Eracle: la cattura della
Cerva dalle Corna d’Oro, animale sacro ad Artemide, dotato di incommensurabile
velocità e destrezza, al punto che l’eroe greco dovette inseguirla per un anno
intero, fino a stancarla, fino ai Giardini delle Esperidi. Là, la Cerva si
fermò per bere, ed Eracle, approfittando di quel momento, la colpì, con una
freccia che trafisse la gambe anteriori dell’animale, passando tra osso e
tendine, senza far uscire una goccia di sangue. Poi, gettatosi la Cerva sulle
spalle, si diresse verso Micene, per condurla da Euristeo,
l’uomo che gli aveva imposto le Dodici Fatiche.
“Tutto
qua, Cavaliere?! Da uno che è stato addestrato sull’Isola della Regina Nera, mi
aspettavo di più?” –Lo schernì la donna, leccandosi le labbra.
“Vuote
parole le tue, Cerva di Cerinea! Saprò domarti! E
catturarti!” –Si raddrizzò Phoenix.
“Illuso!
Tu non sei Eracle! Nessuno può catturare la Cerva dalle Corna d’Oro!”
“Scommettiamo?”
–Esclamò Phoenix, bruciando il proprio cosmo.
“Scommettiamo!”
–Rispose la donna, prima di sfrecciare via, nel fitto bosco.
Phoenix
non esitò un istante, inseguendola. Sfrecciarono veloci, come fulmini, in mezzo
ad alti alberi fronzuti, correndo su due file parallele, vicini, come corridori
olimpionici. Ogni volta che la Cerva di Cerinea
svoltava, Phoenix la seguiva, come la sua ombra, tallonandola più da vicino che
potesse. Ma, dovette ammettere il Cavaliere di Atena, la Cerva sembrava
realmente più veloce di lui, riuscendo sempre a mantenere un certo margine di
distacco. Quel margine che mi darà la vittoria! Sorrise la Cerva,
sfrecciando tra gli alti alberi del bosco.
Improvvisamente
si fermò e si voltò verso Phoenix, attaccandolo con raggi energetici, ma il
Cavaliere, per quanto sorpreso, fu abile ad evitarli entrambi, prima di balzare
su di lei, per colpirla con il pugno destro. La Cerva saltò però indietro, con
un’agile piroetta, atterrò sulle braccia e scattò nuovamente avanti, cercando
di colpire il ragazzo con i suoi zoccoli. Phoenix si scansò rapidamente,
venendo ferito solo di striscio, ma subito la donna balzò contro di lui
un’altra volta, caricando due raggi energetici che quella volta il ragazzo non
poté evitare, venendo spinto indietro.
“È
resistente quella tua corazza!” –Esclamò la donna, ansimando per lo sforzo.
“Efesto in persona me l’ha riparata!” –Commentò Phoenix,
rialzandosi e sputando sangue. –“E la tua mano di donna non riuscirà a
scalfirla! Perciò non provarci nemmeno!”
“Ah
ah ah! Non essere ridicolo! Credi di essere nelle condizioni per dettare legge?
Non penso proprio!” –Sorrise la donna, mentre Phoenix scattava avanti, con il
pugno carico di energia infuocata. Ma non riuscì a fare neppure due passi che
fu improvvisamente afferrato per i piedi, e gettato a terra, da nodose radici
che iniziarono a sgorgare dal terreno.
“Che… che succede?!” –Si chiese il Cavaliere della Fenice,
mentre migliaia di radici e piante rampicanti si avvolgevano intorno al suo
corpo.
“Svegliati
natura dormiente, destati e uccidi l’uomo che ha osato attaccarmi, invadendo il
bosco sacro di Cerinea!” –Esclamò la Cerva,
espandendo il cosmo.
La
natura intorno a lei parve risponderle e immobilizzò Phoenix, sollevandolo e
tirandolo per le braccia e per le gambe, da rami nodosi e robusti, mentre
piante rampicanti si attorcigliavano intorno alla sua vita, stringendo con
forza.
“Aaaah…” –Gridò Phoenix, bruciando il proprio cosmo
incandescente per cercare di liberarsi. Ma ogni qualvolta che riusciva a
liberare anche soltanto una mano, bruciando i rami che lo tenevano prigioniero,
ecco che ne arrivavano altri, in un’infinita processione che presto lo avrebbe
stremato.
“Come
Eracle nel mito stremò la Cerva, rincorrendola per un anno intero, così io ho
stancato te, Cavaliere di Atena! E adesso prenderò la tua vita, e la porterò ad
Ares, mio Signore, come trofeo da appendere nella Sala delle Vittorie!” – Ed espanse
il proprio cosmo dorato, dalle striature marroni e verdastre.
“Nooo…nooo…” –Urlò Phoenix,
bruciando il cosmo a sua volta.
“Non
dimenarti, sciocco! Prolunghi soltanto la tua agonia!” –Lo schernì la donna,
mentre le sue braccia e le corna del suo elmo si disponevano nella posizione di
attacco.
Le
quattro estremità si illuminarono improvvisamente, caricandosi di energia
cosmica, che la donna voleva dirigere contro Phoenix, impossibilitato a
reagire. Ma il Cavaliere di Atena, determinato a liberarsi e a salvare i
compagni in difficoltà, espanse il proprio cosmo a dismisura, mentre
l’immortale figura della Fenice infuocata comparve intorno a lui.
“Vola,
Fenice della Speranza!” –Gridò, stringendo i denti. –“E liberati da
quest’effimero giogo!”
L’uccello
infuocato recise i legami che lo tenevano prigioniero, incendiando con impeto e
vigore la vegetazione circostante. Nuovi rami e piante tentarono di
imprigionare nuovamente il ragazzo, ma tutti quelli che si avvicinavano
venivano ridotti in cenere dall’infuocato battito d’ali della fenice.
“Incredibile!”
–Commentò la donna, osservando la scena. Ma per quanto stupita, non arretrò di
un passo, caricando il proprio quadruplice attacco. Phoenix però non rimase ad
aspettarlo, lanciandosi avanti, con il pugno colmo di energia rovente, che si
scontrò subito con l’assalto energetico della donna, contrastandosi a
mezz’aria.
“Aaah!!!” –Urlò la Cerva di Cerinea,
spingendo al massimo il proprio cosmo, mentre anche Phoenix faceva altrettanto.
“Andate
Ali della Fenice! Uscite da questa opprimente gabbia!” –Gridò il
ragazzo, scaricando l’immenso potenziale del suo cosmo. La tempesta infuocata
creata da Phoenix spazzò via i quattro raggi dorati della donna, abbattendosi
con impeto e vigore sulla barriera circolare posta a sua difesa.
“Hai
fermato il mio attacco, ma non supererai mai i miei cerchi dorati!” –Esclamò
decisa la Cerva, aumentando la rotazione della sua difesa.
Ed
infatti le Ali della Fenice, per quanto impetuosamente si schiantassero
sulla sfera dorata all’interno della quale la donna era rinchiusa, non
riuscivano a sfondarla, scivolando sull’energetica superficie, senza trovare un
punto preciso dove entrare. Perché non c’è un punto preciso! Realizzò
infine Phoenix. Basta un punto! Azzardò l’idea, concentrando tutta la
tua energia sul pugno destro.
“Colpito
una volta, colpito per sempre!” –Esclamò, lanciandosi avanti.
Con
tutta la forza che aveva in corpo, colpì avanti a sé, un punto imprecisato
della barriera della Cerva di Cerinea, scaricandovi
il suo cosmo infuocato. La sfera dorata accusò il colpo e i cerchi roteanti che
la componevano andarono in frantumi, spezzandosi all’istante, mentre la donna
veniva scaraventata indietro, travolta dalla tempesta di energia. Rotolò per
una decina di metri sul terreno, perdendo l’elmo cornuto della sua corazza,
ritrovandosi con la faccia nel muschio, nell’adorato muschio del suo bosco.
Dove avrebbe voluto uccidere il Cavaliere che l’aveva umiliata.
“Com’è
il tempo là in basso?” –Ironizzò Phoenix, incamminandosi verso la donna.
–“Umido, non trovi?!”
“Lurido
verme…” –Mormorò la Cerva di Cerinea,
cercando di rialzarsi e di rimettersi in piedi. Ma non fu abbastanza svelta da
evitare un violento calcio con cui Phoenix la colpì sul viso, spingendola
indietro. Quindi il ragazzo la afferrò con le sue robuste braccia, cariche di
energia cosmica, fermando i movimenti della donna.
“Cosa
farai adesso?! Chiamerai ancora le tue pianticelle per farti liberare?”
“E
perché dovrei?!” –Commentò lei, con un sorriso sardonico sul volto. –“Non ho
niente da temere da te! Non ho niente da temere dall’uomo che maggiormente mi
ama al mondo!”
Phoenix
non comprese a cosa si riferisse la donna, ma non riuscì a trattenere
un’espressione di sorpresa quando vide i suoi lineamenti cambiare, la sua pelle
modificarsi, fino ad assumere l’aspetto, e l’espressione, di una persona che
conosceva bene, essendo stato per molto tempo il suo unico conforto: Esmeralda,
il fiore dell’Isola della Regina Nera.
“Phoenix!”
–Balbettò la ragazzina, con voce tremante e insicura. –“Oooh
Phoenix!” –Aggiunse, gettandosi tra le sue braccia, strusciando il viso sulla
sua corazza Divina, lasciando che i suoi biondi capelli lambissero il mento, il
viso del ragazzo, permettendogli di assaporare il suo odore. L’odore dell’unico
fiore cresciuto su quell’isola maledetta.
“Es… Esmeralda!” –Farfugliò Phoenix per un momento, prima di
recuperare il controllo di sé e afferrare la ragazza e guardarla fissa negli
occhi. –“Con me non funziona, Cerva!”
“Ooh Phoenix!” –Continuò Esmeralda, mentre i suoi occhietti
si illuminavano di lacrime, senza distogliere lo sguardo da lui.
“Smettila,
avanti! Torna in te!” –Esclamò Phoenix, scuotendo la ragazza. Ma non ottenne
altra reazione che quella di aumentare le lacrime e l’apparente dolore della
giovane, che continuava a chiamare il suo nome, ad evocare l’odore dei fiori, e
il ricordo di quei pochi momenti felici che aveva vissuto sull’Isola della
Regina Nera. Quei pochi momenti che aveva cancellato, che la guerra e l’odio lo
avevano obbligato a mettere da parte.
“Mi
hai dunque dimenticato, Phoenix?” –Domandò la ragazza, continuando a fissarlo
con sguardo dolce e languido.
“Non
ti ho dimenticato, Esmeralda!” –Commentò acidamente lui. –“Ma tu non sei qua,
sei soltanto un’illusione! Un’illusione che devo superare per andare oltre!”
“Un’illusione?!
Ne sei certo?! Guarda!”
Phoenix
scosse gli occhi, alla vista dell’immenso campo di fiori che comparve intorno a
loro, sostituendo il bosco e gli alberi, e lasciandoli soli, in mezzo a quel
profumato prato fiorito. Esmeralda iniziò a correre nell’erba, scalza, come
amava fare, inseguendo una farfalla birichina, di fronte agli occhi attoniti di
Phoenix, che iniziavano a farsi più partecipi. Poco dopo tornò indietro, con un
mazzo di fiori, che offrì gentilmente al ragazzo, con il suo migliore sorriso.
“Li
ho colti per te, Phoenix! Portali con te, così saprai sempre come ricordarti di
me!” –Sorrise Esmeralda, afferrando le mani del ragazzo.
Quel
tocco, quel lieve tocco, scombussolò Phoenix, mentre l’incantesimo della Cerva
di Cerinea continuò ad operare, travolgendo il
ragazzo grazie ai suoi ricordi. Quegli stessi ricordi che avevano ferito
Pegasus, Sirio e Andromeda, gli amici che in quel momento gli sembravano
lontani anni luce.
“Eh
eh... eh eh…” –Sorrideva e cinguettava Esmeralda, in
quel prato fiorito, mentre i raggi del caldo sole del Pacifico li baciavano
senza avidità. Trottava sull’erba e girava su se stessa, correndo poi a
nascondersi dietro i fiori, chiamando Phoenix che andasse a cercarla.
“Esmeralda!”
–Sorrise infine il Cavaliere di Atena, muovendosi per andare da lei. Ma prima
che la raggiungesse, una voce giunse al suo animo, un lontano richiamo dal
profondo.
“Fermati,
Cavaliere della Fenice! Non cadere vittima dell’illusione!”
“Ma… cosa?!” –Si domandò Phoenix, prendendosi la testa tra
le mani.
“Non
dimenticare la promessa che facesti ad Esmeralda e che rinnovasti al Tempio dei
Sogni! Sei il Cavaliere della Speranza, ragazzo!” –Continuò la voce maschile,
che finalmente Phoenix riuscì a riconoscere.
“Ma
tu… sei... Morfeo!” –Esclamò Phoenix, riconoscendo il
cosmo del Dio dei Sogni. Flebile come la fiammella di una candela.
“Proprio
io, ragazzo mio, proprio io!” –Sorrise il vecchio Dio dei Sogni.
“Ma
io credevo che tu fossi…”
“Morto?!
Beh, fisicamente credo che sia il termine più corretto! Ma la mia anima è
perdurata, come tutte le anime divine, anche se sono lontano! Molto lontano!
Prigioniero di un oscuro limbo da cui difficilmente riuscirò a tornare con le
mie misere forze! Ma posso arrivare a te, parlare al tuo animo, che ho
scandagliato più a fondo di molti altri! E posso incitarti a non cedere, a non
cadere nella tentazione del ricordo! No, Phoenix, chiudi il tuo cuore, per
quanto sia duro, e apri gli occhi, essi ti guideranno verso la vittoria!”
“Gli
occhi?!”
“Sì,
gli occhi della verità! Quelli che hai chiuso entrando nel Terzo Tempio,
cadendo in balia degli incantesimi della Cerva di Cerinea!
Apri gli occhi, Cavaliere, e vola via, sulle ali della Fenice!”
“Morfeooo…” –Urlò Phoenix, ma la voce scomparve e si ritrovò
da solo in mezzo al campo di fiori.
Esmeralda
continuava a guardarlo sorridente, facendogli cenno di avvicinarsi e sedere
accanto a lei, ma Phoenix, per quanto quello fosse il futuro che aveva sempre
sognato, strinse i pugni, accendendo il proprio cosmo incandescente.
“Scompari,
fatua visione! Scompari, amaro ricordo! Quel che non è stato non potrà essere
più!” –Affermò, chiudendo gli occhi, quelli del suo cuore, e aprendo i veri
occhi, quelli che gli avrebbero mostrato la via.
“Ma
Phoenix…” –Urlò Esmeralda, in lacrime, correndo verso
di lui.
“Scompaaariiii!!!” –Gridò Phoenix, con tutto il fiato che
aveva in corpo. La determinazione e la risolutezza in lui furono così grandi da
frenare Esmeralda di colpo, lasciandola impotente di fronte a lui. In un attimo
tutto cambiò, tutto crollò, tutto recuperò le sue forme.
“Com’è
stato possibile?!” –Esclamò la Cerva di Cerinea,
riassumendo le sue fattezze originarie.
“Ho
già abbandonato il mio passato, Cerva dalle Corna d’Oro, molto tempo fa! E due
giorni or sono rinnovai il mio giuramento, incitandomi a guardare oltre,
incitandomi a non vivere di ricordi, ma di speranza! Di speranza nel futuro!”
“Tu
sia maledetto, Phoenix!” –Gridò il berseker di Cerinea,
espandendo il proprio cosmo.
Raggi
energetici si dipartirono dalle sue braccia, ma Phoenix li fermò tutti, col
palmo aperto della sua mano destra, sorprendendo la sua avversaria.
“Sei
soltanto un’illusione, Cerva! Come Esmeralda, come Nemes,
come il bosco!” –Commentò freddamente il ragazzo. –“Forse potrai vincere una
volta, facendo breccia negli animi fragili e puri di coloro che nel ricordo del
passato trovano consolazione, ma non su di me, che ho deciso di guardare al
futuro! Al futuro nel quale volerò… con le Ali
della Fenice!!!”
Il
devastante attacco infuocato travolse la Cerva di Cerinea,
sollevandola da terra, mentre il suo corpo veniva dilaniato dalle immortali
fiamme della Fenice. Ricadde a terra molti metri addietro, tra i frammenti
insanguinati della sua corazza; tentò di rialzarsi, di combattere ancora,
crollò dopo poco, priva di vita. In un attimo tutte le illusioni scomparvero, e
Phoenix si accorse di essere all’interno del Terzo Tempio, che aveva
riacquistato il suo aspetto originario. Non molto lontano da lui, c’erano i
corpi feriti di Sirio, Pegasus e Andromeda, che il Cavaliere raggiunse
correndo.
I
tre amici erano pallidi in volto, quasi febbricitanti, per effetto del veleno
che la Cerva aveva inserito nel loro corpo. Phoenix non era un medico, e non
aveva niente con cui curarli, ma si ricordò di come Sirio, mesi e mesi prima,
all’inizio della loro avventura, aveva liberato Pegasus dalla morte atroce di
Pegasus Nero, e ritenne opportuno fare altrettanto. Spogliò in fretta i tre
delle loro corazze, colpendo i loro corpi con due dita congiunte, nei punti
vitali della costellazione di appartenenza.
In
questo modo, rifletté, il sangue
avvelenato scorrerà via, e il loro cosmo, e quello di Atena, che è dentro tutti
noi, farà altrettanto! Almeno spero! Aggiunse, rimettendosi in piedi e
guardando i tre amici, distesi a terra, ricoperti di oscuro sangue.
Per un momento fu
tentato di fermarsi, ma poi ritenne adeguato continuare la missione, come
avevano concordato insieme. Si lanciò quindi nel corridoio della Terza Casa,
diretto verso l’uscita, pregando Gemini e Kanon,
spiriti custodi di quel tempio, di prendersi cura dei suoi amici.
Non
passò molto tempo, da quando Phoenix era uscito dal retro della Terza Casa
dello Zodiaco, che Andromeda riprese i sensi, tossendo e respirando con
difficoltà. Si scosse, ritrovandosi spogliato, disteso sul freddo pavimento,
mentre il suo corpo era pieno di ferite e sangue coagulato. Agitato, si guardò
intorno, trovando i corpi esanimi di Sirio e Pegasus accanto a lui, nelle
stesse condizioni.
“Amici!”
–Li chiamò, cercando di muoversi, ma era ancora troppo stordito, e cadde a
terra. Cercò di rimettersi in piedi, stringendo i denti per lo sforzo, ed
arrivò a lambire i loro volti, dandogli piccoli schiaffi per farli riprendere.
“A...
Andromeda…” –Balbettò Pegasus, risvegliandosi, presto
seguito da Sirio.
“Amici!
State bene, allora! Che gioia!” –Esclamò Andromeda, riuscendo a rimettersi in
piedi.
“Sì…sì… intontito ma sto bene!”
–Rantolò Pegasus, cercando di alzarsi. Sirio fece altrettanto, guardandosi
intorno e cercando di riordinare le idee. –“Dove siamo? E dov’è Phoenix?”
“Credo
che siamo ancora alla Terza Casa! Non so dove sia mio fratello, ma credo che
sia stato lui a provocarci queste ferite!”
Pegasus
e Sirio osservarono i loro corpi pieni di buchi, da cui era sgorgato sangue
oscuro fino a pochi attimi prima. Finalmente il sangue buono aveva iniziato a
zampillare e l’organismo era stato liberato. Il cosmo cicatrizzò in fretta le
ferite, prima che i tre indossassero le loro Armature Divine.
“E
Fiore di Luna?” –Domandò Dragone, cercando di capire. –“E Patricia?!” –Aggiunse
Pegasus, raccontando di come l’aveva trovata là, tra le mani dei guerrieri di
Ares.
“Temo
che fossero tutte illusioni, amici! Come Nemes, e
come il bosco!” –Rifletté Andromeda, iniziando ad incamminarsi verso l’uscita.
–“Qualcuno gioca con il nostro cuore!”
“Il
bosco?!” –Domandò Pegasus, affiancando l’amico, subito seguito da Sirio.
Andromeda
raccontò in breve ai due amici cos’era accaduto dopo che Sirio era stato
ferito, e concluse che probabilmente Phoenix aveva sconfitto l’artefice di
quelle illusioni ed era andato oltre.
“Ma
sentilo, la primadonna!” –Ironizzò Pegasus, recuperando un po’ della sua
spensieratezza. –“Adesso vuole correre da solo! Coraggio, raggiungiamolo,
amici!”
“Sì!”
–Gli fecero eco Sirio e Andromeda, uscendo dalla Terza Casa.
I
tre amici corsero senza fermarsi lungo la bianca scalinata, giungendo fino alla
Casa di Cancer. Il tempio, dalla forma a croce, si
apriva proprio di fronte a loro, ma, per quanto cercassero tracce del cosmo di
Phoenix, non ne avvertivano la presenza.
“Coraggio,
entriamo!” –Esclamò Pegasus. –“Ma con prudenza! Questa casa non è mai stata… ospitale con i visitatori!” –Ironizzò, entrando
all’interno del tempio.
Sirio
e Andromeda lo affiancarono, camminando fianco a fianco nel corridoio centrale
della Casa di Cancer, apparentemente vuota. Quando
giunsero al centro della costruzione, uno strano oggetto attirò la loro
attenzione. Un oggetto dalle grandi dimensioni, collocato su un lato del
corridoio, che li stupì sia per la forma che per il contenuto.
“Ma
questa…” –Commentò Sirio, sgranando gli occhi. –“È
una campana!”
“Una
campana di vetro!” –Aggiunse Andromeda, correndo fino a sfiorarne la
superficie. –“E all’interno… c’è mio fratello!!!”
“Phoenix!”
–Urlarono Pegasus e Dragone, riuscendo finalmente a focalizzare il loro amico.
Il
Cavaliere della Fenice sembrava come sospeso in aria, in trance, all’interno di
quella grottesca campana di cristallo, dal color azzurrognolo.
“Dobbiamo
liberarlo! Spostati Andromeda!” –Esclamò Pegasus, scattando avanti, con il
pugno carico di energia. –“Fulmine di Pegasus!” –E scagliò centinaia di
colpi luminosi contro la campana, che non si ruppe, anzi rinviò indietro i
colpi del ragazzo.
“Attento!”
–Urlò Sirio, mentre Pegasus cercava di evitare l’assalto, riuscendovi soltanto
in parte e venendo colpito in più punti.
“Maledizione!”
–Brontolò il ragazzo, rimettendosi in piedi.
“Lascia
provare me!” –Disse Sirio, concentrando il cosmo sul braccio destro.
–“Excalibur libererà Phoenix!” –E sollevò il braccio, pronto per abbassare la
lama sulla campana. Ma improvvisamente un sibilo risuonò nell’aria, mentre una
corda si arrotolò proprio attorno al polso di Sirio, fermando il suo movimento.
Una corda alla cui estremità era legata una piccola campana di metallo.
“Ma
cosa?!” –Balbettò Sirio, cercando di liberarsi da quella morsa, mentre la
campana iniziò a suonare.
“Non
sentite che gioia questo melodioso suono?!” –Esclamò una voce improvvisamente.
–“Suonano a festa le campane dei Templi dell’Ira! Suonano a lutto, per la
vostra morte!”
I tre amici si
voltarono verso destra e videro un uomo al centro del salone, che reggeva
l’altra estremità della corda con cui aveva fermato il braccio di Dragone. Non
era alto, inferiore alla media dei suoi compagni berseker, ed aveva un viso
maschile e poco curato, barba incolta, occhi scuri, ed una cicatrice sul mento.
Indossava un’armatura marrone, dalle tozze sembianze, quasi opaca da tanto che
era spenta, ed al bracciale destro aveva affissi due lunghi artigli bianchi. Le
zanne dell’animale che rappresentava: il Cinghiale di Erimanto.
“Chi
sei tu?” –Domandò Pegasus.
“Colui
che suonerà per voi un canto di morte!!!” –Esclamò l’uomo, ridendo come un
pazzo. –“Il guerriero del Cinghiale di Erimanto,
custode del Quarto Tempio di Ares!”
“Il
Cinghiale di Erimanto!” –Balbettò Sirio. –“La quarta
fatica di Eracle!”
Senz’altro
aggiungere, l’uomo iniziò a smuovere la corda, facendo suonare la campana
intorno al polso di Sirio. Un suono leggero inizialmente, che acquistò sempre
più vigore e profondità, al punto da spingere i tre amici a tapparsi le
orecchie.
“Aaargh! Mi sembra che mi rimbombi dentro!” –Brontolò
Pegasus.
“Maledizione!”
–Cercò di reagire Dragone, colpendo la corda con l’altro braccio.
Inaspettatamente
la corda si ruppe, liberando Sirio dalla morsa, e lasciando cadere a terra la
campana. L’oggetto metallico esplose a contatto col terreno, distruggendo parte
del pavimento e sollevando una fitta polvere, che obbligò i Cavalieri a
tapparsi gli occhi. Quando Pegasus e Andromeda poterono vedere di nuovo, si
accorsero, con orrore, che anche il Dragone era prigioniero di una grande
campana di cristallo, identica a quella di Phoenix.
“Non
vi piace l’accoglienza che vi ho riservato?!” –Esclamò il guerriero del
Cinghiale di Erimanto. –“Ho un sermone da recitare
per voi! Un sermone che vi condurrà all’eternità!”
“Basta
con le ciance, maledetto!” –Esclamò Pegasus, furibondo. Quindi si rivolse ad
Andromeda. –“Io lo attacco e tu cerchi di immobilizzarlo con la tua catena!”
Andromeda
annuì, anche se non molto convinto di quel piano, prima di scattare avanti
insieme all’amico. Il guerriero del Cinghiale di Erimanto,
nel frattempo, aveva richiamato la propria corda, alla cui estremità una nuova
campana si era creata, e adesso la stava roteando sopra la sua testa, prima di
lanciarla contro i due Cavalieri. Come la Catena di Andromeda era solita fare,
anche la corda di Erimanto si moltiplicò in
innumerevoli copie, attaccando i due Cavalieri di Atena.
“Eccoli… i numeri innumeri!”
–Esclamò Erimanto, estasiato. –“Aaah...
gli infiniti metri!”
Le
corde si attorcigliarono intorno ai polsi e alle gambe di Pegasus, per quanto
il ragazzo si dimenasse, e, ad uno strattone di Erimanto,
il giovane cadde all’indietro, mentre le campane suonavano rumorosamente
intorno al suo corpo. Un secondo dopo e anch’egli si ritrovò prigioniero di una
campana di cristallo.
“Pegasus!!!”
–Urlò Andromeda, adesso rimasto solo ad affrontare il guerriero di Ares.
“Din don! Din don! Per chi suona
la campana? Forse per te, Cavaliere di Atena?!” –Domandò il berseker. E scagliò
nuovamente le sue corde verso Andromeda, striscianti serpenti dalla testa a
campana. Ma Andromeda, a differenza dei compagni, disponeva di un’abile difesa.
“Catena
di Andromeda! Vai!” –E liberò la sua
scintillante arma, che sfrecciò verso le corde di Erimanto,
afferrandole tutte quante, attorcigliandosi intorno ad esse.
“Bel
risultato hai dimostrato, Cavaliere!” –Esclamò Erimanto,
non troppo deluso dal suo fallito attacco. –“Ma basterà?” –Aggiunse, con un
ghigno ironico.
Iniziò
a muovere le corde, facendo suonare tutte le campane che penzolavano dalle
varie funi fermate dalla Catena, in un crescendo di suono che si infilò dentro
le orecchie di Andromeda, scendendo giù, all'interno del suo animo.
Ad
Andromeda, che cercava di non ascoltare quel roboante suono, parve di sentire
lo stomaco esplodere, come mille tamburi che battevano a gran voce. Si dimenò
un po’, scuotendo la testa e urlando, perdendo la concentrazione sul suo
avversario, il quale decise di approfittarne per colpire il ragazzo con un
attacco energetico. Spalancò il palmo della mano sinistra avanti a sé, mentre un
cerchio di energia azzurra lo circondava, quindi fece esplodere il proprio
cosmo.
“Campana
di cristallo! Vai!” –Esclamò, mentre
il cerchio di energia si allungava fino a divenire una sottile campana che
sfrecciò nell’aria diretta contro Andromeda.
Il
Cavaliere di Atena, per quanto stordito, riuscì comunque a difendersi,
richiamando la catena di difesa, e ricreando la sua solida barriera circolare,
su cui si infranse il colpo dei guerriero di Ares.
“Se
richiami la tua catena, chi ti difenderà dalle mie corde?!” –Sogghignò Erimanto, lanciando nuovamente le sue corde all’assalto.
“La
Catena di Andromeda mi proteggerà! –Esclamò il Cavaliere, con
determinazione, continuando a far roteare la sua arma intorno a lui.
I
primi assalti del berseker si infransero contro l’impenetrabile muraglia della
difesa di Andromeda, non riuscendo le campane a penetrarvi attraverso. Ma poi,
mentre il cosmo di Erimanto aumentava, accadde
l’incredibile, agli occhi di Andromeda. Alcune corde si intrufolarono
all’interno della sua difesa, attorcigliandosi intorno alla catena, con le
campane appese alle cime di esse.
“E
allora non chiedere per chi suona la campana. Essa sta suonando per te!”
–Esclamò Erimanto, delirante, prima di lanciare altre
corde all’assalto, approfittando del fatto che adesso la catena di difesa era
bloccata, fermata dalle sue funi.
“Non
credere di avermi già vinto, guerriero di Ares!” –Gridò Andromeda, caricando di
energia la catena di attacco. –“Onde del Tuono! Via!” –E lanciò la
catena a triangolo avanti, che sfrigolò nell’aria, liberando guizzanti scariche
energetiche che travolsero le corde di Erimanto,
prima di trafiggerle una ad una con la sua acuminata punta.
“Vai,
Catena di Andromeda!” –La incitò il Cavaliere, dirigendola verso il suo
avversario.
Erimanto
non riuscì ad evitare la furia delle Onde del Tuono e venne colpito in
pieno viso, sull’elmo scuro che portava in testa, dalla catena a triangolo, e
scaraventato indietro, perdendo il copricapo della corazza e scoprendo il
cranio. Andromeda ritirò lentamente le catene, osservando l’uomo rimettersi in
piedi, e rimanendo interdetto di fronte all’oscenità del suo cranio deforme.
Il
guerriero di Erimanto infatti aveva una strana
protuberanza sul retro della testa, un enorme bernoccolo artificiale dal colore
biancastro. Osservandolo meglio, Andromeda realizzò che si trattava di una
zanna, forse di un cinghiale, che gli era stata conficcata in testa.
“Ma
è orribile?!” –Esclamò disgustato.
“Orribile?!
È il regalo fattomi dal sommo Ares, Cavaliere!”
“Il
regalo di Ares?!”
“Esattamente!
Qua dentro, in questa zanna di cinghiale che mi conficcò nel cranio, sta tutto
il suo potere, tutta la sua volontà guerriera, e mi infonde la forza e la
determinazione per combattere!”
“Essa
ti obbliga a combattere, Erimanto!” –Precisò
Andromeda, realizzando che se Ares aveva compiuto un gesto simile probabilmente
era perché il guerriero non era sufficientemente motivato.
“Mai si fa male così a fondo e così
allegramente come quando lo si fa per obbligo di coscienza!” –Esclamò Erimanto, senza dar troppo peso alle preoccupazioni di
Andromeda.
Prima che il ragazzo riuscisse a parlare
nuovamente, il guerriero di Ares tirò fuori una piccola campana di pietra,
caricandola del suo cosmo malvagio.
“Saprai evitare questi?” –Domandò al
ragazzo, prima di scagliare la campana contro di lui.
Come le corde, pure la campana si
moltiplicò in infinite copie, tutte dirette contro Andromeda, il quale
rapidamente roteò la sua catena, ricreando la Difesa Circolare.
Le campane si infransero contro la
barriera protettiva di Andromeda, esplodendo al contatto, e nuove campane
arrivarono subito dopo, schiantandosi tutte contro la catena. Ogni campana
suonava ed esplodeva, suonava ed esplodeva, rintronando il Cavaliere di Atena
che si trovava in balia di quella tamburellante pioggia.
Devo reagire! Si disse Andromeda, caricando la catena
di attacco e lanciandola avanti, nel mucchio di campane che gli arrivavano
contro. Ne distrusse parecchie, dirigendosi verso Erimanto,
ma il guerriero, prima di essere raggiunto, balzò in alto, evitando la punta a
triangolo e scagliando un’ultima campana, di pietra, sopra la testa di
Andromeda.
Questa, a differenza delle altre, si
ingrandì a dismisura, diventando un’immensa campana di pietra che piombò in
fretta su Andromeda, obbligandolo a sollevare entrambe le braccia per fermarla,
per non esserne schiacciato.
“Uah ah ah!”
–Esclamò Erimanto, osservando il buffo spettacolo.
–“Tu che hai rifiutato la mia musica, la udirai per sempre!”
Andromeda non rispose, stringendo i denti
per lo sforzo, nel sostenere l’immensa campana che aumentava sempre di più, che
si faceva sempre più pesante, terribilmente pesante, persino per gli allenati
muscoli di un Cavaliere, al punto da sprofondarlo nel pavimento.
“Diventa lieve il carico a chi sa ben
sopportarlo, Cavaliere!” –Sospirò Erimanto. –“Ma tu,
a quanto pare, non accetti tale carico!”
“Non accetterò mai le condizioni di un
guerriero di Ares!!!” –Gridò Andromeda.
“E allora muori!” –Si infuriò Erimanto, concentrando il cosmo sul braccio destro.Le zanne
bianche della sua armatura si allungarono, diventando pericolosi artigli che
diresse contro il ragazzo. –“Zanne del Cinghiale di Erimanto,
divorate l’eretico Cavaliere che ha rifiutato le campane del vostro
protettore!”
Violenti raggi energetici puntarono su
Andromeda, che, non sapendo come difendersi, venne colpito in pieno, e barcollò
all’indietro, cercando di reggere quell’immensa campana che non riusciva a
gettar via. Erimanto gli fu davanti e iniziò a
colpirlo, pugno dopo pugno, sul petto, sulla sua corazza divina, senza riuscire
a scalfirla, ma spingendolo indietro e facendogli comunque male.
“Ba... Bastaaa!!!”
–Urlò Andromeda, bruciando al massimo il proprio cosmo. Con grande sforzo
riuscì a gettar via l’enorme campana, proprio mentre Erimanto
caricava nuovamente con le sue affilate zanne. Andromeda si spostò di lato,
evitando l’affondo, prima di caricare il palmo della mano destra con il suo
cosmo rosa.
“Onda energetica! Via!” –Gridò,
liberando guizzanti scariche di energia, che colpirono Erimanto
in pieno, scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare contro un mucchio
di colonne del Tempio, che crollarono subito su di lui.
Il berseker cercò
subito di rimettersi in piedi, per quanto la violenza del colpo subito lo avesse
stordito e ferito in più punti, e concentrò il cosmo sul palmo sinistro, per
scagliare nuovamente il suo attacco cosmico. Ma Andromeda non fu da meno,
rilanciando l’Onda Energetica, che fronteggiò a mezz’aria il colpo di Erimanto, caricando l’aria di una forte tensione cosmica.
“Rinuncia
Erimanto!” –Esclamò Andromeda, cercando di
risvegliare nel guerriero di Ares la sua vera natura, probabilmente non così
bellica e sadica come il Dio della Guerra avrebbe voluto. –“C’è ancora tempo
per guarire!”
“Guarire?!
Sciocca follia di questo mondo!” –Gridò Erimanto,
continuando a spingere. –“Tutto è follia in questo mondo, scriveva Leopardi il
Grande! Fuorché il folleggiare! Tutto è degno di riso, fuorché il ridersi di
tutto! Tutto è vanità, fuorché le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze!”
“La
pace non è una follia, Erimanto, ma qualcosa a cui
dobbiamo aspirare! Qualcosa per cui vale la pena combattere!”
“Nella
mia solitudine non esiste niente per cui valga la pena morire!” –Commentò
cinicamente l’uomo, mettendo tutte le sue forze in quell’ultimo attacco.
“Triste
è ciò che affermi, guerriero di Ares! Forse il Dio della Guerra ha distrutto
anche i tuoi sogni e le tue speranze, oltre che il tuo vero animo?!” –Rifletté
Andromeda, prima di caricare nuovamente il suo assalto. –“Onda Energetica!”
L’onda
di energia rosastra guizzò nell’aria, travolgendo il colpo di Erimanto e raggiungendo l’uomo, stritolandolo tra i suoi
fulmini e spingendolo indietro. Ma prima che potesse reagire, Erimanto fu raggiunto dalle Catene di Andromeda, che lo
immobilizzarono, impedendogli di muoversi, mentre la catena di offesa si
arrotolava intorno al corno piantato nel suo cranio.
Andromeda
abbassò gli occhi, rattristato, ma si convinse che quello era il modo
migliorare per onorare la vera anima dell’uomo che aveva combattuto.
“Aaahhh!!!” –Urlò Erimanto, in
preda ad un dolore atroce, mentre la Catena di Andromeda toglieva di
forza la zanna piantata nella sua testa.
“Perdonami,
guerriero di Ares! Ma vorrei che la tua morte non fosse vana, che essa potesse
farti ricordare il tuo vero io, quell’uomo, quel cantore, quel poeta che sei
probabilmente stato in vita, e che Ares ha ucciso!”
Erimanto
si accasciò a terra, in una pozza di sangue, mentre le catene scintillanti di
Andromeda si ritiravano, tornando dal loro padrone. L’uomo rantolò un poco sul
terreno, trovando la forza di voltarsi e fissare il soffitto, mentre Andromeda
lo raggiungeva.
“Un...
prete…” –Commentò il berseker. –“Sì, ero un prete… e amavo leggere e scrivere poesie... la vita per me
era come un libro, un grande libro, a cui ogni giorno potevo aggiungere una pagina…”
Andromeda
si inginocchiò accanto all’uomo, prendendo le sue mani insanguinate e
unendogliele sullo stomaco, sospirando rattristato. Ascoltò ancora le parole
del guerriero, anche se era sicuro che non fossero dirette a lui, ma solamente
a se stesso, all’uomo che Ares aveva annientato.
“Anche
il libro peggiore ha la sua pagina buona…” –Commentò
infine Erimanto, voltandosi verso Andromeda. –“E
questa è la mia... l’ultima!” –E spirò.
In
quel momento le tre campane di cristallo andarono in frantumi, liberando gli
amici dentro rinchiusi. Sirio, Pegasus e Phoenix, piuttosto storditi, si
rimisero presto insieme, raggiungendo Andromeda, che raccontò loro, in breve,
l’accaduto. Phoenix guardò orgoglioso il fratello, lodando la sua
determinazione in battaglia.
“Ci
hai salvato, Andromeda!” –Commentò il Cavaliere della Fenice, prima di
incamminarsi avanti, verso l’uscita del Quarto Tempio.
“Beh,
consideralo un anticipo sul pagamento per le numerose volte in cui tu hai
salvato me!” –Scherzò il ragazzo, lanciandosi dietro al fratello insieme agli
altri amici.
In
breve uscirono dalla Quarta Casa, correndo verso la successiva, il Tempio del
battagliero Leone, senza mai essere persi di vista dal penetrante sguardo di
Ares.
Seduto
sul trono di velluto, nella Tredicesima Casa del Grande Tempio, Ares aveva
osservato tutte le battaglie finora combattute dai Cavalieri di Atena, e
sogghignava soddisfatto per come stava procedendo il suo piano.
“I
primi quattro custodi avevano soltanto il compito di stancare i Cavalieri di
Atena, di dare loro un assaggio della forza dei berseker, senza ucciderli!
Sapevo bene che per Nemea e gli altri tre incapaci sarebbe stato impossibile!”
–Rifletté il Dio. –“Ma presto abbandoneranno quel loro stupido sorriso beota,
da facile vittoria! Ooh, sì... ci penserà lui ad
ucciderli tutti! Mio figlio non li farà mai passare per il Quinto Tempio!!!”
–Ed esplose in una pazza risata, che rimbombò nell’ampio salone della
Tredicesima Casa, prima che una nuova questione attirasse la sua attenzione.
Flegias! Mormorò Ares. Dove diavolo si è cacciato? Gli
avevo affidato una missione di delicata importanza, e ancora non ho sue notizie!
Rifletté irato, cercando di usare il cosmo per trovare il Flagello degli
Uomini. Lo trovò, proprio dove doveva essere. Alle pendici del Monte Etna.
Zeus
aveva assegnato a Giasone il compito di organizzare la difesa dell’Olimpo, in
assenza di Phantom e di Ermes, che il Dio sperava rientrassero in fretta. Ares
attaccherà quanto prima! E in quel momento avremo bisogno di tutte le
forze disponibili, di tutti i poteri che saremo capaci di reperire, dentro e
fuori di noi! Rifletté il Sommo Zeus, uscendo dalla vasca della enorme sala
da bagno nella propria Reggia e fermandosi di fronte ad un ampio specchio a
muro.
Sul
suo corpo scivolavano soffuse gocce di acqua, risplendendo come rugiada sul
fisico scolpito del Signore dell’Olimpo. Per quanto esistesse da millenni, Zeus
sembrava non risentire minimamente del trascorrere del tempo, di quello stesso
tempo di cui suo padre Crono aveva voluto privarlo. Aveva il corpo di un
trentenne mortale, con ampie spalle e petto robusto, un viso maschile ma al
tempo stesso delicato, e mossi capelli dorati, lunghi fino alle spalle. In
mezzo al viso risplendevano due occhi grigi come il diamante, splendenti e
puri, simboli dell’Olimpo di cui era il Signore.
Piccoli
passi risuonarono nella sala da bagno, senza scomporre il Dio che continuava a
rimirarsi nel limpido specchio. –“Mio Signore, perdonatemi… vi ho portato i
vostri abiti migliori…”
“Poggiali
pure là, Ganimede!” –Commentò Zeus, voltandosi verso il ragazzo e osservando la
solerzia con la quale svolgeva i suoi compiti. –“Anche se credo che oggi
indosserò vesti differenti…” –Ironizzò, riferendosi alla sua Veste Divina.
“Ho
lucidato personalmente la vostra armatura, Signore!” –Si inginocchiò Ganimede.
–“E migliaia di fulmini sono stati fabbricati da Efesto, pronti per essere
stretti dalle vostre possenti mani!”
“Ti
ringrazio, Ganimede…” –Sorrise Zeus, congedando il ragazzo.
Come
io desiderai stringerti millenni fa?!
Rifletté il Dio, ricordando l’impetuosa passione d’amore che aveva provato per
il giovane Ganimede, al punto da ordinare a un’aquila di rapirlo e condurlo
sull’Olimpo, donandogli la gioventù eterna. Che sia stato anch’esso un
capriccio divino?! Si chiese, fissando nuovamente il proprio volto nello
specchio. Che sia stato un capriccio anche credere di regnare per sempre
sull’Olimpico Trono, guardando il mondo dall’alto, schivo alle umane genti?! Non
rispose, ma una goccia di tristezza scivolò sul suo volto, portandolo a
sospirare, prima di terminare di asciugarsi ed indossare le proprie regali
vesti.
Nel
frattempo, Giasone aveva concordato con gli altri pochi Cavalieri Celesti la
difesa dell’Olimpo, decidendo di concentrare un’unica forza a difesa del Bianco
Cancello, un tempo preservato da Bronte del Tuono.
“Se
i nostri nemici riusciranno a passare, sarà Artemide, con i pochi Cacciatori
che le sono rimasti, ad affrontarli!” –Esclamò Giasone, rivolgendosi ai
Dioscuri.
“Non
temere! Sapremo tenere testa ai berseker!” –Affermò Castore, spavaldo come
sempre.
Ma
Polluce non rispose, memore della sconfitta subita pochi giorni prima dal
Cavaliere di Andromeda. Se Ares dispone di un gruppo di guerrieri forti e
decisi come i cinque Cavalieri Divini di Atena allora possiamo metterci l’animo
in pace fin da ora! Mormorò, sconcertato.
“I
miei Cacciatori sono già nella Foresta Sacra, appostati sugli alberi con le
loro frecce avvelenate!” –Intervenne Artemide nella conversazione. –“Sono
pochi, è vero, ma hanno tutta la determinazione che si confà a un Cavaliere
Celeste!” –Aggiunse, tirando un’occhiata quasi di rimprovero a Polluce.
“E
noi non saremo da meno, Dea della Caccia!” –Esclamò Giasone, stringendo i
pugni.
In
quel momento la porta dell’armeria, dove i quattro erano riuniti a consiglio,
si aprì ed un ragazzetto ed una donna entrarono nella stanza.
“Se
è questo il luogo dove si discute la difesa dell’Olimpo, allora ci uniremo a
voi, Cavalieri Celesti!” –Esclamò la donna, con aria seria e decisa.
“E
cosa sperate di fare?!” –La schernì Castore. –“Una donna e un ragazzino ferito,
con le armature distrutte, pensano di opporsi alla violenza incendiaria dei
guerrieri di Ares?!”
“Non
deridere quella donna!” –Lo zittì Artemide. –“Ella è più degna di molti altri
di combattere su questo monte sacro!”
“Ti
ringrazio, Divina Artemide!” –Commentò Tisifone del Serpentario.
“Inoltre
avremo bisogno di tutti i Cavalieri disponibili!” –Intervenne Giasone. –“E se
Tisifone e… perdonami non ricordo il tuo nome…” –Aggiunse, rivolgendosi al
ragazzetto dai capelli castani.
“Sono
Asher dell’Unicorno, di Atena Cavaliere!”
“Se
Tisifone e Asher vogliono combattere al nostro fianco, rischiando la vita per
la difesa dell’Olimpo, non sarò certo io ad impedir loro di lottare per i
propri ideali!”
“Sappiamo
che Atena rimarrà con Demetra, Era e Asclepio nella Sala del Trono, a unire il
proprio cosmo a quello di Zeus, per fermare l’avanzata dei guerrieri di Ares!
Il nostro compito sarà quello di difendere la nostra Dea e suo Padre, Dio che
ci ha accolto con gentilezza e generosità!”
“Chiudersi
nella Sala del Trono?!” –Sbuffò Artemide. –“È una sciocchezza! Le guerre si
vincono scendendo in campo e combattendo faccia a faccia con il proprio nemico,
con la spada in mano e il pugno carico di energia!”
“Anch’io
la penso come te, Dea della Caccia!” –Rispose Tisifone. –“Per questo motivo ti
chiedo di accettarmi tra i tuoi Cacciatori e concedermi l’onore di combattere
al tuo fianco!” –La richiesta della Sacerdotessa, sincera ma decisa al tempo
stesso, lasciò la schiva Artemide per un momento in silenzio. Ma poi, spostandosi
i capelli scuri all’indietro, non trovò alcun motivo per rifiutarle tale
richiesta.
“Di
morire al mio fianco, vorrai dire!” –Ironizzò la Dea, muovendosi per uscire
dall’armeria. Tisifone le andò dietro, salutando Asher e gli altri, e seguendo
Artemide, che aveva intenzione di prendere immediatamente posizione, per non
farsi trovare impreparati. Giasone pensò la stessa cosa, avvertendo i Dioscuri
di seguirlo al Bianco Cancello con gli altri Cavalieri Celesti superstiti.
“Ehi...
ed io?!” –Domandò Asher, richiamando Giasone.
“Sei
libero di scegliere da solo il luogo in cui morire, ragazzo!” –Gli sorrise
Giasone, in tono di scherno. Ma poi, vista la luce di determinazione che
sgorgava nei suoi occhi, decise di addolcire il tono. Quel ragazzo, in fondo, gli
ricordava molto Ganimede, caro amico a cui era legato da sempre.
“Rimani
qua, alla Reggia di Zeus, e quando arriveranno uccidi quanti più nemici potrai!
Per Atena, per Zeus e per tutto ciò che ritieni sacro difendere!” –Altro non
aggiunse l’antico argonauta e si allontanò con Castore e Polluce, discendendo
il monte, diretti verso il Bianco Cancello.
Pochi
attimi dopo la terra tremò, mentre una forte tempesta energetica iniziò a
soffiare sull’Olimpo, scuotendo gli alberi fino alle fondamenta. Una tempesta
innaturale, carica di odio e di fiamme mortali. Una tempesta che aveva la sua
origine nel Dio della Guerra. Il cielo si oscurò di colpo, mentre guizzanti
fulmini solcarono l’aere, schiantandosi a terra con fragore. Fiamme orrende
spuntarono alla base del Sacro Monte, fiamme di odio e di violenza, che
marciavano compatte e decise verso la residenza del Padre degli Dei. L’esercito
di Ares, i berseker del sangue e della morte, intrisi nel profondo dell’animo
del velenoso cosmo del Dio della Guerra.
In
testa all’immondo esercito marciavano i due figli divini di Ares: Phobos,
Divinizzazione della Paura, e Deimos, Divinizzazione del Terrore, avuti dal suo
incestuoso rapporto con Afrodite. Dietro di loro, centinaia di guerrieri
ricoperti da scarlatte vestigia, muniti di armi infernali, il cui unico scopo
era distruggere ed uccidere. Tra di loro vi erano altri figli di Ares, che il
Dio aveva avuto con donne mortali o con ninfe. Figli bastardi, mai
riconosciuti, mai neppure conosciuti realmente, tale era il disinteresse che
Ares provava verso tutto ciò che non fosse la propria persona.
Mentre
ad Ares, che rompe gli scudi Citerea partorì Phobos e Deimos, terribili, che
agitano le folte schiere degli uomini, nella guerra paurosa con Ares
distruttore di città... cantò un
giorno Esiodo, e quel canto risuona ancora negli animi malvagi dei figli del
Dio della Guerra.
Phobos,
la Paura, dai corti capelli scuri e dagli occhi neri, bello e dal fisico
scultoreo, come quello delle statue greche, marciava a destra, ricoperto dalla
sua Armatura Scarlatta, con accese sfumature viola. Una veste liscia e senza
troppe decorazioni, dai toni scuri e incutenti paura. Alla cintura una spada
infuocata, identica a quella del fratello: dalla lama stretta e lunga, capace
di perforare qualsiasi difesa. Deimos, il Terrore, dai mossi capelli neri e gli
occhi grigio scuro, dal fisico simile al fratello, eccezion fatta per la
corazza, scarlatta ma delle sfumature biancastre, ingannevolmente eteree,
diabolicamente mortali. I bordi della sua Veste Divina erano simili ad artigli
pronti a ghermire, terrorizzando i sogni e gli animi delle vittime. Alla
cintura pendeva una spada infuocata come quella del fratello, e del Padre che
ne aveva loro fatto dono. Alle loro spalle l’esercito di Ares, le cui urla
invasate risuonavano per l’intero Olimpo.
“Alale
alala!” –Tuonavano a gran voce, intonando il grido di battaglia di Ares nel
Mondo Antico.
“Arrivano!”
–Esclamò Ganimede, entrando di corsa nella Sala del Trono. Il ragazzo aveva
indossato la propria armatura, quella della Coppa Celeste, di cui era il
custode scelto da Zeus. Una Veste creata da Efesto, che ricordava le dorate
corazze dei Dodici Custodi di Atene, per l’eccessiva presenza del colore aureo,
che la rendeva meno simile alle Vestigia Celesti.
“Bene!”
–Esclamò Zeus, alzandosi in piedi.
Era,
Demetra, Asclepio e Atena erano ai piedi della scalinata di marmo, ma solo la
Dea della Giustizia indossava la sua Veste Divina, ricreata da Shin per
fornirle adeguata difesa contro Ade.
“Mio
Signore…” –Si fece avanti Asclepio, ma Zeus sorprese tutti per la risolutezza
che dimostrò. Espanse improvvisamente il suo cosmo, luminoso come il
firmamento, carico di incandescenti bagliori divini che trovarono espressione
in guizzanti saette che solcarono il cielo sopra l’Olimpica Reggia,
contrastando l’infuocata tempesta di Ares. Lo scontro tra i possenti cosmi
delle due Divinità fu percepito su tutto l’Olimpo e sull’intera Grecia, persino
da Pegasus, Dragone e Andromeda, liberatisi da poco dai giochi della Cerva dalle
Corna d’Oro.
La
Grande Guerra era finalmente iniziata e Ares aveva mosso il suo esercito,
dirigendolo compatto verso il Monte Olimpo. Il cosmo di Zeus scivolò sui verdi
campi, raggiunse gli abbandonati templi che sorgevano ai lati della Via
Principale, intrise i boschi di lauri e di querce, la foresta di Artemide e il
Bianco Cancello, fortificando l’immortale difesa. Tutti poterono avvertire
l’avvampante potere del Signore dell’Olimpo risplendere in tutta la sua fiera
possanza, pronto a dimostrare ancora una volta, al nuovo nemico, chi fosse
degno di sedere sul trono del Divino Monte.
Giasone,
Artemide e gli altri Cavalieri Celesti furono inebriati dal lucente cosmo di
Zeus e motivati a resistere con tutto l’ardore che avevano in corpo. Se contro
i Cavalieri di Atena avevano avuto qualche reticenza, dovuta all’antico legame
che li univa e alla purezza che avvertivano nei loro animi, contro Ares e il
suo esercito di canaglie infami non sarebbero arretrati di un passo.
“Che
le difese del Divino Monte siano apprestate!” –Ordinò Zeus. –“Che i Giganti di
Pietra, miei fidi guardiani, si destino dal loro sonno!”
E
in quel momento, pochi metri a valle del Bianco Cancello, proprio mentre i
berseker di Ares si avvicinavano, la terra si spaccò e robuste e possenti
figure nacquero dal terreno, da cui traevano origine e forza: i Giganti di
Pietra, difensori dell’Olimpo, gli stessi che Pegasus e amici avevano sconfitto
e superato qualche giorno prima. Gli stessi, ma in quantità e potenza maggiore,
sorretti dal Divino Cosmo di Zeus. I berseker si aspettavano tale mossa, ben
conoscendo tutte le difese olimpiche, avendoli Flegias informati di ciò, ma
furono comunque disorientati dalla violenza e dalla repentinità con cui Zeus
reagì, invocando i Giganti. Alcuni Guerrieri Scarlatti si lanciarono contro di
loro, venendo respinti o schiacciati dagli immensi piedi di pietra dei
Guardiani dell’Olimpo.
Phobos
e Deimos capirono fin da subito che Zeus non si sarebbe lasciato vincere così
facilmente. Ma non per questo ci tireremo indietro! Commentò Phobos,
ordinando ai berseker da lui guidati di attaccare congiunti e in maniera
disordinata e imprevedibile. I Giganti di Pietra sono resistenti, e non
riusciremmo ad abbatterli in un attacco diretto, ma non sono umani, non
dispongono della ratio umana, e questo li rende goffi e lenti nei movimenti. Un
pugno tremendo di un gigante si schiantò a pochi centimetri dal Dio,
interrompendo i suoi pensieri e inducendolo a non sottovalutare i suoi nemici.
Con un balzo, Phobos affiancò Deimos e i due brandirono le infuocate spade del
loro Padre, puntandole contro un Gigante di Pietra. L’incandescente energia da
loro prodotta trapassò il colosso da parte a parte, ma fu necessario uno sforzo
maggiore per mandarlo definitivamente in frantumi. L’esultanza dei berseker
durò poco, alla vista di nuovi Giganti di Pietra che sgorgavano dal terreno,
spuntando rapidi e pronti per combatterli. Alcuni giganti si fecero avanti,
esponendosi agli assalti energetici dei Guerrieri Scarlatti, ma non riportando
grandi danni.
Improvvisamente un corno risuonò nella massa di berseker,
mentre alcuni di loro si scansavano rapidamente, per non essere travolti.
Veloce come un fulmine, un carro rossastro passò in mezzo ai Guerrieri
Scarlatti, puntando lesto contro un gigante di pietra; questi tentò di
colpirlo, schiacciandolo con un pugno, ma il carro fu più svelto e deviò
direzione all’ultimo istante, mentre l’immenso pugno di pietra si schiantava
nel terreno. Phobos approfittò di quel momento per balzare sul collo del gigante
e piantare dentro di lui la Spada Infuocata. Un’esplosione energetica fece
saltare in aria il Dio della Paura poco dopo, mentre il Gigante di Pietra
andava in frantumi.
“Un’ottima mossa!” –Commentò Phobos, riconoscendo l’uomo
alla guida del carro. Era uno dei tanti figli bastardi di suo padre: Enomao del
Carro Furioso. Uno dei tanti illusi che sperava di attirare lo sguardo del
padre per ingraziarselo e ottenere gloria e benefici nel nuovo ordine che Ares
avrebbe imposto al mondo. Enomao non rispose, limitandosi a incitare i cavalli
e a lanciarsi all’assalto, contro nuovi Giganti di Pietra, seguito da una
trentina di berseker vari.
“Sciocco egocentrico!” –Esclamò una voce maschile, alle
spalle di Phobos.
Il Dio della Paura si voltò, trovandosi di fronte un
terzetto di uomini non molto difformi tra loro. Barbuti, con mossi capelli
scuri, e ricoperti da tozze corazze scarlatte, senza alcun fregio particolare.
Molo, Pilo e Testio, tre figli che Ares ebbe da Demonice, fratelli di Eveno,
che il Padre teneva leggermente in maggior considerazione.
Forse perché è il meno incapace di loro! Ironizzò
Phobos, prima di rivolgersi bruscamente ai tre.
“Enomao sta eseguendo gli ordini di vostro Padre,
attaccando senza sosta il nostro nemico! Non avete forse intenzione di fare
altrettanto?!”
“Lo faremo, non preoccuparti Phobos!” –Rispose uno dei
tre, ma Phobos non gli lasciò il tempo di aggiungere altro, balzando di fronte
a lui e sollevandolo con il braccio, stringendolo al collo.
“Non permetterti più di rivolgerti a me in così
inappropriato modo, stolto mortale!” –Esclamò Phobos, mentre l’infuocata spada
che stringeva in mano trinciava malamente i capelli del ragazzo. –“Per te e per
tutte le carogne qua presenti, io sono il Comandante Phobos, Dio della Paura! E
come tale voglio essere trattato!”
“Sì... sì... sì…” –Urlò il ragazzo in preda al panico.
Phobos lo fissò per un altro secondo con i suoi occhi
scuri, iniettando nel suo animo la giusta quantità di paura e riverenza, prima
di lasciarlo cadere a terra, e colpirlo con un calcio in pieno viso.
“Alzati, miserabile! E vai a morire per il tuo Signore!”
–Lo intimò Phobos, mostrandogli la via.
Senza proferire parola, né aiutare il fratello in
difficoltà, gli altri due ragazzi si lanciarono avanti, brandendo le loro armi,
seguiti presto dal terzo fratello. Phobos sogghignò, soddisfatto con se stesso
e per i propri poteri persuasivi. Deimos lo raggiunse in quel momento, con aria
scocciata per la lentezza con cui procedeva l’assalto.
“Combattiamo da trenta minuti ormai e i Giganti di Pietra
continuano ad opporre resistenza! Dobbiamo superarli quanto prima e sfondare il
Bianco Cancello!” –Esclamò il Dio del Terrore.
“Fossero uomini potremmo usare i nostri poteri su di
loro…” –Commentò Phobos, prima di convenire, con il fratello, che su esseri
composti da minerali ciò non era possibile.
“Liberala!” –Esclamò infine Deimos.
“Adesso?!” –Alzò un sopracciglio Phobos, quasi dispiaciuto
di dover ricorrere a lei fin dall’inizio.
“Lei terrà a bada i Giganti di Pietra, permettendo a noi
di guidare i berseker fino al Bianco Cancello!” –Spiegò Deimos, e Phobos gli
diede ragione. I due fratelli si guardarono con un ghigno soddisfatto, quasi
dispiaciuti per la triste sorte del reame di Zeus, che presto avrebbero
distrutto.
Un grido improvviso lacerò l’aria, mentre una confusa
sagoma deforme iniziò a spuntare tra la nebbia incandescente che avvolgeva
l’esercito di Ares, una nebbia formata in parte dal cosmo incendiario del Dio
della Guerra. La maggioranza dei berseker scappò terrorizzata, mettendosi ai
margini dell’ampio spiazzo in cui combattevano, avendo riconosciuto le urla
terribili della loro alleata: una bestia mitologica risvegliata da Ares per
distruggere l’Olimpo. Nuovi versi osceni solcarono l’aere, di fronte allo
sguardo compiaciuto di Phobos e Deimos. Contro di lei, Zeus non avrà
speranze! Commentò Phobos. E se ancora non bastasse…
Un’immonda creatura comparve infine tra la nebbia,
trascinandosi disordinatamente sul terreno, spaventando ulteriormente i
berseker. La parte inferiore del suo corpo era serpentiforme, una lunga coda
squamata di colore marrone e verdastro, putrida e fetida, che spazzava via
tutto ciò che trovava sulla sua strada; il busto sembrava quasi un corpo di
donna, dai connotati leggermente umani, ma la testa non era unica, bensì
molteplice. Cinquanta teste diverse, ognuna appartenente ad un’orrida bestia
feroce, gridavano ed emettevano versi terribili e osceni.
Kampe era il suo nome, il mostro posto da Crono a guardia
del Tartaro, dopo che, eliminato Urano, il Dio del Tempo aveva rinchiuso gli
Ecatonchiri, suoi fratelli, per paura che interferissero con i suoi piani di
dominio. Un piccolo regalo di Flegias! Commentò Phobos, che, per quanto
detestasse il figlio di Ares, dovette ammettere che aveva saputo ideare un
piano geniale. E la presenza di Kampe avrebbe contribuito in maniera
considerevole alla loro vittoria.
“Forza, codardi! Assalite l’Olimpo!” –Esclamò il Dio della
Paura, espandendo il cosmo scarlatto. Deimos fece altrettanto, lanciandosi
contro i Giganti di Pietra, con le infuocate spade sguainate.
Kampe li seguì all’istante, superandoli e buttandosi
contro i difensori olimpici, stringendone un paio con la sua putrida coda e
gettandoli gli uni contro gli altri. Era altissima e la sua coda serpentiforme
era lunga a sufficienza per arrotolarsi intorno ai corpi dei giganti e
distruggerli con la sua forza.
Approfittando della distrazione dei Giganti di Pietra,
Phobos e Deimos ordinarono ai berseker di passare oltre, di correre al Bianco
Cancello, dove sapevano che avrebbero nuovamente combattuto. Ma stavolta
contro degli uomini! Sogghignarono i figli di Ares. E non c’è uomo che
non conosca la paura, o il terrore! Ih ih ih! Alcuni berseker vennero schiacciati, fermati dai
Giganti di Pietra, ma la maggioranza riuscì a passare, spinti e sostenuti dal
violente cosmo di Ares che ardeva dentro di loro ed impediva a chiunque di
muovere un solo passo indietro, pena l’annientamento immediato.
Mentre Kampe e i Giganti di Pietra si affrontavano in una
battaglia senza esclusione di colpi, l’esercito di Ares continuò la sua barbara
avanzata, giungendo fino al Bianco Cancello dell’Olimpo.
Là, il Divino Cosmo di Zeus fermò il loro progredire,
costringendo Ares ad intervenire nuovamente. Scariche di energia sferzarono il
cielo, mentre i cosmi delle due Divinità si fronteggiavano sull’Olimpico Monte.
Le saette di Zeus si abbatterono contro l’esercito di Ares senza pietà,
fulminando tutti coloro che ne venivano in contatto. E molti furono i berseker
che perirono così, anonimi e impotenti, annientati dai Fulmini di Zeus di
fronte al Bianco Cancello.
Ares contrattaccò, liberando immense vampate di fuoco, nel
tentativo di raggiungere la Reggia, come aveva fatto poche ore prima. Ma
inaspettatamente incontrò una forte resistenza sul suo cammino, rappresentata
dai cosmi congiunti di Era e Atena, che si unirono per impedire al Dio della
Guerra di andare oltre. Le fiamme divorarono il bosco alle pendici del Monte,
al di fuori del Bianco Cancello, ma ad alcuni parve di vedere gli alberi
scuotersi e scacciar via le fiamme, quasi fossero esseri viventi. Altri
berseker videro piante muoversi, sollevarsi da terra, liberarsi dalle millenari
radici che le imprigionavano e marciare contro di loro, schiacciandoli,
stritolandoli con i loro rami frondosi, scaraventandoli lontano. Non è certo
cosa accadde quel giorno, alle pendici dell’Olimpo, ma molti berseker persero
la vita in maniera ignota, e Phobos e Deimos, per quanto non avessero detto
niente per non demotivare i loro soldati, giurarono di aver visto una donna
muoversi nel bosco infuocato. Una donna che aveva il potere di smuovere gli
alberi e lanciarli contro i soldati di Ares: la Dea delle Coltivazioni,
Demetra.
Il cosmo di Ares ruggì nuovamente, con maggiore impeto e
vigore, approfittando anche del doppio impegno di Zeus che doveva sostenere i
Giganti di Pietra, ancora alle prese con Kampe, e riuscì a spingere i suoi
guerrieri fino alle prossimità del Bianco Cancello, senza però abbatterlo.
Enomao, tronfio sul suo carro, incitò i berseker a fargli spazio. Avrebbe
abbattuto lui l’infame Cancello.
“Non
provarci neppure! O userò quel che resterà della tua carretta come bara per
tutti voi berseker!” –Esclamò improvvisamente una voce maschile. Un fulmine si
schiantò di fronte al Bianco Cancello, travolgendo alcuni berseker, e
illuminando il muro di cinta in cima al quale si ergeva un Cavaliere dalla
Celeste armatura.
“Ma
guardatelo!” –Lo schernirono alcuni guerrieri. –“È uno solo!”
“Uccidiamolo!
Sii!!!” –E molti si lanciarono all’assalto.
“Stolti!”
–Mormorò il Cavaliere Celeste, sollevando il piccolo ma compatto scudo che
portava affisso al braccio sinistro. –“Scudo della Colchide!” –Una
devastante energia partì dallo scudo del Cavaliere, travolgendo i berseker che
puntavano su di lui, annientandoli completamente, di fronte agli occhi
sbigottiti degli altri Guerrieri Scarlatti.
“Beh?!”
–Li derise Enomao, all’apparenza per niente intimorito. –“Cosa sono quelle
facce?! Siamo i guerrieri del Sommo Ares e siamo pronti a morire per lui!” –E
incitò i cavalli del suo carro.
“Ed
è questa la fine che vi attende se solo oserete avanzare di un altro passo!”
“E
tu da solo vorresti impedircelo?!” –Ironizzò Enomao. –“Folle e temerario se
speri di tenere testa a trecento berseker! Chiunque tu sia!”
“Giasone
di Iolco è il mio nome celeste, se questo ti dice qualcosa!” –Commentò il
ragazzo, mentre il volto di Enomao cambiò lievemente espressione, adombrandosi
con preoccupazione. –“E in quanto al resto… non credo proprio di essere solo!”
Improvvisamente
guizzanti fasci di energia attaccarono i berseker, mentre altre due figure
facevano la loro comparsa, piombando direttamente nello spiazzo antistante al
Bianco Cancello. Erano due ragazzi, molto simili tra loro, e le Armature
Celesti che indossavano erano praticamente speculari. Dall’acceso colore
celeste, con raggianti sfumature bianche, coprivano buona parte del corpo dei
due, lasciando scoperte solamente poche zone, lungo le braccia e nella parte
superiore delle gambe. I due erano alti e ben fatti, con un viso maschile,
capelli castani mossi e occhi marroni, e si presentarono come i Dioscuri, i
figli di Zeus.
“Bene!”
–Commentò Enomao, con spavalderia. –“Per rispetto alla vostra divina parentela
morirete per mano di un figlio di Dio! C’è solo l’imbarazzo della scelta su chi
vi ucciderà! Ah ah ah!”
In
quel momento tuonarono nuovamente i cosmi di Ares e di Zeus, accendendosi
ancora una volta nei cieli sopra l’Olimpo. Le grida di Kampe risuonarono
nell’aere, insieme alla distruzione dei Giganti di Pietra, che Zeus non poteva
più permettersi di sostenere. Con i berseker al Bianco Cancello era prioritario
impedire loro l’accesso al Sacro Monte.
Phobos
e Deimos sorrisero soddisfatti. Avevano perso quasi centotrenta guerrieri, ma
adesso, con Kampe al loro fianco, avrebbero abbattuto il Bianco Cancello e
invaso l’Olimpo.
Capitolo 14 *** Capitolo dodicesimo: Fratelli di battaglie ***
CAPITOLO DODICESIMO. FRATELLI DI BATTAGLIE.
L’armata
dei berseker si fece avanti, sostenuta dal violento cosmo di Ares, mentre i
fulmini di Zeus squarciavano l’aria, schiantandosi periodicamente su qualche
Guerriero Scarlatto.
“Non
arretrate, pavidi!” –Gridarono Phobos e Deimos, incitando i guerrieri ad
avanzare.
Castore
e Polluce, i Dioscuri, si buttarono nella mischia, iniziando violenti corpo a
corpo contro i berseker di Ares. Frecce volarono nell’aria, dirette verso i due
figli di Zeus, ma non raggiunsero il bersaglio, venendo ogni volta fermate da
una barriera misteriosa. Anche le lance e le spade che venivano lanciate contro
di loro non riuscivano a ferirli, e questo fece insospettire i berseker.
“Pugno
di Zeus!” –Gridò Castore,
concentrando il cosmo sul pugno destro. La sagoma di uno scintillante pugno
celeste apparve davanti ai berseker, proprio mentre il Cavaliere Celeste
spingeva il braccio avanti per colpirli. Una decina furono i guerrieri
travolti, ed un’altra decina si avventò su di loro, brandendo armi, ma tutti
furono respinti. Non soltanto, quella volta le stesse armi si rivoltarono
contro i loro padroni. Frecce tornarono indietro, piantandosi nei petti dei
malvagi arcieri, mentre lance e spade tagliavano le braccia dei loro
possessori.
Fate
attenzione, amici! Commentò Giasone,
in piedi sul muro di cinta, impegnato a respingere gli assalti dei berseker di
Ares. Polluce si accasciò improvvisamente a terra, stanco per aver fatto
eccessivo uso dei suoi poteri mentali e per le ferite riportate giorni prima
contro Andromeda.
“Polluce!”
–Esclamò preoccupandosi il fratello.
“Non
curarti di me, Castore!” –Lo rimproverò Polluce, tentando di rialzarsi.
Enomao approfittò
di quel momento per travolgere i due Cavalieri Celesti, passando in mezzo a
loro con il suo scintillante carro.
“Chi
sei, tu?” –Esclamò Polluce, rialzandosi.
Davanti
a loro, su un rifinitissimo carro dal colore scarlatto e dorato, c’era un uomo
di mezza età, dal volto bianco e i capelli grigi, consumato dall’odio e dal
dolore che ne avevano fatto uno scheletro inorridente. Guidava un carro dotato
di mirabolanti poteri, grazie ai cavalli alati che lo conducevano, di cui Ares
gli aveva fatto dono.
“Enomao
del Carro Furioso è il mio nome, figlio di Ares e di Arpinna, nonché Re di
Pisa, nell’Elide!” –Esclamò l’uomo, caricando i propri cavalli.
“Cavalli
eh?!” –Mormorò Polluce tra sé, mentre Enomao caricava contro di loro.
Il
figlio di Zeus concentrò i propri sensi, sfruttando il potere di domatore che
gli era proprio dai tempi del mito, potere con il quale poteva controllare
tutti gli esseri inanimati e animali, soprattutto i cavalli, da lui tanto
amati. Ma con somma sorpresa, e dispiacere, Polluce realizzò di non essere in
grado di fermare i cavalli di Enomao, che lo travolsero violentemente, mentre
il figlio di Ares, brandendo un’affilata lancia, ferì il Cavaliere Celeste ad
una spalla.
“Polluce!”
–Urlò Castore, vedendo il fratello in difficoltà. Ma non poté correre in suo
aiuto, circondato come si ritrovava da decine di berseker accaniti.
“Muori!”
–Urlò Enomao, lanciandosi nuovamente alla carica.
“Fermati!”
–Gridò Polluce, portando il braccio destro avanti di colpo. –“Carica dei
Cento Cavalli!” – E lanciò il suo colpo segreto. Ma la Carica dei
Cavalli Celesti si scontrò con quella dei Cavalli di Ares, la quale, in
virtù del divino cosmo che la sorreggeva, risultò vittoriosa, travolgendo
nuovamente il Cavaliere Celeste e scaraventandolo lontano.
Subito
un plotone di berseker fu su di lui, brandendo lance e asce, pronti per
ucciderlo. Polluce rotolò sul terreno, si dimenò come un matto, per evitare gli
assalti dei nemici, numericamente superiori a lui, incapace di comprendere per
quale motivo il suo maggiore potere avesse fallito. Una lama incandescente lo
ferì ad uno stinco, costringendolo ad accasciarsi al suolo, mentre un’oscura
ascia calava su di lui. Ma prima che la scure sfiorasse il corpo di Polluce,
uno scudo robusto si interpose tra loro, respingendo l’orrida arma. Lo scudo
rotante continuò la sua corsa, travolgendo altri berseker, prima di tornare
nelle mani del suo padrone: Giasone della Colchide, Cavaliere Celeste di Zeus.
“Polluce?!
Tutto bene? Riesci a camminare?” –Domandò l’argonauta, raggiungendo l’amico.
“Sì,
non preoccuparti, attento!” –Urlò Polluce, indicando un nuovo assalto dei
berseker. Ma Giasone fu abile a roteare lo scudo, evitando un nugolo di frecce
che erano dirette contro di loro.
“Scudo
della Colchide!” –Espanse nuovamente
il proprio cosmo, travolgendo una decina di berseker intorno a loro, prima di
aiutare Polluce a rimettersi in piedi.
Castore
era in evidente difficoltà contro altri berseker e per salvare Polluce Giasone
aveva dovuto abbandonare la guardia del Cancello, lasciando soltanto un paio di
Cavalieri Celesti inferiori, che furono facilmente sopraffatti.
Le
immonde grida di Kampe risuonarono nello spiazzo, prima che l’orrida bestia
dalle cinquanta teste facesse la sua comparsa. Giasone, Polluce e Castore
inorridirono, nel vedere il suo mostruoso aspetto, e realizzarono che non
avrebbero potuto fermarla. La coda serpentiforme di Kampe afferrò Castore,
stringendolo con forza, prima di sbatterlo violentemente a terra, come un peso
morto.
“Castore!!!”
–Gridò Polluce, spaventato.
Il
Dioscuro raccolse tutte le sue forze, concentrando i propri sensi, e riuscì a
scagliare contro l’orrida bestia tutte le armi che aveva intorno, persino
quelle ancora in mano ai berseker. Con astuzia, Polluce puntò contro le facce
della mostruosa creatura, mirando agli occhi, e riuscendo in parte nel suo
intento, ferendo parecchie bestie. Giasone imitò l’amico, impugnando la sua
spada e balzando avanti, sopra il corpo squamoso della bestia, per quanto
disgustoso fosse. Il Cavaliere Celeste iniziò a dare colpi robusti di spada
alla pelle di Kampe, che inizialmente parve non accorgersi neppure del suo
ospite, intenta com’era a difendersi dall’assalto delle armi di Polluce.
“Aaaah!!!
Che l’antico potere della Colchide venga a me!” –Gridò Giasone, espandendo al
massimo il proprio cosmo.
La
lama celeste entrò nella pelle di Kampe, che emise decine di gridi diversi,
tremando e sguisciando all’impazzata. Castore fu liberato dalla presa
stritolante e lasciato precipitare a terra, mentre anche Giasone fu sbalzato
via, riuscendo comunque a ricadere in piedi.
L’infernale
bestia accusò il colpo, sentendo il freddo metallo della celeste lama, e tutta
la sua pura energia, entrare dentro di lei, e questo la fece impazzire
ulteriormente, dimenandosi come una forsennata. La sua coda serpentiforme
strisciò convulsamente sul terreno, travolgendo alberi e persino berseker,
prima di afferrare il Bianco Cancello con forza.
Il
potere di Zeus e quello di Ares erano ancora impegnati a scontrarsi tra loro
nei cieli dell’Olimpo, mentre Kampe abbatté il Bianco Cancello, sbattendolo con
forza a terra e poi contro le mura. Freneticamente, la sua coda iniziò a
distruggere tutto il muro circostante, aprendo la via alla conquista
dell’Olimpo da parte dei berseker di Ares.
Enomao,
sul suo Carro Furioso, si lanciò avanti, seguito da centinaia di Guerrieri
Scarlatti. Phobos e Deimos erano tra questi, seppure leggermente più indietro
rispetto a prima. I due fratelli avevano infatti qualche timore che la scalata
olimpica si sarebbe rivelata più difficile del previsto e preferivano rimanere
nelle retrovie, per meglio controllare l’avanzata.
“Dobbiamo…
fermarli!” –Esclamò Castore, rimettendosi in piedi. Ma sia lui che il fratello
erano molto deboli e feriti. Castore aveva un braccio rotto, stritolato dalla
coda mortifera di Kampe, mentre Polluce era pieno di tagli su tutto il corpo, e
camminava a fatica.
“Zeus,
Padre... li fermeremo…” –Mormorò Polluce, trascinandosi con difficoltà.
“Fate
attenzione…” –Urlò Giasone, raggiungendo i due fratelli, mentre un nuovo
assalto dei berseker piombava su di loro.
“Non
temere per noi! E corri avanti a salvare il nostro Signore!” –Lo incitarono i
Dioscuri.
“Non
senza di voi!” –Rispose Giasone, eliminando, con la sua spada, un paio di
Guerrieri Scarlatti.
Le
grida immonde di Kampe fecero rabbrividire nuovamente i tre Cavalieri Celesti,
mentre la creatura scendeva su di loro. Delle cinquanta bestie ne rimaneva una
quarantina, ma continuavano ad essere orribili, quasi demoniache.
“Maledettaaaa!!!”
–Urlò Castore, scagliando il Pugno di Zeus contro una delle sue teste.
La
bestia fu colpita in pieno e la testa esplose, ma il Cavaliere venne afferrato
dalle zanne di un altro animale, dalle sembianze simili ad un licaone,
obbligando Giasone a saltare nuovamente avanti per liberarlo. La spada lucente
del Cavaliere Celeste affondò nella testa dell’orrida bestia, ma Kampe quella
volta reagì, punendo colui che aveva usato colpirla due volte, afferrandolo con
la sua coda squamata. Giasone fu stretto dalla coda serpentiforme, perdendo la
presa della sua spada, e sollevato fino a portarlo di fronte alle teste della
creatura, tutte con i denti digrignati, sporchi di bava e di sangue, e pronti
ad affondare nel suo corpo.
“Dobbiamo
aiutarlo!” –Esclamò Polluce, raccogliendo il suo potere. Usò numerose armi che
erano intorno a lui, lanciandole contro le fauci aperte della bestia, ferendone
molteplici, mentre Castore balzava in alto, caricando il pugno destro di
energia cosmica.
“Pugno
di Zeus!” –Gridò, sbattendolo con
forza contro la coda della bestia. Ma per quanto Kampe accusasse il colpo, e
perdesse molte delle sue teste, non mollò minimamente la presa, obbligando i
Dioscuri ad un maggiore sforzo.
“Giasone,
amico mio, non temere, ti salveremo!” –Mormorò Castore, raccogliendo il proprio
cosmo, allo stesso modo di Polluce. I due fratelli si guardarono per un momento
prima di unire un proprio braccio al braccio dell’altro, preparando il loro
colpo congiunto.
“Illusione
dei Dioscuri!” –Esclamarono insieme,
mentre le sagome dei loro corpi iniziarono a moltiplicarsi a dismisura,
invadendo tutto lo spazio intorno a Kampe.
La
mitologica bestia inizialmente non si accorse del trucco dei due fratelli,
continuando a stritolare Giasone, pronta per azzannarlo con i suoi multiformi
denti. Ma i Dioscuri le diedero un buon motivo di considerazione, attaccandola
congiuntamente da ogni direzione. Decine e decine di Pugni di Zeus e di Cariche
dei Cento Cavalli piombarono sulle bestie che componevano Kampe, massacrando
i loro volti deformi con tutta la forza che avevano in corpo.
Kampe
si agitò, strillò emettendo orridi suoni, mosse la coda all’impazzata cercando
di colpire i due fratelli, ma i suoi colpi andarono a vuoto, incontrando
soltanto evanescenti immagini create dall’Illusione dei Dioscuri. Kampe
non era Andromeda,e non disponeva
dell’utilissimo mezzo che era la sua catena, capace di discernere tra le varie
illusioni e trovare i veri Castore e Polluce.
“Pugno
di Zeus!” –Urlò ancora Castore,
seguito dal fratello. E quella volta puntarono contro la coda, liberando
Giasone dalla putrida prigionia e facendolo crollare a terra. In quella,
stanchi per il lungo assalto, i due fermarono il loro attacco, correndo a
sincerarsi delle condizioni del compagno.
Le
illusioni scomparvero e così pure i molteplici attacchi che Kampe stava
subendo, permettendo all’orrida bestia di focalizzare nuovamente i propri
nemici: tre moscerini ai suoi piedi, pronti per essere schiacciati. Ma prima
che la bestia riuscisse a muovere la sua coda, si ritrovò immobilizzata a
terra, stretta in una morsa robusta che difficilmente riuscì a comprendere.
Castore,
Polluce e Giasone, rimessosi in piedi, osservarono straniati l’inaspettata
prigionia della bestia. Gli alberi intorno si erano destati dal loro antico
sonno, sollevandosi per fermare l’avanzata della putrefatta bestia. Tigli e
lauri, e possenti querce, che avevano sempre circondato la base dell’Olimpo
mossero in guerra contro Kampe, afferrando la sua coda con i loro rami
frondosi, piantandosi saldamente nel terreno e stringendo la creatura in una
stretta resistente e mortale.
La
bestia risvegliata da Flegias urlò disperata, guaendo a più non posso, davanti
agli occhi attoniti dei tre Cavalieri, prima che una figura, avvolta da un
mantello marrone, apparisse in mezzo a loro.
“Adesso
Cavalieri! Presto! Non riuscirò a trattenerla per lungo!” –Esclamò una voce di
donna.
“Demetra!”
–La riconobbero i Cavalieri Celesti.
“Colpitela,
presto!” –Li incitò la Dea delle Coltivazioni, mentre con il suo potere guidava
gli alberi nella dura lotta.
Kampe
si dimenava come una pazza, muovendo follemente la coda e spazzando via molti
alberi, ma Demetra usò tutto il suo cosmo per opporsi a lei, fermando i suoi
movimenti, per permettere a Giasone e ai Dioscuri di ucciderla. I tre Cavalieri
Celesti unirono i loro cosmi, espandendoli al massimo, forti dell’aiuto divino
ricevuto.
“Pugno
di Zeus!” –Gridò Castore, mentre
Polluce gli fece eco con la Carica dei Cento Cavalli.
Giasone
balzò in alto, mentre i lucenti attacchi dei Dioscuri stordivano le teste della
bestia, brandendo la sua lucente spada, caricandola del proprio cosmo, e colpì
il punto giusto: il corpo di Kampe, quel gracile tronco dalle sembianze umane,
che sembrava così piccolo e insignificante rispetto all’immonda massa della sua
coda e alle orribili forme della sua testa. Piccolo, ma vitale, in quanto in
esso si trovava il cuore del mostro.
La
lama della Colchide affondò nel petto della bestia, trapassandola da parte a
parte, lacerandola in orripilanti grida di dolore. Kampe si attorcigliò su se
stessa, mentre litri di linfa vitale, nera come la pece, sgorgavano dalla sua
ferita, urlando disperatamente, sollevandosi un’ultima volta, con tutta se
stessa, verso il cielo. Un attimo dopo crollò a terra, orribile gigante di
malvagità, schiacciando, nel crollare, Castore e Polluce, che per colpirla si
erano troppo avvicinati a lei.
Demetra
ordinò subito agli alberi di sollevare l’orrida carcassa, per permettere a
Giasone di liberare i corpi dei due Cavalieri Celesti, e portarli fuori.
Castore e Polluce erano molto deboli e tossivano violentemente, sputando sangue
e il liquido nerastro che era entrato loro in gola.
“Coraggio,
amici!” –Li esortò Giasone, osservando gli sforzi dei due fratelli di rimettersi
in piedi.
L’oscura
linfa vitale di Kampe aveva ricoperto i loro corpi, entrando a contatto con le
ferite aperte dei due Cavalieri, inquinando il loro sangue. Giasone rivolse
un’aria preoccupata a Demetra, temendo per l’intossicazione dei due Cavalieri
Celesti, ma la Dea non seppe offrirgli altro che un mesto sorriso di
consolazione. Demetra giunse le mani e si inginocchiò, pregando, mentre il suo
cosmo, dai colori verdi come la natura, cresceva intorno a lei, raggiungendo i
Cavalieri poco distanti. Per qualche momento a Castore e Polluce parve di
sentire il loro corpo risanarsi, toccato dalla purezza naturale del cosmo della
Dea delle Coltivazioni.
Improvvisamente,
intorno ai tre Cavalieri iniziarono a spuntare piante arbustive, evocate dal
cosmo di Demetra; piante di una ventina di centimetri di altezza, dalle foglie
biancastre e pelose, e dai fiori rosacei, che spuntarono immediatamente.
“Ecco,
è l’unico modo che conosco per essere utile!” –Sorrise la Dea, cogliendo
qualche foglia di timo. –“Il timo comune, intriso del cosmo della Dea delle
Coltivazioni, libererà la vostra pelle, stimolando la circolazione sanguigna e
purificandovi e depurandovi dall’oscura linfa della bestia!”
“Grazie,
Dea delle Messi…” –Sorrise Castore.
“Tu
vai!” –Si rivolse quindi Demetra a Giasone. –“Zeus avrà bisogno di tutti i suoi
Cavalieri, adesso che i guerrieri di Ares hanno varcato il Bianco Cancello!
Vai, e non temere, curerò io le ferite dei tuoi compagni!” –Aggiunse, notando
la reticenza di Giasone ad abbandonare i Dioscuri.
“Sì!”
–Esclamò infine il Cavaliere Celeste, stringendo i pugni.
Rivolse
un ultimo sguardo a Castore e Polluce, seduti malamente a terra, con i corpi
feriti e grondanti sangue scuro, e si augurò che l’influsso benefico di Demetra
servisse per medicarli. Quindi scattò avanti, lanciandosi in una folle corsa
all’inseguimento dell’esercito di Ares, lungo la Via Principale che conduceva
alla Reggia di Zeus.
I
berseker avevano varcato disordinatamente il Bianco Cancello, entrando nel
Regno di Zeus, procedendo lungo la Via Principale. Qualcuno di loro si era
inoltrato all’interno del bosco circostante ma era scomparso molto presto dalla
vista dei compagni, che non avevano perso tempo nell’andarlo a ricercare. Pochi
minuti dopo una fitta nebbia calò su di loro, avvolgendo la strada principale e
rendendo difficoltosa l’avanzata dei Guerrieri Scarlatti.
“Non
vi fermate!” –Urlarono Phobos e Deimos, incitando i guerrieri a proseguire. –“È
solo un trucco per fermarci, ma non ci riusciranno!” –E nel dir questo, Phobos
ordinò di accendere fiaccole e tizzoni per illuminare la via. –“E se questo non
bastasse…” –Aggiunse, liberando la propria Spada Infuocata. Lanciò un fendente
avanti a sé, che corse sul terreno, scavando un profondo solco, fino a perdersi
nelle nebbie di fronte a loro.
Improvvisamente
una fitta pioggia di frecce iniziò a cadere sopra i berseker di Ares. Molti
furono colpiti, feriti al collo o nelle parti lasciate scoperte dalle corazze,
ma subito reagirono, imbracciando gli scudi e difendendosi, per quanto non
riuscissero a comprendere da dove provenissero gli attacchi. Phobos si volse
verso il fratello, con sguardo sornione, e sibilò qualcosa nel suo orecchio.
“I
Cacciatori di Artemide!” –Mormorò Deimos, con aria sogghignante. Quindi si
voltò verso i berseker, impartendo loro l’ordine definitivo. –“Continuate ad
avanzare, fino alla Reggia di Zeus, qualunque cosa accada avanzate sempre!”
–Quindi fece un cenno al fratello e insieme a lui uscì dall’ammassata marmaglia
di Guerrieri Scarlatti, scattando velocemente all’interno della Foresta.
Avevano un conto in sospeso con la Divina Artemide, e l’avrebbero chiuso molto
presto.
In
quel momento il Sommo Zeus giocò la sua carta migliore, la difesa estrema
dell’Olimpo. Insieme ad Asclepio, Era ed Atena, il Padre degli Dei raggiunse il
giardino retrostante la propria reggia, dove esisteva un pozzo. Un piccolo
pozzo dalla forma circolare, costruito con rozze pietre, che Era aveva sempre
ritenuto poco adatto alla magnificenza dei Giardini Olimpici, ma Zeus, ogni
qualvolta la sua sposa gli aveva chiesto di abbatterlo, si era sempre opposto,
intimando lei, e chiunque altro ne avesse avuto intenzione, di non osare
neppure sfiorare il sacro pozzo.
“Perché
siamo qua?” –Domandò Era, osservando il serio volto dell’amato.
“Un
antico rito sta per compiersi, e per farlo necessito del tuo aiuto, mia sposa,
e di quello di mia figlia!” –Spiegò il Dio.
“Un
rito?!” –Ripeté Era, non comprendendo.
“Millenni
or sono, quando il mondo era ancora giovane, combattemmo una violenta guerra
contro mio padre, Crono, e i suoi fratelli, i Titani! Ma i Titani, figli di Gea
la Terra, non erano le uniche Creature primordiali! No, al loro fianco, nella
Prima Generazione Cosmica, esistevano altri esseri che combatterono al nostro
fianco, al mio fianco, contro Crono che li aveva privati della libertà!”
“Intendi
dire…?!” –Balbettò Era, il cui ricordo di quelle creature non sembrava essere
così sereno come quello dell’amato.
“Gli
Ecatonchiri! I Distruttori per eccellenza!” –Chiarì Zeus.
“Gli
Ecatonchiri!!!” –Ripeté confusamente Atena. –“Esseri così grandi da sfiorare il
cielo, con un corpo umano ma immenso, dotato di cento braccia e di cinquanta
testa!”
“Proprio
loro! Io li liberai dalla prigionia cui Crono, loro fratello, li aveva
condannati, ed essi mi promisero, quel lontano giorno, di rimanere al mio
fianco e combattere per me ogni volta in cui ne avessi avuto bisogno! Ed io li
nominai Guardiani del Tartaro, affidando loro la custodia dei Titani!”
“E
adesso vorresti risvegliarli?!” –Esclamò Era, con grande preoccupazione. –“Ma
sono dei distruttori! È rischioso, mio adorato! Potrebbero sfuggire al tuo
controllo, potrebbero ribellarsi!”
“Non
sono più pericolosi di una moglie gelosa, mia sposa!” –Commentò Zeus, zittendo
in fretta Era. –“Non ho dimenticato il tuo tentativo di detronizzarmi, cara,
anche se sono passati millenni! E anche in quell’occasione Briareo intervenne
per aiutarmi! No, non si ribelleranno a me!” –Concluse Zeus, prima di muovere
velocemente la mano destra e tagliarsi lievemente il polso sinistro. Sollevò il
braccio sinistro sopra il pozzo, lasciando cadere una goccia di sangue al suo
interno.
“Tre
gocce di sangue!” –Spiegò il Dio. –“Di questo ho bisogno per farli rinascere!”
“Ho
capito!” –Sospirò Atena, avvicinandosi al pozzo.
Zeus
la osservò e inizialmente le parve titubante, forse memore di quel lontano
giorno in cui la stessa Dea della Giustizia, affiancando Era e Nettuno, aveva
tentato di detronizzare il Padre. Forse sensi di colpa o una mai sopita paura
per l’ignoto la stavano frenando. Ma alla fine Atena cedette, offrendo una
goccia del proprio sangue per far rinascere anche il secondo Ecatonchiro.
Quindi
Zeus si voltò verso Era, rimasta tremante in disparte, avvolta nella sua veste
color porpora. Indispettita per il tono con cui Zeus le si era rivolto,
rimembrando errori della sua gioventù, la Regina degli Dei fu quasi tentata di
rifiutare, ma poi, ascoltando il vento, e le grida di dolore che gli eserciti
di Ares stavano portando sul Sacro Monte, accettò la richiesta del marito,
tagliando a sua volta il proprio polso destro, lasciando cadere una terza
goccia di sangue nel sacro pozzo.
Immediatamente
un boato immenso scosse l’intero Olimpo, un boato proveniente dalle profondità
del Tartaro.
“Briareo
ha accolto la mia richiesta! Presto sarà qua per difendere ancora una volta
l’Olimpo!” –Esclamò Zeus, allontanandosi dal pozzo sacro.
Era,
Atena ed Asclepio lo seguirono, fino all’ingresso della Reggia, desolatamente
vuota. Pochi secondi dopo, sentirono la terra tremare sotto i loro piedi,
scuotersi fino alle fondamenta del Sacro Monte, segno inequivocabile che gli
Ecatonchiri si erano risvegliati e messi in marcia.
Gli
stessi boati furono uditi dai guerrieri di Ares, che tremarono come conigli
lungo la Via Principale, proprio davanti all’abbandonato Tempio di Ares. Il
primo infatti, dei Tempi che sorgevano sulla Via che conduceva alla Reggia, era
proprio il Tempio della Guerra, dedicato ad Ares, e da lui abitato millenni
prima, quando viveva sull’Olimpo insieme ai suoi fratelli. Là, pochi metri a
monte rispetto al luogo in cui Ilda, Mizar e Alcor avevano affrontato Issione
qualche giorno prima, la terra si aprì improvvisamente.
Un’immensa
voragine spaccò il terreno, facendovi precipitare all’interno roccia e piante,
alcuni berseker e parte del Tempio della Guerra, le cui fondamenta furono
scosse così tanto da crollare poco dopo. Tra la polvere e i detriti, i berseker
di Ares riuscirono però a riconoscere tre immense figure che torreggiavano
sopra di loro: i loro corpi, per quanto alti e robusti, erano umani, ma avevano
cento braccia ciascuno e cinquanta teste, ricoperti da scintillante corazze,
offerte loro da Efesto ai tempi del mito.
Cotto,
Gige e Briareo, i tre Ecatonchiri, figli di Gea e di Urano, imprigionati da Crono,
loro fratello, erano stati risvegliati da Zeus, per combattere nuovamente al
suo fianco, difendendo l’Olimpo.
Capitolo 15 *** Capitolo tredicesimo: Le cavalle di Diomede ***
CAPITOLO TREDICESIMO. LE CAVALLE DI DIOMEDE.
Erano
già passate quattro ore dal loro arrivo al Grande Tempio e Pegasus, Sirio,
Andromeda e Phoenix stavano sfrecciando sulla bianca scalinata di marmo diretti
alla Quinta Casa, quella del Leone. Avevano provato a usare il cosmo per
spostarsi direttamente alla Tredicesima Casa ma, come si aspettavano, era
impossibile. Il demoniaco cosmo di Ares imperava sull’intero santuario,
obbligando i Cavalieri dello Zodiaco a un percorso, loro malgrado, obbligato.
Un percorso che ai quattro amici non poteva che ricordare la prima vera corsa
attraverso le Dodici Case.
Tutti
presi dai loro pensieri, Pegasus e gli altri arrivarono alla Quinta Casa, un
tempo presieduta da Ioria: una costruzione in stile
classico, caratterizzata da due leoni in pietra marmorea posizionati ai lati
della scalinata di ingresso. I quattro amici non ebbero il tempo neppure di
pianificare una strategia di attacco, che sentirono immediatamente la terra
tremare, e versi di animali risuonare nell’aria. Ma, a differenza degli osceni
versi che avevano udito alla Prima Casa, questi sembrarono loro dei suoni più naturali,
dei nitriti, per quanto carichi di malvagità.
Un
attimo dopo decine e decine di cavalli, bardati di corazze da guerra, uscirono
correndo dalla Casa del Leone, avventandosi contro i quattro Cavalieri.
“Ehi!”
–Esclamò Pegasus, fissando lo strano evento. –“Che diavolo ci fanno qua questi
cavalli?!”
“Attento!”
–Urlò Andromeda, mentre una decina di animali piombava su di loro.
Erano tantissimi,
veloci e infuriati, splendidi nella forma e nell’aspetto, ben curati, ma
rivestiti di scure cotte da battaglia che spinsero i Cavalieri a credere che
anche quelle bestie fossero asservite al malvagio potere di Ares. Andromeda
srotolò la catena, disponendola ad anelli concentrici intorno a loro e
facendola muovere come fosse un serpente, per tenerli lontani; ma non fu
abbastanza per fermare l’avanzata impetuosa dei cavalli, che travolsero la Catena
di Andromeda, incuranti del dolore provocato dalle scariche energetiche,
fino a raggiungere i Cavalieri.
“Adesso
basta!” –Esclamò Phoenix, bruciando il proprio cosmo infuocato. –“Ali della
Fenice!” –Gridò, spazzando via una decina di animali, facendoli schiantare
contro le pareti del tempio. Come reazione, tutte le altre bestie si
avventarono contro di lui, cercando di infilzarlo con le lance e le punte delle
loro bardature, per vendicare i loro compagni.
“Excalibur!” –Urlò Sirio, lasciando partire un violento fendente
che spaccò il pavimento del piazzale antistante alla Quinta Casa, aprendo un
momentaneo varco tra la mandria infuriata.
Pegasus
e compagni si lanciarono in quello stretto varco, sperando di oltrepassare i
cavalli, ma una figura apparve improvvisamente di fronte a loro e li colpì
tutti con un pugno di energia. Pegasus e Phoenix furono travolti in pieno,
essendo i primi ad aprire la fila; Andromeda tentò di difendersi sollevando la
catena, ma la violenza dell’attacco fu tale da spingerlo comunque indietro.
L’unico in piedi rimase Sirio, l’unico in grado di mettere a fuoco, seppure per
poco, il loro avversario.
“Iaah!” –Urlò l’uomo davanti a sé, prima di lanciare un
pugno di energia nel terreno, che fece tremare il pavimento, rispuntando
proprio sotto Sirio, e sollevandolo in alto, esponendolo all’assalto del suo
nemico. Con un balzo, lo sconosciuto guerriero raggiunse Sirio in aria,
tempestandolo di pugni, uno dietro l’altro, senza mai fermarsi, per quanto
questi cercasse di difendersi con lo scudo.
La
Catena di Andromeda scivolò nell’aria afferrando il braccio dell’uomo e
tirandolo a sé, con un brusco strattone; ma la mossa si rivelò controproducente
per lo stesso Andromeda, costretto ad affrontare un attacco diretto dall’alto.
Un calcio secco del suo avversario lo colpì in pieno viso, prima che questi
atterrasse contro la parete rocciosa laterale, piegando le gambe e saltando
via, trascinando il corpo di Andromeda con sé, fino a lanciarlo contro Pegasus
e Phoenix.
Soddisfatto,
il guerriero di Ares atterrò di fronte all’ingresso della Quinta Casa, mentre
tutti gli animali si posero intorno a lui, voltati verso i quattro Cavalieri
atterrati, e sbuffanti e pronti per caricarli nuovamente.
“Ah
ah ah! I famosi Cavalieri dello Zodiaco, coloro che hanno sconfitto Divinità!”
–Esclamò la squillante voce maschile del guerriero. –“Godo nel vedervi
rantolare a terra, con la faccia sporca di sorpresa e di vergogna!”
“Bastardo...
chi sei?!” –Gridò Pegasus.
“Ed
io vi farò così male, così tanto male, da sbattere le vostre luride facce su
questo pavimento, fino a spaccare il marmo con i vostri crani insanguinati, e a
farne cibo per le mie cavalle!” –Continuò l’uomo, incurante delle domande dei
Cavalieri.
“Le
tue cavalle?!” –Osservò Sirio. –“Dunque tu sei…”
“Diomede!
Figlio di Ares!” –Esclamò l’uomo, con un sogghigno che non faceva presagire
niente di buono.
“Diomede…” –Rifletterono i Cavalieri, mentre Sirio accennava
qualche notizia su di lui. –“Originario della Tracia, era uomo così feroce e
crudele che uccideva tutti gli stranieri che entravano nelle sue terre, e ne
dava i cadaveri in pasto ai suoi cavalli!”
“E
stessa sorte toccherà a voi!” –Gridò Diomede, scaricando due violenti pugni
energetici contro i Cavalieri.
I
quattro amici scattarono in direzioni diverse per evitare l’assalto, ma furono
comunque colpiti di striscio, tanto forte era la violenza distruttrice insita
in quell’attacco. In un attimo le cavalle di Diomede sfrecciarono sul
pavimento, caricando i Cavalieri, puntando su di loro, con le punte e le lance
sfoderate delle loro bardature, determinate, come il loro padrone, ad affondare
nei loro corpi.
“Sarete
cibo per le mie cavalle!” –Esclamò Diomede, saltando in alto.
Con
un balzo fu su Phoenix, colpendolo dall’alto con un violento pugno di energia,
e sbattendolo al suolo, prima di voltarsi verso Andromeda, prontamente accorso
per aiutare il fratello, e cercare di colpirlo a sua volta. Pegasus però glielo
impedì, balzando in aria e afferrando le mani del guerriero, rimanendo così,
pugno stretto nel pugno dell’altro. Infine Pegasus, la cui armatura disponeva
di ali, oscillò su se stesso fino a capovolgersi, e riuscì a trascinare Diomede
con sé, quindi si voltò, cercando di colpirlo con un pugno, ma il guerriero fu
più veloce, anticipando il ragazzo e scaraventandolo via, con un calcio in
pieno sterno.
“Aaaah…” –Urlò Pegasus, sorpreso di quell’abile e veloce
mossa.
“Adesso
basta! Catena di Andromeda!” –Esclamò Andromeda, liberando la sua catena
che subito si moltiplicò in infinite copie, dirette verso Diomede. Ma il figlio
di Ares riuscì ad infilarsi in mezzo alla scintillante pioggia, evitando i
pericolosi raggi, e a portarsi di fronte a lui, colpendolo con un calcio in
pieno viso e spingendolo indietro, esponendolo alla furia devastante delle sue
cavalle.
Non
riuscì però Diomede ad evitare in tempo l’assalto di Sirio, il quale, dopo aver
scavato il pavimento con un fendente energetico, che aveva costretto il
guerriero a voltarsi, era scattato sotto di lui, per colpirlo con un montante
al mento.
“Colpo
segreto del Drago nascente!” –Urlò l’allievo
di Libra, sollevando il suo nemico. Diomede fu inizialmente travolto dalla
furia dello scintillante drago verde, ma poi riuscì nell’incredibile, a
cavalcare il drago, scivolando poi su di esso, fino a colpire Sirio con un
doppio calcio.
“Incredibile!”
–Disse Pegasus, aiutando Phoenix a rimettersi in piedi. –“Quell’uomo è
fortissimo!”
“Resta
pur sempre un uomo, Pegasus!” –Commentò acidamente Phoenix, irritato per essere
stato atterrato così malamente.
Diomede
tornò con un balzo all’ingresso della Quinta Casa, immediatamente cinto e
difeso dalle sue splendide, quanto bellicose, cavalle, e i Cavalieri poterono
finalmente avere un attimo di tempo per riprendere fiato ed osservarlo.
Era
un uomo alto e ben fatto, muscoloso, con un viso maschile, barbetta rada, occhi
scuri e corti capelli castani, quasi rasati. Indossava un’Armatura scarlatta,
dalle sfumature violacee, il cui totem assemblato prendeva la forma di una
cavalla imbizzarrita. Aveva dei gambaletti che terminavano con appuntiti
zoccoli, come quelli delle sue cavalle, e sulla schiena, affissa all’armatura,
una folta criniera scura. L’elmo era fatto a maschera, molto leggero e
accattivante, ma copriva solamente una zona limitata del suo viso.
“Allora,
invincibili guerrieri… dov’è la vostra famosa
forza?!” –Li derise Diomede, mentre i quattro amici si riunivano tra loro.
–“L’avete persa per strada, forse?”
“Ma
senti questo…” –Brontolò Pegasus, pronto per scattare
ancora avanti.
“Fermati,
Pegasus!” –Lo afferrò Sirio per un braccio. –“Quell’uomo è innegabilmente
forte! Non soltanto; in lui sento un cosmo profondo, temprato di odio e di
violenza! Lo stesso cosmo oscuro che ho percepito nell’animo di Flegias e dei suoi due fratelli quando attaccarono Efesto e Afrodite!”
“Il
cosmo di Ares?!” –Intervenne Andromeda, che aveva avuto la stessa sensazione.
“Esattamente!
Diomede non è come i guerrieri delle case inferiori! No! La sua potenza è
devastante, la sua velocità pari a quella dei Cavalieri d’Oro, e la sua volontà
è retta da Ares, di cui è figlio, ed orgoglioso di esserlo!” –Continuò Dragone.
–“Piegarlo non sarà affatto facile!”
“Ma
ci riusciremo!” –Intervenne Pegasus.
“Sì!
Ci riusciremo!” –Continuò Sirio. –“Lasciate a me la lotta, amici! Sono il più
fresco, avendo combattuto soltanto alla Prima Casa, quindi ho più possibilità
di tenergli testa!”
“Non
vorrai affrontarlo da solo?!” –Esclamò Pegasus.
“E
tu non vorrai restare qua con le mani in mano ad aspettarmi?!” –Ironizzò Sirio.
La
conversazione tra i quattro Cavalieri fu interrotta da un violento attacco di
Diomede, il quale, stufo di aspettare, aveva lanciato un immenso pugno
energetico contro di loro, obbligandoli a separarsi e a scattare in direzioni
diverse.
“Incredibile!”
–Commentò Andromeda, osservando l’immenso cratere che si era creato nel
piazzale. –“Quel colpo ha distrutto l’intero spiazzo!”
“Il
prossimo vi aprirà il petto in due!” –Ghignò Diomede, caricando nuovamente il
pugno destro di acceso cosmo rovente.
“No,
se io ti colpirò per primo!” –Urlò Sirio, saltando in alto ed espandendo il
proprio cosmo verde smeraldo. Con un colpo deciso e veloce, il ragazzo calò il
braccio destro, lanciando un luminoso fendente energetico contro Diomede, il
quale, per evitarlo, dovette spostarsi di lato, appiattendosi quasi contro il
leone di sinistra, mentre Andromeda, Pegasus e Phoenix si lanciavano
all’assalto.
In
un attimo, le cavalle di Diomede caricarono i Cavalieri, ma Andromeda liberò la
sua scintillante catena che assunse la forma di un’immensa tagliola, che mozzò
le gambe dei furiosi animali.
“Ottima
mossa, Andromeda!” –Si congratulò Phoenix, bruciando il proprio cosmo. –“Adesso
sta a noi, Pegasus! Ali della Fenice!”
“Fulmine
di Pegasus!” –Gli fece eco l’amico, scattando in mezzo alla mandria.
Una
ventina di animali furono travolti, trapassati dall’azzurra pioggia di stelle
di Pegasus, mentre il resto fu spazzato via dalle Ali della Fenice.
Pegasus, Andromeda e Phoenix scattarono come fulmini verso l’ingresso, dove
Sirio stava fronteggiando Diomede.
Vista la tragica
fine delle sue bestie, il figlio di Ares si irritò ulteriormente, caricando un
violento pugno di energia che sbatté con forza contro lo scudo dell’armatura di
Sirio, la quale resse ben l’attacco. Ma Diomede attaccò di nuovo, tempestando
il Cavaliere di pugni ininterrotti, senza dargli tregua, e Dragone non poteva
far altro che subire i suoi montanti, fino all’ultimo, violento, con il quale lo
scaraventò contro il leone di destra, distruggendolo, e facendolo precipitare
al di là.
In
quella, Pegasus, Andromeda e Phoenix giunsero sulla scalinata di ingresso, dove
Diomede li aspettava fiero, ma prima che potesse attaccarli, per impedire loro
di passare, fu costretto a voltarsi e a fronteggiare il rinnovato assalto di
Sirio, il quale era balzato in alto, avvolto dal suo lucente cosmo verde, e
aveva scagliato il suo Colpo del Drago Volante, travolgendo in pieno il
guerriero di Ares, fino a farlo sbattere contro l’altro leone.
“Correte,
adesso!” –Esclamò Sirio, ricadendo a terra.
“Sì!”
–Rispose Pegasus, sempre restio ad abbandonare gli amici. –“Sii prudente, amico
mio! E… ti aspettiamo!!!” –Andromeda e Phoenix lo
seguirono all’interno della Quinta Casa, mentre Diomede si rimetteva in piedi e
si lanciava al loro inseguimento. Ma Sirio, velocissimo, sfrecciò all’interno
del tempio, portandosi di fronte a lui e concentrando il cosmo sul pugno destro
per colpirlo. Diomede evitò l’affondo, spostandosi di lato e colpendo il
ragazzo con un calcio in pieno viso, che scaraventò Sirio in alto, fino a farlo
sbattere contro il soffitto della Quinta Casa e ricadere a terra.
“Muori,
bastardo!” –Lo anticipò Diomede, saltando, per raggiungere il Cavaliere in
caduta libera. –“Furia di Ares!” –E lo colpì con un devastante pugno di
energia cosmica, dalla forza di un’incandescente cometa, che Sirio non poté
evitare, venendone travolto.
L’immensa
esplosione di energia spinse Sirio contro il soffitto della Quinta Casa, distruggendolo,
lo fece salire nel cielo di Atene e ricadere giù, mentre il suo corpo era
dilaniato dall’ardente cosmo di Ares.
Sto...
precipitando! Si disse il Cavaliere
di Atena, mentre ricadeva dolorante verso il Tempio di Leo, a testa in giù. Devo… devo reagire… Si incitò, bruciando il proprio
cosmo.
“Ben fatto!”
–Commentò Diomede, atterrando nuovamente sul pavimento. –“Un Cavaliere di Atena
è già perso! Adesso devo inseguire gli altri tre… Non
voglio lasciare a quel damerino di Augia la
soddisfazione di eliminarli!” –Sogghignò. Ma i suoi progetti subirono un netto
cambiamento, quando la maestosa sagoma scintillante di un verde dragone sfondò
il tetto della Quinta Casa, piombando proprio su di lui.
Il
figlio di Ares incrociò le braccia al petto, nella sorpresa dell’accaduto,
cercando di contenere l’impatto con quella potenza devastante in cui poteva
sentire il calore ardente delle stelle. L’urto spinse comunque Diomede indietro
di parecchi metri, facendogli scavare solchi nel pavimento con gli zoccoli
della sua corazza, prima che l’assalto terminasse.
“Ancora
non ti arrendi, eh?!” –Sogghignò Diomede, osservando Sirio, in posizione di
attacco di fronte a lui.
“Un
Cavaliere di Atena non si arrenderà mai! Mai finché ci sarà bisogno di noi!”
“Molto
presto il mondo non avrà più bisogno di stupidi idealisti quali voi siete! Il
nuovo ordine che mio Padre costruirà non lascerà spazio all’amore e agli
ideali, soltanto alla guerra, unica macchina motrice del mondo!”
“E
tu combatti per questo, Diomede?! Non sei disgustato da una simile prospettiva
di vita?!”
“E
perché mai dovrei esserlo?! Sarò tra coloro che edificheranno il mondo, uno dei
nuovi Dei dei tempi moderni! Sarò tra coloro che
brandiranno le infuocate spade a cui i deboli dovranno piegarsi!”
“Questa
è solo una bieca tirannia!” –Commentò Sirio, disgustato.
“Una
tirannia, esatto! L’unica forma di governo in grado di funzionare! Senza
discussioni, senza tentennamenti, solamente un’unica voce che tutto dirige! Ed
io, come figlio del Divino Ares, sarò tra i Comandanti della nuova epoca, e le
mie cavalle saranno l’orgoglio e il vanto del mio reparto!”
“Sei
soltanto un folle assetato di sangue! Come tuo Padre e i tuoi fratelli!” –Lo
accusò Sirio, bruciando il proprio cosmo.
“Forse!
Alla fine ognuno ha le sue idee, ma l’unica che si rivelerà vincente sarà
quella del più forte!” –Esclamò Diomede, prima di concentrare il cosmo sul
pugno destro e lasciar partire un violento attacco contro Sirio.
Il
Cavaliere del Dragone si difese sollevando il suo scudo rotondo, ma Diomede
intensificò l’attacco, balzando in alto, facendo una capriola ed atterrando con
i duri zoccoli proprio sullo scudo di Sirio, che accusò il colpo a fatica. Un
calcio secco prese Dragone in pieno viso, incrinando l’elmo divino, che saltò via,
prima che Diomede balzasse nuovamente in alto.
Sirio,
per quanto gli dolesse il viso gonfio, cercò di reagire, saltando a sua volta,
ma Diomede lo colpì nuovamente, facendolo precipitare a terra, con una forza
tale da creare un piccolo cratere all’interno del Tempio. Aaa...
Atena…
Rantolò Sirio, sdraiato in terra, coperto di sangue e di ferite. La forza di
quest’uomo è pazzesca! Per quanto non sia un Dio, possiede una carica ed un
ardore che nessun altro uomo controlla! Che sia il cosmo di Ares a sorreggerlo
e a dargli potenza?!
I pensieri del
ragazzo furono interrotti da un nuovo, impetuoso assalto del potente figlio di
Ares, la cui forza e velocità, adesso Sirio ne era più che certo, erano pari a
quelle dei Cavalieri d’Oro, riuscendo infatti a muoversi alla velocità della
luce e a portare centomila colpi al secondo.
Ma
c’è una cosa che quest’uomo non ha!
Commentò Sirio, fermando con lo Scudo del Drago un micidiale destro di Diomede.
C’è una cosa che gli manca per essere pari ad un Cavaliere d’Oro! La lucentezza
e la purezza delcosmo! Sorrise Sirio, ritrovando improvvisamente un
po’ di forza.
Evitò,
spostandosi, un affondo del figlio di Ares, prima di contrattaccare con un
pugno energetico. Il contraccolpo tra i due poteri creò una massa di energia al
centro del Tempio del Leone, che, data la sua instabilità, esplose poco dopo,
scagliando entrambi indietro.
Quando Sirio si
rialzò trovò Diomede, a una decina di metri di distanza, già in piedi, in
posizione di combattimento, determinato a non arretrare neppure di un passo. Mi
hai fatto scappare gli altri tre! Ringhiò Diomede, irato. Ma tu non
uscirai vivo di qua, Dragone! Te lo assicuro! Ed espanse il proprio cosmo,
vasto ed oscuro. Sirio non si lasciò intimorire, liberando la lucente energia
del verde drago, pronto per scattare avanti. Ma Diomede lo anticipò.
Il figlio di Ares
concentrò il proprio cosmo, dal colore violaceo, sulle braccia, sotto forma di
mulinelli incandescenti che roteavano intorno ai suoi possenti arti, liberando
scariche di pura energia. Gonfiò i muscoli, aprendo le braccia, quindi puntò i
pugni verso Sirio, scagliando contro di lui due violente comete energetiche:
grossi fasci di energia cosmica, avvolti da scintillanti folgori che apparivano
come vorticosi mulinelli.
“Furia
di Ares, esplodi!!!” –Sbraitò
Diomede, dirigendo il doppio assalto contro Sirio.
Il
Cavaliere di Atena sollevò lo scudo, lasciando che una delle due comete di
energia vi si schiantasse, e portò il braccio destro avanti, liberando il Drago
Nascente, con cui contrastò, seppur a fatica, il secondo grosso assalto.
La
tensione aumentò, mentre l’aria intorno ai due contendenti si caricava di
elettricità, determinata dallo scontrarsi impetuoso dei due cosmi. Scontrarsi
che fu udito anche da Pegasus, Andromeda e Phoenix, in corsa verso la Casa
della Vergine. E che li fece preoccupare non poco.
“Ti
abbatterò, Cavaliere di Atena!” –Urlò Diomede, potenziando il furibondo
attacco.
“Saprò
resisterti, figlio di Ares!” –Rispose Sirio, cercando di mantenere la sua
solita calma. Ma forse lo sforzo per mascherare il tono della sua voce fu quasi
superiore a quello fisico, sentendo aumentare la pressione esercitata da
Diomede. I mulinelli di energia del figlio di Ares si scontravano furiosamente
sullo Scudo di Sirio, scivolando su di esso, e lasciando che qualche guizzante
folgore raggiungesse comunque il ragazzo al di là dello scudo; mentre lo sforzo
impegnava duramente entrambi, sia in termini di concentrazione che di potenza
fisica.
Improvvisamente
il vorticoso assalto di Diomede parve scemare di intensità, e Sirio, credendo
che il guerriero fosse stanco, decise di approfittare di quel momento, di
quella possibilità inaspettatamente offertagli. Si lanciò avanti, sfidando le
dilanianti folgori viola del figlio di Ares, liberando il Colpo Segreto del
Drago Nascente.
“Stolto!”
–Sibilò Diomede, sogghignando. Con un gesto rapido e violento sbatté insieme i
propri pugni, carichi al massimo di energia rovente, unendo le vorticose comete
in un unico mulinello di energia, quasi un tornado, che diresse all’istante
contro Sirio.
Il
vortice energetico, stretto e alto, come una vera tromba d'aria, travolse il Drago
Nascente, che ne venne risucchiato, prima di raggiungere Sirio e attirarlo
al suo interno, nell’occhio del ciclone.
“Aaarrgh…” –Gridò Sirio, venendo sballottato all’interno del
mulinello energetico, mentre furibonde scariche di energia cosmica stridevano
sulla sua corazza Divina.
Controllando
il mulinello con le sue braccia, Diomede lo diresse verso l’alto, facendo
salire Sirio all’interno del vortice, fino a sfondare quel che restava del
tetto della Quinta Casa e a lanciarlo in alto, ancora avvolto da quel
devastante vortice malefico.
“Perditi,
Cavaliere del Drago!” –Esclamò Diomede, tronfio del suo successo.
Sirio,
ancora avvolto dalle dilanianti folgori di Diomede, sentì le forze venirgli
meno, incapace di reagire, incapace di muovere un dito, schiacciato da quella
violenta pressione che lo limitava nei movimenti e nel ragionare. In un istante
ripensò a tutta la sua vita, immaginando che quello sarebbe stato il suo ultimo
momento nel mondo, l’ultimo ruolo che avrebbe giocato nei destini del pianeta.
Ripensò
a Pegasus e ai suoi amici, impegnati a correre verso le stanze di Ares, per
affrontare il malvagio Dio che voleva piegare le genti libere della Terra;
ripensò a Fiore di Luna, chiedendosi dove fosse, se Ares l’aveva realmente
rapita o se fosse sana e salva, ancora ai Cinque Picchi. Per un momento
sorrise, e volle immaginarla così, come l’aveva sempre sognata: inginocchiata,
a mani giunte, di fronte alla cascata del Drago, intenta a pregare per lui,
come aveva sempre fatto in tutti questi anni, quando si allenava per diventare
Cavaliere e quando, ottenuta l’armatura, aveva iniziato a rischiare la vita
giornalmente, per difendere la Terra dai pericoli che la minacciavano. Infine
pensò a Dohko, il suo Vecchio Maestro, e a Demetrios, suo compagno di addestramento, due cari affetti
che molto, ognuno a modo suo, gli avevano dato. Quelli erano i suoi affetti, il
piccolo grande mondo a cui era affezionato. Il mondo a cui avrebbe dovuto
rinunciare.
“No…noooo!” –Urlò Sirio, facendo
esplodere il proprio cosmo, verde scintillante come lo smeraldo più puro. –“Per
i miei affetti, per le persone a me care, io reagirò! Per i deboli, che Ares e
i suoi figli vorrebbero piegare, per questo Sirio combatte!” –E bruciò il suo
cosmo, fino ai limiti estremi della galassia, distruggendo il mulinello
energetico che lo rendeva prigioniero, liberandosi da quell’energetica e
dilaniante detenzione.
Diomede,
rimasto al centro del Tempio del Leone, osservò dal basso l’immensa esplosione
di energia, con la quale il suo vortice fu annientato, completamente spazzato
via dalla lucentezza del cosmo di Sirio, puro come una supernova, che rischiarò
l’intero Grande Tempio. In un attimo il cielo di Atene fu percorso dalla
maestosa sagoma di un drago, dal colore verde smeraldo, che scese lungo la
Collina della Divinità, piombando con fragore all’interno della Casa di Leo.
Il
figlio di Ares, per quanto sorpreso, trovò la prontezza e la forza per
incrociare le braccia al petto e resistere alla spaventosa onda d’urto
provocata da Sirio. Il contraccolpo lo scaraventò comunque indietro, fino a
farlo schiantare contro un muro interno, che crollò subito su di lui, sommergendolo
di calcinacci. Quando si liberò delle macerie, ansimando a fatica per lo
sforzo, vide con orrore che la propria corazza, di divina fattura, era
danneggiata in più punti. I bracciali erano stati distrutti, tanta era la
potenza dell’energia sprigionata da Sirio, e al centro del pettorale spuntava
una chiazza bollente, che andò in frantumi poco dopo, rivelando la nuda carne
dell’uomo al di sotto di essa.
“Maledetto!”
–Ghignò Diomede, accasciandosi a terra per il dolore.
Il
colpo di Sirio aveva completamente trapassato il muro difensivo rappresentato
dalle sue braccia e aveva raggiunto il suo petto, adesso in fiamme. Stringendo
i denti, Diomede si rimise in piedi, per osservare il corpo inerme di Sirio a
pochi metri da lui. Lo sforzo era stato notevole anche per il Cavaliere di
Atena, che era caduto a terra privo di energia.
Diomede
si portò due dita alla bocca, emettendo un lungo fischio, al quale seguirono
una decina di nitriti. Prontamente le cavalle del figlio di Ares trottarono
all’interno del Quinto Tempio, al richiamo del loro signore, il cui ordine fu
semplicissimo.
“Divoratelo
vivo!” –Commentò, appoggiandosi ad una colonna, con una mano sul petto in
fiamme.
Le
cavalle del figlio di Ares si gettarono su Sirio, cercando di infilzarlo con le
lunghe punte delle loro bardature. Ma la corazza divina, rinforzata dal mithril di Efesto, si rivelò
impenetrabile barriera per loro, che non riuscirono a sfondarla, ma
sballottarono il corpo del ragazzo con violenza, fino a lanciarlo contro un
muro. Diomede, appoggiato ad una colonna, osservava la fine del Cavaliere che
aveva osato sfidarlo. Del Cavaliere che aveva ardito ferirlo. E cercò di fare
qualche passo avanti, stringendo i denti per il dolore. Adorava osservare il
delizioso pasto che offriva periodicamente alle sue cavalle. Era uno spettacolo
irrinunciabile per lui: la giusta mistura di atrocità e sadismo. Eppure, in
quel momento, qualcosa lo faceva temere ancora.
Quel
qualcosa era lo scintillante cosmo di Sirio, che si riaccese impetuosamente
poco dopo, scaraventando via le cavalle del figlio di Ares, che fuggirono
guaendo all’impazzata, mentre Dragone si rimetteva in piedi, completamente
avvolto dalla sua lucente aura verdastra.
“Ancora
vivo, Cavaliere di Atena?! Meriti i miei divini complimenti per essere
sopravvissuto ad un colpo simile!”
“Come
già ti dissi all’inizio del nostro incontro, figlio di Ares, un Cavaliere di
Atena non si arrende mai! Mai! Finché ci sarà bisogno di noi, per combattere i
tiranni e dare un futuro agli uomini!”
“Futuro?!
Sciocchezze! Futilità!” –Urlò Diomede, balzando avanti e scagliando un violento
pugno energetico contro Sirio, che fu preso in pieno e spinto indietro, fino a
sbattere contro una colonna.
Il
figlio di Ares atterrò al centro del tempio, ma non caricò nuovamente,
ansimando per lo sforzo, e zoppicando leggermente. Non voleva ammetterlo, né
darlo troppo a vedere, ma aveva il petto in fiamme, e ogni singolo semplice
movimento era un martirio indescrivibile.
“Futilità
combattere per un ideale, Diomede?!” –Esclamò Sirio, rialzandosi. –“Non credo
proprio! Ma se l’unica legge che conosci è quella del più forte, credo di
essere la persona giusta per farti cambiare idea!”
“Tzè...” –Lo schernì Diomede, bruciando il proprio
avvampante cosmo.
“Ho
già incontrato un uomo, che si proclamava Cavaliere di Atena, che poneva la
forza al di sopra di tutto! La forza, alla quale gli uomini avrebbero dovuto
piegarsi! Death Mask di Cancer
era il suo nome, Cavaliere d’Oro del Quarto Tempio! Due volte lo affrontai ed
entrambe le volte ne uscii vittorioso, senza riuscire, ahimè, nell’unico
obiettivo che realmente avrei voluto raggiungere…
quello di fargli capire che possono esistere, ed esistono, centinaia di altri
motivi, migliori, per cui valga la pena lottare!”
“Bene,
Dragone!” –Esclamò Diomede, il cui cosmo si stava concentrando sulle sue
braccia, sotto forma di un intrecciato mulinello di energia. –“Se è questo ciò
in cui credi, allora lascerò che tu muoia per i tuoi valori! Ed io, se così
sarà, per i miei!”
Sirio
non disse niente, abbassando sconsolato il capo, conscio che niente avrebbe
potuto cambiare l’avvelenato animo di quell’uomo, che, in fondo, era figlio del
Dio della Guerra, e da lui probabilmente forgiato.
“Muori
adesso, per i tuoi stupidi ideali!” –Gridò Diomede, gonfiando il petto ed
aprendo le proprie braccia, completamente circondate di folgori incandescenti.
–“Furia di Ares, travolgilo!” –Esclamò, sbattendo i pugni avanti a sé.
Le
due comete energetiche sferzarono l’aria del Quinto Tempio, dirigendosi verso
Sirio, il quale, anziché tentare di fermarle, come aveva fatto prima, con lo
Scudo e il Drago Nascente, convenne che l’unico modo per averne ragione
era affrontarle direttamente.
“Vecchio
Maestro!” –Commentò Sirio, bruciando al massimo il cosmo. –“Questo colpo è per
voi! Diomede, assaggia le Zanne dei Cento Draghi!” –Gridò, portando
avanti entrambe le braccia, con i palmi aperti.
I cento dragoni
d’Oriente scivolarono nell’aria, scintillanti comete dal colore verde smeraldo,
simili a increspate onde di mare, travolgendo le furibonde comete di Diomede.
Le folgori dilanianti del figlio di Ares attaccarono i Cento Draghi, ma presto
si persero al loro interno, venendo sopraffatte, mentre le zanne dei sacri
animali continuarono la loro corsa, piantandosi nella corazza e nel corpo
ferito di Diomede, scaraventandolo indietro.
“Noooo!!!” –Urlò Diomede, venendo trafitto e trapassato da
incandescenti zanne di energia.
Tentò
di rialzarsi, per quanto la sua armatura stesse andando a pezzi, di combattere
ancora, incapace di arrendersi, incapace soltanto di immaginare la sua
sconfitta. Ma riuscì soltanto a sollevare una gamba, appoggiandosi ad essa,
mentre caricava il pugno sinistro di energia cosmica.
Sirio,
stupito dalla determinazione e dalla resistenza del suo avversario, si convinse
ad attaccarlo di nuovo, prima che potesse recuperare fiato ed energia.
Concentrò il cosmo sul braccio destro, invocando l’aiuto di Capricorn,
che quell’arma gli aveva donato, prima di abbassare l’arto, creando un rapido
fendente di energia che spaccò il pavimento, prima di abbattersi su Diomede, e
tagliarlo in due.
“Excalibur!” –Gridò Sirio, osservando l’energetica lama lasciare
un segno, un sottilissimo filo di luce, sul corpo sanguinante di Diomede. Un
attimo dopo il filo perse lucentezza, facendosi rosso, mentre il sangue
zampillava copioso fuori dalla ferita, obbligando il figlio di Ares a crollare
a terra, impotente.
“Io… non posso… non posso cadere così…” –Rantolò Diomede, senza più forze ormai.
Riuscì
a portare due dita alla bocca e a fischiare nuovamente, chiamando le sue fide
cavalle, che arrivarono poco dopo al gran galoppo. Erano rimaste in dieci, ma,
per quanto ferite e sporche, conservavano ancora parte di quella nobiltà e
grandezza che le avevano sempre caratterizzate.
Sirio
sollevò lo scudo, immaginando che lo avrebbero attaccato, invece, con sommo
stupore del Cavaliere, le cavalle si avventarono su Diomede, affondando le
picche e le punte acuminate nel suo corpo, sbranando quel che restava delle sue
carni, facendone brandelli.
Dragone,
disgustato da quel macabro spettacolo, si mosse per andarsene, ma barcollò,
indebolito per l’enorme sforzo sostenuto, e cadde a terra, attirando
l’attenzione delle cavalle. Queste, ingorde come il loro defunto padrone,
caricarono il Cavaliere di Atena, per avere anche le sue carni ed il suo
sangue, proprio come Diomede aveva insegnato loro.
Sirio
strinse i denti spaventato, accorgendosi di non avere neppure la forza per
lanciare un Drago Nascente. Rotolò sul terreno, evitando l’affondo di
una cavalla, prima di sollevare il braccio destro, per lanciare Excalibur;
ma il colpo, debole e impreciso, ferì soltanto un animale, provocando l’ira di
tutti gli altri che caricarono il ragazzo selvaggiamente.
Prima
che potessero ferirlo, comunque, il pavimento sibilò per un istante sotto i
loro zoccoli, cambiando colore. Il grigio marmo del Quinto Tempio si fece
biancastro, scricchiolando sinistramente e fermando i movimenti delle infuriate
cavalle. Nitrirono, nitrirono selvaggiamente, furibonde come Diomede che le
aveva allevate, mentre il loro corpo si congelava sempre di più. Un attimo dopo
esplosero, frantumandosi in mille frammenti di ghiaccio, mentre Sirio,
appoggiato contro una colonna, osservava l’amico avvicinarsi e porgerli un
braccio per aiutarlo a rimettersi in piedi.
Capitolo 16 *** Capitolo quattordicesimo: Le stalle di Augia ***
CAPITOLO QUATTORDICESIMO. LE STALLE DI AUGIA.
Pegasus,
Andromeda e Phoenix erano preoccupati per Sirio, il cui cosmo sentivano in
tensione, mentre salivano la scalinata del Grande Tempio diretti alla Sesta
Casa. Soprattutto Pegasus era il più angosciato per le sorti dell’amico. Ma
Andromeda e Phoenix lo incitarono a proseguire, pregandolo di avere fiducia in
Sirio, come avevano sempre fatto in tutte le battaglie precedenti.
Sì! Rifletté Pegasus. Ho fiducia in te, amico mio!
Come l’ho sempre avuta, dai tempi del nostro incontro durante la Guerra
Galattica! Ma è di Ares che non mi fido! Di lui e dei suoi figli bastardi,
capaci di chissà quali trucchi e bassezza, pur di vincere!
“La
Sesta Casa!” –Esclamò Andromeda, rubando il ragazzo ai suoi pensieri.
“La
casa di Virgo…” –Commentò Phoenix, mentre numerosi
ricordi frullavano nella sua mente.
Lo
scorso anno, durante la scalata delle Dodici Case, quella era stata la sua
battaglia, in cui aveva dato fondo a tutte le sue risorse, soprattutto
interiori, per vincere un nemico infinitamente più potente di lui. E adesso, di
quel Tempio in cui aveva combattuto Virgo, non
rimaneva più niente.
Muri
crollati, colonne abbattute, i rosoni del Buddha andati in frantumi. Niente era
rimasto della Casa della Vergine, dopo che la devastante potenza dell’Urlo di
Atena vi si era liberata, mesi prima.
Pegasus,
Andromeda e Phoenix si incamminarono tra i ruderi con una certa malinconia nel
cuore, nel constatare la desolazione attorno a loro. Desolazione che mal si
prestava con l’animo profondo del Cavaliere che quella casa aveva abitato per
molti anni e di cui, al momento, non avevano più notizie. Fu Andromeda a
parlare per primo.
“Credete
che Virgo sia al sicuro?!” –Domandò, mentre camminava
insieme agli amici tra le macerie del Sesto Tempio.
Pegasus
non rispose, non sapendo cosa dire. Conosceva la potenza del Cavaliere di Virgo, ma il fatto stesso che fino a quella mattina, dopo
quarantotto ore, Mur e gli altri Cavalieri d’Oro non
avessero avuto sue notizie era sicuramente preoccupante.
“Se
la caverà!” –Commentò infine Phoenix. –“Sono sicuro che Virgo
saprà cavarsela!”
“Che
strano!” –Mormorò Pegasus. –“Non ricordavo che ci fosse tutta quest’acqua alla
Sesta Casa!”
“No,
infatti non c’era!” –Precisò Andromeda, avendo notato anche lui il terreno
fangoso, a tratti addirittura costituito da vere e proprie pozzanghere e
chiazze di melma fetida che, man mano che si inoltravano all’interno del Sesto
Tempio, si facevano sempre più grosse e più profonde.
“Coraggio… cosa avete?!” –Brontolò Phoenix, agitato da tutti
quei discorsi sulla sorte di Virgo. – “Non sarà un
po’ di fango a fermarci, no?” –Ma Phoenix non fece in tempo a terminare la
frase che sprofondò completamente nel terreno, mentre scure chiazze di fango si
riversavano su di lui.
“Phoenix!”
–Urlò Pegasus, correndo ad aiutare l’amico.
“Fratello!”
–Lo seguì Andromeda. Ma entrambi poterono sentire la maggiore difficoltà che
incontravano nel camminare, quasi come se il fango in cui si muovevano
opponesse loro resistenza. Andromeda lanciò la catena avanti, che si tuffò
nella melma dove era scomparso Phoenix, riuscendo ad afferrare il ragazzo per
un braccio e a ritirarlo fuori. –“Coraggio, resisti fratello! Ti tiro su io!”
–Esclamò, mentre finalmente Phoenix ricompariva alla vista dei due amici.
“Ma
che diavolo succede…” –Brontolò Pegasus, osservando
le melmose acque intorno farsi sempre più vicine, più minacciose. –“È come se
questo fango fosse vivo!”
“Ma
lo è, infatti!” –Esclamò una voce, risuonando nell’aere
del Sesto Tempio.
“Chi
sei?!” – Urlò Pegasus, alzando gli occhi. –“Mostrati!”
“Non
mi vedete?!” –Ironizzò la voce, squillante, quasi come quella di un fanciullo.
–“Eppure sono tutto intorno a voi! Eh eheh!”
“Intorno
a noi?!” –Si domandarono i Cavalieri di Atena.
“Attenti!”
–Urlò Phoenix, che si era rimesso in piedi.
Le
fangose acque circostanti avevano iniziato a muoversi, a scivolare intorno ai
Cavalieri di Atena, mentre il terreno sotto di loro si faceva sempre più molle
e vischioso, limitando i loro movimenti.
“Siamo
coperti di fango fin sopra i ginocchi!” –Commentò Pegasus. –“Mi sono stufato!”
–E scagliò decine di pugni luminosi intorno a sé, contro la melma che tentava
di fermarli. Ma il Fulmine di Pegasus non sortì l’effetto sperato,
perdendosi in quell’oscura e sempre più fetida fanghiglia.
“Non so cosa stia
accadendo… Ma propongo di andarcene quanto prima!”
“Sono
d’accordo!” – Gli andò dietro Andromeda. Con rapidi e guizzanti movimenti, fece
roteare la sua catena intorno a sé, per spazzar via la melma che lo teneva
prigioniero, ma si accorse, con stupore, di non riuscirvi. Per quanto la catena
frullasse la fanghiglia intorno a lui, essa ritornava in quantità sempre
maggiore, sempre più opprimente, onde oscure di fetida materia che puntava ad
intrappolare i Cavalieri.
“Incredibile!”
–Osservò Phoenix, mentre le onde di melma si facevano sempre più alte e
pressanti.
“Catena
di Andromeda!” –Urlò il Cavaliere,
roteando sempre più vorticosamente le sue catene, nel tentativo di creare una
grande gabbia con cui difendere se stesso e i due amici. Ma l’arma non poteva
fermare l’enorme ammasso di melma fetida che crollò sui Cavalieri di Atena,
risucchiandoli in una specie di rozzo gorgo, dove onde alte piombavano su di
loro, cercando di spingerli all’interno, di impedir loro di respirare, quasi
fossero esseri animati.
“Maledizione…” –Gridò Pegasus, ansimando, mentre la melma
vivente lo stava imprigionando. –“Vuole portarci là sotto!!!”
“La
mia catena è inutile!!!” –Esclamò Andromeda, lanciando nuovamente la propria
arma. Ma la melma sembrava non risentire minimamente degli assalti di
Andromeda, lasciando che la catena si perdesse al suo interno, in quel melmoso
cumulo di fetida oscenità.
“Adesso
basta!” – Ringhiò Phoenix, stufo di quello spreco di tempo. –“Non so che razza
di trucchetto sia, ma credo sia ridicolo e
pretestuoso tentare di fermare dei Cavalieri Divini con del fango! Ali della
Fenice!” –Urlò, liberando l’incandescente uccello di fuoco. –“Spazzatelo
via!”
L’infuocata
vampata di Phoenix mondò momentaneamente un mucchio di fango intorno a lui, ma
molto meno di quanto il Cavaliere si era aspettato. Anche il fuoco, dopo la
Catena di Andromeda e i pugni di luce di Pegasus, si era rivelato inefficace
contro la melma.
“Non
conosci il celebre proverbio?” –Commentò la squillante voce, sovrastando i
volti preoccupati dei Cavalieri. –“Il fuoco lo puoi spegnere, con l’acqua! Ma
l’acqua non la puoi fermare!” –E al suono di quella voce, le torbide acque in
cui i Cavalieri erano immersi fino al collo, si animarono confusamente,
diventando pressanti creature di fanghiglia che si attorcigliavano intorno ai
corpi dei tre ragazzi, tentando di soffocarli, tentando di immobilizzarli.
Pegasus
era quello che si agitava più di tutti, stufato e schifato da quella scomoda
situazione da cui non riusciva a liberarsi. Abbiamo affrontato potenti
Divinità, come Apollo, Nettuno e Ade e adesso dovremmo venire uccisi da…da… del puzzolente fango?!
Giammai!!! E bruciò al massimo il proprio cosmo lucente, dimenandosi come
un forsennato e scagliando centinaia di pugni luminosi intorno a lui. Ma niente
servì per liberarlo dalla presa di quel fango animato. Fu Andromeda che tentò
di sbloccare la situazione, liberando le braccia dal fango e riuscendo a sollevare
il destro.
“Catena
di Andromeda, via!” –Urlò, lanciando
in alto la catena di offesa, la quale si arrotolò intorno ad una trave del
tetto del tempio. –“E adesso, vediamo di uscire di qua!” –E ordinò alla Catena
di condurlo fuori dalla fetida massa, riuscendo ad uscirne e a balzare in alto.
“Ben
fatto Andromeda!” –Disse Pegasus. Ma non fece in tempo a terminare la frase che
assistette sgomento all’incredibile. Le fangose melme si sollevarono impetuose,
abbattendosi su Andromeda, in volo appeso alla sua catena, ributtandolo a
terra, e sopraffacendolo con la sua fetida massa.
“Andromeda!!!”
–Urlò Phoenix, in preda alla rabbia. –“Brucia, cosmo infuocato!!!”
“Frena
il tuo ardore, Cavaliere di Phoenix, e accettate la fine che ho preparato per
voi!” –Esclamò nuovamente la squillante voce, facendosi sempre più vicina.
–“Perché è qua, nelle stalle di Augia, che troverete
la morte, per mano mia, che ne sono il Custode!” –Un’abbagliante
luce esplose nel cielo sopra i Cavalieri di Atena, rivelando infine l’artefice
di quella torbida accoglienza: la Sesta Fatica.
“Uh?!”
–Esclamò Pegasus, ancora intento a dimenarsi nella fangosa massa in cui stava
sguazzando.
Un
ragazzino era sopra di loro, seduto su una trave del Tempio della Vergine. Era
magro e di media altezza, con la carnagione pallida e lentiggini sul viso,
occhi sul marrone/verde, come la fetida melma in cui i Cavalieri erano immersi,
e mossi capelli biondicci. La sua armatura era piuttosto semplice, bianca con
sfumature rossastre, eccezion fatta per lunghe punte, di forma triangolare, che
spuntavano da dietro la sua schiena, ai lati del suo viso, quasi fossero
stilizzati raggi di sole.
“Augia lo Splendente è il nome mio, figlio di Elios! Nel mondo antico Re dell’Elide, nel Peloponneso
Occidentale!”
“Augia…” –Rifletté Andromeda, ricordando la Sesta Fatica di
Eracle. –“Era l’uomo più ricco di greggi e mandrie
dell’Antica Grecia; le sue bestie, donategli da Elios,
suo Padre, erano immuni da ogni malattia e sempre fertili. Sia vacche che
pecore generavano quasi sempre femmine, ed inoltre Augia
possedeva trecento tori neri e duecento stalloni di pelo fulvo e dodici tori
bianco-argentei sacri a suo padre che difendevano le mandrie dall'assalto delle
bestie feroci che a volte scendevano dalle boscose colline! Augia trascurò di pulire le stalle e le scuderie, e il
letame che si accumulava ammorbava i dintorni, mentre nugoli di mosche
oscuravano il cielo. Come sesta impresa, Euristeo
ordinò ad Eracle di pulirle in un solo giorno, ed egli vi riuscì, deviando il
corso di due fiumi!”
“Oggi
servo il mio Signore, Ares, mirando a ricevere, come premio per la vostra
sconfitta, nuovamente il mio regno, quando l’impero della guerra diverrà
realtà!”
“Beh,
mi spiace disilludere i tuoi sogni di dominio…”
–Esclamò Pegasus. –“Ma finché ci saremo noi non ci sarà nessun Impero della Guerra…”
“Uhm,
e fino a quando ci sarete voi?” –Ironizzò Augia,
aumentando la presa sulla massa fangosa.
“Aargh!!!” –Urlò Andromeda, che per due volte era stato
afferrato e portato sottacqua, nel tentativo di bloccare la sua respirazione.
“Augia! Maledetto!!!” –Commentò Pegasus, dimenandosi e
scagliando pugni come un matto. –“Tu e le tue stalle! Ci libereremo, e
ripuliremo la Sesta Casa dal tuo letamaio! E tu, che hai osato profanarla,
pagherai caro questo oltraggio!”
“Oooh, sto tremando di paura! E come credi di pulire tutto
questo fango? Non avete fiumi da deviare, come Eracle nel mito deviò l’Alfeo e il Peneo, lasciando che
le impetuose acque invadessero le mie sacre stalle, spazzando via lo sterco e
il letame che vi si era accumulato! Ah ah ah!” –Rise Augia di gusto, finché una nuova voce non attirò la sua
attenzione.
“Non
dell’Alfeo prenderemo le acque! Ma della fresca e
purificante cascata dei Cinque Picchi!” –Esclamò una decisa voce maschile,
proveniente dall’ingresso del Tempio. Impetuose e scroscianti onde di acqua si
abbatterono improvvisamente sulla melmosa fanghiglia, mescolandosi ad essa e
aiutando i tre Cavalieri a liberarsi. Immense colonne di acqua si sollevarono
dal terreno, purificandolo dai putridi ammassi di sterco e letame che lo
avevano inquinato fino ad allora. Immense colonne di acqua, dalla magnifica
forma di un drago.
“Acque
della Cascata, purificate la Sesta Casa!” –Esclamò una voce che Pegasus ben
conosceva.
“Gelo
della Siberia, nel silenzio del tuo mondo di ghiaccio lascia che si perda
questo fetido fango!” –Lo affiancò una seconda voce, mentre Augia
osservava stupito la maestosa sagoma di un cigno bianco volare in mezzo alle
colonne d’acqua. Un cigno che portava con sé una tempesta di gelo.
“Vortice… fulminante... dell’Aurora!!!” –Urlò la seconda voce, mentre decine di bianchi
cigni si libravano in volo, sovrastando un devastante vortice di energia glaciante.
“Incredibile!”
–Mormorò Augia, mentre la tempesta di ghiaccio
travolgeva la fangosa melma.
Quando
cessò, Pegasus, Andromeda e Phoenix, che ne furono in parte travolti e sbattuti
contro le colonne del tempio, si rimisero in piedi, per salutare i due amici
che erano giunti a salvarli.
Davanti
a loro c’erano Sirio e Cristal, entrambi ricoperti
dalle loro Armature Divine, ma piuttosto malconci, soprattutto Cristal. Gli bastò un’occhiata, a Pegasus, per capire che
l’amico doveva aver affrontato qualche nemico in battaglia per ridurre la sua
corazza in quelle condizioni. L’Armatura Divina del Cigno era coperta di sfregi
e graffi, distrutta in più punti e senza più le splendide ali che ne ornavano
il retro. Anche il viso di Cristal era stanco, ma la
determinazione che brillava nei suoi occhi, unita alla gioia nel ritrovarsi con
gli amici, nascondeva ogni traccia di fatica.
“Cristal...” –Commentò Pegasus, rimettendosi in piedi. –“Ma cosa…”
“Sirio
ha combattuto una dura battaglia!” –Spiegò il Cavaliere del Cigno, indicando
l’amico, che si era appena accasciato al suolo per lo sforzo. –“Portatelo con
voi!”
“Uh?!
Che cosa?!” –Commentò Pegasus, mentre Andromeda correva ad aiutare Sirio a
rialzarsi.
“Affronterò
io il custode del Sesto Tempio!” –Esclamò Cristal,
con aria decisa, quasi spavalda. E tirò un’occhiata verso Augia,
che si era alzato in piedi su una trave del tetto, indispettito per l’arrivo
imprevisto dei due Cavalieri che avevano rovinato i suoi progetti.
“Ma
Cristal…” –Tentennarono Pegasus e Andromeda, ma
Phoenix, che già si era rimesso in piedi, volse a tutti loro le spalle,
incamminandosi avanti.
“Non
avete sentito cosa ha detto?” –Esclamò, scocciato. –“O vi è rimasto del fango
nelle orecchie?”
Pegasus
e Andromeda si scambiarono un’ultima occhiata, poi abbassarono lo sguardo
annuendo, incamminandosi dietro a Phoenix, con Sirio sulle spalle di Pegasus.
“Dove
credete di andare?! Stolti!” –Esclamò Augia,
intimando loro di fermarsi. Sollevò il braccio destro al cielo, facendo
comparire una sfera di melma fetida, roteante su se stessa. La caricò di
energia cosmica, mentre l’ammasso fangoso cresceva sempre più, quindi la
scagliò contro di loro.–“Le stalle di Augia saranno la vostra tomba!” –E lanciò la bomba di melma
verso il basso. Ma Cristal scattò avanti, superando
gli amici, e fermò l’attacco con gli Anelli di Ghiaccio.
“Anelli
del Cigno, create un muro di
ghiaccio!” –Esclamò, mentre fitti cristalli di gelo si univano sopra le loro
teste, fino a creare una resistente barriera su cui si infranse l’assalto di Augia. –“Adesso! Andate!!!” –Urlò, incitando gli amici a
proseguire.
Mentre
Pegasus, Andromeda e Phoenix scattavano via, Cristal
si lanciava verso l’alto, liberando una violenta tempesta di ghiaccio che si
abbatté sul lato interno del muro, venendone assorbita, prima di essere espulsa
dall’altro lato, congelando l’ammasso melmoso sovrastante e dirigendosi verso Augia, che ne venne in parte travolto e spinto indietro.
Quando il guerriero di Ares riuscì ad atterrare al centro del Sesto Tempio,
Pegasus e gli altri erano già all’uscita.
“Hai
rovinato il mio progetto, Cavaliere del Cigno!” –Esclamò, irato per essersi
lasciato sfuggire gli altri Cavalieri. –“Se avessi giocato meno con loro, e li
avessi uccisi all’istante, soffocandoli con la fetida melma delle mie stalle…”
“In
quella fetida melma infilerò il tuo bel visino!” –Ironizzò Cristal,
sollevando le braccia, pronto per combattere.
“Umpf…” –Storse il naso Augia,
puntando il dito destro contro il Cavaliere. –“Tu credi? Sarai tu, ad
affogarvi!”
Immediatamente
una bomba di melma esplose intorno a lui, sbattendolo a terra, mentre
gigantesche onde di letame si sollevarono dal terreno, abbattendosi scrosciando
su di lui. Cristal si dimenò in mezzo a quelle
putride tonnellate di sterco liquido, cercando di rimanere calmo e sfruttare il
proprio potere congelante. Presto la temperatura intorno calò bruscamente,
mentre cristalli di ghiaccio iniziarono a formarsi sulla superficie della
fanghiglia, rallentando i movimenti dell’orrido letame.
“Noo!!!” –Urlò Augia, determinato
ad impedire a Cristal di congelare nuovamente i suoi
fanghi.Il guerriero di Ares scagliò un
violento colpo energetico contro il pavimento, frantumandolo, e aprendo una
faglia che corse in fretta verso il Cavaliere di Atena, facendolo precipitare
all’interno, nell’oscuro sottosuolo del Tempio della Vergine, mentre tonnellate
di letame si riversavano insieme a lui, limitando i suoi movimenti.
“Vediamo
come te la cavi adesso, intrappolato nelle mie stalle, Bianco Cigno!” –Commentò
Augia, con soddisfazione, prima di voltarsi e correre
via, diretto verso l’uscita posteriore del tempio.
Nel
frattempo, Pegasus, Andromeda e Phoenix avevano raggiunto il retro della Sesta
Casa, con la convinzione di trovarvi la scalinata per la Settima, ma avevano
avuto un’amara sorpresa. La bianca scalinata non esisteva più, e buona parte
della roccia della Collina della Divinità era franata, creando forti
scoscendimenti nel terreno, avallamenti all’interno dei quali stagnavano
putride acque dal nauseabondo odore, ancora più disgustoso del fango in cui Augia aveva tentato di ucciderli.
“Ma
cos’è?!” –Commentò Pegasus, nauseato. –“Un’immensa fogna?!” –Dalla Sesta Casa,
salendo verso la Settima, la strada sembrava non esistere più, completamente
ricoperta di fango e melma, interrotta in più punti da fosse nel terreno o da
frane impreviste, che, in quel fosco pomeriggio di guerra, contribuivano a dare
l’idea di un paesaggio infernale.
“Tutto
è rovina!” –Disse malinconicamente Andromeda. –“Queste paludose acque, che
discendono dall’alto del colle, portano con sé tristezza e disperazione,
distruggendo l’incantevole paesaggio che un tempo era proprio di questi luoghi!
Niente più resta del del Giardino degli Alberi
Gemelli, dove Virgo combatté l’ultima sua battaglia,
soltanto un’immonda palude, un’orrida fogna dove i letami dei berseker di Ares si ammassano senza rispetto alcuno per
questo luogo sacro!”
“Maledetto
Ares! Ti farò pulire con la lingua questo scempio!” –Digrignò i denti Pegasus,
continuando a reggere Dragone.
“Coraggio… non possiamo fermarci!” –Cercò di incitarli
Phoenix. –“Per quanto l’idea di infilarmi in questa immensa fogna non mi
stimoli per niente, non abbiamo alternative!”
Andromeda
e Pegasus annuirono malamente, seguendo l’amico, infilandosi, con un certo
disgusto, in quella melma acquitrinosa, cercando una strada che potesse
condurli verso il Settimo Tempio. Se esiste ancora… Commentò Pegasus, respirando a
fatica, in quella nauseabonda palude. Andromeda lanciò avanti la catena,
piantandola nella parete rocciosa alla loro sinistra e si aiutò con quella per
avanzare nell’avvolgente letame, pregando gli amici di seguirlo.
Improvvisamente un corpo rimbalzò sulla catena, facendo barcollare il ragazzo,
prima di colpirlo con un calcio in pieno viso.
“Che
cosa?!” –Esclamò Pegasus, riconoscendo la figura che era balzata sulla Catena,
e adesso atterrata in cima ad una mozzata colonna di marmo. –“Ma tu sei…Augia!!!”
“In
persona!” –Sorrise il guerriero di Ares. –“Cosa ne dite?! Non è spettacolare?!
Non mi fate i complimenti per l’orchestrale scenografia che ho realizzato?!”
“Tu
hai commesso un simile scempio?!”
“Ma...
Dov’è Cristal?!” –Domandò Andromeda, quasi
sconcertato.
“Il
biondino è perso chissà dove nei profondi meandri delle mie stalle! E voi lo
raggiungerete molto presto, non avendo il potere di liberarvi dalle mie melme! Ah
ah ah!” –Rise Augia beffardo.
“Maledetto!”
–Esclamò Pegasus, ma Phoenix anticipò ogni sua mossa, espandendo
l’incandescente cosmo della sua costellazione. Avvampò impetuoso, il fuoco
della Fenice, prima che il ragazzo lo concentrasse sulle braccia, e liberasse
l’ardente volo dell’uccello sacro. –“Ali della Fenice!” –Gridò,
puntandole contro Augia, che creò una sfera di
putrida melma che lo circondò completamente, difendendolo dall’impetuoso
assalto della Fenice.
“Eh
eh eh…” –Sogghignò Augia,
osservando i patetici tentativi del Cavaliere di forzare la sua barriera
difensiva.
“Incredibile,
riesce ad usare il fango e lo sterco delle sue stalle, potenziandoli di energia
cosmica, per creare una sfera capace di proteggerlo dagli attacchi esterni!”
–Rifletté Andromeda.
“Adesso
basta! Credo che abbiamo giocato fin troppo!” –Esclamò il berseker,
mentre Phoenix terminava l’attacco. –“Fanghi delle Stalle di Augia, sollevatevi!” –E al comando del suo signore, la
putrida melma si sollevò, creando grottesche figure che si avventarono contro i
Cavalieri di Atena, cercando di avvinghiarsi a loro e trascinarli nel letame,
per soffocarli. Onde di fango scrosciarono nell’acquitrino mentre Augia rideva come un matto, in piedi sulla colonna mozzata.
D’un
tratto si fermò, tendendo i sensi, prima di voltarsi verso l’oscuro cielo che
sovrastava la Collina della Divinità, scorgendo sagome di grossi uccelli,
simili ad aquile, in volo sopra di loro. Storse il naso, indignato, maledicendo
il loro padrone.
“Non
ti lascerò la soddisfazione di ucciderli!” –Brontolò Augia,
stringendo i pugni, e voltandosi nuovamente verso i Cavalieri di Atena,
impegnati a lottare nella fetida melma.
Improvvisamente
la terra tremò sotto di loro, mentre una fenditura si aprì nel terreno, facendo
colare la fanghiglia al suo interno.
“Uh?!”
–Esclamò Augia, osservando la propria adorata
creatura venire risucchiata all’interno della spaccatura. –“Che succede?!”
Una
gelida corrente energetica iniziò a soffiare, provenendo proprio dalle
profondità del terreno, accompagnata da un canto melodioso. D’un tratto il
terreno si aprì, mentre la scintillante sagoma di un bianco cigno in volo verso
l’aurora spuntava dalla fenditura, accompagnando l’uscita di Cristal.
Il
Cavaliere di Atena balzò sul terreno acquitrinoso, lasciando scivolare sul
fango il suo gelido cosmo, che tutto congelò con un semplice tocco. I cristalli
di ghiaccio ricoprirono il fetido acquitrino, le rocce fangose e le tonnellate
di sterco liquido che Augia aveva riversato sulla
scalinata, creando grossolane statue di ghiaccio, dalle deformi fogge, che
esplosero poco dopo.
“Nooo!!!” –Urlò Augia, osservando
la fine dell’orrida palude che aveva creato.
Cristal
non parlò, limitandosi a bruciare ancora di più il suo glaciale cosmo, mentre
Andromeda, Pegasus e Phoenix, liberatisi dall’immobilizzante melma, scattarono
avanti, lungo la strada disastrata, diretti verso il Settimo Tempio, rinnovando
la promessa, e la fiducia, all’amico.
“Polvere… di Diamanti!!!”
–Gridò Cristal, scatenando la sua devastante tempesta
di ghiaccio.
Augia
tentò di ricreare la barriera difensiva che aveva avuto ragione dell’ardente
cosmo di Phoenix, utilizzando i fanghi che controllava sapientemente,
trasformandoli in una sfera che avvolse l’intero suo corpo. Ma, come la melma
poco prima, anch’essa fu congelata dall’attacco di Cristal.
La sfera di fanghiglia ghiacciata esplose all’istante, scaraventando Augia indietro, fino a farlo precipitare a terra, sbattendo
violentemente sulle rocce intorno, nel piazzale retrostante il Tempio della
Vergine.
Cristal
si avvicinò al guerriero di Ares, mentre l’aria attorno era ancora carica del
suo gelido cosmo. Il Cigno tirò uno sguardo nella fitta nebbia che lo separava
dal Settimo Tempio e poté sentire i cosmi dei propri amici procedere senza
esitazione. Sorrise, convinto che presto li avrebbe rivisti.
Capitolo 17 *** Capitolo quindicesimo: Sulle tracce del niente ***
CAPITOLO QUINDICESIMO. SULLE TRACCE DEL NIENTE.
Libra e Scorpio, dopo aver
lasciato l’Olimpo, sfrecciarono attraverso l’Europa Orientale, diretti verso le
antiche terre dell’Asia. L’Arcipelago Giapponese era la meta del Cavaliere
dello Scorpione, mentre la vallata dei Cinque Picchi lo era per Libra, due
luoghi cari ai Cavalieri dello Zodiaco, loro amici e compagni d’arme. Due
luoghi in cui, i Cavalieri d’Oro lo sapevano bene, si trovavano affetti che
Ares avrebbe potuto colpire. Lasciatisi alle spalle l’Europa, i due decisero di
procedere separatamente, dirigendosi ognuno verso il proprio obiettivo,
sperando di non incontrare nemici durante il loro tragitto. E così avvenne, in
entrambi i casi. Nessun berseker tentò di fermare i
due Cavalieri d’Oro, che giunsero indisturbati alle loro mete finali.
Quando
Scorpio raggiunse la città di Nuova Luxor la trovò
proprio come Pegasus gliel’aveva descritta: una moderna città di fine
millennio, con alti grattacieli e milioni di abitanti. La scelta di quella meta
non fu completamente casuale. Non soltanto Libra voleva tornare ai Cinque
Picchi, ma proprio Scorpio aveva espresso il
desiderio di dirigersi in Giappone, per incontrare l’ultima allieva di Albione,
Nemes del Camaleonte, discepola dell’uomo che lo
stesso Cavaliere aveva affrontato, e ucciso, l’anno precedente, quando al
servizio di Arles, e convinto di eseguire gli ordini
di Atena, aveva raso al suolo l’Isola di Andromeda, ingaggiando combattimento
proprio con il Cavaliere di Cefeo.
Già! Commentò Scorpio,
amaramente, mentre un forte senso di colpa si risvegliava in lui per non aver
saputo riconoscere il male nell’animo del Grande Sacerdote. Ho ucciso
credendo di essere nel giusto! Quale vergogna per un Cavaliere del mio rango!
Ma adesso non posso tornare indietro.. no.. posso solo chiedere il perdono e la
comprensione dell’ultimo discepolo di Albione!
Il
Cavaliere dello Scorpione, avvolto nel suo mantello per non dare troppo
nell’occhio, seguì le indicazioni per l’ospedale della Fondazione e quando vi
arrivò percepì che era accaduto qualcosa di grosso. Segni evidenti di lotta in
tutto l’ingresso principale, muri e pavimento distrutti, guardie armate e
dottori in forte agitazione, e i corpi di tre ragazzini massacrati, tra i
frammenti delle strane armature che indossavano. Che sia dunque troppo tardi?!
Rifletté, sguisciando in fretta al piano superiore.
Ma anch’egli, come Scure e Balestra ore prima, non trovò tracce di Patricia né
di Nemes.
Il
muro distrutto della camera gli offrì una nuova pista da seguire, ripetendo in
fretta il percorso compiuto dai berseker di Ares
prima di lui, fino al centro della foresta intorno all’ospedale. Là trovò i
corpi feriti di una decina di guerrieri dalle scarlatte armature, che non ebbe
dubbio alcuno nel riconoscerli: erano i berseker del
Dio della Guerra, da lui inviati per rapire Patricia e Nemes.
Ma
chi può averli uccisi?! Da ciò che Pegasus e Andromeda mi hanno raccontato, questa
Nemes è un Cavaliere di Bronzo, uno dei superstiti
dell’Isola di Andromeda! Per quanto discepola del grande Albione, e quindi
potenzialmente abile, non può essere riuscita a tenere testa, e ad uccidere,
dieci berseker da sola! Si domandò, osservando i corpi senza vita dei
guerrieri. Molti di loro erano stati passati da parte a parte, con colpi decisi
e sottili che avevano perforato il loro corpo, senza incontrare resistenza. Rapidi
fasci, precisi ed efficaci hanno sterminato questi macabri guerrieri! Commentò Scorpio. I cacciatori sono diventati preda! Ironizzò,
affatto dispiaciuto per la triste sorte dei suoi avversari. Ma non poté fare a
meno di chiedersi contro chi avessero combattuto. Tentò di usare il cosmo per
contattare Libra, in Cina, quando si accorse, con stupore, ma anche con una
certa preoccupazione, che il cosmo del compagno era facilmente percettibile. Troppo
facilmente!
Il
Cavaliere della Bilancia era infatti impegnato in un combattimento.
***
Dohko di
Libra raggiunse nuovamente i Cinque Picchi, dopo averli lasciati pochi giorni
prima, alla ricerca di Fiore di Luna, la ragazza che aveva adottato anni
addietro, per lenire la propria solitudine in quella terra d’Oriente. Dopo la
battaglia con Arge, Ciclope di Zeus, e la distruzione
della vecchia pagoda in cui il Cavaliere era vissuto per due secoli e mezzo, Dohko aveva suggerito a Fiore di Luna di trovare una nuova
momentanea sistemazione. Non c’era tempo, con la guerra sull’Olimpo in corso,
di ricostruire una nuova pagoda, e la cosa migliore era che la ragazza fosse
ospitata da persone fidate. Cosa che infatti accadde, venendo accolta da una
famiglia che abitava in una vallata adiacente a quella dei Cinque Picchi, che Dohko e Fiore di Luna conoscevano abbastanza bene.
“Non
preoccuparti!” –Le aveva detto Sirio, prima di lasciarla. – “Quando la guerra
finirà tornerò da te, e insieme costruiremo una casa per entrambi! Insieme
costruiremo il nostro futuro!”
Fiore
di Luna aveva sorriso, con le lacrime agli occhi e il cuore pieno di emozioni.
E l’aveva lasciato partire un’altra volta, l’ennesima volta. Quel viso
sorridente ma anche preoccupato era il volto che Dohko
era solito riconoscere in lei, ed era il volto che adesso andava cercando.
Raggiunta
l’abitazione dei contadini dove Fiore di Luna aveva trovato alloggiò, trovò
conferma alle sue fosche previsioni. La casa era stata distrutta, e tutti i
campi e le foreste di bambù circostanti erano stati incendiati, da mortifere
fiamme che avevano il solo scopo di portare dolore. Anche l’anziana coppia, a
cui Dohko aveva chiesto aiuto, era stata uccisa, e
questo lo rattristò, facendolo sentire in colpa. Per un momento, osservando le
ultime fiamme divorare quel che rimaneva della vecchia pagoda e dei campi
attorno, prima di estinguersi, pensò che aveva fallito. Aveva condannato a
morte due innocenti. O forse tre, se Fiore di Luna non fosse stata
semplicemente rapita. Cosa dirò a Sirio?! Si chiese il Cavaliere d’Oro.
Improvvisamente qualcosa attirò la sua attenzione. Segni
vistosi sul terreno, tracce marcate di piedi che si muovevano confusamente e
lasciavano lo spazio intorno alla casa per correre via, nel campo attorno. Dohko li seguì, finché a metà del campo tali segni si
fecero più confusi, mescolandosi tra loro in un groviglio di orme impossibili
da riconoscere, se non fosse che, scaraventati poco distante, vi erano i corpi
semidistrutti di una decina di guerrieri. Dohko
osservò le armature che avevano indosso e immaginò si trattasse dei berseker di Ares, e la cosa lo stupì non poco.
Com’è
possibile?! Si chiese. Come sono
morti questi uomini? E dov’è Fiore di Luna? Inizialmente aveva creduto che
la ragazza fosse riuscita a fuggire e che gli spietati guerrieri di Ares
l’avessero rincorsa e raggiunta nel campo… ma i corpi
morti dei berseker lo straniavano completamente.
Sembravano arsi dalle fiamme, bruciati vivi da un’energia forte e vigorosa, al
punto che le loro corazze erano andate in parte in frantumi per l’immenso
calore col quale erano venute a contatto.
Sembra
che questi guerrieri siano stati feriti da una massa di energia rovente! Una simile energia non esiste in natura libera in
questi luoghi! Soltanto un uomo dotato di cosmo può compiere un gesto simile!
Ma chi?! E perché?! Forse una guerra intestina? Che i berseker
si siano uccisi tra di loro?! Beh, potrebbe essere…
in fondo i servitori di Ares sono oscuri e infidi, relitti sbandati di un tempo
che sembra non finire mai, non mancherebbe loro il coraggio di uccidersi a
vicenda, magari per ambire ad una ricompensa promessa dal loro fratricida Dio!
Ma quella spiegazione, in fondo, non soddisfò neppure lui. Fiore di Luna… Strinse i
pugni Dohko, augurandosi che la ragazza stesse bene.
Improvvisamente
una vasta emanazione cosmica esplose dietro di lui, obbligando il Cavaliere a
voltarsi e a scattare rapido all’indietro, evitando potenti fasci energetici
che guizzarono verso di lui.
“Chi
va là?!” –Gridò Libra, atterrando sul terreno poco distante, e immaginando di
trovare il suo nemico di fronte a lui. Ma colui che lo aveva attaccato si
trovava ancora distante, all’iniziare del campo, ma si stava avvicinando ad una
velocità sorprendente. Dohko sbatté le palpebre, per
un momento incredulo, prima di mettere a fuoco, sotto i luminosi raggi del sole
di Cina, un uomo, ricoperto da una scarlatta armatura, avanzare verso di lui,
alla guida di una scintillante quadriga.
“Uh?!” –Si chiese Dohko, mossi
capelli marroni fermati da un nastro di stoffa, un viso rude e maschile, ed
un’armatura scarlatta, dalla forma un po’ spigolosa e dai cupi riflessi di
morte, che copriva buona parte del suo corpo, ma non tutto. Ma non ebbe il
tempo di pensare altro che l’uomo sulla quadriga, giunto rapidamente di fronte
a lui, lo attaccò con guizzanti raggi energetici, che Dohko
fu abile ad evitare e a parare con il suo Scudo Dorato. –“Chi sei, cavaliere?!”
“Non chiamarmi con quel nome, stupido mortale! Io sono un berseker! Di stirpe divina e regale!” –Esclamò l’uomo,
fermando la quadriga a pochi metri da Libra. –“Eveno,
della Quadriga Celere! Figlio di Ares e suo messaggero! Sono giunto fin qua, in
queste bastarde terre d’Oriente, per sincerarmi dell’operato dei guerrieri miei
subalterni, preoccupato per il loro, apparentemente immotivato, ritardo! E ho
fatto bene a venire, per affrontare te, che hai sconfitto i miei sottoposti!”
“Io non ho sconfitto nessuno, figlio di Ares!” –Precisò Libra,
irritato dall’atteggiamento di superiorità dell’uomo. Un mortale che si
crede un Dio solo perché in lui scorre del sangue divino! Commentò
acidamente Dohko. Non è il primo né l’ultimo a vivere
di questa illusione! Crede di essere invincibile, di essere immortale, ma
presto si accorgerà di essere soltanto carne da cannone per il Dio della
Guerra. Niente di più!
“Non mentirmi, bastardo ateniese! Dieci corpi di berseker giacciono intorno a te, gli stessi guerrieri a cui
mio padre affidò il compito di rapire una fanciulla! E tu, che hai osato
ostacolare la Divina Volontà di Ares, pagherai cara questa insolenza!”
“Se è la guerra che qua ti porta, figlio di Ares, allora
non mi tirerò indietro e ti affronterò, come si affronta un invasore che porta
fuoco e morte nella propria casa!” –Spiegò Dohko,
mettendosi in posizione da battaglia. –“Ma non incolpare me del fallimento dei
tuoi sgherri, perché, seppure mi piacerebbe gloriarmi di tale vittoria, non
sono io la causa della loro sconfitta!”
“Taci, miserabile!” –Gridò Eveno,
schioccando con forza la frusta che reggeva nella mano destra. La verga colpì i
cavalli di fronte alla quadriga scarlatta, che si impennarono improvvisamente,
emettendo versi osceni. E solo in quel momento Libra realizzò, osservandoli da
vicino, che quelle bestie non erano cavalli, ma immondi esseri dalle deformi
figure umane.
“Osservi i miei cavalli, Cavaliere dorato?!” –Esclamò
tronfio Eveno. –“Non sono stupendi?! Erano uomini un
tempo, uomini mortali proprio come te! Esseri inferiori che hanno osato
sfidarmi, chiedendo la mano di mia figlia, venendo sconfitti. Le loro anime
sono condannate a rimanere prigioniere dei miei cavalli, guidando in eterno la
quadriga celere che li ha superati, che li ha schiacciati con le sue possenti
ruote scarlatte! Una pena eterna, da cui mai saranno liberati!”
“È terribile!” –Mormorò Dohko,
abbassando gli occhi. E gli parve di udire, in mezzo a quei versi osceni, delle
grida di disperazione, delle urla di uomini impauriti, trasmutati in bestie
deformi.
“E presto anche tu farai parte del mio cocchio!” –Gridò Eveno, sbattendo nuovamente la frusta.
I cavalli deformi si impennarono, volgendosi rapidi verso Dohko, e puntando su di lui ad altissima velocità. Il
Cavaliere fu svelto a rotolare sul terreno, evitando la carica della Quadriga
Celere, ma non ebbe tempo di riprendere fiato che subito dovette fronteggiare
un nuovo assalto, alla velocità della luce.
“Cos’è? Sei sorpreso, paladino di Atena?!” –Lo derise Eveno, dall’alto della sua biga. –“Il nome Quadriga Celere
non è certo di presunzione, ma frutto dei miei divini poteri che le permettono
di spostarsi alla velocità della luce! Proprio come te! E, anzi, forse ad una
velocità superiore!”
Una nuova frustata di Eveno
diede il via al rinnovato assalto della Quadriga Celere, i cui deformi cavalli
puntarono disperatamente su Dohko, obbligandolo a
muoversi continuamente per non essere travolto. Ma ogni volta in cui si
spostava, doveva nuovamente fronteggiare una nuova carica, verificando, suo
malgrado, la veridicità delle parole di Eveno.
“Adesso basta!” –Mormorò Dohko,
liberando il Drago Nascente. –“Fermati cocchio infernale!” –E diresse lo
scintillante potere del suo cosmo contro la Quadriga Celere. Ma l’attacco non
raggiunse l’obiettivo, perdendosi nel cielo terso d’Oriente. –“Che cosa?!”
–Balbettò, incredulo.
La Quadriga si era spostata a sinistra, evitando l’affondo
e portandosi alla destra del Cavaliere d’Oro, rimasto attonito e stupito. Eveno, approfittando di quel momento di distrazione, sbatté
con forza la frusta sul cocchio scarlatto, che si allungò a dismisura e corse
verso il Cavaliere di Libra, attorcigliandosi intorno al suo collo.
“Prigionia dell’Anima!” –Gridò Eveno,
liberando una forte scarica energetica che percorse l’intera frusta, facendo
urlare Dohko dal dolore.
Il Cavaliere d’Oro, soffocato e stritolato dall’energetica
frusta, tentò di reagire, cercando di allargare la stretta mortale con la mano
destra, mentre con la sinistra afferrò la frusta poco avanti, per allentare la
presa. Ma la verga di Eveno lo fulminò ancora,
stridendo contro la dorata protezione della Bilancia e impedendogli di portare
a termine il suo progetto.
“Non opporre resistenza, mortale! Sarebbe un inutile
spreco di tempo!” –Commentò Eveno, osservando i goffi
tentativi dell’avversario di liberarsi. –“La frusta di Eveno
non è una verga qualsiasi! Essa possiede il potere di assorbire l’energia
interiore di un uomo, tramutandola nelle deformi bestie che guidano il mio
cocchio! Come ti dissi poc’anzi, presto sarai anche tu uno dei cavalli della
Quadriga Celere, e questo dovrebbe renderti felice e onorato di una simile
morte!”
“Ma... mai…” –Sibilò Dohko, accasciandosi a terra.
“Sciocco… Non accettare il
proprio destino è segno di presunzione infinita! Soprattutto da parte di un
uomo in procinto di morire!” –Lo rimproverò Eveno,
stringendo ancora la presa della sua frusta.
Nuove scariche di energia stritolarono il corpo di Libra,
sollevandolo da terra con improvviso vigore e scaraventandolo lontano, nel
campo erboso. Eveno ritirò quindi la sua frusta,
convinto di aver sconfitto il Cavaliere d’Oro e di averlo privato della sua
energia, del suo cosmo. Sbatté nuovamente il frustino sulle sue immonde bestie,
per liberare il potere di Dohko, da lui appena
imprigionato, con un sorriso sardonico sul volto.
Aveva assorbito il cosmo di un Cavaliere d’Oro, di uno dei
più potenti Cavalieri di Atena! Questo avrebbe sicuramente aumentato
notevolmente il potere e la velocità della sua Quadriga Celere, portandola
forse ad essere più forte e più rapida del maledetto carro del suo rivale, Enomao, altro figlio bastardo di Ares, ma da lui tenuto in
maggior considerazione, al punto che il Dio gli aveva fatto dono di cavalli
alati. Ma da oggi io sarò il primo! Commentò Eveno,
prima di accorgersi, con immenso stupore, che la sua frusta non aveva
immagazzinato energia alcuna.
“Com’è possibile?!” –Si chiese, sbattendo nuovamente la
sua verga sui cavalli informi. E ancora e ancora. Ma nessuna energia giungeva a
lui, nessun surplus su cui fare riferimento per aumentare il potere e la
velocità della sua Quadriga.
In quel momento, tossendo e sputando, Dohko
si rimise in piedi, ansimando per lo sforzo, ma sorridendo soddisfatto. Anche
se ferito, tutto sommato aveva vinto.
“Come può essere?!” –Gridò Eveno,
non comprendendo.
“Bella arma la tua verga, Eveno!
Utile per frustare un illuso bastardo come te!” –Lo derise Dohko,
mettendosi in posizione eretta. –“Forse sugli uomini mortali ha avuto effetto,
ma non su un Cavaliere protetto da un’Armatura d’Oro! Un’armatura forgiata
dagli alchimisti di Mu millenni addietro, intrisa
della Divina Volontà di Atena, e ricreata, dalle proprie ceneri, nelle fornaci
di Muspellheimr, nel Reame Nordico!”
“Un’Armatura d’Oro?!” –Bofonchiò Eveno,
incapace di accettare il suo fallimento. –“Ha davvero potuto opporsi alla Prigionia
dell’Anima?!”
“Adesso sembri tu, restio ad accettare il proprio
destino!” –Lo schernì Dohko, bruciando il cosmo.
“Taci, mortale!” –Gridò Eveno,
imbestialito. –“Prigionia dell’Anima!” –E lanciò nuovamente la frusta,
potenziandola del suo cosmo semidivino. Ma Libra quella volta non si fece
sorprendere. Afferrò il Tridente Dorato, caricandolo del suo
scintillante cosmo, e fermò con esso l’avanzare sguisciante
della verga, spingendola contro il terreno, con il tridente piantato in essa.
“A me il gioco, adesso!” –Esclamò Dohko,
sfoderando il secondo Tridente d’Oro. Lo puntò avanti, scaricando un
abbagliante fulmine di energia dorata, che colpì Eveno
in pieno, scagliandolo fuori dalla Quadriga, mentre il Cavaliere d’Oro con un
balzo era davanti al suo cocchio.
Con un colpo secco, Dohko piantò
il tridente nella Quadriga Celere, sfondando la sua protezione e liberando il
suo cosmo dorato e purificatore. Stringendo i denti per lo sforzo, il Cavaliere
di Atena sollevò la Quadriga, usando il tridente come leva, e la lanciò
lontano, sbattendola con forza sul terreno, distruggendola. I cavalli deformi,
liberi dal loro obbligo di servilismo, iniziarono a correre per il vasto campo,
nitrendo selvaggiamente, quasi come se tentassero di recuperare una libertà che
da molto tempo avevano perduto.
“Maledetto!” –Gridò Eveno. –“Me
la pagherai!” –E scattò avanti, con il pugno carico di energia cosmica. Ma Dohko, per quanto Eveno fosse
velocissimo, come la Quadriga che dal mito guidava, fu più svelto di lui;
sollevò lo Scudo Dorato, su cui si infranse il colpo di Eveno, brandendo il tridente e conficcandolo nel piede
sinistro del suo avversario. La protezione scarlatta del berseker
andò in frantumi e Eveno tirò un urlo, mentre il suo
piede sprofondava nel terreno, trapassato dal forcone dorato. –“Aaargh!!!” –Gridò il berseker, i
cui occhi esplodevano di rosso furore di morte.
“Eveno della Quadriga, devo
dartene atto! Mi hai etichettato come un comune mortale all’inizio dello
scontro e inizialmente la tua presunzione mi aveva offeso, quasi disturbato. Ma
poi, ascoltando il male insito dentro di te, la collera e l’odio annidati nel
tuo animo, mi sono detto che mille volte preferirei morire, mille volte
preferirei essere un uomo mortale, che passare un solo giorno della vita in un
corpo semidivino come il tuo, ma così triste e incapace di comprendere i
sentimenti umani!”
“Tu sia dannato per l’eternità, bastardo!” –Esclamò Eveno, afferrando il tridente con entrambe le mani e
liberando il suo piede insanguinato. Ma ormai era troppo tardi. Il cosmo di
Libra si era già acceso, scintillando nel verde prato, di fronte agli occhi
attoniti e spaventati del suo avversario.
“Colpo del Drago Nascente!” –Urlò Dohko, liberando l’immensa sagoma del drago d’Oriente, che
volò rapido verso Eveno, colpendolo in pieno petto,
mentre ancora reggeva il Tridente Dorato.
Il berseker di Ares fu travolto
e scaraventato lontano, mentre la sua scarlatta corazza andò in frantumi,
schiantandosi sul terreno poco distante. Vicino ai guerrieri, da lui giudicati
inferiori, che era tornato a cercare. In quel momento, forse privi per sempre
del malefico controllo del loro carnefice, i cavalli si trasformarono,
dissolvendosi nel vento poco dopo. Dohko sorrise,
intuendo che le anime degli uomini da Eveno uccisi,
le anime che aveva imprigionato facendone bestie deformi, avevano lasciato quel
mondo, alla ricerca di un po’ di pace. Un grazie portato dal vento giunse
all’orecchio del Cavaliere di Libra, un grazie ed un raggio di sole. Un grazie
che, per quanto gli riempisse il cuore di gioia, non lo aiutava a capire dove
si trovasse Fiore di Luna.
***
Quando Patricia riaprì gli occhi, ancora stordita, si
accorse di essere in una grande stanza, poco illuminata, distesa su un soffice
giaciglio di paglia. A fatica tentò di mettersi a sedere, per capire dove si
trovasse e cosa fosse accaduto nelle ultime ore. Le doleva la testa, e si
sentiva anche affamata, ma cercò di non pensarci e riorganizzare i frammenti
dei suoi ricordi.
Fino
a qualche ora prima, non sapeva neppure lei quanto, si trovava distesa nel suo
letto, nell’Ospedale della Grande Fondazione, dove, da ciò che Nemes e i Cavalieri di Acciaio le avevano raccontato, suo
fratello l’aveva condotta un paio di giorni prima, dopo essere rimasta ferita
dall’attacco di un Cavaliere Celeste. Quella era stata l’ultima volta in cui
aveva visto Pegasus, l’ultima volta in cui aveva parlato con suo fratello,
prima che egli recuperasse la memoria, tornando ad essere il Cavaliere della
Speranza. E a rischiare la vita per difendere la Terra e l’umanità.
Pegasus! Mormorò la ragazza, chiedendosi dove si trovasse il
fratello e augurandosi il suo bene.
In
quella, si accorse di un’altra persona, sdraiata non distante da lei, ricoperta
da una morbida coperta che nascondeva il suo corpo alla vista di Patricia, ma
la ragazza la riconobbe comunque dai lunghi capelli biondi. Doveva essere Nemes, l’amica di Andromeda, sua compagna nei lunghi anni
dell’addestramento. In un momento Patricia ricordò tutto: l’assalto
all’Ospedale, quei terribili guerrieri dalle vestigia scarlatte, la fuga nel
bosco e…quel Cavaliere! Quel misterioso
biondino che le aveva salvate. Chi era? Si domandò, non avendolo mai
visto.
Un
rumore proveniente dal fondo della stanza la fece sussultare, mentre una porta
si apriva cigolando, lasciando entrare un giovane che reggeva una torcia
luminosa, che rischiarò l’ambiente, permettendo alla ragazza di realizzare che
il luogo in cui si trovava altro non era che una caverna. Un’ampia grotta,
dall’alto soffitto, illuminata soltanto da alcune fiaccole affisse alle pareti
laterali.
“Non
avete mangiato niente, a quanto vedo!” –Esclamò il giovane, rubando Patricia ai
suoi pensieri.
La
sorella di Pegasus fissò il ragazzo e riconobbe il Cavaliere che le aveva
salvate, sgominando in un attimo i malvagi Guerrieri Scarlatti. Biondo, dai
capelli cinerei, un viso delicato e occhi marroni, sembrava un angelo disceso
sulla Terra. Ma un angelo combattivo! Si disse Patricia, osservando
l’armatura che il ragazzo indossava. Una splendida corazza che ricopriva quasi
totalmente il suo corpo, senza apparire pesante o ingombrante, ma leggera e
eterea al tempo stesso; il suo colore oscillava tra il dorato e il bianco
sporco, ma riluceva di mille sfolgoranti striature, capaci di riflettere lo
scintillio delle stelle.
“Chi
sei?” –Domandò infine, con voce tremolante. –E dove siamo?
“Non
aver paura! Non è nostra intenzione farvi del male!” –Rispose il ragazzo,
parlando con voce calma. E lasciando intendere che non fosse solo.
Il
rumore della conversazione risvegliò anche Nemes, la
quale si voltò di scatto, chiedendo confusamente spiegazioni.
“Le
avrete, quando sarà il momento!” –Esclamò il biondino. –“Adesso pensate
soltanto a riposarvi e a rimettervi in forma!” –E indicò loro una tavola
imbandita poco distante, con pezzi di pane, frutta fresca, verdura e un
recipiente pieno di un’aromatica zuppa, oltre che varie caraffe di acqua. Non
aggiunse altro e si allontanò, lasciando le due ragazze sole, a chiedersi dove
fossero capitate. Dopo pochi minuti ricomparve, tenendo per mano una ragazza,
dall’aspetto gracile e delicato. Patricia la fissò per un momento, e lo stesso
fece Nemes, riflettendo di averla già vista in
precedenza.
“Ecco!”
–Sorrise il giovane, accompagnando la ragazza fino alla tavola a cui si erano
appena sedute Nemes e Patricia. –“Credo che vi farà
piacere passare del tempo in compagnia! Del resto…
sono certo che abbiate molti argomenti in comune, non è così, Fiore di Luna?”
Fiore
di Luna! Mormorò Patricia, sgranando
gli occhi. La ragazza di Sirio, il Cavaliere del Drago, grande amico di
Pegasus! Ecco quando l’avevo incontrata! Quel giorno, molti mesi fa, quando
Lady Isabel tolse la memoria ai Cavalieri, donando loro il Talismano della
Dimenticanza! Lei era presente… ed era così felice,
così felice nel sapere che il suo Sirio non avrebbe più rischiato la vita in
battaglia, e che adesso, finalmente, avrebbero potuto stare insieme! E vivere
una vita normale, come tutti i giovani della nostra età!
E
non è forse quello che ho pensato anch’io, riferendomi a mio fratello Pegasus?
E che ha provato Nemes, per Andromeda?! Rifletté amaramente. Oh Atena, ogni tanto ti odio!
Se tu non esistessi, non esisterebbero neppure i mortali pericoli che Pegasus e
gli altri sono costretti ad affrontare ogni volta! E potrebbero vivere quella
vita felice, piena di amore, a cui hanno diritto. Tremendamente tanto diritto!
La
candida voce di Fiore di Luna la riportò in quella caverna, a chiedersi, con le
altre due ragazze, cosa stesse accadendo e chi le avesse portate lì, salvandole
dai Guerrieri Scarlatti.
Le tre giovani non potevano certamente sapere che pochi
metri distante da loro era in corso un’interessante conversazione tra alcuni
personaggi, gli stessi che avevano organizzato il loro salvataggio, per
impedire ad Ares di disporre di un’ulteriore arma, più emotiva che fisica, da
usare contro i Cavalieri di Atena.
“Mio
Signore…” –Esclamò una decisa voce di donna. –“I berseker marciano verso l’Olimpo! Spade si infiammano
nuovamente sul Sacro Monte!”
“Ahimè,
dici il vero, Cavaliere di Luce!” –Rispose un’anziana, ma profonda, voce.
–“Quest’epoca oscura è entrata nell’ultima fase del suo declino, e temo che non
molto tempo passerà prima che la grande ombra scenda su tutti noi!”
“Riusciremo
a fermarla in tempo?” – Chiese la donna, in piedi di fronte al vecchio uomo.
Questi
non rispose, sospirando, prima di spostare lo sguardo verso due ragazzi,
inginocchiati di fronte al trono di legno sul quale sedeva. Biondo era il
primo, con lisci capelli che cadevano sulle spalle, e occhi marroni su un viso
rotondo, luminoso come il sole; mentre il secondo aveva mossi capelli castani,
che uscivano dall’elmo della sua corazza, ed occhi azzurri, profondi come il
mare.
Di
fronte a loro, per terra, c’era un oggetto che avevano recuperato dalle
profondità degli abissi, salvandolo dal pericolo di una possibile
appropriazione indebita da parte dei berseker di
Ares. Il vaso contenente lo spirito di Nettuno, Dio dei Mari.
In
quella una porta si aprì, dal fondo dell’ampia grotta, e un giovane Cavaliere
dai biondi capelli ne entrò, reggendo una torcia ravvivante.
“Come
stanno le nostre ospiti, Jonathan?” –Domandò il vecchio dalla lunga barba bianca.
“Fisicamente
meglio, mio Signore!” –Rispose il ragazzo, avvicinandosi al piccolo trono. –“Ma
sono desiderose di sapere, di conoscere cosa sta accadendo!”
“Aaah, grande è il desiderio di conoscere nell’uomo, innato
ed infinito oserei dire!” –Sorrise l’anziano saggio, toccandosi la sua lunga
barba. –“Ma credo che per il momento sia meglio lasciarle all’oscuro dei fatti!
Perlomeno fino a quando non avremo recuperato l’ultimo talismano!”
“Mio
Signore…” –Esclamò il ragazzo dagli occhi azzurri.
–“Vuole che contatti Avalon?”
“Non
ancora, Marins!” –Rispose l’Antico. –“Cerchiamo di
procedere con le nostre forze, senza ricorrere ad aiuti esterni! In fondo ne
manca soltanto uno!” –Poi si voltò verso la ragazza, in piedi di fronte a lui.
–“Credo che dovresti andare! Un vecchio amico ha bisogno di te!”
La
donna non aggiunse altro, limitandosi ad annuire con il capo. Indossò l’elmo a
diadema della sua scintillante armatura, e si incamminò verso l’uscita della
caverna, mentre mille pensieri turbinavano nel suo cuore. Uno tra tutti, il più
umano. Chissà se si ricorderà ancora di me? Si chiese, sospirando.
Nel frattempo,
mentre Andromeda stava combattendo contro il Cinghiale di Erimanto
alla Quarta Casa dello Zodiaco, una pattuglia di berseker,
guidata da Flegias, Flagello degli Uomini, aveva
raggiunto le pendici del Monte Etna, in Sicilia, per portare avanti l’ardito
piano del loro signore.
“Dove
dobbiamo dirigerci?” –Domandò un berseker.
“Stupido!”
–Lo zittì Flegias, dandogli un pugno in pieno viso.
–“Dobbiamo trovare il modo di raggiungere l’interno del vulcano! Probabilmente
ci sarà un’entrata nascosta tra questi anfratti!”
I
guerrieri di Ares perlustrarono attentamente i vari scoscendimenti e gli
avallamenti del monte siculo, alla ricerca di un modo per entrare al suo
interno, ma non ne trovarono, e Flegias si convinse
infine di dover passare dall’unica strada che era certo esistesse: la bocca del
vulcano. Radunò i suoi uomini e li condusse alla sommità del fumante cratere,
intimandogli di scendere al suo interno.
“Nelle
viscere del vulcano?! Ma mio Signore, sarà prudente? Efesto
in persona vi dimora!” –Disse un guerriero. Ma non visse abbastanza per udire
la risposta del figlio di Ares, che lo afferrò per il collo e lo gettò nelle
fauci del vulcano, facendolo precipitare nella lava primordiale.
“Qualcun
altro ha dubbi da avanzare?!” –Domandò quindi Flegias,
ironicamente. Nessuno dei berseker rimasti fiatò,
muovendo la testa per dire di no. –“Bene... possiamo and…”
–Ma il Rosso Fuoco non riuscì a terminare la sua frase che un’imponente voce
maschile lo sovrastò.
“Ho
io qualcosa da replicare!” –Esclamò qualcuno, facendo voltare tutti i guerrieri
di Ares.
In
piedi, su un cucuzzolo poco distante da loro, sul bordo del vulcano, stava un
uomo, non troppo alto ma robusto, ricoperto da una scintillante corazza dai
colori rosso e oro, da lui stesso forgiata millenni prima: Efesto,
Dio della Metallurgia e del Fuoco.
“Efesto!!!” –Esclamarono i berseker,
quasi spaventati.
“Proprio
te cercavo, vecchio zoppo!” –Lo derise Flegias, per
niente intimorito. –“Immaginavo che te la saresti cavata! Avrei dovuto
tagliarti la testa invece di lasciarti agonizzante a terra! Pazienza, sono
sempre in tempo per rimediare!” –Esclamò, lasciando partire un rapido fendente
di infuocata energia dalla sua spada incandescente, che scavò un profondo
strato di roccia nel terreno, abbattendosi sulla gamba sinistra di Efesto, il quale non riuscì a muoversi in tempo, accusando
il colpo. Con un balzo Flegias fu sopra di lui,
muovendo la Spada Infuocata alla velocità della luce, creando migliaia di
fendenti incandescenti che puntarono sul Fabbro Divino.
“Ti
ucciderò, Flegias! E getterò il tuo cadavere nel
profondo del vulcano Etna!” –Ringhiò Efesto,
rabbioso, cercando di parare i colpi del suo nemico.
“Blateri
troppo, gobbo dell’Olimpo!” –Lo schernì Flegias,
atterrando proprio di fronte a lui. Sollevò la Spada Infuocata e poi la calò su
Efesto, ma il Dio fu svelto a parare il colpo,
afferrando il polso di Flegias con entrambe le sue
possenti braccia. –“Argh!” –Digrignò i denti il Rosso
Fuoco, furibondo, sentendo il dolore che Efesto gli
procurava al braccio.
“Tu
e i tuoi fratelli infami…” –Continuò Efesto. –Avete un debito nei miei confronti, un debito che
neppure la vostra morte potrà saldare!” –E nel dir questo espanse il proprio
cosmo, che si concretizzò sotto forma di lava incandescente che avvolse il
braccio del figlio di Ares.
“Bastardo!!!”
–Gridò Flegias, mentre per il dolore era costretto ad
allentare la presa sulla Spada Infuocata che cadde a terra. Efesto
fu svelto a tirarla via con un calcio, fino a farla precipitare sul bordo del
vulcano, mentre le sue robuste braccia si caricavano di potente energia
cosmica.
“Lava
Incandescente!” –Gridò il Dio,
scaricando torrenti di possente magma ardente contro il figlio di Ares, che
venne letteralmente spinto via, travolto da quell’incandescente ammasso di
lava.
L’impeto
dell’assalto fu tale da scaraventare Flegias contro
una roccia, sulle pendici del vulcano, mentre l’ardente magma ricopriva il suo
corpo, nel tentativo di imprigionarlo al suo interno. Ma il figlio di Ares era
determinato a non lasciarsi vincere, non adesso che era così vicino al suo
obiettivo, ed espanse a dismisura il suo cosmo, liberando la demoniaca energia
che covava dentro.
“Apocalisse
Divina!” –Urlò, mentre l’esplosione
annientava la lava che lo aveva immobilizzato.
Frammenti
di magma solidificato piovvero su tutto il versante dell’Etna, tale fu la furia
della tempesta scatenata dal Flagello degli Uomini, che non esaurì affatto la
sua carica devastante, dirigendo l’energetico turbine contro il Dio della
Metallurgia.
“Muori,
vecchio zoppo! Apocalisse Divina!” –Ringhiò Flegias,
mentre Efesto e tutto il versante dell’Etna furono
investiti dalla devastante tempesta energetica del figlio di Ares. Efesto fu sollevato da terra, stritolato da folgori mortali
e sanguinarie, sballottato confusamente, prima di schiantarsi tra i sassi,
scavando un profondo solco sulla parete rocciosa.
“E
voi, cosa fate ancora qua? Stupidi!” –Esclamò Flegias,
voltandosi verso i berseker che avevano seguito la
scena ammutoliti. –“Scendete all’interno! Sapete cosa dovete cercare!” –I berseker non risposero, limitandosi ad annuire e a correre
sul bordo del vulcano, cercando una via per scendere al suo interno ed eseguire
gli ordini ricevuti.
Flegias
richiamò la Spada Infuocata, che tornò saldamente nelle sue mani, prima di
dirigersi verso il Dio caduto, per dargli il colpo di grazia. Lo osservò per un
momento, vecchio zoppo disteso in terra, con numerose ferite addosso, e una
maggiore nel cuore, prima di sputargli contro.
“Muori!”
–Gridò Flegias, brandendo l’infuocata lama. Ma
improvvisamente un forte vento si levò sull’Etna, una vera bufera di aria che
travolse il figlio di Ares, sollevandolo da terra e facendolo fluttuare in
cielo, scaraventandolo lontano.
“Aaahhh…” –Urlò il Rosso Fuoco, in balia della turbinante
tempesta d’aria.
Efesto approfittò di quel momento per tentare di rimettersi
in piedi, rantolando a fatica sul terreno. Il colpo subito da Flegias era stato tremendo, e per quanto la sua resistenza,
e quella della sua armatura, fossero notevoli, era comunque indebolito.
“Posso
darvi una mano, Divino Efesto?” –Esclamò una gentile
voce maschile.
“Uh?!”
–Borbottò il Dio, voltandosi e osservando un giovane in piedi in cima all’Etna.
Un uomo alto e snello, con un bellissimo viso che emanava
un’aura di antica saggezza, gli sorrise con due occhi grigi, profondi come
quelli di Zeus. Era ricoperto da un’accattivante Armatura Celeste, sulla
schiena della quale erano fissate due grandi ali azzurre.
“Ti riconosco… tu sei…”
“Euro è il mio nome, Vento dell’Est! Figlio di Eos, Dea
dell’Aurora, nata dai titani Iperione e Teia, e di Astreo, figlio del
titano Crio! In me discende l’antico sangue
primordiale della Prima Generazione Cosmica!”
“Euro!” –Rifletté Efesto,
rimettendosi in piedi. –“Cosa fai qua, in Sicilia?”
“Ho sentito cosmi esplodere proprio qua, sulle pendici del
monte che custodite, e ho pensato aveste bisogno d’aiuto! Per quanto detesti e
aborri queste insulse guerre tra Divinità, a quanto pare dovrò nuovamente
scendere in campo per difendere il mio Signore Zeus!”
“Grazie per l’intervento, ragazzo!” –Esclamò Efesto, accennando un sorriso. –“Zeus avrà bisogno anche
del tuo aiuto, contro la devastante follia incendiaria di Ares!”
“Ares?! È dunque suo l’oscuro cosmo che ho sentito
esplodere in queste ore? Suo e dei guerrieri del sangue e dell’odio che per lui
combattono, i berseker! Flegias
ha mostrato la sua vera natura?!”
“Siamo stati ingannati, giovane figlio di Eos! E tua madre
è soltanto una del lungo elenco di vittime che i figli di Ares hanno mietuto!”
–Commentò il Dio, con una certa tristezza nel cuore. La loro conversazione fu
improvvisamente interrotta da una devastante esplosione cosmica, che fece
tremare l’intera superficie del vulcano.
“Ma che bel quadretto familiare!” –Esclamò una voce
ringhiante, ricomparendo di fronte a loro.
“Flegias!!!” –Ringhiò Efesto, stringendo i pugni.
“Ti sei messo dalla parte sbagliata, orfanello!” –Commentò
Flegias, indicando Euro con un dito. E prima che il
figlio di Eos potesse rispondere si ritrovò schiacciato a terra, dilaniato da
ardenti fiamme che paralizzavano tutto il suo corpo.
“Aaargh….” –Urlò Euro, cercando
di liberarsi dalla mortale presa.
“Lascialo andare, Flegias!”
–Esclamò Efesto, bruciando il cosmo. Ma non poté
muoversi che si ritrovò completamente immobilizzato a sua volta. –“Cosa
succede?!” –Si domandò, osservando il proprio corpo venire avvolto da una fitta
trama di fili scuri. –“Ma... non sono fili! Sono capelli?!”
“Sei arrivata, finalmente!” –Affermò Flegias,
lamentandosi per il ritardo.
“Una Dea arriva quando vuole, Flegias!
Non ho orari da rispettare, né di cui debba rendere conto a te!” –Sibilò una
voce femminile, facendo rabbrividire Efesto, che
aveva riconosciuto il suo cosmo.
Intrappolato tra quegli infernali capelli, Efesto osservò una figura ammantata da un nero mantello
abbassare il proprio cappuccio, rivelando così il suo volto deforme: era quello
di Enio, la Dea della Strage e della Distruzione. Ed
erano i suoi capelli, allungati a dismisura, che stavano bloccando il Dio a
terra, stringendolo con forza fin quasi a soffocarlo.
“Non perdere altro tempo! E porta a compimento gli ordini
di tuo Padre!” –Esclamò.
“Non ho bisogno che tu me lo ricordi, vecchia vipera!”
–Rispose Flegias, scattando avanti.
Euro si liberò del mortifero giogo che lo aveva
imprigionato, aprendo le scintillanti ali azzurre della sua corazza, e si librò
in aria, avventandosi su Flegias, ma il figlio di
Ares fu più svelto, e lo colpì con un guizzante fendente di energia in pieno
petto, facendolo sbilanciare. Quindi gli fu sopra, montando a cavallo sopra di
lui, prima di infilare la sua infuocata spadanella schiena del giovane.
“Muori anche tu, e porta i miei ossequi alla tua defunta
madre! Uah ah ah!” –Urlò Flegias,
balzando via, mentre Euro precipitava a terra in un lago di sangue.
“Maledetto… fermati.. fermati…” –Gridò Efesto,
osservando Flegias scattare sul bordo del vulcano e lanciarvisi dentro, senza paura alcuna della mortale lava.
“Non essere così precipitoso, Efesto!”
–Sogghignò Enio, avvicinandosi al Dio. Camminava
sensualmente, come una donna, e si slacciò il mantello che aveva indosso,
lasciando che scivolasse sul suo corpo, fino a svelare, a pochi metri dal Dio,
le sue fattezze. Le sue orrende fattezze. Magra, dal carnato pallido e coperta
di chiazze di odio, con un viso emaciato su cui spuntavano due occhi intrisi di
sangue. Eppure, tutto quell’orrore, che la donna portava seco, aveva attirato
Ares, che ne aveva fatto la sua amante, la deliziosa pantera che aveva
allietato i suoi piaceri.
“Non ci vediamo da secoli…
troppi secoli… e adesso non vuoi passare un po’ di
tempo con me?!” –Sussurrò la Dea, avvicinandosi all’orecchio dell’imprigionato
Dio.
“Sei dunque rinata, Dea della Strage? Per affiancare il
tuo amante nei suoi folli progetti di dominio?”
“Non è folle chi cerca di conquistare il mondo, Efesto! È naturale, insito nell’armonia cosmica
dell’universo!” –Gli rispose Enio, senz’affatto
scomporsi. –“L’universo stesso è un ciclo continuo di distruzione e
costruzione! Come si può creare nuova materia se non si distrugge la
preesistente?”
“Voi non volete costruire niente! Solamente distruggere,
come avete sempre fatto!” –Gridò Efesto, puntandola
con occhi adirati.
“Taci, orrenda bestia deforme!” –Esclamò Enio, avventandosi sul Dio del Fuoco, e affondando le sue
affilate unghie sul suo viso. Lo graffiò più volte, fino a vedere il sangue
uscire copioso dalle sue vene, fino a farlo tossire e imprecare di smetterla.
–“Ooh… se ti vedesse adesso Afrodite…”
–Sogghignò, digrignando gli orridi denti giallastri. –“Proverebbe soltanto
disgusto e raccapriccio!”
Nel sentire il nome di Afrodite Efesto
ebbe un sussulto e il suo cosmo si risvegliò improvvisamente, esplodendo come
una bomba sulle pendici dell’Etna. I capelli di Enio
furono annientati, arsi dalla violenta fiammata del Dio, e la stessa Dea fu
scaraventata lontano, travolta dalla detonazione.
“Afrodite mi ha sempre amato, per quanto brutto e storpio fossi!
Lei ha sempre amato me, la persona che sono e sono stato, e non ha amato un Dio
crudele e sanguinario al quale niente altro importa che non il soddisfacimento
del proprio benessere!”
“Se non ricordo male…” –Ironizzò
Enio, rimettendosi in piedi. –“Anche Afrodite ha
trovato piacere in Ares... e i figli che l’hanno uccisa erano proprio i loro!”
“Bastaaa!!!” –Urlò Efesto, delirante, portando entrambe le braccia avanti e
liberando il magma incandescente, che diresse contro Enio.
La Dea balzò in aria, evitando il primo forte getto, ma fu
completamente esposta al secondo spruzzo di lava, da venir travolta e
scaraventata indietro, contro una parete rocciosa alla quale il magma la stava
murando. Enio tentò disperatamente di liberarsi,
allungando un braccio fuori dall’ammasso di lava che si stava solidificando
intorno a lei, e lasciando cadere una goccia di cosmo. Non appena la goccia
toccò terra, un incandescente piano di energia si dipartì da lei, diretto verso
Efesto, il quale tentò di fermarlo con le proprie
possenti braccia.
“Dropsofloneliness!” –Gridò Enio,
intensificando l’attacco. Ma la posizione scomoda in cui si trovava, per più di
metà murata viva, le permetteva di controllare scarsamente i suoi assalti.
Efesto espanse al massimo il
proprio cosmo, riuscendo a respingere i cerchi di energia che Enio gli aveva diretto contro, prima di accasciarsi a
terra, ormai privo di forze.
Improvvisamente, prima che qualcuno dei due contendenti
riuscisse a muovere un muscolo, si udì un tremendo boato, proveniente dalle
viscere del Monte Etna. Un fragore che scosse l’intero vulcano, e forse anche
l’intera isola sicula.
“Che... cosa?!” –Balbettò Efesto,
cercando di rimettersi in piedi.
“Flegias ci è riuscito, dunque!”
–Esclamò Enio, ancora prigioniera della lava
solidificata di Efesto. –“Per l’Olimpo è giunto
infine il tramonto!”
La terra tremò sotto di loro, con un fragore tale da far
crollare alberi e piante, da smuovere rocce e sassi, creando frane e
smottamenti, mentre grida furiose si levavano dalle profondità del Monte Etna.
Grida mostruose di un essere che troppo a lungo vi aveva soggiornato.
“Non ci credo…” –Commentò Efesto, rialzandosi. –“No!!! Noooo!!!”
Il vulcano Etna iniziò a eruttare fiamme e lapilli, mentre
le pendici del monte si frantumavano, aprendosi su loro stesse, in ampie
spaccature da cui presto la lava iniziò a uscire, mentre le devastanti grida
risuonavano per l’intera isola. Pochi istanti dopo dalla terra franante si
sollevò un’immensa figura, che non aveva niente di umano. Uscì dal terreno, da
sotto il vulcano in cui Zeus lo aveva seppellito millenni prima, per impedirgli
di spargere ulteriore sangue nel mondo. Persino Enio
rimase ammutolita di fronte alla grandezza e all’orrore che la creatura
emanava.
“Tifone!” –Commentò a bassa voce, ma sufficiente per far
gelare il sangue ad Efesto, che non poteva fare
niente, soltanto osservare attonito ed impotente la liberazione della bestia
infernale.
Tifone, figlio di Gea e Tartaro,
era stato il mostro più tremendo che gli Dei greci avevano dovuto affrontare
nel Mondo Antico. Istigato dalla madre, adirata con Zeus per aver sconfitto i
suoi figli, i Titani guidati da Crono, Tifone dedicò l’intera sua mostruosa
esistenza a lottare contro Zeus e le Divinità Olimpiche, arrivando persino a
sconfiggere il Signore Supremo dell’Olimpo, rimasto solo a combattere con lui,
dopo che tutti gli altri Dei, impauriti, erano fuggiti in Egitto. Tifone recise
i tendini delle mani e dei piedi del Dio con la stessa falce con la quale Zeus
voleva ucciderlo, quindi lo nascose in Cilicia, rinchiudendolo in una grotta chiamata Korykosantron, “il sacco di
pelle”, mentre i suoi tendini, deposti in una sacca di pelle d'orso, li affidò allacustodia della dragonessa Delfine. Ma Ermes, fedele servitore
del Dio, ripresosi dallo spavento, rubò i tendini a Delfine e, trovata la
grotta in cui era rinchiuso il Padre, lo liberò rendendolo di nuovo forte e
potente.
“E adesso è qua, di nuovo pronto per annientare il mondo!
Di nuovo pronto per provocare dolore e distruzione!” –Commentò Efesto, lasciandosi cadere a terra sconfortato, alla vista
dell’orrida bestia.
Tifone era immenso, alto quanto il cielo e orrendo a
vedersi: aveva il busto ricoperto di piume e dal collo partivano cento teste di
drago che lanciavano fuoco mentre dalle gambe spuntavano vipere. Il suo corpo
era alato e gli occhi lanciavano fiamme. La sua voce era tanto potente e
terribile da essere compresa solo dagli dei. Per un istante Efesto
rabbrividì, ricordando l’orrore e la paura che provò in quel lontano giorno,
quando Tifone attaccò l’Olimpo e tutti gli Dei si tramutarono in animali e
fuggirono via, lasciando soli Atena e Zeus a combattere. Atena combatté
anche quel giorno! Al fianco di Zeus! Come sta facendo oggi contro Ares!
Rifletté, trovando la forza di rialzarsi e mettersi in piedi. Mentre io
fuggii via come un bue, ella rimase saldamente al suo posto, stringendo lo
scettro di Nike, ad aiutare il Padre! Ma oggi così non sarà! Oggi non fuggirò… no! Combatterò, a fianco di mio Padre e dei miei
fratelli Dei! E, se sarà necessario, morirò con loro! Strinse i denti,
mentre le fiamme provocate da Tifone distruggevano ogni cosa intorno a lui.
Il
Monte Etna iniziò a sgretolarsi, mentre torrenti di lava scendevano dai suoi
fianchi sventrati, mescolandosi a rocce e pietre. Efesto
rotolò sul terreno, travolto dalle frane, ma riuscì a raggiungere il corpo
ferito di Euro, disteso a terra più a valle. Lo afferrò con forza e se lo
caricò sulle possenti spalle, cercando di allontanarsi da quell’inferno.
“Coraggio,
ragazzo! Cerca di resistere! Ti porterò sull’Olimpo!”
Euro
non rispose, ma il suo volto pallido fece preoccupare notevolmente Efesto, che capì che il ragazzo stava morendo. Sta
morendo per me! Rifletté il Dio. Per essere giunto fin qua per salvarmi!
Il minimo che possa fare per sdebitarmi a mia volta è condurlo in salvo,
sull’Olimpo! Quindi si fermò un istante, chiedendosi se era effettivamente
l’Olimpo il posto più sicuro per loro in quel momento. Ma quale altro
potrebbe essere, se non l’immortale dimora degli Dei?! E bruciò il proprio
cosmo, cercando di vincere le resistenze dello spaziotempo e di raggiungere
direttamente l’Olimpo, come aveva fatto giorni prima insieme alla sua sposa. Ma
non ci riuscì.
Il
malvagio potere di Ares, impegnato a scontrarsi con quello di Zeus, rendeva
impossibile a lui, in quel momento, con le poche forze che aveva,
teletrasportarsi sul Monte Sacro. A costo di giungere in Grecia a piedi, io
ti condurrò da Zeus! Si disse, con aria di sfida. Ma quando si guardò
intorno capì che le sue belle parole si sarebbero perse nel vento.
Erano su un
cucuzzolo del Monte Etna, circondati da un oceano di ardente magma che stava
scendendo a valle, mentre l’antico vulcano ripiegava su se stesso. Entro pochi
minuti, Efesto ne era certo, sarebbe esploso,
distruggendo tutto ciò che si trovava intorno per centinaia di chilometri.
Tifone se ne era andato, con Flegias sulle spalle,
dirigendosi verso la Grecia. Il battito delle sue infernali ali aveva creato
turbini impetuosi a cui solo le possenti gambe di Efesto,
saldamente piantate nel terreno, erano in grado di resistere. Tutto il resto
venne spazzato via.
Efesto si
guardò intorno, ma di Enio non trovò più tracce, e immaginò
che anch’ella avesse seguito Tifone e Flegias in
Grecia. Nel pieno della sua disperazione, cercò nuovamente di accedere
all’Olimpo, espandendo il cosmo. Fallì, ma attirò l’attenzione di qualcuno che
stava rientrando in Grecia in quel momento.
“Posso
aiutarti, amico mio?!” –Sorrise una squillante voce sopra Efesto.
Il
Dio della Metallurgia si voltò verso il cielo, trovando Ermes in volo sopra di
lui, ricoperto dalla sua Veste Divina. Senza nient’altro aggiungere, Ermes
sollevò Efesto ed Euro, bruciando al massimo il
proprio cosmo, e, forte degli invincibili calzari che indossava, sfrecciò via,
nel vento, diretto verso l’Olimpo.
Capitolo 19 *** Capitolo diciassettesimo: Le paludi di Stinfalo ***
CAPITOLO DICIASSETTESIMO. LE PALUDI DI STINFALO.
Cristal
il Cigno era arrivato ad Atene proprio mentre i suoi compagni correvano verso
la Casa del Leone, impiegando quasi un’ora per raggiungere il Quinto Tempio,
venendo fermato per ben due volte da scarse pattuglie di berseker
con il compito di controllare i dintorni e i piani bassi della Collina della
Divinità. Berseker che Cristal
non ebbe problema alcuno nell’affrontare e nel vincere, incapaci come erano di
resistere al freddo gelo della Siberia.
Era
arrivato alla Casa di Leo giusto in tempo per salvare Sirio dalla furia
demoniaca di cavalle imbizzarrite, e di condurlo, sorreggendolo, fino alla
Sesta Casa. Nel tragitto, il Cavaliere del Drago aveva raccontato brevemente
gli ultimi eventi all’amico, dalla sua partenza fino alla nuova corsa per le
Dodici Case del Grande Tempio, adesso occupato da Ares e dai suoi berseker.
“Quel
maledetto!” –Aveva stretto i pugni Cristal, senza
riuscire a trattenere le lacrime quando Sirio gli aveva confessato la morte di Geki e degli altri Per quanto non avessero legato
profondamente, restavano comunque amici di infanzia, combattenti, come lui, per
Atena e per la giustizia.
Cristal,
a sua volta, aveva narrato all’amico la breve ma intensa battaglia sostenuta in
Siberia, contro Enio, Dea furiosa della Distruzione,
e questo aveva fatto preoccupare Sirio non poco.
“Se
Ares ha inviato una truppa di berseker in Siberia per
rapire Jacov, è possibile che abbia fatto altrettanto
con Fiore di Luna e Patricia!” –Aveva commentato Sirio, camminando a fianco
dell’amico sulla scalinata di marmo.
“Temo
di sì…” –Aveva mormorato Cristal,
dispiaciuto. Avrebbe voluto aggiungere qualche parola di conforto, accennando
al misterioso, ma provvidenziale, aiuto che aveva ricevuto in Siberia, ma
l’esplosione improvvisa dei cosmi di Pegasus, Andromeda e Phoenix li aveva
fatti sobbalzare entrambi, spingendoli ad accelerare il passo.
Sirio
aveva stretto i denti ed era corso dietro a Cristal,
per quanto si sentisse ancora molto debole, e i due erano arrivati in tempo per
neutralizzare il fangoso potere del Custode del Sesto Tempio: Augia, lo Splendente. Cristal si
era offerto per combattere contro di lui, permettendo a Pegasus e agli altri di
proseguire. Augia, che all’apparenza sembrava un
ragazzino di dodici anni, lentigginoso e poco attraente, aveva giocato subito
la sua carta migliore, quella dell’infida sorpresa, facendo precipitare il
Cavaliere del Cigno in una faglia nel terreno, in tunnel sotterranei
completamente pieni di fango e di letame.
“Che
orrore!” –Commentò Cristal, cercando di liberarsi
dalla melma che limitava i suoi movimenti. Bruciò il cosmo, congelando la
putrida massa intorno a lui, e distruggendola di colpo, sforzandosi di capire
dove fosse finito e come uscire da quella scomoda situazione.
Si
trovava in una caverna sotterranea, che al biondino sembrò un immenso stanzone
maleodorante e privo di luci. Sentì scrosciare della fanghiglia, e questo gli
permise di capire che dovevano esserci delle aperture, delle fenditure da cui
il fango colava all’interno di quella vasta fogna sotterranea. Cercò di
muoversi nell’oscurità, ma ad ogni passo gli crollavano addosso pezzi di
roccia, mescolati a grumi di letame e di melma, mentre il terreno in cui le sue
gambe erano immerse fino alle cosce gli rendeva difficile camminare.
Improvvisamente un’onda di fango lo travolse,
trascinandolo via, in un mulinello di letame che avrebbe voluto sopprimerlo. Ma
Augia non aveva fatto i conti con la determinazione
dei Cavalieri di Atena, che permise a Cristal di
reagire, soprattutto dopo aver sentito i cosmi di Pegasus e degli altri amici
in pericolo. Espanse il cosmo, mentre cristalli di ghiaccio si formavano
ovunque, riempiendo l’orrida caverna e fermando i movimenti del fango e del
letame.
“Aaahhh!!!” –Mormorò Cristal, socchiudendo gli occhi.
Il freddo cosmo del Cigno invase l’intera caverna,
congelando tutto ciò che incontrò sulla sua strada, mentre Cristal
scagliò due violenti pugni verso l’alto. Una fitta rete di gelo cadde in quegli
oscuri abissi, mondandoli dal fetido letame che Augia
vi aveva riversato.
Seguendo il cosmo degli amici, Cristal
balzò di roccia in roccia, fino a raggiungere il punto più alto della caverna;
concentrò il cosmo sulle mani, prima di scagliare un violento pugno verso
l’alto, spaccando il terreno sopra di lui e aprendo una fenditura dalla quale
iniziò a colare una gran quantità di fanghiglia. Lasciò che ne cadessero decine
di litri, senza sporcarlo, riparato com’era da una cupola di cristalli di
ghiaccio, e poi si librò in aria, uscendo fuori e ritrovandosi nel piazzale
retrostante la Sesta Casa, nuovamente di fronte al suo nemico.
“Polvere di Diamanti!” –Esclamò, liberando il gelo della Siberia.
Augia, che aveva tentato di arrestare Pegasus e gli altri,
era in piedi su una mozzata colonna di marmo e, per difendersi dall’assalto di Cristal, creò una barriera di fango dalla forma sferica
all’interno della quale credette di essere al sicuro.
Ma si sbagliò.
Il freddo gelo della Siberia ghiacciò gli atomi che
componevano il fango, facendo esplodere la sfera difensiva e scaraventando Augia a terra, facendolo sbattere sulle rocce, non distante
da Cristal.
Il Cavaliere del Cigno lanciò un’occhiata verso monte,
e percepì i cosmi di Pegasus e degli altri muoversi velocemente, diretti verso
la Settima Casa. Sorrise, confidando di ritrovarli presto.
“Non impiegherò molto tempo con una feccia come te!” –Esclamò,
incamminandosi verso Augia, che si rimise prontamente
in piedi, toccandosi il naso sanguinante.
“Questo è da vedersi! Bomba di fango!” –Urlò Augia, concentrando una sfera di energia mista a melma e
letame nel pugno destro e scagliandola velocemente contro Cristal,
il quale neanche si mosse, lasciando che si infrangesse su un’invisibile
barriera posta a sua difesa. Un muro impenetrabile per il berseker,
formato da sottilissimi, ma resistentissimi, anelli di ghiaccio.
“Maledetto!” –Ringhiò Augia,
scagliando nuove bombe di fango e energia contro Cristal.
Ma nessuna di esse riuscì a distruggere la barriera di ghiaccio, facendo
infuriare Augia a dismisura.Preso dall’ira, il berseker
non si accorse del gelido cosmo di Cristal, che
scivolò sul terreno, congelandolo interamente, fino a giungere alle gambe del
guerriero e iniziare a ricoprirle, con uno strato di ghiaccio che da sottile si
fece sempre più consistente, al punto da bloccare i movimenti di Augia al terreno.
“Uh?!” –Esclamò il figlio di Elios,
accorgendosi di non riuscire più a muoversi.
“Irato e disattento!” –Commentò Cristal,
con un sorriso di vittoria sul viso. –“Preso dalla foga hai abbassato le tue
difese, guerriero di Ares, permettendomi di immobilizzarti! Adesso incontrerai
la morte!” –Aggiunse, espandendo ancora il suo candido cosmo.
“La morte?! Sciocchezze!” –Mormorò il berseker, tastandosi il naso. –“Non crederai che basti un
po’ di ghiaccio per fermare me, Augia, lo
Splendente?!”
Cristal non diede peso alle parole del guerriero di Ares,
muovendo le braccia velocemente, per preparare il suo attacco glaciale, ma
quando fu sul punto di scagliare la Polvere di Diamanti si fermò di
colpo, stupito che Augia fosse riuscito a liberarsi.
Il cosmo del berseker esplose improvvisamente, rivelando
un’ampiezza e una potenza che Cristal fino a quel
momento non aveva percepito, poiché lo stesso figlio di Elios
non l’aveva rivelata.
“Ruota solare!” –Esclamò Augia,
saltando in aria e iniziando a roteare su se stesso, fino ad assumere una tozza
forma sferica, in continua rotazione. In un secondo, vampe incandescenti di
energia circondarono il suo corpo, creando una potente cometa umana che
sfrecciò a gran velocità verso Cristal, rimasto
sorpreso, quasi stupefatto.
Il
Cavaliere del Cigno venne travolto dalla meteora vivente e scaraventato
indietro, mentre fiammate di viva energia percorrevano la sua corazza divina,
stridendo fortemente su di essa.
“Sorpreso,
eh?!” –Esclamò Augia, atterrando sul terreno poco
distante. –“Credevi che i miei poteri si limitassero alle mie fangose stalle?
Beh, sbagliavi, Cavaliere del Cigno! Hai di fronte il figlio di un Dio, non un
uomo qualunque! Elios era mio Padre, figlio del
Titano Iperione, e Dio del Sole!”
“E...
Elios?!” –Mormorò Cristal,
rialzandosi a fatica. Gli doleva il corpo in vari punti, per essere stato
travolto da quell’incandescente meteora umana, che, soprattutto, l’aveva preso
alla sprovvista.
“In
persona, colui che nel mito trainava il carro del sole! Da lui ho ricevuto
questo potere, e l’epiteto che mi caratterizza, lo Splendente, in quanto in me
risiede la divina energia del sole!”
“Vedremo
se basterà la tua divina discendenza per assicurarti la vittoria! Eh eh…” –Ridacchiò Cristal, colpendo
Augia nell’orgoglio.
“Come
ti permetti?!” –Tuonò il figlio di Elios, saltando
nuovamente su se stesso, rannicchiandosi a forma di sfera. –“Ruota Solare!”
“Aurora
del Nord!” –Esclamò Cristal improvvisamente, sollevando le braccia unite sopra
la testa, e poi abbassandole di colpo.
La scintillante
energia fredda del cigno si schiantò contro l’incandescente meteora umana
rappresentata da Augia, ma, per quanto inizialmente
sembrò fermare la sua avanzata, non bastò per contenerla. E Cristal
venne nuovamente travolto, finendo nuovamente a terra.
“Ah
ah! Impavido sbruffone! Hai voluto sfidare la potenza del figlio del Sole, ed
ecco come ti sei ritrovato! Con la testa nel fango!” –Esclamò Augia, avvicinandosi al corpo inerme di Cristal.
Con
rabbia e disprezzo, sollevò la gamba destra, sbattendo il tallone contro la
testa di Cristal, spingendo il suo cranio nel terreno
fangoso, più e più volte, ridendo come un pazzo, tronfio del suo successo. Ma,
prima di colpirlo per l’ultima volta, Augia realizzò
di non riuscire più a muovere la gamba, frenata a mezz’aria da fili invisibili.
“Ma… che succede?! Cosa blocca la mia gamba?!” –Gridò,
spaventato e sorpreso.
Cristal
rantolò sul terreno, riuscendo a fatica a rimettersi in piedi. Aveva il volto
stanco e solcato da rivoli di sangue e ansimava, ma era soddisfatto del proprio
lavoro, impegnativo ma fruttuoso.
“Ghiaccio?!”
–Urlò Augia, osservando la propria gamba venire
ricoperta da un consistente strato di gelo. –“Com’è possibile?!” –Ed espanse il
proprio cosmo, caricandolo dell’infuocata energia del sole. Ma Cristal lo anticipò, evocando le immense distese di
ghiaccio della Siberia, e concentrando il cosmo, che scaricò sotto forma di
un’impetuosa tempesta di gelo.
“Vortice
Fulminante dell’Aurora!” –Gridò,
sbattendo con forza i pugni avanti a sé.
Augia, riuscito a sciogliere il ghiaccio sulla
gamba, tentò di ricreare la meteora umana, con la quale sperava di travolgere
il Cavaliere del Cigno, ma non appena si lanciò in aria comprese che non ce
l’avrebbe fatta. I suoi muscoli erano intorpiditi, le sue articolazioni
cigolavano sinistramente, incapaci di muoversi con duttilità.
“Mi
sento... paralizzato…” –Mormorò, mentre l’impetuosa
tempesta di gelo siberiano lo travolgeva.
“È
naturale! Credevi di aver evitato i miei assalti, credevi che il gelo fosse
scivolato via, sulla tua infuocata corazza, ma ti sbagliavi guerriero di Ares!
Mille volte ti ho colpito, ma non te ne sei reso conto! Hai approfittato del
potere di tuo Padre, cercando di emulare un Dio! Ma resti pur sempre un uomo,
mortale come me!” –Esclamò Cristal, la cui fredda energia
aveva ormai invaso l’intero spiazzo. –“Che nella prossima vita tu sappia essere
umile!” –Mormorò, chiudendo gli occhi, mentre il Vortice Fulminante dell’Aurora
spazzava via Augia, incapace ormai di qualsiasi
movimento.
Per
un momento il cielo sopra la Sesta Casa si caricò di striature iridescenti,
simili a quelle dell’aurora boreale, mentre bianchi cigni volavano lontano. Poi
tutto ritornò grigio e cupo, carico del malvagio cosmo di Ares. Augia si schiantò contro una parete rocciosa, ricoperto di
gelo, e il suo corpo esplose poco dopo, mentre Cristal
cadeva in ginocchio, ansimando per la fatica sostenuta. In quel momento sentì
esplodere il cosmo di Andromeda, alla Settima Casa dello Zodiaco.
***
Pegasus,
Andromeda e Phoenix, con Sirio sulle spalle di Pegasus, si erano incamminati
lungo la strada, un tempo lastricata, che conduceva dalla Sesta alla Settima
Casa, ma parve evidente a tutti e tre, dopo una decina di metri, che il
paesaggio non sarebbe cambiato. L’antica scalinata era divenuta un enorme acquitrino
terrazzato, dove rivoli di lurida melma colavano dall’alto, lungo fossette
scavate nella roccia, fino ad ammassarsi nel piazzale retrostante la Sesta
Casa, o scivolare ancora più a valle. La foschia onnipresente rendeva
quell’ambiente ancora più lugubre e malinconico.
“Usciremo
mai da questa palude infernale?!” –Brontolò Pegasus, muovendosi a fatica.
“È
incredibile!” –Commentò Andromeda, puntando lo sguardo avanti a sé.
Per
un momento credette di non trovarsi più al Grande
Tempio ma in un’immensa palude di una terra lontana, dove l’uomo non era mai
giunto. Versi striduli di animali lo rubarono ai suoi pensieri, obbligandolo a
concentrarsi sul cammino. Usando la sua catena, Andromeda guidava gli amici
lungo i sentieri migliori, evitando le zone troppo melmose e i pantani meno
sicuri, e Phoenix e Pegasus lo seguivano, facendo molta attenzione. Soprattutto
Phoenix era preoccupato, temendo qualche imboscata da parte dei berseker.
“Non
ci lasceranno arrivare fino in cima!” –Rifletté il Cavaliere della Fenice. –“Ne
sono sicuro! Ci aspetta qualche trappola mortale!”
Versi
sempre più aspri richiamarono la loro attenzione, costringendoli a volgere lo
sguardo verso il cielo, dove in quella tetra foschia riuscirono a scorgere
sagome oscure fluttuare sopra di loro. Sagome di grandi uccelli che
schiamazzavano senza risparmiarsi.
“Che
Ares abbia già preparato i suoi avvoltoi per mangiare le nostre carni?!”
–Commentò stizzosamente Pegasus, continuando ad avanzare nel pantano.
“Come
settima fatica Eracle fu costretto a liberare la regione intorno al lago Stinfalo da uccelli voraci e chiassosi, che devastavano i
campi, tormentando i poveri abitanti! Quando si
alzavano in volo divoravano uomini e animali e lasciavano cadere le loro piume
di bronzo e i loro escrementi che distruggevano e bruciavano le messi. Giunto
alla palude, circondata da fitte selve, Eracle si accorse che non poteva
cacciare gli uccelli con le frecce, perché erano troppi. Inoltre la
palude non era né abbastanza bassa perché un uomo vi si potesse addentrare a
piedi, né abbastanza profonda per permettere l'uso di una barca! Fu
Atena ad aiutare l’eroe, donandogli nacchere di bronzo, che Eracle suonò dalla
cima del monte Cileno, spaventando gli uccelli, che, disturbati da quel suono
sconosciuto, fuggirono in ogni direzione, anche scontrandosi tra di loro!”
–Spiegò Andromeda.
“Che
siano dunque loro? Gli uccelli di Stinfalo?!” –Si
chiese Pegasus, mentre uno stormo di uccelli si era buttato in picchiata,
puntando proprio sui quattro Cavalieri.
Non
erano aquile, ma avevano sembianze rapaci, dalle piume marroni e il becco e gli
artigli affilati, e ardenti occhi rossastri. Gemevano, gracchiavano, in un coro
dissonante di versi striduli, quasi minacciosi, che disturbarono l’udito dei
Cavalieri, risvegliando bruscamente anche Sirio.
“Attenti!”
–Esclamò Andromeda, osservando lo stormo planare su di loro.
Immediatamente
un nugolo di piume marroni si abbatté sui Cavalieri di Atena, piume che, come
Andromeda aveva affermato precedentemente, erano di bronzo e molto affilate e
taglienti.
“Catena
di Andromeda!” –Esclamò il Cavaliere,
liberando la propria arma, che scintillò nella tetra foschia, sovrastando i
visi attoniti degli amici, e disponendosi circolarmente intorno a loro,
fermando le affilate piume e rimandandole indietro.
“Uccelli
eh?!” –Mormorò Phoenix, caricando il pugno destro di ardente energia.
–“Fuggiranno, di fronte al più maestoso di tutti gli uccelli! La fenice
infuocata!!!” –Gridò, balzando in alto e liberando il fiammeggiante uccello.
La
fenice incandescente illuminò l’acquitrino, travolgendo un gruppetto di
creature alate, e spaventando gli altri, che si dispersero guaendo e gracchiando.
I Cavalieri non fecero in tempo a gioire che subito Andromeda li richiamò,
osservando gli uccelli di Stinfalo riunirsi tra di
loro e gettarsi nuovamente in picchiata, con maggiore decisione e impeto.
“Scansatevi!”
–Urlò Andromeda, intimando gli amici di raggiungere la parete rocciosa ed appiattirvisi contro, mentre lui entrò nel pantano,
mettendosi bene in vista, per gli uccelli.
“Attento,
fratello!” –Esclamò Phoenix, con preoccupazione.
Lo
stormo gracchiante di carogne volanti raggiunse Andromeda e gli altri
Cavalieri, scaricando su di loro una violenta e fittissima pioggia di piume di
bronzo, affilate come lame. Pegasus e Phoenix scagliarono pugni di energia
verso l’alto, colpendone parecchie, ma non tutte, mentre Andromeda liberò la
sua scintillante arma, la quale assunse la migliore conformazione difensiva,
quella del Lancio della Rete, già usata per fermare l’Aquila Possente di
Kira, uno dei sette Generali di Nettuno.
Gli
uccelli dalle ali di bronzo furono bloccati dalla rete di Andromeda, che imprigionò
i loro artigli, impedendo loro di riprendere il volo, e prima che riuscissero a
liberare una nuova raffica di piume taglienti, Andromeda lanciò avanti la
catena di offesa.
“Onde
del Tuono, via!!!” –Urlò, mentre la
punta affilata della sua catena sfrecciava nell’aria, moltiplicandosi a
dismisura e colpendo in pieno le bestie intrappolate. La maggioranza degli
uccelli fu ferita e stordita, precipitando nel fango poco dopo, da cui non
riuscirono ad emergere, e questo li fece impazzire, mentre i rimanenti volarono
via, tra i guaiti striduli dei loro compagni.
“Andiamocene
da qui!” –Esclamò Andromeda, con preoccupazione. –“Torneranno quanto prima!”
Pegasus e Phoenix annuirono istantaneamente, incamminandosi verso monte,
seguiti da Sirio, aiutato dagli amici, e da Andromeda stesso.
Camminarono
per un’altra trentina di metri, tra i lontani stridii degli uccelli, quando
giunsero di fronte a quella che un tempo era stata la Settima Casa, residenza
del più anziano e prestigioso Cavaliere d’Oro: Dohko
della Libra. L’antica costruzione era immersa in una conca d’acqua putrida e
stagnante, simile ad una palude, che colava verso il basso, alimentando i
canali e le fenditure che conducevano melma alla Sesta Casa, in un unico grande
sistema di scolo. Sovrastata da piante rampicanti, cresciute disordinatamente
intorno ad essa, arrotolatesi confusamente alle colonne di marmo, la Settima
Casa sembrava quasi spenta in quello spettrale paesaggio.
Grida
improvvise risvegliarono i quattro amici, obbligandoli a volgere lo sguardo
verso l’alto. Stormi di uccelli dalle ali di bronzo piombarono su di loro da
ogni direzione, guaendo furiosamente e lasciando cadere una fitta pioggia di
piume acuminate. Alcuni si buttarono anche in picchiata, tentando di affondare
i loro artigli affilati nelle carni dei giovani Cavalieri.
“Maledizione!
Ma quanti sono?!” –Brontolò Pegasus, concentrando l’energia del cosmo sul pugno
destro e lanciando il Fulmine di Pegasus, presto seguito dal Pugno
Infuocato di Phoenix. Ma per quanto i loro colpi fossero potenti, non
risultavano risolutivi contro i dissonanti uccelli di Stinfalo,
che ne erano essenzialmente disorientati, ma non spaventati.
Fu
Andromeda a prendere nuovamente in mano la situazione, liberando la catena e
ricreando il Lancio della Rete, potenziandolo con la versione Boomerang,
che gli permise di colpire molti rapaci ancora in volo.
Improvvisamente
un grido più stridulo degli altri echeggiò nell’aria, obbligando i Cavalieri a
tapparsi le orecchie, tanto era penetrante e frastornante. Approfittando della
distrazione dei quattro, un immenso uccello piombò su Andromeda, affondando i
propri artigli affilati sul coprispalla sinistro
della sua corazza, graffiandolo in più punti e riuscendo perfino a penetrarlo,
raggiungendo la giovane carne al di sotto.
Quando Andromeda
si riprese dallo stordimento, si accorse con orrore che l’uccello che lo stava
ferendo alla spalla sinistra era in realtà un uomo, vestito come i rapaci che
volteggiavano sopra di loro, ed aveva un ghigno di sfida sul volto. Con
destrezza Andromeda svincolò la catena, che afferrò un artiglio, cioè una gamba
dell’uomo, tirandolo indietro e liberando la spalla del ragazzo, mentre l’uomo
volteggiava via con le proprie immense ali, strattonando la catena e
riprendendo quota, presto seguito e protetto dalle altre rapaci creature.
“Ihihih. Benvenuti
nella Palude di Stinfalo... ih ih...
Cavalieri…” –Esclamò l’uomo, con voce stridula e
acuta. – “Possa essere per voi la fine del viaggio!”
“Ma
senti quel gallinaccio…” –Brontolò Pegasus, deciso a
dargli battaglia. Ma Andromeda lo fermò, con un tono di voce decisa e sicura.
“No!
Passate oltre! Affronterò io costui! Sono il più indicato per respingere gli
assalti degli uccelli di Stinfalo!”
“Vuoi
nuovamente combattere?!” –Domandò Pegasus, e poi, visto che Phoenix sembrava
disinteressato alla cosa, si rivolse a lui con preoccupazione. –“E tu, non dici
niente a tuo fratello?!”
“Non
credo che abbia bisogno dei miei consigli!” –Sorrise Phoenix, iniziando ad
incamminarsi nell’acquitrino. –“Ultimamente se la cava piuttosto bene anche da
solo!”
“Andromeda,
ascoltami, non voglio che tu rischi la vita inutilmente... se vuoi lenire
qualche vecchio senso di colpa, non è proprio il caso…”
–Esclamò Pegasus.
“Ehi,
Pegasus! Non preoccuparti! Non ho intenzione di fare come la lepre, e gettarmi
nel fuoco per sfamare il vecchio viandante! –Sorrise Andromeda, lusingato che
l’amico si preoccupasse per lui. –“I tempi delle indecisioni e della mia
riluttanza a combattere sono terminati! Amaramente terminati! Da quando i
nemici che ci siamo trovati ad affrontare hanno palesemente dichiarato di voler
distruggere tutto ciò in cui credo: l’amore, la giustizia, la libertà! Contro
uomini simili, pari in tutto e per tutto a delle bestie, non posso avere dubbi!
No… Non ho alcun dubbio sul mio scopo finale!”
Prima
che Pegasus potesse aggiungere altro, l’uomo mascherato da uccello diede
l’ordine all’intero stormo di attaccare. Rapidi come fulmini, gli uccelli della
palude piombarono sui quattro amici, scagliando nugoli di piume appuntite,
mentre grida spaventevoli laceravano l’aria.
“Attenti!”
–Gridò Andromeda, srotolando nuovamente la propria catena. –“Lancio della
Rete!” –E l’arma si dispose in modo da catturare un buon numero di rapaci.
–“Boomerang!” –Gridò ancora, mentre gli amici si lanciavano in una folle
corsa nella palude oscura, cercando di raggiungere l’ingresso della Settima
Casa.
Numerosi
rapaci caddero nella melma, abbattuti dall’impetuoso e rapido guizzare della Catena
di Andromeda, che non esitava un momento, sicura sul proprio obiettivo.
“Ih
ih... Affonderò i miei artigli nel tuo cuore!” –Sibilò l’uomo vestito da
uccello, piombando in picchiata su Andromeda, il quale fu svelto a ricreare la
sua difesa.
Ma l’uomo,
avendola vista altre volte, vi passò all’interno, evitando la stringente
trappola e portandosi a ridosso del ragazzo. Con violenza strinse i suoi
affilati artigli intorno al collo di Andromeda, piantandoli nel collare
protettivo della sua armatura, mentre con le braccia afferrava due stiletti
nascosti tra le piume della sua veste, chinandosi per piantarli nel cranio del
ragazzo.
La
Catena di Andromeda, per quanto impegnata a difendersi dagli assalti dei
rapaci di Stinfalo, saettò immediatamente nell’aria,
avvertendo il pericolo in cui si trovava il proprio padrone, afferrando in
tempo entrambe le braccia del guerriero, prima che gli stiletti raggiungessero
il cranio di Andromeda. Con un grande sforzo, il guerriero di Ares riuscì a
resistere alla doppia violenza, quella delle catene alle proprie braccia, e
quella delle braccia di Andromeda alle proprie gambe artigliate, che cercava di
liberarsi per non soffocare. Acrobaticamente, l’uomo si lasciò cadere
all’indietro, portandosi con il viso tra le gambe del Cavaliere di Andromeda e
piantando nel suo ginocchio destro un acuminato stiletto. Non ebbe il tempo di
piantare anche il secondo perché fu afferrato bruscamente dalle catene e
lanciato via, liberando così anche Andromeda dalla stretta morsa dei suoi
artigli.
Il
Cavaliere si accasciò a terra, urlando e gemendo di dolore, prima di togliersi
l’affilato pugnale che lo aveva ferito ad un ginocchio. Un fiotto di sangue
uscì fuori improvvisamente, sporcando la candida Armatura Divina che indossava,
e per un momento gli parve quasi di svenire.
Il
guerriero si lanciò avanti in quell’istante, brandendo l’affilato stiletto, ma
fu fermato dalle guizzanti Catene di Andromeda, le quali, quant’anche il
loro padrone si stesse accasciando a terra in una pozza di sangue, si disposero
intorno a lui per difenderlo, scivolando sul terreno come guizzanti serpenti.
Vedendo il berseker dimenarsi come un pazzo, stretto
nella morsa delle sue catene, e sentendo che il proprio potere, e il proprio
controllo su di esse, stava crollando per la debolezza, Andromeda bruciò il suo
cosmo rosato, concentrandolo sul palmo destro.
“Onda
Energetica!” –Gridò, liberando
guizzanti fulmini di energia, che centrarono in pieno il guerriero di Ares,
scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare nelle torbide acque della
palude.
Andromeda
si lasciò cadere nella melma, ritrovandosi con la faccia nel fetido pantano,
mentre il dolore al collo, alla spalla e soprattutto al ginocchio aumentò a
dismisura. Sentì che Pegasus, Sirio e suo fratello avevano lasciato il Settimo
Tempio, e di questo fu felice, anche se proprio quello lo spinse per un momento
a lasciarsi andare, ad abbandonarsi alla morte, consapevole che non avrebbe
dovuto combattere per difendere nessuno.
No! Si disse, reagendo e cercando di rimettersi in
piedi. Ho promesso a Pegasus, e a mio fratello che ha avuto fiducia in me,
che non avrei gettato via la mia vita! E non ho intenzione di farlo, non
adesso, che ci stiamo avvicinando ad Ares! Non adesso, che il mondo necessita
di giovani che combattano per rendere luce al sole! Non adesso, che ho
l’opportunità di avere la famiglia che non ho mai avuto!
Con
forte determinazione, e stringendo i denti per il dolore, Andromeda si rimise
in piedi, barcollando nel fetido pantano. Il guerriero di Ares, custode della
Palude di Stinfalo, lo stava aspettando, librato in
aria sopra di lui, circondato da un raccapricciante stormo di uccelli
infernali, rapaci affamati della sua giovane carne.
Capitolo 20 *** Capitolo diciottesimo: Il toro di Creta ***
CAPITOLO DICIOTTESIMO. IL TORO DI
CRETA.
Andromeda
stava roteando vorticosamente la propria scintillante catena, disposta a cerchi
concentrici intorno a lui, evitando i continui assalti degli uccelli della
Palude di Stinfalo, che volevano raggiungere il
ragazzo e trafiggerlo con i loro affilati artigli.
Il
guerriero che custodiva la Palude di Stinfalo
sghignazzava maldestramente, sospeso in aria poco distante, osservando la scena
che tanta estasi portava nel suo cuore malato. Era un uomo alto, di corporatura
media, quasi gracile confrontato alla media dei suoi parigrado, con un viso
bianco e scavato, piccoli occhi scuri ma capaci di vedere molto lontano,
persino al di là delle nebbie che circondavano il Grande Tempio, orecchi tesi,
atti a captare il minimo movimento improvviso, e radi capelli grigi.
Era
completamente rivestito da una cotta marrone, dalla forma simile a quella di un
immenso uccello, con le braccia ricoperte da un’intelaiatura a cui erano
affisse delle grandi ali, che l’uomo sbatteva freneticamente per volare; le
gambe terminavano in gambali a forma di inquietanti artigli acuminati, proprio
come quelli delle bestie di cui era il padrone, dando al guerriero una forma
più animalesca che umana. Non aveva nome, come i guerrieri dell’Idra di Lerna e del Leone di Nemea, tanto poca era la
considerazione che Ares aveva di loro, ma dagli altri berseker
era chiamato, con chiaro intento dispregiativo, il Custode della Palude di Stinfalo, o più semplicemente il Custode. Un ruolo che, era
a tutti evidente, nessuno avrebbe voluto occupare, a causa delle tossiche
esalazioni provenienti dall’acquitrino. Acquitrino che lui stesso e Augia avevano realizzato, creando un’unica grande palude
infernale sul versante medio della Collina della Divinità, tra le Case di Virgo e di Libra, la prima distrutta, la seconda
abbandonata e in rovina.
“Iiik…” –Le grida stridule degli infernali uccelli
risuonarono nell’intera palude, mentre la furia della Catena di Andromeda
piombava su di loro, cercando di scacciarli.
Con
uno scatto improvviso, il guerriero di Ares balzò avanti, lanciandosi contro la
Difesa Circolare, stupendo lo stesso Andromeda che pensò ad un atto di
suicidio. Ma il guerriero di Stinfalo scagliò
centinaia e centinaia di piume dall’aspetto bronzeo contro la Catena di
Andromeda, una pioggia così fitta che da lontano uno spettatore estraneo
avrebbe potuto scambiare Andromeda per un covone, da tanto che era ricoperto di
piume. Nessuna di esse riuscì a penetrare l’inaccessibile barriera
rappresentata dalla sua catena rotante e Andromeda ne fu contento, quando
realizzò che la sua arma sembrò girare con maggiore lentezza, con maggiore
pesantezza.
“Uh?!”
–Si domandò il Cavaliere, mentre il guerriero di Stinfalo
sogghignava malignamente. Ma prima che riuscisse a comprende cosa fosse
accaduto, fu colpito in pieno viso da un violento calcio dell’uomo, che lo
spinse indietro, ferendolo malamente sul volto e facendolo sanguinare.
“Ihihih... Pianterò
i miei artigli nel tuo dolce visino!” –Sghignazzò il berseker,
saltando in avanti, sospinto dalle sue ali.
Andromeda,
vedendo il berseker brandire un affilato stiletto, fu
svelto a rotolare nel terreno fangoso, mentre il guerriero di Stinfalo piombava su di lui; tentò di imprigionarlo con la
sua catena, ma si accorse, finalmente, che non riusciva più ad usarla.
La
Catena di Andromeda era completamente ricoperta di piume marroni, che si
erano infilate tra gli anelli lucenti che la componevano, appesantendola e
rendendo impossibile il suo utilizzo. Andromeda, stupefatto, tentò di
scuoterla, di rianimarla, ma sentì la pesantezza della stessa, bloccata in quel
fango fetido dalle piume di Stinfalo.
“Sta’
fermo, bel bocconcino!” –Balzò in avanti il guerriero, puntando al cuore di
Andromeda con lo stiletto.
Le
guizzanti saette di pura energia travolsero il guerriero di Stinfalo,
spingendolo indietro, facendolo rotolare nella melma da lui stesso creata,
mentre Andromeda riprendeva un attimo fiato, ancora sconvolto dalla perdita di
controllo sulla catena.
“Non
è possibile…” –Mormorò tra sé, concentrando i propri
sensi.
“Non
sforzarti, Cavaliere!” –Esclamò il Custode della Palude, rimettendosi in piedi.
–“È pesante la tua catena… Grave è il peso delle
piume di Stinfalo, per chi non è in grado di
sopportarlo!”
“Non
basteranno certo le tue piume a fermare la Catena di Andromeda!”
–Esclamò il ragazzo, cercando di mostrare baldanza, per quanto insicuro fosse
in quel momento.
“Forse
no… ih ihih… ma la bloccheranno quel tempo che basta per
ucciderti!!!” –Gridò il berseker con voce stridula,
scattando nuovamente avanti.
Andromeda
concentrò ancora il cosmo sulla mano destra, scaricando l’Onda Energetica contro
il guerriero, ma questi, astutamente, si richiuse su se stesso, coprendosi il
volto con il lungo piumaggio delle sue ali, e lasciando che le saette di
Andromeda si schiantassero sulla sua corazza pennuta, venendo respinte.
“Cosa?!”
–Strillò Andromeda, mentre anche la sua seconda tecnica veniva neutralizzata.
“Adesso… sei mio… ih ih…” –Ghignò il guerriero di Stinfalo,
riaprendo nuovamente le sue braccia e balzando con una piroetta aerea sul
Cavaliere.
Rapidamente
lo sbatté a terra, afferrandogli il collo con le sue mani ossute, ma forti e
assetate di sangue, mentre i suoi piedi, ricoperti da metallici artigli
affilati, si piantavano nelle gambe del Cavaliere, bloccando i suoi movimenti.
Stringendo il collo di Andromeda, piantando le sue affilate unghie dentro la
sua tenera pelle, il guerriero di Stinfalo cercò di
soffocarlo nel fango, spingendolo sotto, impedendogli di respirare, mentre
l’adorato stormo dei suoi uccelli volteggiava sopra di loro, pronto per
banchettare del succulento sangue del cadavere.
“CaughCaugh...” –Tossì Andromeda,
spaventato e sorpreso da quel repentino succedersi di fatti. Gli doleva il
corpo in vari punti, ferito e infettato dagli artigli del guerriero di Stinfalo, impossibilitato a muoversi, bloccato a terra, in
quella putrida massa di fango che gli stava entrando nelle narici, nelle
orecchie, in gola, impedendogli di respirare. Ma soprattutto era stupefatto
della perdita di vitalità della catena.
Non
era la prima volta che qualcuno la fermava. Anche Mime
ci era riuscito ad Asgard, semplicemente perché la catena, sentendo il suo
cuore nobile, non lo aveva considerato un nemico da affrontare; e c’era
riuscito pure Polluce, pochi giorni prima, usando i
suoi poteri mentali che gli permettevano di controllare oggetti inanimati e
animali. Ma che vi fosse riuscito il guerriero di Stinfalo,
per Andromeda, aveva dello sconvolgente. Lui che era un bieco assassino, senza
nobiltà d’animo né, per quello che aveva potuto avvertire, disponeva di poteri
mentali. Lui che era pari ad una bestia, come i più infidi e sanguinari berseker, aveva potuto fermare la sua micidiale arma, la
sua compagna indivisibile di mille avventure: la Catena di Andromeda.
Non…
posso crederci… Mormorò il Cavaliere, rantolando nella fanghiglia.
Poteva sentire il fetido alito del guerriero sibilare risate isteriche a pochi
passi dal suo volto, mentre le sue ossute dita stringevano il suo collo,
affondando in esso i suoi avvelenati artigli. No…
non ci credo! Urlò, espandendo al massimo il suo cosmo rosato.
Un’improvvisa
esplosione di energia travolse il guerriero di Ares, scaraventandolo indietro
di parecchi metri, addirittura fino a farlo sbattere contro le colonne del
Tempio di Libra, abbattendone un paio. Persino il fango intorno ad Andromeda fu
spazzato via, travolto da quell’inaspettata esplosione di energia cosmica.
Energia che Andromeda portava dentro, come Albione ben gli aveva insegnato a
controllare, e cha adesso avrebbe liberato, incapace di sopportare ancora le
angherie e le violenze del suo nemico.
“Catena
di Andromeda!” –La chiamò, bruciando il suo vasto cosmo. –“Svegliati! Le piume
degli uccelli stinfalii troppo a lungo ti hanno fatto
dormire! È tempo che tu torni a vivere! Per Atena che ha bisogno di noi!
Svegliati, Catena di Andromeda!” –Esclamò con voce decisa, espandendo ancora la
sua aura cosmica, che invase l’intera palude antistante alla Settima Casa.
L’arma
fu percorsa da una violenta scossa energetica, che travolse e bruciò sul colpo
le piume di Stinfalo, svincolandola da quella fetida
prigionia, prima di ricominciare a guizzare libera nell’aere.
“Maledetto… Muori!” –Sibilò il guerriero di Ares,
lanciandosi contro di lui, accompagnato dall’intero stormo di uccelli
infernali.
“Adesso… vai, Catena di Andromeda, nella tua ultima
configurazione! Melodia scintillante di Andromeda!”
Avvolta da
lucenti fulmini di energia cosmica, la Catena di Andromeda scivolò
nell’aria, moltiplicandosi in infinite copie, assumendo ogni conformazione atta
a fermare l’assalto degli Uccelli di Stinfalo. Tutti
furono travolti, fermati, stritolati, penetrati dalla furia della catena, che
trapassò persino il mantello piumato che il guerriero di Ares usava come difesa,
dilaniando le proprie carni, facendolo precipitare al suolo, mentre tutto
questo si accompagnava a un delicato suono. Un suono sconosciuto, che gli
Uccelli di Stinfalo non avevano mai udito, come
nell’Antica Grecia non avevano udito le nacchere di Efesto,
provocato dall’armonico scintillare della Catena di Andromeda, che
risuonava di celeste melodia.
Quando tutto fu
finito, e gli ultimi uccelli si dettero alla fuga, spaventati da quell’ignoto
bellissimo suono, Andromeda ritirò lentamente la sua arma, fida compagna di
quell’ultima avventura, mentre il custode dell’oscura palude tentava di
rimettersi in piedi. Emerse dal fango, come un’orrida apparizione, grondante
sangue e melma, e con voce più stridula che mai. Sollevò uno stiletto, cercando
di incamminarsi verso Andromeda, ma non riuscì a fare neppure tre passi che
cadde avanti, nella fetida melma, che accolse il suo corpo, risucchiandolo per
sempre.
Andromeda
sospirò, in parte sollevato dalla fine della cruenta battaglia, in parte
dispiaciuto, come ogni volta in cui aveva dovuto dare la morte in nome della
giustizia. Si tastò il collo dolorante e sentì ancora sangue uscire fuori dalle
ferite; tentò di raggiungere Pegasus e gli altri, ma si accorse di essere
troppo debole per camminare. Con rammarico, si lasciò cadere con la schiena a
una colonna, bisognoso di riposarsi e riprendere assolutamente fiato.
***
Che l’Ottava
fatica fosse il Toro di Creta Pegasus e compagni lo avevano ben presente, fin
da quando avevano lasciato la Settima Casa, uscendo finalmente dalla melmosa
palude che aveva inquinato il versante medio della Collina della Divinità.
Pegasus e Phoenix aprivano la strada, correndo lungo la scalinata, seguiti con
qualche difficoltà, e maggior lentezza, da Sirio, ancora debole per lo scontro
sostenuto con Diomede, alla Casa di Leo.
Prima ancora di
entrare nell’antica casa dello Scorpione, i tre amici sentirono una potente e
ostile emanazione cosmica venire loro incontro, da un lato invitandoli a
proseguire, aspettandoli con baldanza tra le mura dell’Ottavo Tempio, dall’alto
cercando di farli desistere, magari di inquietarli, ostentando il proprio
cosmo.
“Non servirà!”
–Esclamò Pegasus, entrando nella navata centrale della Casa di Scorpio.
“Tu credi?!” –Gli
rispose una voce maschile, molto gutturale.
In piedi, in
mezzo al vasto corridoio, proprio dove Cristal aveva
affrontato Scorpio l’anno precedente, c’era un uomo
alto e muscoloso, un vero colosso, come Pegasus e gli altri lo avevano
immaginato. Grosso come un bue, il guerriero di Ares sembrava una copia
malvagia del rimpianto Cavaliere del Toro, per quanto sembrasse ancora più alto
e dalle forme più animalesche. Indossava un’armatura scarlatta, dalle forti
sfumature color ocra, adornata da due possenti coprispallastondati su cui erano affisse sinuose corna bovine;
l’elmo, dalla rozza forma di una roccia, copriva l’intero cranio, lasciando
scoperto solo il viso, su cui splendevano occhi scuri e determinati.
“Il Toro di
Creta, immagino!” –Commentò Pegasus, fermandosi a una decina di metri dall’uomo.
Il guerriero di
Ares non rispose, scattando avanti a una velocità impressionante, al punto che
Pegasus, Dragone e Phoenix non riuscirono a staccare i piedi dal pavimento e
furono travolti e scaraventati lontano. Quando si rialzarono, trovarono il
possente berseker in piedi sopra di loro, che li
osservava con uno sguardo pieno di superiorità e di compassione.
Incredibile! Mormorò Pegasus. Nonostante la sua
massa, si muove ad una velocità impressionante! Ci ha caricato, come un toro
furioso, senza lasciarci tempo alcuno per riflettere, per spostarci, neppure
per pensare ad un modo per parare il suo assalto!
I pensieri del
paladino furono interrotti da una nuova carica del berseker
che puntò impetuosamente contro Sirio e Phoenix, in piedi sul lato destro della
sala. Anche quella volta i due Cavalieri vennero travolti e scaraventati
lontano, fino a sbattere contro le mura del Tempio dello Scorpione, mentre il
gigantesco bue di Ares continuava la sua folle corsa abbattendo un paio di
colonne.
“Sirio!
Phoenix!!!” –Urlò Pegasus, osservando gli amici che non si rialzavano.
“Non temere per
loro! È della tua vita che devi avere cura, adesso!” –Parlò finalmente il
guerriero del Toro di Creta.
Senza altro
aggiungere il muscoloso berseker caricò nuovamente
Pegasus, il quale, mostrando maggiore attenzione, quella volta riuscì a vedere
in che modo il guerriero si lanciava contro di lui. La troppa concentrazione
però penalizzò i suoi riflessi, permettendo al Toro di Creta di portarsi di
fronte a lui e travolgerlo, scaraventando Pegasus contro le colonne del tempio,
abbattendole.
Il Cavaliere
ricadde sul pavimento di marmo, perdendo l’elmo dell’armatura e sbattendo la
nuca con violenza. Incurante del dolore si rimise in piedi, bruciando il
proprio cosmo. Era rimasto affascinato dalla tecnica del berseker,
il quale, per attaccare, si trasformava in una grossa pietra, in un masso
marrone che rotolava velocissimo verso il suo nemico, travolgendolo
impetuosamente.
Pegasus ansimò,
ricordando un nemico affrontato in precedenza che usava una tecnica simile: Serian di Orione, un Cavaliere d’Argento dei tempi antichi,
che la Dea della Discordia aveva richiamato in vita lo scorso anno, per farne
un guerriero ombra al suo servizio. Serian saltava in
aria, roteava su se stesso, diventando un incandescente nucleo che sfrecciava
verso l’avversario, colpendolo con la punta del piede. Il Toro di Creta
invece, rifletté Pegasus, si china su se stesso, rotolando sul
pavimento, come un grande masso, come un pietra rotolante alla velocità della
luce.
In un attimo il
guerriero di Ares si lanciò nuovamente all’attacco, una rozza sagoma marrone
diretta verso Pegasus, il quale, quella volta, decise di rispondere con il suo
pugno lucente.
“Devo fermarlo! Fulmine
di Pegasus!” –Esclamò il Cavaliere di Atena, scattando avanti, incontro al
suo nemico.
Ma le migliaia di
colpi luminosi di Pegasus non raggiunsero il guerriero di Ares, che rotolando
su se stesso evitò tutte le stelle cadenti, troppo lente rispetto ai suoi
spostamenti. Nuovamente fu su Pegasus e nuovamente lo travolse, scagliandolo
lontano, addirittura fuori dall’Ottavo Tempio.
Pegasus ricadde
sulla scalinata d’ingresso, rotolando malamente sul freddo marmo, mentre la sua
corazza divina accusava il colpo, scricchiolando in più punti. Era stata una
botta notevole, in pieno sterno, da distanza ravvicinata, e se non fosse stato
per il mithril, che Efesto
aveva donato loro, l’armatura avrebbe probabilmente ceduto in più punti.
Passi grevi
risuonarono nell’atrio del tempio, accompagnando il cammino del guerriero di
Ares, che intendeva porre fine alla vita del giovane pupillo di Atena.
Quando il Toro di
Creta si affacciò sulla porta dell’Ottava Casa trovò Pegasus già in piedi, alla
base della piccola scalinata di marmo, ansimante e con il volto segnato da
rivoli di sangue.
“Sei pronto alla
morte, Cavaliere?!” –Esclamò il guerriero, senza troppo scomporsi. –“Porterò la
tua testa al Sommo Ares, vendicando anche il mio creatore Nettuno!”
“Il tuo
creatore?!”
“Naturalmente!
Non conosci la leggenda del Toro di Creta?!” –Gli domandò il guerriero,
dall’alto della scalinata. –“Minosse, Re di Creta, conquistò il trono a danno
dei suoi fratelli, Radamante e Sarpedonte,
e a conferma del suo diritto al trono chiese a Nettuno di far emergere un toro
dal mare, con la promessa di sacrificarlo! Il Dio accondiscese alla sua
richiesta, ma vista la bellezza del sacro animale, Minosse tenne per sé la
bestia, attirando le ire di Nettuno, che instillò nell’animo della moglie del
re una morbosa passione per il toro, al punto da unirsi a lui, generando il Minotauro!”
“Mio Dio...”
–Commentò Pegasus, approfittando di quel momento per recuperare le forze.
“Reso folle e
furioso dal Dio, il toro lasciò Creta, iniziando a devastare villaggi e a
travolgere uomini innocenti, finché Eracle, incaricato da Euristeo,
non lo fermò, portandolo a Micene!”
“Fosti domato
dunque, eh?!” –Sorrise Pegasus, con aria di sfida.
“No! Neppure il
sommo Eracle riuscì a vincere il possente toro, limitandosi a catturarlo
provvisoriamente, per condurlo da Euristeo, che lo
dedicò ad Era, rimettendolo poi in libertà!Era tuttavia, considerando odioso un dono che
le ricordava la gloria di Eracle, guidò il toro prima a Sparta e poi a Maratona
in Attica, dove Teseo lo trascinò ad Atene per sacrificarlo ad Atena!”
“E adesso hai
rinunciato alla tua bella libertà per servire quel fanatico di Ares, eh?!”
“Ti sbagli! È
proprio per riavere la mia libertà che ho accettato di servire il Dio della
Guerra! Dopo che Era mi aveva maledetto, che Nettuno mi aveva rifiutato, e che
Atena mi aveva fatto cacciare da Teseo, dopo la mia fuga da Micene, avevo perso
ogni fede, ogni speranza! Fu Ares, trovandomi, a incanalare la mia rabbiosa
furia verso nuovi obiettivi!”
“E ne vai fiero?!
Portare la morte in nome di Ares significa avere la libertà?!”
“Taci,
ragazzino!” –Lo zittì il berseker, espandendo il
proprio cosmo. –“Tu ancora non conosci il disprezzo divino, il sentirsi
rifiutati dal proprio Padre celeste; ma con le tue azioni irrispettose, con il
tuo agnosticismo battagliero presto ti attirerai l’odio degli Dei, e allora
capirai quanto desiderosa sia la libertà!”
Senz’altro
aggiungere, il guerriero di Ares si preparò a caricare nuovamente Pegasus,
dall’alto della scalinata, assumendo la forma di tozza roccia, mentre il
Cavaliere di Atena bruciava il suo cosmo come non mai, deciso a fermare la sua
folle corsa. La pietra rotolante puntò su Pegasus a gran velocità, ma quella
volta incontrò la tenace resistenza del cosmo del ragazzo, il quale portò
entrambe le braccia avanti per contenere l’impatto con il guerriero di Ares.
“Come… come riesci a fermare il Toro di Creta?!” –Tuonò il berseker, spingendo ancora per travolgere Pegasus. Ma
questi non rispose, risparmiando il fiato e continuando a opporre resistenza.
La devastante
potenza del toro stava lentamente spingendo Pegasus indietro, mentre i suoi
piedi scavavano solchi nel pavimento del piazzale, obbligando il Cavaliere ad
un enorme sforzo fisico.
Per un momento
Pegasus ricordò i giganti che aveva affrontato nelle sue tante battaglie, da Geki dell’Orsa, durante la Guerra Galattica, ad Aldebaran del Toro, fino a Thor, nobile Cavaliere di
Asgard. E su tutti aveva vinto, forte del potere di Atena e delle stelle che
albergano dentro di lui. E saprò vincere anche questo colosso! Mormorò,
stringendo i denti. Iaiiii!!! Ed espanse
ancora il proprio cosmo, portandolo ai limiti estremi della galassia, come il
suo maestro, Castalia dell’Aquila, le aveva insegnato, e come le avventure
successive gli avevano permesso di superare.
“Non esistono
limiti al cosmo di un Cavaliere!” –Gli aveva spiegato una volta Castalia.
–“Teoricamente esso è infinito! Un immenso potenziale sopito, che solo l’animo
puro di un Cavaliere che combatte per la giustizia può risvegliare! Trova dentro
di te la forza per sconfiggere i tuoi nemici, Pegasus!”
Sì! Lo farò,
Castalia! Mormorò il
ragazzo, spingendo sempre di più. Con determinazione, piantò i piedi saldamente
a terra, concentrando il cosmo sulle braccia, riuscendo a frenare la devastante
spinta del guerriero di Ares, il quale, stupefatto da un simile prodigio, ebbe
un attimo di esitazione.
Pegasus, il cui
cosmo aveva raggiunto proporzioni quasi divine, allentò la presa con il braccio
destro, sul cui pugno concentrò la sua energia lucente, riuscendo a contrastare
la carica del toro con il solo braccio sinistro, prima di scagliare un violento
attacco da distanza ravvicinata.
“Fulmine di
Pegasus!!!” –Gridò, mentre
una fitta pioggia di stelle cadenti si abbatteva sulla pietra rotolante, che,
colpita da distanza così ridotta, venne spinta indietro, con una violenza tale
da schiantarsi sulla scalinata del Tempio.
Incredibile! Mormorò il guerriero del Toro di Creta,
sprofondato nella fossa che il suo possente corpo aveva scavato nel marmo. Non
riesco a credere che un uomo abbia potuto respingermi in così brutale modo! Rifletté,
mentre il suo elmo marrone andò in frantumi, rivelando il cranio sanguinante
del berseker.
A fatica,
respirando affannosamente, il guerriero di Ares tentò di rialzarsi, di uscire
da quell’indegna fossa, cercando il Cavaliere con lo sguardo e immaginando di
trovarlo di fronte a lui, accasciato in terra, debole per lo sforzo. Ma fu
tremendamente sorpreso di non vederlo.
Un brivido corse
lungo la sua schiena, un brivido che accompagnò il robusto tocco di mani decise
che lo afferrarono da dietro, bloccando i suoi movimenti e trascinandolo in
alto.
“Spirale di
Pegasus!” –Urlò il ragazzo,
volteggiando nel cielo sopra l’Ottava Casa, come una scintillante cometa che
prestò ricadde verso il terreno.
“Aaaargh!!!” –Gridò il Toro, disorientato da una simile
tecnica. –“Così rozza, così rischiosa…” –Mormorò,
prima di schiantarsi rovinosamente sul pavimento di marmo, scavando un’altra
fossa col proprio corpo. –“Così vincente!”
Pegasus ricadde
compostamente al suolo, aiutato anche dalle ali della sua Armatura Divina, e
per un momento fu tentato di lasciarsi cadere in ginocchio, per riprendere
fiato. I colpi ricevuti allo sterno e all’addome lo facevano respirare a
fatica, e lo sforzo a cui era stato sottoposto, sia per contrastare la
rotolante pietra umana, sia per utilizzare la Spirale di Pegasus, lo
avevano indebolito parecchio. La profonda voce del guerriero di Ares lo riportò
in battaglia, nel piazzale antistante l’Ottava Casa.
“Mi avevano
parlato di te, Cavaliere di Pegasus. Flegias ti aveva
descritto come un ragazzino irrispettoso, irriverente, incapace di accettare i
destini decisi dagli Dei… il che non è poi così
distante dal vero! Mi aveva incuriosito questa tua descrizione, e così scelsi
di aspettarti, sapendo che saresti arrivato certamente all’Ottava Casa! Volevo
capire cos’era che ti rendeva così insolente verso gli Dei, così determinato a
perseguire i tuoi interessi, la tua strada, anche a costo di metterti contro la
stirpe divina?!”
“La mia strada
segue un ideale di giustizia e di libertà, incarnati dalla Dea in cui credo,
Atena! Ma per te che hai rinunciato ad essi molto tempo fa, quando fosti reso
folle e furioso da Nettuno, vendendo l’anima al Dio delle atroci guerre, credo
sia impossibile comprenderlo!” –Affermò Pegasus, bruciando ancora il proprio
cosmo, azzurro e luminoso.
Il Toro di Creta
non rispose, facendo altrettanto, e osservando di sottecchi il ragazzo muovere
velocemente le braccia di fronte a sé, quasi a comporre un disegno nell’aria.
“Brucia cosmo
delle tredici stelle!” –Esclamò il Campione di Atena, raffigurando la sua
costellazione. –“Splendi, Fulmine di Pegasus!” –E una pioggia di lucenti
pugni si abbatté sul guerriero di Ares, il quale, forte della sua resistenza e
velocità, seppe pararli tutti, spegnendoli con i palmi uno ad uno.
“Uh?! Come?!”
–Sgranò gli occhi Pegasus, stupito da una simile maestria.
“Dovrai fare di
più per abbattere il Toro di Creta!” –Commentò il guerriero, ma non in tono di
scherno, bensì con l’aria rassegnata di un uomo dominato dai sensi di colpa.
“Lo farò!”
–Strinse i pugni Pegasus, mentre il suo cosmo azzurro invadeva l’intero
spiazzo, e la sagoma del maestoso cavallo alato appariva dietro di lui.
“Bene!” –Commentò
il toro, prima di roteare nuovamente su se stesso, assumendo la tozza forma
della pietra rotolante. –“Carpe Diem! Perché non
avrai altre occasioni!” –Con tutto il suo potere, il berseker
si lanciò verso Pegasus, veloce ed energico come mai era stato prima, obbligando
il Cavaliere di Atena ad un unico modo per poterlo fermare.
“Cometa… lucente!” –Urlò Pegasus, concentrando tutto il cosmo in un solo colpo.
La scintillante
cometa saettò nel piazzale scontrandosi in pieno con l’ammasso roccioso
rappresentato dal Toro di Creta e fermando, con molta fatica, la sua avanzata.
Il guerriero di Ares venne sollevato, trapassato dalla devastante meteora
luminosa, e ricadde a terra, molti metri addietro, tra i frammenti insanguinati
della sua corazza. Un immenso buco era apparso sul suo petto, ancora fumante
per l’energia sprigionata. A fatica, il guerriero boccheggiò sul pavimento,
volgendo lo sguardo verso il cielo, chiamando il Cavaliere di Atena con un filo
di voce.
“Non ho
dimenticato il valore della libertà, Cavaliere di Pegasus! Sono solo stato
troppo arrabbiato con gli Dei per il destino che mi avevano riservato, o troppo
debole e indolente per tentare di cambiarlo, da lasciarmi accecare dai fatui
bagliori di gloria promessami da Ares!” –Mormorò, prima di chiudere gli occhi.
“Che tu possa
trovare la via per il paradiso dei Cavalieri!” –Commentò Pegasus,
inginocchiandosi accanto al suo corpo distrutto. –“Più di molti altri, sei
degno di riposarvi!”
Dopo un ultimo
sguardo di commiato, si volse verso l’ingresso dell’Ottavo Tempio, per tornare
dai propri amici, ma non riuscì a raggiungerlo, crollando al suolo, esausto per
lo sforzo, mentre una leggera pioggia iniziava a cadere sul Grande Tempio di
Atene. Una pioggia che avrebbe lavato gli insanguinati scalini delle Dodici
Case, mondandoli dalla violenza che vi si era consumata. Violenza che ancora
non era giunta al suo termine.
Phantom
dell’Eridano Celeste era il miglior Luogotenente
dell’Olimpo che Zeus aveva mai avuto fin dall’epoca mitologica. E l’unico
mortale, privo di sangue divino, che era mai stato capace di raggiungere tale
ruolo, contando soltanto sulla propria forza, saggezza e onestà. Zeus lo aveva
notato molti anni addietro, in occasione di giochi olimpici organizzati ad
Atene, in cui il ragazzo aveva vinto numerose prove, sbaragliando i propri
avversari.
“Quel
ragazzo farà strada!” –Gli aveva sussurrato Ermes, intento quanto il Dio ad
osservare il giovane atleta.
“Ne
sono convinto, amico mio!” –Aveva risposto Zeus, accennando un sorriso.
–“Sarebbe un ottimo Cavaliere Celeste! Non mi dispiacerebbe averlo nelle mie
legioni!” –E così Ermes, su incarico di Zeus, si era messo sulle tracce del
giovane, indagando sul suo conto, e scoprendo che proveniva da una famiglia di
pastori che viveva proprio alle pendici meridionali del Monte Olimpo, in una
tranquilla vallata dove Phantom aiutava suo padre
nell’allevamento e nella cura delle pecore.
Immensa fu la sorpresa sul volto del ragazzo, allora
quindicenne, quando Ermes apparve davanti a lui, ricoperto dalla sua
scintillante Veste Divina, in quel lontano pomeriggio di primavera. E maggiore
fu lo stupore quando udì la proposta del Messaggero, che gli chiedeva di
seguirlo sull’Olimpo, se avesse voluto, per entrare a far parte dell’Esercito
Celeste.
“Se accetti la mia offerta, giovane Phantom,
inizierai un duro allenamento, un intenso e faticoso addestramento, che ti
permetterà di sviluppare non soltanto i muscoli e la forza fisica, ma anche il
tuo acume, la tua strategica astuzia, e amplierà il tuo sapere, sommergendoti
di conoscenza e di virtù!” –Gli aveva parlato Ermes. –“Ma tutto questo richiede
un prezzo, quello dell’onore, del senso del dovere che dovrai dimostrare al tuo
Signore, il Sommo Zeus dell’Olimpo, colui che ha richiesto la tua presenza
nelle fila dei suoi Cavalieri Celesti!”
“Il Sommo Zeus in persona?!” –Aveva mormorato Phantom, mentre una frenesia indescrivibile si stava
impossessando di lui.
Mille pensieri avevano invaso la sua mente in quei pochi
minuti di conversazione, mille pensieri di eccitazione, ansia, speranza nel
futuro, misti alla propria coscienza, al proprio senso del dovere che gli
ricordava di essere figlio di due pastori, uomini soli, che avrebbero avuto
bisogno di lui per continuare a vivere. Ma suo padre, Deucalione
il saggio, era venuto in suo aiuto, spiegandogli di non preoccuparsi.
“Non ti credevo nato per fare il soldato, ragazzo!” –Aveva
commentato, affiancato dalla moglie, con gli occhi gonfi di lacrime. –“Ma se
questa è la volontà divina, e la tua, noi non ci opporremo!”
Per un ultimo momento Phantom
era stato tentato di rifiutare, quasi impietosito dalla nobiltà d’animo e dal
senso di sacrificio dei suoi genitori. Ma poi aveva stretto i pugni, orgoglioso
che il Dio dell’Olimpo in persona avesse messo gli occhi su di lui, uno tra i
mille atleti dei giochi panatenaici, ed aveva accettato, incuriosito,
intrigato, ma anche desideroso di mettere le sue capacità al servizio di uno
scopo più elevato che non fosse badare a delle pecore per tutta la vita.
Fin da quando era bambino, Phantom
aveva ascoltato le storie di sua madre, Elena la sognatrice, che ogni sera gli
narrava di Zeus e degli Dei Olimpi, dei fasti del Sacro Monte, e di Atena, Dea
della Giustizia, grande protettrice degli uomini. Phantom
aveva sempre ascoltato con attenzione, con gli occhi brillanti di fantasia e
speranza, convinto che un giorno, anch’egli, sarebbe diventato qualcuno, che
avrebbe potuto mettere la sua vita al servizio di una causa nobile e giusta,
come i Cavalieri di Atena facevano da millenni. E quella, gli era parsa in quel
momento, la scelta migliore.
Per anni si era allenato sull’Olimpo, confrontandosi con
gli altri Cavalieri Celesti, venendo talvolta schernito per la sua mortale natura,
che lo rendeva diverso e inferiore agli altri. Ganimede, Castore,
Polluce, Atteone e gli
altri Cavalieri Celesti erano immortali, o comunque nati da sangue divino che
permetteva loro di invecchiare molto lentamente e di rimarginare in fretta le
proprie ferite. Ma Phantom era un uomo mortale,
scelto dal destino per elevarsi al di sopra degli altri, per mettersi
continuamente in gioco, rischiando tutto se stesso, anche la vita, in
addestramenti massacranti, quanto gratificanti. E l’impegno che aveva messo,
per tutti quegli anni, non era andato sprecato, avendo richiamato le lodi e le
simpatie del Signore dell’Olimpo che presto lo aveva nominato suo Luogotenente,
secondo soltanto ai tre Ciclopi, e comandante di tutti i Cavalieri Celesti.
Le notevoli abilità del ragazzo e le sue doti carismatiche
gli avevano attirato spontanee simpatie da parte di numerosi Cavalieri e
Divinità, Giasone per primo, che vedeva nel giovane non solo un compagno d’armi
ma anche un amico. Demetra, Dea delle Coltivazioni, donna saggia e attenta, gli
aveva fatto dono di un magico talismano, di origine naturale, che permetteva al
ragazzo, quando lo indossava, di fondersi con l’ambiente circostante, assumendo
i colori e i tratti della natura intorno. E Phantom
aveva fatto buon uso di quel talismano, prestandolo temporaneamente persino a Ioria, durante la Scalata dell’Olimpo, e ricevendolo
indietro a fine battaglia, quando, disteso sul letto delle sue stanze, per
curarsi e recuperare le forze, aveva ricevuto la visita del Cavaliere del Leone.
“Ioria…” –Aveva balbettato Phantom, tentando di sollevarsi dal letto. Ma Ioria lo aveva pregato di rimanere disteso, per non
affaticarsi.
“Sono venuto per renderti questo!” –Aveva esclamato il
Cavaliere, porgendo al giovane il talismano di Demetra. –“E ringraziarti per
avermi concesso di fruirne! Grazie ad esso sono riuscito ad arrivare in tempo
nel Giardino dei Sogni, per portare aiuto a Phoenix e a Castalia impegnati
contro Issione!”
“Già…” –Aveva risposto Phantom, laconicamente. –“Castalia…”
–Per qualche secondo un muro di silenzio si era interposto tra i due ragazzi,
incapaci di riprendere una conversazione o semplicemente impauriti
dall’argomento da affrontare. Era stato Phantom a
farsi coraggio e parlare.
“Ioria... io... vorrei chiederti
una cosa. Puoi anche non rispondere, non ti biasimo, ma se lo farai vorrei che
tu fossi sincero!” –Aveva esclamato, riuscendo a sollevarsi e ad appoggiare la
schiena al muro. –“Cosa provi per Castalia? So che è una domanda indiscreta e,
come già ti ho detto, se non te la senti di rispondermi puoi anche non farlo, ma… vorrei saperlo…”
“Perché?” –Aveva domandato Ioria,
e a Phantom quella parola sembrò una lama affilata.
“Perché sento di provare qualcosa per lei…
qualcosa che va al di là di una semplice amicizia, di una pura complicità…Ma sento anche di non essere l’unico a provare
un sentimento simile!”
Ioria non aveva inizialmente
risposto, limitandosi a girare per la stanza, guardandosi distrattamente
attorno, finché la leggera voce di Phantom non lo
richiamò a sé.
“So che siete cresciuti insieme, Ioria!
Castalia me ne ha parlato, e mi ha anche detto di essere molto legata a te! Ciò
che non ha aggiunto, l’ho intuito da solo, e non ho bisogno di poteri mentali
per saper leggere nel cuore di una persona cara!”
“Non vi è altro da aggiungere, Luogotenente dell’Olimpo!
Castalia ha detto il vero, spiegandoti che siamo molto uniti, da un legame
profondo, di sincera fratellanza, unico nel suo genere!”
“Ne sono certo, Cavaliere di Leo!” –Si era limitato a
rispondere Phantom. –“E non era affatto mia
intenzione dubitarne; volevo semplicemente dire che…”
“Se provi dei sentimenti per Castalia, credo che dovresti
parlarne con lei!” –Lo aveva interrotto Ioria. –“Non
con me!”
“Uh…” –Phantom
era rimasto spiazzato dall’uscita del ragazzo, da cui si aspettava una reazione
più istintiva e bellicosa, e meno pacata. Ma aveva preferito non aggiungere
altro, vedendo che il Cavaliere non sembrava intenzionato a discutere
ancora.–“È quello che farò, Cavaliere
di Leo! Ma ti prego… vorrei che anche tu lo facessi,
se senti di avere qualcosa da dirle!” –Non aveva aggiunto altro, salutando il
ragazzo con un sorriso, prima di distendersi nuovamente sul letto per
riposarsi.
Aveva recuperato in fretta le proprie forze, grazie al
cosmo di Zeus e alle cure di Asclepio e, per quanto
il ragazzo non lo avesse ammesso, grazie anche ai poteri curativi del cosmo del
Cavaliere di Leo. Phantom aveva sentito l’aureo
scintillio del cosmo di Ioria entrare dentro di lui e
infondergli calore, nonché la forza per risalire a galla. E il Luogotenente non
aveva esitato, recuperando presto il proprio vigore, pronto per l’importante
missione che Zeus gli aveva assegnato: raggiungere Glastonbury
e trovare l’Ultima legione, che Zeus vi aveva nascosto molti secoli prima,
affidandone il comando, in tempi recenti, a un allievo di Dohko
della Bilancia.
Grazie all’incredibile velocità a cui poteva muoversi, Phantom arrivò sull’isola britannica in un lampo di luce,
dirigendosi verso il Somerset, regione in cui si
trovava Glastobury.
Strana cittadina, Glastonbury!
Commentò, camminando nei verdi parchi dell’abbazia della città. Avvolta da
un fascino mitico ed epico! Le leggende sul suo conto poi si sprecano!Si
narra che Giuseppe d’Arimatea abbia raggiunto questa
cittadina duemila anni fa, arrivando per mare, agli inondati SomersetLevels. Accompagnato
proprio dal Cristo bambino. Nello sbarcare piantò a terra il proprio bastone, e
in quel punto fiorì miracolosamente la Sacra Spina, nota come Biancospino di Glastonbury, un fiore ibrido, che fiorisce due volte
l’anno, una in primavera e una in Natale sul terreno dell'abbazia e di fronte
alla chiesa di San Giovanni! Splendido fiore, si conservò per secoli, fino alla
Guerra Civile che sconvolse quest’isola trecentocinquanta anni fa, venendo in
seguito ripiantato. L’ultima volta, se non erro, trentacinque anni or sono!
Tutto immerso nelle proprie riflessioni, e nell’aura
mitica che nel cortile dell’antica abbazia di Glastobury
si respirava, Phantom percorse l’intero giardino, osservando
le mura, di epoca premedievale. Secondo le
indicazioni fornitemi da Zeus l’Ultima Legione dovrebbe essere stanziata qua,
all’incirca…E sollevò lo sguardo avanti a sé,
osservando la verde collinetta che sorgeva di fronte a lui. Un leggero rilievo
terrazzato che saliva dolcemente, proprio in direzione del sole.
Improvvisamente i suoi sensi saettarono attenti,
percependo una vibrazione nel cosmo, come se qualcuno fosse giunto fin lì. Tirò
un rapido sguardo in cima alla collina, ma non vide niente, soltanto un’antica
torre, ultime vestigia di un’ancestrale costruzione religiosa. Per un attimo,
un attimo soltanto, gli sembrò di vedere una figura, avvolta in un grigio
mantello, osservarlo dalla cima del colle. Sbatté gli occhi per vedere meglio,
ma non trovò nulla, soltanto una leggera brezza che smuoveva i verdi steli di
erba.
Campane risuonarono poco distante, richiamando il
Luogotenente alla sua missione. Doveva trovare il luogo dove era nascosta la
Legione Olimpica, ma l’impresa si prospettava più complessa di quanto si era
aspettato, non trovando niente, intorno a sé, che potesse essergli d’aiuto.
D’un tratto Phantom sentì passi
leggeri frusciare sull’erba poco distante e si voltò in quella direzione,
trovandosi di fronte una strana processione. Una decina di uomini, avvolti in
grigi mantelli, dal volto coperto da un cappuccio, procedevano lentamente,
intonando canti in un’antica lingua, probabilmente celtica, che il ragazzo non
riusciva a comprendere. Ciascuno reggeva una fiaccola accesa, e seguiva
l’altro, scivolando sul verde pendio terrazzato, diretti verso la cima.
Phantom seguì con lo sguardo per
qualche minuto la strana processione, ma quando fece per muoversi, un sibilo lo
costrinse a voltarsi improvvisamente e a saltare indietro con un balzo, mentre
un’argentea lama si piantava nel terreno, proprio di fronte a lui.
“Uh?” –Mormorò il Luogotenente, preso alla sprovvista.
“Ottimi riflessi!” –Commentò una voce maschile, provenendo
da un punto indefinito di fronte a lui.
In un primo momento Phantom fu
tentato di non rispondere, per non farsi scoprire; ma poi realizzò che se colui
che gli aveva lanciato contro quel pugnale lo aveva quasi colpito, questo
significava che poteva vederlo, per quanto indossasse il Talismano di Demetra e
dovesse risultare quindi mimetizzato con la natura.
“Chi sei? Mostrati!” –Esclamò Phantom,
osservando avanti a sé.
“Io dovrei mostrarmi?!” –Commentò la voce, lasciandosi
scappare una risata. –“Forse dovresti farlo tu, che queste terre hai invaso, e
non io, che ne sono il custode!”
Phantom aguzzò la vista e riuscì
a percepire la presenza del suo interlocutore. Davanti a lui, a pochi metri di
distanza, si ergeva una figura umana, confusa con l'ambiente circostante. Solo
l’ondeggiare del mantello verdastro, permise a Phantom
di mettere a fuoco l’imprevisto ospite. Un uomo, anzi, un Cavaliere, poiché
indossava un’armatura lucente, dagli sfumati colori celesti e verdi.
Un’armatura cangiante che poteva ben mimetizzarsi con l’ambiente naturale
circostante, nascondendo in parte la propria presenza.
“Non sono un invasore!” –Precisò, mentre l’uomo si
avvicinava.
“E allora chi sei? E cosa ti porta in queste terre?”
–Chiese l’uomo, con voce decisa, ma non scortese, scoprendo il volto dal
cappuccio del mantello.
Quando gli fu vicino, a soli tre metri dal suo viso, Phantom osservò che si trattava di un giovane, di non più
di trent’anni, alto e moro, con il viso scuro e limpidi occhi neri. I lisci
capelli corvini si presentavano spettinati e scompigliati, fermati in parte dal
brillante diadema della sua armatura. Una corazza che, Phantom
non aveva dubbi, era di fattura divina.
“Sto cercando degli amici!” –Rispose Phantom,
ma l’uomo non ne fu convinto.
“Non ci si presenta furtivamente a casa di un amico,
strisciando nascosti sul terreno, per osservare le sue mosse da lontano! Il tuo
atteggiamento somiglia più a quello di un invasore, o di una spia!”
“Il mio atteggiamento è dettato esclusivamente dalla
prudenza, Cavaliere! In tempi oscuri come questi, e in terre ignote, in cui mai
mi sono recato, ho ritenuto opportuno nascondermi all’altrui visuale, e mi
stupisce non poco che tu sia riuscito comunque ad accorgerti di me, vanificando
gli effetti del divino manufatto di cui sono dotato!”
“Avevo percepito il tuo cosmo avvicinarsi! E ti ho tenuto
d’occhio fin da quando sei giunto all’Abbazia di Glastonbury!”
–Commentò il giovane, fissando Phantom. –“Talismani o
meno, non esiste niente che io non possa mirare in queste terre di cui sono
guardiano!”
“Di notevoli capacità sei dotato, Cavaliere…”
“È mio dovere proteggere quest’isola sacra da chiunque
tenti di violare il suo antico suolo!”
“Non sono un invasore! Sono in missione per conto del mio
Signore!”
“E chi sarebbe il tuo Signore?!” –Chiese il giovane, con
una punta di sarcasmo.
“Il Sommo Zeus, Dio supremo dell’Olimpo!”
“Il… Sommo Zeus?!” –Mormorò il
Cavaliere sconosciuto, fermandosi interessato.
“Proprio così! Sono il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, e
sono giunto fin qua, nella vecchia Inghilterra, su ordine del Sommo Zeus, per
trovare i Cavalieri Celesti che qua dimorano e a cui sono fedeli!”
“Ed io ricevo il tuo messaggio, Luogotenente dell’Olimpo!”
–Esclamò il giovane, scuotendo il mantello, e inginocchiandosi di fronte a Phantom. –“Non al vento sono andate le tue parole, ma alle
orecchie di Ascanio Testa di Drago, Comandante
dell’Ultima Legione, il cui governo mi fu assegnato dal Dio dell’Olimpo in
persona, quattordici anni fa!”
Phantom rimase un attimo
sorpreso e interdetto, osservando il giovane rialzarsi e sorridergli, con fare
sincero ma deciso. Adesso non gli sembrava più un Cavaliere, ma un principe dei
tempi antichi, un condottiero di divina stirpe che avrebbe guidato gli uomini
verso la pace.
“Che cosa turba la quiete olimpica? Cosa ha spinto il
nostro Signore a richiamare persino la legione dormiente? Deve trattarsi di
qualcosa di molto pericoloso se Zeus invia il luogotenente delle sue armate in
persona, fin qua, per condurre altre truppe in Grecia! Che l’ultima guerra sia
infine giunta?!”
“Tristi sono questi tempi, Comandante! Tristi e macchiati
di sangue, intrisi dalla violenza di guerre che non andavano combattute!”
“Spiegati meglio, Luogotenente…”
–Esclamò Ascanio, incamminandosi nell’erba fresca, e
facendo cenno a Phantom di seguirlo. –“Ho sentito
cosmi inquieti agitarsi nel Mediterraneo in quest’ultimo anno, e proprio pochi
giorni fa una grande esplosione di energia… ma non ho
indagato.. non potendo fare diversamente, avendomi Zeus proibito alcun contatto
con l’Olimpo, per paura che la legione venisse scoperta!”
Phantom raccontò velocemente ciò
che era accaduto sia ad Atene che sull’Olimpo nell’ultimo anno, dalla guerra
interna che i Cavalieri di Atena avevano dovuto affrontare, alle minacce di
Discordia, Apollo, Nettuno, Ade e infine Crono.
“E adesso Ares, Dio della Guerra!” –Esclamò con
preoccupazione il Luogotenente di Zeus. –“Egli mira alla distruzione
dell’Olimpo e di tutti i Cavalieri, a qualunque ordine appartengano, a
qualunque benevola Divinità siano devoti! Mira a creare un nuovo ordine,
marchiandolo col sangue, dove la violenza e l’odio siano all’ordine del giorno,
un caos perpetuo di guerra di tutti contro tutti, su cui la sua Divina Volontà
prevarrà infine, penetrando le martoriate coscienze degli uomini e dominandole,
piegandole al suo volere!”
“Terribile!” –Commentò Ascanio.
–“E Zeus non gli ha ancora mosso guerra?!”
“Zeus si è fatto prudente! Dopo la perdita dei Ciclopi, di
molteplici Divinità amiche e di tutti i Cavalieri Celesti, il Dio del Fulmine
preferisce evitare mosse azzardate! Ovviamente si opporrà ad Ares, ma con
prudenza e coscienza, consapevole che attacchi avventati potrebbero indebolirlo
ulteriormente!”
“Capisco. La situazione è molto delicata, e noi abbiamo
già perso fin troppo tempo conversando!” –Rifletté Ascanio.
–“Se Zeus ha richiamato l’Ultima Legione, essa deve partire immediatamente,
alla volta dell’Olimpo, per portare aiuto al suo Signore!” –E tirò fuori un
piccolo utensile, che a prima vista parve a Phantom
un pezzo di legno. Si trattava di uno zufolo, che Ascanio
suonò immediatamente, senza produrre però alcun suono.
Phantom si guardò intorno
straniato, prima di sentire leggeri passi sull’erba dietro di lui: un giovane
Cavaliere, ricoperto da una verde armatura, decorata di bianco, li raggiunse
poco dopo, stupendo Phantom per l’abilità nel
nascondersi e, eventualmente, sorprendere il proprio avversario.
“Ultrasuoni!” –Spiegò Ascanio,
riponendo lo zufolo. –“Possono essere uditi soltanto dai legionari di Glastonbury, che hanno affinato per anni i loro sensi,
studiando gli animali!”
“Gli animali?!”
“Esattamente! Gli animali sono un regno interessantissimo
a cui l’uomo dovrebbe dedicare maggiore attenzione!” –Disse Ascanio,
mentre il Cavaliere dalla verde corazza si inginocchiava di fronte al suo Comandante.
–“Vari, diversi tra loro, ma simili. Tutti finalizzati al mantenimento della
loro specie! Alcuni vivono in simbiosi con la natura, adottando tecniche
particolari di mimetismo; altri comunicano tra loro tramite onde sonore, quasi
impercettibili all’orecchio umano…”
“Gli ultrasuoni…” –Affermò Phantom.
“Esattamente! Dagli animali abbiamo imparato e tratto
numerose lezioni di vita, nonché tecniche di battaglia! Credo sia arrivato il
momento di metterle in pratica!”
“Lo credo anch’io!” –Commentò Phantom,
prima che Ascanio gli presentasse il Cavaliere: un
ragazzetto di diciotto anni, non di più.
“Gwynn!” –Esclamò il Comandante.
–“Convoca immediatamente l’intera Legione! Il momento che aspettavamo è
finalmente giunto! L’Olimpo ha bisogno di noi!”
“Sì, mio Signore!” –Rispose Gwynn,
prima di congedarsi e sfrecciare verso la cima della collina.
Ascanio pregò Phantom di seguirlo fino alla sommità del Tor, dove avrebbero radunato i Cavalieri Celesti.
“Un tempo il mare giungeva ai piedi della collina e paludi
e acquitrini si estendevano tutti intorno, e il Tor
era una di sette isole, una delle poche terre non sommerse da una grande
inondazione. E lo rimase per secoli, perché le acque ci misero molto tempo a
ritirarsi e rimasero paludi salmastre che al culmine dell'estate si
prosciugavano. E infatti Somerset, la regione della
Cornovaglia in cui ci troviamo, è l'abbreviazione di "Territori dell'Estate", perché
l'area d'inverno era inondata e pertanto non poteva essere abitata! Questa
collina era chiamata anche "YnisWitrin"
o “Isola di vetro”,
collegata al continente solo da una stretta striscia di terra durante la bassa
marea!” –Esclamò Ascanio, guidando il Luogotenente
lungo i terrazzamenti del colle, un antico sentiero iniziatico che i druidi
percorrevano per giungere alla sommità.
“I druidi?!”
“Proprio loro! I discendenti del piccolo popolo che un
tempo abitava queste terre! Con la venuta dei Romani prima, e dei Sassoni poi,
le antiche popolazioni furono sopraffatte, costrette a nascondersi, accusate di
stregoneria e occultismo, e scomparvero dal mondo conosciuto, ricreandone uno
nuovo, più intimo e sicuro, all’interno del quale continuano ad operare, con
tutti i riti che sono loro propri! Grazie al loro aiuto la Legione ha potuto
rimanere celata per tutti questi secoli!”
Parlando tra loro i due Cavalieri raggiunsero la cima del
colle, dove si stagliava, imponente e solitaria, la GlastonburyTor. Davanti ad essa una cinquantina di Cavalieri
Celesti, dalle mimetizzanti armature celesti, parlavano tra loro, ed
altrettanti sarebbero giunti quanto prima, appena informati da Gwynn, che si fece incontro al Comandante avvertendolo di
aver ordinato la convocazione immediata di tutta la Legione.
“Qualcun altro vuole parlare con lei, prima di partire!”
–Sussurrò il ragazzetto, cercando di non farsi udire da Phantom;
ma il Luogotenente, dall’orecchio fino e dai sensi acuti, udì lo stesso, senza
fare domande.
Ascanio non ebbe il tempo di
rispondere perché percepì, proprio come Phantom, Gwynn e gli altri Cavalieri Celesti, sebbene qualche
secondo prima di loro, un’inquietante e violenta emanazione cosmica dirigersi
verso di loro.
“Cosa succede?!” –Brontolò, suonando nuovamente lo zufolo.
–“Che tutti i Cavalieri si tengano pronti!” –Urlò a Gwynn,
mentre il ragazzo corse via.
“Ciò che Zeus maggiormente temeva…
che Ares mi facesse seguire!!!” –Strinse i denti Phantom.
Una cinquantina di cosmi inferociti, carichi di odio e
violenza, si stavano avvicinando al Tor, e
dall’ardente spirito che albergava in loro Phantom e Ascanio compresero che avevano un solo obiettivo: la
guerra. Pochi minuti dopo, la piana sottostante al Tor
si riempì di guerrieri dalle vestigia scarlatte, provvisti di armi di ogni
sorta, ed ebbri del violento cosmo del Dio della Guerra.
“Siete pronti a morire?!” –Mormorò una tenebrosa voce,
risuonando nell’aria sopra la collina.
“Ma... chi?!” –Mormorarono Ascanio
e Phantom, tirando uno sguardo verso il basso.
Due guerrieri, i Capitani a cui Ares aveva affidato
l’assalto del Tor, si fecero avanti tra la massa dei berseker, con un gran ghigno sul viso. Erano ricoperti di
armature dalle inquietanti forme, che rilucevano sinistramente sotto i tiepidi
raggi del sole di Glastonbury, e fu uno di loro a
parlare.
“Il vostro patetico tentativo è fallito! L’Ultima Legione
non giungerà mai in aiuto di Zeus, perché vi massacreremo tutti qua, prima di
dare fuoco a questi sterili e insulsi campi!”
Non provateci neppure! Strinse i pugni Ascanio, facendo avvampare il suo cosmo. Immediatamente
scintillanti sagome di immensi dragoni di luce sgorgarono dal terreno, sotto i
piedi dei berseker, salendo verso il cielo,
provocando in loro sorpresa e confusione, per quanto i due Capitani cercassero
di mantenerli in riga.
“Ora!!!” –Gridò Ascanio mentre
una decina di Cavalieri Celesti, dalle armature verdastre, lo affiancarono,
puntando i loro archi scintillanti verso il cielo. –“Tirate!!!”
Un secondo dopo un centinaio di dardi splendenti caddero
sui berseker di Ares, ferendone alcuni a morte. Ma
questo non bastò a farli arretrare, anzi li rese ancora più combattivi, più
determinati a raggiungere la vetta del colle, abbattere il Tor
e farne una tomba per i Cavalieri di Zeus.
Un corno risuonò nell’intera vallata, paralizzando
momentaneamente i berseker, che si erano lanciati all’assalto,
mentre uomini a cavallo, su bianchi destrieri, apparivano nella verde piana
sotto il Tor.
“Chi sono costoro?” –Domandò Phantom,
osservando i Bianchi Cavalieri caricare i berseker.
“I Cavalieri di Glastonbury,
nobili uomini che fecero un patto con la morte, donando la vita affinché
potessero tornare a cavalcare quando la loro terra fosse minacciata!” –Spiegò Ascanio. –“La leggenda narra che siano i Cavalieri di Re
Artù, e che egli, sepolto proprio in questa terra dopo la sua ultima battaglia,
cavalchi in testa al suo mitico esercito!”
“E tu ci credi?” –Chiese Phantom,
ma Ascanio scosse il viso, tagliando corto, e
mettendo in posizione i propri Cavalieri Celesti.
“Può anche essere…” –Sorrise
infine. –“Glastonbury è una magica terra, dove miti diversi,
di religioni e culture differenti, si uniscono insieme sotto lo stesso cielo,
sotto l’ombra del Tor!”
In quel momento i Bianchi Cavalieri sui loro scintillanti
destrieri sfondarono le fila dei berseker di Ares,
obbligando i malvagi guerrieri a sfoderare le loro armi, iniziando violenti
corpo a corpo.
Due uomini, disinteressandosi dei loro soldati, si
lanciarono da soli lungo i pendii del Tor, diretti
verso la cima: erano i Capitani che avevano guidato l’assalto dei berseker, due mitologici figli di Ares.
Capitolo 22 *** Capitolo ventesimo: Glastonbury in fiamme ***
CAPITOLO VENTESIMO.
GLASTONBURY IN FIAMME.
La verdeggiante piana sotto al Tor,
nella cittadina di Glastonbury, era invasa
dall’esercito di Ares, i cui fiammeggianti blasoni rilucevano sotto lo stanco
sole del Somerset, contrastando la carica dei Bianchi
Cavalieri, ultima difesa della collina. Ascanio Testa
di Drago, Comandante dell’Ultima Legione, e Phantom
dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo,
rimasero in cima al colle, ad osservare la massa di berseker
di Ares scontrarsi contro i Cavalieri Bianchi.
“Li batteremo!” –Commentò Ascanio,
stringendo i pugni. –“Siamo numericamente superiori! Contiamo centoventi
Cavalieri Celesti, tutti ben addestrati e pronti a lottare con vigore…”
In quel momento, due guerrieri, ricoperti da inquietanti
vestigia, si lanciarono avanti, evitando la fitta pioggia di dardi scintillanti
che i Cavalieri Celesti scagliavano loro contro dalla cima del Tor.
“Sento un cosmo particolarmente ostile in loro!” –Mormorò Phantom. –“Non si fermeranno!” –E infatti uno dei due
guerrieri iniziò a produrre, sfiorando con la mano sottili corde musicali,
tempestose note capaci di frenare la raffica di frecce e rispedire i dardi
indietro.
“Attenti!!” –Gridò Ascanio,
osservando le frecce tornare verso l’alto e ferire qualche Cavaliere Celeste.
–“Chi siete? E come osate invadere il sacro suolo di YnisWitrin?”
“Appiccheremo un immenso rogo su quest’isola, Cavaliere di
Zeus, e della tua verde terra resterà soltanto un lembo isterilito, dove
pianteremo le teste dei tuoi soldati su picche infuocate!”
“Maledetto…” –Ruggì Ascanio, ma Phantom gli fermò il
polso, pregandolo di fare attenzione, e non lasciarsi distrarre.
“Lascialo sfogare, Luogotenente dell’Olimpo, quel cane
bastardo! Abbandonato in questa terra dimenticata e costretto a far da cane
guardiano ai vetusti porci nascosti da Zeus, concedigli un ultimo sfogo, prima
che vada incontro alla morte!” –Esclamò beffardo uno dei due guerrieri.
“Come conoscete il mio nome? E come sapevate
dell’esistenza dell’Ultima Legione?”
“Non ne eravamo a conoscenza infatti!” –Spiegò uno dei
due. –“È stato grazie a te, Phantom dell’Eridano Celeste, che i sospetti nutriti da nostro Padre
sono diventati realtà, quando qua siamo giunti, inseguendo la scia del tuo
cosmo!”
“Che cosa?!” –Mormorò Phantom,
sconvolto che qualcuno avesse potuto seguirlo. –“Ma soltanto Zeus era a
conoscenza dell’Ultima Legione!!!”
“Questo è vero!” –Rispose un guerriero. –“Ma Zeus ha avuto
la sfortuna di trascorrere molto tempo con Flegias,
quando questi risiedeva sull’Olimpo, e il figlio di Ares è stato molto abile a
carpire certi suoi segreti, lavorando diabolicamente la sua mente, fino a
giungere alla conclusione dell’esistenza di altri Cavalieri Celesti,
prudentemente celati da Zeus!”
“L’unico problema era trovarli, e distruggerli prima che
potessero portare aiuto all’Olimpo!” –Intervenne l’altro. –“E a quel punto sei
entrato in scena tu, Luogotenente! Flegias era sicuro
che Zeus avrebbe inviato te, il più fidato ed il più abile tra i suoi fedelissimi,
per questo abbiamo approntato una pattuglia speciale con il compito di
seguirti, non appena avessi lasciato l’Olimpo! Devo ammettere che non è stato
affatto facile, abilissimo come sei a far perdere le tue tracce, e solamente
noi due, tra i cinquanta berseker di nostro Padre,
riuscivamo a malapena a starti dietro, esclusivamente perché Flegias ci aveva istruito su come riconoscere il tuo
cosmo!”
“Non avete speranze contro l’Ultima Legione!” –Tuonò
infine Ascanio. –“Siamo numericamente e qualitativamente
superiori! Non riuscirete mai ad abbatterci!”
“Forse no… Per quanto ci
piacerebbe! Ma il piano di nostro Padre era molto più semplice: uccidere quanti
più Cavalieri Celesti fosse possibile, ritardando al massimo la vostra partenza
per la Grecia!”
“Perciò, se anche dovessimo uccidere uno soltanto tra di voi…” –Mormorò l’altro, prima di scambiarsi una rapida
occhiata con il suo compagno. –“...sarebbe un nostro indiscusso successo!”
E scattarono avanti improvvisamente, espandendo il cosmo e
scagliando assalti energetici contro Phantom e Ascanio, i quali prontamente si spostarono, per evitare di
essere colpiti, mentre Gwynn, dietro di loro, dava
ordine ai Cavalieri Celesti di lanciare una nuova raffica di frecce. Ma anche
tali dardi tornarono indietro, venendo respinti dalle maledette note di uno dei
due guerrieri, che si erano fatti sempre più vicini alla cima del Tor, permettendo ad Ascanio e a Phantom di osservarli meglio.
Il primo era alto e magro, con carnato chiaro, quasi
gialliccio, ricoperto da una particolare armatura dal colore argilla, con
appariscenti e contrastive striature bianche e nere sulle gambe, ed un
mantello, sempre bianco e nero, rappresentante ali ripiegate. L’elmo inoltre
raffigurava inequivocabilmente la testa di un uccello, avendo un ciuffo a
ventaglio di piume erettili dal colore marrone chiaro, ed una sporgenza a forma
di lungo becco, che copriva la sua bocca.
“Tereo dell’Upupa, figlio di
Ares!” –Si presentò l’uomo, che, per quanto potesse apparire ridicolo,
ostentava un cosmo sanguinario ed ostile. –“E io sono suo fratello, Driante dell’Arpa Nera!” –Aggiunse l’altro, la cui voce era
più decisa e maschile.
Questi era leggermente più basso, ma ben piazzato, con
ricciuti capelli corvini, ricoperto da un’armatura nera, dalle sfumature
violacee, apparentemente banale, se non fosse stato per una particolare
sporgenza che presentava davanti, che altro non era se non un’arpa scura,
fissata direttamente al pettorale dell’armatura, come una smussata pinna di
squalo, che facilitava l’esecuzione delle orribili melodie da parte di Driante, potendo disporre di una mano libera.
“Tereo... e Driante…”
–Mormorò Phantom, a cui il ricordo di quei nomi
richiamava orribili immagini di stupri e violenza.
Tereo era Re della Tracia,
figlio di Ares e sposo di Procne, figlia del Re di
Atene, da cui ebbe un figlio che pagò in prima persona gli errori dei genitori.
Tereo infatti era innamorato non corrisposto della
sorella di Procne, Filomela, ma essendo da lei respinto, usò uno stratagemma
per possederla, dopo aver ucciso il fratello Driante.
Tereo infatti raccontò che Procne
era morta e violentò Filomela e poi, per evitare che potesse raccontare
l'accaduto, le tagliò la lingua. Ma la donna riuscì comunque a informare la
sorella dell'accaduto ricamandolo su una tela e facendogliela pervenire. Procne, per vendicarsi, uccise il figlio e lo diede da
mangiare a Tereo, che, quando si rese conto
dell'accaduto, inseguì le sorelle che intanto si erano rifugiate a Dauli, chiedendo aiuto agli dei, che le trasformarono in
uccelli: Procne divenne una rondine e Filomela un
usignolo. E Tereo un upupa.
“Sempre ottimi i curriculum dei
figli di Ares!” –Ironizzò Phantom.
“Non disprezzare il tuo
carnefice, Luogotenente!” –Commentò Tereo, bruciando
il proprio cosmo, dalle sfumature giallo-argilla.
Ascanio si mosse per combattere con lui, ma Phantom
lo pregò di fermarsi. –“Mio è stato l’errore di portarli fin qua, e mio è il
dovere di rimediare ad esso!”
“Up up up!”
–Mormorò Tereo, ricreando il verso monotono dell’upupa.
Immediatamente onde di energia a
forma di U rovesciata travolsero Phantom, che cercò
di difendersi incrociando le braccia di fronte a sé, ma venne comunque spinto
indietro e sollevato da terra, mentre Tereo ripeteva
il suo sonoro attacco energetico.
“Fermati!” –Lo bloccò però Driante, toccando una corda della sua malefica arpa. –“Non
sprechiamo inutilmente le nostre forze!” –E iniziò a suonare, con la mano
destra, una macabra melodia che sovrastò il monotono canto dell’upupa,
invadendo l’intera vallata e instillando in tutti i Cavalieri presenti un forte
senso di angoscia e incertezza.
“Inquietudine esistenziale!” –Mormorò Driante, mentre la
sua mano pizzicava fugacemente le corde dell’arpa nera della sua corazza.
Inizialmente molti Cavalieri
Celesti risentirono del malefico effetto dell’Arpa Nera, arretrando dalle loro
posizioni, sentendo un’angoscia montante farsi strada nell’animo, rendendoli
insicuri, incerti sui loro attacchi, e permettendo ai berseker
di colpirli, superando le loro abbassate difese. Gli unici a non risentire
degli effetti dell’Arpa Nera furono i Bianchi Cavalieri sui loro destrieri e
questo confermò il pensiero di Phantom, che aveva
creduto fin dall’inizio che essi non fossero che spiriti.
“Spiriti combattivi di eroi che
un tempo diedero la vita per difendere queste terre!” –Spiegò Ascanio, su cui l’effetto dell’Arpa Nera sembrava non
sortire effetto. –“Spiriti di luce che le inquietanti melodie del figlio di
Ares non possono raggiungere!”
“Bugia!” –Sibilò Driante, aumentando l’intensità della propria oscura
melodia. –“Nessuno può resistere all’incantesimo dell’Arpa Nera!” –Ma Ascanio non rispose, limitandosi ad espandere il proprio
scintillante cosmo, concentrandolo sulle sue robuste braccia. Per un momento, Driantecredette di vedere
guizzanti serpenti, fatti di energia, incrociarsi tra loro, sulle braccia del
Comandante della Legione Nascosta. Fu l’ultima cosa che vide, prima che lo
sfavillante cosmo di Ascanio lo travolgesse,
scaraventandolo indietro con l’armatura distrutta.
“Driante!!!”–Gridò
Tereo, alla vista del fratello rantolante inerme a
terra.
“Preoccupati per te stesso,
piuttosto!” –Esclamò Ascanio, sollevando l’indice
destro contro di lui e liberando un violento raggio energetico. Ma Tereo fu abile ad evitarlo, appiattendosi sul terreno,
spiegando le ali e balzando avanti, leggero e silenzioso, proprio come
l’uccello da lui rappresentato.
Il figlio di Ares concentrò il
cosmo sul palmo destro, per scagliarlo su Ascanio, ma
Phantom, ripresosi dall’angosciosa melodia di Driante, scattò avanti, contrastandolo a mezz’aria. Il
contraccolpo tra i due poteri scagliò entrambi indietro, rilanciando Phantom all’altezza di Ascanio e
obbligando Tereo a volteggiare in aria, piroettando
con le ali striate di cui la sua corazza era dotata.
“Gorgo dell’Eridano!”
–Esclamò Phantom, incrociando le braccia al petto e
aprendole poi di scatto, liberando il suo energetico vortice, dirigendolo verso
il figlio di Ares, ancora in volo.
Grazie alle ali della sua corazza, Tereo
riuscì a fluttuare tra le correnti energetiche del gorgo di Phantom,
scivolando sorprendentemente al suo interno, fino a portarsi a terra, proprio
di fronte a lui, emettendo un nuovo monotono e cadenzato suono upupup che scagliò il Luogotenente indietro.
A quel punto Ascanio, vedendo Phantom in difficoltà, decise di intervenire nuovamente,
puntando l’indice destro contro il figlio di Ares, ma prima che riuscisse a
sprigionare la sua devastante energia, si ritrovò il braccio completamente
avvolto da sottili fili neri.
“Il concerto non è ancora finito!” –Commentò Driante, rialzatosi. Sfiorò con un dito le corde della sua
arpa, un po’ ammaccata, e liberò scariche energetiche che corsero sui fili che
aveva prodotto, raggiungendo il braccio di Ascanio,
stridendo fortemente sulla sua corazza.
Approfittando della temporanea immobilità del Comandante, Tereo si lanciò su di lui, ma Phantom
fermò il suo assalto, balzandogli addosso e sbattendolo a terra, iniziando a
colpirlo con rapidi pugni carichi di energia.
“In due contro uno, eh? Canaglie di Ares!” –Esclamò il
Luogotenente dell’Olimpo. Ma Tereo non rispose,
fingendo di subire i pugni del suo avversario, riuscendo a liberare un braccio,
puntandolo contro di lui. Un liquido giallognolo spruzzò improvvisamente dalla
corazza dell’Upupa, investendo il Luogotenente che ne rimase invischiato.
“Che… diavolo è?!” –Mormorò Phantom, cercando di liberarsi da quell’appiccicosa
sostanza.
“Muori, Luogotenente!” –Gridò Tereo,
liberando un potente upupup da distanza
ravvicinata, che travolse Phantom scaraventandolo
indietro di parecchi metri. Quindi il figlio di Ares si rialzò, per attaccare
nuovamente Phantom, ma fu straniato dall’osservare un
biancospino fluttuare nell’aria di fronte a lui, prima di posarsi sul suo
avambraccio. Come un vampiro, il fiore si avvinghiò al corpo di Tereo, penetrando con forza le sue carni, con le sue
spinose foglie, fino a fargli uscire il sangue, mentre il guerriero cercava
vanamente di liberarsi.
“Aargh!” –Gridò Tereo, sentendo quello stupido fiore che gli stava
succhiando l’energia vitale.
Phantom approfittò di quel
momento per rimettersi in piedi, espandendo il proprio cosmo scintillante.
Concentrò i sensi, percependo dentro sé un’immensa energia vitale, che gli
derivava dall’ambiente circostante, da quella mitica natura in cui era immerso,
e a cui il suo cosmo poteva attingere, quasi fosse un serbatoio di energia.
Per un momento si chiese se ciò che Ascanio
gli aveva raccontato, che Glastonbury si trovasse
lungo una leyline,
una linea di energia, capace di unire paesaggi realizzati dall’uomo, spesso con
funzioni religiose o mistiche, in punti diversi della Terra, fosse vero. Se
così fosse stato, in quel momento Phantom stava
attingendo proprio a quella profonda fonte di energia.
“Liane dell’Eridano!”
–Gridò, mentre robusti filamenti di erba spuntavano dal terreno sotto i piedi
del figlio di Ares, attorcigliandosi intorno al suo corpo e stringendolo con
forza, come piante stritolatrici. Nonostante tutto Tereo
sembrava comunque determinato a non cedere, bruciando ancora il proprio cosmo
maligno, nonostante il dolore al braccio destro e l’impossibilità a muoversi.
“Non ti arrendi, eh?!” –Commentò Phantom.
“Non voglio deludere mio Padre!” –Rispose Tereo. –“Egli non ha mai avuto fiducia alcuna in noi figli
bastardi, prediligendo sempre e soltanto Phobos e Deimos! A loro ha affidato il Comando Supremo del suo
esercito di berseker, lasciando a noi soltanto
compiti secondari! Questa è un’occasione per dimostrargli il mio valore! Non
posso permettermi di perdere!”
“E io non posso permetterti di spargere altro sangue su
questo sacro monte!” –Esclamò una voce giovanile, apparendo a fianco di Phantom. Era Gwynn, il ragazzetto
amico di Ascanio, e reggeva in mano un biancospino.
–“Il Biancospino è uno dei simboli di Glastonbury!”
–Spiegò, mostrandolo con orgoglio. –“La prima pianta nacque dal seme di
Giovanni d’Arimatea e per tutti questi duemila anni è
stato coltivato, con cura e devozione, sfruttando tutti i suoi poteri! Ascanio in persona mi ha gloriato del titolo di Custode del
Biancospino di Glastobury!”
“Ma che bell’onore!” –Ringhiò Tereo,
bruciando il proprio cosmo e distruggendo le Liane dell’Eridano.
–“Farò mettere nella tua tomba una pianta di quello stupido fiore!”
“Le tue luride e insanguinate mani non potranno neppure
sfiorare il candore di questo fiore sacro!” –Esclamò Gwynn,
rivelando finalmente il suo cosmo, lucente e determinato. –“Sono Gwynn del Biancospino, Cavaliere di Zeus! E ti condanno ad
un eterno tormento per aver invaso la nostra sacra terra, portandovi la guerra!
GlastonburyThorn!”
–E scagliò una pianta di biancospino contro il guerriero di Ares, il quale,
aiutandosi con le ali della sua corazza, spiccò un balzo acrobatico, ma venne
comunque raggiunto dal fluttuante fiore, che si avvolse intorno al collo di Tereo, affondando le sue spine in esso.
“Aaaa…Aargh!!!”
–Urlò il figlio di Ares, ricadendo a terra, in preda al dolore. Contorcendosi
sul terreno, cercò di togliersi la pianta dal collo, ma ogni volta che si
toccava il biancospino si moltiplicava in una nuova copia, avvinghiandosi a
un’altra parte del suo corpo, succhiando il suo sangue e la sua energia vitale.
Dopo pochi minuti i biancospini diventarono rossi, avendo assorbito gran parte
della linfa vitale del figlio di Ares, e del suo cosmo, e Tereo
cadde all’indietro, esausto.
“Grazie…” –Commentò il
Luogotenente, ringraziando il ragazzo per l’aiuto.
“Lo avresti vinto comunque!” –Sorrise Gwynn.
–“Ma non potevo più rimanere a guardare. Questi barbari assetati di sangue
hanno invaso la nostra terra, la terra dei nostri Padri, che abbiamo ereditato
dal Piccolo Popolo antico… ed è nostro dovere
respingerli e difendere l’Isola Sacra!”
“L’isola sacra?!” –Mormorò Phantom,
ma la loro conversazione fu interrotta dal brusco risuonare di un corno.
Alcuni berseker, liberatisi dai
Bianchi Cavalieri, si erano lanciati in una folle corsa lungo il pendio del Tor, brandendo lame e picche acuminate, mentre il loro
incendiario cosmo scivolava sul colle, scontrandosi con quello dei Cavalieri
Celesti. Phantom si voltò in tempo per osservare una
cinquantina di Cavalieri, ricoperti da scintillanti cotte divine, proprio come
la sua, gettarsi contro i guerrieri di Ares, per fermare la loro ultima
avanzata.
“Gorgo dell’Eridano!”
–Esclamò, liberando il suo lucente vortice energetico, che scivolò sull’erboso
pendio del Tor, prima di travolgere un nutrito gruppo
di berseker, e scagliarli indietro.
Il resto dell’armata venne eliminato dai Cavalieri
Celesti, che discesero lungo la collina come un fiume di stelle, sorretti dalla
mistica energia che quel luogo sacro pareva emanare. Di colpo, Phantom si ricordò di Ascanio, e
del suo scontro con Driante, e corse verso di lui,
con l’intento di aiutarlo, ma realizzò che il Comandante dell’Ultima Legione
non aveva affatto bisogno di aiuto. Serpenti di energia erano scaturiti dalle
sue braccia, divorando gli oscuri fili con cui il figlio di Ares aveva tentato
di imprigionarlo, e si erano abbattuti nuovamente su Driante,
trapassandolo da parte a parte.
“Quella luce…” –Rantolò Driante, prima di spirare. –“Pen…Dragon…”
Ascanio espanse ancora il
proprio cosmo, che assunse la forma di un immenso dragone rossastro, che
scivolò sul colle, travolgendo tutti i berseker di
Ares e le loro orribili armi, sia i caduti che i pochi ancora in vita. Li
annientò completamente, liberando il Tor dalla loro
sanguinaria presenza.
“Incredibile!” –Rifletté Phantom,
stupito dallo straordinario e lucente potere del Comandante dell’Ultima
Legione.
Ascanio gli fece un cenno,
invitandolo a ridiscendere il colle, mentre dava ordini a Gwynn
di prendersi cura dei feriti, pregando i druidi di onorare i caduti. Non c’era
il tempo, in quel momento, di celebrare la loro morte, come avrebbero dovuto
fare, ma Ascanio ordinò che tutto fosse preparato
affinché il rito si potesse compiere al loro ritorno dalla Grecia.
Phantom seguì Ascanio fino a Glastonbury,
passando in una piccola vallata coperta di alberi, in cui sentì sgorgare
dell’acqua, probabilmente proveniente da sorgenti sotto il Tor,
che riscendevano a valle approfittando del digradare dolce del terreno.
Entrarono in un bosco di tassi, giungendo fino ad una piccola radura di forma
circolare, che Ascanio spiegò essere ChaliceWell.
“I cristiani lo chiamano il Pozzo del Calice, con
riferimento alla leggenda che sostiene che qua venne nascosto il Sacro Calice
dell’Ultima cena di Gesù Cristo, il Graal, che Giuseppe d’Arimatea
avrebbe condotto in Inghilterra!” –E gli mostrò un pozzo in cui zampillava
dell’acqua dal colore rossastro, ferruginoso. –“L’acqua che qua sgorga proviene
da un complesso sistema sotterraneo di dimensioni e profondità ignote, che
percorre lo strato di arenaria del Tor! Qualunque sia
la sua origine, agli abitanti del Popolo Antico risultò chiaro fin dall’inizio
la sua funzione!”
E senz’altro aggiungere, Ascanio
iniziò a togliersi l’Armatura Celeste, gettando a terra i pezzi, rimanendo
infine nudo sul bordo della BloodSpring,
la Sorgente di Sangue, pregando Phantom di fare
altrettanto. Il Luogotenente, per quanto non comprendesse le intenzioni del
Comandante, non fece opposizioni, togliendosi pezzo dopo pezzo la sua corazza,
mostrando il corpo cosparso di taglie e ferite, e seguendo Ascanio
all’interno del pozzo.
“Rilassati, Cavaliere!” –Mormorò Ascanio,
immergendosi fino al collo nell’acqua rossastra. –“Rilassa il tuo corpo ferito,
libera la mente dai pensieri e immergiti in questo tepore esistenziale!”
Phantom seguì le indicazioni del
Comandante e sprofondò a sua volta nella sorgente dall’acqua ferruginosa,
dovendo presto ammettere, stupito, di provare un’intrigante sensazione di pace,
di ristoro, di lenimento alle proprie ferite.
”Le acque di ChaliceWell
cureranno le tue ferite, Luogotenente, preparando il tuo corpo per l’ultima
battaglia!” –Sorrise infine Ascanio.
“Zeus attende la Legione Dormiente!” –Mormorò Phantom.
“E noi non lo faremo aspettare ulteriormente!” –Esclamò Ascanio con decisione. –“L’Ultima Legione si è svegliata,
ed il drago che in essa dimora presto ruggirà sui pendii dell’Olimpo! Fuggite,
bastardi figli di Ares, finché siete in tempo!”
Mezz’ora più tardi, Ascanio,
affiancato da Phantom e da Gwynn,
il suo giovane ed aitante ufficiale, radunò i Cavalieri Celesti ai piedi del Tor, spiegando loro, in breve, la missione. Tutti
annuirono, ricoperti dalle scintillanti Armature Divine che Zeus aveva concesso
loro secoli prima. Forse qualcuno la reputò quasi irreale, dopo aver atteso per
duemila anni la chiamata del loro Signore, ma nessuno fece domande. Perché non
sussistevano i motivi per porle. Quello era il loro destino, lo scopo ultimo
per cui si erano preparati da tutta la vita: combattere a fianco di Zeus
l’ultima guerra.
Un fruscio sull’erba fece voltare Ascanio
e Phantom, mentre il Comandante dei Cavalieri Celesti
dava loro le ultime precisazioni. Una figura ammantata da un grigio mantello
comparve di fronte a loro, camminando a passo leggero sull’erba. Phantom non riuscì a vederne il volto, coperto da un
cappuccio,ma intuì che Ascanio la conoscesse, e ne avesse soggezione.
“È dunque giunto il momento, Ascanio?”
–Esclamò una voce profonda. –“Partite infine alla volta dei cieli di Grecia?”
“Esattamente, mio Signore! Zeus necessita il nostro
aiuto!”
“Fate attenzione, giovani eroi! Un’oscura tenebra si sta
allungando sul mondo, così tremenda da spingere persino il Signore dell’Olimpo
a richiamare la Legione dormiente!”
“Abbia fede in noi, mio Signore!” –Lo salutò Ascanio, inginocchiandosi.
“Fede?!” –Commentò l’uomo mascherato. –“Preferirei avere
certezze che speranze! Esse renderebbero più tranquillo il mio animo inquieto!”
Non aggiunse altro e diede loro le spalle, incamminandosi
sull’erba, lungo un piccolo sentiero, ai lati del Tor.
Phantom lo seguì con lo sguardo per una decina di
metri, prima di accorgersi di non poter andare oltre. Una fitta nebbia si
estendeva dinnanzi a lui, una nebbia lontana che limitava non solo la sua
vista, ma anche i suoi sensi.
Per un momento provò una sensazione di stordimento, e si
lasciò quasi svenire. In quell’attimo gli parve di udire una campana suonare
lontano, mentre fiamme luminose brillavano nel cielo fosco di fronte a lui. Una
barca scivolò sull’acqua, portando seco un’ammantata figura dagli occhi neri.
Una spiaggia, un canneto. Una processione di druidi incappucciati.
Phantom si riprese, comprendendo
di aver vissuto un mistero, ma tremò un momento per l’emozione, prima che Ascanio gli afferrasse un braccio, incitandolo a
incamminarsi.
“Sull’Olimpo la guerra è in pieno svolgimento! Creature
del Mondo Antico risvegliate sul finire del nostro millennio minacciano
nuovamente la residenza degli Dei! Dobbiamo affrettarci!” –Esclamò Ascanio, prima di aggiungere sottovoce. –“So cos’è che hai
visto! Esso è anche nella mia mente, da sempre!”
Il Luogotenente mosse il capo silenziosamente, senza
aggiungere altro, e si incamminò a fianco di Ascanio
lungo la via. Prima di scomparire, però, Phantom si
voltò un’ultima volta, per osservare l’isola di Avalon perdersi nelle nebbie.
Capitolo 23 *** Capitolo ventunesimo: Ippolita, Regina delle Amazzoni ***
CAPITOLO VENTUNESIMO. LAREGINA DELLE
AMAZZONI.
Quando
Phoenix aprì di nuovo gli occhi si accorse di essere da solo, all’interno
dell’Ottava Casa. Era un po’ frastornato per la botta ricevuta, ma
fondamentalmente non aveva subito gravi danni, riparato dalla resistente
Armatura Divina. Cercò i suoi compagni e sentì due forti cosmi scontrarsi al di
fuori del tempio, riconoscendone prontamente uno: quello di Pegasus.
L’altro
apparterrà al Toro di Creta!
Realizzò, rimettendosi in piedi. Fissò per un momento l’ingresso dell’Ottava
Casa, da cui una spenta luce filtrava rischiarando il grigiore del salone, e
poi gli diede le spalle, iniziando a correre verso l’uscita. Una parte di sé
avrebbe voluto combattere a fianco dell’amico, come contro Gemini e contro Ade,
ma si rincuorò confidando che Pegasus lo avrebbe sicuramente abbattuto, e l’avrebbe
raggiunto più avanti, insieme a Cristal e ad
Andromeda.
Uscì
dall’Ottava Casa e corse verso la Nona. Da solo, come in fondo non gli
dispiaceva stare. Approfittò di quel momento per liberare la mente, ancora un
po’ turbata dal fantasma di Esmeralda, che la Cerva di Cerinea
aveva richiamato a sé, e per riflettere sulla strategia da seguire. Le case
intermedie hanno duramente messo alla prova i miei compagni! Diomede ha
impegnato Sirio, come Cristal e Andromeda hanno
dovuto sforzarsi parecchio per superare Augia e la
Palude di Stinfalo! E sento il cosmo di Pegasus
espandersi ed esplodere continuamente! Sono l’unico, al momento, in ottima
forma, in grado di aprire la strada ai miei amici! E subito si chiese dove
fosse finito Sirio, ma intuì che, come aveva fatto lui, appena risvegliatisi si
fosse lanciato avanti senza esitazione.
Mentre
correva sulla scalinata, sentì qualche sparuto cosmo apparire e scomparire
intorno a lui, e intuì chi fossero i suoi inseguitori. O forse dovrei dire
inseguitrici? Sorrise, fermandosi di colpo. Mezzo secondo dopo un gruppo di
figure, armate di spade affilate, si lanciò su di lui, piombando dall’alto
della parete rocciosa, dalla quale avevano seguito le mosse del ragazzo. Ma
Phoenix non si fece sorprendere, evitando gli affondi dei suoi avversari, che,
per quanto fossero donne, sapevano giostrare di spada in maniera discretamente
abile. Una guerriera si lanciò avanti, puntando con la lama al cuore della
Fenice, ma Phoenix le fermò il braccio, sollevandola con forza e scagliandola
contro due sue compagne, facendole cadere tutte in terra, prima di evitare
l’assalto di altre guerriere. Stufo di giocare, Phoenix bruciò il proprio cosmo
ardente, liberando l’uccello infuocato.
“Ali
della Fenice!!! –Esclamò, mentre la
vorticosa fiamma della fenice travolgeva le guerriere.
Abbattute
le sue assalitrici, Phoenix ricominciò a correre, finché non giunse, con un
agile balzo, nel piazzale antistante la Nona Casa dello Zodiaco: quella del
Sagittario. Micene! Mormorò. Ma non ebbe il tempo di abbandonarsi ai
ricordi, che dovette scattare di lato, per evitare una fitta pioggia di frecce
dalle punte acuminate provenienti dal tetto del tempio.
Phoenix
rotolò sul pavimento di marmo, schivando i dardi delle guerriere, prima di
contrattaccare con le piume metalliche della sua armatura. Ne scagliò a decine,
osservandole scivolare leggere nell’aria, e piantarsi nel corpo delle sue
avversarie, facendole precipitare a terra. Altri dardi piombarono nel piazzale,
ma Phoenix seppe scansarli tutti, rotolando sul terreno e scagliando le proprie
piume fiammeggianti, che abbatterono tutte le arciere.
“Ce
ne sono altre?” –Gridò, rialzandosi e guardandosi intorno con sospetto e sulla
difensiva.
“Ci
sono io!!!” –Gli rispose una decisa voce di donna, proveniente dall’interno del
tempio.
Phoenix
tirò uno sguardo verso l’entrata e la vide comparire in mezzo al colonnato,
splendida e solenne, proprio come la immaginava: Ippolita,
Regina delle Amazzoni. Ricordava abbastanza bene il mito di Eracle, da sapere
quale fosse la nona fatica che l’eroe aveva dovuto affrontare, e immediatamente
si chiese se non fosse uno scherzo del destino che il secondo combattimento che
avrebbe dovuto affrontare quel giorno sarebbe dovuto essere nuovamente contro
una donna.
Ippolita
non era molto alta, di costituzione magra, ma con braccia e gambe energiche;
indossava una cotta grigia, sotto la quale si intravedeva una tunica rosata dal
colore simile a quello della pelle, che copriva poche parti del suo corpo, come
la prima armatura di Pegasus, a cui molto somigliava, essenzialmente le
braccia, le spalle, il cuore, il ventre e le gambe dal ginocchio al piede. Non
portava elmo, ma una specie di rozza corona priva di gemme e orpelli
decorativi, e reggeva nella mano destra una corta spada grigiastra. Semplice
nella sua fattura, quasi primitiva, lontana dalle elaborate spade dei figli di
Ares. Il viso era piccolo ma battagliero, dominato da due intensi occhi scuri,
dello stesso colore dei mossi capelli che le ricadevano disordinatamente sulle spalle.
Era una donna mascolina, pensò subito Phoenix, ma affascinante.
Artemide
sarebbe onorata di averla tra i suoi Cacciatori! Rifletté, fermo, in mezzo al piazzale, di fronte
allo sguardo deciso della Regina delle Amazzoni, la quale, dopo essersi mostrata,
non gli aveva rivolto altra parola.
“Ippolita… immagino!” –Esclamò infine il Cavaliere.
“Questo
è il mio nome!” –Commentò bruscamente la donna. –“E tu devi essere il Cavaliere
dell’immortale Fenice, a giudicare dalla tua corazza!”
“Ikki di Phoenix, di Atena Cavaliere!” –Rispose il ragazzo,
iniziando a bruciare il cosmo infuocato.
“Sei
stato più in gamba del tuo compagno! Egli è caduto subito!” –Chiarì la donna,
fermando lo scatto di Phoenix.
“Compagno?!
Intendi.. Sirio?! Cosa gli hai fatto?”
“Io?!
Niente! Non ho avuto bisogno di sporcarmi le mani con lui! È caduto subito
vittima delle mie guerriere, le impavide Amazzoni, contro le quali si era
inizialmente rifiutato di combattere!”
“Che
stupido!” –Mormorò Phoenix, e la sua risposta stupì Ippolita,
che si sarebbe aspettata un atteggiamento più comprensivo verso l’amico
sconfitto. –“Un Cavaliere che ha timore di ferire una donna, quando la donna è
il nemico, non è degno di tale nome! Credevo che i miei compagni lo avessero
capito! Ma, a quanto pare, dovrò rinfrescare loro la memoria!”
“Dunque
tu non rifiuti un combattimento con una donna?!”
“E
perché dovrei?! Non ho forse ucciso la Cerva di Cerinea,
i cui sporchi trucchi vuoti risultati hanno prodotto in me?! E, prima di lei,
schiaffeggiato Pandora, sorella del Sommo Ade, durante la Guerra Sacra?!
Credimi, Ippolita, che tu sia uomo o donna per me non
fa differenza alcuna … perché io ti ucciderò se non mi lascerai passare!”
–Detto questo, prima ancora che la Regina delle Amazzoni potesse rispondergli,
Phoenix scattò avanti, concentrando il cosmo sul pugno destro e scagliando un
violento attacco contro l’ingresso del tempio. –“Pugno Infuocato!”
–Gridò, mentre un’ardente sfera di energia saettava contro Ippolita,
la quale fu abile ad evitarla saltando in alto, con una capriola, e atterrando
proprio al centro del piazzale.
Phoenix,
superato dalla donna, si voltò di scatto, liberando le incandescenti piume
della fenice, dirigendole verso le numerose parti scoperte del corpo di Ippolita, ma questa mosse la spada che impugnava con grande
velocità e destrezza, parando tutti i singoli colpi del Cavaliere, per quanto
minuscole fossero quelle piume.
“Vorresti
uccidermi con queste?!”
“Sono
le piume che hanno trucidato le tue compagne!” –La schernì Phoenix, per niente
intimorito.
“Sono
morte con onore, le mie guerriere!” –Esclamò orgogliosa Ippolita.
–“Ed io le vendicherò!” –Aggiunse, scattando avanti, brandendo la sua rozza
spada. Rapidi affondi diresse verso Phoenix, il quale fu costretto a spostarsi
continuamente per evitarli, prima di accorgersi che con i suoi assalti Ippolita stava tentando di portarlo in un punto preciso.
“Uh?!”
–Si chiese Phoenix, mentre un sibilo attirò la sua attenzione. Spostò il capo
in tempo per evitare che un dardo lo colpisse dietro la nuca. –“Aah aah!
Attaccate a tradimento, luride cagne di Ares!” –Esclamò, mentre decine di
Amazzoni spuntavano dalla cima del tempio e tra le colonne, tutte brandendo un
arco.
Ippolita
non rispose, scattando avanti con la sua corta spada, mentre nugoli di frecce
piovevano sui due combattenti. Alcune si infransero contro la Divina Armatura
della Fenice, senza scalfirla, altre mirarono al viso del ragazzo, che fu
costretto a prestarvi troppa attenzione, esponendo il fianco all’assalto di Ippolita.
La
corta spada della Regina delle Amazzoni penetrò la corazza di Phoenix
all’altezza della milza, non riuscendo comunque a scendere in profondità. Un
attimo dopo, Phoenix afferrò il braccio della donna, stringendolo con forza, e
la ribaltò, scaraventandola contro le sue guerriere, tra le colonne del tempio.
Subito una nuova pioggia di frecce calò su di lui, mentre il ragazzo estraeva
la spada di Ippolita dal suo fianco, permettendo al
sangue di uscire dalla ferita e macchiare la lucente armatura.
“Il
gioco è finito, mie belle signore!” –Ironizzò Phoenix, voltandosi di scatto.
Lanciò la spada verso il tempio, facendola roteare su se stessa, finché non si
conficcò nel collo di un’Amazzone, proprio alla destra di Ippolita,
che intanto si era rialzata. Quindi balzò in aria, liberando le infuocate piume
della fenice, che travolsero tutte le frecce che le donne gli avevano diretto
contro. –“Guarda, Ippolita, la fine delle tue
guerriere!” –Esclamò, rabbioso, mentre il fuoco della fenice lo circondava.
Vampate
di pura energia sfrecciarono nel piazzale, raggiungendo le donne appoggiate
alle colonne di marmo e sollevandole da terra, risucchiate da un vortice
arroventato. Stessa sorte toccò alle ultime nascoste sul tetto del Tempio,
scaraventate via dal battito di ali della fenice.
“E
stessa sorte subirai tu, donna!” –Esclamò Phoenix, atterrando sul pavimento,
mentre i corpi esanimi delle Amazzoni si schiantavano intorno a lui, di fronte
agli occhi, apparentemente imperturbabili, della loro Regina.
“Provaci!”
–Lo sfidò Ippolita, con aria temeraria. E Phoenix non
se lo fece ripetere due volte, scattando avanti, con il pugno carico di energia
infuocata.
“Non
sfuggirai, stavolta al pugno infuocato di Phoenix!” –Tuonò, mentre una
gigantesca sfera rovente sfrecciava verso Ippolita.
Senza raggiungerla.
Con
un sorriso di vittoria, la Regina sfiorò la cinta che portava seco, la quale si
illuminò all’istante, emanando un violentissimo ventaglio di luce, quasi uno
scudo, sottile ed etereo, sul quale si schiantò il potente assalto infuocato di
Phoenix.
“Che...
cosa?! Cos’è quello?!” –Esclamò Phoenix, osservando il suo pugno venire
respinto da una barriera invisibile. Senza rispondergli, Ippolita
rimandò indietro il colpo di Phoenix, che fu travolto e spinto lontano, avvolto
dalle sue stesse fiamme. Quando si rialzò, vide la Regina chinarsi sulla
guerriera caduta vicino a lei, estrarre la spada dalla sua gola e scuoterla per
pulirla dal sangue, senza fermarsi neppure un momento a commemorare la defunta.
“La
mia spada…” –Disse, mentre Phoenix, ansimando, si
rimetteva in posizione.
“Te
la pianterò nel cuore!” –Urlò il ragazzo, scattando nuovamente avanti.
Una
nuova raffica di piume infuocate volò verso Ippolita,
che ancora una volta seppe pararle tutte con la sua spada; ma Phoenix si
avvicinava sempre di più, portandosi più vicino possibile alla donna, in modo
da concentrare il cosmo sul pugno destro e portarlo avanti, in un incandescente
turbinio infuocato. Ma anche quell’attacco, da distanza ravvicinata, fu parato
da Ippolita e da lei respinto, travolgendo Phoenix,
che fu scaraventato indietro, perdendo l’elmo della sua corazza.
“Come… puoi?!” –Mormorò Phoenix, rialzandosi, sputando
sangue. Tirò un’occhiata al ventre della Regina e vide chiaramente la cinta
dorata risplendere sulla spenta cotta grigia, la cinta che permetteva ad Ippolita di creare uno scudo, un ventaglio difensivo,
simile al Muro di Cristallo di Mur, ma con un
campo di azione molto più limitato. –“Il Cinto di Ippolita…”
“Esattamente!
Mi fu donato dal Sommo Ares millenni or sono, per esercitare il potere sulla
mia gente, sulle fiere Amazzoni, orgoglio e vanto del fiume Termodonte,
nel Mar Nero! Eracle me ne privò durante la sua Nona Fatica, ma Ares,
magnanimo, me ne ha fatto nuovo dono, pochi giorni fa, dopo aver risvegliato me
e il mio popolo!”
“Bel
dono che ti ha fatto!” –Ironizzò Phoenix, con disprezzo. –“Carne da macello
ecco cosa siete diventate! Portatrici di morte e distruzione!”
“Taci,
maschio arrogante!” –Lo zittì Ippolita, il cui tono
di voce si fece più ostile. –“Ares ci ha fatto un grande dono, riportandoci in
vita! E questa occasione che ha offerto, a me e al mio popolo di donne
guerriere, non la sprecheremo!”
“Occasione
per cosa?! Per dimostrare la vostra mascolinità?!”
“No!
Per avere nuovamente una terra in cui vivere, da sole! Senza uomini che si
intromettano nelle nostre vite e che vogliano sottometterci e comandarci!”
“Un’intera
vita senza amore?!” –Mormorò Phoenix. –“Ho pietà di te, Regina delle Amazzoni!
Credevo fossi una barbara guerriera, una cacciatrice di teste al servizio di
Ares, ma mi sbagliavo! Sei anche arida e vuota di sentimenti, interessata
soltanto al proprio esclusivo tornaconto!”
“Cosa
vuoi saperne tu? Cosa può saperne un uomo delle sofferenze di una donna, dei
tormenti e delle offese di cui i maschi ci hanno sempre fatto oggetto?!” –Gridò
Ippolita, puntando la spada contro Phoenix, furiosa
per le parole ostili che gli aveva rivolto. –“Cosa puoi saperne tu?”
Un raggio
energetico si sprigionò dalla lama, diretto verso il Cavaliere della Fenice,
che invece di evitarlo aprì il palmo della mano, caricandolo del suo cosmo, e
con esso lo fermò, gettandolo via.
“Forse
non conosco il disprezzo di cui ti hanno fatto oggetto, né la derisione che ha
provato il tuo popolo, ma so cosa significa vivere nell’ombra, Ippolita! Conosco il significato del vivere in solitudine,
con noi stessi, disinteressandosi agli altri, verso cui esiste solo reciproco
disprezzo! Ho vissuto in questo modo per troppo tempo, mentre gli intossicanti
insegnamenti del mio maestro inquinavano la mia mente, per volontà di un Dio
bastardo e guerrafondaio, mentre l’unica forma di consolazione, nella mia
misera e infernale vita, scompariva, come un fiore reciso dal vento, e più
vivevo più disprezzavo gli altri, più avrei voluto ucciderli, farli soffrire,
almeno quanto avevo sofferto io!” –Phoenix continuò a parlare, mentre Ippolita ascoltava interessata il racconto del
Cavaliere.–“Perciò non ti biasimo se
provi odio e rabbia verso qualcuno, perché anch’io, prima di te, ho disprezzato
il mondo e chi ne faceva parte! Ma, proprio per esperienza personale, posso
metterti in guardia dall’esasperato desiderio di solitudine, perché esso non
porta mai a niente, se non alla morte dei sensi, delle emozioni!”
“Bel
discorso, Cavaliere di Phoenix! Se il tuo sermone è giunto al termine possiamo
riprendere il nostro combattimento! Ho una spada da piantare nel tuo cuore!”
Phoenix
non rispose, sbuffando scocciato, mentre le vampe incandescenti dell’uccello
infuocato circondavano il suo corpo. Pensò di aver sprecato del fiato, parlando
con quella donna, la cui mente e il cui animo erano probabilmente asserviti al
demoniaco Signore della Guerra; eppure, qualcosa in fondo al cuore gli faceva
pensare, e forse sperare, che Ippolita non fosse così
fiera di servire Ares, che forse tutta quella riconoscenza che provava per lui
era dovuta, che effettivamente sentita.
“Difenditi,
Cavaliere!” –Urlò la Regina delle Amazzoni, scattando avanti, mentre la punta
della sua lama si caricava di energia luminosa. Ma Phoenix, che non aveva
intenzione di rimanere ad attendere il suo assalto, espanse al massimo il suo
cosmo, travolgendo la donna e scaraventandola in alto, sulle Ali della
Fenice. Un turbinio di vampe di fuoco avvolse Ippolita,
che non riuscì a proteggersi con il suo cinto, lanciandola in aria, mentre
Phoenix balzava in alto con il pugno teso.
“Pugno
Infuocato!” –Gridò, colpendo la donna
in pieno petto e scaraventandola a terra, sprofondandola nel pavimento di
marmo, mentre parte della sua cotta andò in frantumi.
“Come… hai potuto… superare il
Cinto di Ippolita?!” –Rantolò la Regina.
“È
illusoria difesa la tua cintura, valida solo per chi attacca di fronte! Il suo
potere è più persuasorio che effettivo! Grazie ad essa puoi parare le frecce e
gli assalti che provengono dagli avversari che hai davanti a te e rimandarli
indietro, impressionando gli spettatori, e le tue guerriere, e spingendole ad
esserti sempre fedeli! Per questo motivo durante tutto il nostro incontro, hai
fatto di tutto per tenerti di fronte a me! Ma essa diventa inutile contro la
devastante potenza delle Ali della Fenice, il cui battito travolge ogni
cosa, da ogni direzione, come una tempesta di fiamme incandescenti!”
“Ottima
strategia, Cavaliere di Atena!” –Esclamò Ippolita, barcollando,
rialzandosi. –“Ma hai tralasciato un piccolo particolare…”
“Uh?”
–Domandò Phoenix, che pensava già di avere la vittoria in tasca.
“La
potenza del Cinto di Ippolita!” –Urlò la
Regina, sfiorando il gioiello che ornava la sua cinta.
Immediatamente
una violenta esplosione di luce si sprigionò dalla cintura, travolgendo Phoenix
e scagliandolo indietro, fino a farlo schiantare contro la parete rocciosa
retrostante, affondando in essa e ricadendo a terra, mentre cumuli di pietre
crollavano su di lui.
“Stolto!
Il potere del Cinto di Ippolita non è solo difensivo,
ma offensivo! Esso è capace di assorbire l’energia cosmica sprigionata nei
combattimenti, e rispedirla indietro, travolgendo il nemico, come una bomba che
esplode repentina e non lascia possibilità di fuga!”
Senza dire altro,
Ippolita diede le spalle al piazzale e si incamminò
verso la Nona Casa, pronta per rientrare al suo interno, quando un boato dietro
di lei la riscosse, obbligandola a voltarsi nuovamente. Phoenix era in piedi,
ansimante, avvolto nelle vampe incandescenti del suo cosmo.
“Sei
dunque immortale, Cavaliere della Fenice?!” –Esclamò l’Amazzone, per la prima
volta sorpresa.
“Per
uno come me, che ha attraversato cento volte le fiamme dell’inferno, il tuo
assalto è stato come una folata d’aria fresca!” –Le rispose Phoenix, cercando
di mantenere il suo solito tono deridente, sebbene avesse dolori vari al corpo.
“Bene,
questa volta ti…” –Esclamò Ippolita,
ma non riuscì a terminare la frase che Phoenix era già di fronte a lui, scattato
avanti più veloce di un lampo.
Il
pugno destro del ragazzo piombò sul suo cranio, e istintivamente la Regina
chiuse gli occhi, immaginando che glielo avrebbe sfondato. Invece non sentì
niente, soltanto un brusio nel suo cervello, nient’altro.
“Uh?!”
–Mormorò Ippolita, trovandosi Phoenix proprio di
fronte. –“Hai finito le energie, Cavaliere?” –Lo derise, puntando la spada
contro di lui. Ma Phoenix balzò indietro, evitando l’affondo della donna, e
ricadendo compostamente al suolo, con un sorriso beffardo sul volto che
innervosì Ippolita.
“Cos’hai
da ridere?! Dovresti piangere invece, maschio inconcludente!” –Esclamò la
Regina delle Amazzoni, prima di fare un passo avanti. Improvvisamente una
tremenda fitta al cervello la aggredì, obbligandola a portarsi entrambe le mani
alla testa, crollando al suolo, urlando come una disperata per il dolore
interno che sentiva.
“Fantasma
Diabolico!” –Mormorò Phoenix,
avvicinandosi alla donna. –“La tecnica che tanto hai disprezzato! Adesso
prenderò la tua anima, Ippolita!”
“Ma…maledetto…” –Tentò di
mormorare la guerriera, ancora a terra, prostrata dal dolore cerebrale che la
stava dilaniando.
Phoenix
rimase in piedi, torreggiante sopra di lei, trattenendo la voglia istintiva di
sferrarle un calcio in pieno viso e spaccarle la mascella, come sicuramente lei
avrebbe fatto al posto suo. Pur tuttavia non lo fece, e rimase ad aspettare, ad
indagare nell’animo tormentato della Regina delle Amazzoni, per la quale iniziò
a provare una morbosa attrazione, vedendola quasi come un’altra metà di sé.
“Parlami… Che cosa ti spinge a servire Ares? Tu che ti
definisci donna indipendente, superiore alle schiave femmine del mondo
contemporaneo, che ti glori della tua libertà, della tua natura che ti permette
di sopravvivere, mentre il resto del mondo va giù, sopraffatto dal virilismo
guerriero della maggioranza, come hai potuto mettere la tua forza, il tuo
sapere, al servizio di un Dio barbaro, il cui unico scopo è soltanto quello di
schiavizzare le libere genti, senza rispetto per niente e per nessuno, donne
soprattutto! Come può una donna come te, accesa sostenitrice dello strapotere
femminile, piegare il capo al maschilismo comando di Ares?!”
“Io…” –Ippolita tentò di
resistere, di non parlare, di rialzarsi e combattere con Phoenix, con l’uomo
che la stava facendo soffrire, con l’uomo che aveva osato atterrarla e porle
domande simili, troppo intime per permettergli di sopravvivere ad una risposta.
Ma
falliva, continuamente falliva, vittima del Fantasma Diabolico, che la
obbligava ad aprirsi, mostrando un altro lato di sé. Meno guerriero e più
umano. Un lato che la stessa Ippolita disprezzava.
“Devo
farlo per il mio popolo, Cavaliere di Phoenix! Per le donne che a me sono grate
e che in me hanno riposto fiducia e speranza! Ares ci ha promesso la nostra
antica terra, sulle sponde meridionali del Mar Nero, da cui gli uomini ci
cacciarono secoli fa!”
“E
credi davvero che Ares manterrà la promessa?! Non pensi che ti stia usando,
come sta usando il tuo popolo, le fiere Amazzoni, per uccidere noi, suoi
nemici?!”
“Ci
ho pensato, certo! E l’ho temuto!” –Rispose Ippolita,
riuscendo finalmente a rimettersi in piedi. –“Ma questo non cambia la realtà
dei fatti, non mi lascia altra via che lottare comunque e mantenere la promessa
fatta al Dio della Guerra! Essa è l’unica speranza che ho, per me e per il mio
popolo; un filo sottile appeso alla benevolenza di Ares!”
“Un
filo che la sua spada infuocata reciderà quanto prima, non appena gli avrai
consegnato le teste di noi cinque Cavalieri di Atena!”
“Non
è mai stata mia intenzione, Ikki di Phoenix!”
–Precisò Ippolita. –“Il tuo compagno è ancora vivo,
imprigionato dal maglio delle Amazzoni, ma vivo! Avrei voluto condurvi da Ares
prigionieri, sconfitti, umiliati, come è nel desiderio delle Amazzoni vedere
gli uomini loro avversari prostrarsi a terra vinti, ma non morti! Noi non siamo
assassine e questa guerra non ci riguarda! Manterrò fede al mio giuramento e vi
sconfiggerò, ma sarà Ares a decidere se uccidervi o servirsi di voi!”
“Nessuno
di noi mai lo seguirà! E non dovresti farlo neppure tu, se non condividi i suoi
folli piani di conquista!”
“Non
ho altre scelte!” –Chiarì l’Amazzone, stanca ormai di quella conversazione.
“C’è
sempre una seconda scelta, Ippolita!” –Precisò
Phoenix, ricordando la propria esperienza personale. –“Puoi continuare a vivere
nella tua solitudine, nella rabbia e nel rimpianto che ti porti dietro, come
feci io per molti mesi, o puoi scegliere di credere in qualcosa! Magari in un
amico, o in un Dio, che sia giusto e voglia la pace, come Atena, la nostra
Dea!”
“Io
non credo in niente, Ikki...” –Commentò lei,
spostando lo sguardo.
Phoenix
comprese che l’effetto del Fantasma Diabolico era terminato e
dall’espressione decisa sul volto di Ippolita intuì
che il combattimento sarebbe ripreso.
“Anche
se Ares è un Dio ingiusto e maschilista, continuerò sulla mia strada, Cavaliere
di Phoenix!” –Esclamò la guerriera, espandendo il suo cosmo. –“Devo farlo per
il mio popolo, che crede in me, e che ha diritto ad una terra!”
“C’è
un intero pianeta pronto per accogliervi, Ippolita!
Perché vuoi tornare là, a Themiskyra?”
“Perché
è la mia casa!” –Rispose la Regina delle Amazzoni, mentre il suo cosmo si
palesava sotto forma di guizzante energia dal colore verdastro. –“Difenditi
adesso, perché questo sarà l’ultimo scontro!”
Saette
incandescenti circondarono Ippolita, roteando
circolarmente intorno a lei, finché la donna non modellò l’energia stessa,
quasi fosse materia plasmabile, creando un arco con una freccia incoccata,
composti da puro cosmo.
“Dardo
delle Amazzoni! Trafiggi Phoenix!”
–Esclamò, scagliando la freccia energetica contro Phoenix, che cercò di
difendersi colpendo il dardo con il pugno carico di infuocata energia,
riuscendovi soltanto in parte, venendo trapassato dalla sfolgorante freccia di Ippolita. E in quel momento, mentre si accasciava a terra,
toccandosi il petto dilaniato, in preda a indicibili tormenti che la saetta
stava provocando in lui, Ippolita ebbe per la prima
volta una remora.
Perché
deve andare così? Si domandò,
osservando il giovane di fronte a lei contorcersi dal dolore. Abbassò per un
momento gli occhi, quasi rattristata da tale triste visione, stupendosi di lei
stessa, quando la voce maschile, ma ansimante, di Phoenix non la richiamò.
“Non… fermarti!” –Mormorò il Cavaliere rimettendosi in
piedi.
Stupefatta,
Ippolita lo vide rialzarsi, sudando e ansando
nervosamente, circondato dallo splendente bagliore del suo cosmo infuocato.
Bagliore che mai aveva percepito prima in un avversario. Che mai aveva percepito
in un uomo.
“Ancora
ti rialzi, Phoenix?!” –Balbettò incredula.
“Devo
superare la Nona Fatica, Regina delle Amazzoni! E devo farlo adesso! Per
salvare Atena e le genti della Terra! Vorrei il tuo aiuto, perché sento che il
tuo cuore è onesto e so che se tu avessi la tua terra, il rispetto che cerchi
per la tua gente, non combatteresti per un sanguinario Dio come Ares!”
“Ikki…” –Mormorò Ippolita, con un
groppo al cuore.
“Ed
è proprio per onorare te, e il sogno del tuo popolo, che ti affronterò fino
alla fine! Senza tirarmi indietro, senza remore alcuna! Soltanto un sorriso,
che possa risvegliare in te l’orgoglio di essere donna, e non schiava degli
Dei!” –Esclamò Phoenix, facendo esplodere impetuosamente il suo cosmo
infuocato. –“Che le Ali della Fenice ti travolgano, Regina delle
Amazzoni! E che il loro impetuoso battito possa riportati là, sulle rive del Termodonte, facendoti assaporare un ricordo che hai
perduto, vendendolo al Dio della Guerra, che ha solamente abusato di te!”
La
tempesta infuocata travolse in pieno Ippolita,
incapace di difendersi con il suo cinto, sollevandola da terra, mentre vampe di
rovente energia stritolarono il suo corpo, distruggendo la sua corazza, fino a
farla schiantare contro le colonne del Nono Tempio, abbattendone parecchie con
violenza.
Il
boato attirò alcune Amazzoni, nascoste all’interno della Casa di Sagitter, le quali accorsero in aiuto della loro Regina. In
quel momento Pegasus, Cristal e Andromeda balzarono
nel piazzale, dopo essersi liberati di alcune impavide guerriere che avevano
tentato di sbarrare loro il cammino.
“Phoenix!”
–Gridò Pegasus, correndo verso l’amico accasciato a terra.
“Fratello!”
–Gli andò dietro Andromeda, seguito da Cristal, il
quale, prudentemente, tirò un occhio verso le colonne del tempio, dove le
Amazzoni stavano aiutando Ippolita, ancora viva ma
piena di sanguinanti ferite, a rimettersi in piedi.
“Vi
uccideremo, uomini!” –Urlò una voce di donna, impugnando un arco.
“Sì!”
–Le andò dietro un’altra, sfoderando una spada. E si gettarono nel piazzale,
per vendicare la sconfitta della loro Regina. A tal vista, Andromeda srotolò
immediatamente la catena, pronto a difendere gli amici, ma una voce imperiosa
fermò l’assalto delle Amazzoni.
“Fermatevi!”
–Gridò Ippolita, rialzandosi a fatica. –“Non
attaccate i Cavalieri di Atena!”
“Che?!
Cosa?! Ma mia Regina…” –Brontolarono le Amazzoni, non
capendo.
“Il
Cavaliere di Phoenix mi ha vinto onestamente, conquistando il diritto di
superare questo Tempio!” –Chiarì Ippolita, mentre
altre guerriere la aiutavano a stare in piedi. –“Liberate il prigioniero e
conduceteli fuori!”
“Sì...
sì…ma…” –Mormorarono le
Amazzoni, quasi sconcertate.
“Non
discutete i miei ordini!” –Esclamò Ippolita, che, per
quanto dolorante, sapeva sempre mettere in soggezione le sue donne, grazie al
cinto che portava.
Pochi
minuti dopo Sirio comparve sulla porta del Nono Tempio, scortato da alcune
guerriere. Era stato imprigionato nella Maglia delle Amazzoni, una fitta
rete di energia, creata da Ippolita stessa, capace di
bloccare i movimenti del prigioniero. Phoenix e gli altri, finalmente riuniti,
infilarono il corridoio centrale della Nona Casa, passando in mezzo al possente
esercito di Donne guerriero, senza che nessuna di loro tentasse ulteriormente
di fermarli. Prima di uscire, Phoenix si voltò un’ultima volta indietro,
incrociando lo sguardo di Ippolita, deciso ma in
parte malinconico.
“Vieni
con me!” –Le propose il Cavaliere di Phoenix, ma la sua voce fu udita soltanto
dalla Regina delle Amazzoni, un sussulto nel cosmo. –“A lottare per la tua
libertà e per quella delle tue genti! Ares vi ha reso schiave, ma voi potete
riprendervi la vostra indipendenza e la vostra gloria!”
“Non
posso…” –Commentò Ippolita,
abbassando lo sguardo. –“Ho fatto una promessa ad Ares, ed è nel mio onore
mantenerla!”
“Sei
già venuta meno al giuramento permettendoci di superare la Nona Fatica! Adesso
devi solo prestarne uno nuovo con te stessa!” –Ironizzò Phoenix, volgendole
infine le spalle. E in quel momento si ricordò dell’ultimo consiglio che Morfeo
gli aveva dato. –“Forse.. un giorno… ci sarà una
nuova Esmeralda!”
Mai
come in quel momento quelle parole gli sembrarono vere.
Capitolo 24 *** Capitolo ventiduesimo: Il terribile Gerione ***
CAPITOLO VENTIDUESIMO. IL TERRIBILE GERIONE.
Pegasus,
Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix correvano lungo la
scalinata di marmo, diretti verso le ultime tre fatiche che Ares aveva
riservato loro, finalmente riuniti. Era la prima volta che i cinque compagni si
ritrovavano a correre insieme. Alle Dodici Case Phoenix era infatti arrivato
dopo, per aiutare gli amici in difficoltà, mentre ad Asgard, nel Regno
Sottomarino e in Ade avevano tutti corso separatamente. La battaglia
sull’Olimpo aveva infine visto i cinque amici ritrovarsi alla Torre Bianca,
dopo mesi in cui erano stati separati, per volontà di Isabel di toglierli dalla
guerra.
Tre
fatiche dovevano ancora affrontare, tre fatiche prima di giungere alla
Tredicesima Casa, dove Ares si era sistemato, infangando con il suo sporco e
sanguinario cosmo il Grande Tempio di Atena. Le battaglie intermedie avevano
stancato tutti e cinque i Cavalieri, danneggiando in parte le loro Armature
Divine; quella di Cristal inoltre era l’unica a non
essere stata riparata da Efesto, l’unica che non
aveva goduto del mithril, elemento che si era
rivelato utilissimo per proteggere i ragazzi.
Un
latrato improvviso rallentò la corsa dei cinque compagni, anticipando l’arrivo
di un grosso animale che torreggiò sopra di loro, occupando l’intera larghezza
della scalinata.
“Attenti!”
–Urlò Pegasus, osservando la grossa bestia.
L’animale,
simile ad un immenso cane, si avventò sui Cavalieri, cercando di schiacciarli
con le sue grosse zampe e di affondare i suoi velenosi artigli nei loro corpi,
mentre litri di torrida bava calavano dalla sua bocca mostruosa.
“Ma…” –Mormorò Cristal, osservandolo.
–“È un cane bifronte! Ed è immenso!”
Il
cane era alto quasi tre metri, formato da un corpo robusto, con folto pelo
scuro, da cui partivano due grandi musi ornati da putridi denti affilati.
Pegasus e Andromeda notarono immediatamente una somiglianza con una bestia che
avevano incontrato l’anno precedente, Cerbero, guardiano della Seconda Prigione
dell’Inferno, anche se questo era di dimensioni ridotte.
Phoenix
evitò l’affondo dell’immenso cane, prima di lanciargli contro centinaia di
piume infuocate che si piantarono nel suo collo, esplodendo poco dopo e
facendolo sbraitare dal dolore. Andromeda liberò la catena, creando una
gigantesca tagliola con la quale imprigionò le zampe anteriori dell’animale,
prima di lanciare la catena di offesa sotto forma di spirale per unire insieme
le due teste del cane, facendole sbattere tra loro. Ma la bestia oppose forte
resistenza, dimenandosi e sollevando Andromeda con una brusca spinta, fino a
farlo sbattere contro la parete laterale.
“Lo
fermerò io!” –Gridò Cristal, espandendo il proprio
freddo cosmo che congelò l’intera scalinata, prima di lanciarsi avanti,
scivolando sul ghiaccio da lui creato e portandosi proprio in mezzo alle gambe
del bestione.
“Stai
attento, Cristal!” –Urlò Pegasus preoccupato, mentre
l’amico sfiorava con la mano le gigantesche zampe del cane, sprigionando il suo
potere gelante.
La
bestia guaì selvaggiamente, mentre il gelo della Siberia paralizzava i suoi
arti anteriori, impedendogli provvisoriamente di muoversi. Prima che Pegasus
riuscisse a muoversi, per scagliare il suo lucente fulmine contro di essa, un
fischio risuonò nell’aria, quasi un richiamo, attirando l’attenzione della
creatura, che parve momentaneamente rilassarsi.
“Uh?!”
–Mormorò Phoenix, osservando una figura, di stracci vestita, discendere la
scalinata e raggiungere il grosso animale.
Era
un vecchio zoppo e rachitico, con lunghi capelli grigi e sporchi, faccia
scavata e piccoli occhi grigi. Indossava cenci stracciati in più punti e
camminava tenendosi ad un bastone. Al di là dell’apparenza, che poteva spingere
alla commiserazione, tutti i Cavalieri percepirono l’ostentazione del suo
piccolo cosmo ostile.
“Chi
sei tu?!” –Incalzò Pegasus.
“Euritione è il mio nome, pastore di Gerione!”
–Rispose il vecchio, carezzando le gambe del cane. –“E voi non siete i
benvenuti, Cavalieri di Atena!”
“Strano
che un invasore si permetta di rivolgersi in tal modo al proprietario di casa!”
–Ironizzò Phoenix.
“Questa
non è casa vostra, ma del mio signore, il Gigante Gerione!
A lui appartiene questa parte dei Templi dell’Ira, e io sono il suo pastore!”
–Affermò il vecchio.
I
Cavalieri lo osservarono con aria torva, temendo un trucco, come alla Terza
Casa con la Cerva di Cerinea, ma il vecchio continuò
a carezzare il cane, prima di sfiorare il ghiaccio della Siberia.
“Ti
fa male, non è vero Ortro?!” –Esclamò Euritione, rivolgendosi al cane. –“Ma questi bastardi la
pagheranno! Sì... la pagheranno!” –E nel dir questo la sua mano sprigionò una
calda energia che liquefece il gelo di Cristal, permettendo
all’immenso cane di liberarsi.
“Cosa?!
Il ghiaccio della Siberia che evapora nel breve spazio di un istante?!”
–Mormorò Cristal, sconcertato come sempre quando
qualcuno superava le sue tecniche.
“Sono
un pastore di Ares, e come tale dispongo dell’infuocato potere del suo cosmo!
Cosmo con il quale vi fermerò!” –Sentenziò il vecchio. –“Uccidili, Ortro!!!” –E il cane, obbedendo, si lanciò avanti,
sollevando le artigliate zanne e obbligando i Cavalieri a separarsi.
–“Sbranali, mio fido, e divora le loro giovani carni!” –Lo incitò, mentre Ortro digrignava i denti, ringhiando affamato.
“Ortro?!” –Mormorò Pegasus, evitando una zampata
“Era
il cane guardiano della mandria di Gerione!” –Spiegò
Sirio, sferrando un calcio in pieno muso all’animale. –“Figlio di Tifone ed
Echidna, e fratello di Cerbero!”
“Ecco
spiegata la somiglianza!” –Concluse Pegasus, stufo di giocare con la bestia.
Concentrò il cosmo sul pugno destro e scattò avanti, presto seguito da Phoenix.
–“Fulmine di Pegasus!” –Urlò, mentre anche il cosmo dell’amico si univa
al suo.
Il
violento assalto colpì Ortro in pieno ventre,
squarciandolo, e permise ai due Cavalieri di portarsi al di là del mostro,
mentre Andromeda liberava la catena, fermando tutte le sue zampe in un’immensa
tagliola, dominata da scariche elettriche. Sirio terminò l’impresa, saltando in
aria, con il braccio destro carico di energia, e abbassandolo di colpo,
trinciando a metà l’orrida bestia.
“Excalibur!” –Mormorò, atterrando a fianco di Cristal e Andromeda.
L’immonda
carcassa ricadde sulla scalinata, grondando fetido sangue nero, mentre Euritione, irato e disperato, caricava il palmo destro di
rovente energia.
“Nooo! Maledetti! La mia creatura!” –Urlò, liberando vampe
infuocate. Ma esse non raggiunsero i Cavalieri, protetti da un resistente muro
di ghiaccio creato da Cristal. La fredda energia del
Cigno congelò l’intero pavimento, murando le gambe di Euritione
al suolo, per quanto il pastore usasse il proprio rovente cosmo per liberarsi.
“Non
affannarti troppo, servitore di Ares! Adesso lo raggiungerai!” –Esclamò Cristal, sollevando le braccia giunte sopra di sé. –“Aurora
del Nord, colpisci!” –Urlò, sbattendole di colpo avanti a sé.
La
violenta tempesta di ghiaccio travolse il pastore, che venne scaraventato in
aria per un po’, prima di schiantarsi contro la parete rocciosa, completamente
congelato, ed esplodere poco dopo. Le fiamme della Fenice finirono il lavoro,
bruciando quel che restava dell’immonda carcassa di Ortro.
Ma i cinque amici non ebbero neppure il tempo di congratularsi tra loro per
l’ottima azione congiunta che un immenso grido echeggiò sull’intera Collina
della Divinità, incutendo loro paura e soggezione. Mai avevano udito un simile
mortale suono.
“Che
sia dunque già giunto?!” –Si chiese Cristal, tirando
uno sguardo avanti a sé.
La
scalinata continuava per altri trenta metri, prima di giungere ove un tempo
sorgeva la Decima Casa, crollata l’anno precedente durante lo scontro tra Sirio
e Capricorn, e mai più ricostruita.
“Lo
affronteremo insieme, amici!” –Esclamò Pegasus, cercando di infondere nel loro
cuore speranza e determinazione. –“E insieme lo vinceremo!”
“Sì!”
–Risposero gli altri quattro, prima di scattare avanti.
Giunti
dove sorgeva un tempo la Decima Casa trovarono soltanto macerie, cumuli di rocce
franate, colonne mozzate, e niente di più. Sirio si guardò per un momento
intorno, sconsolato, cercando di trovare la statua che raffigurava Atena
consegnare Excalibur al Cavaliere d’Oro del Capricorno. Ma non la trovò, e di
questo si rattristò.
Un
nuovo urlo ghiacciò loro le vene, mentre i loro sensi si fecero sempre più
acuti. La Catena di Andromeda vibrava pazzamente, indicando l’aria
attorno, tesa come mai era stata prima.
“Il
nemico è vicino! La catena lo sente!” –Gridò Andromeda, facendo fatica a
trattenere l’arma.
”Dove sei?!” –Mormorò tra sé Pegasus. –“Mostrati!!!”
Per
qualche secondo i Cavalieri rimasero in cerchio, uno al fianco dell’altro,
controllando tutto lo spazio circostante, mentre la Catena di Andromeda,
disposta ad anelli concentrici attorno a loro, strisciava sul terreno come un
serpente. Ma a niente servirono le sue fitte scariche energetiche.
Contro
di lui persino quell’arma si rivelò inutile.
Apparve
improvvisamente, dalle nebbie circostanti, posando il suo grande piede sulla
catena roteante e schiacciandola sotto il suo immenso peso. Era altissimo, più
di quanto Pegasus e gli altri avevano immaginato, ed emanava un’aria truce e
malvagia.
Il
Gigante Gerione era determinato a fermare la loro
avanzata.
“Figlio
di Crisaore e Calliroe, era
uno dei Giganti più grandi dell’intero Occidente e l’uomo più forte del mondo!”
–Raccontò Sirio, osservando l’immensa creatura. –“Viveva nell’isola di Eritea, ai confini del mondo conosciuto, dove possedeva
un’immensa mandria di buoi dal colore scarlatto, custoditi dal pastore Euritione e dal cane Ortro! Euristeo, geloso, domandò a Eracle, come Decima Fatica, di
portargli tale mandria, e per farlo l’eroe fu costretto a uccidere Gerione e i suoi servitori!”
“E
adesso Ares lo ha riportato in vita!” –Mormorò Cristal.
–“Per uccidere noi!!!”
Gerione
era altissimo, superava sicuramente i dieci metri, ed era costituito da tre
corpi che si univano all’altezza dell’inguine, tre robusti tronchi sostenuti da
due possenti gambe. Ogni corpo aveva due grosse e nodose braccia, e una testa
che emanava ira e ferocia solamente osservandola. Era rivestito da una
scarlatta cotta protettiva, e il braccio destro di ogni corpo reggeva una
massiccia clava scura, sbattendola sul palmo dell’altra mano, pronto ad iniziare
il combattimento.
“Immagino
che parlare con lui sia inutile!” –Ironizzò Pegasus, bruciando il cosmo.
“Dei
dell’Olimpo... è immenso! Mai visto un essere simile!” –Commentò Andromeda,
spaventato, ma non demoralizzato.
“Grande
o grosso che sia, non potrà resistere ai Cavalieri della Speranza!” –Esclamò
Pegasus, allungando una mano verso gli altri quattro.
“No!”
–Gli andò dietro Sirio, ponendo la propria mano su quella dell’amico. –“Non
potrà resistere!”
Andromeda
e Cristal sorrisero, appoggiando le loro mani su
quelle dei compagni, speranzosi anche loro che insieme sarebbero riusciti a
vincere. Per ultimo, Phoenix appoggiò la propria mano destra, e quel momento
strappò un sorriso persino a lui.
Il
ruggito di Gerione riportò gli amici in battaglia,
mentre il gigante si avventava su di loro, sbattendo le grosse clave. Subito i
Cavalieri si divisero, scattando in direzioni diverse, tentando di evitare le
massicce mazze che crollavano su di loro e di contrattaccare. Sirio tentò un Drago
Nascente, ma il suo assalto, di media potenza, si infranse sulla corazza di
Gerione, resistente e dura a cadere, proprio come il colosso.
Phoenix evitò un pugno del corpo centrale, grosso come una casa, rotolando sul
terreno e scagliando decine di piume infuocate nella mano del gigante, senza
sortire effetto alcuno.
“Sono
per lui come punture di zanzara!” –Commentò, rialzandosi e cercando il
fratello, al momento in una brutta posizione.
Andromeda
aveva infatti cercato di ripetere l’esperimento che aveva avuto successo con
Cerbero e Ortro, utilizzando la catena nella forma a
spirale per imprigionare i tre corpi e farli sbattere tra loro. Ma a quei
colossi, la Catena di Andromeda parve un braccialetto, al punto che uno di loro,
il corpo di sinistra, la afferrò con un braccio, incurante delle scariche
elettriche, da lui neanche avvertite, e sollevò bruscamente il ragazzo,
tirandolo in alto ed esponendolo al violento assalto della clava.
La
massiccia arma colpì Andromeda sulla schiena, facendolo schiantare malamente a
terra, distruggendo le ali posteriori dell’Armatura Divina e ferendolo
gravemente.
“Andromeda!!!”
–Urlò Phoenix, vedendo il fratello in difficoltà.
Il
terzo corpo sollevò la clava, pronto per colpire nuovamente Andromeda, ma Cristal tentò di aiutare l’amico, concentrando il suo
attacco glaciante sull’arma stessa. Senza riuscirvi.
“Incredibile!”
–Mormorò, osservando un’immensa vampata di fuoco proveniente dalla stessa clava
liquefare i suoi ghiacci. –“Le Clave di Gerione sono
come la Spada Infuocata di Flegias!”
In
quella il terzo corpo del Gigante abbatté la clava, per colpire Andromeda
ancora a terra sanguinante, ma Phoenix intervenne prontamente, fermando l’arma
con le proprie braccia, imprimendovi tutta la sua forza, tutto il suo cosmo.
“Phoenix…” –Mormorò Andromeda, rantolando nella fossa che
aveva scavato nel pavimento.
Il
fratello stava sostenendo con le braccia l’immensa potenza della clava di Gerione, per impedire all’arma di schiacciarlo. Ma anche se
il suo cosmo ardeva al massimo non era ancora sufficiente, tanta era la forza
del colosso di Ares.
“Spostatiiii!!!” –Urlò Phoenix, incapace di continuare a
sorreggere la clava. E infatti Gerione la sbatté con
forza contro di lui, schiacciandolo nel terreno, mentre Andromeda riusciva a
rimettersi in piedi e a scansarsi.
“Fratello!!!”
–Gridò, osservando Phoenix sprofondato nel pavimento dal violento colpo di Gerione. Senz’altro attendere srotolò la Catena di
Andromeda, lanciandola contro il braccio destro del terzo corpo di Gerione, quello che brandiva la robusta clava, e
avvolgendola intorno al polso del gigante. –“Vai, Onda del Tuono!”
–Gridò, mentre l’arma si moltiplicava in infinite copie che trafissero il
braccio di Gerione.
“Aaaaaaargh!!!” –Gridò il terzo corpo di Gerione,
agitando il braccio furiosamente. Ma Andromeda, per quanto sballottato qua e là
dalla violenza del gigante, non aveva intenzione di mollare la presa,
obbligando Gerione ad afferrarlo con la mano
sinistra, stringendolo dentro ad essa.
“Andromeda!!!”
–Urlò Cristal, osservando l’amico scomparire
all’interno di quella grande mano. –“Maledizione…”
–Ed espanse a dismisura il suo cosmo glaciante,
lanciando una potente Polvere di Diamanti contro il braccio sinistro di Gerione, cercando di congelarlo. Ma non fece in tempo a
raggiungere lo Zero Assoluto, che la robusta clava del gigante piombò su di
lui, scaraventandolo indietro, fino a farlo rotolare sulla scalinata del Grande
Tempio.
Nel frattempo
Sirio e Pegasus stavano fronteggiando gli altri due corpi, quello centrale e
quello di destra, del terribile Gerione, trovandosi
anche loro in seria difficoltà. I movimenti del gigante erano notevolmente
veloci, considerando la sua tozza massa, al punto da non permettere ai due
troppe riflessioni strategiche, né di espandere esageratamente il proprio
cosmo.
Sirio
lanciò un paio di Excalibur che scheggiarono solamente la corazza del
Gigante, non essendo portate con grande intensità, mentre Pegasus tentò di
sfondare il corpo del colosso, venendo respinto. Un colpo secco di clava lo
fece schiantare contro la parete rocciosa laterale, prima di farlo ricadere a
terra. Gerione fu su di lui, afferrandolo con la mano
destra, di fronte agli occhi preoccupati di Sirio.
“Pegasus!!!”
–Urlò, evitando un colpo secco di clava. Ma il Cavaliere di Atena, prigioniero
del pugno del colosso, non si perse d’animo, trovando il momento di
concentrarsi ed espandere il proprio cosmo lucente. Gerione
sentì il suo polso destro scaldarsi, al punto da diventare rovente ed obbligarlo
ad aprire le dita, liberando Pegasus, completamente avvolto dalla sua aura
lucente.
Il
ragazzo svolazzò nell’aria, grazie alle ali della sua corazza, prima di
scagliare migliaia di fulmini luminosi contro il viso del gigante, che non fece
in tempo a coprirsi, venendo ferito in più punti. Gerione
sollevò il braccio destro per colpire Pegasus, ma egli, aspettando proprio quel
momento, parò il colpo con entrambe le braccia, afferrando un dito della mano
del gigante e iniziando a spingere avanti. Con tutta la forza che aveva in
corpo, Pegasus spinse in alto il braccio destro del colosso, usando il dito che
stringeva come leva per sollevare l’intero Gerione.
Gli altri due corpi si agitarono, sentendo che il primo stava oscillando
all’indietro, rendendo instabile il loro appoggio, e si mossero per cercare di
afferrare il Cavaliere di Atena.
“Ora
amici!” –Gridò Sirio, incitando Phoenix, risollevatosi grazie all’aiuto di Cristal, e Cristal stesso a
scagliare i loro colpi migliori. –“Colpo del Drago Volante!” –Urlò,
balzando in alto e puntando alla testa del corpo di destra.
“Aurora
del Nord, colpisci!!!” –Lo seguì Cristal, dirigendo il proprio attacco sulla seconda testa.
–“Pugno Infuocato! Iaah!” –Gridò Phoenix,
balzando in alto, e scaricando un violento pugno di energia rovente sul viso
del terzo corpo.
L’assalto
congiunto distrasse il terribile Gerione, obbligando
il terzo corpo ad aprire la mano per cercare di difendersi, liberando Andromeda
che precipitò al suolo. Nell’agitazione complessiva, Pegasus venne spinto
indietro, con un gesto brusco e forzuto, ma il ragazzo riuscì comunque a
ricadere in piedi, vicino agli amici.
“Incredibile!!!”
–Esclamò Cristal, stupefatto. –“Il nostro attacco
unito lo ha solamente fatto arrabbiare ancora di più! Ma non lo abbiamo
ferito!”
Il
gigante era infatti di fronte a loro, con le tre teste ferite e sanguinanti,
per gli attacchi ricevuti, ancora in piedi e pronto a dare loro battaglia con
le tre clave.
Improvvisamente
la testa di sinistra iniziò a gemere, urlando confusamente, prima di portarsi
le mani al collo, come se stesse soffocando. Per un momento i Cavalieri non
compresero cosa stesse accadendo, ma poi videro un noto bagliore scintillare
intorno al collo del terzo corpo.
“Andromeda!!!”
–Gridò Phoenix, cercando il fratello. Non visto, approfittando della confusione
creatasi durante l’attacco congiunto, il ragazzo si era portato alle spalle del
gigante, srotolando la propria catena e lanciandola verso il collo,
avvolgendola ad esso per soffocarlo.
“Aaaargh!!!” –Urlò il terzo corpo, cercando di afferrare la
Catena di Andromeda. Ma l’arma era talmente piccola, in proporzione alle sue
enormi dita, che Gerione non riusciva ad agguantarla,
tanto stava stridendo contro il suo collo.
“Ben
fatto, Andromeda!!!” –Esclamò Phoenix, orgoglioso del fratello. Concentrò il
cosmo rovente sul pugno destro, prima di scattare avanti, balzando, aiutato
dalle ali della sua Armatura Divina, fino di fronte al viso del terzo corpo,
che lo osservò con orrore, senza riuscire, ormai, a fermarlo.
Il
Pugno Infuocato si piantò nell’occhio sinistro del corpo del Gigante,
facendolo impazzire per il dolore, al punto da muovere confusamente le braccia
e colpire, per puro caso, Phoenix in volo e scaraventarlo contro la parete
rocciosa.
“Phoenix!!!”
–Gridò Cristal, preoccupato per l’amico.
“Un
occhio è stato colpito!” –Rifletté Sirio. –“Se solo riuscissi ad avvicinarmi di
più, potrei trafiggerlo con Excalibur!” –Ma i suoi pensieri furono interrotti
dal violento assalto degli altri due corpi del Gigante, i quali, armati di
clave infuocate, le stavano sbattendo in terra con forza, cercando di
schiacciare i Cavalieri come mosche.
Sirio,
Cristal e Pegasus evitarono gli affondi di Gerione, mentre Andromeda, dietro di lui, continuava a
stringere e a stritolarlo con la sua Catena e le scariche energetiche che essa
emanava.
“Ho
un’idea!” –Esclamò Sirio, rivolgendosi agli amici. –“Ricordate come abbattemmo
la Colonna Portante di Nettuno?!”
“Lanciando
Pegasus contro di essa!” –Gridò Cristal, evitando un
colpo di clava.
“Precisamente!
Lanciatemi contro Gerione! Gli caverò gli occhi con
la sacra spada!”
“Ma
Sirio…” –Intervenne Pegasus. –“È rischioso! Le altre
teste ti fermeranno!”
“È
un rischio che dobbiamo correre, amici!” –Disse il ragazzo, espandendo al
massimo il cosmo. –“Non esiste vittoria senza sacrificio! E voi ben lo sapete!”
Cristal e
Pegasus, seppur titubanti, imitarono l’amico, bruciando il loro lucente cosmo,
prima di riunirsi intorno a lui. I loro cosmi fecero barriera contro i colpi di
clava che Gerione rivolse loro, prima che la
devastante energia che liberarono spingesse indietro persino il gigante.
“Oraaa!!!” –Urlò Sirio, scattando avanti.
“Vola
Pegasus! Danza, Cigno Bianco!” –Esclamarono Pegasus e Cristal,
lanciando Sirio in alto, completamente avvolto dal suo lucente cosmo verde.
Gerione
tentò di fermare quell’assalto, ma non vi riuscì, muovendo a vuoto le clave
infuocate, e l’ultima cosa che l’occhio destro del terzo corpo vide fu la
maestosa sagoma di un dragone con le fauci spalancate puntare verso di lui. Poi
niente più, venendo trapassato dall’incandescente drago, esplodendo in grida di
dolore.
“Ce
l’ha fatta! Evviva!!!” –Esclamarono gli amici, convinti che quel colpo avrebbe
fatto crollare il terzo corpo di Gerione. Ma così non
accadde, e questo li demoralizzò notevolmente.
Per
quanto cieco da entrambi gli occhi, e grondante sangue, il terzo corpo del
gigante continuava a rimanere eretto e a brandire la sua massiccia clava. Anzi,
l’affronto che aveva subito e il dolore che stava provando contribuivano a
renderlo più pazzo, al punto che trascinò gli altri due corpi in un continuo e
perpetuo assalto contro i Cavalieri di Atena.
“Attentiii!!!” –Urlò Phoenix, rotolando sul terreno, e
afferrando Pegasus al volo, prima che un colpo secco di clava lo schiacciasse.
“Grazie...
amico!” –Mormorò Pegasus, rialzandosi insieme a Phoenix.
Sirio
e Cristal furono meno fortunati, venendo travolti da
un affondo dell’immensa clava infuocata e scaraventati contro la parete
rocciosa. Gerione sbatté la clava contro il muro di
roccia, facendolo crollare poco dopo su di loro, di fronte agli occhi sgomenti
degli amici.
In
quella, finalmente, il terzo corpo riuscì ad afferrare la Catena di Andromeda,
arrotolata intorno al suo collo, strattonando il ragazzo in alto, proprio
mentre la robusta mano del secondo corpo, voltandosi indietro, lo afferrava con
forza, tirandolo a sé. La forza del gesto fu talmente brusco da rompere alcuni
anelli della Catena di Andromeda, privandolo momentaneamente della sua arma, e
lasciare il ragazzo indifeso, di nuovo nella mano del gigante.
Pegasus e Phoenix
scattarono subito per aiutarlo, ma il primo corpo sbatté con forza la clava, al
punto da creare una fenditura nel terreno che corse verso di loro, obbligandoli
a saltare in alto per non precipitarvi dentro, esponendoli così all’assalto del
secondo corpo. Un colpo violento di clava li raggiunse in pieno,
scaraventandoli indietro e distruggendo parte delle loro armature. Andromeda fu
scagliato direttamente nella faglia apertasi nel terreno, ma il ragazzo,
precipitando al suo interno, riuscì ad afferrarsi ad una sporgenza, fermando la
sua rovinosa caduta verso l’abisso.
I
tre corpi di Gerione, fieri del loro successo,
sbatterono le clave sui petti, urlando e latrando, sicuri di avere eliminato i
Cavalieri di Atena, e potendo quindi chiedere la ricompensa. E cosa avrebbe
chiesto Gerione al Sommo Ares se non la sua vecchia
isola, al di là delle Colonne d’Ercole, dove avrebbe potuto coltivare i suoi
amati buoi in pace, fuori dal mondo di cui non sentiva di fare parte.
Un
boato alla sua destra interruppe il suo sogno di gloria. Cristal
aveva congelato le pietre franate su lui e Sirio, facendole esplodere poco dopo
e liberandoli, ma, debole per lo sforzo, era crollato in ginocchio. Gerione si preparò a colpire i due, quando una seconda
esplosione di energia lo disturbò nuovamente. Andromeda aveva espanso il suo
cosmo a dismisura, richiamando i frammenti distrutti della sua catena, che,
come già accadde contro Gemini alla Terza Casa, si riunirono, forti anche del
maggior potere acquisito grazie al mithril e al
sangue di Atena. Grazie alla catena, Andromeda riuscì ad uscire dalla faglia,
portandosi proprio di fronte al terribile Gerione,
per quanto stanco e debole anche lui sentiva di essere. Pegasus e Phoenix
ricomparvero in cima alla scalinata, dopo essere stati scagliati molte decine
di metri più in basso, ansimanti, con crepe sulle corazze divine, ma
determinati a non lasciarsi abbattere.
Gerione,
alla vista dei cinque Cavalieri di nuovo in piedi, esplose in una rabbia
frenetica, usando tutte le sue sei mani per schiacciarli, afferrarli,
stritolarli, eliminare quei moscerini che osavano ribellarsi a lui. Inoltre,
aveva un motivo maggiore per ucciderli. Vendicarsi di Atena, che aveva sempre
aiutato Eracle, sostenendolo in battaglia, e ingloriarsi
Ares.
Sirio
spinse Cristal a terra, evitando un pericoloso colpo
del gigante, mentre anche Andromeda, Pegasus e Phoenix fronteggiavano le altre
robuste mani che piombavano su di loro. Il terzo corpo di Gerione
era il più pericoloso e violento, poiché dava infatti, non vedendo, colpi a
casaccio, di una brutalità terribile. Per cercare di proteggere Cristal, Sirio venne afferrato da una mano del Gigante e
stretto in una devastante presa, che stritolò la sua corazza, piegando e
frantumando le ali del Dragone, facendolo urlare di dolore. Pegasus e gli altri
cercarono di intervenire, ma furono bloccati dalle mani e dalle clave degli
altri corpi del colosso, mentre Gerione stritolava
Sirio sempre di più.
Improvvisamente
un Tridente Dorato si conficcò nel polso del Gigante, facendolo urlare di
dolore, mentre un secco colpo di spada gli tranciava il dito mignolo,
permettendo a Sirio di scivolare via, di sotto, dalla presa di Gerione. Pegasus si voltò verso i due Cavalieri dalle
dorate vestigia che erano appena giunti alla Decima Casa, stupito ma felice: Dohko di Libra e Milo di Scorpio.
Capitolo 25 *** Capitolo ventitreesimo: Combattendo insieme ***
CAPITOLO VENTITREESIMO. COMBATTENDO INSIEME.
Dohko di Libra e Scorpio
erano giunti al Grande Tempio due ore prima, ma avevano dovuto affrontare ben
due scontri. Il primo di fronte alla Casa di Ariete, contro una pattuglia di berseker che aveva tentato di fermarli, e il secondo alla
Nona Casa, contro le Amazzoni di Ippolita. Le donne
guerriero avevano rifiutato loro di transitare, ma Scorpio,
per quanto non desiderasse affrontarle, avendo sempre avuto notevole stima verso
di loro, era stato costretto a pungerle con l’acuminato ago. Solo poche punture
erano bastate per farle accasciare al suolo, febbricitanti, e permettere loro
di passare oltre. Dohko aveva percepito una forte
energia cosmica nella Nona Casa, superiore a quella delle donne che avevano
sbarrato loro il passo. Che sia la Regina delle Amazzoni?! Si era
chiesto. Ma nessun altro aveva tentato di fermarli e i due avevano oltrepassato
il Nono Tempio, dirigendosi verso il Decimo, dove, lo percepivano chiaramente,
era in corso una furibonda battaglia.
I Cavalieri dello
Zodiaco, fortunatamente ancora vivi, stavano fronteggiando un temibile avversario
dal triplice cosmo, e sia Dohko che Scorpio non avevano impiegato molto a capire chi fosse.
Il
terribile Gerione! Mostruoso gigante triforme e tricipite! Veniva considerato l’uomo
più forte del mondo, nell’Antichità! La sua fama fu nota fino al Medioevo, al
punto che Dante, grande poeta italiano, lo cantò nel suo Inferno, nel XVII
canto, facendone però un frodatore, un imbroglione, dall’aspetto osceno, quasi
animalesco: “La faccia sua era faccia di uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle, e d’un serpente
tutto l'altro fusto; due branche aveapiloseinsin l’ascelle; lo dosso
e l’petto e ambedue le coste dipinti avea di nodi e
di rotelle. Con più color, sommesse e sovrapposte non fer
mai drappi Tartari nè Turchi!
Erano giunti alla Decima Casa giusto in tempo per aiutare
Sirio, imprigionato dal gigante nel suo stretto pugno mortale, liberandolo con
le Armi della Bilancia.
“Scorpio!!!” –Esclamò Cristal,
felice di vedere i due Cavalieri d’Oro.
“Ma...
maestro!!!” –Balbettò Sirio, rimettendosi in piedi.
“Attento,
Sirio!” –Esclamò Dohko, osservando Gerione chinarsi nuovamente su Dragone, per colpirlo con la
sua clava incandescente. Con un balzo, Libra affiancò Sirio, sollevando lo Scudo
Dorato e caricandolo di tutto il suo cosmo; maper quanto l’arma fosse potente e resistente,
rinforzata da Mur e da Muspellheimr,
non resse il corpo, incrinandosi rovinosamente, e i due Cavalieri vennero
scaraventati indietro, sbattendo contro la parete rocciosa.
“Maestro!”
–Esclamò Sirio, cercando di aiutare Dohko, che però
rifiutò il suo aiuto, pregandolo di non chiamarlo più con quel nome.
“Credevo
di avertelo già detto quando affrontasti Arge!”
–Mormorò, rialzandosi ansimando. –“Adesso siamo due compagni d’arme, Sirio!”
La
conversazione fra i due fu interrotta dal violento assalto di Gerione sui loro compagni. Mentre Pegasus e gli altri
cercavano di evitare le clave incandescenti del Gigante, Scorpio
tentò di ferirlo con il suo ago avvelenato, ma scoprì, con dispiacere, che la Cuspide
Scarlatta non era in grado di penetrare la resistente corazza di Gerione, di probabile fattura divina.
Come
contro Eaco!
Rifletté Scorpio, ricordando il suo scontro col
Giudice. Senza esitare, si lanciò avanti, sfrecciando alla velocità della luce
tra le clave del colosso, fino a portarsi sotto di lui, tra le gambe di Gerione. Bruciò al massimo il cosmo, caricando le sue
braccia, prima di conficcare le dorate chele dello Scorpione nella gamba destra
del gigante, facendolo urlare di dolore.
“Aaaargh!!!” –Gridò Gerione, sollevando
istintivamente la gamba.
Andromeda
approfittò di quel momento per srotolare la catena, lanciandola avanti,
avvinghiandola con forza al collo del terzo corpo, quello già ferito in
precedenza, e iniziando a tirare con tutta la sua potenza, aiutato anche da
Phoenix e Cristal. Il corpo barcollante iniziò a
piegarsi in avanti, e Dohko e Sirio approfittarono di
quel momento per scattare avanti.
Il
Cavaliere d’Oro sfoderò la SpadaDorata di Libra, balzando in
alto e piantandola nel collo del Gigante, già ferito dallo stridere della Catena
di Andromeda, mentre Sirio, subito dopo di lui, lanciò un fendente di
energia cosmica nello stesso punto. Excalibur, forte degli aiuti
ricevuti, tagliò di netto la testa del terzo corpo di Gerione,
che cadde a terra tra le urla lancinanti degli altri due corpi, che iniziarono
a dimenarsi follemente, agitando le clave.
Scorpio
fu colpito con un calcio e scaraventato indietro, tra i detriti ammassati della
Decima Casa, mentre Pegasus e compagni tentavano di evitare gli assalti del
colosso.
“Andate
avanti, voi!” –Gridò Dohko, intimando Pegasus e gli
altri di raggiungere Scorpio, già alle spalle del
Gigante. –“Lasciate a me le due teste rimanenti!”
“Non
combatterai senza di me!” –Lo affiancò Sirio, lanciando un’occhiata a Pegasus.
“Amici…” –Balbettò quest’ultimo, prima di evitare un brusco
assalto di Gerione.
Le
clave incandescenti puntarono sul gruppo di Cavalieri, che dovettero dividersi
per non essere colpiti, mentre Gerione urlava come un
pazzo, desiderando solamente la loro distruzione.
“Adesso… correte avanti!!!” –Li intimò Libra, impugnando il Tridente
Dorato. Balzò in alto, proprio mentre una mano di Gerione
piombava su di lui, e piantò l’arma nel palmo aperto della mano, prima di
venire colpito e scaraventato a terra.
Il
gigante urlò per il dolore, prima di troncare il tridente e gettarlo via,
avventandosi con rabbia contro il Cavaliere d’Oro, ma incontrò la pronta
opposizione di Sirio, che con un colpo secco di Excalibur tagliò ben tre
dita della mano insanguinata. Pegasus, Phoenix, Andromeda e Cristal
superarono in quel momento il gigante e raggiunsero Scorpio,
tra le macerie del Decimo Tempio, incamminandosi avanti insieme a lui.
Gerione
era arrabbiatissimo e infuriato per aver perso una delle sue teste e stava sferrando
violenti e distruttivi attacchi contro i due Cavalieri di Atena, sbattendo con
brutalità le sue clave, distruggendo il pavimento e creando immensi crateri al
suolo.
“Dobbiamo
fermarlo, Sirio!” –Esclamò Libra, cercando di elaborare una strategia. Un
attacco frontale, adesso che erano rimasti in due, era molto difficile da
realizzare e avrebbe impegnato notevolmente le forze dei Cavalieri, stancandoli
ulteriormente. Inoltre il vorticare disperato delle braccia di Gerione rendeva impensabile un assalto dall’alto. La
soluzione migliore, convenne, mentre un colpo secco di Gerione
lo obbligava a scansarsi, è puntare alle gambe del Gigante, facendolo
barcollare, e alle sue braccia! Dobbiamo neutralizzare quelle possenti clave!
Stufo
di subire, Dohko sfoderò la Barra Tripunte, caricandola del suo dorato cosmo e, mentre
una mano del Gigante scendeva su di lui, la scagliò avanti, piantandola proprio
nel palmo aperto. Gerione, infastidito da quella
nuova ferita, seppur piccola e, in rapporto alla stazza del gigante,
insignificante, sbraitò a gran voce, sollevando di scatto la mano, con ancora
la barra piantata dentro, e tirando Dohko a sé.
“Maestro!!!
Attento!” –Gridò Sirio, vedendo il Cavaliere d’Oro venire issato su con
brutalità. Ma era proprio ciò che Libra voleva, riuscire ad arrivare sulla mano
del gigante, che la stava sollevando sempre più, scuotendola per liberarsi da
quell’inutile oggetto.
Con
abile destrezza, Dohko si aggrappò a un dito del
colosso, cercando di non farsi scaraventare a terra, di fronte agli occhi
preoccupati di Sirio, impegnato intanto ad evitare un nuovo assalto dell’altro
corpo di Gerione, e infine riuscì a portarsi sopra di
essa.
“Bene!”
–Mormorò Dohko, conscio che doveva agire in fretta,
vincendo l’instabilità di quella posizione. Sfoderò la Spada Dorata di
Libra e la piantò con forza nel polso del Gigante, caricandola dell’energia del
suo cosmo. –“Che Atena mi dia la luceeee!!!” –Urlò,
affondando la lama nella coriacea pelle di Gerione.
Il
fuoco di Muspellheimr scivolò dentro il corpo del
gigante, dilaniando le sue vene, prima che Gerione
reagisse istintivamente, scuotendo la mano e scaraventando bruscamente Dohko a terra.
Il
Cavaliere cercò di aggrapparsi ad uno spuntone roccioso della parete, ma vi
riuscì solo in parte, precipitando a terra, da sette metri di altezza, battendo
una gamba e scheggiando la sua corazza.
“Aaargh…” –Ringhiò Gerione,
rabbioso, sbattendo la clava sulla mano dolente e spazzando via, troncandole,
la barra tripunte e la spada di Libra, per quanto alcune
schegge rimanessero piantante all’interno della sua pelle.
Sirio, nel
frattempo, era impegnato ad evitare la clava incandescente dell’altro corpo di Gerione, che era riuscito a spingerlo spalle al muro. Maledizione!
Mormorò, senza perdersi d’animo. Dietro di lui la parete rocciosa della Collina
della Divinità, di lato le rocce confusamente crollate durante lo scontro, e a
destra la faglia aperta da Gerione poco prima. Lo
spazio per muoversi era molto limitato, pochi metri quadrati che non bastavano
neppure per prendere una rincorsa e lanciarsi sul colosso, il quale cercò di
pestare il Cavaliere di Atena con la sua immensa clava. Non avendo altra
soluzione se non quella di essere schiacciato, Sirio bruciò al massimo il suo
cosmo, sollevando il braccio sinistro e offrendo lo scintillante scudo del
Dragone al suo nemico.
“Mithril, fai il miracolo!!!” –Mormorò, ormai avvolto da una
lucente aura verde.
La clava
incandescente di Gerione si schiantò contro lo Scudo
del Drago, il riparo più sicuro che un’armatura potesse offrire; ma, per quanto
potenziato dal sangue di Atena e dal mithril, anche
la leggendaria difesa andò in frantumi, distrutta dalla violenza dell’orrida
bestia, che comunque non ne uscì indenne, perdendo la clava, che si schiantò in
mille frammenti, spingendo indietro il colosso.
Sirio barcollò
per qualche secondo, schiacciato dall’immensa pressione esercitata dalla clava
di Gerione, venendo infine scaraventato indietro,
sprofondando nella parete rocciosa retrostante, con il braccio sinistro dolente
e grondante sangue. Dohko lo raggiunse zoppicando in
quel momento, indebolito anch’egli dall’assalto tentato contro il gigante.
“Terribile
avversario è costui!” –Mormorò Dragone, rialzandosi a fatica.
“E noi non siamo
Eracle!” –Commentò Dohko, un po’ demoralizzato.
“Ma lo vinceremo
comunque, Dohko!” –Cercò di incitarlo Sirio, per
quanto debole si sentisse.
Il Cavaliere
d’Oro, sentendosi chiamare per nome, sorrise, lieto di combattere a fianco del
suo ultimo allievo quell’importante battaglia, e cercò di elaborare una
strategia per mettere fine a quel gioco al massacro.
“Eracle, per
abbattere Gerione, lo colpì con una freccia,
ferendolo lateralmente, in modo tale che la freccia potesse trapassare i tre
corpi in un unico colpo!” –Spiegò Dohko, mentre il
gigante si preparava per attaccare nuovamente, per quanto gli ultimi due
assalti avessero messo a dura prova la sua resistenza. Ma il premio promesso
dal Sommo Ares, la sua vecchia isola, dove poter vivere in pace, insieme alle
sue giumenti, lo allettava più della prospettiva di morte, che in quel momento,
a Gerione, parve per la prima volta reale.
“Noi non abbiamo
archi né frecce!” –Continuò Libra. –“Ma abbiamo le armi della Bilancia! Useremo
queste per abbattere questo gigante!”
“Sono con te!”
–Concluse Sirio, bruciando il proprio cosmo.
Gerione fu subito su di loro, brandendo l’ultima
clava e cercando di colpirli e scaraventarli via, ma essi scattarono avanti,
veloci come fulmini, per quanto le ferite sui loro corpi si facessero sentire.
Sirio evitò un affondo del gigante, mentre Dohko
piantò nella clava il secondo Tridente Dorato, aggrappandosi ad esso e
poi balzando sull’arma, per quanto Gerione si
dimenasse e cercasse di farlo cadere.
“Resisti!” –Urlò
Sirio, espandendo al massimo il proprio cosmo. Sfrecciò come una saetta in
mezzo alle gambe del gigante, colpendo prima l’una poi l’altra col netto taglio
della lucente Excalibur, facendo urlare Gerione
dal dolore.
“Aauuhh!” –Gridò il colosso, sbattendo i piedi con forza,
mentre sangue scuro sgorgava dalle ferite.
Dohko,
rimbalzando sulla clava, riuscì a sfruttare i grossolani movimenti della creatura
per arrivare al suo braccio, e aiutandosi con il tridente, che piantava continuamente nella cotta
protettiva di Gerione, si arrampicò su di esso, fino
a giungere a un metro dal volto. Quando Gerione lo
vide era ormai troppo tardi: Dohko spiccò un balzo
avanti, centrando con il tridente l’occhio destro del colosso, facendolo
gridare dalla disperazione, prima che un colpo di mano lo scaraventasse a terra.
Nello stesso tempo Sirio
espanse il proprio cosmo lucente, liberando un impetuoso Drago Nascente dal
basso, che corse lungo l’intera superficie del colosso, stridendo fortemente
sulla sua cotta protettiva, facendola esplodere in più punti. Gli artigli del
drago distrussero la corazza di Gerione, giungendo
fino al viso del gigante, a cui ormai rimaneva solamente un viso capace di
vedere con entrambi gli occhi. E ciò che vide non lo rassicurò minimamente.
Dohko, rimessosi in piedi a fatica, stava impugnando
la Lancia Bracciale, con la quale produceva fasci di luce diretti contro
di lui. Misera cosa contro l’immensa mole del colosso, ma in quelle condizioni
di debolezza anche Gerione ne risultò disturbato,
soprattutto perché quelle faville luminose sembravano dirette verso i suoi
occhi. Irato, e in parte anche accecato, Gerione
agitò la clava di fronte a sé, senza colpire il Cavaliere di Libra, il quale
tentò l’azzardata mossa di balzare in alto, per avvicinare le scintille
incandescenti agli occhi del Gigante.
L’azione si
rivelò fallimentare e permise a Gerione di colpire Dohko in volo, con un secco colpo di clava che scaraventò
il Cavaliere a terra, facendolo schiantare rovinosamente sul pavimento e
rotolare fin dentro alla faglia. Ma Dohko non si curò
di se stesso, pensando solo al fine ultimo di quella mossa: quello di distrarre
Gerione, dando a Sirio un’opportunità per batterlo.
Non visto infatti il Cavaliere del Drago si era portato alle spalle di Gerione, cercando di ripetere la mossa di Andromeda; si era
lanciato in alto, affondando la Spada Dorata nella schiena del corpo
centrale, aiutandosi con essa per arrampicarsi e portarsi fino in cima. Quando Gerione se ne accorse era troppo tardi, e la spada di
Libra, carica del fuoco di Muspellheimr e del cosmo
quasi divino di Sirio, era penetrata dentro al suo collo.
“In nomine tuo Capricorn!!!” –Gridò Sirio, spingendo con forza la lama in
quella coriacea pelle.
Fiotti di scuro
sangue fuoriuscirono istantaneamente, schizzando il ragazzo, aggrappato alle spalle
del gigante, mentre dilanianti grida sferzarono l’aria, accompagnando il salto
di Sirio sull’altro corpo, quello che Dohko aveva
ferito all’occhio destro. Nuovamente caricò la spada dorata del suo lucente
cosmo, tuffandosi con essa nel collo del colosso, trapassandolo da parte a
parte, prima di ricadere a terra, scaraventato da un’agitata mossa di Gerione e imbrattato dal suo sangue.
Sirio rotolò sul
terreno distrutto, debole e sporco di oscura linfa, cercando di avvicinarsi
all’apertura sul pavimento, per aiutare il maestro in difficoltà, mentre Gerione, sopra di lui, urlava e gemeva come un forsennato,
in preda a indicibili tormenti.
“Maestro!!!” –Lo
chiamò Sirio, sdraiato sul bordo della faglia. Ma prima che potesse udire una
risposta, vide una barra dorata sfrecciare nell’aria e piantarsi proprio
accanto a lui. Dohko era vivo e stava usando la sua
arma per uscire dalla faglia. Sirio afferrò la barra e iniziò a tirare,
aiutando il Cavaliere di Libra a raggiungere la superficie, proprio in tempo per
dare il colpo di grazia a Gerione, ormai impazzito a
causa delle tante ferite riportate.
“Insieme, Sirio!”
–Mormorò Dohko, espandendo il proprio cosmo. Sirio
fece altrettanto e centinaia di scintillanti dragoni apparvero intorno ai loro
corpi, scivolando con armonica naturalezza.
“Colpo dei
Cento Draghi!!!” –Gridarono
insieme Dohko e Sirio, dirigendo le zanne dei lucenti
dragoni contro le gambe del colosso. Sfrecciarono nell’aria caliginosa gli
splendenti dragoni d’Oriente, trapassando le gambe del Gigante Gerione, divorando le sue stanche membra, che più non
riuscirono a sopportare il peso della sua smisurata mole, ripiegando su loro
stesse.
Libra e Sirio
cercarono di spostarsi, mentre il corpo dell’immensa creatura crollava su di
loro, sbattendo contro la parete rocciosa e facendola franare rovinosamente sul
vasto piazzale e sui due Cavalieri, che vennero travolti dallo sfaldamento di
pietre e polvere.
Il boato
provocato dal crollo di Gerione fu udito in tutto il
Grande Tempio, spaventando gli animi dei berseker
rimasti, increduli che un colosso come il Gigante di Eritea
potesse crollare. E risuonò nelle stanze di Ares, accendendo la rabbia nel Dio
della Guerra, appena rientrato al Grande Tempio.
Furibondo,
Ares scagliò un fulmine infuocato che distrusse il soffitto della Tredicesima
Casa, risplendendo nel cielo di Atene, venendo visto da tutti con
preoccupazione, soprattutto da Pegasus e dai suoi compagni, ormai alle prese
con la penultima fatica. Guidata dal suo Signore, la sfolgorante vampata raggiunse
il luogo dove un tempo sorgeva la Decima Casa, affondando nell’esanime corpo di
Gerione e dando ad esso la giusta sepoltura: un rogo
di fiamme, reso ancora più acceso e furioso dall’orrido sangue che si
infiammava al contatto con lo spietato cosmo di Ares.
“Del
resto in guerra…” –Commentò il nume. –“Non si
distinguono gli amici dai nemici, ma solo i vincitori dagli sconfitti! E volano
ciechi i colpi dalle mani!”
Sirio
e Dohko, prigionieri dalla frana di rocce che era
crollata su di loro, sentirono le devastanti vampate del Dio della Guerra
ardere fuori da quell’inospitale gabbia e sapevano che erano per loro. Ma in
quel momento, stanchi e indeboliti dall’estenuante scontro, si sarebbero
volentieri lasciati cadere in un sonno profondo, sommersi da centinaia di
pietre polverose. Fu Sirio a trovare la forza di reagire, liberando anche il
maestro da quella scomoda e pericolosa situazione.
“Colpo
Segreto del Drago Nascente!!!” –Urlò,
tirando un violento pugno verso l’alto.
Il
colpo che aveva ucciso persino Hypnos fece piazza
pulita delle pietre, polverizzandole in pochi secondi, mentre le vampe
incandescenti di Ares piombavano su di loro. Dohko,
ripresosi, cercò di proteggere l’allievo, sollevando lo Scudo Dorato,
scheggiato in più punti, che si rivelò misera difesa contro le fiamme
mortifere.
“Ares!
Maledetto! Spegnerò le tue fiamme!!!” –Mormorò Sirio, concentrando il cosmo tra
le mani, sotto forma di una luminosa sfera dal colore della splendente acqua
dei Cinque Picchi. –“Acque della Cascata, venite a me!!!” –Esclamò,
liberando il proprio assalto.
Scintillanti
getti d’acqua, dalla forma di dragoni celesti e verdi, travolsero le immonde
fiamme di Ares, spegnendole a poco a poco, prima che il Cavaliere di Atena
crollasse a terra, a fianco del maestro. Erano deboli, e le loro corazze erano
scheggiate e distrutte in più punti. Le ali del Dragone, lo scudo, l’elmo, gli
schinieri erano in frantumi, così come numerose armi di Libra, spezzate da Gerione. Ma erano salvi, ed avevano lottato insieme,
credendo l’uno nell’altro.
In
quell’unico momento di calma, mentre cercavano di ritrovare il respiro e le
forze per raggiungere i loro compagni, Sirio chiese a Dohko
notizie dai Cinque Picchi, e il maestro, per quanto dispiaciuto, gli confessò
la verità.
“Non
so dove sia Fiore di Luna, Sirio! Mi dispiace, ma non è ai Cinque Picchi!” –E
raccontò il suo breve viaggio in Cina, la morte della famiglia presso cui la
ragazza era ospite, la fuga nel campo, il massacro dei berseker
e lo scontro con Eveno. –“Anche Scorpio
non ha trovato notizie su Patricia e Nemes, a Nuova
Luxor! Ma come me ha scovato i cadaveri dei berseker
di Ares!”
“Ma
allora dove sono Fiore di Luna e le altre?!” –Incalzò Sirio. –“Chi ha ucciso i berseker?!”
“Mi
dispiace Sirio... non ho risposta alle tue domande! Posso solo sperare che
questo nemico di Ares si riveli un nostro amico, e che abbia rapito i vostri
cari con l’unico scopo di salvarle dalla furia dei berseker!”
Ma quella
risposta, troppo semplicistica, non convinceva neppure lui. Per un momento Dohko si chiese se dietro tutto questo non ci fossero i
Cavalieri Celesti dell’Ultima Legione, quella comandata proprio dal suo vecchio
allievo. Ma realizzò che una simile ipotesi era troppo lontana dalla realtà.
Con
l’assedio in corso sull’Olimpo, Zeus non può certo permettersi di inviare altri
Cavalieri in giro per il mondo in missioni, per lui, di non così vitale
importanza!
Capitolo 26 *** Capitolo ventiquattresimo: Caccia nella Foresta ***
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO. CACCIA NELLA FORESTA.
Sull’Olimpo
la battaglia era in pieno svolgimento, con i berseker
che marciavano lungo la via principale, diretti verso la Reggia di Zeus, il
quale, per fermarli, aveva risvegliato i tre distruttori del Mondo Antico: gli Ecatonchiri. Phobos e Deimos, divini figli di Ares, avevano momentaneamente
abbandonato la guida dell’esercito, dando ai soldati un ultimo perentorio
ordine: giungere da Zeus, senza mai fermarsi, e uccidere tutti i loro
avversari. Senza esitazione, si erano lanciati nella Foresta Sacra, facendo
strage di Cacciatori Celesti, gli abili arcieri addestrati dalla Dea della
Caccia, una delle poche Divinità ancora vive.
Li
avevano uccisi tutti, trapassandoli con lunghe spade affilate, osservandoli
gemere, stramazzare al suolo, soffocare nel dolore e nel tormento. Ed ogni
morte, ogni uomo massacrato era stato per loro fonte inebriante di estasi,
capace di infondere calore e determinazione nel loro animo corrotto e malvagio.
Con un secco colpo di spada, Phobos tagliò la gola
dell’ultimo Cacciatore, calpestando poi con rabbia il suo arco.
“Questo
bastardo mi ha colpito!” –Esclamò, piantando nel cadavere la sua Spada
Infuocata.
“Non
ti agitare!” –Affermò Deimos, in piedi vicino a lui
nel cuore della foresta. –“Lei sarà qui tra un minuto!”
“Errato!”
–Esclamò una decisa voce di donna. –“Sono già qui!” –Aggiunse, mentre un lucente
dardo sfrecciava in mezzo agli alberi, diretto verso Deimos,
il quale fu abilissimo a deviarlo all’ultimo con la Spada Infuocata.
“Mostrati!!!”
–Gridò Phobos.
“E
perché dovrei?!” –Rise la donna. –“Non avrete forse paura di me?!”
“Paura?!
Ahahah!” –Sghignazzò Phobos,
mentre insieme a Deimos si guardava intorno,
osservando le cime degli alberi da cui sembrava provenire la voce. “–Donna, noi
siamo i figli di Ares, Sgomento e Spavento degli uomini! Possiamo noi conoscere
la paura?!” –Ma nessuno rispose, e i due figli di Ares rimasero da soli, con le
spade in pugno, a guardarsi intorno con circospezione.
“Bene!”
–Affermò infine Deimos. –“Se le piace così tanto giocare…” –E si chinò, strusciando il manto erboso con la
sua mano destra. Improvvisamente la terra tremò, vibrando sotto effetto di una
forte scossa sismica, scuotendo gli alberi intorno a loro, facendo cadere rami
secchi e foglie, nidi di uccelli, e, infine, una figura ricoperta da una dorata
armatura.
“Cadono
d’autunno dagli alberi le foglie...” –Ghignò il Dio del Terrore, rialzandosi.
“Maledizione…” –Mormorò la donna. –“Ho perso la presa… sono un’idiota!”
“Ehi!”
–La chiamò Deimos, intimandole di voltarsi. –“Ti ho
detto di voltarti!” –Latrò, sferrandole un calcio micidiale che la ribaltò, mostrando
finalmente il volto ai figli di Ares. –“Ma… Non è
lei!”
“Che
cosa?!” –Urlò Phobos, osservando la donna che era
caduta dall’albero. Era una giovane, di poco più che vent’anni, con folti
capelli verdi, e un bel viso, ricoperta da un’armatura dorata, che non era
assolutamente una Veste Divina, ma che richiamò, alla mente dei due fratelli,
le vestigia dei custodi delle Dodici Case di Atene. –“E lei... dov’è?!”
“Sono
qua!!!” –Esclamò un’accesa voce di donna.
Improvvisamente
una figura snella e agile balzò su Phobos
afferrandolo per il collare della sua Veste Divina, mentre un pugnale riluceva
nella semioscurità della Foresta Sacra. Phobos si
dimenò a più non posso, parando l’affondo con la propria Spada Infuocata,
ma la donna continuò a colpirlo, cercando di immergere il suo pugnale nel corpo
del figlio di Ares.
“Phobos!!!” –Esclamò Deimos,
brandendo la propria spada e correndo in aiuto del fratello. Ma la donna
ricoperta dall’Armatura d’Oro cercò di fermare la sua corsa, balzando in alto e
sollevando la mano destra, a guisa di artiglio, avvolta da guizzanti scariche
di energia.
“Cobra
Incantatore!” –Strillò, scendendo su Deimos. Ma il Dio, per niente intimorito da quel cosmo
sparuto, si limitò a distruggere i suoi propositi bellici con un rapido movimento
della Spada Infuocata, che trinciò la corazza all’altezza dell’addome,
proprio mentre la donna balzava su di lui.
“Adesso
stai buona e lasciami uccidere la tua compare!” –Esclamò Deimos,
mentre la donna dai verdi capelli si accasciava a terra, toccandosi il ventre
in fiamme.
“N...
Noo...” –Mormorò, cercando di rialzarsi.
“No?!
E allora muori prima tu!” –Gridò Deimos, sollevando
la Spada Infuocata e calandola poi sulla donna. Ma questa si difese con
il bracciale destro dell’armatura, lasciando che la lama si infrangesse su di
esso, scheggiandolo, ma non ferendola, prima di bruciare il proprio cosmo e
contrattaccare.
“Artigli
del Cobra!!!” –Urlò, muovendo
entrambe le braccia come fossero serpenti pronti ad azzannare il loro nemico.
Deimos
non ebbe difficoltà ad evitare quegli assalti, ben lontani dalla velocità della
luce, e per un Dio quale lui era, capace di muoversi ad una velocità superiore,
fu una sciocchezza bloccarle il pugno con la mano sinistra, e sollevarla,
ribaltandola e sbattendola a terra.
“Come
ti chiami, donna?!” –Le chiese, stringendo con forza la sua mano. Ma la donna
sembrò non intenzionata a rispondere, allora Deimos
strinse con ancora più forza, mandando in frantumi i guanti protettivi della
corazza della giovane.
“Sono
Tisifone, Cavaliere d’Argento del Serpentario!”
“Un
Cavaliere d’Argento?!” –Esclamò Deimos incredulo,
lasciando andare la donna. –“Un Cavaliere d’Argento che sfida un Dio?! Ah ah ah!” –Rise di gusto, sbeffeggiando Tisifone
e il suo patetico tentativo di affrontarlo.
“Tu
non sei un Dio! Sei solo un folle omicida!” –Gridò Tisifone,
scatenando la collera di Deimos, che sollevò il
braccio destro avanti a sé, mentre sottili striature di cosmo, dal colore
biancastro, scivolavano nell’aere fino a lambire
l’Armatura del Cancro, che Tisifone aveva indosso.
“Non...
provocare... un Dio!” –Parlò a denti stretti, bloccando i movimenti di Tisifone a mezz’aria, lasciandola sospesa davanti a lui,
mentre le onde di energia stridevano con forza sulla sua corazza, facendola
vibrare sinistramente.
“Fo...
folle…omicida…” –Ripeté Tisifone, che quasi non riusciva a muovere neppure la
lingua.
“Muoriiiii!!!” –Urlò Deimos,
tirando un violento affondo con la Spada Infuocata al petto di Tisifone, scheggiando l’Armatura d’Oro, la quale, per
quanto riparata da Mur, non poteva reggere il
confronto con una Veste Divina. –“Raccomanda l’anima ad Atena, donna, perché
adesso vedrai l’Inferno!” –E senz’altro aggiungere aumentò la pressione delle
onde di energia, che frantumarono parte della corazza del Cancro, prima di
scaraventare Tisifone indietro, facendola schiantare
contro un albero, che subito crollò, mentre Deimos,
soddisfatto, rideva come un pazzo, tronfio del suo successo. Si voltò, e corse
ad aiutare Phobos, in difficoltà contro Artemide.
La
Dea della Caccia era infatti balzata su Phobos,
brandendo un affilato pugnale che desiderava affondare nel collo del figlio di
Ares, responsabile, insieme al fratello, della morte dei suoi Cacciatori, e
delle altre Divinità e Cavalieri Celesti massacrati sull’Olimpo.
“Senti
questa lama, Phobos?!” –Mormorò Artemide, mentre il
suo pugnale premeva con forza contro la spada di Phobos,
in un continuo sforzo. –“Te la pianterò in gola, bevendo il tuo sangue, bieca
canaglia assassina!”
“Lo
credi davvero, Dea della Caccia?!” –Le tenne testa Phobos,
continuando a spingere la spada.
I
cosmi delle due Divinità si scontravano furiosamente, accendendo l’aria intorno
a loro, mentre poco distante Deimos abbatteva Tisifone senza troppe difficoltà. Nel vedere la donna in
terra ferita, Artemide ebbe un sussulto e aumentò la pressione sul pugnale,
desiderando impedire che Tisifone morisse. Una
volta mi ha salvato la vita! Devo renderle il favore! Commentò,
scaraventando, con una brusca mossa, Phobos indietro.
“Non
mi avete ucciso la prima volta, attaccandomi a sorpresa, e non ci riuscirete
neppure stavolta, maledetti figli di Ares!” –Esclamò Artemide. –“Sarà vostro
Padre a piangere la vostra scomparsa, non il mio! Sempre che Ares sappia cosa
significhi piangere!”
“Maledettaaa!!!” –Urlò Phobos,
scattando avanti brandendo la Spada Infuocata. Le due lame si
scontrarono, sprigionando scintille, quindi si allontanarono, per poi
scontrarsi di nuovo, e di nuovo ancora, obbligando i contendenti alla massima
concentrazione.
Phobos lasciò partire un fendente energetico, che
scavò un profondo solco nel terreno, dirigendosi verso Artemide, che per
pararlo dovette usare il pugnale, storcendolo di lato e fermando con esso la
furia dell’affondo. Questo permise a Phobos di
balzare in alto e piombare sulla Dea, con la spada puntata al suo cuore, e fu
solo grazie a una fortunata e abile mossa che Artemide riuscì a deviare la
lama, scattando a destra e scagliandola via, con un secco colpo di pugnale.
“Muori!
Per Atteone, e i miei Cacciatori!” –Dichiarò la Dea,
puntando il pugnale verso Phobos, ma questi lo fermò,
afferrando il braccio di Artemide con entrambe le mani, prima di colpirla con
un violento calcio in pieno addome. La brutalità del colpo fu tale da piegare
la Dea, mentre Phobos intensificava la violenza dei
suoi calci, tempestando il suo ventre, mentre continuava a tenerle bloccato il
braccio, fino ad obbligare Artemide a lasciar cadere il pugnale a terra.
“Sìì... così... da brava… Muori!”
–Gridò il figlio di Ares, sferrando un calcio violento dal basso verso l’alto,
che raggiunse il mento di Artemide, facendola barcollare all’indietro. In un
attimo Phobos richiamò la sua Spada Infuocata,
balzando avanti, pronto per tagliarle la gola, ma la Dea si buttò di lato,
rotolando sulla verde erba, mentre Phobos cadeva a
terra, piantando la lama nel terreno. Artemide sfoderò l’Arco della Caccia,
incoccando in fretta una freccia, proprio mentre il Dio della Paura si
rialzava, estraeva la spada e si voltava verso di lei.
“Ora!!!”
–Urlò Artemide, scagliando l’incandescente dardo, che volò verso il cuore di Phobos, il quale tentò di deviarlo con la spada, ma vi
riuscì solo in parte ed esso si piantò nel suo coprispalla
destro, facendolo urlare dal dolore.
Artemide,
senza esitazione, scoccò una nuova freccia, obbligando Phobos
a risollevare la lama, colpendo dal davanti la freccia ancora in volo. Lo
scontro tra le due armi deviò la direzione della freccia, scheggiandola, e
sbalzò via l’Infuocata Spada, davanti agli occhi sorpresi di Phobos.
“Dardi
intrisi della profonda energia della Dea della Caccia e della sua Foresta
Sacra!” –Commentò la Dea, assumendo una posa meditativa ed espandendo il
proprio cosmo. –“Tutto, qua, mi appartiene! Ed io appartengo alla foresta!”
“Che
idiozie vai dicendo?!” –Brontolò Phobos, estraendosi
la freccia dal coprispalla destro e lasciando uscire
il sangue, che macchiò la sua scarlatta armatura.
Ma
Artemide non rispose, continuando a sprigionare energia cosmica che invase
l’intera foresta, che, parve a Phobos, si stava
restringendo sempre più, come se gli alberi si chinassero su di loro, come se
volessero soffocarli. Deimos raggiunse il fratello,
dopo aver scaraventato via Tisifone, e si lanciò
insieme a lui contro Artemide, ma essa li travolse con il proprio cosmo, dal
colore indaco.
“Antichi
spiriti della Foresta Sacra, palesatevi! E cacciate l’oscuro invasore che ha
fatto strage di vostri servitori, di vostri adoratori!” –Invocò Artemide,
socchiudendo gli occhi.
“E
adesso uccideremo anche te!” –Affermò Phobos, per
niente intimorito dal cosmo della Dea.
“Onde
di Terrore!” –Esclamò Deimos, mentre fluttuanti
onde di energia scivolavano nell’aria intorno a lui, dirette verso Artemide.
“Spiriti
della Foresta, spazzateli via!!!”
–Gridò la Dea, mentre dal suo corpo si dipartivano indistinte forme, dal colore
indaco, quasi impalpabili evanescenze, che saettarono nell’aria travolgendo le
onde di energia e abbattendosi sui due fratelli.
In
quel momento, mentre gli Spiriti della Foresta stringevano con forza i corpi di
Phobos e Deimos, i due
fratelli pensarono davvero di vedere gli alberi stringersi su di loro, chinarsi
sempre di più con le fronde fino a soffocarli. Per un momento parve loro di
sentire un gemito, un antico grido di dolore per la morte dei Cacciatori Celesti.
Artemide, approfittando della momentanea prigionia dei figli di Ares, corse da Tisifone per sincerarsi delle sue condizioni, ma la donna,
per quanto ferita e sanguinante, la pregò di non preoccuparsi di lei.
“Sono
solo un impiccio!” –Commentò Tisifone, appoggiandosi
ad un albero e cercando di rialzarsi.
“Non
dire così, sai che non è vero!” –Bofonchiò Artemide. –“E non piangerti
addosso!”
Ma
la loro conversazione fu interrotta dalla violenta esplosione del cosmo di Phobos e Deimos che permise ai
due fratelli di allentare la loro prigionia dagli Spiriti della Foresta.
–“Come potete?!” –Gridò Artemide, incredula. –“Siete dunque figli del demonio
più oscuro, da poter contrastare gli antichi spiriti del Bosco Sacro?!”
“Divina
Artemide, siamo i signori supremi della Paura e del Terrore, e non esiste
spirito alcuno che possa essere così forte, così virtuoso, da non avere nemmeno
una debolezza, una paura nascosta, che noi possiamo tramutare in terrore puro!”
“Maledetti!”
–Disse Tisifone, balzando in alto e caricando il
braccio destro di scintillante energia. –“Cobra Incantatoreeee!!!”
–Ma nuovamente il suo assalto venne respinto e la Sacerdotessa si ritrovò
sospesa a mezz’aria, mentre sul suo corpo stridevano con forza biancastre
striature di cosmo, che riuscivano ad agire sulle profondità del proprio animo,
per quanto Tisifone non comprendesse bene come. –“Pegasus…” –Mormorò infine, cercando di opporre resistenza.
Ma
le Onde di Terrore parvero aumentare di intensità, crepitando con
violenza sull’Armatura del Cancro, mentre Tisifone,
pensando al suo adorato Pegasus, lentamente si lasciava andare, sentendo le
forze venirle meno.
“In
guardia, carogne!” –Li richiamò Artemide improvvisamente, incoccando una nuova
freccia. E senza attendere la risposta dei figli di Ares, scagliò il dardo
incandescente, caricandolo del suo celeste cosmo, che saettò nell’aria, diretto
verso Phobos e Deimos,
ancora semibloccati dagli Spiriti della Foresta. Con brutalità e ferocia però i
due fratelli bruciarono il loro fiammeggiante cosmo, che avvampò nella radura,
isterilendo la verde erba del Bosco Sacro, liberandosi dalla prigionia degli
ancestrali Custodi della Foresta. Phobos, brandendo
la sua Spada Infuocata, tentò di fermare il dardo di Artemide, ma il
contraccolpo tra i due poteri fu più potente del previsto, e sia la lama che la
freccia si spezzarono.
“Grrr... Bastarda!!!” –Mormorò Phobos,
gettando via l’elsa della spada mozzata.
“Darò
anche la vita pur di mondare questa terra dalla vostra lurida ed inquinante
presenza!” –Tuonò Artemide, il cui cosmo continuò a crescere e ad espandersi,
invadendo l’intera foresta di cui era padrona, ma anche guardiana.
“Non
parlare ad alta voce! Potremmo udirti!” –Ironizzò Phobos.
“E
sia, dunque!” –Esclamò Deimos, affiancando il
fratello. –“Non ci tireremo certamente indietro! Una è già morta!” –E indicò Tisifone, crollata al suolo, con l’armatura scheggiata. –“E
tu presto le farai compagnia, nelle desolate lande di Ade!”
Artemide
non raccolse la provocazione, continuando ad espandere il proprio cosmo,
richiamando a sé gli ancestrali spiriti della foresta. Sorrise, sentendo il
cosmo di Atteone e degli altri Cacciatori a lei
fedeli, la cui energia pulsante era ancora dentro quel Bosco Sacro. Socchiuse
gli occhi, prima di lasciar scivolare una corrente energetica, che ridusse la
possibilità di movimento dei figli di Ares.
Dal
canto loro, Phobos e Deimos
non rimasero inermi ad attendere l’assalto di Artemide, la quale, dovettero
ammetterlo, stava dando loro più filo da torcere del previsto, ed unirono i
cosmi per scagliare un devastante attacco. Le biancastre onde di energia di Deimos si unirono all’inquietante cosmo violaceo di Phobos, generando un’unica ostile massa di energia.
“Ira
di Ares!!!” –Gridarono i due
fratelli, scagliando l’attacco congiunto. Artemide riapri gli occhi in quel
momento, liberando l’energia immagazzinata, derivatale proprio dalla foresta
stessa.
“Oh
Spiriti della Foresta Sacra, che da millenni difendete questo Divino Monte,
accorrete in mio aiuto, datemi la forza affinché io possa proteggere questa
terra, questi boschi, questa verde erba, dall’infiammante cosmo dei figli della
Guerra!!! Datemi la forza, Spiriti della Foresta, e spazzate via
l’odiato nemico!” –Esclamò, mentre evanescenti forme di energia saettarono
dalle sue braccia verso i figli di Ares, scontrandosi con forza e vigore con l’Iradi Ares.
“Resisteremooo…” –Sibilarono Phobos
e Deimos, stringendo i denti, mentre la pressione
aumentava sempre di più. Gli alberi intorno a loro tremarono, e molti rami si
schiantarono, risucchiati dalla devastante potenza della bolla di energia che
si era creata nel mezzo alla radura, risultante dallo scontro tra i due poteri.
Poteri che sembravano equivalersi.
Improvvisamente
un terzo cosmo sembrò disturbare l’equilibrio che si era creato, iniziando a
spingere gli Spiriti della Foresta e a permettere loro di contrastare la
demoniaca Ira di Ares.
“Tisifoneee!!!” –Gridò Artemide, osservando la donna
rimettersi in piedi ed unire il proprio cosmo a quello della Dea della Caccia.
“Io
non appartengo a questa terra, Spiriti della Foresta!” –Mormorò la
Sacerdotessa, incurante delle esortazioni di Artemide ad allontanarsi. –“Ma
offro volentieri la mia vita per salvarla dai figli di Ares! Concedetemi di
poter lottare insieme a voi!” –Detto questo, concentrò il cosmo, muovendo le
braccia a guisa di serpenti pronti ad azzannare. –“Artigli del Cobra Dorato!”
–Gridò, liberando il proprio assalto, che si unì a quello di Artemide.
In
tutta risposta Phobos e Deimos
aumentarono l’intensità dell’Ira di Ares, contrastando il rinnovato
recupero del cosmo delle due donne, finché la pressione, raggiunti limiti
esorbitanti, non determinò l’esplosione dell’intera bolla di energia, in un
fragoroso boato che scaraventò indietro i quattro contendenti.
Numerosi
alberi crollarono, travolti dall’esplosione di energia, e crepe si aprirono nel
terreno della Foresta Sacra, facendo precipitare al loro interno i cadaveri dei
Cacciatori di Artemide. Fu la Dea della Caccia la prima a rimettersi in piedi,
seppur con fatica: la sua Veste Divina l’aveva protetta, per quanto risultasse
danneggiata in più punti, soprattutto al ventre, dove ancora accusava il dolore
per i calci di Phobos. Si guardò intorno e vide un
immenso sfacelo in quello che fino a quel momento era stato il suo regno. Il
suo paradiso. E lo sarà ancora! Si disse, stringendo i pugni con rabbia,
ma anche con la determinazione di chi non vuole arrendersi. Cercò i suoi
nemici, nella polverosa radura distrutta, ma non trovò i loro corpi, né riuscì
più a percepire la loro presenza. Un gemito improvviso, proveniente da un
albero crollato, la distrasse, spingendola a correre verso la carcassa e a
sollevarla con forza, liberando il corpo rimasto intrappolato al di sotto di
essa.
“Sacerdotessa
dell’Ofiuco…” –Esclamò Artemide, aiutando la donna a
respirare meglio.
“Dea...
della Caccia…” –Mormorò Tisifone,
il cui volto era pieno di lividi e tagli.
“Grazie!”
–Affermò semplicemente Artemide, realizzando che il suo aiuto, per contrastare
il violento assalto dei figli di Ares, era stato fondamentale.
Immediatamente
si chiese dove fossero finite le due canaglie, se avessero trovato un’altra
preda, magari più facile della rissosa Dea della Caccia, contro cui dirigere i
propri attacchi, ma non ebbe molto tempo per pensare che tutta l’aria fu scossa
da grida furibonde.
“La
battaglia tra Ares e Zeus è giunta al suo apice!” –Commentò, sentendo
accendersi impetuosi i cosmi delle due Divinità, mescolandosi con quelli dei
guerrieri e dei Cavalieri a loro fedeli, che si stavano massacrando lungo la
Via Principale.
Una
fitta aggredì improvvisamente Artemide al cuore, facendola accasciare a terra.
Un presentimento che le fece temere il peggio. A fatica si rialzò, aiutata
anche da Tisifone, esortando la donna a raggiungere
il cuore della battaglia, dove sicuramente ci sarebbe stato bisogno di loro.
In
quel momento un cosmo amico raggiunse la Reggia di Zeus, portando seco altri
due compagni, insinuandosi nel vorticante scontro di cosmi che era in corso sul
cielo olimpico e che limitava la possibilità di spostarsi. Aiutato dal potere
psichico di Mur dell’Ariete, una scintillante figura,
ricoperta da una Veste Divina, fece la sua comparsa nell’atrio del Tempio di
Zeus, di fronte agli occhi del Cavaliere d’Oro, di suo fratello Kiki e di Asher dell’Unicorno,
che subito si adoperarono per aiutare i feriti che l’uomo portava con sé: Efesto, Dio del Fuoco, e l’ultimo figlio di Eos, Euro.
“Divino
Ermes…” –Esclamò il Grande Mur,
osservando l’aria provata del Messaggero degli Dei.
“Ti
ringrazio, Cavaliere di Ariete. Per un momento mi sono sentito perso,
risucchiato nell’infuocato vortice di energia che si è acceso sopra l’Olimpo!
Zeus sta contrastando Ares con ogni mezzo e oscure creature sono state
risvegliate dagli abissi dimenticati del tempo!” –Affermò Ermes. –“Questo
ragazzo ha bisogno di cure immediate!” –E indicò Euro, esanime tra le braccia
di Efesto. –“Dov’è Asclepio?
Deve curar…”
La
loro conversazione fu interrotta dal violento sbattere del portone della Sala
del Trono, da cui apparve Era, la Regina degli Dei, in lacrime.
“Zeus!!!”
–Gridò, correndo verso i Cavalieri e gli Dei presenti. –“Zeus è caduto!!!”
“Che
cosa?!” –Borbottarono insieme Ermes, Mur ed Asher. E in quel momento tutti sentirono un suono immondo
riecheggiare sull’intero Olimpo, un verso terrificante e stridulo, come
prodotto da cento bestie atroci, mentre un fetido cosmo, greve ed opprimente,
invase il Sacro Monte, venendo percepito chiaramente da tutti i Cavalieri e le
Divinità presenti.
“Cos’è
questo grido?!” –Domandò Asher, sentendo gelare il
proprio sangue.
“Non
è un grido… è un urlo di guerra!” –Commentò Ermes.
–“Un urlo carico di sangue e vendetta, voglia di rivalsa su un nemico che lo ha
condannato ad un’eterna prigionia, nelle viscere dell’Etna!”
“Ermes…” –Mormorò Era, prendendo le mani del Messaggero
degli Dei. –“È dunque tornato?!”
“Madre...”
–Intervenne per la prima volta Efesto. –“Flegias lo ha liberato, aiutato da Enio,
ed istigato contro l’Olimpo!”
La
Regina degli Dei non seppe cosa rispondere, visibilmente scossa e preoccupata
per l’accaduto; fece cenno ad Ermes e ad Efesto di
seguirli nella Sala del Trono, per aiutare il loro Padre a rimettersi in
piedi.Zeus stava infatti fronteggiando
Ares a distanza, tramite il cosmo, ed aveva retto bene lo scontro, finché una
terribile, nefasta energia ancestrale, oscura come la notte, non si era messa
in mezzo, sopraffacendo tutte le altre voci con il suo stridulo grido. Lo
sforzo immane aveva travolto Zeus, facendolo barcollare e poi cadere a terra,
subito soccorso da Atena, che aveva riconosciuto a sua volta l’origine di quel
cupo cosmo.
Tifone,
la minaccia più oscura del Mondo Antico, era infine arrivato, calpestando le
verdi distese dell’Olimpo, e mirando alla sua distruzione.
Capitolo 27 *** Capitolo venticinquesimo: Tifone e Giasone ***
CAPITOLO VENTICINQUESIMO. TIFONE E GIASONE.
Tifone,
l’essere più mostruoso che il mondo avesse mai conosciuto, era stato
risvegliato dal potere della Pietra Nera di Flegias,
e spinto ad attaccare nuovamente l’Olimpo, come sua madre lo aveva incitato
secoli addietro. Terrore degli Dei e delle genti, fu cantato persino da Esiodo
nella Teogonia, in un ritratto rimasto celebre, poco distante dal vero: Tifone
fortissimo: aveva cento gagliarde mani, disposte ad ogni opera, e cento
infaticabili piedi di Nume gagliardo; e di serpe aveva cento capi, d'orribile
drago, e vibrava cento livide lingue da tutte le orribili teste, sotto le
sopracciglia di fuoco: brillavano gli occhi, ardevan
fiamme, quando guardava, da tutte le teste. E avevan
tutte quante favella le orribili teste, voci emettevan
meravigliose, di tutte le specie. Ora parlavansí da intenderle i Numi: muggiti alti mandavan
poi di tauro, d'immenso vigore, di fiera voce; poi di
leone dall'animo crudo; poscia sembravan guaiti di
cuccioli, e a udirli stupivi: eran boati poi,
n'echeggiavano l'Alpi sublimi.
Tifone apparve
quel giorno sull’Olimpo fra urla e sibili, in tutta la sua mostruosa enormità,
circondato da torrenti di fuoco che sgorgavano dalle cento bocche delle sue
teste di drago, terrorizzando persino il cielo stesso. A nulla valsero la
difesa degli ultimi Giganti di Pietra, né il patetico tentativo di Demetra di
fermare le orride gambe con i suoi alberi: tutti furono spazzati via.
I berseker di Ares, nel frattempo, erano stati fermati
davanti al Tempio della Guerra, proprio lungo la Via Principale che conduceva
alla Reggia di Zeus, dai tre Ecatonchiri risvegliati
da Zeus: Cotto, Gige e Briareo,
le creature ancestrali che, liberate millenni prima dal Signore dell’Olimpo
dalla prigionia del Tartaro, gli avevano offerto il loro onesto aiuto.
Spuntati
dal terreno, i tre Ecatonchiri si erano avventati
immediatamente contro i guerrieri di Ares, afferrandoli con le loro cento
braccia, schiacciandoli a terra con il loro immensi piedi e con le clave e le
rozze armi che brandivano, incuranti della pioggia di frecce e dei violenti
raggi energetici che i berseker dirigevano loro
contro.
“Coraggio!”
–Esclamò un uomo, ritto sul suo carro. –“Non arretrate! Per la gloria e per la
guerra! Per il nostro Signore e Padrone, Ares il distruttore!!! Ares il
brutale!!! Berseker, avanzate!!!”
Costui
era Enomao del Carro Furioso, un uomo di mezza età,
dal volto bianco e i capelli grigi, consumato dall’odio e dallo spirito di suo
padre, che gli aveva donato i cavalli alati che guidavano il suo carro. Era uno
dei tanti figli illegittimi che Ares aveva avuto da donne mortali, come Tereo e Driante, come Cicno il Brigante, come Eveno,
Molo, Pilo e Testio. Tutti crudeli, feroci, bastardi,
riflesso indistinto dell’inquinato animo di un uomo che mai li aveva amati né
conosciuti, solamente usati. Come carne da cannone. Per incitare gli altri
soldati a seguirli in guerra, contando sulla loro volontà di emergere, e sulla
loro rivalità.
Ma
per quanto corrosi dal demoniaco cosmo di Ares, i berseker
procedevano con maggiore cautela, facendosi timidamente avanti, demoralizzati e
spaventati dalle immense figure degli Ecatonchiri che
torreggiavano sopra di loro, facendo strage dei loro compagni d'armi.
L’arrivo
di Tifone rincuorò l’animo dei figli di Ares, che ordinarono a tutti i berseker di avanzare, come Phobos
e Deimos avevano in precedenza intimato loro.
“Fino
alla Reggia di Zeus!!!” –Gridò Enomao, sbattendo le
briglie del proprio carro, e facendo nitrire selvaggiamente i neri cavalli
alati.
“Sììì!!!” –Tuonarono gli altri figli di Ares, sollevando le
armi. –“Fino alla Reggia di Zeus!!!”
Ma
in molti berseker, per quanto avanzassero
ferocemente, l’arrivo di Tifone aveva provocato una reazione inversa, di
terrore allo stato puro piuttosto che di felicità, ed era proprio il panico, la
paura di quell’immonda bestia, a spingerli avanti, sempre più vicini
all’obiettivo finale ma anche sempre più distanti dall’infernale creatura.
Vampate
incandescenti circondarono l’avvento di Tifone, che rase al suolo tutti gli
alberi del basso versante dell’Olimpo, calpestandoli, schiacciandoli come
mosche, mentre le vipere annidate nel suo corpo uscivano fuori, sibilando
orribilmente, avvolte in lingue di fuoco. Persino Enomao
e gli altri figli di Ares dovettero trattenere il fiato, ammutoliti, quando
l’immonda sagoma del figlio di Gea comparve su di
loro, più orribile di qualunque idea si fossero fatti su di esso.
Con
ferocia, Tifone si abbatté sugli Ecatonchiri,
ingaggiando con loro un mostruoso combattimento corpo a corpo sul medio
versante del Sacro Monte, facendone un immenso campo di battaglia. Grida
mostruose lacerarono l’aria, mentre il cosmo di Ares infiammava nuovamente
l’animo dei berseker, che si lanciarono lungo la via,
tra gli alberi, tra le gambe degli Ecatonchiri, per
allontanarsi quanto prima dai deformi contendenti. Non tutti però riuscirono a
passare oltre, travolti e coinvolti nello scontro titanico che avvampò
sull’Olimpo; alcuni furono schiacciati da Tifone e dagli Ecatonchiri,
altri caddero nelle faglie che distrussero il terreno, e l’intera retrovia fu
massacrata da una violenta ed improvvisa esplosione di luce.
“Aaargh…” –Gridarono i berseker,
mentre una bomba di energia esplodeva dietro di loro. Quelli che sopravvissero,
quando si rialzarono e voltarono, videro un giovane avanzare verso di loro,
ricoperto da una scintillante Armatura Celeste, con raffinate striature
argentate, che copriva interamente il corpo ben fatto, dotata di uno scudo
rotondo sul braccio sinistro e di una spada fissata alla cintura. Il Cavaliere
non era molto alto, ma robusto, e aveva un viso maschile, reso ancora più
virile da una vistosa cicatrice sulla guancia destra proprio sotto l’occhio,
scuro e brillante.
“Giasone!!!”
–Esclamarono alcuni berseker, riconoscendo l’uomo.
“Fatevi
sotto, canaglie di Ares! Come già vi dissi al Bianco Cancello, la vostra sorte
è segnata!” –Gridò Giasone della Colchide, sollevando
lo scudo luminoso.
“Sbruffonee!!!” –Replicarono i berseker,
lanciandosi contro di lui.
Un
buon numero di spade e di lance si abbatté sul Cavaliere Celeste, che dovette
usare tutta la sua abilità per evitare di essere ferito. Giasone sapeva
muoversi alla velocità della luce, parando con il proprio robusto scudo gli
affondi dei nemici, mentre con la mano destra brandiva la lucente lama. Ma
anch’egli, per quanto periodicamente spazzasse via un buon numero di guerrieri
usando il proprio cosmo, presto si trovò in difficoltà, da solo, contro decine
e decine di avversari violenti e sanguinari, interessati a nient’altro che non
affondare le loro lame dentro il suo corpo.
“Scudo
della Colchide!!!”
–Gridò l’argonauta, mentre una violenta esplosione di luce travolgeva un
gruppetto di berseker. Ma per ogni nemico che cadeva
subito un altro ne arrivava, con una spada insanguinata, una lancia o una
picca, impedendo al Cavaliere Celeste qualsiasi riflessione strategica.
“Iiiiikk!!!” –Uno stridulo suono riecheggiò nell’aere, così acuto da spaccare i timpani di qualsiasi essere
umano, così carico di odio e violenza da far rabbrividire il sangue anche ad un
morto.
Numerosi
berseker si tapparono le orecchie per lo spavento,
gettandosi a terra con la testa tra le mani, ed anche Giasone, per quanto
desiderasse non lasciarsi abbattere, fu stordito da quel lacerante grido che
sentì echeggiare fino nel profondo della sua anima. Sollevò lo sguardo al
cielo, osservando l’immonda sagoma infuocata di Tifone sovrastare su di loro,
impegnato ad affrontare i tre Ecatonchiri risvegliati
da Zeus.
Gige era
stato abbattuto, crollando sull’Olimpo tra le grida delle sue cinquanta teste,
schiacciando templi ed alberi, e devastando ulteriormente la morfologia del
Sacro Monte. Ma Cotto e soprattutto Briareo erano
determinati a non cedere, per quanto orribile e spaventosa fosse l’orrida figura
che avevano di fronte. Coraggio Briareo!
Mormorò Giasone, stringendo i pugni. Sei l’unico che può fermare Tifone!
L’unico che può proteggere il nostro Signore Zeus e l’Olimpo da quell’orrida
bestia! Un secco colpo di sciabola si abbatté sul suo scudo, obbligando
Giasone ad interrompere i suoi pensieri e a concentrarsi sulla battaglia,
proprio come Briareo stava facendo.
Briareo,
il più fedele a Zeus dei tre Centimani, apparteneva alla Prima Generazione
Cosmica, proprio come Tifone, essendo figlio di Urano e di Gea,
ma a differenza del fratellastro egli aveva sempre posseduto uno spiccato senso
dell’onore, che lo aveva portato ad ammirare il Signore dell’Olimpo, colui che
lo aveva liberato dalle oscure prigionie di Tartaro. Aegaenon
lo chiamavano gli uomini, era noto non soltanto per la sua grandezza, che da
molti fu giudicata superbia, ma anche per la generosità del suo animo, per la
riconoscenza che provava per il suo liberatore Zeus. Fu citato da Esiodo nella Teogonia,
da Virgilio nell’Eneide, e persino nella Commedia Dantesca, come
essere smisurato, insieme ad altri giganti mitici. Col tempo il suo nome si
perse nel mito, diventando indistinta leggenda, e poche rimasero le gesta non
opacizzate che si cantavano su di lui. I più lo ricordavano come un gigante
deforme, e solamente in pochi, Zeus ed i più valenti ed aperti di mente tra i
Cavalieri Celesti, conoscevano il suo vero valore, la profondità del suo animo
incorrotto.
“Accetterei la
sua deformità, se potessi avere un decimo del suo spirito puro e incrollabile!”
–Amava ripetere Giasone. E anche Phantom dell’Eridano Celeste la pensava come lui, rimembrando le
leggende che sua madre Elena gli aveva cantato da giovane, prima di
addormentarsi, alcune proprio su Briareo.
“Non cedere!!!”
–Gli urlò Giasone dal basso, incitando l’Ecatonchiro
a non mollare, per quanto terribile e tremendo fosse lo sforzo a cui era
sottoposto.
Le vipere
infuocate delle gambe di Tifone si allungarono, attorcigliandosi intorno alle
braccia di Briareo e del fratello Cotto, mordendoli
con violenza, sbranando le loro carni, mentre getti di fuoco sgorgavano dalle
molteplici teste di drago del mostro. Gli Ecatonchiri,
più piccoli come dimensioni, cercavano di resistere, brandendo clave e mazze,
colpendo Tifone ripetutamente, tentando di evitare le vampe infuocate e le vipere
velenose, ma presto si resero conto di non avere la forza per contrastarlo del
tutto, sorretto com’era dal malefico cosmo di Ares, ulteriormente potenziato da
un misterioso potere oscuro, che accendeva letali istinti nell’orrida bestia.
“Briareo!!!” –Intervenne improvvisamente una voce, parlando
all’animo dell’Ecatonchiro, che subito la riconobbe.
–“Ho fiducia in te! Come l’ho sempre avuta, fin da quando ti liberai
dall’orrida prigionia del Tartaro, concedendoti la libertà, per quanto molte
altre Divinità, della mia celeste famiglia, mi consigliassero di fare
diversamente! Ho fiducia in te, e sono certo che mi aiuterai, combattendo
insieme a me questa dura battaglia!”
Dopo
poco il cosmo di Zeus scomparve, entrando nell’Ecatonchiro,
donandogli nuovo slancio e vigore, approfittando anche di una momentanea,
quanto improvvisa, diminuzione dell’ardente cosmo di Ares, che parve a Zeus, e
alle altre Divinità, farsi leggermente più distante. Rapide e violente botte di
clava colpirono Tifone, facendolo infuriare sempre di più, mentre stridule
grida laceravano l’aria, precedendo le infuocate vampate delle teste di drago.
Grida udibili su tutto l’Olimpo, compresa la Reggia di Zeus, ultimo baluardo a
difesa del libero mondo degli uomini.
“Fratello…” –Mormorò Kiki,
impegnato, insieme a Mur, a riparare la corazza di Asher nell’armeria. –“Lo fermeranno gli Ecatonchiri,
non è vero?”
Ma
il Grande Mur non rispose, continuando a lavorare
all’Armatura dell’Unicorno, potenziandola con Polvere di Stelle e Gamanion, ancestrali elementi di cui aveva imparato a
servirsi grazie agli insegnamenti del suo maestro, Shin
dell’Ariete. Sospirò, poggiando lo scalpello su un tavolo, prima di alzarsi e
raggiungere una vetrata che dava proprio sul giardino antistante la Reggia di
Zeus, poche centinaia di metri sopra il terreno su cui si stava consumando
l’infuocato combattimento.
“Non
è semplicemente uno scontro tra due deformi creature ancestrali, tra Ares e
Zeus, ma un vero e proprio conflitto tra mondi diversi, tra prospettive di vita
differenti, di guerra e di pace, di ombra e di luce, di fuoco distruttore e di
verdi campi consolatori!” –Esclamò Mur, poggiando una
mano sulla spalla del preoccupato fratellino. –“La sconfitta di Briareo e degli Ecatonchiri non
soltanto ci lascerebbe inermi di fronte a Tifone e ad Ares, ma rappresenterebbe
la fine di un sogno!”
“Dici
il vero, Cavaliere di Ariete!” –Esclamò una voce maschile, entrando
nell’armeria. –“Ed ammiro la tua perspicacia!” –Un giovane dai mossi capelli
castani, con viso candido ed etereo, su cui spiccavano due profondi occhi
grigi, ispiranti saggezza e antichità, entrò nella stanza, camminando a fatica,
aiutato da Asher dell’Unicorno: Euro, Vento dell’Est,
figlio della Dea Eos.
“Briareo non rappresenta soltanto la possanza olimpica, la
determinata capacità di resistenza del nostro Signore…”
–Aggiunse il Dio, parlando con voce gentile ed armonica. –“Egli riproduce gli
Olimpici Fasti, il perduto splendore di purezza e tenacia che un tempo caratterizzava
il Sacro Monte, e che, ahimè, è andato scomparendo col passare dei secoli. Gli
Dei si sono fatti sempre più superbi, sempre più avari dispensatori di aiuti
verso gli esseri umani, e questi, a loro volta, sentendosi sempre più succubi
di un destino ingrato a cui non riuscivano a sottrarsi, e privi dell’aiuto
necessario in cui tanto avevano confidato, hanno cessato di venerarli,
sostituendoli con nuovi idoli, per compensare quell’ansia di assoluto che
portano dentro! Ma Briareo non è cambiato, mai! In
tutti questi secoli è rimasto lo stesso, eterno, grato e riconoscente al mio
Signore, l’unico, tutt’oggi, in grado di ricordare al Sommo Zeus i veri motivi
di questa guerra, i valori supremi di onestà e fede capaci di svecchiare gli
Dei dell’Olimpo e rinfrescare il loro assopito animo!”
Nuove
grida lancinanti sferzarono l’aria dell’Olimpo, mentre il cielo fosco si andò
oscurando sempre di più, promettendo una violenta tempesta.
“Arrivano!”
–Mormorò Mur, sentendo, proprio come Euro, numerosi
cosmi ostili dirigersi verso la Reggia di Zeus, probabilmente i berseker che gli Ecatonchiri e
Giasone non erano riusciti a fermare.
Euro
non disse altro, ringraziando Asher per il sostegno e
incamminandosi verso l’uscita, mentre la scintillante Veste Divina del Vento
dell’Est, celeste con grandi ali colorate fissate sulla schiena, si disponeva
sopra di lui.
“Non
combatterai da solo questa guerra, figlio di Eos!” –Esclamò Mur,
seguendolo. –“Mur dell’Ariete sarà con te!”
“Ed
anche Asher non si tirerà indietro!” –Affermò
Unicorno con decisione, mentre Kiki gli mostrava
l’armatura, riparata dal fratello col suo aiuto.
“Nobili
cuori impetuosi i vostri, Cavalieri di Atena!” –Sorrise Euro, prima di
allontanarsi. –“Per quanto il mio cuore appartenga alla mia caverna della
Tracia, sarebbe un onore essere sepolto al vostro fianco, qua o nel cimitero di
Atene. A fianco di uomini coraggiosi che non hanno indietreggiato di fronte a
morte certa, come gli eroi del Mondo Antico, che con le loro azioni cercavano
di trionfare sull’ineluttabilità del tempo, che tutto travolge e tutto porta a
dimenticare!”
Mur e Asher si scambiarono un’eloquente occhiata, ma prima che
potessero dire qualsiasi cosa nuove grida demoniache risuonarono sull’intero
Olimpo, mentre immonde vampate di fuoco facevano strage di alberi sacri.
Tifone
aveva afferrato Cotto, il secondo Ecatonchiro, e lo
stava stritolando con le maledette vipere, mentre lingue di fuoco dilaniavano
le sue carni e le zanne dei draghi affondavano nelle sue braccia, distruggendo
la corazza protettiva. Nonostante l’atroce dolore Cotto non si lasciò cadere,
difendendosi con determinazione, brandendo decine di clave, con le sue numerose
braccia, e lanciando violenti colpi contro Tifone.
Ai
suoi piedi Giasone, impegnato ad affrontare alcuni berseker
di fronte a quel che restava del crollato Tempio di Ares, tirò un urlo nel
vedere le mostruose vipere annodarsi intorno alle braccia di Cotto, sibilando
perversamente, accompagnate dalle loro vampe infernali.
“Non
distrarti Cavaliere! La morte arriverà anche per te!” –Gridò un berseker, puntando una lancia contro Giasone. Ma il
Cavaliere Celeste fu abile ad evitarla, spaccandola con un secco colpo di
spada, prima di travolgere il guerriero di Ares e piantargli la lama in gola,
sempre più stanco. Da un’ora ormai stava affrontando berseker
in continuazione, e la sua forza si era notevolmente ridotta, appesantita anche
dall’indemoniato cosmo di Tifone, il cui greve alone aleggiava su tutto
l’Olimpo, provocando inquietudine e sgomento nell’animo di tutti i presenti.
Pensò a Castore e Polluce,
desiderando essere insieme a loro a combattere, e si augurò che fossero usciti
indenni dallo scontro: aveva sentito infatti i loro cosmi avvampare poc’anzi, e
immaginava avessero ingaggiato combattimento contro altri guerrieri di Ares.
Improvvisamente
un sibilo proveniente da dietro la sua nuca lo distrasse, spingendolo a
voltarsi e a scansarsi di lato, giusto in tempo per evitare che un’acuminata
lancia lo ferisse in pieno collo.
“Ma...
cosa?!” –Gridò Giasone, osservando i suoi nuovi nemici.
Vennero
dall’alto, trasportati da una nave volante, grande e robusta, sulle cui vele
spiegate erano intessuti mostruosi animali, e sul cui ponte stavano almeno un
centinaio di feroci berseker, armati di tutto punto
dalle fiammeggianti armi del loro signore. In mezzo alla massa di soldati
semplici, l’argonauta percepì anche qualche cosmo vasto e pericolosamente
ostile, contro cui non avrebbe avuto facile vittoria come contro i guerrieri di
basso rango che aveva decimato finora.
“Giasone!!!”
–Frusciò una voce, proveniente dalla nave volante, ma il Cavaliere Celeste
inizialmente non la riconobbe. Fissò con attenzione il grosso vascello, mentre
decine e decine di berseker si buttavano giù,
scendendo dalle scalette di corda appena calate o semplicemente gettandosi
verso terra, e d’un tratto la riconobbe. Ed ebbe un brivido.
“Argo…” –Mormorò Giasone, identificando la nave che lo aveva
condotto, secoli addietro, alla ricerca del Vello d’Oro, nella leggendaria Colchide.
Per un momento la
sua mente abbandonò l’insanguinato scontro olimpico e volò indietro,
trasportata dal vento della memoria. E Giasone si ritrovò là, nel porto di Pagase, dove Argo, uno dei suoi compagni, gli aveva
mostrato con orgoglio la nave che aveva costruito, utilizzando il legno dei
boschi del Monte Pelio, battezzandola proprio con il
suo nome. Atena inoltre aveva aggiunto alla prua dell’imbarcazione una trave
proveniente dal bosco di Dodona, antica città
dell’Epiro dove risiedeva un tempio dedicato a Zeus; tale trave aveva poteri
divinatori ed era in grado di rincuorare gli animi, e si rivelò infatti molto
utile in quel lungo e periglioso viaggio, per evitare inutili sommosse a bordo
e angosciose preoccupazioni dell’ignoto.
“Argo!”
–Aveva ripetuto con orgoglio Giasone, quel lontano giorno, presentando ai
compagni l’immenso vascello. –“La nave che ci condurrà nella Colchide a prendere il Vello d’Oro!”
Pochi
giorni dopo aveva riunito i suoi compagni, i cinquantacinque Argonauti, ed era
salpato alla volta del Mar Nero, alla ricerca del Vello dell’Ariete d’Oro. Tra
di essi vi erano anche Castore e Polluce.
“E
adesso è qua! Fluttuante nel cielo di fronte a me!” –Mormorò, osservando la
tozza sagoma della nave oscillare sopra di lui. –“Perché?” –Si chiese,
ricordando il destino della nave, da lui stesso fatta incagliare a Corinto,
offrendola in dono a Nettuno.
Ma
non ebbe il tempo di abbandonarsi a nuovi perché, che dovette fronteggiare
un’impetuosa carica dei berseker, i quali, riunitisi
tra loro, si erano lanciati avanti, puntando le loro aguzze picche contro il
Cavaliere Celeste, che si trovò costretto a sollevare ancora il proprio scudo,
liberando la scintillante energia del suo cosmo. La luce della Colchide travolse i berseker, ma
non tutti ne furono abbagliati; quando infatti Giasone abbassò lo scudo, trovò
due guerrieri, ricoperti da oscure vestigia, in piedi di fronte a lui, appena
sbarcati dalla nave di Argo, che loro stessi avevano condotto sull’Olimpo.
“Finalmente
ci rivediamo, Giasone!” –Esclamò uno dei due, con profonda voce maschile.
“E
non sarà un incontro di piacere!” –Gli fece eco l’altro, la cui voce era più
stridula.
Giasone
rimase per un momento immobile, a fissare i due guerrieri di fronte a lui, i
cui cosmi, lo sentiva, aveva già incontrato secoli addietro, vivendo insieme a
loro la straordinaria epopea degli Argonauti.
Il
primo che aveva parlato era alto e robusto, con muscolose braccia che reggevano
un mazzafrusto, un viso maschile con folta barba nera, irsute sopracciglia e
mossi capelli scuri sfilacciati; indossava un’armatura dallo stile nordico, dal
colore ocra, con accese sfumature rossastre, mentre il secondo era più magro, e
snello, ricoperto da un’armatura violacea, dagli inquietanti contorni color
mogano, che rappresentava un enorme serpente dotato di due teste, ciascuna
simboleggiata dai coprispalla, dotati persino degli
infuocati occhi del rettile; il suo viso era simile a quello del compagno,
seppure più scavato e con radi capelli scuri, e questo fece ricordare Giasone.
“Ma
voi... siete…” –Mormorò, incredulo di trovarsi di
fronte ai suoi vecchi compagni. –“Ascalafo e Ialmeno!!!”
“In
persona!” –Rispose il primo dei due.
“Cosa
fate qua? E perché indossate le armature scarlatte dei…?”
–Domandò ingenuamente Giasone, ma la risposta di Ialmeno
gli tolse ogni dubbio.
“Hai
forse dimenticato di chi siamo figli?! Del Sommo Ares in persona, che ci ha
riportato a nuova vita, per combattere nel suo esercito, affidandoci la guida
di un intero battaglione!”
“Ascalafo! Ialmeno! Ma voi non
potete servire Ares! Non potete! Io vi conosco, abbiamo combattuto insieme,
navigato per il Mediterraneo fino alla lontana Colchide,
e so che il vostro cuore è puro! Voi siete onesti, generosi, leali.. come
potete esservi asserviti ad Ares?!”
“Non
siamo qua per udire una predica da parte tua, Giasone!” –Lo zittì Ascalafo. –“Ma per prendere la tua vita se oserai fermare
la nostra avanzata e quella dei nostri soldati!”
“Ma
che stupidaggini vai dicendo, Ascalafo?! Sai bene che
non permetterò a nessuno di raggiungere la Reggia di Zeus!”
“Questa
era la risposta che attendevamo…” –Mormorò Ialmeno, sollevando il braccio destro, con la mano aperta,
mentre bruciava il proprio cosmo concentrandolo sulle dita. –“Artigli del
male, ghermite!” –Immediatamente le unghie della mano si allungarono,
caricandosi di energia cosmica, che sfrecciò verso il Cavaliere Celeste sotto
forma di acuminati e inquietanti artigli violacei.
Giasone,
per difendersi, sollevò lo scudo avanti a sé, costringendosi a ridurre in parte
la propria visuale, per non essere raggiunto dagli acuminati artigli di Ialmeno, che fendevano l’aria, piantandosi nel terreno e
sbattendo con forza contro lo Scudo della Colchide.
Così facendo però non fu in grado di prevenire l’assalto di Ascalafo,
il quale balzò avanti, roteando le palle chiodate del proprio mazzafrusto ed
abbattendole con forza contro lo scudo, spingendo Giasone indietro, mentre gli Artigli
del Male lo travolgevano, penetrando la sua corazza in più punti.
Contrariamente
alle speranze dei due fratelli, Giasone si rimise immediatamente in piedi,
ansimando e sputando sangue, ma deciso a fermare la loro avanzata.
“Non
ci lascerà passare!” –Commentò Ascalafo, quasi
dispiaciuto.
“Poco
importa!” –Lo zittì Ialmeno. –“Allora lo uccideremo!”
“Provaci!!!”
–Sibilò Giasone, sollevando lo scudo, che immediatamente sprigionò
un’abbagliante ventaglio di energia che travolse i due fratelli spingendoli
indietro.
“Maledizione!”
–Ghignò Ascalafo. Ma Ialmeno
resistette alla potenza dello Scudo della Colchide,
sogghignando diabolicamente, prima di vedere Giasone accasciarsi a terra, sulle
proprie ginocchia, mentre sangue sgorgava dalle ferite che i suoi artigli gli
avevano procurato.
“Cough... Cough…” –Tossiva
violentemente il Cavaliere Celeste, sputando sangue e sudando a dismisura,
mentre il suo respiro si faceva sempre più difficoltoso.
“Cosa
gli hai fatto?!” –Domandò Ascalafo, incamminandosi
verso Giasone a fianco del fratello.
“Gli
Artigli del Male sono intrisi del veleno dell’Anfesibena,
il simbolo del mio potere!” –Sogghignò Ialmeno,
portandosi di fronte a Giasone. –“Veleno, ovviamente, mortale!”
E
nel dir questo sollevò nuovamente il braccio destro, aprendo il palmo e
caricando le proprie unghie di tossica energia cosmica, che calò subito verso
il basso; ma Giasone sollevò in fretta lo scudo, senza avere la forza per
rialzarsi, riuscendo a parare gli affondi velenosi di Ialmeno.
“Stupido!”
–Lo derise Ascalafo, colpendolo con un violento
calcio al petto, che Giasone non poté evitare, in quanto occupato a proteggersi
dagli Artigli del Male. La botta spinse l’argonauta indietro, facendolo
rotolare sul terreno, in una pozza di sangue.
“Non
hai la forza per opporti ai figli di Ares! Lasciaci prendere la nostra
vendetta, il nostro momento di gloria che troppo a lungo ci hai negato!”
“Che...
vi ho negato?!” –Balbettò Giasone, rimettendosi in piedi a fatica. –“Ma cosa
stai dicendo?”
“Tu
ci hai oscurato fin dall’inizio, Giasone!” –Lo accusò Ialmeno,
con tono più aggressivo del fratello. –“Prendendo tutti i meriti e tutta la
gloria e lasciando noi nel baratro della dimenticanza!”
“Questo
non è vero, Ialmeno!” –Si difese Giasone. –“Eravamo
una squadra, cinquantacinque compagni che hanno sfidato la collera divina e le
intemperie dei mari burrascosi per giungere nella Colchide!
Le nostre imprese sono rimaste per secoli e secoli, per millenni, nella memoria
delle genti e degli Dei! Nessuno ci ha dimenticato!”
“Nessuno
ti ha dimenticato!” –Precisò Ascalafo. –“Tu
soltanto hai avuto gloria e onori! Tu soltanto sei stato celebrato per averci
condotto alla ricerca del Vello d’Oro! Tu hai ottenuto le lodi, l’amore di una
donna che hai rifiutato ed infine l’immortalità! Mentre a noi…”
“A
noi non è rimasto niente, se non la morte in battaglia, di fronte alle mura di
Troia, durante la grande guerra!” –Continuò Ialmeno,
pieno di rabbia. –“Ma adesso è giunto il momento che tu paghi per le tue
mancanze, che anche noi conquistiamo il posto al sole di cui hai beneficiato
per secoli! E lo faremo sconfiggendo te, che sei stato la nostra maledizione,
la nostra croce!”
E
nel dir questo espanse nuovamente il proprio cosmo violaceo, caricando i lunghi
artigli delle sue braccia di velenosa energia cosmica, mentre il fratello, al
suo fianco, roteava con forza il mazzafrusto, pronto per lanciarsi contro
Giasone, il quale, suo malgrado, sollevò nuovamente lo Scudo della Colchide, pronto per affrontare i suoi vecchi compagni.
Medea! Pensò infine il Cavaliere Celeste, ricordando la
donna che aveva amato e sposato, tra mille peripezie. Questa è la tua
maledizione! Che mi perseguita da secoli, impedendomi di essere felice! Pagherò
mai le mie colpe, se può un uomo avere avuto colpe che il tempo non abbia
cancellato?!
Capitolo 28 *** Capitolo ventiseiesimo: Il giardino delle Esperidi ***
CAPITOLO VENTISEIESIMO. IL GIARDINO DELLE ESPERIDI.
Con
dispiacere e preoccupazione, Pegasus, Cristal,
Andromeda, Phoenix e Scorpio avevano lasciato Sirio e
Libra alle prese con il terribile Gerione, confidando
nella forza dei due amici e nella loro naturale intesa, sfrecciando lungo la
scalinata di marmo, diretti verso il luogo dove un tempo sorgeva l’Undicesima
Casa. Che non l’avrebbero trovata apparve loro evidente fin da metà corsa,
quando, lungo il bordo della scalinata, iniziarono a notare alti alberi dai
verdeggianti rami torreggiare sopra di loro. Prima una vegetazione rada, poi
sempre più fitta, al punto che la scalinata iniziò ad essere ricoperta di un
consistente strato di muschio, fin poi a scomparire, lasciando il posto
all’erba, a un sentiero erboso che si dipanava in mezzo ad alti fusti di alberi
dall’acre odore.
“Incredibile!!!”
–Mormorò Andromeda, guardandosi intorno stupefatto.
Il
bosco nel quale terminarono la corsa non somigliava a quello del Terzo Tempio,
non solo perché quello si era rivelata un’illusione ma anche per la diversità
degli alberi, molto più grandi e lucenti, e per l’aria che si respirava.
Un’atmosfera mitica, dove pungenti odori raggiungevano le narici dei Cavalieri
di Atena, infondendo in loro uno strano sentimento di serenità, quasi di
fiacchezza.
“Sembra
un vero paradiso…” –Commentò Pegasus, osservando gli
alberi attorno.
I
rami erano grandi e nodosi e si lanciavano verso l’alto, intrecciandosi tra
loro, quasi come ad afferrare un frammento di infinito che era loro negato,
mentre foglie d’oro cadevano dagli alberi, delicate come farfalle, rendendo
ancora più mitico e intrigante quell’ambiente.
“Che
sia dunque questo…” –Mormorò Cristal
infine. –“Il Giardino delle Esperidi?!”
“La
penultima fatica di Eracle!” –Continuò Scorpio,
guardando estasiato il bosco. –“Nel Mondo Antico era situato in un luogo remoto
dell’Occidente, sulla cima del Monte Atlante, e vi era custodito un melo dai
frutti d’oro! L’albero era un dono di Gea, la Madre
Terra, ad Era, in occasione del suo matrimonio con Zeus! Le Esperidi ne erano
le custodi, le Ninfe del Tramonto, alle quali Eracle, per ordine di Euristeo, portò via i frutti d’oro, aiutato da Atlante!”
“Che
Ares lo abbia ricreato qua?!” –Mormorò Pegasus.
“Ma
la leggenda racconta anche di un altro custode del bosco d’Oro…”
–Commentò Cristal, con voce preoccupata. –“Ladone!” –Sibilò, ghiacciando il sangue degli amici.
Improvvisamente
un fruscio sulle foglie cadute fece voltare gli amici, giusto in tempo per
vedere una sagoma nascondersi tra gli alberi.
“Chi
va là?!” –Gridò Pegasus. Ma Andromeda lo pregò di fare silenzio e non
scomodarsi troppo.
“Ci
penserà la mia catena a portarlo qui! Chiunque egli sia!” –Dichiarò, liberando
l’arma, che sfrecciò nell’aria senza tempo di quel mitico bosco, sollevando, al
suo passaggio, cumuli di dorate foglie cadute, correndo dietro al suo
obiettivo. –“Ecco! L’ho preso!” –Esclamò con decisione, prima di ritirare la
catena e scoprire il loro misterioso osservatore.
“Ma…” –Balbettò Cristal,
osservando la catena ritornare indietro, trascinando una figura sul terreno.
–“È una fanciulla!”
“E
com’è bella!” –Mormorò Pegasus, ammaliato dal fascino della giovane.
La
ragazza era piccola e gracile, con biondi capelli sfilacciati, lucenti come
polvere d’oro, carnagione chiara, eterea, e limpidi occhi verdi, che fissavano
i Cavalieri con paura. Indossava una veste bianca, leggera e trasparente, che
permetteva di vedere le sue graziose forme all’interno.
“Chi
sei?!” –Domandò Andromeda, liberando la ragazza dalla morsa della catena.
“Prudenza
Andromeda!” –Esclamò Phoenix, ricordando i precedenti inganni di cui erano
rimasti vittime. Ma la fanciulla, appena libera dalla catena, cercò di fuggir
via, correndo scalza sull’erba fresca, ma fu prontamente fermata da Cristal, che con un rapido spostamento alla velocità della
luce si pose di fronte a lei, pregandola di trattenersi e non avere timore.
“Non
essere spaventata!” –Esclamò dolcemente il Cigno, osservando la ragazza tremare
impaurita. –“Non vogliamo farti del male! Sempre che tu non voglia farne a
noi!”
“Non
dovevate venire! Andate via!!!” –Affermò la giovane, cercando di divincolarsi
dalla presa.
“Ehi,
calmati!” –Continuò Cristal, subito affiancato da
Andromeda, mentre Scorpio, Phoenix e Pegasus si
guardavano intorno, preoccupati per i segreti e i pericoli che quel bosco
nascondeva.
“Siamo
Cavalieri di Atena!” –Esclamò Andromeda, sperando di tranquillizzarla.
–“Dobbiamo raggiungere la Tredicesima Casa! Puoi indicarci la via per uscire
dal Bosco d’oro?!”
“Non
esiste via alcuna per uscire dal Bosco d’Oro!!!” –Mormorò la ragazza,
visibilmente spaventata. –“Ivi per sempre resterete, vivi o morti! Ladone non vi farà mai uscire di qua!!!” –Quelle parole
aumentarono la tensione nei cinque Cavalieri di Atena, decisi più che mai a
trovare il modo per andarsene quanto prima dal Giardino delle Esperidi.
“Dobbiamo
provare comunque…” –Affermò Cristal,
con voce serena. –“Se tu potessi aiutarci, graziosa fanciulla, te ne saremmo
grati!”
“Egle!” –Sorrise finalmente la ragazza.
“Come?!”
–Ripeté Cristal, non comprendendo.
“Egle è il mio nome! Ninfa del Tramonto!”
“Dunque
tu sei… una delle Esperidi?!”
“Mi
chiamano anche la Lucente, e sono una delle tre Esperidi, custodi di questo
Giardino!” –Si presentò la giovane, mentre Cristal
allentava finalmente la presa su di lei, lasciandola libera. –“Temo per la
vostra vita, giovani Cavalieri! È rischioso per voi l’accesso a questo bosco
sacro!”
“Lo
sappiamo! Ma è il nostro dovere di Cavalieri!” –Le rispose Cristal.
“Il
dovere spesso danneggia l’incolumità! Egli sarà qua tra breve e…” –Ma non fece in tempo a terminare la frase che la Catena
di Andromeda vibrò, sollevandosi di scatto, mentre un’agile figura
sfrecciava tra i Cavalieri, atterrandone un paio e balzando sopra Scorpio, sbattendolo a terra.
“Muori!!!”
–Ghignò il nuovo arrivato, sollevando il braccio destro. Un secondo dopo la Catena
di Andromeda era già arrotolata intorno al suo polso, prima che un deciso
strattone lo sollevasse bruscamente, liberando il Cavaliere di Scorpio.
“Chi
sei?!” –Tuonò Pegasus, bruciando il proprio cosmo, presto seguito da Phoenix,
mentre Cristal si metteva davanti alla ninfa, per
proteggerla.
“Licaone!”
–Rispose la figura dall’aspetto sgraziato. –“Il Guardiano del Bosco d’Oro!”
Era
un uomo sulla quarantina, di media altezza e corporatura esile, leggermente
gobbo, con un viso scuro ma scavato, una forma del cranio singolare, con gli
archi degli zigomi molto distanziati, creste ossee robuste e grandi orecchie
arrotondate,
occhi rossastri e corti capelli neri
radi; indossava un’armatura a macchie nere, gialle e bianche, dalle sembianze
del Cane Selvaggio che gli aveva dato nome, tanto che era persino dotata di una
coda, con la caratteristica macchia bianca in cima.
“È
uno dei figli di Ares!” –Esclamò Egle terrorizzata.
–“Orribile e violento, si diverte a spaventare noi Esperidi, nel tentativo di
abusare dei nostri corpi!”
“Taci,
cretina!” –La zittì Licaone, scattando avanti. Incurante della stretta al polso
della Catena di Andromeda, sfrecciò verso la donna, mentre lunghi
artigli spuntavano dalle sue dita, pronti per affondare nel suo collo. Ma
Andromeda non glielo permise, scatenando la devastante potenza delle Onde
del Tuono, che fendettero l’aria della foresta,
travolgendo Licaone e spingendolo indietro. Con rabbia il berseker
si liberò della Catena di Andromeda, colpendola con artigli
incandescenti, gli stessi che avrebbe voluto piantare nel collo di Scorpio.
“Qua
termina la vostra corsa, Cavalieri di Atena! Qua, sotto gli alti fusti del
bosco d’oro, che accoglierà le vostre morenti spoglie, le vostre supplichevoli
lamentele di pietà!!!”
“Non
essere ridicolo! Sei da solo contro cinque Cavalieri! Per te non c’è speranza!”
–Esclamò Pegasus, preparandosi per battersi con lui. Ma Scorpio
lo fermò, rivolgendosi a lui con un sorriso.
“Voi
Cavalieri dello Zodiaco avete già fatto abbastanza! Le ferite sui vostri corpi,
non ancora rimarginate, ne sono degna testimonianza! Lasciate a me costui!
Affronterà il veleno dello Scorpione d’Oro! Voi cercate l’uscita e correte da
Ares!”
“Scorpio...” –Pegasus esitò per un momento.
“Puoi
fidarti di lui, Pegasus!” –Intervenne Cristal,
sorridendo a Scorpio a sua volta. –“Ho imparato a mie
spese che è uomo che porta a termine ciò che promette!”
“E
sia… ma sii prudente!” –Concluse Pegasus,
allontanandosi insieme agli amici.
“Siate
prudenti voi, amici! Temo che le insidie del Bosco d’Oro siano soltanto
all’inizio!” –Mormorò Scorpio, mentre Licaone
scattava avanti, veloce come il Cane Selvatico, per fermare la fuga dei
quattro. –“Non così in fretta!” –Lo bloccò Scorpio,
interponendosi tra loro.
“Cadiiii!!!” –Gridò Licaone, sfoderando i suoi lunghi
acuminati artigli. Ma Scorpio fu abile ad evitarli,
muovendosi a destra e sinistra, fino a bloccare la mano del guerriero di Ares,
e a lanciarlo con forza contro un albero. Licaone atterrò compostamente al
suolo, pronto per caricare nuovamente, ma si accorse di non potersi muovere,
trovandosi completamente paralizzato, fermato da sconosciute onde di energia
mentale che gli impedivano di spostarsi.
“Sono
le Onde di Scorpio!” –Esclamò il Cavaliere,
mentre cerchi di energia partivano dal suo viso paralizzando il guerriero.
“Lasciami… liberami!!!” –Gridò Licaone, ma Scorpio non lo ascoltò neppure, limitandosi a sollevare
l’indice destro e a puntarlo contro di lui. Immediatamente un’unghia rossa si
allungò, brillando come una piccola stella, prima che un raggio di luce
rossastra colpisse Licaone in pieno petto, presto seguito da altri due.
“Aaargh!!!” –Esclamò il guerriero, accasciandosi a terra, e
osservando i buchi sulla sua corazza. Ce ne erano due, vicini tra loro,
all’altezza della pancia, mentre il terzo raggio, che aveva mirato al cuore,
non aveva scalfito la superficie dell’armatura, probabilmente più resistente in
alcuni punti.
“È
l’ago dello Scorpione, mio caro! La Cuspide Scarlatta!” –Esclamò il
Custode Dorato, continuando a puntare il dito contro Licaone. –“Il veleno che
ti sta entrando nel sangue ti farà impazzire, accasciare a terra per il dolore,
bloccando i tuoi centri nervosi e portandoti alla pazzia, alla disperazione,
alle grida infinite di panico, quello stesso panico che tu, servo di Ares,
vorresti infliggere agli uomini liberi… alla morte,
infine!”
“Alla
morte, eh?!” –Sogghignò Licaone, tentando di rimettersi in piedi.
“Precisamente!”
–Rispose Scorpio, mentre la punta del suo indice si
illuminava nuovamente. Ma non ebbe il tempo di scagliare un nuovo attacco che
dovette fronteggiare l’assalto impetuoso di Licaone, il quale, sorprendendo lo
stesso Cavaliere, si era liberato dalle onde mentali e si era lanciato su di lui,
brandendo i suoi affilati artigli.
Scorpio
venne spinto indietro, sbattendo la schiena sul terreno erboso, mentre Licaone
gli balzò sopra, spingendo gli artigli contro il suo viso. Con un gesto rapido,
Scorpio scansò il capo, mentre gli unghioni dell’uomo
gli trinciavano confusamente i capelli violacei, prima di poggiare l’indice sul
petto dell’uomo sopra di lui. Un lampo di luce scaraventò Licaone in alto, tra
le urla dello stesso, mentre Scorpio si rialzava e
saltava, sfoderando le dorate chele dello Scorpione.
“Prendi!!!”
–Esclamò, affondando le chele sul fianco destro della corazza di Licaone, il
quale, grondante sangue, ricadde a terra e rantolò sul terreno, in evidente
difficoltà, fino a poggiarsi con la schiena ad un albero, ansimando
rumorosamente.
“Ares
dovrebbe scegliere migliori custodi per il proprio territorio!” –Ironizzò Scorpio. –“Ben misero avversario sei per un Cavaliere d’Oro
come me!”
“E
Atena dovrebbe avere più a cuore la sorte dei suoi paladini, anziché inviarli
in missioni suicide!” –Rispose Licaone, a tono. –“Poiché nessuno di voi uscirà
vivo di qui! Ladone troverà i tuoi amici, e li
sbranerà vivi! Incendierà le loro carni, farà a brandelli quelle stupide
vestigia che indossano, prima di affondare i suoi denti biforcuti nella loro morbida
pelle, sfregiandoli e avvelenando la loro anima!”
“Taci!”
–Esclamò Scorpio, disturbato dalle violenti parole. E
sollevò nuovamente l’indice, pronto per affondare ancora l’ago dello Scorpione
nel suo nemico, ma questi, straniando lo stesso Cavaliere, sollevò una foglia
dorata, socchiudendo gli occhi e iniziando a recitare un sermone.
“Oh
foglie del Bosco d’Oro, che da Ares avete ricevuto la fiamma della vita,
fermate l’irrispettoso invasore, colui che ha osato levare la mano contro il
suo custode! Il vostro custode!” –Mormorò Licaone, lasciando scivolare la
foglia nell’aria.
Scorpio,
sorpreso, non vi diede troppa importanza, liberando l’ago scarlatto della
cuspide, che si conficcò nell’armatura di Licaone, proprio all’altezza della
spalla. Nonostante il dolore, il figlio di Ares non si disperò, anzi sogghignò,
mostrando i denti gialli e carichi di odio, proprio mentre la foglia d’oro si
posava sul bracciale destro dell’armatura di Scorpio.
“Che
strano!” –Mormorò questi, toccandosi il braccio. –“Sento il mio braccio più
peso del solito!” –Licaone ridacchiò, rimettendosi in piedi, e osservando una
fitta pioggia di foglie dorate cadere su Scorpio,
ricoprendolo interamente. –“Ma che sta succedendo?!” –Si chiese il Cavaliere,
sentendo il suo corpo sempre più pesante.
“Sono
le foglie del Bosco d’Oro! Il loro tocco appesantisce le anime degli impuri! E
chi più impuro di un Cavaliere di Atena?! Un Cavaliere di colei che, tradendo
la propria stirpe materna, aiutò Eracle a profanare il Giardino delle Esperidi,
millenni fa, e che adesso ha invaso i Templi dell’Ira, portandovi la
distruzione!”
“Atena
non è… portatrice... di distruzione…”
–Le parole di Scorpio si facevano sempre più pesanti,
impossibilitato persino a parlare. –“Atena è Dea di pace!” –Il suo corpo era
interamente ricoperto di foglie dorate, che pesavano su di lui come massi,
schiacciandolo a terra, impedendogli di muoversi, persino di sollevare lo
sguardo. La pressione si fece insostenibile, al punto da farlo cadere a terra.
“Muori,
bastardo!” –Esclamò Licaone, sferrando calci su quell’ammasso indistinto di
foglie. –“Il Bosco d’Oro sarà la vostra tomba! Come promesso!” –E continuò a
dare calci al Cavaliere.
Improvvisamente
il guerriero di Ares fece un balzo indietro, sentendo scottare la pianta del
suo piede. Non comprendendo si chiese cosa fosse accaduto, prima di vedere le
foglie che aveva tanto invocato ardere in un profondo fuoco purificatore.
“Eeeh?! Che succede?! Chi può fare questo?!” –Gridò, mentre
le foglie che ricoprivano il Cavaliere andavano in cenere, arse da un potente
calore.
“Io!”
–Esclamò Scorpio, rimettendosi in piedi. La sua
corazza risplendeva di una viva luce amaranto, mentre gli ultimi residui delle
foglie del bosco sacro cadevano a terra, venendo calpestate dal Cavaliere.
“Tutti
quanti abbiamo un fuoco dentro!” –Esclamò Scorpio,
espandendo ancora il proprio vasto cosmo. –“E tale fuoco si chiama speranza! E
arde come fiamma imperitura in noi Cavalieri di Atena! E nelle nostre armature,
riforgiate nelle lande immortali di Muspellheimr, e riparate dalla Polvere di Stelle dei
discendenti di Mu!”
“L’unica
fiamma che vedrai sarà quella del mio padrone, che sterminerà tutti quanti
voi!”
“Splendi,
Cometa di Antares!!!” –Esclamò infine Scorpio, concentrando il cosmo tra le mani. Una sfera di
rovente energia apparve tra i suoi palmi, prima che il Cavaliere la dirigesse
avanti a sé, come un’incandescente cometa rossastra, travolgendo il guerriero
di Ares, che venne colpito in pieno e scaraventato indietro, schiantandosi
contro un albero. Quando si rialzò, Licaone vide con orrore crepe innegabili
sulla propria corazza, da cui rivoli di sangue iniziarono ad uscire.
Dolorante,
espanse il proprio cosmo maligno e si preparò per contrattaccare. –“Zanne
roventi del Licaone!” –Esclamò, scattando avanti, mentre le unghie delle
sue mani si allungavano, diventando affilati artigli. Scorpio,
in tutta risposta, tentò di fermarlo pungendolo con l’Ago dello Scorpione.
“Cuspide
Scarlatta! Insinuati tra le crepe
della corazza del figlio di Ares e flagella il suo corpo martoriato!” –Mormorò,
puntando l’indice avanti a sé. Rapide linee di rossastra luce si diressero
verso Licaone, mentre questi scattava in direzione di Scorpio
con gli unghioni affilati, trafiggendolo in più punti e dilaniando il suo corpo
dal dolore.
A
fatica, il figlio di Ares riuscì comunque ad avvicinarsi a Scorpio,
il quale si difese col braccio sinistro, piantando in esso le incandescenti
zanne del Licaone, frantumando in parte la sua corazza. La distanza ravvicinata
giocò comunque a suo sfavore, permettendo a Scorpio
di perforare il pettorale della sua armatura proprio all’altezza del cuore.
“Ago
della Cuspide!” –Bisbigliò il
Cavaliere, affondando dentro il petto del figlio di Ares.
Licaone, ferito e
avvelenato dal veleno dello Scorpione, si accasciò a terra, proprio davanti al
Cavaliere, il quale, temendo un nuovo trucco del figlio di Ares, lo colpì con
un violento calcio in pieno viso, scaraventandolo in alto, esponendolo
all’ultimo suo attacco.
“Qua,
tutto finisce!” –Esclamò Scorpio, trapassandolo
ancora con i suoi raggi.
Il
Custode del Bosco d’Oro ricadde a terra molti metri addietro, in una pozza di
macabro sangue che macchiò l’incontaminata erba del giardino fatato. Subito,
una lenta pioggia di foglie dorate iniziò a cadere su di lui, posandosi sul suo
corpo, quasi come per coprire le sue ferite. Ma anche Scorpio
si accasciò, toccandosi il braccio sinistro, dove Licaone aveva piantato i suoi
artigli incandescenti, distruggendo la sua corazza. Sentendo esplodere i cosmi
dei suoi amici, si rialzò immediatamente, cercando di localizzarli usando il
proprio cosmo. Ma non fu facile, perché quel bosco era magico, permeato da
strane correnti di energia mistica che rendevano difficile individuare un punto
preciso.
“Ih
ih…” –Mormorò infine Licaone, con le ultime forze.
–“Giunge infine la morte per tutti.. anche per voi, Cavalieri di Atena! È solo
questione di ore… di attimi…”
–Non aggiunse altro e si spense, sotto cumuli di foglie dorate, senza neppure
uno sguardo compassionevole di Scorpio, il quale, per
quanto dolorante fosse, sfrecciò via, tra i fitti alberi del Giardino delle
Esperidi alla ricerca dei propri amici.
***
Pegasus, Cristal, Andromeda e Phoenix, dopo aver lasciato Scorpio alle prese con Licaone, sfrecciarono tra i dorati
alberi del Giardino delle Esperidi, guidati da Egle,
la Lucente Ninfa, che li incitava a far in fretta, prima che Ladone si accorgesse di loro. Ma i loro sforzi si
rivelarono vani, essendo raggiunti in fretta dal vero guardiano del Giardino
delle Esperidi, l’immenso serpente posto da Era a guardia dell’albero dalle
mele d’oro, ora richiamato in vita da Ares, grazie al potere della Pietra Nera,
e posto come Undicesima Fatica dei Cavalieri di Atena.
La
terrà tremò sotto i piedi di Pegasus e compagni, scuotendo gli alberi, le cui
alte fronte tremarono impaurite, lasciando cadere centinaia di foglie dorate,
mentre Egle iniziò ad urlare.
“Iiih…” –Gridò la ninfa, avendo riconosciuto il maligno
cosmo del Guardiano del Giardino Sacro.Ma le sue grida si persero nel boato che accompagnò l’arrivo del viscido
verme, che spuntò dalla terra, ricoperto da polvere e terriccio, presentandosi
in tutta la sua orribile mostruosità.
Ladone,
figlio di Echidna e Tifone, era una delle bestie più orribili del Mondo Antico,
della stessa stirpe divina, e perversa, di Cerbero, Ortro,
dell’Idra di Lerna e del Leone di Nemea; aveva la
forma di un immenso serpente, dalla squamosa pelle olivastra, rivestita di
un’oscura bardatura, per proteggerlo dalle lame dei suoi nemici. La sagoma
sembrava richiamare un Drago, anziché un serpente, tanto grande era, e tanto
affilati erano i suoi denti aguzzi, sempre pronti ad affondare dentro carne
umana. Gli occhi erano iniettati di sangue, orribili solo a vedersi, e capaci
di provocare terrore con un semplice sguardo, e la lunga lingua rossa era
biforcuta.
“Dei
dell’Olimpo!” –Mormorò Pegasus. –“È orribile! È dunque questo il serpente
guardiano del Giardino delle Esperidi?!”
“Sono
proprio io!” –Sibilò Ladone, sorprendendo i quattro
Cavalieri. –“A differenza di molte altre creature primordiali, gli Dei
concessero a me, Ladone, il privilegio di parlare e
dialogare con gli uomini, comprendendo il loro linguaggio!” –Quindi spostò lo
sguardo su Egle, fulminandola per aver tentato di
condurli via dal Giardino, mentre la ragazza gridò spaventata.
“Non
temere!” –La rassicurò Cristal. –“Nessuno oserà farti
del male, finché Cristal sarà di fronte a te!” –Ladone non rispose, sollevando l’immensa testa, inspirando
e poi abbassandosi su di loro, aprendo le fauci e liberando un violento getto
di fuoco.
“Attenti!!!”
–Gridò Phoenix, scansandosi insieme ad Andromeda.
“Maledizione...
ma sputa pure fuoco?! Ma che è un drago?!” –Brontolò Pegasus, rotolando sul
terreno erboso.
Cristal
cercò di difendere la ninfa dalla violenta vampata di Ladone,
venendo raggiunto sulla schiena dalle mortali fiamme del serpente, che arsero
sulla sua già provata corazza.
“Cavaliere…” –Mormorò Egle,
vedendo il dolore che il ragazzo provava, bruciando al posto suo.
“Non…preoccuparti…” –Le sorrise Cristal, molto tiratamente.
Quindi si voltò di scatto, accendendo il suo limpido cosmo, e si lanciò verso Ladone, caricando il pugno destro del suo potere glaciante. –“Polvere…
di Diamanti!!!” –Esclamò, dirigendo la tempesta di ghiaccio verso la bocca
dell’orrido serpente, il quale, prontamente, rispose con una nuova vampata
infuocata.
Phoenix
si lanciò su Cristal, afferrandolo in tempo, prima
che le fiamme lo travolgessero, dopo aver spazzato via la Polvere di
Diamanti, venendo feriti soltanto di striscio.
Andromeda
e Pegasus attaccarono in quel momento, contemporaneamente, il primo tentando di
afferrare il guizzante colpo del serpente, intrappolandolo con la sua catena, e
il secondo puntando al cranio della bestia, liberando migliaia di lucenti
fulmini. Ma i loro attacchi furono vani, non riportando Ladone
danno alcuno, e liberandosi in fretta dall’effimera prigionia della Catena
di Andromeda, scuotendo selvaggiamente la coda squamosa, con la quale
spazzò via i due Cavalieri, scaraventandoli contro alberi poco distanti.
“Pegasus!
Andromeda!” –Urlò Phoenix, accorgendosi di essere l’unico ancora in piedi.
–“Maledetto lombrico!!!” –Esclamò, bruciando il proprio cosmo infuocato.
–“Muori, Ali della Feniceeee!!!”
L’ardente
tempesta scosse gli alberi tutti intorno, stridendo con forza sulla corazza
protettiva del figlio di Echidna, senza comunque infrangerla, e senza
spaventare l’immenso serpente, che si limitò a inspirare con il proprio naso,
assorbendo l’infuocato assalto, e rispendendolo poi indietro, dalle proprie
narici, sotto forma di violente vampate di fuoco, che sorpresero lo stesso
Phoenix, obbligandolo ad incrociare le braccia avanti a sé, venendo comunque
spinto indietro.
“Uah ah ah!!!” –Rise sonoramente il grande serpente,
torreggiando sui Cavalieri di Atena, piccoli passeri che avrebbe presto
carbonizzato. –“Siete divertenti, Cavalieri!”
“Divertenti
eh?!” –Mormorò Pegasus, infuriato, rimettendosi in piedi. –“Vediamo se trovi
divertente questo! Cometa lucente!” –Esclamò, concentrando il cosmo tra
le mani, sotto forma di una sfera di energia, e lanciandosi avanti, assumendo
proprio la forma di una luminosa cometa.
La
meteora umana volò verso le fauci di Ladone, ma
questi, senza scomporsi troppo, liberò una furibonda vampata di calore,
frenando l’avanzata della Cometa Lucente.
“Pegasus!!!”
–Urlò Phoenix, preoccupato che l’amico potesse venire arso vivo.
“Lo
ucciderà!” –Gridò Andromeda.
“No!
Se glielo impedisco io!” –Esclamò Cristal, espandendo
il suo freddo cosmo. Sollevò le braccia sopra la testa, caricandole della sua
gelida energia, prima di sbattere i pugni avanti a sé, mirando verso le fauci
infuocate di Ladone. –“Aurora…
del Nord! Colpisci!” –Gridò, mentre il repentino flusso di ghiaccio correva
in alto, scontrandosi con le calde vampate del serpente.
In
quella, Andromeda liberò la catena, afferrando Pegasus che, indebolito, stava
precipitando, e lo tirò a sé, portandolo fuori dal getto caldo di Ladone. Phoenix tentò di aiutare Cristal,
non sapendo bene come, non avendo idea di dove colpire, temendo che la coriacea
pelle corazzata del serpente avrebbe respinto il suo attacco.
Fu
Egle a venire in aiuto dei Cavalieri, indicando loro
dove colpire. –“Gli occhi!” –Gridò, incitando Phoenix. –“Mira agli occhi!”
Senza
farselo ripetere due volte, Phoenix espanse il proprio cosmo infuocato,
balzando in alto, proprio mentre Cristal si
accasciava esausto per il troppo sforzo, continuando comunque a dirigere l’Aurora
del Nord verso le fauci di Ladone.
“Piume
infuocate di Phoenix!” –Gridò, scagliando
migliaia di piume incandescenti verso i rossastri occhi di Ladone,
il quale, sorpreso dalla repentinità dell’attacco dovette sollevare il viso
improvvisamente, scaricando le vampe di fuoco su Phoenix, che venne spinto
indietro e ricadde a terra, con l’armatura annerita in più punti.
“Stai
bene, fratello?!” –Gli corse incontro Andromeda, rialzatosi insieme a Pegasus.
Nonostante
i numerosi attacchi, anche combinati, che gli avevano rivolto, Ladone era ancora di fronte a loro, torreggiante Guardiano
del Giardino delle Esperidi. I suoi occhi iniettati di sangue fissarono i
quattro Cavalieri sotto di lui, piccoli insetti dispettosi che avrebbe presto
incenerito con le sue ardenti vampe infuocate. Prima però, per vendicarsi del
tradimento, avrebbe regolato i conti con la ninfa ribelle, sbranandola viva,
per aver suggerito a Phoenix dove colpire. Agitandosi sul terreno, Ladone srotolò la putrida coda, scaraventando via i
Cavalieri dello Zodiaco, prima di tuffare il viso in basso, portandosi proprio
di fronte ad Egle, ed eruttando roventi fiamme
distruttrici.
L’Undicesima
Fatica si stava rivelando altamente complessa e pericolosa per i Cavalieri
dello Zodiaco, i quali, indeboliti dagli scontri alle case intermedie e con le
armature danneggiate dal violento combattimento contro il terribile Gerione, non riuscivano ad abbattere il Guardiano del
Giardino delle Esperidi: Ladone, il serpente mostruoso, figlio di Echidna e
Tifone.
Lungo parecchie
decine di metri, ricoperto di squamata pelle corazzata, capace di resistere
agli assalti dei propri nemici, Ladone era una vera e propria macchina da
guerra, risvegliata da Ares per uccidere i Cavalieri di Atena. Poteva parlare
ed ascoltare, proprio come un umano, e le sue fauci spaventose eruttavano
violente vampe infuocate, che avevano messo a dura prova Cristal
e gli altri amici. Adesso, l’oggetto della sua vendetta era una delle tre
Esperidi, Egle, la Lucente, che aveva osato
ribellarsi a lui, tentando di condurre i Cavalieri di Atena fuori dal Giardino
e indicando a Phoenix il punto debole di Ladone: gli occhi.
“Muori, donna!”
–Sibilò, soffiando infernali fiamme contro la fanciulla indifesa e impaurita.
Ma esse non la raggiunsero, venendo fermate da un consistente muro di ghiaccio
che Cristal il Cigno aveva appena creato.
“Con me!”
–Esclamò il giovane russo, afferrando la ragazza e proteggendola.
Ladone,
infuriato, soffiò ancora più forte, liquefacendo il ghiaccio, ma proprio mentre
stava inspirando, pronto per liberare un nuovo violento getto infuocato, il
Cavaliere del Cigno saltò in alto, balzando proprio nelle fauci del mostro.
“Cristaaal!!!” –Urlarono i Cavalieri dello Zodiaco,
sconvolti. –“Sei impazzito?!” –Ma Cristal non li
ascoltò neppure, brandendo Gramr, la spada che Orion gli aveva prestato prima della battaglia sull’Olimpo
e con cui aveva ucciso il drago Fafnir. –“E che
adesso ucciderà te, Ladone!” –Gridò, affondando la lama nel palato del mostro.
L’enorme
serpente, percepito il dolore, si dimenò come un matto, liberando un’immensa
vampata di fuoco, che travolse Cristal,
scaraventandolo fuori dalla sua bocca e facendolo precipitare a terra, in una
nube di fiamme.
“Santi numi... Cristal!” –Esclamò Pegasus, mentre l’amico si schiantava al
suolo, perdendo sangue.
Andromeda e
Pegasus corsero ad aiutarlo a rimettersi in piedi, osservando con
preoccupazione le numerose ustioni sul suo corpo, nei punti scoperti
dall’armatura danneggiata. Persino alcuni capelli erano bruciati, e simboli
evidenti di scottature apparivano sul suo candido volto.
“Efesto dovrà fare un bel lavoro con la mia armatura!”
–Disse Cristal, cercando di sdrammatizzare. Bruciò al
massimo il proprio cosmo freddo, per congelare le bruciature sul suo corpo, ma
il dolore si fece sentire lo stesso. Dopo aver affrontato, in un unico giorno,
la crudele Enio, Augia e Gerione, la fatica si faceva sentire in maniera
consistente. Come negli altri Cavalieri di Atena.
“Attentiii!!!” –Gridò Phoenix, urlando agli amici di
spostarsi.
L’immenso
serpente, furibondo per il dolore che Cristal gli
aveva inferto, si stava dimenando come un folle, sbattendo la sua immensa coda
sugli alberi, schiacciandoli come zanzare, travolgendo tutto ciò che incontrava
sul suo percorso, mentre immense vampate di fuoco fuoriuscivano caoticamente
dalla sua bocca.
“Cignooooo!!!” –Sibilò Ladone. –“Cignoooo!!!
Ti ammazzo!!!” –E sprigionò nuove lingue di fuoco che bruciarono gli alberi
intorno agli amici, che arsero la verde erba dell’incantato giardino, mentre
colonne di fumo salivano verso il cielo.
“Devo
affrontarlo!” –Mormorò Cristal, bruciando il proprio
ghiaccio cosmo.
“Non sei in grado
di tenergli testa! Lo attaccheremo insieme!” –Esclamò Pegasus.
“Fidati di me!”
–Cercò di rincuorarlo Cristal.
“Adesso basta!”
–Lo afferrò Pegasus per il mento, obbligandolo a guardarlo negli occhi. –“Sono
stufo di sentirvi dire che combatterete da soli, tu, Sirio, Andromeda, che
affronterete voi il nemico! Non posso più permettervelo!! Non nelle tue
condizioni! Perciò niente storie, uniamoci e lo vinceremo insieme!”
“Pegasus…” –Mormorò Cristal,
mentre l’amico lasciava andare il suo mento. Una nuova vampa di fuoco piovve su
di loro, obbligandoli a separarsi per non venire colpiti, ma subito i Cavalieri
si riunirono.
“Vai, Onda del
Tuono!” –Andromeda liberò la saettante catena.
“Ali della
Fenice!” –Si unì al coro
Phoenix, anticipando l’Aurora del Nord di Cristal.
L’assalto
congiunto dei quattro amici mirò al volto del bieco serpente, sicuri che quella
volta lo avrebbero abbattuto. Ma Ladone, nuovamente, utilizzò le narici per
aspirare l’energetico potere dei Cavalieri, espellendolo poco dopo, dirigendo
il flusso contro di loro.
“Noooo!!!”–Urlò Pegasus, travolto insieme agli amici e
scaraventato lontano.
“Ci ha rimandato
il nostro attacco!” –Mormorò Andromeda. –“Eppure era così potente…”
–Ma anche Ladone accusò il colpo, essendo stato costretto ad un grande sforzo,
considerando la potenza dell’assalto che i quattro amici avevano lanciato;
iniziò a tossire, a dimenarsi ulteriormente, sbattendo la coda e schiacciando
tutto ciò che trovava al di sotto, mentre nuove vampate infuocate fuoriuscivano
convulsamente dalla sua bocca.
“È la bocca il
suo punto debole! Devo riuscire a colpirlo di nuovo!” –Mormorò Cristal, rimettendosi in piedi, e ringraziando mentalmente Orion per il dono ricevuto.
“Niente gesti
suicidi, Cristal, ti prego!” –Cercò di frenarlo
Pegasus.
“Stai
tranquillo!” –Sorrise l’amico. –“Ho abbandonato quei progetti molti mesi fa,
quando un gruppo di vecchi compagni di infanzia si ritrovò a lottare per
un’Armatura d’Oro!”
“Già…” –Sorrise anche Pegasus. –“Sembra passata una vita…”
“E invece era
solo ieri…” –Commentò Cristal,
prima di voltarsi nuovamente verso Ladone, immenso, sopra di loro. –“Lascialo a
me, Pegasus... ti prego! E conduci Andromeda e Phoenix con te! Soltanto una
casa ci separa da Ares! Non possiamo morire tutti qua!”
“No! Non
possiamo!” –Annuì Pegasus. –“E questa possibilità non si prospetta neppure per
te!” –Precisò, per quanto alla fine cedesse alla richiesta dell’amico.
In quel momento
Ladone si chinò nuovamente su di loro, scaricando immense vampe di fuoco che
arsero gli alberi rimasti intorno ai Cavalieri, anche quelli dietro i quali si
erano riparati. Cristal tirò un’occhiata a Pegasus, e
poi a Andromeda e Phoenix, quindi scattò in avanti, uscendo da dietro l’albero
carbonizzato, circondato dal bianco cosmo della sua costellazione.
“Vieni Ladone! Cristal il Cigno è qua!” –Gridò, evocando il suo potere. –“Polvere
di Diamanti! Via!” –E lanciò contro il serpente la sua violenta tempesta
glaciale, vicinissima allo Zero Assoluto.
Ladone tentò di
respingerla con le sue vampe infuocate, ma si accorse di non riuscire a
contrastarla completamente, tanta era l’intensità e la determinazione che Cristal stava riversando in essa.
In quella,
Pegasus, Andromeda e Phoenix scivolarono sul terreno sottostante, cercando di
fuggire via, ma furono comunque notati da Ladone, che cercò di fermarli,
dirigendo il fuoco verso di loro, ma esponendosi così al freddo potere di Cristal.
“Maledizione,
Cigno!” –Tuonò Ladone, infuriato, mentre gli sbuffi di rovente energia si
facevano sempre più pressanti. –“Mi hai fatto scappare le mie prede! Muori
anche per loro!!!” –Ed emise una tremenda vampata di fuoco che travolse la Polvere
di Diamanti.
Sto... cedendo... Mormorò Cristal,
sentendo le forze venire meno. Ma non posso cadere ancora! Non finché
Pegasus, Andromeda e Phoenix non saranno lontani a sufficienza! Cercò di
farsi forza e contrastare con il gelo l’impetuosa violenza infuocata di Ladone,
fino a crollare in ginocchio.
“Sììì! Cosììì…Cadiii!”
–Sibilò il serpente, chinandosi su di lui per abbrustolirlo.
Improvvisamente
una puntura, piccola, se paragonata all’immensa mole dell’animale, ma
fastidiosa, lo disturbò, proprio sul mento, distraendolo e obbligandolo a
spegnere le proprie fiamme.
“Uh?! Cos’è
stato?!” –Si chiese Ladone, prima di vedere una veloce macchia dorata correre
sul terreno, raggiungere Cristal e portarlo fuori dal
getto di fuoco. –“Chi seeei?!”
Un uomo alto e
dai lunghi capelli violacei, ricoperto da una dorata armatura dall’effige dello
Scorpione, era in piedi sotto di lui, e stava aiutando Cristal a rialzarsi.
“Milo di
Scorpio!” –Esclamò l’uomo con baldanza. –“Cavaliere d’Oro di Atena!”
“Scorpio…” –Balbettò Cristal,
molto debole, stretto al corpo del compagno.
“Non
preoccuparti, Cristal! Riposa! Affronterò io questo
essere immondo!” –Sussurrò il Cavaliere d’Oro al ragazzo, prima di depositarlo
delicatamente a terra. –“Lo affidò a voi!” –Aggiunse, rivolgendosi alle due
ragazze nascoste tra i pochi cespugli rimasti.
Aretusa ed Esperia, le Ninfe del Tramonto, che
avevano guidato Scorpio dai suoi compagni, alla ricerca anche della loro
sorella.
“Milo dello
Scorpione!!! Bene bene…” –Sibilò Ladone. –“Sarà un
piacere affrontarti, mio caro artropode! Ah ah ah!”
“Non proverai
piacere alcuno invece, bestia infernale! Ma solo dolore!” –Commentò Scorpio,
bruciando il proprio cosmo. –“Il dolore che la Cuspide dello Scorpione d’Oro
provocherà in te!!!” –E nel dir questo concentrò il cosmo sull’indice destro,
liberando un violento fascio di luce rossa, diretta verso il mento del
serpente, il quale sentì una nuova puntura, che lo disturbò, per quanto non gli
provocasse dolore alcuno.
“Cos’è questo
ridicolo colpo? Vorresti ferire me, il più grande dei serpenti, con il tuo
ridicolo aculeo?!” –Rise Ladone di gusto, beffandosi dell’attacco di Scorpio.
–“Sei patetico, Cavaliere!” –E smosse la grande coda squamosa, cercando di
schiacciarlo. Ma Scorpio, sfruttando la velocità della luce, di cui era
padrone, a differenza di Ladone che, per quanto potente e resistente, era lento
nei movimenti, data la stazza, evitò i colpi della coda, cercando poi di contrattaccare.
“Vai incontro
alla morte!” –Sbuffò Ladone, osservando Scorpio correre verso di lui. –“Muori!!
Fiamme delle Esperidi!!!” –E scaricò sul Cavaliere immense vampate di
fuoco.
Scorpio cercò di
evitare le fiamme, ma poi decise di giocare d’astuzia, correndo per un po’
intorno al corpo serpentiforme di Ladone, mentre la creatura continuava ad
eruttare fiamme, prima di balzare, con un abile salto, proprio su di esso,
piantando le dorate chele dentro di lui. Sbadatamente, preso dalla foga della
battaglia, Ladone soffiò nuove fiamme, dirigendole verso Scorpio, finendo per
bruciare parte del proprio corpo.
“Maledetto!”
–Sbuffò Ladone, irato per essere stato giocato.
“Adesso basta!”
–Esclamò Scorpio, fermandosi ed espandendo il proprio cosmo. Sollevò una gamba,
assumendo una posizione anomala ma che gli permetteva di creare e controllare
imponenti scariche di energia, dirigendole verso Ladone, sotto forma di una
vorticosa tempesta cosmica.
“Stai attento,
Scorpio!” –Gridò Cristal, sicuro che Ladone l’avrebbe
aspirata e rimandata indietro. –“Non conosci di cosa è capace!” –Ed infatti
Ladone, per quanto infastidito da quella tempesta di guizzante energia, la
assorbì con le proprie narici, prima di rispedirla al mittente, potenziandole
con le sue infernali fiamme, e travolgendo il Cavaliere, che venne scaraventato
indietro. –“Scorpio…” –Rantolò Cristal,
riuscendo finalmente a rimettersi in piedi e a incamminarsi verso l’amico.
“Ho...
sottovalutato il mio nemico!” –Mormorò Scorpio, rialzandosi a fatica. –“Un errore
imperdonabile per un Cavaliere d’Oro!”
“Non crucciarti
di ciò, amico mio! E combattiamo insieme!” –Gli offrì la propria mano Cristal. –“Non potrà resisterci!”
Scorpio sorrise,
lusingato dall’offerta del ragazzo, lo stesso che aveva affrontato all’Ottava
Casa, combattendolo in quanto invasore del Grande Tempio. Per un momento la
mente di Scorpio volò via, ripensando alla battaglia combattuta proprio contro Cristal. Battaglia nella quale il cuore del Cavaliere d’Oro
fu agitato dalla nobiltà d’animo del Cavaliere del Cigno. Nobiltà e fede
nell’amicizia, così bella, così pura, come soltanto in uno spirito devoto ad
Atena poteva albergare! Rifletté, prima di espandere il proprio cosmo
dorato.
“Arderete nelle
stesse fiamme di morte!” –Sibilò Ladone, sbuffando ferocemente.
“Adesso!” –Urlò Cristal, sbattendo le mani giunte avanti a sé. –“Aurora
del Nord!”
“Veleno dello
Scorpione, unisciti in un’unica mortale cuspide, che le quindici stelle di
Scorpio racchiuda in sé!” –Gridò il compagno, lanciando un violento raggio di
energia verso il viso del serpente.
Ladone si difese
discretamente bene, fermando l’Aurora del Nord con il suo furibondo
sbuffare infuocato, ma non poté far niente per evitare l’ago della cuspide, che
lo ferì in pieno viso, poco sotto l’occhio, un punto molto sensibile, che lo
fece sbraitare e avvampare ulteriormente.
“Non crederai che
sia la prima volta che ti colpisco!” –Mormorò Scorpio. –“Per ben tre volte ho
lanciato quindici cuspidi contro di te, ben immaginando che la tua pelle sia
ben immunizzata dal mio siero! Vedremo quanto veleno riuscirà comunque a
sopportare!”
“Veleno?!
Veleno?!” –Tuonò Ladone, infuriandosi come un forsennato. Violenti sbuffi di
fuoco si schiantarono sui due Cavalieri, piegandoli a terra, prima che la
squamata coda del serpente piombasse su di loro, sbattendoli contro il terreno.
“Aaargh…” –Mormorò Cristal,
schiacciato dal peso della putrida bestia.
“Cristal!!!” –Urlò Scorpio, cercando di liberarlo. Ma non
appena si mosse venne afferrato dalla punta della coda di Ladone, che si
arrotolò tutta intorno al suo corpo, stringendolo con forza, facendo
scricchiolare le dorate vestigia.
“Veleno dicevi
dunque, Cavaliere dello Scorpione?!” –Sibilò Ladone, sollevando l’uomo da terra
e portandolo vicino alle sue spalancate fauci. –“Non esiste sostanza che possa
risultare letale per me, Ladone, figlio delle mostruose creature primordiali,
Echidna e Tifone! Perciò vani e patetici sono stati tutti i tuoi assalti! E
adesso pagherai il fio! Ah ah ah!” –E strinse ancora
di più la presa, stritolando il Cavaliere d’Oro, incapace di muoversi al suo
interno.
Cristal, dal basso, cercò di rialzarsi dalla fossa
in cui Ladone lo aveva sprofondato, con un colpo secco di coda. Era ferito e
sanguinante, ma soprattutto il suo cosmo era debole, ma quando vide Scorpio
stretto nella mortifera morsa del serpente non poté non far esplodere il suo
cosmo al massimo, evocando gli sconfinati e immortali ghiacci della Siberia.
La spada che Orion gli aveva dato si caricò di congelante energia e guidò
Cristal alla liberazione dell’amico, seguendo il
ragazzo mentre questi balzava agilmente sul corpo squamoso del serpente, dando
colpi violenti contro la pelle, affondando la lama in quella coriacea
corteccia.
“Aaargh!!!” –Urlò Ladone, dimenandosi. –“Dannato Cigno!!!”
–Sibilò, sbuffando fiamme. Ma non poté dirigerle completamente verso il
Cavaliere, in quanto questi si trovava proprio sul suo corpo.
Si avventò quindi
su di lui con tutto il viso, spalancando le sue fauci artigliate e sbuffando
tossiche vampe di fuoco; ma Cristal non si perse
d’animo, reagendo con il proprio cosmo gelante e liberando una nuova Polvere
di Diamanti, che fu nuovamente assorbita dalle narici del serpente. Prima
però che Ladone riuscisse ad espellerla, Cristal
lanciò Gramr nella bocca del serpente, lasciando che
si conficcasse malamente nella sua gola.
“Aaargh!!!” –Si disperò Ladone, agitandosi confusamente,
senza riuscire a togliere la spada dalla propria bocca, essendosi incastrata
all’interno. –“Dannato… dannato, perché mi fai
soffrire così?!”
Vampe di fuoco
sbuffarono dalle sue fauci, mentre il serpente si dimenava disperatamente,
liberando finalmente Scorpio dalla stretta morsa della coda, facendolo
precipitare a terra. Cristal, sbalzato via dal corpo
squamoso di Ladone, raggiunse l’amico, aiutandolo a rimettersi in piedi, e
realizzando che anch’egli non era messo molto bene, con i coprispalla
frantumati, e numerose parti dell’armatura d’oro scheggiate.
“Hisss…” –Sbuffò ancora Ladone, tentando di togliere la
spada dalla sua gola. Ma non aveva mani per farlo e dovette rimanere a fauci
spalancate, con quella lama piantata nel palato, che tanto dolore gli provocava
e tanta ira faceva montare in lui. Furibondo, afferrò Cristal
con la coda, stritolandolo con violenza inaudita, sbattendolo a terra con
forza, frantumando l’Armatura Divina.
“Ehi,
bestione!!!” –Gridò Scorpio, bruciando il proprio cosmo d’oro. –“Difenditi!!!”
–E concentrò il cosmo tra le mani, sotto forma di una violenta cometa infuocata
che scagliò contro il viso di Ladone, il quale venne colpito e bruciacchiato
sul mento. Ma l’assalto di Scorpio continuò ancora, balzando in alto e
continuando a colpire Ladone con violente e continue Comete di Antares, fino ad obbligarlo a liberare Cristal, scaraventandolo via, e ad afferrare lui, con la
propria coda.
“Perfetto!!!”
–Mormorò Scorpio, osservando il suo giovane amico rotolare al suolo. Debole,
ma libero! Aggiunse con un sorriso, per quanto lacrime a lungo trattenute
inumidirono i suoi occhi.
Il fetido fiato
di Ladone era su di lui, mentre vampe di fuoco stridevano sulla sua corazza e
sul suo corpo, ustionandolo paurosamente. –“Cercavi il veleno, Cavaliere!
Eccolo! Sta penetrando dentro di te! Esso è contenuto nel mio corpo, in
particolar modo nella mia coda, e stritolandoti, venendo a contatto con il tuo
corpo sanguinante, esso penetrerà nelle tue ferite aperte, uccidendoti!”
“Non ho paura di
morire!” –Affermò Scorpio, con tono serio, cercando di mantenersi calmo.
–“Perché la mia vita appartiene ad Atena, ed è per lei e per gli uomini
coraggiosi come Cristal, che credono nell’amicizia e
che mai si tireranno indietro di fronte ad una causa giusta, pur persa che sia,
che combatto! Non posso che essere onorato di dare la vita per salvare lui e i
suoi compagni, e per la mia Dea!”
Ladone, a quelle
parole, si infuriò ulteriormente, perché avrebbe voluto sentire altro uscire
dalla sua bocca: grida di dolore, lacrime di terrore, invocazioni di aiuto,
suppliche e lamenti. Non stupide frasi sull’amicizia e l’onore. Il cosmo di Scorpio
esplose improvvisamente, mentre fendenti di pura energia lacerarono la coda
stritolatrice di Ladone, facendolo tuonare in grida di spasimo. Con rapidi
movimenti, le chele dorate dello Scorpione si piantarono nella pelle del
serpente, scaricando in essa l’intenso fuoco ardente della costellazione.
“Antareees!!!”
–Urlò il Custode dell’Ottava Casa, facendo esplodere il proprio cosmo.
La coda di Ladone
andò in mille pezzi, travolta dall’ardente energia scatenata da Scorpio, il
quale precipitò a terra, scavando una grande fosse nel terreno. Dilaniato da
mille tormenti, con una lama incastrata in gola, Ladone si dimenava come un
topo in gabbia, osservando l’oscura linfa vitale fuoriuscire dalla sua coda
mozzata; si chinò su Scorpio, per bruciarlo vivo, ma si accorse che il
Cavaliere era protetto da una cupola di ghiaccio.
“L’unico in grado
di fare ciò è… Cigno!!!” –Esclamò Ladone, osservando Cristal comparire da dietro la cupola, rialzatosi giusto in
tempo per proteggere l’amico.
Violente vampe di
fuoco si abbatterono sul Cavaliere, il quale tentò di contrastarle con il suo
potere congelante. Fuoco e ghiaccio. Male e bene. Lo scontro tra i due era ai
limiti della forza fisica, e Cristal, per quanto
debole, non sembrava intenzionato ad arrendersi, ma il suo potere glaciante stava aumentando sempre di più, forte di tutte le
esperienze vissute.
“Non ci sono
dubbi!!!” –Mormorò Ladone, osservando la tempesta di ghiaccio spegnere le
proprie fiamme a farsi sempre più vicina alla sua gola. –“Questo è lo Zero Assoluto!!!”
–Non ebbe il tempo di aggiungere altro che una cometa di ghiaccio centrò in
pieno le sue fauci, penetrando all’interno della bocca del serpente,
congelandola completamente.
“Adesso!”
–Esclamò Cristal, sollevando le braccia. –“Guardami
Maestro dei Ghiacci, dall’alto dei cieli! Che tu sia fiero di me! Questo è il
colpo dell’uomo che ti fece Cavaliere! Scorrete, divine acque!!!” –Un’anfora di energia apparve alle spalle di Cristal, prima che questi la abbassasse, dirigendo il getto
verso le fauci semicongelate di Ladone. –“Per il
Sacro Acquarius!!!” –Urlò, mentre la devastante
potenza dell’aurora si scatenava, congelando il viso del serpente.
Stordito e
appesantito, il grosso animale barcollò per qualche minuto, ondulando sul
Giardino delle Esperidi, prima di schiantarsi a terra, abbattendo alberi e
smuovendo ancora la terra.Anche Cristal crollò poco dopo, esausto, senza più la forza di
muovere neppure un dito. Si ricordò però di Scorpio e dell’aiuto che gli aveva
dato, e si trascinò fino alla cupola di ghiaccio per sincerarsi delle sue
condizioni. Il Cavaliere d’Oro era semisvenuto, molto debole per il veleno
penetrato nel suo organismo e per lo sforzo sostenuto, ma fu felice di vedere Cristal sano e salvo.
“L’amicizia che
lega è un vincolo che non si disonora!” –Mormorò, ricordando il celebre
monologo di Cristal, quando, durante la battaglia
all’Ottava Casa, aveva esaltato il profondo valore dell’amicizia, che gli aveva
impedito di andarsene, come un vigliacco, abbandonando gli amici che tutto significavano
per lui. Prima che Cristal potesse rispondere,
accennando un genuino sorriso, un’impetuosa emanazione cosmica fece la sua
comparsa nella radura, mentre immense vorticanti fiamme di energia travolsero i
due Cavalieri, sollevandoli e scaraventandoli indietro.
“Aaaargh…” –Urlarono Scorpio e Cristal,
schiantandosi malamente a terra.
“Chi altri?!”
–Rantolò Cristal, percependo una demoniaca presenza.
Rotolò sul terreno, muovendo gli occhi per vedere chi li aveva travolti col suo
potere e non poté trattenere un gemito di terrore quando riconobbe il guerriero
dalla scarlatta armatura che era apparso di fronte a loro.
Alto e ben fatto,
con robusti muscoli, moro, con viso scuro e occhi dal colore della notte, Flegias, figlio di Ares, Flagello degli Uomini, sogghignava
circondato da imperiture fiamme, cariche di odio e di malvagità. Indossava la
sua scarlatta Veste Divina, che copriva quasi completamente il suo corpo, per
quanto fosse priva dell’elmo, e reggeva nella mano destra la sua Spada
Infuocata.
“Flegias…” –Mormorò Cristal,
incapace di rimettersi in piedi.
“Ben arrivato,
Cigno! Non avevo ancora avuto modo di salutarti quest’oggi! Così ho pensato di
venire a porgerti personalmente i miei saluti! Ah ah ah!”
–Rise sguaiatamente il figlio di Ares, mentre Cristal
e Scorpio cercavano di rialzarsi. –“Ma no! Vi prego! Non c’è bisogno che vi
alziate... rimanete pure seduti!” –Ironizzò Flegias,
prima che una sinistra luce splendesse nei suoi occhi.–“Così potrò uccidervi meglio!!!”
E scattò avanti,
veloce come sempre, puntando la sua spada infuocata verso il collo di Cristal il Cigno, il quale non riuscì a muovere neppure una
mano per difendersi. Poté solo esplodere in un grido di orrore, quando vide la
lama di Flegias trapassare la gola di Scorpio da
parte a parte, al punto da raggiungere il petto di Cristal,
al di là del Cavaliere d’Oro, il quale, visto l’amico in pericolo, non aveva
esitato a fargli da scudo, offrendo la sua vita al violento carnefice di Ares.
Ioria e
Castalia non avevano avuto molto tempo per parlare, da quando si erano
ritrovati, per quanto gli argomenti tra loro non mancassero. Ma durante i due
giorni successivi alla fine della guerra sull’Olimpo erano stati entrambi molto
impegnati, lui soprattutto. Non soltanto nel rimettersi in sesto, dopo i colpi
subiti in battaglia, ma anche nel prendersi cura dei compagni, usando il
proprio potere curativo per lenire le loro ferite. Inoltre, Castalia aveva
notato che ogni volta in cui, per caso fortuito, riusciva a rimanere sola con Ioria, subito il ragazzo si allontanava o dichiarava di
avere qualcosa da fare, altri a cui dedicare il proprio tempo. E questo a
Castalia dispiacque molto.
Indipendentemente
dai suoi sentimenti mai chiariti, e da ciò che era accaduto con il Luogotenente
dell’Olimpo, la Sacerdotessa dell’Aquila era comunque molto legata a Ioria, da un’unione profonda, risalente a molti anni
addietro, quando il Grande Tempio era dominato dalla malvagia volontà di Arles, e scontri tra Cavalieri, soprattutto di tipo
punitivo, erano all’ordine del giorno. Ma anche in quei tempi bui, in cui era
normale sentirsi soli e spersi, Castalia sapeva di avere un amico, lo stesso
che l’aveva salvata dall’assalto dei Giganti di Crono, un confidente su cui
poter contare, Ioria del Leone.
“Tutto
bene, Castalia?” –La voce di Ioria rubò la
Sacerdotessa ai suoi pensieri.
“Uh?!
Sì…” –Rispose lei, camminando a passo svelto accanto
al Cavaliere del Leone. Non sapeva neppure lei come, ma si trovava in missione
proprio con lui, impegnati alla ricerca di un amico, il cui cosmo era
misteriosamente scomparso da un paio di giorni, sin da quando aveva lasciato
l’Olimpo, per inseguire Flegias, il demoniaco figlio
di Ares.
Per
quanto Mur e Libra fossero convinti che Virgo stesse bene, anche se forse era solo un modo per
mantenere una calma apparente, nascondendo i dubbi e i tumulti del loro animo, Ioria aveva più volte insistito sulla necessità di mettersi
alla sua ricerca. E alla fine, appena Mur aveva
riparato la sua corazza, si era deciso a partire, mettendosi sulle tracce
dell’amico. Grazie al suo potere psichico, il Cavaliere di Ariete era riuscito
a circoscrivere un’area, piuttosto vasta, all’interno della quale poteva
trovarsi il loro parigrado, essendo la zona da cui aveva ricevuto l’ultimo
debole segnale del suo cosmo. Ioria non aveva perso
tempo, avvertendo Atena e Zeus delle sue intenzioni e pregando che lo
lasciassero libero di agire, senza trattenerlo.
“Non
è mia intenzione fermarti, Leone d’Oro!” –Aveva commentato il Signore
dell’Olimpo. –“Ma fai attenzione! Grande è la nobiltà del tuo animo, grande è
la tua generosità! Spero solo che questa non ti conduca a gesti sconsiderati, e
a mettere in pericolo la tua vita, e quella di chi ti sta intorno!”
“Non
temete, Dio dell’Olimpo! Ioria conosce i propri
limiti!” –Aveva risposto il Cavaliere di Leo. –“Ma non posso aspettare ancora!
Mi preme trovare Virgo e riportarlo qua, affinché
possa combattere al mio fianco contro il Dio della Guerra!”
“Stai
attento, Ioria!” –Aveva aggiunto Atena, baciando il
ragazzo in fronte, ed osservandolo, con un certo dispiacere, lasciare la Reggia
di Zeus. –“Che Micene sia con te!” –Per un momento la Dea fu invasa dalla
terribile sensazione che non vi avrebbe più fatto ritorno.
Prima di partire, incredibilmente, Ioria
era passato a chiamare Castalia, trovandola nell’armeria, intenta a parlare con
Ganimede. E invitandola ad accompagnarlo.
“Sarà
una missione pericolosa, e forse saremo costretti a combattere!” –Aveva
precisato, avvertendo la donna. –“Non so cosa incontreremo, ma è mio preciso
dovere morale salvare Virgo!”
“Verrò
con te, Ioria!” –Aveva esclamato Castalia, con
decisione.
I
due Cavalieri di Atena si erano quindi recati sull’Etna, raggiungendo l’Olimpica
Fornace dove Efesto aveva fatto dono alla ragazza di
una nuova corazza, più resistente della precedente, e capace di coprire una
parte maggiore del suo corpo.
“Ho
anche ricostruito la tua maschera!” –Aveva esclamato il Dio del Fuoco,
mostrandole una nuova maschera, dagli eleganti ricami argentati. Ma Castalia
aveva sorriso, rifiutando la gentile offerta.
“È
tempo che abbandoni quella maschera, Dio del Fuoco! E mostri il mio vero viso,
il mio vero io, che troppo a lungo ho tenuto nascosto!” –E in quel momento si
era chiesta se si trattava della maschera che portava in viso, o di quella di
cui le aveva parlato Morfeo.
Adesso
stava camminando con Ioria, in una regione montuosa
della Tessaglia meridionale, percorsa da una fitta nebbia, inseguendo la debole
e fioca traccia lasciata dal cosmo di Virgo.
“Vorrei
sapere dove diavolo stiamo andando!” –Commentò il Custode del Quinto Tempio.
“Temi
per il Cavaliere di Virgo?”
“E
per te! Quasi mi pento di averti invitato in questa follia!”
“Non
sentirti in colpa! Ho accettato con piacere, felice per rendermi utile!”
–Affermò Castalia, e poi, con il cuore in gola, aggiunse. –“E per passare del
tempo con te!” –Ioria non rispose, fingendo di non
cogliere l’allusione, e continuò a scandagliare l’ambiente intorno a loro,
usando i suoi sensi da felino per trovare la giusta via, capace di portarli
fuori da quella nebbia.
“Ioria…” –Si fermò infine la ragazza. –“Io…”
–Ma qualunque cosa avesse in mente di dire, e probabilmente neppure lei lo
sapeva, non riuscì ad esprimerla, venendo spinta indietro da Ioria, che con un balzo fu su di lei, tirandola a terra,
mentre un ronzio sibilò nell’aria, seguito da sconce grida.
“Frecce?!”
–Balbettò la Sacerdotessa, osservando un mucchio di dardi conficcarsi nel
terreno, a pochi passi dal loro corpo.
“Ci
stanno attaccando!” –Mormorò il ragazzo, rimettendosi in piedi. –“Maledetti,
approfittano della scarsa visibilità!” –E un nuovo nugolo di frecce si abbatté
su di loro, costringendo i due Cavalieri a separarsi e a scattare in direzioni
diverse, per non essere colpiti.
“Uccideteli!”
–Urlò una voce roca, proveniente dalle nebbie. Ad essa ne seguirono altre,
prima che le rozze sagome di una decina di guerrieri dalle vestigia scarlatte
comparissero davanti ai Cavalieri.
Ad
occhio e croce non sono più di quindici!
Rifletté Ioria, accendendo il suo cosmo di bagliori
dorati. L’improvvisa vista di una luce simile fermò inizialmente i berseker, abituati a vivere nell’oscurità, ma poi, spinti
dai loro superiori, i guerrieri di Ares si lanciarono avanti, brandendo le
armi. Ioria mosse velocemente il braccio destro,
creando un fitto reticolato di luce, contro il quale si infransero le frecce e
le lance scagliate dai berseker, e che poi si abbatté
su di loro, distruggendo le loro corazze e i loro corpi.
Un
guerriero riuscì ad evitare l’assalto, portandosi di fronte a Ioria, sollevando una rozza mannaia e abbassandola di
colpo, ma il Cavaliere non ebbe problemi a bloccarla con una sola mano, prima
di colpire il berseker con un calcio in pieno stomaco,
che gli sfondò l’addome, facendolo accasciare all’istante. Con la stessa scure,
Ioria fermò un nuovo assalto di altri berseker armati di spade, prima di tagliare loro la testa,
e lanciarla contro l’ultimo guerriero rimasto.
“Bene!”
–Commentò, di fronte allo spiazzo pieno di cadaveri. –“Sembra che stiamo per arrivare… Non so in che luogo… Ma
pare che qua vicino ci sia qualcosa!”
Castalia
non aggiunse altro, incamminandosi dietro al giovane, passando tra i corpi
ammucchiati dei berseker, nauseata dal triste
spettacolo. Improvvisamente, un guerriero disteso in terra, fintosi morto,
scattò rapido alle spalle della donna, bloccandola con un braccio intorno al
collo, mentre nella mano destra stringeva un affilato pugnale nero.
“Aaah!!!” –Urlò Castalia, sentendo il fetido alito del berseker così vicino al suo viso.
“Muori!”
–Sibilò il guerriero, piantando l’avvelenata lama nel coprispalla
destro della Sacerdotessa, sfondandolo. Un attimo dopo, il berseker,
crollò a terra, esanime, mentre una potente sfera di luce gli aveva fracassato
il cranio.
“Castalia!”
–Gridò Ioria, correndo verso di lei, per soccorrerla,
con il pugno destro ancora carico di energia lucente.
“Io…” –Mormorò la ragazza, accasciandosi a terra, mentre con
la mano sinistra si toccava la spalla insanguinata. –“Sto bene…
Sto bene…”
Ioria
scostò il braccio della ragazza, osservando la ferita. Fortunatamente il gladio
avvelenato non era penetrato troppo in profondità, merito della resistenza
della nuova Armatura dell’Aquila, forgiata da Efesto.
Il ragazzo sprigionò un caldo cosmo, con il quale tentò di lenire il dolore
della Sacerdotessa, fermando la fuoriuscita di sangue e cicatrizzando in parte
la sua ferita.
Per
qualche interminabile momento Castalia e Ioria
rimasero lì, tra le nebbie della Bassa Tessaglia, in mezzo a un campo di
guerrieri morti, a guardarsi negli occhi, senza che nessuno dei due osasse
pronunciare parola alcuna per paura di rompere l’incantesimo. Fu Castalia
infine, memore della lezione impartitale da Morfeo, a confessare i suoi
sentimenti.
“Sono
anni che cerco di far finta di niente, anni che nascondo il mio cuore dietro un
silenzioso velo di ipocrisia! Ma adesso, adesso che la guerra ci ha travolto
nuovamente, avvolgendoci ancora nella paura di perdersi per sempre, voglio che
tu sappia! Che tu sappia quello che provo, e che mai ti ho detto!” –Esclamò,
accarezzando le mani di Ioria. –“Non potrei
sopportare un altro rimpianto, non potrei sopportare che l’angoscia faccia
nuovamente breccia nel mio cuore, come quando ti seppi scomparso nelle tenebre
di Ade, durante l’ultima Guerra Sacra!”
“Castalia!”
–Mormorò sorpreso Ioria, prendendole le mani tra le
proprie e aiutandola a rialzarsi, in modo che fossero in piedi, uno di fronte
all’altro.
“Quando
ero una bambina, sognavo un principe sul cavallo bianco che venisse a prendermi
e mi portasse via, dalla mia monotona esistenza, che mi rapisse e mi conducesse
in un paese fatato, senza tempo né problemi, dove vivere felici per sempre!”
–Confessò la ragazza, con gli occhi lucidi. –“Ma poi, crescendo, ho abbandonato
questi miei sogni, diventando una Sacerdotessa, e mettendoli via, nel cassetto
della mia infanzia, nel cassetto dei miei rimpianti! La vita mi ha reso
realista, a tratti cinica, ed ho imparato che non esistono principi né paesi
fatati, né una felicità che possa durare per sempre!”
“Sono
certo che anche tu, un giorno, potrai essere felice! Per quanto io non creda al
destino, al fato che tutto comanda, sono sicuro che il tuo sarà un futuro
splendente, a fianco di un uomo che ti ama per quello che sei, piccola stella
discesa sulla Terra!”
“Ioria... E se fossi tu quell’uomo?” –Domandò infine
Castalia, tremante. –“Tu che mi hai confortato per anni, salvandomi da numerosi
pericoli, incitandomi ad essere forte quando mi lasciavo andare, aiutandomi ad
allenare Pegasus, per farne un Cavaliere… Tu, per il
quale non sono mai stata in grado di chiarire i miei sentimenti…
perché non potresti essere il mio principe?”
Ioria non
rispose subito, colpito dalla dichiarazione della donna. Sgranò gli occhi, ma
cercò di non perdere il controllo della situazione, per non metterla in
ulteriore difficoltà.
“Non
credo che quel ruolo mi si addica, Castalia!” –Sospirò infine, lasciando le
mani della Sacerdotessa. –“Per quanto, lo ammetto, vi abbia pensato più volte!
A noi, intendo!”
“Noi?!”
–Balbettò Castalia, facendo un passo avanti, quasi come per aggrapparsi a
quell’esile filo di speranza che sembrava spuntare.
“Già…” –Commentò Ioria, che aveva
realmente a cuore la felicità di quella donna, come l’aveva avuta a cuore negli
anni precedenti. Ma come una sorella! Rifletté, mentre i trepidanti
occhi di Castalia lo fissavano con attenzione. Come una sorella minore di
cui prendersi cura, come Micene aveva fatto con me! E come un’amica, certo, una
confidente, qualcuno con cui poter parlare e potersi confrontare nella desolata
solitudine del Grande Tempio!
“Quando
tutti mi guardavano con disprezzo, etichettandomi come il fratello del
traditore, tu fosti l’unica a tendermi una mano, l’unica a non essere prevenuta
verso di me, e ad accettarmi, per quanto poco mi conoscessi!” –Esclamò Ioria, pieno di riconoscenza verso di lei. –“Non sono stati
facili, questi lunghi anni al Grande Tempio, ma grazie a te sono stati
migliori! Tu, li hai resi migliori! Ogni volta che partivo per qualche
missione, ogni volta in cui sceglievo di andarmene in esilio, ad affrontare
nemici in giro per il mondo, in Egitto o nella giungla dell’India, pensavo
sempre a te, all’unica persona che avrebbe pianto per la mia assenza, all’unica
persona a cui sarebbe importato che io non ci fossi!”
“Sei
sempre stato importante per me!” –Commentò Castalia.
“E
pure tu per me, un punto fisso della mia vita! Siamo cresciuti insieme, nel
disprezzo della gente, perché fratello di un traditore, o semplicemente donna,
che aveva allenato un altro traditore! Ma siamo stati forti entrambi a reagire,
a non trasformare quel disprezzo in odio, né in disperazione, ma in forza per
andare avanti, per continuare a credere in Atena e a combattere! Ed è così che
ti ricordo, Castalia, come un’aquila dalle argentee ali, che può essere
intrappolata, ma mai piegata, che può essere catturata da una rete, di angosce
e rimpianti, ma che sarà sempre capace di aprire le sue ali e volare via, alla
ricerca del suo principe. Alla ricerca del suo sogno!”
“Ioria… Vorrei che fossi tu, quel sogno!” –Affermò Castalia,
con le lacrime agli occhi.
“Ma
non posso esserlo!” –Rispose lui, sinceramente dispiaciuto. –“Perdonami!”
Nessuno
dei due aggiunse altro, troppo sconvolta lei, troppo amareggiato lui,
limitandosi a rimanere in silenzio, prima che una torrida folata di vento li
investisse, ricordando loro la missione. Ioria si
voltò, incamminandosi lungo il sentiero, proprio verso la direzione da cui la
ventata proveniva, seguito a passo stanco dalla Sacerdotessa. Dopo mezzo
chilometro la nebbia iniziò a diradarsi, mentre il terreno declinava verso il
basso, mostrando tracce di arbusti e di alberi rinsecchiti.
“E… questo?!” –Sgranò gli occhi Ioria,
alla vista dello strano paesaggio di fronte a loro.
Un
lago di lava incandescente, all’interno del quale sorgeva un’isola, ricoperta
da una rada vegetazione spontanea, alla quale si poteva accedere tramite un
lungo e sottile corridoio di pietra, largo abbastanza da consentire a due
persone di camminare accanto.
“Un
lago di lava?!” –Mormorò Castalia, osservando l’immensa distesa infuocata di
fronte a loro. Quasi avesse udito le loro parole, il lago smosse la propria
superficie, creando bolle di lava che esplosero subito dopo, e lunghe
increspature che si abbatterono sulla riva, come fossero onde.
“Attenta!”
–Esclamò Ioria, mettendosi davanti alla ragazza, per
evitare che schizzi e lapilli incandescenti la colpissero.
“Non
preoccuparti!” –Rispose lei, liberandosi in fretta dalla presa del giovane.
Ioria
percepì un cosmo nell’aria, un debole segnale proveniente proprio dall’isola al
centro del lago di lava. Virgo! Si disse,
riconoscendo il suo cosmo. Presto saremo da te! E fece cenno a Castalia
di seguirlo, lungo lo stretto ponte di pietra. La ragazza acconsentì senza
esitare, per quanto provasse un minimo di paura all’idea di passare sopra
quell’oceano di lava. Ioria andò per primo, tastando
la solidità del corridoio, e Castalia lo seguì, ma non fece in tempo a fare
dieci passi che il mare di lava si increspò, creando onde minacciose che si
abbatterono sul ponte dietro di loro.
“Coraggio!
Corriamo!” –Urlò Ioria, incitando la ragazza a
muoversi.
Veloci
come fulmini, Ioria e Castalia sfrecciarono sul
ponte, mentre le onde di lava divoravano lo stretto corridoio, ingoiandolo con
le loro infuocate fauci. Quando raggiunsero l’isola, ricoperti da lapilli
incandescenti, che non riuscirono comunque a danneggiare le loro corazze,
notarono con orrore che il ponte non esisteva più e che la loro unica via di
fuga era stata annientata.
“Troveremo
un modo per andarcene!” –Esclamò Ioria,
incamminandosi all’interno dell’isola.
Il
territorio sembrava disabitato, quasi selvaggio, e Ioria
non percepì traccia alcuna di cosmo, né presenza di uomini nelle vicinanze. Ma
restò comunque in guardia per tutto il tragitto, temendo qualche trucco da
parte dei berseker. Castalia era al suo fianco,
avendo ritrovato il suo spirito di iniziativa che aveva momentaneamente perso
dopo la conversazione con il Cavaliere. Per un attimo si chiese cosa stesse
facendo Pegasus, e se stesse già affrontando Ares e i suoi figli, al Grande
Tempio. E poi pensò a Phantom, immaginandolo a Glastonbury alla ricerca della fantomatica ultima legione
di Zeus.
“Guarda!”
–Esclamò Ioria, fermandosi, e indicando avanti a sé.
–“Delle rovine!”
Di
fronte a loro, abbandonato da secoli ormai, c’erano i resti di un antico
tempio, distrutto in epoca arcaica e probabilmente mai ricostruito. Colonne
mozzate e statue abbattute giacevano sparse sul terreno, ricoperte dalla
rigogliosa vegetazione che le aveva inghiottite nel loro territorio, mentre
tutto quello che restava dell’edificio principale era un paio di pareti
semi-abbattute, circondate da colonne in stile greco antico.
“Che
luogo è mai questo?” –Si domandò Castalia, osservando le lugubri forme delle
statue, rappresentanti creature immonde e demoniache.
“Che
si tratti del Tempio dell’Apocalisse?!” –Fremé Ioria,
avanzando con prudenza.
“Il
Tempio della Guerra, dove Ares radunava i suoi berseker
nel Mondo Antico, inviandoli poi in giro per la Grecia a portare morte e
distruzione?!” –Esclamò Castalia, quasi terrorizzata.
“È
un’ipotesi! So che il Tempio del Dio della Guerra sorgeva nella Bassa
Tessaglia, regno un tempo governato da Issione, il
suo malefico figlio, proprio nella zona dove siamo noi!”
Per
un momento Castalia si chiese perché Ares non avesse ricostruito il suo
palazzo, come avevano fatto Discordia e Apollo, forte del suo Divino Cosmo,
preferendo invece occupare il Grande Tempio di Atena. Sicuramente per fare
uno smacco alla Dea che lo combatte da millenni! Rifletté, guardandosi
intorno, e realizzando che quel luogo, tetro e orribile, non era neppure
neanche lontanamente paragonabile allo splendore del Santuario della Dea
Guerriera.
“Vieni!”
–La chiamò Ioria, dirigendosi verso un lato del
tempio. –“Sento qualcosa, delle vibrazioni!”
Castalia
seguì Ioria sul fianco del distrutto Tempio
dell’Apocalisse, scendendo insieme a lui nei sotterranei. Inizialmente si
ritrovarono in una stanza stretta e buia, ma poi infilarono un ampio corridoio,
giungendo in una vasta sala sotterranea, grande quanto la Sala del Grande
Sacerdote, alla Tredicesima Casa del Grande Tempio. Incredibilmente, e questo
li fece sussultare non poco, alcune torce erano accese, fissate alle pareti
laterali della sala sotterranea, che era praticamente vuota, eccezion fatta per
alcune armi abbandonate sul pavimento, ricoperte di polvere e di terra. Residui
di una battaglia ivi combattuta secoli addietro.
Ma
la cosa che maggiormente stupì Ioria e Castalia non
fu tanto trovare delle fiaccole accese, ma delle gocce di sangue sul pavimento.
Una lunga, terribile scia scarlatta che dall’ingresso attraversava tutta la
sala, giungendo fino ad un piccolo altare dall’altro lato della stanza. Sopra di
esso, appeso come Cristo in croce, con quattro pugnali avvelenati piantati
nelle mani e nei piedi, c’era un uomo, mezzo nudo, con le vesti lacere e
bruciacchiate, e la testa penzoloni, ricoperta dai suoi lunghi capelli chiari.
“Dei
dell’Olimpo!!!” –Esclamò Castalia, portandosi una mano alla bocca, spaventata.
“Virgooo!!!” –Urlò Ioria,
riconoscendo immediatamente il compagno.
Con uno scatto rapido, attraversò tutto il salone, diretto
verso l’altare, per tirare giù il compagno, ma fu travolto all’ultimo istante
da vampe infuocate, espressione della violenta emanazione cosmica che si
manifestò in quel momento ai loro occhi.
Una
figura immensa troneggiò su di loro, apparendo circondata da lingue di fuoco,
dal colore scarlatto e violetto, che subito avvolsero l’intero salone,
divorando ogni cosa che trovarono. Era un uomo, alto e moro, con mossi capelli
che fuoriuscivano dal suo elmo scintillante, ricoperto da una decoratissima
Veste scarlatta, alla cui schiena erano fissate grandi ali, simboleggianti qualche
mostruosa creatura infernale. Alla cintura dell’armatura era fissata una spada,
che risplendeva di sinistri bagliori, mentre nella mano destra l’uomo reggeva
una lancia, lunga e acuminata, completamente avvolta da incandescenti vampe di
fuoco.
Ioria fu spinto
indietro e ricadde sul pavimento, subito raggiunto da Castalia, preoccupata
quanto lui dal nemico che si era posto loro di fronte. Il Dio della Guerra:
Ares in persona.
Tra le nebbie del monte Othris,
nella Tessaglia Meridionale, dove Ioria e Castalia si erano recati alla ricerca
di Virgo, aveva sede il Tempio dell’Apocalisse, terrificante Santuario in cui
Ares, nei tempi antichi, era solito radunare i suoi berseker,
prima di scatenare la loro furia sanguinaria e distruttrice in giro per il
Mediterraneo. Là, su un’isola circondata da un mare di lava, i due Cavalieri
avevano trovato Virgo, crocifisso ad una croce di legno, con quattro pugnali
piantati nelle mani e nei piedi. Seminudo, proprio come il Cristo. Ma mentre
Ioria si era lanciato verso di lui, per liberarlo, l’incandescente cosmo di
Ares aveva fatto la sua comparsa, completamente rivestito della sua Veste
Divina, e armato di lancia e di spada, con un ghigno soddisfatto che non faceva
presagire niente di buono.
“A… Ares!!!” –Mormorò Ioria, rimettendosi in piedi. E per un
momento un brivido sembrò invadere il corpo del Cavaliere del Leone,
scuotendolo da testa a piedi. Ma Ioria seppe resistere alla paura che
l’imperiosa figura del Dio della Guerra sapeva infondere soltanto con lo
sguardo, e strinse i pugni, accendendo il proprio cosmo.
“Siete
infine arrivati, Cavalieri di Atena!” –Esclamò il Dio, la cui voce, maschile e
profonda, era gravida di odio e di risentimento.
“Ci
aspettavi?” –Domandò Castalia, con rinnovata baldanza.
“È
naturale!” –Sogghignò Ares. –“Non avrete creduto di essere arrivati fin qua
grazie ai vostri poteri?! Siete qui perché io ve l’ho concesso!”
“Maledetto,
che cos’hai fatto a Virgo?! Liberalo!” –Esclamò Ioria, rabbioso.
“Oh,
il Custode della Porta Eterna?! Una degna fine non trovate? Immolato
sull’altare della Guerra! Proprio come il Cristo duemila anni fa!!!”
“Bastardooo!” –Urlò Ioria, incapace di trattenersi ancora.
Concentrò il cosmo sul pugno destro e scattò avanti, liberando una devastante
sfera di energia cosmica. Ares sogghignò, prima di aprire il polso della mano
sinistra, su cui la sfera si infranse poco dopo, e fermarla. –“Uh?!” –Mormorò
Ioria, stupefatto, mentre la sfera incandescente veniva rispedita indietro, travolgendo
il suo creatore.
“Ioria!”
–Urlò Castalia, osservando il ragazzo venire scaraventato indietro.
“Non
temere, donna! Lo raggiungerai presto!” –Chiarì il Nume, stringendo la sua
Lancia Divina.
Per
nulla intimorita e preoccupata per l’amico, Castalia scattò avanti, lanciando
la Cometa Pungente. Ma Ares neppure se ne curò, limitandosi a scagliare
un raggio energetico dalla lancia, con il quale trafisse in pieno Castalia,
obbligandola ad accasciarsi di fronte a lui. Quindi il Dio della Guerra sollevò
l’arma, pronto per sfondarle il cranio, ma non ci riuscì per il tempestivo
intervento di Ioria, che scattò da lontano, lanciando violenti fasci di luce,
che Ares parò con la lancia.
“Miserabili
e patetici!” –Li disprezzò il Nume. –“Vi ucciderò in pochi istanti!”
“Taci,
carogna!!!” –Urlò Ioria, scattando avanti, con il pugno carico di energia. Ma
Ares lo anticipò ancora, penetrando la sfera lucente con la propria lancia, e
facendola esplodere davanti agli occhi attoniti del Cavaliere d’Oro.
“Muori!!!”
–Tuonò Ares, mentre l’acuminata lancia sfondava il pettorale dell’Armatura del
Leone.
“Ioriaaa!” –Strillò Castalia, in preda allo sgomento,
osservando il sangue del ragazzo uscire fuori dal petto, macchiando la dorata
corazza. –“Nooo!!!” –E si lanciò nuovamente su Ares,
brandendo l’argentea lama che aveva con sé.
Il
Nume la afferrò per il collo, mentre la ragazza era ancora in volo, e la sbatté
con forza contro una parete del tempo, frantumando il collare della sua
armatura, mentre lanciava Ioria lontano, con l’asta piantata dentro al petto.
Castalia tentò di liberarsi dalla presa del violento Dio, sollevando la sua
arma e cercando di piantarla nel suo braccio. Senza riuscire neppure a
scheggiare la sua Veste.
“Smettila,
stupida! Non vedi che non ottieni alcun risultato! Come può una lama d’argento
distruggere una Veste Divina?!” –Tuonò Ares, stringendo ancora di più.
Il
collare dell’Armatura dell’Aquila andò in frantumi, mentre vampate di fuoco
circondarono il corpo della Sacerdotessa, stritolandola con forza. Ares,
divertito, le afferrò le gambe con un braccio, tirandola con vigore, come fosse
un burattino, prima di gettarla via, avvolta tra le sue fiamme mortali. La
ragazza sbatté con forza sul terreno, mentre tutto il suo corpo era in preda ad
un delirio universale, raggiunto e trapassato dall’infuocato e maledetto cosmo
di Ares. Castalia tentò di rimettersi in piedi, si strascicò per qualche metro,
ma poi ricadde a terra, con la faccia sul pavimento, incapace di aiutare Ioria
in combattimento.
Il
Cavaliere del Leone si era intanto rialzato, togliendosi la lancia infuocata
dal petto e spezzandola, sbattendola sulla gamba destra. Quindi aveva fermato
la fuoriuscita del sangue, usando i poteri curativi del suo cosmo, ringraziando
Mur per aver riparato così bene la sua armatura,
impedendo alla lancia di scendere troppo in profondità.
“Bene,
Cavaliere! Sei pronto per raggiungere il tuo amico nella desolazione di Ade?
Ormai dovreste essere di casa in quei luoghi!” –Ironizzò il Dio brutale, con un
ghigno di perfidia sul volto.
“Che
tu sia maledetto, Ares! Tu e i tuoi discepoli!”
“Maledetto?!
Oh, lo sono già da un pezzo… ah ah ah!” –Rise Ares di gusto, mentre Ioria espandeva il proprio
cosmo di fronte a lui.
“Per
il Sacro Leo!” –Urlò Ioria, dirigendo il potente reticolato di luce contro
il Dio della Guerra. Ma questi, con un rapido movimento della sua mano, riuscì
ad annullare il colpo del Cavaliere. –“Che cosa?! Ma non è possibile?! Ha
fermato il mio colpo sacro!” –Esclamò Ioria, stupefatto. –“I raggi di luce del Sacro
Leo sfrecciano in mille direzioni diverse, come può averlo annullato con la
sola forza di una mano?”
“Umpf… sembri un bambino che non ha mai visto il mare!” –Lo
derise Ares, prima di stringere tutto il potere del Sacro Leo nel suo
palmo sinistro, e rinviarlo indietro.
Rapidi
e guizzanti fasci di luce si diressero verso Ioria, ma quella volta il ragazzo
non si fece prendere alla sprovvista, muovendosi velocemente per evitarli
tutti. Non si avvide però di un rapido gesto di Ares, con il quale il Dio si
portò di fronte a lui, ponendogli una mano sul petto. Un immenso e devastante
potere, infuocato come l’Inferno, sprigionò dal palmo di Ares, avvolgendo Ioria
al suo interno. Il ragazzo, incapace di muoversi, restò come sospeso in aria,
mentre la violenta esplosione infuocata lo schiacciava, lo stritolava, lo
faceva urlare dalla disperazione.
“Nooo!!!” –Urlò Castalia, ancora a terra, incapace di
rialzarsi.
“Ah
ah ah!” –Sogghignò Ares, prima di spingere con forza e scaraventare il ragazzo
avanti a sé, fino a farlo sbattere contro una parete laterale, che crollò su di
lui.
Lo
scossone fece crollare una parte del Tempio dell’Apocalisse, mentre mucchi di
terra e di pietre caddero nella sala sotterranea, senza preoccupare minimamente
Ares, il quale si limitò a ritornare all’altare, di fronte al Cavaliere d’Oro
crocifisso.
A
fatica, Ioria si liberò del terreno e delle pietre crollate su di lui,
ansimando per la mancanza di fiato, e per il dolore. L’Armatura del Leone, che Mur aveva riparato poche ore prima, era già in frantumi,
distrutta in più punti dallo strapotere del Dio della Guerra. Neppure l’abile
maestria di Muspellheimr, combinata con le ancestrali
tecniche del discendente del popolo di Mu, avevano
saputo proteggere Ioria dalla furia demoniaca di Ares. Il ragazzo barcollò fino
al centro del salone, ansando per lo sforzo, mentre sangue sgorgava copioso
dalle sue ferite. Anche la sua vista parve appannarsi, e per un momento fu
tentato di lasciarsi cadere al suolo.Ma
aveva un amico da salvare. E non se ne sarebbe andato, neppure a costo di
morire.
“Ancora
ti rialzi, Cavaliere di Leo?! La fama che ti accompagna è dunque degna di
verità!” –Esclamò Ares, mentre il suo incandescente cosmo invadeva l’intera
stanza.
“La
fama?!” –Balbettò Ioria, non comprendendo a cosa si riferisse.
“Non
fosti tu il prescelto, l’uomo del malaugurio, che infranse i Divini Sigilli
liberando il cosmo di Crono, molti anni fa?”
“È
storia di molto tempo fa…” –Commentò Ioria, non
prestando troppo ascolto alle provocazioni del Dio della Guerra. –“È ormai leggenda…”
“Per
questo mi piaci, Cavaliere di Leo! Ed è per questo che ho scelto di
confrontarmi con te, per essere il divino carnefice che porrà fine alla tua
martoriata esistenza!” –E in quel momento enormi lingue di fuoco avvamparono
nell’intero spazio, travolgendo sia Ioria che Castalia, ancora distesa a terra,
e stringendoli in una mortale presa.
“Che
cosa?! Volevi combattere con me?”
“Non
sottovalutare l’astuzia del tuo avversario, Cavaliere di Leo! Il Dio della
Guerra Violenta non è soltanto un rozzo guerriero, ma anche un abile stratega
che sa pianificare la propria guerra! E in questa guerra, l’ultima che
combatterai, ho saputo giocare bene le mie carte, tenendo fede al motto Dividi
e Impera!”
“Dividi
e Impera?!” –Mormorò Ioria, tentando di liberarsi dalla morsa di vampe
infuocate.
“Proprio
così! Uniti sareste stati un muro troppo resistente da abbattere, per questo ho
scelto di separarvi, e di attaccarvi singolarmente, in modo da indebolirvi!”
–Esclamò Ares, espandendo il proprio cosmo infuocato.
“Tu
sia maledetto!” –Mormorò Ioria, ma la sua voce fu sovrastata dal fragore del
cosmo del Dio.
“Ma
ora basta parlare! Io odio parlare!” –Tuonò Ares, alzando il braccio destro
avanti a sé e muovendo le dita della mano, quasi a stringersi intorno a un collo
invisibile.
Ioria
fu immediatamente sollevato da terra, stritolato dalle lingue di fuoco di Ares,
caricate del cosmo del Dio, intriso di odio e violenza, di paura e terrore.
“Aaargh!” –Gridò, mentre tutti i muscoli del suo corpo erano
paralizzati, percorsi da tremende vibrazioni che lo scuotevano fino nelle
interiora.
“Muori!”
–Urlò Ares, stringendo ancora la presa.
Raccogliendo tutta la forza che aveva in corpo, Castalia
si rialzò improvvisamente con un balzo, afferrando l’argentea lama, e
lanciandosi contro Ares. Al Dio bastò un solo sguardo per travolgerla con il
cosmo, in modo da fermare i suoi movimenti a mezz’aria, proprio come Ioria,
prima di spazzarla via, distruggendo gran parte della sua corazza e facendola
schiantare contro una parete.
“Castaliaa…” –Mormorò Ioria, bruciando il proprio cosmo
dorato.
“Ioria…” –Balbettò la donna, parlando al cuore dell’amico.
–“Non arrenderti! Non farlo mai! Per Atena, per Pegasus e i Cavalieri, per la
giustizia sulla Terra, per tuo fratello Micene… e per
il sogno che per molte persone rappresenti! Forse non sarò io la donna che
arriverà al tuo cuore, ma sono certa che ci sarà, presto…
e tu dovrai vivere anche per lei! Per donarle l’ardente amore del tuo cosmo! Devi…vivere… anche per me!” –E
più Castalia non parlò, distesa a terra, tra detriti di roccia franati su di
lei e frammenti della sua corazza insanguinata.
Castalia
ha ragione! Mormorò Ioria, stringendo
i denti, mentre la luminosa aura del suo cosmo cresceva intorno a lui. Non
mi sono mai arreso, di fronte ai nemici più temibili, agli avversari più
pericolosi e potenti! E non lo farò adesso, qua, ad un passo dal salvare un
amico! Nooo! Brucia cosmo di Leo! Un’immensa luce
dorata circondò Ioria, espandendosi a dismisura, travolgendo le infuocate vampe
del Dio della Guerra, che osservò la scena attonito ma interessato.
“Aaaah!!!” –Urlò, distruggendo il malvagio potere che lo
aveva bloccato, e ricadendo a terra. Ma non ebbe neppure il tempo per prendere
fiato che Ares fu su di lui, brandendo la sua infuocata spada, sottile e
leggera, ma altamente affilata e assetata di sangue, come quella di Flegias.
“Spegniti, maledetto!” –Ghignò il Dio, calando la lama su
Ioria, che fu svelto a rotolare sul terreno, evitando l’affondo.
“Per
il Sacro Leo!” –Ritentò l’attacco
Ioria, scattando avanti. Ma ancora una volta il reticolato di luce si dimostrò
inefficace, riuscendo Ares a parare ogni fascio luminoso con la sua spada
infuocata, muovendola a velocità elevatissima. In quella però Ioria riuscì a
portarsi fino di fronte al Dio, torreggiante sopra di lui, con i pugni carichi
di energia cosmica. Ares abbassò nuovamente l’infuocata lama, ma Ioria la
bloccò, afferrandola con entrambe le mani, prima di liberare un urlo di dolore.
“Non
resisterai a lungo, Cavaliere di Atena! Soffrirai, com’è giusto che sia, di una
morte atroce e sanguinaria, resa ancora più lenta dalla tua resistenza all’inevitabilità
del destino! E il tuo martirio è per me fonte di godimento, un’estasi
irrefrenabile!”
Ioria non
rispose, stringendo i denti per il dolore, mentre l’infuocata spada di Ares
stava distruggendo i guanti protettivi della corazza del Leone, raggiungendo le
carni al di sotto di essi, ed il violento cosmo di Ares spingeva sul corpo del
ragazzo.
“Miceneee!!!” –Urlò Ioria, concentrando sulle mani tutta la
sua forza, e iniziando a spingere, smuovendo la possente massa di Ares.
“Maledetto,
resisti a me?!” –Tuonò il Dio, incrementando le vampe del suo cosmo. Ma Ioria,
per quanto la sua armatura si stesse distruggendo in più punti, e fiotti di
sangue uscissero dalle numerose ferite sul suo corpo, non cedette di un passo,
continuando a contrastare lo strapotere del Dio della Guerra. Questi, infine,
stanco di giocare, mosse la spada in orizzontale, con un colpo brusco col quale
ferì le mani di Ioria, prima di tagliare il ragazzo all’altezza dell’addome.
“Aaah!” –Urlò Ioria, accasciandosi a terra, mentre
l’indemoniato cosmo di Ares penetrava dentro di lui, avvelenando i suoi sensi
ed il suo spirito.
“Piegati
a me!!!” –Tuonò Ares, tentando di distruggere l’anima del Cavaliere.
“Ma…maiii…” –Rispose Ioria,
delirante.
“Se
non avrò il tuo spirito, allora te lo spezzerò!” –Urlò rabbioso il figlio di
Zeus, scaraventando Ioria lontano, fino a farlo schiantare contro la parete
frontale, che crollò su di lui, innescando una serie di cedimenti a catena, che
riempirono l’intera sala di rocce e di terra, rendendo minima la visibilità e
la possibilità di movimento.
Castalia! Mormorò il ragazzo, sommerso da tonnellate di pietra
e di terriccio. Devo trovarla, o sarà sepolta viva! Si disse, cercando
di farsi spazio. Bruciò il proprio cosmo, liberando una vasta area intorno a
lui, sufficiente per muoversi e guardarsi intorno. Percepì il cosmo di
Castalia, non lontano ma nascosto dalla tenebra che tutto aveva invaso. Per un
momento gli sembrò di non sentire più neppure il cosmo di Ares, come se il Dio
se ne fosse andato, abbandonandoli ad una morte naturale.
Ma
non appena si mosse, per cercare la Sacerdotessa, fu afferrato per il collo da
possenti braccia, e scaraventato in alto, sbucando proprio all’interno
dell’antico Tempio dell’Apocalisse. O di quello che ne restava. La possente
figura di Ares apparve di fronte a lui, brandendo l’infuocata spada desiderosa
di immergersi nel suo corpo, e Ioria capì che non aveva più alcuna possibile
via di uscita. Disteso a terra, tentò di rimettersi in piedi, mentre Ares si
avvicinava a lui. Rapidamente, liberò il proprio cosmo, scaricandolo nel
terreno intorno a loro, sotto forma di guizzanti scariche energetiche che
avvolsero Ares, provenendo proprio dai suoi piedi.
“LightningFang!” –Mormorò Ioria, osservando le iridescenti zanne del
Leone circoscrivere la figura del Dio della Guerra, senza produrre risultato
alcuno. Facendo esplodere il suo infuocato cosmo, Ares si liberò dei fulmini di
Ioria, proprio mentre il ragazzo si rimetteva finalmente in piedi.
“Non
avrai creduto di immobilizzarmi con così poco?” –Ironizzò il Dio, mentre il suo
vasto cosmo si espandeva nell’aere intorno a loro.
“Quanto
basta…” –Commentò Ioria, socchiudendo gli occhi.
“Uh?”
–Si chiese Ares, osservando la straordinaria calma che il ragazzo aveva
improvvisamente ritrovato. –“Quanto basta per cosa?!”
“Quanto
basta per ucciderti! PhotonInvoke!” –Urlò Ioria infine, mentre il dorato cosmo del
Leone esplodeva intorno a lui. –“Cosmos Open!”
La
devastante energia prodotta da Ioria sorprese perfino Ares, che fu obbligato a
fare un passo indietro, mentre tutto attorno comparivano stelle e astri
lucenti.
“Cosa
diavolo è? L’universo?” –Si chiese il Dio della Guerra, mentre le stelle da
Ioria create squarciavano il demoniaco cosmo di Ares, trafiggendolo con potenti
raggi di luce.
“Astri
da me generati, travolgete il malvagio tiranno, esplodendo in tutto il vostro
scintillante fulgore!!!” –Gridò Ioria, mentre con il braccio sinistro sosteneva
il destro, teso avanti a sé. –“Photon Drive!!!”
–L’universo da lui creato scatenò tutto il suo potere su Ares, incredulo che il
ragazzo potesse disporre di una simile forza, tale persino da ferire un Dio.
“Non
ci credo!” –Vociò il Nume della Guerra, creando la sua formidabile difesa. –“Scudo
di Ares!!! Proteggimi!” –E improvvisamente una barriera di energia scura
comparve di fronte a lui, un’immateriale protezione capace di difenderlo dall’assalto
del Leone Dorato. La stessa tecnica che Flegias usava
in combattimento.
“Non
basterà! PhotonBurst!!!”
–Urlò Ioria, liberando tutta la sua energia cosmica in quell’immenso scintillio
di stelle, che si abbatterono su Ares, trafiggendo il suo cosmo e parte della
sua corazza, al punto da obbligarlo ad estendere il proprio scudo su tutti e
quattro i lati, fino a creare un’impenetrabile fortezza dove i lucenti astri di
Ioria non potevano giungere.
Micene! Mormorò Ioria, ricordando la tecnica che aveva
ideato per proteggerlo, per quanto, purtroppo, non ebbe mai l’occasione per
usarla in tal senso. Tu mi insegnasti a combattere per i miei ideali, e per
difendere le persone a me care! Atena prima tra tutte, ma anche i miei amici e
i miei compagni! Ed io ti promisi che avrei usato il PhotonBurst solo in quel caso, in quel massimo caso in
cui le mie forze non sarebbero bastate per difendere vite in procinto di venir
meno! Per uno strano destino fu proprio per salvare Virgo, da Ceo del Lampo Nero, uno dei Dodici Titani, che lo usai la
prima volta! Ed anche questa, che si prospetta l’ultima, è per difendere lui, e
Castalia, in onore all’immenso amore fraterno che provo per lei!
“Brucia
mio cosmo, brucia mia vita, e riversa nella sfavillante esplosione stellare tutta
la mia forza!” –Urlò Ioria, portando al livello massimo il suo micidiale
attacco.
Lo
Scudo di Ares, difesa suprema del Dio della Guerra, fu assalito dalla
pioggia di stelle, trafitto e distrutto, davanti agli occhi attoniti e
stupefatti dello stesso Dio, venendo annientato poco dopo, su tutti e quattro i
lati, lasciando Ares senza difesa alcuna. Ma lo sforzo per una simile titanica
impresa fu troppo anche per Ioria, che si accasciò a terra, carente di forze e
quasi privo di sensi, mentre il sangue sprizzava fuori dalle sue ferite.
“Ebbene,
lo ammetto! Hai vinto una battaglia, Cavaliere di Atena!” –Esclamò Ares,
incamminandosi verso il corpo esanime di Ioria. –“Hai distrutto il mio scudo
con il tuo cosmo, lasciandomi senza difese! Ma per farlo hai usato tutta la
forza che avevi nel corpo e nell’anima, riducendoti ad un vegetale, privo di
sensi e di qualsiasi vigore! E adesso morrai! Ma sentiti onorato di cadere per mia
mano! Chi è ucciso da Ares Andreiphontêsgli Dei lo onorano e pure i mortali!”
Il
nume sollevò l’infuocata spada, pronto per abbeverarla col sangue dorato del
ragazzo, impossibilitato ad un qualsiasi movimento. Prima che la lama però gli
sfondasse il cranio, fu fermata da una sottile barriera di energia dorata, che
circondò il corpo moribondo di Ioria, impedendo a Ares di ucciderlo.
“Uh?!
Cosa succede?” –Si chiese il Dio della Guerra, sollevando la spada. Si voltò di
scatto e vide, in piedi dietro di sé, due figure deboli e ferite appoggiarsi
l’una all’altra. Il Cavaliere di Virgo e Castalia dell’Aquila. –“Custode della
porta di Ade! Ancora vivo?” –Esclamò, sinceramente sorpreso.
Virgo
non rispose, preferendo risparmiare persino il fiato da tanto che era debole,
limitandosi a concentrare una sfera di energia cosmica tra le sue mani e a
scagliarla contro Ares, il quale però non ebbe problema alcuno a respingerla,
con un colpo secco della sua spada infuocata.
Ioria! Mormorò Virgo, con le lacrime agli occhi. Ancora
una volta sei giunto in mio soccorso, come facesti quel giorno a KasiaKusinagara, rischiando la
vita per proteggermi, per proteggere un uomo che, in passato, non è stato degno
della tua fiducia. Un uomo che non aveva mai creduto in te, né in tuo fratello
Micene, e che hai saputo convertire, aprendo i suoi occhi e mostrandogli l’infinito
scintillio del tuo cosmo! Cercherò adesso di renderti il favore! Virgo si
mise a sedere, in posizione meditativa, radunando tutte le forze che aveva in
corpo, ma Ares, ben conoscendo il suo potere, non perse tempo, piombando su di
lui con l’infuocata spada carica di energia cosmica.
“Kaan!” –Urlò
Virgo, creando la sua barriera energetica difensiva, su cui la lama
incandescente si schiantò, impegnando notevolmente il Cavaliere d’Oro.
“Sai
bene che non basterà per fermare la mia furia!” –Tuonò Ares, che già aveva
sconfitto Virgo, due giorni prima, grazie all’aiuto dei suoi tre figli.
Il
Dio della Guerra appoggiò la mano sinistra sulla barriera, scaricandovi tutto
il suo demoniaco cosmo. Il Kaan resistette per una
manciata di secondi, prima di schiantarsi e scaraventare Virgo, e Castalia che
era al suo fianco, in alto, travolti dall’esplosione del cosmo di Ares, che
dilaniò le loro carni, penetrando dentro di loro, e facendoli ricadere a terra,
agonizzanti.
“Ah
ah ah!” –Esclamò Ares, tronfio di gloria e di sangue. Concentrò il cosmo sul
palmo sinistro, preparandosi per terminare il lavoro, ma fu distratto da un
rumore provenente da dietro di sé.
Ioria,
in stato di semi-incoscienza, si era rimesso in piedi e aveva scagliato il suo
colpo sacro contro Ares, che dovette muovere la spada a gran velocità per
fronteggiare i lucenti raggi energetici del Leone. Ci riuscì, e poi
contrattaccò, scaricando l’energia che aveva accumulato sul palmo sinistro,
travolgendo Ioria, e paralizzandolo a mezz’aria, mentre l’Armatura di Leo si
schiantava sempre più.
Ioria! Mormorarono Virgo e Castalia, preoccupati per
l’amico, ma incapaci di una qualsiasi mossa, non avendo più forza alcuna.
“Addio,
Cavaliere di Leo!” –Esclamò Ares, osservando con orgoglio e soddisfazione il
suo nemico in balia del suo violento e sanguinario potere. Ma in quel momento
una voce parlò al suo cosmo. Erano i suoi due figli, Phobos
e Deimos, rientrati da poco al Grande Tempio.
“Padre!”
–Esclamò Deimos, mettendosi in contatto tramite il
cosmo. –“I Cavalieri di Atena hanno superato la Nona Fatica! E combattono
contro il Gigante Gerione!”
“Uhm…” –Mormorò il nume, quasi incredulo che quei cinque
ragazzini avessero potuto tanto. Con rabbia trafisse il martoriato corpo di
Ioria con la spada infuocata, prima di scaraventarlo via, facendolo schiantare
contro una colonna del tempio.
“Addio
Cavalieri d’Oro! Avrei voluto uccidervi con le mie stesse mani, ma impegni
inderogabili richiedono la mia presenza altrove!” –Ironizzò, concentrando tutto
il suo spaventoso cosmo in un’incandescente sfera di energia, che strinse tra
le sue mani prima di liberarla. –“Vi direi arrivederci, ma sarebbe una bugia!
Ah ah ah!”
Un
attimo dopo le porte dello spaziotempo vibrarono e Ares scomparve dall’isola,
mentre l’infuocata palla di energia lo seguì per poche centinaia di metri,
prima di dirigersi nel lago di lava, raggiungendo le sue profondità ed
esplodendo poco dopo, provocando un terremoto che scosse l’intera isoletta,
creando enormi crepe e faglie su tutto il territorio, mentre mostruose onde di
lava si agitavano tutto intorno, divorando la terra stessa.
“Mo… moriremo qua.” –Commentò Castalia, boccheggiando sul
terreno traballante.
Un’immensa
faglia si aprì proprio poco distante da loro, inclinando la superficie del terreno,
mentre terriccio, pietre, resti di colonne iniziarono a rotolare verso la
fenditura, da cui emergevano infuocati lapilli di lava.
Ioria,
Virgo e Castalia trovarono la forza per rimettersi in piedi, e aggrapparsi a
degli alberi oscillanti, come naufraghi su una nave destinata ad inabissarsi.
Castalia sorreggeva Ioria, tremendamente debole e stordito, mentre Virgo, con
le lacrime agli occhi, non trovò altro da fare che ritrovare la sua posa
meditativa, davanti allo sguardo straniato della Sacerdotessa dell’Aquila.
“Ioria!”
–Parlò infine Virgo, usando solo il cosmo, che stava tentando di radunare con
uno sforzo estremo. –“Le parole non bastano per esprimerti la mia riconoscenza,
la mia gratitudine, non soltanto per avermi liberato dalla malvagia prigionia
di Ares, ma per il fatto stesso di aver rischiato la vita, ancora una volta,
per me! Per venire alla mia ricerca, e combattere per liberarmi! Le parole non
bastano, purtroppo no… e ti ringrazierò con un gesto… con l’ultimo che mi è dato compiere!”
“Vi…” –Mormorò Ioria, tentando di riaprire gli occhi. –“Virgo…”
“Addio
amico!” –Pianse il Custode della Porta eterna, mentre Ioria e Castalia venivano
imprigionati in una dorata sfera di energia. –“Abbiamo passato la vita ad
aiutarci a vicenda, senza esserci mai conosciuti fino in fondo! Possa tu vivere
questa degna e meravigliosa vita anche per me!”
In
un attimo tutto accadde, più veloce della luce.
Virgo
sorrise, mentre una lenta fila di lacrime gli rigò il volto, bagnandolo per
l’ultima volta; Ioria aprì gli occhi, sorretto da Castalia, urlando a
squarciagola il nome dell’amico, avendo compreso le sue intenzioni. L’isola
esplose, travolta dall’infernale potere di Ares, inabissandosi poco dopo
all’interno dell’oceano di lava infuocata.
“Virgooo!!!” –Urlò Ioria, mentre le porte dello spaziotempo
vibravano intorno a lui. Vide forme strane passargli davanti, mentre sentiva
che i sensi lo abbandonavano a poco a poco, e quando riuscì a focalizzare
nuovamente, realizzò di trovarsi sulla riva del lago di lava, nel momento
stesso in cui l’isola dell’Apocalisse esplodeva davanti ai suoi occhi.
Grazie
all’aiuto della Ninfa del Tramonto, Pegasus, Andromeda e Phoenix riuscirono ad
uscire dal Giardino delle Esperidi, ma la ragazza non li accompagnò oltre,
sentendosi in debito con il Cavaliere del Cigno, e ritornando da lui, lasciando
i tre Cavalieri, da soli, a percorrere l’ultimo tratto di strada. Dopo pochi
passi infatti gli alberi iniziarono a scomparire, lasciando il posto nuovamente
alle pietre e alla parete rocciosa sul lato destro e all’antica scalinata di
marmo che conduceva alla Dodicesima Casa, quella dei Pesci. Quando vi
arrivarono, Pegasus, Andromeda e Phoenix furono quasi stupiti di trovarla
ancora lì, perfettamente identica all’ultima volta in cui l’avevano veduta,
senza alcuna apparente modifica esteriore. Dopo le stalle di Augia, la palude
di Stinfalo, il Bosco d’Oro, quasi dubitavano che esistesse ancora una casa
integra. Ma così fu, almeno all’apparenza.
“Strano!”
–Mormorò Andromeda, osservando la atena penzolare tranquillamente dal suo
braccio. –“La catena non segnala la presenza di alcun nemico al suo interno!”
“Non
per dubitare delle sue doti, ma ho seri dubbi che funzioni correttamente!”
–Ironizzò Phoenix.
“Se
non ricordo male l’ultima fatica di Eracle fu la discesa agli Inferi e lo
scontro con Cerbero, cane guardiano!” –Mormorò Andromeda, non prestando troppa
attenzione alle battute del fratello.
“Cerbero!”
–Ripeté Pegasus, incamminandosi all’interno dell’Ultimo Tempio dello Zodiaco.
–“Nemico che abbiamo già affrontato e abbattuto, alla Seconda Prigione di Ade!
Che Ares abbia riportato in vita anche quel cagnaccio?!”
Andromeda
e Phoenix non risposero, seguendo l’amico, a passo lento, dentro la Dodicesima
Casa. I tre Cavalieri camminarono all’interno del corridoio principale con i
sensi tesi, pronti a percepire la seppur minima vibrazione intorno a loro. Ma
nessuno si palesò e convennero infine che l’ultima casa fosse realmente
disabitata.
“Forse
Ares non riteneva possibile che arrivassimo fin qua?!” –Azzardò l’ipotesi
Andromeda, fermandosi con gli amici al centro del tempio.
“In
ogni caso dobbiamo fare attenzione!” –Fremé Phoenix, continuando a guardarsi
intorno con aria sospetta. Ma non udirono niente, né percepirono presenza
alcuna dentro quelle quattro mura, convincendosi sempre di più che non vi fosse
nessuno.
“Sarò
tranquillo solo quando usciremo di qua!” –Esclamò Pegasus, incitando gli amici
a proseguire. Andromeda e Phoenix gli andarono dietro, infilando nel corridoio
che avrebbe dovuto condurre all’uscita, mentre le luci si facevano sempre più
fioche, fin quasi a scomparire, lasciandoli al buio.
“Ehi,
che succede?” –Disse Pegasus, mentre l’oscurità si faceva sempre più pressante
intorno a loro.
“Un
corridoio scuro…” –Mormorò Phoenix.
“Là
in fondo… guardate…” –Esclamò Andromeda, che non riusciva più a vedere i suoi
compagni, indicando avanti a sé. –“C’è una luce! È l’uscita!” –I tre amici,
ognuno per conto suo, si diressero verso la luce alla fine del tunnel, credendo
davvero che si trattasse dell’uscita, ma quando varcarono la soglia di quella
porta si ritrovarono da soli nel cuore dell’Inferno.
“Eh?!”
–Domandò Pegasus, osservando il panorama avanti a sé.
Si
trovava in un ampio stanzone, scarsamente illuminato, al termine del quale una
lunga scalinata conduceva in cima ad un palco, dove vi era un trono, nascosto
da macabre tende. Pegasus non ebbe dubbi al riguardo: era la Giudecca, l’ultima
zona dell’Inferno. Solo allora si accorse di avere indosso la sua vecchia
armatura, quella forgiata da Shin con il sangue di Atena, e che anche
Andromeda, apparso improvvisamente accanto a lui, indossava la sua corazza di
bronzo.
“Andromeda!!!”
–Esclamò Pegasus, correndo verso l’amico. Ma un’improvvisa scarica di energia
lo colpì in pieno, facendolo stramazzare al suolo, agonizzante. Quando si
rialzò vide una donna, con lunghi capelli corvini, puntare un tridente verso di
lui.
“Pa...
Pandora…”
“Non
rivolgerti in questo modo al Signore degli Inferi!” –Esclamò la donna,
continuando a puntare il suo tridente verso Pegasus.
“Il
Signore…” –Rifletté Pegasus, prima di voltarsi verso l’amico. –“No!!!
Andromeda!!!” –Gridò Pegasus, sollevandosi di scatto. Ma Pandora lo colpì di
nuovo, facendolo crollare al suolo, inerme, prima che robuste braccia lo
afferrassero e lo portassero via, mentre gli occhi scuri del ragazzo piangevano
lacrime amare, invocando il nome dell’amico, posseduto da Ade.
Quando
rinvenne, Pegasus si ritrovò in un luogo ai confini della realtà, murato vivo
nel ghiaccio, con solo la testa al di fuori, mentre raffiche di gelido vento
sferzavano la superficie di quell’immensa distesa, da cui spuntavano altre
teste. Altri visi noti a Pegasus.
“Ioria!!!”
–Gridò. –“Mur!!! Scorpio!!!” –Ma i Cavalieri d’Oro, ghiacciati anch’essi vivi
nelle tristi lande del Cocito, non risposero, aumentando l’angoscia nel suo
cuore. D’un tratto un’immagine iniziò ad apparire di fronte a lui. Un’immagine
sfuocata, a cui solo il cuore diede nitidezza: il candido volto della sua amata
Isabel.
“Atenaaa!!!”
–Urlò Pegasus. Ma la Dea non lo udì, continuando a camminare, nella visione che
Pegasus aveva davanti agli occhi, nella sala della Giudecca, fino a portarsi di
fronte ad Ade. –“Cosa fa?! Attentaaa!!!” –Gridò ancora, ma la sua voce si perse
nella bufera di ghiaccio.
Rassegnato,
tornò a guardare, anche se quelle immagini gli facevano dolere il cuore.
Ascoltò le parole di Atena, che offriva ad Ade la sua stessa vita, purché
fermasse l’Eterna Eclissi e lasciasse il sole agli uomini liberi. Infine, vide
Ade puntare il tridente contro di lei, che lo fermò con le sue mani, mentre
sangue usciva copioso dalle sue vene.
“Isabel…
Isabeeeel!!!” –Gridò Pegasus, angosciato, tormentato dal non poter far niente
per aiutare la dea che amava. E forse, la donna che amava.
Ade
rapì Isabel, portandola al di là del Muro del Pianto, facendo sfocare
nuovamente l’immagine. Quando Pegasus riuscì a vedere meglio, notò soltanto la
nera spada di Ade che veniva verso di lui. Enorme, immensa, sfondò il ghiaccio
del Cocito, trasformando la visione in realtà, e perforando la corazza di
Pegasus, proprio all’altezza del cuore.
“Noo…
basta!!!” –Urlò Pegasus, che mai si era liberato del fantasma della Spada Nera
di Ade. Ma una nuova immagine comparve di fronte ai suoi occhi: una visione di
morte, in cui Isabel, scalza e con le vesti lacere, correva in mezzo ad oscure
fiamme, venendo presto risucchiata in un vortice di fuoco. Sopra tutto
torreggiava la maligna risata di Ares. E Pegasus, prostrato, non poteva far niente
per salvarla. Solo guardare. E soffrire.
“Talvolta
il cuore mostra ciò che i nostri occhi non possono, o non vogliono, vedere!”
–Sibilò Ares prima di scomparire, lasciando Pegasus sconvolto in lacrime.
***
Anche
Andromeda si ritrovò alla Giudecca, da solo e completamente nudo, ferito da
qualche taglio sul corpo. Una donna si avvicinò, porgendogli dei vestiti che
giudicò più adatti per la sua persona.
“Grazie!”
–Mormorò Andromeda, senza capire bene cosa stesse accadendo.
La
donna si presentò come Pandora e lo guidò in cima alla scalinata, facendolo
sedere sul trono, sul suo trono, lo scranno di Ade, Signore degli Inferi.
“E
mio amatissimo fratello minore!” –Affermò la donna, inginocchiandosi ai suoi
piedi.
Andromeda
non riusciva a capire. Era davvero Ade? Com’era possibile ciò? Lui che era
sempre stato un Cavaliere di Atena, lui che aveva sempre posto la pace e la
tolleranza come supremi valori della vita, da trasmettere agli altri, adesso
sedeva sul trono della più oscura Divinità, che tormentava i dannati anche dopo
la morte e che voleva ridurre la Terra ad un’immensa distesa di ghiaccio,
privandola della calda luce del sole.
“Un
secondo Inferno!” –Commentò una voce, apparendo ai piedi della scalinata. Tre
uomini alti e robusti, ricoperti da oscure vestigia, simboleggianti mitologiche
figure: Eaco, Minosse e Radamante, i Giudici Infernali, comandanti
dell’esercito di Spectre.
“Sire
Ade…” –Mormorò uno di costoro. –“Siamo pronti a portare la distruzione sulla
Terra in nome suo, guidando i centocinque spectre alla conquista del pianeta!”
La
distruzione?! Posso davvero volere
questo?! Posso davvero chiedere che uomini uccidano altri uomini per soddisfare
le mie ambizioni di dominio?! Io che sono stato relegato nelle viscere del
mondo, mentre i miei fratelli ottennero i mari e il cielo, posso finalmente
aspirare ad uscire allo scoperto, occupando quel posto al sole che da troppo
tempo mi è stato negato? Andromeda non aveva dubbi. La sua mente non gli
apparteneva più. Adesso era diventato veramente Ade.
“Proseguite!”
–Fu lui a pronunciare tali parole, ma fu il Dio dell’Oltretomba a meditarle. Ma
il Dio è in me! Vive in me! Ade sono io?! Ammise infine, disperandosi,
gemendo, tentando di urlare, tentando di uscire da quella prigione in cui era
costretto ad assistere ad eventi di cui lui stesso era responsabile senza poter
intervenire, senza poter far niente per cambiare le cose, intrappolato come
Gemini e Ilda erano stati prima di lui. Pianse a lungo, ma nessuno lenì i suoi
affanni, nessuno consolò il suo animo. Soltanto Pandora si prese cura di lui,
ma ella serviva Ade, il Dio di cui era il ricettacolo, non curandosi
dell’interiorità, dei sentimenti del vero Andromeda.
“Mio
amato fratello…” –Mormorò la donna, sedendo ai piedi di Ade e carezzandogli le
braccia.
No!
Smettila! Urlava Andromeda, ma le sue
grida si perdevano nel limbo in cui era confinato, obbligato spettatore di
un’esistenza su cui non aveva potere. Non poteva fermare i Giudici Infernali,
non poteva rallentare l’Eterna Eclissi. Né salvare suo fratello dalla furia del
Dio dell’Oltretomba.
“Phoenix!!!”
–Mormorò, osservando suo fratello in piedi davanti a lui, intento a combattere
contro il suo corpo, cercando di cacciare Ade e restituirlo all’anima di
Andromeda, che sapeva essere ancora viva. Che sentiva essere ancora viva. Ma
alla fine cadde, vinto, pieno di ferite, sanguinante e debole, e le sue carni
furono gettate al vento. E Andromeda rimase solo, ad urlare, sotto un cielo
oscuro e senza fine.
***
Quanto
dolore provò Phoenix quel giorno, quando giunto nell’Inferno, per aiutare Kanon
contro i tre Generali dell’Aldilà, apprese che suo fratello era diventato il
Signore dell’Oltretomba, che Ade si era reincarnato in lui. E quante lacrime
versò quando lo vide lassù, in cima a quello scuro trono, con un volto che non
era il suo. Un volto innaturale, senza tempo, senza il profondo sguardo pieno
di amore che solo gli occhi di suo fratello sapevano produrre.
“Andromeda!!!”
–Balbettò Phoenix, ma l’uomo che aveva di fronte non parve neppure riconoscerlo.
“Egli
non è più Andromeda! Adesso è Ade, Sire dell’Oltretomba!” –Parlò una voce di
donna, la sorella di Ade, Lady Pandora. Ma Phoenix non si arrese, testardo come
sempre, e diede l’anima, bruciando al massimo il proprio cosmo, per salvare suo
fratello e liberarlo dal demonio.
Quanto
dolore albergava in lui quando dovette schiaffeggiare Andromeda, quando dovette
colpirlo con il pugno, sfondare il suo petto, per cacciare l’anima di Ade dal
suo corpo. Neppure gli Dei tutti potrebbe raccontare quanto atroce fu per lui,
che non amava nessun altro al mondo, che non aveva nessun altro al mondo, a
parte i suoi tre amici e suo fratello, lo stesso che Ade voleva portargli via.
“Colpiscimi
fratello! Colpiscimi!” –La voce di Andromeda rimbombava nella mente di Phoenix,
che non capiva più dove fosse.
Un attimo si
trovava alla Giudecca, impegnato a schiaffeggiare il corpo di Andromeda, un
attimo dopo giaceva nelle lande desolate del Cocito, abbandonato a se stesso,
prima che un’impetuosa tempesta lo travolgesse trascinandolo a casa, sull’Isola
della Regina Nera, in mezzo al lago di lava dove ardevano miserabondi i corpi
dei suoi vecchi nemici: Jango, i Cavalieri Neri, Gemini, Kanon. C’erano tutti,
e presto ci sarebbe stato anche lui.
“Ecco
l’inferno adatto a te! La collera!” –Esclamò una voce, mentre Phoenix sentì
scomparire il terreno sotto i suoi piedi, percependo un immenso senso di vuoto.
Un tuffo soltanto e si trovò nel lago di sangue. Rovente, bollente, mentre i
dannati cercavano di affogarlo e ridurlo come loro, per quanto Phoenix si
dimenasse. Torreggiante su di lui, la figura di Virgo sogghignava felice,
sentendosi superiore, dominante, come durante lo scontro alla Sesta Casa.
“Colpiscimi
fratello! Colpiscimi!” –Gridò ancora Andromeda, e Phoenix non poteva fare a
meno di ubbidire, sperando, con quei suoi gesti, di liberare il fratello dalla
prigionia di Ade.
E
Pegasus, sepolto nel ghiaccio, continuava a rivedere quelle immagini, non
sapendo come fermarle. Non sapendo come fermare il pugno di Phoenix prima che
sfondasse il cuore di Andromeda, non sapendo come urlargli di fermare quel
gioco al massacro.
Improvvisamente
un piccolo punto luminoso comparve di fronte a loro, e ognuno dei tre amici lo
vide crescere, aumentare, diventare una vera e propria luce, eterea, celeste,
primordiale, al punto da sovrastare ogni altra immagine, ogni altra visione,
inglobandole in sé.
“Segui
il tuo cuore, Cavaliere! E trova la tua strada!” –Mormorò una voce, soave e
indistinta, che inizialmente non riconobbero.
“Aa...
Atena!!!” –Urlò infine Pegasus. E le sue urla echeggiarono nel vuoto,
distruggendo ogni visione, spazzando via ogni inganno. Riaprì gli occhi
improvvisamente, ritrovandosi sdraiato in terra, su un pavimento di marmo, con
ancora indosso la sua Armatura Divina. Accanto a lui c’erano Andromeda e
Phoenix, e Pegasus convenne che fossero ancora alla Dodicesima Casa.
“Cos’è
stato?! Una visione?! Un inganno?!” –Scosse la testa, ma ricordava soltanto
confusi pensieri, immagini di morte e sangue ed una tremenda angoscia che si
era impadronita di lui. Cercò di non pensarci e allungò una mano, fino a
sfiorare i corpi di Phoenix e Andromeda, risvegliando anche loro, un po’
frastornati e insicuri.
“Phoenix!!!”
–Esclamò Andromeda, tremendamente felice di vedere suo fratello, come se
fossero anni che non si incontravano. La stessa reazione, seppure più
controllata, la ebbe Phoenix, che non nascose un singhiozzo nel vedere che il
fratello non era posseduto da Ade.
“Pegasus…
Cos’è accaduto?!”
“Non
so dirvelo, amici! So soltanto che vedevo le vostre gesta, ma non riuscivo ad
arrivare a voi, a comunicare con voi!”
“La
stessa cosa è accaduta a me!” –Rispose Phoenix, rialzandosi.
“Se
non fosse stato per quella luce alla fine…” –Mormorò Andromeda. –“Sarei rimasto
prigioniero di quella visione per l’eternità!” –I tre amici concordarono di
essere stati vittima di un’illusione, di una potente manipolazione della loro
mente, che soltanto un Dio poteva condurre.
“E
soltanto un Dio poteva giungere in nostro aiuto!” –Esclamò Pegasus, prima che
un sorriso di speranza gli aprisse il cuore. –“Isabel!!!”
“Atena
è intervenuta per salvarci!” –Affermò Andromeda. E anche Phoenix gli dette
ragione, prima di spronare gli amici a lasciare la Dodicesima Casa e a correre
ad affrontare Ares. Ma non appena si voltarono, per incamminarsi verso
l’uscita, notarono un uomo, ricoperto da un’inquietante armatura, appoggiato
comodamente ad una colonna, che li stava osservando, forse già da qualche
minuto.
“Eh?!”
–Esclamarono i tre amici, quasi spaventati. –“E tu chi sei?” –Domandò Pegasus.
–“Non ho sentito il tuo cosmo arrivare!”
“È
naturale!” –Esclamò questi, staccandosi dalla colonna e portandosi al centro
del salone. –“Posso arrivare non visto, se lo desidero, e scomparire a mio
piacimento!”
“Un
vero mago dell’inganno…” –Commentò Pegasus, sollevando le difese.
Quel
tipo non gli piaceva per niente. Per quanto avesse un viso semplice, molto
maschile, quel ghigno malizioso lo faceva stare in guardia. Era alto e ben
fatto, con mossi capelli neri e occhi di color grigio scuro, ricoperto da
un’armatura scarlatta dalle sfumature biancastre, ingannevolmente eteree,
diabolicamente mortali. I bordi della sua Veste Divina erano simili ad artigli
pronti a ghermire e alla cintura pendeva una spada infuocata.
“Mio
Padre è stato troppo buono con voi, luridi Cavalieri di Atena! E per colpa
dell’interferenza di Atena quest’ultima fatica si è rivelata un piacevole
viaggio nei ricordi, anziché una terrorizzante angoscia perpetua!” –Sogghignò
l’uomo, la cui voce era maschile e profonda.
“Tuo
Padre?!” –Ripeté Andromeda. –“Dunque tu sei…”
“Deimos
è il mio nome celeste, ma tra gli uomini mortali sono noto come Spavento,
Divinizzazione del Terrore, di Ares figlio e, come lui, portatore di guerra!”
“Deimos!!!”
–Mormorò Pegasus, cui soltanto il nome faceva venire i brividi.
“Sei
tra coloro che hanno fatto strage di Divinità sull’Olimpo!” –Esclamò Andromeda,
ricordando il triste volto di Efesto dopo la morte di Afrodite. –“Insieme ai
tuoi fratelli!”
Deimos
non rispose, limitandosi a sogghignare, per quanto l’espressione utilizzata da
Andromeda non lo convincesse più di quel tanto. Per lui infatti esisteva un
solo fratello, il suo gemello Phobos, Signore della Paura. Flegias era soltanto
un bastardo, uno dei tanti figli di Ares, anche se, a detta di molti, si stava
rivelando il più abile e vincente.
“Allora…”
–Sogghignò Deimos, ostentando apertamente il proprio cosmo, dalle sfumature
biancastre. –“Chi vuole essere il primo a morire?!” –I Cavalieri di Atena si
misero sulla difensiva, sollevando le braccia e bruciando il loro cosmo, e
Andromeda srotolò addirittura la catena, disponendola ad anelli concentrici
intorno a loro.
“Poco
importa…” –Commentò il Dio. –“Tanto morirete tutti comunque!” –E senz’altro
aggiungere sfrecciò avanti, guizzante come un bianco fulmine, scivolando sulla Catena
di Andromeda, più veloce dei movimenti della stessa.
Colpì
Andromeda con un calcio in pieno addome, scagliandolo contro Pegasus, prima di
voltarsi verso Phoenix e sferrargli un pugno sul mento che lo spinse di lato,
facendolo barcollare, mentre Deimos balzava indietro, portandosi alle spalle di
Pegasus, che intanto si era divincolato. Afferrò la spada che portava con sé e
la piantò nella schiena del Cavaliere di Atena, senza riuscire ad andare troppo
a fondo, a causa della resistenza del mithril, ma fu abbastanza per far urlare
Pegasus e farlo accasciare al suolo, mentre sangue colava abbondantemente sulla
sua corazza.
“Maledetta
canaglia!” –Gridò Phoenix, scattando avanti, con il pugno carico di energia
infuocata. Ma Deimos si limitò a spostare il capo verso destra, evitando
l’affondo di Phoenix, e fermando poi il suo braccio con la mano sinistra. Con
un’abile mossa rovesciò il Cavaliere facendolo sbattere contro il muro alle sue
spalle, prima di brandire la sua Spada Infuocata per infilzare anche
lui. Ma Andromeda non glielo permise, liberando la sua catena, che saettò verso
il polso destro di Deimos, arrotolandosi intorno ad esso e frenando i suoi
movimenti.
“Fermati!”
–Esclamò il Cavaliere, tirando con forza.
“Hai
così fretta di morire, ragazzino?!” –Lo schernì Deimos, che riusciva a
resistere alla stretta della Catena di Andromeda continuando a tenere
Phoenix bloccato, a testa in giù, contro il muro.
“Lascia
stare mio fratello”! –Gridò Andromeda, liberando anche l’altra catena.
Con
una mossa astuta, Deimos afferrò il corpo di Phoenix, buttandolo davanti a sé,
come scudo su cui si infranse l’appuntito triangolo della Catena di
Andromeda, mentre il fratello urlava disperato e colpevole. Non contento,
passò il braccio fermato dalla catena intorno al collo di Phoenix, usando la
stessa arma per strozzarlo, mentre violente scariche energetiche percorrevano
l’intera superficie della catena.
“Ah
ah ah!” –Gridò Deimos, osservando il volto di Phoenix farsi sempre più rosso,
impossibilitato a respirare al meglio.
“Fulmine
di Pegasus!!!” –Esclamò una voce
improvvisamente, mentre migliaia di pugni lucenti si abbattevano su Deimos,
scaraventandolo contro la parete laterale, e liberando finalmente Phoenix. –“Stai
bene, amico?” –Domandò Pegasus, che si era rialzato a fatica.
“Non...
preoccuparti per me!” –Tentennò Phoenix, respirando affannosamente.
“Dov’è
andato?!” –Si chiese Pegasus, cercando Deimos con lo sguardo. Ai piedi della
parete non c’era nessuno, e neppure tra le colonne intorno a loro, ma i
Cavalieri sentivano ancora la sua presenza, ostile e bellicosa, tra le mura
della Dodicesima Casa. –“Dove sei?” –Urlò Pegasus, guardandosi intorno.
–“Mostrati! E combatti da Cavaliere!”
“Vai,
Catena di Andromeda! E trova il nemico!” –Esclamò Andromeda, liberando
l’arma, che saettò nell’aria per qualche metro, prima di fermarsi, priva di
vita, e cadere a terra, incapace di portare a compimento la missione. –“Uh?!
Che significa?” –Si chiese, cercando di scuoterla. Ma in quel momento, pur
senza confessarlo agli amici, iniziò a provare un senso di inquietudine,
un’angoscia montante, che stava divenendo vero terrore. Un sentimento simile
albergava anche negli animi di Pegasus e, in misura minore, di Phoenix, disturbati
da quel tuffo nell’ignoto, da quel non sapere, non vedere, che aveva
caratterizzato gli eventi dell’Ultima Casa dello Zodiaco.
“Eh
eh eh…” –La voce di Deimos risuonò nelle orecchie di ognuno di loro, provenendo
da un indefinito luogo intorno a loro.
“O
forse è in nessun luogo?!” –Mormorò Pegasus tra sé. –“Forse è dentro di me?!”
–Si disse Andromeda. –“Come Ade era in me?! Come io ero Ade?!” –Non sapeva più
cosa credere, non sapeva più cosa pensare.
“Eh
eh eh!” –Sibilò ancora la maligna voce di Deimos, risuonando nell’animo dei
Cavalieri.
“Mo...
mostrati!!!” –Esclamò Pegasus, ma le parole gli sembrarono morire in bocca,
tanta era la paura che stava provando. Che mi succede?! Mormorò tra sé. Non
è da me essere così terrorizzato! Eppure... non posso fare a meno di…
tremare... come un coniglio in gabbia! Come un passero di fronte ad un’aquila!
Rifletté confusamente il ragazzo, che poteva sentire persino le sue gambe
sussultare, mentre brividi di freddo correvano lungo la sua schiena dolorante.
“Onde
di Terrore!” –Sibilò una figura
indistinta, apparendo di fronte a loro.
Bianche
onde di cosmo scivolarono nell’aria, lentamente, senza incontrare resistenza
alcuna, come una scure che cade pian piano sulla testa del condannato, che non
può far altro che osservarla scendere, finché non raggiunsero i corpi
paralizzati dal terrore dei Cavalieri di Atena, stridendo sulle loro Armature
Divine, scheggiandole in parte, e scaraventandoli indietro.
“Eh
eh…” –Commentò Deimos soddisfatto, riacquistando le sue solite fattezze.
Per
quanto il suo aspetto in realtà non fosse mai mutato, il figlio di Ares, grazie
ai poteri che gli erano propri, aveva instillato nei tre giovani un forte senso
di terrore, di spavento, come il nome che gli uomini gli avevano dato. Un
terrore psicologico che aveva vinto le loro già provate difese, rendendoli
deboli e vulnerabili. Senz’altro aggiungere, impugnò la Spada Infuocata,
dirigendosi verso i corpi dei Cavalieri di Atena, per affondarla nel loro
cranio. Solo quando fu di fronte a loro si accorse, con sincero stupore, che i
corpi sdraiati in terra erano soltanto due.
“Pugno
Infuocatoooo!!!” –Esclamò
improvvisamente una voce, sbucando da dietro una colonna. Il turbine di fuoco
travolse Deimos in pieno, per quanto avesse tentato di difendersi incrociando
le braccia avanti a sé, e lo scaraventò lontano, sfondando una colonna del
Dodicesimo Tempio e ricadendo a terra, perdendo la presa della sua spada.
“Cosa?!”
–Esclamò furibondo Deimos, rialzandosi di scatto.
Phoenix
era in piedi al centro del salone, pronto per combattere con lui, dopo essersi
velocemente sincerato della salute dei due amici, che esteriormente non
sembravano feriti.
“Come
hai potuto resistere al mio assalto mentale?! Centinaia di uomini ho piegato,
fin dagli albori del Mondo Antico, instillando in loro il terrore allo stato
puro!”
“Figlio
di Ares…” –Mormorò Phoenix. –“Grandi sono i tuoi poteri, e indiscussa la tua
abilità, ma essi non hanno effetto sul Cavaliere della Fenice, che di niente,
neppure della morte, ha paura!”
“Impossibile!!!”
–Tuonò Deimos, imbestialito. –“Non esiste uomo che non abbia paure! E, su
tutte, la morte, la fine di ogni certezza, è il massimo terrore che possa
provare!”
“Non
per me, l’uccello immortale, capace di risorgere dalle proprie ceneri!”
“Non
gloriarti di un mito che non ti appartiene, Cavaliere di Phoenix! Tu non sei
l’uccello infuocato, sei soltanto un uomo che veste la corazza della Fenice!
Non la fenice stessa! E, come tale, resti pur sempre un mortale!”
“La
Fenice vive in me, Deimos, ed essa è capace di riportarmi a nuova vita, non
soltanto quando il mio corpo è rotto, ma anche quando è la mia anima, il mio
spirito, ad essere spezzato!” –Esclamò Phoenix, fiero della sua armatura, e
della costellazione che lo guidava.
“Spezzare
lo spirito… eh?!” –Mormorò tra sé Deimos, i cui occhi si illuminarono
improvvisamente di una terrificante malizia. –“Sarà ciò che farò con te,
Phoenix! Ucciderò la fenice che in te, impedendole di risorgere, facendole
conoscere per la prima volta il terrore... allo stato puro!”
Quell’ultima
frase fece raggelare il sangue a Phoenix, per quanto il Cavaliere non lo diede
a vedere, proprio mentre Deimos scattava avanti, brandendo l’infuocata spadache suo Padre gli aveva donato. Rapidi fendenti, che portavano seco vampe
di fuoco, percorsero l’aria, satura di tensione, mentre Phoenix cercava di
evitarli, lanciandosi in terra e rotolando sul pavimento, scagliando decine di Piume
Infuocate contro Deimos, che non ebbe problema alcuno a colpirle con la
propria lama, prima di piantarla in terra, e lasciar partire un violento piano
energetico, che travolse Phoenix, spingendolo contro un muro. Immediatamente
Deimos scagliò con forza la Spada Infuocata contro di lui, che si piantò
nel braccio sinistro del Cavaliere, trapassando la divina protezione.
“Aargh!!!”
–Gridò Phoenix, mentre l’incandescente lama dilaniava le sue carni.
“Muori!!!”
–Esclamò Deimos, lanciandosi contro di lui, prima che una voce lo fermasse.
“Aspetta!”
–Affermò una donna, comparendo sull’ingresso della Dodicesima Casa. –“Lascia a
me l’onore di uccidere quest’uomo!”
Deimos,
Divinizzazione del Terrore, figlio di Ares e Afrodite, fermò il pugno a
mezz’aria, distratto dall’apparizione di una donna all’interno del Dodicesimo
Tempio, e concedendo a Phoenix qualche ulteriore momento per recuperare le
forze. Si voltò verso l’ingresso e vide una figura avvicinarsi a loro, una
figura che ben conosceva, avendola suo Padre richiamata al suo servizio pochi
giorni prima: Ippolita, Regina delle Amazzoni.
La
donna indossava un’armatura grigiastra, dai toni spenti, identica a quella che
vestiva durante lo scontro con Phoenix, e portava appesa alla cintura una rozza
spada. Aveva lo sguardo fiero delle Amazzoni e un portamento impeccabile e
niente poteva far pensare che due ore prima fosse stata malamente sconfitta
proprio da Phoenix.
“Ippolita!”
–Esclamò Deimos, stupito di trovarsela di fronte.
“Comandante
Deimos!” –Affermò la donna, inginocchiandosi di fronte al Dio. –“Chiedo a voi
solennemente il permesso per affrontare quest’uomo!”
“Uh?!”
–Mormorò Deimos, fissando la Regina inginocchiata ai suoi piedi.
–“Stupidaaa!!!” –Le urlò, scagliandole un calcio in pieno viso e
scaraventandola indietro. –“Hai avuto la tua occasione, inutile donna, di
dimostrare la tua fedeltà ad Ares, e l’hai sprecata, permettendo a costui e ai
suoi compagni di superare il Nono Tempio!!! E adesso vieni a chiedermi un’altra
possibilità?!”
“Ho
fallito, mio Signore!” –Continuò Ippolita, pregando Deimos di concederle una
nuova occasione. –“Ho avuto paura di morire! La morte, per noi che abbiamo
vissuto per secoli in un limbo senza fine, è una prospettiva terrificante, a
cui non ho saputo opporre tenace resistenza!”
“La
morte vince su tutto, Regina delle Amazzoni! Ed è ciò che meriti per il tuo
tradimento!”
“Vi
prego... vi imploro umilmente... a nome di tutto il mio popolo… offritemi la
possibilità di rimediare al mio errore! Qua! Adesso! Lasciate che onori il
giuramento che feci a vostro Padre!”
Deimos
la fissò ancora per qualche secondo, combattuto tra il desiderio di ucciderla,
per l’incapacità dimostrata e quello di lasciarla fare, rischiando al massimo
di vederla massacrata nuovamente da Phoenix. La sadica prospettiva di uno
scontro tra i due lo eccitò, spingendolo ad acconsentire alla sua richiesta.
“E
sia Ippolita…” –Esclamò infine, ordinando alla donna di alzarsi. –“Ma non avrai
un’altra possibilità! Uccidilo, e fallo adesso!”
“Grazie...
grazie infinite.” –Disse Ippolita, rialzandosi commossa. Senz’altro aggiungere,
la Regina delle Amazzoni si portò di fronte a Phoenix, bloccato al muro
dall’infuocata spada che gli aveva trapassato un braccio, incuriosito, quasi
preoccupato, dall’evolversi della situazione.
“Ippolita…”
–Mormorò stancamente Phoenix, mentre la donna impugnava la spada, estraendola
di colpo e facendo barcollare il ragazzo. Con lo sguardo perso nel niente,
malinconico ed eterno al tempo stesso, la Regina delle Amazzoni strinse con
forza la mortifera lama, sollevandola con entrambe le mani, mentre Deimos
osservava eccitato l’intera scena.
“Uccidilo!!!”
–La incitò follemente. –“Adesso!!!”
“Sì!”
–Commentò semplicemente lei, incrociando finalmente lo sguardo di Phoenix. Durò
soltanto un attimo, ma ad entrambi sembrò eterno. Ippolita si voltò di scatto
verso Deimos, scagliandosi contro di lui, lanciando fendenti infuocati che
stridettero contro la corazza del Dio del Terrore.
“Come
osi?! Come osi?!” –Tuonò questi, evitando i veloci attacchi della Regina delle
Amazzoni.
“Ippolitaaa!!!”
–Urlò Phoenix, sorpreso e disorientato dalla situazione.
“Mi
hai chiesto un motivo per combattere per la libertà e per il mio
popolo!”–Mormorò la Regina, continuando a fronteggiare Deimos. –“Eccolo! Ed è
lo stesso che spinge anche tu a lottare! Un patto fatto con noi stessi, di cui
noi soltanto siamo i firmatari ed i beneficiari! Un patto che si chiama lealtà,
onore, orgoglio, rispetto! Amore!” –Aggiunse, calando la lama su Deimos.
Il
figlio di Ares fece schiantare la spada sul bracciale sinistro, usandolo come
scudo e trattenendo un urlo di dolore, mentre il sangue usciva dalla ferita; ma
questo gli permise di sferrare un violento calcio contro Ippolita, scagliandola
indietro e recuperando il possesso della propria arma.
“Traditrice!!!”
–Le puntò l’indice contro Deimos, mentre le bianche onde di terrore del suo
cosmo aleggiavano intorno a lui. –“Ares ti avrebbe donato la tua terra, ma tu
hai preferito rinunciarvi, condannandola ad un rogo perpetuo!! Lo stesso rogo
nel quale brucerai tu!!!”
“Dardo
incandescente delle Amazzoni!”
–Esclamò Ippolita, concentrando il cosmo verdastro sotto forma di arco e
scoccando un’incandescente freccia di energia contro Deimos. Ma il dardo si
perse nelle onde che circondavano il Dio del Terrore, sfasciandosi al proprio
interno, di fronte allo sguardo preoccupato di Phoenix, che cercò di
intervenire, caricando il proprio Pugno Infuocato, che incontrò la
stessa sorte della freccia di Ippolita.
“Onde
di Terrore!” –Urlò Deimos, liberando
le proprie onde cosmiche, le quali, a differenza di quelle che avevano
terrorizzato e vinto Andromeda e Pegasus, erano molto più violente, simili a
fluttuante energia cosmica che scaraventò Phoenix contro la parete, facendola
crollare su di lui, e paralizzò Ippolita, sospendendola a mezz’aria.
“Uungh…”
–Mormorò la Regina delle Amazzoni, tentando di liberarsi, ma si rese conto di
non riuscire a muovere autonomamente neppure un muscolo, bloccata a mezz’aria,
tremante come un canarino, dalle onde di bianco cosmo di Deimos.
“E
dopo aver ucciso te, taglierò la gola a tutte le tue donne, con questa mia
spada!!!” –Sibilò perfidamente il Dio, avvicinando la lama alla donna e
passandola contro il suo collo. Non aggiunse altro e la scaraventò contro il
muro, schiacciandola con le sue onde di energia, mentre la protettiva cozza
della guerriera andava in frantumi.
“Muoriii!!!”
–Urlò infine Deimos, lanciando la spada contro Ippolita e mirando al cuore. Ma
essa non la raggiunse, venendo intercettata da Phoenix, che offrì il suo corpo
come scudo alla donna, lasciando che l’affilata lama lo centrasse alla spalla
sinistra, distruggendo la sua Armatura Divina.
“I…
Ikki…” –Mormorò Ippolita, vedendo il ragazzo accasciarsi a terra, in una pozza
di sangue. Bruciò il cosmo, cercando di liberarsi dalla prigionia del Dio del
Terrore, ma si rese conto di essere troppo debole, di avere ancora le cicatrici
dello scontro con Phoenix. Si maledisse, incitandosi a reagire, prima che
Deimos massacrasse entrambi. Improvvisamente una catena scintillò nell’aria,
moltiplicandosi in infinite copie, che Deimos fu svelto ad evitare, venendo
però spinto indietro. Si voltò e trovò Andromeda in piedi, seppur affaticato, e
Pegasus al suo fianco.
“Ancora
vivi?! Credevo che le vostre anime già vagassero terrorizzate per la Valle di
Ade!”
“E
così è stato, infatti!” –Disse Andromeda, ancora agitato a quel ricordo. –“Ma è
stato mio fratello a riportarci qua! Il suo cosmo ardente, accendendosi intorno
a me, mi ha richiamato alla vita!”
“Phoenix…”
–Mormorò Pegasus, chinandosi sull’amico. Ma questi lo spinse via, estraendosi a
fatica la spada dalla spalla, e lo incitò a correre avanti, portando Andromeda
con sé. –“Ma Phoenix.. vuoi rimanere da solo a combattere contro di lui?!”
“Voi
non sareste in grado di fronteggiare i suoi poteri.” –Commentò Phoenix
bruscamente. –“E non sono da solo!” –Pegasus e Andromeda si scambiarono uno
sguardo dubbioso, prima di annuire con un sospiro; fecero per voltarsi e
correre via, ma Deimos scattò dietro di loro, determinato a fermarli.
“Non
ci provare!” –Gridò Phoenix, mettendosi in mezzo. –“Sono io il tuo avversario!”
“Tu
eri il mio avversario! Adesso sei morto!” –Gli rispose Deimos, poggiando la
mano sinistra sul petto del Cavaliere. Onde di energia scossero l’intera
superficie dell’Armatura Divina, mentre Phoenix era bloccato davanti a lui,
incapace di muoversi. –“Tremor!” –Sibilò il Dio.
Le
forme del corpo di Phoenix, i lineamenti del suo viso, i suoi occhi, parvero
deformarsi orribilmente, prima di venir scaraventato in alto, schiantarsi
contro il soffitto e ricadere a terra, precipitando verso il basso, dove Deimos
lo aspettava con la Spada Infuocata sollevata sopra di sé.
“Nooo!!!”
–Urlò Ippolita, espandendo al massimo il proprio cosmo e liberandosi dal potere
psichico di Deimos. Si avventò sul figlio di Ares, gettandolo a terra, e
impedendogli di penetrare Phoenix con la sua lama, mentre il Cavaliere si
schiantava sul pavimento, battendo la spalla ferita.
“Sei
pazza, donna!” –Mormorò Deimos. –“La furia di mio Padre ti perseguiterà in
eterno!”
“Saprò
domarla!” –Sibilò lei, afferrando di scatto la sua corta spada e piantandola
nell’interno del braccio destro di Deimos. –“Come domerò te!” –Fece per
sollevarsi ma Deimos la scaraventò in aria con un potente calcio all’addome,
facendola rotolare a terra per diversi metri, mentre il Dio estraeva la corta
lama dal suo braccio, troncandola sulle proprie gambe. Ma Ippolita era
determinata a non lasciarsi abbattere e aprì il suo palmo destro, liberando
iridescenti fasci di energia, che travolsero Deimos, intrappolandolo al centro
di una rete.
“Maglia
delle Amazzoni!” –Gridò, usando la
tecnica che aveva immobilizzato Sirio ore prima.
“Traditrice...
traditriceee!!!” –Urlò Deimos come un dannato.
“Risparmia
il fiato, figlio di Ares!” –Mormorò Ippolita, mentre i fili di energia della
maglia da lei creata intrappolavano Deimos, sospeso in aria, in una grande
ragnatela. Assicuratasi che il Dio fosse momentaneamente innocuo, Ippolita si
avvicinò a Phoenix, per sincerarsi delle sue condizioni; si chinò su di lui,
ancora debole e frastornato, e gli sfiorò una mano, aiutandolo a rialzarsi.
“Ippolita…”
–Disse Phoenix, fissandola con i suoi occhi scuri. La Regina delle Amazzoni
sorrise, senza abbassare lo sguardo, e in quel momento si sentì meno guerriera
e più donna, più umana.
“Ooaaah!!!”
–Urlò improvvisamente Deimos, espandendo il proprio cosmo biancastro. Onde di
energia apparvero intorno a lui, scivolando nell’aria fino a lambire i feriti
corpi di Phoenix ed Ippolita, fermando nuovamente i loro movimenti.
“Co..
come puoi fare questo, prigioniero della mia maglia?” –Chiese Ippolita,
incapace di muoversi.
“Stupida
donna!” –Sibilò il Dio dello Spavento. –“Puoi fermare il mio corpo, ma non i
miei poteri! Le onde di energia da me generate possono arrivare ovunque,
superando qualsiasi difesa, perché agiscono direttamente sulle emozioni umane!”
“Che...
cosa?!” –Balbettò Phoenix, mentre il suo corpo tremava e fremeva agitatamente.
“Le
Onde di Terrore agiscono sui sentimenti inconsci, acuendoli,
incupendoli, trasformando anche l’uomo più sicuro e determinato in una larva
incapace di scegliere, in un dubbioso cronico, insicuro e impaurito!
Paralizzando i suoi centri nervosi e generando in lui il panico!” –Spiegò
Deimos, osservando soddisfatto Phoenix e Ippolita, fermati a mezz’aria di
fronte a sé, mentre le loro corazze vibravano sinistramente. –“La pressione a
cui le vostre armature e i vostri corpi sono sottoposti diventerà presto
insostenibile ed esploderete!”
“Ma...
mai…” –Rantolò Phoenix, bruciando il suo ardente cosmo.
“Non
puoi vincermi Phoenix! Non finché non vincerai le tue paure!!!” –Esclamò
Deimos, ridendo beffardamente.
“Le
tue paure?!” –Domandò Ippolita, ma Phoenix non rispose, concentrando i sensi.
Fin da quando era
diventato Cavaliere non aveva avuto alcuna paura, non aveva mai provato
sentimenti di terrore e di panico, in parte perché, grazie al supremo potere
della Fenice, poteva sempre trovare la forza per risorgere, anche dalle
situazioni più buie, in parte perché non c’era realmente niente che potesse
spaventarlo. Spavaldo ed arrogante, Phoenix aveva sempre affrontato i suoi
nemici a testa alta, anche quelli più tremendi, come Virgo e Gemini, senza mai
mostrare cenni di debolezza, ma riuscendo sempre a vincere, superando ogni
volta i proprio limiti.
L’unica
occasione in cui si era realmente trovato in difficoltà era stato in Ade,
affrontando Ade reincarnatosi in suo fratello; ma non era stata paura a fermare
il suo pugno, bensì l’affetto fraterno che lo legava ad Andromeda, la triste,
ma profonda consapevolezza, che Andromeda avesse deliberatamente accettato Ade
dentro di sé, per permettere ai Cavalieri suoi amici di ucciderlo.
Allora
cos’è?! Si domandò. Cos’è questo
terrore che mi corre lungo la schiena, come un’affilata lama che scende sulla
mia pelle nuda? Perché le Onde di Terrore mi bloccano? Su quali sentimenti
agiscono per rendermi così tremante e insicuro? Phoenix non rispose, ma una
parte di sé iniziò a capire. C’era un unico sentimento che era mancato nella
sua vita, un’unica emozione che non aveva mai provato, o che forse aveva messo
da parte. E su essa Deimos stava giocando.
“Maledetto!!!”
–Ringhiò Phoenix.
“Smettila
di agitarti, ragazzino!” –Mormorò Deimos, mentre il suo cosmo cresceva sempre
più intorno a lui, fino al punto da strappare i fili della maglia di energia.
“Nooo…
si sta liberando!!!” –Esclamò Ippolita, stupefatta.
“Tutti
i limiti sono fatti per essere superati!” –Sogghignò Deimos. –“E il terrore
vince su tutto!” –E con un brusco gesto strappò via la ragnatela energetica che
lo aveva imprigionato, ricadendo compostamente a terra. Sollevò il braccio
destro, mentre le Onde di Terrore fluttuavano nell’aria, ballerine
danzanti al suo comando, e aprì il palmo di colpo. Ippolita e Phoenix furono
scaraventati indietro, schiantandosi contro la parete retrostante, mentre le
loro corazze si danneggiavano ancora.
“Così...
giunge la fine!” –Mormorò Deimos, richiamando a sé la sua Spada Infuocata.
–“Che siate pronti oppure no, che la vogliate accettare o meno!”
“I...
Ippolita…” –La chiamò Phoenix, cercando di voltarsi verso di lei. –“Liberati
dalle tue paure, cerca di vincerle!”
“Che...
cosa?!” –Balbettò lei, non capendo a cosa Phoenix si riferisse.
“Le
Onde di Terrore agiscono sui sentimenti, sulle nostre incertezze,
trasformando dubbi in angosce, rimorsi in opprimenti sensi di colpa, amore in
disperazione!” –Spiegò Phoenix, che aveva compreso il segreto di Deimos.
–“Cos’è che ti preoccupa così tanto?! Libera i tuoi sentimenti ed egli niente
più potrà su te!” –Urlò Phoenix, mentre le Onde di Terrore lo
opprimevano sempre più.
I
miei sentimenti?! Rifletté Ippolita.
E per un momento realizzò di non averne, di non provare desiderio alcuno che
non fosse tornare a Themiskyra, sulle rive del Termodonte, dove vivere in pace,
Regina del popolo di Donne guerriero che desideravano essere libere dalle
schiavitù dei maschi. Indipendenti e fiere di loro stesse. Doveva forse
rinunciare a quello?!Ma realizzò che
non era la risposta giusta. Quella non era una paura, ma una speranza che
coltivava da millenni e che Ares aveva riacceso in lei, offrendole un’occasione
per riavere la sua terra. Ma adesso che aveva tradito, ribellandosi a lui,
Ippolita era perfettamente cosciente che il Dio non gliel’avrebbe mai resa.
No!
Deimos non sta giocando con questo.
Rifletté Ippolita, prima di voltarsi a fatica verso Phoenix, sentendo un suo
nuovo grido di dolore, stretto dalle mortali Onde di Terrore. Lo osservò
per un momento, appiattito al muro, con il volto stanco e ferito e i capelli
mossi, e chiazze di sangue sulla sua splendida corazza ammaccata, e lo trovò… bello!
Sì! E le scappò un sorriso, prima che una nuova fitta le stringesse il
cuore, facendola quasi esplodere dall’interno.
“Libera
i tuoi sentimenti ed egli niente più potrà su di te!” –Le ultime parole di
Phoenix rimbalzarono nella sua mente. E… se fosse?! Rifletté per un
momento, prima di cacciare quel pensiero improbabile. Ma una nuova fitta al
cuore la ferì, obbligandola a fronteggiare se stessa. Ikki. Mormorò. E
per un attimo le sembrò di sentire le Onde di Terrore diminuire. Ikki
di Phoenix…
“Ikkiiiii!!!”
–Gridò. E come d’incanto le onde allentarono la presa, lasciandola cadere al
suolo, di fronte agli occhi stupefatti di Deimos.
“Che
cosa?!” –Esclamò il Dio, spostando poi lo sguardo su Phoenix.
“Eh
eh…” –Sorrise il ragazzo, mentre il suo corpo riacquistava scioltezza nei
movimenti.
“Non
può essere! Non potete sfuggire alle Onde di Terrore!” –Gridò Deimos,
rinnovando l’assalto. Fluttuanti onde di energia biancastra tentarono di
abbattersi sui corpi di Ippolita e Phoenix, ma furono improvvisamente fermate
da un’invisibile barriera.
“Il
Cinto di Ippolita!” –Commentò la donna, toccando la sua cintura. –“Adesso è
tuo!” –Sorrise, rivolgendosi a Phoenix.
“A
buon rendere!” –Mormorò questi, scattando avanti, con il pugno destro carico di
energia. –“Pugno Infuocato!!!” –La sfera di rovente cosmo sfrecciò verso
Deimos, rimasto sorpreso e allibito dal fallimento della sua mortifera tecnica,
che non riuscì ad evitare l’impatto, venendo scaraventato indietro, e ricadendo
con fragore sul pavimento di marmo.
“Maledetta
Fenice… ti strapperò le piume una ad una!!!” –Ghignò Deimos, tentando di
rialzarsi
“Eccole!”
–Esclamò Phoenix, scagliando raffiche di Piume Infuocate verso il Dio,
il quale, disteso in terra, rotolò in fretta per evitarle, nascondendosi dietro
una colonna e rimettendosi poi in piedi. L’ultima infuocata piuma della Fenice
si piantò nel marmo della colonna dietro alla quale Deimos si era celato, per
riprendere un attimo fiato. Non era debole fisicamente, ma solamente sorpreso,
quasi sconvolto, che qualcuno avesse sventato il suo attacco sentimentale.
Senza demoralizzarsi troppo, sogghignò, concentrando il proprio cosmo.
“Phoenix!!!
Attento!!!” –Gridò Ippolita, osservando la Spada Infuocata, caduta in
terra quando Deimos era stato colpito, tremare per un momento, prima di
sfrecciare verso il Cavaliere della Fenice, mirando alla sua schiena. Ma non la
raggiunse, venendo imbrigliata da una sottile trama di energia, che assunse
presto la forma di una ragnatela.
“Maglia
delle Amazzoni!” –Esclamò Ippolita,
prima di crollare in ginocchio, debole e stanca.
“Maledetta
Amazzone!” –Gridò Deimos furibondo, uscendo da dietro la colonna e colpendo
Phoenix con un pugno in pieno addome. La spinta fece barcollare il ragazzo,
permettendo al Dio di avvicinarsi e toccare il suo petto con il palmo sinistro.
–“Tremor!” –Sogghignò, mentre il corpo di Phoenix, bloccato di fronte a
lui, iniziò a tremare, e la sua corazza a vibrare. –“A differenza delle Onde
di Terrore, questo mio colpo non incide sull’animo della vittima,
limitandosi a fermare i suoi movimenti e a farla tremare, finché, disperata,
non crolla su se stessa!”
Ippolita,
vedendo Phoenix in difficoltà, si rialzò, cercando di aiutarlo, ma Deimos,
stufo dei suoi continui interventi, le puntò l’indice destro contro,
sprigionando un violento fascio di energia che la trapassò completamente,
distruggendo quel che restava della sua corazza e dilaniandole il petto.
“Phoenix…”
–Mormorò Ippolita, accasciandosi in un lago di sangue. –“Apri le tue ali e vola
via…”
“Ippolitaaa!!!”
–Urlò Phoenix, angosciato alla vista della donna gravemente ferita.
Il
cosmo della Fenice avvampò impetuoso, mentre tutto il suo corpo si
surriscaldava, obbligando Deimos a togliere la mano, per non essere scottato, e
a balzare indietro, stupefatto. Un momento dopo, l’infuocato uccello si liberò,
mentre Phoenix riprendeva possesso dei suoi movimenti.
“Pagherai,
per il male che hai voluto farci!” –Gridò, mostrando il pugno carico di energia
cosmica. –“Ali della Feniceee!” –L’impetuosa tempesta infuocata scivolò
nel salone della Dodicesima Casa, travolgendo Deimos e scaraventandolo in alto,
mentre stridenti vampe di fuoco danneggiavano la sua Veste Divina. Ricadde
rovinosamente al suolo molti metri indietro, scavando una fossa nel pavimento,
da cui comunque emerse poco dopo, ansimando per la fatica, ma pronto a lottare
ancora.
Phoenix
non ebbe neppure il tempo per avvicinarsi ad Ippolita che sentì una tremenda
angoscia montargli nel cuore, così grande come mai l’aveva provata prima. Il
timore di perdere qualcuno che gli era caro. Si voltò verso Deimos e lo vide
sollevare il braccio destro sopra di sé, concentrando il cosmo sull’indice
destro; vide onde di energia fluttuare nell’aria, attratte dal dito del Dio,
evanescenti strati di cosmo che si racchiudevano in un’unica piccola sfera.
“Come
promesso, Phoenix, spezzerò il tuo spirito, piegandolo a me! Tu che rifiutasti
di servire il male, e divenire Cavaliere oscuro, che ti gloriasti della tua
immortalità, forte della Fenice che albergava in te, che accantonasti i
sentimenti umani, tronfio della tua superba indipendenza, adesso piegherai il
capo a me, Dio supremo dello Spavento!”
“Tzè,
non mi chinerò mai a nessun Dio malvagio, Deimos!” –Esclamò Phoenix, ma il figlio
di Ares lo ignorò, continuando a concentrare il cosmo sulla punta dell’indice.
“Conoscerai
adesso il vero terrore!” –Sibilò, prima di abbassare il dito e sprigionare una
violenta luce biancastra. –“Il massimo colpo di Deimos! Strage di Spirito!”
Phoenix
incrociò le braccia davanti a sé, come per parare l’attacco di Deimos,
qualunque cosa essa fosse, ma si accorse, con stupore, che esso non era rivolto
a lui. Ma ad Ippolita, che tentava di rialzarsi dolorante. La bianca
dissolvenza di Deimos la raggiunse in testa, sollevandola per un momento da
terra, come se un vampiro le stesse risucchiando l’anima, impedendole di
proferire qualsiasi parola. Un attimo dopo ricadde a terra, giù, lungo distesa.
Morta.
“Nooo!!!
Ippolita!!!” –Gridò Phoenix, correndo verso di lei, sollevandola, scuotendola,
cercando di risvegliarla. Ma la donna non parlò più, vuoto fantoccio di
un’anima spezzata. Persino i suoi occhi erano spenti, privi di ogni fiamma
vitale. A conferma di ciò, la maglia di energia dentro la quale era intrappolata
la Spada Infuocata di Deimos scomparve nel nulla, lasciando cadere
l’arma a terra.
“Era
la fine che meritava, per aver tradito mio Padre, colui a cui aveva prestato
giuramento di fede! Giuramento che ha tradito!” –Commentò Deimos, recuperando
la spada, tronfio del suo successo. –“Lo Strage di Spirito non lascia
possibilità alcuna di salvezza, spezzando l’anima della vittima!”
“Perché
hai colpito prima lei? Perché l’hai fatto Deimos?!” –Ringhiò Phoenix,
rimettendosi in piedi, rabbioso come non mai.
“Perché
era una traditrice! E meritava mille volte di morire!” –Rispose il Dio, in
piedi di fronte a lui. –“Inoltre volevo tormentarti ancora un po’! Dal momento
che le Onde di Terrore non hanno avuto su te l’effetto sperato, speravo
che questo potesse scuoterti un po’!”
“Mi
ha scosso, Deimos! Mi ha scosso!!!” –Esclamò Phoenix, bruciando al massimo il
proprio cosmo infuocato. –“E sentirai sulla tua pelle quanto sono agitato adesso!
Quanta rabbia covo dentro!!!” –E senza altro aggiungere Phoenix scattò avanti,
scagliando un pugno dopo l’altro, destro, sinistro, carichi di energia
incandescente. Deimos tentò di difendersi con la Spada Infuocata,
sollevandola di fronte a sé, ma un destro di Phoenix la schiantò, spaventando
persino il Dio da tale violenza, estrema espressione di una ferrea volontà di
vendetta e di distruzione.
Deimos
si scansava di lato in lato per evitare gli affondi del Cavaliere, ma si
accorse presto, suo malgrado, che la velocità di Phoenix aumentava sempre più,
dovendo faticare maggiormente per schivare i suoi colpi. Ouch! Strinse i
denti, mentre un cazzotto infuocato lo raggiungeva alla spalla destra. Maledizione!
Sibilò, quando un secondo pugno lo prese allo sterno.
“Fermati
Phoenix! Bastaa!” –Gridò il figlio di Ares, ma Phoenix continuò a prenderlo a
pugni, uno dopo l’altro, spaccando con le sue mani la Divina Armatura del
Terrore. L’ultimo pugno lo prese in pieno viso, scaraventandolo a terra.
Stupefatto, Deimos si rimise in piedi, con il volto gonfio di lividi e la
corazza ammaccata in più punti. Ma non ebbe il tempo di pensare ad un piano di
attacco che fu subito afferrato per il collo da Phoenix e stretto da dietro la
schiena in un mortale abbraccio.
“Diavolo
d’un Phoenix, ma cosa vuoi fare?!” –Urlò, mentre l’ardente cosmo della Fenice
esplodeva attorno a loro.
“Ucciderti…”
–Mormorò Phoenix a bassa voce. –“Ma prima farti provare il terrore, lo stesso
panico che tu, maledetto, riservavi alle tue vittime!” –E nel dir questo il
cosmo del Cavaliere esplose, assumendo la forma di un immenso uccello infuocato
che si sollevò in volo, distruggendo il soffitto della Dodicesima Casa e
volteggiando nel cielo di Atene, mentre ardenti fiamme stridevano sui corpi dei
due uomini.
“Volo
dell’ultima Fenice!” –Urlò Phoenix,
stringendo Deimos a sé, mentre il timore della sconfitta iniziava a farsi
strada nell’animo del Dio. Ruotarono su loro stessi, prima di precipitare verso
il basso, ancora avvolti nelle fiamme dell’uccello incandescente, schiantandosi
contro la parete rocciosa dietro la Dodicesima Casa, ricadendo nel piazzale
posteriore, tra i cocci delle loro corazze.
“No...
non è possibile!” –Balbettò Deimos, cercando di rimettersi in piedi. –“Un uomo…
senza paura ha potuto vincermi?! No! Nooo!!!” –Urlò, espandendo l’ultimo
residuo del suo cosmo e concentrandolo sull’indice destro. Ma prima che potesse
scagliare nuovamente lo Strage di Spirito, un violento pugno di
infuocata energia gli sfondò il petto, proprio all’altezza del cuore.
“Ouch...”
–Mormorò il figlio di Ares, mentre i suoi occhi parevano spegnersi. Con
violenza, la mano estrasse il cuore insanguinato dal petto del Dio,
ponendoglielo di fronte agli occhi.
“Questo
è il terrore!” –Commentò Phoenix, prima di gettarlo via.
Deimos stramazzò
al suolo, senza più vita né cosmo, in un lago di sangue, visione che gli
avrebbe eccitato l’animo se fosse stato lui la causa di simile delitto. Ma
anche Phoenix crollò poco dopo, troppo debole persino per camminare. Aveva ferite
su tutto il corpo e perdeva sangue, ma prima di lasciarsi andare doveva fare
ancora una cosa.
A
fatica, si trascinò per l’intero piazzale, strisciando come un lombrico sul
terreno, lasciando sporche tracce di sangue sul candido marmo. Arrivò all’ingresso
del tempio e continuò a rantolare sul pavimento, trascinandosi fino
all’interno, mentre tutto il corpo gli doleva, tutto il corpo gli piangeva di
dolore. Fisico e morale.
Raggiunse
infine il corpo di Ippolita, Regina delle Amazzoni, colei che aveva dato la
vita per salvare la sua, la vita di uno sconosciuto. Un uomo che aveva saputo
ricordarle cosa significasse essere donna, cosa significasse provare un
sentimento per qualcuno. Le accarezzò il volto, con le mani insanguinate,
mentre lente lacrime scendevano sul suo sporco viso, e rimase così per qualche
minuto, a cullarla dolcemente, mentre le forze lo abbandonavano sempre più.
Infine, le prese la testa tra le mani e la baciò, poggiando le sue labbra su
quelle di lei.
“C’è
sempre una seconda scelta... Ikki…” –Gli sembrò di udire la sua voce. Poi non
udì altro, e crollò, accanto a lei, sul freddo pavimento di marmo.
Capitolo 34 *** Capitolo trentaduesimo: Il massacro degli Argonauti ***
CAPITOLO TRENTADUESIMO. IL MASSACRO DEGLI
ARGONAUTI.
Giasone
della Colchide stava affrontando due vecchi compagni, gli Argonauti Ascalafo e
Ialmeno, che avevano partecipato, millenni prima, alla ricerca del Vello d’Oro,
guidata proprio da Giasone. Per quanto i loro rapporti, all’epoca, fossero
stati positivi, di amicizia e collaborazione reciproca, adesso i due vecchi
compagni d’armi, che di Ares erano figli bastardi, avevano mostrato il loro
lato malvagio, desiderosi di uccidere Giasone, colpevole, secondo loro, di aver
ricevuto gloria ed onori, oscurando quindi i meriti di tutti gli altri.
“Hai
avuto tutto!” –Gridò Ialmeno, mentre una devastante rabbia gli invadeva
l’animo. –“E a noi non hai dato niente, approfittando della nostra buona fede,
della nostra disponibilità! Senza di noi non saresti mai giunto nella Colchide,
né avresti incontrato Medea!”
“Quello
forse sarebbe stato un bene…” –Ironizzò Giasone, ricordando l’affascinante,
quanto psicologicamente instabile, donna che lo aveva ammaliato millenni prima.
Medea,
figlia di Eete, re della Colchide, era la nipote della Maga Circe, dotata, come
lei, di poteri magici, che non esitò a usare per aiutare Giasone, che conobbe e
rubò il suo cuore, sia per recuperare il Vello d’Oro, sia per uccidere
l’usurpatore del trono di Iolco, antica città della Magnesia di cui Giasone
avrebbe dovuto essere re. Ma per quest’ultimo atto fu bandita, insieme a
Giasone, sposato in fretta durante il viaggio di ritorno dalla Colchide, il
quale molto soffrì la separazione dalla sua città natale, e infine, quando
dieci anni dopo il nuovo re di Iolco gli offrì la mano di sua figlia, egli
accettò, tradendo il patto d’amore sancito con Medea, incapace di sopportare
ancora di essere un proscritto e convivere con un’assassina. Quel gesto gli
attirò l’odio di Medea, che con l’inganno riuscì ad uccidere sia la futura
moglie di Giasone che suo padre, sterminò i figli avuti dall’uomo, assistendo
impassibile al suicidio dell’eroe. Dell’unico eroe che aveva veramente amato,
al punto da mettersi contro suo padre. Ma quando seppe che Zeus aveva salvato
Giasone, donandogli un posto nel cielo immortale dell’Olimpo, per farne un
Cavaliere Celeste, Medea andò su tutte le furie, lanciando un pesante anatema
su di lui, condannandolo all’insofferenza perpetua.
“Come
io non ho avuto diritto, a causa tua, alla felicità, neppure tu la assaporerai
mai!” –Aveva mormorato la donna, millenni prima, puntando i pugni contro il
cielo.
E
ancora oggi la tua maledizione mi colpisce! Rifletté Giasone, cercando di evitare gli assalti dei suoi avversari,
i cui cosmi, lo percepiva chiaramente, erano molto potenti, sospinti, quasi
violentati, dall’ardente cosmo del loro Padre.
“Il
giorno della resa dei conti è infine giunto!” –Esclamò Ialmeno, sollevando il
braccio destro al cielo, mentre le unghie della sua mano diventavano affilati
artigli carichi di oscura energia cosmica. –“Ooh, Padre grazie… Quanto ho
aspettato questo momento di gloria!”
“Se
è soltanto la gloria in battaglia ciò a cui miri, Ialmeno, allora dovresti
essere soddisfatto! Perché grandi sono state le tue gesta nella Colchide e
nella Guerra di Troia, in cui combattesti a fianco di tuo fratello!”
“In
cui fui ucciso a fianco di mio fratello!” –Precisò Ialmeno rabbioso,
scagliando gli Artigli del Male verso Giasone, il quale fu svelto a
pararli con lo Scudo della Colchide. Ma la pioggia di avvelenati
unghioni continuò, mentre Ialmeno si faceva sempre più vicino, obbligando
Giasone a una maggiore concentrazione e a un aumento di velocità.
“Vortice
Oscuro!” –Esclamò una seconda voce,
liberando un vortice di oscura energia cosmica, che travolse Giasone in pieno,
scaraventandolo in alto e facendolo schiantare molti metri addietro,
danneggiando la sua robusta Armatura Divina.
“Perché
ti sei intromesso, Ascalafo?”
“La
vendetta non deve accecare il nostro obiettivo finale, Ialmeno!” –Precisò
questi, avvicinandosi al fratello. –“Siamo qua per sconfiggere Giasone, per
vederlo strisciare ai nostri piedi, chiedendo perdono per averci precipitato
nella dimenticanza, offrendoci la gloria e le ricchezze di cui ci derubò in
passato per avere salva la vita!”
“È
ciò che stavo facendo!” –Ruggì Ialmeno, mentre Giasone si rialzava a fatica,
grondando sangue.
“Mi
pareva che l’ira avesse accecato il tuo istinto, fratello, rendendoti
vulnerabile!”
“E
a me sembra che tu voglia proteggere Giasone!” –Esclamò scocciato Ialmeno,
prima di bruciare nuovamente il suo cosmo. Ma quella volta Giasone lo anticipò,
scattando avanti brandendo la propria lucente spada, caricandola del suo
scintillante cosmo.
“Spada
della Colchide!” –Avvampò, lanciando
rapidi affondi sui due fratelli, che furono obbligati a separarsi. Ialmeno
scattò di lato, venendo ferito solo a un braccio, mentre Asclafo cercò di
contrastare Giasone con il mazzafrusto su cui la spada si abbatté inutilmente,
senza scalfirlo, prima che il figlio di Ares scagliasse la sfera rotante
avanti, arrotolando la catena intorno al polso di Giasone e tirando con forza.
–“Aargh…” –Gridò il Cavaliere, perdendo la presa della spada, che cadde a
terra. Con un rapido strattone, Ascalafo tirò Giasone a sé, concentrando il
cosmo sul pugno destro per colpirlo, ma il Cavaliere di Zeus fu più abile,
centrandolo con un calcio secco sulla mano, distruggendo il guanto protettivo
della sua armatura, e scagliando poi nuovi calci contro il suo braccio
sinistro, per liberarsi dalla presa della catena.
“Vortice
oscuro!” –Vociò nuovamente Ascalafo,
liberando il nero vortice di energia cosmica, che travolse in pieno Giasone,
scaraventandolo indietro.
L’argonauta
ricadde al suolo, con la palla chiodata ancora arrotolata al braccio, sbattendo
la spalla destra e scheggiando la sua corazza, ma non fece in tempo a muoversi
che Ialmeno fu su di lui, affondando i suoi avvelenati artigli nel pettorale
del Cavaliere Celeste, facendolo gridare dal dolore.
“Sii
uomo fino in fondo, sporco traditore! E muori senza piangere!” –Sibilò il figlio
di Ares.
“Non
io…” –Mormorò Giasone, con un filo di voce. –“Non io sono il traditore!” –Detto
questo mosse velocemente il mazzafrusto, ancora attorcigliato al suo braccio
destro, stringendo il collo di Ialmeno con la catena, fino a farlo soffocare.
“Aah…”
–Rantolò Ialmeno, ritirando immediatamente i propri artigli e dimenandosi per
liberarsi.
“Tu
sei il traditore, Ialmeno! Non soltanto perché hai tradito me, cercando di
uccidermi, ma anche per aver venduto i tuoi principi, la tua lealtà, a tuo padre,
che ha fatto di te soltanto un servo per le sue mire di dominio!” –Mormorò
Giasone, stringendo ancora la presa, mentre Ialmeno si portava le mani alla
gola, cercando di togliersi quell’opprimente catena che gli stava facendo
mancare il fiato. –“Comprendilo adesso, mio vecchio amico… adesso… prima che
sia troppo tardi!”
“È
già troppo tardi!” –Esclamò una voce di donna, intromettendosi nella
conversazione.
“Uh?!
Che cosa?!” –Mormorò Giasone, sorpreso da quell’apparizione. Scaraventò Ialmeno
di lato, facendogli sbattere la testa per terra, e lo calciò via violentemente,
prima di voltarsi verso la nave di Argo, da cui aveva sentito provenire la
voce.
Là,
in piedi, sulla prua della nave, che lo fissava con occhi intrisi di fiamme,
stava Medea, come l’aveva vista l’ultima volta, millenni prima. Non molto alta,
mora, con riccioluti capelli ondulati, che sembravano serpi avvelenate,
ricoperta da una semplice veste nera, e con una lunga lancia in mano, dalla
punta dorata.
“Me…
Medea?!” –Balbettò Giasone, facendo un passo indietro.
“Grandi
sono i poteri di nostro Padre!” –Commentò Ascalafo, avvicinandosi. –“Ha pensato
persino a te! Non sei felice di rivedere la tua antica amante?!”
Senza
rivolgergli alcun saluto, Medea spiccò un tremendo salto, lanciandosi dall’alto
della nave di Argo, gridando follemente e scagliando la lancia verso il cuore
di Giasone, il quale, sorpreso da tale immediata violenza, poté soltanto
sollevare lo scudo, in cui la lancia si conficcò, trapassandolo con la punta
dorata e raggiungendo il braccio di Giasone, che si accasciò sulle ginocchia
per il dolore. In un attimo, Medea fu su di lui, sbattendolo in terra e
iniziando a graffiare il suo viso ed il suo corpo con unghie affilate, finché
il sangue non sgorgò copioso dalle ferite dell’uomo.
“Addio Giasone!”
–Esclamò Ialmeno, rialzandosi. –“Avrei voluto avere io il piacere di ucciderti,
ma credo che lei abbia più diritto di me di avere vendetta!” –E fece un cenno
al fratello, indicandogli la cima dell’Olimpo, su cui sentiva che gli altri berseker
stavano combattendo.
“Fe… Fermatevi!”
–Gridò Giasone, ma l’eroe non era nelle condizioni di bloccarli, impegnato a
tenere a bada la brutale violenza dell’animalesca Medea.
“Tu non sai il
dolore che ho dentro, la rabbia che ho covato in questi anni, Giasone…” –Sibilò
la donna, e la sua voce parve veramente quella di una serpe avvelenata. –“Ho
aspettato millenni, nelle profondità dell’Inferno, che qualcuno mi riportasse
alla luce, anche soltanto per un giorno, per confrontarmi con te, per vendicarmi
del torto subito!”
“Credo che tu ti
sia anche troppo vendicata, Medea!” –Le rispose Giasone, scagliandola via con
un violento calcio nello stomaco, che lanciò la donna contro un albero
retrostante. –“Hai ucciso la mia futura sposa, e il mio re, togliendomi ogni
speranza di ritornare in patria, ogni speranza di ritornare tra la mia gente!”
“Io ero la tua
patria!!!” –Gridò Medea furibonda. –“Doveva bastarti il mio amore, la mia
passione! Ma tu no, volevi di più! Hai sempre voluto di più, incontentabile vittima
dei vizi umani! Volevi compiere imprese eroiche, e hai sfidato gli Dei
conquistando il vello d’Oro! Volevi una bella moglie, e l’hai avuta, sposando
me, che per amore tuo sono andata contro mio padre! E infine volevi tornare in
patria, e per farlo non hai esitato a sacrificarmi, a vendermi, gettandomi via,
come un oggetto privo di utilità!!!”
“Il nostro amore
era finito tempo prima… Quando ti rivelasti per quello che eri, un’assassina
che non esitava ad usare gli altri per il proprio tornaconto!”
“Fui io ad
uccidere Pelia, che aveva usurpato il tuo trono!” –Gridò Medea, assatanata. –“E
come ricompensa ho avuto soltanto questo.. la morte!”
“Non ho mai
desiderato sedermi su un trono imbrattato di sangue!”
“Ma certo.. tu
sei sempre stato l’eroe… e noi, compagni abbandonati, mogli tradite.. siamo
sempre stati il male!” –Ironizzò Medea, prima di lanciarsi nuovamente contro
Giasone, il quale concentrò il cosmo sullo Scudo della Colchide, liberando la
sua possente luce e scaraventando la donna indietro, fino a farla ricadere
distesa a terra, apparentemente svenuta.
“Fermi, voi!!!” –Li
chiamò infine, rivolgendosi ad Ascalafo e Ialmeno, che si stavano allontanando.
“Quante volte
vuoi morire?!” –Dissero i due, voltandosi verso di lui. Ma prima che potessero muovere
un muscolo si ritrovarono completamente immobilizzati da guizzanti liane verdi
sgorgate dal terreno sotto i loro piedi; lunghi resistenti filamenti di erba
che intrappolarono i loro muscoli.
“Gorgo
dell’Eridano!” –Esclamò una
squillante voce, mentre un turbine di energia acquatica sfrecciava nel terreno,
dirigendosi verso di loro. Li travolse e li scaraventò indietro, sbattendoli a
terra con violenza, ammaccando le loro corazze, prima di esaurire la sua
potenza, e mostrare l’uomo che lo aveva generato: Phantom dell’Eridano Celeste,
Luogotenente dell’Olimpo. Dietro di lui, un centinaio di Cavalieri Celesti,
dalle armature dai colori scintillanti: l’Ultima Legione di Zeus.
“Gwynn!” –Esclamò
Phantom. –“Conduci i soldati alla Reggia di Zeus! Là il nostro Signore ha
bisogno di aiuto!”
“Sì,
Luogotenente!” –Rispose l’amico di Ascanio, incitando i Cavalieri Celesti a
proseguire.
Quindi Phantom si
avvicinò a Giasone, aiutando il compagno, che intanto si era accasciato a
terra, a rialzarsi. Lo osservò con preoccupazione, notando i numerosi graffi
sul suo corpo, e i fori sulla corazza divina, da cui sgorgava sangue scuro,
probabilmente infetto. Era pallido e ansimante, quasi febbricitante, e Phantom
intuì che era necessario intervenire immediatamente per salvarlo. Ma non ebbe
il tempo di riflettere ulteriormente che dovette evitare guizzanti fendenti di
energia che lo obbligarono a saltar via per non essere trafitto.
“Chi siete?!”
–Domandò Phantom, atterrando poi di fronte ai due guerrieri.
“Ascalafo del Mazzafrusto,
figlio di Ares!” –Rispose uno.
“E io sono Ialmeno
dell’Anfesibena!” –Disse l’altro, muovendo le braccia davanti a sé, che subito
assunsero la forma di due teste di serpente, sibilanti e sputanti fuoco.
L’Anfesibena! Ma certo! Rifletté Phantom. Avrei
dovuto capirlo dai coprispalla della sua armatura! Mitico serpente dotato di
due teste, una per ogni estremità del corpo, capace di strisciare in entrambe
le direzioni! Vuole il mito che sia nata dal sangue della Gorgone, quando
Perseo volò, stringendola in pugno, sopra il deserto libico!
“Come l’animale
bicefalo che rappresento, per te, Cavaliere di Zeus, doppia razione di veleno!”
–Sibilò il guerriero, liberando i suoi incandescenti artigli velenosi, da
entrambe le mani.
Ma Phantom,
ristoratosi grazie alle sanguigne acque della Blood Spring, scattò in alto
velocissimo, evitando tutti gli affondi del figlio di Ares, che cercava di
stare dietro ai guizzanti movimenti del Cavaliere Celeste, che balzava in ogni
direzione. Finché, con un ultimo salto, non si portò proprio dietro a Ialmeno,
il quale si voltò immediatamente, pronto per affondare i suoi artigli dentro di
lui, ma Phantom fu più veloce, colpendolo con un montante al mento e
sollevandolo da terra.
Ialmeno cercò di
trascinare il Luogotenente con sé, afferrando il braccio con cui l’aveva
colpito con le sue gambe, e ci riuscì, tirandolo in alto; quindi mosse le mani
come serpenti velenosi, per affondare dentro al suo corpo, ma Phantom lo
anticipò di nuovo, portando le braccia al petto e poi aprendole di scatto,
liberando la devastante potenza del Gorgo dell’Eridano. Colpito da
distanza ravvicinata, Ialmeno venne travolto in pieno e scaraventato in alto,
prima di ricadere a terra, scavando una fossa nel terreno, che presto si tinse
di scuro sangue.
“Complimenti,
Cavaliere!” –Disse Ascalafo, osservando Phantom atterrare compostamente al
suolo. –“Hai tenuto testa ai velenosi attacchi di mio fratello e lo hai
sconfitto in fretta! Stupefacente!”
“Conserva il
fiato per combattere, e non per lusingarmi, figlio di Ares! Sarebbe fiato
sprecato!” –Replicò Phantom, bruciando ancora il proprio cosmo celeste.
“Non è falsa lode
la mia ma verità! Tuttavia non credere di esserne uscito indenne…”
“Uh?!” –Mormorò
Phantom, non comprendendo le parole dell’uomo. Una fitta incredibile al fianco
destro lo fece accasciare a terra, strappandogli un lacerante grido di dolore,
mentre Ascalafo sogghignava compiaciuto, iniziando a roteare il proprio
mazzafrusto.
“Soltanto un
artiglio avvelenato ti ha raggiunto!” –Mormorò, avvicinandosi al Cavaliere. –“A
te andrà meglio che al tuo compagno, il quale morirà tra poco, con tutte le
ferite che ha riportato!”
“Cosa... vuoi
dire?!” –Strinse i denti Phantom rimettendosi in piedi.
“Il veleno
dell’Anfesibena è doppiamente mortale, e necessita della metà del tempo di un
comune veleno per agire sull’organismo!” –Commentò Ascalafo, prima di bruciare
il cosmo. –“Difenditi adesso, perché hai ancora un nemico da affrontare! E
temibile per di più!” –E roteò con forza il mazzafrusto, moltiplicando le sfere
chiodate e scagliandole contro Phantom. –“Sfere distruttici!” –Gridò,
mentre comete oscure piombavano sul Luogotenente dell’Olimpo, il quale rotolò
in fretta sul terreno, mentre le palle chiodate si piantavano dietro di lui,
senza riuscire a raggiungerlo.
Si rifugiò dietro
un albero, ma Ascalafo non gli diede pace, arrotolando la catena intorno al
tronco e sradicandolo con vigore. Di grande forza è dotato costui!
Rifletté Phantom, ritenendo opportuno giocare d’astuzia, e scattò via, per evitare
un nuovo assalto delle sfere distruttici. Continuando a saltare qua e là,
schivando le palle chiodate, il Cavaliere Celeste si allontanò dal sentiero
principale, obbligando Ascalafo a rincorrerlo tra gli antichi alberi
dell’Olimpo. Là, sul versante che dava sul Mediterraneo, la furia devastante
dei berseker non era giunta e la natura incontaminata regnava intorno a loro,
permettendo a Phantom di fruire a pieno di quell’energia silenziosa in cui era
immerso. D’istinto si fermò, socchiudendo gli occhi e lasciando che il
Talismano di Demetra risplendesse intorno al suo collo, caricandosi delle
immortali energie dell’Olimpo.
“Sciocco! Non
riuscirai ad evitarlaanche stavolta!”
–Gridò Ascalafo, lanciando nuovamente la sua palla chiodata avanti.
“E non era questa
la mia intenzione!” –Mormorò Phantom, afferrando la sfera con mano decisa,
senza riportare danno alcuno.
“Incredibile!!!”
–Ascalafo rimase a bocca aperta. Fermare la sua sfera, che sfrecciava alla
velocità della luce, irta di punte acuminate, avrebbe piegato molti avversari
comuni. Ma il Luogotenente non apparve affatto sfiatato, anzi procedeva nella
sua posa meditativa, senza lasciare la presa della sfera.
“Mollala!!!”
–Gridò Ascalafo, scuotendo il suo mazzafrusto. –“D’accordo… passerò alle maniere
forti!” –Commentò, e si lanciò avanti con il pugno carico di energia.
“Ora!!!” –Aprì
improvvisamente gli occhi Phantom, liberando il cosmo che aveva accumulato. Dal
terreno sottostante spuntò una moltitudine di liane e piante rampicanti, che si
arrotolarono immediatamente intorno al corpo del guerriero di Ares, fermando i
suoi movimenti, stridendo sulla sua corazza, avvoltolandosi intorno al suo
collo e iniziando a soffocarlo.
“Non crederai… di
fermarmi con un po’ d’erba…” –Mormorò Ascalafo, espandendo il suo cosmo, ed
iniziando a recidere le liane che lo tenevano prigioniero. Ma si rese presto
conto che per ogni liana che recideva, bruciandola con il suo infuocato cosmo,
altre due ne sgorgavano dal terreno, obbligandolo ad uno sforzo sempre maggiore.
“Sono in pena per
Giasone! Questo scontro deve terminare adesso!” –Esclamò Phantom, chiudendo le
braccia al petto e concentrando su di esse il suo cosmo.
“Non te lo
permetterò….” –Sbraitò Ascalafo, bruciando tutto il suo indemoniato cosmo. –“Vortice
Oscuro!!!” –E liberò il nero mulinello di energia, che recise le liane che
lo tenevano prigioniero, dirigendosi verso Phantom, il quale, tatticamente, non
lo contrastò con il suo gorgo energetico, onde evitare una violenta esplosione,
ma cercò di frenarlo con le braccia incrociate davanti a sé, cariche di tutto
il suo cosmo.
“Iaaaaahhh!!!”
–Strinse i denti Phantom, mentre la violenta pressione del Vortice Oscuro
si abbatteva sulle sue braccia, spingendolo indietro, e facendo scavare ai suoi
piedi profondi solchi nel terreno erboso. Alla fine, il vortice esaurì la sua
potenza, senza riuscire a travolgere Phantom, che, con grande sforzo, aveva
resistito, per quanto gli dolessero le braccia .
“Non... può
essere!!!” –Sgranò gli occhi Ascalafo.
“Accetta il tuo destino,
figlio di Ares! Il destino che tu stesso hai scelto per te!” –Esclamò Phantom,
concentrando il cosmo sul pugno destro e scattando avanti, sfondando il
pettorale dell’armatura di Ascalafo e scaraventandolo indietro. Quindi,
convinto che fosse morto, fece per scattar via, ma un gemito lo costrinse a
rimanere. Il berseker si stava infatti rialzando, tossendo e vomitando sangue.
“Non vuoi morire,
figlio di Ares?!” –Esclamò Phantom, caricando nuovamente il pugno, ma la
flebile voce di Ascalafo lo fermò.
“Portami da
Giasone!” –Mormorò, prima di accasciarsi in una pozza di sangue.
Phantom,
titubante, esitò un momento, finché non percepì che il cosmo di Ascalafo si
stava schiarendo, come se l’oscurità presente nel suo cuore stesse scivolando
via, con il suo sangue. Ancora un po’ dubbioso, Phantom si caricò il corpo
esanime dell’uomo sulle spalle, scattando verso la Via Principale, mentre
Ascalafo parlò, con molta fatica, al cosmo del Cavaliere, raccontandogli la sua
storia e quella del fratello, due Argonauti che avevano combattuto a fianco di
Giasone.
“E lo avete
massacrato?!” –Domandò Phantom, depositando il figlio di Ares a terra, poco
distante da Giasone, il cui viso era pallido e febbricitante, segno
inequivocabile che il veleno ormai aveva invaso tutto l’organismo e lo avrebbe
ucciso entro pochi minuti.
“Dei
dell’Olimpo!!!” –Imprecò Phantom, non sapendo come salvare l’amico.
Ascalafo a fatica
si trascinò fino al corpo di Giasone, sfiorando con un dito le sue ferite.
“Non provare a…”
–Gridò Phantom, preoccupato che volesse dargli il colpo di grazia. Ma Ascalafo
non si curò di lui, continuando a tastare il corpo ferito di Giasone, cercando
una vena principale. La trovò e la morse con i propri denti. –“Ma che diavolo
fai?!” –Esclamò il Luogotenente, sollevandolo immediatamente dal corpo di
Giasone.
“Lasciami fare…
Il veleno è ormai troppo in profondità… colpire le sue stelle vitali non
sarebbe sufficiente! Devo aspirarlo...” –Mormorò, ricadendo sul corpo del
Cavaliere, allo stremo delle forze.
Phantom lo lasciò
fare, dubbioso e incerto, ma qualcosa gli suggerì che ciò che muoveva il figlio
di Ares in quel momento era sincero affetto. Per un amico che aveva
dimenticato. Affetto che la rabbia del fratello e del Padre, la ricerca
dell’oro e della gloria e l’orgoglio ferito gli avevano portato via,
nascondendolo al suo cuore, e che adesso la lucentezza del cosmo di Phantom gli
aveva ricordato.
“Tu mi hai
ricordato cosa sia l’onore!” –Commentò Ascalafo, continuando a succhiare via il
veleno dal corpo del vecchio amico. –“Mi hai ricordato antichi valori per cui
io combattevo un tempo, per cui accompagnai Giasone nella Colchide e mi lanciai
nella Guerra di Troia in seguito, trovandovi la morte! Non solo gloria, non
solo ricchezza, ma anche onore, volontà di emergere, di essere qualcuno, un
nome che potesse vincere le asperità del tempo, e fosse segno inequivocabile
delle umane possibilità! Non sono gli Dei che decidono la storia… ma gli
uomini…” –Mormorò infine, accasciandosi a terra, con la bocca sporca di sangue.
“Ascalafo…” –Lo
chiamò Phantom, chinandosi su di lui. Ma si accorse di non poter più fare
niente per salvarlo: il veleno che aveva succhiato fuori, come si succhia
quello delle vipere, era penetrato nel suo organismo, ormai indebolito e senza
difese, e lo aveva ucciso, rapidamente, lasciandogli soltanto il tempo di
rimediare in parte ai suoi errori.
“Cough Cough…”
–Tossì improvvisamente Giasone, sputando bava e sangue.
“Giasone!!!”
–Esclamò Phantom, felicissimo, chinandosi su di lui, ed aiutandolo a tirarsi
su. –“Come stai, amico?”
Gli scoppiava la
testa, e si sentiva debole e febbricitante, ma senza più le fitte che lo
avevano aggredito poc’anzi. –“Ascalafo?!” –Sgranò gli occhi l’argonauta,
obbligando Phantom a raccontargli l’intera vicenda.
“Credo che
infine, liberatosi dal giogo di Ares, abbia compreso l’affetto che provavi per
lui, l’amicizia che legava voi tutti Argonauti e che, per quanto il tempo vi
abbia diviso e la vita abbia riservato ad ognuno di voi sorti diverse, è stata
capace di resistere… per interi millenni!”
“Frottole!!!”
–Esclamò improvvisamente una voce stridula dietro di loro.
Phantom e Giasone
si voltarono e trovarono Ialmeno, in piedi, grondante sangue e con l’armatura
quasi tutta distrutta, e con fiamme negli occhi ed un cosmo ostile che lo
avvolgeva.
“Mio fratello in
punto di morte ha perso il senno! Ma io non lo farò!”
“Tuo fratello ha
ammesso i suoi errori! Non essere da meno, Ialmeno!” –Esclamò Phantom, pregando
Giasone di non preoccuparsi del nemico.
“No!” –Intervenne
una voce di donna. –“Giasone avrà altro di cui preoccuparsi!”
“Medea!!!”
–Esclamò Giasone, osservando la donna, appoggiata ad un albero poco distante,
che reggeva in mano una lama scarlatta, raccolta in terra.
Nello stesso momento Ialmeno e Medea scattarono avanti, il primo su Phantom e
la seconda su Giasone, ancora intento a rimettersi in piedi. Il Luogotenente
dell’Olimpo evitò l’affondo del figlio di Ares, portandosi rapido alla sua
destra e colpendolo con un calcio allo sterno che lo spinse indietro, prima di
afferrarlo dal dietro, sollevarlo in aria e sbatterlo sul terreno, come un
cencio.
“Grrr!!!”
–Ringhiò ancora Ialmeno, sgraffiando con i suoi affilati artigli il braccio che
lo teneva prigioniero, mentre le fiamme nei suoi occhi bruciavano sempre più.
Quest’uomo ha
l’Inferno dentro! Possano le fresche acque dell’Eridano purificare il suo animo! Sospirò Phantom, prima di scagliarlo in
alto, avvolto da un energetico gorgo acquatico, di cui Ialmeno rimase in balia,
prima di schiantarsi disastrosamente al suolo, alla fine morto.
Medea, dal canto
suo, era balzata su Giasone, brandendo l’affilata lama e mirando al suo cuore,
quel cuore che lui le aveva spezzato millenni prima, abbandonandola per
un’altra donna. Non capiva Medea, non poteva capire cosa avesse spinto il suo
amato ad un gesto simile. Ma da quel momento Giasone non era più stato il suo
amato, bensì il suo nemico, il demonio allo stato puro, che lei avrebbe
perseguitato anche dopo la morte, lanciando su di lui la maledizione dell’infelicità
eterna.
“Muoriii!!!”
–Gridò, puntando la lama al cuore di Giasone, ma egli si liberò della donna
inferocita calciandola via, facendola rotolare al suolo e farle perdere la
presa della lama.
“Medea! Fermati!
Abbandona i tuoi propositi omicidi, liberati dalla prigionia di Ares, e torna
la donna che ho amato un tempo!” –La esortò Giasone, concentrando il cosmo
sullo scudo.
“Mai!!!
Ringrazierò Ares ogni giorno, invece, per avermi riportato in vita, per avermi
concesso di vederti nuovamente.. e poterti uccidere!!!” –Gridò, in preda ad un
profondo delirio esistenziale, prima di lanciarsi avanti, sfoderando i suoi
affilati artigli.
“E sia… allora…”
–Sospirò Giasone, prima di liberare la devastante luce della Colchide. –“La
maledizione che mi lanciasti continua a colpirmi… e a rendermi infelice…”
In un attimo,
l’energia cosmica travolse Medea, svuotandola della vita, facendola ricadere a
terra, con il braccio teso verso Giasone, senza che la sua vendetta avesse
trovato compimento.
Cadde nella
polvere insanguinata, giù lungo distesa, ricoperta dai suoi aggrovigliati
capelli scuri, e Giasone cadde accanto a lei, debole e dispiaciuto per non aver
saputo vincere quel vecchio fantasma. Per non essersi liberato dalla sua
maledizione.
Capitolo 35 *** Capitolo trentatreesimo: Il brigante di anime ***
CAPITOLO TRENTATREESIMO. IL BRIGANTE DI ANIME.
Quando
Tifone arrivò sull’Olimpo, in quel caliginoso pomeriggio di maggio, Demetra,
Dea delle Coltivazioni, stava curando con il timo selvatico, intriso del suo
benefico cosmo, le ferite dei Dioscuri, nell’ampia radura
dove un tempo sorgeva il Bianco Cancello, prima delimitazione della dimora
degli Dei. Spaventata da quelle immonde grida, la Dea fu svelta a nascondere Castore e Polluce tra i cespugli,
usando i propri poteri per mimetizzarli con l’ambiente circostante, fondendosi
in un’unica natura, e là rimasero, quei pochi minuti, mentre l’immonda sagoma
di Tifone apparve nel cielo, volando con le proprie demoniache ali,
completamente avvolta da fiamme incandescenti.
“E
noi siamo qua nascosti!” –Commentò Castore, cercando
di rimettersi in piedi. –“Dobbiamo correre alla Reggia di Zeus per…”
“Per
farvi massacrare?!” –Ironizzò la Dea, pregando il Cavaliere di tornare a
sedersi.
“Per
difendere il nostro Signore e Padre!” –Precisò Castore,
zoppicando.
“Non
siete nelle condizioni fisiche per combattere, al momento! Tantopiù
con Tifone, un essere così infernale che neppure la potenza riunita di noi
tutti Dei potrebbe bastare!”
“Motivo
in più per correre alla Reggia!” –Aggiunse Castore,
ma Polluce, alzandosi a sua volta, lo fermò,
pregandolo di rimanere.
“Demetra
ha ragione, Castore! Per quanto mi irriti e mi mandi
in bestia non poter far niente, non avremmo speranze contro quel mostro!”
“E
allora…” –Ma Demetra zittì entrambi, prima di
socchiudere gli occhi e lasciar scivolare il suo cosmo, verde pallido, sul
pendio del Monte Olimpo. Evocati dalla loro Signora Madre, numerosi alberi si
svegliarono, scossero le alte fronte, sollevarono le antiche radici, e si
misero in marcia, diretti verso il medio versante, nel tentativo, ridicolo
forse, di frenare l’avanzata di Tifone.
“Vuoi
fermarlo con i tuoi alberi?!” –La schernì Castore.
–“Ne farà una pira sui cui arderà i corpi di tutti noi!”
“Smettila
Castore!” –Esclamò Polluce,
sferrando un cazzotto nello stomaco al fratello, facendolo cadere a terra.
–“Non è un atteggiamento costruttivo il tuo!”
“E
il tuo invece sì!?” –Si arrabbiò Castore, rialzandosi
dolorante. –“Rimanere qua, inerti, mentre Giasone e Zeus si fanno massacrare al
posto nostro?!” –E senza lasciare al fratello la possibilità di rispondere, si
incamminò fuori dal boschetto, spuntando nella radura dove avevano affrontato
ed ucciso Kampe. Con un sospiro di tristezza, osservò
l’antica cancellata abbattuta e i rovinosi segni dell’avanzata dell’esercito di
Ares. Fiamme e distruzione! Ecco cosa resterà dell’Olimpo se non fermeremo
queste furie devastatrici! Mormorò, stringendo i denti.
Polluce
lo raggiunse in quel momento, lasciando Demetra, in meditazione, nel boschetto,
e gli mise una mano sulla spalla, accennando un sorriso. Ma prima che Castore potesse parlare, una raffica di dardi investì i due
fratelli, obbligandoli a scattare in direzioni diverse per non essere colpiti.
“Chi
diavolo?!” –Mormorò Polluce, riparandosi verso un
albero bruciacchiato. –“Altri nemici?!” –E si voltò verso la direzione delle
frecce, trovandosi di fronte ad un immenso vascello volante, sul cui ponte si
stagliavano centinaia di demoniache figure, guerrieri di Ares dalle infuocate
lance. Alcuni si lanciarono di sotto, avendo visto i due fratelli e desiderando
confrontarsi con loro, ma la maggioranza rimase sulla barca, che non si fermò
troppo sopra la radura, continuando in direzione del Monte Sacro. Prima di
scomparire, però, a Polluce e Castore
sembrò di vedere due guerrieri dalle scarlatte armature, e una donna, vicini
tra loro, sorridergli con un ghigno di perversa soddisfazione, come se
un’antica vendetta, a lungo covata, potesse finalmente trovare realizzazione.
“Attento,
Castore!” –Esclamò Polluce,
sbucando fuori dal suo nascondiglio, mentre una raffica di frecce si abbatteva
sul fratello. Concentrando il cosmo, fermò l’avanzata dei dardi e li rinviò
indietro, mirando ai colli degli arcieri.
“Ferma
questa se ci riesci!” –Esclamò un guerriero alto e grosso, brandendo
un’alabarda. Senz’altro aggiungere la calò su di lui, con tutta la sua forza,
mentre altre frecce venivano scagliate su Polluce, il
quale dovette usare tutta la sua concentrazione per frenare l’oscura alabarda,
esponendosi così agli assalti degli altri nemici. –“Muori, bastardo!!!” –Sibilò
il gigante, continuando a spingere la sua arma verso il basso, mentre Polluce, sotto di lui, puntava entrambe le braccia verso
l’alto, per frenarla con il suo potere mentale.
“Iaaaa!!!” –Urlò Castore
improvvisamente, lanciandosi contro il grosso guerriero. Balzò su di lui con
entrambe le gambe tese e lo colpì su un fianco, facendolo sbilanciare, quindi
sferrò un violento calcio alla sua gamba destra, scheggiando la sua corazza,
permettendo a Polluce di prendere possesso
dell’alabarda, rigirarla e trapassare la gigantesca mole del gigante.
“Uccideteli!”
–Esclamò una voce, intimando i berseker a rinnovare
l’assalto. E nugoli di frecce si abbatterono sui Dioscuri,
che usarono astutamente il corpo enorme del colossale guerriero per ripararsi,
prima che Castore, stufo di rimanere passivo, uscisse
fuori caricando il suo colpo segreto.
“Pugno
di Zeus!!!” –Tuonò, spazzando via la
prima linea dei berseker. Ma una freccia lo ferì alla
gamba destra, in un punto scoperto dell’armatura, facendolo accasciare al suolo
mentre altri guerrieri si facevano avanti senza paura, brandendo le loro
acuminate picche.
“Castore! Attento!!!” –Urlò Polluce,
che bruciò al massimo il cosmo, sollevando il colossale guerriero usando
l’alabarda come leva e lanciandolo in alto, facendolo cadere proprio sui berseker in corsa.
“Tecnica
grossolana e un po’ rozza!” –Commentò Castore,
rialzandosi, prima di sorridere al fratello. –“Ma inequivocabilmente efficace!”
Solo
allora i Dioscuri si accorsero di un guerriero
rimasto in disparte, avvolto nel suo mantello grigio. Lo fissarono per un
momento e parve loro più un mendicante che un combattente, ricoperto da una
corazza grigiastra che sembrava la veste di un barbone, fatta di toppe e
cuciture grossolane.
“Chi
sei, guerriero di Ares?!”
“Non
sono un guerriero…” –Commentò questi, avvicinandosi,
con voce beffarda. –“Sono un brigante! E sono qua per rubare la vostra vita!”
“Un
brigante?!” –Ripeterono i Dioscuri, non comprendendo.
L’uomo non aggiunse altro e si avvicinò, passando in mezzo ai corpi dei berseker abbattuti; camminava lentamente, quasi trascinandosi,
e a Castore e Polluce
sembrò di notare una leggera evanescenza sollevarsi dai cadaveri, al suo sfiorarli,
e perdersi nel suo grigio mantello.
“Precisamente!”
–Affermò questi, giunto ormai a pochi metri dai due fratelli. –“Un brigante di
anime! E voi sarete le mie prossime vittime!”
“Non
contarci!” –Esclamò Castore, scattando avanti,
nonostante il dolore alla gamba. –“Pugno di Zeus!” –E scaricò il suo
violento pugno, che sfrecciò nell’aria, diretto verso l’uomo, il quale rimase
imperturbabile ad attenderlo. Venne investito in pieno dall’attacco di Castore, ma sembrò proprio non risentirne minimamente, come
se il violento assalto energetico fosse stata aria. –“Che... cosa?!” –Balbettò Castore, incredulo, mentre anche Polluce
sgranò gli occhi. –“Non si è mosso. L’ho visto, non ha evitato il mio assalto!
Lo ha... lo ha subito!”
“No…” –Commentò il fratello, osservando meglio l’uomo. –“Lo
ha assorbito!”
“Come?!”
L’uomo
dal grigio mantello ridacchiò tra sé, prima che una lucente energia lo
circondasse per un momento, per poi spegnersi, assimilata dal suo corpo.
Abbassò il cappuccio del suo mantello, rivelando il suo viso, vecchio e smunto,
con radi capelli grigi e scavati occhi neri, piccolissimi. Il suo fisico era
gracile, ed apparentemente sembrava abbattibile con un solo attacco, ma aveva
la forza per portare con sé una robusta clava marrone.
“Aaah… Grazie. Avevo proprio bisogno di un po’ di energia… prima di uccidervi!” –Mormorò, sollevando la clava
e puntandola verso i due fratelli. In un lampo di luce Castore
e Polluce vennero investititi in pieno dall’assalto
dell’uomo, che si manifestò sotto forma di un gigantesco pugno che sfrecciò
diretto verso di loro, sbattendoli lontano.
“No!
Non è possibile!” –Gridò Castore, rialzandosi a
fatica. –“Era il mio stesso attacco! Il mio colpo segreto! Come hai fatto?!”
–Ma l’uomo non rispose, sogghignando, mentre la clava brillava ancora di viva
energia, stretta nella sua mano.
“Devo
ripetermi?!” –Sibilò l’uomo.
“Chi
sei?”
“Cicno è il mio nome celeste, figlio di Ares e Pelopia! Brigante di anime!”
“Cicno… il brigante di anime…”
–Mormorò Castore, prima che il fratello gli venisse
in aiuto. –“Cicno era un brigante figlio bastardo di
Ares, che derubava i pellegrini diretti all’Oracolo di Delfi! E adesso,
resuscitato dal Padre, deruba i Cavalieri del loro cosmo…”
“Maledizione!”
–Strinse i pugni Castore, riconoscendo che
l’avversario si presentava insidioso.
“Non
soltanto il vostro cosmo prenderò!” –Mormorò Cicno.
–“Ma anche la vostra anima! La farò mia, recidendo lo stelo della vostra
fragile vita!”
“Provaci,
bastardo!” –Gridò Castore, scattando nuovamente
avanti. –“Pugno di Zeus!” –E scagliò un nuovo assalto contro Cicno.
“Castorenooo!!!” –Urlò Polluce.
Come
in precedenza, Cicno rimase immobile, lasciando che
l’assalto di Castore scivolasse sul suo grigio
mantello, venendo assorbito, prima di sollevare nuovamente la clava e
rispedirlo al mittente. Ma Castore, che aspettava
proprio quel momento, lanciò un altro Pugno di Zeus, facendolo scontrare
con quello che gli veniva incontro, generando una violenta esplosione che lo
scagliò indietro, rotolando fino ai piedi del fratello. Quando si rimise in
piedi, ammaccato e dolorante, constatò con dispiacere e preoccupazione che Cicno era ancora là, imperturbabile.
“Come
può essere?! Grrr!!!” –Esclamò arrabbiato il Dioscuro.
“Sfogati,
figlio di Zeus!” –Lo incitò con voce suadente Cicno.
–“Sfogati e libera l’energia che porti dentro! Essa confluirà poi in me! Ah ah ah!”
“Non
farti dominare dall’ira!” –Sussurrò Polluce. –“O
finirai per fare il suo gioco!” –E senz’altro aggiungere il Dioscuro
espanse il proprio cosmo, che scivolò silenziosamente nell’ampia radura,
cingendo le gambe e il corpo del Brigante di Ares, stringendosi intorno alla
sua clava.
“Uh?!”
–Mormorò Polluce, rendendosi conto di non riuscire a
muoverla. –“Non ho potere su essa!”
“No,
Cavaliere! Quali che siano i tuoi poteri, adesso appartengono a me!” –Disse Cicno, sollevando la clava e puntandola contro Polluce. Immediatamente Polluce
venne scaraventato indietro, schiantandosi contro la carcassa di un albero,
prima di venire risollevato da terra, quasi manovrato da fili invisibili, e
sbattuto contro un altro albero, e poi nuovamente in terra, con violenza e
brutalità tali da scheggiare la semidistrutta Armatura Divina, facendo urlare
il Cavaliere dal dolore.
“Maledetto!”
–Strinse i pugni Castore. –“Ha preso anche il potere
di Polluce!!!” –Quindi si gettò avanti, verso il
figlio di Ares. Ma invece di scagliare nuovamente il Pugno di Zeus,
scivolò sul terreno, afferrando la lancia di un guerriero morto e portandosi
sotto a Cicno, puntando l’arma contro la sua gamba.
La punta della lancia scheggiò la sua corazza, ma non riuscì ad affondare in
profondità perché Cicno, con velocità e destrezza,
sollevò la clava, calandola poi su Castore,
distruggendo la lancia e colpendolo al braccio destro. Un secondo colpo, dal basso
verso l’alto, scaraventò il Dioscuro indietro, lungo
il terreno, sconfitto ma soddisfatto. Dunque anch’egli può essere ferito!
Rifletté, prima di venire raggiunto dal fratello che, a fatica, si era rimesso
in piedi.
“Possiamo
colpirlo!” –Mormorò Castore. –“Ma non dobbiamo usare
la nostra energia cosmica, o verrò risucchiata dalla sua clava!”
“Facile
a dirsi…” –Ironizzò Polluce,
ansimando. –“Ma possiamo provarci!”
Si
scambiarono un rapido sguardo prima di lanciarsi avanti, ognuno su un lato del
figlio di Ares, mentre questi, sogghignante, rimaneva in attesa del loro
attacco energetico. Ma le intenzioni dei Dioscuri
erano diverse: Polluce attrasse a sé, numerose armi
presenti nella radura, dandone un paio al fratello, e insieme a lui si lanciò
contro Cicno, brandendo lance e spade.
Il
Brigante, per quanto sorpreso dalla sensata iniziativa dei Cavalieri, non si
fece ferire una seconda volta, roteando la clava vorticosamente in modo da
creare una piccola barriera su cui si infransero le armi dei Dioscuri, troncandole e gettandole via, prima di fermarla e
colpire Castore in pieno petto. La violenza della
botta fu tale da scaraventare il Cavaliere indietro, crepando la sua corazza
protettiva, ma prima che Cicno riuscisse a muovere la
clava contro Polluce, questi lo colpì con un calcio
sul braccio destro, facendogli perdere la presa dell’arma, che cadde
fragorosamente a terra.
“Adesso
sei mio!” –Mormorò Polluce. –“Carica dei Cento
Cavalli! Travolgilo!!!” –Gridò, liberando il suo possente attacco da
distanza ravvicinata, sicuro di travolgere il figlio di Ares. Ma la stessa
violenza con cui lanciò l’attacco fu la causa della sua rovina, venendo infatti
investito in pieno e scaraventato lontano, tra i frammenti insanguinati della
sua corazza.
“No!
Non è possibile... eppure aveva perso la clava…”
“Folle
sei stato! Un attacco così potente, così devastante, da distanza ravvicinata
significa scegliere il suicidio!” –Commentò Cicno,
prima di recuperare la propria clava. Camminando lentamente, come gli era
proprio, si trascinò fino al corpo ferito di Polluce,
sollevando la rozza arma sopra di sé, per schiacciare il Cavaliere Celeste, ma Castore, rialzatosi, scagliò contro di lui un violento
pugno energetico, sperando di fermarlo. Ma anch’esso venne assorbito dal figlio
di Ares, e rispedito indietro, scaraventando il Dioscuro
nuovamente a terra.
“Adesso
muori!!!” –Urlò Cicno, calando la clava su Polluce. Ma il Cavaliere si riprese, afferrando l’arma con
entrambe le mani, cercando di contrastare la pressione che Cicno
esercitava su essa.
“Come… come hai fatto?!” –Rantolò Polluce,
i cui muscoli erano tesi al massimo per lo sforzo. –“Come hai respinto la Carica
dei Cento Cavalli senza la tua clava?!”
“La
mia clava?!” –Ripeté Cicno, genuinamente sorpreso.
Quindi scoppiò a ridere, allentando la pressione sull’arma, e permettendo a Polluce di rimettersi in piedi. –“Davvero pensavate che
fosse la mia clava ad assorbire i vostri attacchi?! Ah ah ah!”
“Perché?!
Non ce li hai forse rispediti contro con essa?! Non farti beffe di noi,
guerriero di Ares!” –E in tutta risposta Cicno gettò
la clava a terra, aprendo le braccia come fosse in croce e ordinando ai Dioscuri di colpirlo.
“Fatelo!
Forza!” –Gridò. –“E vi mostrerò la potenza del Brigante di Anime! Con o senza
la mia clava, resto irraggiungibile!”
“Maledetto!!!”
–Tuonò Castore, ripresosi. E concentrò il cosmo sul
pugno, pronto per lanciarsi su di lui. Ma Polluce lo
fermò, temendo un inganno. –“Non si lascerebbe mai colpire se non sapesse di
poter evitare o sopportare il nostro attacco!”
“Questo
lo so anch’io!” –Brontolò Castore. –“Ma cos’altro
possiamo fare?! Rimanere inattivi ad attendere che ci colpisca nuovamente?!”
“Proviamo
insieme!” –Sussurrò Polluce, allungando una mano
verso il fratello. Questi comprese il suo gesto ed afferrò la sua mano,
lasciando che i loro cosmi venissero in contatto, combinandosi tra loro. –“Illusione
dei Dioscuri!” –Gridarono, mentre i loro corpi si
moltiplicavano.
“Mi
facilitate il lavoro!” –Ironizzò Cicno, senza
scomporsi. Ma Castore e Polluce
non risposero, preferendo agire direttamente, liberando i loro colpi segreti e
lanciandoli insieme, da ogni direzione, da ogni copia replicata, contro di lui.
–“La morte proprio non vi spaventa!” –Disse Cicno, a
braccia aperte ad attendere gli assalti dei due fratelli. E anche quella volta
sembrò non subire danno alcuno, immagazzinando l’energia e rispedendola
indietro, sotto forma di una devastante bomba di luce, che spazzò via le
illusioni dei due fratelli, scaraventandoli indietro, feriti e danneggiati.
“A… ancora!” –Mormorò Castore,
stramazzando al suolo.
“Ho
tenuto fede alla mia promessa, sconfiggendovi figli di Zeus!” –Commentò Cicno, avvicinandosi ai due. –“Adesso, dopo aver svuotato
il vostro cosmo, prenderò la vostra anima! Brigante di anime!!!”
–Esclamò, volgendo il palmo della mano destra verso di loro.
Immediatamente
una grigia evanescenza partì dalla sua mano, avvolgendo gli stanchi corpi dei Dioscuri ed entrando dentro di loro, facendoli urlare per
la sofferenza, disperare per il dolore. Gli occhi dei due fratelli schizzarono
sangue, mentre tutto il loro corpo tremò, in preda a una violenta
fibrillazione, tra le grida laceranti che presto si spensero. Un attimo dopo la
grigia evanescenza abbandonò i loro corpi, rientrando in Cicno,
portando seco le anime dei due nobili guerrieri.
“Addio,
figli di Zeus! Adesso vivete in me!” –Esclamò il brigante, esplodendo in una
grassa risata. Quindi diede le spalle ai due corpi abbandonati, trascinandosi
lungo la radura, diretto verso la Via Principale, ma prima che potesse fare due
passi sentì un cosmo accendersi di fronte a lui.
“Uh?! Chi sei?!”
–Domandò, osservando una figura dorata apparire.
“Il Grande Mur dell’Ariete!” –Rispose il Cavaliere d’Oro, con voce
placida come sempre. –“E sono giunto fin qua, sfidando i devastanti cosmi di
Tifone e dei berseker di Ares, per portare aiuto ai Dioscuri, nobili Cavalieri Celesti!” –Quindi fissò i corpi
senza vita dei figli di Zeus, avvicinandosi e toccandoli, per sincerarsi delle
loro condizioni. Svuotati! Mormorò, sentendo dentro di loro mancare
completamente una benché minima forma di energia pulsante. Prosciugati!
Rifletté, sollevandosi e volgendo lo sguardo verso il suo avversario.
“Hai avuto del
fegato a spingerti fin qua, Cavaliere di Ariete!”
“Cosa hai fatto
loro?!”
“Il mio lavoro!”
–Ridacchiò Cicno, presentandosi. –“Sono un brigante
di anime ed ho assorbito il loro cosmo e il loro spirito! Ih ih!”
“Assorbito, eh?!”
–Mormorò Mur tra sé, espandendo il suo cosmo.
–“Facciamo una prova!” –Si disse, sollevando il braccio destro al cielo, prima
di abbassarlo di colpo verso Cicno. –“Per il Sacro
Ariete! Rivoluzione stellare!” –Gridò, mentre milioni di stelle parvero
cadere sul figlio di Ares.
“Ih ih…” –Ridacchiò Cicno, aprendo le
sue braccia e lasciando che le stelle lo trafiggessero, senza riportare, come
in precedenza, danno alcuno. –“A te adesso!” –Mormorò, aprendo il palmo della
mano, e rinviando contro Mur il suo attacco. La fitta
pioggia di stelle cadenti sfrecciò verso il Cavaliere di Ariete, il quale,
aspettandosi l’attacco, non aveva esitato a creare la sua impenetrabile difesa,
il Muro di Cristallo, che le stelle non riuscirono ad abbattere.
“Che cosa?!”
–Esclamò Cicno stupefatto.
“Era un assalto
di prova, brigante di anime! Volevo soltanto verificare un’idea!”
“Una tua idea?!”
“Non la clava ti
permette di assorbire l’energia altrui, ma la tua corazza! I vari elementi che
la compongono, e che esteriormente sembrano stracci di mendicante, hanno la
capacità di catalizzare le energie cosmiche, risucchiandole al proprio interno
e permettendoti di usarle per attaccare!”
“Perspicace! Si
vede che di armature te ne intendi!” –Sibilò Cicno,
irato che qualcuno avesse scoperto il suo trucco. –“Ma aver compreso questo non
basterà a vincermi!” –E scattò avanti, brandendo la rozza clava, caricandola di
energia cosmica, con una velocità che Mur non avrebbe
mai pensato avesse. Si abbatté sul Muro di Cristallo con foga, lanciando
colpi violenti e facendo tremare la difesa del Cavaliere di Ariete, il quale fu
inizialmente tentato di scagliarlo via con il suo colpo sacro, ma realizzò che
un attacco così diretto non avrebbe avuto effetto, venendo assorbito dalla
corazza di Cicno. Assorbito…Rifletté Mur, chiedendosi quanta energia potesse
contenere. Prima di esplodere!
Improvvisamente,
mentre Cicno si stava nuovamente avventando con foga
sul Muro di Cristallo con la propria clava incandescente, Mur fece scomparire la sua difesa, sbilanciando il berseker e facendolo cadere in avanti, prima di colpirlo
con un diretto calcio sull’addome, che lo scaraventò indietro di parecchi
metri, incrinando la sua cotta e facendogli perdere la presa sulla clava.
“Maledetto Ariete…” –Mormorò Cicno,
rialzandosi. Fece per richiamare la clava ma si accorse che l’arma non si
muoveva, intrappolata in una bianca ragnatela di energia.
“Uh?! Che
succede?!” –Si domandò, mentre sottili fili si arrotolavano intorno al suo
corpo, intrappolandolo a mezz’aria, in una rete di bianco cosmo.
“Ragnatela di
cristallo!” –Mormorò Mur, avvicinandosi al figlio di Ares. –“Sei ancora in tempo
per liberare le anime dei Cavalieri Celesti, sporco brigante!”
“Liberarle?! Stai
scherzando, non è vero?!” –Ridacchiò Cicno, bruciando
il suo cosmo e cercando di strappare i fili della ragnatela di Mur, ma presto si rese conto di non riuscirvi, che la tela
di energia era altamente resistente da richiedergli uno sforzo maggiore. –“E
sia, mi hai imprigionato, ma non credere che da questa posizione non mi sia possibile… ucciderti!!”
“Uh?!” –Sgranò
gli occhi Mur, mentre Cicno
riusciva a liberare la mano destra, concentrando sul palmo il suo corpo. Una
grigia evanescenza si liberò dalla sua mano, dirigendosi verso Mur, per assorbire la sua anima, come aveva fatto con i Dioscuri. Ma anche quel tremendo attacco non riuscì a superare
il Muro di Cristallo.
“Che cosa?! Ma
non è possibile!!!” –Gridò, imbestialito.
“Niente può
superare questa barriera invisibile, neppure i gas e gli odori! Tutto si ferma
di fronte al Muro di Cristallo!” –Esclamò Mur,
espandendo ancora il suo cosmo. –“E adesso addio, brigante di anime, ti avevo
offerto una possibilità per aver salva la vita, ma hai scioccamente e
superbamente rifiutato! Onda di luce stellare!” –Gridò, liberando un
violento globo di luce, che raggiunse Cicno,
inghiottendolo.
“Non hai imparato
la lezione, Ariete?!” –Lo derise il figlio di Ares. –“La mia corazza assorbirà
la tua energia, rispendendola poi ind…” –Ma la sua
frase fu mozzata a metà, quando sentì esplodere il suo corpo. –“Che succede?!
Che mi sta succedendo?!” –Gridò, mentre la corazza si schiantava in più punti.
–“Non solo la mia armatura, ma anche il mio corpo… si
sta.. distruggendo.. perché?!”
“L’Onda di
luce stellare è una tecnica mortale, capace di risucchiare ogni materia al
suo interno e farla esplodere, liberando una devastante quantità di energia!
Troppa, perché la tua corazza, già piena di altre energie, potesse reggere!”
–Spiegò Mur, calando gli occhi di fronte al triste
spettacolo.
La cotta
protettiva di Cicno esplose poco dopo, satura di
energia, così come il suo corpo, senza lasciare traccia alcuna del brigante di
anime. Lentamente, e con il cuore trepidante, Mur si
avvicinò ai Dioscuri, sperando che la morte del
guerriero avesse liberato anche le anime da lui assorbite in precedenza. Ma
questo non accadde e il Cavaliere si dispiacque, iniziando ad angosciarsi, non
essendo nei suoi poteri richiamare le loro anime, dall’Ade o da qualunque altro
luogo spaziodimensionale che non riusciva a
raggiungere.
Improvvisamente
un’abbagliante luce apparve dietro di sé, rischiarando la fosca caligine di
quel pomeriggio, portando seco un centinaio di scintillanti cosmi, ardenti e
incontaminati, retaggi di un ancestrale potere non usurato dal tempo.
“Posso aiutarti,
Cavaliere di Ariete?!” –Mormorò un’educata voce maschile.
Mur si voltò e trovò un uomo in piedi di fronte
a lui. Alto ed aitante, conscompigliati
capelli neri, occhi scuri, viso abbronzato, e un corpo perfetto, ricoperto da
una scintillante Armatura Divina, dalle sfumature rossastre, sulla parte
destra, e bianche, sulla parte sinistra, raffigurante un doppio Drago. Lo
osservò per un momento, accennando un mezzo sorriso incompreso.
“Non mi hai
riconosciuto, a quanto pare!” –Sorrise Ascanio.
–“Sono passati quattordici anni e all’epoca ero solo un ragazzetto, allievo del
miglior maestro che abbia mai potuto desiderare!”
“Dunque tu sei…” –Mormorò Mur, riconoscendo
finalmente il giovane che aveva incontrato una sola volta, molti anni addietro,
ai Cinque Picchi.
“Ascanio Testa di Drago, Comandante dell’Ultima Legione di
Zeus e allievo del Maestro dei Cinque Picchi!” –Si presentò, mentre uomini
dalle Celesti Armature lo affiancavano.
A un comando del
loro signore, i Cavalieri Celesti sfrecciarono via, verso la cima del Monte
Olimpo, dove sentivano che cosmi inquieti si scontravano furiosamente,
lasciando Ascanio chino sui corpi dei figli di Zeus.
Li osservò per un momento, mentre Mur gli raccontava
l’accaduto.
“Metempsicosi!”
–Mormorò infine Ascanio, aprendo il polso della mano
destra sopra i Dioscuri, mentre tutto intorno a loro
scivolava il suo lucente cosmo.
“Metem... la trasmigrazione dell’anima?!” –Chiese Mur, ricordando antichi insegnamenti di Shin.
“Proprio così!”
–Annuì Ascanio, mentre cercava di penetrare con il
proprio cosmo dentro i due fratelli. –“I celti avevano elaborato una dottrina
dell’immortalità, in base alla quale l’anima passava dal mondo dei vivi a
quello dei morti e viceversa!”
“E tu sei in
grado di ricrearla?!” –Domandò Mur, genuinamente
sorpreso.
Ascanio non rispose, socchiudendo i propri occhi
neri, prima di spingere ancora il proprio cosmo, ardente ed eterno, dentro i
figli di Zeus. Vi un lampo di luce e poi il suo cosmo si placò, mentre il
Cavaliere si rimetteva in piedi soddisfatto. Mur udì
un gemito sommesso e si chinò, vedendo i Dioscuri
respirare nuovamente.
Capitolo 36 *** Capitolo trentaquattresimo: La grande paura ***
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO. LA GRANDE PAURA.
Con un brivido ancora nel cuore,
Pegasus e Andromeda uscirono dalla Dodicesima Casa, lasciando Phoenix a
combattere contro il demoniaco figlio di Ares. Insieme a lui Ippolita, Regina delle Amazzoni, nemica già affrontata da
Phoenix al Nono Tempio e che adesso, inaspettatamente, si era rivelata loro
alleata, al punto da tradire Ares cercando di ferire Deimos.
Chissà cosa l’ha spinta a ribellarsi ad Ares? Rifletté Pegasus,
lanciandosi con Andromeda lungo l’ultima scalinata. Che sia una decisione
maturata adesso, per comodità, o che sia il risultato di un lento processo
iniziato magari durante il suo incontro con Phoenix?! I suoi pensieri
furono interrotti dalla violenta esplosione del cosmo di Phoenix.
“Andromeda!” –Lo chiamò il ragazzo, osservando l’amico che si era
fermato e voltato indietro.
“Arrivo!” –Si limitò a rispondere il Cavaliere, senz’altro aggiungere.
Ripresero a correre di buona lena, proprio dove Castalia aveva sorretto
Pegasus, per aiutarlo contro le ottenebranti rose di Fish.
Già... Castalia!
Mormorò Pegasus, chiedendosi dove si trovasse. Ho sentito il suo cosmo
esplodere, poche ore fa! Ma poi non sono più riuscito a raggiungerla, a causa
dell’opprimente cosmo di Ares che domina l’intero Grande Tempio! Ma non mi
pareva che si trovasse sull’Olimpo…
“Pegasus!” –Lo chiamò Andromeda, rubando il ragazzo ai suoi pensieri.
Ancora dieci metri e avrebbero raggiunto il piazzale antistante la
Tredicesima Casa del Grande Tempio, antica residenza di Atena e del suo Grande
Sacerdote, e attualmente occupata da Ares. Andromeda non fece in tempo ad
aggiungere altro, che i due amici dovettero scattare in direzioni diverse,
mentre una robusta scure, dal manico scarlatto, si piantava nel pavimento in
mezzo a loro, liberando frizzanti scariche di energia cosmica.
“Ah ah ah! Bel salto!!! Avete avuto paura, eh?!” –Esclamò una voce,
apparendo tra le colonne della Tredicesima Casa.”
“E tu chi sei?!” –Domandò Pegasus, avvicinandosi nuovamente a Andromeda
e osservando colui che aveva parlato.
Fisicamente era
un giovane dai corti capelli scuri e dagli occhi neri, bello e dal fisico
scultoreo, come quello di una statua classica, con un viso maschile, corta
barbetta e una cicatrice sotto l’occhio destro. Era ricoperto dalla sua
Armatura Scarlatta dalle accese sfumature violacee, una veste liscia e senza
troppe decorazioni, dai toni scuri e incutenti paura. Pegasus non poté non
notare la somiglianza fisica col demonio che avevano incontrato al Dodicesimo
Tempio, e le parole dell’uomo confermarono il suo dubbio.
“Phobos, Demonizzazione della Paura! Figlio di Ares e
Afrodite, e fratello di Deimos!” –Si presentò l’uomo,
avanzando verso i due Cavalieri.
“Phobos... e Deimos...
Le due canaglie figlie di Ares!”
“Bada a come parli, randagio ateniese! Adesso ti mostrerò cosa è lo
Sgomento!” –Affermò Phobos.
“Ma come ti…” –Ringhiò Pegasus, ma Andromeda
lo fermò, dicendogli ciò che non aveva potuto prima.
“Come alle Dodici Case, così adesso, Pegasus!” –Esclamò, dando ad
intendere che avrebbe affrontato lui il figlio di Ares.
“Andromeda ma…”
La conversazione tra i due fu interrotta dalla sonora risata di Phobos, che richiamò a sé la sua scure. La grande ascia
vibrò nel pavimento, liberandosi, e saettò nell’aria, fino a tornare nelle
possenti mani del suo padrone. Era un’arma dal lungo manico scarlatto, con una
doppia lama affilata su entrambi i lati, che ben si intonava con i macabri
riflessi dell’armatura di Phobos.
“Scure dello Sgomento!”
–Gridò il Dio, piantandola in terra di fronte a lui.
Immediatamente guizzanti scariche di energia violacea dipartirono da
essa, percorrendo l’intero piazzale e raggiungendo i due Cavalieri di Atena,
che cercarono di evitarle scattando lateralmente. Andromeda liberò la sua
catena, lanciandola verso l’ascia stessa, ma le scariche di energia intorno
all’arma deviarono l’attacco, impedendo alla catena di afferrarla.
“Ah ah ah!” –Esclamò Phobos, soddisfatto. Ma
Pegasus non si perse d’animo. In quel momento sentì nuovamente esplodere il
cosmo di Phoenix e, molti metri più in basso, quelli di Sirio e Cristal.
Tutti stanno combattendo! Per avermi permesso di arrivare fin qua! Mormorò, scattando in mezzo alle folgori di
Phobos. Non ho intenzione di deluderli! No, non ho
affatto intenzione di vanificare i loro sforzi! E nel pensar questo si
portò proprio di fronte a Phobos, rimasto attonito
che quel ragazzino agonizzante, che aveva affrontato Dodici Fatiche, potesse
riuscire a superare le sue scariche energetiche.
“Cometa Lucente,
splendi!” –Urlò, concentrando il cosmo in un unico attacco luminoso, il quale
travolse Phobos dal basso verso l’alto,
scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare contro una colonna della
Tredicesima Casa. –“A te Andromeda!” –Aggiunse, scattando avanti, infilando
all’interno del Tempio. Con il cuore in gola.
Mi raccomando, amico mio! Grazie… ma non
morire! Mormorò Pegasus,
correndo verso la Sala del Trono e lasciando Andromeda da solo, a fronteggiare
il secondo demoniaco figlio di Ares.
“Quel bastardo…” –Mormorò Phobos,
rialzandosi a fatica.
“Non ti permetto di offendere il mio amico, Cavaliere!” –Esclamò
Andromeda, mentre la sua catena si disponeva tutta intorno a lui, ad ampi
cerchi concentrici.
“Ed io non ti permetto di chiamarmi Cavaliere, bastardo!” –Precisò Phobos, recuperando la propria ascia oscura. –“Sono un berseker, un guerriero, orgoglio e vanto di mio Padre, il
Sommo Ares! Non un volgare galoppino degli Dei!”
“Io non sono un galoppino, Phobos! Ma un
Cavaliere di Atena!” –Rispose Andromeda, ma il Dio parve disinteressarsi delle
sue motivazioni.
“Resti comunque un debole, come tutti coloro che credono troppo negli
ideali di pace!” –Mormorò, iniziando a girare intorno alla Catena di
Andromeda, quasi come volesse studiarla.
“Credere nella pace non è debolezza... essa…”
“Taciiiii!!!” –Gridò Phobos,
scagliando la sua oscura ascia verso il viso del ragazzo.
Immediatamente la Catena di Andromeda si sollevò, come guizzanti
serpenti energetici, cercando di afferrare l’orrida arma che mirava alla vita
del suo padrone. Vi riuscì solo alla fine, quando la scure era a pochi
centimetri dal volto di Andromeda, visibilmente preoccupato da tale rapido e
brutale assalto. Impegnato a fermare la scure, Andromeda non poté evitare
l’attacco diretto del figlio di Ares, il quale era balzato su di lui,
colpendolo a piedi uniti in pieno stomaco e spingendolo indietro, recuperando,
nel far questo, persino la sua ascia.
“Scure dello Sgomento!
Divora questo sciocco idealista!!!” –Gridò il Dio, piantando nuovamente l’arma
nel terreno, e creando una faglia di energia che corse in fretta verso
Andromeda.
Per quanto la catenascattasse immediatamente a difesa del suo
padrone, disponendosi a cerchi concentrici, essa fu travolta e Andromeda
sollevato in aria, mentre la terra tremava sotto di lui, aprendo una piccola,
ma profonda, voragine. Il Cavaliere ricadde proprio sul bordo della faglia,
mentre il peso della corazza lo trascinava sul fondo. Annaspando, cercò di
risollevarsi, ma quando alzò gli occhi vide con orrore Phobos
in piedi di fronte a lui, che calava la sua scura mannaia.
“Muori!!! E porta la pace all’inferno con te!” –Esclamò il Dio,
abbattendo l’ascia su Andromeda, il quale, per evitarla, non poté che lasciarsi
cadere all’interno della faglia, mentre la scure si conficcava sul bordo del
terreno. Phobos sgranò gli occhi, sorpreso dal gesto
suicida del Cavaliere.
Ma Andromeda non aveva intenzione di morire, solo di evitare l’affondo
del Dio, prima di tornare alla carica grazie alla sua catena. Con un balzo
acrobatico si aggrappò a uno spuntone roccioso, liberando la catena che saettò
fuori dalla faglia, arrotolandosi intorno ai capitelli delle colonne del
tempio, permettendogli di balzar fuori velocemente e colpire Phobos con un calcio, sbilanciandolo. Quindi, continuando
ad oscillare, quasi fosse su una liana, Andromeda avrebbe voluto atterrare e
lanciare le sue catene indietro, ma la rabbia devastante di Phobos
glielo impedì.
“Maledetto!” –Gridò infatti il Dio, che stava quasi per cadere nella
faglia da lui stesso creata. E senza aggiungere altro scagliò la lama rotante
della violenta scure, carica di energia cosmica, contro la Catena di
Andromeda, grazie alla quale il Cavaliere stava per atterrare, trinciandola
di colpo a metà, schiantando alcuni anelli, e facendo cadere il ragazzo a
terra. Quindi l’oscura lama continuò il suo giro in tondo, ritornando da Phobos e riagganciandosi al lungo bastone. Ma il Dio, non
contento, scattò avanti, mentre Andromeda cercava di rimettersi in piedi,
sollevando la scure e calandola di colpo su di lui, che fu obbligato a
difendersi con la catena, afferrandola con entrambe le mani e lasciando che
l’ascia si abbattesse su essa. Schiantandola.
Di fronte agli occhi allibiti di Andromeda, la Scure dello Sgomento
trinciò la catena, calando sul petto di Andromeda, che riuscì in tempo a
scansare il viso, perdendo solo alcune ciocche di verdi capelli, squarciando la
sua Armatura Divina proprio all’altezza del seno. Con una rapida mossa, Phobos cambiò la direzione della scure, facendola risalire
e ricolpendo Andromeda nello stesso punto,
scaraventandolo questa volta indietro.
“Ah ah ah!” –Scoppiò a ridere il figlio di Ares, osservando l’avversario
agonizzare in una pozza di sangue. –“Grandi Cavalieri i tuoi, Atena! Guarda, oh
Padre, la fine dell’ultimo invasore!” –E si avvicinò ad Andromeda, sollevando
la scure, mentre il suo violaceo cosmo risplendeva tutto attorno al suo corpo.
Andromeda, terrorizzato e macchiato di sangue, vide la mannaia cadere su di lui,
ma all’ultimo riuscì a reagire, liberando una potente scarica di energia con il
braccio destro.
“Onda Energeticaaaa!!!” –Urlò, spingendo Phobos
indietro e facendogli perdere la presa sull’ascia. Una seconda scarica di
energia la diresse contro la stessa scure, caduta in terra, sperando di
scagliarla nella spaccatura, ma, con suo sommo stupore, l’arma si difese,
liberando folgori incandescenti a sua volta.
“Eh eh…” –Esclamò Phobos,
rialzandosi. –“Non avrai creduto di vincermi così facilmente?! Puoi colpirmi
quante volte vuoi, Andromeda, sono un guerriero senza abbastanza orgoglio per
offendersi per una botta ricevuta! Ma alla fine sarò io a piantare la scure nel
tuo cranio! Come mio fratello sta massacrando il tuo alla Dodicesima Casa!!!”
“Questo non accadrà! Phoenix non sarà mai sconfitto! In lui risiede
l’immortale fenice, il cui battito d’ali spazzerà via l’oscurità dai Templi
dell’Ira!”
“Vuote parole le tue… che accompagneranno la
tua macabra fine!!!” –Tuonò Phobos, espandendo il
proprio cosmo.
Sottili cerchi di energia violacea apparvero intorno al suo corpo,
roteando su Phobos, assumendo quasi la forma di un
atomo, al cui esterno ruotano gli elettroni. Andromeda sbatté per un momento
gli occhi, immaginando di vedere il pianeta Marte e i suoi satelliti girargli
intorno, perché era proprio quello l’effetto che producevano quei sottili
cerchi di energia.
Deciso a non lasciare al guerriero la possibilità di attaccare
nuovamente, Andromeda si rimise in piedi, liberando una nuova Onda
Energetica dal palmo della mano destra. Ma, con stupore e sgomento, notò
che le scariche non raggiunsero il Dio, protetto dai cerchi di energia viola.
“Eh eh…” –Sogghignò Phobos,
mentre il suo cosmo cresceva ancora. –“Perditi Andromeda, perditi nello
Sgomento! Ruota della Morte!” –E i cerchi di energia rotolarono avanti,
travolgendo Andromeda e circondandolo, facendolo roteare su se stesso
all’impazzata. Era lui stavolta, non Phobos, a
trovarsi al centro del nucleo, era lui l’atomo attorno al quale roteavano gli
elettroni. Ma c’era qualcosa di diverso da prima, infatti adesso era l’atomo
che girava su se stesso, continuamente, vorticosamente, fino a fargli perdere i
sensi.
“Addio Cavaliere idealista…” –Esclamò Phobos, dirigendo la Ruota della Morte sopra la
faglia aperta nel suolo.
In quel momento, mentre Andromeda roteava su se stesso, stretto dai
cerchi di energia di Phobos, senza capire più quale
fosse il sopra quale il sotto, quale il davanti quale il dietro, un’abbagliante
esplosione di luce attirò la sua attenzione.
Incapace di vedere con gli occhi, Andromeda socchiuse gli occhi e gli
parve di vedere un immenso uccello dalle ali di fuoco scivolare nel cielo sopra
il Grande Tempio. Phoenix… Mormorò,
riconoscendo il cosmo del fratello. Phoenix!!! Ma il fratello non rispose,
e questo gli diede la forza di reagire, anziché spingerlo alla disperazione.
Bruciò ardentemente il proprio cosmo, come Phoenix aveva fatto poc’anzi,
tentando di lacerare quei maledetti cerchi di energia.
“Uh?!” –Mormorò il figlio di Ares, osservando il declinare del moto dei
suoi cerchi energetici. –“La Ruota della Morte sta scemando di
intensità! Possibile?!”
Come una bomba, esplose il cosmo di Andromeda, che si liberò dalla
prigionia della mortale ruota di Phobos, atterrando
sul piazzale di fronte alla Tredicesima Casa, con una lucida determinazione
negli occhi, mentre la catena, tornata a nuova vita, guizzava freneticamente
intorno a lui.
“Melodia Scintillante di Andromeda!” –Esclamò, scatenando l’ultima configurazione della catena, la quale
saettò nell’aria, moltiplicandosi in infinite copie, come aveva fatto contro il
Custode della Palude di Stinfalo.
Phobos tentò di difendersi, ricreando i cerchi energetici che lo avevano
protetto in precedenza dall’Onda Energetica, ma la furia della catena, motivata
ulteriormente dal sacrificio di Phoenix, sfondò la sua difesa, trapassandola e
raggiungendolo. La Divina Veste di Phobos fu
scheggiata in più punti, addirittura traforata in altri, mentre il Dio veniva
sollevato e spinto indietro, fin quasi sul bordo della fenditura.
“Aaah…Impossibile…”
–Mormorò Phobos, rantolando al suolo.
Lentamente, Andromeda ritirò le sue catene, ansimando per il notevole
sforzo, e convinto di aver sconfitto il violento figlio di Ares. Mosse un
piede, per correre in aiuto di Pegasus, il cui cosmo aveva sentito accendersi
violentemente, ma la voce profonda di Phobos lo
richiamò. Il Dio della Paura era ancora in piedi, con il viso stanco e
l’armatura scheggiata, ma aveva ancora la scure in mano, e non l’avrebbe
lasciato andare via così facilmente.
“Ho sbagliato con te, Cavaliere di Atena! Ti ho sottovalutato!”
–Ammise. –“Ma adesso che conosco i tuoi poteri non mi limiterò più neanch’io!” –E scattò avanti, brandendo la sua tenebrosa Scure
dello Sgomento, lanciandosi su Andromeda, il quale prontamente sollevò la
sua catena, che scattò come un serpente, verso Phobos.
Ma questi non si arrese, quasi avesse un diavolo in colpo, scagliando colpi su
colpi sulla Catena di Andromeda con la sua ascia.
È una furia assetata di sangue! Sta facendo a pezzi la catena! Mormorò Andromeda, osservando la violenza
brutale con cui Phobos respingeva ogni singolo
assalto. E sta avanzando! Aggiunse, notando che il Dio si faceva sempre
più vicino.
Con una brusca mossa, Phobos liberò un
fendente che dilaniò la catena, trinciandola in più punti e spingendo Andromeda
indietro, quindi lanciò nuovamente la lama della scure avanti, che roteò
intorno al corpo di Andromeda, senza venire raggiunta dalla catena, piantandosi
proprio sulla sua schiena, continuando a roteare e a scavare la sua corazza,
distruggendola e ferendo gravemente il Cavaliere, che non poté far altro che
accasciarsi al suolo.
Phobos richiamò la lama della scure, sollevando l’arma sopra Andromeda, il
quale, in ginocchio di fronte a lui, tentò di difendersi con l’OndaEnergetica,
ma senza successo, venendo le scariche di energia attratte dall’oscura ascia,
che calò su di lui tra le grida isteriche del Dio della Paura.
“No... noo…” –Esclamò Andromeda, rotolando
sul pavimento e venendo ferito ad un braccio.
“Sta’ fermo, bastardo! Non frignare! Accetta la morte che gli Dei ti
hanno riservato!”
“Non ancora…” –Sospirò Andromeda. –“Non
ancora!” –E nel dir questo espanse a dismisura il suo cosmo rosa, che si
manifestò sotto forma di una corrente di energia.
“Zitto, bestia!!!” –Urlò Phobos, calando
nuovamente la scure. Ma prima che potesse colpire Andromeda, si accorse di non
essere in grado di spingerla ulteriormente, che la corrente energetica rosastra
stava frenando i suoi movimenti.
“Cos’è?!” –Domandò, osservando l’aria intorno a sé, carica di
indicibile tensione.
“La Nebulosa di Andromeda. Il potere ultimo della mia costellazione…” –Mormorò Andromeda, cercando di rimettersi
in piedi. –“Esito sempre prima di utilizzarla, perché la sua potenza è così
devastante da non lasciare possibilità alcuna di sopravvivenza a chi la
subisce!”
“La Nebulosa di Andromeda?! Che nome altisonante per un po’ di brezza!”
–Esclamò Phobos, ritirando a sé la propria Scure.
“Non deriderai più la Nebulosa quando ti avrà travolto…
Presto la corrente si muterà in tempesta.. ed allora non resterà niente del Dio
della Paura!”
“Come osi minacciarmi, insulso essere umano! Vedremo se userai ancora
questo tono quando ti avrò tagliato la testa!” –E scattò avanti, puntando al
cranio di Andromeda, ma non appena si mosse la corrente aumentò d’intensità,
frenando i suoi movimenti, stridendo con forza contro la sua corazza,
impedendogli di giungere dal ragazzo.
“Ora… Nebulosa di Andromeda, esplodi!!!” –Gridò il Cavaliere,
liberando il suo immenso potere.
“Scure dello Sgomento
difendimi!!!” –Esclamò Phobos, piazzando l’ascia di
fronte a lui. Ma la tempesta creata da Andromeda vinse ogni difesa, travolgendo
Phobos e sollevandolo in alto, squassando tutto il
piazzale di fronte alla Tredicesima Casa, sul tetto della quale Phobos si schiantò malamente, ricadendo a terra, tra le
colonne anteriori. Lo sforzo per Andromeda fu eccessivo e il ragazzo cadde al
suolo esanime, mentre sangue traboccava fuori dalle sue ferite, soprattutto
dallo squarcio che aveva sulla schiena.
Pensò a suo fratello, e a Pegasus impegnato in battaglia contro Ares, a
pochi passi da lui, e cercò di reagire, muovendo le mani per rialzarsi. Ma non
ce la fece e ricadde al suolo, con la faccia sul pavimento. Per un momento realizzò
che in fondo morire così, vittorioso, a pochi metri dalla meta finale, era
comunque un gran risultato che aveva ottenuto. Lui, così timido e puro, che
aveva sempre rifiutato la violenza, e non aveva esitato a chiedere ai suoi
avversari di desistere, pur di non affrontarli, aveva dato grande prova di sé,
in numerose occasioni. Per Atena e per i suoi compagni.
Ma adesso, mentre la sua vita scorreva via, gli sembrò di aver
sbagliato tutto, di essere venuto meno al patto cha aveva stipulato con se stesso.
Per un momento gli parve di essere di nuovo là, alla Prima Prigione
dell’Inferno, di fronte allo sguardo impassibile e giudice di Lune di Barlog.
“Sei solo un essere umano, non disponi del diritto divino di punire gli
altri! Abbiamo un luogo di espiazione appropriato per chi come te ha peccato di
brutalità e violenza! Prima valle attende chi vita altrui spense!” –L’imperiosa
voce di Lune risuonò nella sua anima, tormentandola ulteriormente.
In quel momento, mentre la frusta di Barlog
si arrotolava intorno al suo corpo, per quanto Andromeda sapeva che fosse
sbagliato lasciarsi andare, mentre il mondo andava incontro al caos a causa di
Ade, una parte di sé concordò con le parole di Lune, ritenendole veritiere.
Aveva ucciso tante persone, combattendone altrettante, e tutto questo per
portare nel mondo gli ideali di pace e di giustizia incarnati da Atena.
Ma era davvero giusto tutto questo? Era davvero necessario spargere
così tanto sangue soltanto per inseguire un ideale, pur nobile che fosse?
Si domandò, lasciando vagare la mente indietro, travolto dai fantasmi del
passato. O c’era dell’altro? Forse Atena non era la Vergine Dea che voleva far
credere, e lui ed i suoi compagni non erano i Cavalieri della Speranza, gli
scintillanti eroi pronti a dare la vita per la libertà?
No, la verità era un’altra e Andromeda lo sapeva bene! Atena era la Dea
della Guerra, barbara soldata proprio come Ares! Poco importa che rifiutasse
l’uso delle armi, restava pur sempre un’arrogante Divinità disposta a
sacrificare i propri uomini, immolandoli come vittime sacrificali sull’altare
della giustizia. Un altare tinto di sangue, sopra il quale presto avrebbe
regnato sovrana.
E Pegasus e gli altri erano soltanto dei soldati, dei guerrafondai,
degli assassini, che avevano fatto strage di Cavalieri loro pari, causando
un’immensa guerra civile, con lo scopo di togliere Gemini dal trono di Grecia
per instaurare la silenziosa dittatura di Isabel, che non aveva tardato a
mostrare il suo vero volto, inviando i suoi guerrieri spietati a far strage di
nemici in giro per il mondo. Ovunque la stabilità alla sua tirannia poteva
essere minacciata. Ad Asgard, nel Regno Sottomarino, al Tempio della Corona, in
Ade. E infine sull’Olimpo.
La presunzione di Atena era senza limiti, come quella degli Dei tutti,
Zeus in persona, che adesso si stava servendo di loro per sconfiggere Ares,
mentre lui se ne stava comodamente seduto sul Trono Olimpico a sorseggiare
ambrosia, cullato indifferentemente da Ganimede e da Era. Questa era la realtà
dei fatti, e Andromeda lo sapeva, vittima compiacente di un’infinita guerra che
mai avrebbe avuto termine. Ma come poteva mettere fine a quei massacri? Come
poteva impedire al suo corpo di uccidere ancora, di portare ancora la violenza
e la morte in nome di Atena?
Fuggire non sarebbe stato da lui, e inoltre sarebbe stato vano, venendo
presto riacciuffato! Uccidere i suoi compagni?! Oh no... si sarebbe macchiato
di altro sangue, e questo andava evitato! Era lui che doveva morire! Sì, lui
soltanto! In questo modo avrebbe fermato la macchina bellica del suo corpo! Con
un unico gesto. Come fosse un automa, Andromeda si sollevò da terra, mentre
gocce di sangue scendevano ancora sulla sua corazza semidistrutta, barcollando
per un istante, e si incamminò lungo il piazzale dirigendosi verso la fenditura
nel terreno.
Ancora un passo!
Mormorò una voce nella sua testa, ed egli credette
davvero di sentire se stesso. Ancora uno! Insistette la voce, mentre
Andromeda si fermava, insicuro, sul bordo della faglia. Così, finiranno le
tue sofferenze! Così nessun’altro innocente sarà ucciso per cause ingiuste!
E sarà sempre pace! Sembrava così convincente, così reale, come inganno.
Ma un amico venne in suo soccorso. Un amico da lontano, che parlò al suo cuore
con voce sincera.
“Andromeda…”
“Ma.. maestro?!” –Sospirò il ragazzo, riconoscendo il cosmo del suo
maestro, il valoroso Albione di Cefeo, Cavaliere
d’Argento dell’Isola di Andromeda.
“Andromeda, il tuo cuore è nobile, io l’ho sempre saputo, ho sempre
sentito la nobiltà del tuo animo! E sempre ho sostenuto che essa sarebbe stata
la tua forza, espressione della tua grandezza!”
“Maestro mio…”
“Non lasciare che la paura delle tue azioni ti porti a gesti avventati
e contraddittori! I cuori generosi, proprio come il tuo, che credono in ideali
puri, sono quelli che maggiormente susciteranno invidia negli altri,
soprattutto in coloro che vivono di inganni e di morte, desiderando follemente
danneggiare la pacifica e luminosa visione di vita che hai!” –Spiegò Albione.
–“Perciò non disperare, mio giovane allievo, e non cedere alla paura e allo
sconforto, ma continua a credere in te stesso, e in ciò che sei, e le stelle
guideranno il tuo cammino! Sempre!”
D’incanto la voce di Albione scomparve, lasciando un vuoto nell’animo
del Cavaliere, che non poté fare a meno di aprire gli occhi, togliendo quella
polvere di tristezza che aveva offuscato la sua vista e avvelenato il suo
cuore. Trovandosi sul soglio della faglia un profondo senso di vertigine lo
invase, facendolo barcollare per un momento, e cadere all’indietro, ma subito
si rimise in piedi, riordinando i confusi frammenti delle sue idee.
“Cosa mi è successo?!” –Si chiese. Ma la risposta non tardò ad
arrivare, presentandosi sotto forma di un uomo dall’armatura scarlatta, contro
il quale aveva combattuto finora.
“Cosa non ha funzionato? Cosaaa?!” –Gridò Phobos. –“Stavi quasi per cedere, per toglierti la vita!”
“Mi dispiace, Dio della Paura, ma la vita è un bene troppo prezioso
perché vi rinunci così facilmente!” –Esclamò Andromeda, fiero del suo ritrovato
coraggio.
Liberò la catena, lanciandola nella sua ultima configurazione, la Melodia
Scintillante di Andromeda, in cui centinaia e centinaia di strali luminosi
si diressero verso Phobos, il quale ne evitò alcuni,
ma non riuscì a schivarli tutti, venendo trapassato in più punti.
“Soffrirai ad occhi aperti allora il dolore che ti avevo riservato!”
–Sibilò il Dio, bruciando il proprio cosmo, che fece piazza pulita delle Catene
di Andromeda, spazzandole via, mentre nubi di energia apparivano intorno a lui.
–“Fantasmi del Passato! Travolgete Andromeda!”
Come fossero spiriti di pura energia, indistinte forme scivolarono
nell’aria, mentre la catena tentava di fermarle, senza riuscirvi, non essendo
concrete. Andromeda fu avvolto dalle nebbie energetiche di Phobos,
che stridevano sulla sua corazza, cercando di divorare il corpo del Cavaliere
di Atena.
“Ho preso i tuoi rimpianti! Ho ripercorso assieme a te i passi che non
volevi muovere, i gesti che non volevi compiere!” –Esclamò Phobos,
confessando di essere stato lui ad insinuarsi nella sua mente, per mettere in
dubbio le certezze del Cavaliere. –“Adesso prenderò la tua vita!”
“Mai!!!” –Urlò Andromeda, tentando di liberarsi. Ma per farlo dovette
nuovamente portare il suo cosmo al massimo, ricreando la violenta corrente
energetica che spazzò via le nubi di Phobos. –“Ti
vincerò, figlio di Ares! Per Atena, e per i miei compagni! E per gli ideali in
cui credo!” –Esclamò deciso, tramutando la corrente in tempesta. –“Nebulosa
di Andromedaaaa!!!”
“Fantasmi del Passato,
portatelo via!” –Esclamò Phobos, portando entrambe le
braccia avanti a sé, a palmi aperti, nello stesso modo in cui Dohko scagliava il Colpo dei Cento Draghi.
I due assalti si incastrarono tra loro, travolgendosi a vicenda, e
raggiungendo i rispettivi avversari. Phobos fu
investito in pieno dalla possanza della Nebulosa di Andromeda, che disintegrò
parte della sua corazza, trascinandolo in alto, fino a farlo schiantare contro
le mura della Tredicesima Casa e ricadere al suolo, battendo la testa.
“Gn... nn…nooo…” –Mormorò Phobos, prima di
seguire suo fratello nell’oblio.
Andromeda, debole per il tremendo sforzo, fu travolto dagli spiriti
energetici del figlio di Ares, contro i quali la sua catena non aveva potere, e
spinto indietro, rotolando fin sul bordo della faglia, con la corazza
insanguinata e danneggiata.
“Maestro…” –Commentò, prima di chiudere gli
occhi. –“Ho vinto! Ho vinto la battaglia più grande.. con me stesso!”
Capitolo 37 *** Capitolo trentacinquesimo: Il flagello degli uomini ***
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO. IL FLAGELLO
DEGLI UOMINI.
Mentre
Phoenix, aiutato da Ippolita, combatteva contro Deimos, e Andromeda fronteggiava Phobos,
parecchi metri più in basso, in una radura di alberi inceneriti, nel cuore del
Giardino delle Esperidi, il terzo diabolico figlio di Ares, ma primo in astuzia
e potenza, faceva la sua comparsa, circondato da infernali vampe di fuoco che
travolsero Cristal e Scorpio,
già indeboliti per la battaglia contro Ladone. Flegias, il Rosso Fuoco, apparve di fronte a loro,
rivestito della sua oscura Veste Divina, inquietante solo a guardarsi, e
brandendo la sua Spada Infuocata si lanciò su Cristal,
mirando alla sua gola. Ma Scorpio, per difendere
l’amico, si spostò rapidamente di fronte a lui, lasciando che l’indemoniata
lama penetrasse la propria gola, da parte a parte, raggiungendo persino il
pettorale dell’armatura di Cristal al riparo dietro
di lui.
“Scorpiooo!!!” –Gridò Cristal,
mentre Flegias ritirava la spada, lasciando che
violenti fiotti di sangue sgorgassero dal collo del Cavaliere d’Oro,
imbrattando ulteriormente la sua semidistrutta armatura.
“Mi
faciliti il lavoro, Cavaliere di Scorpio!”
“Bada
a te, bastardo!” –Gridò Cristal, alzandosi di scatto
e scagliando un violento pugno dal basso verso l’altro contro Flegias.
Il
figlio di Ares fu abile a balzare indietro, con una capriola in aria, e ad
atterrare compostamente, stringendo ancora la Spada Infuocata e venendo
colpito solo di striscio dallo spostamento d’aria. Cristal
barcollò per un momento sul terreno, ma non poté non esitare a chinarsi sul
Cavaliere di Scorpio, agonizzante ai suoi piedi, in
una pozza di amaro sangue.
“Scorpio… che cosa hai fatto?!” –Singhiozzò Cristal, accarezzando i capelli sporchi e macchiati di
sangue del Cavaliere.
Un
violento fendente infuocato scavò il terreno, correndo verso i due Cavalieri di
Atena, e obbligò Cristal a spingere Scorpio di lato, per non essere travolti. Fu ferito alle
gambe, ma riuscì a rimettersi in piedi, incontrando il sogghignante volto di Flegias, a pochi metri da lui.
“Avrai
tempo per piangere, Cavaliere del Cigno!” –Commentò il Rosso Fuoco. –“Quando
sarai all’Inferno, non ti resterà che quello! Uahahah!”
–E nel dir questo scagliò un nuovo fendente infuocato, che scavò il terreno tra
di loro, dirigendosi con fragore su Cristal, che lo
evitò, rotolando sul terreno ghiacciato fino ai resti della carcassa di Ladone. Recuperò la spada che Orion
gli aveva donato, liberandola dall’oscuro liquido della mostruosa creatura, e
si voltò giusto in tempo per usarla per parare, con gran fatica, un fendente di
energia che Flegias gli aveva diretto contro.
“Suvvia,
mio buon amico, non vorrai combattere ancora?!” –Esclamò il Flagello degli
Uomini, con voce melodica e suadente. –“Le profonde ferite che segnano il tuo
corpo non lasciano spazio a dubbi! Stai per morire, Cristal,
e questo sarà il tuo ultimo canto!”
“Se
anche dovessi morire…” –Ansimò Cristal,
continuando a tenere Gramr avanti a sé, frenando a
fatica i colpi di Flegias. –“Io ti condurrò con me,
bastardo figlio di Ares!”
“Ragazzaccio
testardo!” –Si indispettì Flegias. –“E allora
provaci!!!” –Aggiunse, liberando un violento fendente di infuocata energia, che
travolse la spada di Orion, raggiungendo Cristal e scagliandolo indietro, tra schizzi di sangue e
frammenti di armatura.
Il
fendente trinciò la corazza del Cigno in verticale, proprio a metà, affettando
anche ciocche di capelli sporchi del Cavaliere, il cui volto sudato e stanco
era sporco di sangue e grumi di terra. Ma Flegias non
gli concesse neppure un attimo di riposo, liberando il suo violento assalto energetico.
“Apocalisse
Divina!” –Tuonò, sollevando il
braccio destro e scatenando un’immensa tempesta di energia a cui Cristal tentò di opporsi, per quanto le folgori
dilaniassero la sua corazza e il suo corpo.
“Re...
resisterò!!!” –Mormorò, ma sapeva anche lui che non sarebbe stato possibile.
D’un
tratto la tempesta sembrò calare d’intensità, come se un muro si fosse
interposto tra i due contendenti. Un muro umano.
Cristal,
che aveva socchiuso gli occhi, li riaprì improvvisamente, vedendo Scorpio in piedi di fronte a lui, che stava parando la
bufera energetica di Flegias, facendogli da scudo con
il suo corpo.
“Scorpio…Nooo.. che fai?!” –Gridò
Cristal, cercando di affiancare l’amico. Ma l’Apocalisse
Divina esplose in tutta la sua potenza, travolgendo persino Cristal, riparato dietro Scorpio,
il quale non poté far altro che portare ai limiti estremi della galassia il suo
cosmo, concentrandolo in una sfera di energia rossastra, che scagliò contro Flegias, sotto forma di una luminosa cometa.
“Antareeees!!! Per
Atena!!!” –Urlò, prima che l’Apocalisse Divina lo scaraventasse via.
Quando
Cristal ricadde a terra, schiantandosi in malo modo,
la tempesta di Flegias si stava placando e il
Cavaliere poté vedere il figlio di Ares rialzarsi da terra, toccandosi il petto
dolorante, raggiunto probabilmente dalla Cometa di Antares.
E quello gli fece tornare in mente Scorpio, l’amico
che si era sacrificato per lui, disteso a terra, in una pozza di sangue, con
l’armatura distrutta, retaggio di un glorioso passato.
“Scorpio…” –Balbettò Cristal,
rotolando su se stesso, incapace di rimettersi in piedi.
“Non
sprecare il fiato, Cavaliere del Cigno! Milo di Scorpio
ha lasciato questo mondo!” –Esclamò Flegias,
incamminandosi verso il corpo inerme del Cavaliere d’Oro e sollevando infine la
Spada Infuocata. –“Proprio adesso!” –Aggiunse, piantandola nel cranio del
Custode dell’Ottava Casa.
“Nooooo!!!” –L’urlo furibondo di Cristal
esplose nella radura del Giardino delle Esperidi, penetrando le fitte nebbie
che la circondavano. Rabbioso e furibondo, con le lacrime che gli scendevano
dagli occhi azzurri, il biondo Cavaliere si rialzò, mentre il suo cosmo
cresceva intorno a lui, raggiungendo immense dimensioni, ghiacciando tutto ciò
che si trovava loro intorno.
“Uh?!”
–Mormorò Flegias, stupefatto persino lui da un simile
prodigio. –“Un uomo in punto di morte che ancora non accetta il proprio
destino?!”
Cristal
neppure lo ascoltò, quel pazzo, limitandosi a sbattere i pugni avanti a sé, con
tutta la forza che aveva dentro, fino all’ultimo bagliore del suo candido
cosmo.
“Aurora
del Nord!” –Gridò, mentre immensi
getti di ghiaccio correvano verso Flegias, il quale,
per non essere travolto, fu svelto ad evocare lo Scudo di Ares, la
mistica barriera di energia capace di proteggerlo da qualsiasi attacco.
“Incredibile!”
–Mormorò, osservando l’interminabile sforzo del Cavaliere del Cigno.
Cristal
stava infatti seguitando a sbattere i pugni avanti a sé, in un ininterrotto
flusso di energia glaciale, pari allo Zero Assoluto, che continuava a
schiantarsi contro lo Scudo di Ares, congelando tutto ciò che stava loro
attorno, creando un immenso paesaggio siberiano. Un sospetto scricchiolio fece
spaventare Flegias, che vide, con orrore, la propria
barriera congelarsi lentamente, ricoperta da un consistente strato di ghiaccio
che la stava privando delle sue funzioni.
“Non
può essere! Lo Scudo di Ares!!!” –Urlò, mentre la sua difesa andava in
frantumi. –“Aaah!!!” –Gridò, venendo travolto dallo
scintillante vortice di energia creato da Cristal e
scaraventato lontano. Quando ricadde a terra, sbattendo la spalla destra,
lussandosela, e perdendo la presa della Spada Infuocata, Flegias osservò con stupore l’intera radura, che non aveva
più alcun tratto del mitico Bosco dalle foglie d’oro. Adesso era pari alle
desolate lande della Siberia, interamente ricoperte di ghiaccio. A fatica il
figlio di Ares si rimise in piedi, richiamando a sé la propria spada.
Apparentemente
la sua armatura era ancora intatta, poiché lo Scudo di Ares lo aveva
comunque protetto, ma guardandola bene si accorse che era ricoperta di un
consistente strato di ghiaccio. Bravo Cristal!
Si complimentò, osservando il ragazzo, crollato infine a terra, dopo aver
esaurito le proprie energie. Se il tuo assalto mi avesse investito in pieno,
mi avresti congelato vivo! Ed ucciso! E nel dir questo strusciò con la Spada
Infuocata l’intera superficie dell’Armatura Divina, sciogliendo il ghiaccio
e liberandola. Quindi si incamminò verso Cristal,
senza più quella baldanza che aveva ostentato inizialmente. Per quanto non
avesse riportato ferite esteriori, lo smacco che aveva subito, venendo travolto
dall’Aurora del Nord, era stato notevole.
E
io odio perdere! Sibilò il Rosso
Fuoco, sollevando la Spada Infuocata sopra il cranio di Cristal.
“Muoriii!!!” –Urlò, calando la lama su di lui. Ma essa non
raggiunse la testa del Cigno, in quanto Flegias fu
obbligato a muoverla di colpo alla sua destra, per parare un violento piano
energetico verticale, che aveva scavato un profondo solco nel terreno,
dirigendosi verso di lui.
“Chi
osa?!” –Tuonò il Flagello degli Uomini, osservando i due nuovi arrivati.
Di
fronte a lui, pochi metri distanti, c’era Sirio il Dragone, con il braccio
destro avanti a sé, ancora carico dell’incandescente luce che aveva sprigionato
poc’anzi, e al suo fianco Dohko di Libra. Entrambi
sporchi e malconci, con graffi sulle corazze, in parte distrutte, ma pronti a
una nuova lotta.
“Siriooo!” –Esclamò Flegias,
abbassando la Spada Infuocata. –“Che piacere rivederti! Sei dunque
arrivato fin qua! Pensavo che Gerione vi avrebbe
sbranati vivi e usato le vostre teste come defecatoio
per le sue giumente!”
“Allontanati
da Cristal!!!” –Urlò Sirio, senza curarsi delle
parole di Flegias. –“Adesso!!!”
Il
figlio di Ares, a quella frase, sorrise, con un perverso ghigno che infastidì i
due Cavalieri. –“Sai qual è il vostro problema, Sirio?” –Mormorò, voltandosi
nuovamente verso Cristal, senza curarsi dei due.
–“Siete troppo generosi, troppo preoccupati l’uno per l’altro che a volte vi
sfugge il nocciolo della questione!!!” –E nel dir questo sollevò la Spada
Infuocata, calandola poi su Cristal.
“Nooo…” –Urlò Sirio, balzando in alto, per abbattersi su Flegias, con il braccio destro avanti.
“Attento
Sirio!!!” –Urlò Dohko, che aveva compreso il rischio
che l’allievo correva.
Zac!
Con un colpo secco di spadaFlegias colpì Sirio ancora in volo, trinciando la sua
Armatura Divina proprio all’altezza dell’addome, e facendogli sputare sangue
dal dolore. Sirio si chinò a terra, toccandosi il ventre ferito, mentre Flegias, senza remore alcuna, lo colpì con un violento
calcio in pieno viso, scaraventandolo indietro.
“Sirio!”
–Intervenne quindi Dohko, liberando il suo colpo
segreto.
Un
drago di energia saettò verso Flegias, ma egli fu
abile a spezzarlo in due con la propria spada, sogghignando dietro di essa,
prima di rispedirne parte indietro e saltare verso il suo avversario. Rapidi
fendenti squarciarono l’aria, mentre fiamme avvampavano stridendo sul dorato
scudo della Bilancia, dietro al quale Dohko tentava
di difendersi.
“Frammenti!!!”
–Mormorò Flegias, continuando a colpire lo scudo con
botte rapide e decise. –“Resteranno solo frammenti di voi!!!”
Dohko
tentava di difendersi, ma l’impeto travolgente del figlio di Ares non lasciava
spazio alcuno a pensieri o riflessioni strategiche, neppure a movimenti, e
continuava a colpire lo scudo dorato, scheggiando sempre più quel che restava
dell’antica difesa.
“Addio!!!”
–Sibilò infine, puntando la cima della spada contro il cuore dello scudo. Fu un
attimo, ma Dohko sentì un dolore immenso, una rovente
energia trapassargli il braccio sinistro, mentre lo scudo d’oro andava in mille
frammenti, distrutto dalla Spada Infuocata.
“Maestro!!!”
–Urlò Sirio, tentando di rialzarsi. Bruciò il cosmo e scattò avanti, caricando
il braccio destro di energia cosmica, che assunse la forma di un luminoso
dragone verde. –“Colpo segreto del Drago Nascente!”
Ma
Flegias non ebbe difficoltà ad evitare l’attacco,
estraendo di colpo la Spada Infuocata e balzando indietro, con agili
piroette. –“Il Drago Nascente?! Che nome ridonante per un colpo così debole!”
–Lo schernì, camminando sul terreno ghiacciato. –“Io l’avrei chiamato drago
dormiente!”
“Ti
chiamerò fantasma tra poco!” –Tuonò Sirio, scattando ancora avanti. Ma,
indebolito per la ferita all’addome, barcollò cadendo a terra, e subito Flegias ne approfittò, lanciandosi su di lui, sollevando
con entrambe le mani la spada infuocata.
“Sirioo!!!” –Urlò Dohko, liberando
una delle Barre Gemellari, che si allungò fino a colpire il ventre di Flegias, mentre calava su Sirio, spingendolo indietro.
“Ancora
tu, vecchio maestro?!” –Strillò furioso il Rosso Fuoco, rialzandosi. –“Dopo due
secoli anni non hai capito che non dovresti intrometterti negli affari divini!”
“Dopo
due secoli sono sempre più convinto che le resdivinae e le reshumanae siano così simili tra loro, da rendere necessario
combattere affinché menti aperte e tolleranti collaborino insieme per mantenere
la pace su questa nostra verde Terra!”
“La
pace, eh?!” –Grugnì Flegias. –“Io odio la pacee!!!” –Gridò istericamente, lasciando partire un
violento fendente infuocato, che travolse Dohko,
trinciando la sua corazza sull’avambraccio destro. –“Ed è mio supremo dovere
evitarla, e fare in modo che le genti si combattano le une con le altre, in un
caos perpetuo, in un circolo continuo di violenza e follia! Perché la follia mi
inebria, mi eccita pazzamente, come l’acuminata lama di un pugnale che scende
sulla gola inerme di una bambina!”
“Maledetto!”
–Esclamò Dohko, scagliando un raggio di energia
contro Flegias, che non ebbe alcun problema a pararlo
con la Spada Infuocata. –“Fosti tu ad ordinare a Gemini di uccidere
Atena?!”
“Io?
O Crono? O Ade?! Che importanza ha?! Non sono tutti gli Dei un unico Dio?! Non
sono tutti dei sottoposti, manifestazioni temporanee della suprema volontà che
sta dietro la creazione?!”
“La
suprema…?!” –Ripeté Dohko.
Ma Flegias non gli diede tempo per riflettere,
balzando avanti nuovamente, brandendo la sua Infuocata Spada, che
fronteggiò la spada dorata della Bilancia. Lama contro lama, mentre frizzanti
bagliori di luce e fiamme si sprigionavano al loro contatto.
“Affonderò
questa mia lama nel tuo cranio vetusto, Cavaliere di Libra! Proprio come ho
ucciso il Cavaliere di Scorpio tuo compagno, adesso
prenderò anche la tua vita!”
“Cosa?
Scorpio?!” –Esclamò Dohko,
distraendosi per un momento. E ciò permise a Flegias
di colpirgli la mano con violenza, mozzandogli un paio di dita e facendogli
perdere la presa sulla spada che fluttuò in aria finché Flegias
non la afferrò, sogghignando compiaciuto.
“Ah
ah! Hai perso, Libra!!!” –Aggiunse, puntando la Spada Infuocata alla
gola di Dohko, il quale, per evitarla, si gettò a
terra, scivolando sul terreno ancora ghiacciato.
“Prendi,
maledetto!” –Esclamò, sdraiato in terra. –“Colpo dei Cento Draghi!!!” –E
portò entrambe le mani avanti, per quanto la destra gli sanguinasse
copiosamente e gli dolesse.
Le
zanne dei draghi di Cina si schiantarono però sulla difesa di Flegias, lo Scudo di Ares, una tecnica insuperabile
che poteva essere abbattuta provvisoriamente ma mai definitivamente, traendo
origine dal cosmo stesso del figlio di Ares. Ma Dohko
non si arrese, continuando a scaricare la possente energia dei Cento Draghi su Flegias, e sulla barriera posta a sua difesa.
“Excalibur!!!” –Urlò una voce improvvisamente.
Flegias
si voltò, trovando Sirio poco distante, con il braccio destro sollevato e un
veloce piano di energia che guizzava verso di lui, distruggendo il terreno
ghiacciato. Con agilità, il figlio di Ares balzò in alto, superando il proprio Scudo
di Ares, nel momento stesso in cui Excalibur lo raggiungeva
dall’interno, scontrandosi con i Cento Draghi e facendo esplodere la
difesa. Ancora in volo, lanciò la Spada Infuocata contro Dohko, piantandola nel petto del Cavaliere d’Oro, ancora
sdraiato a terra, e abbatté Sirio con un’onda di energia, prima di atterrare
sul terreno e liberare la devastante potenza dell’Apocalisse Divina.
La
tempesta di energia travolse sia Dohko, sollevandolo
da terra, mentre cercava di estrarre la Spada Infuocata dal suo petto,
sia Sirio, leggermente più distante, facendoli fluttuare in aria, mentre le
folgori devastanti distruggevano parte delle loro armature. Ricaddero a terra
molti metri addietro, deboli e pieni di ferite sanguinanti.
“A… Atena.. quest’uomo è il demonio in persona!!!” –Mormorò Dohko, rialzandosi a fatica.
Aveva
estratto la spada dal petto, e sangue aveva iniziato a scorrere copiosamente
sulla sua corazza, offuscando l’antica brillantezza di ciò che in quel momento
parve a Dohko soltanto un ricordo. Scorpio! Mormorò, tirando uno sguardo in lontananza,
verso il corpo inerme dell’amico di cui non avvertiva più il cosmo.
“Maestro…” –Balbettò Sirio, risollevandosi e affiancandolo.
–“Dobbiamo vincerlo! Pegasus è ormai alla Tredicesima Casa! Sento il suo cosmo
esplodere!”
“Sì,
Sirio!” –Annuì Libra, anche se non aveva idea alcuna su come abbattere il
semidio di fronte a loro. Tranne una, forse troppo rischiosa.
“Ancora
vivi?! Siete duri a morire!” –Commentò Flegias,
aprendo il palmo della mano. La Spada Infuocata, gettata via da Dohko, fluttuò nell’aria, tornando nella sua stretta presa,
mentre un ghigno di perversa soddisfazione adornava il viso maschile del figlio
di Ares, mentre la agganciava alla cintura dell’armatura.
“Siamo
Cavalieri di Atena, Flegias! Abbiamo uno scopo per
cui combattere!” –Gli rispose Sirio.
“Spero
che ne abbiate anche uno per cui morire!” –Sogghignò questi, bruciando il
proprio cosmo, vasto e oscuro, come la notte più nera.
“Ne
abbiamo molti… per cui vivere!” –Parlò una voce,
proveniente da dietro di lui.
“Uh?!”
–Mormorò il figlio di Ares, voltandosi, e vedendo Cristal
che, a fatica, si rimetteva in piedi. –“Non ti arrendi eh, Cigno?!”
“Abbiamo
troppi motivi per cui valga la pena vivere su questa Terra! Ed è così triste
che tu, Flegias, che in fondo sei un uomo, non ne
comprenda neppure uno!” –Mormorò Cristal,
trascinandosi a fatica sul terreno, per raggiungere i propri amici.
Ma
Flegias non glielo permise, avventandosi su di lui e
iniziando a tempestarlo di pugni. Diretti cazzotti in pieno viso, sul corpo
martoriato del Cavaliere di Atena, che frantumarono ancora la sua corazza
ammaccata, finché uno di questi non gli sfondò il pettorale all’altezza del
cuore.
“Cristal!!!” –Urlò Sirio, osservando il figlio di Ares
affondare il pugno destro nel petto dell’amico.Ma Cristal prevenne ogni suo movimento,
afferrando il braccio del Rosso Fuoco e sprigionando tutta la sua energia
gelante.
“Che
stai facendo?! Mollalo Cristal!!! Mollalo o te lo
maciullo!” –Ringhiò Flegias, mentre fitte di dolore
gli stavano raggiungendo il braccio, al di sotto dall’armatura.
“Almeno
questo braccio voglio troncartelo!” –Mormorò Cristal,
arrabbiato come non mai per la morte di Scorpio. –“Il
punto della bandiera!”
Flegias non rispose iniziando a colpire il Cavaliere
di Atena con pugni in pieno viso, con il braccio sinistro, e a sferrargli calci
violenti tra le gambe, sull’addome, distruggendo con la sola forza fisica la
sua Divina Corazza. Ma Cristal non era intenzionato a
lasciare la presa.
Non
finché non ti avrò gelato il braccio!
Rifletté il Cigno, incurante del dolore, delle ferite, delle botte che stava
incassando su tutto il suo corpo.
“Flegias!!!” –Gridò improvvisamente Dohko,
obbligando il figlio di Ares a voltarsi.
Prima
ancora che questi lo avesse fatto, il Tridente d’Oro della Bilancia
saettò nell’aria, piantandosi alla fine nel petto di Flegias,
proprio mentre Cristal, senza più forze, lasciava la
presa, crollando al suolo esanime, permettendo al figlio di Ares di togliere il
braccio dal suo pettorale sfondato, portando con sé la croce del nord, il
rosario ultimo dono di Natassia.
“Mio
Dio…Cristal!!!” –Esclamò
Sirio, correndo verso l’amico, sotto il quale si stava allargando una chiazza
di sangue.
Flegias
si accasciò in terra a sua volta, estraendo il tridentedorato con la
mano sinistra, incapace a muovere il braccio destro, completamente paralizzato,
diveuto un ammasso indistinto di ghiaccio.
“Maledetto
Cigno! Hai dunque mantenuto la tua promessa! Anche se in punto di morte, mi hai
ghiacciato il braccio!” –Sibilò, rialzandosi. Gli doleva il petto, avendo
alcune costole rotte a causa del tridente di Dohko,
ma fortunatamente la sua Divina Armatura aveva ben retto, impedendogli di
scendere in profondità. Nonostante tutto non voleva arrendersi. Non poteva
arrendersi. Bruciò ancora il suo cosmo oscuro, avvolgendo l’intera radura con
vampe di tetra energia, deciso all’ultimo attacco.
“Sirio!”
–Esclamò Dohko, avvicinandosi all’allievo, chinato su
Cristal, in una pozza di sangue.
“Sì…” –Rispose semplicemente Dragone, rialzandosi. Ma prima
che si rimettesse completamente in piedi, una mano afferrò la sua gamba,
sussurrando lievi parole. –“Cristal!” –Urlò sorpreso,
mentre l’amico cercava il suo aiuto per rialzarsi.
“Avete...
bisogno di me…” –Mormorò soltanto Cristal.
E Sirio comprese a cosa si riferisse, incontrando anche lo sguardo annuente di Dohko.
In
quella, la tempesta di energia si fece ancora più potente, mentre le infuocate
vampe di odio stridevano sul terreno, sciogliendo il ghiaccio e riscoprendo la
terra sotto di esso.
“Qua
giunge la fine, Cavalieri di Atena! Violenta e inesorabile!” –Esclamò Flegias, espandendo ancora il suo oscuro cosmo. E si
preparò per portare l’Apocalisse Divina ai limiti estremi, finché non si
fermò improvvisamente, osservando la strana posa che avevano assunto i tre
Cavalieri di Atena. La postura della Triade.
Dohko si
era messo nel mezzo, genuflesso sulle proprie ginocchia, mentre Sirio e Cristal erano ai suoi lati, ognuno di spalle all’altro,
rivolgendo a Flegias le proprie braccia cariche di
energia. Il figlio di Ares riconobbe la posizione del colpo segreto dei
Cavalieri di Atena, bandito dalla Dea secoli prima, ma recentemente
rispolverato.
“Ah
ah! Ma sì! Codardi!” –Li derise Flegias. –“Unite pure
i vostri poteri, usate il colpo che la vostra Dea ha proibito! Se sfidare gli
Dei non vi disturba, se la morte non la temete, potete anche non temere
l’indignazione e l’infamia!”
“Non
è per l’infamia né per la gloria, Flegias…” –Mormorò
Sirio. –“Ma per la prospettiva di un futuro migliore!”
“Che
Atena ci perdoni…” –Aggiunse Dohko,
prima di far esplodere il proprio cosmo, subito imitato da Sirio e Cristal. –“Urlo di Atena!!!”
L’energia
congiunta dei tre Cavalieri si concretizzò in un’immensa sfera cosmica che
sfrecciò verso Flegias, il quale oppose doppia
resistenza, tentando di frenarla con lo Scudo di Ares e scaricando la
bestiale potenza dell’Apocalisse Divina, lo stadio ultimo del suo cosmo
oscuro. Lo scontro tra i due poteri generò un’esplosione di immensa portata,
che spazzò via il Giardino delle Esperidi, facendo tremare tutta la Collina
della Divinità, persino Ares, impegnato in battaglia alla Tredicesima Casa. Gli
alberi dalle foglie d’oro scomparvero, come il verde manto erboso, e rocce
franarono, distruggendo l’antica scalinata dello Zodiaco, culmine estremo di
quella sanguinaria guerra.
Quando
la polvere si diradò, permettendo di vedere meglio la rovina e lo sfacelo della
Collina della Divinità, emersero i tre corpi esanimi dei Cavalieri di Atena, le
cui armature erano in buona parte frantumate e i cui visi stanchi e scavati
erano sporchi di sangue e terriccio. Ma di Flegias
non vi era più alcuna traccia.
Il primo a
riaprire gli occhi fu Sirio, sdraiato a pancia in su, la cui prima visione fu
il cielo fosco e caliginoso, e per un momento credette
di essere morto. Resosi conto di essere ancora vivo, cercò di muovere la testa,
per trovare i suoi compagni, distesi a terra vicino a lui. A fatica, allungò un
braccio verso Dohko, dalla cui crepata corazza
sgorgavano flussi di sangue, afferrandogli una mano.
“A…Atena…” –Mormorò Dohko, e questo permise a Sirio di capire che era ancora
vivo. Stringendo i denti, Sirio si rimise in piedi, svegliando il maestro e
chinandosi poi su Cristal, debolissimo ma ancora
vivo.
“Abbiamo… vinto?!” –Domandò questi. Ma Sirio non ebbe
risposta da dargli, non sapendo quale sorte fosse toccata al figlio di Ares.
Già una volta credevano di averlo spazzato via, ed invece era ricomparso, più
sadico e violento che mai.
“Pegasus
ha bisogno di noi!” –Esclamò infine, aiutando Cristal
a rialzarsi.
I
tre Cavalieri, sorreggendosi a vicenda, si incamminarono sul terreno distrutto,
cercando di trovare la strada per raggiungere la Tredicesima Casa.
Improvvisamente tre fanciulle apparvero di fronte a loro, ricoperte da un
candido velo bianco sporco. Egle, Aretusa
ed Esperia, le Ninfe del Tramonto o Esperidi. Con un sorriso mesto, mostrarono
ai tre compagni il corpo del loro amico, il Cavaliere di Scorpio,
completamente ricoperto di foglie dorate. Lo avevano protetto dalla furia
dell’esplosione, impedendo che fosse spazzato via.
Dohko le
ringraziò, prima di chinarsi sul parigrado caduto e scoprire il suo volto, per
guardarlo un’ultima volta, mentre lacrime troppo a lungo represse scivolarono
via sul suo viso sporco. Cristal avrebbe voluto
gettarsi in terra, prendere per mano l’amico e risvegliarlo, ordinargli di
alzarsi e venire con lui da Ares, a combatterlo insieme. Ma realizzò che Scorpio non lo avrebbe udito.
“No!”
–Mormorò piangendo. –“Egli non udirà più il clangore delle spade che si
affronteranno sui campi di battaglia, non sentirà più il dolore della guerra!
Adesso, finalmente, avrà il riposo eterno!”
“Che
Atena sia con te, nobile Cavaliere di Scorpio!”
–Balbettò Sirio, in lacrime.
Quindi
i tre Cavalieri di Atena si incamminarono verso la Tredicesima Casa, estremo
confine dei Templi dell’Ira, dando l’ultimo saluto al loro vecchio amico,
decidendo di onorare la sua memoria nel miglior modo possibile: sconfiggendo
Ares e liberando la Terra dalla sua nefasta presenza.
L’acuto
strillo del Cavaliere del Leone risuonò nell’aria per pochi secondi, prima che
il tremendo boato con cui l’isola dell’Apocalisse esplose, per effetto del
malvagio cosmo di Ares, lo coprisse.
Ioria
non fece in tempo a realizzare ciò che stava accadendo che si sentì trascinare
via, schiacciato da vari piani spaziotemporali, prima di ritrovarsi sulle rive
del lago di lava, proprio dove era giunto qualche ora prima, insieme alla
Sacerdotessa dell’Aquila. Ferito, con l’armatura distrutta in più punti,
penetrato dall’infuocata spada che Ares aveva immerso nel suo fianco destro,
con qualche costola rotta dalla demoniaca lancia della Guerra, Ioria rantolò
sul terreno, mentre guizzanti lapilli di lava scintillavano nell’aria intorno a
lui, testimoni soddisfatti della distruzione del Tempio dell’Apocalisse, e di
quel che restava di quell’empio luogo.
Castalia
ansimò, cercando di rimettersi in piedi, ma non ci riuscì e ricadde a terra,
trascinandosi fino al corpo martoriato di Ioria, disteso poco distante. Lo
raggiunse, aggrappandosi ad esso, stringendolo a sé, con le ultime forze
rimaste, senza dire niente, incapace di pronunciare qualsiasi parola di
conforto. Rimasero così, senza sapere neppure loro quanto e perché, vinti dalla
stanchezza e dal dolore, mentre la terra tremava ancora e le scroscianti onde
di lava increspavano la superficie del lago. Castalia si strinse a Ioria,
sfiorando il suo corpo con le braccia ferite, sperando di dargli un po’ di
affetto e di fiducia che il ragazzo capiva di aver perso.
Perché
era così che Ioria si sentiva in quel momento.
Vinto.
Sconfitto da Ares, a cui non aveva saputo tenere testa, trafitto dall’infuocata
Spada che aveva distrutto la sua sicurezza e gli aveva ricordato che egli era
ancora un mortale, un uomo mortale, come suo fratello prima di lui, e come
Virgo, l’amico che non era riuscito a salvare. Virgo! Singhiozzò Ioria,
in silenziose lacrime. Perdonami! Ho fallito! Avrei voluto essere migliore,
avrei voluto essere più forte, per sconfiggere Ares e liberarti da quel
martirio! Avrei voluto essere Micene! Sospirò infine, dando libero sfogo ad
un complesso che non l’aveva mai abbandonato per tutti quegli anni. Micene
ti avrebbe salvato! Commentò, cercando di rimettersi in piedi.
“Ioria…”
–Mormorò Castalia, osservando il ragazzo barcollare sul terreno. –“Devi
riposare!”
“Ho
già riposato abbastanza!” –Rispose bruscamente il Cavaliere d’Oro. –“Chissà
quante altre vittime Ares ha mietuto in queste ore in cui sono rimasto
inattivo!” –E subito si chiese se sarebbe cambiato qualcosa se fosse
intervenuto. In fondo, si disse, Virgo non sono stato capace di
salvarlo!
“Non
colpevolizzarti!” –Gli sorrise Castalia, rialzandosi a sua volta. –“Hai fatto
tutto ciò che era possibile per salvare Virgo! Ed egli lo sa!”
“No,
non ho fatto abbastanza! Ed è morto per causa mia, perché non sono riuscito a
salvarlo! Se avessi sconfitto Ares, saremmo potuti andarcene tutti e tre da
quell’isola infernale, senza che lui si sacrificasse per noi, dandoci la sua
ultima energia!”
“Sono
sicura che l’ha fatto col cuore, perché era ciò che sentiva in quel momento!”
“Sai…
sai qual è la cosa più ironica in tutto questo?!” –Esclamò Ioria,
singhiozzando. –“Virgo un giorno mi disse che avrebbe voluto morire sotto gli
Alberi Gemelli, dove morì il Buddha millenni fa! Mi disse che quello era il
destino scritto per lui! Ebbene, oggi con il suo gesto ha confermato la teoria
che sostengo da anni! Che non esiste alcun destino, alcun fato supremo, ma che
sono gli uomini, con i loro gesti, con le loro azioni, a determinare la loro
strada!”
“Ioria…”
–Disse Castalia, osservando una nuova luce di determinazione negli occhi del
ragazzo.
“Virgo!”
–Esclamò il Cavaliere, voltandosi verso il lago di lava. –“Hai sfidato il
destino! E per questo sei stato punito! Ma io vendicherò la tua morte, lo
giuro! Taglierò la testa di Ares e la getterò in questo lago infuocato! Voglio
vederlo agonizzare quel bastardo!!!” –E nel dir questo strinse i pugni con
rabbia, scagliando un violento colpo energetico contro l’infuocata distesa di
lava, che scivolò su essa, esplodendo in mezzo.
Ansimando
con fatica, il ragazzo voltò le spalle al lago, al tempio inabissato e a tutti
i suoi rimorsi, trascinandosi a passo stanco lungo il sentiero che avevano
percorso all’andata, seguito da Castalia, anch’ella affaticata e con poche
energie. Non riuscirono a percorrere neppure due metri che furono attaccati da
una pattuglia di berseker, inviati dal Dio della Guerra per controllare che non
vi fossero stati superstiti. Era un drappello poco numeroso, e dai poteri non
molto grandi, che Ioria avrebbe potuto sconfiggere con un colpo solo se fosse
stato in condizioni fisiche perfette. Ma in quello stato, ferito e
insanguinato, con la corazza semidistrutta, riuscì soltanto a mettersi davanti
a Castalia, per proteggerla, venendo trafitto da un paio di dardi al posto suo.
“Ioria!”
–Urlò la ragazza, osservando il Cavaliere d’Oro estrarre le frecce dalla sua
schiena.
“Va…
tutto bene!” –Cercò di sorridere Ioria, ben sapendo che non era così. Non
avevano più forze, neppure per camminare. E quelle nuove ferite sarebbero state
il loro boia. Ares, alla fine, avrebbe vinto.
Il
pensiero che Virgo si fosse sacrificato invano fece avvampare l’orgoglio del
Leone, spingendolo a bruciare al massimo il proprio cosmo, i cui dorati
bagliori invasero l’intera radura, terrorizzando per un momento i berseker di
Ares.
“Non
indietreggiate!” –Esclamò un uomo, brandendo una falce. –“È uno soltanto e si
regge in piedi per miracolo! Uccidiamolo!” –E si lanciò avanti, seguito dai
compagni, che impugnavano lance e picche.
Con
la forza della disperazione e con un tremendo sforzo di volontà Ioria mosse il
braccio destro, creando un reticolato di energia lucente, contro il quale si
infransero le armi dei berseker, venendo distrutte, prima di dirigerlo verso di
loro. Alcuni guerrieri furono travolti, ma altri riuscirono ad evitare il
colpo, non essendo portato alla velocità della luce, giungendo ai lati del
Cavaliere d’Oro.
Accerchiato,
Ioria vide picche scarlatte puntare su di lui, ed immaginò che presto le
avrebbe sentite nel suo corpo. Ma non accadde, e questo lo stupì non poco. Le
armi dei berseker andarono in frantumi, distrutte da sottili, ma precisi, raggi
di luce, che trapassarono le corazze dei guerrieri di Ares, uccidendoli subito
dopo.
“Che
cosa?! Un altro?!” –Esclamò il berseker che brandiva la falce.
“Andiamo
Falcetto!” –Lo esortò un guerriero con una lunga picca. I due berseker
scattarono avanti, brandendo le loro sanguinarie armi, ma furono investiti in
pieno da luminosi affondi dorati.Ricaddero a terra, pochi metri addietro, mentre la splendente sagoma di
un Cavaliere dalla scintillante armatura si ergeva su di loro.
“Chi…
sei tu?” –Domandò Falcetto, prima che un secco colpo di spada lo privasse della
vita.
L’ultimo
gruppo di berseker, rimasto in disparte, si dette alla fuga, ma bastò un rapido
movimento del braccio del Cavaliere scintillante a travolgerli con i suoi
fendenti dorati, e a spazzarli via.
“Maledette
carogne di Ares!” –Brontolò lo sconosciuto, ma provvidenziale, arrivato. E
questo permise a Castalia di riconoscere che il Cavaliere che li aveva salvati
era in realtà una donna.
Ricoperta
da una scintillante armatura, dal dorato colore e dalle aerodinamiche forme,
che sembrava non rappresentare alcun animale o figura conosciuta, la donna si
voltò verso di loro, domandando se stessero bene. Non era affatto alta, anzi
era più bassa di Castalia, ma aveva un fisico ben fatto e curato, con muscoli
atletici e seno abbondante; un viso sereno su cui splendevano due bellissimi
occhi, più azzurri del mare stesso, e lisci capelli castani, che parevano
trecce d’oro sfuso da tanto che erano luminosi, fermati dal brillante elmo a
diadema della sua corazza.
“Uh…?!”
–Balbettò Ioria, osservando la ragazza, mentre un senso di dejà-vu lo invadeva.
“È
un piacere rivederti, Cavaliere del Leone!” –Esclamò lei, sorridendo a Ioria.
“Reis?!”
La
ragazza si limitò a sorridere, aiutando Castalia, caduta a terra durante
l’assalto, a rialzarsi.
“Gra…
grazie.” –Mormorò la Sacerdotessa. –“Dunque.. voi vi conoscete?”
“Ci
siamo... incontrati qualche anno fa!” –Esclamò Ioria, accennando finalmente un
sorriso.
“Parecchi
anni fa…” –Rise la ragazza. –“Quando eri ancora un ragazzino inesperto, che
aveva qualche problema ad accettare il suo ruolo di Cavaliere!”
“Non
sono molto cambiato da allora…” –Rifletté Ioria, prima di fare le
presentazioni. –“Castalia dell’Aquila, ti presento Reis di Lighthouse,
Cavaliere di Luce!”
“Piacere
di conoscerti!” –Esclamò Reis con decisione, stringendo la mano di Castalia.
“Pia...
piacere mio!” –Mormorò Castalia, un po’ basita. –“Cavaliere di Luce?! Non
sapevo dell’esistenza di altri Cavalieri oltre a quelli di bronzo, d’argento e
d’oro!”
“Per
la verità io non sono un Cavaliere di Atena!” –Precisò Reis. –“Ma un Cavaliere
delle Stelle! E, a differenza vostra, non traggo i miei poteri da una specifica
costellazione, ma dalle forze stesse della natura! La luce, nel mio caso!”
“Reis
mi ha salvato la vita molti anni fa!” –Spiegò Ioria, ricordando la sua prima
battaglia, a fianco di Micene.
“Non
metterla in questi termini! Mi fai sentire vecchia! In fondo ho soltanto un
anno più di te!” –E scoppiò a ridere, mentre Ioria faceva altrettanto, davanti
agli occhi sempre più straniti di Castalia.
La
Sacerdotessa dell’Aquila, non sapeva bene come, iniziò a provare un sentimento
strano nei confronti di Reis, per quanto la ragazza li avesse salvati. Una
gelosia inconscia dovuta alla paura di perdere il posto che aveva mantenuto per
tutti quegli anni a fianco del Leone. Sospirò un momento, prima di chiedersi se
in fondo fosse mai stata davvero importante per Ioria. Se fosse mai stata guardata
come lei avrebbe voluto che fosse? Come la donna al cui fianco vivere, e non
solo combattere? Nel vedere i sorrisi e gli sguardi complici tra Ioria e
Reis, Castalia si rispose da sola, ma non ebbe tempo di dire o fare niente che
la radura fu invasa da una potente energia cosmica.
“Che
succede?” –Chiese Ioria, osservando striature violacee sul terreno stridere sui
loro corpi.
“C’è
qualcuno!” –Fremé Reis, concentrando i sensi. Quindi si voltò, scandagliando
l’aria intorno a loro, caliginosa come quando erano arrivati, molte ore prima.
E notò una figura, avvolta da un nero mantello stracciato, camminare verso di
loro. –“Chi sei?!” –Tuonò, stringendo l’impugnatura della spada. E solo allora
Castalia la notò.
Una
spada bellissima, con un’impugnatura rifinita da antichi disegni, e una lama
bianchissima e splendente, come fosse un raggio di sole. Che sia…? Si
chiese, ricordando una leggenda dei tempi antichi.
La
corrente energetica aumentò d’intensità, mentre l’ammantata figura si
avvicinava senza proferire parola. Ma ai tre Cavalieri sembrò di udire una
sottile, quanto maligna, risata risuonare nell’etere.
“Mostratii!!!”
–Urlò Reis, scattando avanti.
Rapidi
e veloci fendenti luminosi si liberarono dalla sua spada, dirigendosi verso la
figura ammantata, che li evitò, prima di scagliare un violento attacco
energetico contro la ragazza. Il contraccolpo tra i due poteri spinse entrambi
indietro, facendo volar via lo sbrindellato mantello che ricopriva la figura,
rivelandola in tutta la sua bruttezza e ferocia.
Era
una donna, dai lunghi capelli neri, che le ricadevano sulla schiena di una
scarlatta armatura, così simile, come forme, a quelle di Flegias e di Ares, per
quanto ricoprisse una minore percentuale di corpo. Era orribile a vedersi, con
quella pelle chiara, quasi verdastra, e quegli occhi intrisi di sangue, quasi
come sputassero fuoco.
“Enio
è il mio nome! Dea della Strage e della Distruzione! Sono giunta fino qua, alle
porte dell’antico Tempio del mio amante, per portarvi l’Apocalisse!”
“L’Apocalisse,
dici?!” –Esclamò Reis, per niente intimorita. –“Sarai tu ad esserne travolta,
Dea malvagia e crudele!”
“Taci,
donna!” –La zittì Enio, concentrando l’energia sul palmo della mano destra, e
volgendolo contro Reis, che fu investita in pieno e spinta indietro, scavando
solchi nel terreno con i piedi. Ma riuscì a non crollare, tenendo salda la
spada avanti a sé, usandola come lucente barriera.
“Reis!!!”
–Esclamò Ioria, preoccupato.
“Non
temere, Ioria! Vi proteggerò!” –Lo rassicurò Reis. –“Non ricordi la mia spada?
Essa non teme confronti né Divinità alcuna!” –Quindi scattò avanti, lanciando
rapidi affondi luminosi. –“Flashing Sword!” –Urlò, dirigendo migliaia di
fendenti dorati contro Enio.
La Dea della Strage dovette muoversi a velocità altissima
per non essere travolta, ma non riuscì comunque ad evitare tutti i fendenti di
Reis, precisi e taglienti. Alcuni la raggiunsero ad un fianco, stridendo
fortemente sulla sua scarlatta protezione, ed obbligandola a contrattaccare con
impeto.
“Drops of Loneliness!!!” –Gridò allora, lasciando
cadere a terra una goccia di energia.
Prima ancora che Reis potesse riflettere sul suo gesto, un
guizzante piano energetico le falciò le gambe, facendola cadere in avanti,
dolorante, perdendo la presa della spada. Un secondo cerchio energetico la
sollevò bruscamente, scaraventandola indietro, mentre l’elmo a diadema della
sua corazza volava via, scheggiandosi.
“Uahahah! Muori!!! Drops of Loneliness!!!” –Rinnovò
l’assalto Enio, lasciando cadere una nuova goccia di energia. Come un sasso in
un lago, cerchi di energia incandescente saettarono intorno a lei, diretti
verso Reis, ancora stordita, davanti agli occhi sghignazzanti di Enio, che di
Cavalieri voleva fare strage. Ma presa com’era dalla sua arrogante superbia,
non si avvide del rapido balzo di Ioria, che si portò di fronte a Reis per
difenderla, fermando con la sola forza delle mani il piano di energia.
“Che... Cosa?!” –Gridò Enio, imbestialita, aumentando la
pressione del suo assalto. Ma Ioria non era intenzionato a mollare, spingendo
con tutto se stesso, con tutte le ultime forze che gli rimanevano, mentre la
protezione dorata delle sue dita andava in frantumi e schizzi di sangue
colavano sulle sue mani logorate. –“Togliti di mezzo, bel damerino!” –Lo
apostrofò Enio, lasciando cadere una nuova goccia di energia. –“O ti taglierò
quelle mani maschili e forti!”
“Non... arretrerò di un passo!” –Mormorò Ioria, con
decisione, mentre il dorato cosmo esplodeva intorno a lui, frenando l’ardente
impeto della Dea della Distruzione.
Ho già fallito una volta, quest’oggi! Rifletté il
ragazzo, con il cuore in gola. Non permetterò che un’altra persona, per me
importante, venga uccisa davanti a me! No, giammai Ioria fuggirà! Ed
aumentò la pressione sui piani di energia, riuscendo ad allungare un po’ di più
le proprie braccia, spingendo con forza quasi delirante.
“Oooh…” –Gridò, pressando sempre di più le proprie braccia
avanti, ormai al limite della tensione. – “Cadiiiiii!!!” –Urlò, rispedendo
indietro i cerchi di energia di Enio.
La Dea della Strage, sorpresa e stupefatta che un uomo
potesse tanto, fu travolta in pieno dai propri piani energetici e scaraventata
indietro, danneggiando notevolmente i bracciali e gli schinieri della sua Veste
Divina. Sbuffando rabbiosa, come una Furia infernale, Enio si rimise in piedi,
agitandosi gli scompigliati capelli scuri, prima di battersi il petto con foga
ed emettere suoni osceni e lamenti.
“Ioria…” –Mormorò Reis, osservando il ragazzo crollare a
terra, esausto.
Per difendere me e la Sacerdotessa dell’Aquila hai
esaurito le tue forze, Cavaliere di Leo, nobile ed altruista come sempre!
Sorrise, mentre Castalia si chinava sul ragazzo per prendersi cura di lui. No,
non ho sbagliato, quel lontano giorno, sotto il caldo sole dell’Egitto, a
credere in te e nel tuo cosmo, anche se eri soltanto un ragazzino, un po’
arrogante ed irascibile, ma con un’immensa voglia di vivere e di dare! Per te,
per difendere te, adesso Reis combatterà! Rifletté, richiamando la sua
spada lucente e stringendola con forza.
“Ihihih…” –La malefica risata di Enio risuonò nell’aere
caliginoso, mentre una fitta nebbia scendeva sui tre Cavalieri.
“In guardia, Dea della Strage!” –Esclamò Reis, lanciandosi
avanti, circondata dal suo luminoso cosmo.
“Perditi… donna infame… nelle Nebbie della Disperazione..
nelle Nebbie di Sangue di cui sono Regina!!! Uahahah!” –Sogghignò la Dea,
scomparendo nella scura foschia e lasciando Reis, da sola, avvolta da
un’opprimente cappa caliginosa.
“Dove sei? Vigliacca!” –Gridò il Cavaliere di Luce,
guardandosi intorno.
Le nebbia era fittissima, innaturalmente prodotta dal
cosmo della Dea della Strage, al punto da rendere impossibile per lei ritrovare
persino Ioria e Castalia, sepolti chissà dove in quell’oscura caligine.
Improvvisamente, parve a Reis che la nebbia si muovesse, modellando oscene
figure di guerrieri armati di lance e di spade, soldati di un esercito oscuro
che dalla disperazione era nato.
“Che succede?!” –Si chiese, sbattendo i suoi occhi azzurri
come il mare.
Le orribili figure si mossero contro di lei, impugnando le
loro armi sanguinarie e mormorando versi osceni. Per un momento Reis fu quasi
tentata di lasciarli fare, credendo si trattasse di illusioni, di un trucco
ottico con cui Enio voleva ingannarla; ma quando un colpo di lancia la ferì ad
un braccio dovette ricredersi, e bruciare al massimo il proprio cosmo.
Lucenti raggi di energia sorsero dalla sua scintillante
armatura, rischiarando l’aere intorno a lei e permettendole di identificare con
ribrezzo le orride figure che aveva attorno. Un vero e proprio esercito di
ombre, tenebrosi figli della disperazione più cupa, che si avventarono su Reis
da ogni lato, impegnando duramente la ragazza, obbligandola a muoversi
continuamente, senza distogliere l’attenzione nemmeno per un momento.
“Ahahah! È inutile, Cavaliere… Presto la luce del tuo
cosmo si spegnerà, debole, proprio come te!” –La derise Enio, nascosta
all’interno dell’oscuro ammasso nebbioso. –“Abbandona ogni speranza di vittoria
e cadi, abbracciando la mortale disperazione che ti attende!”
“Mai!!!” –Tuonò Reis, con voce decisa, continuando a
muovere la propria spada e a colpire quelle deformi sagome. Ma ogni volta che
ne feriva una, tranciandola a metà con la sua affilata lama, essa si ricreava
automaticamente, rinascendo dalla propria polvere, e stringendosi sempre più
intorno al Cavaliere delle Stelle, mentre sinistre risate risuonavano nell’aria
greve.
“Esercito della Disperazione! Stringiti in un
mortale abbraccio attorno alla donna che ha sfidato la Dea della Strage!”
–Esclamò istericamente Enio, mentre l’esercito di nebbia si chiudeva su Reis.
Improvvisamente però, deludendo le aspettative di Enio,
un’abbagliante luce risplendette in mezzo all’oscurità, obbligando le deformi
figure a compiere un passo indietro. Il primo passo verso la fine.
“Spada di Luce!!!” –Esclamò Reis, sollevando la
scintillante arma con il braccio destro e lasciando che sprigionasse un’immensa
luce, capace di rischiarare tutto attorno.
Per un momento, Reis vide i volti tumefatti delle
mostruose sagome che Enio aveva creato, li vede sciogliersi come neve al sole,
svanire di fronte all’abbagliante luminosità delle stelle, che nella Spada
di Luce, ancestrale talismano del Mondo Antico, trovava espressione.
“Che cosa?! Non può essere!!!” –Ringhiò Enio, sgomenta,
mentre i fitti raggi di luce facevano breccia nell’oscura cappa, come un
piccolo ma potente sole.
“Sparite, ombre infernali!” –Gridò Reis, liberando
l’immenso potenziale della spada di cui era Custode. –“E tornate nell’inferno
di disperazione cui la vostra Dea ha attinto!”
“Non ci credo!!! Bastardaaaa!!!” –Ruggì Enio rabbiosa,
gettandosi nelle nebbie.
Come un avvoltoio, la Dea della Strage si lanciò su Reis,
avvinghiandosi su di lei con le sue torve grinfie, sbattendola a terra e
iniziando a graffiarla a più non posso, mentre i suoi serpentiformi capelli si
allungavano a dismisura, arrotolandosi intorno al corpo di Reis, fermando le
sue braccia, le sue gambe, impedendole di muoversi. Persino di respirare.
“Muori, muori cagna bastarda!!! Ti mostrerò le porte di
Ade! Riaprirò i gironi dell’Inferno per trovarti un posto dove terminare la tua
banale esistenza!!!” –Ghignò Enio, sgraffiando Reis convulsamente. Ma mentre i
suoi unghioni cercavano di penetrare la robusta protezione del Cavaliere di Luce,
un immenso calore si liberò dal corpo di Reis, accendendosi di un cosmo
luminoso, simile a quello dei Cavalieri d’Oro.
“Questo cosmo…” –Mormorò Ioria, ancora debole tra le
braccia di Castalia. –“Questa sensazione.. l’ho già provata anni fa… così
pacifica... così serena... così eterna al tempo stesso… è il calore delle
stelle.. la luce profonda della galassia!”
Vampate di luce arsero il corpo di Enio, provenendo
proprio dall’imprigionata ragazza sotto di lei, la quale, con un rapido
movimento del braccio, trinciò parte dei capelli che la rendevano prigioniera,
liberando finalmente il braccio destro, con cui brandiva la Spada di Luce.
Con un secondo colpo, recise il resto della serpentiforme chioma di Enio,
tagliando persino una mano alla Dea, che si alzò di scatto, gridando
istericamente, mentre sangue nero e orribili vipere uscivano dal suo polso
mutilato.
“Aaargh!!! Aarrgh!!!” –Gridò Enio, scuotendo il braccio
forsennatamente. –“La disperazione! La disperazione proverai per questo!!!” –E
le puntò il braccio mozzato contro, da cui uscirono schizzi di sangue oscuro e
orripilanti serpenti che erano annidati dentro il suo corrotto animo, puntando
su Reis, senza comunque raggiungerla. Il Cavaliere di Luce aveva infatti creato
una resistente barriera lucente, simile ad una scintillante cascata di polvere
di stelle, la quale la rendeva praticamente irraggiungibile ai velenosi morsi
delle vipere di Enio.
“Cascata di Luce!” –Esclamò Reis, espandendo il
proprio cosmo, ed una violenta esplosione di energia lucente fece piazza pulita
del sangue nero, delle serpi, delle rocce, di tutto ciò che le stava intorno,
scaraventando persino Enio indietro.
Quando la donna si rialzò, trovo Reis che camminava verso
di lei, brandendo con determinazione la lucente spada. La rabbia e lo spavento
che iniziò a provare la fecero impazzire, portandola a sollevare il braccio
sinistro, quello non mutilato, e a scagliare gocce di energia contro il suo
avversario, una goccia per ogni dito, a getti continuati. Bombe di energia
cosmica, come quelle che aveva lasciato cadere in precedenza a terra. Ma Reis
fu svelta a passare nel mezzo a quella fitta pioggia mortale, prima di
sollevare la Spada di Luce lasciando partire un violento fendente
energetico che travolse Enio, scaraventandola indietro e distruggendo parte
della sua corazza.
“Uaaaah…” –Gridò la Dea, stramazzando al suolo come i
nemici che aveva crudelmente torturato per millenni, mentre macchie di oscuro
sangue chiazzavano la sua corazza e il suo corpo mutilato.
“Uccidila, Reis!!!” –La incitò Ioria, immaginando che la
Dea potesse ricorrere a qualche altro bieco trucco.
Ed infatti, dopo aver rantolato per un momento sul
terreno, Enio si lanciò su di loro, afferrando Castalia per il collo, con il
braccio sinistro ancora sano, e sollevandola da terra, digrignando i suoi
giallastri denti pieni di bava e sangue. Spalancò le sue fauci e fu su di lei,
come un vampiro, di fronte agli occhi terrorizzati della ragazza e dei due
Cavalieri amici, mentre le sue nodose dita stringevano con violenza il suo
fragile collo.
“N... Nnooo!!!” –Urlò Ioria, muovendosi ad altissima
velocità.
Una sfera di rovente energia cosmica centrò il petto di
Enio, sfondandolo, e la scaraventò in alto, facendo ricadere bruscamente
Castalia a terra, ma liberandola dalla mortifera presa della Dea della Strage;
con un secondo scatto, Ioria balzò in alto, dietro al corpo deforme della
donna, travolgendola con il suo colpo sacro e scagliandola indietro, proprio
dentro il lago di lava che circondava l’isola dell’Apocalisse. Enio vi
precipitò dentro, e subito increspate onde di magma incandescente furono su di
lei, cercando di portarla sotto, mentre la Dea si dimenava come una pazza,
strillando forsennatamente. Fu una fine orribile, di fronte agli occhi di
Ioria, Reis e Castalia, arsa viva da un calore che lei stessa, millenni
addietro, aveva contribuito a creare.
“Mio Dio…” –Mormorò Reis, osservando Enio divorata dal
mare di lava. –“Una morte atroce…”
“Ha avuto ciò che si meritava e non provo pena per lei!!
No…” –Commentò Ioria, crollando a terra. –“Avrei voluto gettarvi Ares…”
Il ragazzo ansimò convulsamente, respirando a fatica,
sfinito com’era, mentre la vista andò sfumandosi e i suoi sensi si fecero
sempre più deboli ed incapaci di percepire le vibrazioni attorno. Cadde sul
terreno, affondando nella polvere i suoi mossi capelli castani, lasciandosi
finalmente vincere dal tempo. Da quel tempo in cui per tredici anni non si era
mai sentito parte.
Virgo… Mormorò, ripensando all’amico che non era
riuscito a salvare. Come non aveva salvato Micene molti anni prima, come non
aveva creduto al buon cuore del fratello, venendo meno a quel legame di sangue
e di affiatamento che era esistito tra loro. Castalia... La donna che
gli aveva dato una ragione per tornare ad Atene, in quei tredici lunghi anni in
cui aveva cercato di farsi affidare più missioni possibile dal Sacerdote, per
andarsene dal Grande Tempio, dove tutti lo guardavano male, e per compiere
prodi azioni, che potessero ristabilire il buon nome di Micene, che Ioria si
ostinava disperatamente a voler ripulire. Per quanto il fango fosse su di lui,
come lo era su tutti i Cavalieri del Grande Tempio, vittime inconsapevoli di un
potere più grande di loro.
Ma era davvero così? Era solo per ripulire l’onore
macchiato dal fratello che Ioria si era lanciato in continue sfide suicide, in
guerre senza causa, o c’era qualcosa di più? Qualcosa che il Cavaliere di Leo
aveva tenuto nascosto per tutti quegli anni, segretamente sperando di poterla
rivedere un giorno. Non importava dove, non importava quando, importava
soltanto specchiarsi nuovamente nei suoi occhi, azzurri come il mare, profondi
come le stelle.
Rispecchiarsi negli occhi della ragazza che lo aveva
salvato anni prima, sotto il sole d’Egitto, curando le sue ferite e donandogli
un sorriso di cui la vita poi sarebbe stata avara. Rispecchiarsi in quegli
occhi in cui si era sentito meno solo.
Perciò ben venissero le guerre, se quelle potevano portare
a lei, a Reis di Lighthouse, Cavaliere delle Stelle, Custode della Spada di
Luce.
Capitolo 39 *** Capitolo trentasettesimo: Assedio finale ***
CAPITOLO TRENTASETTESIMO. ASSEDIO FINALE.
L’Olimpo era
invaso dalle fiamme devastanti di Tifone e dei berseker, dilaniato fino nelle
più recondite profondità dal demoniaco cosmo del Dio della Guerra e dei suoi
infernali soldati. Seduto sul trono del Grande Tempio di Atene, Ares aizzava i
suoi guerrieri all’ultimo assalto contro il Cancello del Fulmine, al di là del
quale avrebbero raggiunto la Reggia di Zeus.
Tifone aveva
abbattuto Gige e Cotto, due degli Ecatonchiri risvegliati da Zeus, e adesso
stava affrontando Briareo, il più nobile e il più forte tra i tre. Ma
anch’egli, per quanto possente e giusto, non aveva la forza, da solo, per
contrastare la malefica brutalità della più orrenda bestia che la Terra avesse
mai partorito. Le vipere di Tifone gli entrarono dentro, dilaniando le proprie
carni, azzannando le robuste braccia, che si dimenavano confusamente, che
cercavano di bloccarlo, di colpirlo con le loro clave. Fallendo continuamente.
Ai loro piedi le
ultime centinaia di berseker, che avevano dato fuoco ai vuoti Templi del Sole e
dei Mercanti, disonorando i loro custodi, abbattendo statue e colonne antiche,
sfoderavano le armi per la battaglia finale, di fronte al Cancello del Fulmine.
Quando vi giunsero, guidati da Enomao, ritto e tronfio sul suo carro, trovarono
soltanto un uomo ad aspettarli: basso e gobbo, ricoperto da una luminosa Veste
Celeste, decorata da decorazioni rossastre simili a lingue di fuoco.
Non lo
riconobbero, e fu loro fatale.
“Aaalt!!!” –Gridò
Enomao, sollevando il braccio destro e ordinando ai guerrieri di radunarsi
intorno a lui. –“Soldati della Guerra, infine ci siamo! Alle porte
dell’Olimpica Reggia siamo giunti! Soltanto un gobbo si pone tra noi e
l’obiettivo finale, la testa del Sommo Zeus, che porteremo a nostro Padre, Dio
Supremo della Guerra e del Sangue, per omaggiarlo del dono che ci ha fatto! Il
più grande! Essere qua quest’oggi, ad abbattere i Cancelli Olimpici!!!” –E
tutti i guerrieri gridarono selvaggiamente, sbattendo le lance e le picche, calpestando
con ferocia il terreno sotto di loro, mentre sguaiati inni accompagnavano le
incitazioni all’assalto. –“Per la Guerra, madre del mondo, Signora suprema che
regola i destini degli uomini!!!” –Gridò Enomao, affiancato presto da Molo,
Pilo e Testio. –“E per Ares, nostro Signore e Padrone! Avanziamo!!!”
“Sììì… iaaahh!!!”
–Gridarono confusamente i berseker, lanciandosi all’assalto, come una mandria
di bisonti in carica.
“Sciocchi!”
–Mormorò l’uomo di fronte al Cancello del Fulmine. Senz’altro aggiungere,
espanse il suo caldo cosmo e lo concentrò sulle proprie possenti braccia,
scagliando due pugni nel terreno. Come reazione, la terra tremò per un momento
sotto i piedi dei berseker ed immediatamente getti di energia incandescente
sgorgarono dal terreno, decimando le file dei soldati di Ares.
“Aaargh!!!”
–Urlarono in molti, venendo travolti. Ma altri li incitavano a non cedere e a
continuare, lanciando frecce e lance acuminate.
“Lava
Incandescente!” –Gridò
infine l’uomo, sollevando le braccia avanti a sé e liberando l’immenso
potenziale racchiuso in esse. Getti di caldo magma sfrecciarono verso i
berseker, che si fermarono di colpo, spaventati e terrorizzati, mentre la prima
fila veniva raggiunta dall’assalto dell’uomo, e carbonizzata, arsa viva in quell’infuocata
lava che soltanto un Dio poteva ricreare.
“Efesto!!!”
–Mormorò Enomao, scuotendo le briglie dei propri cavalli alati, i quali si
sollevarono giusto in tempo per evitare un violento getto di lava diretto
proprio contro il Carro Furioso. Ma il figlio di Ares non potette gioire molto
dello scampato pericolo che un’agile figura fu su di lui.
Circondato da
sfolgoranti saette, un Cavaliere dalla violacea corazza comparve dagli alberi
che circondavano lo spiazzo antistante al Cancello del Fulmine e balzò su di
lui, colpendolo a gambe unite in pieno petto e scaraventandolo lontano, mentre
i cavalli imbizzarriti fuggivano nel cielo.
“Argh,
maledizione!” –Sibilò, rialzandosi a fatica e osservando colui che lo aveva
atterrato: un ragazzo di media altezza, con folti capelli castani e un viso
determinato, ricoperto da una corazza viola con un corno in testa, raffigurante
il mitico Unicorno.
“Asher è il mio
nome, Cavaliere di Atena!” –Si presentò, scattando subito su Enomao con i pugni
carichi di energia cosmica. Ma questi non si fece prendere nuovamente alla
sprovvista, evitando i colpi del ragazzo, portati ad una velocità inferiore a
quella della luce, a cui il figlio di Ares si muoveva, e bloccando infine il
pugno di Asher con il suo, stringendolo poco dopo.
“Se non molli il
pugno te lo distruggo!” –Sibilò Enomao.
“Mai!!!” –Ringhiò
Asher, con una profonda determinazione negli occhi. E subito mosse il pugno
sinistro per cercare di colpire il braccio con cui l’uomo gli aveva fermato il
destro, sbattendolo con forza su di esso. La corazza di Enomao non subì alcun
danno, ma il guerriero ritirò comunque il braccio dolorante, sollevando
l’altro, mentre sotto di esso risplendeva una lucente ruota di energia.
“Ruota del
Carro Furioso! Travolgilo!”
–Esclamò, mentre l’energetica ruota sfrecciava verso Asher, investendolo in
pieno e scagliandolo in alto, fino a farlo ricadere a terra molti metri
addietro.
Una decina di
berseker furono subito su di lui, brandendo spade acuminate, mentre Enomao
scattava via, tentando di richiamare i cavalli alati del suo carro e
riorganizzare le fila dei guerrieri, disorientati dalla lava di Efesto.
“Stai fermo,
moscerino!” –Esclamò un berseker, calando una lancia su Asher, che fu svelto a
rotolare sul terreno evitando l’affondo, prima di rialzarsi e bruciare il suo
cosmo.
Il corno
argentato posto sul suo elmo iniziò a brillare, mentre sfavillanti folgori di
energia lo circondarono, ricoprendo tutto il suo corpo, prima che il ragazzo le
liberasse, scagliandole contro i suoi nemici. Alcuni berseker vennero raggiunti
dalle scariche energetiche, crollando a terra, ma altri, più resistenti, si
unirono tra loro, caricando compatti il ragazzo.
“Iaaah! Per
Ares!!!” –Gridarono, emettendo suoni bestiali, e puntando lance e lame avanti.
Asher li lasciò
avvicinare ancora un po’, evitando le lance che gli venivano scagliate contro,
prima di balzare in alto con un salto e ridiscendere in picchiata, con le gambe
tese, sulle teste dei guerrieri.
“Criniera
dell’Unicorno!!!” –Esclamò,
piombando sul cranio di un berseker e sfondandolo, prima di balzare nuovamente
in alto e ridiscendere su un’altra testa, e su un’altra ancora.
“Ora basta!”
–Gridò infine un grosso guerriero, lanciando la propria palla chiodata contro
il ragazzo, afferrandolo in volo per una gamba e sbattendolo a terra con forza,
spaccandogli un labbro.
Asher strinse i
denti, mentre il guerriero tirava con forza la sua catena, sollevandolo e
facendolo girare intorno a sé, prima di scagliarlo contro un albero.
Immediatamente un
nugolo di frecce piovve sul Cavaliere di Bronzo, che fu svelto a muoversi,
venendo ferito solo da un paio, lanciandosi sul terreno e sferrando un violento
calcio dal basso alla gamba del robusto guerriero, facendolo crollare, prima di
rialzarsi e scattare su un altro.
“A terra,
pulce!!!” –Lo bloccò un berseker, piantandogli una lancia nella gamba destra.
“Aaargh!!!”
–Gridò Asher, contorcendosi dal dolore. Ma seppe reagire comunque, bruciando il
proprio cosmo violetto, liberandosi del suo nemico con un violento calcio con
la gamba ancora sana e sfilando la lancia dalla sua coscia, trattenendo un urlo
di dolore, caricando proprio con essa il berseker, e trapassandolo da parte a
parte. Altri guerrieri furono subito su di lui, ma con un colpo secco della
lancia li tenne lontani, ringhiando rabbioso, sia per il dolore che per il
desiderio di vendicare i compagni che quelle turpi bestie avevano barbaramente
ucciso.
“Clap clap!!!”
–Qualcuno improvvisamente lo applaudì, facendosi largo tra il gruppo di
guerrieri. –“Complimenti, Unicorno! Non pensavo che ti avrei ritrovato quassù,
alla Reggia degli Dei Olimpi!”
“E tu chi diavolo
sei?!” –Esclamò Asher, osservando il guerriero che aveva parlato.
Basso e
tarchiato, con mossi capelli neri che scendevano fino alle spalle, un viso
robusto e barbuto, un solo occhio, nero come la notte, mentre sull’altro
portava una cicatrice vistosa; era ricoperto da una corazza piuttosto tozza,
dall’inquietante colore viola scuro, che al posto dei coprispalla e sopra i
ginocchi portava degli orribili teschi bianchi, segni distintivi della sua
furia demoniaca.
“Ossilo, del
Teschio Letale!” – Si presentò l’uomo, dando ordine agli altri guerrieri di
allontanarsi. –“Figlio di Ares!” –Precisò, a denti stretti.
“Ossilo…”
–Mormorò Asher, a cui quel nome non diceva niente.
“Sei stato più
fortunato dei tuoi compagni, Unicorno! Se non fosse stato per quel marmocchio
saresti morto insieme a loro!” –Esclamò Ossilo, facendo avvampare Asher.
“Bastardo! Eri
dunque tra gli assassini di Geki e gli altri?!”
“Non direttamente
uccisi quei poveracci. Ma ero tra i berseker che invasero il Grande Tempio, e
là ti vidi combattere, infuriato e determinato… proprio come adesso!”
“E con la stessa
determinazione di sempre ti vincerò!” –Gridò Asher, scagliando la lancia contro
Ossilo, il quale, senza scomporsi, sollevò il braccio destro, reggendo in mano
un bianco oggetto dalla tozza forma, sui cui la lancia si piantò, balzando via.
–“Uh?!” –Mormorò Asher, prima di sgranare gli occhi stupefatto, e inorridito.
–“Ma quello è… un teschio?!”
“Esatto! Mostrami
adesso, di fronte a questa mortifera pioggia, la tua determinazione! Mostrami
cosa può fare la determinazione di un uomo inferiore, in procinto di morire!”
–E nel dir questo lanciò il teschio contro Asher, presto seguito da altri
dieci, cento, mille orribili teschi.
Asher cercò di
evitarli, per quando la gamba destra ferita limitasse notevolmente la sua
agilità nello scatto, muovendosi rapidamente, senza curarsi dei teschi che
esplodevano toccando terra, e del maleodorante odore che emanavano.
“Bleah…” –Commentò
il Cavaliere, nauseato. –“È orribile!”
“Orribile dici?!”
–Ripeté Ossilo, rinnovando l’assalto. –“No! È mortale!” –Sibilò con un ghigno
di perversa soddisfazione, respirando gli effluvi dei teschi che reggeva. –“Pioggia
di Teschi!” –E una moltitudine di teschi ricadde su Asher, alcuni
raggiungendolo e schiantandosi contro la sua bronzea corazza, altri
schiantandosi in terra, liberando un nauseabondo odore di morte, che il
Cavaliere fu suo malgrado costretto ad inalare.
Quando Asher
cercò di colpire un teschio con un pugno si piegò in avanti in preda ad un
violento attacco di tosse, a cui ne seguì un altro, ed un altro ancora, che lo
portarono a terra, dilaniandogli i polmoni, stridendo sulla sua gola, come se
lentamente il respiro gli venisse a mancare. D’istinto si tolse il pettorale
dell’armatura, poi i coprispalla, i bracciali… la pelle stessa gli sembrava che
lo opprimesse, che lo facesse soffocare, impedendogli di respirare aria pura.
“Eh eh... è
letale l’esalazione dei teschi di Ossilo. Pallidi, come l’ultimo raggio di
luna, come i tuoi occhi mentre rantolando a terra, privo ormai di ogni alito di
vita, allungherai la mano per afferrare un pezzo di infinito.. che negato ti
sarà!” –Commentò Ossilo, avvicinandosi al giovane semivestito.
“Cough cough….”
–Asher tossì ancora, sputando convulsamente, mentre la vista gli sembrò
annebbiarsi sempre di più. –“Che succede?! Non respiro…”
“Non temere… tra
poco non tossirai più! Tra poco non ti dimenerai più!” –Mormorò Ossilo, mentre
Asher si accasciava a terra, sempre più debole ed incapace di respirare e
reagire. –“Abbandona ogni agitazione e accetta la morte, Cavaliere di Atena,
presto sarai con i tuoi adorati compagni!”
E fu quell’ultima
frase a spingere Asher a ribellarsi, a reagire all’intorpidimento del suo
corpo, al sonno eterno che lentamente stava scendendo su di lui. Bruciò il
proprio cosmo, cercando di rimettersi in piedi, pur continuando ad avere
violenti attacchi di tosse, pur continuando a sentire gli occhi bruciargli dal
dolore. Non.. mi… arrendo! Mormorò, rimettendosi a fatica in piedi e
stringendo i pugni per il dolore, come un vero Cavaliere doveva fare. Aspides,
Geki, Ban, Black… sorreggetemi dal Paradiso dei Cavalieri! Asher combatterà
anche per voi!
“Incredibile!”
–Esclamò Ossilo, genuinamente sorpreso, mentre le vestigia dell’Unicorno
tornavano sul petto di Asher, circondato dal proprio sfolgorante cosmo. –“Hai
deciso di lottare, Cavaliere? Preferisci dunque una morte violenta, sul campo
di battaglia, che non la lenta agonia a cui il mio gas letale voleva indurti?!
E sia dunque… crepa!!!” –Gridò, scagliando migliaia di teschi contro Asher.
Devo evitarli! Si disse il Cavaliere, scattando di lato ed
iniziando a girare in cerchio intorno al figlio di Ares, che continuava a
scagliare teschi esplosivi su di lui, senza colpirlo. Ma ogni teschio che
cadeva a terra, esplodendo, liberava altro gas mortifero, ed Asher stava
ricominciando a sentirne l’effetto. Questa volta sotto forma di un violento
prurito, sempre insieme a violenti attacchi di asma. Maledizione!
Ghignò, fermandosi e bruciando al massimo il proprio cosmo. Cerchi concentrici
di energia cosmica partirono dal suo corno, espandendosi nell’aria intorno come
onde sonore, fermando la pioggia infernale di teschi esplosivi.
“Che cosa?!”
–Gridò Ossilo, osservando i propri teschi venire distrutti, mentre erano ancora
in volo, dalle onde di energia emanate da Asher.
“Per Atenaaa!!!”
–Urlò Asher, caricando il suo corno d’argentea energia, e lanciandosi avanti,
come un toro in corsa. –“E per voi, amici miei! Guardatemi!” –La carica di
Asher travolse Ossilo in pieno, mentre il suo acuminato corno penetrò la cotta
del figlio di Ares, raggiungendo le carni al di sotto di essa e infondendo in
esse lo scintillante crepitio del cosmo dell’Unicorno.
“Corno
d’Argento!!!” –Strillò il
Cavaliere, colpendo con un violento pugno dal basso il mento di Ossilo, il
quale, traforato dal corno, fu spinto in alto, mentre luminose folgori
schiantavano la propria corazza, fino a ricadere a terra, molti metri addietro.
Stremato per lo
sforzo, e per le difficoltà respiratorie, Asher si lasciò crollare sulle
ginocchia, prima di vomitare tristemente, tossendo in continuazione. A fatica,
tentò di rimettersi in piedi, riuscendo a focalizzare, con i proprio occhi
semispenti, delle sfere rotolanti verso di lui. Dei globi dalla deforme sagoma
umana. Con orrore, Asher aprì gli occhi e si trovò di fronte le teste mozzate
dei suoi cari amici: Ban, Black, Geki ed Aspides erano lì, intorno a lui, crani
vuoti e scavati, dai capelli bruciati e gli occhi incavati, mostruose forme di
un abominevole delitto.
“Nooo!!! Nooo!!!”
–Urlò, prendendosi la testa tra le mani.
Gli scoppiava da
morire, senza dargli tregua, mentre un forte voltastomaco lo faceva vomitare
continuamente. Lui che aveva sempre desiderato combattere a fianco dell’amico
Pegasus, per difendere l’amata Isabel, adesso che aveva tastato il terreno di
gioco, il campo di battaglia, ne era rimasto sconvolto, sconcertato. Solo.
“A... Amici…”
–Rantolò, mentre fiotti di bava scendevano dalla sua bocca sfigurata. Come in
un mostruoso incubo, le teste dei quattro Cavalieri iniziarono a deformarsi
ulteriormente, squagliandosi a poco a poco, mentre nugoli di mosche ronzavano
disgustosamente loro attorno. –“Nooo!!! Noo... Via…” –Esclamò, muovendo
convulsamente le mani, per scacciare quei fastidiosi insetti, senza riuscire
neppure ad afferrarli. –“Nooo…”
Crollò infine a
terra febbricitante, incurante della battaglia che proseguiva intorno a lui e
di sinistri passi che si avvicinavano al suo corpo stanco. Una mano lo sollevò
bruscamente, strattonandolo per il collo e portandoselo di fronte all’unico
occhio ancora funzionante. Asher, da tanto che era debole, non riuscì neppure a
torcere lo sguardo per fissare il suo nemico, Ossilo del Teschio Letale, colui
che con le sue mortifere esalazioni lo aveva ridotto in quel modo, creando
inganni e percezioni illusorie di una realtà che non era comunque molto diversa
da quella che il ragazzo aveva vissuto.
“Addio,
Unicorno!” –Mormorò il figlio di Ares, concentrando una sfera di energia nel
palmo sinistro. – “Ritroverai i tuoi compagni all’Inferno!” –E in quel momento,
in quei pochi secondi, mentre la mano di Ossilo si avvicinava minacciosa al
petto di Asher, quattro voci giunsero in aiuto del Cavaliere di Bronzo,
direttamente dal Paradiso dei Cavalieri. Quattro voci che parlavano con una
soltanto, quella del suo cuore.
“Asher!!! Asher,
svegliati!!!”
“Coraggio,
amico!! Non vorrai lasciarti andare?! Puoi stenderlo!”
“A… amici…” –Boccheggiò
Asher, muovendo leggermente la testa, stretto dalle robuste dita di Ossilo.
–“Voi... qui?!”
“Certo che siamo
con te, Cavaliere!” –Esclamò Geki, finalmente riconosciuto da Asher. –“E non
abbiamo intenzione di abbandonarti, né ora né mai!”
“Perciò coraggio,
amico, reagisci!” –Lo incitò Ban. –“E dimostra a quello sporco figlio di Ares
il valore di un Cavaliere di Atena!”
“Di un
combattente per la giustizia!” –Sorrisero Aspides e Black.
“Amici… voi…
dentro di me… per sempre!” –Mormorò Asher, mentre le voci dei quattro amici
scomparivano, perdendosi dentro il suo cosmo e diventando un’unica infiammante
energia.
Sì! I miei amici vivono in me, e così sarà
per sempre! Finché l’ultimo soffio di vita non abbandonerà il mio corpo malato,
io combatterò, e loro saranno orgogliosi di me, orgogliosi di aver donato la
vita per salvarmi! Per permettermi di essere qua, oggi, a combattere per Atena,
a decidere i destini del mondo! Asserì, mentre il luccicante cosmo
dell’Unicorno esplodeva intorno a lui, stupendo lo stesso Ossilo.
“Che prodigio è
mai questo?!” –Si chiese il guerriero, costretto ad abbandonare la presa, da
tanto calore che il corpo di Asher sprigionava.
“Non è un
prodigio, figlio di Ares... è un sogno!!!” –Esclamò Asher, bruciando ancora il
proprio cosmo, vasto ormai come una galassia intera. –“Un sogno che mi è stato
donato da quattro amici che adesso vivono in me, che credono in me!!! E che non
ho intenzione di deludere, né ora né mai! Corno d’Argentooo!!!” –Gridò,
caricando il pugno di scintillante energia cosmica.
Come un
punteruolo argentato, il colpo trafisse Ossilo al cuore, sfondando la sua
corazza e uccidendolo, mentre il Cavaliere, sfinito, barcollò ancora per
qualche istante, prima di crollare sulle ginocchia. Rimase così, ciondolante su
se stesso, con gli occhi semichiusi, finché un violento calcio non lo colpì in
pieno petto, scaraventandolo indietro. Un paio di berseker si avventarono su di
lui, percuotendo il suo corpo inerme, ma improvvisamente un incandescente dardo
trapassò i loro corpi, facendoli accasciare a terra, mentre un corno risuonava
a gran voce su tutto l’Olimpo.
“Posso aiutarti,
Asher?!” –Esclamò una squillante voce di donna.
“Ti... Tisifone…”
–Mormorò il ragazzo, facendosi aiutare dalla Sacerdotessa, che aveva l’armatura
scheggiata ed il viso pieno di lividi.
Dietro di lei
Artemide, Dea della Caccia, e uno scintillante oceano di cosmi luminosi, i
legionari nascosti che Zeus aveva richiamato sull’Olimpo: i Cavalieri di
Glastonbury, guidati da Ascanio Testa di Drago. Come uno sfavillante fiume di
energia, i Cavalieri Celesti si abbatterono sull’esercito di Ares, in un
affascinante, quanto mortale, scontro di cosmi e di corpi, di valori e di
ideali. Sfondarono le fila della sorpresa armata della Morte e della Guerra,
travolgendo i malvagi soldati che già pregustavano la vittoria finale. Così
vicina, così irraggiungibile.
Soltanto pochi
furono i coraggiosi che riuscirono a sottrarsi alla mischia che si creò di
fronte al Cancello del Fulmine e tentarono di passare oltre, ma trovarono
Efesto, Dio del Fuoco, e Artemide, Dea della Caccia, pronti a sbarrare loro il
passo; la maggioranza combatté nel mucchio, caoticamente e anonimamente, come
Ares li aveva addestrati, senza interesse alcuno per i propri compagni, che
altro non erano se non soldati loro pari, solo per l’obiettivo finale di
conquista.
Impetuoso, il
cosmo di Ares avvampò sul deturpato terreno, sollevando vampe di fuoco, mirando
a spaventare i Cavalieri di Zeus e ad accendere violenza e passione guerriera
nei suoi berseker, ormai decimati e circondati; da un lato i Cavalieri Celesti,
dall’altro le Divinità e gli ultimi difensori della Reggia di Zeus: Efesto,
Artemide, Asher, Tisifone, presto raggiunti anche dagli altri Cavalieri. Vi fu
una vibrazione nello spaziotempo e il Cavaliere di Ariete apparve direttamente
al Cancello del Fulmine, sorreggendo gli indeboliti Dioscuri, mentre Phantom,
al suo fianco, reggeva Giasone, il cui corpo ed il cui spirito erano a pezzi.
Un gorgo di energia acquatica e una pioggia di stelle frantumarono gli scudi
dei berseker e anche Mur e il Luogotenente dell’Olimpo scesero in campo.
Nella continua e
scompigliata battaglia che avvampò, vedendo sangue scorrere presto lungo le
distese del Monte Sacro, un uomo, su un carro trainato da cavalli alati,
travolse un buon numero di Cavalieri Celesti, brandendo un’affilata sciabola:
Enomao del Carro Furioso.
“Yeah!!!” –Gridò,
incitando i berseker alla lotta. –“Non fuggite, pavidi! Non arretrate!!!
Fossero anche centomila, i Cavalieri di Zeus, cadranno tutti nel Tartaro più
oscuro, dove noi li confineremo, insieme agli Dei che hanno osato opporsi al
volere di nostro Padre!” –Ma per quanto le sue parole accendessero l’animo dei
più esaltati e violenti, una buona parte dei berseker si sentì sfinita,
disillusa, ad un passo dall’obiettivo finale, senza la forza di raggiungerlo.
“Nel
Tartaro getterò te e la tua biga!” –Esclamò una decisa voce maschile,
piantandosi davanti al Carro Furioso.
Il figlio di Ares
osservò il Cavaliere Celeste che aveva di fronte, giunto da chissà dove a
difendere il suo Signore. Alto, con scompigliati capelli neri, occhi scuri,
viso abbronzato, ed un corpo perfetto, ricoperto da una scintillante Veste
Divina raffigurante due dragoni, uno bianco e uno rosso.
“Sono
il Comandante dell’Ultima Legione, Ascanio Testa di Drago!” –Si presentò,
bruciando il proprio cosmo, vasto e luminoso.
“Dovrebbero
chiamarti Testa di Legno invece!” –Lo derise Enomao, frustando i propri
cavalli. –“Non sai che è follia mettersi di fronte ad Enomao del Carro
Furioso?!”
“Il
re di Pisa?!” –Mormorò Ascanio, tra sé, aggiungendo divertito. –“Se non ricordo
male finisti ucciso dal tuo stesso carro!”
Enomao
era infatti figlio di Ares e di Arpinna, e padre di Ippodamia, splendida dama
da molti chiesta in sposa. Ma il padre, violento e sadico di natura, aveva
stabilito una gara nuziale per la mano di sua figlia: sfidava i pretendenti in
una corsa con il carro, alla quale partecipava con i cavalli alati che Ares gli
aveva donato, risultando quindi invincibile. Uccisi i pretendenti sconfitti
usava le loro teste per decorare il suo palazzo. Ma fu proprio la figlia,
innamoratasi follemente del giovane Pelope, a tradirlo, corrompendo il
cocchiere del padre, Mirtilo, che segò l’asse del carro, facendolo quindi
cadere durante la gara, e morendo travolto dal suo amato carro.
“Non
ricordarmelo!” –Tuonò Enomao dall’alto del carro. –“Avessi Mirtilo avanti a me
gli taglierei la gola!” –Sibilò, brandendo la propria sciabola. –“Ma in
mancanza sua… farai tu le sue veci!” –Ed incitò i cavalli a correre avanti,
lanciandosi contro Ascanio, il quale, per niente intimorito, aspettò che il
carro gli fosse di fronte per spostarsi di lato, evitando di essere travolto.
Ma
Enomao volse subito indietro il suo Carro Furioso, forte anche del potere
divino dei suoi cavalli, e si lanciò nuovamente alla carica, puntando su
Ascanio a gran velocità, ma mentre gli animali piombavano su di lui si
imbizzarrirono improvvisamente, impennandosi e nitrendo come folli, facendo cadere
malamente Enomao a terra.
“Ma
che diavolo?!” –Esclamò Enomao, rialzandosi sconcertato.
“Uuuhhh…”
–Mormorò Ascanio, ancora in piedi di fronte ai cavalli spaventati, sollevati
sulle sole gambe posteriori. Le sue braccia, agli occhi di Enomao, avevano
mutato forma, diventando due immensi verdi serpenti intrecciati, che
sprigionavano energia cosmica, e ciò aveva spaventato notevolmente i due
cavalli, contro cui Ascanio aveva puntato le braccia.
“Maledetto!
Con me i tuoi trucchi non attaccano!” –Dichiarò il berseker, lanciandosi contro
Ascanio con la propria sciabola.
“Trucchi?!”
–Mormorò questi, puntando un braccio contro Enomao, che fu scaraventato a terra
da un violento getto energetico, schiacciato dalla mostruosa sagoma di un
serpente di pura materia cosmica.
“Trucchiii!!!”
–Gridò, muovendo confusamente la sciabola sopra di lui per colpire il serpente.
Ma l’evanescente figura era intangibile, ed Enomao non riusciva a colpirla.
Pur
tuttavia la sentiva su di sé, schiacciandolo a terra, stritolandolo, sibilando
con la sua lingua biforcuta, mentre folgori di energia pura stridevano sulla
sua cotta scarlatta. Impaurito, il figlio di Ares si portò due dita alla bocca
e fischiò, attirando i cavalli alati che saettarono verso di lui, sfrecciando
leggeri nell’aria. Ad essi si aggrappò, ordinando loro di sollevarsi
immediatamente, prima di muoversi per rimontare sul carro. Ma Ascanio balzò in
alto, afferrando le briglie dei cavalli alati e strattonandole con forza,
scaraventando l’intero carro verso terra, facendolo schiantare in malo modo
contro alcuni alberi, ferendo i cavalli, mentre Enomao rotolava disastrosamente
a terra.
“È
un peccato che il carro sia andato in frantumi…” –Ironizzò Ascanio, in posa da
combattimento. –“Non potrai più morire travolto da esso!”
“Maledetto,
l’unico che morirà quest’oggi sei tu!!!” –Esclamò Enomao, rialzandosi a fatica.
Sollevò il braccio destro, concentrando il cosmo sotto di esso. –“Ruota del
Carro Furioso, travolgilo!” –Gridò, mentre la guizzante ruota di energia
sfrecciava verso Ascanio, sperando di travolgerlo come aveva fatto con Asher.
Ma
il Comandante dell’Ultima Legione, concentrando al massimo i propri sensi,
portò entrambe le braccia avanti, fermando il vorticante roteare del disco
energetico, stringendo i denti per lo sforzo. Spingendo con vigore, ed
aggiungendovi del proprio cosmo, Ascanio rispedì la ruota indietro, ad una
velocità superiore, che investì Enomao in pieno, trinciando verticalmente la
sua cotta protettiva e scaraventandolo contro un albero.
“Adesso
puoi scegliere come morire!” –Esclamò Ascanio, avvicinandosi. –“Con una morte
lenta, ma soave, o rapida e violenta! Due scelte per due morti, così come per
due draghi!”
“Scegliere
come morire?!” –Balbettò incredulo Enomao, rimettendosi in piedi. –“Devi essere
folle per chiedere questo ad un berseker! Noi siamo la morte stessa, da lei
forgiati nel sangue e nella guerra!! Come puoi chiedermi ciò?!” –Gridò,
lanciandosi avanti con il pugno teso.
“A
modo tuo… mi hai risposto…” –Commentò Ascanio, socchiudendo gli occhi. –“Rapida
e violenta!” –E nel dir questo liberò il suo immenso cosmo, portando avanti
entrambe le braccia, mentre la maestosa sagoma di un dragone rosso compariva
dietro di lui, scattando a fauci aperte verso Enomao. –“Questo è l’attacco del
drago di sangue! Bloody Red Dragon Attack!” –Gridò, investendo in pieno
il suo nemico.
Enomao
ricadde a terra, tra i frammenti del suo corpo insanguinatio e, per quanto
cercasse di rialzarsi, fu costretto infine ad arrendersi, venendo addirittura
calpestato dagli altri berseker in fuga.
In quello stesso
momento infatti, un grido pauroso echeggiò sull’intero Olimpo mentre un’immensa
sagoma, circondata da vampe infuocate, torreggiò su tutti i combattenti,
oscurando le nuvole nel cielo lontano. Tifone sollevò la carcassa tumefatta del
gigantesco Briareo e la scagliò a terra, proprio sul campo di battaglia. Poco
importava alla mostruosa creatura che fossero i berseker ad esserne
schiacciati, o i Cavalieri Celesti di Zeus; egli non era dominato da
razionalità alcuna, soltanto da una crudele brutalità che lo istigava alla
violenza eterna, la stessa che sua madre Gea gli aveva insegnato, e che Flegias
aveva risvegliato in lui.
Molti
furono infatti i berseker che vennero schiacciati dall’enorme massa di Briareo,
uccisi con un unico colpo, insieme ai loro avversari, i bianchi Cavalieri
dell’Ultima Legione, parecchi dei quali non riuscirono a mettersi in salvo. Il
Cancello del Fulmine venne abbattuto, e così pure il muro perimetrale della
Reggia di Zeus, mentre Efesto, Artemide, Phantom e gli altri Cavalieri Celesti
venivano scaraventati lontano, a causa del violento smottamento del terreno,
che fece traballare persino il Seggio di Zeus, in cima alla scalinata nella
Sala del Trono, su cui il Dio era seduto da ore, impegnato a contrastare a
distanza il demoniaco cosmo di Ares, e quello di Tifone.
“Padre!!!”
–Esclamò Atena, aiutando il Dio a rimettersi in piedi.
“Non
preoccuparti, figlia mia! Riesco ancora a camminare con le mie gambe!”
–Ironizzò Zeus, risollevandosi.
Atena
fissò il Padre per un momento, leggendo nei suoi occhi la stessa luce di
speranza e disperazione che già vi aveva scoperto millenni prima, quando Tifone
aveva assediato l’Olimpo e lei sola era rimasta, unica tra tutti gli Dei, ad
affiancarlo nella terribile lotta. Speranza, perché era il solo sentimento che
potessero provare in quel momento, il solo ardore che poteva accendere i loro
cuori e quegli degli uomini fuori dalla Reggia, impegnati nell’ultima
resistenza; e disperazione, perché quel sentimento era labile come una foglia
al vento, e Zeus non era certo che possedessero radici sufficientemente
resistenti per non essere spazzati via.
Capitolo 40 *** Capitolo trentottesimo: Fino alla fine ***
CAPITOLO TRENTOTTESIMO. FINO ALLA FINE.
Pegasus
stava combattendo contro il Dio della Guerra nel salone del Grande Sacerdote,
alla Tredicesima Casa di Atene, proprio dove un anno prima aveva affrontato
Arles.
Non
appena entrato nella Sala del Trono, il Cavaliere era stato atterrato
dall’infuocato cosmo di Ares, che lo aspettava con baldanza e trepidazione,
pronto per combattere con lui, il preferito di Atena, come lo aveva etichettato
con scherno.
Il
Dio della Guerra era alto e robusto, con ampie spalle, mossi capelli scuri che
fuoriuscivano dall’elmo della sua corazza, e fiammeggianti occhi rossastri;
indossava la sua splendida Veste Divina, dal colore scarlatto e dorato, una
corazza che, come Pegasus ebbe a notare, poco somigliava all’eterea Veste del
Signore dell’Olimpo, presentando più i tratti tipici di un’armatura da
battaglia. Sulla schiena erano fissate due grandi ali, simboleggianti qualche
mostruosa creatura infernale, mentre affissa alla cinta una spada infuocata, simile a quella di
Flegias, risplendeva sinistramente.
“E
così ce l’hai fatta, moscerino! Hai superato le Dodici Fatiche che vi avevo
imposto, giungendo fin qua, al mio regale cospetto! Ammetto che sono stupito!
Conoscevo la vostra resistenza, Cavalieri di Atena, ma ero certo che quantomeno
Gerione e Ladone sarebbero riusciti a fermarvi, e ad uccidervi!” –Sogghignò il
Nume, prima di aggiungere, con tono divertito. –“Poco importa! I miei figli
stanno massacrando i tuoi compagni, e tu morirai qua, per mano mia, con questa
stessa spada che ha bevuto il sangue di Ioria e Virgo!”
“Mai
mentirei su una vittoria, Cavaliere di Pegasus! Io stesso ho ucciso i Cavalieri
d’Oro tuoi alleati, estirpando il loro puerile cosmo da questa terra!”
“Bastardoooooo!!!”
–Gridò il Cavaliere, scattando avanti e lanciando una violenta pioggia di luce
contro Ares. –“Fulmine di Pegasus!” –Ma il Dio non ebbe problema alcuno
a parare con il palmo destro tutti i colpi, prima di afferrare il pugno del
ragazzo, giunto di fronte a lui, e schiacciarglielo con forza, per poi
scagliarlo indietro.
“Ah
ah ah!” –Rise con gusto, osservando Pegasus schiantarsi contro alcune colonne
del salone.
“Non
ridere, e combatti!” –Esclamò il ragazzo, rialzandosi prontamente. –“Se è vero
che hai ucciso Ioria e Virgo, ho un motivo in più per sconfiggerti!”
“Hai
un motivo in più per morire, ragazzo!” –Tuonò Ares, fissando Pegasus con occhi
infuocati.
Immediatamente
il Cavaliere si ritrovò sollevato da terra, sospeso in aria, mentre tutto il
suo corpo vibrava pazzamente travolto da incandescenti onde di energia.
“Se
Phobos e Deimos hanno ucciso Andromeda e Phoenix, e Flegias si è sbarazzato
degli altri due cadaverici Cavalieri, io farò molto di più con te, Pegasus!
Proverai sul tuo corpo il marchio della sconfitta, che il Dio della Guerra, con
le sue possenti mani, ti infliggerà!” –E nel dir questo scaraventò, con la sola
potenza mentale, Pegasus indietro, fino a farlo schiantare contro il portone
d’entrata, abbattendolo e facendo crollare anche pezzi di muro su di lui. Tossendo
e sputando, Pegasus si rimise in piedi dopo poco, rientrando nella Tredicesima
Casa.
“I
miei compagni saranno qua tra poco, Dio della Guerra, con i corpi esanimi dei
tuoi figli, infami carogne degne della tua discendenza!”
“Infami
carogne che hanno massacrato Divinità e Cavalieri Divini!” –Ironizzò Ares,
mentre Pegasus scattava nuovamente verso di lui, con il pugno carico di
energia. Ma Ares fermò una seconda volta tutti i suoi colpi, spostandosi infine
sul lato destro del Cavaliere, prima di poggiare la mano sul suo petto.
Istantaneamente Pegasus si irrigidì, fermando ogni muscolo del corpo, rimanendo
così, immobile come un fermo-immagine, mentre la violenta energia del Dio della
Guerra premeva su di lui, stridendo con forza sulla sua Armatura Divina.
“Tremor! Direbbe mio figlio!” –E sogghignò, osservando
Pegasus tremare di fronte a lui, prima di scaraventarlo verso l’alto, farlo
schiantare sul soffitto e ricadere verso terra. –“Muori, adesso!” –Urlò Ares,
sguainando la spada e saltando in alto, mentre Pegasus ricadeva verso il basso.
“N...
Nnooo...” –Riuscì a pronunciare Pegasus, cercando di liberarsi dalla prigionia
mentale del Dio. Vi riuscì soltanto in parte, scansandosi di lato ed evitando
che la lama affondasse direttamente nel suo petto, strusciandogli il braccio
destro, frantumando la sua corazza e spingendolo indietro. Ares ricadde
compostamente al suolo, spalancando le immonde ali della sua armatura, mentre
Pegasus ruzzolò in terra poco distante, rimettendosi subito in piedi.
“Ti
direi di smetterla, di rinunciare a questa lotta, Cavaliere di Pegasus, ma so
già che non lo faresti, per l’amore che nutri per Atena e per i tuoi compagni!
Ed inoltre perché in fondo non è ciò che voglio!” –Esclamò Ares, con malizia.
–“Una morte senza battaglia, senza un estenuante combattimento all’ultimo
sangue, non è gratificante, non è maschile, non fa per me!”
“Sei...
un folle!”
“Non
esiste genio, senza una dose di follia!” –Rispose Ares, citando Aristotele.
“Taciii!!!”
–Gridò Pegasus, scattando ancora una volta avanti, con il pugno destro carico
di energia e lanciando migliaia di stelle cadenti dirette verso Ares.
“Ma
non capisci?! È tutto inutile! Ammira l’infinita vanità del tutto!” –Rise Ares
come un folle, muovendo le braccia alla velocità della luce per parare i colpi
del ragazzo.
Li
frenò tutti, per quanto stupito fosse della velocità e della resistenza del
Cavaliere di Atena, ma non riuscì ad evitare che Pegasus si portasse di fronte
a lui, con il pugno destro carico di energia cosmica. In un attimo, il giovane
scagliò una devastante cometa di luce contro Ares, colpendolo da distanza
ravvicinata. Il Dio sogghignò, prima di vedere il Cavaliere di Atena
scaraventato indietro, travolto dal suo stesso potentissimo attacco, così
potente che distrusse parti della sua Armatura Divina, facendolo schiantare
contro un muro.
“Non
hai capito la lezione? Lo Scudo di Ares mi protegge! Esso è
indistruttibile, in quanto trae origine dal mio cosmo, dalla mia pulsante
energia divina, e come tale inesauribile!” –Spiegò Ares, circondato da strati
di cupa energia dai riflessi scarlatti.
“Lo
Scudo di Ares!” –Rantolò Pegasus, rialzandosi ancora. –“La stessa
tecnica usata da Flegias…”
“È
naturale! Non dimenticare chi hai di fronte, Cavaliere! Il Dio della Guerra,
Signore supremo della battaglia cruenta! Colui che ha istruito i propri figli
alla nobile arte della lotta, insegnando loro le migliori tecniche di assalto e
di difesa!” –Spiegò Ares, avanzando verso Pegasus, che barcollava
convulsamente. –“Conosco ogni colpo segreto dei miei figli, perché io l’ho
insegnato loro, per quanto io ne faccia ovviamente un uso migliore di loro! Ah
ah ah!”
“Bell’esempio
di padre che sei!” –Commentò Pegasus, sputando di fronte al Dio. –“Così
affezionato ai tuoi figli da mandarli incontro a morte certa!”
“È
la guerra, Pegasus! Come disse Creso, in pace i figli seppelliscono i padri, in
guerra i padri seppelliscono i figli!” –Ed esplose in una sadica risata,
simbolo di tutto il disinteresse che potesse provare verso di loro. –“Ma se
proprio ti interessa la sorte dei miei figli… ti manderò in Ade, così forse li
ritroverai!” –E sguainò la sua Spada Infuocata, liberando un violento fendente
energetico, che scavò un solco nel pavimento, correndo verso Pegasus.
Il
ragazzo fu però svelto ad evitarlo, balzando in alto, aiutato dalle
scintillanti ali della sua armatura, mentre Ares cercava di contrattaccare con
nuovi piani di energia, muovendo la spada all’impazzata. Pegasus oscillò su se
stesso, bruciando al massimo il proprio cosmo lucente, e schivò tutti i
fendenti energetici di Ares, interponendosi continuamente tra essi, scivolando
leggero nell’aria, grazie al mithril della corazza, fino a giungere proprio di
fronte al Dio. Un violento calcio raggiunse Ares in pieno viso, spaccando
l’elmo della sua corazza e facendolo sanguinare, ma non fu sufficiente per
scaraventarlo indietro, piazzato com’era su robusti piedi da battaglia.
“Maledetto…”
–Esclamò il Nume, irato per essere stato ferito. E afferrò Pegasus per le
gambe, sbattendolo a terra di schiena, varie volte, scheggiando la sua corazza,
prima di scaraventarlo contro un muro laterale, lanciandogli contro la propria Spada
Infuocata. Ma Pegasus fu abile a ricomporsi durante il lancio, atterrando a
piedi uniti sul muro e a darsi una spinta per balzare avanti, proprio mentre laspadasopraggiungeva su di lui. Gli tagliò qualche ciuffo dei suoi
disordinati capelli, stridendo sul pettorale dell’Armatura Divina, prima di
piantarsi nel muro.
L’ha
evitata! Mormorò Ares, furibondo,
mentre Pegasus, forte della spinta ricevuta, piombava su di lui, con il pugno
destro carico di energia cosmica.
“Iaiiii!!!”
–Gridò il ragazzo, liberando una violenta cometa di energia, la quale investì
Ares in pieno e lo scaraventò indietro, facendolo schiantare con vigore contro
il muro dall’altra parte della stanza, che crollò in fretta su di lui.
“Che
mi serva da lezione!” –Urlò Ares, rialzandosi, mentre il suo fiammeggiante
cosmo finalmente compariva, invadendo l’intera stanza. –“Sottovalutare un
moccioso come te può rivelarsi controproducente! Flegias aveva dunque ragione!
Purtroppo!” –Sibilò, dirigendo le immense vampe infuocate contro Pegasus, il
quale cercò di evitarle, scattando in varie direzioni, mentre il violento cosmo
di Ares stringeva su di lui, limitando le proprie azioni e lo spazio di
movimento.
“Dannato
Ares!!! Combatti da uomo!” –Gridò Pegasus, che sentiva i muscoli intorpidirsi
per effetto del cosmo del Dio.
“Ira
di Ares!” –Tuonò il figlio di Zeus,
mentre un’immensa massa di torrida energia piombava su Pegasus, schiacciandolo
a terra e poi contro il muro, facendo schiantare ulteriormente la sua armatura.
“Aaaaah!!!”
–Gridò il Cavaliere, travolto dalla violenta emanazione cosmica, più potente di
qualsiasi attacco avesse ricevuto fino ad allora.
“Muori,
Pegasus!!!” –Tuonò Ares, recuperando la Spada Infuocata e lanciandosi
sul ragazzo, bloccato al muro dal suo immenso potere. La lama calò sul
Cavaliere, sfregiandogli il pettorale, prima di piantarsi con forza nel suo
braccio destro, dilaniando le carni sotto la corazza, di fronte al sogghignante
sguardo pago del Dio.
“Muori!
Come Ioria prima di te, come Virgo e Castalia, come Cristal, Sirio e Andromeda!
Muori!”
“Ma...
maiiiiiii…” –Urlò Pegasus, facendo esplodere il proprio cosmo.
La
devastante energia della costellazione di Pegasus scaraventò Ares lontano,
facendo crollare parte del soffitto e delle mura interne della Tredicesima
Casa, permettendo al ragazzo di liberarsi dalla Spada Infuocata, che
venne addirittura annichilita da tale violenta esplosione, prima di crollare
sulle ginocchia, debole e ansimante. Finché una voce non attirò nuovamente la
sua attenzione.
“Sottomettiti
a me, Pegasus! Come gli uomini tutti!” –Sibilò un uomo, avanzando tra le fiamme
che stavano divorando la Sala del Grande Sacerdote.
“Aaa...
Ares…” –Rantolò Pegasus, cercando di rimettersi in piedi. Non ci riuscì e cadde
a terra, disteso di lato, mentre il sangue colava copioso dal suo braccio
destro, ed Ares si avvicinava.
“La guerra è un
atto di forza che ha lo scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla
nostra volontà!” –Esclamò Ares, recitando versi del teorico militare prussiano
Carl von Clausewitz. –“Grande uomo quello! Uno dei pochi degni della mia attenzione!
Insieme a Filippo Tommaso Marinetti, ideatore e massimo esponente del
Futurismo, movimento che considerava la guerra sola igiene del mondo! Saremmo
andati d’accordo, noi tre! Uah ah ah!”
“Tu... tu non
puoi interpretare la storia a modo tuo, usare i pensieri di uomini liberi che
avevano le loro idee, per giustificare le tue, folli e sanguinarie!” –Esclamò
Pegasus, rialzandosi finalmente.
“Ah no?! Non
posso?! E perché?! Me lo impedirai forse tu?!”
“Sì!!!” –Urlò
Pegasus, scattando avanti, ma in quelle deboli condizioni non riuscì a fare
neppure un passo che venne afferrato per il collo dalla mano destra di Ares,
che strinse con forza, scaricando sul ragazzo il suo ardente e violento cosmo.
“Onde di
Terrore!” –Sibilò il Dio,
mentre tutto il corpo di Pegasus veniva percorso da violente scosse di
infuocata energia, che creparono in più punti l’Armatura Divina, avvelenando la
sua mente. –“Fatti un bel viaggio, Pegasus!” –Aggiunse, gettando a terra il
corpo del ragazzo.
Le Onde di
Terrore agirono sulle paure inconsce del Cavaliere, giocando con esse,
trasformandole in realtà, facendo tremare il corpo di Pegasus, fino a farlo
implodere. E quali paure erano più grandi di quelle di non ritrovare i suoi
affetti? I suoi cari? Le persone per cui aveva vissuto e combattuto per tutta
una vita! Sua sorella in primis, ed Isabel, Sirio, Cristal, Andromeda e
Phoenix, per secondi.
Grazie ai suoi
ricordi, Ares mostrò al ragazzo un mondo di fiamme e disperazione,
scaraventando la sua anima in un universo parallelo, dove gli amici morivano,
uccidendosi tra loro, e i nemici restavano, vincendo ed instaurando un nuovo
ordine, senza che lui, debole e vinto, riuscisse a reagire, riuscisse a fermare
il delirante scorrere del flusso temporale. Uno dopo l’altro Pegasus li vide
morire tutti quanti: Ioria e Virgo sull’isola dell’Apocalisse, mentre una
devastante bomba di energia cancellava quel che rimaneva di quella sperduta
terra, insieme a Castalia, sdraiata ai loro piedi; quindi Sirio e Libra,
schiacciati dal Gigante Gerione, calpestati e fatti a pezzi, prima di essere
mangiati vivi dalle fauci del colosso; poi Cristal e Scorpio, avvelenati dal
Serpente delle Esperidi, resi bianchi e pallidi, incapaci di reagire, di fare
soltanto un passo, prima di essere sbranati da Ladone; infine Andromeda e
Phoenix, che caddero di fronte a lui, sterminati dalle loro armi infuocate di
Phobos e Deimos, che tagliarono le loro teste, lasciandole rotolare verso il
corpo di Pegasus, che ebbe furiose convulsioni, di fronte allo sguardo
soddisfatto di Ares.
“E adesso
l’ultima…” –Sogghignò il Dio della Guerra, mentre le Onde di Terrore
continuavano a stringersi intorno al Cavaliere. –“La tua adorata Isabel!”
E quella fu la
visione peggiore per Pegasus, dopo l’inganno subito alla Dodicesima Casa, che
comunque non aveva intaccato troppo il suo spirito, essendo più forte e
preparato che non adesso, ferito e avvelenato dal bastardo cosmo di Ares che
aveva raggiunto le sue interiora, grazie alla ferita sul braccio. Isabel
combatteva insieme ai suoi Cavalieri sulla cima dell’Olimpo, contro la
demoniaca furia di Tifone, dal cui abominevole corpo uscivano migliaia di
vipere, che strisciarono sul terreno avvolgendosi intorno alla delicata figura
di Atena, stringendola a sé con forza.
“Nooo… Nooo...
Isabeeel!!!” –Gridò Pegasus, contorcendosi a più non posso.
Vide le serpi di
fuoco sfondare il cranio della Dea, cibandosi delle sue membra, strisciando sul
suo freddo corpo, mentre le grida deliranti di Atena riempivano l’aere, ed egli
non poteva far niente per salvarla. In un momento rivide morire tutti gli amici
e le persone a lui care, Ioria, Virgo, Castalia, Sirio, Libra, Cristal,
Scorpio, Andromeda, Phoenix, Isabel. E nuovamente Ioria, Virgo, Castalia, in un
infinito turbine di delirio che lo stava facendo diventare pazzo, al punto da
spingere Ares a credere che il ragazzo sarebbe morto all’istante per lo shock.
Ma
inaspettatamente una luce giunse in suo soccorso, aiutandolo a riaprire gli
occhi e a vincere le sue paure. Una flebile voce di donna pregava per lui, come
aveva pregato durante lo scontro finale con Thanatos e Ade: sua sorella.
Nascosta chissà dove, da sconosciuti sicari, Patricia pregava per la salvezza
del fratello e riuscì ad inviargli forza e speranza, come aveva fatto mesi
prima, dalla Grecia all’Ade. Lei sapeva che Pegasus sarebbe riuscito, che non si
sarebbe fatto abbattere nemmeno questa volta, credendo in lui stesso e nei suoi
amici, in quei punti fermi che Ares adesso aveva voluto abbattere, puntando
sulle inconsce paure del ragazzo che erano anche la sua grande forza.
“Pa...
Patriciaaa!!!” –Gridò Pegasus, e il suo strillo echeggiò per l’intera
Tredicesima Casa, stupendo lo stesso Ares.
“Com’è
possibile?! Eri ormai morto Pegasus! Avevo ucciso il tuo spirito, seppellendolo
con macabre visioni!!!” –Ringhiò il Dio furibondo.
“A…. Ares... puoi
uccidermi mille volte, fare a pezzi il mio corpo, ma non vincerai mai il mio
spirito, la fiducia che nutro nei miei amici, in coloro che mi hanno sostenuto
per una vita intera, dandomi un motivo per andare avanti! Sempre e comunque!!!”
–Esclamò Pegasus rialzandosi, circondato dallo splendore del suo cosmo azzurro.
–“Per orfani come noi, che mai hanno conosciuto l’amore di un padre e di una
madre, gli amici sono tutto ciò che di bello possa esistere nel mondo, sono
l’amore stesso, fonte inesauribile di emozioni e di speranze, ed incrollabile
fiducia che i tuoi trucchi da cartomante non abbatteranno mai!!!”
“Cartomanteee?!”
–Tuonò Ares, espandendo il proprio cosmo infuocato, mentre vampe incandescenti
piombavano su Pegasus. –“Ira di Ares!!! Travolgilooo!!!”
E un’immensa
massa di rovente energia si abbatté su Pegasus, il quale, per tentare di
difendersi, incrociò le braccia avanti a sé, lasciando che la furia devastante
del cosmo di Ares si abbattesse su di esse, pressando con forza, al punto da
spingerlo indietro, facendogli scavare solchi nel pavimento con i suoi piedi.
Ma senza riuscire ad abbatterlo, per quanto impetuoso fosse l’assalto.
“Ti piegherò!!!”
–Gridò Ares, rinnovando il proprio violento attacco.
Pegasus sentì
ribollire il sangue sul suo braccio destro, avvelenato dalla spada del Dio
della Guerra, infettato dal suo demoniaco cosmo che lo stava richiamando a sé.
Per un momento si sentì perduto e stordito, vacillò, dando la possibilità ad
Ares di travolgerlo con la sua poderosa massa energetica.
“Ira di Ares!!!” –Tuonò, scaraventando Pegasus indietro,
fino a farlo schiantare contro le mura anteriori, che subito crollarono su di
lui. Non contento Ares sollevò il ragazzo con il proprio potere, richiamandolo
a sé, stritolando il suo corpo con violente vampe infuocate, che schiantarono
le ali della sua Armatura Divina, impedendogli di fruirne ancora, prima di
scattare avanti e poggiare il palmo destro sul petto del giovane, e scagliarlo
violentemente via.
“Ah ah ah!” –Rise
di gusto Ares, osservando Pegasus stramazzare al suolo, fra i frammenti
insanguinati della sua corazza, la quale, in ogni caso, continuava a
risplendere di un’eterea luce che neppure la fiamma di Ares era capace di
spegnere.
“La luce... della
speranza!!!” –Mormorò Pegasus rialzandosi. E senz’aggiungere altro scagliò una
cometa di energia cosmica, sorprendendo lo stesso Ares, che non si aspettava
una così immediata reazione. In un lampo, il Dio riuscì a ricreare lo Scudo
di Ares di fronte a sé, su cui la cometa si schiantò, percependo, per la
prima volta, una goccia di sudore freddo scendere lungo la sua schiena.
C’è mancato un
attimo! Un attimo
soltanto e mi avrebbe investito in pieno! Senza possibilità di difesa!
Tremò per un istante all’idea di venire scaraventato indietro da quel moccioso,
prima di ritrovare il suo solito ghigno di sfida e abbassare le sue difese,
sentendo esaurire la potenza della cometa lucente.
“Uh?!” –Esclamò
Ares, vedendo che Pegasus non era più di fronte a lui. –“Dove sei bamboccio?!”
“Quassù!!!” –Urlò
una voce, proveniente da una lucente cometa, in alto di fronte ad Ares. Una
vera e propria meteora umana in cui Pegasus, saltando e roteando su se stesso,
si era trasformato.
“Sciocco!” –Gridò
il Nume, osservando la meteora di luce sfrecciare verso di lui. –“Scudo di
Ares!!! Difendimi!!!”
Il violento
scontro tra i due poteri fece schiantare la difesa del Dio della Guerra,
scaraventandolo indietro, raggiunto di striscio da guizzanti fulmini lucenti, e
facendolo crollare a terra. Subito Ares si rialzò, per affrontare il suo
nemico, che immaginava fosse di fronte a lui, ma Pegasus si era portato alle
sue spalle e lo afferrò da dietro, bloccando i suoi movimenti, seppur a fatica.
“Spirale... di
Pegasus!!!” –Urlò il
ragazzo, sollevando il corpo di Ares e portandolo in alto, avvolgendolo in una
lucente cometa energetica.
“Non essere
ridicolo!” –Esclamò Ares, spalancando immediatamente le ali della sua scarlatta
armatura, e liberandosi con una vampa infuocata della presa del Cavaliere, il
quale, privo ormai delle sue ali, ricadde malamente al suolo, slogandosi una
caviglia.
Ares con un’abile
piroetta fluttuò nell’aria, atterrando proprio accanto al trono, in cima al
piccolo palchetto della Sala del Grande Sacerdote, contemplando soddisfatto la
distruzione dell’intera stanza, simbolo inequivocabile della rovina del Grande
Tempio e di Atena e dei suoi Cavalieri.
“Hai sprecato
un’occasione, ragazzo!” –Esclamò, mentre immense lingue di fuoco scivolavano
sul suo corpo. –“Avresti dovuto colpirmi con il tuo leggendario fulmine, invece
di tentare quella sciocca spirale! Adesso muori!” –Ironizzò, prima di scagliare
le vampe infuocate contro Pegasus.
“No!!!” –Tuonò il
Cavaliere, aprendo di scatto le braccia e formando un quadrato di energia
lucente, su cui si infranse l’assalto di Ares. –“Quadrato di Pegasus!”
–Mormorò, prima di rinviare le vampe indietro.
“Quadrato di
Pegasus?!” –Ripeté Ares, sorpreso. –“E credi che basterà per fermare il mio
potere? Ira di Ares!!!” –Tuonò nuovamente, mentre Pegasus, incurante
delle vampe di energia cosmica, sfrecciò nella stanza, scagliando il suo colpo
segreto contro il Signore della Guerra.
Migliaia di
stelle caddero su Ares, che fu svelto a ricreare lo scudo protettivo, su cui i
colpi di Pegasus si infransero, prima di potenziare il proprio assalto e
scaraventare via il ragazzo, sbattendolo contro mura lontane.
“Bene!” –Mormorò
Ares infine, notando che il Cavaliere non accennava a rialzarsi, privo ormai di
forze. –“Sembra che lo scontro sia giunto a termine, conclusosi giustamente con
la vittoria del Dio del... glom!!!” –Ares sputò sangue, improvvisamente,
toccandosi il petto con dolore.
Una macchia
scura, simile ad un pugno, aveva sporcato la sua Veste Divina, proprio sotto il
cuore, simbolo inconfondibile di un colpo andato a segno del ragazzo. Glom!
Un altro conato piegò Ares, obbligandolo a tastarsi il ventre, dove ben due
macchie scure ornavano la sua Veste Scarlatta.
“Com’è
possibile?!”–Sussurrò, tastando la corazza, calda, quasi rovente. –“Com’è
possibileee?!” –Gridò, furioso che un ragazzo avesse potuto tanto. –“Come hai
potuto superare lo Scudo di Ares?!”
“Eh eh…” –Sorrise
Pegasus, rimettendosi in piedi, ansimando a fatica, ma con una luce di
determinazione negli occhi. –“Non te ne sei accorto, Divino Ares? Eri forse
troppo impegnato a citare Clausewitz o Marinetti da non notare le decine di
colpi che ti hanno raggiunto?”
“De... decine?!”
–Sgranò gli occhi Ares, sentendo la corazza cigolare sinistramente.
In un secondo
altre sette macchie, grandi come un pugno, comparvero sulla sua corazza,
dislocate in vari punti, sulle ali, sulle braccia, persino nell’interno coscia,
prima di schiantarsi poco dopo, distruggendo la Veste Divina della Guerra, di
fronte agli occhi, per la prima volta sgranati, del Dio.
“Il tuo scudo non
è poi così efficace!” –Ironizzò Pegasus, asciugandosi il sangue che gli colava
dal labbro con il pugno destro. –“Tutt’altro, presenta numerose falle!”
“Falle?! Buchi?!”
“Precisamente!
Piccolissimi, certo! Così piccoli da non essere notati da un uomo normale, soltanto
da un Cavaliere!”
“Da un
Cavaliere... certo!” –Rifletté Ares, realizzando che quello doveva essere
l’effetto finale dell’esplosione fotonica che Ioria del Leone aveva diretto
contro di lui. –“Il Photon Burst!” –Mormorò, mentre Pegasus si incamminava
verso di lui, avvolto dal suo scintillante cosmo azzurro.
“Cadi adesso!”
–Gridò il Cavaliere, lanciandosi avanti, con il pugno destro carico di energia
cosmica. –“Fulmine di Pegasus!!! Iaaaiiii!!!”
“Non così in
fretta!” –Esclamò Ares, recuperando parte della sua calma. Con la mano sinistra
frenò il pugno di Pegasus, stringendolo con forza, prima di espandere il suo
demoniaco cosmo, scaraventando il ragazzo indietro, contro un gruppo di colonne
che subito crollarono su di lui.
“Ma…” –Mormorò
Pegasus, rialzandosi.
“Mi credevi
inerme?!” –Esclamò Ares, i cui occhi fiammeggiavano in mezzo a quell’oceano di
fiamme maledette. –“Sciocco sei stato! Non è certo la prima volta che vengo
ferito da un uomo! Anche Eracle vi riuscì nel mito, e persino durante la Guerra
di Troia riportai cicatrici, come questa che vedi sul mio collo!” –Aggiunse,
storcendo il collo per mostrarla. –“Ma di ognuna di esse vado fiero, ad ognuna
di queste ferite sono grato! Perché ogni volta mi hanno permesso di superarmi,
di superare i miei limiti, imparando dai miei errori, per non commetterli più
la volta successiva!! Così agisce uno stratega ed un guerriero, Cavaliere di
Pegasus! Un maschio come me, la cui anima è stata forgiata nel sangue e nella
guerra, senza mai conoscere la deprimente nausea della pace!”
“La pace non è
nauseante… essa...” –Tentò di ribattere Pegasus, ma la voce imperiosa del Dio
lo sovrastò nuovamente.
“Essa è
irrealizzabile! Finché gli uomini saranno egoisti, finché continueranno a
desiderare, a chiedere, a pretendere, scontrandosi gli uni contro gli altri, in
un’eterna guerra di tutti contro tutti!” –Precisò Ares, prima di sollevare il
braccio destro avanti a sé, concentrando sul palmo rivolto verso Pegasus il
proprio cosmo incendiario. –“Finché gli uomini saranno loro stessi, la guerra
continuerà ad esistere, ad insanguinare il mondo, gettando coloro che un tempo
si chiamavano fratelli uno contro l’altro, fino alla morte! E pace mai sarà!”
“Ti sbagli…”
“Non mi sbaglio!
E te lo proverò!” –Tuonò Ares, liberando il demoniaco assalto. –“Ira di
Ares!”
Pegasus bruciò al
massimo il proprio cosmo, cercando di contrastare l’avvampante attacco di Ares,
ma vi riuscì solo in parte e crollò con un ginocchio a terra, ansimando per la
debolezza. Strinse i denti e cercò di rialzarsi, mentre nuove orribili vampe
piombavano su di lui, trovando però un’inaspettata resistenza in un arcobaleno
di cosmi posto a sua difesa.
Rosa, verde,
bianco, rosso e dorato erano i colori della barriera energetica su cui si
infranse l’assalto di Ares, creata dai cinque amici che Pegasus aveva lasciato
ai piani inferiori: Andromeda, Sirio, Cristal, Phoenix e Dohko erano infine
giunti alla Tredicesima Casa, malconci e con le armature danneggiate, ma
determinati a combattere insieme l’ultima battaglia.
***
Poche
ore prima, mentre i Cavalieri di Atena affrontavano Ladone, nel Giardino delle
Esperidi, una figura avvolta da un’inquietante aura cosmica, fiammeggiante come
l’Inferno, osservava sconsolata il Grande Tempio dal miglior posto di
osservazione che potesse desiderare: la Collina delle Stelle. Un’isolata altura
poco distante dal Grande Tempio, in cima alla quale era stato edificato, in
tempi molto antichi, un osservatorio astronomico, dedicato al Grande Sacerdote,
l’unico ad avervi accesso, per osservare i moti stellati ed eventualmente
rivolgere preghiere ad Atena. Là, di fronte a quell’abbandonato tempio, Gemini
aveva assassinato Shin, sul finire di un’estate di quattordici anni prima. E
adesso Flegias, il Rosso Fuoco, camminava su quelle insanguinate pietre.
Maledizione! Mormorò, tirando un violento calcio ad un mucchio di
sassi. Anche qua niente!!! Ma dove può essere?! Doveee?! Gridò,
arruffandosi i folti capelli neri. Aveva trascorso l’intera giornata alla sua
ricerca, ma anche quella si era rivelata vana, come tutte quelle che aveva
condotto fino ad allora. Quattordici anni! Ghignò, mentre i suoi occhi
scuri si infiammavano di rabbia e odio. Quattordici anni che lo cerco e
ancora non sono riuscito a venirne in possesso! Sarei quasi tentato di credere
che non esista, che sia soltanto un trucco, un inganno degli antichi saggi, per
portare alla disperazione i loro nemici! Ma non può essere! Deve esistere!
Anzi, no, esiste!!! Precisò, sbattendo con forza un pugno contro una
colonna dell’osservatorio, e distruggendola. Ne sono certo! Come sono certo
del fatto che se oggi non ne verrò in possesso, le possibilità di dedicarmi
alla sua cerca in futuro diminuiranno! I Cavalieri di Atena combattono nel
Giardino delle Esperidi e sull’Olimpo le cose non vanno meglio! Quella dannata
legione inglese ha portato rinforzi a Zeus troppo presto! Spero almeno che
Tifone distrugga quanto più possibile! È il prezzo che devono pagare, quei
maledetti, per aver osato opporsi ai miei progetti di dominio! Progetti che, devo
ammettere, stanno incontrando ostacoli imprevisti!!! Rifletté,
incamminandosi verso il precipizio del colle.
Se mio Padre e
Tifone non elimineranno i Cavalieri quest’oggi, dovrò essere io, in futuro, ad
occuparmi di loro! Nessun altro potrà più farlo per me! Nessun altro potrà
essere convinto a farlo, credendo di perseguire il proprio interesse, come gli
sciocchi burattini che ho manovrato fin’oggi, mentre in realtà hanno solamente
fatto il mio gioco! Sì…il mio interesse!
Eliminare i Cavalieri di Atena e di Zeus, oscurare le abbaglianti luci dei loro
cosmi, gli unici che potrebbero frenare l’avvento della nuova epoca! Un’epoca
che metterà fine all’anarchia e al disordine di questi tempi, soffocando le
guerre e le violenze attuali sotto un’unica bandiera, sotto un’unica grande
ombra. Una tenebra primordiale a cui nessuna luce potrà opporsi! E senz’altro aggiungere, Flegias si lanciò di
sotto dalla Collina delle Stelle, a braccia aperte, lasciando che il vento gli
sbattesse in faccia, facendolo sentire vivo, pazzo e vivo come era sempre
stato. Esplose in una delirante risata, prima di scomparire e rientrare ai
Templi dell’Ira.
Capitolo 41 *** Capitolo trentanovesimo: La grande alleanza ***
CAPITOLO TRENTANOVESIMO. LA GRANDE ALLEANZA.
Tifone
scaraventò Briareo con rabbia contro la grande ammucchiata
di uomini ai suoi piedi, schiacciandone molteplici ed abbattendo alberi e
templi, cancelli e mura, mentre immonde vampe di fuoco salivano dal suo corpo
informe verso il cielo oscuro, di fronte agli occhi sgomenti e terrorizzati
degli ultimi difensori dell’Olimpo.
Efesto, Afrodite, Ermes, Phantom,
Ascanio e i tre Cavalieri di Atena sopravvissuti, Asher, Tisifone e Mur, affiancati da Kiki,
impegnato a sorreggere Giasone e i Dioscuri, tutti e
tre in condizioni piuttosto malandate, si radunarono di fronte alla Reggia di
Zeus, mentre Gwynn e i Cavalieri Celesti cercavano di
arginare la disperata avanzata dei berseker
sopravvissuti. Non erano rimasti in molti, neppure una cinquantina, ed ormai
procedevano più per disperazione che non per reale convinzione, travolti da
quel gioco al massacro a cui Ares li aveva addestrati, per cui il cosmo del Dio
della Guerra aveva fatto ribollire loro il sangue. Ma adesso, sulla cima
dell’Olimpo, privi del sostegno del loro Dio, impegnato a combattere alla
Tredicesima Casa di Atene, molti di loro erano impazziti, accusando crolli
nervosi, abbattendosi come folli sui nemici, senza più obiettivo alcuno che non
cercare la morte, per loro stessi e per i loro avversari, mettendo finalmente
termine a quel tremendo dolore interno. Dei diciassette figli di Ares ne erano
rimasti soltanto due, Molo e Pilo, privi del fratello, morto poc’anzi
schiacciato dalla deforme massa di Briareo, intenti
ad affrontare Gwynn del Biancospino, uno dei
Cavalieri Celesti di Glastonbury, affiancato da un
paio di suoi compagni.
Barbuti,
con mossi capelli scuri, e ricoperti da tozze corazze scarlatte, senza fregi
particolari, Molo e Pilo, figli di Ares e Demonice,
brandivano lance acuminate, lanciandosi contro i Cavalieri Celesti con tutto
l’ardore che si confaceva loro, per quanto ormai il destino della battaglia
fosse segnato. Non era più Ares a guidarne le fila, ma era il demoniaco cosmo
di Tifone, avvelenato da secoli di rancore covato nelle viscere dell’Etna, e
che Flegias aveva risvegliato, potenziandolo con gli
oscuri influssi della Pietra Nera. Per un momento, mentre le verdi foglie del Biancospino
di Glastonbury si attorcigliavano intorno al suo
collo, Pilo pensò che forse Flegias aveva previsto
tutto, che sapeva che Tifone sarebbe stato un’arma troppo potente, troppo
difficile da gestire, persino per il Sommo Ares, e che forse quelle previsioni
erano ciò che il Rosso Fuoco realmente auspicava.
“Che
abbia.. ingannato anche lui?!” –Rantolò, crollando esanime al suolo, mentre il
biancospino aveva assorbito completamente il suo sangue.
“Pilooo!!!” –Urlò Molo, lanciandosi avanti, con l’arma
puntata verso i Cavalieri Celesti. Ne trafisse un paio, sventrandoli con
ferocia, prima che un secco colpo di spada trinciasse la sua testa, facendola
rotolare sul terreno smosso, accanto ai cadaveri di altri anonimi berseker. Ma i Cavalieri dell’Ultima Legione non fecero in
tempo a riprendere fiato che subito dovettero affrontare una nuova terribile
minaccia.
Le
fetide vampe di fuoco dell’orrendo Tifone calarono su di loro, mentre
terrificanti serpenti dagli occhi di fuoco si srotolavano dal corpo dell’orrida
creatura, puntando crudelmente sui Cavalieri Celesti. A nulla valsero i loro
tremendi sforzi, i loro continui attacchi a quelle vipere velenose, per quanto carichi
di energia cosmica potessero essere.
“Gwynn!!!” –Gridò Ascanio da
lontano, vedendo il ragazzetto in difficoltà.
Senz’aggiungere
altro scattò sul terreno, evitando le vampe infuocate di Tifone, raccolse una
scure, spaccò il suo manico e lanciò la lama, facendola roteare su se stessa,
la quale sfrecciò nell’aria come un lampo, trinciando una mostruosa vipera che
stava per intrappolare Gwynn. Grazie a quel gesto, il
ragazzo poté mettersi in salvo, creando una barriera di biancospini con cui
coprire la sua fuga. Resistette solo un secondo, il tempo che impiegarono le
mostruose vipere infuocate a distruggerla, ma permise a Gwynn
di raggiungere Ascanio, al centro del giardino
antistante la Reggia di Zeus, solo e temerario come sempre.
“Non
ce la farà!” –Urlò Phantom, di fronte al tempio,
insieme agli altri Cavalieri e Divinità. –“Dobbiamo aiutarlo!!!” –E nel dir
questo bruciò al massimo il proprio cosmo, accendendolo di tutto il suo celeste
bagliore. –“Gorgo dell’Eridano!” –Gridò,
liberando il vortice di energia acquatica.
Ermes,
Artemide, Efesto, Mur e Tisifone fecero altrettanto, unendo i loro cosmi a quelli
del Luogotenente dell’Olimpo, creando un violento gorgo di energia cosmica che
sfrecciò nell’aria, raggiungendo le gambe di Tifone, strappando numerose vipere
dal suo corpo deforme, come fossero erbacce da divellere. Anche Asher si unì all’assalto, seppure poco fosse il cosmo che
gli rimaneva, e così fecero i Dioscuri e Giasone, per
quanto barcollassero in piedi.
“Guardate!!!”
–Gridò Ermes, puntando avanti il Caduceo. –“Niente!!! Come fosse aria… Come non l’avesse sentito…”
–E infatti Tifone non aveva riportato danno alcuno, eccezion fatta per le
numerose vipere fuoriuscenti dalle sue gambe che erano state uccise e che
adesso giacevano sul terreno, carcasse immonde dal maleodorante odore di morte.
Ma per ogni vipera uccisa, una nuova veniva creata, uscendo direttamente
dall’orrido corpo dell’ancestrale creatura. Versi osceni emisero le cento teste
di Drago, prima di scendere verso terra, avvolte da tossiche nubi di fumo,
provocato dalle vampe infuocate uscenti dalle loro fauci.
“Attentiii!!!” –Gridò Phantom,
mentre una devastante pioggia di lingue di fuoco cadeva su di loro.
“Muro
di Cristallooo!!!”
–Urlò Mur, subito affiancato da Kiki.
“Non
resisterà!!!” –Li raggiunse Efesto, concentrando il
proprio cosmo sulle braccia. –“Che la possente lava dell’Etna sia con noi!!!”
–E rivestì il trasparente Muro di Ariete di una solida difesa, costituita
dall’incandescente magma di cui era Signore. Ma anche quella barriera crollò,
frantumandosi in mille pezzi, scaraventando indietro i Cavalieri e le Divinità
riparate dietro di essa, mentre un immenso artiglio calava sulla Reggia di
Zeus, sfondando il tetto e penetrando all’interno.
“Mio
Signore…” –Mormorò Giasone, cercando di rimettersi in
piedi. Ma subito decine di vipere infuocate furono su di lui, obbligandolo a
brandire nuovamente la Spada della Colchide,
colpendole una dietro l’altra, senza lasciargli tregua, come stavano facendo
anche gli altri Cavalieri. Una vipera si attorcigliò intorno alle sue gambe,
facendolo cadere a terra e perdere la presa della spada, mentre un’altra,
mostruosamente affamata, spalancava le fauci puntando al viso stanco dell’eroe.
“Pugno...
di Zeus!!!” –Esclamò una voce, mentre
un pugno di energia cosmica distruggeva l’orrido serpente.
“Castore…” –Rantolò Giasone, mentre una lama tagliava la
vipera che gli bloccava le gambe, permettendogli di rimettersi in piedi. –“Polluce…”
“Corri
da nostro Padre, Giasone!!!” –Lo esortarono i Dioscuri.
–“Ha bisogno di te!” –Ma Giasone non fece in tempo ad aggiungere altro che una
raccapricciante scena si presentò lui.
Cumuli
di vipere infuocate scesero sui figli di Zeus, avvinghiandosi intorno ai loro
corpi stanchi, e per quanto i due si dimenassero notevolmente furono raggiunti
dai loro denti avvelenati. Polluce fu il primo a
morire, cadendo a terra senza vita, mentre le immonde vipere si cibavano del
suo fisico spento; a tale vista, Castore impazzì,
lanciandosi come un folle contro Tifone, da solo, facendo esplodere tutto il
suo cosmo al contatto con la bestia.
Le
teste di drago accusarono la ferita, ma neanche ciò servì per frenare
l’avanzata distruttiva di Tifone. La sua grandezza e la sua deformità erano
tali da permettergli di occupare l’intera cima dell’Olimpo, impegnando in
battaglia numerosi Cavalieri al tempo stesso, inviando contro di loro le vipere
annidate nel suo orrido corpo e le numerose teste di drago del suo molteplice
viso.
“Attento
Kiki!!!” –Gridò Mur,
proteggendo il fratello, impegnato a colpire un’enorme vipera con una spada. Ma
il fetido respiro di Tifone fu anche su di loro, scendendo come devastanti
fiamme di oscuro cosmo, obbligando Mur a ricreare il Muro
di Cristallo, questa volta tutto intorno a loro, per quanto sapesse che non
avrebbe resistito per molto. E infatti la difesa di Mur
si schiantò poco dopo, spingendo indietro i due fratelli, mentre orribili fauci
infuocate si aprivano su di loro.
“Vento… dell’Est!!!”
–Esclamò improvvisamente una voce. Vi fu un turbine di aria e le fiamme furono
provvisoriamente spazzate via, mentre una figura dalla Celeste Armatura
scendeva su di loro, aiutandosi a rialzarsi: Euro, Dio del Vento dell’Est.
“Grazie
per l’aiuto, figlio di Eos!” –Commentò Mur.
“Dovere
di Cavaliere, nobile Ariete!” –Sorrise Euro, prima di voltarsi verso l’orribile
mostro, bruciando il suo cosmo. –“È dunque questo il luogo in cui cadremo? Qua,
di fronte alla Reggia del mio Signore, dove tutto ha avuto inizio e tutto avrà
fine?”
“Temo
che le nostre speranze siano minime…”
“Se
così sarà, che giornata questa! Che onore per me cadere al vostro fianco,
Cavalieri di Atena!” –Strinse i pugni Euro, e senz’altro aggiungere si librò in
aria, puntando su Tifone e scaricando su di lui una violenta tempesta di
energia cosmica.
Phantom,
dal basso, fece altrettanto, aiutato da Ermes, Artemide ed Efesto,
ma nuovamente il loro attacco collettivo venne respinto, e Tifone scaraventò
tutti lontano, prima di distruggere con i suoi enormi artigli la Reggia di
Zeus, cercando il suo eterno rivale. Lo trovò, ma inaspettatamente fu costretto
ad un passo indietro, venendo travolto da una devastante bolla di energia,
accecante come il firmamento: una bomba di luce che per un momento rischiarò
l’oscura cima dell’Olimpo, ricordando a tutti i combattenti il caldo tepore del
sole e delle stelle.
“Ma
quello...” –Mormorò Ermes, rimettendosi in piedi a fatica.
Sopra
di loro, circondato da una sfera di dorata energia, apparve il Signore
dell’Olimpo: Zeus, Padre di tutti gli Dei, rivestito dalla sua Divina Veste,
con le grandi ali spiegate dietro la schiena ed il Fulmine in mano. Al suo
fianco c’era Atena, che impugnava saldamente la Nike con la mano destra e
l’Egida con la sinistra, determinata come il Padre a non lasciarsi abbattere
dallo sconforto.
Lo
abbiamo battuto una volta! Possiamo rifarlo! Si disse la Vergine Dea, sollevando lo scettro di Nike avanti a sé e
caricandolo del suo cosmo. Un raggio di energia sfrecciò subito nell’aria,
diretto verso Tifone, il quale inizialmente parve non sentirlo neppure,
limitandosi a liberare osceni versi e a lanciarsi avanti, caricando le sue
molteplici teste di fiamme infernali.
“Fulmini
di Zeus!!!” –Gridò Zeus, scagliando
migliaia e migliaia di incandescenti folgori contro le teste di drago. Molte
furono distrutte, altre semplicemente si fermarono, ma Tifone non fu affatto
abbattuto, semplicemente fatto infuriare ancora di più. Il suo demoniaco cosmo
scivolò sul terreno, avvelenando i deboli cosmi dei Cavalieri sopravvissuti,
che cercarono di resistergli, unendosi tra di loro e facendo barriera con le
loro lucenti energie.
Efesto,
Artemide, Tisifone, Mur e Asher erano al suo fianco, e anche Ascanio,
Gwynn e gli altri Cavalieri Celesti sopravvissuti, tutti
con il cosmo carico al massimo. Ermes ed Euro si librarono nell’aria, sfidando
le sinuose fiamme della mitologica bestia, decisi a colpirlo da vicino. Il
Messaggero degli Dei puntò il Caduceo,
mentre Euro concentrò il cosmo sul pugno destro, prima di lanciare due violenti
attacchi energetici contro le teste di drago, potenziando le folgori di Zeus.
Tifone
sbraitò disperatamente e liberò una devastante energia oscura sotto forma di un
terribile uragano che travolse tutti i Cavalieri e le Divinità, stringendoli
nel suo mortale abbraccio. Crollò la Reggia di Zeus, e i Cavalieri a sua difesa
furono scagliati lontano, sbattuti per terra, dilaniati nel profondo dalle
velenose fiamme di morte, mentre soltanto Zeus rimase di fronte a lui, sospeso
in aria, riparato da una sottile barriera di energia cosmica. Anche Atena venne
scaraventata a terra, schiantandosi sulla scalinata della distrutta Sala del
Trono, subendo la stessa sorta di Efesto e delle
altre Divinità e perdendo la presa dello scettro di Nike.
“Aaah... Padre…” –Mormorò,
cercando di rialzarsi.
Un
giovane dai ricciuti capelli castani venne in suo soccorso, aiutandola a
rimettersi in piedi, e la donna riconobbe l’Armatura della Coppa Celeste,
indossata da colui che Zeus aveva rapito un tempo, sotto forma di aquila, per
farne il Coppiere degli Dei: Ganimede, il più bello dei mortali.
“Atena!!!”
–Esclamò il Cavaliere Celeste, aiutando la Dea.
“Ti
ringrazio, Ganime…” –Ma la voce le morì in bocca
quando vide Tifone scagliare un nuovo devastante uragano di infuocata energia
contro Zeus, distruggendo persino la sua cupola protettiva e scaraventando il
Dio indietro, fino a farlo schiantare contro le crollate mura della Reggia.
“Mio
Signoreee!!!” –Urlò Ganimede, preoccupato quanto
Atena per Zeus.
In
quella, un gruppo di berseker che era sopravvissuto
penetrò tra le macerie del Palazzo Divino, giungendo di fronte alla Dea e al
ragazzo, e riconoscendo la prima.
“Se
anche dovremo morire…” –Commentò sadicamente uno di
questi. –“Lo faremo portando al nostro Signore un grazioso presente!”
“Già!”
–Gli fece eco un altro, dal viso sporco di sangue. “–La testa della sua amica
Atena! Ih ihih!“ –E
senz’altro aggiungere i due si lanciarono avanti, seguiti da altri quattro berseker, brandendo armi infernali, ma Ganimede non si
lasciò intimorire, espandendo il proprio cosmo, dalle striature dorate.
Il Coppiere degli
Dei sollevò le braccia sopra la testa, mentre la luccicante sagoma di una coppa
compariva tra le sue mani, piena di scintillante nettare dorato. In un lampo di
luce la coppa si riversò verso i berseker, liberando
un’abbagliante energia simile ad un fiume di stelle, che li travolse tutti,
scaraventandoli via.
“Anfora
delle Stelle!” – Esclamò il
Cavaliere, osservando i berseker schiantarsi a terra
con fragore. Ma uno riuscì ad evitare l’assalto, facendosi scudo con il corpo
del suo compagno, e a balzare quindi avanti, srotolando la propria catena
ferrata, la quale si avvolse intorno al collo del Coppiere degli Dei,
sbattendolo a terra con forza.
“Muori!!!”
–Gridò il berseker, strattonando il ragazzo, ma prima
che potesse aggiungere altro fu colpito in piena nuca da un violento colpo di
spada.
“Sarai
tu, a morire!” –Esclamò una voce, affondando la lama nel cranio del guerriero
di Ares. –“Se osi levare la mano sul mio più caro amico!”
“Giasone!!!”
–Urlò Ganimede, liberandosi dall’oscura catena. –“Allora sei tornato?!”
“Perché?!
Non te lo avevo forse promesso?!” –Sorrise Giasone, e Ganimede non poté non
accorgersi di quanto stanco e tirato fosse quel sorriso.
“Attenti!!!”
–Gridò Atena improvvisamente, indicando il cielo, su cui si stagliava imperiosa
e terribile la sagoma di Tifone.
L’orrenda
creatura stava infatti passando sopra di loro, facendo crollare i resti della
Reggia di Zeus, dirigendosi verso il Dio dell’Olimpo, schiantatosi poco
distante. Schegge di mura e di soffitto crollarono su di loro, ma Giasone fu
svelto a buttarsi sopra Ganimede per coprire l’amico con il suo corpo, finendo
schiacciato da un pezzo di muro. Anche Atena fu sballottata, cadendo a terra,
ma riuscì a rimettersi in piedi e ad impugnare Nike, distruggendo il muro sopra
Giasone e liberando i due ragazzi. Quindi si lanciò fuori, con il cuore in
gola, pronta per affrontare di nuovo Tifone.
Nel
frattempo Zeus era in difficoltà contro il figlio di Gea.
Non soltanto il Signore dell’Olimpo era stanco per aver usato i suoi poteri
nella ricostruzione del Sacro Monte, devastato dalla guerra contro Crono, ma
aveva anche tenuto testa al diabolico cosmo di Ares per l’intera durata della
guerra, fronteggiando il figlio a distanza.
“Fulmini
di Zeus!!!” –Gridò, liberando una
violenta scarica di folgori, con cui distrusse numerose teste di drago e
vipere. Ma anche quel colpo non fu risolutivo e sciami di serpenti infuocati
scivolarono dal corpo orribile del gigante, strisciando sul terreno,
dirigendosi verso Zeus. Per un momento il Dio ricordò quel giorno, millenni
prima, ritrovandolo negli occhi iniettati di sangue delle serpi che puntavano
su di lui, ricoperte da squame di fuoco.
“Gorgo
dell’Eridano!!!”
–Gridò improvvisamente una voce, mentre un devastante vortice di energia
acquatica spazzava via numerose vipere. Ad esso seguirono due violenti raggi di
energia ed una moltitudine di frecce incandescenti, che uccisero gli ultimi
orribili serpenti, anticipando l’arrivo di Phantom
dell’Eridano Celeste, di Ermes, Artemide e degli
altri Cavalieri Celesti.
“Padre!!!”
–Esclamò Efesto, ansimando per la stanchezza. –“Già
una volta abbiamo mancato… fuggendo da una lotta che
era anche nostra… ma stavolta non accadrà! Stavolta
combatteremo insieme!” –E nel dir questo espanse il suo infuocato cosmo,
concentrando fiotti di magma ardente sulle mani e lanciando impetuosi getti
contro le gambe di Tifone.
Dal
canto loro gli altri Cavalieri e Divinità non rimasero inoperosi, bruciando al
massimo i loro cosmi. Artemide scoccò una freccia, moltiplicandola in infinite
copie, mentre Ermes liberava violenti raggi di energia con il Caduceo, affiancato dagli assalti di
Euro, Mur, Phantom, Ascanio, Asher e Tisifone. Seguendo la lezione di Pegasus e dei suoi
compagni, le cui gesta Euro aveva ammirato per molto tempo, il figlio di Eos
propose di unire i loro cosmi, i loro attacchi, in un’unica scintillante cometa
di energia, capace di trapassare il ventre deforme del mostro.
Atena approvò
l’idea, sorridendo orgogliosa, per quanto il suo cuore fosse in ansia, incapace
di capire cosa stesse accadendo al Grande Tempio, cosa fosse accaduto ai
Cavalieri a lei tanto cari, i cui cosmi aveva smesso di percepire poche ore
prima.
“Adessooo!!!” –Gridò Euro, indicando un punto nell’alto
ventre, a cui si attaccavano tutte le teste di drago. –“Il punto vitale di
Tifone!!! Insieme!!!” –E i Cavalieri Celesti e le Divinità unirono i loro
cosmi, mentre la sfolgorante potenza del cosmo di Zeus sovrastava,
inglobandoli, tutti loro, concretizzandosi in guizzanti fulmini diretti verso
Tifone, il quale, quella volta, non poté evitare l’assalto, venendo centrato in
pieno e scaraventato indietro.
L’immensa
figura ricadde lungo l’Olimpo, rovinando ulteriormente la morfologia del Monte
Sacro, distruggendo alberi e costruzioni, mentre i Cavalieri e le Divinità si
accasciavano a terra, stanchi e spossati. Per un momento credettero
realmente di aver vinto, di aver messo fine alle guerre e alle devastazioni. Durò
solo un momento tale illusione, ma infuse in essi tanto calore e speranza.
Tifone
infatti si rialzò, lentamente ma si rialzò, spalancando le immonde ali
infuocate del suo corpo deforme, e sbattendole con vigore, creando roventi
turbini di oscura energia, che sferzarono l’aria, sradicando alberi e aprendo
fenditure sul terreno, mentre le molteplici teste di drago lanciavano getti di
fuoco.
Fu
Euro il primo a riprendersi, dei Cavalieri Celesti, cercando di contrastare la
furia di Tifone con il proprio Vento dell’Est, ma senza successo.
L’attacco del figlio di Eos era solo brezza, paragonato alla devastante potenza
dell’uragano di Tifone.
“Dobbiamo
aiutarlo!” –Dissero Ascanio e Phantom,
lanciandosi contro la tempesta infuocata.I due espansero al massimo i propri cosmi, mentre le sagome di uno
scintillante fiume celeste e di due draghi, uno rosso e uno bianco, comparvero
dietro di loro, simboli del potere da cui traevano forza.
“Gorgo
dell’Eridanooo!!!”
“Double Dragon Attack!!!”
–Gridò Ascanio, affiancando il proprio assalto a
quello dell’amico.
Il vortice
acquatico e i due dragoni di energia cosmica sferzarono le fiamme demoniache di
Tifone, ridando vigore al turbine di Euro, e raggiungendo la mitologica bestia
sul fianco destro, distruggendo parte delle sue velenose carni.
“Adesso!!!”
–Gridò Ermes, indicando il punto dove colpire. Là puntò il Caduceo,
presto seguito da Artemide che scoccò decine di frecce incandescenti, che
raggiunsero il fianco aperto di Tifone, trapassando le proprie orride carni,
facendolo gridare dal dolore, e rendendolo ancora più furioso.
Con ferocia
immane, Tifone si chinò su di loro, piantando artigli nella terra, stritolando
i Cavalieri Celesti, incenerendoli con le sue fiamme infernali. Anche Euro
venne catturato, mentre cercava di librarsi in aria, e stretto dai mortiferi
artigli della bestia, mentre cumuli di vipere si attorcigliavano attorno a lui,
stridendo la loro squamosa pelle velenosa sulla lucente corazza del giovane.
“Euroo!!!” –Gridò Mur, dal basso,
bruciando il cosmo dorato, e scaricando un devastante Sacro Ariete
contro l’artiglio della bestia, penetrando parte della sua pelle con tale
pioggia di meteoriti.
“Ragazzo…” –Mormorò Efesto,
preoccupato e dispiaciuto per le sorti del giovane.
“Caduceo!” –Gridò Ermes, puntando la Bacchetta Divina contro
l’artiglio di Tifone. Il raggio energetico raggiunse la bestia, facendola
urlare di dolore, e il Messaggero degli Dei continuò a spingere, mettendo tutto
il suo cosmo in quell’assalto. Se non lo liberiamo adesso, il veleno di
Tifone lo ucciderà… Rifletté, scaricando altra
energia.
Artemide
incoccò una nuova freccia, concentrandola di tutto il suo cosmo, e la diresse
proprio verso il punto che Ermes stava colpendo, centrando il bersaglio e
obbligando Tifone ad aprire l’artiglio, ormai semidistrutto.
“Double Dragon Attack!!!” –Gridò Ascanio,
liberando le brillanti sagome del Drago bianco e del Drago rosso, che
raggiunsero l’artiglio malefico, polverizzandolo.
Euro
precipitò verso terra, debole ed incapace di aprire le sue ali e volare via, di
fronte agli occhi dei presenti, impossibilitati ad intervenire, in quanto
costretti ad affrontare le vipere e le teste di drago di Tifone, più furibondo
che mai. Fu Efesto a correre verso il ragazzo,
trascinando la propria zoppa gamba dolorante, riuscendo a prenderlo in tempo,
prima che si schiantasse al suolo. Un devastante getto di fuoco fu subito su di
loro, facendo urlare il Dio della Metallurgia dal dolore, incapace in quel
momento di difendersi.
“Muro
di Cristallo!!!” –Urlarono Mur e Kiki, raggiungendo i due e
creando la barriera difensiva.Resistette pochi secondi, ma permise ai quattro di allontanarsi e
ricongiungersi agli altri combattenti, tutti ormai stanchi e preoccupati,
soprattutto quando videro che Tifone spalancò nuovamente le proprie ali,
caricandole del suo oscuro cosmo fiammeggiante.
In
quella un guizzante fulmine, potente quanto il firmamento, si schiantò sul
petto deforme della bestia, facendola piegare in avanti dal dolore.
“E
questo è solo l’inizio!” –Esclamò Zeus, apparendo nuovamente nel cielo, solo e
determinato. –“Vieni avanti, Tifone!! Da millenni va avanti questa insana
lotta, ed è tempo di concluderla!” –E nel dir questo scaricò nuovamente
scattanti fulmini contro Tifone, il quale, sorpreso dal repentino attacco, si
contorse tutto su se stesso, gridando dal dolore, mentre le folgori del Dio
entravano dentro di lui, trinciando vipere e teste di drago, sfondando il suo
corpo deforme.
Vista
da sotto, la scena del combattimento finale tra Zeus e Tifone sembrava uno
scontro tra due immense forze sovrannaturali: un uragano di fiamme oscure, che
turbinava su se stesso, impedendo a chiunque, Dei compresi, di avvicinarsi, ed
uno sfolgorante scintillio cosmico, creato dai lucenti fulmini di Zeus, le cui
scariche di energia fendevano l’aria, rischiarando la cima dell’Olimpo, di
fronte agli occhi attoniti e stanchi dei Cavalieri e delle altre Divinità
accasciate a terra.
“Tutta
la tua esistenza, Tifone, l’hai consacrata al male, alla volontà di distruggere
un regno perfetto, il Paradiso degli Dei, come tua madre ti aveva insegnato,
come tua madre, adirata per la sconfitta dei Dodici Titani suoi figli, ti aveva
concepito! Un’immensa macchina da guerra! Incapace di provare amore o qualsiasi
altro sentimento che non fosse il desiderio di distruggere ed annientare
l’Olimpo, e me che ne sono il Signore!” –Esclamò Zeus, continuando a lottare
contro la bestia, circondato dal suo incandescente cosmo. –“Ho pena di te,
Tifone! Sì, ho pena di te! Di te che non sei mai stato niente, se non una
marionetta nelle mani dei potenti, tua madre prima, e Ares adesso! Un burattino
vuoto e freddo, senza sentimento alcuno, senza possibilità di scegliere il
proprio destino! A differenza dei tuoi fratelli e dei tuoi figli, le altre
mitologiche bestie figlie della tenebra, tu non hai mai avuto un senso se non
in funzione della mia distruzione!”
Un
violento fulmine squarciò Tifone in pieno ventre, facendogli vomitare sangue
oscuro, che scivolò sul corpo deforme della bestia, infiammandosi poco dopo,
mentre le vipere sibilavano convulsamente, ormai isteriche spettatrici di un
titanico scontro.
“L’ho
capito solo adesso! Che fu sbagliato seppellirti sotto l’Etna! Perché là non
trovasti la morte, là non trovasti la pace! Ma continuasti a vivere, a nutrirti
dell’odio che provavi per me, dell’odio che tua madre voleva che tu provassi
per me!! Continuasti a roderti per la sconfitta, avvelenando ulteriormente il
tuo cosmo malato, incapace di qualsiasi raziocinio! Ooh…”
–Mormorò Zeus, con una punta di tristezza. –“Quanto vorrei che tu fossi un
uomo, magari come Ares, che per quanto Dio convive in un corpo umano. Almeno
potresti scegliere il tuo destino… Invece che rimanere
così, in balia degli eventi, costretto ad andare avanti senza possibilità
alcuna di virare!”
E
in quella, vedendo Zeus rattristarsi e fermare il proprio attacco, Tifone si
lanciò su di lui, spalancando le immonde fauci delle sue infuocate teste di
drago ed emettendo gemiti terrificanti. Ma il Dio dell’Olimpo, raccolte al
massimo le proprie forze, fece esplodere il proprio cosmo, abbagliante come una
supernova, illuminando non solo l’Olimpo stesso, ma l’intera Grecia, quasi
fosse un secondo sole. Stritolanti fulmini avvolsero il corpo ferito di Tifone,
penetrando al suo interno, portando dentro di lui il caldo fuoco delle stelle,
mentre il suo sangue oscuro ribolliva, sterminando le orride creature che di
esso si cibavano.
“Fulmini
di Zeus!” –Gridò il Dio, scaricando
tutto il suo immenso potere su Tifone, il quale cercò comunque di reagire, di
opporre resistenza a quel vasto e caldo cosmo.
“Ora!!!”
–Esclamò Atena, dal basso, puntando Nike, verso il ventre di Tifone. Al suo
segno tutti i Cavalieri e le Divinità unirono i loro cosmi, caricando lo
scettro di Atena di tutta la loro energia. Efesto,
Artemide, Ermes, Euro, Ascanio, Phantom,
Giasone, Ganimede, Mur, Kiki,
Asher e Tisifone misero
tutto loro stessi, tutto il loro destino, in quel raggio di luce, che trafisse
Tifone in pieno, mentre le dilanianti folgori di Zeus frantumavano il resto del
suo corpo deforme, precipitandolo a terra, circondato dalle ultime oscure vampe
di fuoco. Triste e vinto, nuovamente.
Euro
ricordò la precedente sconfitta di Tifone, narrata da Esiodo nella sua Teogonia:“E quello, poi
che fu domato, spezzato dai colpi, piombò giú
mutilato, dié gemiti lunghi la Terra. Ed una vampa
sprizzò dal Dio folgorato percosso nelle selvose convalli dell'Etna tutto aspro
di rupi. E lungo tratto ardea per quel fiato divino
la terra dall'ampio dorso, e al pari si liquefaceva di stagno quando lo
scaldano dentro nei cavi crogioli i garzoni... Oppur
di ferro, ch'è fra tutti i metalli il più duro, quando in convalli montane lo
doma col rabido fuoco entro la terra divina, lo
liquefa Efèsto l'industre. Così la terra al vampo del fuoco si liquefaceva. E quindi, lo scagliò,
furioso, nel Tartaro immenso”. E
realizzò di aver partecipato anche lui, finalmente, ad una leggenda. Di essere
parte anch’egli dell’eroica storia del mondo.
Il
mutilato corpo di Tifone arse in vampe di fuoco, mentre i Cavalieri e le
Divinità, accasciandosi al suolo, potevano finalmente tirare un sospiro di
sollievo, ed ammirare lo splendente Dio dell’Olimpo discendere su di loro,
ricoperto dalla sua maestosa Veste Divina.
“No!”
–Affermò perentoriamente Zeus. –“Non un’altra prigionia per lui! Non potrebbe
sopportarla!” –E qualcosa, in fondo al cuore, scattò in Zeus, portandolo a
provare pietà, quasi tristezza, per l’orrendo destino cui Tifone era stato
condannato. Fin dalla nascita. –“Bruciatelo! È l’unico modo per porre veramente
fine alla sua sofferenza! L’unico modo per estirpare per sempre... la mia
nemesi!” –Mormorò infine a bassa voce.
“Come
desidera.. Sommo Zeus!” –Si inchinò Ermes, per quanto non avesse ben compreso
il motivo di tale commiserazione per un carnefice quale Tifone era, ai suoi
occhi. –“Lo getteremo in uno dei vulcani delle Eolie!” –Aggiunse, incontrando
lo sguardo assenziente di Efesto.
Quindi
si incamminò verso la carcassa sconquassata dell’orrida bestia, seguito da Efesto, Artemide, Tisifone, Euro
ed Ascanio, per trovare il modo per trasportarlo e
per controllare gli enormi danni che l’Olimpo aveva subito. Tra smottamenti,
crolli di templi, devastazioni di vegetazione, niente più rimaneva degli
antichi fasti che tanto avevano acceso il cuore degli Dei Olimpi, che tanto
avevano attirato uomini da terre lontane, alla ricerca di gloria e ricchezza,
di splendore e di apparenza. Euro sorrise, per quanto dolorante fosse il suo
corpo, realizzando che forse, adesso, sarebbe stato possibile ritrovare i veri
fasti perduti: non quelli materiali, di cui statue ed ambrosia erano il
simbolo, ma quelli spirituali, morali, che gli Dei avevano abbandonato millenni
prima, chiudendosi in uno splendido isolamento e perdendosi nelle nebbie del
tempo, venendo poi dimenticati dagli uomini, e sostituiti con nuovi idoli.
Atena
si rialzò a fatica, aiutata da Mur e da Asher, deboli anch’essi e con le armature crepate in più
punti, e subito la sua mente volò via, oltre quel deturpato colle, cercando il
cosmo dei suoi Cavalieri, impegnati in battaglia al Grande Tempio di Atene. In
quel momento, le nuvole finalmente si diradarono, spazzate via dal vento
proveniente dal mare, rivelando un rossastro tramonto. Un sole tinto di sangue,
ma anche di eroi.
Capitolo 42 *** Capitolo quarantesimo: Verso l'apocalisse ***
CAPITOLO QUARANTESIMO. VERSO L’APOCALISSE.
Il
violento assalto del Dio della Guerra, si schiantò su una scintillante barriera
posta a difesa di Pegasus, formata dai colorati cosmi dei suoi cari amici,
giunti in quel momento alla Tredicesima Casa, dopo aver sopportato prove
massacranti, con cui Ares aveva tentato di piegarli.
Sirio
il Dragone, la cui armatura presentava numerose fratture, priva ormai
dell’elmo, delle ali e dello scudo, con gli schinieri danneggiati e un taglio
all’addome, dovuto alla lama infuocata
di Flegias, che Sirio, insieme a Cristal e a Libra, aveva affrontato poco
prima, dopo aver sconfitto, in precedenza, il guerriero dell’Idra di Lerna,
Diomede e il Gigante Gerione. Cristal il Cigno, che aveva raggiunto i compagni
salvandoli dai pericolosi fanghi di Augia, dopo aver affrontato la terribile
Enio, Dea della Strage, nelle ghiacciate lande di Siberia, si era battuto con
Ladone, vincendolo grazie all’aiuto e al sacrificio di Scorpio, massacrato da
Flegias di fronte ai propri occhi.
Phoenix,
che quel giorno aveva fronteggiato ben due nemiche donne, le Cerva di Cerinea e
Ippolita, Regina delle Amazzoni, trovando nella seconda un valido aiuto durante
il terribile scontro alla Dodicesima Casa, contro Deimos, Dio del Terrore, che
aveva notevolmente danneggiato la sua armatura, già scheggiata in numerosi
punti, soprattutto alla spalla sinistra e al braccio destro. Andromeda,
coraggioso amico che non aveva esitato ad affrontare l’ultimo tremendo nemico,
Phobos, Dio della Paura, per permettere a Pegasus di correre da Ares,
nonostante fosse debole per le ferite riportate negli scontri con il guerriero
del Cinghiale di Erimanto e con il Custode della Palude di Stinfalo, di cui portava
ancora i segni.
E
infine Dohko di Libra, vecchio maestro di Sirio, giunto con Scorpio in aiuto
dei Cavalieri dello Zodiaco, utilizzando al meglio le Armi della Bilancia,
fronteggiando sia il terribile Gerione che il demoniaco Flegias. Molte erano
state distrutte, altre erano danneggiate, ma ancora otto ne rimanevano,
compreso lo scheggiato scudo sul braccio destro. Insieme erano arrivati alle
Stanze del Sacerdote, sorreggendosi a fatica, deboli per le battaglie
combattute quel glorioso giorno, in cui avevano raggiunto persino Eracle,
sostenendo le terribili fatiche che Ares aveva imposto loro.
“Voi...
qua?!” –Esclamò Ares, furibondo.
“Il
tuo piano è fallito, Dio della Guerra!” –Parlò Cristal, per quanto debole
fosse. –“I tuoi guerrieri sono stati sconfitti, i tuoi figli abbattuti, dei
tuoi sogni di gloria e dominio restano solo le ceneri!”
“Le
ceneri dici, Cavaliere del Cigno?!” –Sogghignò Ares, espandendo il proprio
fiammeggiante cosmo. –“E di voi allora cosa resterà?!” –E senz’altro aggiungere
scatenò una violenta tempesta, simile all’Apocalisse Divina di Flegias,
travolgendo i sei Cavalieri di Atena, mentre dilanianti vampe di oscuro fuoco
divoravano le loro carni e le loro corazze.
“Aaaahh…”
–Esclamò Cristal, precipitando a terra poco distante.
“Non…
abbiamo più forze...” –Rantolò Andromeda, incapace di rimettersi in piedi.
“Ma
dobbiamo tentare!” –Strinse i denti Phoenix, provando a rialzarsi.
“Ma
no, resta in terra, Phoenix!” –Lo derise Ares, puntando l’indice verso di lui.
–“Resta a terra!!!” –E lo colpì con un violento raggio di energia che lo
scaraventò lontano, frantumando ulteriormente la sua Armatura Divina, di fronte
agli occhi sgomenti dei compagni.
“Ares!
Ora subirai l’ira del Dragone!!!” –Esclamò Sirio, bruciando il proprio cosmo.
“Non
aspetto altro!” –Ironizzò il Dio, preparandosi a ricevere l’assalto.
“Colpo
segreto del Drago Nascente!” –Tuonò
Sirio, mentre un drago di energia cosmica scivolava nell’aria, diretto verso
Ares, il quale lo superò in velocità, balzando proprio accanto al Cavaliere.
Il Dio della
Guerra poggiò una mano sul petto di Sirio, frantumando l’armatura al sol
contatto e fermando tutti i suoi movimenti, sospendendolo a mezz’aria,
facendolo tremare come un passero impaurito, incapace di muovere anche solo un
muscolo. Senz’attendere altro sollevò il secondo braccio, pronto per piantare i
suoi artigli infuocati nel collo del Cavaliere, ma uno scintillio dorato lo
disturbò, obbligandolo a saltare indietro, mentre una lucente barra sfrecciava
davanti al suo naso.
“Lascialo!!!”
–Gridò Dohko, richiamando la Barra Gemellare.
“Come
vuoi!” –Ironizzò Ares, scaraventando il corpo inerme di Sirio contro Dohko,
facendoli schiantare insieme contro il muro lontano. –“Ah ah ah!!!”
“Ehi,
occhietti rossi!” –Ansimò una voce, a fatica. –“Non ti sarai dimenticato di
me?!”
“Pegasus!!!”
–Esclamò Ares, osservando il giovane avanzare barcollando verso di lui. –“Non
sia mai!” –E senz’altro aggiungere scattò avanti, pronto per travolgerlo.
“Catena
di Andromeda!!!”–Gridò il Cavaliere,
rialzatosi in quel momento, liberando la propria arma, che assunse la forma di
lancio della rete, in cui tentò di immobilizzare Ares.
“Interessante
tecnica!” –Giudicò questi. –“Ma non credo possa fermare il fuoco!!!” –Tuonò,
liberando il suo fiammeggiante cosmo, sotto forma di voraci vampe di fuoco che
travolsero Andromeda scaraventandolo indietro, obbligandolo ad allentare la
presa sulla sua catena, che Ares non ebbe problema alcuno ad annientare facendo
esplodere il proprio cosmo.
“Iaiii!!!”
–Scattò allora avanti Pegasus, avendo recuperato un po’ di forze. –“Fulmine
di Pegasus!”
“Sei
ostinato eh!” –Precisò Ares, schivando tutti i colpi e fermando la sua corsa
con un violento calcio allo sterno, che scaraventò il Cavaliere lontano.
Quindi
il Dio della Guerra si incamminò verso il trono, per sedervisi nuovamente,
fiero e tronfio del suo nuovo successo. Un successo che gli avrebbe assicurato
il dominio sul Grande Tempio di Atene, dato che quello sull’Olimpo era, per il
momento, quantomeno incerto. Aveva sentito il cosmo di Tifone esplodere poco
prima, ed era certo che Zeus lo stesse combattendo con tutte le sue forze,
rischiando la distruzione reciproca, a cui Ares molto mirava. Non aveva più
ispezionato l’Olimpo, impegnato ad affrontare Pegasus in battaglia, ma in cuor
suo sperava che alcuni berseker fossero sopravvissuti e riusciti ad eliminare
qualche nemico.
Ma
il maggiore dispiacere di Ares era dovuto alla fine dei suoi figli, Phobos e
Deimos, la cui utilità molto avrebbe giovato alla sua causa. Ed in quel momento
rimpianse di non averli con sé, per ordinare loro di sfrecciare sull’Olimpo a
far strage di quei poveri Dei e Cavalieri sopravvissuti.
Un
rumore lo distrasse dai suoi pensieri, richiamando la sua attenzione alla
battaglia in corso: Pegasus si era rimesso in piedi e stava camminando a fatica
al centro del salone, diretto verso di lui, per quanto sangue sgorgasse dalle
numerose ferite sul suo corpo ammaccato. Per fronteggiarlo, Ares si alzò
nuovamente dal trono, mentre una strana angoscia, che mai aveva provato prima,
si impadronì di lui e gli sembrò di ricordare la voce ghignante del suo
malefico figlio.
“Non
sottovalutare i Cavalieri di Atena!” –Gli aveva detto Flegias. –“Altrimenti
rischiamo di cadere nell’errore di Issione e di Crono, che pensavano di poterli
escludere dai loro progetti!”
Non
li ho sottovalutati! Si disse, quasi
a giustificare il fatto che fossero giunti alla Tredicesima Casa, dopo aver
fatto strage di berseker. Hanno sconfitto l’Idra di Lerna e il suo
guerriero, il Leone di Nemea e il berseker relativo, svelato gli inganni della
Cerva di Cerinea, vinto il Cinghiale di Erimanto, sconfitto mio figlio Diomede,
uno dei più meritevoli discendenti che abbia mai avuto, superato le Stalle di
Augia, massacrato il Custode della Palude di Stinfalo, ucciso il Toro di Creta,
sconfitto le Amazzoni ed Ippolita, stesi Ortro, Euritione e il terribile
Gerione, ucciso Licaone e Ladone, e persino i miei figli! I miei figli!!!
Si imbestialì Ares, realizzando finalmente il fallimento dei suoi progetti di
dominio.
“Iaaaiii!!!”
–Gridò Pegasus, lanciandosi nuovamente avanti. –“Fulmine di Pegasus!”
E
quest’uomo continua ad attaccarmi! Quest’uomo ha ancora la forza per volgere i
suoi pugni contro di me, ad una velocità impressionante, pari a quella della
luce! Rifletté Ares, cercando di
schivare le stelle cadenti che Pegasus lanciava contro di lui, rendendosi conto
di doversi impegnare sempre di più. Basta!!! Bastaaa!!!
“Ira
di Ares!!!” –Tuonò infine, scagliando
contro Pegasus una devastante massa di infuocata energia. Ma il ragazzo seppe
resistere, contrastando lo strapotere del nume con la sola forza delle mani,
bloccando il suo demoniaco avanzare, mentre vampe di tremenda energia
sferzavano sulle sue braccia e sulla sua armatura danneggiata. –“Non può
essere! Non puoi resistere!!! Cadiii!!!” –Gridò Ares, spingendo sempre più.
La
pressione aumentò sulle braccia di Pegasus, il quale venne lentamente ma
inesorabilmente spinto indietro, scavando solchi nel terreno, per quanto non
accennasse minimamente a muoversi e a farsi da parte, continuando a sostenere,
con tremendo sforzo, l’assalto di Ares.
“Siamo
con te!” –Esclamò Dohko, piantandosi davanti al ragazzo, con lo scudo dorato di
Libra puntato verso Ares. Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix si rialzarono,
unendo i loro cosmi a quelli dell’amico, e aiutandolo a respingere la
devastante massa infuocata, con uno sforzo immane.
A
tale vista Ares si imbestialì ancora di più, facendo esplodere il suo cosmo,
travolgendo i sei Cavalieri, scheggiando le loro corazze e distruggendo lo Scudo
d’Oro di Libra; quindi si accasciò a terra per lo sforzo, crollando sulle
ginocchia, mentre i Cavalieri si schiantavano lontano, qualcuno contro le
colonne, qualcuno contro resti di muro di quel che rimaneva della Tredicesima
Casa.
Possibile?! Mormorò Ares, respirando a fatica. Che sia
richiesto a me, Dio Supremo della Guerra, un simile sforzo? Che così tanto
debba penare per aver ragione di sei mortali, di cinque stupidi ragazzini e di
un vecchio bicentenario? E in quel momento, approfittando del momentaneo
fuorigioco dei Cavalieri di Atena, lasciò vagare il suo cosmo fuori dal Grande
Tempio, mentre il sole scompariva al di là delle Colonne d’Eracle e quel lungo
giorno di sangue volgeva al tramonto. Trovò l’Olimpo, devastato come aveva
richiesto, colle insanguinato e ferito, distrutto dalla furia dei berseker,
dalla fetida massa assassina di Tifone, e ne raggiunse la cima, solamente per
restare con l’amaro in bocca. Niente più rimaneva dell’inquietante esercito
della Guerra e della Morte che aveva inviato sul Sacro Monte, nessuno respirava
ancora dei cinquecento berseker da lui incitati. Tutti avevano trovato la
morte, persino i suoi figli, i suoi diciassette figli: iniziando da Issione,
ucciso giorni prima sull’Olimpo da Phoenix, e continuando con Ascalafo del
Mazzafrusto e Ialmeno dell’Anfesibena, caduti per mano di Phantom dell’Eridano
Celeste, Ossilo del Teschio Letale, ucciso da Asher, Enomao del Carro Furioso,
vinto da Ascanio, Cicno il Brigante d’Anime, annientato da Mur, e Molo, Pilo e
Testio, caduti di fronte al Cancello del Fulmine. Anche Tereo dell’Upupa e
Driante dell’Arpa Nera, inviati a Glastonbury per ritardare l’avanzata
dell’Ultima Legione, erano stati uccisi, come Eveno della Quadriga Celere,
morto ai Cinque Picchi. E stessa sorte avevano trovato Diomede, alla Casa del
Leone, Licaone, nel Bosco d’Oro, e Phobos e Deimos. Solamente di Flegias non
era certo della sua fine, che fosse stato realmente annientato dall’Urlo di
Atena. Ma in quel momento non gli importava niente di lui, né dei berseker
caduti.
Solamente
una cosa lo infastidiva, anzi lo faceva infuriare: il fatto che avessero
fallito, che non fossero riusciti, anche grazie all’aiuto di Tifone, a
sterminare gli Dei Olimpi e a conquistare la Reggia di Zeus, e che egli,
bloccato ad Atene dagli insistenti tentativi dei Cavalieri di Atena, non
potesse correre a dare il colpo di grazia agli stanchi difensori del Sacro
Monte.
E
sia dunque! Ringhiò, risollevandosi,
mentre l’avvampante aurea del suo cosmo scarlatto si accendeva intorno a lui,
scivolando nell’aria sotto forma di pressanti onde di energia. Cinquecento
anni ho atteso! Cinquecento anni confinato nel limbo della dimenticanza, per
tornare su questa terra infame! Cinque secoli in cui ho maturato la profonda
convinzione, anzi la certezza, di riuscire a vincere! Di essere destinato a
vincere, a dominare queste ignoranti masse di uomini, che come pecore nella
nebbia si aggirano in questo strano mondo credendo di essere immortali, di
essere superiori agli Dei stessi, sfidandoli con atteggiamenti provocatori e di
sfida! Incapaci di comprendere la verità ultima, la più evidente: che sono
destinati ad essere schiavi, succubi del potere più grande, da loro stessi
creato: la guerra, sublime armonia cosmica! Ed io, Ares, ne sono il Signore!
E mentre rifletteva, il Dio della Guerra si erse in tutto il suo ardore,
osservando i timidi tentativi dei Cavalieri di Atena di rimettersi in piedi.
Phoenix e Andromeda si erano rialzati e stavano espandendo il loro cosmo,
pronti per attaccarlo, presto affiancati da Sirio e da Cristal. Ma l’assalto
congiunto dei quattro Cavalieri si schiantò sull’invalicabile barriera
rappresentata dallo Scudo di Ares, la cui oscura energia assorbì
l’attacco rinviandolo indietro.
Approfittando
di quel momento, in cui Ares abbassava lo scudo, gioendo del nuovo successo,
Dohko si lanciò avanti, brandendo la Barra Gemellare e dirigendola verso
il Dio, il quale fu svelto a spostarsi di lato, evitandola, e a scagliare un
fendente energetico verso Dohko, con la sua Spada Infuocata. Libra fermò
il piano energetico con la sua spada dorata, che si scheggiò in più punti, ma
resse all’impatto, ma non riuscì a rispondere all’offensiva che Ares era già su
di lui, fermando i suoi movimenti con le Onde di Terrore.
“Ma...
maestro…” –Balbettò Sirio, rialzandosi, osservando Dohko tremare convulsamente,
sospeso in aria, mentre la dorata corazza della Bilancia cigolava
sinistramente, quasi fosse sul punto di schiantarsi. –“Excalibur!!!”
–Esclamò Dragone, liberando la Sacra Spada, la quale scavò un solco nel
terreno, raggiungendo Ares ed obbligandolo a saltare di lato.
Non
riuscì però il nume a rimanere indenne, venendo raggiunto al braccio sinistro
dall’affilata lama, che scheggiò parte della sua Veste Divina, facendo
infuriare il Dio della Guerra, che bruciò il suo cosmo, stritolando Sirio tra
infuocate vampe di energia rovente.
“Siriooo!!!”
–Urlò Dohko, espandendo il dorato cosmo della Bilancia, e liberandosi dalle
onde di energia di Ares. Senz’altro aggiungere, imbracciò la Lancia Bracciale, provocando
esplosioni di luce, che disturbarono la vista del Dio della Guerra, prima di
liberare il Colpo Segreto del Drago Nascente con la mano dalle dita
mozzate.
Ares
non ebbe problemi a fermare quel colpo, ma questo permise a Dohko di affiancare
Sirio, che nel frattempo si era liberato dalle vampe stritolatrici, ed unire i
loro cosmi, mentre le ardenti figure di dragoni scintillanti apparivano intorno
a loro.
“Insieme,
Sirio!” –Esclamò Dohko, portando entrambe le mani avanti.
“Colpo
Dei Cento Draghi!!!” –Gridarono i due
Cavalieri, mentre centinaia di luminosi dragoni verdi sfrecciavano nell’aria,
diretti verso Ares, il quale, per contrastarli, ricreò lo Scudo di Ares.
–“È inutile, Ares!!! Neppure tu puoi fermare le zanne dei Cento Draghi!!!”
–Esclamò Dohko, spingendo ancora, per quanto poche fossero le forze rimastegli.
Ma sembrò
realmente che il Dio potesse bloccare la devastante avanzata dei Cento
Draghi uniti di Sirio e Dohko, se non che, servendosi di quel momento di disorientamento
di Ares, Phoenix e Andromeda si lanciarono avanti, liberando i propri colpi
migliori. Le Ali della Fenice e la Nebulosa di Andromeda
travolsero lo Scudo di Ares, colpendo in pieno il Dio e scaraventandolo
contro il muro posteriore, mentre i Cavalieri si accasciavano nuovamente a
terra, privi di energia.
“Aaargh!!!”
–Rantolò il nume, sbattendo contro il muro, e ricadendo a terra, con la Veste
Divina danneggiata. –“Non… può essere! Lo Scudo di Ares!!! Superato?!”
“Non
hai voluto ascoltarmi prima, e adesso ne paghi le conseguenze!” –Esclamò una
voce, che costrinse Ares a sollevare lo sguardo da terra, prima di rialzarsi.
“Pegasus!!!”
“Usurata
è la tua difesa, ed incapace di resistere ai nostri attacchi congiunti!”
“Follie!!!”
–Tuonò Ares. –“Eresie che spazzerò adesso via…”
“No!!!”
–Ripose perentoriamente Pegasus, concentrando il cosmo sul pugno destro, e
scagliando contro Ares un violento pugno di energia, dalla forma di meteora
lucente.
Il
Dio, per quanto sorpreso, riuscì comunque a spostarsi a destra, schivando la
devastante sfera energetica che si schiantò dietro di lui, facendo crollare
quel che rimaneva delle mura retrostanti, stupendo Ares. E preoccupandolo non
poco.
Improvvisamente,
mentre Ares caricava nuovamente le sue braccia di poderosa energia rovente, la
sua Veste Divina fischiò sinistramente, prima di creparsi in più punti, proprio
sul braccio sinistro, apparentemente solo strusciato dalla meteora di Pegasus.
“Che
cosa?!” –Gridò il Dio, stupefatto che il ragazzo fosse riuscito a colpirlo.
–“Mi hai ferito?! Mi hai feritooo!!!” –Tuonò, espandendo di botto il suo cosmo
infernale.
L’intero
salone venne invaso da fiamme mortifere, che stridettero sulle armature dei
Cavalieri, scaraventandoli lontano, mentre la furia del Dio si abbatteva su
Pegasus. Un pugno in pieno viso gli fracassò la mascella, mentre il ragazzo non
poteva muoversi, bloccato, sospeso in aria, dal potere di Ares, prima che un
secondo pugno lo colpisse al ventre, crepando la sua luminosa corazza.
“I
miei sogni di dominio!” –Avvampò Ares. –“I miei progetti di conquista
naufragati a causa vostra, maledetti Cavalieri di Atena! Voi, piccoli esseri
insignificanti, avete osato sfidare il Dio Supremo della Guerra, avete
sconfitto i miei berseker, sterminato i miei figli, mandato in fumo i miei
ideali!!!” –E mentre parlava colpiva Pegasus continuamente, incapace di
muoversi e incapace di ricevere aiuto, poiché i compagni si stavano dimenando
nelle mortali fiamme incandescenti.
“Adesso
morirete! Qua! Pagando il fio dell’esservi opposti a me, principio ispiratore
di ogni atto umano!” –E colpì il petto di Pegasus con violenza tale da
scaraventarlo lontano, frantumando l’Armatura Divina proprio all’altezza del
cuore. –“Rialzati!!!” –Gridò. –“Ho ancora tanta rabbia da sfogare! Tanta
distruzione da portare!” –E così dicendo sollevò il braccio destro, iniziando a
concentrare il cosmo sull’indice.
Phoenix,
intrappolato tra le fiamme, nel vedere quella posizione, urlò improvvisamente,
avvertendo Pegasus, e gli amici tutti, di fare attenzione, di impedire al Dio
di usare quell’arcano potere, che Deimos aveva utilizzato ore prima.
“Farò
strage dei vostri spiriti!” –Ghignò Ares sadicamente, mentre tutto il suo coso
convergeva intorno a lui, allentando persino la presa sulle vampe infuocate.
“Non
te lo permetterò!” –Mormorò Pegasus, rialzandosi ed espandendo il cosmo
azzurro. –“Cometa di Pegasus!!!” –Gridò, liberando una scintillante
cometa di energia, che sfrecciò verso il nume, il quale credette di fermarla
con lo Scudo di Ares, ma essa lo distrusse, stupendo il Dio e
obbligandolo, a quel punto, a portare entrambe le braccia avanti per fermare la
sfera di luce, la quale esplose tra le sue mani, annullando la concentrazione
necessaria per scagliare lo Strage di Spirito.
“Alzatevi
amici miei!” –Esclamò Pegasus. –“Alzatevi e combattiamo insieme l’ultimo
nemico!!!”
“Pe...
gasus!!!” –Rantolò Cristal, sdraiato a terra in una pozza di sangue.
“Noi…”
–Mormorò Andromeda, cercando di rimettersi in piedi. Ma fu solo Sirio colui che
riuscì a rialzarsi, ansimando a fatica, mentre il Dio della Guerra osservava i
due Cavalieri con atroce disperazione, desiderando porre termine quanto prima a
quell’assurdo scontro che, nei suoi progetti,avrebbe dovuto concludersi già da tempo, con la sua inequivocabile
vittoria.
“Sei
con me, Dragone?”
“Come
sempre!” –Sorrise Sirio. –“Fino alla fine del mondo!”
“E
forse anche più in là!” –Aggiunse Pegasus, prima di bruciare al massimo il
cosmo delle tredici stelle, disegnando nell’aria la sagoma del cavallo alato.
Sirio imitò l’amico, socchiudendo gli occhi, ed evocando la scintillante
immagine del Drago di luce, prima di lanciarsi avanti insieme a Pegasus.
“Fulmine
di Pegasus!!! Colpo Segreto del
Drago Nascente!” –Esclamarono i due, liberando i loro classici colpi,
portati al massimo della loro lucente potenza.
La
purezza e l’ardore di quell’assalto stupì lo stesso Ares, che decise di non
ripetere l’esperienza dello scudo difensivo, contrattaccando immediatamente con
il suo cosmo avvampante, contro cui si scontrò il doppio attacco dei Cavalieri,
provocando una violenta esplosione che spinse tutti indietro, sollevando
polvere e facendo crollare mura e colonne.
Quando
Ares riuscì a vedere di nuovo, trovò i due Cavalieri di fronte a sé, stanchi ma
determinati a continuare a lottare; sollevò la Spada Infuocata,
calandola su Sirio, ma Pegasus fu svelto a porsi di fronte all’amico,
afferrando la lama con entrambe le mani, per quanto il dolore delle oscure
fiamme dilaniasse la propria pelle e cercasse di intaccare il suo spirito.
“Folle!!
Come Ioria prima di te!!!” –Gridò Ares, spingendo con foga. –“E come Ioria
morirai!!!”
“Come
Ioria vivrò!!!” –Rispose Pegasus, espandendo al massimo il cosmo e riuscendo,
di fronte allo sguardo attonito del Dio, a spingere in alto la spada, vincendo
la resistenza dello stesso Ares.
Un violento
calcio del ragazzo colpì Ares in pieno ventre, facendolo accasciare, mentre un
secondo calcio raggiunse il suo braccio destro, facendo volar via la spada e
lasciando il Dio disarmato di fronte a Pegasus.
“Muoriii!!!!
–Tuonò Ares, infervorato, evocando infinite fiamme di morte che avvolsero il
corpo di Pegasus, determinate a stritolarlo. Ma l’improvvisa esplosione del
cosmo del ragazzo lo liberò dal mortifero giogo, scaraventando Ares indietro,
mentre Pegasus, boccheggiando, riusciva a mantenersi in piedi.
“Alzatevi!”
–Ripeté il ragazzo, esortando i compagni di sempre. –“Alzatevi amici, e unitevi
a me in questa battaglia! Che sia l’ultima che dobbiamo combattere per la
giustizia e la libertà su questa splendida Terra!”
“Pegasus…”
–Rantolarono Andromeda e Phoenix. –“Siamo con te!” –Esclamarono Sirio e
Cristal.
“Memori
delle battaglie combattute fianco a fianco, contro tutti gli oscuri nemici che
hanno tentato di sovvertire l’ordine del mondo, Arles, Discordia, Nettuno,
Apollo, Lucifero, Ade e Crono, troviamo dentro di noi, nei nostri impetuosi
cuori ardenti, la forza per reagire, e continuare a lottare, credendo in noi
stessi e in ciò che siamo! Angeli da una stessa ala in volo verso l’infinito!”
–E così dicendo, Pegasus espanse al massimo il proprio cosmo azzurro, mentre
Sirio, Andromeda, Cristal e Phoenix facevano altrettanto, lasciando che i loro
cinque cosmi si unissero in uno soltanto, colorato e splendente come
l’arcobaleno. –“Forse sarà l’ultima, forse finirà tutto qua, ma se così fosse
avremo avuto l’onore di viverla insieme!” –Esclamò, concentrando la sua energia
sul pugno destro.
“Per
Atenaaa!!!” –Gridò Dragone, liberando i Cento Draghi d’Oriente.
“Insieme!!!”
–Urlarono Andromeda e Phoenix, lanciando la Nebulosa e le Ali della
Fenice.
“In
nome dei Cavalieri d’Oro!” –Aggiunse Cristal, sbattendo con foga i pugni uniti
avanti a sé.
“Cadi…
Ares!!!” –Concluse Pegasus, mentre il lucente assalto congiunto sfrecciava
verso il Dio della Guerra, che non poté far altro che cercare di contrastarlo
scatenando l’Ira di Ares.
Il
violento contraccolpo scaraventò tutti i contenenti indietro, mentre le Divine
corazze che li ricoprivano si schiantavano in più punti, sia quelle dei
Cavalieri che quella del Dio, il quale fu comunque il primo a rimettersi in
piedi, osservando il desolato paesaggio di fronte a sé.
Ares
ansimava a fatica, perdendo sangue da numerose lesioni sul suo corpo, mentre la
Veste Divina era crepata in più punti, come il suo ego ferito. Per un momento
ricordò la precedente Guerra Sacra contro Atena, e la sensazione provata
durante la sua sconfitta finale. Morte! Mormorò, rievocando quel
momento. Morte! Ripeté, sentendolo nuovamente vicino, nuovamente dentro
di sé. Fece qualche passo, barcollando, mentre il suo diabolico cosmo avvampava
attorno, per quanto in maniera inferiore rispetto a prima. Fiamme di un
caminetto potevano sembrare, agli occhi dei Cavalieri di Atena, contro le
infernali vampe che li avevano in precedenza ostacolati.
“Giunge
anche per voi la fine!!!” –Tuonò Ares, mentre i cinque compagni si rimettevano
in piedi.
“Morirai
con noi, Ares!” –Sibilò Pegasus, ansimando.
Improvvisamente,
mentre il Dio concentrava il suo cosmo sul braccio destro, evocando vampe
portatrici di morte, un fascio di luce nera lo investì in pieno, provenendo dal
distrutto soffitto del Tempio. Un raggio di luce che si fece sempre più grande,
al punto da ricoprire l’intera figura di Ares, stupefatto quanto i Cavalieri di
tale simile prodigio. E subito, all’interno del cono di luce nera, la figura
del Dio iniziò a scomparire, venendone assorbita. Gridò, Ares gridò come un
forsennato, mentre le sue carni scomparivano, annichilite dalla silenziosa
violenza del fascio stesso.
“Noooo!!!”
–Urlò, e quello fu l’ultimo suono che i sei Cavalieri di Atena udirono, prima
che il silenzio scendesse nuovamente sul Grande Tempio.
Ares
era scomparso, di fronte ai loro occhi stupefatti, inghiottito da un ignoto
fascio di energia che aveva tolto di mezzo il loro potente nemico. Per un
momento ne furono quasi lieti e si lasciarono cadere a terra, sbattendo con
fragore le ginocchia sul pavimento, boccheggiando convulsamente, stanchi dalle
lunghe ed estenuanti battaglie. Quindi si rinvennero, al sibilante suono di una
risatina che gelò loro il sangue.
Istintivamente
si voltarono verso l’ingresso della Tredicesima Casa, e là, tra le rovine del
Tempio, mentre il sole si tingeva di amaranto e scompariva ad Occidente,
osservarono una figura sogghignare con perfidia e violenza. Ricoperto dalla sua
Armatura Divina, scheggiata in più punti, Flegias, il Rosso Fuoco, sorrise
malignamente, tronfio del suo successo. Si tastò il collo, sfiorando con le
dita una pietra nera che indossava, prima che una tenebrosa luce lo avvolgesse.
“L’apocalisse
sta per arrivare!” –Mormorò. –“E tutti voi sarete travolti!” – E scomparve,
lasciando i Cavalieri stupefatti e sconvolti.
All'improvviso,
mentre Pegasus e gli altri si chiedevano cosa stesse accadendo, Dohko, disteso
in terra vicino a loro, iniziò ad avere violente convulsioni che sembrarono
dilaniarlo dall’interno.
“Maestro…
Maestro!!!” –Gridò Sirio, spaventandosi, chinandosi su di lui.
“L’ombra!
La grande ombra… sta scendendo su di noi! Ci oscurerà!!!” –Esclamò confusamente
Dohko, mentre nei suoi occhi un oscuro potere risplendeva, facendoli
infiammare.
Phoenix, a tale
vista, arretrò di un passo, cercando lo sguardo di Andromeda, e ricordando di
aver visto una scena simile, una sensazione simile, quando aveva fissato gli
occhi del fratello, dopo che Ade si era in lui reincarnato.
“L’eclissi…
il sole... tutto si spegnerà quando calerà l’inverno!” –Ripeté Dohko, smaniando
convulsamente, di fronte agli occhi preoccupati dei cinque amici.
Quindi
si calmò, mentre il suo viso ritrovava la serenità che gli era propria,
ricominciando a respirare normalmente, libero dall’oscuro maleficio che aveva
ghermito la propria anima in quei brevi, ma intensi, momenti. Spostò lentamente
il capo, incrociando lo sguardo di Sirio, chino sopra di lui, impensierito
quanto i cinque amici da un futuro che mai come in quel momento parve loro
incerto. Mai come in quel momento non degna di tale nome.
La
mattina successiva, mentre il sole sorgeva nuovamente sull’affaccendata Nuova
Luxor, Patricia si svegliò nel suo letto, nell’appartamento della Darsena nel
quale aveva vissuto insieme a Pegasus per tutti i mesi successivi alla fine
della Guerra Sacra contro Ade. Per un momento, l’odore del mare la fece
sorridere, incantandola con la sua magia, e facendole credere che il fratello
sarebbe uscito presto dalla doccia, con i capelli scombinati; ma poi la
consapevolezza del reale la travolse nuovamente, facendola alzare di scatto dal
letto, angosciata come non mai. Incerta come mai si era sentita prima.
“Pegasus…” –Mormorò la ragazza, e quello fu il suo primo
pensiero.
Nello
stesso momento, a migliaia di chilometri di distanza da Luxor, e dal Giappone,
in una caverna sotterranea dagli ampi soffitti, dove fiaccole di viva luce
rischiaravano i visi decisi, ma preoccupati, dei presenti, un vecchio dalla
barba bianca sedeva su una poltrona di legno, di fronte a quattro giovani
ricoperti da scintillanti armature.
“Flegias non ha trovato il talismano!” –Mormorò un ragazzo,
dai corti capelli castani e gli occhi azzurri come il mare.
“Ma
neppure noi!” –Commentò malinconicamente una voce di donna, l’unica tra le
cinque voci.
“Non
crucciatevi di ciò che è stato!” –Li rincuorò l’anziana guida, abbozzando un
sorriso. –“Altri hanno beneficiato del nostro aiuto!”
“Ma
il tempo stringe… dobbiamo sbrigarci!” –Incalzò un
ragazzo dai biondi capelli, stringendo in mano un lungo bastone dorato.
–“Riusciremo a trovarlo prima che la grande ombra scenda su di noi?!”
“Ce
la faremo, Jonathan! Ce la faremo!” –Commentò il giovane dagli occhi azzurri,
incontrando lo sguardo annuente del vecchio dalla barba bianca. –“Ci siamo
preparati per tutta la vita, e non falliremo!”
“Che
le stelle siano con noi!” –Mormorò l’antico saggio, prima di sospirare.
Capitolo 44 *** Schede tecniche Cavalieri di Atena, Olimpo, Asgard e Avalon ***
SCHEDE TECNICHE ATENE, OLIMPO, ASGARD e AVALON
CAVALIERI DI BRONZO
PEGASUS:
Pegasus è inizialmente in crisi, preoccupato per le sorti di Atena, che
tanto dolore ha patito prigioniera della Torre del Fulmine. Inizia a rendersi
conto che per lei prova forse qualcosa che va al di là dei rapporti di fiducia
e fedeltà di un Cavaliere verso la propria Dea. Saputa la minaccia di Ares,
Pegasus si reca al Grande Tempio con i suoi compagni, preoccupato che il Dio
della Guerra abbia rapito o ferito Patricia. Dopo un breve screzio con Flegias,
Pegasus si lancia in una nuova corsa attraverso le Dodici Case, adesso occupate
dai berseker di Ares, che impongono ai Cavalieri di Atena dodici nuove fatiche,
come quelle di Ercole nel mito. Pegasus vince facilmente il Leone di Nemea e il
guerriero relativo, venendo però adescato dalla Cerva di Cerinea. Affronta alla
svelta le cavalle di Diomede e gli uccelli di Stinfalo, prima di iniziare un
violento scontro con il guerriero del Toro di Creta. Combatte fianco a fianco
con gli amici contro Gerione, e brevemente contro Ladone, prima di correre alla
Tredicesima Casa e affrontare Ares. Assieme ai suoi compagni, assiste impotente
alla scomparsa del Dio della Guerra e alla risata sadica di Flegias, che
avverte tutti dell’avvento della grande ombra.
(Colpi segreti:Fulmine di Pegasus, Spirale di Pegasus, Cometa Lucente, Quadrato di
Pegasus)
SIRIO
il DRAGONE:
Sirio continua ad essere il grande amico di Pegasus, preoccupato per
lui e per il dolore che prova per le sorti di Atena. Come Pegasus, anche Sirio
è in pena per Fiore di Luna, e non esita a lanciarsi nella nuova Corsa
attraverso le Dodici Case, ingaggiando battaglia subito alla prima, contro il
guerriero dell’Idra di Lerna. Alla terza viene adescato anch’egli dall’inganno
della Cerva di Cerinea, e a alla quinta si lancia in un duro combattimento con
Diomede, il violento figlio di Ares. Alla decima casa affronta Gerione, il
terribile gigante, con l’aiuto del suo maestro e, adesso, amico, Dohko della
Libra, e sempre a fianco di Libra combatte contro Flegias, correndo in aiuto di
Cristal nel giardino delle Esperidi. Costretto a usare l’Urlo di Atena, contro
il demoniaco figlio di Ares, Sirio corre infine alla Tredicesima Casa, per
affrontare il Dio della Guerra assieme ai suoi compagni.
(Colpi segreti: Colpo segreto del Drago Nascente, Colpo del Drago Volante, Colpo dei Cento
Draghi, Excalibur, Acque della Cascata)
CRISTAL
il CIGNO:
Cristal non fa inizialmente parte del gruppo di Cavalieri che affronta
le dodici Fatiche di Ares, essendosi recato ad Asgard assieme a Ilda, per
ricondurvi i corpi di Mizar e Alcor. Nella cittadina nordica assiste ad una
ribellione improvvisata di alcuni nobili, che volevano uccidere Ilda, prima di
recarsi nella vera Asgard, al di là delle nuvole, per rivedere, seppur
brevemente, Flare. Sentendo cosmi ostili minacciare il suo villaggio in
Siberia, Cristal torna nelle terre ove si era addestrato, per sgominare un
gruppo di berseker e affrontare la terribile Enio, Dea della Strage. In suo
aiuto giunge però un misterioso Cavaliere, dalla splendida armatura azzurra, la
cui identità Cristal scoprirà soltanto mesi dopo. Corre infine ad Atene, in
tempo per salvare Sirio dalla furia delle cavalle di Diomede e affrontare
Augia, alla Sesta Casa. Affianca i compagni contro Gerione, prima di combattere
il mostruoso Ladone, sostenuto da Scorpio, che si sacrificherà per lui, per
proteggerlo da Flegias. Irato, Cristal unisce il suo cosmo a quelli di Sirio e
Libra, per lanciare l’Urlo di Atena contro il demoniaco figlio di Ares, prima
di correre alla Tredicesima Casa per combattere proprio contro il Dio della
Guerra.
(Colpi segreti: Polvere
di Diamanti, Aurora del Nord / Vortice Fulminante dell’Aurora, Anelli di
ghiaccio,Sacro Acquarius, Spada di
ghiaccio)
ANDROMEDA:
Andromeda si lancia con i compagni nella nuova corsa
attraverso le Dodici Case, affondando prima l’Idra di Lerna, a fianco del
fratello, poi venendo ferito dalla Cerva di Cerinea. Alla Quarta Casa impegna
battaglia contro il guerriero del Cinghiale di Erimanto, scoprendo il suo
dolore, e alla Settima la sua catena si rivela abile arma contro gli uccelli
della palude di Stinfalo, prima di sconfiggere il suo custode. Combatte contro
Gerione assieme ai compagni, e brevemente contro Ladone, fronteggiando di nuovo
l’incubo del suo passato alla Dodicesima Casa. Dà una splendida prova di sé nel
piazzale antistante la Tredicesima Casa, fronteggiando Phobos, e vincendo i
fantasmi del suo passato. Assieme a Pegasus e gli altri, combatte infine contro
Ares.
(Colpi segreti:Catena di Andromeda, Onde del Tuono, Nebulosa di Andromeda, Onda
Energetica, Melodia scintillante di Andromeda)
PHOENIX:
Phoenix, superato il trauma della scoperta della sorte
di Esmeralda, uccisa per volontà di Issione, è adesso più forte e maturo, e
finalmente in grado di correre a fianco dei suoi compagni. Affronta l’Idra di
Lerna con Andromeda e ingaggia combattimento con la Cerva di Cerinea, aiutato
dal vecchio amico Morfeo, prigioniero in chissà quale limbo sconosciuto. Alla
Nona Casa combatte contro Ippolita, in uno scontro che è anche un tentativo per
entrambi di conoscersi meglio, e per Phoenix è anche un modo per andare avanti.
Alla Dodicesima Casa fronteggia la violenta furia di Deimos, venendo aiutato
proprio dalla stessa Ippolito, che per amore di lui morirà. Unisce il suo cosmo
a quello degli amici, nello scontro finale con Ares.
(Colpi segreti: Ali
della Fenice, Fantasma Diabolico, Pugno Infuocato, Piume della Fenice, Volo dell’ultima
fenice)
ASHER
dell’UNICORNO:
Asher è l’unico sopravvissuto al massacro di Flegias e dei berseker al
Grande Tempio. Salvato da Kiki, grazie al teletrasporto, e condotto
sull’Olimpo, Asher dà una magnifica prova di sé, ergendosi a difesa del
Cancello del Fulmine e affrontando Ossilo del Teschio Letale con coraggio.
Sorretto dagli spiriti dei quattro amici morti in guerra, Asher riesce a
vincere il suo nemico, prima di unire il proprio cosmo a quello degli altri
compagni contro Tifone.
BAN
del LEONE MINORE, BLACK il LUPO, ASPIDES dell’IDRA, GEKI dell’ORSA:
I quattro Cavalieri di Bronzo vengono massacrati da Flegias e dai
berseker, durante l’assalto al Grande Tempio, venendo brutalmente uccisi. Le
loro teste sono conficcate su picche nere e piantate ai piedi della scalinata
delle Dodici Case, come ammonimento e sfida verso i Cavalieri di Atena.
Dall’alto del paradiso dei Cavalieri, i quattro proteggeranno sempre Asher.
NEMES
del CAMALEONTE:
Nemes compare brevemente nella storia, quando cerca di
mettere in salvo Patricia, e se stessa, dalla furia distruttiva dei berseker, a
Nuova Luxor. Verrà salvata da un Cavaliere sconosciuto, dotato di uno scettro
in grado di emettere un’accecante luce dorata. Condotta in una caverna
sotterranea, vi rimarrà, assieme a Patricia e a Fiore di Luna, fino al termine
della Grande Guerra contro Ares.
CAVALIERI D’ARGENTO:
TISIFONE
del SERPENTARIO:
Tisifone continua a crescere e, dopo i successi riportati nella scalata
all’Olimpo, adesso combatte fianco a fianco con Artemide, contro i demoniaci
figli di Ares, Phobos e Deimos. Assiste alla disfatta dell’esercito celeste di
Zeus e all’assalto di Tifone, unendo il proprio cosmo a quello dei compagni,
per difendere il Monte Sacro.
(Colpi segreti:Cobra Incantatore, Artigli del Cobra)
CASTALIA
dell’AQUILA:
Castalia è una ragazza confusa, il cui incontro con
Phantom dell’Eridano Celeste ha messo in crisi tutte le certezze su cui la sua
vita si era basata. Il ritorno di Ioria e l’incertezza sul suo futuro,
soprattutto i suoi sentimenti, ne fanno una donna molto fragile, per quanto in
battaglia rimanga comunque molto combattiva. Nel tentativo di chiarire con il
Cavaliere di Leo, si offre di accompagnarlo alla ricerca di Virgo, provando ad
aiutarlo nello scontro con Ares, ma venendo massacrata dal Dio. Salvata, per
miracolo, dalla distruzione dell’isola dell’Apocalisse, Castalia conosce Reis,
un Cavaliere delle Stelle, di cui ignorava l’esistenza, ma che, a quanto pare
dai loro sguardi d’intesa, Ioria conosceva invece molto bene. E di questo
neppure lei sa se esserne o meno gelosa.
Mur ha modo di praticare quella raffinata arte di cui è unico padrone
tra i Cavalieri di Atena, riparando le Armature d’Oro dei suoi compagni,
soprattutto quella di Ioria, danneggiate durante la scalata all’Olimpo. Scende
in campo personalmente, per affrontare Cicno, il Brigante di Anime, ma si
rivela incapace di richiamare le loro anime. Unisce infine il proprio cosmo a
quello dei compagni, e di Kiki, per proteggere il Sacro Monte dall’avvento di
Tifone.
(Colpi segreti:Muro di Cristallo, Onda di Luce stellare, Per il Sacro
Ariete/Rivoluzione stellare, Ragnatela di Cristallo)
IORIA del LEONE:
Ioria è dinamico e attivo, incapace di stare con le mani in mano ad
attendere passivamente gli eventi. Prega Mur di riparare la sua corazza e si
reca quindi sulle tracce di Virgo, seguito da Castalia, con cui ha occasione di
parlare, chiarendo che i sentimenti che prova per lei non sono niente di
diverso da rispetto e amicizia, verso una persona che gli è stato accanto nei
giorni più tristi e difficili. Combatte una cruenta battaglia con Ares,
sull’Isola dell’Apocalisse, venendo massacrato dal Dio, ma non arretrando mai
di un passo, determinato a salvare l’amico. Teletrasportato proprio da Virgo,
prima dell’esplosione dell’Isola dell’Apocalisse, Ioria si sente in colpa per
il suo fallimento, e subisce l’assalto di Enio, Dea della Distruzione. In suo
soccorso giunge Reis, la ragazza che quattordici anni prima aveva conosciuto
sotto il cielo d’Egitto. Una ragazza a cui non aveva mai smesso di pensare per
tutto quel tempo.
(Colpi segreti:Per il Sacro Leo, Lighting Fang, Photon Burst)
VIRGO:
Virgo compare poco nella storia, ma la sua
presenza è fondamentale per mettere in moto Ioria e per influenzare il suo
stato d’animo, di ansia prima, di ardore per salvare l’amico e di delusione per
il fallimento poi. Massacrato da Ares, Flegias, Phobos e Deimos, Virgo utilizza
gli ultimi barlumi del suo cosmo per mettere in salvo Ioria e Castalia, prima
che l’Isola dell’Apocalisse esploda, e lui con essa.
(Colpi segreti:Kaan)
DOHKO di LIBRA:
Libra è ormai diventato un amico e un
compagno di Sirio, di cui non si sente più il maestro, ma al suo stesso piano.
Corre ai Cinque Picchi, per sincerarsi delle condizioni di Fiore di Luna, ma trova
soltanto corpi di berseker massacrati. Ingaggia battaglia contro Eveno, della
Quadriga Celere, prima di ritornare in Grecia, dove corre in aiuto di Sirio
contro il Gigante Gerione, affrontandolo assieme a lui. In seguito, sempre
assieme a Sirio, Libra affronta Flegias, e nel combattimento gli vengono
portate via alcune dita, mozzate dall’infuocata spada del figlio di Ares.
Costretto a usare l’Urlo di Atena, con Sirio e Cristal, Libra cerca di mettere
fine a quel combattimento micidiale, che è costato la vita anche del Cavaliere
di Scorpio.
(Colpi segreti:Colpo
segreto del Drago Nascente, Colpo dei Cento Draghi)
SCORPIO:
Scorpio si reca a Nuova Luxor, per controllare Nemes e
Patricia, ma anziché trovare le ragazze, incontra solo segni di lotta e i corpi
morti dei berseker di Ares. Chiedendosi chi le abbia salvate, fa quindi ritorno
in Grecia, per aiutare i Cavalieri di Atena contro Gerione. Nel giardino delle
Esperidi, affronta e vince Licaone e poi unisce i suoi poteri a quelli di
Cristal, aiutandolo contro Ladone. Molto debole, protegge infine il Cavaliere
del Cigno, offrendo il suo corpo come scudo nell’attacco di Flegias. Muore
ucciso dal figlio di Ares, con una spada piantata nel collo. Il suo corpo sarà
in seguito condotto nel cimitero del Grande Tempio.
(Colpi segreti: Cuspide
Scarlatta, Onde di Scorpio, Chele dorate dello Scorpione, Cometa di Antares)
CAVALIERI D’ACCIAIO:
SHADIR
del Cielo, BENAM della Terra, LEAR dell’Acqua:
I Cavalieri d’Acciaio sono tra le vittime della
sanguinosa guerra scatenata da Ares, cadendo nell’ospedale della Fondazione
Thule, barbaramente uccisi dai berseker, per difendere Patricia e Nemes.
DIVINITA’ e GUERRIERI DEL NORD:
ILDA
di Polaris:
Ilda fa ritorno ad Asgard assieme a Cristal e ad Ermes, per condurvi le
salme dei defunti Mizar e Alcor. Assiste impotente alla rivolta contro di lei,
capeggiata dal Conte Turin, un uomo che in passato le era stato spesso a
fianco. Dispiaciuta, la Regina di Asgard inizia a chiedersi cosa stia accadendo
nella sua città, se la grande ombra, tanto evocata da Flegias, non sia
destinata a coprire anche il cielo del nord.
FLARE:
Flare compare brevemente nella storia, ancora rifugiata nella vera
Asgard, alla corte di Odino. Preoccupata per le sorti di Cristal, lo abbraccia
con calore, felice di rivederla, ma al tempo stesso si chiede cosa prova
davvero per lui. E cosa per Artax.
ARTAX,
ORION, MIZAR, ALCOR:
I Cavalieri di Asgard compaiono brevemente nella storia,
quando Cristal ritorna nella vera Asgard, per salutare Flare e conferire con
Odino, per ringraziarlo dell’aiuto prestatogli. Orion conferma a Cristal il
dono di Gramr, la spada con cui uccise Fafnir.
ODINO,
Signore degli Asi, FREYR, Dio del Sole, HEIMDALL, Guardiano del Ponte
Arcobaleno:
Heimdall, Odino e Freyr vengono intravisti quando Cristal
ritorna brevemente ad Asgard, ma il Dio degli Asi sembra non interessato ad
incontrarlo, chiuso nelle sue meditazioni e preoccupato per un’antica profezia.
Pare infatti che il Ragnarok, per Asgard, stia infine per arrivare.
DIVINITA’ GRECHE:
ZEUS,
Signore dell’Olimpo:
Recuperato il trono, perso per l’attacco di Crono, Zeus organizza le
difese del Monte Sacro, ma non si limita a mandare avanti i suoi Cavalieri,
decidendo di intervenire lui stesso. Richiama la Legione nascosta a Glastonbury
secoli prima, durante la Guerra di Britannia, in cui Avalon gli concesse tale
onore in virtù dell’aiuto prestato dai Cavalieri di Grecia. Risveglia gli
Ecatonchiri per affrontare Tifone, e poi si scontra con lui direttamente,
cercando di comprendere l’origine del male di tale creatura.
(Colpi segreti: Fulmini di Zeus)
ERA,
Sposa di Zeus:
Il ruolo di Era è molto limitato. Più che Divinità gelosa e
capricciosa, Era è adesso una donna preoccupata, per le sorti del suo amante e
signore, e per il destino dell’Olimpo. Seppur esitante, acconsente alle
richieste di Zeus, e dona una goccia del suo sangue per risvegliare gli
Ecatonchiri.
ERMES,
Messaggero degli Dei:
Ermes ha recuperato il posto di consigliere privato
del Sommo Zeus, e continua a dimostrarsi un servitore fedele e al tempo stesso
molto giudizioso. Accompagna Cristal e Ilda ad Asgard, prima di correre in
aiuto di Efesto e Euro sull’Etna. Unisce infine il proprio cosmo a quello delle
altre Divinità e dei Cavalieri di Atena e di Zeus per difendere il Monte Sacro
da Tifone.
(Colpi segreti:Caduceo):
ATENA,
Dea della Giustizia:
Atena è inizialmente molto debole, per le ferite
riportate durante la prigionia nella Torre del Fulmine, ma non esita a scendere
in campo personalmente, per difendere Zeus e l’Olimpo da Tifone. Concede una
goccia del suo sangue per risvegliare gli Ecatonchiri e combatte, rivestita
dalla sua Veste Divina, contro Tifone, preoccupata intanto per le sorti di
Pegasus e degli altri impegnati ad Atene.
ARTEMIDE,
Dea della Caccia:
Battagliera e ardita, Artemide è una guerriera tenace,
desiderosa di difendere il Monte Sacro e anche di farla pagare ai bastardi
figli di Ares, soprattutto a Phobos e Deimos, con cui ha un aperto conto in
sospeso. Li affronta assieme a Tisifone, riconoscendone il valore, evocando
addirittura gli antichi spiriti della Foresta. Unisce infine il suo cosmo a
quello delle altre Divinità e degli altri Cavalieri di Atena e Zeus per
contrastare l’assalto di Tifone.
(Colpi segreti: Dardo di Artemide, Spiriti della
Foresta)
EFESTO,
Dio del Fuoco e della Metallurgia:
Efesto, l’abile fabbro dell’Olimpo, è un Dio molto
arrabbiato, con Ares e con la vita, per la morte di Afrodite, l’unica donna che
mai lo avesse amato. Ripara le Armature Divine dei Cavalieri di Atena,
potenziandole con il mithril, e affronta in seguito Flegias e Enio, sulla bocca
dell’Etna. Aiutato da Euro, non riesce però ad impedire il risveglio di Tifone,
l’ancestrale mostro che vuole distruggere l’Olimpo. Salvato da Ermes, riesce a
rientrare sul Monte Sacro proprio in tempo per difenderlo dall’assalto dei
berseker e del mostruoso Tifone.
(Colpi segreti: Lava Incandescente)
DEMETRA,
Dea delle Coltivazioni:
Demetra è una Dea molto giudiziosa, che cerca di
compensare la sua debolezza in battaglia con l’astuzia e con la cura dei
feriti. Aiuta i Dioscuri, nello scontro con Kampe, curando poi le loro ferite,
prima di unire il proprio cosmo a quello delle altre Divinità e ai Cavalieri di
Atena e di Zeus per contrastare l’avanzata di Tifone.
ASCLEPIO,
Dio della Medicina:
Asclepio si occupa di prendersi cura di Atena e delle
ferite dei Cavalieri sull’Olimpo, sostenendo Zeus e difendendo con lui il Sacro
Monte. È meno combattivo delle altre Divinità, per il particolare legame che lo
lega a Flegias, essendo figlio di Coronide, appunto figlia di Flegias.
ARES, Dio della Guerra Violenta:
Dopo cinquecento anni trascorsi in un limbo senza
fine, Ares viene liberato da Flegias, grazie all’oscuro potere della Pietra
Nera, e convinto dal figlio a riprendere le armi contro Zeus. Sfruttando il
potere accumulato dallo Scudo di Ares durante la scalata dei Cavalieri di Atena
all’Olimpo, e incanalato nella pietra nera, Ares riorganizza il suo esercito di
berseker, lanciandoli contro i Cavalieri e le Divinità Olimpiche. Occupa il
Grande Tempio di Atena, facendone il proprio centro di comando e stabilendosi
alla Tredicesima Casa.
Arrogante e superbo, non si fida di nessuno, neppure
dei suoi figli, per i quali non prova alcun sentimento di affetto. Anche loro
infatti, come tutti i suoi berseker, servono solo al suo scopo, che è quello di
ergersi a dominatore del mondo. Combatte contro Ioria sull’Isola
dell’Apocalisse, massacrando il Cavaliere di Leo e Castalia, e poi fronteggia
l’assalto di Pegasus e dei suoi compagni alla Tredicesima Casa. Non sconfitto
da loro, viene però assorbito da un fascio di energia nera, che mette
bruscamente fine ai suoi progetti di dominio.
(Colpi segreti: Spada Infuocata, Tremor, Onde di Terrore, Ira di Ares)
ENIO,
Dea della Strage e della Distruzione:
Enio è l’amante di Ares, la mostruosa donna con cui il
Dio si sollazza nelle sue notti di passione. Combatte contro Cristal in
Siberia, venendo interrotta dall’arrivo di un misterioso Cavaliere dall’armatura
azzurra. Quindi ritorna a sud, dove affronta Efesto sul vulcano Etna, aiutando
Flegias a liberare Tifone. Infine combatte contro Ioria e contro Reis, sulle
sponde del lago di lava ove sorgeva l’Isola dell’Apocalisse. Viene ferita dalla
Spada di Luce, e gettata da Ioria nella lava, morendo arsa viva.
(Colpi segreti: Drops of
Loliness, Esercito della
Disperazione)
EURO,
Vento dell’Est:
Generoso e nobile, Euro è l’ultimo ancora vivo dei
quattro figli di Eos. Interviene personalmente per aiutare Efesto contro
Flegias, venendo però ferito dalla violenza del figlio di Ares, e salvato da
Efesto e Ermes.
Il Luogotenente dell’Olimpo si conferma un personaggio
carismatico, fedele servitore di Zeus e grande ammiratore dei Cavalieri di
Atena e dei loro ideali di giustizia. Inviato in Britannia per risvegliare la
Legione dormiente, Phantom conosce Ascanio Pendragon, combattendo al suo fianco
contro i berseker. Recupera le forze grazie all’energia curativa del Pozzo del
Calice, prima di tornare sull’Olimpo e combattere lo scontro finale. Affronta
Ascalafo del Mazzafrusto, aiutando Giasone, e lotta infine contro Tifone,
assieme a tutti i compagni.
Giasone è un fedele Cavaliere di Zeus, la cui figura
viene maggiormente approfondita in questa storia, indagando anche sul suo
passato. Giasone è l’eroe leggendario che, millenni addietro, viaggiò verso la
Colchide, sulla nave di Argo, per recuperare il vello d’oro, lo stesso eroe che
aveva avuto Medea per moglie. Giasone affronta prima Kampe, assieme ai
Dioscuri, riuscendo a vincerla con l’aiuto di Demetra, quindi deve fronteggiare
una minaccia che arriva direttamente dal passato: Ascalafo e Ialmeno, i suoi
antichi compagni, che hanno ceduto ad Ares. E infine deve vincere la sfida più
grande, quella con Medea.
(Colpi segreti: Spada della Colchide, Scudo della
Colchide)
GANIMEDE,
della Coppa Celeste
È il coppiere degli Dei, l’uomo scelto da Zeus per la
sua bellezza. Ganimede continua ad eseguire tale compito, anche se combatte
contro alcuni berseker, per difendere Atena. Possiede un’Armatura Divina,
simile a quelle di Giasone e di Phantom, rappresentante una coppa, creata
anch’essa da Efesto.
(Colpi segreti: Anfora delle stelle)
CASTORE
e POLLUCE, i Dioscuri:
I Dioscuri combattono contro Kampe, cercando di
fermare la sua distruttiva avanzata, aiutati da Giasone e da Demetra. Quindi
fronteggiano Cicno, che rapisce le loro anime, venendo liberate da Ascanio.
Molto deboli, non esitano comunque a lanciarsi contro Tifone, per difendere
loro padre Zeus, venendo uccisi dal mostro.
(Colpi segreti: Illusione dei Dioscuri, Pugno di Zeus, Carica dei Cento Cavalli)
ASCANIO
del PENDRAGON, Comandante dell’Ultima Legione:
Affascinante e potente, Ascanio dimora a Glastonbury, è
il Comandante scelto da Zeus per guidare e mantenere in efficienza la Legione
nascosta, la Legione che sarebbe uscita dall’oblio soltanto quando Zeus e
l’Olimpo stesso avrebbero dovuto fronteggiare la massima minaccia. Ascanio è
stato addestrato ad Avalon, l’Isola Sacra che sorge dietro Glastobury, e
possiede ottimi poteri, sia fisici che spirituali. Combatte contro Tereo e Driante
sulle pendici del Tor, prima di scendere in Grecia, alla guida dell’Ultima
Legione. Salva i Dioscuri dalla prigionia di Cicno e combatte con i Cavalieri
di Atena e di Zeus contro Tifone. Non incontra mai il suo vecchio maestro, il
Cavaliere di Libra, essendo questi impegnato in battaglia alle 12 Case.
(Colpi segreti: Bloody
Red Dragon Attack, Double Dragon Attack, Metempsicosi)
GWYNN, del BIANCOSPINO:
Gwynn è uno dei più giovani Cavalieri Celesti della
Legione nascosta, servitore fedele di Zeus e grande ammiratore di Ascanio.
Combatte contro i berseker di Ares a Glastonbury e poi partecipa alla battaglia
sull’Olimpo.
(Colpi segreti: Glastonbury
Thorn)
CAVALIERI DELLE STELLE:
REIS, Cavaliere di Luce:
Reis è una ragazza molto bella, che interviene per aiutare Ioria e
Castalia contro i berseker di Ares, sulle sponde del lago infuocato ove sorgeva
l’Isola dell’Apocalisse. Reis aveva conosciuto Ioria anni addietro, durante la
Guerra d’Egitto, quando aveva aiutato lui e Albione nello scontro con il
Custode delle Sabbie del Sahara. Quali sono i suoi sentimenti per Ioria ancora
non sono chiari, ma certamente si è accorta dello sguardo interessato del
Cavaliere di Leo. Reis è un Cavaliere delle Stelle, che non risponde
direttamente ad Atena, e custodisce la Spada di Luce, uno dei Talismani
forgiati nel Mondo Antico.
(Colpi segreti: Spada di Luce, Flashing
Sword, Cascata di Luce)
MARINS:
Cavaliere delle Stelle incaricato di recuperare il
Vaso di Nettuno, prima che i berseker possano metterci le mani sopra.
FEBO:
Compagno di Marins, lo accompagna nel Regno
Sottomarino per recuperare il Vaso di Nettuno.
JONATHAN:
Cavaliere delle Stelle, custode dello Scettro d’Oro,
interviene a Nuova Luxor, per salvare Nemes e Patricia, sterminando i berseker
di Ares, e conducendole in un rifugio sotterraneo, che Avalon ha apprestato
appositamente per difenderle.
PERSONAGGI VARI:
Lady Isabel:
Lady Isabel ha ormai preso coscienza di sé, diventando
una Dea a tutti gli effetti, per quanto il cuore in fondo rimanga quello di una
donna. E, come i cuori di tutte le donne, sia suscettibile di provare emozioni
e sentimenti, spesso contrastanti con il suo status di Divinità.
Patricia:
Patricia sfugge all’assalto dei berseker, grazie a Nemes e grazie
all’intervento di un Cavaliere dalla scintillante armatura. Viene nascosta in
una caverna sotterranea e liberata alla fine della Grande Guerra contro Ares.
Fiore di Luna:
La giovane amica e amante di Sirio viene salvata da un
Cavaliere che non aveva mai visto prima e condotta, assieme a Patricia e a
Nemes, in una caverna sotterranea, dove un biondino ed un anziano saggio si
prendono cura di loro, nascondendole ai berseker di Ares.
Jacov:
Il piccolo amico di Cristal assiste inorridito alla
distruzione del suo villaggio in Siberia, operata da alcuni berseker. In suo
aiuto giunge però Cristal, che lo salva.
Conte Turin:
Il conte è stato per anni uno dei fedeli sostenitori
della dinastia dei Polaris, difendendo Ilda e le sue scelte e giustificando
anche il suo comportamento durante la prigionia dell’Anello del Nibelungo. In
un modo che Ilda non sa spiegarsi, sembra essere a capo di una rivolta contro
la Celebrante di Odino, senza sapere di essere stato manovrato da un’ombra, per
fini più grandi di quelli che poteva immaginare.
L’Antico:
L’anziano saggio, dalla lunga barba bianca, ordina ai Cavalieri delle
Stelle di intervenire per salvare Nemes, Patricia e Fiore di Luna dagli assalti
dei berseker di Ares, nascondendo le ragazze in una caverna sotterranea.
Elena e Deucalione:
I genitori di Phantom dell’Eridano Celeste vengono
nominati brevemente, quando Phantom ripensa alle storie sull’Antica Grecia che
sua madre era solita raccontargli da piccolo.
Druidi:
Antichi sacerdoti di Britannia, dimorano attorno al
Tor e sull’Isola Sacra, continuando a celebrare i loro riti.
Alexer:
L’uomo misterioso, ricoperto da una scintillante
armatura azzurra, che aiuta Cristal contro Enio.
Capitolo 45 *** Schede tecniche dei Berseker e figli di Ares ***
SCHEDE TECNICHE di ARES E BERSEKER
BERSEKER DI
ARES:
I berseker hanno dimenticato
il loro vero nome, venendo chiamati da Ares, e dai suoi figli, soltanto in base
all’arma che utilizzano in battaglia, privi di qualsiasi valore che non sia
quello guerriero.
Scure:
Alto e magro, ha il viso coperto dalla visiera del suo
elmo, impugna un’ascia in battaglia. Fa parte del gruppo di berseker
inviati a Nuova Luxor. Massacra i Cavalieri d’Acciaio ma viene ucciso da
Jonathan, il Cavaliere delle Stelle.
Balestra:
Basso, veloce e scattante,
possiede una balestra montata sul bracciale destro della sua corazza. Fa parte
del gruppo di berseker inviati a Nuova Luxor.
Massacra i Cavalieri d’Acciaio ma viene ucciso da Jonathan.
Rostro:
Grosso e robusto, di origini orientali, con lisci
capelli neri raccolti in un codino, e un’armatura ornata da due scudi rotondi,
fissati ai bracciali, dal bordo seghettato e tagliente. Fa parte del gruppo di berseker inviati a Nuova Luxor. Massacra i Cavalieri
d’Acciaio ma viene ucciso da Jonathan.
Daga:
Guida i berseker
di Ares nell’assalto in Siberia, contro il villaggio di Cristal,
ma viene sconfitto e ucciso dal Cavaliere del Cigno.
Kriss:
Fa parte del gruppo di berseker
che invade la Siberia, per cercare Jacov e
catturarlo, in modo da usarlo contro Cristal. Viene
ucciso dal Cavaliere del Cigno.
Falcetto:
Fa parte del gruppo di berseker che Ares invia in Tessaglia per finire Ioria e Castalia. Viene ucciso da Reis,
con un secco colpo di spada.
Gladio:
Anonimo guerriero che in
Tessaglia ferisce Castalia alla spalla con il pugnale, prima di essere ucciso
da Ioria.
BERSEKER DELLE DODICI FATICHE:
Guerriero dell’Idra di
Lerna:
Il guerriero senza nome che protegge la prima casa del
Grande Tempio di Ares, i cui poteri sono ispirati alla bestia leggendaria da
lui custodita, l’Idra di Lerna. Si scontra con Sirio,
non riuscendo mai ad essere veramente pericoloso. È fedele ad Ares, ma non
combatte con ferocia sanguinaria, bensì con lealtà. Viene ucciso da Sirio.
(Colpi segreti: Fauci
dell’Idra di Lerna, Alphard,
Cuore del Dragone)
Guerriero del Leone di
Nemea:
Il più debole dei berseker
messi a difesa delle Dodici Case. Viene eliminato da Pegasus con un colpo solo.
(Colpi segreti: Artigli
del Leone di Nemea)
Cerva di Cerinea:
Affascinante e pericolosamente attraente, Esperia, la Cerva
di Cerinea è una bella combattente, agile e
scattante, e dotata di un particolare potere con cui riesce a incantare i suoi
avversari, facendogli vivere situazioni illusorie, per poterli vincere. Ha la
meglio su Pegasus, Sirio e Andromeda, sfruttando i loro sentimenti, ma non
riesce a vincere Phoenix, da cui viene sconfitta.
Erimanto, del Cinghiale:
Karol era un prete e amava leggere
e scrivere poesie, poi Ares lo sopraffece, piantandogli una zanna di cinghiale
nel cranio e avvelenando il suo corpo e il suo animo, facendone un berseker. Ingaggia battaglia contro Andromeda, dopo aver
fermato Phoenix e gli altri, venendo da lui sconfitto e liberato dal tormento
di Ares.
(Colpi segreti: Campane
infernali, Campane di cristallo)
Diomede,
figlio di Ares:
Il primo vero avversario
che i Cavalieri di Atena affrontano al Grande Tempio. Figlio di Ares, Diomede
ha una potenza cosmica che non ha niente da invidiare a quella di Phobos e Deimos, per quanto privo
di tanti altri loro poteri e attributi. Forte e determinato, Diomede impegna
notevolmente Sirio, obbligando il Dragone a dare fondo a tutte le sue forze.
(Colpi segreti: Furia di
Ares).
Augia,
lo Splendente:
Augia
è un ragazzino, che si diverte a guerreggiare approfittando delle situazioni
sfavorevoli che crea per svantaggiare i propri nemici. Fisicamente non è
affatto forte, per questo cerca sempre di volgere a suo vantaggio il terreno di
gioco. Questo trucchetto non gli riesce con Cristal, da cui viene sconfitto.
(Colpi segreti: Bomba di
Fango, Ruota solare)
Guerriero della Palude di
Stinfalo:
Chiamato anche solo “il custode”, il guerriero che
custodisce la Palude di Stinfalo, ricreata al posto
della Settima Casa di Libra, è brutto ed è crudele, sadicamente in cerca di uno
scontro sanguinario. Affronta Andromeda, ferendolo più volte, aiutato anche
dagli uccelli della sua palude, e obbligando il Cavaliere di Atena a creare un
nuovo colpo segreto, l’ultima configurazione della Catena, con cui viene
sconfitto.
Guerriero del Toro di Creta:
Robusto e fisicamente potente, il guerriero del Toro
di Creta attacca rannicchiandosi su se stesso e rotolando come un masso
lanciato in una folle corsa contro l’avversario. Atterra Sirio e Phoenix, ma
viene sconfitto da Pegasus.
Ippolita,
Regina delle Amazzoni:
Splendida, Ippolita combatte
per riconoscenza verso Ares, che ha dato nuova vita al Tempio delle Amazzoni a Themiskyra. Non è crudele né sadica, ma esegue solo il suo
dovere, ordinando alle Amazzoni di fermare e catturare Sirio, e poi ripetere lo
stesso con Phoenix. Ma nello scontro che segue, con il Cavaliere della Fenice, Ippolita ha modo di comprendere molte cose, e chiedersi se
la sua obbedienza ad Ares sia giustificata o meno. Sconfitta da Phoenix, lascia
passare i Cavalieri di Atena, giungendo addirittura a tradire Ares,
intervenendo in aiuto della Fenice nello scontro con Deimos
alla Dodicesima Casa. Incapace di trattenere ancora i sentimenti maturati per
Phoenix, Ippolita si dichiara, proprio prima di
morire uccisa da Deimos.
(Colpi segreti: Spada,
Maglia delle Amazzoni, Dardo incandescente delle Amazzoni)
Le
Amazzoni:
Donne combattive, senza petto, molto abili nell’uso
dell’arco e della spada. Fermano Sirio e tentano di fare lo stesso con Phoenix,
ma il Cavaliere della Fenice si ribella uccidendo molte di loro.
Il
Gigante Gerione:
Enorme e mostruoso, Gerione
impegna per molte ore i Cavalieri di Atena, sfruttando la protezione offerta
dal cosmo di Ares. Le sue tre teste vengono eliminate soltanto dallo sforzo
congiunto dei Cavalieri di Atena, soprattutto di Sirio e di Libra.
Licaone:
Un altro figlio di Ares, custode del Bosco d’Oro,
affronta Scorpio, venendo da lui ucciso dopo un breve
scontro. Può evocare le foglie del Bosco d’Oro per usarle come arma contro gli
avversari.
Ladone:
Gigantesco serpente del
Giardino delle Esperidi, capace di parlare e sputare fiamme dalla bocca.
Impegna notevolmente i Cavalieri di Atena, soprattutto Cristal
e Scorpio, che riescono ad averne infine ragione,
grazie alla loro tenacia incrollabile e alla spada Gramr.
CREATURE MITOLOGICHE:
Idra di Lerna:
Custodisce la Prima Casa dello Zodiaco, e viene
affrontata da Sirio, Pegasus e, in particolare, Andromeda e Phoenix, venendo
sventrata.
Leone di Nemea:
Balza contro Pegasus, fuori
dalla Seconda Casa, ma viene fatto fuori dopo poco dal Cavaliere di Atena.
Cavalle di Diomede:
Terribili e furiose, caricano
agli ordini di Diomede i cavalieri di Atena alla Quinta Casa dello Zodiaco.
Vengono eliminate da Phoenix, poi da Sirio, e infine da Cristal.
Uccelli di Stinfalo:
Sorvolano la Palude di Stinfalo, cercando di ferire i Cavalieri di Atena con le
loro affilate piume, ma Andromeda li vince grazie ai multiformi poteri della
sua Catena.
Ortro:
Cane bifronte che tenta di impedire ai Cavalieri di
raggiungere il luogo ove sorgeva la Decima Casa, ma viene squartato vivo da
Pegasus, imprigionato da Andromeda e infine tagliato in due dall’Excalibur di
Sirio.
Tifone:
Il mostro per eccellenza della storia. Risvegliato da Flegias dalla prigionia cui Zeus lo aveva confinato sotto
l’Etna, Tifone marcia sull’Olimpo, facendo strage di uomini e terre,
distruggendo tutto ciò che incontra, mosso soltanto da uno stimolo, che sua
madre Gea aveva instillato in lui millenni addietro.
Zeus ha quasi pietà di lui, preferendo che alla fine, anziché seppellirlo
nuovamente, venga bruciato, per mettere per una volta fine ai suoi tormenti.
Kampe:
Mostro risvegliato dalla Pietra Nera di Flegias, Kampe assalta l’Olimpo,
abbattendo il Bianco Cancello e permettendo ai berseker
di entrare sul Monte Sacro. Viene affrontata dai Dioscuri,
da Giasone, da Demetra e dagli alberi animati dalla Dea della Vegetazione, e
vinta a prezzo di molta fatica.
Ecatonchiri:
Gige, Cotto e Briareo, sono i tre Ecatonchiri risvegliati da Zeus, Era e Atena con una goccia
di sangue, per proteggere l’Olimpo dalla minaccia di Tifone.
FIGLI DI
ARES:
Flegias,
il Rosso Fuoco:
Flegias
continua a tessere le fila del suo diabolico piano per coprire il mondo intero
con una nuova oscurità. Grazie al potere della Pietra Nera risveglia Ares, da
un sonno durato 500 anni, e i suoi fratelli, e invade in suo nome il Grande
Tempio di Atena prendendone possesso. Massacra personalmente Gerki e gli altri Cavalieri di Bronzo inferiori, piantando
le loro teste ai piedi della scalinata Dodici Case. Quindi si reca sull’Etna,
con un piccolo contingente di berseker, per
risvegliare Tifone e spingerlo sull’Olimpo.
Viene fermato da Efesto e da
Euro, con cui ingaggia un veloce combattimento, aiutato da Enio,
Dea della Strage, prima di ritirarsi, osservando compiaciuto l’avanzate dal Dio
verso l’Olimpo e potendo dedicarsi al suo interesse principale. Ovvero la
ricerca di mistici talismani, che da anni va inseguendo nei luoghi di culto di
tutto il mondo, le uniche armi in grado di impedire, o di favorire, l’avvento
dell’ombra. Affronta Cristal e Scorpio,
uccidendo il Cavaliere d’Oro, nel terreno ove un tempo sorgeva l’Undicesima
Casa di Acquarius, prima di combattere con Sirio,
Libra e Cristal contemporaneamente, riuscendo a
tenere loro testa. Resiste all’Urlo di Atena e riappare nel finale solo per
terrorizzare Pegasus e i suoi compagni, avvertendoli che la grande ombra ha
iniziato a calare sulla Terra.
(Colpi segreti: Apocalisse Divina, Spada Infuocata)
Phobos,
Divinizzazione della Paura:
Il Dio della Paura guida, assieme al
fratello, l’esercito di berseker lungo la via per
l’Olimpo, istigandoli ad avanzare, sempre e comunque. Sempre assieme a Phobos si reca nella Foresta di Artemide, per massacrare la
Dea della Caccia, una delle sopravvissute al massacro degli Dei Olimpici da
loro operato giorni prima. Ma anche in quell’occasione, nonostante lo sforzo
congiunto dei figli di Ares, Artemide riesce a resistere loro, aiutata da Tisifone.
Phobos
rientra al Grande Tempio assieme al fratello, preoccupato dal fatto che Pegasus
e gli altri siano giunti fino ad affrontare Gerione.
Non ascoltando gli avvertimenti di Flegias, né
prestando ascolto al cosmo del fratello scomparso contro Phoenix, Phobos affronta Andromeda convinto di vincerlo, convinto
che un Cavaliere così debole non possa opporsi al suo potere. Ma nonostante i
gravi danni che gli causa, viene comunque sconfitto.
(Colpi segreti: Spada Infuocata, Scure dello Sgomento, Ruota della
morte, Fantasmi del passato, Ira di
Ares)
Deimos,
Divinizzazione del Terrore:
Deimos è
pazzo, un sadico guerriero assetato di sangue. Assieme al fratello Phobos, guida i berseker e Kampe sull’Olimpo, affrontando Artemide nella Foresta,
assieme a Tisifone. Rientra quindi ad Atene, per
occuparsi personalmente dei Cavalieri Divini giunti alla Dodicesima Casa.
Affronta brevemente Pegasus, Andromeda
e Phoenix, prima di ingaggiare un serio confronto con la Fenice Divina,
osservando il tradimento di Ippolita consumarsi di
fronte ai suoi occhi. Senza pietà alcuna, Deimos
massacra la Regina delle Amazzoni togliendole la vita, ma scatenando l’ira di
Phoenix, che lo uccide strappandogli il cuore.
(Colpi segreti: Spada
Infuocata, Onde di terrore, Tremor, Strage di Spirito, Ira di Ares)
Enomao,
del Carro Furioso:
Tra i figli di Ares che
assaltano l’Olimpo è il più spregiudicato, il più desideroso di emergere e
conquistare la fiducia del padre. Guida i berseker
durante la scalata, sfidando i Dioscuri con il suo
carro Furioso, trainato da cavalli alati; viene atterrato da Asher, ma si sbarazza facilmente di lui, di fronte al
Cancello del Fulmine, prima di ingaggiare combattimento contro Ascanio. La superiorità del Cavaliere Celeste è evidente,
ma Enomao combatte fino alla morte.
(Colpi
segreti: Ruota del Carro Furioso)
Eveno,
della Quadriga Celere:
Inviato da Ares ai Cinque Picchi, per controllare il
motivo del ritardo della spedizione, si scontra con Dohko,
ma sottovaluta il nemico, tronfio della sua superiorità, in quanto figlio di un
Dio. Viene ucciso da Libra, che libera così i cavalli della Quadriga.
(Colpi segreti: Prigionia
dell’Anima)
Tereo,
dell’Upupa:
Tereo guida, assieme a Driante, l’assalto dei berseker a Glastonbury. Anche se
in inferiorità numerica, i guerrieri di Ares avevano il compito di ritardare la
partenza dell’ultima legione, cosa che nel loro piccolo sono riusciti a fare,
impegnando i Cavalieri Celesti in una dura battaglia.
Tereo, che combatte muovendosi come un upupa, affronta Phantom
dell’Eridano Celeste, e viene massacrato dal
biancospino di Glastonbury, scagliato da Gwynn, per punire coloro che hanno osato macchiare di
sangue il sacro suolo del Tor.
Driante,
dell’Arpa Nera:
Musico dall’animo oscuro, Driante
affronta Ascanio sulle pendici del Tor, senza pesare che egli è refrattario ad ogni attacco di
tipo musicale, venendo sconfitto dal Comandante dell’Ultima Legione. È però il
primo a notare i serpenti tatuati sulle braccia di Ascanio,
e a nominare il Pendragon.
(Colpi segreti: Inquietudine
esistenziale)
Ascalafo
del Mazzafrusto:
Ascalafo era uno dei compagni di Giasone, durante il viaggio
nella Colchide alla scoperta del Vello d’Oro, ma poi,
avvelenato da Ares, e incitato dall’isterismo del fratello, ha ceduto al rancore
verso il vecchio amico, accusandolo di aver preso tutti i meriti e la gloria.
Affronta Giasone, indebolito dal veleno di Ialmeno, e
poi Phantom, da cui viene atterrato. Ritrovato se
stesso, e capiti i suoi errori, Ascalafo succhia il
veleno dal corpo di Giasone, salvandogli la vita, anche se questo gesto lo
condanna a morte.
Fratello di Ascalafo, Ialmeno è molto più vicino alle posizioni di Ares ed incita
continuamente il fratello a uccidere Giasone, per vendicarsi dei torti subiti.
Viene sconfitto da Phantom e travolto dal Gorgo dell’Eridano.
Colpi segreti: Artigli del male)
Ossilo,
del Teschio Letale:
Fa parte dei berseker che inizialmente
assaltano il Grande Tempio di Atene, e lì nota Asher,
desiderando poi confrontarsi con lui sull’Olimpo. Riesce ad atterrare più volte
il Cavaliere dell’Unicorno, sfruttando i suoi sentimenti, prima di venire però
sconfitto dal contrattacco di Asher, e da lui ucciso.
(Colpi segreti: Pioggia di Teschi)
Molo, Pilo e Testio:
Figli di Ares, impauriti da Phobos e sempre
pronti ad eseguire ogni ordine. Affrontano Gwynn del
Biancospino, venendo da lui uccisi.
Cicno,
del Brigante:
Un berseker non troppo
interessato alla conquista dell’Olimpo, quanto soprattutto a una sua guerra
personale, che conduce con l’ausilio della sua armatura, in grado di assorbire
l’energia cosmica degli avversari. Affronta i Dioscuri,
vincendoli e intrappolando la loro anima in un limbo sconosciuto, prima di essere
sconfitto da Mur, che satura la sua corazza
portandola all’esplosione.
(Colpi segreti: Clava
del Brigante, Brigante di Anime)