La Grande Guerra

di Aledileo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Cercando un pò di pace ***
Capitolo 4: *** Ares, Dio della Guerra ***
Capitolo 5: *** Pianificando la guerra ***
Capitolo 6: *** Colpe da scontare ***
Capitolo 7: *** Le dodici fatiche di Pegasus ***
Capitolo 8: *** L'Idra e il Leone ***
Capitolo 9: *** L'assalto dei berseker ***
Capitolo 10: *** Distruzione in Siberia ***
Capitolo 11: *** La cerva dalle corna d'oro ***
Capitolo 12: *** Il cinghiale di Erimanto ***
Capitolo 13: *** Capitolo undicesimo: Assalto all'Olimpo ***
Capitolo 14: *** Capitolo dodicesimo: Fratelli di battaglie ***
Capitolo 15: *** Capitolo tredicesimo: Le cavalle di Diomede ***
Capitolo 16: *** Capitolo quattordicesimo: Le stalle di Augia ***
Capitolo 17: *** Capitolo quindicesimo: Sulle tracce del niente ***
Capitolo 18: *** Capitolo sedicesimo: Combattimento sull'Etna ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciassettesimo: Le paludi di Stinfalo ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciottesimo: Il toro di Creta ***
Capitolo 21: *** Capitolo diciannovesimo: L'ultima Legione ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventesimo: Glastonbury in fiamme ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventunesimo: Ippolita, Regina delle Amazzoni ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiduesimo: Il terribile Gerione ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventitreesimo: Combattendo insieme ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventiquattresimo: Caccia nella Foresta ***
Capitolo 27: *** Capitolo venticinquesimo: Tifone e Giasone ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventiseiesimo: Il giardino delle Esperidi ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventisettesimo: Veleno mortale ***
Capitolo 30: *** Capitolo ventottesimo: Chiarimenti necessari ***
Capitolo 31: *** Capitolo ventinovesimo: L'infuocato scontro ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentesimo: L'ultima fatica ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentunesimo: Eterno terrore ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaduesimo: Il massacro degli Argonauti ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentatreesimo: Il brigante di anime ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentaquattresimo: La grande paura ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentacinquesimo: Il flagello degli uomini ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentaseiesimo: Ritrovarsi ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentasettesimo: Assedio finale ***
Capitolo 40: *** Capitolo trentottesimo: Fino alla fine ***
Capitolo 41: *** Capitolo trentanovesimo: La grande alleanza ***
Capitolo 42: *** Capitolo quarantesimo: Verso l'apocalisse ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***
Capitolo 44: *** Schede tecniche Cavalieri di Atena, Olimpo, Asgard e Avalon ***
Capitolo 45: *** Schede tecniche dei Berseker e figli di Ares ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M

Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M. Kurumada

 

ALEDILEO presenta

 

I CAVALIERI DELLO ZODIACO

2

“LA GRANDE GUERRA”

 

 

Nota dell’Autore:

Gli eventi di questa fanfic seguono logicamente e cronologicamente “FULMINI DALL’OLIMPO”, che ne costituisce, in quanto a trama e personaggi, l’ossatura iniziale. È consigliata quindi la lettura di tale fanfic (presente su EFP), per una migliore comprensione dell’opera!

 

Un ringraziamento particolare a Shiryu, editore nonché correttore e utile consigliere.

 

ALE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Prologo ***


<

PROLOGO

 

Un boato scosse il Regno Sottomarino, facendo sussultare Marins che vagava all’interno del Tempio di Nettuno, nel silenzio più completo. Tutto era in ombra, ma il ragazzo sapeva come muoversi, non essendo la prima volta che vi si recava. Cercò con fare sicuro una stanza sotterranea, una cripta segreta, il cui accesso era celato ai più, nella quale Atena aveva nascosto un prezioso oggetto al termine del sacro conflitto contro il Dio dei Mari dell’anno precedente.

 

“Eccolo!” –Esclamò, osservando il Vaso di Nettuno, protetto dal sigillo di Atena.

 

Per quanto mille pensieri lo invadessero in quel momento, Marins li cacciò via, curandosi soltanto della propria missione. Afferrò il vaso con cura e corse via, ritornando in superficie ed uscendo dal retro del Tempio Sottomarino, per un passaggio nascosto che l’Antico gli aveva insegnato.

 

“Finalmente!” –Esclamò un ragazzo, osservando il compagno ricomparire tra le rocce dietro al Tempio di Nettuno. –“Stavo iniziando a preoccuparmi!” –Commentò, visibilmente più rilassato nel vederlo sano e salvo. –“Sono arrivati!” –Aggiunse, con un filo di voce.

 

“Sì!” – Sospirò Marins. –“Lo sento!”

 

Pochi secondi dopo grida allucinanti lacerarono l’aria, urla confuse di cosmi inquieti e maligni, espressione diretta della malvagità insita nell’animo di quei Guerrieri Scarlatti.

 

Marins si voltò per un attimo indietro, quasi tentato di correre via, per combattere a fianco dell’ultimo difensore, ma sapeva che non avrebbe potuto farlo. Non a costo di compromettere la missione! E quella veniva prima di ogni altra cosa.

 

La voce squillante di Febo lo riportò al presente, in corsa, lontano dal tempio, lontano dalla guerra. Vi fu uno scintillio di cosmi e poi nulla più, i due amici scomparvero, e il Vaso di Nettuno con loro.

 

Ignaro di tutto questo, un uomo dai capelli viola stava combattendo sulle scalinate del Tempio Sottomarino, difendendo con l’incantevole suono del suo flauto la reggia del suo Signore, ultimo dei sette Generali degli Abissi ancora in vita. Di fronte a lui, un’intera armata dalle fiammeggianti vestigia scarlatte, che pareva determinata a non lasciarsi intimorire dal musico marino.

 

Syria delle Sirene tremò per un momento, consapevole che quella sarebbe stata la sua ultima melodia. Accostò il flauto alle labbra, e sprigionò tutto il suo cosmo in una seducente sinfonia di morte. 

 

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Capitolo 3
*** Cercando un pò di pace ***


CAPITOLO PRIMO. CERCANDO UN PO’ DI PACE.

 

Erano trascorsi due giorni dalla fine della guerra sull’Olimpo e i lavori di ricostruzione procedevano a passo spedito. Zeus, Signore Supremo degli Dei, era determinato a riportare il Sacro Monte agli antichi splendori, ricreando quella mitica atmosfera che aveva permeato la sua esistenza, e quella degli altri abitanti, per millenni. Grazie al suo cosmo divino, la Reggia Olimpica era stata ricostruita e al suo interno erano alloggiati tutti i Cavalieri Celesti sopravvissuti, nonché i Cavalieri di sua figlia, Atena, Dea della Giustizia, uscita fortemente provata e indebolita dalla tortura a cui era stata sottoposta da Crono, stritolata dalle folgori divine nella Bianca Torre del Fulmine.

 

La Dea era stata ricoverata nelle stanze di Asclepio, Dio della Medicina, una delle poche Divinità scampate alla furia assassina dei figli di Ares, non trovandosi quella notte sull’Olimpo, bensì in viaggio, per motivi di ricerca, in località note a lui soltanto. Zeus in persona aveva ordinato al Sommo Guaritore di curare urgentemente sua figlia, medicando anche, appena possibile, i Cavalieri.

 

In tutti quei due giorni Atena era rimasta distesa su un morbido letto, sotto l’attento sguardo del Dio della Medicina e del Padre degli Dei che continuamente si era recato a farle visita, per quanto i suoi impegni fossero abbondanti. E al capezzale della Dea non mancavano i suoi Cavalieri, gli undici Cavalieri sopravvissuti alla Guerra Sacra e alla Scalata dell’Olimpo, Pegasus in primis.

 

Il ragazzo dagli occhi marroni non si era staccato un attimo dal letto della propria Dea, osservandola continuamente, divorato dall’angoscia, nella speranza di vederla aprire gli occhi quanto prima. Neppure l’insistenza di Sirio e Andromeda, a cercare di distrarre i suoi pensieri, era servita per staccarlo da quell’attesa piena di agonia. Neppure l’annuncio della partenza di Cristal.

 

“E dove va?” –Chiese Pegasus, ascoltando le notizie che Sirio gli aveva portato.

 

“Ad Asgard! Vuole accompagnare Ilda personalmente, per ringraziare Odino del prezioso aiuto fornitoci durante la guerra!”

 

Capisco…” –Mormorò il ragazzo, con lo sguardo stanco.

 

“In realtà, credo che voglia rivedere Flare!” –Disse Sirio, comprendendo il desiderio dell’amico.

 

“E chi non lo vorrebbe?” –Commentò Pegasus, con una certa amarezza. –“Chi non vorrebbe trascorrere del tempo con la persona amata, per quanto difficile possa essere una relazione?! Per quanto impossibile possa essere tale amore?!”

 

Pegasus…” –Sospirò Sirio, ma non trovò la forza per dire altro.

 

Il verde ciuffo di Andromeda entrò poco dopo nella stanza, salutando gli amici e chiedendo notizie su Atena, le cui condizioni, per quanto migliorate, erano ancora poco promettenti. La Dea si trovava in uno stato di semicoscienza, incapace di vedere e parlare,e di accorgersi di chi le stava intorno.

 

“Non preoccuparti!” –Disse Andromeda a Pegasus. –“Anche se Milady non può vederci, sono sicuro che lei sa che siamo qua! Sa che le siamo vicini anche stavolta, in questa battaglia che sicuramente vincerà! Sente il nostro cosmo, e quello le darà fiducia e calore!”

 

Pegasus sorrise, ringraziando l’amico, e quello fu il primo sorriso sincero che spuntò sul suo volto dopo due malinconici giorni. Ma rifiutò comunque l’invito a fare una passeggiata insieme a lui e Sirio, preferendo rimanere al capezzale di Isabel.

 

“Voglio esserci quando si sveglierà!” –Affermò, con gli occhi lucidi. –“Perché lei si sveglierà! Ne sono sicuro!”

 

Certamente…” –Commentò Sirio, prima di allontanarsi con Andromeda.

 

Usciti dalle stanze di Asclepio, i due parlarono tra loro, preoccupati per il coinvolgimento emotivo dell’amico.

 

“Sono due giorni che è così! Non mangia, non dorme! Ha persino rifiutato di farsi medicare, per non perdere tempo!” –Incalzò Sirio, augurandosi che Isabel si risvegliasse al più presto, prima che Pegasus diventi un vegetale.

 

Camminando, i due amici arrivarono nella sala anteriore della Reggia di Zeus, dove incontrarono Phoenix e Tisifone, indossanti i loro normali abiti.

 

Tisifone!” –La salutarono cordialmente. –Come stai?

 

“Bene, grazie! Le mie ferite si stanno rimarginando!” –Commentò la donna, il cui corpo era stato messo a dura prova durante la scalata dell’Olimpo.

 

“Dov’è Cristal?” –Domandò Andromeda al fratello.

 

“Sta ultimando i preparativi! Lui e Ilda partiranno tra poco! Portando con loro le salme di Mizar e Alcor!” –Rispose Phoenix.

 

Ed entrambi non poterono fare a meno di ripensare ai due fratelli di Asgard, alla loro tragica storia e a come il loro rapporto si fosse evoluto in quell’anno trascorso insieme, al punto da diventare un’affiatata coppia di guerrieri, abili in combattimento. Una coppia di guerrieri che aveva saputo tenere testa a un temibile avversario, Sterope del Fulmine, primo tra i Ciclopi Celesti, sacrificando la vita affinché la giustizia potesse trionfare e tornare a splendere come una stella sull’intera Terra.

 

Anche Ilda, Celebrante di Odino, aveva rischiato di seguire i suoi guerrieri, gravemente indebolita dall’esplosione di luce di cui il suo corpo si era fatto carico, per abbattere la barriera energetica creata dai cosmi delle Divinità defunte. Ma forse il destino aveva scelto una strada diversa per lei.

 

“Forse le Norne…” –Aveva commentato la Regina di Midgard, riaprendo gli occhi, di fronte allo sguardo esterrefatto di Cristal e degli altri Cavalieri. –“Forse Urd, Werdandi e Skuld hanno un altro destino per me!”

 

“Odino ha ancora bisogno di te, Ilda!” –Le aveva sorriso Cristal. –“E tua sorella altrettanto!”

 

Ilda ebbe la possibilità di incontrare il Signore dell’Olimpo, di fronte al quale si inginocchiò con umiltà, chiedendo perdono per aver levato la mano contro sua figlia e i suoi Cavalieri l’anno precedente, posseduta dall’Anello del Nibelungo. Ma Zeus, magnanimo e stupendo, l’aveva pregata di alzarsi e parlare con lui senza abbassare lo sguardo, non ritenendo ve ne fosse alcun bisogno.

 

“Come non ho alcun bisogno delle tue scuse, Ilda di Polaris! Tutt’altro! Grande è il debito nei tuoi confronti e nei confronti del tuo Dio, il Signore degli Asi! E non sia mai detto che Zeus non sappia essere riconoscente con chi ha volontariamente combattuto per lui!”

 

“Credo che lavorare insieme per mantenere la pace sulla Terra sia la maggiore responsabilità di cui possiate farvi carico, mio Signore!” –Aveva risposto Ilda. –“Insieme ad Atena, e a Odino!”

 

“Sicuramente, nobile Celebrante! Tuttavia voglio farti un dono! Chiedi senza esitare e io esaudirò la tua richiesta! È il minimo che possa fare per ricompensarti, almeno in parte, delle perdite subite!”

 

“Mio Signore, non c’è che una cosa che desidero!” –Aveva commentato Ilda, con voce pacata ma decisa. –“Tornare ad Asgard, nella mia città, tra la mia gente che aspetta la mia opera! E portare con me i corpi dei miei guerrieri, cosicché io possa dare loro degna sepoltura nella loro terra natale!”

 

“Comprendo in pieno la tua richiesta, Celebrante di Odino! E ti aiuterò nell’impresa, affiancandoti alcuni Cavalieri Celesti che ti scortino fino nelle fredde distese nordiche!”

 

“Non è mia intenzione creare disturbo al Signore degli Dei…

 

“Nessun disturbo, semplice riconoscenza!” –Aveva risposto Zeus, prima di far chiamare il suo fidato Messaggero.

 

Pochi istanti più tardi un uomo alto con mossi capelli grigi, ricoperto dalla sua Armatura Celeste, era entrato nella Sala del Trono, inginocchiandosi di fronte a Zeus: Ermes, il Messaggero degli Dei. A lui Zeus aveva affidato l’incarico di scortare Ilda ad Asgard, insieme a un paio di Cavalieri Celesti sopravvissuti. Insieme a loro sarebbe andato anche Cristal, desideroso di tornare ad Asgard e ringraziare Odino, nonché rivedere Flare.

 

Quel pomeriggio, quando Ilda e Cristal lasciarono l’Olimpo, il Cavaliere del Cigno provò un forte senso di tristezza nel separarsi nuovamente dai suoi compagni, a cui tanto era legato, da un vincolo profondo capace di trascendere ogni tempo e luogo.

 

“Forse dovrei restare con voi…” –Disse, incontrando gli sguardi di Andromeda, Sirio e Phoenix.

 

“Atena capirà, Cristal! Non preoccuparti!” –Sorrise Andromeda, prima di abbracciare l’amico.

 

“Ne sono certo anch’io!” –Aggiunse Sirio, rincuorando il ragazzo.

 

Pochi minuti dopo Ilda e Cristal iniziarono la discesa dell’Olimpo, seguendo il Messaggero degli Dei, e i due Cavalieri Celesti che portavano le salme di Mizar e Alcor, che il Cavaliere del Cigno aveva provveduto a ricoprire con splendide teche di ghiaccio, per mantenere inalterati i loro corpi. In un lampo di luce scomparvero, dirigendo i loro cosmi verso le terre del Nord.

 

Nel frattempo, nell’armeria della Reggia di Zeus, due ragazzi stavano trafficando, per sistemare le armi ancora in buono stato. Il primo non era molto alto e indossava una semplice veste, fermata in vita da una cintura; aveva capelli castani, un po’ ricciuti, e occhi marroni e sembrava un giovinetto di sedici anni, per quanto ne avesse in realtà molti di più, avendo ricevuto in dono da Zeus l’immortalità.

 

Era Ganimede, il Coppiere degli Dei, ripresosi dalla ferita allo stomaco causatagli da Flegias. L’altro era Giasone, il suo più caro amico, uno dei pochi Cavalieri Celesti rimasti in vita. Oltre ai due, infatti, erano sopravvissuti  soltanto Castore e Polluce, grazie al sangue divino che scorreva dentro di loro, per quanto le loro condizioni fossero molto gravi, il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, e pochi altri. Dodici su duecento Cavalieri Celesti scesi in campo.

 

“Dannato Flegias!” –Borbottava Giasone, sistemando le lance. –“Pagherai per tutto questo! Il sangue degli eroi versato sul Monte Sacro non è scorso via invano, ma è il sangue dei martiri che hanno lottato per un mondo migliore! Un mondo in cui il Sommo Zeus saprà portare luce e speranza alle umane genti, e non quella tirannia della Guerra che avresti voluto instaurare!”

 

Ganimede aiutava l’amico, passandogli le lance e le altre armi, recuperate dalle insanguinate distese dell’Olimpo, tra le lacrime per i compagni caduti.

 

“Abbi fede, Giasone!” –Commentò infine il Coppiere degli Dei. –“Il Sommo Zeus saprà riportare l’Olimpo agli antichi splendori, magnanimo e giudizioso come sempre!”

 

“Questo non renderà la vita ai Cavalieri caduti, né cancellerà il sangue versato sul Monte Sacro! Sangue fraterno, di Cavalieri valenti che hanno dato la vita per difendere il loro Signore da coloro che reputavano invasori!”

 

“E invece l’invasione è partita dall’interno!” –Esclamò Ganimede, amareggiato.

 

“Vorrei avere Flegias tra le mani, quel dannato bastardo!” –Esclamò Giasone, brandendo una spada con rabbia. –“Gli taglierei la testa con le mie mani, e gli aprirei il corpo per vedere se esiste un cuore dentro di lui o se è un corpo vuoto e freddo, incapace di qualsiasi emozione!”

 

“Comprendo la tua ira, Giasone! Ma cerca di controllarti. Essa non si addice al candido animo dei Cavalieri Celesti, che dovrebbero essere al di sopra degli umani sentimenti!”

 

“Sai una cosa, Ganimede?” –Borbottò Giasone, scocciato che l’amico lo rimproverasse. –“Credo sia tutta un’illusione! Gli Dei e i Cavalieri preposti alla loro difesa non possono esimersi dal considerarsi umani, dal provare gli stessi sentimenti che albergano nell’animo dei mortali! Se lo avessimo capito prima, invece di credere di essere superiori e immortali… forse molte cose sarebbero andate diversamente!” –Aggiunse, piantando la spada in un fodero e sistemandola tra le altre, di fronte agli occhi silenziosi dell’amico, che capì che era meglio non replicare oltre, per non rischiare di discutere ancora con lui.

 

Non molto distante dai due servitori di Zeus, tre uomini seduti ad un ampio tavolo di marmo discutevano con preoccupazione degli eventi accaduti di recente.

 

“Non sono affatto tranquillo!” –Esclamò uno di loro, alzandosi in piedi. Alto e ben fatto, con corti capelli castani, un viso maschile, su sui brillavano due occhi verdi, parlava con decisione, sicuro del fatto proprio. Ma anche angustiato per le sorti di un amico di cui non aveva notizie da due giorni ormai. –“Sono due giorni che non avverto il cosmo di Virgo! –Affermò Ioria del Leone, girando nervosamente intorno al tavolo. –“E questo non è normale!”

 

“Calmati Ioria! Questo non significa che Virgo sia in pericolo!” –Cercò di tranquillizzarlo un altro uomo, alto quanto lui, ma con capelli mossi e castani, ed un viso più giovanile.

 

Dohko ha ragione!” –Concluse il terzo, con voce squillante. –“Virgo dispone di un potere così grande da non temere rivale alcuno, ed inoltre, non dimenticarlo, può ridurre il suo cosmo al minimo, in modo da renderlo impercettibile, soprattutto alle lunghe distanze! Ed è probabilmente questo ciò che avrà fatto, per timore di essere scoperto da Flegias!”

 

Scorpio, per favore! –Urlò Ioria. –“Credi davvero che Virgo sia ancora in giro per il mondo a inseguire Flegias? Da quarantotto ore?! Non essere illuso! Noi Cavalieri d’Oro ci spostiamo alla velocità della luce, siamo capaci di percorrere in un secondo sette volte e mezza la circonferenza della Terra! Dove credi che siano andati rincorrendosi per due giorni? In un altro universo? No, è successo qualcosa, Virgo deve essere in pericolo e non riesce a mettersi in contatto con noi!”

 

“Adesso tranquillizzati, Ioria!” –Esclamò Dohko. –“Sono d’accordo che non dobbiamo allentare la guardia, né illuderci che la guerra sia finita, ma al tempo stesso non dobbiamo farci prendere da inutili allarmismi! Virgo sa il fatto suo, su questo non c’è dubbio, e sono sicuro che se fosse in pericolo, per quanto sia orgoglioso, non avrebbe esitato a inviarci un messaggio tramite il cosmo!”

 

“E se non potesse farlo?” –Domandò Ioria.

 

“Per quale motivo non potrebbe farlo?” –Intervenne Scorpio. –“Nella peggiore delle ipotesi, in cui Flegias lo abbia scoperto, i due avranno iniziato un combattimento, un lungo combattimento dato che Flegias, come abbiamo visto, è un guerriero forte e malvagio, ma neppure lui può essere così potente da limitare il Custode della Porta di Ade, da impedirgli di usare il cosmo per comunicare con noi!” –Ma Ioria non si tranquillizzò affatto.

 

“Tutto questo tuo nervosismo è fuori luogo!” –Disse Dohko. –“Ma non credo sia dovuto solo a Virgo!”

 

“Uh?!” –Ioria non rispose, limitandosi a continuare a camminare intorno al tavolo di marmo. Tirò un fugace sguardo fuori dalla grande finestra e intravide due sagome parlare tra loro, nel fiorito Giardino di Zeus. La Sacerdotessa dell’Aquila, Castalia, e il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste. E ciò contribuì ad aumentare la sua agitazione.

                    

La mano di Scorpio, adesso più rilassato, si appoggiò sulla sua spalla, accennando un sorriso. –“C’è qualcos’altro che ti turba?” –Chiese il Cavaliere. Ma il Leone non rispose, facendo un cenno con il capo e ringraziandolo, prima di allontanarsi per uscire dall’armeria.

 

In quel momento arrivò Mur dell’Ariete, pregando il ragazzo di rimanere, desiderando mettere al corrente anche lui di una sua recente scoperta.

 

“Di cosa si tratta?” –Domandò Scorpio, osservando lo sguardo preoccupato di Mur.

 

“C’è nebbia intorno all’Olimpo!” –Commentò il Cavaliere di Ariete. –“Una fitta foschia che mi impedisce di usare a pieno i miei poteri mentali!”

 

“Che vuoi dire?” –Incalzò Scorpio, mentre Dohko annuiva con il capo, avendola sentita anche lui.

 

“Ieri sera, preoccupato per Virgo, ho cercato di mettermi in contatto con lui tramite il cosmo, ma non sono riuscito a raggiungerlo!” –Spiegò Mur.

 

“È ciò che ho tentato di fare anch’io!” –Esclamò Ioria.

 

“Ma io avrei dovuto riuscirci, Ioria!” –Puntualizzò Mur. –“Avendo dedicato anni al perfezionamento dei miei poteri psichici, sono rimasto sorpreso nel notare, nonostante il crollo dello Scudo di Ares, una nebbia che mi impediva di andare oltre! Non soltanto alla ricerca di Virgo, ma mi è stato difficile arrivare persino al Grande Tempio e cercare Kiki, che avevo inviato ad Atene ieri pomeriggio per portare ad Asher e agli altri Cavalieri di Bronzo la notizia della nostra vittoria!”

 

“Incredibile!” –Commentò Scorpio, iniziando ad essere preoccupato a sua volta.

 

“Una misteriosa tenebra continua ad avvolgere l’Olimpo, e credo che lo Scudo di Flegias non fosse che una delle frecce al suo arco!” –Rifletté Dohko.

 

“Credi che ci sia ancora lui dietro tutto questo?”

 

“Io mi chiederei un’altra cosa… se c’è solamente lui dietro tutto questo!” –Commentò amaramente Mur, incontrando lo sguardo preoccupato di Ioria e Dohko.

 

Mentre i Cavalieri d’Oro discutevano nell’Armeria, e Cristal e Ilda venivano accompagnati ad Asgard da Ermes, Pegasus continuava a sedere sul letto accanto a Isabel, sperando di vederla aprire gli occhi quanto prima. La Dea della Giustizia aveva messo duramente alla prova la sua fisicità nella guerra contro Crono, combattendo per un’intera giornata contro le folgori che tentavano di privarla della vita.

 

“Non soltanto!” –Aveva commentato Zeus, ascoltando il cosmo della figlia. –“Le folgori di Crono erano come lo Scudo di Ares, non si sono limitate a ferire il suo corpo, ma anche ad indebolire il suo spirito, il suo cosmo, succhiando la sua energia, svuotandola della sua preziosa linfa!”

 

“Puoi guarirla?” – Le aveva chiesto Pegasus, con le lacrime agli occhi.

 

“Posso provarci!” –Aveva risposto Zeus, donando alla figlia un po’ del suo cosmo. –“Ma sua soltanto è la volontà di reagire, di ritrovare quel cosmo che il figlio di Ares le ha portato via!”

 

Isabel! Mormorò Pegasus, sfiorando un braccio della donna, ed immaginando di vederla sollevarsi e sorridergli. Sospirò, chiedendosi cosa stesse accadendo nell’animo della sua Dea.

 

Isabel stava immaginando di essere ancora una bambina, che passava le giornate inseguendo farfalle e aspettando la sera, per sedere sulle gambe del nonno e ascoltare le fiabe e le leggende che Alman di Thule amava raccontarle. Da sempre studioso e affascinato dalla mitologia, classica o celtica, o di qualunque cultura fosse, Alman adorava condividere con l’acquisita nipotina tali leggende. Una sera viaggiavano con Giasone, alla ricerca del Vello d’Oro nella lontana Colchide, un’altra erano troiani, impegnati a difendersi dal possente assedio messo in atto dai greci. Un’altra infine erano angeli, in volo verso paradisi lontani, alla ricerca di un po’ di pace. Una pace che, Isabel pensava, tardava purtroppo ad arrivare.

 

Improvvisamente la visione dei suoi sogni cambiò, sfuocando e venendo completamente divorata da un oceano di guizzanti fiamme, che fagocitavano tutto ciò che incontravano sul loro cammino. Isabel tentò di urlare, ma le grida le morirono in gola, sopraffatta dalla paura e dal terrore. Sinistre risate echeggiarono nella sua mente, e in quel turbine infuocato che pareva risucchiarla al suo interno, in una lenta ma inesorabile discesa verso il basso, verso l’oscurità profonda e senza fine.

 

D’un tratto però, un dolce suono riecheggiò nell’aria, prima leggero, come un fischio da lontano, poi si fece sempre più incalzante, giungendo a sovrastare le maligne risate provenienti dalle fiamme. Una melodia soave, fatale, un incantesimo suadente che Isabel ricordò di aver già sentito, quando era imprigionata all’interno del Sostegno Principale nel Regno Sottomarino di Nettuno. Un cosmo, affatto ostile, parlò alla sua anima, sulla scia della musica da lui stesso creata.

 

“Dea Atena!” –Esclamò una soave voce.

 

“Questa melodia… tu sei…” –Commentò Isabel, riconoscendo il musico. –“Syria della Sirena, uno dei sette Generali di Nettuno!”

 

“Proprio così. Sono lieto che abbiate riconosciuto la mia voce, Dea Atena, e spero di farvi cosa gradita con quest’ultimo mio canto!” –Disse il Generale, mentre dolci note suonavano nell’aere.

 

Intrappolata in quello sconosciuto limbo, Isabel cercava di capire cosa stesse accadendo, mentre le note di Syria la avvolgevano, liberandola dalla morsa delle mortifere fiamme malvagie.

 

“Non ho mai avuto l’occasione di ringraziarvi, e forse è pretestuoso farlo adesso, in punto di morte! Ma ho tanto bisogno di farlo, Dea della Giustizia! Ho bisogno di aprire il mio cuore e ringraziarvi per la luce che portaste nel mio animo, quel giorno, molti mesi fa, quando combattevo contro Andromeda alla Colonna dell’Atlantico del Sud! Il vostro canto, splendido e soave, giunse alle mie orecchie, anzi no, giunse al mio cuore, mondandolo dai dubbi e mostrandomi la via per la salvezza, per la giustizia! Grazie a voi ho saputo mettere i miei poteri al servizio del prossimo, portando ristoro con la mia musica ai bambini di mezzo mondo, felice nel produrre gioia nel loro animo!”

 

“Syria!” –Lo richiamò Atena improvvisamente, quasi si risvegliasse da un sonno profondo. –“Cosa succede? Perché questo tono cupo?”

 

“Sto morendo, Vergine Dea!” –Confessò il Generale. –“Flegias, figlio di Ares, non ha gradito il mio tentativo di oppormi alla sua volontà, ostacolando il recupero del Vaso di Nettuno, e ha espresso la sua vendetta inviando un esercito di Guerrieri Scarlatti nel Regno Sottomarino, con il compito di distruggere ogni cosa!”

 

Terribile…

 

“Dono a voi quel che resta del mio cosmo, Dea Atena, e della mia musica! A voi che mi avete salvato! Permettetemi, adesso, di ricambiare il favore!” –Sorrise Syria, mentre un caldo cosmo avvolgeva lo stanco corpo di Isabel.

 

Generale… ti prego, non andare…” –Pianse Atena.

 

“State in guardia, Dea della Giustizia! La guerra non è finita e presto dovrete nuovamente difendere questo splendido mondo… Anche per me!” –Commentò Syria, mentre la musica che accompagnava la sua voce salì d’intensità, fino all’ultima nota. Quindi si chetò e il musico scomparve, cedendo ad Atena le sue ultime forze e guidandola, con la sua musica, verso la luce.

 

Mezzo minuto dopo Isabel aprì gli occhi, ritrovandosi su un letto nella Reggia di Zeus, di fronte agli occhi attoniti, ma felici, di Pegasus, seduto vicino a lei. La donna sorrise, ritrovando il volto del ragazzo a cui tanto aveva pensato nei mesi precedenti, fin da quando era terminata la Guerra Sacra; ma non ebbe il tempo di dirgli niente che l’Olimpo fu scosso da un violentissimo cosmo.


Superando tutte le ripristinate difese, una feroce emanazione cosmica invase il Sacro Monte, liberando, al suo passaggio, incandescenti lingue di fuoco che tutto invasero, che tutto divorarono, sopraffacendo gli stessi Cavalieri Celesti e di Atena.

 

In un lampo di luce rossastra, i Cavalieri di Atena e i difensori Olimpici, accorsi alla Reggia di Zeus per capire cosa stesse accadendo, furono travolti e abbattuti, mentre le vampe di fuoco si schiantavano contro il grande portone della Sala del Trono, facendolo crollare poco dopo.

 

Zeus, seduto sul trono, a colloquio con la sua sposa, la Regina degli Dei, si mise immediatamente in piedi, puntando il fulmine dorato contro il crudele invasore, il cui cosmo aveva riconosciuto subito.

 

“Sanguinario, assetato di guerra e di violenza, al punto da farne il perno della tua esistenza, funesto ai mortali e alle Divinità tuoi familiari, Dio senza misericordia, che ti nutri di odio e di aggressività, sei dunque tornato, Ares, Dio della Guerra?” –Disse Zeus, mentre Era si stringeva a lui preoccupata.

 

 

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Capitolo 4
*** Ares, Dio della Guerra ***


CAPITOLO SECONDO. ARES, DIO DELLA GUERRA.

 

Immense vampate di fuoco stavano divorando l’Olimpo, isterilendo la verdeggiante erba del Sacro Monte, impregnando l’intero suolo del velenoso e malvagio cosmo del loro Signore, il possente Dio che della Guerra aveva fatto la ragione stessa della sua esistenza, della sua essenza. Ares era il suo nome, figlio di Zeus e di Era, spirito della Battaglia e Dio senza misericordia, il meno amato dalle popolazioni libere, per la sua indole violenta e sanguinaria, idolatrato invece dai suoi oscuri seguaci e dagli uomini e dalle creature dall’animo corrotto e malvagio.

 

“Sei dunque tornato, figlio?” –Commentò Zeus, seduto sull’alto trono della sua Reggia. Ma alle sue orecchie non giunse risposta alcuna, soltanto una maligna e profonda risata, che risuonò nell’etere, smuovendo l’indistinta massa di energia che si trovava ai piedi della scalinata della Sala del Trono.

 

“Non sono qua fisicamente!” –Rispose infine un’indistinta voce. –“Non ancora! Ma verrò presto a prendere il mio trono! Il trono che mi spetta come Signore Supremo della Guerra!”

 

“Cinquecento anni confinato nel limbo della dimenticanza non hanno cambiato la tua indole, né placato la tua ambizione, a quanto vedo!” –Giudicò Zeus, con un sospiro.

 

“Tutt’altro!” –Rise Ares. –“L’hanno irrobustita! Mi hanno irrobustito! Aumentando la mia forza, solidificando le mie intenzioni, più bellicose che mai, ed eliminando completamente ogni traccia di dubbio o di compromesso dal mio animo!”

 

“Ed ogni sentimento… immagino…” –Commentò Era, intervenendo per la prima volta.

 

“I sentimenti non aiutano in battaglia, madre!” –Replicò Ares, e a Era non sfuggì lo sdegno con cui le parlò. –“Solo un guerriero forte e deciso può sopravvivere all’oscura epoca che sta giungendo!”

 

“E tu saresti quel guerriero?” –Esclamò Zeus. –“Tu, Ares Brontoloigos, il distruttore di uomini?! Tu, Ares Miaiphonos, dalle mani macchiate di sangue?!”

 

“Io piegherò questo monte, estirpando la sua maledetta erba, e la tua stirpe bastarda!” –Sibilò Ares, dando libero sfogo alle vampate incandescenti del suo cosmo, che invasero l’intera Sala del Trono e la Reggia di Zeus. –“Sterminerò i tuoi Cavalieri, e quelli della tua idealista figlia, piantando le loro teste su lance acuminate e usandole come proiettili infuocati da lanciare contro queste mura con le mie catapulte infernali! E quando arriverò qua, per prendere le vostre misere vite, mi supplicherete di non uccidervi, vi prostrerete ai miei piedi, disperati e con l’animo distrutto, mi adorerete come si confà ad una vera Divinità!”

 

“Tu vaneggi!” –Fu la risposta di Zeus, che senz’altro aggiungere concentrò il cosmo sulla mano destra, liberando un guizzante fulmine energetico che si schiantò sull’emanazione cosmica del Dio della Guerra, senza produrre alcun risultato, non essendo Ares presente fisicamente sull’Olimpo, ma liberando la sala dalla sua nefasta presenza. Le vampe incandescenti si ridussero di intensità, fino a scomparire, mentre alle orecchie dei Signori degli Dei giunsero le ultime parole di Ares.

 

“La Grande Guerra è iniziata! Nel segno di una sanguinosa vendetta desiderata da millenni! Ah ah!”

 

Zeus si sedette nuovamente sul trono, mentre la confortante mano di Era si posava sul suo braccio, per rincuorarlo, nonostante l’evidente tensione che regnava anche nella Regina degli Dei.

 

“Non finirà mai, vero?” –Commentò una voce, proveniente dall’ingresso della grande stanza.

 

Zeus e Era fissarono l’entrata, il grande portone abbattuto da Ares, sopra il quale erano in piedi una decina di Cavalieri, preoccupati ma anche determinati a superare questa nuova minaccia.

 

“No, Phantom!” –Rispose il Signore degli Dei. –“Almeno non adesso!” –Aggiunse, chiedendosi a quali orribili massacri si sarebbe abbandonato suo figlio.

 

Mentre lo spirito di Ares conversava con Zeus nella Sala del Trono, una truppa dalle scarlatte armature raggiunse il Grande Tempio di Atene, senza incontrare resistenza alcuna. I guerrieri superarono quel che restava delle vecchie mura perimetrali, incamminandosi a marcia forzata lungo la via principale, passando tra rovine di case distrutte e resti di armi abbandonate, segni evidenti di una recente battaglia che vi si era combattuta.

 

“Poveri sciocchi!” –Commentò l’uomo che guidava l’assalto. Era un moretto dai capelli corti, alto e dal fisico atletico, ricoperto da una splendente, quanto inquietante, Armatura Divina, che dava l’idea di mortali fiamme infernali che salgono verso il cielo, quasi per afferrare un pezzo di infinito a loro negato. Flegias, il Rosso Fuoco, figlio di Ares.

 

“Bruciate tutto!” –Ordinò lo spietato guerriero. –“Non risparmiate niente e nessuno! Che il marchio di Ares venga impresso su quest’empio santuario che ha osato opporsi al nostro potere!”

 

“E i Cavalieri di Atena, mio Signore? Dove sono?” –Chiese un berseker.

 

“I sopravvissuti curano le loro ferite sull’Olimpo, martoriati da un’estenuante guerra che li ha indeboliti, e lasciati scoperti!” –Sogghignò Flegias, ripensando alla perfezione del suo piano.

 

I berseker distrussero tutto ciò che trovarono sul loro cammino, demolendo le costruzioni rimaste, abbattendo statue e appiccando il fuoco ovunque, in una mortale processione di crudeltà. Arrivati a ridosso della Collina della Divinità, i guerrieri di Ares diressero le loro attenzioni verso un gruppo di costruzioni che, lo percepivano chiaramente, erano ancora abitate, popolate dagli ultimi superstiti del Grande Tempio. I feriti durante l’assalto di Eos e dei Cavalieri Celesti, insieme alle Sacerdotesse che di loro si stavano prendendo cura e agli ultimi difensori rimasti.

 

“Ecco le nostre prede!” –Ghignò un uomo, srotolando la ferrosa catena della sua palla chiodata.

 

“Umpf... infermi e fanciulle…” –Commentò un altro, che brandiva un’ascia. –“Perderemo la forma contro di loro!”

 

“Poche chiacchiere, ed eseguite gli ordini!” –Li zittì Flegias, ordinando di assalire l’ospedale.

 

Mentre la carica dei berseker si dirigeva verso la costruzione, cinque ragazzi ne vennero fuori, un po’ malconci e con le armature in parte distrutte, lanciandosi contro di loro, per difendere l’infermeria.

 

“Uh?!” –Restò sorpreso, il guerriero dalla palla chiodata.

 

“I Cavalieri di Atena!” –Intervenne un altro.

 

“Esatto, invasori del Grande Tempio!” –Esclamò uno dei ragazzi, con aria determinata. –“Siamo i Cavalieri della Dea della Giustizia, il cui santuario avete irrispettosamente profanato!”

 

“Non farci ridere, ragazzino!” –Lo derise un berseker. –“Ti reggi in piedi per miracolo, nonostante il tuo corpo sia pieno di ferite e il tuo cosmo sia uno sputo nel cielo! E osi permetterti un tono simile?! Contro di noi, i berseker del Sommo Ares?!”

 

“A… Ares?!” –Mormorarono i Cavalieri di Bronzo, sconcertati. Ma uno di loro, stringendo i pugni, li incitò a reagire. –“A qualunque divinità siate votati, pagherete il vostro affronto, sgherri di un Dio malvagio!” –Tuonò il ragazzo dai capelli castani, bruciando il proprio cosmo.

 

I compagni fecero altrettanto, mentre all’interno dell’ospedale le Sacerdotesse e i feriti si stringevano impauriti gli uni alle altre, confidando che il potere di Atena li avrebbe protetti.

 

“Sono Asher dell’Unicorno!” –Esclamò il ragazzo che finora aveva parlato.

 

“E noi siamo…” –Intervenne Geki, ma una decisa voce maschile li interruppe.

 

“So già chi siete!” –Esclamò Flegias, avanzando in mezzo al mucchio di berseker, che subito si scansarono al passaggio del loro Comandante. –“E so anche che non valete niente!”

 

“Che cosa? Ma come osi?” –Tuonò Aspides dell’Idra.

 

“Basterà un dito per spazzarvi via!” –Sibilò Flegias, concentrando il cosmo sull’indice destro.

 

“Maledetto!” –Urlarono Black il Lupo e Ban del Leone Minore, scattando avanti.

 

“Nooo… Fermiii!!!” –Gridò Asher, ma era troppo tardi.

 

Un lampo di luce rossastra sprigionò dal dito di Flegias, travolgendo i due Cavalieri di Bronzo e scaraventandoli lontano, contro le mura dell’ospedale, facendole crollare su di loro, e provocando grida e panico tra i rifugiati al suo interno.

 

“Non si sporchi le mani con loro, mio Signore, li lasci a noi!” –Esclamò il guerriero dalla palla chiodata. –“Li uccideremo tutti! Così!” –E nel dir questo roteò la catena sopra di sé, prima di scagliarla avanti.

 

Asher, Geki e Aspides scattarono in direzioni diverse, per evitare l’affondo del berseker, ma vennero comunque colpiti, essendosi la sfera chiodata moltiplicata in infinite copie. Altri guerrieri si fecero avanti, brandendo lance e spade, e lanciandosi senza pietà alcuna sui Cavalieri di Bronzo. A nulla servirono la tenace passione che i cinque ragazzi misero nel difendere l’ultimo nucleo del Grande Tempio, a nulla servì la loro disperata preghiera per Atena. Tutti vennero travolti, infilzati dalle acuminate lance dei berseker, stritolati dalle nere catene o abbattuti dai loro scudi.

 

“Ma... maledizione…” –Urlò Asher, rimettendosi in piedi un’altra volta, mentre il suo corpo era dilaniato da mille ferite sanguinanti. –“Brucia cosmo dell’Unicorno! Fino ai limiti estremi!” –E un’aura violetta, dalle argentee sfumature, circondò il suo corpo, permettendogli di distruggere le frecce avvelenate che i suoi nemici gli stavano scagliando contro. –“Vai, Corno d’Argentooo!” –Urlò, liberando il suo attacco energetico.

 

Esso travolse un gruppetto di berseker che si era fatto avanti, permettendo a Geki e agli altri di rimettersi in piedi, ma fu solo una vittoria effimera, che non riuscì a cambiare le sorti della battaglia.

 

Flegias, rimasto in disparte ad assistere al massacro, scatenò la sua tremenda Apocalisse Divina, investendo i cinque Cavalieri di Bronzo, i cui corpi martoriati si schiantarono a terra, provocando ampie fosse chiazzate di nobile sangue. Un secondo colpo fece saltare in aria l’ospedale, annientando le ultime speranze dei fedeli di Atena, mentre i berseker si avventavano sui corpi inermi dei Cavalieri di Bronzo, affondando in essi le loro lame.

 

Con un ultimo mastodontico sforzo, Geki si rimise in piedi, ruggendo come un’orsa, dimenandosi come una fiera, afferrando uomini per il collo, per le braccia, e gettandoli via, mentre le lance acuminate dei guerrieri di Ares gli sfondavano il petto.

 

“Kiki!!!” –Urlò Geki, mentre anche Aspides, Black e Ban si rialzavano. –“Portalo via! Adesso!”

 

Il fratellino di Mur, che era rimasto nascosto dentro l’ospedale, e si era salvato per miracolo dal crollo della costruzione, intuì le intenzioni di Geki, le stesse che il Cavaliere dell’Orsa gli aveva segretamente comunicato qualche ora prima.

 

“In caso di bisogno, tu dovrai salvarlo! E portarlo da Atena, affinché sappia cos’è accaduto e sappia che i suoi Cavalieri sono caduti con onore!” –Gli aveva detto, con occhi lucidi, ma non disperati.

 

Kiki aveva annuito, consapevole della grande responsabilità che gravava sulle sue spalle, e preoccupato come non mai alla possibilità di una nuova guerra. Una guerra che, lo sapeva anche lui, non era lontana dal manifestarsi, sentendo cosmi inquieti agitarsi per la Grecia.

 

“Morite!” –Tuonò Flegias, ordinando ai suoi cento berseker la carica finale.

 

“Atenaaaa!!!” –Urlarono Geki, Aspides, Black e Ban, bruciando l’ultima traccia di cosmo che albergava dentro di loro. –“Ragazzi, nooo!!!” –Strillò Asher, mentre Kiki lo afferrava per un braccio.

 

Le porte dello spaziotempo vibrarono per un secondo, proprio mentre una scure affilata si abbatteva sull’Unicorno. In un lampo di luce Kiki e Asher scomparvero, venendo feriti soltanto di striscio, ma furono comunque raggiunti dal Divino Cosmo di Ares, che martellò la loro mente sconvolta.

 

Flegias non se ne curò troppo, spazzando via gli ultimi difensori con una nuova Apocalisse Divina. Il Grande Tempio era adesso nelle sue mani, nelle sapienti mani di un uomo che ne avrebbe fatto dono al suo Signore, l’unico vero Dio a cui la sua esistenza era consacrata: la Guerra.

 

Tutti sull’Olimpo sentirono arrivare i due Cavalieri di Atena, e lo stesso Zeus li aiutò a superare i campi difensivi del Sacro Monte e a teletrasportarsi direttamente alla Reggia di Zeus, dove Kiki e Asher apparvero pochi istanti dopo. Il fratello di Mur reggeva il corpo sanguinante dell’Unicorno, ferito in più punti e con le lacrime agli occhi per aver perso i suoi vecchi amici.

 

“Asher!” –Esclamò Sirio il Dragone, avvicinandosi al ragazzo, per sorreggerlo.

 

Andromeda fece altrettanto, mentre i Cavalieri d’Oro presenti si guardavano sconvolti, riconoscendo che le loro tremende previsioni avevano trovato realtà.

 

“Che cosa è successo?” –Domandò Zeus, affiancato da Era e dal suo Luogotenente.

 

“A… Ares... hanno attaccato il Grande Tempio!” –Balbettò Asher. –“Distrutto ogni cosa... fatto strage di…” –E con le lacrime aggiunse. –“…di Cavalieri!”

 

Sirio e Andromeda ebbero un singulto, mentre anche gli altri Cavalieri espressero il loro rammarico, e la loro rabbia nei confronti del Dio della Guerra.

 

“La vendetta di Ares è infine giunta!” –Commentò Zeus. –“Il Grande Tempio di Atena è stata la sua prima mossa… la prossima sarà l’Olimpo!”

 

“Dobbiamo fermarlo!” –Esclamarono Phantom e Giasone.

 

“Quel bastardo…” –Commentò Phoenix, stringendo i pugni con rabbia.

 

“Frena la tua collera, Cavaliere della Fenice!” –Lo fermò Mur dell’Ariete, dispiaciuto quanto gli altri, ma determinato a non lasciarsi vincere dall’angoscia. –“Ares non è nemico di poco conto e qualunque mossa decideremo di fare dovremo prima valutare ogni opzione, per non rischiare avventatamente!”

 

“Mur ha ragione!” –Intervenne Libra. –“Dobbiamo agire con prudenza!”

 

“Ma cosa volete valutare?” –Si lamentò Phoenix. –“Ares vuole distruggere tutti noi, e noi dobbiamo combatterlo, se non vogliamo essere travolti dalla sua furia!”

 

“Ares vuole voi!” –Commentò Asher con un filo di voce. Tutti i presenti si voltarono verso il Cavaliere dell’Unicorno, appoggiato a Sirio e ad Andromeda. Aveva il volto deturpato da una lunga ferita sanguinante, e lo sguardo perso, ma respirando a fatica riuscì a parlare nuovamente.

 

“Prima di andarcene dal Grande Tempio, Ares ci ha mandato un messaggio! Impresso a fuoco nella nostra mente!”

 

“È vero! L’ho sentito anch’io! E per un momento ho pensato che volesse impedirci di lasciare il Grande Tempio!” –Urlò Kiki.

 

“E cosa ha detto?” –Chiese Scorpio.

“Poche parole…” –Esclamò Asher, e in quel momento gli parve di sentire la voce del Dio tuonare dentro il suo corpo. –“Se Pegasus e i suoi quattro compagni hanno a cuore il tempio della loro Dea, che vengano da me, loro soltanto, che vengano a riprenderselo! O lo trasformerò in un luogo sacrificale, dove gli immacolati corpi dei loro cari verranno offerti in dono al Dio Supremo della Guerra, come agnelli sull’altare di Cristo!”

 

“Immacolati corpi?!” –Balbettò Andromeda, non capendo. –“Che cosa significa?”

 

“Credo che Ares voglia giocare duro! Ha deciso di colpirci sul vivo, mirando ai nostri sentimenti!”

 

“E questo che significa, Grande Mur?” –Chiese Sirio, mentre un lampo di paura si fece strada nella sua mente. –“Maestro…” –Aggiunse, rivolgendosi a Dohko.

 

Il Cavaliere della Bilancia annuì con il capo, avendo capito, anch’egli, a cosa Ares si riferisse.

 

“Fiore di Luna!!!” –Urlò Sirio.

 

“Calmati Sirio! Non ci sono prove certe al riguardo!” –Replicò Dohko. –“La foschia che avvolge l’Olimpo limita anche i nostri sensi e, considerando che Fiore di Luna non possiede un cosmo, non sono nelle condizioni per capire se effettivamente si trovi ancora ai Cinque Picchi!”

 

“È probabile che quello di Ares sia solo un tentativo di metterci paura!” –Commentò Scorpio. –“Colpendo i nostri sentimenti, per spingerci a gesti avventati! In fondo… ci conosce a malapena! Come può sapere chi sono i nostri parenti, o le persone che abbiamo care?!”

 

“Qua ti sbagli, Cavaliere di Scorpio!” –Intervenne Phantom dell’Eridano Celeste. –“Ares forse non vi conosce, ma qualcun altro sì! Qualcuno che ha passato mesi ad osservare le vostre gesta, tramando nell’ombra ai danni vostri e del Monte Olimpo! Qualcuno che, ahimè, ha più frecce al suo arco di quante mai avremmo immaginato!”

 

“Flegias!” –Continuò Giasone, confermando le supposizioni del compagno. –“Egli ha seguito le vostre mosse, sia quando combattevate contro Asgard, Apollo, Nettuno e Ade, sia in seguito, quando sotto l’effetto del Talismano della Dimenticanza assaporavate deliziosi momenti di una vita normale, priva di guerre! È stato lui ad ordinare ai Ciclopi Celesti di raggiungere i Cinque Picchi e Luxor per uccidervi, prima che aveste la possibilità di recuperare la memoria!”

 

“Lui sa come arrivare a voi, Cavalieri di Atena!” –Esclamò Phantom, avvicinandosi a Sirio e ad Andromeda, e sospirando dispiaciuto. Per qualche secondo nessuno parlò, riflettendo sulla strategia da mettere in atto, finché una cristallina voce maschile non risuonò nell’intero stanzone celeste.

 

“Se Ares vuole noi, non lo faremo certamente attendere!”

 

Tutti i presenti si voltarono verso un corridoio laterale, da cui spuntarono due figure, tenendosi per mano. Un ragazzo dai corti capelli castani, affiancato da una fanciulla dai lunghi capelli viola.

 

“Pegasus!” –Esclamò Andromeda, sorridendo alla vista dell’amico, e della sua Dea.

 

“Atena!” –La chiamò Zeus, felice nel vederla finalmente in piedi.

 

“Padre!” –Esclamò Isabel, incamminandosi verso di lui, reggendo in mano lo Scettro di Nike.

 

“Come stai, figlia mia?” –Domandò il Dio, osservandola nella sua fragile ma incantevole bellezza.

 

“Molto meglio, grazie, e lo devo alle tue cure, al tempo che hai dedicato a prenderti cura di me! E dei miei Cavalieri!” –Rispose Atena, inginocchiandosi di fronte al Signore degli Dei. –“E di questo ti sono grata, oh potente Zeus!”

 

“Era il minimo che potessi fare, Atena!”

 

“Avrei voluto che il nostro incontro in quest’epoca avvenisse in circostanze più felici!” –Commentò Atena, rialzandosi. –“Ma a quanto pare ci è stato negato! Crono prima, e Ares adesso, minacciano la pace sulla Terra, ed è mio dovere combattere affinché la libertà e la giustizia trionfino!”

 

“Questa guerra non appartiene a te soltanto, Atena!” –Rispose Zeus, lasciando vagare lo sguardo per la grande sala. –“È stata dichiarata guerra a tutti gli esseri viventi, una guerra che Ares ha intenzione di combattere fino in fondo, con ogni mezzo possibile, con ogni mezzo atto a conseguire il suo scopo finale! Quello di dominare sul mondo intero dall’alto dell’Olimpo!”

 

“E noi non ci tireremo indietro, Sommo Zeus!” –Esclamò la voce decisa di Pegasus, facendo voltare nuovamente il Dio. –“Troppo dipende da noi in questo momento, e grandi sono le responsabilità che gravano sulle nostre spalle, ultimi custodi di una pace mai giunta! Ma per quanto terribili e spietati siano i nostri avversari, non ci faremo da parte, non ci faremo vincere dall’angoscia, dalla disperazione, da quel senso di impotenza che Ares vorrebbe istillare nei nostri cuori, danneggiando il nostro animo di Cavaliere!”

 

“Pegasus ha ragione!” –Lo affiancò Phoenix. –“Se Issione aveva soltanto un decimo della volontà di dominio di Ares, allora faremmo bene a sbrigarci, ad indossare le nostre armature e a correre al Grande Tempio, per dargli una bella lezione!”

 

“Impetuoso cuore il tuo, Cavaliere della Fenice!” –Commentò Zeus. –“E forse non completamente cosciente della devastante potenza distruttrice del Dio della Guerra!”

 

“Ne sono cosciente, mio Signore!” –Rispose il ragazzo. –“Ma so anche che da noi, dalla nostra capacità di reagire, dipende la salvezza dell’intera Terra, di quella splendida Terra piena di mille opportunità! E per quanto a me la più grande credo che sia stata negata, ho ancora troppi motivi per non rinunciare a vivere!” –Zeus sorrise per un momento, colpito dalle parole dei Cavalieri di Atena, mentre il caldo tocco della mano della sua sposa, Era, sfiorava il suo robusto braccio.

 

Sirio, Andromeda, Phoenix e Pegasus si riunirono al centro del celeste atrio, proprio dove Atena, tre giorni prima, aveva lasciato Phoenix e Castalia, per entrare da sola all’interno della Sala del Trono, sperando di evitare un sanguinoso conflitto. Ma aveva fallito, e adesso un nuovo nemico minacciava la libertà delle genti libere della Terra, obbligando i Cavalieri ad una nuova battaglia. Una battaglia alla quale non si sarebbero certamente tirati indietro.

 

I quattro amici convennero che, per il momento, avrebbero dovuto accettare le condizioni imposte loro da Ares. Se realmente il Dio della Guerra e i suoi figli avevano catturato Fiore di Luna e le altre persone a loro care, imprigionandole, era loro dovere correre a salvarle, liberando anche il Grande Tempio di Atena dalla nefasta presenza dei loro nemici.

 

Patricia! Si stava rodendo il fegato Pegasus, stringendo i pugni per non esplodere. Se Ares ha osato levare un dito contro di te, se ti ha fatto del male… io… io… lo ucciderò con le mie stesse mani!  Una mano amica gli sfiorò una spalla, leggendo i suoi pensieri e sorridendogli, incitandolo ad essere forte, a non lasciare che la rabbia divori la propria ragione, spingendolo a cedere al lato oscuro.

 

“Conosci il tuo dolore!” –Disse Phoenix. –“E controllalo! Può essere utile alleato in battaglia! Ma non lasciare mai che domini, non lasciare che prenda il sopravvento! O non ne usciresti vivo!”

 

Pegasus sorrise, ringraziando l’amico per l’appoggio. Chi meglio di lui può sapere cosa significa perdere la persona amata? Chi meglio di Phoenix può comprendere il dolore e la frustrazione nel sentirsi impotenti di fronte alla morte? La voce di Scorpio richiamò Pegasus alla realtà.

 

“Non siate frettolosi, Cavalieri dello Zodiaco! Siete ancora coperti dalle ferite dell’ultima battaglia, e già volete correre a rischiare la vita in una truculenta guerra?”

 

“Arde in noi, Scorpio, il fuoco della speranza!” –Commentò Sirio. –“Della speranza delle genti libere di vedere nuovamente la luce del sole, la luce di un domani!”

 

“Piuttosto, il problema fondamentale sono le nostre armature!” –Disse Andromeda. –“Per quanto si autorigenerino, dopo lo scontro con Crono erano messe molto male, danneggiate in più punti!”

 

“Stesso discorso vale per le nostre vestigia!” –Esclamò Phantom, mentre anche Giasone annuiva.

 

“A questo proposito…” –Risuonò la voce del Sommo Zeus. –“Mi sono permesso di affidare ad un amico il compito di ripararle!” –I Cavalieri sgranarono gli occhi, sorpresi dall’affermazione del Dio, che spiegò loro che Efesto, nell’Olimpica Fucina del Monte Etna, era al lavoro per riparare le loro armature, che adesso, grazie all’abile mano del Fabbro degli Dei, saranno ulteriormente rafforzate.

 

“E pronte per essere messe alla prova!” –Sbatté i pugni Pegasus, mentre la sua mente vagava via, al di là del Sacro Monte, perdendosi nella sterminata terra sotto di esso, e chiedendosi disperatamente come stesse sua sorella Patricia.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Pianificando la guerra ***


CAPITOLO TERZO. PIANIFICANDO LA GUERRA.

 

Ares aveva ordinato ai suoi berseker di prendere possesso del Grande Tempio di Atena, eliminando gli ultimi difensori, ed occupandolo con le proprie armate. Un esercito numeroso e ben equipaggiato, le cui corazze erano state ricreate e potenziate grazie al simpatico espediente a cui Flegias era ricorso durante la battaglia sull’Olimpo.  Raccogliendo infatti il sangue delle Divinità e delle Celesti Creature uccise sul Sacro Monte, era stato possibile carpire anche il nascosto potere che risiedeva in esso, oltre che usare la loro energia, diretta e convogliata nella Pietra Nera.

 

“Sire!” –Aveva ardito chiedere un guerriero, mentre il Nume dava le proprie disposizioni, riferendosi al Tempio dell’Apocalisse. –“A che pro occupare il Tempio di Atena, se già disponevamo di uno?”

 

“Perché è più semplice e meno dispendioso, in termini di tempo e di energia, sfruttare una casa già fatta, che non doverne ricostruire una!” –Aveva commentato il Dio, con un sogghigno malefico, dovuto allo smacco che era riuscito a infierire alla sua eterna rivale, Atena.

 

E intanto, con la mente, vagò indietro, ripensando al suo maestoso, quanto lugubre, santuario, il Tempio dell’Apocalisse, qualche centinaia di chilometri a nord-ovest di Atene, nascosto tra le nebbie del monte Othrys, dove il Dio aveva imperato per millenni, dirigendo le sanguinarie campagne militari dei suoi guerrieri, i ferocissimi berseker, orgoglio e vanto del Dio della Guerra, che in essi trasmetteva una parte di se stesso, la parte più crudele e assetata di sangue, che riusciva a divorare il loro organismo e ad avvelenare il loro animo, facendone una spietata macchina da guerra nelle sue sapienti mani. Questa era l’unica utilità, secondo Ares, del suo esercito. Niente di più. Non gli importava altro di loro, né chi fossero né da dove venissero. Sapeva che erano al suo servizio e che avrebbero combattuto per lui, anche a prezzo della vita, e quello era ciò che gli interessava.

 

Che altra utilità potrei trovare in loro? Se non considerarli strumenti per raggiungere il potere? Sono sbandati, delinquenti, oscure figure dall’animo inquieto e malato, che si rifugiano volontariamente da me per prestare servizio nelle mie armate, dimenticando il loro triste e ramingo passato e trovando finalmente un senso alla vita, uno scopo per cui valga la pena vivere e lottare: la Guerra, suprema Madre del mondo. Essa, con il suo ardore, con le sue prospettive di gloria e impero, attira gli uomini e corrode la fede nella pace e nella libertà, facendone schiavi disperati, che non esiterebbero a tagliare la gola al fratello pur di raggiungere le supreme vette del potere!

 

Estremo esempio del disinteresse che Ares aveva nei confronti dei suoi guerrieri era il fatto stesso che non li conoscesse, che essi non avessero un nome, semplicemente un sostantivo che li indicava. Dimentichi delle proprie origini, quegli uomini sporchi e bastardi erano chiamati con epiteti, spesso dispregiativi, riferiti al loro aspetto fisico o, molto più frequentemente, all’arma che erano soliti maneggiare. Scure, Balestra e Falcetto non erano che un esempio di questa triste consuetudine diffusa all’interno della grande armata dei berseker di Ares. Solamente i guerrieri di alto livello, spesso figli bastardi di Ares, potevano vantare un nome proprio e maggiore considerazione da parte del Dio della Guerra, per quanto comunque egli non provasse per loro altri sentimenti di interesse, che non lo stesso disprezzo che manifestava per tutti gli altri.

 

“Un po’ spoglia questa sala, non trovi, Padre?” –Esclamò Flegias, rubando Ares ai suoi pensieri.

 

Il Dio della Guerra si trovava alla Tredicesima Casa del Grande Tempio, nelle stanze che erano state del Sacerdote della Dea, Shin prima e Gemini dopo, proprio nel grande salone dove Pegasus e Arles avevano combattuto l’anno prima.

 

“Sobria, la definirei!” –Commentò il Nume, prima di esplodere in una grassa risata.

 

“Sempre meglio delle catacombe in cui sei stato costretto a vivere ultimamente!” –Ironizzò Flegias, ricordando i sotterranei del Tempio dell’Apocalisse, dove Ares aveva riunito i suoi guerrieri.

 

“Un gesto resosi necessario dalle circostanze! In questo modo ho potuto evitare di essere scoperto e grazie al potere della Pietra Nera, che ha raccolto le energie liberate sul Monte Olimpo, ho potuto richiamare i miei berseker, armandoli di nuove vestigia, temprate nel Divino Sangue degli Dei caduti, e di una nuova determinazione!” –Detto questo si lasciò cadere sul trono in velluto rosso, al centro della sala. –“L’ora della mia vendetta è giunta! Crono è stato un illuso, se ha creduto davvero che tu lo avessi liberato per permettergli di dominare il mondo, con i suoi fratelli Titani! Ma aveva un’ottima meta finale, la stessa, se pur in forma maggiore, che ho io! Distruggere l’Olimpo ed estirpare la bastarda razza dei Cavalieri, sostituendoli con guerrieri a me fedeli, che porteranno la mia parola, il credo della Guerra e delle Fiamme, in tutto il mondo!”

 

“E grazie a me questo progetto, che coltivi da millenni, diverrà realtà!” –Commentò Flegias.

 

“E sia, lo ammetto, sei stato abile! Abile e scaltro! Hai saputo sfruttare gli antichi contrasti tra le Divinità per orchestrare questo piano che ha permesso la mia rinascita in quest’epoca, e mi ha offerto la possibilità, unica nel suo genere, di fare a pezzi gli avanzi delle armate di Zeus e di Atena, e di sedere sul Trono Olimpico!”

 

“Non sottovalutare comunque i Cavalieri di Atena! Altrimenti rischieremmo di cadere nell’errore di Issione e di Crono, che pensavano di poterli escludere dai loro progetti!”

 

“Non è mia intenzione farlo, Flegias! E non ho bisogno che tu mi ricordi come comandare!” –Tuonò Ares, espandendo il suo fiammeggiante cosmo nell’intera sala.

 

Flegias fu piegato dall’oscuro potere del Dio della Guerra, schiacciato a terra da una poderosa energia cosmica che sentì entrare dentro di lui, dilaniandone anche lo spirito.

 

“Pur tuttavia mi hai liberato dal Sigillo di Atena!” –Esclamò Ares, lasciando infine libero il mitologico figlio. –“E sei un abile combattente, sarebbe un peccato ucciderti così! Ma sia chiaro che non tollero altri rimproveri od osservazioni, neppure da te!”

 

“Come desideri!” –Affermò Flegias, ansimante, inginocchiandosi di fronte a lui.

 

“E adesso va’! Assicurati che tutto sia pronto per ricevere i nostri ospiti! Phobos e Deimos saranno qua a momenti, per aiutarti!”

 

“E che ne è del prigioniero?” –Domandò Flegias, stupito nell’udire parole simili.

 

Ooh…” –Sogghignò Ares, accarezzandosi lo scuro pizzetto. –“Ho fatto in modo che non possa più nuocere a nessuno! Ah ah ah!” –Ed esplose in una sadica risata, mentre Flegias si allontanava. Rimasto solo in quella che un tempo era stata la reggia di Atena, Ares smise di ridere, riflettendo, con preoccupazione, sulla strana fedeltà che il figlio sembrava mostrare nei suoi confronti. E si augurò, per il bene del Rosso Fuoco, che non stesse facendo il doppiogioco. Altrimenti… Commentò, carezzando la sua spada infuocata. Saprò prendere adeguate contromisure! Ah ah ah!

 

Flegias uscì in fretta dalla Tredicesima Casa, spuntando sul piazzale antistante in un nuvoloso pomeriggio di maggio. Sentiva le grida sboccate dei berseker risuonare per l’intero Grande Tempio, impegnati in allenamenti o nell’allestimento dell’accoglienza per i Cavalieri di Atena. Ma la cosa che maggiormente percepiva nell’aria era il violento e ardente cosmo di Ares impregnare ogni cosa, dall’animo del guerriero più blando, alle mura delle Dodici Case dello Zodiaco.

 

Questo, si disse, non è più il Santuario della Dea Guerriera! Adesso è divenuto il luogo ove i suoi Cavalieri periranno, di una morte violenta e sanguinaria, senza organi che suoneranno marce funebri, né fiori sui loro corpi martoriati! Sogghignò, fiero del suo successo: aveva usato tutti, tessendo la tela del suo diabolico piano in maniera abilissima, al punto che, se Loki avesse saputo di essere stato usato a sua volta, avrebbe potuto fregiarsi del titolo di Dio dell’Inganno.

 

Fin da quando era stato risvegliato, il Rosso Fuoco aveva dedicato tutti i suoi sforzi e le sue energie a portare il Caos nel mondo, il disordine completo, scardinando gli equilibri preesistenti, approfittando di antipatie reciproche e ansie di infinito mai sopite, che le corrotte anime degli Dei e dei guerrieri avevano dentro. Aveva risvegliato Crono, liberandolo dai divini sigilli in cui il suo cosmo era bloccato, allettandolo facilmente con la prospettiva di una facile vittoria sull’Olimpo, e gli aveva donato una Pietra Nera, nella quale, a sentir lui, sarebbe convogliata l’energia scaturita dal violento conflitto che si sarebbe combattuto sul Sacro Monte. Un conflitto voluto, fortissimamente voluto, dal Flagello degli Uomini. Sostituito Zeus e messo Crono sull’Olimpico Trono, Flegias era quindi passato a cercare alleati, in quel folle piano di dominio, e aveva trovato in Issione, figlio del suo divino Padre, un ottimo braccio destro, per quanto egli non fosse a conoscenza del complotto, ma semplicemente desideroso di emergere e occupare un posto nel nuovo ordine che Zeus, dal suo punto di vista, avrebbe portato nel mondo. Issione era un guerriero in gamba! Ma aveva un solo difetto. Pensava in piccolo! Per quale motivo accontentarsi di dominare l’Olimpo, quando si può conquistare l’universo intero?

 

L’altro alleato fu Loki, il Dio nordico dell’Inganno. Un alleato di vecchia data! Commentò Flegias, ricordando l’intrigante figura della Divinità. A lui, e a sua figlia Hel, fu affidato il compito di recuperare i Cavalieri d’Oro, permettendo a Cristal di ricevere i messaggi che Virgo gli stava inviando, e consentendogli di raggiungere il Niflheimr e liberarli, proprio come Flegias voleva.

 

Sì, li voleva sull’Olimpo a combattere contro i Cavalieri Celesti, in una devastante esplosione di energia che egli avrebbe raccolto, grazie allo Scudo di Ares, celato dalle nuvole, e convogliato nella Pietra Nera, la vera Pietra Nera, quella che portava al collo, non certamente quella che aveva donato a Crono. Quella era soltanto una rozza e volgare copia che altro non mostrava al Dio che una minima parte dell’energia raccolta, mentre la rimanente veniva destinata da Flegias a risvegliare Ares, Dio della Guerra, e i suoi berseker, infondendo in essi un nuovo cosmo carico di odio. Issione era entrato nel piano, convinto realmente che Zeus volesse distruggere Atena, e Flegias se ne era servito, facendone un comandante al suo servizio, ordinandogli di uccidere i Cavalieri dello Zodiaco, sicuro che, in caso di un attacco estremo, come quello portato dai Ciclopi Celesti, essi avrebbero ricordato, correndo a combattere sull’Olimpo, fornendo ulteriore energia alla Pietra Nera. Se poi non avessero ricordato, o qualcuno fosse caduto in seguito, magari uccidendosi a vicenda con qualche Cavaliere Celeste, non sarebbe affatto stata una sciagura per Flegias! Tutt’altro!

 

Tra poco saranno qua, lo sento nell’aria! Giudicò, socchiudendo gli occhi. Perfetto, ed io sarò pronto ad accoglierli… prima di proseguire, quindi, nella mia ricerca! Non aggiunse altro, ma scivolò via, lungo la scalinata di marmo delle Dodici Case.

 

Nel frattempo, sull’Olimpo, Zeus aveva convocato uno straordinario consiglio di sicurezza nella Sala del Trono, per deliberare una strategia comune per fronteggiare la minaccia di Ares, al quale aveva invitato le Divinità sopravvissute all’eccidio operato da Flegias, Phobos e Deimos, e i suoi due Cavalieri Celesti, Giasone e Phantom, oltre che a Dohko della Bilancia, il più anziano tra i Cavalieri di Atena e l’uomo dotato di maggiore esperienza.

 

Era sedeva a fianco del Dio dell’Olimpo, su un trono più basso di quello di Zeus, ma ugualmente splendente, ricoperta da un candido abito di seta che le Sacerdotesse dell’isola di Samo, su cui la leggenda voleva che la Dea fosse nata, avevano tessuto per lei millenni prima. In piedi, alla base della scalinata, c’erano Artemide, Dea della Caccia, ricoperta dalla scintillante Veste Divina, Atena, con ancora indosso il suo tradizionale abito bianco, e Demetra, Dea delle Coltivazioni, scampata miracolosamente al massacro, essendosi mutata in albero. Oltre che Phantom, Giasone e Dohko.

 

“La minaccia rappresentata da Ares è consistente!” –Disse Artemide, battagliera e determinata a vendicare i suoi Cacciatori sterminati dai figli di Ares. –“Cosa conti di fare, Signore dell’Olimpo?”

 

“Reagire! Questo è d’obbligo!” –Rispose Zeus, dall’alto scranno. –“Ma ponderare le nostre mosse, per non cadere in facili allarmismi! Tra gli Dei dell’Olimpo, Ares è quello che più mi è odioso, e sempre gli sono state care le guerre e i massacri!”

 

“Pegasus e i suoi compagni avranno certamente bisogno di aiuto!” –Intervenne Giasone. –“Da soli contro le centinaia di berseker di Ares è una follia!”

 

“Non sono tanto i berseker a preoccuparmi!” –Commentò Artemide. –“Ma il Dio stesso, con il suo infuocato e malvagio potere, e i suoi sanguinari figli, Phobos, Deimos e Flegias, capaci di uccidere persino delle Divinità!”

 

Atena sospirò per un momento, prima di sentire il delicato tocco della Dea delle Coltivazioni sfiorarle il braccio, per confortarla con un sorriso.

 

“Mio Signore…” –Intervenne Phantom. –“La prego, consenta a me e a Giasone di affiancare Pegasus e gli altri! Grande è il mio desiderio di prestare loro aiuto e difendere la libertà sulla terra!”

 

“Avrai modo di scendere in campo, Cavaliere dell’Eridano Celeste!” –Esclamò Zeus. –“Ma non a fianco di Pegasus, non al Grande Tempio!”

 

“Come sarebbe?”

 

“Ho un’importante missione da affidarti, Phantom! Presta orecchio alle mie parole! Voi tutti pensate che i Cavalieri Celesti siano stati sconfitti e che, a parte i presenti e i Dioscuri, miei figli, non ci siano altri difensori dell’Olimpo!”

 

“Non è forse così, Sommo Zeus?” –Chiese Artemide, non capendo a cosa il Nume si riferisse.

 

“Non completamente, Dea della Caccia! Un buon stratega deve saper scegliere la migliore soluzione, non solo in attacco ma anche in difesa”! –Commentò Zeus. –“Per questo motivo scelsi di dividere il mio esercito, nascondendo una parte in un luogo segreto!”

 

“Che cosa?!” –Sgranarono gli occhi Giasone e tutti gli altri. –“Ci sono altri Cavalieri Celesti?!”

 

“Esattamente! Un’intera legione per l’esattezza, l’ultima!” –Rispose il Dio, alzandosi. –“Phantom, tu sarai il mio Messaggero quest’oggi, surrogando momentaneamente alle funzioni di Ermes, impegnato ad Asgard! Ti recherai a Glastonbury, per risvegliare la legione dormiente e condurla qua, sul Divino Monte, affinché possa ruggire ancora il battagliero spirito assopito dentro di essa!”

 

“A Glastonbury, mio Signore?!” –Balbettò Phantom.

 

“Proprio così, Luogotenente! In Inghilterra! Là, molti secoli addietro, druidi e Sacerdotesse del popolo fatato dell’Isola Sacra, in riconoscenza dell’aiuto prestato loro durante una sanguinosa battaglia, mi concessero di nascondere parte del mio esercito, in modo da mantenerlo fuori dai conflitti minori e sempre efficiente… pronto per l’ultima guerra!”

 

“Ma mio Signore, se esisteva questa nascosta armata, perché non è intervenuta prima, quando avevamo bisogno di loro?” –Chiese Artemide.

 

“Perché essa ha ricevuto da me il divino ordine di non muoversi mai, fino al giorno in cui io stesso, Signore Supremo dell’Olimpo, l’unico a conoscenza della sua esistenza, non l’avessi richiamata a me!” –Spiegò il Dio. –“Usa i tuoi poteri mimetici ragazzo, una volta fuori dall’Olimpo! I berseker di Ares riescono ad arrivare ovunque, purtroppo, e non vorrei tu cadessi in qualche imboscata!”

 

“Abbia fiducia in me, Signore dell’Olimpo, e non la deluderò!” –Esclamò Phantom.

 

“Ne sono convinto!” –Sorrise Zeus, prima di incitarlo a partire. –“E adesso va’, più veloce della luce, raggiungi l’ultima legione e conduci qua i miei Cavalieri!” –Detto questo, il Luogotenente salutò le Divinità e i Cavalieri presenti e si accomiatò, partendo subito per l’Inghilterra.

 

Zeus discese qualche gradino, prima di posare lo sguardo sul Cavaliere di Libra. –“Sarai contento, immagino, di rivedere il tuo vecchio allievo!”

 

“Co... come?!” –Balbettò Dohko, non capendo.

 

“L’uomo che guida le mie truppe, l’uomo al quale affidai il compito di addestrare e mantenere in efficienza l’ultima legione, è il tuo vecchio allievo, da te allenato fino a quattordici anni fa!”

 

Ascanio?!” –Balbettò Dohko, sorpreso e al tempo stesso felice di sapere che il suo discepolo stava bene.

 

“Esattamente!” –Rispose Zeus Tonante.

 

Per un momento la mente di Dohko volò via, oltre quelle quattro mura, ricordando il giovane dagli occhi scuri che aveva allenato fino a quattordici anni prima. Uno dei tanti discepoli che aveva avuto e a cui aveva insegnato a prendere confidenza con il cosmo dentro sé. Uno di quelli a cui era maggiormente affezionato, quasi quanto lo era a Sirio. Un’ombra passò improvvisa sul suo cuore, velando il sorriso al pensiero di rivederlo. Un’ombra che gli ricordò il compagno di Ascanio, valente e generoso come lui, cui il destino fu però impietoso nei suoi confronti.

 

La voce decisa di Zeus pregò Dohko e Giasone di allontanarsi, affidando al secondo il compito di organizzare la difesa dell’Olimpo, facendosi aiutare anche dai Cavalieri di Atena, mentre le Divinità rimanevano riunite a conclave nella Sala del Trono. Dohko salutò Giasone, raggiungendo i Cavalieri d’Oro suoi compagni nell’armeria, Mur, Scorpio e lo sfuggente Ioria, che non aveva assistito neppure all’arrivo di Asher sull’Olimpo, impegnato a conversare con una persona.

 

“Sono pronto a partire!” –Esclamò Scorpio, rivolgendosi al compagno.

 

“Siete davvero sicuri?” –Domandò Mur, preoccupato per loro.

 

“Dobbiamo farlo, Mur! Per Pegasus e i Cavalieri dello Zodiaco!” –Spiegò Scorpio. –“Dobbiamo controllare cos’è realmente accaduto in Cina e in Giappone, se Fiore di Luna e Patricia sono davvero state rapite dai guerrieri di Ares!”

 

“E in tal caso ci metteremo sulle loro tracce, per liberarle!” –Concluse Dohko, prima di fare un cenno a Scorpio per partire. I due Cavalieri d’Oro si avviarono verso l’uscita, prima che la maschile voce di Ioria li richiamasse.

 

“State sprecando il vostro tempo! E, così facendo, danneggiate noi che rimaniamo qua, a cercare un modo per attaccare l’infame carogna di Ares!”

 

Ioria!” –Lo rimproverò Mur.

 

“Cosa c’è, Mur? Vuoi zittirmi ancora come quando cercasti di impedirmi di intervenire contro Nettuno? Ma anche quella volta furono Pegasus e gli altri a rischiare la vita, combattendo anche per noi!”

 

Ioria, è proprio per Pegasus e gli altri che noi partiamo! Per salvare, se necessario, le persone che loro hanno care!” –Spiegò Dohko, cercando di mantenere un tono tranquillo. –“Non c’è nessuno che hai caro, tu? E non vorresti saperlo in salvo?”

 

“Io vorrei solo andare a cercare Virgo!” –Rispose il Leone, deviando il discorso di Libra. –“Ma la mia corazza non è ancora pronta!” –Urlò, tirando un pugno sul tavolo di marmo.

 

“Abbi pazienza, Ioria, la sto riparando!” –Commentò Mur. –“Le Armature d’Oro richiedono maggior tempo e precisione, e…

 

“È quello che mi hai detto stamani quando riparavi la corazza di Libra! E sono stanco di sentirtelo dire!” –Brontolò Ioria. –“Perché non hai aggiustato prima la mia?”

 

“L’ho fatto deliberatamente, Ioria! Credevo che tu avessi qualche questione in sospeso da affrontare, sul Monte Olimpo, che non prevedesse l’uso dell’armatura!”

 

Ioria rimase un attimo ammutolito, incapace di rispondere qualcosa, mentre i volti preoccupati di Scorpio e Dohko restarono fissi su di lui, osservandolo con attenzione.

 

“Non ci sono altre questioni da affrontare, Mur!” –Rispose infine, moderando il tono. –“Ti prego di sbrigarti! Non appena la mia armatura sarà pronta partirò alla ricerca di Virgo!”

 

Scorpio e Dohko non dissero altro, limitandosi a salutare i compagni e a lasciare l’Olimpo, dirigendosi verso est, per scoprire cosa era realmente accaduto ai Cinque Picchi e a Nuova Luxor.

 

Perdonami Ioria, se ho ritardato nelle mie consegne! Pensò Mur, rimettendosi al lavoro. Ma non è stato solo il sincero credere che tu avessi bisogno di parlare con qualcuno, con qualcuno di particolare, qua sull’Olimpo! Mur cercò di scacciar via quei nefasti pensieri, ma essi, come avvoltoi, tornarono a ghermire la sua mente, mentre Kiki lo aiutava, porgendogli il materiale per riparare le Vestigia di Leo. C’era un altro motivo per cui Ariete non avrebbe voluto lasciar partire Ioria, una visione che era apparsa nei suoi sogni: l’immagine di una grande luce che divora un’isola in un mare di fiamme, un’isola su cui si stagliano agonizzanti i corpi di Ioria e di Virgo.

 

 

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Capitolo 6
*** Colpe da scontare ***


CAPITOLO QUARTO. COLPE DA SCONTARE.

 

Quando Ilda di Polaris raggiunse Midgard le parve che fossero passati anni da quando se ne era andata; invece era stato solo cinque giorni prima. Era un freddo mezzogiorno nordico e la cittadina sembrava apparentemente disabitata. Nessuno camminava per le strade in parte ancora innevate, ma tutta la popolazione era chiusa in casa. Ilda, avvolta da uno scuro mantello, passò per la strada principale, dirigendosi verso il Palazzo, affiancata da Cristal il Cigno e da Ermes, e seguiti dai Cavalieri Celesti che conducevano il feretro dove riposavano Mizar e Alcor.

 

D’un tratto dei bambini spuntarono da dietro l’angolo di una strada, rincorrendosi tra loro e si bloccarono completamente quando videro la strana processione. Di fronte a loro c’erano uomini ricoperti da scintillanti armature, lucenti come le stelle, che sembravano diradare la fredda brezza di Asgard soltanto passandovi attraverso.

 

“Bambini, non abbiate paura!” –Sorrise loro Ilda, scoprendo il capo. Ma ciò contribuì a spaventarli ancora di più. –“Che strano!” –Commentò, osservando i bambini fuggire via, quasi terrorizzati.

 

“Sembra quasi che abbiano visto un fantasma!” –Mormorò Cristal, prima di voltarsi e sorridere alla Celebrante di Odino, facendole cenno di proseguire oltre. Ilda acconsentì, continuando il cammino, giungendo fino al portone esterno della grande rocca del Palazzo della Celebrante. Cristal sorrise, riflettendo quanto fosse simile al Valhalla che egli aveva avuto modo di ammirare giorni prima.

 

“Gli somiglia moltissimo, non è vero?!” –Sorrise Ilda, intuendo i pensieri del giovane.

 

“Sì!” –Rispose Cristal.

 

“Questi luoghi sono splendidi, Celebrante di Odino!” –Disse Ermes, intervenendo nella conversazione. –“Da molti secoli ormai non mi ero più spinto così a nord, ma rivedere questi luoghi, ammirare lo splendore di queste mura, così forti e resistenti, è per me motivo di serenità!”

 

“Ti ringrazio per le tue parole cortesi, Messaggero degli Dei, e rinnovo a te, e ad ogni altro membro dell’Olimpica Reggia, l’invito a visitare Midgard ogni volta che ne sentirete la necessità! Sarete sempre trattati come ospiti nella nostra città! L’accoglienza nelle terre di Asgard è sacra!”

 

Proprio mentre Ilda finiva di parlare un rumore massiccio di passi richiamò la sua attenzione e dall’interno del Palazzo uscì una decina di uomini, ricoperti da armature dalle fattezze vichinghe.

 

“Uh?!” –Mormorò Cristal, chiedendosi per quale motivo fossero armati di asce e di scudi.

 

“Eccola, guardate! Allora è vero!” –Esclamò uno dei guerrieri.

 

Incredibile… deve aver venduto l’anima al demonio!” –Continuò un altro.

 

“Questo non cambia la realtà delle cose!” –Li zittì un terzo.

 

“Uomini del Nord!” –Li chiamò Ilda, con tono neutrale. –“Per quale motivo indossate le vostre corazze da battaglia, e brandite armi nella città sacra di Odino?! Non sapete che è vietato! Le guerre sono terminate e Midgard è tornata ad essere una città di pace!”

 

“Midgard sarà libera soltanto quando sarai morta, ex-Celebrante!” –Gridò un uomo, che brandiva una lancia. Senza aggiungere altro, l’uomo scagliò con tutta la sua forza la lancia contro Ilda, la quale, stupefatta e sconvolta, non riuscì a muovere un muscolo per spostarsi. Fu Cristal a fermare la lancia, afferrandola con il braccio sinistro e congelandola, mandandola in frantumi.

 

“Che atto è mai questo?!” –Domandò rabbioso il Cavaliere del Cigno. –“Rivolgere un’arma contro la vostra Celebrante di Odino, la Regina di Asgard?!”

 

“Asgard non ha re né regine! Odino l’ha abbandonata secoli fa, e da allora è sempre rimasta esposta alle intemperie e alla violenza del clima!” –Esclamarono gli uomini. –“Ilda è una traditrice! Come Odino prima di lei! Dopo averci lasciato in balia, lo scorso anno, dei Cavalieri di Grecia, che avevano invaso la nostra terra, pochi giorni fa è fuggita ad Atene con loro, nella calda e assolata Atene, quella terra che noi mai vedremo né avremo!”

 

“Non è questo il nostro destino, Uomini del Nord!” –Cercò di spiegare Ilda. –“Combattere Atene per avere il sole sarebbe una follia, un bagno di sangue assurdo di cui Odino non vuole macchiarsi!”

 

“Sciocchezze! Come tutti i regnanti, tu, Ilda di Polaris, pensi solo al tuo benessere! Vivi rinchiusa nel tuo bel Palazzo, riscaldato e protetto, e non sei costretta a sopportare i freddi venti nordici, le devastanti bufere che imperversano sulla cittadina di Midgard, che mietono i nostri raccolti, che falcidiano gli animali e il nostro spirito di sopravvivenza! Hai ingannato per troppo tempo la tua gente, vecchia strega, e non sei più degna di rappresentarci!”

 

“Tacete, miserabili!” –Esclamò Cristal, con rabbia. –“Ilda è un’ottima sovrana, che ha pregato Odino per tutti questi anni, per ottenere la sua clemenza e il suo interesse, per permettere a voi, a tutti quanti voi, compresi gli ingrati e gli irriconoscenti, di sopravvivere in quest’erma terra!”

 

“Miserabile sarai tu, straniero invasore!” –Gridò un uomo.

 

“Uccidiamolo!” –Gli andò dietro un secondo.

 

“Provateci!” –Sorrise Cristal, con aria di sfida.

 

“Adesso basta! Sono stata fuori dalla mia città per cinque giorni, cinque lunghissimi giorni in cui non ho mai smesso di pensare alla mia gente, al mio popolo che vive di stenti in questa nordica e fredda regione! Ma ho dovuto comportarmi così, per esprimere il mio ruolo nel mondo e nel corso degli eventi! Eventi troppo grandi e complessi da potervi adesso spiegare bene, ma che hanno richiesto la mia presenza, al fine di proteggere anche Midgard, come la Terra tutta!”

 

“Eventi che le hanno fatto dimenticare i compiti primari della sua funzione, Celebrante!” –Esclamò un uomo, uscendo dal palazzo. I guerrieri si spostarono per fare posto al nuovo arrivato, che indossava una lunga tunica marrone, che lo copriva completamente, fermata in vita da una cintura scura, che gli conferiva un aspetto quasi sacerdotale.

 

“Conte Turin!” –Esclamò Ilda, riconoscendo l’uomo, un suo vecchio consigliere, appartenente alle antiche famiglie reali di Midgard.

 

“Infelice di rivedervi, Celebrante di Odino!” –Sogghignò il conte.

 

“Cos’è questa storia?” –Chiese Ilda, indispettita. –“Avete organizzato una rivolta in mia assenza?”

 

“Una rivolta?! Oh oh!” –Rise bruscamente il conte. –“Non mi permetterei mai! Ho semplicemente accelerato gli eventi, in vista di una vostra successione!”

 

“Questo è alto tradimento!”

 

“Questa è la fine della vostra era sbandata!” –Le rispose il conte, ordinando ai guerrieri di ucciderli.

 

I dieci uomini che erano attorno a lui si lanciarono avanti, brandendo le loro asce e le loro lance, dirigendosi verso Ilda, ma nessuno di loro riuscì a compiere più di cinque passi che si ritrovò praticamente trasformato in statua di ghiaccio. Cristal aveva espanso il proprio cosmo, utilizzando il potere glaciante che gli era proprio ed aveva fermato l’effimera corsa dei guerrieri.

 

Il Conte Turin, che non si aspettava che Ilda rientrasse a palazzo con una scorta di Cavalieri, probabilmente di Atena, rimase ammutolito, osservando le dieci sagome di ghiaccio andare in frantumi pochi istanti dopo.

 

“E adesso a noi!” –Esclamò Cristal, facendo un passo avanti, verso l’uomo che aveva sobillato quella vergognosa rivolta.

 

“Fermati Cristal!” –Lo chiamò Ilda. –“Non è mio desiderio che le scale del Palazzo di Midgard si tingano di sangue! Conte Turin, vi prego, siete sempre stato uno dei miei più anziani consiglieri, cosa vi ha spinto a questo atto increscioso?”

 

“La speranza, Ilda di Polaris! La speranza di poter dare a Midgard un sole!” –Esclamò l’uomo e, senza aggiungere altro, tirò fuori un coltello affilato da sotto la tunica e se lo piantò nel cuore, accasciandosi pochi istanti dopo.

 

“Conte Turin!!!” –Gridò Ilda, sconvolta, precipitandosi avanti. Cristal e Ermes le furono accanto, preoccupati per il precipitare della situazione, mentre Ilda sollevava il corpo insanguinato e morente del vecchio consigliere. –“Perché?!” –Gli domandò, con gli occhi gonfi di lacrime.

 

“Ci avevano detto che eravate morta, che eravate caduta in guerra, lontano da Midgard, lontano dalla terra che avreste dovuto difendere fino alla fine!” –Balbettò il conte, prima di spirare. –“Non l’avete difesa abbastanza, Celebrante, e presto, molto presto, anche Midgard cadrà nell’ombra!”

 

Nient’altro aggiunse il Conte Turin, spegnendosi tra le braccia della Sacerdotessa di Odino.

 

Cristal, immaginando che tutto ciò avesse sconvolto il fragile animo della Regina, offrì la propria mano ad Ilda, per aiutarla a rialzarsi, e la condusse all’interno del Palazzo. Nessuno di loro si accorse di una figura, ammantata di uno scuro mantello, che aveva seguito l’intera scena nascosta dietro i vetri del Palazzo. Una figura che scomparve poco dopo.

 

“Perdonatemi!” –Esclamò la Regina di Midgard, rivolgendosi ad Ermes. –“Non era questa l’ospitalità di cui avrei voluto farvi dono, Messaggero degli Dei!”

 

“Non vi sentiate in colpa, Celebrante di Odino! Moti di ribellione da parte di uomini ingrati e corrotti hanno dominato la storia, anche quella dell’Olimpo, perciò comprendo perfettamente!” –La rassicurò Ermes. Ma Ilda, quelle parole, non la convinsero affatto. O meglio, non le condivideva.

 

Il Conte Turin non era un ingrato né un uomo corrotto! Rifletté la Celebrante, qualche minuto dopo, rinchiusa nelle proprie stanze. Aveva chiamato due ancelle e si era fatta preparare una vasca di acqua calda, dando disposizioni che i propri ospiti venissero alloggiati nelle migliori stanze della reggia e che fossero messi a loro disposizione tutti i servitori possibili, imbandendo un banchetto sostanzioso per il tardo pomeriggio. Era uno dei miei consiglieri, un saggio a cui spesso ho chiesto illuminanti pareri sulla vita della città! Che cosa lo ha spinto ad approfittare della mia assenza per sobillare questa rivolta? E se non fosse stato da solo? Se non fossero stati solo dieci coloro che hanno prestato orecchio alle sue idee? E se tutto il paese fosse d’accordo con lui, concorde sul fatto che io non sia degna di rappresentare Midgard e celebrare Odino per loro?! Si chiese, immersa nei caldi vapori della sua vasca da bagno.

 

Ooh Odino, vieni in mio soccorso! Sono davvero così indegna di rappresentarti?! Ma nessuna voce rispose alla sua domanda, soltanto il vento che sbatteva impetuosamente i rami degli alberi esterni, increspando le loro fronde e scuotendole dalla neve.

 

Un’ora più tardi Ilda ricevette Ermes, Cristal e i Cavalieri Celesti nel grande Salone del Fuoco, ad una tavola perfettamente imbandita, anche se non molto abbondante.

 

“Vogliate scusarmi, Messaggero degli Dei! Ma la mia città, come ben sapete, è stata attaccata cinque giorni fa, dai Ciclopi Celesti inviati da Flegias! E in questo stato di emergenza non ho potuto far preparare un migliore banchetto!” –Esclamò Ilda, invitando i Cavalieri a sedersi.

 

“Non dovete preoccuparvi, Regina di Midgard! È un piacere e un onore per me sedere a questa ricca tavola!” –Disse Ermes, accomodandosi, imitato dagli altri Cavalieri Celesti. –“Temo purtroppo che non potrò fermarmi a lungo! Ho sentito cosmi inquieti agitarsi in Grecia e un’improvvisa vampata di energia accendersi sul Monte Olimpo! Qualcosa di oscuro è tornato dal limbo in cui lo avevamo confinato, un potere grande e malvagio, determinato a distruggere Zeus, Atena e gli Dei tutti!”

 

“Che cosa?!” –Esclamò Cristal, subito preoccupato per la sua Dea.

 

“Non temere per la Dea della Giustizia! Ella, adesso, si trova nel luogo più sicuro e irraggiungibile sulla faccia della terra!” –Lo tranquillizzò Ermes. –“Spero soltanto che non diventi la sua prigione!” –Aggiunse, con un pizzico di amarezza.

 

“Oscuri sono questi tempi, e ogni regno è chiamato ad affrontare i suoi problemi!” –Sospirò Ilda. –“Eppure anche qua, tra i ghiacci eterni, confido ancora in un raggio di sole, nella luce buona delle stelle, che possa illuminare il cammino e garantire a noi, e a chi verrà dopo di noi, un futuro!”

 

Polaris è la vostra stella, mia Regina”! –Sorrise Ermes. –“Conoscete la sua storia?”

 

Ooh, molte leggende circolano sulla stella Polare, la guida dei naviganti!”

 

“Tra le molte, una è la mia preferita! Una leggenda pellerossa narra che un gruppo di guerrieri smarritisi nella foresta avrebbero visto una fanciulla che indicò loro la stella Polare per aiutarli a ritrovare l'accampamento. Come ricompensa essi la posero in cielo dove sarebbe stata sempre vista come la guida verso il Polo e il vero Nord! E voi siete come quella fanciulla, guida per il vostro popolo, un faro per la vostra gente! Non dimenticatelo!”

 

Ilda sorrise, compiaciuta per la gentilezza del Dio dei Mercanti, e si chiese se fosse realmente così che il popolo la considerava. O forse vedono in me soltanto una dispotica tiranna che ha scelto per la sua gente un destino di fame, freddo e miseria?!

 

La dolce voce di Cristal la rubò nuovamente ai suoi pensieri, e la fece sorridere e ricordare Flare, sua sorella, ancora ad Asgard, alla corte del Dio Odino. Le era mancata in quei giorni, come era certa che pure a Cristal fosse mancata, ma sapeva che solamente là sarebbe stata al sicuro.

 

Terminato il banchetto, Ermes si accomiatò dalla Celebrante di Odino, rinnovando l’alleanza che Zeus, poche ore prima, aveva inequivocabilmente fissato.

 

“Da oggi…” –Esclamò Ermes, lasciando la città del nord. –“Asgard e Atene sono più vicine!”

 

“Che possano esserlo per sempre, in pace e serenità!” –Aggiunse la Regina, salutando i Cavalieri Celesti. Anche Cristal la abbandonò, avviandosi verso Asgard. Non aveva intenzione di fermarsi molto, forse soltanto un’ora, ma doveva vederla. Sì, voleva vedere Flare.

 

Heimdall non fu affatto sorpreso quando trovò Cristal il Cigno sul pinnacolo roccioso dove il ragazzo e Flare avevano atteso il Guardiano del Ponte-Arcobaleno pochi giorni prima. Lo guardò di sottecchi, com’era solito fare, e lo trovò proprio come lo aveva lasciato: vivo e con una percentuale maggiore di baldanza, dovuta al desiderio di rivedere l’amata Flare. E questo lo fece sorridere.

 

“Salute a te, Heimdall, Dio Guardiano del Ponte-Arcobaleno!” –Esclamò Cristal, inginocchiandosi, mentre il colorato ponte arrivava a lambire la superficie della montagna su cui si trovava.

 

“Bentornato, Cavaliere del Cigno!” –Rispose Heimdall, con voce tonante. –“Vedo che porti il medaglione della Principessa di Asgard!” –E indicò il talismano che Cristal portava al collo.

 

“Esattamente! Mi è stato donato dalla Principessa Flare prima della partenza, per permettermi di ritrovare la via che mi conducesse alla corte di Odino da cui ho ricevuto doni e benevolenza!”

 

“Non credo ne avresti avuto bisogno, onorevole Cavaliere!” –Si limitò a commentare Heimdall, facendo cenno a Cristal di alzarsi e incamminarsi con lui lungo Bifrost. –“Odino non ama i visitatori, soprattutto quelli inattesi, ma nel tuo caso credo si tratti di un’eccezione ben voluta!”

 

“Non mi tratterrò a lungo, solo il tempo necessario per ringraziare il tuo Signore… e rivedere una persona a me cara!” –Precisò Cristal, proseguendo a passo svelto su Bifrost, insieme ad Heimdall.

 

“Come preferisci! Odino un tempo non avrebbe accettato così frequenti visitatori al suo palazzo, essendo sempre stato piuttosto schivo, soprattutto nei confronti di voi abitanti del Regno di Mezzo! Ma temo che arriverà un giorno in cui dovremo combattere unendo tutte le nostre forze!” –Detto questo, Heimdall non aggiunse altro, per quanto Cristal avrebbe voluto saperne di più. Ma non insistette, limitandosi a ringraziare il Dio per la sua disponibilità e a correre al Palazzo di Asgard, dove incontrò finalmente Flare.

 

La Principessa era in piedi sulla porta della grande Reggia, avvolta da un candido abito color latte, sul quale scendevano i suoi lunghi e voluminosi capelli biondi. Aveva trascorso gli ultimi giorni nell’angoscia per la guerra in corso e nella speranza di rivedere il giovane da lei amato, temendo che la profezia delle Norne riguardasse proprio lui. E il resto del tempo l’ho passato a chiedermi se ho realmente fatto la scelta giusta?! Se questo è realmente ciò che voglio?!

 

Flare!” –La chiamò Cristal, correndole incontro.

 

Cristaaal!!!” –Urlò lei, felice di gioia, scendendo in fretta i gradini dell’ingresso del palazzo e gettandosi letteralmente tra le sue braccia.

 

I due si scambiarono un profondo sguardo carico di amore e felicità, prima di abbandonarsi ad un intenso bacio. Ignari che, qualche piano più in alto, qualcuno li stesse osservando.

 

Cristal il Cigno è di nuovo ad Asgard!” –Commentò Freyr, il Dio della Bellezza e della Fecondità. –“Di questo passo dovremo regalargli un alloggio privato!” –Ironizzò, allontanandosi dalla grande finestra che dava proprio sull’ingresso del Palazzo di Asgard.

 

Nessuno rispose alla frase del Dio, alle cui orecchie giunsero soltanto mugugni di riflessione.

 

“Chiederà di incontrarti, probabilmente per ringraziarti!” –Continuò Freyr, avvicinandosi all’uomo seduto su uno scranno.

 

“Ed io non lo farò!” –Rispose una decisa voce maschile. –“No, Freyr, non adesso! Abbiamo cose più importanti di cui occuparci! Rintracciare Loki, per esempio!”

 

“Temi ancora un suo complotto?!”

 

“Io non lo temo, Freyr! Io lo aborro! Ma al tempo stesso non posso privarmene! Perché lui è l’ago della bilancia! Una delle chiavi del mantenimento dell’equilibrio!” –Detto questo, l’anziano sovrano si alzò in piedi, trascinandosi fuori dalla stanza, avvolto nei suoi preoccupanti pensieri.

 

Molti metri più in basso, Flare condusse Cristal all’interno del palazzo, tenendolo per mano e ponendogli continuamente domande, su Ilda, su Atena, su Pegasus e i suoi compagni.

 

“Sono stata così angosciata, così preoccupata! Perché deve esserci sempre la guerra?”

 

Già, perché? Si chiese Cristal a sua volta. Forse perché fa parte dell’umana vita? La storia ci insegna che non esiste popolo che non abbia combattuto almeno una volta, che non esiste epoca che non sia stata segnata da guerre o conflitti. E nei più importanti, quelli in cui si sono decisi i destini dell’intero pianeta, i Cavalieri hanno giocato un ruolo fondamentale. I Cavalieri, e gli Dei dietro di essi.

 

“Tua sorella ti prega di rientrare a Palazzo quanto prima!” –Le spiegò Cristal, raccontandole l’accaduto. –“Ha bisogno di parlare con te! Di vederti!”

 

“E anch’io ho bisogno di lei…” –Sospirò Flare.

 

“Di lei soltanto?!”

 

“Qualcuno vuole salutarti, se hai un minuto da dedicare a loro!” –Evitò il discorso Flare, con un serio imbarazzo nella voce.

 

Cristal aggrottò un attimo la fronte, quasi deluso dalla risposta della ragazza, e chiese a chi si riferisse; ma poi realizzò, rattristandosi per un momento, prima che la mano candida di Flare lo conducesse in una grande sala, dove quattro uomini li stavano attendendo.

 

Due ragazzi alti e ben fatti, con corti capelli celesti, affiancati da un altro ragazzo dai mossi capelli grigiastri e gli occhi argentei, e da un quarto, più in disparte, dai lisci steli biondi. I guerrieri di Asgard, adesso ascesi al cielo degli Einherjar.

 

Cristal!” –Esclamarono Mizar e Alcor, avvicinandosi al ragazzo.

 

“Amici!” –Sorrise Cristal, con le lacrime agli occhi.

 

Per quanto non fossero vivi, non fisicamente, e quelle fossero soltanto le loro anime, in quella dimensione, in quell’incantata terra sopra le nuvole, avevano consistenza fisica. Quanto bastava per renderli davvero reali, proprio come li aveva conosciuti.

 

“È un piacere rivederti!” –Esclamò Orion.

 

Orion!” –Commentò Cristal. –“Non so come ringraziarti per la tua spada! Essa mi è stata utile arma in battaglia!” –E allungò una mano per sollevarla. –“Ecco, credo sia giunto il momento di rendertela!”

 

“Non preoccuparti! È un dono che ti ho fatto, a nome di tutti i Cavalieri di Asgard! Adesso appartiene a te!”

 

Ma…

 

“Non vorrai discutere con noi, no, biondino?!” –Intervenne Artax. –“Impugna quella spada, Cristal, per combattere per la tua Dea! E per le persone a te care, che vuoi salvare!”

 

Cristal non rispose, fissando il ragazzo negli occhi. In un attimo la sua mente lo riportò in quell’afosa caverna dove lo aveva affrontato molti mesi addietro. Anche lui aveva una persona da salvare, ma l’aveva sacrificata, per la fedeltà che nutriva nei confronti della sua sovrana.  Che abbia adesso dei rimpianti? Si chiese. Ma Artax non aggiunse altro, allontanandosi dal piccolo gruppo.

 

“Credete che sia possibile incontrare Odino?!” –Azzardò la richiesta il Cavaliere del Cigno. –“Vorrei ringraziarlo per il suo aiuto, e porgerli i saluti della mia Dea!”

 

Mizar, Alcor e Orion si guardarono un momento tra loro, senza sapere cosa rispondere, e questo fece preoccupare Cristal.

 

“Odino non può ricevere nessuno!” –Intervenne una nuova voce, entrando nella stanza. –“È molto impegnato in questi giorni, ma ti porta i suoi saluti, Cavaliere del Cigno!”

 

“Principe Freyr!” –Esclamò Cristal, felice di rivederlo.

 

“Vorrei che fossero tempi migliori e che avessimo più tempo per conversare, ma credo che oggi non ci sia concesso!” –Affermò il Dio, avvicinandosi. –“No, Cristal! Una nuova guerra sta iniziando, o forse una nuova battaglia della stessa guerra, e già i tuoi compagni combattono in Grecia, contro un antico sovrano in cerca di rivalsa!” –Quindi afferrò un ciocco di legno e lo gettò nel braciere al centro della sala. –“Ma prima di tornare in Grecia, credo che qualcuno abbia bisogno di te altrove!”

 

Le fiamme del braciere crepitarono per un momento, prima di iniziare a muoversi, alle parole del Dio della Bellezza, trasformandosi in immagini, non troppo nitide, ma sufficienti per mostrare a Cristal un vero e proprio inferno. guerrieri demoniaci intrisi di sangue e violenza che marciavano per portare terrore e disperazione.

 

E una delle loro mete era molto vicina al suo cuore. Troppo, perché potesse ignorarla.

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Le dodici fatiche di Pegasus ***


CAPITOLO QUINTO. LE DODICI FATICHE DI PEGASUS.

 

Pegasus, Sirio, Andromeda e Phoenix raggiunsero l’Etna, scendendo fin dentro la profonda Divina Fornace ove lavorava Efesto, il Dio della Lavorazione dei Metalli. Sirio era stato l’unico, ad eccezione di Cristal, ad averlo visto personalmente, al Tempio dei Mercanti, durante la battaglia sull’Olimpo, ed aveva capito essenzialmente due cose di lui. Che era un Dio saggio e passionale, capace di provare umani sentimenti, come quelli di disperazione nel vedere la propria sposa, la Dea Afrodite, massacrata dai suoi degeneri figli, e capace di usare la ragione per discernere tra il bene e il male, e che era un Dio dotato di grande potenza e resistenza. Non soltanto aveva saputo resistere agli attacchi di Cristal, ma era persino sopravvissuto all’infuocata Spada di Flegias, che il figlio di Ares aveva infilato nel suo collo. Grondante sangue e debolissimo, Efesto aveva infatti trovato la forza di rialzarsi, trascinandosi a fatica fuori dalle rovine del Tempio, dove Giasone, in perlustrazione per conto di Zeus, lo aveva trovato, e dove Asclepio poi lo aveva medicato. Il divino cosmo di Efesto aveva fatto il resto, sanando in parte le sue ferite, quelle fisiche almeno. Ma per quelle sentimentali non c’era stata speranza alcuna.

 

“Divino Efesto!” –Commentò Sirio, rivolgendosi al Dio, impegnato a sistemare un’ala della corazza della Fenice.

 

“Le vostre armature sono pronte!” –Parlò questi, senza voltarsi. –“Devo solo aggiustare una cosa!”

 

“Ti ringraziamo, Dio del Fuoco e della Metallurgia!” –Affermò Pegasus, facendosi avanti. –“Grande è l’aiuto che ci stai dando, e te ne siamo grati!”

 

“Non ringraziatemi, in fondo state facendo anche il mio volere!” –Rispose Efesto, stupendo i ragazzi. –“Non c’è cosa che maggiormente vorrei al mondo che vedere quei maledetti figli di Ares morti! Uccideteli, e portatemi i loro cadaveri, cosicché io possa gettarli nelle profondità dell’Etna e dare loro la fine che meritano!”

 

I Cavalieri dello Zodiaco rimasero in silenzio, colpiti dalla schiettezza delle parole del figlio di Zeus, ma consapevoli che il dolore che portava dentro era certamente umano, dovuto al più nobile, e al più terribile, dei sentimenti umani, l’amore. L’amore che aveva perduto.

 

“Probabilmente hai ragione, Dio del Fuoco!” –Commentò infine Phoenix, unico a trovare la forza di parlare. –“Ma spesso, purtroppo, la vendetta non placa la nostra disperazione! E anche davanti al corpo morto del nostro nemico, ci continuiamo a chiedere perché… Ci continuiamo a chiedere cosa avremmo potuto fare perché le cose andassero diversamente, cosa avremmo potuto dire per rendere migliori i pochi giorni vissuti con la persona amata?! Ma alla fine, ci rispondiamo che non c’è niente di diverso che avremmo potuto fare! Perché quello che abbiamo fatto era ciò che sentivamo, ed era la cosa migliore e più vera di noi stessi che potevamo regalare all’altro!”

 

Efesto annuì a fatica, reprimendo un singhiozzo, ma non rispose alle nobili parole di Phoenix, che molto colpirono il suo cuore. Si voltò verso le armature e spiegò ai ragazzi di averle riparate, ridando loro la lucentezza che avevano originariamente, e tutta la loro potenza.

 

“Non soltanto!” –Aggiunse il Dio. –“Voi sapete di quali materiali sono fatte le vostre armature?”

 

Uhm…” – I Cavalieri si guardarono per un momento straniati, non sapendo cosa rispondere. –“Oro?” –Azzardò uno. –“Platino?” –Aggiunse un altro.

 

“Tutte le armature, di qualsiasi Cavaliere, non sono mai completamente fabbricate con il materiale dell’ordine a cui appartengono! Le Armature d’Oro non sono interamente di oro, materiale lavorabile con difficoltà, ma di una lega mista, di cui l’oro rappresenta il componente principale, ma non l’unico! Lo stesso discorso può essere fatto per le Armature d’Argento e per quelle di Bronzo, una lega di bronzo e di rame!” –Spiegò loro Efesto. –“Le Vesti Divine, quelle che noi Divinità indossiamo, sono realizzate con una lega di oro e avorio, e di un terzo elemento, lavorate a temperature altissime, impregnate di sangue e cosmo divini, capaci di elevare tali metalli ad un livello superiore, trascendente! Questo perché solitamente chi indossa una Veste Divina è, appunto, un Dio o un Cavaliere di alto rango, difensore supremo della Divinità, come erano i Ciclopi Celesti! Per le vostre corazze vi è una sottile, ma degna di nota, differenza! Che non sono state create come tali, ma lo sono diventate in seguito, nell’Elisio, quando voi, bruciando con ardente determinazione il vostro cosmo, il vostro animo, la vostra stessa vita, fino ai limiti estremi, avete trasformato i resti delle Armature di Bronzo presenti sul vostro corpo, mescolati con i resti delle Armature d’Oro andate distrutte, nelle Armature Divine, vestigia simili in tutto e per tutto alle Divine Vesti da me forgiate!”

 

“E questo le rende inferiori?” –Domandò Andromeda.

 

“Inferiori?!” –Rifletté Efesto. –“Forse, in quanto non forgiate da mano divina! Ma l’esperienza e la storia che risiedono in esse le rendono superiori a qualsiasi altra corazza! Le vostre Armature di Bronzo, quelle che avete indossato nella Guerra Sacra contro Ade, derivano dai resti di quelle che andarono distrutte contro Nettuno, rinate col sangue di Atena; e quelle, a loro volta, non derivavano dai frammenti delle vostre prime corazze, sorte a nuova vita col sangue dei Cavalieri d’Oro, dopo la scalata delle Dodici Case?!” –Sorrise infine Efesto. –“Credetemi, Cavalieri di Atena, le vostre Armature non cederanno così facilmente! In loro risiede ormai il vostro cosmo, impregnato delle battaglie e delle esperienze che avete sostenuto, temprato dai duri allenamenti a cui siete stati sottoposti, e rinforzato dal sangue dei Cavalieri d’Oro e da quello Divino di Atena!!! Poco altro avrei potuto aggiungere ad un così grande prodigio della natura!”

 

Capisco…” –Commentò Pegasus, che in realtà non stava capendo niente.

 

“Tuttavia ho ritenuto opportuno farvi un dono!” –Esclamò Efesto, mostrando loro un pezzo di roccia dalle argentee sfumature.

 

“Cos’è?” –Chiese Pegasus. –“Argento?”

 

“Ah ah! Affatto!” –Rispose il Dio, riponendo la roccia su un piano da lavoro. –“È il metallo più prezioso della storia dell’umanità, il terzo elemento di cui sono costituite le supreme Vesti Divine!”

 

“Il metallo più prezioso?!” –Mormorò Andromeda.

 

“Che sia dunque…” –Accennò Sirio.

 

“Il mithril!” –Affermò Efesto, mentre i suoi occhi si illuminarono al suono celestiale di quella parola. In un batter di luce le Armature Divine dei Cavalieri si scomposero, venendo ognuna attirata dal cosmo del suo custode e ricoprendo i loro corpi.

 

“Incredibile! Sento in essa una grande energia, un profondo calore!” –Esclamò Pegasus, mentre la Celeste Armatura lo ricopriva. –“E inoltre, l’armatura… sembra molto più leggera!”

 

“È l’energia che viene dalle stelle, Cavalieri! Di cui il mithril è espressione!” –Affermò Efesto.

 

Mithril…” –Commentò Pegasus. –“Un nome che evoca leggenda! Un metallo dalle magiche proprietà, resistentissimo e al tempo stesso leggerissimo!”

 

“Il mithril deriva le sue mistiche proprietà dall’essere combinazione de i quattro elementi naturali, ed è un minerale alieno, se così si può definire, che si crea quando un corpo celeste si schianta sulla superficie terrestre! Se un meteorite è abbastanza grande da sfondare l’atmosfera, esso collide poi con la crosta, con la terra, in un impatto che genera temperature inimmaginabili! E il materiale di cui è composto si fonde con i minerali e con l’atmosfera che lo circonda, dando vita ad un nuovo materiale, il quinto elemento, o mithril, che risulta creato dall’unione dei quattro elementi, terra, fuoco, aria e acqua! Non esiste niente di più resistente in natura! Ed io, adesso, ve ne ho fatto dono, sicuro che vi sarà utile nella guerra che vi aspetta!”

 

“Hai dunque ricostruito le nostre armature con il mithril?” –Domandò Andromeda, mentre Efesto esplodeva in una grossa risata.

 

“Oh no, Cavalieri! Non ho abbastanza mithril per creare dal nulla quattro nuove corazze, particolarmente elaborate come le vostre! Nessuno ne ha! Il mithril è molto raro, come rari sono i corpi celesti che si schiantano sulla superficie terrestre! L’ultimo, al quale attinsi per ottenere del mithril, fu quello di Tunguska, in Siberia, nel 1908! Mi sono soltanto limitato ad usarlo per riparare le parti danneggiate, lasciando che infondesse alle vostre vestigia tutta la sua devastante potenza!”

 

“Ti ringraziamo, Divino Efesto, per il tuo aiuto! E ti promettiamo che non sarà speso invano il tempo che ci hai dedicato!” –Disse Pegasus, mentre anche gli altri ringraziavano il Dio del Fuoco.

 

“Grazie a voi, Cavalieri di Atena! Siete riusciti a portare un raggio di sole fin quaggiù, nelle viscere della Terra!” –Chiarì il Nume, prima di voltar loro le spalle e rimettersi al lavoro. Aveva ricevuto ordini precisi da Zeus e doveva sbrigarsi, per riparare le Armature Celesti dei Cavalieri dell’Olimpo e preparare nuove armi quanto prima.

 

Pegasus e i suoi tre amici, dopo aver ringraziato il Dio del Fuoco, tornarono in superficie, sentendosi più leggeri e rincuorati dall’aver ricevuto un simile dono. Unirono i cosmi e scattarono verso Atene, arrivando al Grande Tempio poco dopo e restando a bocca aperta per l’enorme sfacelo in cui lo trovarono abbandonato. Costruzioni distrutte, mura abbattute, cadaveri gettati in strada, tra la polvere, mescolati ai detriti. Persino gli alberi erano stati bruciati, isterilendo la rada natura del santuario, e ancora vampe di fuoco esplodevano caoticamente intorno a loro.

 

“Terribile!” –Commentò Pegasus, guardandosi intorno. Lui che al Grande Tempio ci aveva vissuto, trascorrendoci sei anni di allenamento, sentiva come se fosse stata distrutta una parte di sé. E questo non fece che aumentare il suo dolore e la sua rabbia.

 

Tristi e addolorati i quattro amici si incamminarono lungo quel che restava della Via Principale, giungendo in fretta all’ampio spiazzo dove l’anno precedente avevano lasciato Lady Isabel trafitta dalla freccia di Betelguese, prima di iniziare la scalata delle Dodici Case. E là si presentò loro il più infelice e macabro spettacolo mai visto.

 

Infilate dentro scarlatte picche acuminate, c’erano le teste di quattro uomini, di quattro Cavalieri che Pegasus e gli altri conoscevano bene, essendo stati loro amici e compagni di vita. Erano quelle di Geki, Ban, Black e Aspides, barbaramente massacrati da Flegias e dai berseker di Ares.

 

“Che gli Dei ci proteggano!” –Esclamò Sirio, correndo verso le lance.

 

Andromeda scoppiò in lacrime, nauseato da un simile spettacolo di efferata crudeltà, mentre Phoenix e Pegasus rimasero quasi immobilizzati, incapaci di fare o dire qualcosa. Il loro voltastomaco aumentò quando videro che dietro le lance c’erano cadaveri abbandonati, corpi macchiati di sangue, che altri non erano che quelli di giovani donne, di fanciulle uccise e mutilate.

 

Improvvisamente una forte emanazione cosmica esplose nel piazzale, dando nuovo impeto e vigore alle fiammelle sparse per l’area. Come richiamate dal loro signore, le vampe di fuoco si allungarono verso il cielo, lunghe lingue che circondarono gli attoniti Cavalieri dello Zodiaco. Una figura comparve in mezzo alle fiamme, scivolando tra loro come se nulla potessero contro di lui. Ricoperto dalla sua scintillante Armatura Divina, Flegias si fermò proprio davanti ai quattro Cavalieri, sfoderando la sua infuocata spada ed con un ghigno malefico.

 

“Siete arrivati infine?!” –Commentò il Rosso Fuoco, scaricando un rapido e violento fendente di energia incandescente verso i quattro amici, che furono obbligati a separarsi per evitarlo. –“Ih ih ih... Avete visto che bella accoglienza vi abbiamo riservato?!”

 

Bastardoo!!!” –Urlò Pegasus. E senza aggiungere altro scattò avanti, concentrando il cosmo sul pugno destro e scagliando centinaia di luminosi colpi verso il figlio di Ares, il quale li evitò tutti, muovendosi ad una velocità maggiore, prima di balzare, con un’abile piroetta, proprio di fronte alle picche insanguinate. Le afferrò con un gesto bruto, gettandole via, insieme alle teste che vi erano piantate, in un rogo poco distante, in cui, a sentire Flegias, aveva bruciato anche i corpi poco prima.

 

“Sei un maledetto!” –Urlò ancora Pegasus, affiancato questa volta da Phoenix e Sirio. Il colpo congiunto dei tre compagni però non raggiunse Flegias, protetto da una mistica barriera su cui l’attacco dei Cavalieri si infranse, venendo assorbito da essa e poi espulso, travolgendoli.

 

“Lo Scudo di Ares mi difende, sciocchi! Le mie difese sono insormontabili per comuni Cavalieri come voi!” –Li schernì Flegias. –“Ma se proprio volete combattere…” –E sollevò il braccio.

 

Le fiamme che erano intorno a loro si mossero al suo comando, diventando due alti muri incandescenti che corsero lungo la scalinata di marmo che conduceva alla Prima Casa di Ariete.

 

“Eccolo... il Tempio di Ares!” –Esclamò Flegias, mentre i Cavalieri di Atena sgranavano gli occhi.

 

“Bugie! Questo è il Tempio di Atena! Quelle sono le Dodici Case dello Zodiaco!” –Tuonò Pegasus.

 

“Non più! Il Grande Tempio di Atena è ormai leggenda, questi sono i Templi dell’Ira, custoditi dai Dodici Berseker della Guerra, i guerrieri supremi scelti da mio padre per accogliervi nella sua Reggia!”

 

“Dov’è Ares?” –Gridò Phoenix. Ma Flegias non rispose, superando nuovamente i Cavalieri dello Zodiaco con un balzo e atterrando proprio sulla scalinata che conduceva alla Prima Casa.

 

“C’è un nuovo Sacerdote sul trono di Grecia!” –Commentò il Rosso Fuoco, mentre un sorriso malsano gli deturpava il viso. –“E presto siederà sul trono dell’Olimpo! Ah ah ah! Ah, dimenticavo, ha anche nuove ancelle che lo servono!”

 

“Che cosa?!” –Domandarono Pegasus e Dragone.

 

“Già... ragazze giovani, molto carine. Fanno le difficili, ma poi si scioglieranno!”

 

“Fiore di Luna!” –Mormorò Sirio.

 

“Uhm, sì, mi pare che una si chiami proprio in quel modo!” –Sogghignò Flegias, prima di volgere lo sguardo verso Pegasus e Andromeda. –“In quanto alle altre due…

 

“Maledetto! Se hai fatto del male a mia sorella…” –Urlò Pegasus, scattando avanti con rabbia e scagliando un poderoso attacco lucente contro il figlio di Ares. Ma questi fu nuovamente difeso dallo Scudo di Ares, all’interno del quale scomparve poco dopo.

 

Flegias!!!” –Urlarono i Cavalieri.

 

“Arrivederci, amici!” –Ironizzò il Rosso Fuoco. –“Vado a uccidere le vostre amichette... se volete assistere allo spettacolo, perché non mi raggiungete? Sono alla Tredicesima Casa!!!” –Detto questo il suo cosmo scomparve, facendo avvampare nuovamente le lingue di fuoco, e lasciando i quattro compagni da soli ai piedi della scalinata del Grande Tempio.

 

“Che facciamo adesso?” –Domandò Andromeda.

 

“Non hai sentito cosa ha detto quel pazzo? Patricia è alla Tredicesima Casa! Dobbiamo andare a salvarla! E anche Fiore di…” –Esclamò Pegasus.

 

“Calmati, Pegasus!” –Lo fermò Phoenix, afferrandolo per un braccio. –“Non necessariamente ciò che Flegias ha detto deve essere vero! Potrebbe essere un trucco!”

 

“E nel dubbio cosa dovremmo fare? Rimanere qua ad aspettare?” –Rispose il ragazzo, liberandosi dalla presa dell’amico.

 

“Sono preoccupato per Fiore di Luna!” –Intervenne Sirio.

 

“E io per Nemes! Credo che Flegias si riferisse a lei!” –Esclamò Andromeda.

 

“Ma non per questo mi lascerò travolgere dai sentimenti!” –Aggiunse Sirio, facendo voltare Pegasus verso di lui. –“E ti prego di fare altrettanto, Pegasus!”

 

Sirio…” –Mormorò il ragazzo.

 

“Verrò con te, alla Tredicesima Casa, e credo che anche Andromeda e Phoenix faranno altrettanto! Non solo per salvare le persone a noi care, ma anche per battere Ares, che nelle stanze del Sacerdote si è rintanato!” –Esclamò Sirio. –“Probabilmente stiamo facendo il suo gioco. Chissà quali insidie nasconderanno le Dodici Case! Ma che altra scelta abbiamo? Rimanere qua, inermi, a lasciar trascorrere le ore senza far niente? Mentre il mondo urla disperato sotto gli assalti dei berseker?”

 

“Sono con te, amico!” –Esclamò Pegasus, mettendo una mano sul polso dell’amico. Andromeda e Phoenix fecero altrettanto, prima di urlare insieme a squarciagola e lanciarsi avanti, lungo la scalinata di marmo, diretti verso la Prima Casa.

 

Le fiamme che costeggiavano la gradinata si mossero al loro passaggio, avvampando e ululando come infernali creature, ma niente riuscì a fermare l’avanzata dei Cavalieri della Speranza, che in pochi attimi giunsero nel piazzale antistante la Casa dell’Ariete. In quel momento un tremendo boato scosse il Grande Tempio e i Cavalieri sentirono la terra sotto di loro tremare, venendo spinti indietro, mentre il pavimento si schiantava in più punti, venendo sollevato impetuosamente da una mostruosa creatura emersa dal sottosuolo.

 

“Che diavolo succede?” –Esclamò Pegasus, osservando l’immonda bestia spuntata dal terreno.

 

Sembrava un drago, ma aveva nove teste, ed era completamente bardata, ricoperta da una cotta di materiale sconosciuto che le dava un aspetto guerriero e orribile. Le teste, unite al corpo da lunghi colli ricoperti di aculei, erano mostruose e su esse spiccavano grandi occhi rossi intrisi di sangue, ed avevano enormi fauci che sputavano fuoco.

 

Ma… che creatura mostruosa è mai questa?” –Domandò Andromeda, osservando la bestia che si dimenava per liberarsi completamente dal terreno.

 

“C’è un’unica bestia dal simile aspetto!” –Commentò Sirio. –“Una bestia mitologica chiamata Idra di Lerna!”

 

“L’Idra di Lerna?!” –Esclamò Pegasus.

 

Improvvisamente la bestia si mosse, allungando alcune teste verso di loro, e iniziando a sputare fiamme, lunghe vampate di fuoco dirette contro i Cavalieri dello Zodiaco, che si divisero, cercando di evitare di essere colpiti. Pegasus saltò indietro, evitando una vampata dell’Idra, ma subito un’altra testa lo attaccò nuovamente, costringendolo a muoversi ancora. Andromeda tentò di fermare le fiamme, ma la sua catena si rivelò inutile, come a suo tempo contro il Cavaliere della Fiamma. Sirio e Phoenix attaccarono direttamente la bestia, ma i loro colpi vennero respinti dalla corazza dell’animale, prima di essere travolti dalle infernali fiamme.

 

“Ah ah ah! Rinunciate all’impresa, Cavalieri di Atena! L’Idra di Lerna non è bestia da domare così facilmente!” –Esclamò una voce, proveniente dalla Prima Casa.

 

“Chi sei tu?” –Domandò Sirio. –“Rivelati!”

 

“Sono il guerriero dell’Idra di Lerna, primo e unico dei Dodici guerrieri di Ares che affronterete!” –Esclamò questi, uscendo fuori dalla casa.

 

Era un uomo alto, dai capelli rasati, con un viso tondo e occhi scuri, e una cicatrice sul collo. Era ricoperto da un’armatura violacea, rifinita da striature rossastre, che emanava proprio l’idea della mitologica bestia di cui era il guerriero. L’elmo aveva la forma di una testa di drago, dalle fauci spalancate, mentre i pugni erano protetti da lungi artigli biancastri che partivano dall’avambraccio.

 

“Lasciaci passare!” –Urlò Pegasus.

 

“Mai!” –Rispose questi, senza scomporsi minimamente. –“Il mio Signore ha aperto i giochi in vostro onore, e ricevere il premio finale mi alletta particolarmente!”

 

“Premio finale?!”

 

“Non lo sapete?! Ares ha messo una taglia sulle vostre teste!” –Spiegò il guerriero dell’Idra di Lerna. –“Chi riuscirà ad uccidere voi Cavalieri dello Zodiaco otterrà un posto come Governatore nel nuovo ordine che il Dio della Guerra imporrà al mondo, oltre che enormi ricchezze e tesori!”

 

“Incredibile!” –Mormorò Andromeda, rimasto a bocca aperta. Ma fu Phoenix, con la sua immancabile prontezza di spirito a rispondergli.

 

Umpf… Dovremmo sentirci onorati, allora! Se persino il Divino Ares mette una taglia sulle nostre teste, significa che siamo famosi!”

 

“Famigerati, oserei dire!” –Ironizzò Pegasus, strusciandosi il naso.

 

“Presto non riderete più! Uccidili, Idra di Lerna!” –Gridò il berseker, mentre l’immonda creatura si gettava su di loro, allungando le sue infuocate teste.

 

I quattro Cavalieri si divisero per evitare le vampate infuocate, cercando poi un modo per contrattaccare. Pegasus scattò avanti, concentrando il cosmo sul pugno destro, e scagliando il suo micidiale Fulmine di Pegasus contro la bestia infernale, che fu colpita e la sua corazza danneggiata in più punti, mentre versi osceni esplodevano dalle sue bocche.

 

“Ora!” –Urlò Sirio, balzando in alto.

 

Il braccio destro del Cavaliere del Dragone si illuminò, prima che il ragazzo lo abbattesse sulla mitologica bestia, sfoderando la lucente Excalibur, la lama capace di recidere ogni male. La spada di Sirio tagliò due teste dell’Idra, mozzandole quasi all’altezza del corpo, facendo spuntare un breve sorriso di vittoria sui Cavalieri di Atena. Sorriso che però si trasformo in stupore, e preoccupazione, quando videro che, proprio come nel mito di Eracle, le teste dell’Idra ricrescevano.

 

“Ah ah ah! Non riuscirete mai ad averne ragione! L’Idra di Lerna non può essere uccisa da voi, sciocchi mortali!” –Li derise il berseker di Ares, balzando in alto, verso di loro.

 

Il guerriero atterrò proprio davanti a Sirio, concentrando il cosmo sulle braccia, facendo illuminare di rosso gli artigli della sua armatura.

 

“Fauci dell’Idra di Lerna, azzannate!” –Urlò, muovendo con velocità estrema le sue braccia.

 

Sirio cercò di parare i colpi del guerriero, muovendo velocemente lo Scudo del Dragone, su cui si infransero gli acuminati artigli dell’Idra. Grazie al mithril e ad Efesto lo scudo è adesso più resistente! Pensò, concentratissimo sul nemico. Ma gli affondi di questo guerriero sono diretti e potenti, non so quanto potrò resistere ancora senza reagire! Un colpo potente del guerriero dell’Idra di Lerna si schiantò sullo scudo di Sirio, senza riuscire a danneggiarlo, ma permise al berseker di bloccare il braccio del Cavaliere, colpendolo poi con l’altro braccio e spingendolo indietro, fino a lanciarlo contro la rocciosa parete laterale.

 

Quindi si voltò verso gli altri Cavalieri dello Zodiaco, impegnati ad affrontare l’Idra di Lerna. Pegasus, su spinta di Andromeda e Phoenix, aveva provato persino ad oltrepassarla, e correre avanti, ma l’Idra riusciva a fronteggiare tranquillamente molteplici avversari contemporaneamente, bloccando ogni possibilità di fuga. Il ragazzo aveva optato quindi per un gesto più drastico, balzando in aria e roteando su se stesso fino a creare la Cometa Lucente, con la quale si era lanciato contro l’Idra, sfondando il suo corpo. Phoenix aveva approfittato di quel momento per scagliare, contro lo squarcio aperto da Pegasus, le Ali della Fenice, mentre Andromeda usava la Catena nella conformazione a spirale, per fermare quante più teste possibili dell’Idra.

 

Le fiamme della Fenice raggiunsero le interiora della bestia, facendola impazzire per il dolore, mentre un secco colpo della Catena di Andromeda faceva sbattere le teste tra di loro, che crollarono a terra poco dopo.

 

Noo!!!” –Urlò il guerriero dell’Idra di Lerna, sfoderando i suoi pericolosi artigli, che diresse contro Andromeda, impegnato con la sua catena e impossibilitato a difendersi.

 

Il ragazzo venne colpito in pieno dai fendenti luccicanti e spinto indietro, ma prima che il berseker fosse su di lui, Sirio fu svelto a porsi nel mezzo e a proteggere l’amico con lo Scudo del Dragone.

 

“Ancora tu?” –Ghignò il guerriero dell’Idra di Lerna, il cui pugno artigliato aveva nuovamente sbattuto contro lo scudo di Sirio.

 

“Che vuoi farci? Sono piuttosto testardo!” –Esclamò Sirio, liberandosi del guerriero con una rapida e decisa mossa, e spingendolo indietro, prima di bruciare al massimo il proprio cosmo. –“Colpo Segreto del Drago Nascente!” –Urlò, travolgendo in pieno, dal basso verso l’alto, il guerriero di Ares, che fu spinto indietro, ricadendo a terra e perdendo l’elmo della corazza, che venne scheggiata in più punti. Quando si rialzò, trovò i quattro amici uno accanto all’altro, pronti per dargli nuovamente battaglia.

 

“Ne vuoi ancora?” –Chiese Pegasus, con baldanza. Ma in quel momento l’Idra di Lerna si riprese, risollevando alcune teste, seppur a fatica, e iniziando a sputare vampate infuocate contro i Cavalieri.

 

“Mi occupo io dell’Idra!” –Urlò Andromeda, liberando nuovamente la sua catena.

 

“Sono con te!” –Lo affiancò il fratello, lasciando a Pegasus e a Sirio l’avversario.

 

“Non è leale attaccarlo in due!” –Commentò Sirio, nobile come sempre.

 

“Ma sono convinto che i guerrieri di Ares non si porrebbero il problema…” – Brontolò Pegasus.

 

“Ma noi siamo i Cavalieri di Atena, Pegasus!” –Gli ricordò Sirio, offrendosi per continuare il combattimento. –“Tu corri avanti! Alla seconda casa! Noi ti raggiungeremo presto!”

 

Pegasus esitò un momento, restio ad abbandonare subito gli amici. Quegli stessi amici che aveva ritrovato dopo lunghi mesi in cui erano stati separati.

 

“Coraggio!” –Incalzò Sirio, prima di lanciarsi avanti, contro il guerriero dell’Idra di Lerna. –“Se realmente Fiore di Luna e Patricia sono qua, dobbiamo salvarle quanto prima, e liberare il Grande Tempio dall’immonda presenza di Ares!”

 

“Sì!” –Si disse Pegasus, stringendo i pugni. –“Questa è la nostra missione!”

 

Non aggiunse altro e voltò le spalle a Sirio, scattando via, verso l’ingresso della Prima Casa. L’Idra di Lerna tentò di fermarlo, ma Andromeda e Phoenix occuparono l’attenzione della bestia, permettendo a Pegasus di evitare le vampe di fuoco e raggiungere l’entrata della Casa di Ariete. Vi infilò dentro, correndo come un fulmine, diretto verso la Casa del Toro.

 

 

 

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Capitolo 8
*** L'Idra e il Leone ***


CAPITOLO SESTO. L’IDRA E IL LEONE.

 

Pegasus stava correndo lungo la scalinata di marmo che dalla Prima Casa dello Zodiaco conduceva alla Seconda, ripercorrendo lo stesso cammino che l’anno precedente aveva percorso con gli amici, per salvare Lady Isabel, trafitta ai piedi del Grande Tempio dalla freccia di Betelgeuse. Per un attimo si chiese se non fosse uno scherzo del destino il fatto di ritrovarsi nuovamente in una corsa contro il tempo, attraverso i dodici palazzi dei Cavalieri d’Oro. Ma questa volta la posta in gioco è ancora più alta! Si disse. Non soltanto la salvezza di Atena, ma quella dell’intera Terra, che rischia di essere percorsa dalle malvagie armate di Ares, addestrate per distruggere ogni cosa!

 

Tutto immerso nei suoi pensieri giunse nel piazzale antistante la Casa del Toro, senza accorgersi di due luminosi occhi che, nascosti nelle ombre del colonnato greco, lo fissavano attentamente. Un attimo dopo gli occhi furono su di lui, mentre un agghiacciante ruggito accompagnava i loro movimenti.

 

“Ehi!” –Urlò Pegasus, venendo sbattuto a terra da una bestia grande e furiosa, dalle sembianze simili a un leone. –“E togliti!” –Esclamò, gettando via con un calcio la furente fiera.

 

Questa, scalciata da Pegasus, ricadde compostamente sul selciato con le quattro zampe, prima di voltarsi e caricare nuovamente il ragazzo.

 

“Maledizione!” –Commentò questi, mentre il leone muoveva rapidamente i suoi artigli.

 

Con un balzo, evitò un affondo della bestia, saltando sopra di lei e colpendola con un pugno, scaraventandola lontano, senza ucciderla. Non fece in tempo a gioire che subito Pegasus fu costretto a difendersi, sollevando le braccia davanti al viso per non essere colpito da guizzanti fasci di luce.

 

“Che cosa?!” –Si chiese il ragazzo, mentre una veloce figura si muoveva di fronte a lui.

 

Rapidi gruppi di cinque fasci lucenti fendevano l’aria con forza, schiantandosi tutti sull’Armatura Divina di Pegasus, che, ritemprata da Efesto, riusciva a sopportare l’assalto del nuovo nemico. Stanco di subire, il giovane passò al contrattacco, bloccando un braccio del suo avversario e scaraventandolo poi lontano, contro le colonne della Seconda Casa. Il guerriero fu però abile a unire le gambe, appoggiandosi alla colonna per darsi una spinta e balzare nuovamente sul Cavaliere di Atena, muovendo le braccia alla velocità della luce.

 

“Artigli di Nemea, colpite!” –Gridò il guerriero, mentre una fitta pioggia di raggi di luce piombava su Pegasus, che dovette muoversi ad alta velocità per evitare di essere colpito.

 

Qualche fascio energetico raggiunse comunque la sua armatura, senza distruggerla, proprio mentre il guerriero precipitava su di lui. Ma Pegasus fu svelto a spostarsi a sinistra, lasciando che il suo avversario atterrasse sul pavimento, prima di concentrare il cosmo sul pugno destro e scagliare un violento colpo energetico contro il petto del berseker.

 

Aargh!” –Urlò questi, colpito in pieno dal lucente Fulmine di Pegasus, mentre l’impeto del colpo del Cavaliere di Atena lo scaraventava indietro, facendolo sbattere con forza contro una colonna esterna del Tempio del Toro, abbattendola.

 

“Chi sei, guerriero di Ares?” –Domandò infine Pegasus, senza allentare la guardia.

 

“Non è evidente?!” –Rispose questi, rimettendosi in piedi a fatica.

 

Era un uomo non molto alto, con mossi capelli neri, viso abbronzato e virile, ricoperto da un’armatura dal colore marrone, con scarlatti riflessi di morte, che raffigurava un leone. Il pettorale della corazza aveva la mostruosa forma di un leone dalle fauci spalancate, mentre lunghi artigli ricurvi coprivano le sue mani. Il mantello era marrone, composto dalla pelle di qualche animale.

 

“Sono il guerriero del Leone di Nemea, seconda delle fatiche che dovrete affrontare, sporchi bastardi di Atena!”

 

“Seconda fatica?!”

 

“Esattamente! Come Eracle nel mito fu costretto ad affrontare Dodici Fatiche, decise da Euristeo, Re di Tirinto e di Micene, ugualmente voi, Cavalieri prediletti di Atena, siete costretti dal Sommo Ares ad affrontare i suoi dodici guerrieri, per salvare le fanciulle la cui vita vi è tanto cara!”

 

“Le fanciulle…” –Mormorò Pegasus. –“Patricia!!!” –Urlò, ma il guerriero di Nemea fu presto su di lui, muovendo velocemente le mani, mentre violenti raggi energetici partivano dai suoi artigli.

 

“Muori!” –Gridò, cercando di colpirlo. E ci riuscì, stridendo sulla divina corazza del ragazzo in più punti, senza mai raggiungere il corpo al di sotto, impenetrabile barriera per il berseker di Ares. –“Cadi, trafitto dagli Artigli del Leone di Nemea!” –Incalzò, continuando a sferrare pugni energetici contro Pegasus, che sembrava lasciarlo fare, limitandosi a indietreggiare e a cercare di evitare i colpi. Infine, il Cavaliere di Atena reagì, bloccando con la mano destra il pugno di Nemea.

 

“Uh?” –Si chiese il berseker, non riuscendo a liberare la mano dalla presa del ragazzo.

 

“Questo gioco è durato fin troppo!” –Commentò Pegasus, bruciando il cosmo. –“E adesso mi sono stufato! Sono in ansia per mia sorella, e per i nostri cari, e non posso più perdere tempo a giocare con te! Quindi, a cuccia gattaccio!”

 

“Giocare?!” –Urlò rabbioso Nemea, ferito nell’orgoglio. Ma prima che potesse aggiungere altro, fu spinto indietro da Pegasus, che raccolse il cosmo sul pugno destro, scattando rapidamente avanti, liberando la sfolgorante energia del Fulmine di Pegasus. Nemea non riuscì neppure a muovere un muscolo, venendo colpito in svariate parti del corpo dai centinaia di pugni luminosi portati dal ragazzo, che lo superò, fermandosi dietro di lui.

 

“Ho già affrontato un Cavaliere del Leone!” –Chiarì Pegasus. –“E ti garantisco che egli è l’unico che possa vantarsi di un simile titolo!” –Detto questo concentrò il cosmo sulle mani, prima di scagliare il suo attacco più potente.

 

Il berseker si voltò, tentando di reagire, ma fu travolto dall’esplosione di luce che Pegasus liberò. La Cometa Lucente colpì in pieno il guerriero del Leone di Nemea, sollevandolo e trapassandolo, distruggendo la sua corazza e facendolo schiantare al suolo in una pozza di sangue.

 

“No... non è possibile... io, il Leone di Nemea, ucciso così miseramente… con un solo colpo…” –Rantolò, prima di spirare.

 

Pegasus quietò quindi il proprio cosmo, dando le spalle a Nemea e al suo leone, e infilando a passo deciso nel corridoio centrale della Seconda Casa. Per qualche momento ripensò ad Aldebaran, il buon vecchio Cavaliere del Toro, e al loro combattimento in quelle sale. Il primo scontro combattuto durante la scalata delle Dodici Case, il primo nel quale riuscì ad espandere il proprio cosmo al massimo, cercando di raggiungere quel fantomatico settimo senso di cui Mur aveva in precedenza parlato loro. Adesso del settimo senso ne era completo padrone, ed anche dell’ottavo, che gli aveva permesso di raggiungere vivo l’Inferno. Pegasus sorrise, prima di dedicare una preghiera al suo vecchio amico, il Cavaliere del Toro, sicuro che anche in quel momento, dal Paradiso dei Cavalieri, lo stesse osservando. Sarai fiero di me, Aldebaran! Pensò, scattando lungo la bianca scalinata dietro la Casa del Toro, diretto verso la Casa dei Gemelli.

 

Anche l’anno precedente aveva dovuto correre da solo alla Terza Casa, lasciando Sirio, Cristal e Andromeda a combattere contro il Toro Dorato, ma poi li aveva ritrovati, vittime dell’illusione del Cavaliere di Gemini. Tutti questi pensieri occupavano la mente del rampollo di Atena, quando un urlo, in vicinanza della Casa dei Gemelli, lo distrasse, costringendolo ad accelerare il passo.

 

“Questa voce…” –Si disse, superando con un balzo gli ultimi gradini della scalinata. –“Che sia lei?”

 

Un nuovo grido risuonò nell’aere, confermando il terribile sospetto di Pegasus. Aveva riconosciuto quella voce, la stessa che aveva tanto cercato negli anni precedenti, la stessa che gli raccontava le favole quando era bambino. Patricia! Mormorò Pegasus, stringendo i pugni e gettandosi di corsa nel corridoio principale della Terza Casa, seguendo le grida della sorella.

 

Giunto nel centro della Casa, una scena raccapricciante si presentò di fronte ai suoi occhi. Patricia era distesa a terra, con il viso gonfio e dolorante, mentre un gruppo di guerrieri di Ares la stava schiaffeggiando e insultando.

 

Patriciaaa!!!” –Urlò Pegasus, scaricando un violento assalto contro i berseker.

 

“Attenti!” –Gridarono alcuni, cercando di evitare il Fulmine di Pegasus. Ma furono tutti travolti e scaraventati lontano, mentre le loro corazze esplodevano sotto i lucenti colpi del Cavaliere di Atena.

 

Esaurita la sua rabbia, Pegasus si chinò sulla sorella, osservando con dolore il suo volto sanguinante, e la aiutò a rimettersi in piedi.

 

“Patricia... come stai?”

 

Pe… Pegasus…” –Mormorò la ragazza, tremando impaurita.

 

“Va tutto bene! Adesso va tutto bene!” –Le disse il fratello, abbracciandola, per confortarla.

 

Patricia accettò l’abbraccio, sentendo le robuste braccia corazzate stringersi intorno al suo esile corpo. Un momento dopo, una luce brillò intensa nei suoi occhi, mentre la ragazza sollevava il braccio destro, brandendo un gladio dorato.

 

Aaah!” –Urlò Pegasus, mentre la lama si conficcava nel suo collo. –“Patriciaaaa… Perchéé?!”

 

“Perché siamo in guerra!” –Furono le ultime parole che Pegasus udì, accasciandosi al suolo in una pozza di sangue, di fronte allo sguardo diabolicamente soddisfatto della sorella.

 

Nel frattempo, mentre Pegasus correva verso la Casa del Toro, qualche decina di metri più a valle, Sirio era impegnato in battaglia contro il guerriero dell’Idra di Lerna, un discreto combattente, ma che, come ebbe a osservare Dragone, non era certamente al pari dei grandi nemici che avevano affrontato in passato, Arge lo Splendore tra gli ultimi.

 

Il berseker si lanciò avanti, con l’artigliato pugno teso, mirando al cuore del drago, ma Sirio fu rapido a sollevare lo scudo, lasciando che il colpo si scontrasse con esso. Con un gesto rapido, sollevò il braccio destro, che subito si accese di una dorata luce, abbassandolo di colpo sul nemico.

 

“Excalibur!!!” –Gridò Sirio, tagliando il braccio destro del guerriero.

 

Aaargh!!!” – Urlò questi, indietreggiando, mentre con l’altro braccio si reggeva l’arto sanguinante.

 

“Arrenditi adesso, guerriero di Lerna! Lasciaci passare ed avrai salva la vita!” –Cercò di spiegargli Sirio, non essendo suo desiderio affrontarlo.

 

“Lasciarvi passare?! Sei folle ad avanzare una simile richiesta, Cavaliere! Sono il berseker scelto da Ares per fermarvi, questa è la mia missione, questo è l’unico scopo della mia esistenza: combattervi qua e vincervi, o morire lottando fino alla fine!”

 

“Che senso ha tutto questo, Cavaliere?!” –Domandò Sirio, con malinconia.

 

“Non chiamarmi Cavaliere! Io sono un berseker, guerriero del Fuoco e della Morte!” –Gridò il guerriero di Lerna, facendo avvampare il proprio cosmo violetto, carico di striature rossastre.

 

Incredibilmente il braccio che Sirio gli aveva amputato si ricreò da solo, proprio come le teste dell’Idra di Lerna, venendo addirittura ricoperto dalla sua armatura scarlatta.

 

“Che prodigio è mai questo?” –Domandò Sirio, sconcertato.

 

“Nessun prodigio! Solo il dono offerto dal Sommo Ares a me, Guardiano dell’Idra di Lerna, unito alla bestia da un duplice legame!” –Esclamò il berseker, bruciando il proprio cosmo. –“Un dono che mi rende praticamente invincibile! Potrai colpirmi quante volte vorrai con la tua spada, ma non riuscirai mai a uccidermi, perché il mio corpo curerà da solo le proprie ferite, cicatrizzandole e rendendomi pronto a combattere ancora!”

 

“Incredibile!” –Commentò Sirio, iniziando a pensare a un modo per superare quella difficoltà.

 

Il cosmo del guerriero di Lerna aumentò improvvisamente d’intensità, raggiungendo vaste dimensioni, mentre l’uomo socchiudeva gli occhi. Che sta facendo? Si chiese Sirio, sollevando lo scudo avanti a sé, preoccupato per un repentino attacco.

 

“Nella costellazione dell’Idra, ispirata al mito della bestia sconfitta da Eracle, risplende una luminosa stella chiamata Alphard, la solitaria, o Cuore del Dragone, per la sua posizione centrale, nell’immensa costellazione!” –Esclamò il guerriero di Lerna. –“Adesso subirai sul tuo debole corpo il suo sterminato potenziale!!! Cuore del Dragone!!!”

 

Un’estesa massa energetica, simile a una grande cometa, sfrecciò verso Sirio, travolgendolo all’istante, senza che il suo robusto scudo potesse contrastarla, fino a farlo schiantare contro la parete rocciosa retrostante, che ricadde su di lui, sommergendolo di pietre.

 

“Perfetto!” –Commentò Lerna, soddisfatto, voltandosi verso la Prima Casa.

 

Andromeda e Phoenix erano riusciti nel loro intento, abbattendo la mitologica bestia, grazie ai molteplici usi della Catena di Andromeda, che aveva stritolato le teste dell’Idra, fermando i suoi movimenti, mentre Phoenix la colpiva al cuore, divorandolo con le infuocate Ali della Fenice.

 

Nooo… Maledetti!” –Urlò il berseker, osservando il triste spettacolo.

 

L’immonda carcassa dell’Idra stava bruciando davanti a lui, dilaniata dalle immortali fiamme della Fenice, mentre Andromeda e Phoenix, in piedi vicino ad essa, si preparavano ad affrontare il loro nemico. Il berseker concentrò il cosmo sulle mani, lanciandosi avanti, ma un boato proveniente dalla sua sinistra lo fermò, costringendolo a voltarsi. E a trovarsi Sirio davanti, ancora vivo.

 

“Dove stai andando?” –Domandò il Cavaliere del Drago, togliendosi gli ultimi detriti di dosso.

 

“Sei piuttosto duro a morire, Cavaliere di Atena!” –Commentò il berseker, riportando su di lui le sue attenzioni.

 

“Ho valide motivazioni che mi spingono a non arrendermi, guerriero di Lerna!” –Esclamò Sirio, bruciando il proprio cosmo verde smeraldo.

 

“Ed io ne ho altrettante per ucciderti!” –Sibilò il berseker, scattando avanti. –“Fauci dell’Idra di Lerna, azzannate!” –E liberò i suoi avvelenati artigli, che vennero però fermati tutti dallo Scudo del Dragone, capace di roteare ad altissima velocità.

 

Sirio non rimase ad aspettare l’affondo del berseker, scagliando un violento assalto contro di lui.

 

“Colpo Segreto del Drago Nascente!” –Urlò, travolgendo in pieno il guerriero di Ares che ricadde al suolo molti metri più indietro. Non fece in tempo a rimettersi in piedi che dovette fronteggiare un piano energetico che, creato da Sirio con un rapido movimento del braccio destro, aveva scavato un solco nel terreno e si era diretto verso di lui. Fu colpito alla gamba destra, ma riuscì a rialzarsi, concentrando il proprio cosmo, pronto per lanciare nuovamente il suo colpo segreto.

 

“Non farlo!” –Lo richiamò Sirio, con voce decisa, ma al tempo stesso triste.

 

“Che cosa?!” –Domandò il berseker, stupito dal solenne tono adottato.

 

“Non lanciare nuovamente il Cuore del Dragone, o morirai!” 

 

“Sarai tu a morire invece, Cavaliere di Atena!” –Ghignò il guerriero, espandendo il proprio cosmo. –“Non puoi resistere nuovamente ad Alphard!”

 

“Non mi raggiungerà! Perché saprò colpirti prima che tu liberi la sua energia, raggiungendo il Cuore del Dragone!”

 

Che… cosa?!” –Balbettò il berseker, fermandosi un momento.

 

“Proprio così! Non credere che non abbia notato il tuo punto debole!”

 

Umpf... avrei dovuto immaginarlo…” –Commentò Lerna, riprendendo ad espandere il proprio cosmo. –“Del resto… è lo stesso che hai tu…

 

Sirio…” –Mormorò Andromeda, in pena per l’amico, ma questi gli fece cenno di non preoccuparsi.

 

“Adesso lanceremo entrambi i nostri colpi, esponendo il nostro cuore agli assalti dell’altro! Se raggiungerò il Cuore del Dragone, il cuore dell’Idra di Lerna, ti impedirò di rinascere! Chi riuscirà a colpire per primo l’altro sarà il vincitore! Lo sconfitto non avrà una seconda chance!” –Si fermò un momento poi si rivolse a Andromeda e Phoenix. –“Se dovessi morire continuate voi! Raggiungete Pegasus alla Seconda Casa!” –Non aggiunse altro, espandendo il proprio cosmo verde smeraldo.

 

Lo spiazzo antistante la Casa di Ariete fu percorso da una notevole tensione, mentre gli energetici poteri dei due guerrieri si scontravano. Il berseker scattò in avanti, liberando il violento potere di Alphard, il Cuore del Dragone, mentre Sirio faceva lo stesso, caricando il Drago Nascente. I due poteri si scontrarono a mezz’aria, fronteggiandosi per qualche secondo, finché lo scintillante dragone di smeraldo non travolse l’immonda Idra, facendola a pezzi.

 

Il berseker fu trapassato dall’energia lucente di Sirio, schiantandosi a terra tra i frammenti della sua armatura distrutta, ma anche il Cavaliere di Atena fu colpito e spinto indietro, fino a sbattere contro le rocce retrostanti e ricadere a terra, perdendo l’elmo a diadema dell’Armatura Divina.

 

“Sirio!” –Urlarono Andromeda e Phoenix, raggiungendo l’amico ed aiutandolo a rialzarsi.

 

Sto… sto bene!” –Balbettò Sirio, rimettendosi in piedi. Si tastò la fronte, percorsa da un rivolo di sangue, e poi si avvicinò al corpo distrutto del berseker di Ares, il quale, con un ultimo filo di voce, mormorò parole indistinte, rivolte al Cavaliere di Atena.

 

“Sei stato bravo… Hai raggiunto il Cuore del Dragone!”

 

“Sapevi di perdere, ma hai continuato a lottare, fino alla morte! Perché?” –Gli domandò Sirio, chinandosi su di lui.

 

“Non te l’ho detto?” –Mormorò questi. –“Sono un berseker del Sommo Ares, e come tutti gli altri vivo della Guerra… e della Morte…” –E più non parlò.

 

Sirio sospirò per un momento, prima di rialzarsi e fare un cenno ai due fratelli.

 

“Coraggio, andiamo! Pegasus starà sicuramente combattendo più avanti!”

 

“Sì! Corriamo!” –Lo affiancò Andromeda, lanciandosi dietro a lui all’interno della Prima Casa.

 

Dietro di loro li seguì Phoenix, stupito nel trovarsi, per la prima volta, a correre con loro verso un comune obiettivo, avendo sempre preferito correre da solo. Sorrise, ritenendosi fortunato a poter dividere la vita insieme ad amici simili.

 

I tre compagni raggiunsero in fretta la Seconda Casa, dove trovarono il cadavere di un guerriero disteso a terra, mentre un leone, piuttosto malconcio, leccava le sue ferite.

 

“Pegasus deve averlo sconfitto ed essere andato oltre!” –Disse Sirio, incitando gli amici a fare altrettanto.

 

Oltrepassarono la Casa del Toro, ma quando giunsero fuori, Andromeda urlò ai due compagni di fare attenzione. Rapida come un fulmine, la Catena di Andromeda sfrecciò nell’aria, deviando alcune frecce incendiarie. Sgherri di Ares uscirono fuori da dietro le rocce dove si erano appostati, assaltando i tre Cavalieri con lance e picche.

 

Aaah!” –Gridarono follemente. –“Morte ai Cavalieri di Atena!”

 

La risposta di Phoenix non si fece attendere. –“Ali della Fenice!” –Urlò, liberando la maestosa sagoma dell’uccello infuocato, che travolse i berseker, scaraventandoli contro la parete rocciosa laterale, prima che la guizzante Catena di Andromeda penetrasse gli ultimi che erano rimasti.  Dopo questo breve scontro i tre amici continuarono a correre, giungendo in fretta alla Terza Casa.

 

“Strano!” –Commentò Sirio. –“Non sento nessun cosmo al suo interno! Che Pegasus sia già andato oltre?” –In quel mentre, anticipando di mezzo secondo un grido di spavento, la Catena di Andromeda vibrò minacciosamente, puntando verso l’entrata del Tempio.

 

Ma…” –Mormorò Sirio, che gli sembrava di conoscere quella voce.

 

Un secondo strillo gli strappò ogni dubbio, riconoscendo la ragazza da lui amata.

 

“Fiore di Luna!” –Urlò, infilando svelto nella Casa dei Gemelli.

 

“Prudenza, Sirio!” –Esclamò Phoenix, correndogli dietro, insieme a Andromeda.

 

Quando giunsero nella sala centrale del Tempio trovarono una scena simile a quella che si era presentata a Pegasus pochi minuti prima. Fiore di Luna giaceva a terra, con le vesti lacere e il viso ferito, mentre un gruppetto di berseker di Ares la insultava, minacciandola con delle armi.

 

“Colpo segreto del Drago Nascente!” –Esclamò Sirio, travolgendo i guerrieri.

 

Ooh Sirio!” –Urlò Fiore di Luna, in lacrime.

 

Il ragazzo la aiutò ad alzarsi, stringendola forte, e cercando di rassicurarla. –“Stai tranquilla… è tutto finito! Non aver paura!”

 

Phoenix e Andromeda rimasero leggermente in disparte, ad osservare la scena con commozione, felici che Fiore di Luna fosse sana e salva. Troppo tardi Andromeda si avvide che la sua Catena continuava ad essere in tensione, segnalando un pericolo nascosto ma ancora presente.

 

Sirioooo!” –Urlò il ragazzo, mentre un gladio dorato si piantava nel collo del Cavaliere del Drago. Anche Sirio cadde a terra, in una pozza di sangue, davanti allo sguardo singhiozzante di Fiore di Luna.

 

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Capitolo 9
*** L'assalto dei berseker ***


CAPITOLO SETTIMO. L’ASSALTO DEI BERSEKER.

                                                     

Dopo la fine della guerra sull’Olimpo, che i Cavalieri di Atena e di Zeus avevano creduto di combattere perché voluta dal Dio del Fulmine, Ares e i suoi figli si erano mossi velocemente, utilizzando l’energia della Pietra Nera, di cui Flegias non volle rivelare la provenienza, nemmeno al padre e ai fratellastri, per ricreare il loro spaventoso esercito di berseker e inviarli per il mondo a portare morte e distruzione. La prima destinazione dei Guerrieri Scarlatti fu il Tempio di Nettuno, sia per recuperare il Vaso del Dio dei Mari, che già Flegias aveva tentato di raggiungere in precedenza, sia per vendicarsi dell’onta subita, radendo al suolo il Tempio Sottomarino e uccidendo l’ultimo custode, Syria della Sirena, che aveva incantato il Messaggero Olimpico, convincendolo a desistere dall’impresa. Ma anche quella volta del Vaso di Nettuno non c’erano state tracce.

 

“Maledizione!” –Aveva brontolato Flegias, ascoltando il racconto di Phobos e Deimos, al cui comando i berseker si erano mossi. –“Dove diavolo è finito? È un vaso, non può sparire così!”

 

“Perché tanto interesse nei confronti di quell’oggetto?” –Aveva chiesto Phobos, al fratellastro. –“Non abbiamo forse potere a sufficienza per abbattere i miserabili Cavalieri di Atena e di Zeus?”

 

“Il potere non è mai abbastanza!” –Lo aveva zittito Flegias, chiudendo in fretta la conversazione.  Ma il Dio della Paura non era parso convinto, sospettando che Flegias volesse il vaso per il motivo più semplice. Liberare Nettuno e farne un alleato da usare a suo piacimento, anche contro di loro se ve ne fossero stati i presupposti. Ma Ares aveva ordinato ai figli di non litigare tra loro.

 

“Non mi interessa che vi amiate!” –Aveva detto, nelle catacombe del Tempio dell’Apocalisse. –“Ma pretendo che, finché ubbidirete a me, e mi servirete, non leviate la mano uno contro l’altro, destinando la vostra rabbia, il vostro odio, verso i Cavalieri di Atena e di Zeus, i nostri veri nemici!”

 

“Sì, Padre!” –Avevano affermato Phobos e Deimos, inchinandosi di fronte a lui. Flegias non si era inginocchiato, limitandosi a radunare un buon numero di berseker per organizzare la sua missione: occupare il Grande Tempio di Atena, ponendovi le basi per il nuovo impero della Guerra.

 

Ares aveva informato i figli di procedere con la fase successiva, prima di congedarli e rimanere solo con la sua amante. La terribile e sanguinaria Divinità, antica come lui, eterna complice di guerre e devastazione, ma anche passionale femmina capace di far ardere il virile corpo del Dio della Guerra. L’aveva abbracciata, sdraiandola a terra, mentre le chiassose grida dei suoi guerrieri esplodevano nei sotterranei intorno a loro.

 

Il piano di Ares si strutturò in maniera semplice, inviando i berseker in tre diversi posti della Terra, in Giappone, in Cina e in Siberia, con lo scopo di rapire alcune persone care ai Cavalieri di Atena, in modo da disporre di un’ulteriore arma, emotiva, da utilizzare contro di loro. Il grosso dell’armata invece sarebbe invece stato impegnato ad assaltare il Grande Tempio e a prenderne possesso, prima di muovere poi verso l’obiettivo finale: l’Olimpo. Le armate che diresse verso l’Asia non erano affatto numerose, una trentina di guerrieri in tutto, non ritenendo opportuno sprecare utili elementi in missioni apparentemente semplici, essendo tutti i Cavalieri di Atena riuniti sull’Olimpo.

 

“E presto avranno altro a cui pensare, che non alle loro terre d’origine!” –Aveva sogghignato Ares, ordinando ai suoi berseker di portargli le quattro persone che desiderava usare come esca.

 

Il primo gruppo, composto da una decina di berseker, raggiunse facilmente il Giappone e la città di Nuova Luxor, avendo ricevuto precise istruzioni da Flegias, che aveva passato molti mesi a studiare i Cavalieri di Atena, soprattutto i cinque che riteneva più pericolosi.

 

“Per quanto siano solo Cavalieri di Bronzo, hanno compiuto imprese che rasentano il miracolo!” –Aveva ripetuto il Flagello degli Uomini. –“Non dobbiamo assolutamente sottovalutarli! –E il padre, terribile guerriero ma anche abilissimo stratega, aveva ascoltato il consiglio del figlio, pianificando un’ottima tattica con il dichiarato scopo di colpire al cuore. Di colpire i sentimenti umani.

 

“È dunque questo l’ospedale della Fondazione Thule?” –Esclamò uno dei berseker.

 

“A quanto pare sì, Balestra!”– Rispose un altro.

 

“Coraggio! Andiamo e prendiamo le due donne! Non credo sarà un’impresa difficile! Ah ah ah!” –Rise il primo, esortando gli altri guerrieri.

 

Erano in dieci, tutti ricoperti da cotte scarlatte, intrise del violento cosmo di Ares che avrebbe reso inquieto persino lo spirito di un eremita. Erano quasi tutti soldati semplici, ad eccezione dei tre che li guidavano, a cui Flegias aveva impartito l’ordine diretto, Rostro, Scure e Balestra.

 

Il primo, Rostro, era grosso e robusto, di origini orientali, con lisci capelli neri raccolti in un codino, ed aveva un’armatura ornata da due scudi rotondi, fissati ai bracciali, dal bordo seghettato e tagliente; Scure, era alto e magro, ed aveva il viso coperto dalla nera visiera del suo elmo, impugnando continuamente la sua ascia da battaglia. Balestra, infine, era il più basso dei tre, alto come un bambino, ma era il più veloce e scattante, e la sua armatura era dotata di una balestra fissata sul braccio destro, capace di scagliare una moltitudine di frecce in un unico colpo.

 

I tre berseker, seguiti dal resto della truppa, entrarono rumorosamente nell’ospedale, mentre le numerose persone presenti all’interno iniziarono a urlare spaventate, alla vista di quei guerrieri sconosciuti e armati. Balestra scagliò qualche freccia incandescente in giro, che esplosero non appena raggiunsero un qualsiasi bersaglio, aumentando la paura e la confusione dei civili.

 

“Ah ah ah! Guarda come scappano!” –Rise Scure di gusto.

 

“Dove andiamo?” –Si chiesero i guerrieri, rivolgendosi a Rostro, che rimase fermo per un momento, concentrando i propri sensi, prima di indicare una scala che conduceva ai piani superiori.

 

“Di là!” –Disse, odorando l’aria con il suo naso grugnante. –“Sento un lieve cosmo! Deve essere quello della Sacerdotessa!” –Ma prima che i Guerrieri Scarlatti riuscissero a muoversi, tre ragazzi balzarono di fronte a loro, sorprendendo i berseker per il loro strano aspetto. Indipendentemente dall’età, che li presentava come giovanissimi, i tre indossavano armature particolari, che parvero ai guerrieri di Ares quasi metalliche, delle macchine-robot.

 

“Fermatevi!” –Esclamò il più alto tra i tre ragazzi. –“E andatevene da questo luogo di cura!”

 

“Ah ah ah! E chi sei, tu, moccioso per intimarcelo?!” –Tuonò Rostro, ridendo di gusto.

 

Shadir è il mio nome, Cavaliere d’Acciaio al servizio di Atena!”

 

“E noi siamo Benam e Lear!” –Esclamarono gli altri due ragazzi.

 

“Cavalieri di Acciaio?! Che diavoleria è mai questa?!” –Si chiesero i berseker. Ma nonostante la sorpresa iniziale, non provarono alcun timore di quei bambocci, lanciandosi avanti senza esitazione.

 

“Foste anche dei robot, non fermerete la nostra avanzata!” –Esclamò Scure, concentrando il cosmo sul braccio. Quindi sbatté la scure che reggeva in mano nel pavimento, distruggendolo e creando una fenditura nel terreno che diresse verso i tre Cavalieri d’Acciaio, obbligandoli a separarsi, per non essere travolti.

 

In quella Balestra sollevò la propria arma, scagliando centinaia di frecce contro i tre ragazzi, che dovettero muoversi continuamente per non venire feriti. Shadir tentò di aspirare le frecce con la sua armatura, riuscendo in parte nell’intento, ma fu comunque trafitto da alcuni dardi che si piantarono nella sua corazza, frantumandola. Benam usò allora le onde elettromagnetiche del suo elmetto, per lanciare suoni in grado di arrivare al cervello dei berseker, e infatti alcuni di loro caddero al suolo, stringendosi la testa con dolore, ma su altri il suo potere non fece effetto. Un dardo di Balestra trafisse Benam al collo, spingendolo indietro, sanguinante. Lear cercò di aiutare l’amico, ma Scure piantò nuovamente la propria ascia nel pavimento, scagliando un fendente energetico contro il ragazzo, che fu travolto e scaraventato indietro, tra i frammenti insanguinati della sua armatura.

 

Benam! Lear! Nooo!” –Urlò Shadir, in lacrime, nel vedere i corpi inermi dei suoi amici massacrati senza pietà dagli sgherri di Ares. Ma non ebbe tempo per piangere che fu costretto ad affrontare l’assalto del suo nemico, il colosso Rostro, che liberò i suoi scudi rotanti, che si moltiplicarono in infinite copie, abbattendosi sul Cavaliere d’Acciaio da ogni lato. Shadir riuscì ad evitarne alcuni, ma fu centrato alla schiena da un altro, che gli distrusse l’Armatura d’Acciaio, scagliandolo in alto, mentre un ultimo disco rotante gli tagliava la testa. Pegasus! Atena! Perdonateci! Non abbiamo saputo… difendere Patricia! Quello fu l’ultimo pensiero di Shadir.

 

“Adesso possiamo proseguire!” –Esclamò Rostro, fissando nuovamente gli scudi alle sue braccia.

 

I Guerrieri Scarlatti corsero in fretta al piano superiore, travolgendo senza pietà tutti coloro che trovavano sul loro cammino. Quando arrivarono nella stanza dove, secondo Rostro, avrebbero dovuto trovarsi Nemes e Patricia, Scure abbatté la porta con un colpo secco della sua ascia, entrando per primo, e trovandola maledettamente vuota.

 

“Possibile?!” –Si chiese Rostro, ritenendo improbabile che il proprio fiuto avesse sbagliato. Annusò nuovamente l’aria, prima di correre alla finestra aperta ed osservare il paesaggio. Dietro all’ospedale si estendeva un verdeggiante boschetto, dove spesso i medici conducevano i pazienti per farli svagare un po’. Rostro sogghignò, ordinando ai suoi di seguirlo.

 

“Nel bosco!” –Urlò, buttandosi dalla finestra. Gli altri lo seguirono all’istante, distruggendo il muro della stanza, e gettandosi di sotto, atterrando sul selciato e correndo verso la pineta.

 

“Tentano di sfuggirci, ma non ci riusciranno!” –Esclamò Rostro.

 

“Le troveremo! Le staneremo!” –Ghignò Scure.

 

“Puoi ben dirlo!” –Rispose il gigante, prima di staccare i due scudi rotanti e scagliarli avanti. – “Aprite la via, miei rostri!” –Gli scudi rostrati del berseker fendettero l’aria, facendo strage di rami e di piante, continuando a roteare nel bosco, inseguiti dal suo padrone e dagli altri guerrieri, finché non furono fermati da un secco colpo di frusta. –“Aaah ah, scovate!” –Mormorò Rostro, soddisfatto.

 

In una piccola radura, al centro dell’alberato boschetto, due donne erano appena giunte, ansimanti per la lunga e improvvisa corsa. Una della due, alta e ben fatta, con mossi capelli biondi, indossava una minima forma di protezione, che non era possibile definire una corazza, tanto insignificante era la porzione di corpo che copriva, essendo stata probabilmente distrutta in precedenza, e in mano reggeva una frusta, con la quale aveva fermato il volo dei rostri; mentre l’altra era una semplice ragazza impaurita, che nascondeva il pallido volto dietro il corpo della compagna.

 

Nemes del Camaleonte e Patricia, suppongo!” –Esclamò Rostro, fermandosi al limitare del cerchio, insieme ai suoi guerrieri.

 

“Chi siete voi? E perché avete attaccato un ospedale?” –Tuonò Nemes.

 

“E tu perché sei fuggita, bellezza?” –Rise Scure. –“Non dovresti far arrabbiare i guerrieri del Dio Ares!”

 

“Ares?!” –Esclamò Nemes, terrorizzata.

 

“Adesso non fare storie, gambe lunghe, e vieni con noi!” –Esclamò Rostro, facendo un passo avanti. –“Tu e la ragazza siete attese dal nostro Signore! Un uomo a cui non si può dire di no!”

 

“Mai!” –Urlò Nemes, schioccando con forza la sua frusta in terra.

 

“Stupida!” –La insultò Balestra, scagliando due frecce incandescenti, che si piantarono nel terreno ai piedi delle ragazze, esplodendo immediatamente e scagliandole indietro, mentre Scure piantava la sua ascia in terra, con gran fragore, creando una piccola faglia che corse rapida verso le donne.

 

Aaah!” –Urlò Patricia, cadendo all’interno, ma Nemes fu svelta ad afferrarle un braccio con la frusta.

 

Coraggioo!” –Gridò la Sacerdotessa del Camaleonte. –“Resisti!” –E iniziò a tirare, mentre Patricia si aggrappava alla frusta con l’altro braccio.

 

Nemes riuscì a ritirare su Patricia giusto in tempo per essere afferrata da dietro da Rostro, che la sollevò, insieme alla sorella di Pegasus, e le fece roteare su se stesso per qualche secondo, davanti agli occhi divertiti degli altri berseker.

 

“Guardate come volano!” –Esclamò il colosso, lanciando le due donne, che ricaddero bruscamente al suolo qualche metro avanti.

 

“Adesso basta giocare!” –Urlò Balestra. –“Alzatevi e venite con noi!” –E nel dir questo scagliò una nuova freccia verso di loro. Ma il dardo incandescente non raggiunse mai il bersaglio, venendo colpito in pieno da un violento fascio di luce, che lo distrusse sul colpo.

 

“Uh?” –Si chiesero Balestra e gli altri guerrieri di Ares, cercando di capire cosa fosse successo.

 

Una figura velocissima saettò di fronte ai loro occhi, prima di balzare in aria, proprio al centro dello spiazzo aperto in cui avevano trovato Nemes e Patricia. I dieci berseker sollevarono lo sguardo verso il cielo, proprio per incontrare l’abbagliante luce del sole che splendeva alto sopra di loro.

 

Aaah!” –Urlarono alcuni, mentre violenti fasci di luce trafiggevano il loro corpo.

 

“Ma... cosa?!” –Gridò Balestra, caricando nuovamente la sua arma e scagliando dardi sopra di lui, senza avere chiaro un obiettivo. Ma tutte le frecce furono annientate, e lo stesso Balestra trafitto da un raggio di luce che lo perforò completamente, disintegrando la sua armatura.

 

“Muori!” –Urlò Scure, caricando l’ascia di energia e puntandola contro l’indefinito nemico. Ma la misteriosa figura fu più rapida di lui, colpendolo violentemente sulla mano destra, prima di trafiggerlo da parte a parte, con una lunga asta dorata.

 

“Bastardo!” –Intervenne quindi Rostro, staccando i dischi della sua corazza e lanciandoli avanti, con le loro lame taglienti. Una scarica di energia luminosa li distrusse all’istante, mentre un’altra colpì in pieno il gigante di Ares, scaraventandolo indietro. Gli ultimi berseker furono annientati con un lampo di luce, mentre alcuni caddero nella voragine che Scure aveva creato poco prima.

 

Quando la battaglia ebbe termine, Nemes e Patricia si erano rimesse in piedi, ancora intimorite dalla situazione. Si voltarono verso il centro dello spiazzo e videro una scintillante figura ergersi nel mucchio di cadaveri. Nemes la guardò con attenzione, ma non riuscì a riconoscervi nessuno di familiare, nessuno dei Cavalieri di Atena che aveva incontrato o di cui aveva sentito parlare.

 

“State bene?” –Domandò la figura, incamminandosi verso di loro.

 

Era un ragazzo non troppo alto, con mossi capelli biondissimi, chiari come la cenere, e due sorridenti occhi nocciola, che spuntavano sul suo candido viso. Indossava un’armatura dall’accattivante design, di uno sconosciuto materiale risplendente di luce propria, che sembrava trasmettere la luminosità delle stelle. In mano stringeva un lungo bastone dorato, con il quale aveva colpito i guerrieri di Ares, decorato in cima in modo da sembrare più uno scettro che un bastone.

 

“Chi sei, tu?” –Fu l’unica cosa che riuscì a chiedere Nemes, affascinata da quell’eterea apparizione.

 

“Sono qua per salvarvi, e per portarvi al sicuro!” –Commentò il ragazzo, allungando una mano verso le due donne. –“Questo è il compito che mi è stato assegnato dal mio Maestro, e che sono stato ben lieto di eseguire!”

 

Nemes e Patricia si guardarono un attimo allibite, prima di accettare l’aiuto dello sconosciuto Cavaliere. Non appena sfiorarono la sua mano, vi fu un lampo di luce e i tre scomparvero da Luxor.

 

***

 

Il secondo gruppo di berseker si recò invece in Siberia, nelle gelide lande del Nord della Russia, alla ricerca di un piccolo villaggio, estremo avamposto della civiltà in quelle terre immortali.

 

“Per un moccioso?!” –Brontolò un guerriero, stringendosi nel suo scuro mantello. –“Siamo venuti fin qua, in capo al mondo, per uno stupido moccioso?!”

 

“Stai zitto, stupido d’un Kriss!” – Lo chetò un altro, dandogli un pugno in bocca. –“Gli ordini del Dio della Guerra non si discutono!”

 

“Non era mia intenzione farlo, Daga! Solo che io detesto il freddo, e i ragazzini!”

 

“Se è solo questo ciò che ti preoccupa, allora tranquillizza il tuo animo! Tra poco torneremo nella calda Grecia, con la nostra preda!” –Esclamò il guerriero chiamato Daga.

 

I guerrieri di Ares arrivarono al villaggio di Kobotec, composto da una cinquantina di abitazioni scarse, circondati dalla loro fiammeggiante aura cosmica, che li fece apparire proprio come dei demoni venuti a portare la distruzione in quel luogo dimenticato dagli Dei.

 

“Guardali come corrono a rintanarsi!” –Esclamò il berseker chiamato Kriss, osservando la popolazione rifugiarsi nelle loro case. –“Ah ah ah! Che paurosi!”

 

Agli ordini di Daga, il Comandante di quella piccola brigata, i Guerrieri Scarlatti appiccarono il fuoco in vari punti del villaggio, distruggendo tutto quello che trovavano sul loro cammino, mentre si guardavano intorno come avvoltoi, alla ricerca dell’oggetto della loro cerca. Daga sfoderò la spada che portava con sé, lanciandola avanti, fino a piantarsi contro la porta di una casa, proprio mentre un vecchio stava cercando di correre dentro.

 

“Fermati, vecchio uomo! E dimmi dove trovare il ragazzino chiamato Jacob!”

 

“Jacob?! Perché lo volete? Chi siete?” –Esclamò terrorizzato il vecchio.

 

“Risposta errata!” –Commentò Kriss, sgozzandolo con un colpo solo del suo pugnale malese.

 

“Non perdete tempo inutilmente!” –Sibilò improvvisamente una voce, facendo voltare Daga, Kriss e gli altri. Dietro di loro, avvolta da uno scuro mantello di pelliccia, una figura li aveva accompagnati fin dalla Grecia, nonostante il desiderio di Ares che ella rimanesse al suo fianco.

 

“Ho da fare qualcosa a Nord!” –Aveva esclamato la figura ammantata, salutando il Dio della Guerra. –“Qualcosa che, credo, ti farà molto piacere! Portare strage e distruzione!” –Aveva sogghignato, digrignando i denti giallastri. Daga, Kriss e gli altri annuirono con il capo, continuando le ricerche del ragazzino, mentre un forte vento soffiava impetuoso sull’intero villaggio, com’era abitudine nella Siberia settentrionale.

 

“Voi!” –Urlò Daga, irrompendo in una casa e rivolgendosi a una coppia accucciata di fronte al caminetto. –“Dov’è Jacob? Ditemelo o vi ucciderò!”

 

La coppia non disse niente, ma a Daga sembrò di sentire la donna pronunciare parole di una preghiera in russo, prima di sfondare loro il cranio con un colpo deciso di spada.

 

“Lo abbiamo trovato!” –Esclamò improvvisamente un berseker, costringendo Daga a raggiungerlo. Nella strada Kriss e altri avevano radunato una decina di bambini, tutti quelli che avevano trovato.

 

“E quale sarebbe?” –Domandò Daga.

 

“Questi sono tutti i mocciosi del villaggio! Jacob sarà uno di loro!” –Disse un guerriero.

 

“Idiota!” – Gridò Daga, mozzandogli la testa con la spada. –“A noi serve un bambino, non dieci!!!” –Urlò, mentre la tempesta siberiana sembrò aumentare di intensità.

 

“No!” –Tuonò improvvisamente una voce, che a Daga e agli altri parve invadere tutto il cielo boreale. –“A voi servirà solo un prete, per confessare gli infami peccati di cui vi siete macchiati!”

 

“Chi?!” –Esclamò Daga, guardandosi intorno, stringendo forte la lama in mano. Gli altri berseker fecero lo stesso, muovendosi con prudenza nella tempesta che si faceva sempre più violenta.  Improvvisamente una voce risuonò nell’aria e quella, per molti di loro, fu l’ultima che udirono.

 

“Polvere di Diamanti!!!” –Un violento turbine di gelo si abbatté sulla truppa di guerrieri di Ares, travolgendoli e congelandoli, prima di distruggere i loro corpi poco dopo.

 

Daga, Kriss e altri due berseker furono gli unici a sopravvivere a quell’assalto, oltre alla figura ammantata, che sogghignò osservando l’uomo che aveva desiderato incontrare. Cristal il Cigno.

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Distruzione in Siberia ***


CAPITOLO OTTAVO. DISTRUZIONE IN SIBERIA.

 

Il villaggio nel quale Cristal aveva trascorso sei anni della propria esistenza, quando si allenava sotto gli attenti e partecipi occhi del Maestro dei Ghiacci, era stato attaccato, barbaramente messo a ferro e fuoco da un gruppo di guerrieri dalle vestigia scarlatte: i berseker di Ares, incaricati dal Dio della Guerra di raggiungere il confine estremo della Siberia per recuperare un ragazzo, Jacob, un caro amico di Cristal, e condurlo in Grecia, per usarlo come arma contro il Cavaliere del Cigno.

 

“L’arma più efficace sarebbe un’altra, in realtà…” –Aveva commentato Flegias, quando aveva esposto il proprio piano al padre. –“Ma non è, al momento, nelle nostre forze attaccare Asgard!”

 

“Capisco ciò che vuoi dire, Flagello degli Uomini!” –Aveva risposto Ares. –“Per quanto la deliziosa Principessa di Polaris sia un delizioso bocconcino che potrebbe allietare quest’oscura sala, attaccare Odino ed Asgard sarebbe troppo dispendioso… e perché il piano riesca non dobbiamo compiere neppure un passo falso, non dobbiamo rischiare neanche uno dei nostri uomini, concentrandosi solo sull’obiettivo finale!”

 

E così Flegias aveva ordinato a Daga e ai suoi scagnozzi di recarsi in Siberia, dove avevano radunato una decina di bambini, ma prima che riuscissero a scoprire quale fosse Jacob, un Cavaliere dalle Divine Vestigia del Cigno era intervenuto, travolgendoli con il suo potere congelante.

 

“Come osate?” –Tuonò Cristal, apparendo in mezzo alla tormenta, che sembrava scivolare sulla superficie della sua corazza, quasi da lui ammaestrata. –“Come osate attaccare le libere genti del mio Paese, per portare distruzione su queste immacolate terre?”

 

“Un Cavaliere di Atena?!” –Rifletté Kriss. –“E cosa ci fa qua? Non erano tutti sull’Olimpo?”

 

“Poche storie!” –Lo zittì un altro. –“Facciamolo fuori! –E scattò avanti, insieme ad un compagno. Kriss e Daga rimasero fermi, ad osservare l’atroce morte dei loro compagni, divenuti statue di ghiaccio ed esplosi nel breve arco di pochi secondi.

 

“Incredibile!” –Mormorò Daga. –“La fama dei Cavalieri di Atena è meritata!”

 

Cristal non disse niente, limitandosi ad osservare i propri avversari. Davanti a lui c’erano un uomo alto e robusto, con fitta barba scura e folte sopracciglia, ricoperto da un’armatura scarlatta ornata da una spada a lama larga e dritta; mentre il suo compagno, più basso e più magro, aveva il viso scavato e disordinati capelli grigi, e brandiva un kriss, un pugnale malese con lama a biscia.

 

“Questa sarà la vostra tomba, biechi assassini!” –Urlò Cristal, espandendo il proprio freddo cosmo.

 

Daga e Kriss si trovarono completamente paralizzati, mentre anelli di ghiaccio roteavano intorno al loro corpo, fermando i loro movimenti. In quel momento, Cristal sbatté i pugni verso il cielo, mentre una fitta cupola di ghiaccio dalle lucenti sfumature iniziò a cadere su tutti loro.

 

“Aurora del Nord! Colpisci!”–Tuonò il Cavaliere del Cigno, sbattendo entrambe le mani avanti.

 

La devastante potenza del colpo di Cristal raggiunse i due berseker, travolgendoli in un impetuoso vortice che li scaraventò molti metri addietro, tra i frammenti delle loro corazze, grondanti sangue.

 

Aaah…” – Mormorò Daga, prima di spirare. –“Luminoso e splendente è il cosmo di costui… come quello di un vero Cavaliere di Atena…

 

Cristal, lanciato il suo colpo, corse avanti, dal gruppo di bambini che, in preda al terrore, si era rifugiato dietro un muro mezzo diroccato, per sincerarsi delle loro condizioni. Tutto preso dai suoi affetti, si accorse troppo tardi di una corrente energetica che iniziò a fluttuare nell’aria, fermando, poco a poco, i suoi movimenti.

 

“Che cosa succede?” –Esclamò Cristal, realizzando di potersi muovere con molta fatica.

 

“Ti eri forse dimenticato di me, Cavaliere del Bianco Cigno? –Chiese una voce, obbligando Cristal a voltarsi verso lo spiazzo dove aveva affrontato i berseker.

 

“Che cosa? Chi sei tu?” –Domandò, osservando un’ammantata figura camminare di fronte a lui.

 

“Eh eh…” –Sogghignò la voce, e a Cristal parve di vedere orribili denti digrignarsi dentro lo scuro cappuccio. –“Sono colei che metterà fine alla tua esistenza, spezzando le tue ali, in modo da impedirti di volare ancora! Sono colei che ti avvolgerà in una stretta mortale, annientando l’Armatura Divina che porti, la cui lucentezza offende l’oscurità distruttrice che regna nel mio animo!” –E nel dir questo, la figura gettò via con un’agile mossa il mantello nero, rivelando il suo vero aspetto. Quello di una donna, dalle orribili sembianze. –“Sono Enio, la Dea della Strage e della Distruzione! Amante e complice di Ares, e, come lui, follemente inebriata dalla Guerra!”

 

E… Enio?!” –Mormorò Cristal, mentre quel nome gli evocava immagini atroci nella sua mente, immagini delle imprese omicide che Ares ed Enio avevano compiuto insieme ai tempi del mito.

 

“Dovresti essere onorato, Cigno Bianco, all’idea di morire per mano mia! Sarò colei che sporcherà le tue ali, gettandoti in un fango da cui non uscirai mai più! Un fango fatto del tuo stesso sangue!” –Sogghignò Enio, prima di esplodere in un’isterica risata.

 

La donna espanse il proprio cosmo, che si presentò sotto forma di ardenti striature violacee, che pervasero l’aria, stridendo fortemente con il gelido potere del Cigno, e della natia Siberia.

 

Cristal cercò di fare altrettanto, nel tentativo di liberarsi dalla mortale e intimorente presa della Divinità. Crudele e sanguinaria come Ares! Commentò, prima di chiedersi cosa stessero facendo i propri compagni. Che stiano già combattendo contro i berseker? Maledizione, ancora una volta sono lontano da loro! Ma forse è stato un bene che sia venuto qua, al Nord, o non sarei mai potuto arrivare in tempo per salvare Jacob e gli abitanti di Kobotec!

 

Il Cavaliere del Cigno espanse il proprio cosmo, spalancando le scintillanti ali della sua Armatura Divina, che sfortunatamente non era stata ancora riparata dai danni subiti nella guerra sull’Olimpo. Quindi si concentrò sul suo avversario, studiandolo attentamente, per elaborare un piano di attacco.

 

La donna era terribilmente brutta, presentando un aspetto quasi demoniaco, con un corpo magro e una carnagione biancastra, quasi violacea, ricoperta solo in parte dalla sua Veste Divina, dal color indaco spento. Il viso era orribile, in parte coperto dai lunghi, lunghissimi capelli mori che le scendevano lungo tutto il corpo, guizzanti come serpenti di fuoco. Ma la cosa più orribile a vedersi erano gli occhi, di fuoco, capaci di fulminare ad un solo sguardo.

 

Cristal storse il naso e gli venne in mente un parallelismo con un’altra orribile donna che aveva affrontato pochi giorni prima: Hel, figlia di Loki, Regina del Niflheimr, l’Inferno Nordico.

 

I suoi pensieri furono interrotti da un violento attacco di Enio, che liberò il suo devastante potere sotto forma di scattanti venature di energia, che percorsero il terreno scuotendolo fin nelle fondamenta. L’intera superficie del villaggio fu scossa, facendo crollare molte case, mentre la gente terrorizzata scappava via, senza avere posto alcuno nel quale rifugiarsi.

 

Uah ah ah! Siii… fuggite! Scappate, in preda alla paura che accompagnerà i vostri ultimi aliti di vita! Enio, Dea della Strage, è qua per portarvi la distruzione!” –Tuonò, ridendo pazzamente.

 

Maledettaaa!!!” –Urlò Cristal, concentrando tutta la sua forza nel pugno destro e scattando avanti. –“Polvere di Diamanti!” –Ma la tempesta di gelo si perse nella corrente energetica creata da Enio, che parve animarsi al pensiero della donna. Le violacee striature avvolsero Cristal, stringendolo e stritolandolo, come serpenti, mentre l’intera superficie dell’Armatura Divina iniziò a infiammarsi.

 

“È naturale!” –Commentò Enio. –“Non dimenticare la Divinità a cui sono devota, l’unica madre di tutto! La Guerra! La Guerra che porta ovunque le sue fiamme di morte, le stesse vampe mortali che ardono nel mio cosmo! E che ti uccideranno!”

 

Mai… mai…” –Urlò Cristal, tentando di liberarsi dalla morsa di quelle striature energetiche, ma esse andarono aumentando di intensità.

 

“Ah ah ah! Il Cigno presto non volerà più!” –Rise Enio, liberando ulteriormente il proprio potere. I lunghi capelli scuri si allungarono a dismisura, strisciando come serpi sul terreno ghiacciato e avvolgendosi intorno al corpo inerme di Cristal, stringendolo con tutto il loro infuocato calore.

 

“Muori, Cigno!!!” –Gridò Enio, mentre i suoi occhi rossi si infiammarono.

 

Un’immensa vampata di energia percorse l’intero corpo di Cristal, stridendo con forza sulla sua corazza divina. Per quanto resistente fosse, aveva subito parecchi danni sull’Olimpo, soprattutto durante lo scontro con Eros, Dio delle Forze Primordiali, al Tempio dell’Amore, e, per quanto si autorigenerasse, era passato troppo poco tempo perché la riparazione fosse completa.

 

“Devo... devo reagire!!!” –Si disse il ragazzo, espandendo il proprio cosmo.

 

Forza Cristal! Mormorò Jacob, riunito insieme agli altri bambini. Coraggio! Lo incitò a distanza, come tutti gli abitanti del villaggio nascosti nelle loro case, gli stessi che l’anno precedente erano stati salvati proprio da Cristal, dalla rabbia del Maestro di Ghiacci e dei suoi scagnozzi.

 

Aaaahhh!!!” –Gridò il Cigno, mentre il proprio cosmo bianco cresceva a dismisura. Evocando i ghiacci, di cui era signore, Cristal cercò di congelare i capelli di Enio, riuscendovi in parte.

 

“Che cosa?! Sta gelando i miei capelli?!” –Esclamò Enio, indispettita.

 

Aaahh, in nome dei ghiacci della Siberia!!!” –Urlò Cristal, bruciando al massimo il proprio cosmo.

 

Il freddo potere del Cigno congelò i capelli che lo rendevano prigioniero, formando un’unica massa indistinta di ghiaccio che distrusse poco dopo, liberandosi dalla mortale presa della Dea.

 

“Bastardo!” –Gridò Enio, mentre Cristal si accasciava al suolo per l’enorme sforzo sostenuto.

 

La Dea ritrasse i propri capelli, ormai strappati sulle punte, maledicendo il giovane per aver osato opporsi a lei, alla furia distruttrice che portava dentro.

 

“E che adesso ti mostrerò!!! Alzati!!!” –Urlò ancora la folle Dea. –“Vuoi forse che ti aiuti?!” –Sogghignò, sollevando una mano avanti a sé. Come creata dal niente, una goccia cadde dalla mano della Dea della Distruzione, ma pochi istanti prima di toccare il terreno, esplose in un devastante cerchio di energia.

 

Drops of loneliness!” –Gridò Enio, lanciando il suo speciale attacco.

 

Dal punto in cui la goccia era caduta, si dipartirono cerchi concentrici di energia, ad un’impressionante velocità, superiore persino a quella della luce. Cristal non fece neppure in tempo a rimettersi in piedi che fu travolto dal piano energetico lanciato dalla Dea e scagliato in alto.

 

Una seconda goccia cadde dalle mani di Enio, e una nuova serie di anelli concentrici si sviluppò, come una goccia cade in un lago e crea onde nell’acqua attorno. Il rinnovato assalto travolse ancora Cristal, scaraventandolo lontano, danneggiando in parte la sua corazza. Il ragazzo perse l’elmo e si ritrovò con la faccia a terra, nella fredda neve in cui era cresciuto.

 

“Addio, Cigno!” –Urlò Enio, lasciando cadere una terza goccia di energia. –“Drops of Loneliness!”

 

Una nuova serie di anelli concentrici sfrecciò verso Cristal, ma quella volta, miracolosamente, il Cavaliere del Cigno riuscì a fermare l’attacco di Enio, bloccando il piano energetico con le mani.

 

“Che cosa?! È assurdo?! Come puoi fare questo?!” –Si stupì Enio, prima di rinnovare con vigore l’assalto. Il nuovo impeto acquistato dal piano energetico falciò la mani di Cristal, distruggendo i guanti protettivi e facendole sanguinare, e lo scaraventò indietro, spaccando parte dei coprispalla.

 

“Dovresti ringraziarmi, invece di opporre resistenza! Morirai qua, dove sei cresciuto e dove hai conquistato l’armatura! In queste terre imperiture cadrà il Cigno! Ah ah ah! Sei pronto per l’ultimo canto?” –Esclamò Enio, avvicinandosi al ragazzo, steso a terra in una pozza di sangue.

Ma incredibilmente Cristal scattò verso la Dea, scivolando sul terreno innevato come solo lui era abile a fare, puntando alle gambe di Enio.

 

“Cosa vuoi fare?!” –Gridò la Dea, mentre Cristal, proprio sotto di lei, le afferrava le gambe, liberando al massimo il suo cosmo glaciante. –“Vuoi congelarmi? Sei ridicolo!”

 

Ma la risata le morì in bocca quando sentì il freddo gelo del Cigno penetrare dentro di lei. Questo la fece infuriare, facendo esplodere il proprio cosmo infuocato. I capelli della Dea della Distruzione si allungarono nuovamente, raggiungendo il ragazzo ai suoi piedi e attorcigliandosi intorno al suo corpo, mentre il suo cosmo violetto lo aggrediva con forza.

 

Non contenta di ciò, lasciò cadere una nuova goccia di energia sulla schiena del giovane Cavaliere del Cigno, nel punto di congiunzione tra le ali della sua armatura e lo schienale, spaccandolo. Ma anche questo non fece desistere Cristal, che continuò nella sua opera di congelamento, stupendo Enio per la tenacia che stava dimostrando.

 

“Basta! Bastaaa!” –Urlò la Dea, i cui piedi erano ormai murati al terreno ghiacciato, e presto anche le sue gambe sarebbero state incapaci di muoversi. –“Bastaaa!!!” –Gridò ancora, sollevando il ragazzo da terra con i suoi capelli, stritolandolo con il suo infuocato cosmo violetto.

 

“Anche se dovessi morire…” –Balbettò Cristal, col poco fiato che gli era rimasto. –“Io ti porterò con me…” –E allungò il braccio destro, concentrando su di esso l’energia fredda del suo cosmo. –“Polvere di Diamanti!”

 

L’attacco ravvicinato travolse Enio, spingendo la sua schiena all’indietro, sottoponendola a un notevole sforzo, dato che le sue gambe, dalle cosce in giù, erano praticamente congelate, unite al terreno in un’indistinta massa di gelo, pari sicuramente allo Zero Assoluto.

 

La Dea della Strage avvampò di rabbia, stritolando il Cavaliere del Cigno nella sua mortale presa. Le bianche ali dell’Armatura Divina non ressero a tutta quella pressione, andando in frantumi poco dopo, mentre Cristal stringeva i denti per il dolore. Sarebbero morti così, pensò il Cavaliere di Atena. Lui, stretto nella mortale presa della Dea della Strage, con il corpo dilaniato da indicibili tormenti infuocati che sentiva entrare nel profondo del cuore; lei, semicongelata e disperatamente in balia dei ghiacci eterni della Siberia. Cristal mosse nuovamente il braccio destro, caricandolo di fredda energia cosmica, ma prima che potesse colpire di nuovo i capelli di Enio si arrotolarono intorno ad esso e la Dea vi concentrò la rovente fiamma del suo cosmo malvagio.

 

Improvvisamente, mentre entrambi i contendenti erano al loro massimo sforzo, un fulmine azzurro si schiantò su di loro, rischiarando la fosca aria attorno. L’energia sferzante prodotta dal fulmine distrusse parte dei capelli di Enio, permettendo a Cristal di muoversi più disinibitamente e liberarsi dalla presa della Dea della Strage. Un secondo fulmine li separò, scaraventando entrambi indietro.

 

Quando Cristal si rialzò, ansimando a fatica e sputando sangue, vide chiaramente la Dea ferita dal fulmine che si era appena schiantato su di loro, e un’indistinta sagoma di figura umana avvicinarsi.

 

“Chi osa?!” –Tuonò Enio, rimettendosi in piedi, oltraggiata per l’affronto.

 

A pochi passi da entrambi, apparve un giovane ricoperto da una scintillante armatura azzurra, una delle più belle e brillanti che Cristal avesse mai visto. Sembrava fatta di cristalli di ghiaccio.

 

“Stai bene, Cristal?” –Domandò l’ignoto guerriero, con voce sincera.

 

“Sì... sì…” –Balbettò Cristal, non sapendo cosa dire. Non conosceva quel ragazzo, né aveva mai avvertito il suo cosmo, il quale, adesso poteva percepirlo chiaramente, era vasto ed esteso, superiore indiscutibilmente a quello dei Cavalieri d’Oro. Ma non aggressivo nei suoi confronti. Un cosmo di così vaste dimensioni può appartenere soltanto… soltanto a un Dio?! Si disse Cristal, faticando nel rimettersi in posizione eretta.

 

Il ragazzo, non troppo alto, con corti e ritti capelli mori e splendenti occhi azzurri, su un viso maschile e ben curato, non aggiunse altro, volgendo lo sguardo verso Enio, la quale aveva espanso il proprio cosmo, liberando nuove gocce di energia.

 

Drops of Loneliness!!!” –Urlò Enio, mentre i devastanti piani di energia cosmica sfrecciavano verso lo sconosciuto. Questi però non ebbe problemi ad evitarli, saltando in alto ad una velocità superiore e contrattaccando con il suo colpo segreto, il fulmine azzurro che aveva rischiarato il cielo poc’anzi.

 

Aaargh!” –Urlò la Dea della Distruzione, mentre tutto il suo corpo veniva avvolto, stritolato da quei guizzanti fulmini energetici.

 

“È tua adesso, Cristal!” –Esclamò il ragazzo.

 

Cristal non se lo fece ripetere due volte, bruciando al massimo il proprio cosmo glaciale, e sollevando le braccia sopra di sé. Aveva poca energia, ma sufficiente ancora per un ultimo compito.

 

Maestro dei Ghiacci, Acquarius, Abadir, madre mia! Voi tutti che in me avete creduto, che di questa terra siete stati l’orgoglio, sorreggetemi ancora una volta! Cosicché io possa liberare il mondo dalle forze oscure! Rifletté Cristal, mentre la scintillante sagoma di un versatore dorato apparve dietro di lui, reggendo una brocca colma di energia cosmica.

 

“Per il sacro Acquarius!” –Urlò, liberando le Divine Acque in essa contenuta.

 

Come un fiume di glaciale energia, il colpo segreto investì Enio, ancora intenta a liberarsi dal groviglio di fulmini dello sconosciuto ragazzo, spingendola indietro e trasformandola in una statua di ghiaccio, ricoprendola fino all’ultima parte del suo orrendo corpo.

 

Cristal cadde a terra in ginocchio, ansando per lo sforzo sostenuto, prima di sollevare nuovamente lo sguardo verso il suo avversario. La statua di ghiaccio andò in frantumi, travolta da un’infuocata esplosione energetica che stupì lo stesso Cavaliere del Cigno, preoccupato di doversi confrontare nuovamente con lei. Ma di Enio non vi erano più tracce.

 

Sorpreso, ma al tempo stesso rincuorato, Cristal tentò di rimettersi in piedi, voltandosi verso lo sconosciuto guerriero che gli aveva prestato aiuto. Ma incredibilmente anche lui era scomparso. Che abbia sognato?! Si disse, facendo qualche passo avanti. Niente! È sparito nel nulla! Il suo cosmo ha lasciato la Siberia!

 

Cristaaal!!”– La squillante voce di Jacov risuonò sull’ampia distesa di ghiaccio.

 

Il ragazzino, tanto affezionato a Cristal, corse verso l’amico, seguito da alcuni abitanti del villaggio.

 

Cristal! Stai bene?!” –Domandò Jacov, osservando il volto stanco del ragazzo e la sua armatura danneggiata in più punti, mentre sangue usciva copioso dalle sue ferite.

 

“Sì.. non temere…” –Abbozzò un sorriso Cristal, un po’ troppo tirato da risultare credibile.

 

Alcuni abitanti si offrirono per medicare il ragazzo e dargli un pasto caldo, per ringraziarlo per essere nuovamente corso in loro soccorso. Cristal accettò l’invito, ma precisò che si sarebbe trattenuto molto poco.

 

“Le stelle di Grecia brillano di sangue!” –Osservò il ragazzo, pensando ai compagni. –“Pegasus! Amici! Una nuova battaglia state già combattendo! Non temete, Cristal sarà presto con voi!”

 

 

 

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Capitolo 11
*** La cerva dalle corna d'oro ***


CAPITOLO NONO. LA CERVA DALLE CORNA D’ORO.

 

Phoenix e Andromeda erano letteralmente sconvolti. Erano giunti con Dragone alla Terza Casa, un tempo presieduta da Gemini, e vi avevano trovato Fiore di Luna, l’amica di infanzia di Sirio, in balia di alcuni sgherri di Ares. L’avevano salvata, ma lei, inspiegabilmente, aveva ferito Sirio, colpendolo sul collo con un gladio dorato, prima di iniziare a urlare, ad osservare spaventata l’amore della sua vita accasciarsi al suolo, in una pozza di sangue.

 

“Sirio!!!” –Urlò Andromeda, soccorrendo l’amico. –“Sirioo!!!”

 

Aaah!!!” –Gridò Fiore di Luna, che sembrava  impazzita, sconvolta per l’accaduto.

 

“Fiore di Luna!” –La chiamò Phoenix, con aria decisa. Ma la ragazza non rispose, infilando in un corridoio laterale e scappando via in lacrime. –“Fermati!” –Le urlò Phoenix, inseguendola. Andromeda fece lo stesso, depositando delicatamente Sirio a terra, e correndo dietro al fratello.

 

“Fiore di Lunaaa!” –Urlò, cercando di comprendere il suo assurdo comportamento.

 

Corsero per qualche minuto in oscuri corridoi, scarsamente illuminati, seguendo le grida e i pianti della ragazza, prima di ritrovarsi, incredibilmente, in un fitto bosco.

 

“Un bosco?!” –Sgranò gli occhi Andromeda, osservando stupefatto la rigogliosa vegetazione intorno a loro. –“All’interno della Terza Casa?!”

 

“Non siamo più all’interno!” –Lo corresse Phoenix, indicando in alto. In cima, oltre le prospere fronde degli alberi, spuntava un cielo cupo e nuvoloso, il cielo di Atene.

 

“Ma com’è possibile?!” –Si chiese Andromeda, guardandosi intorno.

 

Fiore di Luna era scomparsa, e sembrava non aver lasciato traccia alcuna, quando un nuovo grido risuonò nell’aria. Una voce femminile che Andromeda conosceva bene.

 

Nemes!” –Gridò il ragazzo, correndo verso il punto da cui partiva la voce.

 

“Prudenza!” –Gli andò dietro il fratello, a cui tutte quelle stranezze stavano dando da pensare.

 

Corsero in mezzo al bosco fino a una piccola radura, circondata da alti alberi fronzuti. Là, con la schiena appoggiata a un albero, trovarono Nemes del Camaleonte, con il corpo coperto di ferite sanguinanti e il volto scoperto, rigato dalle lacrime e dal terrore. Andromeda, sopraffatto dall’emozione, corse senza pensarci due volte verso l’amica, incurante delle vibrazioni della catena.

 

Nooo, Andromeda!!!” –Urlò Phoenix, mentre il ragazzo afferrava l’amica per aiutarla a rialzare.

 

Accadde tutto in un attimo, ma fu sufficiente a Nemes per ferire Andromeda con un pugnale, strusciandolo contro la sua gola. Le Catene di Andromeda, per difendere il loro custode, saettarono immediatamente contro la ragazza, impedendole di affondare ulteriormente la propria lama, e costringendola a balzare indietro, per non essere travolta.

 

Andromedaaa!” –Esclamò Phoenix, preoccupato, mentre il fratello barcollava per qualche istante, prima di cadere a terra. Ma invece di correre in suo aiuto, Phoenix agì di testa sua, concentrando il cosmo sul pugno e scagliando un violento colpo energetico contro il Cavaliere del Camaleonte.

 

Un sottile raggio di luce che centrò in pieno la mente della ragazza, penetrandola da parte a parte.

 

“Fantasma Diabolico!” –Esclamò Phoenix, ordinando alla ragazza di raccontare cosa stesse accadendo. –“Dov’è Fiore di Luna? Per quale motivo ci avete attaccato?”

 

“Ah ah ah!” –Rise improvvisamente Nemes, e Phoenix, per quanto l’avesse incontrata soltanto una volta, al termine della Guerra Sacra, percepì oscure vibrazioni nel suo animo. E nella sua voce.

 

“Tu non sei Nemes!” –Esclamò infine il Cavaliere della Fenice. –“Rivelati per ciò che sei, bastardo guerriero di Ares!”

 

Le parole di Phoenix colsero nel segno, obbligando la donna a rivelare il suo vero aspetto. Le sue forme mutarono, distorcendosi davanti agli occhi stupefatti del Cavaliere di Atena, mentre la sua risata si faceva sempre più sadica, quasi seducente, in un crescendo di diabolica malizia.

 

“Ottimo intuito, Cavaliere della Fenice”! –Esclamò una voce di donna, dai toni più sicuri e fermi di quelli delle ragazzine che aveva impersonato finora. –“Aver vissuto per anni sulla Regina Nera, tra la fame e la morte, deve averti reso più sospettoso dei tuoi incauti compagni! È bastato un nulla, un semplice gioco di ricordi, per annientarli! Tutti e tre!”

 

Phoenix non rispose, osservando la donna di fronte a sé. Era alta e slanciata, con un viso bianco, con due piccoli occhi marroni, che esprimevano determinazione e astuzia, mentre lunghissimi capelli lisci e castani, simili agli steli di un fiore, le cadevano sulla sua schiena. Ma la cosa che maggiormente lo colpì fu la sua armatura: una corazza dal colore marrone chiaro, perfettamente in linea con la natura circostante, e dalle particolari decorazioni verdastre, come i gambaletti e i coprispalle, dotata di un elmo, stretto come quello di Capricorn, con affisse due lunghe corna dorate che salivano verso il cielo, proprio come le corna di un cervo.

 

“Ma certo… tu sei… la Cerva dalle Corna d’Oro!” –Esclamò infine Phoenix.

 

“Onorata di conoscerti, Cavaliere della Regina Nera!” –Sorrise la donna, con malizia. –“Benvenuto nel bosco di Cerinea, di cui sono la custode!”

 

“Non chiamarmi con quel nome, io sono Phoenix, Cavaliere di Atena della Costellazione della Fenice! La Regina Nera è soltanto un ricordo, un amaro ricordo!”

 

Oooh…” –Sogghignò la donna. –“Lo so bene! Ed è grazie ad un ricordo che ti vincerò, come ho vinto i Cavalieri tuoi compagni!”

 

“Maledetta!” –Urlò Phoenix. E senz’altro aspettare espanse il proprio cosmo, incandescente come l’infuocato animale che lo rappresentava. –“Ali della Fenice!” –E liberò il possente uccello infuocato. Ma la Cerva di Cerinea, che probabilmente si aspettava tale attacco, non rimase immobile ad aspettare. Allargò le sue braccia, fino a portarle a 45° rispetto alle gambe, mentre anche le corna del suo elmo fecero lo stesso, piegandosi verso il basso di 45°. Le punte degli arti si illuminarono, di un acceso bagliore dorato, creando un cerchio che passando per le quattro estremità girava tutto intorno alla donna, prima di moltiplicarsi in infiniti cerchi roteanti su se stessa, sulla Cerva di Cerinea, origine e perno di quel movimento circolare.

 

Le Ali della Fenice, per quanto colpo potente e violento, si schiantarono sui cerchi della donna, non riuscendo a penetrare l’abile barriera creata da quel veloce ondeggiare di dischi di luce.

 

“Cosa?!” –Esclamò Phoenix, incredulo che la donna avesse potuto rimanere illesa dal suo attacco.

 

“A me il gioco, adesso!” –Sorrise maliziosa la Cerva di Cerinea.

 

Quattro violenti raggi energetici partirono dalle estremità delle braccia e delle corna della donna, dirigendosi verso Phoenix, alla velocità della luce. Il ragazzo fu svelto ad evitarli, saltando in alto, ma subito si trovò a doverne fronteggiare altri, ed altri ancora, quattro attacchi contemporanei e continuati, ciascuno portato alla velocità della luce. Per un totale di quattrocentomila attacchi al secondo! Troppi! Mormorò, stringendo i denti, mentre un raggio energetico lo colpiva allo stinco destro. Un secondo raggio lo ferì ad un’ala, sbilanciandolo, e questo permise alla Cerva di Cerinea di colpirlo in pieno petto, con un raggio unico, prodotto dall’unione dei quattro distinti fasci energetici. Phoenix fu travolto e scaraventato indietro, schiantandosi con fragore contro un albero e ricadendo a terra, nel folto sottobosco.

 

“Colpito una volta, colpito per sempre!” –Sogghignò la Cerva di Cerinea, rilassando la propria posizione. –“Me lo insegnò il mio maestro… Quando un Cavaliere perde la concentrazione, perde anche la battaglia! È bastato colpirti in un unico punto, per sbilanciarti! Sei debole, Cavaliere!”

 

Phoenix non rispose alle schernite della donna, cercando di rimettersi in piedi, per quanto il petto gli dolesse. Tastò l’armatura e la trovò bollente, proprio come il suo umore. Irato e desideroso di rivalsa. Ma poi cercò di placare il suo animo, recuperando la ragione, sepolta dentro sé, in qualche luogo che persino lui a volte faceva fatica a comprendere dove fosse, e si concentrò sulla sua avversaria. Un’abilissima guerriera, niente da dire! Commentò, osservandola. Ed è persino bella!

 

“Cosa c’è? Ti sei morso la lingua, Cavaliere?” –Lo provocò la Cerva di Cerinea.

 

“Tutt’altro! Non sono mai stato desideroso di conversare come adesso!” –Ironizzò Phoenix.

 

“Mi fa piacere! Adoro scambiare quattro chiacchiere con le mie prede! Prima di ucciderle!” –Ed esplose in una grossa risata.

 

“Cosa ne hai fatto di Sirio e Andromeda? E dov’è Pegasus?”

 

“Non sono ancora morti, se è questo che ti preme sapere! La lama con cui li ho colpiti era intrisa di curaro, un veleno che impiega circa un’ora prima di agire completamente sull’intero organismo! Vi porterò ad Ares come dei vegetali, pronti per essere gettati nella bocca di Ade!”

 

“Nella bocca di Ade finirai tu, strega!” –Urlò Phoenix, scattando avanti, con il pugno destro carico di energia rovente. –“Pugno Infuocato!”

 

Ma la Cerva di Cerinea evitò l’affondo del ragazzo con sorprendente facilità, semplicemente roteando su se stessa, mentre il pugno di Phoenix le passava davanti al naso. Con una mossa decisa afferrò il braccio del ragazzo e lo sollevò di peso, scaraventandolo indietro, ma Phoenix, sfruttando le ali della sua Armatura Divina, fluttuò nell’aria, ricadendo a terra compostamente.

 

È veloce! Rifletté. Proprio come la Cerva del mito! E si ricordò della terza fatica di Eracle: la cattura della Cerva dalle Corna d’Oro, animale sacro ad Artemide, dotato di incommensurabile velocità e destrezza, al punto che l’eroe greco dovette inseguirla per un anno intero, fino a stancarla, fino ai Giardini delle Esperidi. Là, la Cerva si fermò per bere, ed Eracle, approfittando di quel momento, la colpì, con una freccia che trafisse la gambe anteriori dell’animale, passando tra osso e tendine, senza far uscire una goccia di sangue. Poi, gettatosi la Cerva sulle spalle, si diresse verso Micene, per condurla da Euristeo, l’uomo che gli aveva imposto le Dodici Fatiche.

 

“Tutto qua, Cavaliere?! Da uno che è stato addestrato sull’Isola della Regina Nera, mi aspettavo di più?” –Lo schernì la donna, leccandosi le labbra.

 

“Vuote parole le tue, Cerva di Cerinea! Saprò domarti! E catturarti!” –Si raddrizzò Phoenix.

 

“Illuso! Tu non sei Eracle! Nessuno può catturare la Cerva dalle Corna d’Oro!”

 

“Scommettiamo?” –Esclamò Phoenix, bruciando il proprio cosmo.

 

“Scommettiamo!” –Rispose la donna, prima di sfrecciare via, nel fitto bosco.

 

Phoenix non esitò un istante, inseguendola. Sfrecciarono veloci, come fulmini, in mezzo ad alti alberi fronzuti, correndo su due file parallele, vicini, come corridori olimpionici. Ogni volta che la Cerva di Cerinea svoltava, Phoenix la seguiva, come la sua ombra, tallonandola più da vicino che potesse. Ma, dovette ammettere il Cavaliere di Atena, la Cerva sembrava realmente più veloce di lui, riuscendo sempre a mantenere un certo margine di distacco. Quel margine che mi darà la vittoria! Sorrise la Cerva, sfrecciando tra gli alti alberi del bosco.

 

Improvvisamente si fermò e si voltò verso Phoenix, attaccandolo con raggi energetici, ma il Cavaliere, per quanto sorpreso, fu abile ad evitarli entrambi, prima di balzare su di lei, per colpirla con il pugno destro. La Cerva saltò però indietro, con un’agile piroetta, atterrò sulle braccia e scattò nuovamente avanti, cercando di colpire il ragazzo con i suoi zoccoli. Phoenix si scansò rapidamente, venendo ferito solo di striscio, ma subito la donna balzò contro di lui un’altra volta, caricando due raggi energetici che quella volta il ragazzo non poté evitare, venendo spinto indietro.

 

“È resistente quella tua corazza!” –Esclamò la donna, ansimando per lo sforzo.

 

Efesto in persona me l’ha riparata!” –Commentò Phoenix, rialzandosi e sputando sangue. –“E la tua mano di donna non riuscirà a scalfirla! Perciò non provarci nemmeno!”

 

“Ah ah ah! Non essere ridicolo! Credi di essere nelle condizioni per dettare legge? Non penso proprio!” –Sorrise la donna, mentre Phoenix scattava avanti, con il pugno carico di energia infuocata. Ma non riuscì a fare neppure due passi che fu improvvisamente afferrato per i piedi, e gettato a terra, da nodose radici che iniziarono a sgorgare dal terreno.

 

Che… che succede?!” –Si chiese il Cavaliere della Fenice, mentre migliaia di radici e piante rampicanti si avvolgevano intorno al suo corpo.

 

“Svegliati natura dormiente, destati e uccidi l’uomo che ha osato attaccarmi, invadendo il bosco sacro di Cerinea!” –Esclamò la Cerva, espandendo il cosmo.

 

La natura intorno a lei parve risponderle e immobilizzò Phoenix, sollevandolo e tirandolo per le braccia e per le gambe, da rami nodosi e robusti, mentre piante rampicanti si attorcigliavano intorno alla sua vita, stringendo con forza.

 

Aaaah…” –Gridò Phoenix, bruciando il proprio cosmo incandescente per cercare di liberarsi. Ma ogni qualvolta che riusciva a liberare anche soltanto una mano, bruciando i rami che lo tenevano prigioniero, ecco che ne arrivavano altri, in un’infinita processione che presto lo avrebbe stremato.

 

“Come Eracle nel mito stremò la Cerva, rincorrendola per un anno intero, così io ho stancato te, Cavaliere di Atena! E adesso prenderò la tua vita, e la porterò ad Ares, mio Signore, come trofeo da appendere nella Sala delle Vittorie!” – Ed espanse il proprio cosmo dorato, dalle striature marroni e verdastre.

 

Nooo… nooo…” –Urlò Phoenix, bruciando il cosmo a sua volta.

 

“Non dimenarti, sciocco! Prolunghi soltanto la tua agonia!” –Lo schernì la donna, mentre le sue braccia e le corna del suo elmo si disponevano nella posizione di attacco.

 

Le quattro estremità si illuminarono improvvisamente, caricandosi di energia cosmica, che la donna voleva dirigere contro Phoenix, impossibilitato a reagire. Ma il Cavaliere di Atena, determinato a liberarsi e a salvare i compagni in difficoltà, espanse il proprio cosmo a dismisura, mentre l’immortale figura della Fenice infuocata comparve intorno a lui.

 

“Vola, Fenice della Speranza!” –Gridò, stringendo i denti. –“E liberati da quest’effimero giogo!”

 

L’uccello infuocato recise i legami che lo tenevano prigioniero, incendiando con impeto e vigore la vegetazione circostante. Nuovi rami e piante tentarono di imprigionare nuovamente il ragazzo, ma tutti quelli che si avvicinavano venivano ridotti in cenere dall’infuocato battito d’ali della fenice.

 

“Incredibile!” –Commentò la donna, osservando la scena. Ma per quanto stupita, non arretrò di un passo, caricando il proprio quadruplice attacco. Phoenix però non rimase ad aspettarlo, lanciandosi avanti, con il pugno colmo di energia rovente, che si scontrò subito con l’assalto energetico della donna, contrastandosi a mezz’aria.

 

Aaah!!!” –Urlò la Cerva di Cerinea, spingendo al massimo il proprio cosmo, mentre anche Phoenix faceva altrettanto.

 

“Andate Ali della Fenice! Uscite da questa opprimente gabbia!” –Gridò il ragazzo, scaricando l’immenso potenziale del suo cosmo. La tempesta infuocata creata da Phoenix spazzò via i quattro raggi dorati della donna, abbattendosi con impeto e vigore sulla barriera circolare posta a sua difesa.

 

“Hai fermato il mio attacco, ma non supererai mai i miei cerchi dorati!” –Esclamò decisa la Cerva, aumentando la rotazione della sua difesa.

 

Ed infatti le Ali della Fenice, per quanto impetuosamente si schiantassero sulla sfera dorata all’interno della quale la donna era rinchiusa, non riuscivano a sfondarla, scivolando sull’energetica superficie, senza trovare un punto preciso dove entrare. Perché non c’è un punto preciso! Realizzò infine Phoenix. Basta un punto! Azzardò l’idea, concentrando tutta la tua energia sul pugno destro.

 

“Colpito una volta, colpito per sempre!” –Esclamò, lanciandosi avanti.

 

Con tutta la forza che aveva in corpo, colpì avanti a sé, un punto imprecisato della barriera della Cerva di Cerinea, scaricandovi il suo cosmo infuocato. La sfera dorata accusò il colpo e i cerchi roteanti che la componevano andarono in frantumi, spezzandosi all’istante, mentre la donna veniva scaraventata indietro, travolta dalla tempesta di energia. Rotolò per una decina di metri sul terreno, perdendo l’elmo cornuto della sua corazza, ritrovandosi con la faccia nel muschio, nell’adorato muschio del suo bosco. Dove avrebbe voluto uccidere il Cavaliere che l’aveva umiliata.

 

“Com’è il tempo là in basso?” –Ironizzò Phoenix, incamminandosi verso la donna. –“Umido, non trovi?!”

 

“Lurido verme…” –Mormorò la Cerva di Cerinea, cercando di rialzarsi e di rimettersi in piedi. Ma non fu abbastanza svelta da evitare un violento calcio con cui Phoenix la colpì sul viso, spingendola indietro. Quindi il ragazzo la afferrò con le sue robuste braccia, cariche di energia cosmica, fermando i movimenti della donna.

 

“Cosa farai adesso?! Chiamerai ancora le tue pianticelle per farti liberare?”

 

“E perché dovrei?!” –Commentò lei, con un sorriso sardonico sul volto. –“Non ho niente da temere da te! Non ho niente da temere dall’uomo che maggiormente mi ama al mondo!”

 

Phoenix non comprese a cosa si riferisse la donna, ma non riuscì a trattenere un’espressione di sorpresa quando vide i suoi lineamenti cambiare, la sua pelle modificarsi, fino ad assumere l’aspetto, e l’espressione, di una persona che conosceva bene, essendo stato per molto tempo il suo unico conforto: Esmeralda, il fiore dell’Isola della Regina Nera.

 

“Phoenix!” –Balbettò la ragazzina, con voce tremante e insicura. –“Oooh Phoenix!” –Aggiunse, gettandosi tra le sue braccia, strusciando il viso sulla sua corazza Divina, lasciando che i suoi biondi capelli lambissero il mento, il viso del ragazzo, permettendogli di assaporare il suo odore. L’odore dell’unico fiore cresciuto su quell’isola maledetta.

 

Es… Esmeralda!” –Farfugliò Phoenix per un momento, prima di recuperare il controllo di sé e afferrare la ragazza e guardarla fissa negli occhi. –“Con me non funziona, Cerva!”

 

Ooh Phoenix!” –Continuò Esmeralda, mentre i suoi occhietti si illuminavano di lacrime, senza distogliere lo sguardo da lui.

 

“Smettila, avanti! Torna in te!” –Esclamò Phoenix, scuotendo la ragazza. Ma non ottenne altra reazione che quella di aumentare le lacrime e l’apparente dolore della giovane, che continuava a chiamare il suo nome, ad evocare l’odore dei fiori, e il ricordo di quei pochi momenti felici che aveva vissuto sull’Isola della Regina Nera. Quei pochi momenti che aveva cancellato, che la guerra e l’odio lo avevano obbligato a mettere da parte.

 

“Mi hai dunque dimenticato, Phoenix?” –Domandò la ragazza, continuando a fissarlo con sguardo dolce e languido.

 

“Non ti ho dimenticato, Esmeralda!” –Commentò acidamente lui. –“Ma tu non sei qua, sei soltanto un’illusione! Un’illusione che devo superare per andare oltre!”

 

“Un’illusione?! Ne sei certo?! Guarda!”

 

Phoenix scosse gli occhi, alla vista dell’immenso campo di fiori che comparve intorno a loro, sostituendo il bosco e gli alberi, e lasciandoli soli, in mezzo a quel profumato prato fiorito. Esmeralda iniziò a correre nell’erba, scalza, come amava fare, inseguendo una farfalla birichina, di fronte agli occhi attoniti di Phoenix, che iniziavano a farsi più partecipi. Poco dopo tornò indietro, con un mazzo di fiori, che offrì gentilmente al ragazzo, con il suo migliore sorriso.

 

“Li ho colti per te, Phoenix! Portali con te, così saprai sempre come ricordarti di me!” –Sorrise Esmeralda, afferrando le mani del ragazzo.

 

Quel tocco, quel lieve tocco, scombussolò Phoenix, mentre l’incantesimo della Cerva di Cerinea continuò ad operare, travolgendo il ragazzo grazie ai suoi ricordi. Quegli stessi ricordi che avevano ferito Pegasus, Sirio e Andromeda, gli amici che in quel momento gli sembravano lontani anni luce.

 

“Eh eh... eh eh…” –Sorrideva e cinguettava Esmeralda, in quel prato fiorito, mentre i raggi del caldo sole del Pacifico li baciavano senza avidità. Trottava sull’erba e girava su se stessa, correndo poi a nascondersi dietro i fiori, chiamando Phoenix che andasse a cercarla.

 

“Esmeralda!” –Sorrise infine il Cavaliere di Atena, muovendosi per andare da lei. Ma prima che la raggiungesse, una voce giunse al suo animo, un lontano richiamo dal profondo.

 

“Fermati, Cavaliere della Fenice! Non cadere vittima dell’illusione!”

 

Ma… cosa?!” –Si domandò Phoenix, prendendosi la testa tra le mani.

 

“Non dimenticare la promessa che facesti ad Esmeralda e che rinnovasti al Tempio dei Sogni! Sei il Cavaliere della Speranza, ragazzo!” –Continuò la voce maschile, che finalmente Phoenix riuscì a riconoscere.

 

“Ma tu… sei... Morfeo!” –Esclamò Phoenix, riconoscendo il cosmo del Dio dei Sogni. Flebile come la fiammella di una candela.

 

“Proprio io, ragazzo mio, proprio io!” –Sorrise il vecchio Dio dei Sogni.

 

“Ma io credevo che tu fossi…

 

“Morto?! Beh, fisicamente credo che sia il termine più corretto! Ma la mia anima è perdurata, come tutte le anime divine, anche se sono lontano! Molto lontano! Prigioniero di un oscuro limbo da cui difficilmente riuscirò a tornare con le mie misere forze! Ma posso arrivare a te, parlare al tuo animo, che ho scandagliato più a fondo di molti altri! E posso incitarti a non cedere, a non cadere nella tentazione del ricordo! No, Phoenix, chiudi il tuo cuore, per quanto sia duro, e apri gli occhi, essi ti guideranno verso la vittoria!”

 

“Gli occhi?!”

 

“Sì, gli occhi della verità! Quelli che hai chiuso entrando nel Terzo Tempio, cadendo in balia degli incantesimi della Cerva di Cerinea! Apri gli occhi, Cavaliere, e vola via, sulle ali della Fenice!”

 

Morfeooo…” –Urlò Phoenix, ma la voce scomparve e si ritrovò da solo in mezzo al campo di fiori.

 

Esmeralda continuava a guardarlo sorridente, facendogli cenno di avvicinarsi e sedere accanto a lei, ma Phoenix, per quanto quello fosse il futuro che aveva sempre sognato, strinse i pugni, accendendo il proprio cosmo incandescente.

 

“Scompari, fatua visione! Scompari, amaro ricordo! Quel che non è stato non potrà essere più!” –Affermò, chiudendo gli occhi, quelli del suo cuore, e aprendo i veri occhi, quelli che gli avrebbero mostrato la via.

 

“Ma Phoenix…” –Urlò Esmeralda, in lacrime, correndo verso di lui.

 

Scompaaariiii!!!” –Gridò Phoenix, con tutto il fiato che aveva in corpo. La determinazione e la risolutezza in lui furono così grandi da frenare Esmeralda di colpo, lasciandola impotente di fronte a lui. In un attimo tutto cambiò, tutto crollò, tutto recuperò le sue forme.

 

“Com’è stato possibile?!” –Esclamò la Cerva di Cerinea, riassumendo le sue fattezze originarie.

 

“Ho già abbandonato il mio passato, Cerva dalle Corna d’Oro, molto tempo fa! E due giorni or sono rinnovai il mio giuramento, incitandomi a guardare oltre, incitandomi a non vivere di ricordi, ma di speranza! Di speranza nel futuro!”

 

“Tu sia maledetto, Phoenix!” –Gridò il berseker di Cerinea, espandendo il proprio cosmo.

 

Raggi energetici si dipartirono dalle sue braccia, ma Phoenix li fermò tutti, col palmo aperto della sua mano destra, sorprendendo la sua avversaria.

 

“Sei soltanto un’illusione, Cerva! Come Esmeralda, come Nemes, come il bosco!” –Commentò freddamente il ragazzo. –“Forse potrai vincere una volta, facendo breccia negli animi fragili e puri di coloro che nel ricordo del passato trovano consolazione, ma non su di me, che ho deciso di guardare al futuro! Al futuro nel quale volerò… con le Ali della Fenice!!!”

 

Il devastante attacco infuocato travolse la Cerva di Cerinea, sollevandola da terra, mentre il suo corpo veniva dilaniato dalle immortali fiamme della Fenice. Ricadde a terra molti metri addietro, tra i frammenti insanguinati della sua corazza; tentò di rialzarsi, di combattere ancora, crollò dopo poco, priva di vita. In un attimo tutte le illusioni scomparvero, e Phoenix si accorse di essere all’interno del Terzo Tempio, che aveva riacquistato il suo aspetto originario. Non molto lontano da lui, c’erano i corpi feriti di Sirio, Pegasus e Andromeda, che il Cavaliere raggiunse correndo.

 

I tre amici erano pallidi in volto, quasi febbricitanti, per effetto del veleno che la Cerva aveva inserito nel loro corpo. Phoenix non era un medico, e non aveva niente con cui curarli, ma si ricordò di come Sirio, mesi e mesi prima, all’inizio della loro avventura, aveva liberato Pegasus dalla morte atroce di Pegasus Nero, e ritenne opportuno fare altrettanto. Spogliò in fretta i tre delle loro corazze, colpendo i loro corpi con due dita congiunte, nei punti vitali della costellazione di appartenenza.

 

In questo modo, rifletté, il sangue avvelenato scorrerà via, e il loro cosmo, e quello di Atena, che è dentro tutti noi, farà altrettanto! Almeno spero! Aggiunse, rimettendosi in piedi e guardando i tre amici, distesi a terra, ricoperti di oscuro sangue.

 

Per un momento fu tentato di fermarsi, ma poi ritenne adeguato continuare la missione, come avevano concordato insieme. Si lanciò quindi nel corridoio della Terza Casa, diretto verso l’uscita, pregando Gemini e Kanon, spiriti custodi di quel tempio, di prendersi cura dei suoi amici.

 

 

 

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Capitolo 12
*** Il cinghiale di Erimanto ***


CAPITOLO DECIMO. IL CINGHIALE DI ERIMANTO.

 

Non passò molto tempo, da quando Phoenix era uscito dal retro della Terza Casa dello Zodiaco, che Andromeda riprese i sensi, tossendo e respirando con difficoltà. Si scosse, ritrovandosi spogliato, disteso sul freddo pavimento, mentre il suo corpo era pieno di ferite e sangue coagulato. Agitato, si guardò intorno, trovando i corpi esanimi di Sirio e Pegasus accanto a lui, nelle stesse condizioni.

 

“Amici!” –Li chiamò, cercando di muoversi, ma era ancora troppo stordito, e cadde a terra. Cercò di rimettersi in piedi, stringendo i denti per lo sforzo, ed arrivò a lambire i loro volti, dandogli piccoli schiaffi per farli riprendere.

 

“A... Andromeda…” –Balbettò Pegasus, risvegliandosi, presto seguito da Sirio.

 

“Amici! State bene, allora! Che gioia!” –Esclamò Andromeda, riuscendo a rimettersi in piedi.

 

Sì… sì… intontito ma sto bene!” –Rantolò Pegasus, cercando di alzarsi. Sirio fece altrettanto, guardandosi intorno e cercando di riordinare le idee. –“Dove siamo? E dov’è Phoenix?”

 

“Credo che siamo ancora alla Terza Casa! Non so dove sia mio fratello, ma credo che sia stato lui a provocarci queste ferite!”

 

Pegasus e Sirio osservarono i loro corpi pieni di buchi, da cui era sgorgato sangue oscuro fino a pochi attimi prima. Finalmente il sangue buono aveva iniziato a zampillare e l’organismo era stato liberato. Il cosmo cicatrizzò in fretta le ferite, prima che i tre indossassero le loro Armature Divine.

 

“E Fiore di Luna?” –Domandò Dragone, cercando di capire. –“E Patricia?!” –Aggiunse Pegasus, raccontando di come l’aveva trovata là, tra le mani dei guerrieri di Ares.

 

“Temo che fossero tutte illusioni, amici! Come Nemes, e come il bosco!” –Rifletté Andromeda, iniziando ad incamminarsi verso l’uscita. –“Qualcuno gioca con il nostro cuore!”

 

“Il bosco?!” –Domandò Pegasus, affiancando l’amico, subito seguito da Sirio.

 

Andromeda raccontò in breve ai due amici cos’era accaduto dopo che Sirio era stato ferito, e concluse che probabilmente Phoenix aveva sconfitto l’artefice di quelle illusioni ed era andato oltre.

 

“Ma sentilo, la primadonna!” –Ironizzò Pegasus, recuperando un po’ della sua spensieratezza. –“Adesso vuole correre da solo! Coraggio, raggiungiamolo, amici!”

 

“Sì!” –Gli fecero eco Sirio e Andromeda, uscendo dalla Terza Casa.

 

I tre amici corsero senza fermarsi lungo la bianca scalinata, giungendo fino alla Casa di Cancer. Il tempio, dalla forma a croce, si apriva proprio di fronte a loro, ma, per quanto cercassero tracce del cosmo di Phoenix, non ne avvertivano la presenza.

 

“Coraggio, entriamo!” –Esclamò Pegasus. –“Ma con prudenza! Questa casa non è mai stata… ospitale con i visitatori!” –Ironizzò, entrando all’interno del tempio.

 

Sirio e Andromeda lo affiancarono, camminando fianco a fianco nel corridoio centrale della Casa di Cancer, apparentemente vuota. Quando giunsero al centro della costruzione, uno strano oggetto attirò la loro attenzione. Un oggetto dalle grandi dimensioni, collocato su un lato del corridoio, che li stupì sia per la forma che per il contenuto.

 

“Ma questa…” –Commentò Sirio, sgranando gli occhi. –“È una campana!”

 

“Una campana di vetro!” –Aggiunse Andromeda, correndo fino a sfiorarne la superficie. –“E all’interno… c’è mio fratello!!!”

 

“Phoenix!” –Urlarono Pegasus e Dragone, riuscendo finalmente a focalizzare il loro amico.

 

Il Cavaliere della Fenice sembrava come sospeso in aria, in trance, all’interno di quella grottesca campana di cristallo, dal color azzurrognolo.

 

“Dobbiamo liberarlo! Spostati Andromeda!” –Esclamò Pegasus, scattando avanti, con il pugno carico di energia. –“Fulmine di Pegasus!” –E scagliò centinaia di colpi luminosi contro la campana, che non si ruppe, anzi rinviò indietro i colpi del ragazzo.

 

“Attento!” –Urlò Sirio, mentre Pegasus cercava di evitare l’assalto, riuscendovi soltanto in parte e venendo colpito in più punti.

 

“Maledizione!” –Brontolò il ragazzo, rimettendosi in piedi.

 

“Lascia provare me!” –Disse Sirio, concentrando il cosmo sul braccio destro. –“Excalibur libererà Phoenix!” –E sollevò il braccio, pronto per abbassare la lama sulla campana. Ma improvvisamente un sibilo risuonò nell’aria, mentre una corda si arrotolò proprio attorno al polso di Sirio, fermando il suo movimento. Una corda alla cui estremità era legata una piccola campana di metallo.

 

“Ma cosa?!” –Balbettò Sirio, cercando di liberarsi da quella morsa, mentre la campana iniziò a suonare.

 

“Non sentite che gioia questo melodioso suono?!” –Esclamò una voce improvvisamente. –“Suonano a festa le campane dei Templi dell’Ira! Suonano a lutto, per la vostra morte!”

 

I tre amici si voltarono verso destra e videro un uomo al centro del salone, che reggeva l’altra estremità della corda con cui aveva fermato il braccio di Dragone. Non era alto, inferiore alla media dei suoi compagni berseker, ed aveva un viso maschile e poco curato, barba incolta, occhi scuri, ed una cicatrice sul mento. Indossava un’armatura marrone, dalle tozze sembianze, quasi opaca da tanto che era spenta, ed al bracciale destro aveva affissi due lunghi artigli bianchi. Le zanne dell’animale che rappresentava: il Cinghiale di Erimanto.

 

“Chi sei tu?” –Domandò Pegasus.

 

“Colui che suonerà per voi un canto di morte!!!” –Esclamò l’uomo, ridendo come un pazzo. –“Il guerriero del Cinghiale di Erimanto, custode del Quarto Tempio di Ares!”

 

“Il Cinghiale di Erimanto!” –Balbettò Sirio. –“La quarta fatica di Eracle!”

 

Senz’altro aggiungere, l’uomo iniziò a smuovere la corda, facendo suonare la campana intorno al polso di Sirio. Un suono leggero inizialmente, che acquistò sempre più vigore e profondità, al punto da spingere i tre amici a tapparsi le orecchie.

 

Aaargh! Mi sembra che mi rimbombi dentro!” –Brontolò Pegasus.

 

“Maledizione!” –Cercò di reagire Dragone, colpendo la corda con l’altro braccio.

 

Inaspettatamente la corda si ruppe, liberando Sirio dalla morsa, e lasciando cadere a terra la campana. L’oggetto metallico esplose a contatto col terreno, distruggendo parte del pavimento e sollevando una fitta polvere, che obbligò i Cavalieri a tapparsi gli occhi. Quando Pegasus e Andromeda poterono vedere di nuovo, si accorsero, con orrore, che anche il Dragone era prigioniero di una grande campana di cristallo, identica a quella di Phoenix.

 

“Non vi piace l’accoglienza che vi ho riservato?!” –Esclamò il guerriero del Cinghiale di Erimanto. –“Ho un sermone da recitare per voi! Un sermone che vi condurrà all’eternità!”

 

“Basta con le ciance, maledetto!” –Esclamò Pegasus, furibondo. Quindi si rivolse ad Andromeda. –“Io lo attacco e tu cerchi di immobilizzarlo con la tua catena!”

 

Andromeda annuì, anche se non molto convinto di quel piano, prima di scattare avanti insieme all’amico. Il guerriero del Cinghiale di Erimanto, nel frattempo, aveva richiamato la propria corda, alla cui estremità una nuova campana si era creata, e adesso la stava roteando sopra la sua testa, prima di lanciarla contro i due Cavalieri. Come la Catena di Andromeda era solita fare, anche la corda di Erimanto si moltiplicò in innumerevoli copie, attaccando i due Cavalieri di Atena.

 

Eccoli… i numeri innumeri!” –Esclamò Erimanto, estasiato. –“Aaah... gli infiniti metri!”

 

Le corde si attorcigliarono intorno ai polsi e alle gambe di Pegasus, per quanto il ragazzo si dimenasse, e, ad uno strattone di Erimanto, il giovane cadde all’indietro, mentre le campane suonavano rumorosamente intorno al suo corpo. Un secondo dopo e anch’egli si ritrovò prigioniero di una campana di cristallo.

 

“Pegasus!!!” –Urlò Andromeda, adesso rimasto solo ad affrontare il guerriero di Ares.

 

Din don! Din don! Per chi suona la campana? Forse per te, Cavaliere di Atena?!” –Domandò il berseker. E scagliò nuovamente le sue corde verso Andromeda, striscianti serpenti dalla testa a campana. Ma Andromeda, a differenza dei compagni, disponeva di un’abile difesa.

 

“Catena di Andromeda! Vai!” –E liberò la sua scintillante arma, che sfrecciò verso le corde di Erimanto, afferrandole tutte quante, attorcigliandosi intorno ad esse.

 

“Bel risultato hai dimostrato, Cavaliere!” –Esclamò Erimanto, non troppo deluso dal suo fallito attacco. –“Ma basterà?” –Aggiunse, con un ghigno ironico.

 

Iniziò a muovere le corde, facendo suonare tutte le campane che penzolavano dalle varie funi fermate dalla Catena, in un crescendo di suono che si infilò dentro le orecchie di Andromeda, scendendo giù, all'interno del suo animo.

 

Ad Andromeda, che cercava di non ascoltare quel roboante suono, parve di sentire lo stomaco esplodere, come mille tamburi che battevano a gran voce. Si dimenò un po’, scuotendo la testa e urlando, perdendo la concentrazione sul suo avversario, il quale decise di approfittarne per colpire il ragazzo con un attacco energetico. Spalancò il palmo della mano sinistra avanti a sé, mentre un cerchio di energia azzurra lo circondava, quindi fece esplodere il proprio cosmo.

 

“Campana di cristallo! Vai!” –Esclamò, mentre il cerchio di energia si allungava fino a divenire una sottile campana che sfrecciò nell’aria diretta contro Andromeda.

 

Il Cavaliere di Atena, per quanto stordito, riuscì comunque a difendersi, richiamando la catena di difesa, e ricreando la sua solida barriera circolare, su cui si infranse il colpo dei guerriero di Ares.

 

“Se richiami la tua catena, chi ti difenderà dalle mie corde?!” –Sogghignò Erimanto, lanciando nuovamente le sue corde all’assalto.

 

“La Catena di Andromeda mi proteggerà! –Esclamò il Cavaliere, con determinazione, continuando a far roteare la sua arma intorno a lui.

 

I primi assalti del berseker si infransero contro l’impenetrabile muraglia della difesa di Andromeda, non riuscendo le campane a penetrarvi attraverso. Ma poi, mentre il cosmo di Erimanto aumentava, accadde l’incredibile, agli occhi di Andromeda. Alcune corde si intrufolarono all’interno della sua difesa, attorcigliandosi intorno alla catena, con le campane appese alle cime di esse.

 

“E allora non chiedere per chi suona la campana. Essa sta suonando per te!” –Esclamò Erimanto, delirante, prima di lanciare altre corde all’assalto, approfittando del fatto che adesso la catena di difesa era bloccata, fermata dalle sue funi.

 

“Non credere di avermi già vinto, guerriero di Ares!” –Gridò Andromeda, caricando di energia la catena di attacco. –“Onde del Tuono! Via!” –E lanciò la catena a triangolo avanti, che sfrigolò nell’aria, liberando guizzanti scariche energetiche che travolsero le corde di Erimanto, prima di trafiggerle una ad una con la sua acuminata punta.

 

“Vai, Catena di Andromeda!” –La incitò il Cavaliere, dirigendola verso il suo avversario.

 

Erimanto non riuscì ad evitare la furia delle Onde del Tuono e venne colpito in pieno viso, sull’elmo scuro che portava in testa, dalla catena a triangolo, e scaraventato indietro, perdendo il copricapo della corazza e scoprendo il cranio. Andromeda ritirò lentamente le catene, osservando l’uomo rimettersi in piedi, e rimanendo interdetto di fronte all’oscenità del suo cranio deforme.

 

Il guerriero di Erimanto infatti aveva una strana protuberanza sul retro della testa, un enorme bernoccolo artificiale dal colore biancastro. Osservandolo meglio, Andromeda realizzò che si trattava di una zanna, forse di un cinghiale, che gli era stata conficcata in testa.

 

“Ma è orribile?!” –Esclamò disgustato.

 

“Orribile?! È il regalo fattomi dal sommo Ares, Cavaliere!”

 

“Il regalo di Ares?!”

 

“Esattamente! Qua dentro, in questa zanna di cinghiale che mi conficcò nel cranio, sta tutto il suo potere, tutta la sua volontà guerriera, e mi infonde la forza e la determinazione per combattere!”

 

“Essa ti obbliga a combattere, Erimanto!” –Precisò Andromeda, realizzando che se Ares aveva compiuto un gesto simile probabilmente era perché il guerriero non era sufficientemente motivato.

 

“Mai si fa male così a fondo e così allegramente come quando lo si fa per obbligo di coscienza!” –Esclamò Erimanto, senza dar troppo peso alle preoccupazioni di Andromeda.

 

Prima che il ragazzo riuscisse a parlare nuovamente, il guerriero di Ares tirò fuori una piccola campana di pietra, caricandola del suo cosmo malvagio.

 

“Saprai evitare questi?” –Domandò al ragazzo, prima di scagliare la campana contro di lui.

 

Come le corde, pure la campana si moltiplicò in infinite copie, tutte dirette contro Andromeda, il quale rapidamente roteò la sua catena, ricreando la Difesa Circolare.

 

Le campane si infransero contro la barriera protettiva di Andromeda, esplodendo al contatto, e nuove campane arrivarono subito dopo, schiantandosi tutte contro la catena. Ogni campana suonava ed esplodeva, suonava ed esplodeva, rintronando il Cavaliere di Atena che si trovava in balia di quella tamburellante pioggia.

 

Devo reagire! Si disse Andromeda, caricando la catena di attacco e lanciandola avanti, nel mucchio di campane che gli arrivavano contro. Ne distrusse parecchie, dirigendosi verso Erimanto, ma il guerriero, prima di essere raggiunto, balzò in alto, evitando la punta a triangolo e scagliando un’ultima campana, di pietra, sopra la testa di Andromeda.

 

Questa, a differenza delle altre, si ingrandì a dismisura, diventando un’immensa campana di pietra che piombò in fretta su Andromeda, obbligandolo a sollevare entrambe le braccia per fermarla, per non esserne schiacciato.

 

Uah ah ah!” –Esclamò Erimanto, osservando il buffo spettacolo. –“Tu che hai rifiutato la mia musica, la udirai per sempre!”

 

Andromeda non rispose, stringendo i denti per lo sforzo, nel sostenere l’immensa campana che aumentava sempre di più, che si faceva sempre più pesante, terribilmente pesante, persino per gli allenati muscoli di un Cavaliere, al punto da sprofondarlo nel pavimento.

 

“Diventa lieve il carico a chi sa ben sopportarlo, Cavaliere!” –Sospirò Erimanto. –“Ma tu, a quanto pare, non accetti tale carico!”

 

“Non accetterò mai le condizioni di un guerriero di Ares!!!” –Gridò Andromeda.

 

“E allora muori!” –Si infuriò Erimanto, concentrando il cosmo sul braccio destro. Le zanne bianche della sua armatura si allungarono, diventando pericolosi artigli che diresse contro il ragazzo. –“Zanne del Cinghiale di Erimanto, divorate l’eretico Cavaliere che ha rifiutato le campane del vostro protettore!”

 

Violenti raggi energetici puntarono su Andromeda, che, non sapendo come difendersi, venne colpito in pieno, e barcollò all’indietro, cercando di reggere quell’immensa campana che non riusciva a gettar via. Erimanto gli fu davanti e iniziò a colpirlo, pugno dopo pugno, sul petto, sulla sua corazza divina, senza riuscire a scalfirla, ma spingendolo indietro e facendogli comunque male.

 

“Ba... Bastaaa!!!” –Urlò Andromeda, bruciando al massimo il proprio cosmo. Con grande sforzo riuscì a gettar via l’enorme campana, proprio mentre Erimanto caricava nuovamente con le sue affilate zanne. Andromeda si spostò di lato, evitando l’affondo, prima di caricare il palmo della mano destra con il suo cosmo rosa.

 

“Onda energetica! Via!” –Gridò, liberando guizzanti scariche di energia, che colpirono Erimanto in pieno, scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare contro un mucchio di colonne del Tempio, che crollarono subito su di lui.

 

Il berseker cercò subito di rimettersi in piedi, per quanto la violenza del colpo subito lo avesse stordito e ferito in più punti, e concentrò il cosmo sul palmo sinistro, per scagliare nuovamente il suo attacco cosmico. Ma Andromeda non fu da meno, rilanciando l’Onda Energetica, che fronteggiò a mezz’aria il colpo di Erimanto, caricando l’aria di una forte tensione cosmica.

 

“Rinuncia Erimanto!” –Esclamò Andromeda, cercando di risvegliare nel guerriero di Ares la sua vera natura, probabilmente non così bellica e sadica come il Dio della Guerra avrebbe voluto. –“C’è ancora tempo per guarire!”

 

“Guarire?! Sciocca follia di questo mondo!” –Gridò Erimanto, continuando a spingere. –“Tutto è follia in questo mondo, scriveva Leopardi il Grande! Fuorché il folleggiare! Tutto è degno di riso, fuorché il ridersi di tutto! Tutto è vanità, fuorché le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze!”

 

“La pace non è una follia, Erimanto, ma qualcosa a cui dobbiamo aspirare! Qualcosa per cui vale la pena combattere!”

 

“Nella mia solitudine non esiste niente per cui valga la pena morire!” –Commentò cinicamente l’uomo, mettendo tutte le sue forze in quell’ultimo attacco.

 

“Triste è ciò che affermi, guerriero di Ares! Forse il Dio della Guerra ha distrutto anche i tuoi sogni e le tue speranze, oltre che il tuo vero animo?!” –Rifletté Andromeda, prima di caricare nuovamente il suo assalto. –“Onda Energetica!”

 

L’onda di energia rosastra guizzò nell’aria, travolgendo il colpo di Erimanto e raggiungendo l’uomo, stritolandolo tra i suoi fulmini e spingendolo indietro. Ma prima che potesse reagire, Erimanto fu raggiunto dalle Catene di Andromeda, che lo immobilizzarono, impedendogli di muoversi, mentre la catena di offesa si arrotolava intorno al corno piantato nel suo cranio.

 

Andromeda abbassò gli occhi, rattristato, ma si convinse che quello era il modo migliorare per onorare la vera anima dell’uomo che aveva combattuto.

 

Aaahhh!!!” –Urlò Erimanto, in preda ad un dolore atroce, mentre la Catena di Andromeda toglieva di forza la zanna piantata nella sua testa.

 

“Perdonami, guerriero di Ares! Ma vorrei che la tua morte non fosse vana, che essa potesse farti ricordare il tuo vero io, quell’uomo, quel cantore, quel poeta che sei probabilmente stato in vita, e che Ares ha ucciso!”

 

Erimanto si accasciò a terra, in una pozza di sangue, mentre le catene scintillanti di Andromeda si ritiravano, tornando dal loro padrone. L’uomo rantolò un poco sul terreno, trovando la forza di voltarsi e fissare il soffitto, mentre Andromeda lo raggiungeva.

 

“Un... prete…” –Commentò il berseker. –“Sì, ero un prete… e amavo leggere e scrivere poesie... la vita per me era come un libro, un grande libro, a cui ogni giorno potevo aggiungere una pagina…

 

Andromeda si inginocchiò accanto all’uomo, prendendo le sue mani insanguinate e unendogliele sullo stomaco, sospirando rattristato. Ascoltò ancora le parole del guerriero, anche se era sicuro che non fossero dirette a lui, ma solamente a se stesso, all’uomo che Ares aveva annientato.

 

“Anche il libro peggiore ha la sua pagina buona…” –Commentò infine Erimanto, voltandosi verso Andromeda. –“E questa è la mia... l’ultima!” –E spirò.

 

In quel momento le tre campane di cristallo andarono in frantumi, liberando gli amici dentro rinchiusi. Sirio, Pegasus e Phoenix, piuttosto storditi, si rimisero presto insieme, raggiungendo Andromeda, che raccontò loro, in breve, l’accaduto. Phoenix guardò orgoglioso il fratello, lodando la sua determinazione in battaglia.

 

“Ci hai salvato, Andromeda!” –Commentò il Cavaliere della Fenice, prima di incamminarsi avanti, verso l’uscita del Quarto Tempio.

 

“Beh, consideralo un anticipo sul pagamento per le numerose volte in cui tu hai salvato me!” –Scherzò il ragazzo, lanciandosi dietro al fratello insieme agli altri amici.

 

In breve uscirono dalla Quarta Casa, correndo verso la successiva, il Tempio del battagliero Leone, senza mai essere persi di vista dal penetrante sguardo di Ares.

 

Seduto sul trono di velluto, nella Tredicesima Casa del Grande Tempio, Ares aveva osservato tutte le battaglie finora combattute dai Cavalieri di Atena, e sogghignava soddisfatto per come stava procedendo il suo piano.

 

“I primi quattro custodi avevano soltanto il compito di stancare i Cavalieri di Atena, di dare loro un assaggio della forza dei berseker, senza ucciderli! Sapevo bene che per Nemea e gli altri tre incapaci sarebbe stato impossibile!” –Rifletté il Dio. –“Ma presto abbandoneranno quel loro stupido sorriso beota, da facile vittoria! Ooh, sì... ci penserà lui ad ucciderli tutti! Mio figlio non li farà mai passare per il Quinto Tempio!!!” –Ed esplose in una pazza risata, che rimbombò nell’ampio salone della Tredicesima Casa, prima che una nuova questione attirasse la sua attenzione.

 

Flegias! Mormorò Ares. Dove diavolo si è cacciato? Gli avevo affidato una missione di delicata importanza, e ancora non ho sue notizie! Rifletté irato, cercando di usare il cosmo per trovare il Flagello degli Uomini. Lo trovò, proprio dove doveva essere. Alle pendici del Monte Etna.

 

E sorrise.

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo undicesimo: Assalto all'Olimpo ***


CAPITOLO UNDICESIMO. ASSALTO ALL’OLIMPO.

 

Zeus aveva assegnato a Giasone il compito di organizzare la difesa dell’Olimpo, in assenza di Phantom e di Ermes, che il Dio sperava rientrassero in fretta. Ares attaccherà quanto prima! E in quel momento avremo bisogno di tutte le forze disponibili, di tutti i poteri che saremo capaci di reperire, dentro e fuori di noi! Rifletté il Sommo Zeus, uscendo dalla vasca della enorme sala da bagno nella propria Reggia e fermandosi di fronte ad un ampio specchio a muro.

 

Sul suo corpo scivolavano soffuse gocce di acqua, risplendendo come rugiada sul fisico scolpito del Signore dell’Olimpo. Per quanto esistesse da millenni, Zeus sembrava non risentire minimamente del trascorrere del tempo, di quello stesso tempo di cui suo padre Crono aveva voluto privarlo. Aveva il corpo di un trentenne mortale, con ampie spalle e petto robusto, un viso maschile ma al tempo stesso delicato, e mossi capelli dorati, lunghi fino alle spalle. In mezzo al viso risplendevano due occhi grigi come il diamante, splendenti e puri, simboli dell’Olimpo di cui era il Signore.

 

Piccoli passi risuonarono nella sala da bagno, senza scomporre il Dio che continuava a rimirarsi nel limpido specchio. –“Mio Signore, perdonatemi… vi ho portato i vostri abiti migliori…”

 

“Poggiali pure là, Ganimede!” –Commentò Zeus, voltandosi verso il ragazzo e osservando la solerzia con la quale svolgeva i suoi compiti. –“Anche se credo che oggi indosserò vesti differenti…” –Ironizzò, riferendosi alla sua Veste Divina.

 

“Ho lucidato personalmente la vostra armatura, Signore!” –Si inginocchiò Ganimede. –“E migliaia di fulmini sono stati fabbricati da Efesto, pronti per essere stretti dalle vostre possenti mani!”

 

“Ti ringrazio, Ganimede…” –Sorrise Zeus, congedando il ragazzo.

 

Come io desiderai stringerti millenni fa?! Rifletté il Dio, ricordando l’impetuosa passione d’amore che aveva provato per il giovane Ganimede, al punto da ordinare a un’aquila di rapirlo e condurlo sull’Olimpo, donandogli la gioventù eterna. Che sia stato anch’esso un capriccio divino?! Si chiese, fissando nuovamente il proprio volto nello specchio. Che sia stato un capriccio anche credere di regnare per sempre sull’Olimpico Trono, guardando il mondo dall’alto, schivo alle umane genti?! Non rispose, ma una goccia di tristezza scivolò sul suo volto, portandolo a sospirare, prima di terminare di asciugarsi ed indossare le proprie regali vesti.

 

Nel frattempo, Giasone aveva concordato con gli altri pochi Cavalieri Celesti la difesa dell’Olimpo, decidendo di concentrare un’unica forza a difesa del Bianco Cancello, un tempo preservato da Bronte del Tuono.

 

“Se i nostri nemici riusciranno a passare, sarà Artemide, con i pochi Cacciatori che le sono rimasti, ad affrontarli!” –Esclamò Giasone, rivolgendosi ai Dioscuri.

 

“Non temere! Sapremo tenere testa ai berseker!” –Affermò Castore, spavaldo come sempre.

 

Ma Polluce non rispose, memore della sconfitta subita pochi giorni prima dal Cavaliere di Andromeda. Se Ares dispone di un gruppo di guerrieri forti e decisi come i cinque Cavalieri Divini di Atena allora possiamo metterci l’animo in pace fin da ora! Mormorò, sconcertato.

 

“I miei Cacciatori sono già nella Foresta Sacra, appostati sugli alberi con le loro frecce avvelenate!” –Intervenne Artemide nella conversazione. –“Sono pochi, è vero, ma hanno tutta la determinazione che si confà a un Cavaliere Celeste!” –Aggiunse, tirando un’occhiata quasi di rimprovero a Polluce.

 

“E noi non saremo da meno, Dea della Caccia!” –Esclamò Giasone, stringendo i pugni.

 

In quel momento la porta dell’armeria, dove i quattro erano riuniti a consiglio, si aprì ed un ragazzetto ed una donna entrarono nella stanza.

 

“Se è questo il luogo dove si discute la difesa dell’Olimpo, allora ci uniremo a voi, Cavalieri Celesti!” –Esclamò la donna, con aria seria e decisa.

 

“E cosa sperate di fare?!” –La schernì Castore. –“Una donna e un ragazzino ferito, con le armature distrutte, pensano di opporsi alla violenza incendiaria dei guerrieri di Ares?!”

 

“Non deridere quella donna!” –Lo zittì Artemide. –“Ella è più degna di molti altri di combattere su questo monte sacro!”

 

“Ti ringrazio, Divina Artemide!” –Commentò Tisifone del Serpentario.

 

“Inoltre avremo bisogno di tutti i Cavalieri disponibili!” –Intervenne Giasone. –“E se Tisifone e… perdonami non ricordo il tuo nome…” –Aggiunse, rivolgendosi al ragazzetto dai capelli castani.

 

“Sono Asher dell’Unicorno, di Atena Cavaliere!”

 

“Se Tisifone e Asher vogliono combattere al nostro fianco, rischiando la vita per la difesa dell’Olimpo, non sarò certo io ad impedir loro di lottare per i propri ideali!”

 

“Sappiamo che Atena rimarrà con Demetra, Era e Asclepio nella Sala del Trono, a unire il proprio cosmo a quello di Zeus, per fermare l’avanzata dei guerrieri di Ares! Il nostro compito sarà quello di difendere la nostra Dea e suo Padre, Dio che ci ha accolto con gentilezza e generosità!”

 

“Chiudersi nella Sala del Trono?!” –Sbuffò Artemide. –“È una sciocchezza! Le guerre si vincono scendendo in campo e combattendo faccia a faccia con il proprio nemico, con la spada in mano e il pugno carico di energia!”

 

“Anch’io la penso come te, Dea della Caccia!” –Rispose Tisifone. –“Per questo motivo ti chiedo di accettarmi tra i tuoi Cacciatori e concedermi l’onore di combattere al tuo fianco!” –La richiesta della Sacerdotessa, sincera ma decisa al tempo stesso, lasciò la schiva Artemide per un momento in silenzio. Ma poi, spostandosi i capelli scuri all’indietro, non trovò alcun motivo per rifiutarle tale richiesta.

 

“Di morire al mio fianco, vorrai dire!” –Ironizzò la Dea, muovendosi per uscire dall’armeria. Tisifone le andò dietro, salutando Asher e gli altri, e seguendo Artemide, che aveva intenzione di prendere immediatamente posizione, per non farsi trovare impreparati. Giasone pensò la stessa cosa, avvertendo i Dioscuri di seguirlo al Bianco Cancello con gli altri Cavalieri Celesti superstiti.

 

“Ehi... ed io?!” –Domandò Asher, richiamando Giasone.

 

“Sei libero di scegliere da solo il luogo in cui morire, ragazzo!” –Gli sorrise Giasone, in tono di scherno. Ma poi, vista la luce di determinazione che sgorgava nei suoi occhi, decise di addolcire il tono. Quel ragazzo, in fondo, gli ricordava molto Ganimede, caro amico a cui era legato da sempre.

 

“Rimani qua, alla Reggia di Zeus, e quando arriveranno uccidi quanti più nemici potrai! Per Atena, per Zeus e per tutto ciò che ritieni sacro difendere!” –Altro non aggiunse l’antico argonauta e si allontanò con Castore e Polluce, discendendo il monte, diretti verso il Bianco Cancello.

 

Pochi attimi dopo la terra tremò, mentre una forte tempesta energetica iniziò a soffiare sull’Olimpo, scuotendo gli alberi fino alle fondamenta. Una tempesta innaturale, carica di odio e di fiamme mortali. Una tempesta che aveva la sua origine nel Dio della Guerra. Il cielo si oscurò di colpo, mentre guizzanti fulmini solcarono l’aere, schiantandosi a terra con fragore. Fiamme orrende spuntarono alla base del Sacro Monte, fiamme di odio e di violenza, che marciavano compatte e decise verso la residenza del Padre degli Dei. L’esercito di Ares, i berseker del sangue e della morte, intrisi nel profondo dell’animo del velenoso cosmo del Dio della Guerra.

 

In testa all’immondo esercito marciavano i due figli divini di Ares: Phobos, Divinizzazione della Paura, e Deimos, Divinizzazione del Terrore, avuti dal suo incestuoso rapporto con Afrodite. Dietro di loro, centinaia di guerrieri ricoperti da scarlatte vestigia, muniti di armi infernali, il cui unico scopo era distruggere ed uccidere. Tra di loro vi erano altri figli di Ares, che il Dio aveva avuto con donne mortali o con ninfe. Figli bastardi, mai riconosciuti, mai neppure conosciuti realmente, tale era il disinteresse che Ares provava verso tutto ciò che non fosse la propria persona.

 

Mentre ad Ares, che rompe gli scudi Citerea partorì Phobos e Deimos, terribili, che agitano le folte schiere degli uomini, nella guerra paurosa con Ares distruttore di città... cantò un giorno Esiodo, e quel canto risuona ancora negli animi malvagi dei figli del Dio della Guerra.

 

Phobos, la Paura, dai corti capelli scuri e dagli occhi neri, bello e dal fisico scultoreo, come quello delle statue greche, marciava a destra, ricoperto dalla sua Armatura Scarlatta, con accese sfumature viola. Una veste liscia e senza troppe decorazioni, dai toni scuri e incutenti paura. Alla cintura una spada infuocata, identica a quella del fratello: dalla lama stretta e lunga, capace di perforare qualsiasi difesa. Deimos, il Terrore, dai mossi capelli neri e gli occhi grigio scuro, dal fisico simile al fratello, eccezion fatta per la corazza, scarlatta ma delle sfumature biancastre, ingannevolmente eteree, diabolicamente mortali. I bordi della sua Veste Divina erano simili ad artigli pronti a ghermire, terrorizzando i sogni e gli animi delle vittime. Alla cintura pendeva una spada infuocata come quella del fratello, e del Padre che ne aveva loro fatto dono. Alle loro spalle l’esercito di Ares, le cui urla invasate risuonavano per l’intero Olimpo.

 

“Alale alala!” –Tuonavano a gran voce, intonando il grido di battaglia di Ares nel Mondo Antico.

 

“Arrivano!” –Esclamò Ganimede, entrando di corsa nella Sala del Trono. Il ragazzo aveva indossato la propria armatura, quella della Coppa Celeste, di cui era il custode scelto da Zeus. Una Veste creata da Efesto, che ricordava le dorate corazze dei Dodici Custodi di Atene, per l’eccessiva presenza del colore aureo, che la rendeva meno simile alle Vestigia Celesti.

 

“Bene!” –Esclamò Zeus, alzandosi in piedi.

 

Era, Demetra, Asclepio e Atena erano ai piedi della scalinata di marmo, ma solo la Dea della Giustizia indossava la sua Veste Divina, ricreata da Shin per fornirle adeguata difesa contro Ade.

 

“Mio Signore…” –Si fece avanti Asclepio, ma Zeus sorprese tutti per la risolutezza che dimostrò. Espanse improvvisamente il suo cosmo, luminoso come il firmamento, carico di incandescenti bagliori divini che trovarono espressione in guizzanti saette che solcarono il cielo sopra l’Olimpica Reggia, contrastando l’infuocata tempesta di Ares. Lo scontro tra i possenti cosmi delle due Divinità fu percepito su tutto l’Olimpo e sull’intera Grecia, persino da Pegasus, Dragone e Andromeda, liberatisi da poco dai giochi della Cerva dalle Corna d’Oro.

 

La Grande Guerra era finalmente iniziata e Ares aveva mosso il suo esercito, dirigendolo compatto verso il Monte Olimpo. Il cosmo di Zeus scivolò sui verdi campi, raggiunse gli abbandonati templi che sorgevano ai lati della Via Principale, intrise i boschi di lauri e di querce, la foresta di Artemide e il Bianco Cancello, fortificando l’immortale difesa. Tutti poterono avvertire l’avvampante potere del Signore dell’Olimpo risplendere in tutta la sua fiera possanza, pronto a dimostrare ancora una volta, al nuovo nemico, chi fosse degno di sedere sul trono del Divino Monte.

 

Giasone, Artemide e gli altri Cavalieri Celesti furono inebriati dal lucente cosmo di Zeus e motivati a resistere con tutto l’ardore che avevano in corpo. Se contro i Cavalieri di Atena avevano avuto qualche reticenza, dovuta all’antico legame che li univa e alla purezza che avvertivano nei loro animi, contro Ares e il suo esercito di canaglie infami non sarebbero arretrati di un passo.

 

“Che le difese del Divino Monte siano apprestate!” –Ordinò Zeus. –“Che i Giganti di Pietra, miei fidi guardiani, si destino dal loro sonno!”

 

E in quel momento, pochi metri a valle del Bianco Cancello, proprio mentre i berseker di Ares si avvicinavano, la terra si spaccò e robuste e possenti figure nacquero dal terreno, da cui traevano origine e forza: i Giganti di Pietra, difensori dell’Olimpo, gli stessi che Pegasus e amici avevano sconfitto e superato qualche giorno prima. Gli stessi, ma in quantità e potenza maggiore, sorretti dal Divino Cosmo di Zeus. I berseker si aspettavano tale mossa, ben conoscendo tutte le difese olimpiche, avendoli Flegias informati di ciò, ma furono comunque disorientati dalla violenza e dalla repentinità con cui Zeus reagì, invocando i Giganti. Alcuni Guerrieri Scarlatti si lanciarono contro di loro, venendo respinti o schiacciati dagli immensi piedi di pietra dei Guardiani dell’Olimpo.

 

Phobos e Deimos capirono fin da subito che Zeus non si sarebbe lasciato vincere così facilmente. Ma non per questo ci tireremo indietro! Commentò Phobos, ordinando ai berseker da lui guidati di attaccare congiunti e in maniera disordinata e imprevedibile. I Giganti di Pietra sono resistenti, e non riusciremmo ad abbatterli in un attacco diretto, ma non sono umani, non dispongono della ratio umana, e questo li rende goffi e lenti nei movimenti. Un pugno tremendo di un gigante si schiantò a pochi centimetri dal Dio, interrompendo i suoi pensieri e inducendolo a non sottovalutare i suoi nemici. Con un balzo, Phobos affiancò Deimos e i due brandirono le infuocate spade del loro Padre, puntandole contro un Gigante di Pietra. L’incandescente energia da loro prodotta trapassò il colosso da parte a parte, ma fu necessario uno sforzo maggiore per mandarlo definitivamente in frantumi. L’esultanza dei berseker durò poco, alla vista di nuovi Giganti di Pietra che sgorgavano dal terreno, spuntando rapidi e pronti per combatterli. Alcuni giganti si fecero avanti, esponendosi agli assalti energetici dei Guerrieri Scarlatti, ma non riportando grandi danni.

 

Improvvisamente un corno risuonò nella massa di berseker, mentre alcuni di loro si scansavano rapidamente, per non essere travolti. Veloce come un fulmine, un carro rossastro passò in mezzo ai Guerrieri Scarlatti, puntando lesto contro un gigante di pietra; questi tentò di colpirlo, schiacciandolo con un pugno, ma il carro fu più svelto e deviò direzione all’ultimo istante, mentre l’immenso pugno di pietra si schiantava nel terreno. Phobos approfittò di quel momento per balzare sul collo del gigante e piantare dentro di lui la Spada Infuocata. Un’esplosione energetica fece saltare in aria il Dio della Paura poco dopo, mentre il Gigante di Pietra andava in frantumi.

 

“Un’ottima mossa!” –Commentò Phobos, riconoscendo l’uomo alla guida del carro. Era uno dei tanti figli bastardi di suo padre: Enomao del Carro Furioso. Uno dei tanti illusi che sperava di attirare lo sguardo del padre per ingraziarselo e ottenere gloria e benefici nel nuovo ordine che Ares avrebbe imposto al mondo. Enomao non rispose, limitandosi a incitare i cavalli e a lanciarsi all’assalto, contro nuovi Giganti di Pietra, seguito da una trentina di berseker vari.

 

“Sciocco egocentrico!” –Esclamò una voce maschile, alle spalle di Phobos.

 

Il Dio della Paura si voltò, trovandosi di fronte un terzetto di uomini non molto difformi tra loro. Barbuti, con mossi capelli scuri, e ricoperti da tozze corazze scarlatte, senza alcun fregio particolare. Molo, Pilo e Testio, tre figli che Ares ebbe da Demonice, fratelli di Eveno, che il Padre teneva leggermente in maggior considerazione.

 

Forse perché è il meno incapace di loro! Ironizzò Phobos, prima di rivolgersi bruscamente ai tre.

 

“Enomao sta eseguendo gli ordini di vostro Padre, attaccando senza sosta il nostro nemico! Non avete forse intenzione di fare altrettanto?!”

 

“Lo faremo, non preoccuparti Phobos!” –Rispose uno dei tre, ma Phobos non gli lasciò il tempo di aggiungere altro, balzando di fronte a lui e sollevandolo con il braccio, stringendolo al collo.

 

“Non permetterti più di rivolgerti a me in così inappropriato modo, stolto mortale!” –Esclamò Phobos, mentre l’infuocata spada che stringeva in mano trinciava malamente i capelli del ragazzo. –“Per te e per tutte le carogne qua presenti, io sono il Comandante Phobos, Dio della Paura! E come tale voglio essere trattato!”

 

“Sì... sì... sì…” –Urlò il ragazzo in preda al panico.

 

Phobos lo fissò per un altro secondo con i suoi occhi scuri, iniettando nel suo animo la giusta quantità di paura e riverenza, prima di lasciarlo cadere a terra, e colpirlo con un calcio in pieno viso.

 

“Alzati, miserabile! E vai a morire per il tuo Signore!” –Lo intimò Phobos, mostrandogli la via.

 

Senza proferire parola, né aiutare il fratello in difficoltà, gli altri due ragazzi si lanciarono avanti, brandendo le loro armi, seguiti presto dal terzo fratello. Phobos sogghignò, soddisfatto con se stesso e per i propri poteri persuasivi. Deimos lo raggiunse in quel momento, con aria scocciata per la lentezza con cui procedeva l’assalto.

 

“Combattiamo da trenta minuti ormai e i Giganti di Pietra continuano ad opporre resistenza! Dobbiamo superarli quanto prima e sfondare il Bianco Cancello!” –Esclamò il Dio del Terrore.

 

“Fossero uomini potremmo usare i nostri poteri su di loro…” –Commentò Phobos, prima di convenire, con il fratello, che su esseri composti da minerali ciò non era possibile.

 

“Liberala!” –Esclamò infine Deimos.

 

“Adesso?!” –Alzò un sopracciglio Phobos, quasi dispiaciuto di dover ricorrere a lei fin dall’inizio.

 

“Lei terrà a bada i Giganti di Pietra, permettendo a noi di guidare i berseker fino al Bianco Cancello!” –Spiegò Deimos, e Phobos gli diede ragione. I due fratelli si guardarono con un ghigno soddisfatto, quasi dispiaciuti per la triste sorte del reame di Zeus, che presto avrebbero distrutto.

 

Un grido improvviso lacerò l’aria, mentre una confusa sagoma deforme iniziò a spuntare tra la nebbia incandescente che avvolgeva l’esercito di Ares, una nebbia formata in parte dal cosmo incendiario del Dio della Guerra. La maggioranza dei berseker scappò terrorizzata, mettendosi ai margini dell’ampio spiazzo in cui combattevano, avendo riconosciuto le urla terribili della loro alleata: una bestia mitologica risvegliata da Ares per distruggere l’Olimpo. Nuovi versi osceni solcarono l’aere, di fronte allo sguardo compiaciuto di Phobos e Deimos. Contro di lei, Zeus non avrà speranze! Commentò Phobos. E se ancora non bastasse…

 

Un’immonda creatura comparve infine tra la nebbia, trascinandosi disordinatamente sul terreno, spaventando ulteriormente i berseker. La parte inferiore del suo corpo era serpentiforme, una lunga coda squamata di colore marrone e verdastro, putrida e fetida, che spazzava via tutto ciò che trovava sulla sua strada; il busto sembrava quasi un corpo di donna, dai connotati leggermente umani, ma la testa non era unica, bensì molteplice. Cinquanta teste diverse, ognuna appartenente ad un’orrida bestia feroce, gridavano ed emettevano versi terribili e osceni.

 

Kampe era il suo nome, il mostro posto da Crono a guardia del Tartaro, dopo che, eliminato Urano, il Dio del Tempo aveva rinchiuso gli Ecatonchiri, suoi fratelli, per paura che interferissero con i suoi piani di dominio. Un piccolo regalo di Flegias! Commentò Phobos, che, per quanto detestasse il figlio di Ares, dovette ammettere che aveva saputo ideare un piano geniale. E la presenza di Kampe avrebbe contribuito in maniera considerevole alla loro vittoria.

 

“Forza, codardi! Assalite l’Olimpo!” –Esclamò il Dio della Paura, espandendo il cosmo scarlatto. Deimos fece altrettanto, lanciandosi contro i Giganti di Pietra, con le infuocate spade sguainate.

 

Kampe li seguì all’istante, superandoli e buttandosi contro i difensori olimpici, stringendone un paio con la sua putrida coda e gettandoli gli uni contro gli altri. Era altissima e la sua coda serpentiforme era lunga a sufficienza per arrotolarsi intorno ai corpi dei giganti e distruggerli con la sua forza.

 

Approfittando della distrazione dei Giganti di Pietra, Phobos e Deimos ordinarono ai berseker di passare oltre, di correre al Bianco Cancello, dove sapevano che avrebbero nuovamente combattuto. Ma stavolta contro degli uomini! Sogghignarono i figli di Ares. E non c’è uomo che non conosca la paura, o il terrore! Ih ih ih! Alcuni berseker vennero schiacciati, fermati dai Giganti di Pietra, ma la maggioranza riuscì a passare, spinti e sostenuti dal violente cosmo di Ares che ardeva dentro di loro ed impediva a chiunque di muovere un solo passo indietro, pena l’annientamento immediato.

 

Mentre Kampe e i Giganti di Pietra si affrontavano in una battaglia senza esclusione di colpi, l’esercito di Ares continuò la sua barbara avanzata, giungendo fino al Bianco Cancello dell’Olimpo.

 

Là, il Divino Cosmo di Zeus fermò il loro progredire, costringendo Ares ad intervenire nuovamente. Scariche di energia sferzarono il cielo, mentre i cosmi delle due Divinità si fronteggiavano sull’Olimpico Monte. Le saette di Zeus si abbatterono contro l’esercito di Ares senza pietà, fulminando tutti coloro che ne venivano in contatto. E molti furono i berseker che perirono così, anonimi e impotenti, annientati dai Fulmini di Zeus di fronte al Bianco Cancello.

 

Ares contrattaccò, liberando immense vampate di fuoco, nel tentativo di raggiungere la Reggia, come aveva fatto poche ore prima. Ma inaspettatamente incontrò una forte resistenza sul suo cammino, rappresentata dai cosmi congiunti di Era e Atena, che si unirono per impedire al Dio della Guerra di andare oltre. Le fiamme divorarono il bosco alle pendici del Monte, al di fuori del Bianco Cancello, ma ad alcuni parve di vedere gli alberi scuotersi e scacciar via le fiamme, quasi fossero esseri viventi. Altri berseker videro piante muoversi, sollevarsi da terra, liberarsi dalle millenari radici che le imprigionavano e marciare contro di loro, schiacciandoli, stritolandoli con i loro rami frondosi, scaraventandoli lontano. Non è certo cosa accadde quel giorno, alle pendici dell’Olimpo, ma molti berseker persero la vita in maniera ignota, e Phobos e Deimos, per quanto non avessero detto niente per non demotivare i loro soldati, giurarono di aver visto una donna muoversi nel bosco infuocato. Una donna che aveva il potere di smuovere gli alberi e lanciarli contro i soldati di Ares: la Dea delle Coltivazioni, Demetra.

 

Il cosmo di Ares ruggì nuovamente, con maggiore impeto e vigore, approfittando anche del doppio impegno di Zeus che doveva sostenere i Giganti di Pietra, ancora alle prese con Kampe, e riuscì a spingere i suoi guerrieri fino alle prossimità del Bianco Cancello, senza però abbatterlo. Enomao, tronfio sul suo carro, incitò i berseker a fargli spazio. Avrebbe abbattuto lui l’infame Cancello.

 

“Non provarci neppure! O userò quel che resterà della tua carretta come bara per tutti voi berseker!” –Esclamò improvvisamente una voce maschile. Un fulmine si schiantò di fronte al Bianco Cancello, travolgendo alcuni berseker, e illuminando il muro di cinta in cima al quale si ergeva un Cavaliere dalla Celeste armatura.

 

“Ma guardatelo!” –Lo schernirono alcuni guerrieri. –“È uno solo!”

 

“Uccidiamolo! Sii!!!” –E molti si lanciarono all’assalto.

 

“Stolti!” –Mormorò il Cavaliere Celeste, sollevando il piccolo ma compatto scudo che portava affisso al braccio sinistro. –“Scudo della Colchide!” –Una devastante energia partì dallo scudo del Cavaliere, travolgendo i berseker che puntavano su di lui, annientandoli completamente, di fronte agli occhi sbigottiti degli altri Guerrieri Scarlatti.

 

“Beh?!” –Li derise Enomao, all’apparenza per niente intimorito. –“Cosa sono quelle facce?! Siamo i guerrieri del Sommo Ares e siamo pronti a morire per lui!” –E incitò i cavalli del suo carro.

 

“Ed è questa la fine che vi attende se solo oserete avanzare di un altro passo!”

 

“E tu da solo vorresti impedircelo?!” –Ironizzò Enomao. –“Folle e temerario se speri di tenere testa a trecento berseker! Chiunque tu sia!”

 

“Giasone di Iolco è il mio nome celeste, se questo ti dice qualcosa!” –Commentò il ragazzo, mentre il volto di Enomao cambiò lievemente espressione, adombrandosi con preoccupazione. –“E in quanto al resto… non credo proprio di essere solo!”

 

Improvvisamente guizzanti fasci di energia attaccarono i berseker, mentre altre due figure facevano la loro comparsa, piombando direttamente nello spiazzo antistante al Bianco Cancello. Erano due ragazzi, molto simili tra loro, e le Armature Celesti che indossavano erano praticamente speculari. Dall’acceso colore celeste, con raggianti sfumature bianche, coprivano buona parte del corpo dei due, lasciando scoperte solamente poche zone, lungo le braccia e nella parte superiore delle gambe. I due erano alti e ben fatti, con un viso maschile, capelli castani mossi e occhi marroni, e si presentarono come i Dioscuri, i figli di Zeus.

 

“Bene!” –Commentò Enomao, con spavalderia. –“Per rispetto alla vostra divina parentela morirete per mano di un figlio di Dio! C’è solo l’imbarazzo della scelta su chi vi ucciderà! Ah ah ah!”

 

In quel momento tuonarono nuovamente i cosmi di Ares e di Zeus, accendendosi ancora una volta nei cieli sopra l’Olimpo. Le grida di Kampe risuonarono nell’aere, insieme alla distruzione dei Giganti di Pietra, che Zeus non poteva più permettersi di sostenere. Con i berseker al Bianco Cancello era prioritario impedire loro l’accesso al Sacro Monte.

 

Phobos e Deimos sorrisero soddisfatti. Avevano perso quasi centotrenta guerrieri, ma adesso, con Kampe al loro fianco, avrebbero abbattuto il Bianco Cancello e invaso l’Olimpo.

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo dodicesimo: Fratelli di battaglie ***


CAPITOLO DODICESIMO. FRATELLI DI BATTAGLIE.

 

L’armata dei berseker si fece avanti, sostenuta dal violento cosmo di Ares, mentre i fulmini di Zeus squarciavano l’aria, schiantandosi periodicamente su qualche Guerriero Scarlatto.

 

“Non arretrate, pavidi!” –Gridarono Phobos e Deimos, incitando i guerrieri ad avanzare.

 

Castore e Polluce, i Dioscuri, si buttarono nella mischia, iniziando violenti corpo a corpo contro i berseker di Ares. Frecce volarono nell’aria, dirette verso i due figli di Zeus, ma non raggiunsero il bersaglio, venendo ogni volta fermate da una barriera misteriosa. Anche le lance e le spade che venivano lanciate contro di loro non riuscivano a ferirli, e questo fece insospettire i berseker.

 

“Pugno di Zeus!” –Gridò Castore, concentrando il cosmo sul pugno destro. La sagoma di uno scintillante pugno celeste apparve davanti ai berseker, proprio mentre il Cavaliere Celeste spingeva il braccio avanti per colpirli. Una decina furono i guerrieri travolti, ed un’altra decina si avventò su di loro, brandendo armi, ma tutti furono respinti. Non soltanto, quella volta le stesse armi si rivoltarono contro i loro padroni. Frecce tornarono indietro, piantandosi nei petti dei malvagi arcieri, mentre lance e spade tagliavano le braccia dei loro possessori.

 

Fate attenzione, amici! Commentò Giasone, in piedi sul muro di cinta, impegnato a respingere gli assalti dei berseker di Ares. Polluce si accasciò improvvisamente a terra, stanco per aver fatto eccessivo uso dei suoi poteri mentali e per le ferite riportate giorni prima contro Andromeda.

 

“Polluce!” –Esclamò preoccupandosi il fratello.

 

“Non curarti di me, Castore!” –Lo rimproverò Polluce, tentando di rialzarsi.

 

Enomao approfittò di quel momento per travolgere i due Cavalieri Celesti, passando in mezzo a loro con il suo scintillante carro.

 

“Chi sei, tu?” –Esclamò Polluce, rialzandosi.

 

Davanti a loro, su un rifinitissimo carro dal colore scarlatto e dorato, c’era un uomo di mezza età, dal volto bianco e i capelli grigi, consumato dall’odio e dal dolore che ne avevano fatto uno scheletro inorridente. Guidava un carro dotato di mirabolanti poteri, grazie ai cavalli alati che lo conducevano, di cui Ares gli aveva fatto dono.

 

“Enomao del Carro Furioso è il mio nome, figlio di Ares e di Arpinna, nonché Re di Pisa, nell’Elide!” –Esclamò l’uomo, caricando i propri cavalli.

 

“Cavalli eh?!” –Mormorò Polluce tra sé, mentre Enomao caricava contro di loro.

 

Il figlio di Zeus concentrò i propri sensi, sfruttando il potere di domatore che gli era proprio dai tempi del mito, potere con il quale poteva controllare tutti gli esseri inanimati e animali, soprattutto i cavalli, da lui tanto amati. Ma con somma sorpresa, e dispiacere, Polluce realizzò di non essere in grado di fermare i cavalli di Enomao, che lo travolsero violentemente, mentre il figlio di Ares, brandendo un’affilata lancia, ferì il Cavaliere Celeste ad una spalla.

 

“Polluce!” –Urlò Castore, vedendo il fratello in difficoltà. Ma non poté correre in suo aiuto, circondato come si ritrovava da decine di berseker accaniti.

 

“Muori!” –Urlò Enomao, lanciandosi nuovamente alla carica.

 

“Fermati!” –Gridò Polluce, portando il braccio destro avanti di colpo. –“Carica dei Cento Cavalli!” – E lanciò il suo colpo segreto. Ma la Carica dei Cavalli Celesti si scontrò con quella dei Cavalli di Ares, la quale, in virtù del divino cosmo che la sorreggeva, risultò vittoriosa, travolgendo nuovamente il Cavaliere Celeste e scaraventandolo lontano.

 

Subito un plotone di berseker fu su di lui, brandendo lance e asce, pronti per ucciderlo. Polluce rotolò sul terreno, si dimenò come un matto, per evitare gli assalti dei nemici, numericamente superiori a lui, incapace di comprendere per quale motivo il suo maggiore potere avesse fallito. Una lama incandescente lo ferì ad uno stinco, costringendolo ad accasciarsi al suolo, mentre un’oscura ascia calava su di lui. Ma prima che la scure sfiorasse il corpo di Polluce, uno scudo robusto si interpose tra loro, respingendo l’orrida arma. Lo scudo rotante continuò la sua corsa, travolgendo altri berseker, prima di tornare nelle mani del suo padrone: Giasone della Colchide, Cavaliere Celeste di Zeus.

 

“Polluce?! Tutto bene? Riesci a camminare?” –Domandò l’argonauta, raggiungendo l’amico.

 

“Sì, non preoccuparti, attento!” –Urlò Polluce, indicando un nuovo assalto dei berseker. Ma Giasone fu abile a roteare lo scudo, evitando un nugolo di frecce che erano dirette contro di loro.

 

“Scudo della Colchide!” –Espanse nuovamente il proprio cosmo, travolgendo una decina di berseker intorno a loro, prima di aiutare Polluce a rimettersi in piedi.

 

Castore era in evidente difficoltà contro altri berseker e per salvare Polluce Giasone aveva dovuto abbandonare la guardia del Cancello, lasciando soltanto un paio di Cavalieri Celesti inferiori, che furono facilmente sopraffatti.

 

Le immonde grida di Kampe risuonarono nello spiazzo, prima che l’orrida bestia dalle cinquanta teste facesse la sua comparsa. Giasone, Polluce e Castore inorridirono, nel vedere il suo mostruoso aspetto, e realizzarono che non avrebbero potuto fermarla. La coda serpentiforme di Kampe afferrò Castore, stringendolo con forza, prima di sbatterlo violentemente a terra, come un peso morto.

 

“Castore!!!” –Gridò Polluce, spaventato.

 

Il Dioscuro raccolse tutte le sue forze, concentrando i propri sensi, e riuscì a scagliare contro l’orrida bestia tutte le armi che aveva intorno, persino quelle ancora in mano ai berseker. Con astuzia, Polluce puntò contro le facce della mostruosa creatura, mirando agli occhi, e riuscendo in parte nel suo intento, ferendo parecchie bestie. Giasone imitò l’amico, impugnando la sua spada e balzando avanti, sopra il corpo squamoso della bestia, per quanto disgustoso fosse. Il Cavaliere Celeste iniziò a dare colpi robusti di spada alla pelle di Kampe, che inizialmente parve non accorgersi neppure del suo ospite, intenta com’era a difendersi dall’assalto delle armi di Polluce.

 

“Aaaah!!! Che l’antico potere della Colchide venga a me!” –Gridò Giasone, espandendo al massimo il proprio cosmo.

 

La lama celeste entrò nella pelle di Kampe, che emise decine di gridi diversi, tremando e sguisciando all’impazzata. Castore fu liberato dalla presa stritolante e lasciato precipitare a terra, mentre anche Giasone fu sbalzato via, riuscendo comunque a ricadere in piedi.

 

L’infernale bestia accusò il colpo, sentendo il freddo metallo della celeste lama, e tutta la sua pura energia, entrare dentro di lei, e questo la fece impazzire ulteriormente, dimenandosi come una forsennata. La sua coda serpentiforme strisciò convulsamente sul terreno, travolgendo alberi e persino berseker, prima di afferrare il Bianco Cancello con forza.

 

Il potere di Zeus e quello di Ares erano ancora impegnati a scontrarsi tra loro nei cieli dell’Olimpo, mentre Kampe abbatté il Bianco Cancello, sbattendolo con forza a terra e poi contro le mura. Freneticamente, la sua coda iniziò a distruggere tutto il muro circostante, aprendo la via alla conquista dell’Olimpo da parte dei berseker di Ares.

 

Enomao, sul suo Carro Furioso, si lanciò avanti, seguito da centinaia di Guerrieri Scarlatti. Phobos e Deimos erano tra questi, seppure leggermente più indietro rispetto a prima. I due fratelli avevano infatti qualche timore che la scalata olimpica si sarebbe rivelata più difficile del previsto e preferivano rimanere nelle retrovie, per meglio controllare l’avanzata.

 

“Dobbiamo… fermarli!” –Esclamò Castore, rimettendosi in piedi. Ma sia lui che il fratello erano molto deboli e feriti. Castore aveva un braccio rotto, stritolato dalla coda mortifera di Kampe, mentre Polluce era pieno di tagli su tutto il corpo, e camminava a fatica.

 

“Zeus, Padre... li fermeremo…” –Mormorò Polluce, trascinandosi con difficoltà.

 

“Fate attenzione…” –Urlò Giasone, raggiungendo i due fratelli, mentre un nuovo assalto dei berseker piombava su di loro.

 

“Non temere per noi! E corri avanti a salvare il nostro Signore!” –Lo incitarono i Dioscuri.

 

“Non senza di voi!” –Rispose Giasone, eliminando, con la sua spada, un paio di Guerrieri Scarlatti.

 

Le grida immonde di Kampe fecero rabbrividire nuovamente i tre Cavalieri Celesti, mentre la creatura scendeva su di loro. Delle cinquanta bestie ne rimaneva una quarantina, ma continuavano ad essere orribili, quasi demoniache.

 

“Maledettaaaa!!!” –Urlò Castore, scagliando il Pugno di Zeus contro una delle sue teste.

 

La bestia fu colpita in pieno e la testa esplose, ma il Cavaliere venne afferrato dalle zanne di un altro animale, dalle sembianze simili ad un licaone, obbligando Giasone a saltare nuovamente avanti per liberarlo. La spada lucente del Cavaliere Celeste affondò nella testa dell’orrida bestia, ma Kampe quella volta reagì, punendo colui che aveva usato colpirla due volte, afferrandolo con la sua coda squamata. Giasone fu stretto dalla coda serpentiforme, perdendo la presa della sua spada, e sollevato fino a portarlo di fronte alle teste della creatura, tutte con i denti digrignati, sporchi di bava e di sangue, e pronti ad affondare nel suo corpo.

 

“Dobbiamo aiutarlo!” –Esclamò Polluce, raccogliendo il suo potere. Usò numerose armi che erano intorno a lui, lanciandole contro le fauci aperte della bestia, ferendone molteplici, mentre Castore balzava in alto, caricando il pugno destro di energia cosmica.

 

“Pugno di Zeus!” –Gridò, sbattendolo con forza contro la coda della bestia. Ma per quanto Kampe accusasse il colpo, e perdesse molte delle sue teste, non mollò minimamente la presa, obbligando i Dioscuri ad un maggiore sforzo.

 

“Giasone, amico mio, non temere, ti salveremo!” –Mormorò Castore, raccogliendo il proprio cosmo, allo stesso modo di Polluce. I due fratelli si guardarono per un momento prima di unire un proprio braccio al braccio dell’altro, preparando il loro colpo congiunto.

 

“Illusione dei Dioscuri!” –Esclamarono insieme, mentre le sagome dei loro corpi iniziarono a moltiplicarsi a dismisura, invadendo tutto lo spazio intorno a Kampe.

 

La mitologica bestia inizialmente non si accorse del trucco dei due fratelli, continuando a stritolare Giasone, pronta per azzannarlo con i suoi multiformi denti. Ma i Dioscuri le diedero un buon motivo di considerazione, attaccandola congiuntamente da ogni direzione. Decine e decine di Pugni di Zeus e di Cariche dei Cento Cavalli piombarono sulle bestie che componevano Kampe, massacrando i loro volti deformi con tutta la forza che avevano in corpo.

 

Kampe si agitò, strillò emettendo orridi suoni, mosse la coda all’impazzata cercando di colpire i due fratelli, ma i suoi colpi andarono a vuoto, incontrando soltanto evanescenti immagini create dall’Illusione dei Dioscuri. Kampe non era Andromeda,  e non disponeva dell’utilissimo mezzo che era la sua catena, capace di discernere tra le varie illusioni e trovare i veri Castore e Polluce.

 

“Pugno di Zeus!” –Urlò ancora Castore, seguito dal fratello. E quella volta puntarono contro la coda, liberando Giasone dalla putrida prigionia e facendolo crollare a terra. In quella, stanchi per il lungo assalto, i due fermarono il loro attacco, correndo a sincerarsi delle condizioni del compagno.

 

Le illusioni scomparvero e così pure i molteplici attacchi che Kampe stava subendo, permettendo all’orrida bestia di focalizzare nuovamente i propri nemici: tre moscerini ai suoi piedi, pronti per essere schiacciati. Ma prima che la bestia riuscisse a muovere la sua coda, si ritrovò immobilizzata a terra, stretta in una morsa robusta che difficilmente riuscì a comprendere.

 

Castore, Polluce e Giasone, rimessosi in piedi, osservarono straniati l’inaspettata prigionia della bestia. Gli alberi intorno si erano destati dal loro antico sonno, sollevandosi per fermare l’avanzata della putrefatta bestia. Tigli e lauri, e possenti querce, che avevano sempre circondato la base dell’Olimpo mossero in guerra contro Kampe, afferrando la sua coda con i loro rami frondosi, piantandosi saldamente nel terreno e stringendo la creatura in una stretta resistente e mortale.

 

La bestia risvegliata da Flegias urlò disperata, guaendo a più non posso, davanti agli occhi attoniti dei tre Cavalieri, prima che una figura, avvolta da un mantello marrone, apparisse in mezzo a loro.

 

“Adesso Cavalieri! Presto! Non riuscirò a trattenerla per lungo!” –Esclamò una voce di donna.

 

“Demetra!” –La riconobbero i Cavalieri Celesti.

 

“Colpitela, presto!” –Li incitò la Dea delle Coltivazioni, mentre con il suo potere guidava gli alberi nella dura lotta.

 

Kampe si dimenava come una pazza, muovendo follemente la coda e spazzando via molti alberi, ma Demetra usò tutto il suo cosmo per opporsi a lei, fermando i suoi movimenti, per permettere a Giasone e ai Dioscuri di ucciderla. I tre Cavalieri Celesti unirono i loro cosmi, espandendoli al massimo, forti dell’aiuto divino ricevuto.

 

“Pugno di Zeus!” –Gridò Castore, mentre Polluce gli fece eco con la Carica dei Cento Cavalli.

 

Giasone balzò in alto, mentre i lucenti attacchi dei Dioscuri stordivano le teste della bestia, brandendo la sua lucente spada, caricandola del proprio cosmo, e colpì il punto giusto: il corpo di Kampe, quel gracile tronco dalle sembianze umane, che sembrava così piccolo e insignificante rispetto all’immonda massa della sua coda e alle orribili forme della sua testa. Piccolo, ma vitale, in quanto in esso si trovava il cuore del mostro.

 

La lama della Colchide affondò nel petto della bestia, trapassandola da parte a parte, lacerandola in orripilanti grida di dolore. Kampe si attorcigliò su se stessa, mentre litri di linfa vitale, nera come la pece, sgorgavano dalla sua ferita, urlando disperatamente, sollevandosi un’ultima volta, con tutta se stessa, verso il cielo. Un attimo dopo crollò a terra, orribile gigante di malvagità, schiacciando, nel crollare, Castore e Polluce, che per colpirla si erano troppo avvicinati a lei.

 

Demetra ordinò subito agli alberi di sollevare l’orrida carcassa, per permettere a Giasone di liberare i corpi dei due Cavalieri Celesti, e portarli fuori. Castore e Polluce erano molto deboli e tossivano violentemente, sputando sangue e il liquido nerastro che era entrato loro in gola.

 

“Coraggio, amici!” –Li esortò Giasone, osservando gli sforzi dei due fratelli di rimettersi in piedi.

 

L’oscura linfa vitale di Kampe aveva ricoperto i loro corpi, entrando a contatto con le ferite aperte dei due Cavalieri, inquinando il loro sangue. Giasone rivolse un’aria preoccupata a Demetra, temendo per l’intossicazione dei due Cavalieri Celesti, ma la Dea non seppe offrirgli altro che un mesto sorriso di consolazione. Demetra giunse le mani e si inginocchiò, pregando, mentre il suo cosmo, dai colori verdi come la natura, cresceva intorno a lei, raggiungendo i Cavalieri poco distanti. Per qualche momento a Castore e Polluce parve di sentire il loro corpo risanarsi, toccato dalla purezza naturale del cosmo della Dea delle Coltivazioni.

 

Improvvisamente, intorno ai tre Cavalieri iniziarono a spuntare piante arbustive, evocate dal cosmo di Demetra; piante di una ventina di centimetri di altezza, dalle foglie biancastre e pelose, e dai fiori rosacei, che spuntarono immediatamente.

 

“Ecco, è l’unico modo che conosco per essere utile!” –Sorrise la Dea, cogliendo qualche foglia di timo. –“Il timo comune, intriso del cosmo della Dea delle Coltivazioni, libererà la vostra pelle, stimolando la circolazione sanguigna e purificandovi e depurandovi dall’oscura linfa della bestia!”

 

“Grazie, Dea delle Messi…” –Sorrise Castore.

 

“Tu vai!” –Si rivolse quindi Demetra a Giasone. –“Zeus avrà bisogno di tutti i suoi Cavalieri, adesso che i guerrieri di Ares hanno varcato il Bianco Cancello! Vai, e non temere, curerò io le ferite dei tuoi compagni!” –Aggiunse, notando la reticenza di Giasone ad abbandonare i Dioscuri.

 

“Sì!” –Esclamò infine il Cavaliere Celeste, stringendo i pugni.

 

Rivolse un ultimo sguardo a Castore e Polluce, seduti malamente a terra, con i corpi feriti e grondanti sangue scuro, e si augurò che l’influsso benefico di Demetra servisse per medicarli. Quindi scattò avanti, lanciandosi in una folle corsa all’inseguimento dell’esercito di Ares, lungo la Via Principale che conduceva alla Reggia di Zeus.

 

I berseker avevano varcato disordinatamente il Bianco Cancello, entrando nel Regno di Zeus, procedendo lungo la Via Principale. Qualcuno di loro si era inoltrato all’interno del bosco circostante ma era scomparso molto presto dalla vista dei compagni, che non avevano perso tempo nell’andarlo a ricercare. Pochi minuti dopo una fitta nebbia calò su di loro, avvolgendo la strada principale e rendendo difficoltosa l’avanzata dei Guerrieri Scarlatti.

 

“Non vi fermate!” –Urlarono Phobos e Deimos, incitando i guerrieri a proseguire. –“È solo un trucco per fermarci, ma non ci riusciranno!” –E nel dir questo, Phobos ordinò di accendere fiaccole e tizzoni per illuminare la via. –“E se questo non bastasse…” –Aggiunse, liberando la propria Spada Infuocata. Lanciò un fendente avanti a sé, che corse sul terreno, scavando un profondo solco, fino a perdersi nelle nebbie di fronte a loro.

 

Improvvisamente una fitta pioggia di frecce iniziò a cadere sopra i berseker di Ares. Molti furono colpiti, feriti al collo o nelle parti lasciate scoperte dalle corazze, ma subito reagirono, imbracciando gli scudi e difendendosi, per quanto non riuscissero a comprendere da dove provenissero gli attacchi. Phobos si volse verso il fratello, con sguardo sornione, e sibilò qualcosa nel suo orecchio.

 

“I Cacciatori di Artemide!” –Mormorò Deimos, con aria sogghignante. Quindi si voltò verso i berseker, impartendo loro l’ordine definitivo. –“Continuate ad avanzare, fino alla Reggia di Zeus, qualunque cosa accada avanzate sempre!” –Quindi fece un cenno al fratello e insieme a lui uscì dall’ammassata marmaglia di Guerrieri Scarlatti, scattando velocemente all’interno della Foresta. Avevano un conto in sospeso con la Divina Artemide, e l’avrebbero chiuso molto presto.

 

In quel momento il Sommo Zeus giocò la sua carta migliore, la difesa estrema dell’Olimpo. Insieme ad Asclepio, Era ed Atena, il Padre degli Dei raggiunse il giardino retrostante la propria reggia, dove esisteva un pozzo. Un piccolo pozzo dalla forma circolare, costruito con rozze pietre, che Era aveva sempre ritenuto poco adatto alla magnificenza dei Giardini Olimpici, ma Zeus, ogni qualvolta la sua sposa gli aveva chiesto di abbatterlo, si era sempre opposto, intimando lei, e chiunque altro ne avesse avuto intenzione, di non osare neppure sfiorare il sacro pozzo.

 

“Perché siamo qua?” –Domandò Era, osservando il serio volto dell’amato.

 

“Un antico rito sta per compiersi, e per farlo necessito del tuo aiuto, mia sposa, e di quello di mia figlia!” –Spiegò il Dio.

 

“Un rito?!” –Ripeté Era, non comprendendo.

 

“Millenni or sono, quando il mondo era ancora giovane, combattemmo una violenta guerra contro mio padre, Crono, e i suoi fratelli, i Titani! Ma i Titani, figli di Gea la Terra, non erano le uniche Creature primordiali! No, al loro fianco, nella Prima Generazione Cosmica, esistevano altri esseri che combatterono al nostro fianco, al mio fianco, contro Crono che li aveva privati della libertà!”

 

“Intendi dire…?!” –Balbettò Era, il cui ricordo di quelle creature non sembrava essere così sereno come quello dell’amato.

 

“Gli Ecatonchiri! I Distruttori per eccellenza!” –Chiarì Zeus.

 

“Gli Ecatonchiri!!!” –Ripeté confusamente Atena. –“Esseri così grandi da sfiorare il cielo, con un corpo umano ma immenso, dotato di cento braccia e di cinquanta testa!”

 

“Proprio loro! Io li liberai dalla prigionia cui Crono, loro fratello, li aveva condannati, ed essi mi promisero, quel lontano giorno, di rimanere al mio fianco e combattere per me ogni volta in cui ne avessi avuto bisogno! Ed io li nominai Guardiani del Tartaro, affidando loro la custodia dei Titani!”

 

“E adesso vorresti risvegliarli?!” –Esclamò Era, con grande preoccupazione. –“Ma sono dei distruttori! È rischioso, mio adorato! Potrebbero sfuggire al tuo controllo, potrebbero ribellarsi!”

 

“Non sono più pericolosi di una moglie gelosa, mia sposa!” –Commentò Zeus, zittendo in fretta Era. –“Non ho dimenticato il tuo tentativo di detronizzarmi, cara, anche se sono passati millenni! E anche in quell’occasione Briareo intervenne per aiutarmi! No, non si ribelleranno a me!” –Concluse Zeus, prima di muovere velocemente la mano destra e tagliarsi lievemente il polso sinistro. Sollevò il braccio sinistro sopra il pozzo, lasciando cadere una goccia di sangue al suo interno.

 

“Tre gocce di sangue!” –Spiegò il Dio. –“Di questo ho bisogno per farli rinascere!”

 

“Ho capito!” –Sospirò Atena, avvicinandosi al pozzo.

 

Zeus la osservò e inizialmente le parve titubante, forse memore di quel lontano giorno in cui la stessa Dea della Giustizia, affiancando Era e Nettuno, aveva tentato di detronizzare il Padre. Forse sensi di colpa o una mai sopita paura per l’ignoto la stavano frenando. Ma alla fine Atena cedette, offrendo una goccia del proprio sangue per far rinascere anche il secondo Ecatonchiro.

 

Quindi Zeus si voltò verso Era, rimasta tremante in disparte, avvolta nella sua veste color porpora. Indispettita per il tono con cui Zeus le si era rivolto, rimembrando errori della sua gioventù, la Regina degli Dei fu quasi tentata di rifiutare, ma poi, ascoltando il vento, e le grida di dolore che gli eserciti di Ares stavano portando sul Sacro Monte, accettò la richiesta del marito, tagliando a sua volta il proprio polso destro, lasciando cadere una terza goccia di sangue nel sacro pozzo.

 

Immediatamente un boato immenso scosse l’intero Olimpo, un boato proveniente dalle profondità del Tartaro.

 

“Briareo ha accolto la mia richiesta! Presto sarà qua per difendere ancora una volta l’Olimpo!” –Esclamò Zeus, allontanandosi dal pozzo sacro.

 

Era, Atena ed Asclepio lo seguirono, fino all’ingresso della Reggia, desolatamente vuota. Pochi secondi dopo, sentirono la terra tremare sotto i loro piedi, scuotersi fino alle fondamenta del Sacro Monte, segno inequivocabile che gli Ecatonchiri si erano risvegliati e messi in marcia.

 

Gli stessi boati furono uditi dai guerrieri di Ares, che tremarono come conigli lungo la Via Principale, proprio davanti all’abbandonato Tempio di Ares. Il primo infatti, dei Tempi che sorgevano sulla Via che conduceva alla Reggia, era proprio il Tempio della Guerra, dedicato ad Ares, e da lui abitato millenni prima, quando viveva sull’Olimpo insieme ai suoi fratelli. Là, pochi metri a monte rispetto al luogo in cui Ilda, Mizar e Alcor avevano affrontato Issione qualche giorno prima, la terra si aprì improvvisamente.

 

Un’immensa voragine spaccò il terreno, facendovi precipitare all’interno roccia e piante, alcuni berseker e parte del Tempio della Guerra, le cui fondamenta furono scosse così tanto da crollare poco dopo. Tra la polvere e i detriti, i berseker di Ares riuscirono però a riconoscere tre immense figure che torreggiavano sopra di loro: i loro corpi, per quanto alti e robusti, erano umani, ma avevano cento braccia ciascuno e cinquanta teste, ricoperti da scintillante corazze, offerte loro da Efesto ai tempi del mito.

 

Cotto, Gige e Briareo, i tre Ecatonchiri, figli di Gea e di Urano, imprigionati da Crono, loro fratello, erano stati risvegliati da Zeus, per combattere nuovamente al suo fianco, difendendo l’Olimpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo tredicesimo: Le cavalle di Diomede ***


CAPITOLO TREDICESIMO. LE CAVALLE DI DIOMEDE.

 

Erano già passate quattro ore dal loro arrivo al Grande Tempio e Pegasus, Sirio, Andromeda e Phoenix stavano sfrecciando sulla bianca scalinata di marmo diretti alla Quinta Casa, quella del Leone. Avevano provato a usare il cosmo per spostarsi direttamente alla Tredicesima Casa ma, come si aspettavano, era impossibile. Il demoniaco cosmo di Ares imperava sull’intero santuario, obbligando i Cavalieri dello Zodiaco a un percorso, loro malgrado, obbligato. Un percorso che ai quattro amici non poteva che ricordare la prima vera corsa attraverso le Dodici Case.

 

Tutti presi dai loro pensieri, Pegasus e gli altri arrivarono alla Quinta Casa, un tempo presieduta da Ioria: una costruzione in stile classico, caratterizzata da due leoni in pietra marmorea posizionati ai lati della scalinata di ingresso. I quattro amici non ebbero il tempo neppure di pianificare una strategia di attacco, che sentirono immediatamente la terra tremare, e versi di animali risuonare nell’aria. Ma, a differenza degli osceni versi che avevano udito alla Prima Casa, questi sembrarono loro dei suoni più naturali, dei nitriti, per quanto carichi di malvagità.

 

Un attimo dopo decine e decine di cavalli, bardati di corazze da guerra, uscirono correndo dalla Casa del Leone, avventandosi contro i quattro Cavalieri.

 

“Ehi!” –Esclamò Pegasus, fissando lo strano evento. –“Che diavolo ci fanno qua questi cavalli?!”

 

“Attento!” –Urlò Andromeda, mentre una decina di animali piombava su di loro.

 

Erano tantissimi, veloci e infuriati, splendidi nella forma e nell’aspetto, ben curati, ma rivestiti di scure cotte da battaglia che spinsero i Cavalieri a credere che anche quelle bestie fossero asservite al malvagio potere di Ares. Andromeda srotolò la catena, disponendola ad anelli concentrici intorno a loro e facendola muovere come fosse un serpente, per tenerli lontani; ma non fu abbastanza per fermare l’avanzata impetuosa dei cavalli, che travolsero la Catena di Andromeda, incuranti del dolore provocato dalle scariche energetiche, fino a raggiungere i Cavalieri.

 

“Adesso basta!” –Esclamò Phoenix, bruciando il proprio cosmo infuocato. –“Ali della Fenice!” –Gridò, spazzando via una decina di animali, facendoli schiantare contro le pareti del tempio. Come reazione, tutte le altre bestie si avventarono contro di lui, cercando di infilzarlo con le lance e le punte delle loro bardature, per vendicare i loro compagni.

 

“Excalibur!” –Urlò Sirio, lasciando partire un violento fendente che spaccò il pavimento del piazzale antistante alla Quinta Casa, aprendo un momentaneo varco tra la mandria infuriata.

 

Pegasus e compagni si lanciarono in quello stretto varco, sperando di oltrepassare i cavalli, ma una figura apparve improvvisamente di fronte a loro e li colpì tutti con un pugno di energia. Pegasus e Phoenix furono travolti in pieno, essendo i primi ad aprire la fila; Andromeda tentò di difendersi sollevando la catena, ma la violenza dell’attacco fu tale da spingerlo comunque indietro. L’unico in piedi rimase Sirio, l’unico in grado di mettere a fuoco, seppure per poco, il loro avversario.

 

Iaah!” –Urlò l’uomo davanti a sé, prima di lanciare un pugno di energia nel terreno, che fece tremare il pavimento, rispuntando proprio sotto Sirio, e sollevandolo in alto, esponendolo all’assalto del suo nemico. Con un balzo, lo sconosciuto guerriero raggiunse Sirio in aria, tempestandolo di pugni, uno dietro l’altro, senza mai fermarsi, per quanto questi cercasse di difendersi con lo scudo.

 

La Catena di Andromeda scivolò nell’aria afferrando il braccio dell’uomo e tirandolo a sé, con un brusco strattone; ma la mossa si rivelò controproducente per lo stesso Andromeda, costretto ad affrontare un attacco diretto dall’alto. Un calcio secco del suo avversario lo colpì in pieno viso, prima che questi atterrasse contro la parete rocciosa laterale, piegando le gambe e saltando via, trascinando il corpo di Andromeda con sé, fino a lanciarlo contro Pegasus e Phoenix.

 

Soddisfatto, il guerriero di Ares atterrò di fronte all’ingresso della Quinta Casa, mentre tutti gli animali si posero intorno a lui, voltati verso i quattro Cavalieri atterrati, e sbuffanti e pronti per caricarli nuovamente.

 

“Ah ah ah! I famosi Cavalieri dello Zodiaco, coloro che hanno sconfitto Divinità!” –Esclamò la squillante voce maschile del guerriero. –“Godo nel vedervi rantolare a terra, con la faccia sporca di sorpresa e di vergogna!”

 

“Bastardo... chi sei?!” –Gridò Pegasus.

 

“Ed io vi farò così male, così tanto male, da sbattere le vostre luride facce su questo pavimento, fino a spaccare il marmo con i vostri crani insanguinati, e a farne cibo per le mie cavalle!” –Continuò l’uomo, incurante delle domande dei Cavalieri.

 

“Le tue cavalle?!” –Osservò Sirio. –“Dunque tu sei…

 

“Diomede! Figlio di Ares!” –Esclamò l’uomo, con un sogghigno che non faceva presagire niente di buono.

 

Diomede…” –Rifletterono i Cavalieri, mentre Sirio accennava qualche notizia su di lui. –“Originario della Tracia, era uomo così feroce e crudele che uccideva tutti gli stranieri che entravano nelle sue terre, e ne dava i cadaveri in pasto ai suoi cavalli!”

 

“E stessa sorte toccherà a voi!” –Gridò Diomede, scaricando due violenti pugni energetici contro i Cavalieri.

 

I quattro amici scattarono in direzioni diverse per evitare l’assalto, ma furono comunque colpiti di striscio, tanto forte era la violenza distruttrice insita in quell’attacco. In un attimo le cavalle di Diomede sfrecciarono sul pavimento, caricando i Cavalieri, puntando su di loro, con le punte e le lance sfoderate delle loro bardature, determinate, come il loro padrone, ad affondare nei loro corpi.

 

“Sarete cibo per le mie cavalle!” –Esclamò Diomede, saltando in alto.

 

Con un balzo fu su Phoenix, colpendolo dall’alto con un violento pugno di energia, e sbattendolo al suolo, prima di voltarsi verso Andromeda, prontamente accorso per aiutare il fratello, e cercare di colpirlo a sua volta. Pegasus però glielo impedì, balzando in aria e afferrando le mani del guerriero, rimanendo così, pugno stretto nel pugno dell’altro. Infine Pegasus, la cui armatura disponeva di ali, oscillò su se stesso fino a capovolgersi, e riuscì a trascinare Diomede con sé, quindi si voltò, cercando di colpirlo con un pugno, ma il guerriero fu più veloce, anticipando il ragazzo e scaraventandolo via, con un calcio in pieno sterno.

 

Aaaah…” –Urlò Pegasus, sorpreso di quell’abile e veloce mossa.

 

“Adesso basta! Catena di Andromeda!” –Esclamò Andromeda, liberando la sua catena che subito si moltiplicò in infinite copie, dirette verso Diomede. Ma il figlio di Ares riuscì ad infilarsi in mezzo alla scintillante pioggia, evitando i pericolosi raggi, e a portarsi di fronte a lui, colpendolo con un calcio in pieno viso e spingendolo indietro, esponendolo alla furia devastante delle sue cavalle.

 

Non riuscì però Diomede ad evitare in tempo l’assalto di Sirio, il quale, dopo aver scavato il pavimento con un fendente energetico, che aveva costretto il guerriero a voltarsi, era scattato sotto di lui, per colpirlo con un montante al mento.

 

“Colpo segreto del Drago nascente!” –Urlò l’allievo di Libra, sollevando il suo nemico. Diomede fu inizialmente travolto dalla furia dello scintillante drago verde, ma poi riuscì nell’incredibile, a cavalcare il drago, scivolando poi su di esso, fino a colpire Sirio con un doppio calcio.

 

“Incredibile!” –Disse Pegasus, aiutando Phoenix a rimettersi in piedi. –“Quell’uomo è fortissimo!”

 

“Resta pur sempre un uomo, Pegasus!” –Commentò acidamente Phoenix, irritato per essere stato atterrato così malamente.

 

Diomede tornò con un balzo all’ingresso della Quinta Casa, immediatamente cinto e difeso dalle sue splendide, quanto bellicose, cavalle, e i Cavalieri poterono finalmente avere un attimo di tempo per riprendere fiato ed osservarlo.

 

Era un uomo alto e ben fatto, muscoloso, con un viso maschile, barbetta rada, occhi scuri e corti capelli castani, quasi rasati. Indossava un’Armatura scarlatta, dalle sfumature violacee, il cui totem assemblato prendeva la forma di una cavalla imbizzarrita. Aveva dei gambaletti che terminavano con appuntiti zoccoli, come quelli delle sue cavalle, e sulla schiena, affissa all’armatura, una folta criniera scura. L’elmo era fatto a maschera, molto leggero e accattivante, ma copriva solamente una zona limitata del suo viso.

 

“Allora, invincibili guerrieri… dov’è la vostra famosa forza?!” –Li derise Diomede, mentre i quattro amici si riunivano tra loro. –“L’avete persa per strada, forse?”

 

“Ma senti questo…” –Brontolò Pegasus, pronto per scattare ancora avanti.

 

“Fermati, Pegasus!” –Lo afferrò Sirio per un braccio. –“Quell’uomo è innegabilmente forte! Non soltanto; in lui sento un cosmo profondo, temprato di odio e di violenza! Lo stesso cosmo oscuro che ho percepito nell’animo di Flegias e dei suoi due fratelli quando attaccarono Efesto e Afrodite!”

 

“Il cosmo di Ares?!” –Intervenne Andromeda, che aveva avuto la stessa sensazione.

 

“Esattamente! Diomede non è come i guerrieri delle case inferiori! No! La sua potenza è devastante, la sua velocità pari a quella dei Cavalieri d’Oro, e la sua volontà è retta da Ares, di cui è figlio, ed orgoglioso di esserlo!” –Continuò Dragone. –“Piegarlo non sarà affatto facile!”

 

“Ma ci riusciremo!” –Intervenne Pegasus.

 

“Sì! Ci riusciremo!” –Continuò Sirio. –“Lasciate a me la lotta, amici! Sono il più fresco, avendo combattuto soltanto alla Prima Casa, quindi ho più possibilità di tenergli testa!”

 

“Non vorrai affrontarlo da solo?!” –Esclamò Pegasus.

 

“E tu non vorrai restare qua con le mani in mano ad aspettarmi?!” –Ironizzò Sirio.

 

La conversazione tra i quattro Cavalieri fu interrotta da un violento attacco di Diomede, il quale, stufo di aspettare, aveva lanciato un immenso pugno energetico contro di loro, obbligandoli a separarsi e a scattare in direzioni diverse.

 

“Incredibile!” –Commentò Andromeda, osservando l’immenso cratere che si era creato nel piazzale. –“Quel colpo ha distrutto l’intero spiazzo!”

 

“Il prossimo vi aprirà il petto in due!” –Ghignò Diomede, caricando nuovamente il pugno destro di acceso cosmo rovente.

 

“No, se io ti colpirò per primo!” –Urlò Sirio, saltando in alto ed espandendo il proprio cosmo verde smeraldo. Con un colpo deciso e veloce, il ragazzo calò il braccio destro, lanciando un luminoso fendente energetico contro Diomede, il quale, per evitarlo, dovette spostarsi di lato, appiattendosi quasi contro il leone di sinistra, mentre Andromeda, Pegasus e Phoenix si lanciavano all’assalto.

 

In un attimo, le cavalle di Diomede caricarono i Cavalieri, ma Andromeda liberò la sua scintillante catena che assunse la forma di un’immensa tagliola, che mozzò le gambe dei furiosi animali.

 

“Ottima mossa, Andromeda!” –Si congratulò Phoenix, bruciando il proprio cosmo. –“Adesso sta a noi, Pegasus! Ali della Fenice!”

 

Fulmine di Pegasus!” –Gli fece eco l’amico, scattando in mezzo alla mandria.

 

Una ventina di animali furono travolti, trapassati dall’azzurra pioggia di stelle di Pegasus, mentre il resto fu spazzato via dalle Ali della Fenice. Pegasus, Andromeda e Phoenix scattarono come fulmini verso l’ingresso, dove Sirio stava fronteggiando Diomede.

 

Vista la tragica fine delle sue bestie, il figlio di Ares si irritò ulteriormente, caricando un violento pugno di energia che sbatté con forza contro lo scudo dell’armatura di Sirio, la quale resse ben l’attacco. Ma Diomede attaccò di nuovo, tempestando il Cavaliere di pugni ininterrotti, senza dargli tregua, e Dragone non poteva far altro che subire i suoi montanti, fino all’ultimo, violento, con il quale lo scaraventò contro il leone di destra, distruggendolo, e facendolo precipitare al di là.

 

In quella, Pegasus, Andromeda e Phoenix giunsero sulla scalinata di ingresso, dove Diomede li aspettava fiero, ma prima che potesse attaccarli, per impedire loro di passare, fu costretto a voltarsi e a fronteggiare il rinnovato assalto di Sirio, il quale era balzato in alto, avvolto dal suo lucente cosmo verde, e aveva scagliato il suo Colpo del Drago Volante, travolgendo in pieno il guerriero di Ares, fino a farlo sbattere contro l’altro leone.

 

“Correte, adesso!” –Esclamò Sirio, ricadendo a terra.

 

“Sì!” –Rispose Pegasus, sempre restio ad abbandonare gli amici. –“Sii prudente, amico mio! E… ti aspettiamo!!!” –Andromeda e Phoenix lo seguirono all’interno della Quinta Casa, mentre Diomede si rimetteva in piedi e si lanciava al loro inseguimento. Ma Sirio, velocissimo, sfrecciò all’interno del tempio, portandosi di fronte a lui e concentrando il cosmo sul pugno destro per colpirlo. Diomede evitò l’affondo, spostandosi di lato e colpendo il ragazzo con un calcio in pieno viso, che scaraventò Sirio in alto, fino a farlo sbattere contro il soffitto della Quinta Casa e ricadere a terra.

 

“Muori, bastardo!” –Lo anticipò Diomede, saltando, per raggiungere il Cavaliere in caduta libera. –“Furia di Ares!” –E lo colpì con un devastante pugno di energia cosmica, dalla forza di un’incandescente cometa, che Sirio non poté evitare, venendone travolto.

 

L’immensa esplosione di energia spinse Sirio contro il soffitto della Quinta Casa, distruggendolo, lo fece salire nel cielo di Atene e ricadere giù, mentre il suo corpo era dilaniato dall’ardente cosmo di Ares.

 

Sto... precipitando! Si disse il Cavaliere di Atena, mentre ricadeva dolorante verso il Tempio di Leo, a testa in giù. Devo… devo reagire Si incitò, bruciando il proprio cosmo.

 

“Ben fatto!” –Commentò Diomede, atterrando nuovamente sul pavimento. –“Un Cavaliere di Atena è già perso! Adesso devo inseguire gli altri tre… Non voglio lasciare a quel damerino di Augia la soddisfazione di eliminarli!” –Sogghignò. Ma i suoi progetti subirono un netto cambiamento, quando la maestosa sagoma scintillante di un verde dragone sfondò il tetto della Quinta Casa, piombando proprio su di lui.

 

Il figlio di Ares incrociò le braccia al petto, nella sorpresa dell’accaduto, cercando di contenere l’impatto con quella potenza devastante in cui poteva sentire il calore ardente delle stelle. L’urto spinse comunque Diomede indietro di parecchi metri, facendogli scavare solchi nel pavimento con gli zoccoli della sua corazza, prima che l’assalto terminasse.

 

“Ancora non ti arrendi, eh?!” –Sogghignò Diomede, osservando Sirio, in posizione di attacco di fronte a lui.

 

“Un Cavaliere di Atena non si arrenderà mai! Mai finché ci sarà bisogno di noi!”

 

“Molto presto il mondo non avrà più bisogno di stupidi idealisti quali voi siete! Il nuovo ordine che mio Padre costruirà non lascerà spazio all’amore e agli ideali, soltanto alla guerra, unica macchina motrice del mondo!”

 

“E tu combatti per questo, Diomede?! Non sei disgustato da una simile prospettiva di vita?!”

 

“E perché mai dovrei esserlo?! Sarò tra coloro che edificheranno il mondo, uno dei nuovi Dei dei tempi moderni! Sarò tra coloro che brandiranno le infuocate spade a cui i deboli dovranno piegarsi!”

 

“Questa è solo una bieca tirannia!” –Commentò Sirio, disgustato.

 

“Una tirannia, esatto! L’unica forma di governo in grado di funzionare! Senza discussioni, senza tentennamenti, solamente un’unica voce che tutto dirige! Ed io, come figlio del Divino Ares, sarò tra i Comandanti della nuova epoca, e le mie cavalle saranno l’orgoglio e il vanto del mio reparto!”

 

“Sei soltanto un folle assetato di sangue! Come tuo Padre e i tuoi fratelli!” –Lo accusò Sirio, bruciando il proprio cosmo.

 

“Forse! Alla fine ognuno ha le sue idee, ma l’unica che si rivelerà vincente sarà quella del più forte!” –Esclamò Diomede, prima di concentrare il cosmo sul pugno destro e lasciar partire un violento attacco contro Sirio.

 

Il Cavaliere del Dragone si difese sollevando il suo scudo rotondo, ma Diomede intensificò l’attacco, balzando in alto, facendo una capriola ed atterrando con i duri zoccoli proprio sullo scudo di Sirio, che accusò il colpo a fatica. Un calcio secco prese Dragone in pieno viso, incrinando l’elmo divino, che saltò via, prima che Diomede balzasse nuovamente in alto.

 

Sirio, per quanto gli dolesse il viso gonfio, cercò di reagire, saltando a sua volta, ma Diomede lo colpì nuovamente, facendolo precipitare a terra, con una forza tale da creare un piccolo cratere all’interno del Tempio. Aaa... Atena Rantolò Sirio, sdraiato in terra, coperto di sangue e di ferite. La forza di quest’uomo è pazzesca! Per quanto non sia un Dio, possiede una carica ed un ardore che nessun altro uomo controlla! Che sia il cosmo di Ares a sorreggerlo e a dargli potenza?!

 

I pensieri del ragazzo furono interrotti da un nuovo, impetuoso assalto del potente figlio di Ares, la cui forza e velocità, adesso Sirio ne era più che certo, erano pari a quelle dei Cavalieri d’Oro, riuscendo infatti a muoversi alla velocità della luce e a portare centomila colpi al secondo.

 

Ma c’è una cosa che quest’uomo non ha! Commentò Sirio, fermando con lo Scudo del Drago un micidiale destro di Diomede. C’è una cosa che gli manca per essere pari ad un Cavaliere d’Oro! La lucentezza e la purezza del cosmo! Sorrise Sirio, ritrovando improvvisamente un po’ di forza.

 

Evitò, spostandosi, un affondo del figlio di Ares, prima di contrattaccare con un pugno energetico. Il contraccolpo tra i due poteri creò una massa di energia al centro del Tempio del Leone, che, data la sua instabilità, esplose poco dopo, scagliando entrambi indietro.

 

Quando Sirio si rialzò trovò Diomede, a una decina di metri di distanza, già in piedi, in posizione di combattimento, determinato a non arretrare neppure di un passo. Mi hai fatto scappare gli altri tre! Ringhiò Diomede, irato. Ma tu non uscirai vivo di qua, Dragone! Te lo assicuro! Ed espanse il proprio cosmo, vasto ed oscuro. Sirio non si lasciò intimorire, liberando la lucente energia del verde drago, pronto per scattare avanti. Ma Diomede lo anticipò.

 

Il figlio di Ares concentrò il proprio cosmo, dal colore violaceo, sulle braccia, sotto forma di mulinelli incandescenti che roteavano intorno ai suoi possenti arti, liberando scariche di pura energia. Gonfiò i muscoli, aprendo le braccia, quindi puntò i pugni verso Sirio, scagliando contro di lui due violente comete energetiche: grossi fasci di energia cosmica, avvolti da scintillanti folgori che apparivano come vorticosi mulinelli.

 

“Furia di Ares, esplodi!!!” –Sbraitò Diomede, dirigendo il doppio assalto contro Sirio.

 

Il Cavaliere di Atena sollevò lo scudo, lasciando che una delle due comete di energia vi si schiantasse, e portò il braccio destro avanti, liberando il Drago Nascente, con cui contrastò, seppur a fatica, il secondo grosso assalto.

 

La tensione aumentò, mentre l’aria intorno ai due contendenti si caricava di elettricità, determinata dallo scontrarsi impetuoso dei due cosmi. Scontrarsi che fu udito anche da Pegasus, Andromeda e Phoenix, in corsa verso la Casa della Vergine. E che li fece preoccupare non poco.

 

“Ti abbatterò, Cavaliere di Atena!” –Urlò Diomede, potenziando il furibondo attacco.

 

“Saprò resisterti, figlio di Ares!” –Rispose Sirio, cercando di mantenere la sua solita calma. Ma forse lo sforzo per mascherare il tono della sua voce fu quasi superiore a quello fisico, sentendo aumentare la pressione esercitata da Diomede. I mulinelli di energia del figlio di Ares si scontravano furiosamente sullo Scudo di Sirio, scivolando su di esso, e lasciando che qualche guizzante folgore raggiungesse comunque il ragazzo al di là dello scudo; mentre lo sforzo impegnava duramente entrambi, sia in termini di concentrazione che di potenza fisica.

 

Improvvisamente il vorticoso assalto di Diomede parve scemare di intensità, e Sirio, credendo che il guerriero fosse stanco, decise di approfittare di quel momento, di quella possibilità inaspettatamente offertagli. Si lanciò avanti, sfidando le dilanianti folgori viola del figlio di Ares, liberando il Colpo Segreto del Drago Nascente.

“Stolto!” –Sibilò Diomede, sogghignando. Con un gesto rapido e violento sbatté insieme i propri pugni, carichi al massimo di energia rovente, unendo le vorticose comete in un unico mulinello di energia, quasi un tornado, che diresse all’istante contro Sirio.

 

Il vortice energetico, stretto e alto, come una vera tromba d'aria, travolse il Drago Nascente, che ne venne risucchiato, prima di raggiungere Sirio e attirarlo al suo interno, nell’occhio del ciclone.

 

Aaarrgh…” –Gridò Sirio, venendo sballottato all’interno del mulinello energetico, mentre furibonde scariche di energia cosmica stridevano sulla sua corazza Divina.

 

Controllando il mulinello con le sue braccia, Diomede lo diresse verso l’alto, facendo salire Sirio all’interno del vortice, fino a sfondare quel che restava del tetto della Quinta Casa e a lanciarlo in alto, ancora avvolto da quel devastante vortice malefico.

 

“Perditi, Cavaliere del Drago!” –Esclamò Diomede, tronfio del suo successo.

 

Sirio, ancora avvolto dalle dilanianti folgori di Diomede, sentì le forze venirgli meno, incapace di reagire, incapace di muovere un dito, schiacciato da quella violenta pressione che lo limitava nei movimenti e nel ragionare. In un istante ripensò a tutta la sua vita, immaginando che quello sarebbe stato il suo ultimo momento nel mondo, l’ultimo ruolo che avrebbe giocato nei destini del pianeta.

 

Ripensò a Pegasus e ai suoi amici, impegnati a correre verso le stanze di Ares, per affrontare il malvagio Dio che voleva piegare le genti libere della Terra; ripensò a Fiore di Luna, chiedendosi dove fosse, se Ares l’aveva realmente rapita o se fosse sana e salva, ancora ai Cinque Picchi. Per un momento sorrise, e volle immaginarla così, come l’aveva sempre sognata: inginocchiata, a mani giunte, di fronte alla cascata del Drago, intenta a pregare per lui, come aveva sempre fatto in tutti questi anni, quando si allenava per diventare Cavaliere e quando, ottenuta l’armatura, aveva iniziato a rischiare la vita giornalmente, per difendere la Terra dai pericoli che la minacciavano. Infine pensò a Dohko, il suo Vecchio Maestro, e a Demetrios, suo compagno di addestramento, due cari affetti che molto, ognuno a modo suo, gli avevano dato. Quelli erano i suoi affetti, il piccolo grande mondo a cui era affezionato. Il mondo a cui avrebbe dovuto rinunciare.

 

No… noooo!” –Urlò Sirio, facendo esplodere il proprio cosmo, verde scintillante come lo smeraldo più puro. –“Per i miei affetti, per le persone a me care, io reagirò! Per i deboli, che Ares e i suoi figli vorrebbero piegare, per questo Sirio combatte!” –E bruciò il suo cosmo, fino ai limiti estremi della galassia, distruggendo il mulinello energetico che lo rendeva prigioniero, liberandosi da quell’energetica e dilaniante detenzione.

 

Diomede, rimasto al centro del Tempio del Leone, osservò dal basso l’immensa esplosione di energia, con la quale il suo vortice fu annientato, completamente spazzato via dalla lucentezza del cosmo di Sirio, puro come una supernova, che rischiarò l’intero Grande Tempio. In un attimo il cielo di Atene fu percorso dalla maestosa sagoma di un drago, dal colore verde smeraldo, che scese lungo la Collina della Divinità, piombando con fragore all’interno della Casa di Leo.

 

Il figlio di Ares, per quanto sorpreso, trovò la prontezza e la forza per incrociare le braccia al petto e resistere alla spaventosa onda d’urto provocata da Sirio. Il contraccolpo lo scaraventò comunque indietro, fino a farlo schiantare contro un muro interno, che crollò subito su di lui, sommergendolo di calcinacci. Quando si liberò delle macerie, ansimando a fatica per lo sforzo, vide con orrore che la propria corazza, di divina fattura, era danneggiata in più punti. I bracciali erano stati distrutti, tanta era la potenza dell’energia sprigionata da Sirio, e al centro del pettorale spuntava una chiazza bollente, che andò in frantumi poco dopo, rivelando la nuda carne dell’uomo al di sotto di essa.

 

“Maledetto!” –Ghignò Diomede, accasciandosi a terra per il dolore.

 

Il colpo di Sirio aveva completamente trapassato il muro difensivo rappresentato dalle sue braccia e aveva raggiunto il suo petto, adesso in fiamme. Stringendo i denti, Diomede si rimise in piedi, per osservare il corpo inerme di Sirio a pochi metri da lui. Lo sforzo era stato notevole anche per il Cavaliere di Atena, che era caduto a terra privo di energia.

 

Diomede si portò due dita alla bocca, emettendo un lungo fischio, al quale seguirono una decina di nitriti. Prontamente le cavalle del figlio di Ares trottarono all’interno del Quinto Tempio, al richiamo del loro signore, il cui ordine fu semplicissimo.

 

“Divoratelo vivo!” –Commentò, appoggiandosi ad una colonna, con una mano sul petto in fiamme.

 

Le cavalle del figlio di Ares si gettarono su Sirio, cercando di infilzarlo con le lunghe punte delle loro bardature. Ma la corazza divina, rinforzata dal mithril di Efesto, si rivelò impenetrabile barriera per loro, che non riuscirono a sfondarla, ma sballottarono il corpo del ragazzo con violenza, fino a lanciarlo contro un muro. Diomede, appoggiato ad una colonna, osservava la fine del Cavaliere che aveva osato sfidarlo. Del Cavaliere che aveva ardito ferirlo. E cercò di fare qualche passo avanti, stringendo i denti per il dolore. Adorava osservare il delizioso pasto che offriva periodicamente alle sue cavalle. Era uno spettacolo irrinunciabile per lui: la giusta mistura di atrocità e sadismo. Eppure, in quel momento, qualcosa lo faceva temere ancora.

 

Quel qualcosa era lo scintillante cosmo di Sirio, che si riaccese impetuosamente poco dopo, scaraventando via le cavalle del figlio di Ares, che fuggirono guaendo all’impazzata, mentre Dragone si rimetteva in piedi, completamente avvolto dalla sua lucente aura verdastra.

 

“Ancora vivo, Cavaliere di Atena?! Meriti i miei divini complimenti per essere sopravvissuto ad un colpo simile!”

 

“Come già ti dissi all’inizio del nostro incontro, figlio di Ares, un Cavaliere di Atena non si arrende mai! Mai! Finché ci sarà bisogno di noi, per combattere i tiranni e dare un futuro agli uomini!”

 

“Futuro?! Sciocchezze! Futilità!” –Urlò Diomede, balzando avanti e scagliando un violento pugno energetico contro Sirio, che fu preso in pieno e spinto indietro, fino a sbattere contro una colonna.

 

Il figlio di Ares atterrò al centro del tempio, ma non caricò nuovamente, ansimando per lo sforzo, e zoppicando leggermente. Non voleva ammetterlo, né darlo troppo a vedere, ma aveva il petto in fiamme, e ogni singolo semplice movimento era un martirio indescrivibile.

 

“Futilità combattere per un ideale, Diomede?!” –Esclamò Sirio, rialzandosi. –“Non credo proprio! Ma se l’unica legge che conosci è quella del più forte, credo di essere la persona giusta per farti cambiare idea!”

 

Tzè...” –Lo schernì Diomede, bruciando il proprio avvampante cosmo.

 

“Ho già incontrato un uomo, che si proclamava Cavaliere di Atena, che poneva la forza al di sopra di tutto! La forza, alla quale gli uomini avrebbero dovuto piegarsi! Death Mask di Cancer era il suo nome, Cavaliere d’Oro del Quarto Tempio! Due volte lo affrontai ed entrambe le volte ne uscii vittorioso, senza riuscire, ahimè, nell’unico obiettivo che realmente avrei voluto raggiungere… quello di fargli capire che possono esistere, ed esistono, centinaia di altri motivi, migliori, per cui valga la pena lottare!”

 

“Bene, Dragone!” –Esclamò Diomede, il cui cosmo si stava concentrando sulle sue braccia, sotto forma di un intrecciato mulinello di energia. –“Se è questo ciò in cui credi, allora lascerò che tu muoia per i tuoi valori! Ed io, se così sarà, per i miei!”

 

Sirio non disse niente, abbassando sconsolato il capo, conscio che niente avrebbe potuto cambiare l’avvelenato animo di quell’uomo, che, in fondo, era figlio del Dio della Guerra, e da lui probabilmente forgiato.

 

“Muori adesso, per i tuoi stupidi ideali!” –Gridò Diomede, gonfiando il petto ed aprendo le proprie braccia, completamente circondate di folgori incandescenti. –“Furia di Ares, travolgilo!” –Esclamò, sbattendo i pugni avanti a sé.

 

Le due comete energetiche sferzarono l’aria del Quinto Tempio, dirigendosi verso Sirio, il quale, anziché tentare di fermarle, come aveva fatto prima, con lo Scudo e il Drago Nascente, convenne che l’unico modo per averne ragione era affrontarle direttamente.

 

“Vecchio Maestro!” –Commentò Sirio, bruciando al massimo il cosmo. –“Questo colpo è per voi! Diomede, assaggia le Zanne dei Cento Draghi!” –Gridò, portando avanti entrambe le braccia, con i palmi aperti.

 

I cento dragoni d’Oriente scivolarono nell’aria, scintillanti comete dal colore verde smeraldo, simili a increspate onde di mare, travolgendo le furibonde comete di Diomede. Le folgori dilanianti del figlio di Ares attaccarono i Cento Draghi, ma presto si persero al loro interno, venendo sopraffatte, mentre le zanne dei sacri animali continuarono la loro corsa, piantandosi nella corazza e nel corpo ferito di Diomede, scaraventandolo indietro.

 

Noooo!!!” –Urlò Diomede, venendo trafitto e trapassato da incandescenti zanne di energia.

 

Tentò di rialzarsi, per quanto la sua armatura stesse andando a pezzi, di combattere ancora, incapace di arrendersi, incapace soltanto di immaginare la sua sconfitta. Ma riuscì soltanto a sollevare una gamba, appoggiandosi ad essa, mentre caricava il pugno sinistro di energia cosmica.

 

Sirio, stupito dalla determinazione e dalla resistenza del suo avversario, si convinse ad attaccarlo di nuovo, prima che potesse recuperare fiato ed energia. Concentrò il cosmo sul braccio destro, invocando l’aiuto di Capricorn, che quell’arma gli aveva donato, prima di abbassare l’arto, creando un rapido fendente di energia che spaccò il pavimento, prima di abbattersi su Diomede, e tagliarlo in due.

 

“Excalibur!” –Gridò Sirio, osservando l’energetica lama lasciare un segno, un sottilissimo filo di luce, sul corpo sanguinante di Diomede. Un attimo dopo il filo perse lucentezza, facendosi rosso, mentre il sangue zampillava copioso fuori dalla ferita, obbligando il figlio di Ares a crollare a terra, impotente.

 

Io… non posso… non posso cadere così…” –Rantolò Diomede, senza più forze ormai.

 

Riuscì a portare due dita alla bocca e a fischiare nuovamente, chiamando le sue fide cavalle, che arrivarono poco dopo al gran galoppo. Erano rimaste in dieci, ma, per quanto ferite e sporche, conservavano ancora parte di quella nobiltà e grandezza che le avevano sempre caratterizzate.

 

Sirio sollevò lo scudo, immaginando che lo avrebbero attaccato, invece, con sommo stupore del Cavaliere, le cavalle si avventarono su Diomede, affondando le picche e le punte acuminate nel suo corpo, sbranando quel che restava delle sue carni, facendone brandelli.

 

Dragone, disgustato da quel macabro spettacolo, si mosse per andarsene, ma barcollò, indebolito per l’enorme sforzo sostenuto, e cadde a terra, attirando l’attenzione delle cavalle. Queste, ingorde come il loro defunto padrone, caricarono il Cavaliere di Atena, per avere anche le sue carni ed il suo sangue, proprio come Diomede aveva insegnato loro.

 

Sirio strinse i denti spaventato, accorgendosi di non avere neppure la forza per lanciare un Drago Nascente. Rotolò sul terreno, evitando l’affondo di una cavalla, prima di sollevare il braccio destro, per lanciare Excalibur; ma il colpo, debole e impreciso, ferì soltanto un animale, provocando l’ira di tutti gli altri che caricarono il ragazzo selvaggiamente.

 

Prima che potessero ferirlo, comunque, il pavimento sibilò per un istante sotto i loro zoccoli, cambiando colore. Il grigio marmo del Quinto Tempio si fece biancastro, scricchiolando sinistramente e fermando i movimenti delle infuriate cavalle. Nitrirono, nitrirono selvaggiamente, furibonde come Diomede che le aveva allevate, mentre il loro corpo si congelava sempre di più. Un attimo dopo esplosero, frantumandosi in mille frammenti di ghiaccio, mentre Sirio, appoggiato contro una colonna, osservava l’amico avvicinarsi e porgerli un braccio per aiutarlo a rimettersi in piedi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo quattordicesimo: Le stalle di Augia ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO. LE STALLE DI AUGIA.

 

Pegasus, Andromeda e Phoenix erano preoccupati per Sirio, il cui cosmo sentivano in tensione, mentre salivano la scalinata del Grande Tempio diretti alla Sesta Casa. Soprattutto Pegasus era il più angosciato per le sorti dell’amico. Ma Andromeda e Phoenix lo incitarono a proseguire, pregandolo di avere fiducia in Sirio, come avevano sempre fatto in tutte le battaglie precedenti.

 

! Rifletté Pegasus. Ho fiducia in te, amico mio! Come l’ho sempre avuta, dai tempi del nostro incontro durante la Guerra Galattica! Ma è di Ares che non mi fido! Di lui e dei suoi figli bastardi, capaci di chissà quali trucchi e bassezza, pur di vincere!

 

“La Sesta Casa!” –Esclamò Andromeda, rubando il ragazzo ai suoi pensieri.

 

“La casa di Virgo…” –Commentò Phoenix, mentre numerosi ricordi frullavano nella sua mente.

 

Lo scorso anno, durante la scalata delle Dodici Case, quella era stata la sua battaglia, in cui aveva dato fondo a tutte le sue risorse, soprattutto interiori, per vincere un nemico infinitamente più potente di lui. E adesso, di quel Tempio in cui aveva combattuto Virgo, non rimaneva più niente.

 

Muri crollati, colonne abbattute, i rosoni del Buddha andati in frantumi. Niente era rimasto della Casa della Vergine, dopo che la devastante potenza dell’Urlo di Atena vi si era liberata, mesi prima.

 

Pegasus, Andromeda e Phoenix si incamminarono tra i ruderi con una certa malinconia nel cuore, nel constatare la desolazione attorno a loro. Desolazione che mal si prestava con l’animo profondo del Cavaliere che quella casa aveva abitato per molti anni e di cui, al momento, non avevano più notizie. Fu Andromeda a parlare per primo.

 

“Credete che Virgo sia al sicuro?!” –Domandò, mentre camminava insieme agli amici tra le macerie del Sesto Tempio.

 

Pegasus non rispose, non sapendo cosa dire. Conosceva la potenza del Cavaliere di Virgo, ma il fatto stesso che fino a quella mattina, dopo quarantotto ore, Mur e gli altri Cavalieri d’Oro non avessero avuto sue notizie era sicuramente preoccupante.

 

“Se la caverà!” –Commentò infine Phoenix. –“Sono sicuro che Virgo saprà cavarsela!”

 

“Che strano!” –Mormorò Pegasus. –“Non ricordavo che ci fosse tutta quest’acqua alla Sesta Casa!”

 

“No, infatti non c’era!” –Precisò Andromeda, avendo notato anche lui il terreno fangoso, a tratti addirittura costituito da vere e proprie pozzanghere e chiazze di melma fetida che, man mano che si inoltravano all’interno del Sesto Tempio, si facevano sempre più grosse e più profonde.

 

Coraggio… cosa avete?!” –Brontolò Phoenix, agitato da tutti quei discorsi sulla sorte di Virgo. – “Non sarà un po’ di fango a fermarci, no?” –Ma Phoenix non fece in tempo a terminare la frase che sprofondò completamente nel terreno, mentre scure chiazze di fango si riversavano su di lui.

 

“Phoenix!” –Urlò Pegasus, correndo ad aiutare l’amico.

 

“Fratello!” –Lo seguì Andromeda. Ma entrambi poterono sentire la maggiore difficoltà che incontravano nel camminare, quasi come se il fango in cui si muovevano opponesse loro resistenza. Andromeda lanciò la catena avanti, che si tuffò nella melma dove era scomparso Phoenix, riuscendo ad afferrare il ragazzo per un braccio e a ritirarlo fuori. –“Coraggio, resisti fratello! Ti tiro su io!” –Esclamò, mentre finalmente Phoenix ricompariva alla vista dei due amici.

 

“Ma che diavolo succede…” –Brontolò Pegasus, osservando le melmose acque intorno farsi sempre più vicine, più minacciose. –“È come se questo fango fosse vivo!”

 

“Ma lo è, infatti!” –Esclamò una voce, risuonando nell’aere del Sesto Tempio.

 

“Chi sei?!” – Urlò Pegasus, alzando gli occhi. –“Mostrati!”

 

“Non mi vedete?!” –Ironizzò la voce, squillante, quasi come quella di un fanciullo. –“Eppure sono tutto intorno a voi! Eh eh eh!”

 

“Intorno a noi?!” –Si domandarono i Cavalieri di Atena.

 

“Attenti!” –Urlò Phoenix, che si era rimesso in piedi.

 

Le fangose acque circostanti avevano iniziato a muoversi, a scivolare intorno ai Cavalieri di Atena, mentre il terreno sotto di loro si faceva sempre più molle e vischioso, limitando i loro movimenti.

 

“Siamo coperti di fango fin sopra i ginocchi!” –Commentò Pegasus. –“Mi sono stufato!” –E scagliò decine di pugni luminosi intorno a sé, contro la melma che tentava di fermarli. Ma il Fulmine di Pegasus non sortì l’effetto sperato, perdendosi in quell’oscura e sempre più fetida fanghiglia.

 

“Non so cosa stia accadendo… Ma propongo di andarcene quanto prima!”

 

“Sono d’accordo!” – Gli andò dietro Andromeda. Con rapidi e guizzanti movimenti, fece roteare la sua catena intorno a sé, per spazzar via la melma che lo teneva prigioniero, ma si accorse, con stupore, di non riuscirvi. Per quanto la catena frullasse la fanghiglia intorno a lui, essa ritornava in quantità sempre maggiore, sempre più opprimente, onde oscure di fetida materia che puntava ad intrappolare i Cavalieri.

 

“Incredibile!” –Osservò Phoenix, mentre le onde di melma si facevano sempre più alte e pressanti.

 

“Catena di Andromeda!” –Urlò il Cavaliere, roteando sempre più vorticosamente le sue catene, nel tentativo di creare una grande gabbia con cui difendere se stesso e i due amici. Ma l’arma non poteva fermare l’enorme ammasso di melma fetida che crollò sui Cavalieri di Atena, risucchiandoli in una specie di rozzo gorgo, dove onde alte piombavano su di loro, cercando di spingerli all’interno, di impedir loro di respirare, quasi fossero esseri animati.

 

Maledizione…” –Gridò Pegasus, ansimando, mentre la melma vivente lo stava imprigionando. –“Vuole portarci là sotto!!!”

 

“La mia catena è inutile!!!” –Esclamò Andromeda, lanciando nuovamente la propria arma. Ma la melma sembrava non risentire minimamente degli assalti di Andromeda, lasciando che la catena si perdesse al suo interno, in quel melmoso cumulo di fetida oscenità.

 

“Adesso basta!” – Ringhiò Phoenix, stufo di quello spreco di tempo. –“Non so che razza di trucchetto sia, ma credo sia ridicolo e pretestuoso tentare di fermare dei Cavalieri Divini con del fango! Ali della Fenice!” –Urlò, liberando l’incandescente uccello di fuoco. –“Spazzatelo via!”

 

L’infuocata vampata di Phoenix mondò momentaneamente un mucchio di fango intorno a lui, ma molto meno di quanto il Cavaliere si era aspettato. Anche il fuoco, dopo la Catena di Andromeda e i pugni di luce di Pegasus, si era rivelato inefficace contro la melma.

 

“Non conosci il celebre proverbio?” –Commentò la squillante voce, sovrastando i volti preoccupati dei Cavalieri. –“Il fuoco lo puoi spegnere, con l’acqua! Ma l’acqua non la puoi fermare!” –E al suono di quella voce, le torbide acque in cui i Cavalieri erano immersi fino al collo, si animarono confusamente, diventando pressanti creature di fanghiglia che si attorcigliavano intorno ai corpi dei tre ragazzi, tentando di soffocarli, tentando di immobilizzarli.

 

Pegasus era quello che si agitava più di tutti, stufato e schifato da quella scomoda situazione da cui non riusciva a liberarsi. Abbiamo affrontato potenti Divinità, come Apollo, Nettuno e Ade e adesso dovremmo venire uccisi da… da… del puzzolente fango?! Giammai!!! E bruciò al massimo il proprio cosmo lucente, dimenandosi come un forsennato e scagliando centinaia di pugni luminosi intorno a lui. Ma niente servì per liberarlo dalla presa di quel fango animato. Fu Andromeda che tentò di sbloccare la situazione, liberando le braccia dal fango e riuscendo a sollevare il destro.

 

“Catena di Andromeda, via!” –Urlò, lanciando in alto la catena di offesa, la quale si arrotolò intorno ad una trave del tetto del tempio. –“E adesso, vediamo di uscire di qua!” –E ordinò alla Catena di condurlo fuori dalla fetida massa, riuscendo ad uscirne e a balzare in alto.

 

“Ben fatto Andromeda!” –Disse Pegasus. Ma non fece in tempo a terminare la frase che assistette sgomento all’incredibile. Le fangose melme si sollevarono impetuose, abbattendosi su Andromeda, in volo appeso alla sua catena, ributtandolo a terra, e sopraffacendolo con la sua fetida massa.

 

“Andromeda!!!” –Urlò Phoenix, in preda alla rabbia. –“Brucia, cosmo infuocato!!!”

 

“Frena il tuo ardore, Cavaliere di Phoenix, e accettate la fine che ho preparato per voi!” –Esclamò nuovamente la squillante voce, facendosi sempre più vicina. –“Perché è qua, nelle stalle di Augia, che troverete la morte, per mano mia, che ne sono il Custode!” –Un’abbagliante luce esplose nel cielo sopra i Cavalieri di Atena, rivelando infine l’artefice di quella torbida accoglienza: la Sesta Fatica.

 

“Uh?!” –Esclamò Pegasus, ancora intento a dimenarsi nella fangosa massa in cui stava sguazzando.

 

Un ragazzino era sopra di loro, seduto su una trave del Tempio della Vergine. Era magro e di media altezza, con la carnagione pallida e lentiggini sul viso, occhi sul marrone/verde, come la fetida melma in cui i Cavalieri erano immersi, e mossi capelli biondicci. La sua armatura era piuttosto semplice, bianca con sfumature rossastre, eccezion fatta per lunghe punte, di forma triangolare, che spuntavano da dietro la sua schiena, ai lati del suo viso, quasi fossero stilizzati raggi di sole.

 

Augia lo Splendente è il nome mio, figlio di Elios! Nel mondo antico Re dell’Elide, nel Peloponneso Occidentale!”

 

Augia…” –Rifletté Andromeda, ricordando la Sesta Fatica di Eracle. –“Era l’uomo più ricco di greggi e mandrie dell’Antica Grecia; le sue bestie, donategli da Elios, suo Padre, erano immuni da ogni malattia e sempre fertili. Sia vacche che pecore generavano quasi sempre femmine, ed inoltre Augia possedeva trecento tori neri e duecento stalloni di pelo fulvo e dodici tori bianco-argentei sacri a suo padre che difendevano le mandrie dall'assalto delle bestie feroci che a volte scendevano dalle boscose colline! Augia trascurò di pulire le stalle e le scuderie, e il letame che si accumulava ammorbava i dintorni, mentre nugoli di mosche oscuravano il cielo. Come sesta impresa, Euristeo ordinò ad Eracle di pulirle in un solo giorno, ed egli vi riuscì, deviando il corso di due fiumi!”

 

“Oggi servo il mio Signore, Ares, mirando a ricevere, come premio per la vostra sconfitta, nuovamente il mio regno, quando l’impero della guerra diverrà realtà!”

 

“Beh, mi spiace disilludere i tuoi sogni di dominio…” –Esclamò Pegasus. –“Ma finché ci saremo noi non ci sarà nessun Impero della Guerra…

 

“Uhm, e fino a quando ci sarete voi?” –Ironizzò Augia, aumentando la presa sulla massa fangosa.

 

Aargh!!!” –Urlò Andromeda, che per due volte era stato afferrato e portato sottacqua, nel tentativo di bloccare la sua respirazione.

 

Augia! Maledetto!!!” –Commentò Pegasus, dimenandosi e scagliando pugni come un matto. –“Tu e le tue stalle! Ci libereremo, e ripuliremo la Sesta Casa dal tuo letamaio! E tu, che hai osato profanarla, pagherai caro questo oltraggio!”

 

Oooh, sto tremando di paura! E come credi di pulire tutto questo fango? Non avete fiumi da deviare, come Eracle nel mito deviò l’Alfeo e il Peneo, lasciando che le impetuose acque invadessero le mie sacre stalle, spazzando via lo sterco e il letame che vi si era accumulato! Ah ah ah!” –Rise Augia di gusto, finché una nuova voce non attirò la sua attenzione.

 

“Non dell’Alfeo prenderemo le acque! Ma della fresca e purificante cascata dei Cinque Picchi!” –Esclamò una decisa voce maschile, proveniente dall’ingresso del Tempio. Impetuose e scroscianti onde di acqua si abbatterono improvvisamente sulla melmosa fanghiglia, mescolandosi ad essa e aiutando i tre Cavalieri a liberarsi. Immense colonne di acqua si sollevarono dal terreno, purificandolo dai putridi ammassi di sterco e letame che lo avevano inquinato fino ad allora. Immense colonne di acqua, dalla magnifica forma di un drago.

 

“Acque della Cascata, purificate la Sesta Casa!” –Esclamò una voce che Pegasus ben conosceva.

 

“Gelo della Siberia, nel silenzio del tuo mondo di ghiaccio lascia che si perda questo fetido fango!” –Lo affiancò una seconda voce, mentre Augia osservava stupito la maestosa sagoma di un cigno bianco volare in mezzo alle colonne d’acqua. Un cigno che portava con sé una tempesta di gelo.

 

Vortice… fulminante... dell’Aurora!!!” –Urlò la seconda voce, mentre decine di bianchi cigni si libravano in volo, sovrastando un devastante vortice di energia glaciante.

 

“Incredibile!” –Mormorò Augia, mentre la tempesta di ghiaccio travolgeva la fangosa melma.

 

Quando cessò, Pegasus, Andromeda e Phoenix, che ne furono in parte travolti e sbattuti contro le colonne del tempio, si rimisero in piedi, per salutare i due amici che erano giunti a salvarli.

 

Davanti a loro c’erano Sirio e Cristal, entrambi ricoperti dalle loro Armature Divine, ma piuttosto malconci, soprattutto Cristal. Gli bastò un’occhiata, a Pegasus, per capire che l’amico doveva aver affrontato qualche nemico in battaglia per ridurre la sua corazza in quelle condizioni. L’Armatura Divina del Cigno era coperta di sfregi e graffi, distrutta in più punti e senza più le splendide ali che ne ornavano il retro. Anche il viso di Cristal era stanco, ma la determinazione che brillava nei suoi occhi, unita alla gioia nel ritrovarsi con gli amici, nascondeva ogni traccia di fatica.

 

Cristal...” –Commentò Pegasus, rimettendosi in piedi. –“Ma cosa…

 

“Sirio ha combattuto una dura battaglia!” –Spiegò il Cavaliere del Cigno, indicando l’amico, che si era appena accasciato al suolo per lo sforzo. –“Portatelo con voi!”

 

“Uh?! Che cosa?!” –Commentò Pegasus, mentre Andromeda correva ad aiutare Sirio a rialzarsi.

 

“Affronterò io il custode del Sesto Tempio!” –Esclamò Cristal, con aria decisa, quasi spavalda. E tirò un’occhiata verso Augia, che si era alzato in piedi su una trave del tetto, indispettito per l’arrivo imprevisto dei due Cavalieri che avevano rovinato i suoi progetti.

 

“Ma Cristal…” –Tentennarono Pegasus e Andromeda, ma Phoenix, che già si era rimesso in piedi, volse a tutti loro le spalle, incamminandosi avanti.

 

“Non avete sentito cosa ha detto?” –Esclamò, scocciato. –“O vi è rimasto del fango nelle orecchie?”

 

Pegasus e Andromeda si scambiarono un’ultima occhiata, poi abbassarono lo sguardo annuendo, incamminandosi dietro a Phoenix, con Sirio sulle spalle di Pegasus.

 

“Dove credete di andare?! Stolti!” –Esclamò Augia, intimando loro di fermarsi. Sollevò il braccio destro al cielo, facendo comparire una sfera di melma fetida, roteante su se stessa. La caricò di energia cosmica, mentre l’ammasso fangoso cresceva sempre più, quindi la scagliò contro di loro.  –“Le stalle di Augia saranno la vostra tomba!” –E lanciò la bomba di melma verso il basso. Ma Cristal scattò avanti, superando gli amici, e fermò l’attacco con gli Anelli di Ghiaccio.

 

“Anelli del Cigno, create un muro di ghiaccio!” –Esclamò, mentre fitti cristalli di gelo si univano sopra le loro teste, fino a creare una resistente barriera su cui si infranse l’assalto di Augia. –“Adesso! Andate!!!” –Urlò, incitando gli amici a proseguire.

 

Mentre Pegasus, Andromeda e Phoenix scattavano via, Cristal si lanciava verso l’alto, liberando una violenta tempesta di ghiaccio che si abbatté sul lato interno del muro, venendone assorbita, prima di essere espulsa dall’altro lato, congelando l’ammasso melmoso sovrastante e dirigendosi verso Augia, che ne venne in parte travolto e spinto indietro. Quando il guerriero di Ares riuscì ad atterrare al centro del Sesto Tempio, Pegasus e gli altri erano già all’uscita.

 

“Hai rovinato il mio progetto, Cavaliere del Cigno!” –Esclamò, irato per essersi lasciato sfuggire gli altri Cavalieri. –“Se avessi giocato meno con loro, e li avessi uccisi all’istante, soffocandoli con la fetida melma delle mie stalle…

 

“In quella fetida melma infilerò il tuo bel visino!” –Ironizzò Cristal, sollevando le braccia, pronto per combattere.

 

Umpf…” –Storse il naso Augia, puntando il dito destro contro il Cavaliere. –“Tu credi? Sarai tu, ad affogarvi!”

 

Immediatamente una bomba di melma esplose intorno a lui, sbattendolo a terra, mentre gigantesche onde di letame si sollevarono dal terreno, abbattendosi scrosciando su di lui. Cristal si dimenò in mezzo a quelle putride tonnellate di sterco liquido, cercando di rimanere calmo e sfruttare il proprio potere congelante. Presto la temperatura intorno calò bruscamente, mentre cristalli di ghiaccio iniziarono a formarsi sulla superficie della fanghiglia, rallentando i movimenti dell’orrido letame.

 

Noo!!!” –Urlò Augia, determinato ad impedire a Cristal di congelare nuovamente i suoi fanghi.  Il guerriero di Ares scagliò un violento colpo energetico contro il pavimento, frantumandolo, e aprendo una faglia che corse in fretta verso il Cavaliere di Atena, facendolo precipitare all’interno, nell’oscuro sottosuolo del Tempio della Vergine, mentre tonnellate di letame si riversavano insieme a lui, limitando i suoi movimenti.

 

“Vediamo come te la cavi adesso, intrappolato nelle mie stalle, Bianco Cigno!” –Commentò Augia, con soddisfazione, prima di voltarsi e correre via, diretto verso l’uscita posteriore del tempio.

 

Nel frattempo, Pegasus, Andromeda e Phoenix avevano raggiunto il retro della Sesta Casa, con la convinzione di trovarvi la scalinata per la Settima, ma avevano avuto un’amara sorpresa. La bianca scalinata non esisteva più, e buona parte della roccia della Collina della Divinità era franata, creando forti scoscendimenti nel terreno, avallamenti all’interno dei quali stagnavano putride acque dal nauseabondo odore, ancora più disgustoso del fango in cui Augia aveva tentato di ucciderli.

 

“Ma cos’è?!” –Commentò Pegasus, nauseato. –“Un’immensa fogna?!” –Dalla Sesta Casa, salendo verso la Settima, la strada sembrava non esistere più, completamente ricoperta di fango e melma, interrotta in più punti da fosse nel terreno o da frane impreviste, che, in quel fosco pomeriggio di guerra, contribuivano a dare l’idea di un paesaggio infernale.

 

“Tutto è rovina!” –Disse malinconicamente Andromeda. –“Queste paludose acque, che discendono dall’alto del colle, portano con sé tristezza e disperazione, distruggendo l’incantevole paesaggio che un tempo era proprio di questi luoghi! Niente più resta del del Giardino degli Alberi Gemelli, dove Virgo combatté l’ultima sua battaglia, soltanto un’immonda palude, un’orrida fogna dove i letami dei berseker di Ares si ammassano senza rispetto alcuno per questo luogo sacro!”

 

“Maledetto Ares! Ti farò pulire con la lingua questo scempio!” –Digrignò i denti Pegasus, continuando a reggere Dragone.

 

Coraggio… non possiamo fermarci!” –Cercò di incitarli Phoenix. –“Per quanto l’idea di infilarmi in questa immensa fogna non mi stimoli per niente, non abbiamo alternative!”

 

Andromeda e Pegasus annuirono malamente, seguendo l’amico, infilandosi, con un certo disgusto, in quella melma acquitrinosa, cercando una strada che potesse condurli verso il Settimo Tempio. Se esiste ancora Commentò Pegasus, respirando a fatica, in quella nauseabonda palude. Andromeda lanciò avanti la catena, piantandola nella parete rocciosa alla loro sinistra e si aiutò con quella per avanzare nell’avvolgente letame, pregando gli amici di seguirlo. Improvvisamente un corpo rimbalzò sulla catena, facendo barcollare il ragazzo, prima di colpirlo con un calcio in pieno viso.

 

“Che cosa?!” –Esclamò Pegasus, riconoscendo la figura che era balzata sulla Catena, e adesso atterrata in cima ad una mozzata colonna di marmo. –“Ma tu sei… Augia!!!”

 

“In persona!” –Sorrise il guerriero di Ares. –“Cosa ne dite?! Non è spettacolare?! Non mi fate i complimenti per l’orchestrale scenografia che ho realizzato?!”

 

“Tu hai commesso un simile scempio?!”

 

“Ma... Dov’è Cristal?!” –Domandò Andromeda, quasi sconcertato.

 

“Il biondino è perso chissà dove nei profondi meandri delle mie stalle! E voi lo raggiungerete molto presto, non avendo il potere di liberarvi dalle mie melme! Ah ah ah!” –Rise Augia beffardo.

 

“Maledetto!” –Esclamò Pegasus, ma Phoenix anticipò ogni sua mossa, espandendo l’incandescente cosmo della sua costellazione. Avvampò impetuoso, il fuoco della Fenice, prima che il ragazzo lo concentrasse sulle braccia, e liberasse l’ardente volo dell’uccello sacro. –“Ali della Fenice!” –Gridò, puntandole contro Augia, che creò una sfera di putrida melma che lo circondò completamente, difendendolo dall’impetuoso assalto della Fenice.

 

“Eh eh eh…” –Sogghignò Augia, osservando i patetici tentativi del Cavaliere di forzare la sua barriera difensiva.

 

“Incredibile, riesce ad usare il fango e lo sterco delle sue stalle, potenziandoli di energia cosmica, per creare una sfera capace di proteggerlo dagli attacchi esterni!” –Rifletté Andromeda.

 

“Adesso basta! Credo che abbiamo giocato fin troppo!” –Esclamò il berseker, mentre Phoenix terminava l’attacco. –“Fanghi delle Stalle di Augia, sollevatevi!” –E al comando del suo signore, la putrida melma si sollevò, creando grottesche figure che si avventarono contro i Cavalieri di Atena, cercando di avvinghiarsi a loro e trascinarli nel letame, per soffocarli. Onde di fango scrosciarono nell’acquitrino mentre Augia rideva come un matto, in piedi sulla colonna mozzata.

 

D’un tratto si fermò, tendendo i sensi, prima di voltarsi verso l’oscuro cielo che sovrastava la Collina della Divinità, scorgendo sagome di grossi uccelli, simili ad aquile, in volo sopra di loro. Storse il naso, indignato, maledicendo il loro padrone.

 

“Non ti lascerò la soddisfazione di ucciderli!” –Brontolò Augia, stringendo i pugni, e voltandosi nuovamente verso i Cavalieri di Atena, impegnati a lottare nella fetida melma.

 

Improvvisamente la terra tremò sotto di loro, mentre una fenditura si aprì nel terreno, facendo colare la fanghiglia al suo interno.

 

“Uh?!” –Esclamò Augia, osservando la propria adorata creatura venire risucchiata all’interno della spaccatura. –“Che succede?!”

 

Una gelida corrente energetica iniziò a soffiare, provenendo proprio dalle profondità del terreno, accompagnata da un canto melodioso. D’un tratto il terreno si aprì, mentre la scintillante sagoma di un bianco cigno in volo verso l’aurora spuntava dalla fenditura, accompagnando l’uscita di Cristal.

 

Il Cavaliere di Atena balzò sul terreno acquitrinoso, lasciando scivolare sul fango il suo gelido cosmo, che tutto congelò con un semplice tocco. I cristalli di ghiaccio ricoprirono il fetido acquitrino, le rocce fangose e le tonnellate di sterco liquido che Augia aveva riversato sulla scalinata, creando grossolane statue di ghiaccio, dalle deformi fogge, che esplosero poco dopo.

 

Nooo!!!” –Urlò Augia, osservando la fine dell’orrida palude che aveva creato.

 

Cristal non parlò, limitandosi a bruciare ancora di più il suo glaciale cosmo, mentre Andromeda, Pegasus e Phoenix, liberatisi dall’immobilizzante melma, scattarono avanti, lungo la strada disastrata, diretti verso il Settimo Tempio, rinnovando la promessa, e la fiducia, all’amico.

 

Polvere… di Diamanti!!!” –Gridò Cristal, scatenando la sua devastante tempesta di ghiaccio.

 

Augia tentò di ricreare la barriera difensiva che aveva avuto ragione dell’ardente cosmo di Phoenix, utilizzando i fanghi che controllava sapientemente, trasformandoli in una sfera che avvolse l’intero suo corpo. Ma, come la melma poco prima, anch’essa fu congelata dall’attacco di Cristal. La sfera di fanghiglia ghiacciata esplose all’istante, scaraventando Augia indietro, fino a farlo precipitare a terra, sbattendo violentemente sulle rocce intorno, nel piazzale retrostante il Tempio della Vergine.

 

Cristal si avvicinò al guerriero di Ares, mentre l’aria attorno era ancora carica del suo gelido cosmo. Il Cigno tirò uno sguardo nella fitta nebbia che lo separava dal Settimo Tempio e poté sentire i cosmi dei propri amici procedere senza esitazione. Sorrise, convinto che presto li avrebbe rivisti.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo quindicesimo: Sulle tracce del niente ***


CAPITOLO QUINDICESIMO. SULLE TRACCE DEL NIENTE.

 

Libra e Scorpio, dopo aver lasciato l’Olimpo, sfrecciarono attraverso l’Europa Orientale, diretti verso le antiche terre dell’Asia. L’Arcipelago Giapponese era la meta del Cavaliere dello Scorpione, mentre la vallata dei Cinque Picchi lo era per Libra, due luoghi cari ai Cavalieri dello Zodiaco, loro amici e compagni d’arme. Due luoghi in cui, i Cavalieri d’Oro lo sapevano bene, si trovavano affetti che Ares avrebbe potuto colpire. Lasciatisi alle spalle l’Europa, i due decisero di procedere separatamente, dirigendosi ognuno verso il proprio obiettivo, sperando di non incontrare nemici durante il loro tragitto. E così avvenne, in entrambi i casi. Nessun berseker tentò di fermare i due Cavalieri d’Oro, che giunsero indisturbati alle loro mete finali.

 

Quando Scorpio raggiunse la città di Nuova Luxor la trovò proprio come Pegasus gliel’aveva descritta: una moderna città di fine millennio, con alti grattacieli e milioni di abitanti. La scelta di quella meta non fu completamente casuale. Non soltanto Libra voleva tornare ai Cinque Picchi, ma proprio Scorpio aveva espresso il desiderio di dirigersi in Giappone, per incontrare l’ultima allieva di Albione, Nemes del Camaleonte, discepola dell’uomo che lo stesso Cavaliere aveva affrontato, e ucciso, l’anno precedente, quando al servizio di Arles, e convinto di eseguire gli ordini di Atena, aveva raso al suolo l’Isola di Andromeda, ingaggiando combattimento proprio con il Cavaliere di Cefeo.

 

Già! Commentò Scorpio, amaramente, mentre un forte senso di colpa si risvegliava in lui per non aver saputo riconoscere il male nell’animo del Grande Sacerdote. Ho ucciso credendo di essere nel giusto! Quale vergogna per un Cavaliere del mio rango! Ma adesso non posso tornare indietro.. no.. posso solo chiedere il perdono e la comprensione dell’ultimo discepolo di Albione!

 

Il Cavaliere dello Scorpione, avvolto nel suo mantello per non dare troppo nell’occhio, seguì le indicazioni per l’ospedale della Fondazione e quando vi arrivò percepì che era accaduto qualcosa di grosso. Segni evidenti di lotta in tutto l’ingresso principale, muri e pavimento distrutti, guardie armate e dottori in forte agitazione, e i corpi di tre ragazzini massacrati, tra i frammenti delle strane armature che indossavano. Che sia dunque troppo tardi?! Rifletté, sguisciando in fretta al piano superiore. Ma anch’egli, come Scure e Balestra ore prima, non trovò tracce di Patricia né di Nemes.

 

Il muro distrutto della camera gli offrì una nuova pista da seguire, ripetendo in fretta il percorso compiuto dai berseker di Ares prima di lui, fino al centro della foresta intorno all’ospedale. Là trovò i corpi feriti di una decina di guerrieri dalle scarlatte armature, che non ebbe dubbio alcuno nel riconoscerli: erano i berseker del Dio della Guerra, da lui inviati per rapire Patricia e Nemes.

 

Ma chi può averli uccisi?! Da ciò che Pegasus e Andromeda mi hanno raccontato, questa Nemes è un Cavaliere di Bronzo, uno dei superstiti dell’Isola di Andromeda! Per quanto discepola del grande Albione, e quindi potenzialmente abile, non può essere riuscita a tenere testa, e ad uccidere, dieci berseker da sola! Si domandò, osservando i corpi senza vita dei guerrieri. Molti di loro erano stati passati da parte a parte, con colpi decisi e sottili che avevano perforato il loro corpo, senza incontrare resistenza. Rapidi fasci, precisi ed efficaci hanno sterminato questi macabri guerrieri! Commentò Scorpio. I cacciatori sono diventati preda! Ironizzò, affatto dispiaciuto per la triste sorte dei suoi avversari. Ma non poté fare a meno di chiedersi contro chi avessero combattuto. Tentò di usare il cosmo per contattare Libra, in Cina, quando si accorse, con stupore, ma anche con una certa preoccupazione, che il cosmo del compagno era facilmente percettibile. Troppo facilmente! 

 

Il Cavaliere della Bilancia era infatti impegnato in un combattimento.

 

***

 

Dohko di Libra raggiunse nuovamente i Cinque Picchi, dopo averli lasciati pochi giorni prima, alla ricerca di Fiore di Luna, la ragazza che aveva adottato anni addietro, per lenire la propria solitudine in quella terra d’Oriente. Dopo la battaglia con Arge, Ciclope di Zeus, e la distruzione della vecchia pagoda in cui il Cavaliere era vissuto per due secoli e mezzo, Dohko aveva suggerito a Fiore di Luna di trovare una nuova momentanea sistemazione. Non c’era tempo, con la guerra sull’Olimpo in corso, di ricostruire una nuova pagoda, e la cosa migliore era che la ragazza fosse ospitata da persone fidate. Cosa che infatti accadde, venendo accolta da una famiglia che abitava in una vallata adiacente a quella dei Cinque Picchi, che Dohko e Fiore di Luna conoscevano abbastanza bene.

 

“Non preoccuparti!” –Le aveva detto Sirio, prima di lasciarla. – “Quando la guerra finirà tornerò da te, e insieme costruiremo una casa per entrambi! Insieme costruiremo il nostro futuro!”

 

Fiore di Luna aveva sorriso, con le lacrime agli occhi e il cuore pieno di emozioni. E l’aveva lasciato partire un’altra volta, l’ennesima volta. Quel viso sorridente ma anche preoccupato era il volto che Dohko era solito riconoscere in lei, ed era il volto che adesso andava cercando.

 

Raggiunta l’abitazione dei contadini dove Fiore di Luna aveva trovato alloggiò, trovò conferma alle sue fosche previsioni. La casa era stata distrutta, e tutti i campi e le foreste di bambù circostanti erano stati incendiati, da mortifere fiamme che avevano il solo scopo di portare dolore. Anche l’anziana coppia, a cui Dohko aveva chiesto aiuto, era stata uccisa, e questo lo rattristò, facendolo sentire in colpa. Per un momento, osservando le ultime fiamme divorare quel che rimaneva della vecchia pagoda e dei campi attorno, prima di estinguersi, pensò che aveva fallito. Aveva condannato a morte due innocenti. O forse tre, se Fiore di Luna non fosse stata semplicemente rapita. Cosa dirò a Sirio?! Si chiese il Cavaliere d’Oro.

 

Improvvisamente qualcosa attirò la sua attenzione. Segni vistosi sul terreno, tracce marcate di piedi che si muovevano confusamente e lasciavano lo spazio intorno alla casa per correre via, nel campo attorno. Dohko li seguì, finché a metà del campo tali segni si fecero più confusi, mescolandosi tra loro in un groviglio di orme impossibili da riconoscere, se non fosse che, scaraventati poco distante, vi erano i corpi semidistrutti di una decina di guerrieri. Dohko osservò le armature che avevano indosso e immaginò si trattasse dei berseker di Ares, e la cosa lo stupì non poco.

 

Com’è possibile?! Si chiese. Come sono morti questi uomini? E dov’è Fiore di Luna? Inizialmente aveva creduto che la ragazza fosse riuscita a fuggire e che gli spietati guerrieri di Ares l’avessero rincorsa e raggiunta nel campo… ma i corpi morti dei berseker lo straniavano completamente. Sembravano arsi dalle fiamme, bruciati vivi da un’energia forte e vigorosa, al punto che le loro corazze erano andate in parte in frantumi per l’immenso calore col quale erano venute a contatto.

 

Sembra che questi guerrieri siano stati feriti da una massa di energia rovente! Una simile energia non esiste in natura libera in questi luoghi! Soltanto un uomo dotato di cosmo può compiere un gesto simile! Ma chi?! E perché?! Forse una guerra intestina? Che i berseker si siano uccisi tra di loro?! Beh, potrebbe essere… in fondo i servitori di Ares sono oscuri e infidi, relitti sbandati di un tempo che sembra non finire mai, non mancherebbe loro il coraggio di uccidersi a vicenda, magari per ambire ad una ricompensa promessa dal loro fratricida Dio! Ma quella spiegazione, in fondo, non soddisfò neppure lui. Fiore di Luna Strinse i pugni Dohko, augurandosi che la ragazza stesse bene.

 

Improvvisamente una vasta emanazione cosmica esplose dietro di lui, obbligando il Cavaliere a voltarsi e a scattare rapido all’indietro, evitando potenti fasci energetici che guizzarono verso di lui.

 

“Chi va là?!” –Gridò Libra, atterrando sul terreno poco distante, e immaginando di trovare il suo nemico di fronte a lui. Ma colui che lo aveva attaccato si trovava ancora distante, all’iniziare del campo, ma si stava avvicinando ad una velocità sorprendente. Dohko sbatté le palpebre, per un momento incredulo, prima di mettere a fuoco, sotto i luminosi raggi del sole di Cina, un uomo, ricoperto da una scarlatta armatura, avanzare verso di lui, alla guida di una scintillante quadriga.

 

“Uh?!” –Si chiese Dohko, mossi capelli marroni fermati da un nastro di stoffa, un viso rude e maschile, ed un’armatura scarlatta, dalla forma un po’ spigolosa e dai cupi riflessi di morte, che copriva buona parte del suo corpo, ma non tutto. Ma non ebbe il tempo di pensare altro che l’uomo sulla quadriga, giunto rapidamente di fronte a lui, lo attaccò con guizzanti raggi energetici, che Dohko fu abile ad evitare e a parare con il suo Scudo Dorato. –“Chi sei, cavaliere?!”

 

“Non chiamarmi con quel nome, stupido mortale! Io sono un berseker! Di stirpe divina e regale!” –Esclamò l’uomo, fermando la quadriga a pochi metri da Libra. –“Eveno, della Quadriga Celere! Figlio di Ares e suo messaggero! Sono giunto fin qua, in queste bastarde terre d’Oriente, per sincerarmi dell’operato dei guerrieri miei subalterni, preoccupato per il loro, apparentemente immotivato, ritardo! E ho fatto bene a venire, per affrontare te, che hai sconfitto i miei sottoposti!”

 

“Io non ho sconfitto nessuno, figlio di Ares!” –Precisò Libra, irritato dall’atteggiamento di superiorità dell’uomo. Un mortale che si crede un Dio solo perché in lui scorre del sangue divino! Commentò acidamente Dohko. Non è il primo né l’ultimo a vivere di questa illusione! Crede di essere invincibile, di essere immortale, ma presto si accorgerà di essere soltanto carne da cannone per il Dio della Guerra. Niente di più!

 

“Non mentirmi, bastardo ateniese! Dieci corpi di berseker giacciono intorno a te, gli stessi guerrieri a cui mio padre affidò il compito di rapire una fanciulla! E tu, che hai osato ostacolare la Divina Volontà di Ares, pagherai cara questa insolenza!”

 

“Se è la guerra che qua ti porta, figlio di Ares, allora non mi tirerò indietro e ti affronterò, come si affronta un invasore che porta fuoco e morte nella propria casa!” –Spiegò Dohko, mettendosi in posizione da battaglia. –“Ma non incolpare me del fallimento dei tuoi sgherri, perché, seppure mi piacerebbe gloriarmi di tale vittoria, non sono io la causa della loro sconfitta!”

 

“Taci, miserabile!” –Gridò Eveno, schioccando con forza la frusta che reggeva nella mano destra. La verga colpì i cavalli di fronte alla quadriga scarlatta, che si impennarono improvvisamente, emettendo versi osceni. E solo in quel momento Libra realizzò, osservandoli da vicino, che quelle bestie non erano cavalli, ma immondi esseri dalle deformi figure umane.

 

“Osservi i miei cavalli, Cavaliere dorato?!” –Esclamò tronfio Eveno. –“Non sono stupendi?! Erano uomini un tempo, uomini mortali proprio come te! Esseri inferiori che hanno osato sfidarmi, chiedendo la mano di mia figlia, venendo sconfitti. Le loro anime sono condannate a rimanere prigioniere dei miei cavalli, guidando in eterno la quadriga celere che li ha superati, che li ha schiacciati con le sue possenti ruote scarlatte! Una pena eterna, da cui mai saranno liberati!”

 

“È terribile!” –Mormorò Dohko, abbassando gli occhi. E gli parve di udire, in mezzo a quei versi osceni, delle grida di disperazione, delle urla di uomini impauriti, trasmutati in bestie deformi.

 

“E presto anche tu farai parte del mio cocchio!” –Gridò Eveno, sbattendo nuovamente la frusta.

 

I cavalli deformi si impennarono, volgendosi rapidi verso Dohko, e puntando su di lui ad altissima velocità. Il Cavaliere fu svelto a rotolare sul terreno, evitando la carica della Quadriga Celere, ma non ebbe tempo di riprendere fiato che subito dovette fronteggiare un nuovo assalto, alla velocità della luce.

 

“Cos’è? Sei sorpreso, paladino di Atena?!” –Lo derise Eveno, dall’alto della sua biga. –“Il nome Quadriga Celere non è certo di presunzione, ma frutto dei miei divini poteri che le permettono di spostarsi alla velocità della luce! Proprio come te! E, anzi, forse ad una velocità superiore!”

 

Una nuova frustata di Eveno diede il via al rinnovato assalto della Quadriga Celere, i cui deformi cavalli puntarono disperatamente su Dohko, obbligandolo a muoversi continuamente per non essere travolto. Ma ogni volta in cui si spostava, doveva nuovamente fronteggiare una nuova carica, verificando, suo malgrado, la veridicità delle parole di Eveno.

 

“Adesso basta!” –Mormorò Dohko, liberando il Drago Nascente. –“Fermati cocchio infernale!” –E diresse lo scintillante potere del suo cosmo contro la Quadriga Celere. Ma l’attacco non raggiunse l’obiettivo, perdendosi nel cielo terso d’Oriente. –“Che cosa?!” –Balbettò, incredulo.

 

La Quadriga si era spostata a sinistra, evitando l’affondo e portandosi alla destra del Cavaliere d’Oro, rimasto attonito e stupito. Eveno, approfittando di quel momento di distrazione, sbatté con forza la frusta sul cocchio scarlatto, che si allungò a dismisura e corse verso il Cavaliere di Libra, attorcigliandosi intorno al suo collo.

 

“Prigionia dell’Anima!” –Gridò Eveno, liberando una forte scarica energetica che percorse l’intera frusta, facendo urlare Dohko dal dolore.

 

Il Cavaliere d’Oro, soffocato e stritolato dall’energetica frusta, tentò di reagire, cercando di allargare la stretta mortale con la mano destra, mentre con la sinistra afferrò la frusta poco avanti, per allentare la presa. Ma la verga di Eveno lo fulminò ancora, stridendo contro la dorata protezione della Bilancia e impedendogli di portare a termine il suo progetto.

 

“Non opporre resistenza, mortale! Sarebbe un inutile spreco di tempo!” –Commentò Eveno, osservando i goffi tentativi dell’avversario di liberarsi. –“La frusta di Eveno non è una verga qualsiasi! Essa possiede il potere di assorbire l’energia interiore di un uomo, tramutandola nelle deformi bestie che guidano il mio cocchio! Come ti dissi poc’anzi, presto sarai anche tu uno dei cavalli della Quadriga Celere, e questo dovrebbe renderti felice e onorato di una simile morte!”

 

“Ma... mai…” –Sibilò Dohko, accasciandosi a terra.

 

Sciocco… Non accettare il proprio destino è segno di presunzione infinita! Soprattutto da parte di un uomo in procinto di morire!” –Lo rimproverò Eveno, stringendo ancora la presa della sua frusta.

 

Nuove scariche di energia stritolarono il corpo di Libra, sollevandolo da terra con improvviso vigore e scaraventandolo lontano, nel campo erboso. Eveno ritirò quindi la sua frusta, convinto di aver sconfitto il Cavaliere d’Oro e di averlo privato della sua energia, del suo cosmo. Sbatté nuovamente il frustino sulle sue immonde bestie, per liberare il potere di Dohko, da lui appena imprigionato, con un sorriso sardonico sul volto.

 

Aveva assorbito il cosmo di un Cavaliere d’Oro, di uno dei più potenti Cavalieri di Atena! Questo avrebbe sicuramente aumentato notevolmente il potere e la velocità della sua Quadriga Celere, portandola forse ad essere più forte e più rapida del maledetto carro del suo rivale, Enomao, altro figlio bastardo di Ares, ma da lui tenuto in maggior considerazione, al punto che il Dio gli aveva fatto dono di cavalli alati. Ma da oggi io sarò il primo! Commentò Eveno, prima di accorgersi, con immenso stupore, che la sua frusta non aveva immagazzinato energia alcuna.

 

“Com’è possibile?!” –Si chiese, sbattendo nuovamente la sua verga sui cavalli informi. E ancora e ancora. Ma nessuna energia giungeva a lui, nessun surplus su cui fare riferimento per aumentare il potere e la velocità della sua Quadriga.

 

In quel momento, tossendo e sputando, Dohko si rimise in piedi, ansimando per lo sforzo, ma sorridendo soddisfatto. Anche se ferito, tutto sommato aveva vinto.

 

“Come può essere?!” –Gridò Eveno, non comprendendo.

 

“Bella arma la tua verga, Eveno! Utile per frustare un illuso bastardo come te!” –Lo derise Dohko, mettendosi in posizione eretta. –“Forse sugli uomini mortali ha avuto effetto, ma non su un Cavaliere protetto da un’Armatura d’Oro! Un’armatura forgiata dagli alchimisti di Mu millenni addietro, intrisa della Divina Volontà di Atena, e ricreata, dalle proprie ceneri, nelle fornaci di Muspellheimr, nel Reame Nordico!”

 

“Un’Armatura d’Oro?!” –Bofonchiò Eveno, incapace di accettare il suo fallimento. –“Ha davvero potuto opporsi alla Prigionia dell’Anima?!”

 

“Adesso sembri tu, restio ad accettare il proprio destino!” –Lo schernì Dohko, bruciando il cosmo.

 

“Taci, mortale!” –Gridò Eveno, imbestialito. –“Prigionia dell’Anima!” –E lanciò nuovamente la frusta, potenziandola del suo cosmo semidivino. Ma Libra quella volta non si fece sorprendere. Afferrò il Tridente Dorato, caricandolo del suo scintillante cosmo, e fermò con esso l’avanzare sguisciante della verga, spingendola contro il terreno, con il tridente piantato in essa.

 

“A me il gioco, adesso!” –Esclamò Dohko, sfoderando il secondo Tridente d’Oro. Lo puntò avanti, scaricando un abbagliante fulmine di energia dorata, che colpì Eveno in pieno, scagliandolo fuori dalla Quadriga, mentre il Cavaliere d’Oro con un balzo era davanti al suo cocchio.

 

Con un colpo secco, Dohko piantò il tridente nella Quadriga Celere, sfondando la sua protezione e liberando il suo cosmo dorato e purificatore. Stringendo i denti per lo sforzo, il Cavaliere di Atena sollevò la Quadriga, usando il tridente come leva, e la lanciò lontano, sbattendola con forza sul terreno, distruggendola. I cavalli deformi, liberi dal loro obbligo di servilismo, iniziarono a correre per il vasto campo, nitrendo selvaggiamente, quasi come se tentassero di recuperare una libertà che da molto tempo avevano perduto.

 

“Maledetto!” –Gridò Eveno. –“Me la pagherai!” –E scattò avanti, con il pugno carico di energia cosmica. Ma Dohko, per quanto Eveno fosse velocissimo, come la Quadriga che dal mito guidava, fu più svelto di lui; sollevò lo Scudo Dorato, su cui si infranse il colpo di Eveno, brandendo il tridente e conficcandolo nel piede sinistro del suo avversario. La protezione scarlatta del berseker andò in frantumi e Eveno tirò un urlo, mentre il suo piede sprofondava nel terreno, trapassato dal forcone dorato. –“Aaargh!!!” –Gridò il berseker, i cui occhi esplodevano di rosso furore di morte.

 

Eveno della Quadriga, devo dartene atto! Mi hai etichettato come un comune mortale all’inizio dello scontro e inizialmente la tua presunzione mi aveva offeso, quasi disturbato. Ma poi, ascoltando il male insito dentro di te, la collera e l’odio annidati nel tuo animo, mi sono detto che mille volte preferirei morire, mille volte preferirei essere un uomo mortale, che passare un solo giorno della vita in un corpo semidivino come il tuo, ma così triste e incapace di comprendere i sentimenti umani!”

 

“Tu sia dannato per l’eternità, bastardo!” –Esclamò Eveno, afferrando il tridente con entrambe le mani e liberando il suo piede insanguinato. Ma ormai era troppo tardi. Il cosmo di Libra si era già acceso, scintillando nel verde prato, di fronte agli occhi attoniti e spaventati del suo avversario.

 

“Colpo del Drago Nascente!” –Urlò Dohko, liberando l’immensa sagoma del drago d’Oriente, che volò rapido verso Eveno, colpendolo in pieno petto, mentre ancora reggeva il Tridente Dorato.

 

Il berseker di Ares fu travolto e scaraventato lontano, mentre la sua scarlatta corazza andò in frantumi, schiantandosi sul terreno poco distante. Vicino ai guerrieri, da lui giudicati inferiori, che era tornato a cercare. In quel momento, forse privi per sempre del malefico controllo del loro carnefice, i cavalli si trasformarono, dissolvendosi nel vento poco dopo. Dohko sorrise, intuendo che le anime degli uomini da Eveno uccisi, le anime che aveva imprigionato facendone bestie deformi, avevano lasciato quel mondo, alla ricerca di un po’ di pace. Un grazie portato dal vento giunse all’orecchio del Cavaliere di Libra, un grazie ed un raggio di sole. Un grazie che, per quanto gli riempisse il cuore di gioia, non lo aiutava a capire dove si trovasse Fiore di Luna.

 

***

 

Quando Patricia riaprì gli occhi, ancora stordita, si accorse di essere in una grande stanza, poco illuminata, distesa su un soffice giaciglio di paglia. A fatica tentò di mettersi a sedere, per capire dove si trovasse e cosa fosse accaduto nelle ultime ore. Le doleva la testa, e si sentiva anche affamata, ma cercò di non pensarci e riorganizzare i frammenti dei suoi ricordi.

 

Fino a qualche ora prima, non sapeva neppure lei quanto, si trovava distesa nel suo letto, nell’Ospedale della Grande Fondazione, dove, da ciò che Nemes e i Cavalieri di Acciaio le avevano raccontato, suo fratello l’aveva condotta un paio di giorni prima, dopo essere rimasta ferita dall’attacco di un Cavaliere Celeste. Quella era stata l’ultima volta in cui aveva visto Pegasus, l’ultima volta in cui aveva parlato con suo fratello, prima che egli recuperasse la memoria, tornando ad essere il Cavaliere della Speranza. E a rischiare la vita per difendere la Terra e l’umanità.

 

Pegasus! Mormorò la ragazza, chiedendosi dove si trovasse il fratello e augurandosi il suo bene.

 

In quella, si accorse di un’altra persona, sdraiata non distante da lei, ricoperta da una morbida coperta che nascondeva il suo corpo alla vista di Patricia, ma la ragazza la riconobbe comunque dai lunghi capelli biondi. Doveva essere Nemes, l’amica di Andromeda, sua compagna nei lunghi anni dell’addestramento. In un momento Patricia ricordò tutto: l’assalto all’Ospedale, quei terribili guerrieri dalle vestigia scarlatte, la fuga nel bosco e… quel Cavaliere! Quel misterioso biondino che le aveva salvate. Chi era? Si domandò, non avendolo mai visto.

 

Un rumore proveniente dal fondo della stanza la fece sussultare, mentre una porta si apriva cigolando, lasciando entrare un giovane che reggeva una torcia luminosa, che rischiarò l’ambiente, permettendo alla ragazza di realizzare che il luogo in cui si trovava altro non era che una caverna. Un’ampia grotta, dall’alto soffitto, illuminata soltanto da alcune fiaccole affisse alle pareti laterali.

 

“Non avete mangiato niente, a quanto vedo!” –Esclamò il giovane, rubando Patricia ai suoi pensieri.

 

La sorella di Pegasus fissò il ragazzo e riconobbe il Cavaliere che le aveva salvate, sgominando in un attimo i malvagi Guerrieri Scarlatti. Biondo, dai capelli cinerei, un viso delicato e occhi marroni, sembrava un angelo disceso sulla Terra. Ma un angelo combattivo! Si disse Patricia, osservando l’armatura che il ragazzo indossava. Una splendida corazza che ricopriva quasi totalmente il suo corpo, senza apparire pesante o ingombrante, ma leggera e eterea al tempo stesso; il suo colore oscillava tra il dorato e il bianco sporco, ma riluceva di mille sfolgoranti striature, capaci di riflettere lo scintillio delle stelle.

 

“Chi sei?” –Domandò infine, con voce tremolante. –E dove siamo?

 

“Non aver paura! Non è nostra intenzione farvi del male!” –Rispose il ragazzo, parlando con voce calma. E lasciando intendere che non fosse solo.

 

Il rumore della conversazione risvegliò anche Nemes, la quale si voltò di scatto, chiedendo confusamente spiegazioni.

 

“Le avrete, quando sarà il momento!” –Esclamò il biondino. –“Adesso pensate soltanto a riposarvi e a rimettervi in forma!” –E indicò loro una tavola imbandita poco distante, con pezzi di pane, frutta fresca, verdura e un recipiente pieno di un’aromatica zuppa, oltre che varie caraffe di acqua. Non aggiunse altro e si allontanò, lasciando le due ragazze sole, a chiedersi dove fossero capitate. Dopo pochi minuti ricomparve, tenendo per mano una ragazza, dall’aspetto gracile e delicato. Patricia la fissò per un momento, e lo stesso fece Nemes, riflettendo di averla già vista in precedenza.

 

“Ecco!” –Sorrise il giovane, accompagnando la ragazza fino alla tavola a cui si erano appena sedute Nemes e Patricia. –“Credo che vi farà piacere passare del tempo in compagnia! Del resto… sono certo che abbiate molti argomenti in comune, non è così, Fiore di Luna?”

 

Fiore di Luna! Mormorò Patricia, sgranando gli occhi. La ragazza di Sirio, il Cavaliere del Drago, grande amico di Pegasus! Ecco quando l’avevo incontrata! Quel giorno, molti mesi fa, quando Lady Isabel tolse la memoria ai Cavalieri, donando loro il Talismano della Dimenticanza! Lei era presente… ed era così felice, così felice nel sapere che il suo Sirio non avrebbe più rischiato la vita in battaglia, e che adesso, finalmente, avrebbero potuto stare insieme! E vivere una vita normale, come tutti i giovani della nostra età!

 

E non è forse quello che ho pensato anch’io, riferendomi a mio fratello Pegasus? E che ha provato Nemes, per Andromeda?! Rifletté amaramente. Oh Atena, ogni tanto ti odio! Se tu non esistessi, non esisterebbero neppure i mortali pericoli che Pegasus e gli altri sono costretti ad affrontare ogni volta! E potrebbero vivere quella vita felice, piena di amore, a cui hanno diritto. Tremendamente tanto diritto!

 

La candida voce di Fiore di Luna la riportò in quella caverna, a chiedersi, con le altre due ragazze, cosa stesse accadendo e chi le avesse portate lì, salvandole dai Guerrieri Scarlatti.

 

Le tre giovani non potevano certamente sapere che pochi metri distante da loro era in corso un’interessante conversazione tra alcuni personaggi, gli stessi che avevano organizzato il loro salvataggio, per impedire ad Ares di disporre di un’ulteriore arma, più emotiva che fisica, da usare contro i Cavalieri di Atena.

 

“Mio Signore…” –Esclamò una decisa voce di donna. –“I berseker marciano verso l’Olimpo! Spade si infiammano nuovamente sul Sacro Monte!”

 

“Ahimè, dici il vero, Cavaliere di Luce!” –Rispose un’anziana, ma profonda, voce. –“Quest’epoca oscura è entrata nell’ultima fase del suo declino, e temo che non molto tempo passerà prima che la grande ombra scenda su tutti noi!”

 

“Riusciremo a fermarla in tempo?” – Chiese la donna, in piedi di fronte al vecchio uomo.

 

Questi non rispose, sospirando, prima di spostare lo sguardo verso due ragazzi, inginocchiati di fronte al trono di legno sul quale sedeva. Biondo era il primo, con lisci capelli che cadevano sulle spalle, e occhi marroni su un viso rotondo, luminoso come il sole; mentre il secondo aveva mossi capelli castani, che uscivano dall’elmo della sua corazza, ed occhi azzurri, profondi come il mare.

 

Di fronte a loro, per terra, c’era un oggetto che avevano recuperato dalle profondità degli abissi, salvandolo dal pericolo di una possibile appropriazione indebita da parte dei berseker di Ares. Il vaso contenente lo spirito di Nettuno, Dio dei Mari.

 

In quella una porta si aprì, dal fondo dell’ampia grotta, e un giovane Cavaliere dai biondi capelli ne entrò, reggendo una torcia ravvivante.

 

“Come stanno le nostre ospiti, Jonathan?” –Domandò il vecchio dalla lunga barba bianca.

 

“Fisicamente meglio, mio Signore!” –Rispose il ragazzo, avvicinandosi al piccolo trono. –“Ma sono desiderose di sapere, di conoscere cosa sta accadendo!”

 

Aaah, grande è il desiderio di conoscere nell’uomo, innato ed infinito oserei dire!” –Sorrise l’anziano saggio, toccandosi la sua lunga barba. –“Ma credo che per il momento sia meglio lasciarle all’oscuro dei fatti! Perlomeno fino a quando non avremo recuperato l’ultimo talismano!”

 

“Mio Signore…” –Esclamò il ragazzo dagli occhi azzurri. –“Vuole che contatti Avalon?”

 

“Non ancora, Marins!” –Rispose l’Antico. –“Cerchiamo di procedere con le nostre forze, senza ricorrere ad aiuti esterni! In fondo ne manca soltanto uno!” –Poi si voltò verso la ragazza, in piedi di fronte a lui. –“Credo che dovresti andare! Un vecchio amico ha bisogno di te!”

 

La donna non aggiunse altro, limitandosi ad annuire con il capo. Indossò l’elmo a diadema della sua scintillante armatura, e si incamminò verso l’uscita della caverna, mentre mille pensieri turbinavano nel suo cuore. Uno tra tutti, il più umano. Chissà se si ricorderà ancora di me? Si chiese, sospirando.

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo sedicesimo: Combattimento sull'Etna ***


CAPITOLO SEDICESIMO. COMBATTIMENTO SULL’ETNA.

 

Nel frattempo, mentre Andromeda stava combattendo contro il Cinghiale di Erimanto alla Quarta Casa dello Zodiaco, una pattuglia di berseker, guidata da Flegias, Flagello degli Uomini, aveva raggiunto le pendici del Monte Etna, in Sicilia, per portare avanti l’ardito piano del loro signore.

 

“Dove dobbiamo dirigerci?” –Domandò un berseker.

 

“Stupido!” –Lo zittì Flegias, dandogli un pugno in pieno viso. –“Dobbiamo trovare il modo di raggiungere l’interno del vulcano! Probabilmente ci sarà un’entrata nascosta tra questi anfratti!”

 

I guerrieri di Ares perlustrarono attentamente i vari scoscendimenti e gli avallamenti del monte siculo, alla ricerca di un modo per entrare al suo interno, ma non ne trovarono, e Flegias si convinse infine di dover passare dall’unica strada che era certo esistesse: la bocca del vulcano. Radunò i suoi uomini e li condusse alla sommità del fumante cratere, intimandogli di scendere al suo interno.

 

“Nelle viscere del vulcano?! Ma mio Signore, sarà prudente? Efesto in persona vi dimora!” –Disse un guerriero. Ma non visse abbastanza per udire la risposta del figlio di Ares, che lo afferrò per il collo e lo gettò nelle fauci del vulcano, facendolo precipitare nella lava primordiale.

 

“Qualcun altro ha dubbi da avanzare?!” –Domandò quindi Flegias, ironicamente. Nessuno dei berseker rimasti fiatò, muovendo la testa per dire di no. –“Bene... possiamo and…” –Ma il Rosso Fuoco non riuscì a terminare la sua frase che un’imponente voce maschile lo sovrastò.

 

“Ho io qualcosa da replicare!” –Esclamò qualcuno, facendo voltare tutti i guerrieri di Ares.

 

In piedi, su un cucuzzolo poco distante da loro, sul bordo del vulcano, stava un uomo, non troppo alto ma robusto, ricoperto da una scintillante corazza dai colori rosso e oro, da lui stesso forgiata millenni prima: Efesto, Dio della Metallurgia e del Fuoco.

 

Efesto!!!” –Esclamarono i berseker, quasi spaventati.

 

“Proprio te cercavo, vecchio zoppo!” –Lo derise Flegias, per niente intimorito. –“Immaginavo che te la saresti cavata! Avrei dovuto tagliarti la testa invece di lasciarti agonizzante a terra! Pazienza, sono sempre in tempo per rimediare!” –Esclamò, lasciando partire un rapido fendente di infuocata energia dalla sua spada incandescente, che scavò un profondo strato di roccia nel terreno, abbattendosi sulla gamba sinistra di Efesto, il quale non riuscì a muoversi in tempo, accusando il colpo. Con un balzo Flegias fu sopra di lui, muovendo la Spada Infuocata alla velocità della luce, creando migliaia di fendenti incandescenti che puntarono sul Fabbro Divino.

 

“Ti ucciderò, Flegias! E getterò il tuo cadavere nel profondo del vulcano Etna!” –Ringhiò Efesto, rabbioso, cercando di parare i colpi del suo nemico.

 

“Blateri troppo, gobbo dell’Olimpo!” –Lo schernì Flegias, atterrando proprio di fronte a lui. Sollevò la Spada Infuocata e poi la calò su Efesto, ma il Dio fu svelto a parare il colpo, afferrando il polso di Flegias con entrambe le sue possenti braccia. –“Argh!” –Digrignò i denti il Rosso Fuoco, furibondo, sentendo il dolore che Efesto gli procurava al braccio.

 

“Tu e i tuoi fratelli infami…” –Continuò Efesto. –Avete un debito nei miei confronti, un debito che neppure la vostra morte potrà saldare!” –E nel dir questo espanse il proprio cosmo, che si concretizzò sotto forma di lava incandescente che avvolse il braccio del figlio di Ares.

 

“Bastardo!!!” –Gridò Flegias, mentre per il dolore era costretto ad allentare la presa sulla Spada Infuocata che cadde a terra. Efesto fu svelto a tirarla via con un calcio, fino a farla precipitare sul bordo del vulcano, mentre le sue robuste braccia si caricavano di potente energia cosmica.

 

“Lava Incandescente!” –Gridò il Dio, scaricando torrenti di possente magma ardente contro il figlio di Ares, che venne letteralmente spinto via, travolto da quell’incandescente ammasso di lava.

 

L’impeto dell’assalto fu tale da scaraventare Flegias contro una roccia, sulle pendici del vulcano, mentre l’ardente magma ricopriva il suo corpo, nel tentativo di imprigionarlo al suo interno. Ma il figlio di Ares era determinato a non lasciarsi vincere, non adesso che era così vicino al suo obiettivo, ed espanse a dismisura il suo cosmo, liberando la demoniaca energia che covava dentro.

 

“Apocalisse Divina!” –Urlò, mentre l’esplosione annientava la lava che lo aveva immobilizzato.

 

Frammenti di magma solidificato piovvero su tutto il versante dell’Etna, tale fu la furia della tempesta scatenata dal Flagello degli Uomini, che non esaurì affatto la sua carica devastante, dirigendo l’energetico turbine contro il Dio della Metallurgia.

 

“Muori, vecchio zoppo! Apocalisse Divina!” –Ringhiò Flegias, mentre Efesto e tutto il versante dell’Etna furono investiti dalla devastante tempesta energetica del figlio di Ares. Efesto fu sollevato da terra, stritolato da folgori mortali e sanguinarie, sballottato confusamente, prima di schiantarsi tra i sassi, scavando un profondo solco sulla parete rocciosa.

 

“E voi, cosa fate ancora qua? Stupidi!” –Esclamò Flegias, voltandosi verso i berseker che avevano seguito la scena ammutoliti. –“Scendete all’interno! Sapete cosa dovete cercare!” –I berseker non risposero, limitandosi ad annuire e a correre sul bordo del vulcano, cercando una via per scendere al suo interno ed eseguire gli ordini ricevuti.

 

Flegias richiamò la Spada Infuocata, che tornò saldamente nelle sue mani, prima di dirigersi verso il Dio caduto, per dargli il colpo di grazia. Lo osservò per un momento, vecchio zoppo disteso in terra, con numerose ferite addosso, e una maggiore nel cuore, prima di sputargli contro.

 

“Muori!” –Gridò Flegias, brandendo l’infuocata lama. Ma improvvisamente un forte vento si levò sull’Etna, una vera bufera di aria che travolse il figlio di Ares, sollevandolo da terra e facendolo fluttuare in cielo, scaraventandolo lontano.

 

Aaahhh…” –Urlò il Rosso Fuoco, in balia della turbinante tempesta d’aria.

 

Efesto approfittò di quel momento per tentare di rimettersi in piedi, rantolando a fatica sul terreno. Il colpo subito da Flegias era stato tremendo, e per quanto la sua resistenza, e quella della sua armatura, fossero notevoli, era comunque indebolito.

 

“Posso darvi una mano, Divino Efesto?” –Esclamò una gentile voce maschile.

 

“Uh?!” –Borbottò il Dio, voltandosi e osservando un giovane in piedi in cima all’Etna.

 

Un uomo alto e snello, con un bellissimo viso che emanava un’aura di antica saggezza, gli sorrise con due occhi grigi, profondi come quelli di Zeus. Era ricoperto da un’accattivante Armatura Celeste, sulla schiena della quale erano fissate due grandi ali azzurre.

 

“Ti riconosco… tu sei…

 

“Euro è il mio nome, Vento dell’Est! Figlio di Eos, Dea dell’Aurora, nata dai titani Iperione e Teia, e di Astreo, figlio del titano Crio! In me discende l’antico sangue primordiale della Prima Generazione Cosmica!”

 

“Euro!” –Rifletté Efesto, rimettendosi in piedi. –“Cosa fai qua, in Sicilia?”

 

“Ho sentito cosmi esplodere proprio qua, sulle pendici del monte che custodite, e ho pensato aveste bisogno d’aiuto! Per quanto detesti e aborri queste insulse guerre tra Divinità, a quanto pare dovrò nuovamente scendere in campo per difendere il mio Signore Zeus!”

 

“Grazie per l’intervento, ragazzo!” –Esclamò Efesto, accennando un sorriso. –“Zeus avrà bisogno anche del tuo aiuto, contro la devastante follia incendiaria di Ares!”

 

“Ares?! È dunque suo l’oscuro cosmo che ho sentito esplodere in queste ore? Suo e dei guerrieri del sangue e dell’odio che per lui combattono, i berseker! Flegias ha mostrato la sua vera natura?!”

 

“Siamo stati ingannati, giovane figlio di Eos! E tua madre è soltanto una del lungo elenco di vittime che i figli di Ares hanno mietuto!” –Commentò il Dio, con una certa tristezza nel cuore. La loro conversazione fu improvvisamente interrotta da una devastante esplosione cosmica, che fece tremare l’intera superficie del vulcano.

 

“Ma che bel quadretto familiare!” –Esclamò una voce ringhiante, ricomparendo di fronte a loro.

 

Flegias!!!” –Ringhiò Efesto, stringendo i pugni.

 

“Ti sei messo dalla parte sbagliata, orfanello!” –Commentò Flegias, indicando Euro con un dito. E prima che il figlio di Eos potesse rispondere si ritrovò schiacciato a terra, dilaniato da ardenti fiamme che paralizzavano tutto il suo corpo.

 

Aaargh….” –Urlò Euro, cercando di liberarsi dalla mortale presa.

 

“Lascialo andare, Flegias!” –Esclamò Efesto, bruciando il cosmo. Ma non poté muoversi che si ritrovò completamente immobilizzato a sua volta. –“Cosa succede?!” –Si domandò, osservando il proprio corpo venire avvolto da una fitta trama di fili scuri. –“Ma... non sono fili! Sono capelli?!”

 

“Sei arrivata, finalmente!” –Affermò Flegias, lamentandosi per il ritardo.

 

“Una Dea arriva quando vuole, Flegias! Non ho orari da rispettare, né di cui debba rendere conto a te!” –Sibilò una voce femminile, facendo rabbrividire Efesto, che aveva riconosciuto il suo cosmo.

 

Intrappolato tra quegli infernali capelli, Efesto osservò una figura ammantata da un nero mantello abbassare il proprio cappuccio, rivelando così il suo volto deforme: era quello di Enio, la Dea della Strage e della Distruzione. Ed erano i suoi capelli, allungati a dismisura, che stavano bloccando il Dio a terra, stringendolo con forza fin quasi a soffocarlo.

 

“Non perdere altro tempo! E porta a compimento gli ordini di tuo Padre!” –Esclamò.

 

“Non ho bisogno che tu me lo ricordi, vecchia vipera!” –Rispose Flegias, scattando avanti.

 

Euro si liberò del mortifero giogo che lo aveva imprigionato, aprendo le scintillanti ali azzurre della sua corazza, e si librò in aria, avventandosi su Flegias, ma il figlio di Ares fu più svelto, e lo colpì con un guizzante fendente di energia in pieno petto, facendolo sbilanciare. Quindi gli fu sopra, montando a cavallo sopra di lui, prima di infilare la sua infuocata spada nella schiena del giovane.

 

“Muori anche tu, e porta i miei ossequi alla tua defunta madre! Uah ah ah!” –Urlò Flegias, balzando via, mentre Euro precipitava a terra in un lago di sangue.

 

Maledetto… fermati.. fermati…” –Gridò Efesto, osservando Flegias scattare sul bordo del vulcano e lanciarvisi dentro, senza paura alcuna della mortale lava.

 

“Non essere così precipitoso, Efesto!” –Sogghignò Enio, avvicinandosi al Dio. Camminava sensualmente, come una donna, e si slacciò il mantello che aveva indosso, lasciando che scivolasse sul suo corpo, fino a svelare, a pochi metri dal Dio, le sue fattezze. Le sue orrende fattezze. Magra, dal carnato pallido e coperta di chiazze di odio, con un viso emaciato su cui spuntavano due occhi intrisi di sangue. Eppure, tutto quell’orrore, che la donna portava seco, aveva attirato Ares, che ne aveva fatto la sua amante, la deliziosa pantera che aveva allietato i suoi piaceri.

 

“Non ci vediamo da secoli… troppi secoli… e adesso non vuoi passare un po’ di tempo con me?!” –Sussurrò la Dea, avvicinandosi all’orecchio dell’imprigionato Dio.

 

“Sei dunque rinata, Dea della Strage? Per affiancare il tuo amante nei suoi folli progetti di dominio?”

 

“Non è folle chi cerca di conquistare il mondo, Efesto! È naturale, insito nell’armonia cosmica dell’universo!” –Gli rispose Enio, senz’affatto scomporsi. –“L’universo stesso è un ciclo continuo di distruzione e costruzione! Come si può creare nuova materia se non si distrugge la preesistente?”

 

“Voi non volete costruire niente! Solamente distruggere, come avete sempre fatto!” –Gridò Efesto, puntandola con occhi adirati.

 

“Taci, orrenda bestia deforme!” –Esclamò Enio, avventandosi sul Dio del Fuoco, e affondando le sue affilate unghie sul suo viso. Lo graffiò più volte, fino a vedere il sangue uscire copioso dalle sue vene, fino a farlo tossire e imprecare di smetterla. –“Ooh… se ti vedesse adesso Afrodite…” –Sogghignò, digrignando gli orridi denti giallastri. –“Proverebbe soltanto disgusto e raccapriccio!”

 

Nel sentire il nome di Afrodite Efesto ebbe un sussulto e il suo cosmo si risvegliò improvvisamente, esplodendo come una bomba sulle pendici dell’Etna. I capelli di Enio furono annientati, arsi dalla violenta fiammata del Dio, e la stessa Dea fu scaraventata lontano, travolta dalla detonazione.

 

“Afrodite mi ha sempre amato, per quanto brutto e storpio fossi! Lei ha sempre amato me, la persona che sono e sono stato, e non ha amato un Dio crudele e sanguinario al quale niente altro importa che non il soddisfacimento del proprio benessere!”

 

“Se non ricordo male…” –Ironizzò Enio, rimettendosi in piedi. –“Anche Afrodite ha trovato piacere in Ares... e i figli che l’hanno uccisa erano proprio i loro!”

 

Bastaaa!!!” –Urlò Efesto, delirante, portando entrambe le braccia avanti e liberando il magma incandescente, che diresse contro Enio.

 

La Dea balzò in aria, evitando il primo forte getto, ma fu completamente esposta al secondo spruzzo di lava, da venir travolta e scaraventata indietro, contro una parete rocciosa alla quale il magma la stava murando. Enio tentò disperatamente di liberarsi, allungando un braccio fuori dall’ammasso di lava che si stava solidificando intorno a lei, e lasciando cadere una goccia di cosmo. Non appena la goccia toccò terra, un incandescente piano di energia si dipartì da lei, diretto verso Efesto, il quale tentò di fermarlo con le proprie possenti braccia.

 

Drops of loneliness!” –Gridò Enio, intensificando l’attacco. Ma la posizione scomoda in cui si trovava, per più di metà murata viva, le permetteva di controllare scarsamente i suoi assalti.

 

Efesto espanse al massimo il proprio cosmo, riuscendo a respingere i cerchi di energia che Enio gli aveva diretto contro, prima di accasciarsi a terra, ormai privo di forze.

 

Improvvisamente, prima che qualcuno dei due contendenti riuscisse a muovere un muscolo, si udì un tremendo boato, proveniente dalle viscere del Monte Etna. Un fragore che scosse l’intero vulcano, e forse anche l’intera isola sicula.

 

“Che... cosa?!” –Balbettò Efesto, cercando di rimettersi in piedi.

 

Flegias ci è riuscito, dunque!” –Esclamò Enio, ancora prigioniera della lava solidificata di Efesto. –“Per l’Olimpo è giunto infine il tramonto!”

 

La terra tremò sotto di loro, con un fragore tale da far crollare alberi e piante, da smuovere rocce e sassi, creando frane e smottamenti, mentre grida furiose si levavano dalle profondità del Monte Etna. Grida mostruose di un essere che troppo a lungo vi aveva soggiornato.

 

“Non ci credo…” –Commentò Efesto, rialzandosi. –“No!!! Noooo!!!”

 

Il vulcano Etna iniziò a eruttare fiamme e lapilli, mentre le pendici del monte si frantumavano, aprendosi su loro stesse, in ampie spaccature da cui presto la lava iniziò a uscire, mentre le devastanti grida risuonavano per l’intera isola. Pochi istanti dopo dalla terra franante si sollevò un’immensa figura, che non aveva niente di umano. Uscì dal terreno, da sotto il vulcano in cui Zeus lo aveva seppellito millenni prima, per impedirgli di spargere ulteriore sangue nel mondo. Persino Enio rimase ammutolita di fronte alla grandezza e all’orrore che la creatura emanava.

 

“Tifone!” –Commentò a bassa voce, ma sufficiente per far gelare il sangue ad Efesto, che non poteva fare niente, soltanto osservare attonito ed impotente la liberazione della bestia infernale.

 

Tifone, figlio di Gea e Tartaro, era stato il mostro più tremendo che gli Dei greci avevano dovuto affrontare nel Mondo Antico. Istigato dalla madre, adirata con Zeus per aver sconfitto i suoi figli, i Titani guidati da Crono, Tifone dedicò l’intera sua mostruosa esistenza a lottare contro Zeus e le Divinità Olimpiche, arrivando persino a sconfiggere il Signore Supremo dell’Olimpo, rimasto solo a combattere con lui, dopo che tutti gli altri Dei, impauriti, erano fuggiti in Egitto. Tifone recise i tendini delle mani e dei piedi del Dio con la stessa falce con la quale Zeus voleva ucciderlo, quindi lo nascose in  Cilicia, rinchiudendolo in una grotta chiamata Korykos antron, “il sacco di pelle”, mentre i suoi tendini, deposti in una sacca di pelle d'orso, li affidò alla  custodia della dragonessa Delfine. Ma Ermes, fedele servitore del Dio, ripresosi dallo spavento, rubò i tendini a Delfine e, trovata la grotta in cui era rinchiuso il Padre, lo liberò rendendolo di nuovo forte e potente.

 

“E adesso è qua, di nuovo pronto per annientare il mondo! Di nuovo pronto per provocare dolore e distruzione!” –Commentò Efesto, lasciandosi cadere a terra sconfortato, alla vista dell’orrida bestia.

 

Tifone era immenso, alto quanto il cielo e orrendo a vedersi: aveva il busto ricoperto di piume e dal collo partivano cento teste di drago che lanciavano fuoco mentre dalle gambe spuntavano vipere. Il suo corpo era alato e gli occhi lanciavano fiamme. La sua voce era tanto potente e terribile da essere compresa solo dagli dei. Per un istante Efesto rabbrividì, ricordando l’orrore e la paura che provò in quel lontano giorno, quando Tifone attaccò l’Olimpo e tutti gli Dei si tramutarono in animali e fuggirono via, lasciando soli Atena e Zeus a combattere. Atena combatté anche quel giorno! Al fianco di Zeus! Come sta facendo oggi contro Ares! Rifletté, trovando la forza di rialzarsi e mettersi in piedi. Mentre io fuggii via come un bue, ella rimase saldamente al suo posto, stringendo lo scettro di Nike, ad aiutare il Padre! Ma oggi così non sarà! Oggi non fuggirò… no! Combatterò, a fianco di mio Padre e dei miei fratelli Dei! E, se sarà necessario, morirò con loro! Strinse i denti, mentre le fiamme provocate da Tifone distruggevano ogni cosa intorno a lui.

 

Il Monte Etna iniziò a sgretolarsi, mentre torrenti di lava scendevano dai suoi fianchi sventrati, mescolandosi a rocce e pietre. Efesto rotolò sul terreno, travolto dalle frane, ma riuscì a raggiungere il corpo ferito di Euro, disteso a terra più a valle. Lo afferrò con forza e se lo caricò sulle possenti spalle, cercando di allontanarsi da quell’inferno.

 

“Coraggio, ragazzo! Cerca di resistere! Ti porterò sull’Olimpo!”

 

Euro non rispose, ma il suo volto pallido fece preoccupare notevolmente Efesto, che capì che il ragazzo stava morendo. Sta morendo per me! Rifletté il Dio. Per essere giunto fin qua per salvarmi! Il minimo che possa fare per sdebitarmi a mia volta è condurlo in salvo, sull’Olimpo! Quindi si fermò un istante, chiedendosi se era effettivamente l’Olimpo il posto più sicuro per loro in quel momento. Ma quale altro potrebbe essere, se non l’immortale dimora degli Dei?! E bruciò il proprio cosmo, cercando di vincere le resistenze dello spaziotempo e di raggiungere direttamente l’Olimpo, come aveva fatto giorni prima insieme alla sua sposa. Ma non ci riuscì.

 

Il malvagio potere di Ares, impegnato a scontrarsi con quello di Zeus, rendeva impossibile a lui, in quel momento, con le poche forze che aveva, teletrasportarsi sul Monte Sacro. A costo di giungere in Grecia a piedi, io ti condurrò da Zeus! Si disse, con aria di sfida. Ma quando si guardò intorno capì che le sue belle parole si sarebbero perse nel vento.

 

Erano su un cucuzzolo del Monte Etna, circondati da un oceano di ardente magma che stava scendendo a valle, mentre l’antico vulcano ripiegava su se stesso. Entro pochi minuti, Efesto ne era certo, sarebbe esploso, distruggendo tutto ciò che si trovava intorno per centinaia di chilometri. Tifone se ne era andato, con Flegias sulle spalle, dirigendosi verso la Grecia. Il battito delle sue infernali ali aveva creato turbini impetuosi a cui solo le possenti gambe di Efesto, saldamente piantate nel terreno, erano in grado di resistere. Tutto il resto venne spazzato via.

 

Efesto si guardò intorno, ma di Enio non trovò più tracce, e immaginò che anch’ella avesse seguito Tifone e Flegias in Grecia. Nel pieno della sua disperazione, cercò nuovamente di accedere all’Olimpo, espandendo il cosmo. Fallì, ma attirò l’attenzione di qualcuno che stava rientrando in Grecia in quel momento.

 

“Posso aiutarti, amico mio?!” –Sorrise una squillante voce sopra Efesto.

 

Il Dio della Metallurgia si voltò verso il cielo, trovando Ermes in volo sopra di lui, ricoperto dalla sua Veste Divina. Senza nient’altro aggiungere, Ermes sollevò Efesto ed Euro, bruciando al massimo il proprio cosmo, e, forte degli invincibili calzari che indossava, sfrecciò via, nel vento, diretto verso l’Olimpo.

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo diciassettesimo: Le paludi di Stinfalo ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO. LE PALUDI DI STINFALO.

 

Cristal il Cigno era arrivato ad Atene proprio mentre i suoi compagni correvano verso la Casa del Leone, impiegando quasi un’ora per raggiungere il Quinto Tempio, venendo fermato per ben due volte da scarse pattuglie di berseker con il compito di controllare i dintorni e i piani bassi della Collina della Divinità. Berseker che Cristal non ebbe problema alcuno nell’affrontare e nel vincere, incapaci come erano di resistere al freddo gelo della Siberia.

 

Era arrivato alla Casa di Leo giusto in tempo per salvare Sirio dalla furia demoniaca di cavalle imbizzarrite, e di condurlo, sorreggendolo, fino alla Sesta Casa. Nel tragitto, il Cavaliere del Drago aveva raccontato brevemente gli ultimi eventi all’amico, dalla sua partenza fino alla nuova corsa per le Dodici Case del Grande Tempio, adesso occupato da Ares e dai suoi berseker.

 

“Quel maledetto!” –Aveva stretto i pugni Cristal, senza riuscire a trattenere le lacrime quando Sirio gli aveva confessato la morte di Geki e degli altri Per quanto non avessero legato profondamente, restavano comunque amici di infanzia, combattenti, come lui, per Atena e per la giustizia.

 

Cristal, a sua volta, aveva narrato all’amico la breve ma intensa battaglia sostenuta in Siberia, contro Enio, Dea furiosa della Distruzione, e questo aveva fatto preoccupare Sirio non poco.

 

“Se Ares ha inviato una truppa di berseker in Siberia per rapire Jacov, è possibile che abbia fatto altrettanto con Fiore di Luna e Patricia!” –Aveva commentato Sirio, camminando a fianco dell’amico sulla scalinata di marmo.

 

“Temo di sì…” –Aveva mormorato Cristal, dispiaciuto. Avrebbe voluto aggiungere qualche parola di conforto, accennando al misterioso, ma provvidenziale, aiuto che aveva ricevuto in Siberia, ma l’esplosione improvvisa dei cosmi di Pegasus, Andromeda e Phoenix li aveva fatti sobbalzare entrambi, spingendoli ad accelerare il passo.

 

Sirio aveva stretto i denti ed era corso dietro a Cristal, per quanto si sentisse ancora molto debole, e i due erano arrivati in tempo per neutralizzare il fangoso potere del Custode del Sesto Tempio: Augia, lo Splendente. Cristal si era offerto per combattere contro di lui, permettendo a Pegasus e agli altri di proseguire. Augia, che all’apparenza sembrava un ragazzino di dodici anni, lentigginoso e poco attraente, aveva giocato subito la sua carta migliore, quella dell’infida sorpresa, facendo precipitare il Cavaliere del Cigno in una faglia nel terreno, in tunnel sotterranei completamente pieni di fango e di letame.

 

“Che orrore!” –Commentò Cristal, cercando di liberarsi dalla melma che limitava i suoi movimenti. Bruciò il cosmo, congelando la putrida massa intorno a lui, e distruggendola di colpo, sforzandosi di capire dove fosse finito e come uscire da quella scomoda situazione.

 

Si trovava in una caverna sotterranea, che al biondino sembrò un immenso stanzone maleodorante e privo di luci. Sentì scrosciare della fanghiglia, e questo gli permise di capire che dovevano esserci delle aperture, delle fenditure da cui il fango colava all’interno di quella vasta fogna sotterranea. Cercò di muoversi nell’oscurità, ma ad ogni passo gli crollavano addosso pezzi di roccia, mescolati a grumi di letame e di melma, mentre il terreno in cui le sue gambe erano immerse fino alle cosce gli rendeva difficile camminare.

 

Improvvisamente un’onda di fango lo travolse, trascinandolo via, in un mulinello di letame che avrebbe voluto sopprimerlo. Ma Augia non aveva fatto i conti con la determinazione dei Cavalieri di Atena, che permise a Cristal di reagire, soprattutto dopo aver sentito i cosmi di Pegasus e degli altri amici in pericolo. Espanse il cosmo, mentre cristalli di ghiaccio si formavano ovunque, riempiendo l’orrida caverna e fermando i movimenti del fango e del letame.

 

Aaahhh!!!” –Mormorò Cristal, socchiudendo gli occhi.

 

Il freddo cosmo del Cigno invase l’intera caverna, congelando tutto ciò che incontrò sulla sua strada, mentre Cristal scagliò due violenti pugni verso l’alto. Una fitta rete di gelo cadde in quegli oscuri abissi, mondandoli dal fetido letame che Augia vi aveva riversato.

 

Seguendo il cosmo degli amici, Cristal balzò di roccia in roccia, fino a raggiungere il punto più alto della caverna; concentrò il cosmo sulle mani, prima di scagliare un violento pugno verso l’alto, spaccando il terreno sopra di lui e aprendo una fenditura dalla quale iniziò a colare una gran quantità di fanghiglia. Lasciò che ne cadessero decine di litri, senza sporcarlo, riparato com’era da una cupola di cristalli di ghiaccio, e poi si librò in aria, uscendo fuori e ritrovandosi nel piazzale retrostante la Sesta Casa, nuovamente di fronte al suo nemico.

 

“Polvere di Diamanti!” –Esclamò, liberando il gelo della Siberia.

 

Augia, che aveva tentato di arrestare Pegasus e gli altri, era in piedi su una mozzata colonna di marmo e, per difendersi dall’assalto di Cristal, creò una barriera di fango dalla forma sferica all’interno della quale credette di essere al sicuro. Ma si sbagliò.

 

Il freddo gelo della Siberia ghiacciò gli atomi che componevano il fango, facendo esplodere la sfera difensiva e scaraventando Augia a terra, facendolo sbattere sulle rocce, non distante da Cristal.

 

Il Cavaliere del Cigno lanciò un’occhiata verso monte, e percepì i cosmi di Pegasus e degli altri muoversi velocemente, diretti verso la Settima Casa. Sorrise, confidando di ritrovarli presto.

 

“Non impiegherò molto tempo con una feccia come te!” –Esclamò, incamminandosi verso Augia, che si rimise prontamente in piedi, toccandosi il naso sanguinante.

 

“Questo è da vedersi! Bomba di fango!” –Urlò Augia, concentrando una sfera di energia mista a melma e letame nel pugno destro e scagliandola velocemente contro Cristal, il quale neanche si mosse, lasciando che si infrangesse su un’invisibile barriera posta a sua difesa. Un muro impenetrabile per il berseker, formato da sottilissimi, ma resistentissimi, anelli di ghiaccio.

 

“Maledetto!” –Ringhiò Augia, scagliando nuove bombe di fango e energia contro Cristal. Ma nessuna di esse riuscì a distruggere la barriera di ghiaccio, facendo infuriare Augia a dismisura.  Preso dall’ira, il berseker non si accorse del gelido cosmo di Cristal, che scivolò sul terreno, congelandolo interamente, fino a giungere alle gambe del guerriero e iniziare a ricoprirle, con uno strato di ghiaccio che da sottile si fece sempre più consistente, al punto da bloccare i movimenti di Augia al terreno.

 

“Uh?!” –Esclamò il figlio di Elios, accorgendosi di non riuscire più a muoversi.

 

“Irato e disattento!” –Commentò Cristal, con un sorriso di vittoria sul viso. –“Preso dalla foga hai abbassato le tue difese, guerriero di Ares, permettendomi di immobilizzarti! Adesso incontrerai la morte!” –Aggiunse, espandendo ancora il suo candido cosmo.

 

“La morte?! Sciocchezze!” –Mormorò il berseker, tastandosi il naso. –“Non crederai che basti un po’ di ghiaccio per fermare me, Augia, lo Splendente?!”

 

Cristal non diede peso alle parole del guerriero di Ares, muovendo le braccia velocemente, per preparare il suo attacco glaciale, ma quando fu sul punto di scagliare la Polvere di Diamanti si fermò di colpo, stupito che Augia fosse riuscito a liberarsi. Il cosmo del berseker esplose improvvisamente, rivelando un’ampiezza e una potenza che Cristal fino a quel momento non aveva percepito, poiché lo stesso figlio di Elios non l’aveva rivelata.

 

Ruota solare!” –Esclamò Augia, saltando in aria e iniziando a roteare su se stesso, fino ad assumere una tozza forma sferica, in continua rotazione. In un secondo, vampe incandescenti di energia circondarono il suo corpo, creando una potente cometa umana che sfrecciò a gran velocità verso Cristal, rimasto sorpreso, quasi stupefatto.

 

Il Cavaliere del Cigno venne travolto dalla meteora vivente e scaraventato indietro, mentre fiammate di viva energia percorrevano la sua corazza divina, stridendo fortemente su di essa.

 

“Sorpreso, eh?!” –Esclamò Augia, atterrando sul terreno poco distante. –“Credevi che i miei poteri si limitassero alle mie fangose stalle? Beh, sbagliavi, Cavaliere del Cigno! Hai di fronte il figlio di un Dio, non un uomo qualunque! Elios era mio Padre, figlio del Titano Iperione, e Dio del Sole!”

 

“E... Elios?!” –Mormorò Cristal, rialzandosi a fatica. Gli doleva il corpo in vari punti, per essere stato travolto da quell’incandescente meteora umana, che, soprattutto, l’aveva preso alla sprovvista.

 

“In persona, colui che nel mito trainava il carro del sole! Da lui ho ricevuto questo potere, e l’epiteto che mi caratterizza, lo Splendente, in quanto in me risiede la divina energia del sole!”

 

“Vedremo se basterà la tua divina discendenza per assicurarti la vittoria! Eh eh…” –Ridacchiò Cristal, colpendo Augia nell’orgoglio.

 

“Come ti permetti?!” –Tuonò il figlio di Elios, saltando nuovamente su se stesso, rannicchiandosi a forma di sfera. –“Ruota Solare!”

 

“Aurora del Nord!” –Esclamò Cristal improvvisamente, sollevando le braccia unite sopra la testa, e poi abbassandole di colpo.

 

La scintillante energia fredda del cigno si schiantò contro l’incandescente meteora umana rappresentata da Augia, ma, per quanto inizialmente sembrò fermare la sua avanzata, non bastò per contenerla. E Cristal venne nuovamente travolto, finendo nuovamente a terra.

 

“Ah ah! Impavido sbruffone! Hai voluto sfidare la potenza del figlio del Sole, ed ecco come ti sei ritrovato! Con la testa nel fango!” –Esclamò Augia, avvicinandosi al corpo inerme di Cristal.

 

Con rabbia e disprezzo, sollevò la gamba destra, sbattendo il tallone contro la testa di Cristal, spingendo il suo cranio nel terreno fangoso, più e più volte, ridendo come un pazzo, tronfio del suo successo. Ma, prima di colpirlo per l’ultima volta, Augia realizzò di non riuscire più a muovere la gamba, frenata a mezz’aria da fili invisibili.

 

Ma… che succede?! Cosa blocca la mia gamba?!” –Gridò, spaventato e sorpreso.

 

Cristal rantolò sul terreno, riuscendo a fatica a rimettersi in piedi. Aveva il volto stanco e solcato da rivoli di sangue e ansimava, ma era soddisfatto del proprio lavoro, impegnativo ma fruttuoso.

 

“Ghiaccio?!” –Urlò Augia, osservando la propria gamba venire ricoperta da un consistente strato di gelo. –“Com’è possibile?!” –Ed espanse il proprio cosmo, caricandolo dell’infuocata energia del sole. Ma Cristal lo anticipò, evocando le immense distese di ghiaccio della Siberia, e concentrando il cosmo, che scaricò sotto forma di un’impetuosa tempesta di gelo.

 

“Vortice Fulminante dell’Aurora!” –Gridò, sbattendo con forza i pugni avanti a sé.

 

Augia, riuscito a sciogliere il ghiaccio sulla gamba, tentò di ricreare la meteora umana, con la quale sperava di travolgere il Cavaliere del Cigno, ma non appena si lanciò in aria comprese che non ce l’avrebbe fatta. I suoi muscoli erano intorpiditi, le sue articolazioni cigolavano sinistramente, incapaci di muoversi con duttilità.

 

“Mi sento... paralizzato…” –Mormorò, mentre l’impetuosa tempesta di gelo siberiano lo travolgeva.

 

“È naturale! Credevi di aver evitato i miei assalti, credevi che il gelo fosse scivolato via, sulla tua infuocata corazza, ma ti sbagliavi guerriero di Ares! Mille volte ti ho colpito, ma non te ne sei reso conto! Hai approfittato del potere di tuo Padre, cercando di emulare un Dio! Ma resti pur sempre un uomo, mortale come me!” –Esclamò Cristal, la cui fredda energia aveva ormai invaso l’intero spiazzo. –“Che nella prossima vita tu sappia essere umile!” –Mormorò, chiudendo gli occhi, mentre il Vortice Fulminante dell’Aurora spazzava via Augia, incapace ormai di qualsiasi movimento.

 

Per un momento il cielo sopra la Sesta Casa si caricò di striature iridescenti, simili a quelle dell’aurora boreale, mentre bianchi cigni volavano lontano. Poi tutto ritornò grigio e cupo, carico del malvagio cosmo di Ares. Augia si schiantò contro una parete rocciosa, ricoperto di gelo, e il suo corpo esplose poco dopo, mentre Cristal cadeva in ginocchio, ansimando per la fatica sostenuta. In quel momento sentì esplodere il cosmo di Andromeda, alla Settima Casa dello Zodiaco.

 

***

 

Pegasus, Andromeda e Phoenix, con Sirio sulle spalle di Pegasus, si erano incamminati lungo la strada, un tempo lastricata, che conduceva dalla Sesta alla Settima Casa, ma parve evidente a tutti e tre, dopo una decina di metri, che il paesaggio non sarebbe cambiato. L’antica scalinata era divenuta un enorme acquitrino terrazzato, dove rivoli di lurida melma colavano dall’alto, lungo fossette scavate nella roccia, fino ad ammassarsi nel piazzale retrostante la Sesta Casa, o scivolare ancora più a valle. La foschia onnipresente rendeva quell’ambiente ancora più lugubre e malinconico.

 

“Usciremo mai da questa palude infernale?!” –Brontolò Pegasus, muovendosi a fatica.

 

“È incredibile!” –Commentò Andromeda, puntando lo sguardo avanti a sé.

 

Per un momento credette di non trovarsi più al Grande Tempio ma in un’immensa palude di una terra lontana, dove l’uomo non era mai giunto. Versi striduli di animali lo rubarono ai suoi pensieri, obbligandolo a concentrarsi sul cammino. Usando la sua catena, Andromeda guidava gli amici lungo i sentieri migliori, evitando le zone troppo melmose e i pantani meno sicuri, e Phoenix e Pegasus lo seguivano, facendo molta attenzione. Soprattutto Phoenix era preoccupato, temendo qualche imboscata da parte dei berseker.

 

“Non ci lasceranno arrivare fino in cima!” –Rifletté il Cavaliere della Fenice. –“Ne sono sicuro! Ci aspetta qualche trappola mortale!”

 

Versi sempre più aspri richiamarono la loro attenzione, costringendoli a volgere lo sguardo verso il cielo, dove in quella tetra foschia riuscirono a scorgere sagome oscure fluttuare sopra di loro. Sagome di grandi uccelli che schiamazzavano senza risparmiarsi.

 

“Che Ares abbia già preparato i suoi avvoltoi per mangiare le nostre carni?!” –Commentò stizzosamente Pegasus, continuando ad avanzare nel pantano.

 

“Non credo siano avvoltoi!” –Rifletté Andromeda. –“Ma la nostra prossima fatica!”

 

“Uh?!” –Balbettò Pegasus.

 

“Come settima fatica Eracle fu costretto a liberare la regione intorno al lago Stinfalo da uccelli voraci e chiassosi, che devastavano i campi, tormentando i poveri abitanti! Quando si alzavano in volo divoravano uomini e animali e lasciavano cadere le loro piume di bronzo e i loro escrementi che distruggevano e bruciavano le messi. Giunto alla palude, circondata da fitte selve, Eracle si accorse che non poteva cacciare gli uccelli con le frecce, perché erano troppi.  Inoltre la palude non era né abbastanza bassa perché un uomo vi si potesse addentrare a piedi, né abbastanza profonda per permettere l'uso di una barca! Fu Atena ad aiutare l’eroe, donandogli nacchere di bronzo, che Eracle suonò dalla cima del monte Cileno, spaventando gli uccelli, che, disturbati da quel suono sconosciuto, fuggirono in ogni direzione, anche scontrandosi tra di loro!” –Spiegò Andromeda.

 

“Che siano dunque loro? Gli uccelli di Stinfalo?!” –Si chiese Pegasus, mentre uno stormo di uccelli si era buttato in picchiata, puntando proprio sui quattro Cavalieri.

 

Non erano aquile, ma avevano sembianze rapaci, dalle piume marroni e il becco e gli artigli affilati, e ardenti occhi rossastri. Gemevano, gracchiavano, in un coro dissonante di versi striduli, quasi minacciosi, che disturbarono l’udito dei Cavalieri, risvegliando bruscamente anche Sirio.

 

“Attenti!” –Esclamò Andromeda, osservando lo stormo planare su di loro.

 

Immediatamente un nugolo di piume marroni si abbatté sui Cavalieri di Atena, piume che, come Andromeda aveva affermato precedentemente, erano di bronzo e molto affilate e taglienti.

 

“Catena di Andromeda!” –Esclamò il Cavaliere, liberando la propria arma, che scintillò nella tetra foschia, sovrastando i visi attoniti degli amici, e disponendosi circolarmente intorno a loro, fermando le affilate piume e rimandandole indietro.

 

“Uccelli eh?!” –Mormorò Phoenix, caricando il pugno destro di ardente energia. –“Fuggiranno, di fronte al più maestoso di tutti gli uccelli! La fenice infuocata!!!” –Gridò, balzando in alto e liberando il fiammeggiante uccello.

 

La fenice incandescente illuminò l’acquitrino, travolgendo un gruppetto di creature alate, e spaventando gli altri, che si dispersero guaendo e gracchiando. I Cavalieri non fecero in tempo a gioire che subito Andromeda li richiamò, osservando gli uccelli di Stinfalo riunirsi tra di loro e gettarsi nuovamente in picchiata, con maggiore decisione e impeto.

 

“Scansatevi!” –Urlò Andromeda, intimando gli amici di raggiungere la parete rocciosa ed appiattirvisi contro, mentre lui entrò nel pantano, mettendosi bene in vista, per gli uccelli.

 

“Attento, fratello!” –Esclamò Phoenix, con preoccupazione.

 

Lo stormo gracchiante di carogne volanti raggiunse Andromeda e gli altri Cavalieri, scaricando su di loro una violenta e fittissima pioggia di piume di bronzo, affilate come lame. Pegasus e Phoenix scagliarono pugni di energia verso l’alto, colpendone parecchie, ma non tutte, mentre Andromeda liberò la sua scintillante arma, la quale assunse la migliore conformazione difensiva, quella del Lancio della Rete, già usata per fermare l’Aquila Possente di Kira, uno dei sette Generali di Nettuno.

 

Gli uccelli dalle ali di bronzo furono bloccati dalla rete di Andromeda, che imprigionò i loro artigli, impedendo loro di riprendere il volo, e prima che riuscissero a liberare una nuova raffica di piume taglienti, Andromeda lanciò avanti la catena di offesa.

 

“Onde del Tuono, via!!!” –Urlò, mentre la punta affilata della sua catena sfrecciava nell’aria, moltiplicandosi a dismisura e colpendo in pieno le bestie intrappolate. La maggioranza degli uccelli fu ferita e stordita, precipitando nel fango poco dopo, da cui non riuscirono ad emergere, e questo li fece impazzire, mentre i rimanenti volarono via, tra i guaiti striduli dei loro compagni.

 

“Andiamocene da qui!” –Esclamò Andromeda, con preoccupazione. –“Torneranno quanto prima!” Pegasus e Phoenix annuirono istantaneamente, incamminandosi verso monte, seguiti da Sirio, aiutato dagli amici, e da Andromeda stesso.

 

Camminarono per un’altra trentina di metri, tra i lontani stridii degli uccelli, quando giunsero di fronte a quella che un tempo era stata la Settima Casa, residenza del più anziano e prestigioso Cavaliere d’Oro: Dohko della Libra. L’antica costruzione era immersa in una conca d’acqua putrida e stagnante, simile ad una palude, che colava verso il basso, alimentando i canali e le fenditure che conducevano melma alla Sesta Casa, in un unico grande sistema di scolo. Sovrastata da piante rampicanti, cresciute disordinatamente intorno ad essa, arrotolatesi confusamente alle colonne di marmo, la Settima Casa sembrava quasi spenta in quello spettrale paesaggio.

 

Grida improvvise risvegliarono i quattro amici, obbligandoli a volgere lo sguardo verso l’alto. Stormi di uccelli dalle ali di bronzo piombarono su di loro da ogni direzione, guaendo furiosamente e lasciando cadere una fitta pioggia di piume acuminate. Alcuni si buttarono anche in picchiata, tentando di affondare i loro artigli affilati nelle carni dei giovani Cavalieri.

 

“Maledizione! Ma quanti sono?!” –Brontolò Pegasus, concentrando l’energia del cosmo sul pugno destro e lanciando il Fulmine di Pegasus, presto seguito dal Pugno Infuocato di Phoenix. Ma per quanto i loro colpi fossero potenti, non risultavano risolutivi contro i dissonanti uccelli di Stinfalo, che ne erano essenzialmente disorientati, ma non spaventati.

 

Fu Andromeda a prendere nuovamente in mano la situazione, liberando la catena e ricreando il Lancio della Rete, potenziandolo con la versione Boomerang, che gli permise di colpire molti rapaci ancora in volo.

 

Improvvisamente un grido più stridulo degli altri echeggiò nell’aria, obbligando i Cavalieri a tapparsi le orecchie, tanto era penetrante e frastornante. Approfittando della distrazione dei quattro, un immenso uccello piombò su Andromeda, affondando i propri artigli affilati sul coprispalla sinistro della sua corazza, graffiandolo in più punti e riuscendo perfino a penetrarlo, raggiungendo la giovane carne al di sotto.

 

Quando Andromeda si riprese dallo stordimento, si accorse con orrore che l’uccello che lo stava ferendo alla spalla sinistra era in realtà un uomo, vestito come i rapaci che volteggiavano sopra di loro, ed aveva un ghigno di sfida sul volto. Con destrezza Andromeda svincolò la catena, che afferrò un artiglio, cioè una gamba dell’uomo, tirandolo indietro e liberando la spalla del ragazzo, mentre l’uomo volteggiava via con le proprie immense ali, strattonando la catena e riprendendo quota, presto seguito e protetto dalle altre rapaci creature.

 

Ih ih ih. Benvenuti nella Palude di Stinfalo... ih ih... Cavalieri…” –Esclamò l’uomo, con voce stridula e acuta. – “Possa essere per voi la fine del viaggio!”

 

“Ma senti quel gallinaccio…” –Brontolò Pegasus, deciso a dargli battaglia. Ma Andromeda lo fermò, con un tono di voce decisa e sicura.

 

“No! Passate oltre! Affronterò io costui! Sono il più indicato per respingere gli assalti degli uccelli di Stinfalo!”

 

“Vuoi nuovamente combattere?!” –Domandò Pegasus, e poi, visto che Phoenix sembrava disinteressato alla cosa, si rivolse a lui con preoccupazione. –“E tu, non dici niente a tuo fratello?!”

 

“Non credo che abbia bisogno dei miei consigli!” –Sorrise Phoenix, iniziando ad incamminarsi nell’acquitrino. –“Ultimamente se la cava piuttosto bene anche da solo!”

 

“Andromeda, ascoltami, non voglio che tu rischi la vita inutilmente... se vuoi lenire qualche vecchio senso di colpa, non è proprio il caso…” –Esclamò Pegasus.

 

“Ehi, Pegasus! Non preoccuparti! Non ho intenzione di fare come la lepre, e gettarmi nel fuoco per sfamare il vecchio viandante! –Sorrise Andromeda, lusingato che l’amico si preoccupasse per lui. –“I tempi delle indecisioni e della mia riluttanza a combattere sono terminati! Amaramente terminati! Da quando i nemici che ci siamo trovati ad affrontare hanno palesemente dichiarato di voler distruggere tutto ciò in cui credo: l’amore, la giustizia, la libertà! Contro uomini simili, pari in tutto e per tutto a delle bestie, non posso avere dubbi! No… Non ho alcun dubbio sul mio scopo finale!”

 

Prima che Pegasus potesse aggiungere altro, l’uomo mascherato da uccello diede l’ordine all’intero stormo di attaccare. Rapidi come fulmini, gli uccelli della palude piombarono sui quattro amici, scagliando nugoli di piume appuntite, mentre grida spaventevoli laceravano l’aria.

 

“Attenti!” –Gridò Andromeda, srotolando nuovamente la propria catena. –“Lancio della Rete!” –E l’arma si dispose in modo da catturare un buon numero di rapaci. –“Boomerang!” –Gridò ancora, mentre gli amici si lanciavano in una folle corsa nella palude oscura, cercando di raggiungere l’ingresso della Settima Casa.

 

Numerosi rapaci caddero nella melma, abbattuti dall’impetuoso e rapido guizzare della Catena di Andromeda, che non esitava un momento, sicura sul proprio obiettivo.

 

“Ih ih... Affonderò i miei artigli nel tuo cuore!” –Sibilò l’uomo vestito da uccello, piombando in picchiata su Andromeda, il quale fu svelto a ricreare la sua difesa.

 

Ma l’uomo, avendola vista altre volte, vi passò all’interno, evitando la stringente trappola e portandosi a ridosso del ragazzo. Con violenza strinse i suoi affilati artigli intorno al collo di Andromeda, piantandoli nel collare protettivo della sua armatura, mentre con le braccia afferrava due stiletti nascosti tra le piume della sua veste, chinandosi per piantarli nel cranio del ragazzo.

 

La Catena di Andromeda, per quanto impegnata a difendersi dagli assalti dei rapaci di Stinfalo, saettò immediatamente nell’aria, avvertendo il pericolo in cui si trovava il proprio padrone, afferrando in tempo entrambe le braccia del guerriero, prima che gli stiletti raggiungessero il cranio di Andromeda. Con un grande sforzo, il guerriero di Ares riuscì a resistere alla doppia violenza, quella delle catene alle proprie braccia, e quella delle braccia di Andromeda alle proprie gambe artigliate, che cercava di liberarsi per non soffocare. Acrobaticamente, l’uomo si lasciò cadere all’indietro, portandosi con il viso tra le gambe del Cavaliere di Andromeda e piantando nel suo ginocchio destro un acuminato stiletto. Non ebbe il tempo di piantare anche il secondo perché fu afferrato bruscamente dalle catene e lanciato via, liberando così anche Andromeda dalla stretta morsa dei suoi artigli.

 

Il Cavaliere si accasciò a terra, urlando e gemendo di dolore, prima di togliersi l’affilato pugnale che lo aveva ferito ad un ginocchio. Un fiotto di sangue uscì fuori improvvisamente, sporcando la candida Armatura Divina che indossava, e per un momento gli parve quasi di svenire.

 

Il guerriero si lanciò avanti in quell’istante, brandendo l’affilato stiletto, ma fu fermato dalle guizzanti Catene di Andromeda, le quali, quant’anche il loro padrone si stesse accasciando a terra in una pozza di sangue, si disposero intorno a lui per difenderlo, scivolando sul terreno come guizzanti serpenti. Vedendo il berseker dimenarsi come un pazzo, stretto nella morsa delle sue catene, e sentendo che il proprio potere, e il proprio controllo su di esse, stava crollando per la debolezza, Andromeda bruciò il suo cosmo rosato, concentrandolo sul palmo destro.

 

“Onda Energetica!” –Gridò, liberando guizzanti fulmini di energia, che centrarono in pieno il guerriero di Ares, scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare nelle torbide acque della palude.

 

Andromeda si lasciò cadere nella melma, ritrovandosi con la faccia nel fetido pantano, mentre il dolore al collo, alla spalla e soprattutto al ginocchio aumentò a dismisura. Sentì che Pegasus, Sirio e suo fratello avevano lasciato il Settimo Tempio, e di questo fu felice, anche se proprio quello lo spinse per un momento a lasciarsi andare, ad abbandonarsi alla morte, consapevole che non avrebbe dovuto combattere per difendere nessuno.

 

No! Si disse, reagendo e cercando di rimettersi in piedi. Ho promesso a Pegasus, e a mio fratello che ha avuto fiducia in me, che non avrei gettato via la mia vita! E non ho intenzione di farlo, non adesso, che ci stiamo avvicinando ad Ares! Non adesso, che il mondo necessita di giovani che combattano per rendere luce al sole! Non adesso, che ho l’opportunità di avere la famiglia che non ho mai avuto!

 

Con forte determinazione, e stringendo i denti per il dolore, Andromeda si rimise in piedi, barcollando nel fetido pantano. Il guerriero di Ares, custode della Palude di Stinfalo, lo stava aspettando, librato in aria sopra di lui, circondato da un raccapricciante stormo di uccelli infernali, rapaci affamati della sua giovane carne.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo diciottesimo: Il toro di Creta ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO. IL TORO DI CRETA.

 

Andromeda stava roteando vorticosamente la propria scintillante catena, disposta a cerchi concentrici intorno a lui, evitando i continui assalti degli uccelli della Palude di Stinfalo, che volevano raggiungere il ragazzo e trafiggerlo con i loro affilati artigli.

 

Il guerriero che custodiva la Palude di Stinfalo sghignazzava maldestramente, sospeso in aria poco distante, osservando la scena che tanta estasi portava nel suo cuore malato. Era un uomo alto, di corporatura media, quasi gracile confrontato alla media dei suoi parigrado, con un viso bianco e scavato, piccoli occhi scuri ma capaci di vedere molto lontano, persino al di là delle nebbie che circondavano il Grande Tempio, orecchi tesi, atti a captare il minimo movimento improvviso, e radi capelli grigi.

 

Era completamente rivestito da una cotta marrone, dalla forma simile a quella di un immenso uccello, con le braccia ricoperte da un’intelaiatura a cui erano affisse delle grandi ali, che l’uomo sbatteva freneticamente per volare; le gambe terminavano in gambali a forma di inquietanti artigli acuminati, proprio come quelli delle bestie di cui era il padrone, dando al guerriero una forma più animalesca che umana. Non aveva nome, come i guerrieri dell’Idra di Lerna e del Leone di Nemea, tanto poca era la considerazione che Ares aveva di loro, ma dagli altri berseker era chiamato, con chiaro intento dispregiativo, il Custode della Palude di Stinfalo, o più semplicemente il Custode. Un ruolo che, era a tutti evidente, nessuno avrebbe voluto occupare, a causa delle tossiche esalazioni provenienti dall’acquitrino. Acquitrino che lui stesso e Augia avevano realizzato, creando un’unica grande palude infernale sul versante medio della Collina della Divinità, tra le Case di Virgo e di Libra, la prima distrutta, la seconda abbandonata e in rovina.

 

Iiik…” –Le grida stridule degli infernali uccelli risuonarono nell’intera palude, mentre la furia della Catena di Andromeda piombava su di loro, cercando di scacciarli.

 

Con uno scatto improvviso, il guerriero di Ares balzò avanti, lanciandosi contro la Difesa Circolare, stupendo lo stesso Andromeda che pensò ad un atto di suicidio. Ma il guerriero di Stinfalo scagliò centinaia e centinaia di piume dall’aspetto bronzeo contro la Catena di Andromeda, una pioggia così fitta che da lontano uno spettatore estraneo avrebbe potuto scambiare Andromeda per un covone, da tanto che era ricoperto di piume. Nessuna di esse riuscì a penetrare l’inaccessibile barriera rappresentata dalla sua catena rotante e Andromeda ne fu contento, quando realizzò che la sua arma sembrò girare con maggiore lentezza, con maggiore pesantezza.

 

“Uh?!” –Si domandò il Cavaliere, mentre il guerriero di Stinfalo sogghignava malignamente. Ma prima che riuscisse a comprende cosa fosse accaduto, fu colpito in pieno viso da un violento calcio dell’uomo, che lo spinse indietro, ferendolo malamente sul volto e facendolo sanguinare.

 

Ih ih ih... Pianterò i miei artigli nel tuo dolce visino!” –Sghignazzò il berseker, saltando in avanti, sospinto dalle sue ali.

 

Andromeda, vedendo il berseker brandire un affilato stiletto, fu svelto a rotolare nel terreno fangoso, mentre il guerriero di Stinfalo piombava su di lui; tentò di imprigionarlo con la sua catena, ma si accorse, finalmente, che non riusciva più ad usarla.

 

La Catena di Andromeda era completamente ricoperta di piume marroni, che si erano infilate tra gli anelli lucenti che la componevano, appesantendola e rendendo impossibile il suo utilizzo. Andromeda, stupefatto, tentò di scuoterla, di rianimarla, ma sentì la pesantezza della stessa, bloccata in quel fango fetido dalle piume di Stinfalo.

 

“Sta’ fermo, bel bocconcino!” –Balzò in avanti il guerriero, puntando al cuore di Andromeda con lo stiletto.

 

Nooo!!!” –Urlò Andromeda, liberando nuovamente l’Onda Energetica.

 

Le guizzanti saette di pura energia travolsero il guerriero di Stinfalo, spingendolo indietro, facendolo rotolare nella melma da lui stesso creata, mentre Andromeda riprendeva un attimo fiato, ancora sconvolto dalla perdita di controllo sulla catena.

 

“Non è possibile…” –Mormorò tra sé, concentrando i propri sensi.

 

“Non sforzarti, Cavaliere!” –Esclamò il Custode della Palude, rimettendosi in piedi. –“È pesante la tua catena… Grave è il peso delle piume di Stinfalo, per chi non è in grado di sopportarlo!”

 

“Non basteranno certo le tue piume a fermare la Catena di Andromeda!” –Esclamò il ragazzo, cercando di mostrare baldanza, per quanto insicuro fosse in quel momento.

 

“Forse no… ih ih ih… ma la bloccheranno quel tempo che basta per ucciderti!!!” –Gridò il berseker con voce stridula, scattando nuovamente avanti.

 

Andromeda concentrò ancora il cosmo sulla mano destra, scaricando l’Onda Energetica contro il guerriero, ma questi, astutamente, si richiuse su se stesso, coprendosi il volto con il lungo piumaggio delle sue ali, e lasciando che le saette di Andromeda si schiantassero sulla sua corazza pennuta, venendo respinte.

 

“Cosa?!” –Strillò Andromeda, mentre anche la sua seconda tecnica veniva neutralizzata.

 

Adesso… sei mio… ih ih…” –Ghignò il guerriero di Stinfalo, riaprendo nuovamente le sue braccia e balzando con una piroetta aerea sul Cavaliere.

 

Rapidamente lo sbatté a terra, afferrandogli il collo con le sue mani ossute, ma forti e assetate di sangue, mentre i suoi piedi, ricoperti da metallici artigli affilati, si piantavano nelle gambe del Cavaliere, bloccando i suoi movimenti. Stringendo il collo di Andromeda, piantando le sue affilate unghie dentro la sua tenera pelle, il guerriero di Stinfalo cercò di soffocarlo nel fango, spingendolo sotto, impedendogli di respirare, mentre l’adorato stormo dei suoi uccelli volteggiava sopra di loro, pronto per banchettare del succulento sangue del cadavere.

 

Caugh Caugh...” –Tossì Andromeda, spaventato e sorpreso da quel repentino succedersi di fatti. Gli doleva il corpo in vari punti, ferito e infettato dagli artigli del guerriero di Stinfalo, impossibilitato a muoversi, bloccato a terra, in quella putrida massa di fango che gli stava entrando nelle narici, nelle orecchie, in gola, impedendogli di respirare. Ma soprattutto era stupefatto della perdita di vitalità della catena.

 

Non era la prima volta che qualcuno la fermava. Anche Mime ci era riuscito ad Asgard, semplicemente perché la catena, sentendo il suo cuore nobile, non lo aveva considerato un nemico da affrontare; e c’era riuscito pure Polluce, pochi giorni prima, usando i suoi poteri mentali che gli permettevano di controllare oggetti inanimati e animali. Ma che vi fosse riuscito il guerriero di Stinfalo, per Andromeda, aveva dello sconvolgente. Lui che era un bieco assassino, senza nobiltà d’animo né, per quello che aveva potuto avvertire, disponeva di poteri mentali. Lui che era pari ad una bestia, come i più infidi e sanguinari berseker, aveva potuto fermare la sua micidiale arma, la sua compagna indivisibile di mille avventure: la Catena di Andromeda.

 

Non… posso crederci Mormorò il Cavaliere, rantolando nella fanghiglia. Poteva sentire il fetido alito del guerriero sibilare risate isteriche a pochi passi dal suo volto, mentre le sue ossute dita stringevano il suo collo, affondando in esso i suoi avvelenati artigli. No… non ci credo! Urlò, espandendo al massimo il suo cosmo rosato.

 

Un’improvvisa esplosione di energia travolse il guerriero di Ares, scaraventandolo indietro di parecchi metri, addirittura fino a farlo sbattere contro le colonne del Tempio di Libra, abbattendone un paio. Persino il fango intorno ad Andromeda fu spazzato via, travolto da quell’inaspettata esplosione di energia cosmica. Energia che Andromeda portava dentro, come Albione ben gli aveva insegnato a controllare, e cha adesso avrebbe liberato, incapace di sopportare ancora le angherie e le violenze del suo nemico.

 

“Catena di Andromeda!” –La chiamò, bruciando il suo vasto cosmo. –“Svegliati! Le piume degli uccelli stinfalii troppo a lungo ti hanno fatto dormire! È tempo che tu torni a vivere! Per Atena che ha bisogno di noi! Svegliati, Catena di Andromeda!” –Esclamò con voce decisa, espandendo ancora la sua aura cosmica, che invase l’intera palude antistante alla Settima Casa.

 

L’arma fu percorsa da una violenta scossa energetica, che travolse e bruciò sul colpo le piume di Stinfalo, svincolandola da quella fetida prigionia, prima di ricominciare a guizzare libera nell’aere.

 

Maledetto… Muori!” –Sibilò il guerriero di Ares, lanciandosi contro di lui, accompagnato dall’intero stormo di uccelli infernali.

 

Adesso… vai, Catena di Andromeda, nella tua ultima configurazione! Melodia scintillante di Andromeda!”

 

Avvolta da lucenti fulmini di energia cosmica, la Catena di Andromeda scivolò nell’aria, moltiplicandosi in infinite copie, assumendo ogni conformazione atta a fermare l’assalto degli Uccelli di Stinfalo. Tutti furono travolti, fermati, stritolati, penetrati dalla furia della catena, che trapassò persino il mantello piumato che il guerriero di Ares usava come difesa, dilaniando le proprie carni, facendolo precipitare al suolo, mentre tutto questo si accompagnava a un delicato suono. Un suono sconosciuto, che gli Uccelli di Stinfalo non avevano mai udito, come nell’Antica Grecia non avevano udito le nacchere di Efesto, provocato dall’armonico scintillare della Catena di Andromeda, che risuonava di celeste melodia.

 

Quando tutto fu finito, e gli ultimi uccelli si dettero alla fuga, spaventati da quell’ignoto bellissimo suono, Andromeda ritirò lentamente la sua arma, fida compagna di quell’ultima avventura, mentre il custode dell’oscura palude tentava di rimettersi in piedi. Emerse dal fango, come un’orrida apparizione, grondante sangue e melma, e con voce più stridula che mai. Sollevò uno stiletto, cercando di incamminarsi verso Andromeda, ma non riuscì a fare neppure tre passi che cadde avanti, nella fetida melma, che accolse il suo corpo, risucchiandolo per sempre.

 

Andromeda sospirò, in parte sollevato dalla fine della cruenta battaglia, in parte dispiaciuto, come ogni volta in cui aveva dovuto dare la morte in nome della giustizia. Si tastò il collo dolorante e sentì ancora sangue uscire fuori dalle ferite; tentò di raggiungere Pegasus e gli altri, ma si accorse di essere troppo debole per camminare. Con rammarico, si lasciò cadere con la schiena a una colonna, bisognoso di riposarsi e riprendere assolutamente fiato.

 

***

 

Che l’Ottava fatica fosse il Toro di Creta Pegasus e compagni lo avevano ben presente, fin da quando avevano lasciato la Settima Casa, uscendo finalmente dalla melmosa palude che aveva inquinato il versante medio della Collina della Divinità. Pegasus e Phoenix aprivano la strada, correndo lungo la scalinata, seguiti con qualche difficoltà, e maggior lentezza, da Sirio, ancora debole per lo scontro sostenuto con Diomede, alla Casa di Leo.

 

Prima ancora di entrare nell’antica casa dello Scorpione, i tre amici sentirono una potente e ostile emanazione cosmica venire loro incontro, da un lato invitandoli a proseguire, aspettandoli con baldanza tra le mura dell’Ottavo Tempio, dall’alto cercando di farli desistere, magari di inquietarli, ostentando il proprio cosmo.

 

“Non servirà!” –Esclamò Pegasus, entrando nella navata centrale della Casa di Scorpio.

 

“Tu credi?!” –Gli rispose una voce maschile, molto gutturale.

 

In piedi, in mezzo al vasto corridoio, proprio dove Cristal aveva affrontato Scorpio l’anno precedente, c’era un uomo alto e muscoloso, un vero colosso, come Pegasus e gli altri lo avevano immaginato. Grosso come un bue, il guerriero di Ares sembrava una copia malvagia del rimpianto Cavaliere del Toro, per quanto sembrasse ancora più alto e dalle forme più animalesche. Indossava un’armatura scarlatta, dalle forti sfumature color ocra, adornata da due possenti coprispalla stondati su cui erano affisse sinuose corna bovine; l’elmo, dalla rozza forma di una roccia, copriva l’intero cranio, lasciando scoperto solo il viso, su cui splendevano occhi scuri e determinati.

 

“Il Toro di Creta, immagino!” –Commentò Pegasus, fermandosi a una decina di metri dall’uomo.

 

Il guerriero di Ares non rispose, scattando avanti a una velocità impressionante, al punto che Pegasus, Dragone e Phoenix non riuscirono a staccare i piedi dal pavimento e furono travolti e scaraventati lontano. Quando si rialzarono, trovarono il possente berseker in piedi sopra di loro, che li osservava con uno sguardo pieno di superiorità e di compassione.

 

Incredibile! Mormorò Pegasus. Nonostante la sua massa, si muove ad una velocità impressionante! Ci ha caricato, come un toro furioso, senza lasciarci tempo alcuno per riflettere, per spostarci, neppure per pensare ad un modo per parare il suo assalto!

 

I pensieri del paladino furono interrotti da una nuova carica del berseker che puntò impetuosamente contro Sirio e Phoenix, in piedi sul lato destro della sala. Anche quella volta i due Cavalieri vennero travolti e scaraventati lontano, fino a sbattere contro le mura del Tempio dello Scorpione, mentre il gigantesco bue di Ares continuava la sua folle corsa abbattendo un paio di colonne.

 

“Sirio! Phoenix!!!” –Urlò Pegasus, osservando gli amici che non si rialzavano.

 

“Non temere per loro! È della tua vita che devi avere cura, adesso!” –Parlò finalmente il guerriero del Toro di Creta.

 

Senza altro aggiungere il muscoloso berseker caricò nuovamente Pegasus, il quale, mostrando maggiore attenzione, quella volta riuscì a vedere in che modo il guerriero si lanciava contro di lui. La troppa concentrazione però penalizzò i suoi riflessi, permettendo al Toro di Creta di portarsi di fronte a lui e travolgerlo, scaraventando Pegasus contro le colonne del tempio, abbattendole.

 

Il Cavaliere ricadde sul pavimento di marmo, perdendo l’elmo dell’armatura e sbattendo la nuca con violenza. Incurante del dolore si rimise in piedi, bruciando il proprio cosmo. Era rimasto affascinato dalla tecnica del berseker, il quale, per attaccare, si trasformava in una grossa pietra, in un masso marrone che rotolava velocissimo verso il suo nemico, travolgendolo impetuosamente.

 

Pegasus ansimò, ricordando un nemico affrontato in precedenza che usava una tecnica simile: Serian di Orione, un Cavaliere d’Argento dei tempi antichi, che la Dea della Discordia aveva richiamato in vita lo scorso anno, per farne un guerriero ombra al suo servizio. Serian saltava in aria, roteava su se stesso, diventando un incandescente nucleo che sfrecciava verso l’avversario, colpendolo con la punta del piede. Il Toro di Creta invece, rifletté Pegasus, si china su se stesso, rotolando sul pavimento, come un grande masso, come un pietra rotolante alla velocità della luce.

 

In un attimo il guerriero di Ares si lanciò nuovamente all’attacco, una rozza sagoma marrone diretta verso Pegasus, il quale, quella volta, decise di rispondere con il suo pugno lucente.

 

“Devo fermarlo! Fulmine di Pegasus!” –Esclamò il Cavaliere di Atena, scattando avanti, incontro al suo nemico.

 

Ma le migliaia di colpi luminosi di Pegasus non raggiunsero il guerriero di Ares, che rotolando su se stesso evitò tutte le stelle cadenti, troppo lente rispetto ai suoi spostamenti. Nuovamente fu su Pegasus e nuovamente lo travolse, scagliandolo lontano, addirittura fuori dall’Ottavo Tempio.

 

Pegasus ricadde sulla scalinata d’ingresso, rotolando malamente sul freddo marmo, mentre la sua corazza divina accusava il colpo, scricchiolando in più punti. Era stata una botta notevole, in pieno sterno, da distanza ravvicinata, e se non fosse stato per il mithril, che Efesto aveva donato loro, l’armatura avrebbe probabilmente ceduto in più punti.

 

Passi grevi risuonarono nell’atrio del tempio, accompagnando il cammino del guerriero di Ares, che intendeva porre fine alla vita del giovane pupillo di Atena.

 

Quando il Toro di Creta si affacciò sulla porta dell’Ottava Casa trovò Pegasus già in piedi, alla base della piccola scalinata di marmo, ansimante e con il volto segnato da rivoli di sangue.

 

“Sei pronto alla morte, Cavaliere?!” –Esclamò il guerriero, senza troppo scomporsi. –“Porterò la tua testa al Sommo Ares, vendicando anche il mio creatore Nettuno!”

 

“Il tuo creatore?!”

 

“Naturalmente! Non conosci la leggenda del Toro di Creta?!” –Gli domandò il guerriero, dall’alto della scalinata. –“Minosse, Re di Creta, conquistò il trono a danno dei suoi fratelli, Radamante e Sarpedonte, e a conferma del suo diritto al trono chiese a Nettuno di far emergere un toro dal mare, con la promessa di sacrificarlo! Il Dio accondiscese alla sua richiesta, ma vista la bellezza del sacro animale, Minosse tenne per sé la bestia, attirando le ire di Nettuno, che instillò nell’animo della moglie del re una morbosa passione per il toro, al punto da unirsi a lui, generando il Minotauro!”

 

“Mio Dio...” –Commentò Pegasus, approfittando di quel momento per recuperare le forze.

 

“Reso folle e furioso dal Dio, il toro lasciò Creta, iniziando a devastare villaggi e a travolgere uomini innocenti, finché Eracle, incaricato da Euristeo, non lo fermò, portandolo a Micene!”

 

“Fosti domato dunque, eh?!” –Sorrise Pegasus, con aria di sfida.

 

“No! Neppure il sommo Eracle riuscì a vincere il possente toro, limitandosi a catturarlo provvisoriamente, per condurlo da Euristeo, che lo dedicò ad Era, rimettendolo poi in libertà! Era tuttavia, considerando odioso un dono che le ricordava la gloria di Eracle, guidò il toro prima a Sparta e poi a Maratona in Attica, dove Teseo lo trascinò ad Atene per sacrificarlo ad Atena!”

 

“E adesso hai rinunciato alla tua bella libertà per servire quel fanatico di Ares, eh?!”

 

“Ti sbagli! È proprio per riavere la mia libertà che ho accettato di servire il Dio della Guerra! Dopo che Era mi aveva maledetto, che Nettuno mi aveva rifiutato, e che Atena mi aveva fatto cacciare da Teseo, dopo la mia fuga da Micene, avevo perso ogni fede, ogni speranza! Fu Ares, trovandomi, a incanalare la mia rabbiosa furia verso nuovi obiettivi!”

 

“E ne vai fiero?! Portare la morte in nome di Ares significa avere la libertà?!”

 

“Taci, ragazzino!” –Lo zittì il berseker, espandendo il proprio cosmo. –“Tu ancora non conosci il disprezzo divino, il sentirsi rifiutati dal proprio Padre celeste; ma con le tue azioni irrispettose, con il tuo agnosticismo battagliero presto ti attirerai l’odio degli Dei, e allora capirai quanto desiderosa sia la libertà!”

 

Senz’altro aggiungere, il guerriero di Ares si preparò a caricare nuovamente Pegasus, dall’alto della scalinata, assumendo la forma di tozza roccia, mentre il Cavaliere di Atena bruciava il suo cosmo come non mai, deciso a fermare la sua folle corsa. La pietra rotolante puntò su Pegasus a gran velocità, ma quella volta incontrò la tenace resistenza del cosmo del ragazzo, il quale portò entrambe le braccia avanti per contenere l’impatto con il guerriero di Ares.

 

Come… come riesci a fermare il Toro di Creta?!” –Tuonò il berseker, spingendo ancora per travolgere Pegasus. Ma questi non rispose, risparmiando il fiato e continuando a opporre resistenza.

 

La devastante potenza del toro stava lentamente spingendo Pegasus indietro, mentre i suoi piedi scavavano solchi nel pavimento del piazzale, obbligando il Cavaliere ad un enorme sforzo fisico.

 

Per un momento Pegasus ricordò i giganti che aveva affrontato nelle sue tante battaglie, da Geki dell’Orsa, durante la Guerra Galattica, ad Aldebaran del Toro, fino a Thor, nobile Cavaliere di Asgard. E su tutti aveva vinto, forte del potere di Atena e delle stelle che albergano dentro di lui. E saprò vincere anche questo colosso! Mormorò, stringendo i denti. Iaiiii!!! Ed espanse ancora il proprio cosmo, portandolo ai limiti estremi della galassia, come il suo maestro, Castalia dell’Aquila, le aveva insegnato, e come le avventure successive gli avevano permesso di superare.

 

“Non esistono limiti al cosmo di un Cavaliere!” –Gli aveva spiegato una volta Castalia. –“Teoricamente esso è infinito! Un immenso potenziale sopito, che solo l’animo puro di un Cavaliere che combatte per la giustizia può risvegliare! Trova dentro di te la forza per sconfiggere i tuoi nemici, Pegasus!”

 

Sì! Lo farò, Castalia! Mormorò il ragazzo, spingendo sempre di più. Con determinazione, piantò i piedi saldamente a terra, concentrando il cosmo sulle braccia, riuscendo a frenare la devastante spinta del guerriero di Ares, il quale, stupefatto da un simile prodigio, ebbe un attimo di esitazione.

 

Pegasus, il cui cosmo aveva raggiunto proporzioni quasi divine, allentò la presa con il braccio destro, sul cui pugno concentrò la sua energia lucente, riuscendo a contrastare la carica del toro con il solo braccio sinistro, prima di scagliare un violento attacco da distanza ravvicinata.

 

“Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò, mentre una fitta pioggia di stelle cadenti si abbatteva sulla pietra rotolante, che, colpita da distanza così ridotta, venne spinta indietro, con una violenza tale da schiantarsi sulla scalinata del Tempio.

 

Incredibile! Mormorò il guerriero del Toro di Creta, sprofondato nella fossa che il suo possente corpo aveva scavato nel marmo. Non riesco a credere che un uomo abbia potuto respingermi in così brutale modo! Rifletté, mentre il suo elmo marrone andò in frantumi, rivelando il cranio sanguinante del berseker.

 

A fatica, respirando affannosamente, il guerriero di Ares tentò di rialzarsi, di uscire da quell’indegna fossa, cercando il Cavaliere con lo sguardo e immaginando di trovarlo di fronte a lui, accasciato in terra, debole per lo sforzo. Ma fu tremendamente sorpreso di non vederlo.

 

Un brivido corse lungo la sua schiena, un brivido che accompagnò il robusto tocco di mani decise che lo afferrarono da dietro, bloccando i suoi movimenti e trascinandolo in alto.

 

“Spirale di Pegasus!” –Urlò il ragazzo, volteggiando nel cielo sopra l’Ottava Casa, come una scintillante cometa che prestò ricadde verso il terreno.

 

Aaaargh!!!” –Gridò il Toro, disorientato da una simile tecnica. –“Così rozza, così rischiosa…” –Mormorò, prima di schiantarsi rovinosamente sul pavimento di marmo, scavando un’altra fossa col proprio corpo. –“Così vincente!”

 

Pegasus ricadde compostamente al suolo, aiutato anche dalle ali della sua Armatura Divina, e per un momento fu tentato di lasciarsi cadere in ginocchio, per riprendere fiato. I colpi ricevuti allo sterno e all’addome lo facevano respirare a fatica, e lo sforzo a cui era stato sottoposto, sia per contrastare la rotolante pietra umana, sia per utilizzare la Spirale di Pegasus, lo avevano indebolito parecchio. La profonda voce del guerriero di Ares lo riportò in battaglia, nel piazzale antistante l’Ottava Casa.

 

“Mi avevano parlato di te, Cavaliere di Pegasus. Flegias ti aveva descritto come un ragazzino irrispettoso, irriverente, incapace di accettare i destini decisi dagli Dei… il che non è poi così distante dal vero! Mi aveva incuriosito questa tua descrizione, e così scelsi di aspettarti, sapendo che saresti arrivato certamente all’Ottava Casa! Volevo capire cos’era che ti rendeva così insolente verso gli Dei, così determinato a perseguire i tuoi interessi, la tua strada, anche a costo di metterti contro la stirpe divina?!”

 

“La mia strada segue un ideale di giustizia e di libertà, incarnati dalla Dea in cui credo, Atena! Ma per te che hai rinunciato ad essi molto tempo fa, quando fosti reso folle e furioso da Nettuno, vendendo l’anima al Dio delle atroci guerre, credo sia impossibile comprenderlo!” –Affermò Pegasus, bruciando ancora il proprio cosmo, azzurro e luminoso.

 

Il Toro di Creta non rispose, facendo altrettanto, e osservando di sottecchi il ragazzo muovere velocemente le braccia di fronte a sé, quasi a comporre un disegno nell’aria.

 

“Brucia cosmo delle tredici stelle!” –Esclamò il Campione di Atena, raffigurando la sua costellazione. –“Splendi, Fulmine di Pegasus!” –E una pioggia di lucenti pugni si abbatté sul guerriero di Ares, il quale, forte della sua resistenza e velocità, seppe pararli tutti, spegnendoli con i palmi uno ad uno.

 

“Uh?! Come?!” –Sgranò gli occhi Pegasus, stupito da una simile maestria.

 

“Dovrai fare di più per abbattere il Toro di Creta!” –Commentò il guerriero, ma non in tono di scherno, bensì con l’aria rassegnata di un uomo dominato dai sensi di colpa.

 

“Lo farò!” –Strinse i pugni Pegasus, mentre il suo cosmo azzurro invadeva l’intero spiazzo, e la sagoma del maestoso cavallo alato appariva dietro di lui.

 

“Bene!” –Commentò il toro, prima di roteare nuovamente su se stesso, assumendo la tozza forma della pietra rotolante. –“Carpe Diem! Perché non avrai altre occasioni!” –Con tutto il suo potere, il berseker si lanciò verso Pegasus, veloce ed energico come mai era stato prima, obbligando il Cavaliere di Atena ad un unico modo per poterlo fermare.

 

Cometa… lucente!” –Urlò Pegasus, concentrando tutto il cosmo in un solo colpo.

 

La scintillante cometa saettò nel piazzale scontrandosi in pieno con l’ammasso roccioso rappresentato dal Toro di Creta e fermando, con molta fatica, la sua avanzata. Il guerriero di Ares venne sollevato, trapassato dalla devastante meteora luminosa, e ricadde a terra, molti metri addietro, tra i frammenti insanguinati della sua corazza. Un immenso buco era apparso sul suo petto, ancora fumante per l’energia sprigionata. A fatica, il guerriero boccheggiò sul pavimento, volgendo lo sguardo verso il cielo, chiamando il Cavaliere di Atena con un filo di voce.

 

“Non ho dimenticato il valore della libertà, Cavaliere di Pegasus! Sono solo stato troppo arrabbiato con gli Dei per il destino che mi avevano riservato, o troppo debole e indolente per tentare di cambiarlo, da lasciarmi accecare dai fatui bagliori di gloria promessami da Ares!” –Mormorò, prima di chiudere gli occhi.

 

“Che tu possa trovare la via per il paradiso dei Cavalieri!” –Commentò Pegasus, inginocchiandosi accanto al suo corpo distrutto. –“Più di molti altri, sei degno di riposarvi!”

 

Dopo un ultimo sguardo di commiato, si volse verso l’ingresso dell’Ottavo Tempio, per tornare dai propri amici, ma non riuscì a raggiungerlo, crollando al suolo, esausto per lo sforzo, mentre una leggera pioggia iniziava a cadere sul Grande Tempio di Atene. Una pioggia che avrebbe lavato gli insanguinati scalini delle Dodici Case, mondandoli dalla violenza che vi si era consumata. Violenza che ancora non era giunta al suo termine.

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo diciannovesimo: L'ultima Legione ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO. L’ULTIMA LEGIONE.

 

Phantom dell’Eridano Celeste era il miglior Luogotenente dell’Olimpo che Zeus aveva mai avuto fin dall’epoca mitologica. E l’unico mortale, privo di sangue divino, che era mai stato capace di raggiungere tale ruolo, contando soltanto sulla propria forza, saggezza e onestà. Zeus lo aveva notato molti anni addietro, in occasione di giochi olimpici organizzati ad Atene, in cui il ragazzo aveva vinto numerose prove, sbaragliando i propri avversari.

 

“Quel ragazzo farà strada!” –Gli aveva sussurrato Ermes, intento quanto il Dio ad osservare il giovane atleta.

 

“Ne sono convinto, amico mio!” –Aveva risposto Zeus, accennando un sorriso. –“Sarebbe un ottimo Cavaliere Celeste! Non mi dispiacerebbe averlo nelle mie legioni!” –E così Ermes, su incarico di Zeus, si era messo sulle tracce del giovane, indagando sul suo conto, e scoprendo che proveniva da una famiglia di pastori che viveva proprio alle pendici meridionali del Monte Olimpo, in una tranquilla vallata dove Phantom aiutava suo padre nell’allevamento e nella cura delle pecore.

 

Immensa fu la sorpresa sul volto del ragazzo, allora quindicenne, quando Ermes apparve davanti a lui, ricoperto dalla sua scintillante Veste Divina, in quel lontano pomeriggio di primavera. E maggiore fu lo stupore quando udì la proposta del Messaggero, che gli chiedeva di seguirlo sull’Olimpo, se avesse voluto, per entrare a far parte dell’Esercito Celeste.

 

“Se accetti la mia offerta, giovane Phantom, inizierai un duro allenamento, un intenso e faticoso addestramento, che ti permetterà di sviluppare non soltanto i muscoli e la forza fisica, ma anche il tuo acume, la tua strategica astuzia, e amplierà il tuo sapere, sommergendoti di conoscenza e di virtù!” –Gli aveva parlato Ermes. –“Ma tutto questo richiede un prezzo, quello dell’onore, del senso del dovere che dovrai dimostrare al tuo Signore, il Sommo Zeus dell’Olimpo, colui che ha richiesto la tua presenza nelle fila dei suoi Cavalieri Celesti!”

 

“Il Sommo Zeus in persona?!” –Aveva mormorato Phantom, mentre una frenesia indescrivibile si stava impossessando di lui.

 

Mille pensieri avevano invaso la sua mente in quei pochi minuti di conversazione, mille pensieri di eccitazione, ansia, speranza nel futuro, misti alla propria coscienza, al proprio senso del dovere che gli ricordava di essere figlio di due pastori, uomini soli, che avrebbero avuto bisogno di lui per continuare a vivere. Ma suo padre, Deucalione il saggio, era venuto in suo aiuto, spiegandogli di non preoccuparsi.

 

“Non ti credevo nato per fare il soldato, ragazzo!” –Aveva commentato, affiancato dalla moglie, con gli occhi gonfi di lacrime. –“Ma se questa è la volontà divina, e la tua, noi non ci opporremo!”

 

Per un ultimo momento Phantom era stato tentato di rifiutare, quasi impietosito dalla nobiltà d’animo e dal senso di sacrificio dei suoi genitori. Ma poi aveva stretto i pugni, orgoglioso che il Dio dell’Olimpo in persona avesse messo gli occhi su di lui, uno tra i mille atleti dei giochi panatenaici, ed aveva accettato, incuriosito, intrigato, ma anche desideroso di mettere le sue capacità al servizio di uno scopo più elevato che non fosse badare a delle pecore per tutta la vita.

 

Fin da quando era bambino, Phantom aveva ascoltato le storie di sua madre, Elena la sognatrice, che ogni sera gli narrava di Zeus e degli Dei Olimpi, dei fasti del Sacro Monte, e di Atena, Dea della Giustizia, grande protettrice degli uomini. Phantom aveva sempre ascoltato con attenzione, con gli occhi brillanti di fantasia e speranza, convinto che un giorno, anch’egli, sarebbe diventato qualcuno, che avrebbe potuto mettere la sua vita al servizio di una causa nobile e giusta, come i Cavalieri di Atena facevano da millenni. E quella, gli era parsa in quel momento, la scelta migliore.

 

Per anni si era allenato sull’Olimpo, confrontandosi con gli altri Cavalieri Celesti, venendo talvolta schernito per la sua mortale natura, che lo rendeva diverso e inferiore agli altri. Ganimede, Castore, Polluce, Atteone e gli altri Cavalieri Celesti erano immortali, o comunque nati da sangue divino che permetteva loro di invecchiare molto lentamente e di rimarginare in fretta le proprie ferite. Ma Phantom era un uomo mortale, scelto dal destino per elevarsi al di sopra degli altri, per mettersi continuamente in gioco, rischiando tutto se stesso, anche la vita, in addestramenti massacranti, quanto gratificanti. E l’impegno che aveva messo, per tutti quegli anni, non era andato sprecato, avendo richiamato le lodi e le simpatie del Signore dell’Olimpo che presto lo aveva nominato suo Luogotenente, secondo soltanto ai tre Ciclopi, e comandante di tutti i Cavalieri Celesti.

 

Le notevoli abilità del ragazzo e le sue doti carismatiche gli avevano attirato spontanee simpatie da parte di numerosi Cavalieri e Divinità, Giasone per primo, che vedeva nel giovane non solo un compagno d’armi ma anche un amico. Demetra, Dea delle Coltivazioni, donna saggia e attenta, gli aveva fatto dono di un magico talismano, di origine naturale, che permetteva al ragazzo, quando lo indossava, di fondersi con l’ambiente circostante, assumendo i colori e i tratti della natura intorno. E Phantom aveva fatto buon uso di quel talismano, prestandolo temporaneamente persino a Ioria, durante la Scalata dell’Olimpo, e ricevendolo indietro a fine battaglia, quando, disteso sul letto delle sue stanze, per curarsi e recuperare le forze, aveva ricevuto la visita del Cavaliere del Leone.

 

Ioria…” –Aveva balbettato Phantom, tentando di sollevarsi dal letto. Ma Ioria lo aveva pregato di rimanere disteso, per non affaticarsi.

 

“Sono venuto per renderti questo!” –Aveva esclamato il Cavaliere, porgendo al giovane il talismano di Demetra. –“E ringraziarti per avermi concesso di fruirne! Grazie ad esso sono riuscito ad arrivare in tempo nel Giardino dei Sogni, per portare aiuto a Phoenix e a Castalia impegnati contro Issione!”

 

Già…” –Aveva risposto Phantom, laconicamente. –“Castalia…” –Per qualche secondo un muro di silenzio si era interposto tra i due ragazzi, incapaci di riprendere una conversazione o semplicemente impauriti dall’argomento da affrontare. Era stato Phantom a farsi coraggio e parlare.

 

Ioria... io... vorrei chiederti una cosa. Puoi anche non rispondere, non ti biasimo, ma se lo farai vorrei che tu fossi sincero!” –Aveva esclamato, riuscendo a sollevarsi e ad appoggiare la schiena al muro. –“Cosa provi per Castalia? So che è una domanda indiscreta e, come già ti ho detto, se non te la senti di rispondermi puoi anche non farlo, ma… vorrei saperlo…

 

“Perché?” –Aveva domandato Ioria, e a Phantom quella parola sembrò una lama affilata.

 

“Perché sento di provare qualcosa per lei… qualcosa che va al di là di una semplice amicizia, di una pura complicità…Ma sento anche di non essere l’unico a provare un sentimento simile!”

 

Ioria non aveva inizialmente risposto, limitandosi a girare per la stanza, guardandosi distrattamente attorno, finché la leggera voce di Phantom non lo richiamò a sé.

 

“So che siete cresciuti insieme, Ioria! Castalia me ne ha parlato, e mi ha anche detto di essere molto legata a te! Ciò che non ha aggiunto, l’ho intuito da solo, e non ho bisogno di poteri mentali per saper leggere nel cuore di una persona cara!”

 

“Non vi è altro da aggiungere, Luogotenente dell’Olimpo! Castalia ha detto il vero, spiegandoti che siamo molto uniti, da un legame profondo, di sincera fratellanza, unico nel suo genere!”

 

“Ne sono certo, Cavaliere di Leo!” –Si era limitato a rispondere Phantom. –“E non era affatto mia intenzione dubitarne; volevo semplicemente dire che…

 

“Se provi dei sentimenti per Castalia, credo che dovresti parlarne con lei!” –Lo aveva interrotto Ioria. –“Non con me!”

 

Uh…–Phantom era rimasto spiazzato dall’uscita del ragazzo, da cui si aspettava una reazione più istintiva e bellicosa, e meno pacata. Ma aveva preferito non aggiungere altro, vedendo che il Cavaliere non sembrava intenzionato a discutere ancora.  –“È quello che farò, Cavaliere di Leo! Ma ti prego… vorrei che anche tu lo facessi, se senti di avere qualcosa da dirle!” –Non aveva aggiunto altro, salutando il ragazzo con un sorriso, prima di distendersi nuovamente sul letto per riposarsi.

 

Aveva recuperato in fretta le proprie forze, grazie al cosmo di Zeus e alle cure di Asclepio e, per quanto il ragazzo non lo avesse ammesso, grazie anche ai poteri curativi del cosmo del Cavaliere di Leo. Phantom aveva sentito l’aureo scintillio del cosmo di Ioria entrare dentro di lui e infondergli calore, nonché la forza per risalire a galla. E il Luogotenente non aveva esitato, recuperando presto il proprio vigore, pronto per l’importante missione che Zeus gli aveva assegnato: raggiungere Glastonbury e trovare l’Ultima legione, che Zeus vi aveva nascosto molti secoli prima, affidandone il comando, in tempi recenti, a un allievo di Dohko della Bilancia.

 

Grazie all’incredibile velocità a cui poteva muoversi, Phantom arrivò sull’isola britannica in un lampo di luce, dirigendosi verso il Somerset, regione in cui si trovava Glastobury.

 

Strana cittadina, Glastonbury! Commentò, camminando nei verdi parchi dell’abbazia della città. Avvolta da un fascino mitico ed epico! Le leggende sul suo conto poi si sprecano! Si narra che Giuseppe d’Arimatea abbia raggiunto questa cittadina duemila anni fa, arrivando per mare, agli inondati Somerset Levels. Accompagnato proprio dal Cristo bambino. Nello sbarcare piantò a terra il proprio bastone, e in quel punto fiorì miracolosamente la Sacra Spina, nota come Biancospino di Glastonbury, un fiore ibrido, che fiorisce due volte l’anno, una in primavera e una in Natale sul terreno dell'abbazia e di fronte alla chiesa di San Giovanni! Splendido fiore, si conservò per secoli, fino alla Guerra Civile che sconvolse quest’isola trecentocinquanta anni fa, venendo in seguito ripiantato. L’ultima volta, se non erro, trentacinque anni or sono!

 

Tutto immerso nelle proprie riflessioni, e nell’aura mitica che nel cortile dell’antica abbazia di Glastobury si respirava, Phantom percorse l’intero giardino, osservando le mura, di epoca premedievale. Secondo le indicazioni fornitemi da Zeus l’Ultima Legione dovrebbe essere stanziata qua, all’incirca… E sollevò lo sguardo avanti a sé, osservando la verde collinetta che sorgeva di fronte a lui. Un leggero rilievo terrazzato che saliva dolcemente, proprio in direzione del sole.

 

Improvvisamente i suoi sensi saettarono attenti, percependo una vibrazione nel cosmo, come se qualcuno fosse giunto fin lì. Tirò un rapido sguardo in cima alla collina, ma non vide niente, soltanto un’antica torre, ultime vestigia di un’ancestrale costruzione religiosa. Per un attimo, un attimo soltanto, gli sembrò di vedere una figura, avvolta in un grigio mantello, osservarlo dalla cima del colle. Sbatté gli occhi per vedere meglio, ma non trovò nulla, soltanto una leggera brezza che smuoveva i verdi steli di erba.

 

Campane risuonarono poco distante, richiamando il Luogotenente alla sua missione. Doveva trovare il luogo dove era nascosta la Legione Olimpica, ma l’impresa si prospettava più complessa di quanto si era aspettato, non trovando niente, intorno a sé, che potesse essergli d’aiuto.

 

D’un tratto Phantom sentì passi leggeri frusciare sull’erba poco distante e si voltò in quella direzione, trovandosi di fronte una strana processione. Una decina di uomini, avvolti in grigi mantelli, dal volto coperto da un cappuccio, procedevano lentamente, intonando canti in un’antica lingua, probabilmente celtica, che il ragazzo non riusciva a comprendere. Ciascuno reggeva una fiaccola accesa, e seguiva l’altro, scivolando sul verde pendio terrazzato, diretti verso la cima.

 

Phantom seguì con lo sguardo per qualche minuto la strana processione, ma quando fece per muoversi, un sibilo lo costrinse a voltarsi improvvisamente e a saltare indietro con un balzo, mentre un’argentea lama si piantava nel terreno, proprio di fronte a lui.

 

“Uh?” –Mormorò il Luogotenente, preso alla sprovvista.

 

“Ottimi riflessi!” –Commentò una voce maschile, provenendo da un punto indefinito di fronte a lui.

 

In un primo momento Phantom fu tentato di non rispondere, per non farsi scoprire; ma poi realizzò che se colui che gli aveva lanciato contro quel pugnale lo aveva quasi colpito, questo significava che poteva vederlo, per quanto indossasse il Talismano di Demetra e dovesse risultare quindi mimetizzato con la natura.

 

“Chi sei? Mostrati!” –Esclamò Phantom, osservando avanti a sé.

 

“Io dovrei mostrarmi?!” –Commentò la voce, lasciandosi scappare una risata. –“Forse dovresti farlo tu, che queste terre hai invaso, e non io, che ne sono il custode!”

 

Phantom aguzzò la vista e riuscì a percepire la presenza del suo interlocutore. Davanti a lui, a pochi metri di distanza, si ergeva una figura umana, confusa con l'ambiente circostante. Solo l’ondeggiare del mantello verdastro, permise a Phantom di mettere a fuoco l’imprevisto ospite. Un uomo, anzi, un Cavaliere, poiché indossava un’armatura lucente, dagli sfumati colori celesti e verdi. Un’armatura cangiante che poteva ben mimetizzarsi con l’ambiente naturale circostante, nascondendo in parte la propria presenza.

 

“Non sono un invasore!” –Precisò, mentre l’uomo si avvicinava.

 

“E allora chi sei? E cosa ti porta in queste terre?” –Chiese l’uomo, con voce decisa, ma non scortese, scoprendo il volto dal cappuccio del mantello.

 

Quando gli fu vicino, a soli tre metri dal suo viso, Phantom osservò che si trattava di un giovane, di non più di trent’anni, alto e moro, con il viso scuro e limpidi occhi neri. I lisci capelli corvini si presentavano spettinati e scompigliati, fermati in parte dal brillante diadema della sua armatura. Una corazza che, Phantom non aveva dubbi, era di fattura divina.

 

“Sto cercando degli amici!” –Rispose Phantom, ma l’uomo non ne fu convinto.

 

“Non ci si presenta furtivamente a casa di un amico, strisciando nascosti sul terreno, per osservare le sue mosse da lontano! Il tuo atteggiamento somiglia più a quello di un invasore, o di una spia!”

 

“Il mio atteggiamento è dettato esclusivamente dalla prudenza, Cavaliere! In tempi oscuri come questi, e in terre ignote, in cui mai mi sono recato, ho ritenuto opportuno nascondermi all’altrui visuale, e mi stupisce non poco che tu sia riuscito comunque ad accorgerti di me, vanificando gli effetti del divino manufatto di cui sono dotato!”

 

“Avevo percepito il tuo cosmo avvicinarsi! E ti ho tenuto d’occhio fin da quando sei giunto all’Abbazia di Glastonbury!” –Commentò il giovane, fissando Phantom. –“Talismani o meno, non esiste niente che io non possa mirare in queste terre di cui sono guardiano!”

 

“Di notevoli capacità sei dotato, Cavaliere…

 

“È mio dovere proteggere quest’isola sacra da chiunque tenti di violare il suo antico suolo!”

 

“Non sono un invasore! Sono in missione per conto del mio Signore!”

 

“E chi sarebbe il tuo Signore?!” –Chiese il giovane, con una punta di sarcasmo.

 

“Il Sommo Zeus, Dio supremo dell’Olimpo!”

 

Il… Sommo Zeus?!” –Mormorò il Cavaliere sconosciuto, fermandosi interessato.

 

“Proprio così! Sono il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, e sono giunto fin qua, nella vecchia Inghilterra, su ordine del Sommo Zeus, per trovare i Cavalieri Celesti che qua dimorano e a cui sono fedeli!”

 

“Ed io ricevo il tuo messaggio, Luogotenente dell’Olimpo!” –Esclamò il giovane, scuotendo il mantello, e inginocchiandosi di fronte a Phantom. –“Non al vento sono andate le tue parole, ma alle orecchie di Ascanio Testa di Drago, Comandante dell’Ultima Legione, il cui governo mi fu assegnato dal Dio dell’Olimpo in persona, quattordici anni fa!”

 

Phantom rimase un attimo sorpreso e interdetto, osservando il giovane rialzarsi e sorridergli, con fare sincero ma deciso. Adesso non gli sembrava più un Cavaliere, ma un principe dei tempi antichi, un condottiero di divina stirpe che avrebbe guidato gli uomini verso la pace.

 

“Che cosa turba la quiete olimpica? Cosa ha spinto il nostro Signore a richiamare persino la legione dormiente? Deve trattarsi di qualcosa di molto pericoloso se Zeus invia il luogotenente delle sue armate in persona, fin qua, per condurre altre truppe in Grecia! Che l’ultima guerra sia infine giunta?!”

 

“Tristi sono questi tempi, Comandante! Tristi e macchiati di sangue, intrisi dalla violenza di guerre che non andavano combattute!”

 

“Spiegati meglio, Luogotenente…” –Esclamò Ascanio, incamminandosi nell’erba fresca, e facendo cenno a Phantom di seguirlo. –“Ho sentito cosmi inquieti agitarsi nel Mediterraneo in quest’ultimo anno, e proprio pochi giorni fa una grande esplosione di energia… ma non ho indagato.. non potendo fare diversamente, avendomi Zeus proibito alcun contatto con l’Olimpo, per paura che la legione venisse scoperta!”

 

Phantom raccontò velocemente ciò che era accaduto sia ad Atene che sull’Olimpo nell’ultimo anno, dalla guerra interna che i Cavalieri di Atena avevano dovuto affrontare, alle minacce di Discordia, Apollo, Nettuno, Ade e infine Crono.

 

“E adesso Ares, Dio della Guerra!” –Esclamò con preoccupazione il Luogotenente di Zeus. –“Egli mira alla distruzione dell’Olimpo e di tutti i Cavalieri, a qualunque ordine appartengano, a qualunque benevola Divinità siano devoti! Mira a creare un nuovo ordine, marchiandolo col sangue, dove la violenza e l’odio siano all’ordine del giorno, un caos perpetuo di guerra di tutti contro tutti, su cui la sua Divina Volontà prevarrà infine, penetrando le martoriate coscienze degli uomini e dominandole, piegandole al suo volere!”

 

“Terribile!” –Commentò Ascanio. –“E Zeus non gli ha ancora mosso guerra?!”

 

“Zeus si è fatto prudente! Dopo la perdita dei Ciclopi, di molteplici Divinità amiche e di tutti i Cavalieri Celesti, il Dio del Fulmine preferisce evitare mosse azzardate! Ovviamente si opporrà ad Ares, ma con prudenza e coscienza, consapevole che attacchi avventati potrebbero indebolirlo ulteriormente!”

 

“Capisco. La situazione è molto delicata, e noi abbiamo già perso fin troppo tempo conversando!” –Rifletté Ascanio. –“Se Zeus ha richiamato l’Ultima Legione, essa deve partire immediatamente, alla volta dell’Olimpo, per portare aiuto al suo Signore!” –E tirò fuori un piccolo utensile, che a prima vista parve a Phantom un pezzo di legno. Si trattava di uno zufolo, che Ascanio suonò immediatamente, senza produrre però alcun suono.

 

Phantom si guardò intorno straniato, prima di sentire leggeri passi sull’erba dietro di lui: un giovane Cavaliere, ricoperto da una verde armatura, decorata di bianco, li raggiunse poco dopo, stupendo Phantom per l’abilità nel nascondersi e, eventualmente, sorprendere il proprio avversario.

 

“Ultrasuoni!” –Spiegò Ascanio, riponendo lo zufolo. –“Possono essere uditi soltanto dai legionari di Glastonbury, che hanno affinato per anni i loro sensi, studiando gli animali!”

 

“Gli animali?!”

 

“Esattamente! Gli animali sono un regno interessantissimo a cui l’uomo dovrebbe dedicare maggiore attenzione!” –Disse Ascanio, mentre il Cavaliere dalla verde corazza si inginocchiava di fronte al suo Comandante. –“Vari, diversi tra loro, ma simili. Tutti finalizzati al mantenimento della loro specie! Alcuni vivono in simbiosi con la natura, adottando tecniche particolari di mimetismo; altri comunicano tra loro tramite onde sonore, quasi impercettibili all’orecchio umano…

 

“Gli ultrasuoni…” –Affermò Phantom.

 

“Esattamente! Dagli animali abbiamo imparato e tratto numerose lezioni di vita, nonché tecniche di battaglia! Credo sia arrivato il momento di metterle in pratica!”

 

“Lo credo anch’io!” –Commentò Phantom, prima che Ascanio gli presentasse il Cavaliere: un ragazzetto di diciotto anni, non di più.

 

Gwynn!” –Esclamò il Comandante. –“Convoca immediatamente l’intera Legione! Il momento che aspettavamo è finalmente giunto! L’Olimpo ha bisogno di noi!”

 

“Sì, mio Signore!” –Rispose Gwynn, prima di congedarsi e sfrecciare verso la cima della collina.

 

Ascanio pregò Phantom di seguirlo fino alla sommità del Tor, dove avrebbero radunato i Cavalieri Celesti.

 

“Un tempo il mare giungeva ai piedi della collina e paludi e acquitrini si estendevano tutti intorno, e il Tor era una di sette isole, una delle poche terre non sommerse da una grande inondazione. E lo rimase per secoli, perché le acque ci misero molto tempo a ritirarsi e rimasero paludi salmastre che al culmine dell'estate si prosciugavano. E infatti Somerset, la regione della Cornovaglia in cui ci troviamo, è l'abbreviazione di "Territori dell'Estate", perché l'area d'inverno era inondata e pertanto non poteva essere abitata! Questa collina era chiamata anche "Ynis Witrin" o “Isola di vetro”, collegata al continente solo da una stretta striscia di terra durante la bassa marea!” –Esclamò Ascanio, guidando il Luogotenente lungo i terrazzamenti del colle, un antico sentiero iniziatico che i druidi percorrevano per giungere alla sommità.

 

“I druidi?!”

 

“Proprio loro! I discendenti del piccolo popolo che un tempo abitava queste terre! Con la venuta dei Romani prima, e dei Sassoni poi, le antiche popolazioni furono sopraffatte, costrette a nascondersi, accusate di stregoneria e occultismo, e scomparvero dal mondo conosciuto, ricreandone uno nuovo, più intimo e sicuro, all’interno del quale continuano ad operare, con tutti i riti che sono loro propri! Grazie al loro aiuto la Legione ha potuto rimanere celata per tutti questi secoli!”

 

Parlando tra loro i due Cavalieri raggiunsero la cima del colle, dove si stagliava, imponente e solitaria, la Glastonbury Tor. Davanti ad essa una cinquantina di Cavalieri Celesti, dalle mimetizzanti armature celesti, parlavano tra loro, ed altrettanti sarebbero giunti quanto prima, appena informati da Gwynn, che si fece incontro al Comandante avvertendolo di aver ordinato la convocazione immediata di tutta la Legione.

 

“Qualcun altro vuole parlare con lei, prima di partire!” –Sussurrò il ragazzetto, cercando di non farsi udire da Phantom; ma il Luogotenente, dall’orecchio fino e dai sensi acuti, udì lo stesso, senza fare domande.

 

Ascanio non ebbe il tempo di rispondere perché percepì, proprio come Phantom, Gwynn e gli altri Cavalieri Celesti, sebbene qualche secondo prima di loro, un’inquietante e violenta emanazione cosmica dirigersi verso di loro.

 

“Cosa succede?!” –Brontolò, suonando nuovamente lo zufolo. –“Che tutti i Cavalieri si tengano pronti!” –Urlò a Gwynn, mentre il ragazzo corse via.

 

“Ciò che Zeus maggiormente temeva… che Ares mi facesse seguire!!!” –Strinse i denti Phantom.

 

Una cinquantina di cosmi inferociti, carichi di odio e violenza, si stavano avvicinando al Tor, e dall’ardente spirito che albergava in loro Phantom e Ascanio compresero che avevano un solo obiettivo: la guerra. Pochi minuti dopo, la piana sottostante al Tor si riempì di guerrieri dalle vestigia scarlatte, provvisti di armi di ogni sorta, ed ebbri del violento cosmo del Dio della Guerra.

 

“Siete pronti a morire?!” –Mormorò una tenebrosa voce, risuonando nell’aria sopra la collina.

 

“Ma... chi?!” –Mormorarono Ascanio e Phantom, tirando uno sguardo verso il basso.

 

Due guerrieri, i Capitani a cui Ares aveva affidato l’assalto del Tor, si fecero avanti tra la massa dei berseker, con un gran ghigno sul viso. Erano ricoperti di armature dalle inquietanti forme, che rilucevano sinistramente sotto i tiepidi raggi del sole di Glastonbury, e fu uno di loro a parlare.

 

“Il vostro patetico tentativo è fallito! L’Ultima Legione non giungerà mai in aiuto di Zeus, perché vi massacreremo tutti qua, prima di dare fuoco a questi sterili e insulsi campi!”

 

Non provateci neppure! Strinse i pugni Ascanio, facendo avvampare il suo cosmo. Immediatamente scintillanti sagome di immensi dragoni di luce sgorgarono dal terreno, sotto i piedi dei berseker, salendo verso il cielo, provocando in loro sorpresa e confusione, per quanto i due Capitani cercassero di mantenerli in riga.

 

“Ora!!!” –Gridò Ascanio mentre una decina di Cavalieri Celesti, dalle armature verdastre, lo affiancarono, puntando i loro archi scintillanti verso il cielo. –“Tirate!!!”

 

Un secondo dopo un centinaio di dardi splendenti caddero sui berseker di Ares, ferendone alcuni a morte. Ma questo non bastò a farli arretrare, anzi li rese ancora più combattivi, più determinati a raggiungere la vetta del colle, abbattere il Tor e farne una tomba per i Cavalieri di Zeus.

 

Un corno risuonò nell’intera vallata, paralizzando momentaneamente i berseker, che si erano lanciati all’assalto, mentre uomini a cavallo, su bianchi destrieri, apparivano nella verde piana sotto il Tor.

 

“Chi sono costoro?” –Domandò Phantom, osservando i Bianchi Cavalieri caricare i berseker.

 

“I Cavalieri di Glastonbury, nobili uomini che fecero un patto con la morte, donando la vita affinché potessero tornare a cavalcare quando la loro terra fosse minacciata!” –Spiegò Ascanio. –“La leggenda narra che siano i Cavalieri di Re Artù, e che egli, sepolto proprio in questa terra dopo la sua ultima battaglia, cavalchi in testa al suo mitico esercito!”

 

“E tu ci credi?” –Chiese Phantom, ma Ascanio scosse il viso, tagliando corto, e mettendo in posizione i propri Cavalieri Celesti.

 

“Può anche essere…” –Sorrise infine. –“Glastonbury è una magica terra, dove miti diversi, di religioni e culture differenti, si uniscono insieme sotto lo stesso cielo, sotto l’ombra del Tor!”

 

In quel momento i Bianchi Cavalieri sui loro scintillanti destrieri sfondarono le fila dei berseker di Ares, obbligando i malvagi guerrieri a sfoderare le loro armi, iniziando violenti corpo a corpo.

 

Due uomini, disinteressandosi dei loro soldati, si lanciarono da soli lungo i pendii del Tor, diretti verso la cima: erano i Capitani che avevano guidato l’assalto dei berseker, due mitologici figli di Ares.

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo ventesimo: Glastonbury in fiamme ***


CAPITOLO VENTESIMO. GLASTONBURY IN FIAMME.

 

La verdeggiante piana sotto al Tor, nella cittadina di Glastonbury, era invasa dall’esercito di Ares, i cui fiammeggianti blasoni rilucevano sotto lo stanco sole del Somerset, contrastando la carica dei Bianchi Cavalieri, ultima difesa della collina. Ascanio Testa di Drago, Comandante dell’Ultima Legione, e Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo, rimasero in cima al colle, ad osservare la massa di berseker di Ares scontrarsi contro i Cavalieri Bianchi.

 

“Li batteremo!” –Commentò Ascanio, stringendo i pugni. –“Siamo numericamente superiori! Contiamo centoventi Cavalieri Celesti, tutti ben addestrati e pronti a lottare con vigore…

 

In quel momento, due guerrieri, ricoperti da inquietanti vestigia, si lanciarono avanti, evitando la fitta pioggia di dardi scintillanti che i Cavalieri Celesti scagliavano loro contro dalla cima del Tor.

 

“Sento un cosmo particolarmente ostile in loro!” –Mormorò Phantom. –“Non si fermeranno!” –E infatti uno dei due guerrieri iniziò a produrre, sfiorando con la mano sottili corde musicali, tempestose note capaci di frenare la raffica di frecce e rispedire i dardi indietro.

 

“Attenti!!” –Gridò Ascanio, osservando le frecce tornare verso l’alto e ferire qualche Cavaliere Celeste. –“Chi siete? E come osate invadere il sacro suolo di Ynis Witrin?”

 

“Appiccheremo un immenso rogo su quest’isola, Cavaliere di Zeus, e della tua verde terra resterà soltanto un lembo isterilito, dove pianteremo le teste dei tuoi soldati su picche infuocate!”

 

Maledetto…” –Ruggì Ascanio, ma Phantom gli fermò il polso, pregandolo di fare attenzione, e non lasciarsi distrarre.

 

“Lascialo sfogare, Luogotenente dell’Olimpo, quel cane bastardo! Abbandonato in questa terra dimenticata e costretto a far da cane guardiano ai vetusti porci nascosti da Zeus, concedigli un ultimo sfogo, prima che vada incontro alla morte!” –Esclamò beffardo uno dei due guerrieri.

 

“Come conoscete il mio nome? E come sapevate dell’esistenza dell’Ultima Legione?”

 

“Non ne eravamo a conoscenza infatti!” –Spiegò uno dei due. –“È stato grazie a te, Phantom dell’Eridano Celeste, che i sospetti nutriti da nostro Padre sono diventati realtà, quando qua siamo giunti, inseguendo la scia del tuo cosmo!”

 

“Che cosa?!” –Mormorò Phantom, sconvolto che qualcuno avesse potuto seguirlo. –“Ma soltanto Zeus era a conoscenza dell’Ultima Legione!!!”

 

“Questo è vero!” –Rispose un guerriero. –“Ma Zeus ha avuto la sfortuna di trascorrere molto tempo con Flegias, quando questi risiedeva sull’Olimpo, e il figlio di Ares è stato molto abile a carpire certi suoi segreti, lavorando diabolicamente la sua mente, fino a giungere alla conclusione dell’esistenza di altri Cavalieri Celesti, prudentemente celati da Zeus!”

 

“L’unico problema era trovarli, e distruggerli prima che potessero portare aiuto all’Olimpo!” –Intervenne l’altro. –“E a quel punto sei entrato in scena tu, Luogotenente! Flegias era sicuro che Zeus avrebbe inviato te, il più fidato ed il più abile tra i suoi fedelissimi, per questo abbiamo approntato una pattuglia speciale con il compito di seguirti, non appena avessi lasciato l’Olimpo! Devo ammettere che non è stato affatto facile, abilissimo come sei a far perdere le tue tracce, e solamente noi due, tra i cinquanta berseker di nostro Padre, riuscivamo a malapena a starti dietro, esclusivamente perché Flegias ci aveva istruito su come riconoscere il tuo cosmo!”

 

“Non avete speranze contro l’Ultima Legione!” –Tuonò infine Ascanio. –“Siamo numericamente e qualitativamente superiori! Non riuscirete mai ad abbatterci!”

 

“Forse no… Per quanto ci piacerebbe! Ma il piano di nostro Padre era molto più semplice: uccidere quanti più Cavalieri Celesti fosse possibile, ritardando al massimo la vostra partenza per la Grecia!”

 

“Perciò, se anche dovessimo uccidere uno soltanto tra di voi…” –Mormorò l’altro, prima di scambiarsi una rapida occhiata con il suo compagno. –“...sarebbe un nostro indiscusso successo!”

 

E scattarono avanti improvvisamente, espandendo il cosmo e scagliando assalti energetici contro Phantom e Ascanio, i quali prontamente si spostarono, per evitare di essere colpiti, mentre Gwynn, dietro di loro, dava ordine ai Cavalieri Celesti di lanciare una nuova raffica di frecce. Ma anche tali dardi tornarono indietro, venendo respinti dalle maledette note di uno dei due guerrieri, che si erano fatti sempre più vicini alla cima del Tor, permettendo ad Ascanio e a Phantom di osservarli meglio.

 

Il primo era alto e magro, con carnato chiaro, quasi gialliccio, ricoperto da una particolare armatura dal colore argilla, con appariscenti e contrastive striature bianche e nere sulle gambe, ed un mantello, sempre bianco e nero, rappresentante ali ripiegate. L’elmo inoltre raffigurava inequivocabilmente la testa di un uccello, avendo un ciuffo a ventaglio di piume erettili dal colore marrone chiaro, ed una sporgenza a forma di lungo becco, che copriva la sua bocca.

 

Tereo dell’Upupa, figlio di Ares!” –Si presentò l’uomo, che, per quanto potesse apparire ridicolo, ostentava un cosmo sanguinario ed ostile. –“E io sono suo fratello, Driante dell’Arpa Nera!” –Aggiunse l’altro, la cui voce era più decisa e maschile.

 

Questi era leggermente più basso, ma ben piazzato, con ricciuti capelli corvini, ricoperto da un’armatura nera, dalle sfumature violacee, apparentemente banale, se non fosse stato per una particolare sporgenza che presentava davanti, che altro non era se non un’arpa scura, fissata direttamente al pettorale dell’armatura, come una smussata pinna di squalo, che facilitava l’esecuzione delle orribili melodie da parte di Driante, potendo disporre di una mano libera.

 

Tereo... e Driante…” –Mormorò Phantom, a cui il ricordo di quei nomi richiamava orribili immagini di stupri e violenza.

 

Tereo era Re della Tracia, figlio di Ares e sposo di Procne, figlia del Re di Atene, da cui ebbe un figlio che pagò in prima persona gli errori dei genitori. Tereo infatti era innamorato non corrisposto della sorella di Procne, Filomela, ma essendo da lei respinto, usò uno stratagemma per possederla, dopo aver ucciso il fratello Driante. Tereo infatti raccontò che Procne era morta e violentò Filomela e poi, per evitare che potesse raccontare l'accaduto, le tagliò la lingua. Ma la donna riuscì comunque a informare la sorella dell'accaduto ricamandolo su una tela e facendogliela pervenire. Procne, per vendicarsi, uccise il figlio e lo diede da mangiare a Tereo, che, quando si rese conto dell'accaduto, inseguì le sorelle che intanto si erano rifugiate a Dauli, chiedendo aiuto agli dei, che le trasformarono in uccelli: Procne divenne una rondine e Filomela un usignolo. E Tereo un upupa.

 

“Sempre ottimi i curriculum dei figli di Ares!” –Ironizzò Phantom.

 

“Non disprezzare il tuo carnefice, Luogotenente!” –Commentò Tereo, bruciando il proprio cosmo, dalle sfumature giallo-argilla.

 

Ascanio si mosse per combattere con lui, ma Phantom lo pregò di fermarsi. –“Mio è stato l’errore di portarli fin qua, e mio è il dovere di rimediare ad esso!”

 

“Up up up!” –Mormorò Tereo, ricreando il verso monotono dell’upupa.

 

Immediatamente onde di energia a forma di U rovesciata travolsero Phantom, che cercò di difendersi incrociando le braccia di fronte a sé, ma venne comunque spinto indietro e sollevato da terra, mentre Tereo ripeteva il suo sonoro attacco energetico.

 

“Fermati!” –Lo bloccò però Driante, toccando una corda della sua malefica arpa. –“Non sprechiamo inutilmente le nostre forze!” –E iniziò a suonare, con la mano destra, una macabra melodia che sovrastò il monotono canto dell’upupa, invadendo l’intera vallata e instillando in tutti i Cavalieri presenti un forte senso di angoscia e incertezza.

 

“Inquietudine esistenziale!” –Mormorò Driante, mentre la sua mano pizzicava fugacemente le corde dell’arpa nera della sua corazza.

 

Inizialmente molti Cavalieri Celesti risentirono del malefico effetto dell’Arpa Nera, arretrando dalle loro posizioni, sentendo un’angoscia montante farsi strada nell’animo, rendendoli insicuri, incerti sui loro attacchi, e permettendo ai berseker di colpirli, superando le loro abbassate difese. Gli unici a non risentire degli effetti dell’Arpa Nera furono i Bianchi Cavalieri sui loro destrieri e questo confermò il pensiero di Phantom, che aveva creduto fin dall’inizio che essi non fossero che spiriti.

 

“Spiriti combattivi di eroi che un tempo diedero la vita per difendere queste terre!” –Spiegò Ascanio, su cui l’effetto dell’Arpa Nera sembrava non sortire effetto. –“Spiriti di luce che le inquietanti melodie del figlio di Ares non possono raggiungere!”

 

“Bugia!” –Sibilò Driante, aumentando l’intensità della propria oscura melodia. –“Nessuno può resistere all’incantesimo dell’Arpa Nera!” –Ma Ascanio non rispose, limitandosi ad espandere il proprio scintillante cosmo, concentrandolo sulle sue robuste braccia. Per un momento, Driante credette di vedere guizzanti serpenti, fatti di energia, incrociarsi tra loro, sulle braccia del Comandante della Legione Nascosta. Fu l’ultima cosa che vide, prima che lo sfavillante cosmo di Ascanio lo travolgesse, scaraventandolo indietro con l’armatura distrutta.

 

Driante!!!”–Gridò Tereo, alla vista del fratello rantolante inerme a terra.

 

“Preoccupati per te stesso, piuttosto!” –Esclamò Ascanio, sollevando l’indice destro contro di lui e liberando un violento raggio energetico. Ma Tereo fu abile ad evitarlo, appiattendosi sul terreno, spiegando le ali e balzando avanti, leggero e silenzioso, proprio come l’uccello da lui rappresentato.

 

Il figlio di Ares concentrò il cosmo sul palmo destro, per scagliarlo su Ascanio, ma Phantom, ripresosi dall’angosciosa melodia di Driante, scattò avanti, contrastandolo a mezz’aria. Il contraccolpo tra i due poteri scagliò entrambi indietro, rilanciando Phantom all’altezza di Ascanio e obbligando Tereo a volteggiare in aria, piroettando con le ali striate di cui la sua corazza era dotata.

 

“Gorgo dell’Eridano!” –Esclamò Phantom, incrociando le braccia al petto e aprendole poi di scatto, liberando il suo energetico vortice, dirigendolo verso il figlio di Ares, ancora in volo.

 

Grazie alle ali della sua corazza, Tereo riuscì a fluttuare tra le correnti energetiche del gorgo di Phantom, scivolando sorprendentemente al suo interno, fino a portarsi a terra, proprio di fronte a lui, emettendo un nuovo monotono e cadenzato suono upupup che scagliò il Luogotenente indietro.

 

A quel punto Ascanio, vedendo Phantom in difficoltà, decise di intervenire nuovamente, puntando l’indice destro contro il figlio di Ares, ma prima che riuscisse a sprigionare la sua devastante energia, si ritrovò il braccio completamente avvolto da sottili fili neri.

 

“Il concerto non è ancora finito!” –Commentò Driante, rialzatosi. Sfiorò con un dito le corde della sua arpa, un po’ ammaccata, e liberò scariche energetiche che corsero sui fili che aveva prodotto, raggiungendo il braccio di Ascanio, stridendo fortemente sulla sua corazza.

 

Approfittando della temporanea immobilità del Comandante, Tereo si lanciò su di lui, ma Phantom fermò il suo assalto, balzandogli addosso e sbattendolo a terra, iniziando a colpirlo con rapidi pugni carichi di energia.

 

“In due contro uno, eh? Canaglie di Ares!” –Esclamò il Luogotenente dell’Olimpo. Ma Tereo non rispose, fingendo di subire i pugni del suo avversario, riuscendo a liberare un braccio, puntandolo contro di lui. Un liquido giallognolo spruzzò improvvisamente dalla corazza dell’Upupa, investendo il Luogotenente che ne rimase invischiato.

 

Che… diavolo è?!” –Mormorò Phantom, cercando di liberarsi da quell’appiccicosa sostanza.

 

“Muori, Luogotenente!” –Gridò Tereo, liberando un potente upupup da distanza ravvicinata, che travolse Phantom scaraventandolo indietro di parecchi metri. Quindi il figlio di Ares si rialzò, per attaccare nuovamente Phantom, ma fu straniato dall’osservare un biancospino fluttuare nell’aria di fronte a lui, prima di posarsi sul suo avambraccio. Come un vampiro, il fiore si avvinghiò al corpo di Tereo, penetrando con forza le sue carni, con le sue spinose foglie, fino a fargli uscire il sangue, mentre il guerriero cercava vanamente di liberarsi.

 

Aargh!” –Gridò Tereo, sentendo quello stupido fiore che gli stava succhiando l’energia vitale.

 

Phantom approfittò di quel momento per rimettersi in piedi, espandendo il proprio cosmo scintillante. Concentrò i sensi, percependo dentro sé un’immensa energia vitale, che gli derivava dall’ambiente circostante, da quella mitica natura in cui era immerso, e a cui il suo cosmo poteva attingere, quasi fosse un serbatoio di energia.

 

Per un momento si chiese se ciò che Ascanio gli aveva raccontato, che Glastonbury si trovasse lungo una ley line, una linea di energia, capace di unire paesaggi realizzati dall’uomo, spesso con funzioni religiose o mistiche, in punti diversi della Terra, fosse vero. Se così fosse stato, in quel momento Phantom stava attingendo proprio a quella profonda fonte di energia.

 

“Liane dell’Eridano!” –Gridò, mentre robusti filamenti di erba spuntavano dal terreno sotto i piedi del figlio di Ares, attorcigliandosi intorno al suo corpo e stringendolo con forza, come piante stritolatrici. Nonostante tutto Tereo sembrava comunque determinato a non cedere, bruciando ancora il proprio cosmo maligno, nonostante il dolore al braccio destro e l’impossibilità a muoversi.

 

“Non ti arrendi, eh?!” –Commentò Phantom.

 

“Non voglio deludere mio Padre!” –Rispose Tereo. –“Egli non ha mai avuto fiducia alcuna in noi figli bastardi, prediligendo sempre e soltanto Phobos e Deimos! A loro ha affidato il Comando Supremo del suo esercito di berseker, lasciando a noi soltanto compiti secondari! Questa è un’occasione per dimostrargli il mio valore! Non posso permettermi di perdere!”

 

“E io non posso permetterti di spargere altro sangue su questo sacro monte!” –Esclamò una voce giovanile, apparendo a fianco di Phantom. Era Gwynn, il ragazzetto amico di Ascanio, e reggeva in mano un biancospino. –“Il Biancospino è uno dei simboli di Glastonbury!” –Spiegò, mostrandolo con orgoglio. –“La prima pianta nacque dal seme di Giovanni d’Arimatea e per tutti questi duemila anni è stato coltivato, con cura e devozione, sfruttando tutti i suoi poteri! Ascanio in persona mi ha gloriato del titolo di Custode del Biancospino di Glastobury!”

 

“Ma che bell’onore!” –Ringhiò Tereo, bruciando il proprio cosmo e distruggendo le Liane dell’Eridano. –“Farò mettere nella tua tomba una pianta di quello stupido fiore!”

 

“Le tue luride e insanguinate mani non potranno neppure sfiorare il candore di questo fiore sacro!” –Esclamò Gwynn, rivelando finalmente il suo cosmo, lucente e determinato. –“Sono Gwynn del Biancospino, Cavaliere di Zeus! E ti condanno ad un eterno tormento per aver invaso la nostra sacra terra, portandovi la guerra! Glastonbury Thorn!” –E scagliò una pianta di biancospino contro il guerriero di Ares, il quale, aiutandosi con le ali della sua corazza, spiccò un balzo acrobatico, ma venne comunque raggiunto dal fluttuante fiore, che si avvolse intorno al collo di Tereo, affondando le sue spine in esso.

 

Aaaa… Aargh!!!” –Urlò il figlio di Ares, ricadendo a terra, in preda al dolore. Contorcendosi sul terreno, cercò di togliersi la pianta dal collo, ma ogni volta che si toccava il biancospino si moltiplicava in una nuova copia, avvinghiandosi a un’altra parte del suo corpo, succhiando il suo sangue e la sua energia vitale. Dopo pochi minuti i biancospini diventarono rossi, avendo assorbito gran parte della linfa vitale del figlio di Ares, e del suo cosmo, e Tereo cadde all’indietro, esausto.

 

Grazie…” –Commentò il Luogotenente, ringraziando il ragazzo per l’aiuto.

 

“Lo avresti vinto comunque!” –Sorrise Gwynn. –“Ma non potevo più rimanere a guardare. Questi barbari assetati di sangue hanno invaso la nostra terra, la terra dei nostri Padri, che abbiamo ereditato dal Piccolo Popolo antico… ed è nostro dovere respingerli e difendere l’Isola Sacra!”

 

“L’isola sacra?!” –Mormorò Phantom, ma la loro conversazione fu interrotta dal brusco risuonare di un corno.

 

Alcuni berseker, liberatisi dai Bianchi Cavalieri, si erano lanciati in una folle corsa lungo il pendio del Tor, brandendo lame e picche acuminate, mentre il loro incendiario cosmo scivolava sul colle, scontrandosi con quello dei Cavalieri Celesti. Phantom si voltò in tempo per osservare una cinquantina di Cavalieri, ricoperti da scintillanti cotte divine, proprio come la sua, gettarsi contro i guerrieri di Ares, per fermare la loro ultima avanzata.

 

“Gorgo dell’Eridano!” –Esclamò, liberando il suo lucente vortice energetico, che scivolò sull’erboso pendio del Tor, prima di travolgere un nutrito gruppo di berseker, e scagliarli indietro.

 

Il resto dell’armata venne eliminato dai Cavalieri Celesti, che discesero lungo la collina come un fiume di stelle, sorretti dalla mistica energia che quel luogo sacro pareva emanare. Di colpo, Phantom si ricordò di Ascanio, e del suo scontro con Driante, e corse verso di lui, con l’intento di aiutarlo, ma realizzò che il Comandante dell’Ultima Legione non aveva affatto bisogno di aiuto. Serpenti di energia erano scaturiti dalle sue braccia, divorando gli oscuri fili con cui il figlio di Ares aveva tentato di imprigionarlo, e si erano abbattuti nuovamente su Driante, trapassandolo da parte a parte.

 

“Quella luce…” –Rantolò Driante, prima di spirare. –“Pen… Dragon…

 

Ascanio espanse ancora il proprio cosmo, che assunse la forma di un immenso dragone rossastro, che scivolò sul colle, travolgendo tutti i berseker di Ares e le loro orribili armi, sia i caduti che i pochi ancora in vita. Li annientò completamente, liberando il Tor dalla loro sanguinaria presenza.

 

“Incredibile!” –Rifletté Phantom, stupito dallo straordinario e lucente potere del Comandante dell’Ultima Legione.

 

Ascanio gli fece un cenno, invitandolo a ridiscendere il colle, mentre dava ordini a Gwynn di prendersi cura dei feriti, pregando i druidi di onorare i caduti. Non c’era il tempo, in quel momento, di celebrare la loro morte, come avrebbero dovuto fare, ma Ascanio ordinò che tutto fosse preparato affinché il rito si potesse compiere al loro ritorno dalla Grecia.

 

Phantom seguì Ascanio fino a Glastonbury, passando in una piccola vallata coperta di alberi, in cui sentì sgorgare dell’acqua, probabilmente proveniente da sorgenti sotto il Tor, che riscendevano a valle approfittando del digradare dolce del terreno. Entrarono in un bosco di tassi, giungendo fino ad una piccola radura di forma circolare, che Ascanio spiegò essere Chalice Well.

 

“I cristiani lo chiamano il Pozzo del Calice, con riferimento alla leggenda che sostiene che qua venne nascosto il Sacro Calice dell’Ultima cena di Gesù Cristo, il Graal, che Giuseppe d’Arimatea avrebbe condotto in Inghilterra!” –E gli mostrò un pozzo in cui zampillava dell’acqua dal colore rossastro, ferruginoso. –“L’acqua che qua sgorga proviene da un complesso sistema sotterraneo di dimensioni e profondità ignote, che percorre lo strato di arenaria del Tor! Qualunque sia la sua origine, agli abitanti del Popolo Antico risultò chiaro fin dall’inizio la sua funzione!”

 

E senz’altro aggiungere, Ascanio iniziò a togliersi l’Armatura Celeste, gettando a terra i pezzi, rimanendo infine nudo sul bordo della Blood Spring, la Sorgente di Sangue, pregando Phantom di fare altrettanto. Il Luogotenente, per quanto non comprendesse le intenzioni del Comandante, non fece opposizioni, togliendosi pezzo dopo pezzo la sua corazza, mostrando il corpo cosparso di taglie e ferite, e seguendo Ascanio all’interno del pozzo.

 

“Rilassati, Cavaliere!” –Mormorò Ascanio, immergendosi fino al collo nell’acqua rossastra. –“Rilassa il tuo corpo ferito, libera la mente dai pensieri e immergiti in questo tepore esistenziale!”

 

Phantom seguì le indicazioni del Comandante e sprofondò a sua volta nella sorgente dall’acqua ferruginosa, dovendo presto ammettere, stupito, di provare un’intrigante sensazione di pace, di ristoro, di lenimento alle proprie ferite.


”Le acque di Chalice Well cureranno le tue ferite, Luogotenente, preparando il tuo corpo per l’ultima battaglia!” –Sorrise infine Ascanio.

 

“Zeus attende la Legione Dormiente!” –Mormorò Phantom.

 

“E noi non lo faremo aspettare ulteriormente!” –Esclamò Ascanio con decisione. –“L’Ultima Legione si è svegliata, ed il drago che in essa dimora presto ruggirà sui pendii dell’Olimpo! Fuggite, bastardi figli di Ares, finché siete in tempo!”

 

Mezz’ora più tardi, Ascanio, affiancato da Phantom e da Gwynn, il suo giovane ed aitante ufficiale, radunò i Cavalieri Celesti ai piedi del Tor, spiegando loro, in breve, la missione. Tutti annuirono, ricoperti dalle scintillanti Armature Divine che Zeus aveva concesso loro secoli prima. Forse qualcuno la reputò quasi irreale, dopo aver atteso per duemila anni la chiamata del loro Signore, ma nessuno fece domande. Perché non sussistevano i motivi per porle. Quello era il loro destino, lo scopo ultimo per cui si erano preparati da tutta la vita: combattere a fianco di Zeus l’ultima guerra.

 

Un fruscio sull’erba fece voltare Ascanio e Phantom, mentre il Comandante dei Cavalieri Celesti dava loro le ultime precisazioni. Una figura ammantata da un grigio mantello comparve di fronte a loro, camminando a passo leggero sull’erba. Phantom non riuscì a vederne il volto, coperto da un cappuccio,  ma intuì che Ascanio la conoscesse, e ne avesse soggezione.

 

“È dunque giunto il momento, Ascanio?” –Esclamò una voce profonda. –“Partite infine alla volta dei cieli di Grecia?”

 

“Esattamente, mio Signore! Zeus necessita il nostro aiuto!”

 

“Fate attenzione, giovani eroi! Un’oscura tenebra si sta allungando sul mondo, così tremenda da spingere persino il Signore dell’Olimpo a richiamare la Legione dormiente!”

 

“Abbia fede in noi, mio Signore!” –Lo salutò Ascanio, inginocchiandosi.

 

“Fede?!” –Commentò l’uomo mascherato. –“Preferirei avere certezze che speranze! Esse renderebbero più tranquillo il mio animo inquieto!”

 

Non aggiunse altro e diede loro le spalle, incamminandosi sull’erba, lungo un piccolo sentiero, ai lati del Tor. Phantom lo seguì con lo sguardo per una decina di metri, prima di accorgersi di non poter andare oltre. Una fitta nebbia si estendeva dinnanzi a lui, una nebbia lontana che limitava non solo la sua vista, ma anche i suoi sensi.

 

Per un momento provò una sensazione di stordimento, e si lasciò quasi svenire. In quell’attimo gli parve di udire una campana suonare lontano, mentre fiamme luminose brillavano nel cielo fosco di fronte a lui. Una barca scivolò sull’acqua, portando seco un’ammantata figura dagli occhi neri. Una spiaggia, un canneto. Una processione di druidi incappucciati.

 

Phantom si riprese, comprendendo di aver vissuto un mistero, ma tremò un momento per l’emozione, prima che Ascanio gli afferrasse un braccio, incitandolo a incamminarsi.

 

“Sull’Olimpo la guerra è in pieno svolgimento! Creature del Mondo Antico risvegliate sul finire del nostro millennio minacciano nuovamente la residenza degli Dei! Dobbiamo affrettarci!” –Esclamò Ascanio, prima di aggiungere sottovoce. –“So cos’è che hai visto! Esso è anche nella mia mente, da sempre!”

 

Il Luogotenente mosse il capo silenziosamente, senza aggiungere altro, e si incamminò a fianco di Ascanio lungo la via. Prima di scomparire, però, Phantom si voltò un’ultima volta, per osservare l’isola di Avalon perdersi nelle nebbie.

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo ventunesimo: Ippolita, Regina delle Amazzoni ***


CAPITOLO VENTUNESIMO. LA REGINA DELLE AMAZZONI.

 

Quando Phoenix aprì di nuovo gli occhi si accorse di essere da solo, all’interno dell’Ottava Casa. Era un po’ frastornato per la botta ricevuta, ma fondamentalmente non aveva subito gravi danni, riparato dalla resistente Armatura Divina. Cercò i suoi compagni e sentì due forti cosmi scontrarsi al di fuori del tempio, riconoscendone prontamente uno: quello di Pegasus.

 

L’altro apparterrà al Toro di Creta! Realizzò, rimettendosi in piedi. Fissò per un momento l’ingresso dell’Ottava Casa, da cui una spenta luce filtrava rischiarando il grigiore del salone, e poi gli diede le spalle, iniziando a correre verso l’uscita. Una parte di sé avrebbe voluto combattere a fianco dell’amico, come contro Gemini e contro Ade, ma si rincuorò confidando che Pegasus lo avrebbe sicuramente abbattuto, e l’avrebbe raggiunto più avanti, insieme a Cristal e ad Andromeda.

 

Uscì dall’Ottava Casa e corse verso la Nona. Da solo, come in fondo non gli dispiaceva stare. Approfittò di quel momento per liberare la mente, ancora un po’ turbata dal fantasma di Esmeralda, che la Cerva di Cerinea aveva richiamato a sé, e per riflettere sulla strategia da seguire. Le case intermedie hanno duramente messo alla prova i miei compagni! Diomede ha impegnato Sirio, come Cristal e Andromeda hanno dovuto sforzarsi parecchio per superare Augia e la Palude di Stinfalo! E sento il cosmo di Pegasus espandersi ed esplodere continuamente! Sono l’unico, al momento, in ottima forma, in grado di aprire la strada ai miei amici! E subito si chiese dove fosse finito Sirio, ma intuì che, come aveva fatto lui, appena risvegliatisi si fosse lanciato avanti senza esitazione.

 

Mentre correva sulla scalinata, sentì qualche sparuto cosmo apparire e scomparire intorno a lui, e intuì chi fossero i suoi inseguitori. O forse dovrei dire inseguitrici? Sorrise, fermandosi di colpo. Mezzo secondo dopo un gruppo di figure, armate di spade affilate, si lanciò su di lui, piombando dall’alto della parete rocciosa, dalla quale avevano seguito le mosse del ragazzo. Ma Phoenix non si fece sorprendere, evitando gli affondi dei suoi avversari, che, per quanto fossero donne, sapevano giostrare di spada in maniera discretamente abile. Una guerriera si lanciò avanti, puntando con la lama al cuore della Fenice, ma Phoenix le fermò il braccio, sollevandola con forza e scagliandola contro due sue compagne, facendole cadere tutte in terra, prima di evitare l’assalto di altre guerriere. Stufo di giocare, Phoenix bruciò il proprio cosmo ardente, liberando l’uccello infuocato.

 

“Ali della Fenice!!! –Esclamò, mentre la vorticosa fiamma della fenice travolgeva le guerriere.

 

Abbattute le sue assalitrici, Phoenix ricominciò a correre, finché non giunse, con un agile balzo, nel piazzale antistante la Nona Casa dello Zodiaco: quella del Sagittario. Micene! Mormorò. Ma non ebbe il tempo di abbandonarsi ai ricordi, che dovette scattare di lato, per evitare una fitta pioggia di frecce dalle punte acuminate provenienti dal tetto del tempio.

 

Phoenix rotolò sul pavimento di marmo, schivando i dardi delle guerriere, prima di contrattaccare con le piume metalliche della sua armatura. Ne scagliò a decine, osservandole scivolare leggere nell’aria, e piantarsi nel corpo delle sue avversarie, facendole precipitare a terra. Altri dardi piombarono nel piazzale, ma Phoenix seppe scansarli tutti, rotolando sul terreno e scagliando le proprie piume fiammeggianti, che abbatterono tutte le arciere.

 

“Ce ne sono altre?” –Gridò, rialzandosi e guardandosi intorno con sospetto e sulla difensiva.

 

“Ci sono io!!!” –Gli rispose una decisa voce di donna, proveniente dall’interno del tempio.

 

Phoenix tirò uno sguardo verso l’entrata e la vide comparire in mezzo al colonnato, splendida e solenne, proprio come la immaginava: Ippolita, Regina delle Amazzoni. Ricordava abbastanza bene il mito di Eracle, da sapere quale fosse la nona fatica che l’eroe aveva dovuto affrontare, e immediatamente si chiese se non fosse uno scherzo del destino che il secondo combattimento che avrebbe dovuto affrontare quel giorno sarebbe dovuto essere nuovamente contro una donna.

 

Ippolita non era molto alta, di costituzione magra, ma con braccia e gambe energiche; indossava una cotta grigia, sotto la quale si intravedeva una tunica rosata dal colore simile a quello della pelle, che copriva poche parti del suo corpo, come la prima armatura di Pegasus, a cui molto somigliava, essenzialmente le braccia, le spalle, il cuore, il ventre e le gambe dal ginocchio al piede. Non portava elmo, ma una specie di rozza corona priva di gemme e orpelli decorativi, e reggeva nella mano destra una corta spada grigiastra. Semplice nella sua fattura, quasi primitiva, lontana dalle elaborate spade dei figli di Ares. Il viso era piccolo ma battagliero, dominato da due intensi occhi scuri, dello stesso colore dei mossi capelli che le ricadevano disordinatamente sulle spalle. Era una donna mascolina, pensò subito Phoenix, ma affascinante.

 

Artemide sarebbe onorata di averla tra i suoi Cacciatori! Rifletté, fermo, in mezzo al piazzale, di fronte allo sguardo deciso della Regina delle Amazzoni, la quale, dopo essersi mostrata, non gli aveva rivolto altra parola.

 

Ippolita… immagino!” –Esclamò infine il Cavaliere.

 

“Questo è il mio nome!” –Commentò bruscamente la donna. –“E tu devi essere il Cavaliere dell’immortale Fenice, a giudicare dalla tua corazza!”

 

Ikki di Phoenix, di Atena Cavaliere!” –Rispose il ragazzo, iniziando a bruciare il cosmo infuocato.

 

“Sei stato più in gamba del tuo compagno! Egli è caduto subito!” –Chiarì la donna, fermando lo scatto di Phoenix.

 

“Compagno?! Intendi.. Sirio?! Cosa gli hai fatto?”

 

“Io?! Niente! Non ho avuto bisogno di sporcarmi le mani con lui! È caduto subito vittima delle mie guerriere, le impavide Amazzoni, contro le quali si era inizialmente rifiutato di combattere!”

 

“Che stupido!” –Mormorò Phoenix, e la sua risposta stupì Ippolita, che si sarebbe aspettata un atteggiamento più comprensivo verso l’amico sconfitto. –“Un Cavaliere che ha timore di ferire una donna, quando la donna è il nemico, non è degno di tale nome! Credevo che i miei compagni lo avessero capito! Ma, a quanto pare, dovrò rinfrescare loro la memoria!”

 

“Dunque tu non rifiuti un combattimento con una donna?!”

 

“E perché dovrei?! Non ho forse ucciso la Cerva di Cerinea, i cui sporchi trucchi vuoti risultati hanno prodotto in me?! E, prima di lei, schiaffeggiato Pandora, sorella del Sommo Ade, durante la Guerra Sacra?! Credimi, Ippolita, che tu sia uomo o donna per me non fa differenza alcuna … perché io ti ucciderò se non mi lascerai passare!” –Detto questo, prima ancora che la Regina delle Amazzoni potesse rispondergli, Phoenix scattò avanti, concentrando il cosmo sul pugno destro e scagliando un violento attacco contro l’ingresso del tempio. –“Pugno Infuocato!” –Gridò, mentre un’ardente sfera di energia saettava contro Ippolita, la quale fu abile ad evitarla saltando in alto, con una capriola, e atterrando proprio al centro del piazzale.

 

Phoenix, superato dalla donna, si voltò di scatto, liberando le incandescenti piume della fenice, dirigendole verso le numerose parti scoperte del corpo di Ippolita, ma questa mosse la spada che impugnava con grande velocità e destrezza, parando tutti i singoli colpi del Cavaliere, per quanto minuscole fossero quelle piume.

 

“Vorresti uccidermi con queste?!”

 

“Sono le piume che hanno trucidato le tue compagne!” –La schernì Phoenix, per niente intimorito.

 

“Sono morte con onore, le mie guerriere!” –Esclamò orgogliosa Ippolita. –“Ed io le vendicherò!” –Aggiunse, scattando avanti, brandendo la sua rozza spada. Rapidi affondi diresse verso Phoenix, il quale fu costretto a spostarsi continuamente per evitarli, prima di accorgersi che con i suoi assalti Ippolita stava tentando di portarlo in un punto preciso.

 

“Uh?!” –Si chiese Phoenix, mentre un sibilo attirò la sua attenzione. Spostò il capo in tempo per evitare che un dardo lo colpisse dietro la nuca. –“Aah aah! Attaccate a tradimento, luride cagne di Ares!” –Esclamò, mentre decine di Amazzoni spuntavano dalla cima del tempio e tra le colonne, tutte brandendo un arco.

 

Ippolita non rispose, scattando avanti con la sua corta spada, mentre nugoli di frecce piovevano sui due combattenti. Alcune si infransero contro la Divina Armatura della Fenice, senza scalfirla, altre mirarono al viso del ragazzo, che fu costretto a prestarvi troppa attenzione, esponendo il fianco all’assalto di Ippolita.

 

La corta spada della Regina delle Amazzoni penetrò la corazza di Phoenix all’altezza della milza, non riuscendo comunque a scendere in profondità. Un attimo dopo, Phoenix afferrò il braccio della donna, stringendolo con forza, e la ribaltò, scaraventandola contro le sue guerriere, tra le colonne del tempio. Subito una nuova pioggia di frecce calò su di lui, mentre il ragazzo estraeva la spada di Ippolita dal suo fianco, permettendo al sangue di uscire dalla ferita e macchiare la lucente armatura.

 

“Il gioco è finito, mie belle signore!” –Ironizzò Phoenix, voltandosi di scatto. Lanciò la spada verso il tempio, facendola roteare su se stessa, finché non si conficcò nel collo di un’Amazzone, proprio alla destra di Ippolita, che intanto si era rialzata. Quindi balzò in aria, liberando le infuocate piume della fenice, che travolsero tutte le frecce che le donne gli avevano diretto contro. –“Guarda, Ippolita, la fine delle tue guerriere!” –Esclamò, rabbioso, mentre il fuoco della fenice lo circondava.

 

Vampate di pura energia sfrecciarono nel piazzale, raggiungendo le donne appoggiate alle colonne di marmo e sollevandole da terra, risucchiate da un vortice arroventato. Stessa sorte toccò alle ultime nascoste sul tetto del Tempio, scaraventate via dal battito di ali della fenice.

 

“E stessa sorte subirai tu, donna!” –Esclamò Phoenix, atterrando sul pavimento, mentre i corpi esanimi delle Amazzoni si schiantavano intorno a lui, di fronte agli occhi, apparentemente imperturbabili, della loro Regina.

 

“Provaci!” –Lo sfidò Ippolita, con aria temeraria. E Phoenix non se lo fece ripetere due volte, scattando avanti, con il pugno carico di energia infuocata.

 

“Non sfuggirai, stavolta al pugno infuocato di Phoenix!” –Tuonò, mentre una gigantesca sfera rovente sfrecciava verso Ippolita. Senza raggiungerla.

 

Con un sorriso di vittoria, la Regina sfiorò la cinta che portava seco, la quale si illuminò all’istante, emanando un violentissimo ventaglio di luce, quasi uno scudo, sottile ed etereo, sul quale si schiantò il potente assalto infuocato di Phoenix.

                                                        

“Che... cosa?! Cos’è quello?!” –Esclamò Phoenix, osservando il suo pugno venire respinto da una barriera invisibile. Senza rispondergli, Ippolita rimandò indietro il colpo di Phoenix, che fu travolto e spinto lontano, avvolto dalle sue stesse fiamme. Quando si rialzò, vide la Regina chinarsi sulla guerriera caduta vicino a lei, estrarre la spada dalla sua gola e scuoterla per pulirla dal sangue, senza fermarsi neppure un momento a commemorare la defunta.

 

“La mia spada…” –Disse, mentre Phoenix, ansimando, si rimetteva in posizione.

 

“Te la pianterò nel cuore!” –Urlò il ragazzo, scattando nuovamente avanti.

 

Una nuova raffica di piume infuocate volò verso Ippolita, che ancora una volta seppe pararle tutte con la sua spada; ma Phoenix si avvicinava sempre di più, portandosi più vicino possibile alla donna, in modo da concentrare il cosmo sul pugno destro e portarlo avanti, in un incandescente turbinio infuocato. Ma anche quell’attacco, da distanza ravvicinata, fu parato da Ippolita e da lei respinto, travolgendo Phoenix, che fu scaraventato indietro, perdendo l’elmo della sua corazza.

 

Come… puoi?!” –Mormorò Phoenix, rialzandosi, sputando sangue. Tirò un’occhiata al ventre della Regina e vide chiaramente la cinta dorata risplendere sulla spenta cotta grigia, la cinta che permetteva ad Ippolita di creare uno scudo, un ventaglio difensivo, simile al Muro di Cristallo di Mur, ma con un campo di azione molto più limitato. –“Il Cinto di Ippolita…

 

“Esattamente! Mi fu donato dal Sommo Ares millenni or sono, per esercitare il potere sulla mia gente, sulle fiere Amazzoni, orgoglio e vanto del fiume Termodonte, nel Mar Nero! Eracle me ne privò durante la sua Nona Fatica, ma Ares, magnanimo, me ne ha fatto nuovo dono, pochi giorni fa, dopo aver risvegliato me e il mio popolo!”

 

“Bel dono che ti ha fatto!” –Ironizzò Phoenix, con disprezzo. –“Carne da macello ecco cosa siete diventate! Portatrici di morte e distruzione!”

 

“Taci, maschio arrogante!” –Lo zittì Ippolita, il cui tono di voce si fece più ostile. –“Ares ci ha fatto un grande dono, riportandoci in vita! E questa occasione che ha offerto, a me e al mio popolo di donne guerriere, non la sprecheremo!”

 

“Occasione per cosa?! Per dimostrare la vostra mascolinità?!”

 

“No! Per avere nuovamente una terra in cui vivere, da sole! Senza uomini che si intromettano nelle nostre vite e che vogliano sottometterci e comandarci!”

 

“Un’intera vita senza amore?!” –Mormorò Phoenix. –“Ho pietà di te, Regina delle Amazzoni! Credevo fossi una barbara guerriera, una cacciatrice di teste al servizio di Ares, ma mi sbagliavo! Sei anche arida e vuota di sentimenti, interessata soltanto al proprio esclusivo tornaconto!”

 

“Cosa vuoi saperne tu? Cosa può saperne un uomo delle sofferenze di una donna, dei tormenti e delle offese di cui i maschi ci hanno sempre fatto oggetto?!” –Gridò Ippolita, puntando la spada contro Phoenix, furiosa per le parole ostili che gli aveva rivolto. –“Cosa puoi saperne tu?”

 

Un raggio energetico si sprigionò dalla lama, diretto verso il Cavaliere della Fenice, che invece di evitarlo aprì il palmo della mano, caricandolo del suo cosmo, e con esso lo fermò, gettandolo via.

 

“Forse non conosco il disprezzo di cui ti hanno fatto oggetto, né la derisione che ha provato il tuo popolo, ma so cosa significa vivere nell’ombra, Ippolita! Conosco il significato del vivere in solitudine, con noi stessi, disinteressandosi agli altri, verso cui esiste solo reciproco disprezzo! Ho vissuto in questo modo per troppo tempo, mentre gli intossicanti insegnamenti del mio maestro inquinavano la mia mente, per volontà di un Dio bastardo e guerrafondaio, mentre l’unica forma di consolazione, nella mia misera e infernale vita, scompariva, come un fiore reciso dal vento, e più vivevo più disprezzavo gli altri, più avrei voluto ucciderli, farli soffrire, almeno quanto avevo sofferto io!” –Phoenix continuò a parlare, mentre Ippolita ascoltava interessata il racconto del Cavaliere.  –“Perciò non ti biasimo se provi odio e rabbia verso qualcuno, perché anch’io, prima di te, ho disprezzato il mondo e chi ne faceva parte! Ma, proprio per esperienza personale, posso metterti in guardia dall’esasperato desiderio di solitudine, perché esso non porta mai a niente, se non alla morte dei sensi, delle emozioni!”

 

“Bel discorso, Cavaliere di Phoenix! Se il tuo sermone è giunto al termine possiamo riprendere il nostro combattimento! Ho una spada da piantare nel tuo cuore!”

 

Phoenix non rispose, sbuffando scocciato, mentre le vampe incandescenti dell’uccello infuocato circondavano il suo corpo. Pensò di aver sprecato del fiato, parlando con quella donna, la cui mente e il cui animo erano probabilmente asserviti al demoniaco Signore della Guerra; eppure, qualcosa in fondo al cuore gli faceva pensare, e forse sperare, che Ippolita non fosse così fiera di servire Ares, che forse tutta quella riconoscenza che provava per lui era dovuta, che effettivamente sentita.

 

“Difenditi, Cavaliere!” –Urlò la Regina delle Amazzoni, scattando avanti, mentre la punta della sua lama si caricava di energia luminosa. Ma Phoenix, che non aveva intenzione di rimanere ad attendere il suo assalto, espanse al massimo il suo cosmo, travolgendo la donna e scaraventandola in alto, sulle Ali della Fenice. Un turbinio di vampe di fuoco avvolse Ippolita, che non riuscì a proteggersi con il suo cinto, lanciandola in aria, mentre Phoenix balzava in alto con il pugno teso.

 

“Pugno Infuocato!” –Gridò, colpendo la donna in pieno petto e scaraventandola a terra, sprofondandola nel pavimento di marmo, mentre parte della sua cotta andò in frantumi.

 

Come… hai potuto… superare il Cinto di Ippolita?!” –Rantolò la Regina.

 

“È illusoria difesa la tua cintura, valida solo per chi attacca di fronte! Il suo potere è più persuasorio che effettivo! Grazie ad essa puoi parare le frecce e gli assalti che provengono dagli avversari che hai davanti a te e rimandarli indietro, impressionando gli spettatori, e le tue guerriere, e spingendole ad esserti sempre fedeli! Per questo motivo durante tutto il nostro incontro, hai fatto di tutto per tenerti di fronte a me! Ma essa diventa inutile contro la devastante potenza delle Ali della Fenice, il cui battito travolge ogni cosa, da ogni direzione, come una tempesta di fiamme incandescenti!”

 

“Ottima strategia, Cavaliere di Atena!” –Esclamò Ippolita, barcollando, rialzandosi. –“Ma hai tralasciato un piccolo particolare…

 

“Uh?” –Domandò Phoenix, che pensava già di avere la vittoria in tasca.

 

“La potenza del Cinto di Ippolita!” –Urlò la Regina, sfiorando il gioiello che ornava la sua cinta.

 

Immediatamente una violenta esplosione di luce si sprigionò dalla cintura, travolgendo Phoenix e scagliandolo indietro, fino a farlo schiantare contro la parete rocciosa retrostante, affondando in essa e ricadendo a terra, mentre cumuli di pietre crollavano su di lui.

 

“Stolto! Il potere del Cinto di Ippolita non è solo difensivo, ma offensivo! Esso è capace di assorbire l’energia cosmica sprigionata nei combattimenti, e rispedirla indietro, travolgendo il nemico, come una bomba che esplode repentina e non lascia possibilità di fuga!”

 

Senza dire altro, Ippolita diede le spalle al piazzale e si incamminò verso la Nona Casa, pronta per rientrare al suo interno, quando un boato dietro di lei la riscosse, obbligandola a voltarsi nuovamente. Phoenix era in piedi, ansimante, avvolto nelle vampe incandescenti del suo cosmo.

 

“Sei dunque immortale, Cavaliere della Fenice?!” –Esclamò l’Amazzone, per la prima volta sorpresa.

 

“Per uno come me, che ha attraversato cento volte le fiamme dell’inferno, il tuo assalto è stato come una folata d’aria fresca!” –Le rispose Phoenix, cercando di mantenere il suo solito tono deridente, sebbene avesse dolori vari al corpo.

 

“Bene, questa volta ti…” –Esclamò Ippolita, ma non riuscì a terminare la frase che Phoenix era già di fronte a lui, scattato avanti più veloce di un lampo.

 

Il pugno destro del ragazzo piombò sul suo cranio, e istintivamente la Regina chiuse gli occhi, immaginando che glielo avrebbe sfondato. Invece non sentì niente, soltanto un brusio nel suo cervello, nient’altro.

 

“Uh?!” –Mormorò Ippolita, trovandosi Phoenix proprio di fronte. –“Hai finito le energie, Cavaliere?” –Lo derise, puntando la spada contro di lui. Ma Phoenix balzò indietro, evitando l’affondo della donna, e ricadendo compostamente al suolo, con un sorriso beffardo sul volto che innervosì Ippolita.

 

“Cos’hai da ridere?! Dovresti piangere invece, maschio inconcludente!” –Esclamò la Regina delle Amazzoni, prima di fare un passo avanti. Improvvisamente una tremenda fitta al cervello la aggredì, obbligandola a portarsi entrambe le mani alla testa, crollando al suolo, urlando come una disperata per il dolore interno che sentiva.

 

“Fantasma Diabolico!” –Mormorò Phoenix, avvicinandosi alla donna. –“La tecnica che tanto hai disprezzato! Adesso prenderò la tua anima, Ippolita!”

 

Ma… maledetto…” –Tentò di mormorare la guerriera, ancora a terra, prostrata dal dolore cerebrale che la stava dilaniando.

 

Phoenix rimase in piedi, torreggiante sopra di lei, trattenendo la voglia istintiva di sferrarle un calcio in pieno viso e spaccarle la mascella, come sicuramente lei avrebbe fatto al posto suo. Pur tuttavia non lo fece, e rimase ad aspettare, ad indagare nell’animo tormentato della Regina delle Amazzoni, per la quale iniziò a provare una morbosa attrazione, vedendola quasi come un’altra metà di sé.

 

Parlami… Che cosa ti spinge a servire Ares? Tu che ti definisci donna indipendente, superiore alle schiave femmine del mondo contemporaneo, che ti glori della tua libertà, della tua natura che ti permette di sopravvivere, mentre il resto del mondo va giù, sopraffatto dal virilismo guerriero della maggioranza, come hai potuto mettere la tua forza, il tuo sapere, al servizio di un Dio barbaro, il cui unico scopo è soltanto quello di schiavizzare le libere genti, senza rispetto per niente e per nessuno, donne soprattutto! Come può una donna come te, accesa sostenitrice dello strapotere femminile, piegare il capo al maschilismo comando di Ares?!”

 

Io…–Ippolita tentò di resistere, di non parlare, di rialzarsi e combattere con Phoenix, con l’uomo che la stava facendo soffrire, con l’uomo che aveva osato atterrarla e porle domande simili, troppo intime per permettergli di sopravvivere ad una risposta.

 

Ma falliva, continuamente falliva, vittima del Fantasma Diabolico, che la obbligava ad aprirsi, mostrando un altro lato di sé. Meno guerriero e più umano. Un lato che la stessa Ippolita disprezzava.

 

“Devo farlo per il mio popolo, Cavaliere di Phoenix! Per le donne che a me sono grate e che in me hanno riposto fiducia e speranza! Ares ci ha promesso la nostra antica terra, sulle sponde meridionali del Mar Nero, da cui gli uomini ci cacciarono secoli fa!”

 

“E credi davvero che Ares manterrà la promessa?! Non pensi che ti stia usando, come sta usando il tuo popolo, le fiere Amazzoni, per uccidere noi, suoi nemici?!”

 

“Ci ho pensato, certo! E l’ho temuto!” –Rispose Ippolita, riuscendo finalmente a rimettersi in piedi. –“Ma questo non cambia la realtà dei fatti, non mi lascia altra via che lottare comunque e mantenere la promessa fatta al Dio della Guerra! Essa è l’unica speranza che ho, per me e per il mio popolo; un filo sottile appeso alla benevolenza di Ares!”

 

“Un filo che la sua spada infuocata reciderà quanto prima, non appena gli avrai consegnato le teste di noi cinque Cavalieri di Atena!”

 

“Non è mai stata mia intenzione, Ikki di Phoenix!” –Precisò Ippolita. –“Il tuo compagno è ancora vivo, imprigionato dal maglio delle Amazzoni, ma vivo! Avrei voluto condurvi da Ares prigionieri, sconfitti, umiliati, come è nel desiderio delle Amazzoni vedere gli uomini loro avversari prostrarsi a terra vinti, ma non morti! Noi non siamo assassine e questa guerra non ci riguarda! Manterrò fede al mio giuramento e vi sconfiggerò, ma sarà Ares a decidere se uccidervi o servirsi di voi!”

 

“Nessuno di noi mai lo seguirà! E non dovresti farlo neppure tu, se non condividi i suoi folli piani di conquista!” 

 

“Non ho altre scelte!” –Chiarì l’Amazzone, stanca ormai di quella conversazione.

 

“C’è sempre una seconda scelta, Ippolita!” –Precisò Phoenix, ricordando la propria esperienza personale. –“Puoi continuare a vivere nella tua solitudine, nella rabbia e nel rimpianto che ti porti dietro, come feci io per molti mesi, o puoi scegliere di credere in qualcosa! Magari in un amico, o in un Dio, che sia giusto e voglia la pace, come Atena, la nostra Dea!”

 

“Io non credo in niente, Ikki...” –Commentò lei, spostando lo sguardo.

 

Phoenix comprese che l’effetto del Fantasma Diabolico era terminato e dall’espressione decisa sul volto di Ippolita intuì che il combattimento sarebbe ripreso.

 

“Anche se Ares è un Dio ingiusto e maschilista, continuerò sulla mia strada, Cavaliere di Phoenix!” –Esclamò la guerriera, espandendo il suo cosmo. –“Devo farlo per il mio popolo, che crede in me, e che ha diritto ad una terra!”

 

“C’è un intero pianeta pronto per accogliervi, Ippolita! Perché vuoi tornare là, a Themiskyra?”

 

“Perché è la mia casa!” –Rispose la Regina delle Amazzoni, mentre il suo cosmo si palesava sotto forma di guizzante energia dal colore verdastro. –“Difenditi adesso, perché questo sarà l’ultimo scontro!”

 

Saette incandescenti circondarono Ippolita, roteando circolarmente intorno a lei, finché la donna non modellò l’energia stessa, quasi fosse materia plasmabile, creando un arco con una freccia incoccata, composti da puro cosmo.

 

“Dardo delle Amazzoni! Trafiggi Phoenix!” –Esclamò, scagliando la freccia energetica contro Phoenix, che cercò di difendersi colpendo il dardo con il pugno carico di infuocata energia, riuscendovi soltanto in parte, venendo trapassato dalla sfolgorante freccia di Ippolita. E in quel momento, mentre si accasciava a terra, toccandosi il petto dilaniato, in preda a indicibili tormenti che la saetta stava provocando in lui, Ippolita ebbe per la prima volta una remora.

 

Perché deve andare così? Si domandò, osservando il giovane di fronte a lei contorcersi dal dolore. Abbassò per un momento gli occhi, quasi rattristata da tale triste visione, stupendosi di lei stessa, quando la voce maschile, ma ansimante, di Phoenix non la richiamò.

 

Non… fermarti!” –Mormorò il Cavaliere rimettendosi in piedi.

 

Stupefatta, Ippolita lo vide rialzarsi, sudando e ansando nervosamente, circondato dallo splendente bagliore del suo cosmo infuocato. Bagliore che mai aveva percepito prima in un avversario. Che mai aveva percepito in un uomo.

 

“Ancora ti rialzi, Phoenix?!” –Balbettò incredula.

 

“Devo superare la Nona Fatica, Regina delle Amazzoni! E devo farlo adesso! Per salvare Atena e le genti della Terra! Vorrei il tuo aiuto, perché sento che il tuo cuore è onesto e so che se tu avessi la tua terra, il rispetto che cerchi per la tua gente, non combatteresti per un sanguinario Dio come Ares!”

 

Ikki…” –Mormorò Ippolita, con un groppo al cuore.

 

“Ed è proprio per onorare te, e il sogno del tuo popolo, che ti affronterò fino alla fine! Senza tirarmi indietro, senza remore alcuna! Soltanto un sorriso, che possa risvegliare in te l’orgoglio di essere donna, e non schiava degli Dei!” –Esclamò Phoenix, facendo esplodere impetuosamente il suo cosmo infuocato. –“Che le Ali della Fenice ti travolgano, Regina delle Amazzoni! E che il loro impetuoso battito possa riportati là, sulle rive del Termodonte, facendoti assaporare un ricordo che hai perduto, vendendolo al Dio della Guerra, che ha solamente abusato di te!”

 

La tempesta infuocata travolse in pieno Ippolita, incapace di difendersi con il suo cinto, sollevandola da terra, mentre vampe di rovente energia stritolarono il suo corpo, distruggendo la sua corazza, fino a farla schiantare contro le colonne del Nono Tempio, abbattendone parecchie con violenza.

 

Il boato attirò alcune Amazzoni, nascoste all’interno della Casa di Sagitter, le quali accorsero in aiuto della loro Regina. In quel momento Pegasus, Cristal e Andromeda balzarono nel piazzale, dopo essersi liberati di alcune impavide guerriere che avevano tentato di sbarrare loro il cammino.

 

“Phoenix!” –Gridò Pegasus, correndo verso l’amico accasciato a terra.

 

“Fratello!” –Gli andò dietro Andromeda, seguito da Cristal, il quale, prudentemente, tirò un occhio verso le colonne del tempio, dove le Amazzoni stavano aiutando Ippolita, ancora viva ma piena di sanguinanti ferite, a rimettersi in piedi.

 

“Vi uccideremo, uomini!” –Urlò una voce di donna, impugnando un arco.

 

“Sì!” –Le andò dietro un’altra, sfoderando una spada. E si gettarono nel piazzale, per vendicare la sconfitta della loro Regina. A tal vista, Andromeda srotolò immediatamente la catena, pronto a difendere gli amici, ma una voce imperiosa fermò l’assalto delle Amazzoni.

 

“Fermatevi!” –Gridò Ippolita, rialzandosi a fatica. –“Non attaccate i Cavalieri di Atena!”

 

“Che?! Cosa?! Ma mia Regina…” –Brontolarono le Amazzoni, non capendo.

 

“Il Cavaliere di Phoenix mi ha vinto onestamente, conquistando il diritto di superare questo Tempio!” –Chiarì Ippolita, mentre altre guerriere la aiutavano a stare in piedi. –“Liberate il prigioniero e conduceteli fuori!”

 

“Sì... sì… ma…” –Mormorarono le Amazzoni, quasi sconcertate.

 

“Non discutete i miei ordini!” –Esclamò Ippolita, che, per quanto dolorante, sapeva sempre mettere in soggezione le sue donne, grazie al cinto che portava.

 

Pochi minuti dopo Sirio comparve sulla porta del Nono Tempio, scortato da alcune guerriere. Era stato imprigionato nella Maglia delle Amazzoni, una fitta rete di energia, creata da Ippolita stessa, capace di bloccare i movimenti del prigioniero. Phoenix e gli altri, finalmente riuniti, infilarono il corridoio centrale della Nona Casa, passando in mezzo al possente esercito di Donne guerriero, senza che nessuna di loro tentasse ulteriormente di fermarli. Prima di uscire, Phoenix si voltò un’ultima volta indietro, incrociando lo sguardo di Ippolita, deciso ma in parte malinconico.

 

“Vieni con me!” –Le propose il Cavaliere di Phoenix, ma la sua voce fu udita soltanto dalla Regina delle Amazzoni, un sussulto nel cosmo. –“A lottare per la tua libertà e per quella delle tue genti! Ares vi ha reso schiave, ma voi potete riprendervi la vostra indipendenza e la vostra gloria!”

 

“Non posso…” –Commentò Ippolita, abbassando lo sguardo. –“Ho fatto una promessa ad Ares, ed è nel mio onore mantenerla!”

 

“Sei già venuta meno al giuramento permettendoci di superare la Nona Fatica! Adesso devi solo prestarne uno nuovo con te stessa!” –Ironizzò Phoenix, volgendole infine le spalle. E in quel momento si ricordò dell’ultimo consiglio che Morfeo gli aveva dato. –“Forse.. un giorno… ci sarà una nuova Esmeralda!”

 

Mai come in quel momento quelle parole gli sembrarono vere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo ventiduesimo: Il terribile Gerione ***


CAPITOLO VENTIDUESIMO. IL TERRIBILE GERIONE.

 

Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix correvano lungo la scalinata di marmo, diretti verso le ultime tre fatiche che Ares aveva riservato loro, finalmente riuniti. Era la prima volta che i cinque compagni si ritrovavano a correre insieme. Alle Dodici Case Phoenix era infatti arrivato dopo, per aiutare gli amici in difficoltà, mentre ad Asgard, nel Regno Sottomarino e in Ade avevano tutti corso separatamente. La battaglia sull’Olimpo aveva infine visto i cinque amici ritrovarsi alla Torre Bianca, dopo mesi in cui erano stati separati, per volontà di Isabel di toglierli dalla guerra.

 

Tre fatiche dovevano ancora affrontare, tre fatiche prima di giungere alla Tredicesima Casa, dove Ares si era sistemato, infangando con il suo sporco e sanguinario cosmo il Grande Tempio di Atena. Le battaglie intermedie avevano stancato tutti e cinque i Cavalieri, danneggiando in parte le loro Armature Divine; quella di Cristal inoltre era l’unica a non essere stata riparata da Efesto, l’unica che non aveva goduto del mithril, elemento che si era rivelato utilissimo per proteggere i ragazzi.

 

Un latrato improvviso rallentò la corsa dei cinque compagni, anticipando l’arrivo di un grosso animale che torreggiò sopra di loro, occupando l’intera larghezza della scalinata.

 

“Attenti!” –Urlò Pegasus, osservando la grossa bestia.

 

L’animale, simile ad un immenso cane, si avventò sui Cavalieri, cercando di schiacciarli con le sue grosse zampe e di affondare i suoi velenosi artigli nei loro corpi, mentre litri di torrida bava calavano dalla sua bocca mostruosa.

 

Ma…” –Mormorò Cristal, osservandolo. –“È un cane bifronte! Ed è immenso!”

 

Il cane era alto quasi tre metri, formato da un corpo robusto, con folto pelo scuro, da cui partivano due grandi musi ornati da putridi denti affilati. Pegasus e Andromeda notarono immediatamente una somiglianza con una bestia che avevano incontrato l’anno precedente, Cerbero, guardiano della Seconda Prigione dell’Inferno, anche se questo era di dimensioni ridotte.

 

Phoenix evitò l’affondo dell’immenso cane, prima di lanciargli contro centinaia di piume infuocate che si piantarono nel suo collo, esplodendo poco dopo e facendolo sbraitare dal dolore. Andromeda liberò la catena, creando una gigantesca tagliola con la quale imprigionò le zampe anteriori dell’animale, prima di lanciare la catena di offesa sotto forma di spirale per unire insieme le due teste del cane, facendole sbattere tra loro. Ma la bestia oppose forte resistenza, dimenandosi e sollevando Andromeda con una brusca spinta, fino a farlo sbattere contro la parete laterale.

 

“Lo fermerò io!” –Gridò Cristal, espandendo il proprio freddo cosmo che congelò l’intera scalinata, prima di lanciarsi avanti, scivolando sul ghiaccio da lui creato e portandosi proprio in mezzo alle gambe del bestione.

 

“Stai attento, Cristal!” –Urlò Pegasus preoccupato, mentre l’amico sfiorava con la mano le gigantesche zampe del cane, sprigionando il suo potere gelante.

 

La bestia guaì selvaggiamente, mentre il gelo della Siberia paralizzava i suoi arti anteriori, impedendogli provvisoriamente di muoversi. Prima che Pegasus riuscisse a muoversi, per scagliare il suo lucente fulmine contro di essa, un fischio risuonò nell’aria, quasi un richiamo, attirando l’attenzione della creatura, che parve momentaneamente rilassarsi.

 

“Uh?!” –Mormorò Phoenix, osservando una figura, di stracci vestita, discendere la scalinata e raggiungere il grosso animale.

 

Era un vecchio zoppo e rachitico, con lunghi capelli grigi e sporchi, faccia scavata e piccoli occhi grigi. Indossava cenci stracciati in più punti e camminava tenendosi ad un bastone. Al di là dell’apparenza, che poteva spingere alla commiserazione, tutti i Cavalieri percepirono l’ostentazione del suo piccolo cosmo ostile.

 

“Chi sei tu?!” –Incalzò Pegasus.

 

Euritione è il mio nome, pastore di Gerione!” –Rispose il vecchio, carezzando le gambe del cane. –“E voi non siete i benvenuti, Cavalieri di Atena!”

 

“Strano che un invasore si permetta di rivolgersi in tal modo al proprietario di casa!” –Ironizzò Phoenix.

 

“Questa non è casa vostra, ma del mio signore, il Gigante Gerione! A lui appartiene questa parte dei Templi dell’Ira, e io sono il suo pastore!” –Affermò il vecchio.

 

I Cavalieri lo osservarono con aria torva, temendo un trucco, come alla Terza Casa con la Cerva di Cerinea, ma il vecchio continuò a carezzare il cane, prima di sfiorare il ghiaccio della Siberia.

 

“Ti fa male, non è vero Ortro?!” –Esclamò Euritione, rivolgendosi al cane. –“Ma questi bastardi la pagheranno! Sì... la pagheranno!” –E nel dir questo la sua mano sprigionò una calda energia che liquefece il gelo di Cristal, permettendo all’immenso cane di liberarsi.

 

“Cosa?! Il ghiaccio della Siberia che evapora nel breve spazio di un istante?!” –Mormorò Cristal, sconcertato come sempre quando qualcuno superava le sue tecniche.

 

“Sono un pastore di Ares, e come tale dispongo dell’infuocato potere del suo cosmo! Cosmo con il quale vi fermerò!” –Sentenziò il vecchio. –“Uccidili, Ortro!!!” –E il cane, obbedendo, si lanciò avanti, sollevando le artigliate zanne e obbligando i Cavalieri a separarsi. –“Sbranali, mio fido, e divora le loro giovani carni!” –Lo incitò, mentre Ortro digrignava i denti, ringhiando affamato.

 

Ortro?!” –Mormorò Pegasus, evitando una zampata

 

“Era il cane guardiano della mandria di Gerione!” –Spiegò Sirio, sferrando un calcio in pieno muso all’animale. –“Figlio di Tifone ed Echidna, e fratello di Cerbero!”

 

“Ecco spiegata la somiglianza!” –Concluse Pegasus, stufo di giocare con la bestia. Concentrò il cosmo sul pugno destro e scattò avanti, presto seguito da Phoenix. –“Fulmine di Pegasus!” –Urlò, mentre anche il cosmo dell’amico si univa al suo.

 

Il violento assalto colpì Ortro in pieno ventre, squarciandolo, e permise ai due Cavalieri di portarsi al di là del mostro, mentre Andromeda liberava la catena, fermando tutte le sue zampe in un’immensa tagliola, dominata da scariche elettriche. Sirio terminò l’impresa, saltando in aria, con il braccio destro carico di energia, e abbassandolo di colpo, trinciando a metà l’orrida bestia.

 

“Excalibur!” –Mormorò, atterrando a fianco di Cristal e Andromeda.

 

L’immonda carcassa ricadde sulla scalinata, grondando fetido sangue nero, mentre Euritione, irato e disperato, caricava il palmo destro di rovente energia.

 

Nooo! Maledetti! La mia creatura!” –Urlò, liberando vampe infuocate. Ma esse non raggiunsero i Cavalieri, protetti da un resistente muro di ghiaccio creato da Cristal. La fredda energia del Cigno congelò l’intero pavimento, murando le gambe di Euritione al suolo, per quanto il pastore usasse il proprio rovente cosmo per liberarsi.

 

“Non affannarti troppo, servitore di Ares! Adesso lo raggiungerai!” –Esclamò Cristal, sollevando le braccia giunte sopra di sé. –“Aurora del Nord, colpisci!” –Urlò, sbattendole di colpo avanti a sé.

 

La violenta tempesta di ghiaccio travolse il pastore, che venne scaraventato in aria per un po’, prima di schiantarsi contro la parete rocciosa, completamente congelato, ed esplodere poco dopo. Le fiamme della Fenice finirono il lavoro, bruciando quel che restava dell’immonda carcassa di Ortro. Ma i cinque amici non ebbero neppure il tempo di congratularsi tra loro per l’ottima azione congiunta che un immenso grido echeggiò sull’intera Collina della Divinità, incutendo loro paura e soggezione. Mai avevano udito un simile mortale suono.

 

“Che sia dunque già giunto?!” –Si chiese Cristal, tirando uno sguardo avanti a sé.

 

La scalinata continuava per altri trenta metri, prima di giungere ove un tempo sorgeva la Decima Casa, crollata l’anno precedente durante lo scontro tra Sirio e Capricorn, e mai più ricostruita.

 

“Lo affronteremo insieme, amici!” –Esclamò Pegasus, cercando di infondere nel loro cuore speranza e determinazione. –“E insieme lo vinceremo!”

 

“Sì!” –Risposero gli altri quattro, prima di scattare avanti.

 

Giunti dove sorgeva un tempo la Decima Casa trovarono soltanto macerie, cumuli di rocce franate, colonne mozzate, e niente di più. Sirio si guardò per un momento intorno, sconsolato, cercando di trovare la statua che raffigurava Atena consegnare Excalibur al Cavaliere d’Oro del Capricorno. Ma non la trovò, e di questo si rattristò.

 

Un nuovo urlo ghiacciò loro le vene, mentre i loro sensi si fecero sempre più acuti. La Catena di Andromeda vibrava pazzamente, indicando l’aria attorno, tesa come mai era stata prima.

 

“Il nemico è vicino! La catena lo sente!” –Gridò Andromeda, facendo fatica a trattenere l’arma.


”Dove sei?!” –Mormorò tra sé Pegasus. –“Mostrati!!!”

 

Per qualche secondo i Cavalieri rimasero in cerchio, uno al fianco dell’altro, controllando tutto lo spazio circostante, mentre la Catena di Andromeda, disposta ad anelli concentrici attorno a loro, strisciava sul terreno come un serpente. Ma a niente servirono le sue fitte scariche energetiche.

 

Contro di lui persino quell’arma si rivelò inutile.

 

Apparve improvvisamente, dalle nebbie circostanti, posando il suo grande piede sulla catena roteante e schiacciandola sotto il suo immenso peso. Era altissimo, più di quanto Pegasus e gli altri avevano immaginato, ed emanava un’aria truce e malvagia.

 

Il Gigante Gerione era determinato a fermare la loro avanzata.

 

“Figlio di Crisaore e Calliroe, era uno dei Giganti più grandi dell’intero Occidente e l’uomo più forte del mondo!” –Raccontò Sirio, osservando l’immensa creatura. –“Viveva nell’isola di Eritea, ai confini del mondo conosciuto, dove possedeva un’immensa mandria di buoi dal colore scarlatto, custoditi dal pastore Euritione e dal cane Ortro! Euristeo, geloso, domandò a Eracle, come Decima Fatica, di portargli tale mandria, e per farlo l’eroe fu costretto a uccidere Gerione e i suoi servitori!”

 

“E adesso Ares lo ha riportato in vita!” –Mormorò Cristal. –“Per uccidere noi!!!”

 

Gerione era altissimo, superava sicuramente i dieci metri, ed era costituito da tre corpi che si univano all’altezza dell’inguine, tre robusti tronchi sostenuti da due possenti gambe. Ogni corpo aveva due grosse e nodose braccia, e una testa che emanava ira e ferocia solamente osservandola. Era rivestito da una scarlatta cotta protettiva, e il braccio destro di ogni corpo reggeva una massiccia clava scura, sbattendola sul palmo dell’altra mano, pronto ad iniziare il combattimento.

 

“Immagino che parlare con lui sia inutile!” –Ironizzò Pegasus, bruciando il cosmo.

 

“Lo credo anch’io!” –Commentò Sirio, imitando l’amico.

 

“Dei dell’Olimpo... è immenso! Mai visto un essere simile!” –Commentò Andromeda, spaventato, ma non demoralizzato.

 

“Grande o grosso che sia, non potrà resistere ai Cavalieri della Speranza!” –Esclamò Pegasus, allungando una mano verso gli altri quattro.

 

“No!” –Gli andò dietro Sirio, ponendo la propria mano su quella dell’amico. –“Non potrà resistere!”

 

Andromeda e Cristal sorrisero, appoggiando le loro mani su quelle dei compagni, speranzosi anche loro che insieme sarebbero riusciti a vincere. Per ultimo, Phoenix appoggiò la propria mano destra, e quel momento strappò un sorriso persino a lui.

 

Il ruggito di Gerione riportò gli amici in battaglia, mentre il gigante si avventava su di loro, sbattendo le grosse clave. Subito i Cavalieri si divisero, scattando in direzioni diverse, tentando di evitare le massicce mazze che crollavano su di loro e di contrattaccare. Sirio tentò un Drago Nascente, ma il suo assalto, di media potenza, si infranse sulla corazza di Gerione, resistente e dura a cadere, proprio come il colosso. Phoenix evitò un pugno del corpo centrale, grosso come una casa, rotolando sul terreno e scagliando decine di piume infuocate nella mano del gigante, senza sortire effetto alcuno.

 

“Sono per lui come punture di zanzara!” –Commentò, rialzandosi e cercando il fratello, al momento in una brutta posizione.

 

Andromeda aveva infatti cercato di ripetere l’esperimento che aveva avuto successo con Cerbero e Ortro, utilizzando la catena nella forma a spirale per imprigionare i tre corpi e farli sbattere tra loro. Ma a quei colossi, la Catena di Andromeda parve un braccialetto, al punto che uno di loro, il corpo di sinistra, la afferrò con un braccio, incurante delle scariche elettriche, da lui neanche avvertite, e sollevò bruscamente il ragazzo, tirandolo in alto ed esponendolo al violento assalto della clava.

 

La massiccia arma colpì Andromeda sulla schiena, facendolo schiantare malamente a terra, distruggendo le ali posteriori dell’Armatura Divina e ferendolo gravemente.

 

“Andromeda!!!” –Urlò Phoenix, vedendo il fratello in difficoltà.

 

Il terzo corpo sollevò la clava, pronto per colpire nuovamente Andromeda, ma Cristal tentò di aiutare l’amico, concentrando il suo attacco glaciante sull’arma stessa. Senza riuscirvi.

 

“Incredibile!” –Mormorò, osservando un’immensa vampata di fuoco proveniente dalla stessa clava liquefare i suoi ghiacci. –“Le Clave di Gerione sono come la Spada Infuocata di Flegias!”

 

In quella il terzo corpo del Gigante abbatté la clava, per colpire Andromeda ancora a terra sanguinante, ma Phoenix intervenne prontamente, fermando l’arma con le proprie braccia, imprimendovi tutta la sua forza, tutto il suo cosmo.

 

Phoenix…” –Mormorò Andromeda, rantolando nella fossa che aveva scavato nel pavimento.

 

Il fratello stava sostenendo con le braccia l’immensa potenza della clava di Gerione, per impedire all’arma di schiacciarlo. Ma anche se il suo cosmo ardeva al massimo non era ancora sufficiente, tanta era la forza del colosso di Ares.

 

Spostatiiii!!!” –Urlò Phoenix, incapace di continuare a sorreggere la clava. E infatti Gerione la sbatté con forza contro di lui, schiacciandolo nel terreno, mentre Andromeda riusciva a rimettersi in piedi e a scansarsi.

 

“Fratello!!!” –Gridò, osservando Phoenix sprofondato nel pavimento dal violento colpo di Gerione. Senz’altro attendere srotolò la Catena di Andromeda, lanciandola contro il braccio destro del terzo corpo di Gerione, quello che brandiva la robusta clava, e avvolgendola intorno al polso del gigante. –“Vai, Onda del Tuono!” –Gridò, mentre l’arma si moltiplicava in infinite copie che trafissero il braccio di Gerione.

 

Aaaaaaargh!!!” –Gridò il terzo corpo di Gerione, agitando il braccio furiosamente. Ma Andromeda, per quanto sballottato qua e là dalla violenza del gigante, non aveva intenzione di mollare la presa, obbligando Gerione ad afferrarlo con la mano sinistra, stringendolo dentro ad essa.

 

“Andromeda!!!” –Urlò Cristal, osservando l’amico scomparire all’interno di quella grande mano. –“Maledizione…” –Ed espanse a dismisura il suo cosmo glaciante, lanciando una potente Polvere di Diamanti contro il braccio sinistro di Gerione, cercando di congelarlo. Ma non fece in tempo a raggiungere lo Zero Assoluto, che la robusta clava del gigante piombò su di lui, scaraventandolo indietro, fino a farlo rotolare sulla scalinata del Grande Tempio.

 

Nel frattempo Sirio e Pegasus stavano fronteggiando gli altri due corpi, quello centrale e quello di destra, del terribile Gerione, trovandosi anche loro in seria difficoltà. I movimenti del gigante erano notevolmente veloci, considerando la sua tozza massa, al punto da non permettere ai due troppe riflessioni strategiche, né di espandere esageratamente il proprio cosmo.

 

Sirio lanciò un paio di Excalibur che scheggiarono solamente la corazza del Gigante, non essendo portate con grande intensità, mentre Pegasus tentò di sfondare il corpo del colosso, venendo respinto. Un colpo secco di clava lo fece schiantare contro la parete rocciosa laterale, prima di farlo ricadere a terra. Gerione fu su di lui, afferrandolo con la mano destra, di fronte agli occhi preoccupati di Sirio.

 

“Pegasus!!!” –Urlò, evitando un colpo secco di clava. Ma il Cavaliere di Atena, prigioniero del pugno del colosso, non si perse d’animo, trovando il momento di concentrarsi ed espandere il proprio cosmo lucente. Gerione sentì il suo polso destro scaldarsi, al punto da diventare rovente ed obbligarlo ad aprire le dita, liberando Pegasus, completamente avvolto dalla sua aura lucente.

 

Il ragazzo svolazzò nell’aria, grazie alle ali della sua corazza, prima di scagliare migliaia di fulmini luminosi contro il viso del gigante, che non fece in tempo a coprirsi, venendo ferito in più punti. Gerione sollevò il braccio destro per colpire Pegasus, ma egli, aspettando proprio quel momento, parò il colpo con entrambe le braccia, afferrando un dito della mano del gigante e iniziando a spingere avanti. Con tutta la forza che aveva in corpo, Pegasus spinse in alto il braccio destro del colosso, usando il dito che stringeva come leva per sollevare l’intero Gerione. Gli altri due corpi si agitarono, sentendo che il primo stava oscillando all’indietro, rendendo instabile il loro appoggio, e si mossero per cercare di afferrare il Cavaliere di Atena.

 

“Ora amici!” –Gridò Sirio, incitando Phoenix, risollevatosi grazie all’aiuto di Cristal, e Cristal stesso a scagliare i loro colpi migliori. –“Colpo del Drago Volante!” –Urlò, balzando in alto e puntando alla testa del corpo di destra.

 

“Aurora del Nord, colpisci!!!” –Lo seguì Cristal, dirigendo il proprio attacco sulla seconda testa. –“Pugno Infuocato! Iaah!” –Gridò Phoenix, balzando in alto, e scaricando un violento pugno di energia rovente sul viso del terzo corpo.

 

L’assalto congiunto distrasse il terribile Gerione, obbligando il terzo corpo ad aprire la mano per cercare di difendersi, liberando Andromeda che precipitò al suolo. Nell’agitazione complessiva, Pegasus venne spinto indietro, con un gesto brusco e forzuto, ma il ragazzo riuscì comunque a ricadere in piedi, vicino agli amici.

 

“Incredibile!!!” –Esclamò Cristal, stupefatto. –“Il nostro attacco unito lo ha solamente fatto arrabbiare ancora di più! Ma non lo abbiamo ferito!”

 

Il gigante era infatti di fronte a loro, con le tre teste ferite e sanguinanti, per gli attacchi ricevuti, ancora in piedi e pronto a dare loro battaglia con le tre clave.

 

Improvvisamente la testa di sinistra iniziò a gemere, urlando confusamente, prima di portarsi le mani al collo, come se stesse soffocando. Per un momento i Cavalieri non compresero cosa stesse accadendo, ma poi videro un noto bagliore scintillare intorno al collo del terzo corpo.

 

“Andromeda!!!” –Gridò Phoenix, cercando il fratello. Non visto, approfittando della confusione creatasi durante l’attacco congiunto, il ragazzo si era portato alle spalle del gigante, srotolando la propria catena e lanciandola verso il collo, avvolgendola ad esso per soffocarlo.

 

Aaaargh!!!” –Urlò il terzo corpo, cercando di afferrare la Catena di Andromeda. Ma l’arma era talmente piccola, in proporzione alle sue enormi dita, che Gerione non riusciva ad agguantarla, tanto stava stridendo contro il suo collo.

 

“Ben fatto, Andromeda!!!” –Esclamò Phoenix, orgoglioso del fratello. Concentrò il cosmo rovente sul pugno destro, prima di scattare avanti, balzando, aiutato dalle ali della sua Armatura Divina, fino di fronte al viso del terzo corpo, che lo osservò con orrore, senza riuscire, ormai, a fermarlo.

 

Il Pugno Infuocato si piantò nell’occhio sinistro del corpo del Gigante, facendolo impazzire per il dolore, al punto da muovere confusamente le braccia e colpire, per puro caso, Phoenix in volo e scaraventarlo contro la parete rocciosa.

 

“Phoenix!!!” –Gridò Cristal, preoccupato per l’amico.

 

“Un occhio è stato colpito!” –Rifletté Sirio. –“Se solo riuscissi ad avvicinarmi di più, potrei trafiggerlo con Excalibur!” –Ma i suoi pensieri furono interrotti dal violento assalto degli altri due corpi del Gigante, i quali, armati di clave infuocate, le stavano sbattendo in terra con forza, cercando di schiacciare i Cavalieri come mosche.

 

Sirio, Cristal e Pegasus evitarono gli affondi di Gerione, mentre Andromeda, dietro di lui, continuava a stringere e a stritolarlo con la sua Catena e le scariche energetiche che essa emanava.

 

“Ho un’idea!” –Esclamò Sirio, rivolgendosi agli amici. –“Ricordate come abbattemmo la Colonna Portante di Nettuno?!”

 

“Lanciando Pegasus contro di essa!” –Gridò Cristal, evitando un colpo di clava.

 

“Precisamente! Lanciatemi contro Gerione! Gli caverò gli occhi con la sacra spada!”

 

“Ma Sirio…” –Intervenne Pegasus. –“È rischioso! Le altre teste ti fermeranno!”

 

“È un rischio che dobbiamo correre, amici!” –Disse il ragazzo, espandendo al massimo il cosmo. –“Non esiste vittoria senza sacrificio! E voi ben lo sapete!”

 

Cristal e Pegasus, seppur titubanti, imitarono l’amico, bruciando il loro lucente cosmo, prima di riunirsi intorno a lui. I loro cosmi fecero barriera contro i colpi di clava che Gerione rivolse loro, prima che la devastante energia che liberarono spingesse indietro persino il gigante.

 

Oraaa!!!” –Urlò Sirio, scattando avanti.

 

“Vola Pegasus! Danza, Cigno Bianco!” –Esclamarono Pegasus e Cristal, lanciando Sirio in alto, completamente avvolto dal suo lucente cosmo verde.

 

Gerione tentò di fermare quell’assalto, ma non vi riuscì, muovendo a vuoto le clave infuocate, e l’ultima cosa che l’occhio destro del terzo corpo vide fu la maestosa sagoma di un dragone con le fauci spalancate puntare verso di lui. Poi niente più, venendo trapassato dall’incandescente drago, esplodendo in grida di dolore.

 

“Ce l’ha fatta! Evviva!!!” –Esclamarono gli amici, convinti che quel colpo avrebbe fatto crollare il terzo corpo di Gerione. Ma così non accadde, e questo li demoralizzò notevolmente.

 

Per quanto cieco da entrambi gli occhi, e grondante sangue, il terzo corpo del gigante continuava a rimanere eretto e a brandire la sua massiccia clava. Anzi, l’affronto che aveva subito e il dolore che stava provando contribuivano a renderlo più pazzo, al punto che trascinò gli altri due corpi in un continuo e perpetuo assalto contro i Cavalieri di Atena.

 

Attentiii!!!” –Urlò Phoenix, rotolando sul terreno, e afferrando Pegasus al volo, prima che un colpo secco di clava lo schiacciasse.

 

“Grazie... amico!” –Mormorò Pegasus, rialzandosi insieme a Phoenix.

 

Sirio e Cristal furono meno fortunati, venendo travolti da un affondo dell’immensa clava infuocata e scaraventati contro la parete rocciosa. Gerione sbatté la clava contro il muro di roccia, facendolo crollare poco dopo su di loro, di fronte agli occhi sgomenti degli amici.

 

In quella, finalmente, il terzo corpo riuscì ad afferrare la Catena di Andromeda, arrotolata intorno al suo collo, strattonando il ragazzo in alto, proprio mentre la robusta mano del secondo corpo, voltandosi indietro, lo afferrava con forza, tirandolo a sé. La forza del gesto fu talmente brusco da rompere alcuni anelli della Catena di Andromeda, privandolo momentaneamente della sua arma, e lasciare il ragazzo indifeso, di nuovo nella mano del gigante.

 

Pegasus e Phoenix scattarono subito per aiutarlo, ma il primo corpo sbatté con forza la clava, al punto da creare una fenditura nel terreno che corse verso di loro, obbligandoli a saltare in alto per non precipitarvi dentro, esponendoli così all’assalto del secondo corpo. Un colpo violento di clava li raggiunse in pieno, scaraventandoli indietro e distruggendo parte delle loro armature. Andromeda fu scagliato direttamente nella faglia apertasi nel terreno, ma il ragazzo, precipitando al suo interno, riuscì ad afferrarsi ad una sporgenza, fermando la sua rovinosa caduta verso l’abisso.

 

I tre corpi di Gerione, fieri del loro successo, sbatterono le clave sui petti, urlando e latrando, sicuri di avere eliminato i Cavalieri di Atena, e potendo quindi chiedere la ricompensa. E cosa avrebbe chiesto Gerione al Sommo Ares se non la sua vecchia isola, al di là delle Colonne d’Ercole, dove avrebbe potuto coltivare i suoi amati buoi in pace, fuori dal mondo di cui non sentiva di fare parte.

 

Un boato alla sua destra interruppe il suo sogno di gloria. Cristal aveva congelato le pietre franate su lui e Sirio, facendole esplodere poco dopo e liberandoli, ma, debole per lo sforzo, era crollato in ginocchio. Gerione si preparò a colpire i due, quando una seconda esplosione di energia lo disturbò nuovamente. Andromeda aveva espanso il suo cosmo a dismisura, richiamando i frammenti distrutti della sua catena, che, come già accadde contro Gemini alla Terza Casa, si riunirono, forti anche del maggior potere acquisito grazie al mithril e al sangue di Atena. Grazie alla catena, Andromeda riuscì ad uscire dalla faglia, portandosi proprio di fronte al terribile Gerione, per quanto stanco e debole anche lui sentiva di essere. Pegasus e Phoenix ricomparvero in cima alla scalinata, dopo essere stati scagliati molte decine di metri più in basso, ansimanti, con crepe sulle corazze divine, ma determinati a non lasciarsi abbattere.

 

Gerione, alla vista dei cinque Cavalieri di nuovo in piedi, esplose in una rabbia frenetica, usando tutte le sue sei mani per schiacciarli, afferrarli, stritolarli, eliminare quei moscerini che osavano ribellarsi a lui. Inoltre, aveva un motivo maggiore per ucciderli. Vendicarsi di Atena, che aveva sempre aiutato Eracle, sostenendolo in battaglia, e ingloriarsi Ares.

 

Sirio spinse Cristal a terra, evitando un pericoloso colpo del gigante, mentre anche Andromeda, Pegasus e Phoenix fronteggiavano le altre robuste mani che piombavano su di loro. Il terzo corpo di Gerione era il più pericoloso e violento, poiché dava infatti, non vedendo, colpi a casaccio, di una brutalità terribile. Per cercare di proteggere Cristal, Sirio venne afferrato da una mano del Gigante e stretto in una devastante presa, che stritolò la sua corazza, piegando e frantumando le ali del Dragone, facendolo urlare di dolore. Pegasus e gli altri cercarono di intervenire, ma furono bloccati dalle mani e dalle clave degli altri corpi del colosso, mentre Gerione stritolava Sirio sempre di più.

 

Improvvisamente un Tridente Dorato si conficcò nel polso del Gigante, facendolo urlare di dolore, mentre un secco colpo di spada gli tranciava il dito mignolo, permettendo a Sirio di scivolare via, di sotto, dalla presa di Gerione. Pegasus si voltò verso i due Cavalieri dalle dorate vestigia che erano appena giunti alla Decima Casa, stupito ma felice: Dohko di Libra e Milo di Scorpio.

 

 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo ventitreesimo: Combattendo insieme ***


CAPITOLO VENTITREESIMO. COMBATTENDO INSIEME.

 

Dohko di Libra e Scorpio erano giunti al Grande Tempio due ore prima, ma avevano dovuto affrontare ben due scontri. Il primo di fronte alla Casa di Ariete, contro una pattuglia di berseker che aveva tentato di fermarli, e il secondo alla Nona Casa, contro le Amazzoni di Ippolita. Le donne guerriero avevano rifiutato loro di transitare, ma Scorpio, per quanto non desiderasse affrontarle, avendo sempre avuto notevole stima verso di loro, era stato costretto a pungerle con l’acuminato ago. Solo poche punture erano bastate per farle accasciare al suolo, febbricitanti, e permettere loro di passare oltre. Dohko aveva percepito una forte energia cosmica nella Nona Casa, superiore a quella delle donne che avevano sbarrato loro il passo. Che sia la Regina delle Amazzoni?! Si era chiesto. Ma nessun altro aveva tentato di fermarli e i due avevano oltrepassato il Nono Tempio, dirigendosi verso il Decimo, dove, lo percepivano chiaramente, era in corso una furibonda battaglia.

 

I Cavalieri dello Zodiaco, fortunatamente ancora vivi, stavano fronteggiando un temibile avversario dal triplice cosmo, e sia Dohko che Scorpio non avevano impiegato molto a capire chi fosse.

 

Il terribile Gerione! Mostruoso gigante triforme e tricipite! Veniva considerato l’uomo più forte del mondo, nell’Antichità! La sua fama fu nota fino al Medioevo, al punto che Dante, grande poeta italiano, lo cantò nel suo Inferno, nel XVII canto, facendone però un frodatore, un imbroglione, dall’aspetto osceno, quasi animalesco: “La faccia sua era faccia di uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle, e d’un serpente tutto l'altro fusto; due branche avea pilose insin l’ascelle; lo dosso e l’petto e ambedue le coste dipinti avea di nodi e di rotelle. Con più color, sommesse e sovrapposte non fer mai drappi Tartari Turchi!

 

Erano giunti alla Decima Casa giusto in tempo per aiutare Sirio, imprigionato dal gigante nel suo stretto pugno mortale, liberandolo con le Armi della Bilancia.

 

Scorpio!!!” –Esclamò Cristal, felice di vedere i due Cavalieri d’Oro.

 

“Ma... maestro!!!” –Balbettò Sirio, rimettendosi in piedi.

 

“Attento, Sirio!” –Esclamò Dohko, osservando Gerione chinarsi nuovamente su Dragone, per colpirlo con la sua clava incandescente. Con un balzo, Libra affiancò Sirio, sollevando lo Scudo Dorato e caricandolo di tutto il suo cosmo; ma  per quanto l’arma fosse potente e resistente, rinforzata da Mur e da Muspellheimr, non resse il corpo, incrinandosi rovinosamente, e i due Cavalieri vennero scaraventati indietro, sbattendo contro la parete rocciosa.

 

“Maestro!” –Esclamò Sirio, cercando di aiutare Dohko, che però rifiutò il suo aiuto, pregandolo di non chiamarlo più con quel nome.

 

“Credevo di avertelo già detto quando affrontasti Arge!” –Mormorò, rialzandosi ansimando. –“Adesso siamo due compagni d’arme, Sirio!”

 

La conversazione fra i due fu interrotta dal violento assalto di Gerione sui loro compagni. Mentre Pegasus e gli altri cercavano di evitare le clave incandescenti del Gigante, Scorpio tentò di ferirlo con il suo ago avvelenato, ma scoprì, con dispiacere, che la Cuspide Scarlatta non era in grado di penetrare la resistente corazza di Gerione, di probabile fattura divina.

 

Come contro Eaco! Rifletté Scorpio, ricordando il suo scontro col Giudice. Senza esitare, si lanciò avanti, sfrecciando alla velocità della luce tra le clave del colosso, fino a portarsi sotto di lui, tra le gambe di Gerione. Bruciò al massimo il cosmo, caricando le sue braccia, prima di conficcare le dorate chele dello Scorpione nella gamba destra del gigante, facendolo urlare di dolore.

 

Aaaargh!!!” –Gridò Gerione, sollevando istintivamente la gamba.

 

Andromeda approfittò di quel momento per srotolare la catena, lanciandola avanti, avvinghiandola con forza al collo del terzo corpo, quello già ferito in precedenza, e iniziando a tirare con tutta la sua potenza, aiutato anche da Phoenix e Cristal. Il corpo barcollante iniziò a piegarsi in avanti, e Dohko e Sirio approfittarono di quel momento per scattare avanti.

 

Il Cavaliere d’Oro sfoderò la Spada Dorata di Libra, balzando in alto e piantandola nel collo del Gigante, già ferito dallo stridere della Catena di Andromeda, mentre Sirio, subito dopo di lui, lanciò un fendente di energia cosmica nello stesso punto. Excalibur, forte degli aiuti ricevuti, tagliò di netto la testa del terzo corpo di Gerione, che cadde a terra tra le urla lancinanti degli altri due corpi, che iniziarono a dimenarsi follemente, agitando le clave.

 

Scorpio fu colpito con un calcio e scaraventato indietro, tra i detriti ammassati della Decima Casa, mentre Pegasus e compagni tentavano di evitare gli assalti del colosso.

 

“Andate avanti, voi!” –Gridò Dohko, intimando Pegasus e gli altri di raggiungere Scorpio, già alle spalle del Gigante. –“Lasciate a me le due teste rimanenti!”

 

“Non combatterai senza di me!” –Lo affiancò Sirio, lanciando un’occhiata a Pegasus.

 

Amici…” –Balbettò quest’ultimo, prima di evitare un brusco assalto di Gerione.

 

Le clave incandescenti puntarono sul gruppo di Cavalieri, che dovettero dividersi per non essere colpiti, mentre Gerione urlava come un pazzo, desiderando solamente la loro distruzione.

 

Adesso… correte avanti!!!” –Li intimò Libra, impugnando il Tridente Dorato. Balzò in alto, proprio mentre una mano di Gerione piombava su di lui, e piantò l’arma nel palmo aperto della mano, prima di venire colpito e scaraventato a terra.

 

Il gigante urlò per il dolore, prima di troncare il tridente e gettarlo via, avventandosi con rabbia contro il Cavaliere d’Oro, ma incontrò la pronta opposizione di Sirio, che con un colpo secco di Excalibur tagliò ben tre dita della mano insanguinata. Pegasus, Phoenix, Andromeda e Cristal superarono in quel momento il gigante e raggiunsero Scorpio, tra le macerie del Decimo Tempio, incamminandosi avanti insieme a lui.

 

Gerione era arrabbiatissimo e infuriato per aver perso una delle sue teste e stava sferrando violenti e distruttivi attacchi contro i due Cavalieri di Atena, sbattendo con brutalità le sue clave, distruggendo il pavimento e creando immensi crateri al suolo.

 

“Dobbiamo fermarlo, Sirio!” –Esclamò Libra, cercando di elaborare una strategia. Un attacco frontale, adesso che erano rimasti in due, era molto difficile da realizzare e avrebbe impegnato notevolmente le forze dei Cavalieri, stancandoli ulteriormente. Inoltre il vorticare disperato delle braccia di Gerione rendeva impensabile un assalto dall’alto. La soluzione migliore, convenne, mentre un colpo secco di Gerione lo obbligava a scansarsi, è puntare alle gambe del Gigante, facendolo barcollare, e alle sue braccia! Dobbiamo neutralizzare quelle possenti clave!

 

Stufo di subire, Dohko sfoderò la Barra Tripunte, caricandola del suo dorato cosmo e, mentre una mano del Gigante scendeva su di lui, la scagliò avanti, piantandola proprio nel palmo aperto. Gerione, infastidito da quella nuova ferita, seppur piccola e, in rapporto alla stazza del gigante, insignificante, sbraitò a gran voce, sollevando di scatto la mano, con ancora la barra piantata dentro, e tirando Dohko a sé.

 

“Maestro!!! Attento!” –Gridò Sirio, vedendo il Cavaliere d’Oro venire issato su con brutalità. Ma era proprio ciò che Libra voleva, riuscire ad arrivare sulla mano del gigante, che la stava sollevando sempre più, scuotendola per liberarsi da quell’inutile oggetto.

 

Con abile destrezza, Dohko si aggrappò a un dito del colosso, cercando di non farsi scaraventare a terra, di fronte agli occhi preoccupati di Sirio, impegnato intanto ad evitare un nuovo assalto dell’altro corpo di Gerione, e infine riuscì a portarsi sopra di essa.

 

“Bene!” –Mormorò Dohko, conscio che doveva agire in fretta, vincendo l’instabilità di quella posizione. Sfoderò la Spada Dorata di Libra e la piantò con forza nel polso del Gigante, caricandola dell’energia del suo cosmo. –“Che Atena mi dia la luceeee!!!” –Urlò, affondando la lama nella coriacea pelle di Gerione.

 

Il fuoco di Muspellheimr scivolò dentro il corpo del gigante, dilaniando le sue vene, prima che Gerione reagisse istintivamente, scuotendo la mano e scaraventando bruscamente Dohko a terra.

 

Il Cavaliere cercò di aggrapparsi ad uno spuntone roccioso della parete, ma vi riuscì solo in parte, precipitando a terra, da sette metri di altezza, battendo una gamba e scheggiando la sua corazza.

 

Aaargh…” –Ringhiò Gerione, rabbioso, sbattendo la clava sulla mano dolente e spazzando via, troncandole, la barra tripunte e la spada di Libra, per quanto alcune schegge rimanessero piantante all’interno della sua pelle.

 

Sirio, nel frattempo, era impegnato ad evitare la clava incandescente dell’altro corpo di Gerione, che era riuscito a spingerlo spalle al muro. Maledizione! Mormorò, senza perdersi d’animo. Dietro di lui la parete rocciosa della Collina della Divinità, di lato le rocce confusamente crollate durante lo scontro, e a destra la faglia aperta da Gerione poco prima. Lo spazio per muoversi era molto limitato, pochi metri quadrati che non bastavano neppure per prendere una rincorsa e lanciarsi sul colosso, il quale cercò di pestare il Cavaliere di Atena con la sua immensa clava. Non avendo altra soluzione se non quella di essere schiacciato, Sirio bruciò al massimo il suo cosmo, sollevando il braccio sinistro e offrendo lo scintillante scudo del Dragone al suo nemico.

 

Mithril, fai il miracolo!!!” –Mormorò, ormai avvolto da una lucente aura verde.

 

La clava incandescente di Gerione si schiantò contro lo Scudo del Drago, il riparo più sicuro che un’armatura potesse offrire; ma, per quanto potenziato dal sangue di Atena e dal mithril, anche la leggendaria difesa andò in frantumi, distrutta dalla violenza dell’orrida bestia, che comunque non ne uscì indenne, perdendo la clava, che si schiantò in mille frammenti, spingendo indietro il colosso.

 

Sirio barcollò per qualche secondo, schiacciato dall’immensa pressione esercitata dalla clava di Gerione, venendo infine scaraventato indietro, sprofondando nella parete rocciosa retrostante, con il braccio sinistro dolente e grondante sangue. Dohko lo raggiunse zoppicando in quel momento, indebolito anch’egli dall’assalto tentato contro il gigante.

 

“Terribile avversario è costui!” –Mormorò Dragone, rialzandosi a fatica.

 

“E noi non siamo Eracle!” –Commentò Dohko, un po’ demoralizzato.

 

“Ma lo vinceremo comunque, Dohko!” –Cercò di incitarlo Sirio, per quanto debole si sentisse.

 

Il Cavaliere d’Oro, sentendosi chiamare per nome, sorrise, lieto di combattere a fianco del suo ultimo allievo quell’importante battaglia, e cercò di elaborare una strategia per mettere fine a quel gioco al massacro.

 

“Eracle, per abbattere Gerione, lo colpì con una freccia, ferendolo lateralmente, in modo tale che la freccia potesse trapassare i tre corpi in un unico colpo!” –Spiegò Dohko, mentre il gigante si preparava per attaccare nuovamente, per quanto gli ultimi due assalti avessero messo a dura prova la sua resistenza. Ma il premio promesso dal Sommo Ares, la sua vecchia isola, dove poter vivere in pace, insieme alle sue giumenti, lo allettava più della prospettiva di morte, che in quel momento, a Gerione, parve per la prima volta reale.

 

“Noi non abbiamo archi né frecce!” –Continuò Libra. –“Ma abbiamo le armi della Bilancia! Useremo queste per abbattere questo gigante!”

 

“Sono con te!” –Concluse Sirio, bruciando il proprio cosmo.

 

Gerione fu subito su di loro, brandendo l’ultima clava e cercando di colpirli e scaraventarli via, ma essi scattarono avanti, veloci come fulmini, per quanto le ferite sui loro corpi si facessero sentire. Sirio evitò un affondo del gigante, mentre Dohko piantò nella clava il secondo Tridente Dorato, aggrappandosi ad esso e poi balzando sull’arma, per quanto Gerione si dimenasse e cercasse di farlo cadere.

 

“Resisti!” –Urlò Sirio, espandendo al massimo il proprio cosmo. Sfrecciò come una saetta in mezzo alle gambe del gigante, colpendo prima l’una poi l’altra col netto taglio della lucente Excalibur, facendo urlare Gerione dal dolore.

 

Aauuhh!” –Gridò il colosso, sbattendo i piedi con forza, mentre sangue scuro sgorgava dalle ferite.

 

Dohko, rimbalzando sulla clava, riuscì a sfruttare i grossolani movimenti della creatura per arrivare al suo braccio, e aiutandosi con il tridente, che piantava continuamente nella cotta protettiva di Gerione, si arrampicò su di esso, fino a giungere a un metro dal volto. Quando Gerione lo vide era ormai troppo tardi: Dohko spiccò un balzo avanti, centrando con il tridente l’occhio destro del colosso, facendolo gridare dalla disperazione, prima che un colpo di mano lo scaraventasse a terra.

 

Nello stesso tempo Sirio espanse il proprio cosmo lucente, liberando un impetuoso Drago Nascente dal basso, che corse lungo l’intera superficie del colosso, stridendo fortemente sulla sua cotta protettiva, facendola esplodere in più punti. Gli artigli del drago distrussero la corazza di Gerione, giungendo fino al viso del gigante, a cui ormai rimaneva solamente un viso capace di vedere con entrambi gli occhi. E ciò che vide non lo rassicurò minimamente.

 

Dohko, rimessosi in piedi a fatica, stava impugnando la Lancia Bracciale, con la quale produceva fasci di luce diretti contro di lui. Misera cosa contro l’immensa mole del colosso, ma in quelle condizioni di debolezza anche Gerione ne risultò disturbato, soprattutto perché quelle faville luminose sembravano dirette verso i suoi occhi. Irato, e in parte anche accecato, Gerione agitò la clava di fronte a sé, senza colpire il Cavaliere di Libra, il quale tentò l’azzardata mossa di balzare in alto, per avvicinare le scintille incandescenti agli occhi del Gigante.

 

L’azione si rivelò fallimentare e permise a Gerione di colpire Dohko in volo, con un secco colpo di clava che scaraventò il Cavaliere a terra, facendolo schiantare rovinosamente sul pavimento e rotolare fin dentro alla faglia. Ma Dohko non si curò di se stesso, pensando solo al fine ultimo di quella mossa: quello di distrarre Gerione, dando a Sirio un’opportunità per batterlo. Non visto infatti il Cavaliere del Drago si era portato alle spalle di Gerione, cercando di ripetere la mossa di Andromeda; si era lanciato in alto, affondando la Spada Dorata nella schiena del corpo centrale, aiutandosi con essa per arrampicarsi e portarsi fino in cima. Quando Gerione se ne accorse era troppo tardi, e la spada di Libra, carica del fuoco di Muspellheimr e del cosmo quasi divino di Sirio, era penetrata dentro al suo collo.

 

“In nomine tuo Capricorn!!!” –Gridò Sirio, spingendo con forza la lama in quella coriacea pelle.

 

Fiotti di scuro sangue fuoriuscirono istantaneamente, schizzando il ragazzo, aggrappato alle spalle del gigante, mentre dilanianti grida sferzarono l’aria, accompagnando il salto di Sirio sull’altro corpo, quello che Dohko aveva ferito all’occhio destro. Nuovamente caricò la spada dorata del suo lucente cosmo, tuffandosi con essa nel collo del colosso, trapassandolo da parte a parte, prima di ricadere a terra, scaraventato da un’agitata mossa di Gerione e imbrattato dal suo sangue.

 

Sirio rotolò sul terreno distrutto, debole e sporco di oscura linfa, cercando di avvicinarsi all’apertura sul pavimento, per aiutare il maestro in difficoltà, mentre Gerione, sopra di lui, urlava e gemeva come un forsennato, in preda a indicibili tormenti.

 

“Maestro!!!” –Lo chiamò Sirio, sdraiato sul bordo della faglia. Ma prima che potesse udire una risposta, vide una barra dorata sfrecciare nell’aria e piantarsi proprio accanto a lui. Dohko era vivo e stava usando la sua arma per uscire dalla faglia. Sirio afferrò la barra e iniziò a tirare, aiutando il Cavaliere di Libra a raggiungere la superficie, proprio in tempo per dare il colpo di grazia a Gerione, ormai impazzito a causa delle tante ferite riportate.

 

“Insieme, Sirio!” –Mormorò Dohko, espandendo il proprio cosmo. Sirio fece altrettanto e centinaia di scintillanti dragoni apparvero intorno ai loro corpi, scivolando con armonica naturalezza.

 

“Colpo dei Cento Draghi!!!” –Gridarono insieme Dohko e Sirio, dirigendo le zanne dei lucenti dragoni contro le gambe del colosso. Sfrecciarono nell’aria caliginosa gli splendenti dragoni d’Oriente, trapassando le gambe del Gigante Gerione, divorando le sue stanche membra, che più non riuscirono a sopportare il peso della sua smisurata mole, ripiegando su loro stesse.

 

Libra e Sirio cercarono di spostarsi, mentre il corpo dell’immensa creatura crollava su di loro, sbattendo contro la parete rocciosa e facendola franare rovinosamente sul vasto piazzale e sui due Cavalieri, che vennero travolti dallo sfaldamento di pietre e polvere.

 

Il boato provocato dal crollo di Gerione fu udito in tutto il Grande Tempio, spaventando gli animi dei berseker rimasti, increduli che un colosso come il Gigante di Eritea potesse crollare. E risuonò nelle stanze di Ares, accendendo la rabbia nel Dio della Guerra, appena rientrato al Grande Tempio.

 

Furibondo, Ares scagliò un fulmine infuocato che distrusse il soffitto della Tredicesima Casa, risplendendo nel cielo di Atene, venendo visto da tutti con preoccupazione, soprattutto da Pegasus e dai suoi compagni, ormai alle prese con la penultima fatica. Guidata dal suo Signore, la sfolgorante vampata raggiunse il luogo dove un tempo sorgeva la Decima Casa, affondando nell’esanime corpo di Gerione e dando ad esso la giusta sepoltura: un rogo di fiamme, reso ancora più acceso e furioso dall’orrido sangue che si infiammava al contatto con lo spietato cosmo di Ares.

 

“Del resto in guerra…” –Commentò il nume. –“Non si distinguono gli amici dai nemici, ma solo i vincitori dagli sconfitti! E volano ciechi i colpi dalle mani!”

 

Sirio e Dohko, prigionieri dalla frana di rocce che era crollata su di loro, sentirono le devastanti vampate del Dio della Guerra ardere fuori da quell’inospitale gabbia e sapevano che erano per loro. Ma in quel momento, stanchi e indeboliti dall’estenuante scontro, si sarebbero volentieri lasciati cadere in un sonno profondo, sommersi da centinaia di pietre polverose. Fu Sirio a trovare la forza di reagire, liberando anche il maestro da quella scomoda e pericolosa situazione.

 

“Colpo Segreto del Drago Nascente!!!” –Urlò, tirando un violento pugno verso l’alto.

 

Il colpo che aveva ucciso persino Hypnos fece piazza pulita delle pietre, polverizzandole in pochi secondi, mentre le vampe incandescenti di Ares piombavano su di loro. Dohko, ripresosi, cercò di proteggere l’allievo, sollevando lo Scudo Dorato, scheggiato in più punti, che si rivelò misera difesa contro le fiamme mortifere.

 

“Ares! Maledetto! Spegnerò le tue fiamme!!!” –Mormorò Sirio, concentrando il cosmo tra le mani, sotto forma di una luminosa sfera dal colore della splendente acqua dei Cinque Picchi. –“Acque della Cascata, venite a me!!!” –Esclamò, liberando il proprio assalto.

 

Scintillanti getti d’acqua, dalla forma di dragoni celesti e verdi, travolsero le immonde fiamme di Ares, spegnendole a poco a poco, prima che il Cavaliere di Atena crollasse a terra, a fianco del maestro. Erano deboli, e le loro corazze erano scheggiate e distrutte in più punti. Le ali del Dragone, lo scudo, l’elmo, gli schinieri erano in frantumi, così come numerose armi di Libra, spezzate da Gerione. Ma erano salvi, ed avevano lottato insieme, credendo l’uno nell’altro.

 

In quell’unico momento di calma, mentre cercavano di ritrovare il respiro e le forze per raggiungere i loro compagni, Sirio chiese a Dohko notizie dai Cinque Picchi, e il maestro, per quanto dispiaciuto, gli confessò la verità.

 

“Non so dove sia Fiore di Luna, Sirio! Mi dispiace, ma non è ai Cinque Picchi!” –E raccontò il suo breve viaggio in Cina, la morte della famiglia presso cui la ragazza era ospite, la fuga nel campo, il massacro dei berseker e lo scontro con Eveno. –“Anche Scorpio non ha trovato notizie su Patricia e Nemes, a Nuova Luxor! Ma come me ha scovato i cadaveri dei berseker di Ares!”

 

“Ma allora dove sono Fiore di Luna e le altre?!” –Incalzò Sirio. –“Chi ha ucciso i berseker?!”

 

“Mi dispiace Sirio... non ho risposta alle tue domande! Posso solo sperare che questo nemico di Ares si riveli un nostro amico, e che abbia rapito i vostri cari con l’unico scopo di salvarle dalla furia dei berseker!”

 

Ma quella risposta, troppo semplicistica, non convinceva neppure lui. Per un momento Dohko si chiese se dietro tutto questo non ci fossero i Cavalieri Celesti dell’Ultima Legione, quella comandata proprio dal suo vecchio allievo. Ma realizzò che una simile ipotesi era troppo lontana dalla realtà.

 

Con l’assedio in corso sull’Olimpo, Zeus non può certo permettersi di inviare altri Cavalieri in giro per il mondo in missioni, per lui, di non così vitale importanza!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Capitolo ventiquattresimo: Caccia nella Foresta ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO. CACCIA NELLA FORESTA.

 

Sull’Olimpo la battaglia era in pieno svolgimento, con i berseker che marciavano lungo la via principale, diretti verso la Reggia di Zeus, il quale, per fermarli, aveva risvegliato i tre distruttori del Mondo Antico: gli Ecatonchiri. Phobos e Deimos, divini figli di Ares, avevano momentaneamente abbandonato la guida dell’esercito, dando ai soldati un ultimo perentorio ordine: giungere da Zeus, senza mai fermarsi, e uccidere tutti i loro avversari. Senza esitazione, si erano lanciati nella Foresta Sacra, facendo strage di Cacciatori Celesti, gli abili arcieri addestrati dalla Dea della Caccia, una delle poche Divinità ancora vive.

 

Li avevano uccisi tutti, trapassandoli con lunghe spade affilate, osservandoli gemere, stramazzare al suolo, soffocare nel dolore e nel tormento. Ed ogni morte, ogni uomo massacrato era stato per loro fonte inebriante di estasi, capace di infondere calore e determinazione nel loro animo corrotto e malvagio. Con un secco colpo di spada, Phobos tagliò la gola dell’ultimo Cacciatore, calpestando poi con rabbia il suo arco.

 

“Questo bastardo mi ha colpito!” –Esclamò, piantando nel cadavere la sua Spada Infuocata.

 

“Non ti agitare!” –Affermò Deimos, in piedi vicino a lui nel cuore della foresta. –“Lei sarà qui tra un minuto!”

 

“Errato!” –Esclamò una decisa voce di donna. –“Sono già qui!” –Aggiunse, mentre un lucente dardo sfrecciava in mezzo agli alberi, diretto verso Deimos, il quale fu abilissimo a deviarlo all’ultimo con la Spada Infuocata.

 

“Mostrati!!!” –Gridò Phobos.

 

“E perché dovrei?!” –Rise la donna. –“Non avrete forse paura di me?!”

 

“Paura?! Ahahah!” –Sghignazzò Phobos, mentre insieme a Deimos si guardava intorno, osservando le cime degli alberi da cui sembrava provenire la voce. “–Donna, noi siamo i figli di Ares, Sgomento e Spavento degli uomini! Possiamo noi conoscere la paura?!” –Ma nessuno rispose, e i due figli di Ares rimasero da soli, con le spade in pugno, a guardarsi intorno con circospezione.

 

“Bene!” –Affermò infine Deimos. –“Se le piace così tanto giocare…” –E si chinò, strusciando il manto erboso con la sua mano destra. Improvvisamente la terra tremò, vibrando sotto effetto di una forte scossa sismica, scuotendo gli alberi intorno a loro, facendo cadere rami secchi e foglie, nidi di uccelli, e, infine, una figura ricoperta da una dorata armatura.

 

“Cadono d’autunno dagli alberi le foglie...” –Ghignò il Dio del Terrore, rialzandosi.

 

Maledizione…” –Mormorò la donna. –“Ho perso la presa… sono un’idiota!”

 

“Ehi!” –La chiamò Deimos, intimandole di voltarsi. –“Ti ho detto di voltarti!” –Latrò, sferrandole un calcio micidiale che la ribaltò, mostrando finalmente il volto ai figli di Ares. –“Ma… Non è lei!”

 

“Che cosa?!” –Urlò Phobos, osservando la donna che era caduta dall’albero. Era una giovane, di poco più che vent’anni, con folti capelli verdi, e un bel viso, ricoperta da un’armatura dorata, che non era assolutamente una Veste Divina, ma che richiamò, alla mente dei due fratelli, le vestigia dei custodi delle Dodici Case di Atene. –“E lei... dov’è?!”

 

“Sono qua!!!” –Esclamò un’accesa voce di donna.

 

Improvvisamente una figura snella e agile balzò su Phobos afferrandolo per il collare della sua Veste Divina, mentre un pugnale riluceva nella semioscurità della Foresta Sacra. Phobos si dimenò a più non posso, parando l’affondo con la propria Spada Infuocata, ma la donna continuò a colpirlo, cercando di immergere il suo pugnale nel corpo del figlio di Ares.

 

Phobos!!!” –Esclamò Deimos, brandendo la propria spada e correndo in aiuto del fratello. Ma la donna ricoperta dall’Armatura d’Oro cercò di fermare la sua corsa, balzando in alto e sollevando la mano destra, a guisa di artiglio, avvolta da guizzanti scariche di energia.

 

“Cobra Incantatore!” –Strillò, scendendo su Deimos. Ma il Dio, per niente intimorito da quel cosmo sparuto, si limitò a distruggere i suoi propositi bellici con un rapido movimento della Spada Infuocata, che trinciò la corazza all’altezza dell’addome, proprio mentre la donna balzava su di lui.

 

“Adesso stai buona e lasciami uccidere la tua compare!” –Esclamò Deimos, mentre la donna dai verdi capelli si accasciava a terra, toccandosi il ventre in fiamme.

 

“N... Noo...” –Mormorò, cercando di rialzarsi.

 

“No?! E allora muori prima tu!” –Gridò Deimos, sollevando la Spada Infuocata e calandola poi sulla donna. Ma questa si difese con il bracciale destro dell’armatura, lasciando che la lama si infrangesse su di esso, scheggiandolo, ma non ferendola, prima di bruciare il proprio cosmo e contrattaccare.

 

“Artigli del Cobra!!!” –Urlò, muovendo entrambe le braccia come fossero serpenti pronti ad azzannare il loro nemico.

 

Deimos non ebbe difficoltà ad evitare quegli assalti, ben lontani dalla velocità della luce, e per un Dio quale lui era, capace di muoversi ad una velocità superiore, fu una sciocchezza bloccarle il pugno con la mano sinistra, e sollevarla, ribaltandola e sbattendola a terra.

 

“Come ti chiami, donna?!” –Le chiese, stringendo con forza la sua mano. Ma la donna sembrò non intenzionata a rispondere, allora Deimos strinse con ancora più forza, mandando in frantumi i guanti protettivi della corazza della giovane.

 

“Sono Tisifone, Cavaliere d’Argento del Serpentario!”

 

“Un Cavaliere d’Argento?!” –Esclamò Deimos incredulo, lasciando andare la donna. –“Un Cavaliere d’Argento che sfida un Dio?! Ah ah ah!” –Rise di gusto, sbeffeggiando Tisifone e il suo patetico tentativo di affrontarlo.

 

“Tu non sei un Dio! Sei solo un folle omicida!” –Gridò Tisifone, scatenando la collera di Deimos, che sollevò il braccio destro avanti a sé, mentre sottili striature di cosmo, dal colore biancastro, scivolavano nell’aere fino a lambire l’Armatura del Cancro, che Tisifone aveva indosso.

 

“Non... provocare... un Dio!” –Parlò a denti stretti, bloccando i movimenti di Tisifone a mezz’aria, lasciandola sospesa davanti a lui, mentre le onde di energia stridevano con forza sulla sua corazza, facendola vibrare sinistramente.

 

“Fo... folle… omicida…” –Ripeté Tisifone, che quasi non riusciva a muovere neppure la lingua.

 

Muoriiiii!!!” –Urlò Deimos, tirando un violento affondo con la Spada Infuocata al petto di Tisifone, scheggiando l’Armatura d’Oro, la quale, per quanto riparata da Mur, non poteva reggere il confronto con una Veste Divina. –“Raccomanda l’anima ad Atena, donna, perché adesso vedrai l’Inferno!” –E senz’altro aggiungere aumentò la pressione delle onde di energia, che frantumarono parte della corazza del Cancro, prima di scaraventare Tisifone indietro, facendola schiantare contro un albero, che subito crollò, mentre Deimos, soddisfatto, rideva come un pazzo, tronfio del suo successo. Si voltò, e corse ad aiutare Phobos, in difficoltà contro Artemide.

 

La Dea della Caccia era infatti balzata su Phobos, brandendo un affilato pugnale che desiderava affondare nel collo del figlio di Ares, responsabile, insieme al fratello, della morte dei suoi Cacciatori, e delle altre Divinità e Cavalieri Celesti massacrati sull’Olimpo.

 

“Senti questa lama, Phobos?!” –Mormorò Artemide, mentre il suo pugnale premeva con forza contro la spada di Phobos, in un continuo sforzo. –“Te la pianterò in gola, bevendo il tuo sangue, bieca canaglia assassina!”

 

“Lo credi davvero, Dea della Caccia?!” –Le tenne testa Phobos, continuando a spingere la spada.

 

I cosmi delle due Divinità si scontravano furiosamente, accendendo l’aria intorno a loro, mentre poco distante Deimos abbatteva Tisifone senza troppe difficoltà. Nel vedere la donna in terra ferita, Artemide ebbe un sussulto e aumentò la pressione sul pugnale, desiderando impedire che Tisifone morisse. Una volta mi ha salvato la vita! Devo renderle il favore! Commentò, scaraventando, con una brusca mossa, Phobos indietro.

 

“Non mi avete ucciso la prima volta, attaccandomi a sorpresa, e non ci riuscirete neppure stavolta, maledetti figli di Ares!” –Esclamò Artemide. –“Sarà vostro Padre a piangere la vostra scomparsa, non il mio! Sempre che Ares sappia cosa significhi piangere!”

 

Maledettaaa!!!” –Urlò Phobos, scattando avanti brandendo la Spada Infuocata. Le due lame si scontrarono, sprigionando scintille, quindi si allontanarono, per poi scontrarsi di nuovo, e di nuovo ancora, obbligando i contendenti alla massima concentrazione.

 

Phobos lasciò partire un fendente energetico, che scavò un profondo solco nel terreno, dirigendosi verso Artemide, che per pararlo dovette usare il pugnale, storcendolo di lato e fermando con esso la furia dell’affondo. Questo permise a Phobos di balzare in alto e piombare sulla Dea, con la spada puntata al suo cuore, e fu solo grazie a una fortunata e abile mossa che Artemide riuscì a deviare la lama, scattando a destra e scagliandola via, con un secco colpo di pugnale.

 

“Muori! Per Atteone, e i miei Cacciatori!” –Dichiarò la Dea, puntando il pugnale verso Phobos, ma questi lo fermò, afferrando il braccio di Artemide con entrambe le mani, prima di colpirla con un violento calcio in pieno addome. La brutalità del colpo fu tale da piegare la Dea, mentre Phobos intensificava la violenza dei suoi calci, tempestando il suo ventre, mentre continuava a tenerle bloccato il braccio, fino ad obbligare Artemide a lasciar cadere il pugnale a terra.

 

Sìì... così... da brava… Muori!” –Gridò il figlio di Ares, sferrando un calcio violento dal basso verso l’alto, che raggiunse il mento di Artemide, facendola barcollare all’indietro. In un attimo Phobos richiamò la sua Spada Infuocata, balzando avanti, pronto per tagliarle la gola, ma la Dea si buttò di lato, rotolando sulla verde erba, mentre Phobos cadeva a terra, piantando la lama nel terreno. Artemide sfoderò l’Arco della Caccia, incoccando in fretta una freccia, proprio mentre il Dio della Paura si rialzava, estraeva la spada e si voltava verso di lei.

 

“Ora!!!” –Urlò Artemide, scagliando l’incandescente dardo, che volò verso il cuore di Phobos, il quale tentò di deviarlo con la spada, ma vi riuscì solo in parte ed esso si piantò nel suo coprispalla destro, facendolo urlare dal dolore.

 

Artemide, senza esitazione, scoccò una nuova freccia, obbligando Phobos a risollevare la lama, colpendo dal davanti la freccia ancora in volo. Lo scontro tra le due armi deviò la direzione della freccia, scheggiandola, e sbalzò via l’Infuocata Spada, davanti agli occhi sorpresi di Phobos.

 

“Dardi intrisi della profonda energia della Dea della Caccia e della sua Foresta Sacra!” –Commentò la Dea, assumendo una posa meditativa ed espandendo il proprio cosmo. –“Tutto, qua, mi appartiene! Ed io appartengo alla foresta!”

 

“Che idiozie vai dicendo?!” –Brontolò Phobos, estraendosi la freccia dal coprispalla destro e lasciando uscire il sangue, che macchiò la sua scarlatta armatura.

 

Ma Artemide non rispose, continuando a sprigionare energia cosmica che invase l’intera foresta, che, parve a Phobos, si stava restringendo sempre più, come se gli alberi si chinassero su di loro, come se volessero soffocarli. Deimos raggiunse il fratello, dopo aver scaraventato via Tisifone, e si lanciò insieme a lui contro Artemide, ma essa li travolse con il proprio cosmo, dal colore indaco.

 

“Antichi spiriti della Foresta Sacra, palesatevi! E cacciate l’oscuro invasore che ha fatto strage di vostri servitori, di vostri adoratori!” –Invocò Artemide, socchiudendo gli occhi.

 

“E adesso uccideremo anche te!” –Affermò Phobos, per niente intimorito dal cosmo della Dea.

 

Onde di Terrore!” –Esclamò Deimos, mentre fluttuanti onde di energia scivolavano nell’aria intorno a lui, dirette verso Artemide.

 

“Spiriti della Foresta, spazzateli via!!!” –Gridò la Dea, mentre dal suo corpo si dipartivano indistinte forme, dal colore indaco, quasi impalpabili evanescenze, che saettarono nell’aria travolgendo le onde di energia e abbattendosi sui due fratelli.

 

In quel momento, mentre gli Spiriti della Foresta stringevano con forza i corpi di Phobos e Deimos, i due fratelli pensarono davvero di vedere gli alberi stringersi su di loro, chinarsi sempre di più con le fronde fino a soffocarli. Per un momento parve loro di sentire un gemito, un antico grido di dolore per la morte dei Cacciatori Celesti. Artemide, approfittando della momentanea prigionia dei figli di Ares, corse da Tisifone per sincerarsi delle sue condizioni, ma la donna, per quanto ferita e sanguinante, la pregò di non preoccuparsi di lei.

 

“Sono solo un impiccio!” –Commentò Tisifone, appoggiandosi ad un albero e cercando di rialzarsi.

 

“Non dire così, sai che non è vero!” –Bofonchiò Artemide. –“E non piangerti addosso!”

 

Ma la loro conversazione fu interrotta dalla violenta esplosione del cosmo di Phobos e Deimos che permise ai due fratelli di allentare la loro prigionia dagli Spiriti della Foresta. –“Come potete?!” –Gridò Artemide, incredula. –“Siete dunque figli del demonio più oscuro, da poter contrastare gli antichi spiriti del Bosco Sacro?!”

 

“Divina Artemide, siamo i signori supremi della Paura e del Terrore, e non esiste spirito alcuno che possa essere così forte, così virtuoso, da non avere nemmeno una debolezza, una paura nascosta, che noi possiamo tramutare in terrore puro!”

 

“Maledetti!” –Disse Tisifone, balzando in alto e caricando il braccio destro di scintillante energia. –“Cobra Incantatoreeee!!!” –Ma nuovamente il suo assalto venne respinto e la Sacerdotessa si ritrovò sospesa a mezz’aria, mentre sul suo corpo stridevano con forza biancastre striature di cosmo, che riuscivano ad agire sulle profondità del proprio animo, per quanto Tisifone non comprendesse bene come. –“Pegasus…” –Mormorò infine, cercando di opporre resistenza.

 

Ma le Onde di Terrore parvero aumentare di intensità, crepitando con violenza sull’Armatura del Cancro, mentre Tisifone, pensando al suo adorato Pegasus, lentamente si lasciava andare, sentendo le forze venirle meno.

 

“In guardia, carogne!” –Li richiamò Artemide improvvisamente, incoccando una nuova freccia. E senza attendere la risposta dei figli di Ares, scagliò il dardo incandescente, caricandolo del suo celeste cosmo, che saettò nell’aria, diretto verso Phobos e Deimos, ancora semibloccati dagli Spiriti della Foresta. Con brutalità e ferocia però i due fratelli bruciarono il loro fiammeggiante cosmo, che avvampò nella radura, isterilendo la verde erba del Bosco Sacro, liberandosi dalla prigionia degli ancestrali Custodi della Foresta. Phobos, brandendo la sua Spada Infuocata, tentò di fermare il dardo di Artemide, ma il contraccolpo tra i due poteri fu più potente del previsto, e sia la lama che la freccia si spezzarono.

 

Grrr... Bastarda!!!” –Mormorò Phobos, gettando via l’elsa della spada mozzata.

 

“Darò anche la vita pur di mondare questa terra dalla vostra lurida ed inquinante presenza!” –Tuonò Artemide, il cui cosmo continuò a crescere e ad espandersi, invadendo l’intera foresta di cui era padrona, ma anche guardiana.

 

“Non parlare ad alta voce! Potremmo udirti!” –Ironizzò Phobos.

 

“E sia, dunque!” –Esclamò Deimos, affiancando il fratello. –“Non ci tireremo certamente indietro! Una è già morta!” –E indicò Tisifone, crollata al suolo, con l’armatura scheggiata. –“E tu presto le farai compagnia, nelle desolate lande di Ade!”

 

Artemide non raccolse la provocazione, continuando ad espandere il proprio cosmo, richiamando a sé gli ancestrali spiriti della foresta. Sorrise, sentendo il cosmo di Atteone e degli altri Cacciatori a lei fedeli, la cui energia pulsante era ancora dentro quel Bosco Sacro. Socchiuse gli occhi, prima di lasciar scivolare una corrente energetica, che ridusse la possibilità di movimento dei figli di Ares.

 

Dal canto loro, Phobos e Deimos non rimasero inermi ad attendere l’assalto di Artemide, la quale, dovettero ammetterlo, stava dando loro più filo da torcere del previsto, ed unirono i cosmi per scagliare un devastante attacco. Le biancastre onde di energia di Deimos si unirono all’inquietante cosmo violaceo di Phobos, generando un’unica ostile massa di energia.

 

“Ira di Ares!!!” –Gridarono i due fratelli, scagliando l’attacco congiunto. Artemide riapri gli occhi in quel momento, liberando l’energia immagazzinata, derivatale proprio dalla foresta stessa.

 

“Oh Spiriti della Foresta Sacra, che da millenni difendete questo Divino Monte, accorrete in mio aiuto, datemi la forza affinché io possa proteggere questa terra, questi boschi, questa verde erba, dall’infiammante cosmo dei figli della Guerra!!! Datemi la forza, Spiriti della Foresta, e spazzate via l’odiato nemico!” –Esclamò, mentre evanescenti forme di energia saettarono dalle sue braccia verso i figli di Ares, scontrandosi con forza e vigore con l’Ira di Ares.

 

Resisteremooo…” –Sibilarono Phobos e Deimos, stringendo i denti, mentre la pressione aumentava sempre di più. Gli alberi intorno a loro tremarono, e molti rami si schiantarono, risucchiati dalla devastante potenza della bolla di energia che si era creata nel mezzo alla radura, risultante dallo scontro tra i due poteri. Poteri che sembravano equivalersi.

 

Improvvisamente un terzo cosmo sembrò disturbare l’equilibrio che si era creato, iniziando a spingere gli Spiriti della Foresta e a permettere loro di contrastare la demoniaca Ira di Ares.

 

Tisifoneee!!!” –Gridò Artemide, osservando la donna rimettersi in piedi ed unire il proprio cosmo a quello della Dea della Caccia.

 

“Io non appartengo a questa terra, Spiriti della Foresta!” –Mormorò la Sacerdotessa, incurante delle esortazioni di Artemide ad allontanarsi. –“Ma offro volentieri la mia vita per salvarla dai figli di Ares! Concedetemi di poter lottare insieme a voi!” –Detto questo, concentrò il cosmo, muovendo le braccia a guisa di serpenti pronti ad azzannare. –“Artigli del Cobra Dorato!” –Gridò, liberando il proprio assalto, che si unì a quello di Artemide.

 

In tutta risposta Phobos e Deimos aumentarono l’intensità dell’Ira di Ares, contrastando il rinnovato recupero del cosmo delle due donne, finché la pressione, raggiunti limiti esorbitanti, non determinò l’esplosione dell’intera bolla di energia, in un fragoroso boato che scaraventò indietro i quattro contendenti.

 

Numerosi alberi crollarono, travolti dall’esplosione di energia, e crepe si aprirono nel terreno della Foresta Sacra, facendo precipitare al loro interno i cadaveri dei Cacciatori di Artemide. Fu la Dea della Caccia la prima a rimettersi in piedi, seppur con fatica: la sua Veste Divina l’aveva protetta, per quanto risultasse danneggiata in più punti, soprattutto al ventre, dove ancora accusava il dolore per i calci di Phobos. Si guardò intorno e vide un immenso sfacelo in quello che fino a quel momento era stato il suo regno. Il suo paradiso. E lo sarà ancora! Si disse, stringendo i pugni con rabbia, ma anche con la determinazione di chi non vuole arrendersi. Cercò i suoi nemici, nella polverosa radura distrutta, ma non trovò i loro corpi, né riuscì più a percepire la loro presenza. Un gemito improvviso, proveniente da un albero crollato, la distrasse, spingendola a correre verso la carcassa e a sollevarla con forza, liberando il corpo rimasto intrappolato al di sotto di essa.

 

“Sacerdotessa dell’Ofiuco…” –Esclamò Artemide, aiutando la donna a respirare meglio.

 

“Dea... della Caccia…” –Mormorò Tisifone, il cui volto era pieno di lividi e tagli.

 

“Grazie!” –Affermò semplicemente Artemide, realizzando che il suo aiuto, per contrastare il violento assalto dei figli di Ares, era stato fondamentale.

 

Immediatamente si chiese dove fossero finite le due canaglie, se avessero trovato un’altra preda, magari più facile della rissosa Dea della Caccia, contro cui dirigere i propri attacchi, ma non ebbe molto tempo per pensare che tutta l’aria fu scossa da grida furibonde.

 

“La battaglia tra Ares e Zeus è giunta al suo apice!” –Commentò, sentendo accendersi impetuosi i cosmi delle due Divinità, mescolandosi con quelli dei guerrieri e dei Cavalieri a loro fedeli, che si stavano massacrando lungo la Via Principale.

 

Una fitta aggredì improvvisamente Artemide al cuore, facendola accasciare a terra. Un presentimento che le fece temere il peggio. A fatica si rialzò, aiutata anche da Tisifone, esortando la donna a raggiungere il cuore della battaglia, dove sicuramente ci sarebbe stato bisogno di loro.

 

In quel momento un cosmo amico raggiunse la Reggia di Zeus, portando seco altri due compagni, insinuandosi nel vorticante scontro di cosmi che era in corso sul cielo olimpico e che limitava la possibilità di spostarsi. Aiutato dal potere psichico di Mur dell’Ariete, una scintillante figura, ricoperta da una Veste Divina, fece la sua comparsa nell’atrio del Tempio di Zeus, di fronte agli occhi del Cavaliere d’Oro, di suo fratello Kiki e di Asher dell’Unicorno, che subito si adoperarono per aiutare i feriti che l’uomo portava con sé: Efesto, Dio del Fuoco, e l’ultimo figlio di Eos, Euro.

 

“Divino Ermes…” –Esclamò il Grande Mur, osservando l’aria provata del Messaggero degli Dei.

 

“Ti ringrazio, Cavaliere di Ariete. Per un momento mi sono sentito perso, risucchiato nell’infuocato vortice di energia che si è acceso sopra l’Olimpo! Zeus sta contrastando Ares con ogni mezzo e oscure creature sono state risvegliate dagli abissi dimenticati del tempo!” –Affermò Ermes. –“Questo ragazzo ha bisogno di cure immediate!” –E indicò Euro, esanime tra le braccia di Efesto. –“Dov’è Asclepio? Deve curar…

 

La loro conversazione fu interrotta dal violento sbattere del portone della Sala del Trono, da cui apparve Era, la Regina degli Dei, in lacrime.

                        

“Zeus!!!” –Gridò, correndo verso i Cavalieri e gli Dei presenti. –“Zeus è caduto!!!”

 

“Che cosa?!” –Borbottarono insieme Ermes, Mur ed Asher. E in quel momento tutti sentirono un suono immondo riecheggiare sull’intero Olimpo, un verso terrificante e stridulo, come prodotto da cento bestie atroci, mentre un fetido cosmo, greve ed opprimente, invase il Sacro Monte, venendo percepito chiaramente da tutti i Cavalieri e le Divinità presenti.

 

“Cos’è questo grido?!” –Domandò Asher, sentendo gelare il proprio sangue.

 

“Non è un grido… è un urlo di guerra!” –Commentò Ermes. –“Un urlo carico di sangue e vendetta, voglia di rivalsa su un nemico che lo ha condannato ad un’eterna prigionia, nelle viscere dell’Etna!”

 

Ermes…” –Mormorò Era, prendendo le mani del Messaggero degli Dei. –“È dunque tornato?!”

 

“Madre...” –Intervenne per la prima volta Efesto. –“Flegias lo ha liberato, aiutato da Enio, ed istigato contro l’Olimpo!”

 

La Regina degli Dei non seppe cosa rispondere, visibilmente scossa e preoccupata per l’accaduto; fece cenno ad Ermes e ad Efesto di seguirli nella Sala del Trono, per aiutare il loro Padre a rimettersi in piedi.  Zeus stava infatti fronteggiando Ares a distanza, tramite il cosmo, ed aveva retto bene lo scontro, finché una terribile, nefasta energia ancestrale, oscura come la notte, non si era messa in mezzo, sopraffacendo tutte le altre voci con il suo stridulo grido. Lo sforzo immane aveva travolto Zeus, facendolo barcollare e poi cadere a terra, subito soccorso da Atena, che aveva riconosciuto a sua volta l’origine di quel cupo cosmo.

 

Tifone, la minaccia più oscura del Mondo Antico, era infine arrivato, calpestando le verdi distese dell’Olimpo, e mirando alla sua distruzione. 

 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo venticinquesimo: Tifone e Giasone ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO. TIFONE E GIASONE.

 

Tifone, l’essere più mostruoso che il mondo avesse mai conosciuto, era stato risvegliato dal potere della Pietra Nera di Flegias, e spinto ad attaccare nuovamente l’Olimpo, come sua madre lo aveva incitato secoli addietro. Terrore degli Dei e delle genti, fu cantato persino da Esiodo nella Teogonia, in un ritratto rimasto celebre, poco distante dal vero: Tifone fortissimo: aveva cento gagliarde mani, disposte ad ogni opera, e cento infaticabili piedi di Nume gagliardo; e di serpe aveva cento capi, d'orribile drago, e vibrava cento livide lingue da tutte le orribili teste, sotto le sopracciglia di fuoco: brillavano gli occhi, ardevan fiamme, quando guardava, da tutte le teste. E avevan tutte quante favella le orribili teste, voci emettevan meravigliose, di tutte le specie. Ora parlavan da intenderle i Numi: muggiti alti mandavan poi di tauro, d'immenso vigore, di fiera voce; poi di leone dall'animo crudo; poscia sembravan guaiti di cuccioli, e a udirli stupivi: eran boati poi, n'echeggiavano l'Alpi sublimi.

 

Tifone apparve quel giorno sull’Olimpo fra urla e sibili, in tutta la sua mostruosa enormità, circondato da torrenti di fuoco che sgorgavano dalle cento bocche delle sue teste di drago, terrorizzando persino il cielo stesso. A nulla valsero la difesa degli ultimi Giganti di Pietra, né il patetico tentativo di Demetra di fermare le orride gambe con i suoi alberi: tutti furono spazzati via.

 

I berseker di Ares, nel frattempo, erano stati fermati davanti al Tempio della Guerra, proprio lungo la Via Principale che conduceva alla Reggia di Zeus, dai tre Ecatonchiri risvegliati da Zeus: Cotto, Gige e Briareo, le creature ancestrali che, liberate millenni prima dal Signore dell’Olimpo dalla prigionia del Tartaro, gli avevano offerto il loro onesto aiuto.

 

Spuntati dal terreno, i tre Ecatonchiri si erano avventati immediatamente contro i guerrieri di Ares, afferrandoli con le loro cento braccia, schiacciandoli a terra con il loro immensi piedi e con le clave e le rozze armi che brandivano, incuranti della pioggia di frecce e dei violenti raggi energetici che i berseker dirigevano loro contro.

 

“Coraggio!” –Esclamò un uomo, ritto sul suo carro. –“Non arretrate! Per la gloria e per la guerra! Per il nostro Signore e Padrone, Ares il distruttore!!! Ares il brutale!!! Berseker, avanzate!!!”

 

Costui era Enomao del Carro Furioso, un uomo di mezza età, dal volto bianco e i capelli grigi, consumato dall’odio e dallo spirito di suo padre, che gli aveva donato i cavalli alati che guidavano il suo carro. Era uno dei tanti figli illegittimi che Ares aveva avuto da donne mortali, come Tereo e Driante, come Cicno il Brigante, come Eveno, Molo, Pilo e Testio. Tutti crudeli, feroci, bastardi, riflesso indistinto dell’inquinato animo di un uomo che mai li aveva amati né conosciuti, solamente usati. Come carne da cannone. Per incitare gli altri soldati a seguirli in guerra, contando sulla loro volontà di emergere, e sulla loro rivalità.

 

Ma per quanto corrosi dal demoniaco cosmo di Ares, i berseker procedevano con maggiore cautela, facendosi timidamente avanti, demoralizzati e spaventati dalle immense figure degli Ecatonchiri che torreggiavano sopra di loro, facendo strage dei loro compagni d'armi.

 

L’arrivo di Tifone rincuorò l’animo dei figli di Ares, che ordinarono a tutti i berseker di avanzare, come Phobos e Deimos avevano in precedenza intimato loro.

 

“Fino alla Reggia di Zeus!!!” –Gridò Enomao, sbattendo le briglie del proprio carro, e facendo nitrire selvaggiamente i neri cavalli alati.

 

Sììì!!!” –Tuonarono gli altri figli di Ares, sollevando le armi. –“Fino alla Reggia di Zeus!!!”

 

Ma in molti berseker, per quanto avanzassero ferocemente, l’arrivo di Tifone aveva provocato una reazione inversa, di terrore allo stato puro piuttosto che di felicità, ed era proprio il panico, la paura di quell’immonda bestia, a spingerli avanti, sempre più vicini all’obiettivo finale ma anche sempre più distanti dall’infernale creatura.

 

Vampate incandescenti circondarono l’avvento di Tifone, che rase al suolo tutti gli alberi del basso versante dell’Olimpo, calpestandoli, schiacciandoli come mosche, mentre le vipere annidate nel suo corpo uscivano fuori, sibilando orribilmente, avvolte in lingue di fuoco. Persino Enomao e gli altri figli di Ares dovettero trattenere il fiato, ammutoliti, quando l’immonda sagoma del figlio di Gea comparve su di loro, più orribile di qualunque idea si fossero fatti su di esso.

 

Con ferocia, Tifone si abbatté sugli Ecatonchiri, ingaggiando con loro un mostruoso combattimento corpo a corpo sul medio versante del Sacro Monte, facendone un immenso campo di battaglia. Grida mostruose lacerarono l’aria, mentre il cosmo di Ares infiammava nuovamente l’animo dei berseker, che si lanciarono lungo la via, tra gli alberi, tra le gambe degli Ecatonchiri, per allontanarsi quanto prima dai deformi contendenti. Non tutti però riuscirono a passare oltre, travolti e coinvolti nello scontro titanico che avvampò sull’Olimpo; alcuni furono schiacciati da Tifone e dagli Ecatonchiri, altri caddero nelle faglie che distrussero il terreno, e l’intera retrovia fu massacrata da una violenta ed improvvisa esplosione di luce.

 

Aaargh…” –Gridarono i berseker, mentre una bomba di energia esplodeva dietro di loro. Quelli che sopravvissero, quando si rialzarono e voltarono, videro un giovane avanzare verso di loro, ricoperto da una scintillante Armatura Celeste, con raffinate striature argentate, che copriva interamente il corpo ben fatto, dotata di uno scudo rotondo sul braccio sinistro e di una spada fissata alla cintura. Il Cavaliere non era molto alto, ma robusto, e aveva un viso maschile, reso ancora più virile da una vistosa cicatrice sulla guancia destra proprio sotto l’occhio, scuro e brillante.

 

“Giasone!!!” –Esclamarono alcuni berseker, riconoscendo l’uomo.

 

“Fatevi sotto, canaglie di Ares! Come già vi dissi al Bianco Cancello, la vostra sorte è segnata!” –Gridò Giasone della Colchide, sollevando lo scudo luminoso.

 

Sbruffonee!!!” –Replicarono i berseker, lanciandosi contro di lui.

 

Un buon numero di spade e di lance si abbatté sul Cavaliere Celeste, che dovette usare tutta la sua abilità per evitare di essere ferito. Giasone sapeva muoversi alla velocità della luce, parando con il proprio robusto scudo gli affondi dei nemici, mentre con la mano destra brandiva la lucente lama. Ma anch’egli, per quanto periodicamente spazzasse via un buon numero di guerrieri usando il proprio cosmo, presto si trovò in difficoltà, da solo, contro decine e decine di avversari violenti e sanguinari, interessati a nient’altro che non affondare le loro lame dentro il suo corpo.

 

“Scudo della Colchide!!!” –Gridò l’argonauta, mentre una violenta esplosione di luce travolgeva un gruppetto di berseker. Ma per ogni nemico che cadeva subito un altro ne arrivava, con una spada insanguinata, una lancia o una picca, impedendo al Cavaliere Celeste qualsiasi riflessione strategica.

 

Iiiiikk!!!” –Uno stridulo suono riecheggiò nell’aere, così acuto da spaccare i timpani di qualsiasi essere umano, così carico di odio e violenza da far rabbrividire il sangue anche ad un morto.

 

Numerosi berseker si tapparono le orecchie per lo spavento, gettandosi a terra con la testa tra le mani, ed anche Giasone, per quanto desiderasse non lasciarsi abbattere, fu stordito da quel lacerante grido che sentì echeggiare fino nel profondo della sua anima. Sollevò lo sguardo al cielo, osservando l’immonda sagoma infuocata di Tifone sovrastare su di loro, impegnato ad affrontare i tre Ecatonchiri risvegliati da Zeus.

 

Gige era stato abbattuto, crollando sull’Olimpo tra le grida delle sue cinquanta teste, schiacciando templi ed alberi, e devastando ulteriormente la morfologia del Sacro Monte. Ma Cotto e soprattutto Briareo erano determinati a non cedere, per quanto orribile e spaventosa fosse l’orrida figura che avevano di fronte. Coraggio Briareo! Mormorò Giasone, stringendo i pugni. Sei l’unico che può fermare Tifone! L’unico che può proteggere il nostro Signore Zeus e l’Olimpo da quell’orrida bestia! Un secco colpo di sciabola si abbatté sul suo scudo, obbligando Giasone ad interrompere i suoi pensieri e a concentrarsi sulla battaglia, proprio come Briareo stava facendo.

 

Briareo, il più fedele a Zeus dei tre Centimani, apparteneva alla Prima Generazione Cosmica, proprio come Tifone, essendo figlio di Urano e di Gea, ma a differenza del fratellastro egli aveva sempre posseduto uno spiccato senso dell’onore, che lo aveva portato ad ammirare il Signore dell’Olimpo, colui che lo aveva liberato dalle oscure prigionie di Tartaro. Aegaenon lo chiamavano gli uomini, era noto non soltanto per la sua grandezza, che da molti fu giudicata superbia, ma anche per la generosità del suo animo, per la riconoscenza che provava per il suo liberatore Zeus. Fu citato da Esiodo nella Teogonia, da Virgilio nell’Eneide, e persino nella Commedia Dantesca, come essere smisurato, insieme ad altri giganti mitici. Col tempo il suo nome si perse nel mito, diventando indistinta leggenda, e poche rimasero le gesta non opacizzate che si cantavano su di lui. I più lo ricordavano come un gigante deforme, e solamente in pochi, Zeus ed i più valenti ed aperti di mente tra i Cavalieri Celesti, conoscevano il suo vero valore, la profondità del suo animo incorrotto.

 

“Accetterei la sua deformità, se potessi avere un decimo del suo spirito puro e incrollabile!” –Amava ripetere Giasone. E anche Phantom dell’Eridano Celeste la pensava come lui, rimembrando le leggende che sua madre Elena gli aveva cantato da giovane, prima di addormentarsi, alcune proprio su Briareo.

 

“Non cedere!!!” –Gli urlò Giasone dal basso, incitando l’Ecatonchiro a non mollare, per quanto terribile e tremendo fosse lo sforzo a cui era sottoposto.

 

Le vipere infuocate delle gambe di Tifone si allungarono, attorcigliandosi intorno alle braccia di Briareo e del fratello Cotto, mordendoli con violenza, sbranando le loro carni, mentre getti di fuoco sgorgavano dalle molteplici teste di drago del mostro. Gli Ecatonchiri, più piccoli come dimensioni, cercavano di resistere, brandendo clave e mazze, colpendo Tifone ripetutamente, tentando di evitare le vampe infuocate e le vipere velenose, ma presto si resero conto di non avere la forza per contrastarlo del tutto, sorretto com’era dal malefico cosmo di Ares, ulteriormente potenziato da un misterioso potere oscuro, che accendeva letali istinti nell’orrida bestia.

 

Briareo!!!” –Intervenne improvvisamente una voce, parlando all’animo dell’Ecatonchiro, che subito la riconobbe. –“Ho fiducia in te! Come l’ho sempre avuta, fin da quando ti liberai dall’orrida prigionia del Tartaro, concedendoti la libertà, per quanto molte altre Divinità, della mia celeste famiglia, mi consigliassero di fare diversamente! Ho fiducia in te, e sono certo che mi aiuterai, combattendo insieme a me questa dura battaglia!”

 

Dopo poco il cosmo di Zeus scomparve, entrando nell’Ecatonchiro, donandogli nuovo slancio e vigore, approfittando anche di una momentanea, quanto improvvisa, diminuzione dell’ardente cosmo di Ares, che parve a Zeus, e alle altre Divinità, farsi leggermente più distante. Rapide e violente botte di clava colpirono Tifone, facendolo infuriare sempre di più, mentre stridule grida laceravano l’aria, precedendo le infuocate vampate delle teste di drago. Grida udibili su tutto l’Olimpo, compresa la Reggia di Zeus, ultimo baluardo a difesa del libero mondo degli uomini.

 

Fratello…” –Mormorò Kiki, impegnato, insieme a Mur, a riparare la corazza di Asher nell’armeria. –“Lo fermeranno gli Ecatonchiri, non è vero?”

 

Ma il Grande Mur non rispose, continuando a lavorare all’Armatura dell’Unicorno, potenziandola con Polvere di Stelle e Gamanion, ancestrali elementi di cui aveva imparato a servirsi grazie agli insegnamenti del suo maestro, Shin dell’Ariete. Sospirò, poggiando lo scalpello su un tavolo, prima di alzarsi e raggiungere una vetrata che dava proprio sul giardino antistante la Reggia di Zeus, poche centinaia di metri sopra il terreno su cui si stava consumando l’infuocato combattimento.

 

“Non è semplicemente uno scontro tra due deformi creature ancestrali, tra Ares e Zeus, ma un vero e proprio conflitto tra mondi diversi, tra prospettive di vita differenti, di guerra e di pace, di ombra e di luce, di fuoco distruttore e di verdi campi consolatori!” –Esclamò Mur, poggiando una mano sulla spalla del preoccupato fratellino. –“La sconfitta di Briareo e degli Ecatonchiri non soltanto ci lascerebbe inermi di fronte a Tifone e ad Ares, ma rappresenterebbe la fine di un sogno!”

 

“Dici il vero, Cavaliere di Ariete!” –Esclamò una voce maschile, entrando nell’armeria. –“Ed ammiro la tua perspicacia!” –Un giovane dai mossi capelli castani, con viso candido ed etereo, su cui spiccavano due profondi occhi grigi, ispiranti saggezza e antichità, entrò nella stanza, camminando a fatica, aiutato da Asher dell’Unicorno: Euro, Vento dell’Est, figlio della Dea Eos.

 

Briareo non rappresenta soltanto la possanza olimpica, la determinata capacità di resistenza del nostro Signore…” –Aggiunse il Dio, parlando con voce gentile ed armonica. –“Egli riproduce gli Olimpici Fasti, il perduto splendore di purezza e tenacia che un tempo caratterizzava il Sacro Monte, e che, ahimè, è andato scomparendo col passare dei secoli. Gli Dei si sono fatti sempre più superbi, sempre più avari dispensatori di aiuti verso gli esseri umani, e questi, a loro volta, sentendosi sempre più succubi di un destino ingrato a cui non riuscivano a sottrarsi, e privi dell’aiuto necessario in cui tanto avevano confidato, hanno cessato di venerarli, sostituendoli con nuovi idoli, per compensare quell’ansia di assoluto che portano dentro! Ma Briareo non è cambiato, mai! In tutti questi secoli è rimasto lo stesso, eterno, grato e riconoscente al mio Signore, l’unico, tutt’oggi, in grado di ricordare al Sommo Zeus i veri motivi di questa guerra, i valori supremi di onestà e fede capaci di svecchiare gli Dei dell’Olimpo e rinfrescare il loro assopito animo!”

 

Nuove grida lancinanti sferzarono l’aria dell’Olimpo, mentre il cielo fosco si andò oscurando sempre di più, promettendo una violenta tempesta.

 

“Arrivano!” –Mormorò Mur, sentendo, proprio come Euro, numerosi cosmi ostili dirigersi verso la Reggia di Zeus, probabilmente i berseker che gli Ecatonchiri e Giasone non erano riusciti a fermare.

 

Euro non disse altro, ringraziando Asher per il sostegno e incamminandosi verso l’uscita, mentre la scintillante Veste Divina del Vento dell’Est, celeste con grandi ali colorate fissate sulla schiena, si disponeva sopra di lui.

 

“Non combatterai da solo questa guerra, figlio di Eos!” –Esclamò Mur, seguendolo. –“Mur dell’Ariete sarà con te!”

 

“Ed anche Asher non si tirerà indietro!” –Affermò Unicorno con decisione, mentre Kiki gli mostrava l’armatura, riparata dal fratello col suo aiuto.

 

“Nobili cuori impetuosi i vostri, Cavalieri di Atena!” –Sorrise Euro, prima di allontanarsi. –“Per quanto il mio cuore appartenga alla mia caverna della Tracia, sarebbe un onore essere sepolto al vostro fianco, qua o nel cimitero di Atene. A fianco di uomini coraggiosi che non hanno indietreggiato di fronte a morte certa, come gli eroi del Mondo Antico, che con le loro azioni cercavano di trionfare sull’ineluttabilità del tempo, che tutto travolge e tutto porta a dimenticare!”

 

Mur e Asher si scambiarono un’eloquente occhiata, ma prima che potessero dire qualsiasi cosa nuove grida demoniache risuonarono sull’intero Olimpo, mentre immonde vampate di fuoco facevano strage di alberi sacri.

 

Tifone aveva afferrato Cotto, il secondo Ecatonchiro, e lo stava stritolando con le maledette vipere, mentre lingue di fuoco dilaniavano le sue carni e le zanne dei draghi affondavano nelle sue braccia, distruggendo la corazza protettiva. Nonostante l’atroce dolore Cotto non si lasciò cadere, difendendosi con determinazione, brandendo decine di clave, con le sue numerose braccia, e lanciando violenti colpi contro Tifone.

 

Ai suoi piedi Giasone, impegnato ad affrontare alcuni berseker di fronte a quel che restava del crollato Tempio di Ares, tirò un urlo nel vedere le mostruose vipere annodarsi intorno alle braccia di Cotto, sibilando perversamente, accompagnate dalle loro vampe infernali.

 

“Non distrarti Cavaliere! La morte arriverà anche per te!” –Gridò un berseker, puntando una lancia contro Giasone. Ma il Cavaliere Celeste fu abile ad evitarla, spaccandola con un secco colpo di spada, prima di travolgere il guerriero di Ares e piantargli la lama in gola, sempre più stanco. Da un’ora ormai stava affrontando berseker in continuazione, e la sua forza si era notevolmente ridotta, appesantita anche dall’indemoniato cosmo di Tifone, il cui greve alone aleggiava su tutto l’Olimpo, provocando inquietudine e sgomento nell’animo di tutti i presenti. Pensò a Castore e Polluce, desiderando essere insieme a loro a combattere, e si augurò che fossero usciti indenni dallo scontro: aveva sentito infatti i loro cosmi avvampare poc’anzi, e immaginava avessero ingaggiato combattimento contro altri guerrieri di Ares.

 

Improvvisamente un sibilo proveniente da dietro la sua nuca lo distrasse, spingendolo a voltarsi e a scansarsi di lato, giusto in tempo per evitare che un’acuminata lancia lo ferisse in pieno collo.

 

“Ma... cosa?!” –Gridò Giasone, osservando i suoi nuovi nemici.

 

Vennero dall’alto, trasportati da una nave volante, grande e robusta, sulle cui vele spiegate erano intessuti mostruosi animali, e sul cui ponte stavano almeno un centinaio di feroci berseker, armati di tutto punto dalle fiammeggianti armi del loro signore. In mezzo alla massa di soldati semplici, l’argonauta percepì anche qualche cosmo vasto e pericolosamente ostile, contro cui non avrebbe avuto facile vittoria come contro i guerrieri di basso rango che aveva decimato finora.

 

“Giasone!!!” –Frusciò una voce, proveniente dalla nave volante, ma il Cavaliere Celeste inizialmente non la riconobbe. Fissò con attenzione il grosso vascello, mentre decine e decine di berseker si buttavano giù, scendendo dalle scalette di corda appena calate o semplicemente gettandosi verso terra, e d’un tratto la riconobbe. Ed ebbe un brivido.

 

Argo…” –Mormorò Giasone, identificando la nave che lo aveva condotto, secoli addietro, alla ricerca del Vello d’Oro, nella leggendaria Colchide.

 

Per un momento la sua mente abbandonò l’insanguinato scontro olimpico e volò indietro, trasportata dal vento della memoria. E Giasone si ritrovò là, nel porto di Pagase, dove Argo, uno dei suoi compagni, gli aveva mostrato con orgoglio la nave che aveva costruito, utilizzando il legno dei boschi del Monte Pelio, battezzandola proprio con il suo nome. Atena inoltre aveva aggiunto alla prua dell’imbarcazione una trave proveniente dal bosco di Dodona, antica città dell’Epiro dove risiedeva un tempio dedicato a Zeus; tale trave aveva poteri divinatori ed era in grado di rincuorare gli animi, e si rivelò infatti molto utile in quel lungo e periglioso viaggio, per evitare inutili sommosse a bordo e angosciose preoccupazioni dell’ignoto.

 

“Argo!” –Aveva ripetuto con orgoglio Giasone, quel lontano giorno, presentando ai compagni l’immenso vascello. –“La nave che ci condurrà nella Colchide a prendere il Vello d’Oro!”

 

Pochi giorni dopo aveva riunito i suoi compagni, i cinquantacinque Argonauti, ed era salpato alla volta del Mar Nero, alla ricerca del Vello dell’Ariete d’Oro. Tra di essi vi erano anche Castore e Polluce.

 

“E adesso è qua! Fluttuante nel cielo di fronte a me!” –Mormorò, osservando la tozza sagoma della nave oscillare sopra di lui. –“Perché?” –Si chiese, ricordando il destino della nave, da lui stesso fatta incagliare a Corinto, offrendola in dono a Nettuno.

 

Ma non ebbe il tempo di abbandonarsi a nuovi perché, che dovette fronteggiare un’impetuosa carica dei berseker, i quali, riunitisi tra loro, si erano lanciati avanti, puntando le loro aguzze picche contro il Cavaliere Celeste, che si trovò costretto a sollevare ancora il proprio scudo, liberando la scintillante energia del suo cosmo. La luce della Colchide travolse i berseker, ma non tutti ne furono abbagliati; quando infatti Giasone abbassò lo scudo, trovò due guerrieri, ricoperti da oscure vestigia, in piedi di fronte a lui, appena sbarcati dalla nave di Argo, che loro stessi avevano condotto sull’Olimpo.

 

“Finalmente ci rivediamo, Giasone!” –Esclamò uno dei due, con profonda voce maschile.

 

“E non sarà un incontro di piacere!” –Gli fece eco l’altro, la cui voce era più stridula.

 

Giasone rimase per un momento immobile, a fissare i due guerrieri di fronte a lui, i cui cosmi, lo sentiva, aveva già incontrato secoli addietro, vivendo insieme a loro la straordinaria epopea degli Argonauti.

 

Il primo che aveva parlato era alto e robusto, con muscolose braccia che reggevano un mazzafrusto, un viso maschile con folta barba nera, irsute sopracciglia e mossi capelli scuri sfilacciati; indossava un’armatura dallo stile nordico, dal colore ocra, con accese sfumature rossastre, mentre il secondo era più magro, e snello, ricoperto da un’armatura violacea, dagli inquietanti contorni color mogano, che rappresentava un enorme serpente dotato di due teste, ciascuna simboleggiata dai coprispalla, dotati persino degli infuocati occhi del rettile; il suo viso era simile a quello del compagno, seppure più scavato e con radi capelli scuri, e questo fece ricordare Giasone.

 

“Ma voi... siete…” –Mormorò, incredulo di trovarsi di fronte ai suoi vecchi compagni. –“Ascalafo e Ialmeno!!!”

 

“In persona!” –Rispose il primo dei due.

 

“Cosa fate qua? E perché indossate le armature scarlatte dei…?” –Domandò ingenuamente Giasone, ma la risposta di Ialmeno gli tolse ogni dubbio.

 

“Hai forse dimenticato di chi siamo figli?! Del Sommo Ares in persona, che ci ha riportato a nuova vita, per combattere nel suo esercito, affidandoci la guida di un intero battaglione!”

 

Ascalafo! Ialmeno! Ma voi non potete servire Ares! Non potete! Io vi conosco, abbiamo combattuto insieme, navigato per il Mediterraneo fino alla lontana Colchide, e so che il vostro cuore è puro! Voi siete onesti, generosi, leali.. come potete esservi asserviti ad Ares?!”

 

“Non siamo qua per udire una predica da parte tua, Giasone!” –Lo zittì Ascalafo. –“Ma per prendere la tua vita se oserai fermare la nostra avanzata e quella dei nostri soldati!”

 

“Ma che stupidaggini vai dicendo, Ascalafo?! Sai bene che non permetterò a nessuno di raggiungere la Reggia di Zeus!”

 

“Questa era la risposta che attendevamo…” –Mormorò Ialmeno, sollevando il braccio destro, con la mano aperta, mentre bruciava il proprio cosmo concentrandolo sulle dita. –“Artigli del male, ghermite!” –Immediatamente le unghie della mano si allungarono, caricandosi di energia cosmica, che sfrecciò verso il Cavaliere Celeste sotto forma di acuminati e inquietanti artigli violacei.

 

Giasone, per difendersi, sollevò lo scudo avanti a sé, costringendosi a ridurre in parte la propria visuale, per non essere raggiunto dagli acuminati artigli di Ialmeno, che fendevano l’aria, piantandosi nel terreno e sbattendo con forza contro lo Scudo della Colchide. Così facendo però non fu in grado di prevenire l’assalto di Ascalafo, il quale balzò avanti, roteando le palle chiodate del proprio mazzafrusto ed abbattendole con forza contro lo scudo, spingendo Giasone indietro, mentre gli Artigli del Male lo travolgevano, penetrando la sua corazza in più punti.

 

Contrariamente alle speranze dei due fratelli, Giasone si rimise immediatamente in piedi, ansimando e sputando sangue, ma deciso a fermare la loro avanzata.

 

“Non ci lascerà passare!” –Commentò Ascalafo, quasi dispiaciuto.

 

“Poco importa!” –Lo zittì Ialmeno. –“Allora lo uccideremo!”

 

“Provaci!!!” –Sibilò Giasone, sollevando lo scudo, che immediatamente sprigionò un’abbagliante ventaglio di energia che travolse i due fratelli spingendoli indietro.

 

“Maledizione!” –Ghignò Ascalafo. Ma Ialmeno resistette alla potenza dello Scudo della Colchide, sogghignando diabolicamente, prima di vedere Giasone accasciarsi a terra, sulle proprie ginocchia, mentre sangue sgorgava dalle ferite che i suoi artigli gli avevano procurato.

 

Cough... Cough…” –Tossiva violentemente il Cavaliere Celeste, sputando sangue e sudando a dismisura, mentre il suo respiro si faceva sempre più difficoltoso.

 

“Cosa gli hai fatto?!” –Domandò Ascalafo, incamminandosi verso Giasone a fianco del fratello.

 

“Gli Artigli del Male sono intrisi del veleno dell’Anfesibena, il simbolo del mio potere!” –Sogghignò Ialmeno, portandosi di fronte a Giasone. –“Veleno, ovviamente, mortale!”

 

E nel dir questo sollevò nuovamente il braccio destro, aprendo il palmo e caricando le proprie unghie di tossica energia cosmica, che calò subito verso il basso; ma Giasone sollevò in fretta lo scudo, senza avere la forza per rialzarsi, riuscendo a parare gli affondi velenosi di Ialmeno.

 

“Stupido!” –Lo derise Ascalafo, colpendolo con un violento calcio al petto, che Giasone non poté evitare, in quanto occupato a proteggersi dagli Artigli del Male. La botta spinse l’argonauta indietro, facendolo rotolare sul terreno, in una pozza di sangue.

 

“Non hai la forza per opporti ai figli di Ares! Lasciaci prendere la nostra vendetta, il nostro momento di gloria che troppo a lungo ci hai negato!”

 

“Che... vi ho negato?!” –Balbettò Giasone, rimettendosi in piedi a fatica. –“Ma cosa stai dicendo?”

 

“Tu ci hai oscurato fin dall’inizio, Giasone!” –Lo accusò Ialmeno, con tono più aggressivo del fratello. –“Prendendo tutti i meriti e tutta la gloria e lasciando noi nel baratro della dimenticanza!”

 

“Questo non è vero, Ialmeno!” –Si difese Giasone. –“Eravamo una squadra, cinquantacinque compagni che hanno sfidato la collera divina e le intemperie dei mari burrascosi per giungere nella Colchide! Le nostre imprese sono rimaste per secoli e secoli, per millenni, nella memoria delle genti e degli Dei! Nessuno ci ha dimenticato!”

 

“Nessuno ti ha dimenticato!” –Precisò Ascalafo. –“Tu soltanto hai avuto gloria e onori! Tu soltanto sei stato celebrato per averci condotto alla ricerca del Vello d’Oro! Tu hai ottenuto le lodi, l’amore di una donna che hai rifiutato ed infine l’immortalità! Mentre a noi…

 

“A noi non è rimasto niente, se non la morte in battaglia, di fronte alle mura di Troia, durante la grande guerra!” –Continuò Ialmeno, pieno di rabbia. –“Ma adesso è giunto il momento che tu paghi per le tue mancanze, che anche noi conquistiamo il posto al sole di cui hai beneficiato per secoli! E lo faremo sconfiggendo te, che sei stato la nostra maledizione, la nostra croce!”

 

E nel dir questo espanse nuovamente il proprio cosmo violaceo, caricando i lunghi artigli delle sue braccia di velenosa energia cosmica, mentre il fratello, al suo fianco, roteava con forza il mazzafrusto, pronto per lanciarsi contro Giasone, il quale, suo malgrado, sollevò nuovamente lo Scudo della Colchide, pronto per affrontare i suoi vecchi compagni.

 

Medea! Pensò infine il Cavaliere Celeste, ricordando la donna che aveva amato e sposato, tra mille peripezie. Questa è la tua maledizione! Che mi perseguita da secoli, impedendomi di essere felice! Pagherò mai le mie colpe, se può un uomo avere avuto colpe che il tempo non abbia cancellato?!

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Capitolo ventiseiesimo: Il giardino delle Esperidi ***


CAPITOLO VENTISEIESIMO. IL GIARDINO DELLE ESPERIDI.

 

Con dispiacere e preoccupazione, Pegasus, Cristal, Andromeda, Phoenix e Scorpio avevano lasciato Sirio e Libra alle prese con il terribile Gerione, confidando nella forza dei due amici e nella loro naturale intesa, sfrecciando lungo la scalinata di marmo, diretti verso il luogo dove un tempo sorgeva l’Undicesima Casa. Che non l’avrebbero trovata apparve loro evidente fin da metà corsa, quando, lungo il bordo della scalinata, iniziarono a notare alti alberi dai verdeggianti rami torreggiare sopra di loro. Prima una vegetazione rada, poi sempre più fitta, al punto che la scalinata iniziò ad essere ricoperta di un consistente strato di muschio, fin poi a scomparire, lasciando il posto all’erba, a un sentiero erboso che si dipanava in mezzo ad alti fusti di alberi dall’acre odore.

 

“Incredibile!!!” –Mormorò Andromeda, guardandosi intorno stupefatto.

 

Il bosco nel quale terminarono la corsa non somigliava a quello del Terzo Tempio, non solo perché quello si era rivelata un’illusione ma anche per la diversità degli alberi, molto più grandi e lucenti, e per l’aria che si respirava. Un’atmosfera mitica, dove pungenti odori raggiungevano le narici dei Cavalieri di Atena, infondendo in loro uno strano sentimento di serenità, quasi di fiacchezza.

 

“Sembra un vero paradiso…” –Commentò Pegasus, osservando gli alberi attorno.

 

I rami erano grandi e nodosi e si lanciavano verso l’alto, intrecciandosi tra loro, quasi come ad afferrare un frammento di infinito che era loro negato, mentre foglie d’oro cadevano dagli alberi, delicate come farfalle, rendendo ancora più mitico e intrigante quell’ambiente.

 

“Che sia dunque questo…” –Mormorò Cristal infine. –“Il Giardino delle Esperidi?!”

 

“La penultima fatica di Eracle!” –Continuò Scorpio, guardando estasiato il bosco. –“Nel Mondo Antico era situato in un luogo remoto dell’Occidente, sulla cima del Monte Atlante, e vi era custodito un melo dai frutti d’oro! L’albero era un dono di Gea, la Madre Terra, ad Era, in occasione del suo matrimonio con Zeus! Le Esperidi ne erano le custodi, le Ninfe del Tramonto, alle quali Eracle, per ordine di Euristeo, portò via i frutti d’oro, aiutato da Atlante!”

 

“Che Ares lo abbia ricreato qua?!” –Mormorò Pegasus.

 

“Ma la leggenda racconta anche di un altro custode del bosco d’Oro…” –Commentò Cristal, con voce preoccupata. –“Ladone!” –Sibilò, ghiacciando il sangue degli amici.

 

Improvvisamente un fruscio sulle foglie cadute fece voltare gli amici, giusto in tempo per vedere una sagoma nascondersi tra gli alberi.

 

“Chi va là?!” –Gridò Pegasus. Ma Andromeda lo pregò di fare silenzio e non scomodarsi troppo.

 

“Ci penserà la mia catena a portarlo qui! Chiunque egli sia!” –Dichiarò, liberando l’arma, che sfrecciò nell’aria senza tempo di quel mitico bosco, sollevando, al suo passaggio, cumuli di dorate foglie cadute, correndo dietro al suo obiettivo. –“Ecco! L’ho preso!” –Esclamò con decisione, prima di ritirare la catena e scoprire il loro misterioso osservatore.

 

Ma…” –Balbettò Cristal, osservando la catena ritornare indietro, trascinando una figura sul terreno. –“È una fanciulla!”

 

“E com’è bella!” –Mormorò Pegasus, ammaliato dal fascino della giovane.

 

La ragazza era piccola e gracile, con biondi capelli sfilacciati, lucenti come polvere d’oro, carnagione chiara, eterea, e limpidi occhi verdi, che fissavano i Cavalieri con paura. Indossava una veste bianca, leggera e trasparente, che permetteva di vedere le sue graziose forme all’interno.

 

“Chi sei?!” –Domandò Andromeda, liberando la ragazza dalla morsa della catena.

 

“Prudenza Andromeda!” –Esclamò Phoenix, ricordando i precedenti inganni di cui erano rimasti vittime. Ma la fanciulla, appena libera dalla catena, cercò di fuggir via, correndo scalza sull’erba fresca, ma fu prontamente fermata da Cristal, che con un rapido spostamento alla velocità della luce si pose di fronte a lei, pregandola di trattenersi e non avere timore.

 

“Non essere spaventata!” –Esclamò dolcemente il Cigno, osservando la ragazza tremare impaurita. –“Non vogliamo farti del male! Sempre che tu non voglia farne a noi!”

 

“Non dovevate venire! Andate via!!!” –Affermò la giovane, cercando di divincolarsi dalla presa.

 

“Ehi, calmati!” –Continuò Cristal, subito affiancato da Andromeda, mentre Scorpio, Phoenix e Pegasus si guardavano intorno, preoccupati per i segreti e i pericoli che quel bosco nascondeva.

 

“Siamo Cavalieri di Atena!” –Esclamò Andromeda, sperando di tranquillizzarla. –“Dobbiamo raggiungere la Tredicesima Casa! Puoi indicarci la via per uscire dal Bosco d’oro?!”

 

“Non esiste via alcuna per uscire dal Bosco d’Oro!!!” –Mormorò la ragazza, visibilmente spaventata. –“Ivi per sempre resterete, vivi o morti! Ladone non vi farà mai uscire di qua!!!” –Quelle parole aumentarono la tensione nei cinque Cavalieri di Atena, decisi più che mai a trovare il modo per andarsene quanto prima dal Giardino delle Esperidi.

 

“Dobbiamo provare comunque…” –Affermò Cristal, con voce serena. –“Se tu potessi aiutarci, graziosa fanciulla, te ne saremmo grati!”

 

Egle!” –Sorrise finalmente la ragazza.

 

“Come?!” –Ripeté Cristal, non comprendendo.

 

Egle è il mio nome! Ninfa del Tramonto!”

 

“Dunque tu sei… una delle Esperidi?!”

 

“Mi chiamano anche la Lucente, e sono una delle tre Esperidi, custodi di questo Giardino!” –Si presentò la giovane, mentre Cristal allentava finalmente la presa su di lei, lasciandola libera. –“Temo per la vostra vita, giovani Cavalieri! È rischioso per voi l’accesso a questo bosco sacro!”

 

“Lo sappiamo! Ma è il nostro dovere di Cavalieri!” –Le rispose Cristal.

 

“Il dovere spesso danneggia l’incolumità! Egli sarà qua tra breve e…” –Ma non fece in tempo a terminare la frase che la Catena di Andromeda vibrò, sollevandosi di scatto, mentre un’agile figura sfrecciava tra i Cavalieri, atterrandone un paio e balzando sopra Scorpio, sbattendolo a terra.

 

“Muori!!!” –Ghignò il nuovo arrivato, sollevando il braccio destro. Un secondo dopo la Catena di Andromeda era già arrotolata intorno al suo polso, prima che un deciso strattone lo sollevasse bruscamente, liberando il Cavaliere di Scorpio.

 

“Chi sei?!” –Tuonò Pegasus, bruciando il proprio cosmo, presto seguito da Phoenix, mentre Cristal si metteva davanti alla ninfa, per proteggerla.

 

“Licaone!” –Rispose la figura dall’aspetto sgraziato. –“Il Guardiano del Bosco d’Oro!”

 

Era un uomo sulla quarantina, di media altezza e corporatura esile, leggermente gobbo, con un viso scuro ma scavato, una forma del cranio singolare, con gli archi degli zigomi molto distanziati, creste ossee robuste e grandi orecchie arrotondate, occhi rossastri e corti capelli neri radi; indossava un’armatura a macchie nere, gialle e bianche, dalle sembianze del Cane Selvaggio che gli aveva dato nome, tanto che era persino dotata di una coda, con la caratteristica macchia bianca in cima.

 

“È uno dei figli di Ares!” –Esclamò Egle terrorizzata. –“Orribile e violento, si diverte a spaventare noi Esperidi, nel tentativo di abusare dei nostri corpi!”

 

“Taci, cretina!” –La zittì Licaone, scattando avanti. Incurante della stretta al polso della Catena di Andromeda, sfrecciò verso la donna, mentre lunghi artigli spuntavano dalle sue dita, pronti per affondare nel suo collo. Ma Andromeda non glielo permise, scatenando la devastante potenza delle Onde del Tuono, che fendettero l’aria della foresta, travolgendo Licaone e spingendolo indietro. Con rabbia il berseker si liberò della Catena di Andromeda, colpendola con artigli incandescenti, gli stessi che avrebbe voluto piantare nel collo di Scorpio.

 

“Qua termina la vostra corsa, Cavalieri di Atena! Qua, sotto gli alti fusti del bosco d’oro, che accoglierà le vostre morenti spoglie, le vostre supplichevoli lamentele di pietà!!!”

 

“Non essere ridicolo! Sei da solo contro cinque Cavalieri! Per te non c’è speranza!” –Esclamò Pegasus, preparandosi per battersi con lui. Ma Scorpio lo fermò, rivolgendosi a lui con un sorriso.

 

“Voi Cavalieri dello Zodiaco avete già fatto abbastanza! Le ferite sui vostri corpi, non ancora rimarginate, ne sono degna testimonianza! Lasciate a me costui! Affronterà il veleno dello Scorpione d’Oro! Voi cercate l’uscita e correte da Ares!”

 

Scorpio...” –Pegasus esitò per un momento.

 

“Puoi fidarti di lui, Pegasus!” –Intervenne Cristal, sorridendo a Scorpio a sua volta. –“Ho imparato a mie spese che è uomo che porta a termine ciò che promette!”

 

“E sia… ma sii prudente!” –Concluse Pegasus, allontanandosi insieme agli amici.

 

“Siate prudenti voi, amici! Temo che le insidie del Bosco d’Oro siano soltanto all’inizio!” –Mormorò Scorpio, mentre Licaone scattava avanti, veloce come il Cane Selvatico, per fermare la fuga dei quattro. –“Non così in fretta!” –Lo bloccò Scorpio, interponendosi tra loro.

 

Cadiiii!!!” –Gridò Licaone, sfoderando i suoi lunghi acuminati artigli. Ma Scorpio fu abile ad evitarli, muovendosi a destra e sinistra, fino a bloccare la mano del guerriero di Ares, e a lanciarlo con forza contro un albero. Licaone atterrò compostamente al suolo, pronto per caricare nuovamente, ma si accorse di non potersi muovere, trovandosi completamente paralizzato, fermato da sconosciute onde di energia mentale che gli impedivano di spostarsi.

 

“Sono le Onde di Scorpio!” –Esclamò il Cavaliere, mentre cerchi di energia partivano dal suo viso paralizzando il guerriero.

 

Lasciami… liberami!!!” –Gridò Licaone, ma Scorpio non lo ascoltò neppure, limitandosi a sollevare l’indice destro e a puntarlo contro di lui. Immediatamente un’unghia rossa si allungò, brillando come una piccola stella, prima che un raggio di luce rossastra colpisse Licaone in pieno petto, presto seguito da altri due.

 

Aaargh!!!” –Esclamò il guerriero, accasciandosi a terra, e osservando i buchi sulla sua corazza. Ce ne erano due, vicini tra loro, all’altezza della pancia, mentre il terzo raggio, che aveva mirato al cuore, non aveva scalfito la superficie dell’armatura, probabilmente più resistente in alcuni punti.

 

“È l’ago dello Scorpione, mio caro! La Cuspide Scarlatta!” –Esclamò il Custode Dorato, continuando a puntare il dito contro Licaone. –“Il veleno che ti sta entrando nel sangue ti farà impazzire, accasciare a terra per il dolore, bloccando i tuoi centri nervosi e portandoti alla pazzia, alla disperazione, alle grida infinite di panico, quello stesso panico che tu, servo di Ares, vorresti infliggere agli uomini liberi… alla morte, infine!”

 

“Alla morte, eh?!” –Sogghignò Licaone, tentando di rimettersi in piedi.

 

“Precisamente!” –Rispose Scorpio, mentre la punta del suo indice si illuminava nuovamente. Ma non ebbe il tempo di scagliare un nuovo attacco che dovette fronteggiare l’assalto impetuoso di Licaone, il quale, sorprendendo lo stesso Cavaliere, si era liberato dalle onde mentali e si era lanciato su di lui, brandendo i suoi affilati artigli.

 

Scorpio venne spinto indietro, sbattendo la schiena sul terreno erboso, mentre Licaone gli balzò sopra, spingendo gli artigli contro il suo viso. Con un gesto rapido, Scorpio scansò il capo, mentre gli unghioni dell’uomo gli trinciavano confusamente i capelli violacei, prima di poggiare l’indice sul petto dell’uomo sopra di lui. Un lampo di luce scaraventò Licaone in alto, tra le urla dello stesso, mentre Scorpio si rialzava e saltava, sfoderando le dorate chele dello Scorpione.

 

“Prendi!!!” –Esclamò, affondando le chele sul fianco destro della corazza di Licaone, il quale, grondante sangue, ricadde a terra e rantolò sul terreno, in evidente difficoltà, fino a poggiarsi con la schiena ad un albero, ansimando rumorosamente.

 

“Ares dovrebbe scegliere migliori custodi per il proprio territorio!” –Ironizzò Scorpio. –“Ben misero avversario sei per un Cavaliere d’Oro come me!”

 

“E Atena dovrebbe avere più a cuore la sorte dei suoi paladini, anziché inviarli in missioni suicide!” –Rispose Licaone, a tono. –“Poiché nessuno di voi uscirà vivo di qui! Ladone troverà i tuoi amici, e li sbranerà vivi! Incendierà le loro carni, farà a brandelli quelle stupide vestigia che indossano, prima di affondare i suoi denti biforcuti nella loro morbida pelle, sfregiandoli e avvelenando la loro anima!”

 

“Taci!” –Esclamò Scorpio, disturbato dalle violenti parole. E sollevò nuovamente l’indice, pronto per affondare ancora l’ago dello Scorpione nel suo nemico, ma questi, straniando lo stesso Cavaliere, sollevò una foglia dorata, socchiudendo gli occhi e iniziando a recitare un sermone.

 

“Oh foglie del Bosco d’Oro, che da Ares avete ricevuto la fiamma della vita, fermate l’irrispettoso invasore, colui che ha osato levare la mano contro il suo custode! Il vostro custode!” –Mormorò Licaone, lasciando scivolare la foglia nell’aria.

 

Scorpio, sorpreso, non vi diede troppa importanza, liberando l’ago scarlatto della cuspide, che si conficcò nell’armatura di Licaone, proprio all’altezza della spalla. Nonostante il dolore, il figlio di Ares non si disperò, anzi sogghignò, mostrando i denti gialli e carichi di odio, proprio mentre la foglia d’oro si posava sul bracciale destro dell’armatura di Scorpio.

 

“Che strano!” –Mormorò questi, toccandosi il braccio. –“Sento il mio braccio più peso del solito!” –Licaone ridacchiò, rimettendosi in piedi, e osservando una fitta pioggia di foglie dorate cadere su Scorpio, ricoprendolo interamente. –“Ma che sta succedendo?!” –Si chiese il Cavaliere, sentendo il suo corpo sempre più pesante.

 

“Sono le foglie del Bosco d’Oro! Il loro tocco appesantisce le anime degli impuri! E chi più impuro di un Cavaliere di Atena?! Un Cavaliere di colei che, tradendo la propria stirpe materna, aiutò Eracle a profanare il Giardino delle Esperidi, millenni fa, e che adesso ha invaso i Templi dell’Ira, portandovi la distruzione!”

 

“Atena non è… portatrice... di distruzione…” –Le parole di Scorpio si facevano sempre più pesanti, impossibilitato persino a parlare. –“Atena è Dea di pace!” –Il suo corpo era interamente ricoperto di foglie dorate, che pesavano su di lui come massi, schiacciandolo a terra, impedendogli di muoversi, persino di sollevare lo sguardo. La pressione si fece insostenibile, al punto da farlo cadere a terra.

 

“Muori, bastardo!” –Esclamò Licaone, sferrando calci su quell’ammasso indistinto di foglie. –“Il Bosco d’Oro sarà la vostra tomba! Come promesso!” –E continuò a dare calci al Cavaliere.

 

Improvvisamente il guerriero di Ares fece un balzo indietro, sentendo scottare la pianta del suo piede. Non comprendendo si chiese cosa fosse accaduto, prima di vedere le foglie che aveva tanto invocato ardere in un profondo fuoco purificatore.

 

Eeeh?! Che succede?! Chi può fare questo?!” –Gridò, mentre le foglie che ricoprivano il Cavaliere andavano in cenere, arse da un potente calore.

 

“Io!” –Esclamò Scorpio, rimettendosi in piedi. La sua corazza risplendeva di una viva luce amaranto, mentre gli ultimi residui delle foglie del bosco sacro cadevano a terra, venendo calpestate dal Cavaliere.

 

“Tutti quanti abbiamo un fuoco dentro!” –Esclamò Scorpio, espandendo ancora il proprio vasto cosmo. –“E tale fuoco si chiama speranza! E arde come fiamma imperitura in noi Cavalieri di Atena! E nelle nostre armature, riforgiate nelle lande immortali di Muspellheimr, e riparate dalla Polvere di Stelle dei discendenti di Mu!”

 

“L’unica fiamma che vedrai sarà quella del mio padrone, che sterminerà tutti quanti voi!”

 

“Splendi, Cometa di Antares!!!” –Esclamò infine Scorpio, concentrando il cosmo tra le mani. Una sfera di rovente energia apparve tra i suoi palmi, prima che il Cavaliere la dirigesse avanti a sé, come un’incandescente cometa rossastra, travolgendo il guerriero di Ares, che venne colpito in pieno e scaraventato indietro, schiantandosi contro un albero. Quando si rialzò, Licaone vide con orrore crepe innegabili sulla propria corazza, da cui rivoli di sangue iniziarono ad uscire.

 

Dolorante, espanse il proprio cosmo maligno e si preparò per contrattaccare. –“Zanne roventi del Licaone!” –Esclamò, scattando avanti, mentre le unghie delle sue mani si allungavano, diventando affilati artigli. Scorpio, in tutta risposta, tentò di fermarlo pungendolo con l’Ago dello Scorpione.

 

“Cuspide Scarlatta! Insinuati tra le crepe della corazza del figlio di Ares e flagella il suo corpo martoriato!” –Mormorò, puntando l’indice avanti a sé. Rapide linee di rossastra luce si diressero verso Licaone, mentre questi scattava in direzione di Scorpio con gli unghioni affilati, trafiggendolo in più punti e dilaniando il suo corpo dal dolore.

 

A fatica, il figlio di Ares riuscì comunque ad avvicinarsi a Scorpio, il quale si difese col braccio sinistro, piantando in esso le incandescenti zanne del Licaone, frantumando in parte la sua corazza. La distanza ravvicinata giocò comunque a suo sfavore, permettendo a Scorpio di perforare il pettorale della sua armatura proprio all’altezza del cuore.

 

“Ago della Cuspide!” –Bisbigliò il Cavaliere, affondando dentro il petto del figlio di Ares.

 

Licaone, ferito e avvelenato dal veleno dello Scorpione, si accasciò a terra, proprio davanti al Cavaliere, il quale, temendo un nuovo trucco del figlio di Ares, lo colpì con un violento calcio in pieno viso, scaraventandolo in alto, esponendolo all’ultimo suo attacco.

 

“Qua, tutto finisce!” –Esclamò Scorpio, trapassandolo ancora con i suoi raggi.

 

Il Custode del Bosco d’Oro ricadde a terra molti metri addietro, in una pozza di macabro sangue che macchiò l’incontaminata erba del giardino fatato. Subito, una lenta pioggia di foglie dorate iniziò a cadere su di lui, posandosi sul suo corpo, quasi come per coprire le sue ferite. Ma anche Scorpio si accasciò, toccandosi il braccio sinistro, dove Licaone aveva piantato i suoi artigli incandescenti, distruggendo la sua corazza. Sentendo esplodere i cosmi dei suoi amici, si rialzò immediatamente, cercando di localizzarli usando il proprio cosmo. Ma non fu facile, perché quel bosco era magico, permeato da strane correnti di energia mistica che rendevano difficile individuare un punto preciso.

 

“Ih ih…” –Mormorò infine Licaone, con le ultime forze. –“Giunge infine la morte per tutti.. anche per voi, Cavalieri di Atena! È solo questione di ore… di attimi…” –Non aggiunse altro e si spense, sotto cumuli di foglie dorate, senza neppure uno sguardo compassionevole di Scorpio, il quale, per quanto dolorante fosse, sfrecciò via, tra i fitti alberi del Giardino delle Esperidi alla ricerca dei propri amici.

 

***

 

Pegasus, Cristal, Andromeda e Phoenix, dopo aver lasciato Scorpio alle prese con Licaone, sfrecciarono tra i dorati alberi del Giardino delle Esperidi, guidati da Egle, la Lucente Ninfa, che li incitava a far in fretta, prima che Ladone si accorgesse di loro. Ma i loro sforzi si rivelarono vani, essendo raggiunti in fretta dal vero guardiano del Giardino delle Esperidi, l’immenso serpente posto da Era a guardia dell’albero dalle mele d’oro, ora richiamato in vita da Ares, grazie al potere della Pietra Nera, e posto come Undicesima Fatica dei Cavalieri di Atena.

 

La terrà tremò sotto i piedi di Pegasus e compagni, scuotendo gli alberi, le cui alte fronte tremarono impaurite, lasciando cadere centinaia di foglie dorate, mentre Egle iniziò ad urlare.

 

Iiih…” –Gridò la ninfa, avendo riconosciuto il maligno cosmo del Guardiano del Giardino Sacro.  Ma le sue grida si persero nel boato che accompagnò l’arrivo del viscido verme, che spuntò dalla terra, ricoperto da polvere e terriccio, presentandosi in tutta la sua orribile mostruosità.

 

Ladone, figlio di Echidna e Tifone, era una delle bestie più orribili del Mondo Antico, della stessa stirpe divina, e perversa, di Cerbero, Ortro, dell’Idra di Lerna e del Leone di Nemea; aveva la forma di un immenso serpente, dalla squamosa pelle olivastra, rivestita di un’oscura bardatura, per proteggerlo dalle lame dei suoi nemici. La sagoma sembrava richiamare un Drago, anziché un serpente, tanto grande era, e tanto affilati erano i suoi denti aguzzi, sempre pronti ad affondare dentro carne umana. Gli occhi erano iniettati di sangue, orribili solo a vedersi, e capaci di provocare terrore con un semplice sguardo, e la lunga lingua rossa era biforcuta.

 

“Dei dell’Olimpo!” –Mormorò Pegasus. –“È orribile! È dunque questo il serpente guardiano del Giardino delle Esperidi?!”

 

“Sono proprio io!” –Sibilò Ladone, sorprendendo i quattro Cavalieri. –“A differenza di molte altre creature primordiali, gli Dei concessero a me, Ladone, il privilegio di parlare e dialogare con gli uomini, comprendendo il loro linguaggio!” –Quindi spostò lo sguardo su Egle, fulminandola per aver tentato di condurli via dal Giardino, mentre la ragazza gridò spaventata.

 

“Non temere!” –La rassicurò Cristal. –“Nessuno oserà farti del male, finché Cristal sarà di fronte a te!” –Ladone non rispose, sollevando l’immensa testa, inspirando e poi abbassandosi su di loro, aprendo le fauci e liberando un violento getto di fuoco.

 

“Attenti!!!” –Gridò Phoenix, scansandosi insieme ad Andromeda.

 

“Maledizione... ma sputa pure fuoco?! Ma che è un drago?!” –Brontolò Pegasus, rotolando sul terreno erboso.

 

Cristal cercò di difendere la ninfa dalla violenta vampata di Ladone, venendo raggiunto sulla schiena dalle mortali fiamme del serpente, che arsero sulla sua già provata corazza.

 

Cavaliere…” –Mormorò Egle, vedendo il dolore che il ragazzo provava, bruciando al posto suo.

 

Non… preoccuparti…” –Le sorrise Cristal, molto tiratamente. Quindi si voltò di scatto, accendendo il suo limpido cosmo, e si lanciò verso Ladone, caricando il pugno destro del suo potere glaciante. –“Polvere… di Diamanti!!!” –Esclamò, dirigendo la tempesta di ghiaccio verso la bocca dell’orrido serpente, il quale, prontamente, rispose con una nuova vampata infuocata.

 

Phoenix si lanciò su Cristal, afferrandolo in tempo, prima che le fiamme lo travolgessero, dopo aver spazzato via la Polvere di Diamanti, venendo feriti soltanto di striscio.

 

Andromeda e Pegasus attaccarono in quel momento, contemporaneamente, il primo tentando di afferrare il guizzante colpo del serpente, intrappolandolo con la sua catena, e il secondo puntando al cranio della bestia, liberando migliaia di lucenti fulmini. Ma i loro attacchi furono vani, non riportando Ladone danno alcuno, e liberandosi in fretta dall’effimera prigionia della Catena di Andromeda, scuotendo selvaggiamente la coda squamosa, con la quale spazzò via i due Cavalieri, scaraventandoli contro alberi poco distanti.

 

“Pegasus! Andromeda!” –Urlò Phoenix, accorgendosi di essere l’unico ancora in piedi. –“Maledetto lombrico!!!” –Esclamò, bruciando il proprio cosmo infuocato. –“Muori, Ali della Feniceeee!!!”

 

L’ardente tempesta scosse gli alberi tutti intorno, stridendo con forza sulla corazza protettiva del figlio di Echidna, senza comunque infrangerla, e senza spaventare l’immenso serpente, che si limitò a inspirare con il proprio naso, assorbendo l’infuocato assalto, e rispendendolo poi indietro, dalle proprie narici, sotto forma di violente vampate di fuoco, che sorpresero lo stesso Phoenix, obbligandolo ad incrociare le braccia avanti a sé, venendo comunque spinto indietro.

 

Uah ah ah!!!” –Rise sonoramente il grande serpente, torreggiando sui Cavalieri di Atena, piccoli passeri che avrebbe presto carbonizzato. –“Siete divertenti, Cavalieri!”

 

“Divertenti eh?!” –Mormorò Pegasus, infuriato, rimettendosi in piedi. –“Vediamo se trovi divertente questo! Cometa lucente!” –Esclamò, concentrando il cosmo tra le mani, sotto forma di una sfera di energia, e lanciandosi avanti, assumendo proprio la forma di una luminosa cometa.

 

La meteora umana volò verso le fauci di Ladone, ma questi, senza scomporsi troppo, liberò una furibonda vampata di calore, frenando l’avanzata della Cometa Lucente.

 

“Pegasus!!!” –Urlò Phoenix, preoccupato che l’amico potesse venire arso vivo.

 

“Lo ucciderà!” –Gridò Andromeda.

 

“No! Se glielo impedisco io!” –Esclamò Cristal, espandendo il suo freddo cosmo. Sollevò le braccia sopra la testa, caricandole della sua gelida energia, prima di sbattere i pugni avanti a sé, mirando verso le fauci infuocate di Ladone. –“Aurora… del Nord! Colpisci!” –Gridò, mentre il repentino flusso di ghiaccio correva in alto, scontrandosi con le calde vampate del serpente.

 

In quella, Andromeda liberò la catena, afferrando Pegasus che, indebolito, stava precipitando, e lo tirò a sé, portandolo fuori dal getto caldo di Ladone. Phoenix tentò di aiutare Cristal, non sapendo bene come, non avendo idea di dove colpire, temendo che la coriacea pelle corazzata del serpente avrebbe respinto il suo attacco.

 

Fu Egle a venire in aiuto dei Cavalieri, indicando loro dove colpire. –“Gli occhi!” –Gridò, incitando Phoenix. –“Mira agli occhi!”

 

Senza farselo ripetere due volte, Phoenix espanse il proprio cosmo infuocato, balzando in alto, proprio mentre Cristal si accasciava esausto per il troppo sforzo, continuando comunque a dirigere l’Aurora del Nord verso le fauci di Ladone.

 

“Piume infuocate di Phoenix!” –Gridò, scagliando migliaia di piume incandescenti verso i rossastri occhi di Ladone, il quale, sorpreso dalla repentinità dell’attacco dovette sollevare il viso improvvisamente, scaricando le vampe di fuoco su Phoenix, che venne spinto indietro e ricadde a terra, con l’armatura annerita in più punti.

 

“Stai bene, fratello?!” –Gli corse incontro Andromeda, rialzatosi insieme a Pegasus.

 

Nonostante i numerosi attacchi, anche combinati, che gli avevano rivolto, Ladone era ancora di fronte a loro, torreggiante Guardiano del Giardino delle Esperidi. I suoi occhi iniettati di sangue fissarono i quattro Cavalieri sotto di lui, piccoli insetti dispettosi che avrebbe presto incenerito con le sue ardenti vampe infuocate. Prima però, per vendicarsi del tradimento, avrebbe regolato i conti con la ninfa ribelle, sbranandola viva, per aver suggerito a Phoenix dove colpire. Agitandosi sul terreno, Ladone srotolò la putrida coda, scaraventando via i Cavalieri dello Zodiaco, prima di tuffare il viso in basso, portandosi proprio di fronte ad Egle, ed eruttando roventi fiamme distruttrici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo ventisettesimo: Veleno mortale ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO. VELENO MORTALE.

 

L’Undicesima Fatica si stava rivelando altamente complessa e pericolosa per i Cavalieri dello Zodiaco, i quali, indeboliti dagli scontri alle case intermedie e con le armature danneggiate dal violento combattimento contro il terribile Gerione, non riuscivano ad abbattere il Guardiano del Giardino delle Esperidi: Ladone, il serpente mostruoso, figlio di Echidna e Tifone.

 

Lungo parecchie decine di metri, ricoperto di squamata pelle corazzata, capace di resistere agli assalti dei propri nemici, Ladone era una vera e propria macchina da guerra, risvegliata da Ares per uccidere i Cavalieri di Atena. Poteva parlare ed ascoltare, proprio come un umano, e le sue fauci spaventose eruttavano violente vampe infuocate, che avevano messo a dura prova Cristal e gli altri amici. Adesso, l’oggetto della sua vendetta era una delle tre Esperidi, Egle, la Lucente, che aveva osato ribellarsi a lui, tentando di condurre i Cavalieri di Atena fuori dal Giardino e indicando a Phoenix il punto debole di Ladone: gli occhi.

 

“Muori, donna!” –Sibilò, soffiando infernali fiamme contro la fanciulla indifesa e impaurita. Ma esse non la raggiunsero, venendo fermate da un consistente muro di ghiaccio che Cristal il Cigno aveva appena creato.

 

“Con me!” –Esclamò il giovane russo, afferrando la ragazza e proteggendola.

 

Ladone, infuriato, soffiò ancora più forte, liquefacendo il ghiaccio, ma proprio mentre stava inspirando, pronto per liberare un nuovo violento getto infuocato, il Cavaliere del Cigno saltò in alto, balzando proprio nelle fauci del mostro.

 

Cristaaal!!!” –Urlarono i Cavalieri dello Zodiaco, sconvolti. –“Sei impazzito?!” –Ma Cristal non li ascoltò neppure, brandendo Gramr, la spada che Orion gli aveva prestato prima della battaglia sull’Olimpo e con cui aveva ucciso il drago Fafnir. –“E che adesso ucciderà te, Ladone!” –Gridò, affondando la lama nel palato del mostro.

 

L’enorme serpente, percepito il dolore, si dimenò come un matto, liberando un’immensa vampata di fuoco, che travolse Cristal, scaraventandolo fuori dalla sua bocca e facendolo precipitare a terra, in una nube di fiamme.

 

“Santi numi... Cristal!” –Esclamò Pegasus, mentre l’amico si schiantava al suolo, perdendo sangue.

 

Andromeda e Pegasus corsero ad aiutarlo a rimettersi in piedi, osservando con preoccupazione le numerose ustioni sul suo corpo, nei punti scoperti dall’armatura danneggiata. Persino alcuni capelli erano bruciati, e simboli evidenti di scottature apparivano sul suo candido volto.

 

Efesto dovrà fare un bel lavoro con la mia armatura!” –Disse Cristal, cercando di sdrammatizzare. Bruciò al massimo il proprio cosmo freddo, per congelare le bruciature sul suo corpo, ma il dolore si fece sentire lo stesso. Dopo aver affrontato, in un unico giorno, la crudele Enio, Augia e Gerione, la fatica si faceva sentire in maniera consistente. Come negli altri Cavalieri di Atena.

 

Attentiii!!!” –Gridò Phoenix, urlando agli amici di spostarsi.

 

L’immenso serpente, furibondo per il dolore che Cristal gli aveva inferto, si stava dimenando come un folle, sbattendo la sua immensa coda sugli alberi, schiacciandoli come zanzare, travolgendo tutto ciò che incontrava sul suo percorso, mentre immense vampate di fuoco fuoriuscivano caoticamente dalla sua bocca.

 

Cignooooo!!!” –Sibilò Ladone. –“Cignoooo!!! Ti ammazzo!!!” –E sprigionò nuove lingue di fuoco che bruciarono gli alberi intorno agli amici, che arsero la verde erba dell’incantato giardino, mentre colonne di fumo salivano verso il cielo.

 

“Devo affrontarlo!” –Mormorò Cristal, bruciando il proprio ghiaccio cosmo.

 

“Non sei in grado di tenergli testa! Lo attaccheremo insieme!” –Esclamò Pegasus.

 

“Fidati di me!” –Cercò di rincuorarlo Cristal.

 

“Adesso basta!” –Lo afferrò Pegasus per il mento, obbligandolo a guardarlo negli occhi. –“Sono stufo di sentirvi dire che combatterete da soli, tu, Sirio, Andromeda, che affronterete voi il nemico! Non posso più permettervelo!! Non nelle tue condizioni! Perciò niente storie, uniamoci e lo vinceremo insieme!”

 

Pegasus…” –Mormorò Cristal, mentre l’amico lasciava andare il suo mento. Una nuova vampa di fuoco piovve su di loro, obbligandoli a separarsi per non venire colpiti, ma subito i Cavalieri si riunirono.

 

“Coraggio, amici! Insieme!” –Li incitò Pegasus. –“Risplendi, Cometa Lucente!”

 

“Vai, Onda del Tuono!” –Andromeda liberò la saettante catena.

 

“Ali della Fenice!” –Si unì al coro Phoenix, anticipando l’Aurora del Nord di Cristal.

 

L’assalto congiunto dei quattro amici mirò al volto del bieco serpente, sicuri che quella volta lo avrebbero abbattuto. Ma Ladone, nuovamente, utilizzò le narici per aspirare l’energetico potere dei Cavalieri, espellendolo poco dopo, dirigendo il flusso contro di loro.

 

Noooo!!!”–Urlò Pegasus, travolto insieme agli amici e scaraventato lontano.

 

“Ci ha rimandato il nostro attacco!” –Mormorò Andromeda. –“Eppure era così potente…” –Ma anche Ladone accusò il colpo, essendo stato costretto ad un grande sforzo, considerando la potenza dell’assalto che i quattro amici avevano lanciato; iniziò a tossire, a dimenarsi ulteriormente, sbattendo la coda e schiacciando tutto ciò che trovava al di sotto, mentre nuove vampate infuocate fuoriuscivano convulsamente dalla sua bocca.

 

“È la bocca il suo punto debole! Devo riuscire a colpirlo di nuovo!” –Mormorò Cristal, rimettendosi in piedi, e ringraziando mentalmente Orion per il dono ricevuto.

 

“Niente gesti suicidi, Cristal, ti prego!” –Cercò di frenarlo Pegasus.

 

“Stai tranquillo!” –Sorrise l’amico. –“Ho abbandonato quei progetti molti mesi fa, quando un gruppo di vecchi compagni di infanzia si ritrovò a lottare per un’Armatura d’Oro!”

 

Già…” –Sorrise anche Pegasus. –“Sembra passata una vita…

 

“E invece era solo ieri…” –Commentò Cristal, prima di voltarsi nuovamente verso Ladone, immenso, sopra di loro. –“Lascialo a me, Pegasus... ti prego! E conduci Andromeda e Phoenix con te! Soltanto una casa ci separa da Ares! Non possiamo morire tutti qua!”

 

“No! Non possiamo!” –Annuì Pegasus. –“E questa possibilità non si prospetta neppure per te!” –Precisò, per quanto alla fine cedesse alla richiesta dell’amico.

 

In quel momento Ladone si chinò nuovamente su di loro, scaricando immense vampe di fuoco che arsero gli alberi rimasti intorno ai Cavalieri, anche quelli dietro i quali si erano riparati. Cristal tirò un’occhiata a Pegasus, e poi a Andromeda e Phoenix, quindi scattò in avanti, uscendo da dietro l’albero carbonizzato, circondato dal bianco cosmo della sua costellazione.

 

“Vieni Ladone! Cristal il Cigno è qua!” –Gridò, evocando il suo potere. –“Polvere di Diamanti! Via!” –E lanciò contro il serpente la sua violenta tempesta glaciale, vicinissima allo Zero Assoluto.

 

Ladone tentò di respingerla con le sue vampe infuocate, ma si accorse di non riuscire a contrastarla completamente, tanta era l’intensità e la determinazione che Cristal stava riversando in essa.

 

In quella, Pegasus, Andromeda e Phoenix scivolarono sul terreno sottostante, cercando di fuggire via, ma furono comunque notati da Ladone, che cercò di fermarli, dirigendo il fuoco verso di loro, ma esponendosi così al freddo potere di Cristal.

 

“Maledizione, Cigno!” –Tuonò Ladone, infuriato, mentre gli sbuffi di rovente energia si facevano sempre più pressanti. –“Mi hai fatto scappare le mie prede! Muori anche per loro!!!” –Ed emise una tremenda vampata di fuoco che travolse la Polvere di Diamanti.

 

Sto... cedendo... Mormorò Cristal, sentendo le forze venire meno. Ma non posso cadere ancora! Non finché Pegasus, Andromeda e Phoenix non saranno lontani a sufficienza! Cercò di farsi forza e contrastare con il gelo l’impetuosa violenza infuocata di Ladone, fino a crollare in ginocchio.

 

Sììì! Cosììì… Cadiii!” –Sibilò il serpente, chinandosi su di lui per abbrustolirlo.

 

Improvvisamente una puntura, piccola, se paragonata all’immensa mole dell’animale, ma fastidiosa, lo disturbò, proprio sul mento, distraendolo e obbligandolo a spegnere le proprie fiamme.

 

“Uh?! Cos’è stato?!” –Si chiese Ladone, prima di vedere una veloce macchia dorata correre sul terreno, raggiungere Cristal e portarlo fuori dal getto di fuoco. –“Chi seeei?!”

 

Un uomo alto e dai lunghi capelli violacei, ricoperto da una dorata armatura dall’effige dello Scorpione, era in piedi sotto di lui, e stava aiutando Cristal a rialzarsi.

 

“Milo di Scorpio!” –Esclamò l’uomo con baldanza. –“Cavaliere d’Oro di Atena!”

 

Scorpio…” –Balbettò Cristal, molto debole, stretto al corpo del compagno.

 

“Non preoccuparti, Cristal! Riposa! Affronterò io questo essere immondo!” –Sussurrò il Cavaliere d’Oro al ragazzo, prima di depositarlo delicatamente a terra. –“Lo affidò a voi!” –Aggiunse, rivolgendosi alle due ragazze nascoste tra i pochi cespugli rimasti.

 

Aretusa ed Esperia, le Ninfe del Tramonto, che avevano guidato Scorpio dai suoi compagni, alla ricerca anche della loro sorella.

 

“Milo dello Scorpione!!! Bene bene…” –Sibilò Ladone. –“Sarà un piacere affrontarti, mio caro artropode! Ah ah ah!”

 

“Non proverai piacere alcuno invece, bestia infernale! Ma solo dolore!” –Commentò Scorpio, bruciando il proprio cosmo. –“Il dolore che la Cuspide dello Scorpione d’Oro provocherà in te!!!” –E nel dir questo concentrò il cosmo sull’indice destro, liberando un violento fascio di luce rossa, diretta verso il mento del serpente, il quale sentì una nuova puntura, che lo disturbò, per quanto non gli provocasse dolore alcuno.

 

“Cos’è questo ridicolo colpo? Vorresti ferire me, il più grande dei serpenti, con il tuo ridicolo aculeo?!” –Rise Ladone di gusto, beffandosi dell’attacco di Scorpio. –“Sei patetico, Cavaliere!” –E smosse la grande coda squamosa, cercando di schiacciarlo. Ma Scorpio, sfruttando la velocità della luce, di cui era padrone, a differenza di Ladone che, per quanto potente e resistente, era lento nei movimenti, data la stazza, evitò i colpi della coda, cercando poi di contrattaccare.

                                                                               

“Vai incontro alla morte!” –Sbuffò Ladone, osservando Scorpio correre verso di lui. –“Muori!! Fiamme delle Esperidi!!!” –E scaricò sul Cavaliere immense vampate di fuoco.

 

Scorpio cercò di evitare le fiamme, ma poi decise di giocare d’astuzia, correndo per un po’ intorno al corpo serpentiforme di Ladone, mentre la creatura continuava ad eruttare fiamme, prima di balzare, con un abile salto, proprio su di esso, piantando le dorate chele dentro di lui. Sbadatamente, preso dalla foga della battaglia, Ladone soffiò nuove fiamme, dirigendole verso Scorpio, finendo per bruciare parte del proprio corpo.

 

“Maledetto!” –Sbuffò Ladone, irato per essere stato giocato.

 

“Adesso basta!” –Esclamò Scorpio, fermandosi ed espandendo il proprio cosmo. Sollevò una gamba, assumendo una posizione anomala ma che gli permetteva di creare e controllare imponenti scariche di energia, dirigendole verso Ladone, sotto forma di una vorticosa tempesta cosmica.

 

“Stai attento, Scorpio!” –Gridò Cristal, sicuro che Ladone l’avrebbe aspirata e rimandata indietro. –“Non conosci di cosa è capace!” –Ed infatti Ladone, per quanto infastidito da quella tempesta di guizzante energia, la assorbì con le proprie narici, prima di rispedirla al mittente, potenziandole con le sue infernali fiamme, e travolgendo il Cavaliere, che venne scaraventato indietro. –“Scorpio…” –Rantolò Cristal, riuscendo finalmente a rimettersi in piedi e a incamminarsi verso l’amico.

 

“Ho... sottovalutato il mio nemico!” –Mormorò Scorpio, rialzandosi a fatica. –“Un errore imperdonabile per un Cavaliere d’Oro!”

 

“Non crucciarti di ciò, amico mio! E combattiamo insieme!” –Gli offrì la propria mano Cristal. –“Non potrà resisterci!”

 

Scorpio sorrise, lusingato dall’offerta del ragazzo, lo stesso che aveva affrontato all’Ottava Casa, combattendolo in quanto invasore del Grande Tempio. Per un momento la mente di Scorpio volò via, ripensando alla battaglia combattuta proprio contro Cristal. Battaglia nella quale il cuore del Cavaliere d’Oro fu agitato dalla nobiltà d’animo del Cavaliere del Cigno. Nobiltà e fede nell’amicizia, così bella, così pura, come soltanto in uno spirito devoto ad Atena poteva albergare! Rifletté, prima di espandere il proprio cosmo dorato.

 

“Arderete nelle stesse fiamme di morte!” –Sibilò Ladone, sbuffando ferocemente.

 

“Adesso!” –Urlò Cristal, sbattendo le mani giunte avanti a sé. –“Aurora del Nord!”

 

“Veleno dello Scorpione, unisciti in un’unica mortale cuspide, che le quindici stelle di Scorpio racchiuda in sé!” –Gridò il compagno, lanciando un violento raggio di energia verso il viso del serpente.

 

Ladone si difese discretamente bene, fermando l’Aurora del Nord con il suo furibondo sbuffare infuocato, ma non poté far niente per evitare l’ago della cuspide, che lo ferì in pieno viso, poco sotto l’occhio, un punto molto sensibile, che lo fece sbraitare e avvampare ulteriormente.

 

“Non crederai che sia la prima volta che ti colpisco!” –Mormorò Scorpio. –“Per ben tre volte ho lanciato quindici cuspidi contro di te, ben immaginando che la tua pelle sia ben immunizzata dal mio siero! Vedremo quanto veleno riuscirà comunque a sopportare!”

 

“Veleno?! Veleno?!” –Tuonò Ladone, infuriandosi come un forsennato. Violenti sbuffi di fuoco si schiantarono sui due Cavalieri, piegandoli a terra, prima che la squamata coda del serpente piombasse su di loro, sbattendoli contro il terreno.

 

Aaargh…” –Mormorò Cristal, schiacciato dal peso della putrida bestia.

 

Cristal!!!” –Urlò Scorpio, cercando di liberarlo. Ma non appena si mosse venne afferrato dalla punta della coda di Ladone, che si arrotolò tutta intorno al suo corpo, stringendolo con forza, facendo scricchiolare le dorate vestigia.

 

“Veleno dicevi dunque, Cavaliere dello Scorpione?!” –Sibilò Ladone, sollevando l’uomo da terra e portandolo vicino alle sue spalancate fauci. –“Non esiste sostanza che possa risultare letale per me, Ladone, figlio delle mostruose creature primordiali, Echidna e Tifone! Perciò vani e patetici sono stati tutti i tuoi assalti! E adesso pagherai il fio! Ah ah ah!” –E strinse ancora di più la presa, stritolando il Cavaliere d’Oro, incapace di muoversi al suo interno.

 

Cristal, dal basso, cercò di rialzarsi dalla fossa in cui Ladone lo aveva sprofondato, con un colpo secco di coda. Era ferito e sanguinante, ma soprattutto il suo cosmo era debole, ma quando vide Scorpio stretto nella mortifera morsa del serpente non poté non far esplodere il suo cosmo al massimo, evocando gli sconfinati e immortali ghiacci della Siberia.

 

La spada che Orion gli aveva dato si caricò di congelante energia e guidò Cristal alla liberazione dell’amico, seguendo il ragazzo mentre questi balzava agilmente sul corpo squamoso del serpente, dando colpi violenti contro la pelle, affondando la lama in quella coriacea corteccia.

 

Aaargh!!!” –Urlò Ladone, dimenandosi. –“Dannato Cigno!!!” –Sibilò, sbuffando fiamme. Ma non poté dirigerle completamente verso il Cavaliere, in quanto questi si trovava proprio sul suo corpo.

 

Si avventò quindi su di lui con tutto il viso, spalancando le sue fauci artigliate e sbuffando tossiche vampe di fuoco; ma Cristal non si perse d’animo, reagendo con il proprio cosmo gelante e liberando una nuova Polvere di Diamanti, che fu nuovamente assorbita dalle narici del serpente. Prima però che Ladone riuscisse ad espellerla, Cristal lanciò Gramr nella bocca del serpente, lasciando che si conficcasse malamente nella sua gola.

 

Aaargh!!!” –Si disperò Ladone, agitandosi confusamente, senza riuscire a togliere la spada dalla propria bocca, essendosi incastrata all’interno. –“Dannato… dannato, perché mi fai soffrire così?!”

 

Vampe di fuoco sbuffarono dalle sue fauci, mentre il serpente si dimenava disperatamente, liberando finalmente Scorpio dalla stretta morsa della coda, facendolo precipitare a terra. Cristal, sbalzato via dal corpo squamoso di Ladone, raggiunse l’amico, aiutandolo a rimettersi in piedi, e realizzando che anch’egli non era messo molto bene, con i coprispalla frantumati, e numerose parti dell’armatura d’oro scheggiate.

 

Hisss…” –Sbuffò ancora Ladone, tentando di togliere la spada dalla sua gola. Ma non aveva mani per farlo e dovette rimanere a fauci spalancate, con quella lama piantata nel palato, che tanto dolore gli provocava e tanta ira faceva montare in lui. Furibondo, afferrò Cristal con la coda, stritolandolo con violenza inaudita, sbattendolo a terra con forza, frantumando l’Armatura Divina.

 

“Ehi, bestione!!!” –Gridò Scorpio, bruciando il proprio cosmo d’oro. –“Difenditi!!!” –E concentrò il cosmo tra le mani, sotto forma di una violenta cometa infuocata che scagliò contro il viso di Ladone, il quale venne colpito e bruciacchiato sul mento. Ma l’assalto di Scorpio continuò ancora, balzando in alto e continuando a colpire Ladone con violente e continue Comete di Antares, fino ad obbligarlo a liberare Cristal, scaraventandolo via, e ad afferrare lui, con la propria coda.

 

“Perfetto!!!” –Mormorò Scorpio, osservando il suo giovane amico rotolare al suolo. Debole, ma libero! Aggiunse con un sorriso, per quanto lacrime a lungo trattenute inumidirono i suoi occhi.

 

Il fetido fiato di Ladone era su di lui, mentre vampe di fuoco stridevano sulla sua corazza e sul suo corpo, ustionandolo paurosamente. –“Cercavi il veleno, Cavaliere! Eccolo! Sta penetrando dentro di te! Esso è contenuto nel mio corpo, in particolar modo nella mia coda, e stritolandoti, venendo a contatto con il tuo corpo sanguinante, esso penetrerà nelle tue ferite aperte, uccidendoti!”

 

“Non ho paura di morire!” –Affermò Scorpio, con tono serio, cercando di mantenersi calmo. –“Perché la mia vita appartiene ad Atena, ed è per lei e per gli uomini coraggiosi come Cristal, che credono nell’amicizia e che mai si tireranno indietro di fronte ad una causa giusta, pur persa che sia, che combatto! Non posso che essere onorato di dare la vita per salvare lui e i suoi compagni, e per la mia Dea!”

 

Ladone, a quelle parole, si infuriò ulteriormente, perché avrebbe voluto sentire altro uscire dalla sua bocca: grida di dolore, lacrime di terrore, invocazioni di aiuto, suppliche e lamenti. Non stupide frasi sull’amicizia e l’onore. Il cosmo di Scorpio esplose improvvisamente, mentre fendenti di pura energia lacerarono la coda stritolatrice di Ladone, facendolo tuonare in grida di spasimo. Con rapidi movimenti, le chele dorate dello Scorpione si piantarono nella pelle del serpente, scaricando in essa l’intenso fuoco ardente della costellazione.

 

Antareees!!!” –Urlò il Custode dell’Ottava Casa, facendo esplodere il proprio cosmo.

 

La coda di Ladone andò in mille pezzi, travolta dall’ardente energia scatenata da Scorpio, il quale precipitò a terra, scavando una grande fosse nel terreno. Dilaniato da mille tormenti, con una lama incastrata in gola, Ladone si dimenava come un topo in gabbia, osservando l’oscura linfa vitale fuoriuscire dalla sua coda mozzata; si chinò su Scorpio, per bruciarlo vivo, ma si accorse che il Cavaliere era protetto da una cupola di ghiaccio.

 

“L’unico in grado di fare ciò è… Cigno!!!” –Esclamò Ladone, osservando Cristal comparire da dietro la cupola, rialzatosi giusto in tempo per proteggere l’amico.

 

Violente vampe di fuoco si abbatterono sul Cavaliere, il quale tentò di contrastarle con il suo potere congelante. Fuoco e ghiaccio. Male e bene. Lo scontro tra i due era ai limiti della forza fisica, e Cristal, per quanto debole, non sembrava intenzionato ad arrendersi, ma il suo potere glaciante stava aumentando sempre di più, forte di tutte le esperienze vissute.

 

“Non ci sono dubbi!!!” –Mormorò Ladone, osservando la tempesta di ghiaccio spegnere le proprie fiamme a farsi sempre più vicina alla sua gola. –“Questo è lo Zero Assoluto!!!” –Non ebbe il tempo di aggiungere altro che una cometa di ghiaccio centrò in pieno le sue fauci, penetrando all’interno della bocca del serpente, congelandola completamente.

 

“Adesso!” –Esclamò Cristal, sollevando le braccia. –“Guardami Maestro dei Ghiacci, dall’alto dei cieli! Che tu sia fiero di me! Questo è il colpo dell’uomo che ti fece Cavaliere! Scorrete, divine acque!!!” –Un’anfora di energia apparve alle spalle di Cristal, prima che questi la abbassasse, dirigendo il getto verso le fauci semicongelate di Ladone. –“Per il Sacro Acquarius!!!” –Urlò, mentre la devastante potenza dell’aurora si scatenava, congelando il viso del serpente.

 

Stordito e appesantito, il grosso animale barcollò per qualche minuto, ondulando sul Giardino delle Esperidi, prima di schiantarsi a terra, abbattendo alberi e smuovendo ancora la terra.  Anche Cristal crollò poco dopo, esausto, senza più la forza di muovere neppure un dito. Si ricordò però di Scorpio e dell’aiuto che gli aveva dato, e si trascinò fino alla cupola di ghiaccio per sincerarsi delle sue condizioni. Il Cavaliere d’Oro era semisvenuto, molto debole per il veleno penetrato nel suo organismo e per lo sforzo sostenuto, ma fu felice di vedere Cristal sano e salvo.

 

“L’amicizia che lega è un vincolo che non si disonora!” –Mormorò, ricordando il celebre monologo di Cristal, quando, durante la battaglia all’Ottava Casa, aveva esaltato il profondo valore dell’amicizia, che gli aveva impedito di andarsene, come un vigliacco, abbandonando gli amici che tutto significavano per lui. Prima che Cristal potesse rispondere, accennando un genuino sorriso, un’impetuosa emanazione cosmica fece la sua comparsa nella radura, mentre immense vorticanti fiamme di energia travolsero i due Cavalieri, sollevandoli e scaraventandoli indietro.

 

Aaaargh…” –Urlarono Scorpio e Cristal, schiantandosi malamente a terra.

 

“Chi altri?!” –Rantolò Cristal, percependo una demoniaca presenza. Rotolò sul terreno, muovendo gli occhi per vedere chi li aveva travolti col suo potere e non poté trattenere un gemito di terrore quando riconobbe il guerriero dalla scarlatta armatura che era apparso di fronte a loro.

 

Alto e ben fatto, con robusti muscoli, moro, con viso scuro e occhi dal colore della notte, Flegias, figlio di Ares, Flagello degli Uomini, sogghignava circondato da imperiture fiamme, cariche di odio e di malvagità. Indossava la sua scarlatta Veste Divina, che copriva quasi completamente il suo corpo, per quanto fosse priva dell’elmo, e reggeva nella mano destra la sua Spada Infuocata.

 

Flegias…” –Mormorò Cristal, incapace di rimettersi in piedi.

 

“Ben arrivato, Cigno! Non avevo ancora avuto modo di salutarti quest’oggi! Così ho pensato di venire a porgerti personalmente i miei saluti! Ah ah ah!” –Rise sguaiatamente il figlio di Ares, mentre Cristal e Scorpio cercavano di rialzarsi. –“Ma no! Vi prego! Non c’è bisogno che vi alziate... rimanete pure seduti!” –Ironizzò Flegias, prima che una sinistra luce splendesse nei suoi occhi.  –“Così potrò uccidervi meglio!!!”

 

E scattò avanti, veloce come sempre, puntando la sua spada infuocata verso il collo di Cristal il Cigno, il quale non riuscì a muovere neppure una mano per difendersi. Poté solo esplodere in un grido di orrore, quando vide la lama di Flegias trapassare la gola di Scorpio da parte a parte, al punto da raggiungere il petto di Cristal, al di là del Cavaliere d’Oro, il quale, visto l’amico in pericolo, non aveva esitato a fargli da scudo, offrendo la sua vita al violento carnefice di Ares.

 

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo ventottesimo: Chiarimenti necessari ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO. CHIARIMENTI NECESSARI.

 

Ioria e Castalia non avevano avuto molto tempo per parlare, da quando si erano ritrovati, per quanto gli argomenti tra loro non mancassero. Ma durante i due giorni successivi alla fine della guerra sull’Olimpo erano stati entrambi molto impegnati, lui soprattutto. Non soltanto nel rimettersi in sesto, dopo i colpi subiti in battaglia, ma anche nel prendersi cura dei compagni, usando il proprio potere curativo per lenire le loro ferite. Inoltre, Castalia aveva notato che ogni volta in cui, per caso fortuito, riusciva a rimanere sola con Ioria, subito il ragazzo si allontanava o dichiarava di avere qualcosa da fare, altri a cui dedicare il proprio tempo. E questo a Castalia dispiacque molto.

 

Indipendentemente dai suoi sentimenti mai chiariti, e da ciò che era accaduto con il Luogotenente dell’Olimpo, la Sacerdotessa dell’Aquila era comunque molto legata a Ioria, da un’unione profonda, risalente a molti anni addietro, quando il Grande Tempio era dominato dalla malvagia volontà di Arles, e scontri tra Cavalieri, soprattutto di tipo punitivo, erano all’ordine del giorno. Ma anche in quei tempi bui, in cui era normale sentirsi soli e spersi, Castalia sapeva di avere un amico, lo stesso che l’aveva salvata dall’assalto dei Giganti di Crono, un confidente su cui poter contare, Ioria del Leone.

 

“Tutto bene, Castalia?” –La voce di Ioria rubò la Sacerdotessa ai suoi pensieri.

 

“Uh?! Sì…” –Rispose lei, camminando a passo svelto accanto al Cavaliere del Leone. Non sapeva neppure lei come, ma si trovava in missione proprio con lui, impegnati alla ricerca di un amico, il cui cosmo era misteriosamente scomparso da un paio di giorni, sin da quando aveva lasciato l’Olimpo, per inseguire Flegias, il demoniaco figlio di Ares.

 

Per quanto Mur e Libra fossero convinti che Virgo stesse bene, anche se forse era solo un modo per mantenere una calma apparente, nascondendo i dubbi e i tumulti del loro animo, Ioria aveva più volte insistito sulla necessità di mettersi alla sua ricerca. E alla fine, appena Mur aveva riparato la sua corazza, si era deciso a partire, mettendosi sulle tracce dell’amico. Grazie al suo potere psichico, il Cavaliere di Ariete era riuscito a circoscrivere un’area, piuttosto vasta, all’interno della quale poteva trovarsi il loro parigrado, essendo la zona da cui aveva ricevuto l’ultimo debole segnale del suo cosmo. Ioria non aveva perso tempo, avvertendo Atena e Zeus delle sue intenzioni e pregando che lo lasciassero libero di agire, senza trattenerlo.

 

“Non è mia intenzione fermarti, Leone d’Oro!” –Aveva commentato il Signore dell’Olimpo. –“Ma fai attenzione! Grande è la nobiltà del tuo animo, grande è la tua generosità! Spero solo che questa non ti conduca a gesti sconsiderati, e a mettere in pericolo la tua vita, e quella di chi ti sta intorno!”

 

“Non temete, Dio dell’Olimpo! Ioria conosce i propri limiti!” –Aveva risposto il Cavaliere di Leo. –“Ma non posso aspettare ancora! Mi preme trovare Virgo e riportarlo qua, affinché possa combattere al mio fianco contro il Dio della Guerra!”

 

“Stai attento, Ioria!” –Aveva aggiunto Atena, baciando il ragazzo in fronte, ed osservandolo, con un certo dispiacere, lasciare la Reggia di Zeus. –“Che Micene sia con te!” –Per un momento la Dea fu invasa dalla terribile sensazione che non vi avrebbe più fatto ritorno.

 

Prima di partire, incredibilmente, Ioria era passato a chiamare Castalia, trovandola nell’armeria, intenta a parlare con Ganimede. E invitandola ad accompagnarlo.

 

“Sarà una missione pericolosa, e forse saremo costretti a combattere!” –Aveva precisato, avvertendo la donna. –“Non so cosa incontreremo, ma è mio preciso dovere morale salvare Virgo!”

 

“Verrò con te, Ioria!” –Aveva esclamato Castalia, con decisione.

 

I due Cavalieri di Atena si erano quindi recati sull’Etna, raggiungendo l’Olimpica Fornace dove Efesto aveva fatto dono alla ragazza di una nuova corazza, più resistente della precedente, e capace di coprire una parte maggiore del suo corpo.

 

“Ho anche ricostruito la tua maschera!” –Aveva esclamato il Dio del Fuoco, mostrandole una nuova maschera, dagli eleganti ricami argentati. Ma Castalia aveva sorriso, rifiutando la gentile offerta.

 

“È tempo che abbandoni quella maschera, Dio del Fuoco! E mostri il mio vero viso, il mio vero io, che troppo a lungo ho tenuto nascosto!” –E in quel momento si era chiesta se si trattava della maschera che portava in viso, o di quella di cui le aveva parlato Morfeo.

 

Adesso stava camminando con Ioria, in una regione montuosa della Tessaglia meridionale, percorsa da una fitta nebbia, inseguendo la debole e fioca traccia lasciata dal cosmo di Virgo.

 

“Vorrei sapere dove diavolo stiamo andando!” –Commentò il Custode del Quinto Tempio.

 

“Temi per il Cavaliere di Virgo?”

 

“E per te! Quasi mi pento di averti invitato in questa follia!”

 

“Non sentirti in colpa! Ho accettato con piacere, felice per rendermi utile!” –Affermò Castalia, e poi, con il cuore in gola, aggiunse. –“E per passare del tempo con te!” –Ioria non rispose, fingendo di non cogliere l’allusione, e continuò a scandagliare l’ambiente intorno a loro, usando i suoi sensi da felino per trovare la giusta via, capace di portarli fuori da quella nebbia.

 

Ioria…” –Si fermò infine la ragazza. –“Io…” –Ma qualunque cosa avesse in mente di dire, e probabilmente neppure lei lo sapeva, non riuscì ad esprimerla, venendo spinta indietro da Ioria, che con un balzo fu su di lei, tirandola a terra, mentre un ronzio sibilò nell’aria, seguito da sconce grida.

 

“Frecce?!” –Balbettò la Sacerdotessa, osservando un mucchio di dardi conficcarsi nel terreno, a pochi passi dal loro corpo.

 

“Ci stanno attaccando!” –Mormorò il ragazzo, rimettendosi in piedi. –“Maledetti, approfittano della scarsa visibilità!” –E un nuovo nugolo di frecce si abbatté su di loro, costringendo i due Cavalieri a separarsi e a scattare in direzioni diverse, per non essere colpiti.

 

“Uccideteli!” –Urlò una voce roca, proveniente dalle nebbie. Ad essa ne seguirono altre, prima che le rozze sagome di una decina di guerrieri dalle vestigia scarlatte comparissero davanti ai Cavalieri.

 

Ad occhio e croce non sono più di quindici! Rifletté Ioria, accendendo il suo cosmo di bagliori dorati. L’improvvisa vista di una luce simile fermò inizialmente i berseker, abituati a vivere nell’oscurità, ma poi, spinti dai loro superiori, i guerrieri di Ares si lanciarono avanti, brandendo le armi. Ioria mosse velocemente il braccio destro, creando un fitto reticolato di luce, contro il quale si infransero le frecce e le lance scagliate dai berseker, e che poi si abbatté su di loro, distruggendo le loro corazze e i loro corpi.

 

Un guerriero riuscì ad evitare l’assalto, portandosi di fronte a Ioria, sollevando una rozza mannaia e abbassandola di colpo, ma il Cavaliere non ebbe problemi a bloccarla con una sola mano, prima di colpire il berseker con un calcio in pieno stomaco, che gli sfondò l’addome, facendolo accasciare all’istante. Con la stessa scure, Ioria fermò un nuovo assalto di altri berseker armati di spade, prima di tagliare loro la testa, e lanciarla contro l’ultimo guerriero rimasto.

 

“Bene!” –Commentò, di fronte allo spiazzo pieno di cadaveri. –“Sembra che stiamo per arrivare… Non so in che luogo… Ma pare che qua vicino ci sia qualcosa!”

 

Castalia non aggiunse altro, incamminandosi dietro al giovane, passando tra i corpi ammucchiati dei berseker, nauseata dal triste spettacolo. Improvvisamente, un guerriero disteso in terra, fintosi morto, scattò rapido alle spalle della donna, bloccandola con un braccio intorno al collo, mentre nella mano destra stringeva un affilato pugnale nero.

 

Aaah!!!” –Urlò Castalia, sentendo il fetido alito del berseker così vicino al suo viso.

 

“Muori!” –Sibilò il guerriero, piantando l’avvelenata lama nel coprispalla destro della Sacerdotessa, sfondandolo. Un attimo dopo, il berseker, crollò a terra, esanime, mentre una potente sfera di luce gli aveva fracassato il cranio.

 

“Castalia!” –Gridò Ioria, correndo verso di lei, per soccorrerla, con il pugno destro ancora carico di energia lucente.

 

Io…” –Mormorò la ragazza, accasciandosi a terra, mentre con la mano sinistra si toccava la spalla insanguinata. –“Sto bene… Sto bene…

 

Ioria scostò il braccio della ragazza, osservando la ferita. Fortunatamente il gladio avvelenato non era penetrato troppo in profondità, merito della resistenza della nuova Armatura dell’Aquila, forgiata da Efesto. Il ragazzo sprigionò un caldo cosmo, con il quale tentò di lenire il dolore della Sacerdotessa, fermando la fuoriuscita di sangue e cicatrizzando in parte la sua ferita.

 

Per qualche interminabile momento Castalia e Ioria rimasero lì, tra le nebbie della Bassa Tessaglia, in mezzo a un campo di guerrieri morti, a guardarsi negli occhi, senza che nessuno dei due osasse pronunciare parola alcuna per paura di rompere l’incantesimo. Fu Castalia infine, memore della lezione impartitale da Morfeo, a confessare i suoi sentimenti.

 

“Sono anni che cerco di far finta di niente, anni che nascondo il mio cuore dietro un silenzioso velo di ipocrisia! Ma adesso, adesso che la guerra ci ha travolto nuovamente, avvolgendoci ancora nella paura di perdersi per sempre, voglio che tu sappia! Che tu sappia quello che provo, e che mai ti ho detto!” –Esclamò, accarezzando le mani di Ioria. –“Non potrei sopportare un altro rimpianto, non potrei sopportare che l’angoscia faccia nuovamente breccia nel mio cuore, come quando ti seppi scomparso nelle tenebre di Ade, durante l’ultima Guerra Sacra!”

 

“Castalia!” –Mormorò sorpreso Ioria, prendendole le mani tra le proprie e aiutandola a rialzarsi, in modo che fossero in piedi, uno di fronte all’altro.

 

“Quando ero una bambina, sognavo un principe sul cavallo bianco che venisse a prendermi e mi portasse via, dalla mia monotona esistenza, che mi rapisse e mi conducesse in un paese fatato, senza tempo né problemi, dove vivere felici per sempre!” –Confessò la ragazza, con gli occhi lucidi. –“Ma poi, crescendo, ho abbandonato questi miei sogni, diventando una Sacerdotessa, e mettendoli via, nel cassetto della mia infanzia, nel cassetto dei miei rimpianti! La vita mi ha reso realista, a tratti cinica, ed ho imparato che non esistono principi né paesi fatati, né una felicità che possa durare per sempre!”

 

“Sono certo che anche tu, un giorno, potrai essere felice! Per quanto io non creda al destino, al fato che tutto comanda, sono sicuro che il tuo sarà un futuro splendente, a fianco di un uomo che ti ama per quello che sei, piccola stella discesa sulla Terra!”

 

Ioria... E se fossi tu quell’uomo?” –Domandò infine Castalia, tremante. –“Tu che mi hai confortato per anni, salvandomi da numerosi pericoli, incitandomi ad essere forte quando mi lasciavo andare, aiutandomi ad allenare Pegasus, per farne un Cavaliere… Tu, per il quale non sono mai stata in grado di chiarire i miei sentimenti… perché non potresti essere il mio principe?”

 

Ioria non rispose subito, colpito dalla dichiarazione della donna. Sgranò gli occhi, ma cercò di non perdere il controllo della situazione, per non metterla in ulteriore difficoltà.

 

“Non credo che quel ruolo mi si addica, Castalia!” –Sospirò infine, lasciando le mani della Sacerdotessa. –“Per quanto, lo ammetto, vi abbia pensato più volte! A noi, intendo!”

 

“Noi?!” –Balbettò Castalia, facendo un passo avanti, quasi come per aggrapparsi a quell’esile filo di speranza che sembrava spuntare.

 

Già…” –Commentò Ioria, che aveva realmente a cuore la felicità di quella donna, come l’aveva avuta a cuore negli anni precedenti. Ma come una sorella! Rifletté, mentre i trepidanti occhi di Castalia lo fissavano con attenzione. Come una sorella minore di cui prendersi cura, come Micene aveva fatto con me! E come un’amica, certo, una confidente, qualcuno con cui poter parlare e potersi confrontare nella desolata solitudine del Grande Tempio!

 

“Quando tutti mi guardavano con disprezzo, etichettandomi come il fratello del traditore, tu fosti l’unica a tendermi una mano, l’unica a non essere prevenuta verso di me, e ad accettarmi, per quanto poco mi conoscessi!” –Esclamò Ioria, pieno di riconoscenza verso di lei. –“Non sono stati facili, questi lunghi anni al Grande Tempio, ma grazie a te sono stati migliori! Tu, li hai resi migliori! Ogni volta che partivo per qualche missione, ogni volta in cui sceglievo di andarmene in esilio, ad affrontare nemici in giro per il mondo, in Egitto o nella giungla dell’India, pensavo sempre a te, all’unica persona che avrebbe pianto per la mia assenza, all’unica persona a cui sarebbe importato che io non ci fossi!”

 

“Sei sempre stato importante per me!” –Commentò Castalia.

 

“E pure tu per me, un punto fisso della mia vita! Siamo cresciuti insieme, nel disprezzo della gente, perché fratello di un traditore, o semplicemente donna, che aveva allenato un altro traditore! Ma siamo stati forti entrambi a reagire, a non trasformare quel disprezzo in odio, né in disperazione, ma in forza per andare avanti, per continuare a credere in Atena e a combattere! Ed è così che ti ricordo, Castalia, come un’aquila dalle argentee ali, che può essere intrappolata, ma mai piegata, che può essere catturata da una rete, di angosce e rimpianti, ma che sarà sempre capace di aprire le sue ali e volare via, alla ricerca del suo principe. Alla ricerca del suo sogno!”

 

Ioria… Vorrei che fossi tu, quel sogno!” –Affermò Castalia, con le lacrime agli occhi.

 

“Ma non posso esserlo!” –Rispose lui, sinceramente dispiaciuto. –“Perdonami!”

 

Nessuno dei due aggiunse altro, troppo sconvolta lei, troppo amareggiato lui, limitandosi a rimanere in silenzio, prima che una torrida folata di vento li investisse, ricordando loro la missione. Ioria si voltò, incamminandosi lungo il sentiero, proprio verso la direzione da cui la ventata proveniva, seguito a passo stanco dalla Sacerdotessa. Dopo mezzo chilometro la nebbia iniziò a diradarsi, mentre il terreno declinava verso il basso, mostrando tracce di arbusti e di alberi rinsecchiti.

 

E… questo?!” –Sgranò gli occhi Ioria, alla vista dello strano paesaggio di fronte a loro.

 

Un lago di lava incandescente, all’interno del quale sorgeva un’isola, ricoperta da una rada vegetazione spontanea, alla quale si poteva accedere tramite un lungo e sottile corridoio di pietra, largo abbastanza da consentire a due persone di camminare accanto.

 

“Un lago di lava?!” –Mormorò Castalia, osservando l’immensa distesa infuocata di fronte a loro. Quasi avesse udito le loro parole, il lago smosse la propria superficie, creando bolle di lava che esplosero subito dopo, e lunghe increspature che si abbatterono sulla riva, come fossero onde.

 

“Attenta!” –Esclamò Ioria, mettendosi davanti alla ragazza, per evitare che schizzi e lapilli incandescenti la colpissero.

 

“Non preoccuparti!” –Rispose lei, liberandosi in fretta dalla presa del giovane.

 

Ioria percepì un cosmo nell’aria, un debole segnale proveniente proprio dall’isola al centro del lago di lava. Virgo! Si disse, riconoscendo il suo cosmo. Presto saremo da te! E fece cenno a Castalia di seguirlo, lungo lo stretto ponte di pietra. La ragazza acconsentì senza esitare, per quanto provasse un minimo di paura all’idea di passare sopra quell’oceano di lava. Ioria andò per primo, tastando la solidità del corridoio, e Castalia lo seguì, ma non fece in tempo a fare dieci passi che il mare di lava si increspò, creando onde minacciose che si abbatterono sul ponte dietro di loro.

 

“Coraggio! Corriamo!” –Urlò Ioria, incitando la ragazza a muoversi.

 

Veloci come fulmini, Ioria e Castalia sfrecciarono sul ponte, mentre le onde di lava divoravano lo stretto corridoio, ingoiandolo con le loro infuocate fauci. Quando raggiunsero l’isola, ricoperti da lapilli incandescenti, che non riuscirono comunque a danneggiare le loro corazze, notarono con orrore che il ponte non esisteva più e che la loro unica via di fuga era stata annientata.

 

“Troveremo un modo per andarcene!” –Esclamò Ioria, incamminandosi all’interno dell’isola.

 

Il territorio sembrava disabitato, quasi selvaggio, e Ioria non percepì traccia alcuna di cosmo, né presenza di uomini nelle vicinanze. Ma restò comunque in guardia per tutto il tragitto, temendo qualche trucco da parte dei berseker. Castalia era al suo fianco, avendo ritrovato il suo spirito di iniziativa che aveva momentaneamente perso dopo la conversazione con il Cavaliere. Per un attimo si chiese cosa stesse facendo Pegasus, e se stesse già affrontando Ares e i suoi figli, al Grande Tempio. E poi pensò a Phantom, immaginandolo a Glastonbury alla ricerca della fantomatica ultima legione di Zeus.

 

“Guarda!” –Esclamò Ioria, fermandosi, e indicando avanti a sé. –“Delle rovine!”

 

Di fronte a loro, abbandonato da secoli ormai, c’erano i resti di un antico tempio, distrutto in epoca arcaica e probabilmente mai ricostruito. Colonne mozzate e statue abbattute giacevano sparse sul terreno, ricoperte dalla rigogliosa vegetazione che le aveva inghiottite nel loro territorio, mentre tutto quello che restava dell’edificio principale era un paio di pareti semi-abbattute, circondate da colonne in stile greco antico.

 

“Che luogo è mai questo?” –Si domandò Castalia, osservando le lugubri forme delle statue, rappresentanti creature immonde e demoniache.

 

“Che si tratti del Tempio dell’Apocalisse?!” –Fremé Ioria, avanzando con prudenza.

 

“Il Tempio della Guerra, dove Ares radunava i suoi berseker nel Mondo Antico, inviandoli poi in giro per la Grecia a portare morte e distruzione?!” –Esclamò Castalia, quasi terrorizzata.

 

“È un’ipotesi! So che il Tempio del Dio della Guerra sorgeva nella Bassa Tessaglia, regno un tempo governato da Issione, il suo malefico figlio, proprio nella zona dove siamo noi!”

 

Per un momento Castalia si chiese perché Ares non avesse ricostruito il suo palazzo, come avevano fatto Discordia e Apollo, forte del suo Divino Cosmo, preferendo invece occupare il Grande Tempio di Atena. Sicuramente per fare uno smacco alla Dea che lo combatte da millenni! Rifletté, guardandosi intorno, e realizzando che quel luogo, tetro e orribile, non era neppure neanche lontanamente paragonabile allo splendore del Santuario della Dea Guerriera.

 

“Vieni!” –La chiamò Ioria, dirigendosi verso un lato del tempio. –“Sento qualcosa, delle vibrazioni!”

 

Castalia seguì Ioria sul fianco del distrutto Tempio dell’Apocalisse, scendendo insieme a lui nei sotterranei. Inizialmente si ritrovarono in una stanza stretta e buia, ma poi infilarono un ampio corridoio, giungendo in una vasta sala sotterranea, grande quanto la Sala del Grande Sacerdote, alla Tredicesima Casa del Grande Tempio. Incredibilmente, e questo li fece sussultare non poco, alcune torce erano accese, fissate alle pareti laterali della sala sotterranea, che era praticamente vuota, eccezion fatta per alcune armi abbandonate sul pavimento, ricoperte di polvere e di terra. Residui di una battaglia ivi combattuta secoli addietro.

 

Ma la cosa che maggiormente stupì Ioria e Castalia non fu tanto trovare delle fiaccole accese, ma delle gocce di sangue sul pavimento. Una lunga, terribile scia scarlatta che dall’ingresso attraversava tutta la sala, giungendo fino ad un piccolo altare dall’altro lato della stanza. Sopra di esso, appeso come Cristo in croce, con quattro pugnali avvelenati piantati nelle mani e nei piedi, c’era un uomo, mezzo nudo, con le vesti lacere e bruciacchiate, e la testa penzoloni, ricoperta dai suoi lunghi capelli chiari.

 

“Dei dell’Olimpo!!!” –Esclamò Castalia, portandosi una mano alla bocca, spaventata.

 

Virgooo!!!” –Urlò Ioria, riconoscendo immediatamente il compagno.

 

Con uno scatto rapido, attraversò tutto il salone, diretto verso l’altare, per tirare giù il compagno, ma fu travolto all’ultimo istante da vampe infuocate, espressione della violenta emanazione cosmica che si manifestò in quel momento ai loro occhi.

 

Una figura immensa troneggiò su di loro, apparendo circondata da lingue di fuoco, dal colore scarlatto e violetto, che subito avvolsero l’intero salone, divorando ogni cosa che trovarono. Era un uomo, alto e moro, con mossi capelli che fuoriuscivano dal suo elmo scintillante, ricoperto da una decoratissima Veste scarlatta, alla cui schiena erano fissate grandi ali, simboleggianti qualche mostruosa creatura infernale. Alla cintura dell’armatura era fissata una spada, che risplendeva di sinistri bagliori, mentre nella mano destra l’uomo reggeva una lancia, lunga e acuminata, completamente avvolta da incandescenti vampe di fuoco.

 

Ioria fu spinto indietro e ricadde sul pavimento, subito raggiunto da Castalia, preoccupata quanto lui dal nemico che si era posto loro di fronte. Il Dio della Guerra: Ares in persona.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo ventinovesimo: L'infuocato scontro ***


CAPITOLO VENTINOVESIMO. L’INFUOCATO SCONTRO.

 

Tra le nebbie del monte Othris, nella Tessaglia Meridionale, dove Ioria e Castalia si erano recati alla ricerca di Virgo, aveva sede il Tempio dell’Apocalisse, terrificante Santuario in cui Ares, nei tempi antichi, era solito radunare i suoi berseker, prima di scatenare la loro furia sanguinaria e distruttrice in giro per il Mediterraneo. Là, su un’isola circondata da un mare di lava, i due Cavalieri avevano trovato Virgo, crocifisso ad una croce di legno, con quattro pugnali piantati nelle mani e nei piedi. Seminudo, proprio come il Cristo. Ma mentre Ioria si era lanciato verso di lui, per liberarlo, l’incandescente cosmo di Ares aveva fatto la sua comparsa, completamente rivestito della sua Veste Divina, e armato di lancia e di spada, con un ghigno soddisfatto che non faceva presagire niente di buono.

 

A… Ares!!!” –Mormorò Ioria, rimettendosi in piedi. E per un momento un brivido sembrò invadere il corpo del Cavaliere del Leone, scuotendolo da testa a piedi. Ma Ioria seppe resistere alla paura che l’imperiosa figura del Dio della Guerra sapeva infondere soltanto con lo sguardo, e strinse i pugni, accendendo il proprio cosmo.

 

“Siete infine arrivati, Cavalieri di Atena!” –Esclamò il Dio, la cui voce, maschile e profonda, era gravida di odio e di risentimento.

 

“Ci aspettavi?” –Domandò Castalia, con rinnovata baldanza.

 

“È naturale!” –Sogghignò Ares. –“Non avrete creduto di essere arrivati fin qua grazie ai vostri poteri?! Siete qui perché io ve l’ho concesso!”

 

“Maledetto, che cos’hai fatto a Virgo?! Liberalo!” –Esclamò Ioria, rabbioso.

 

“Oh, il Custode della Porta Eterna?! Una degna fine non trovate? Immolato sull’altare della Guerra! Proprio come il Cristo duemila anni fa!!!”

 

Bastardooo!” –Urlò Ioria, incapace di trattenersi ancora. Concentrò il cosmo sul pugno destro e scattò avanti, liberando una devastante sfera di energia cosmica. Ares sogghignò, prima di aprire il polso della mano sinistra, su cui la sfera si infranse poco dopo, e fermarla. –“Uh?!” –Mormorò Ioria, stupefatto, mentre la sfera incandescente veniva rispedita indietro, travolgendo il suo creatore.

 

“Ioria!” –Urlò Castalia, osservando il ragazzo venire scaraventato indietro.

 

“Non temere, donna! Lo raggiungerai presto!” –Chiarì il Nume, stringendo la sua Lancia Divina.

 

Per nulla intimorita e preoccupata per l’amico, Castalia scattò avanti, lanciando la Cometa Pungente. Ma Ares neppure se ne curò, limitandosi a scagliare un raggio energetico dalla lancia, con il quale trafisse in pieno Castalia, obbligandola ad accasciarsi di fronte a lui. Quindi il Dio della Guerra sollevò l’arma, pronto per sfondarle il cranio, ma non ci riuscì per il tempestivo intervento di Ioria, che scattò da lontano, lanciando violenti fasci di luce, che Ares parò con la lancia.

 

“Miserabili e patetici!” –Li disprezzò il Nume. –“Vi ucciderò in pochi istanti!”

 

“Taci, carogna!!!” –Urlò Ioria, scattando avanti, con il pugno carico di energia. Ma Ares lo anticipò ancora, penetrando la sfera lucente con la propria lancia, e facendola esplodere davanti agli occhi attoniti del Cavaliere d’Oro.

 

“Muori!!!” –Tuonò Ares, mentre l’acuminata lancia sfondava il pettorale dell’Armatura del Leone.

 

Ioriaaa!” –Strillò Castalia, in preda allo sgomento, osservando il sangue del ragazzo uscire fuori dal petto, macchiando la dorata corazza. –“Nooo!!!” –E si lanciò nuovamente su Ares, brandendo l’argentea lama che aveva con sé.

 

Il Nume la afferrò per il collo, mentre la ragazza era ancora in volo, e la sbatté con forza contro una parete del tempo, frantumando il collare della sua armatura, mentre lanciava Ioria lontano, con l’asta piantata dentro al petto. Castalia tentò di liberarsi dalla presa del violento Dio, sollevando la sua arma e cercando di piantarla nel suo braccio. Senza riuscire neppure a scheggiare la sua Veste.

 

“Smettila, stupida! Non vedi che non ottieni alcun risultato! Come può una lama d’argento distruggere una Veste Divina?!” –Tuonò Ares, stringendo ancora di più.

 

Il collare dell’Armatura dell’Aquila andò in frantumi, mentre vampate di fuoco circondarono il corpo della Sacerdotessa, stritolandola con forza. Ares, divertito, le afferrò le gambe con un braccio, tirandola con vigore, come fosse un burattino, prima di gettarla via, avvolta tra le sue fiamme mortali. La ragazza sbatté con forza sul terreno, mentre tutto il suo corpo era in preda ad un delirio universale, raggiunto e trapassato dall’infuocato e maledetto cosmo di Ares. Castalia tentò di rimettersi in piedi, si strascicò per qualche metro, ma poi ricadde a terra, con la faccia sul pavimento, incapace di aiutare Ioria in combattimento.

 

Il Cavaliere del Leone si era intanto rialzato, togliendosi la lancia infuocata dal petto e spezzandola, sbattendola sulla gamba destra. Quindi aveva fermato la fuoriuscita del sangue, usando i poteri curativi del suo cosmo, ringraziando Mur per aver riparato così bene la sua armatura, impedendo alla lancia di scendere troppo in profondità.

 

“Bene, Cavaliere! Sei pronto per raggiungere il tuo amico nella desolazione di Ade? Ormai dovreste essere di casa in quei luoghi!” –Ironizzò il Dio brutale, con un ghigno di perfidia sul volto.

 

“Che tu sia maledetto, Ares! Tu e i tuoi discepoli!”

 

“Maledetto?! Oh, lo sono già da un pezzo… ah ah ah!” –Rise Ares di gusto, mentre Ioria espandeva il proprio cosmo di fronte a lui.

 

Per il Sacro Leo!” –Urlò Ioria, dirigendo il potente reticolato di luce contro il Dio della Guerra. Ma questi, con un rapido movimento della sua mano, riuscì ad annullare il colpo del Cavaliere. –“Che cosa?! Ma non è possibile?! Ha fermato il mio colpo sacro!” –Esclamò Ioria, stupefatto. –“I raggi di luce del Sacro Leo sfrecciano in mille direzioni diverse, come può averlo annullato con la sola forza di una mano?”

 

Umpf… sembri un bambino che non ha mai visto il mare!” –Lo derise Ares, prima di stringere tutto il potere del Sacro Leo nel suo palmo sinistro, e rinviarlo indietro.

 

Rapidi e guizzanti fasci di luce si diressero verso Ioria, ma quella volta il ragazzo non si fece prendere alla sprovvista, muovendosi velocemente per evitarli tutti. Non si avvide però di un rapido gesto di Ares, con il quale il Dio si portò di fronte a lui, ponendogli una mano sul petto. Un immenso e devastante potere, infuocato come l’Inferno, sprigionò dal palmo di Ares, avvolgendo Ioria al suo interno. Il ragazzo, incapace di muoversi, restò come sospeso in aria, mentre la violenta esplosione infuocata lo schiacciava, lo stritolava, lo faceva urlare dalla disperazione.

 

Nooo!!!” –Urlò Castalia, ancora a terra, incapace di rialzarsi.

 

“Ah ah ah!” –Sogghignò Ares, prima di spingere con forza e scaraventare il ragazzo avanti a sé, fino a farlo sbattere contro una parete laterale, che crollò su di lui.

 

Lo scossone fece crollare una parte del Tempio dell’Apocalisse, mentre mucchi di terra e di pietre caddero nella sala sotterranea, senza preoccupare minimamente Ares, il quale si limitò a ritornare all’altare, di fronte al Cavaliere d’Oro crocifisso.

 

A fatica, Ioria si liberò del terreno e delle pietre crollate su di lui, ansimando per la mancanza di fiato, e per il dolore. L’Armatura del Leone, che Mur aveva riparato poche ore prima, era già in frantumi, distrutta in più punti dallo strapotere del Dio della Guerra. Neppure l’abile maestria di Muspellheimr, combinata con le ancestrali tecniche del discendente del popolo di Mu, avevano saputo proteggere Ioria dalla furia demoniaca di Ares. Il ragazzo barcollò fino al centro del salone, ansando per lo sforzo, mentre sangue sgorgava copioso dalle sue ferite. Anche la sua vista parve appannarsi, e per un momento fu tentato di lasciarsi cadere al suolo.  Ma aveva un amico da salvare. E non se ne sarebbe andato, neppure a costo di morire.

 

“Ancora ti rialzi, Cavaliere di Leo?! La fama che ti accompagna è dunque degna di verità!” –Esclamò Ares, mentre il suo incandescente cosmo invadeva l’intera stanza.

 

“La fama?!” –Balbettò Ioria, non comprendendo a cosa si riferisse.

 

“Non fosti tu il prescelto, l’uomo del malaugurio, che infranse i Divini Sigilli liberando il cosmo di Crono, molti anni fa?”

 

“È storia di molto tempo fa…” –Commentò Ioria, non prestando troppo ascolto alle provocazioni del Dio della Guerra. –“È ormai leggenda…

 

“Per questo mi piaci, Cavaliere di Leo! Ed è per questo che ho scelto di confrontarmi con te, per essere il divino carnefice che porrà fine alla tua martoriata esistenza!” –E in quel momento enormi lingue di fuoco avvamparono nell’intero spazio, travolgendo sia Ioria che Castalia, ancora distesa a terra, e stringendoli in una mortale presa.

 

“Che cosa?! Volevi combattere con me?”

 

“Non sottovalutare l’astuzia del tuo avversario, Cavaliere di Leo! Il Dio della Guerra Violenta non è soltanto un rozzo guerriero, ma anche un abile stratega che sa pianificare la propria guerra! E in questa guerra, l’ultima che combatterai, ho saputo giocare bene le mie carte, tenendo fede al motto Dividi e Impera!”

 

“Dividi e Impera?!” –Mormorò Ioria, tentando di liberarsi dalla morsa di vampe infuocate.

 

“Proprio così! Uniti sareste stati un muro troppo resistente da abbattere, per questo ho scelto di separarvi, e di attaccarvi singolarmente, in modo da indebolirvi!” –Esclamò Ares, espandendo il proprio cosmo infuocato.

 

“Tu sia maledetto!” –Mormorò Ioria, ma la sua voce fu sovrastata dal fragore del cosmo del Dio.

 

“Ma ora basta parlare! Io odio parlare!” –Tuonò Ares, alzando il braccio destro avanti a sé e muovendo le dita della mano, quasi a stringersi intorno a un collo invisibile.

 

Ioria fu immediatamente sollevato da terra, stritolato dalle lingue di fuoco di Ares, caricate del cosmo del Dio, intriso di odio e violenza, di paura e terrore.

 

Aaargh!” –Gridò, mentre tutti i muscoli del suo corpo erano paralizzati, percorsi da tremende vibrazioni che lo scuotevano fino nelle interiora.

 

“Muori!” –Urlò Ares, stringendo ancora la presa.

 

Raccogliendo tutta la forza che aveva in corpo, Castalia si rialzò improvvisamente con un balzo, afferrando l’argentea lama, e lanciandosi contro Ares. Al Dio bastò un solo sguardo per travolgerla con il cosmo, in modo da fermare i suoi movimenti a mezz’aria, proprio come Ioria, prima di spazzarla via, distruggendo gran parte della sua corazza e facendola schiantare contro una parete.

 

Castaliaa…” –Mormorò Ioria, bruciando il proprio cosmo dorato.

 

Ioria…” –Balbettò la donna, parlando al cuore dell’amico. –“Non arrenderti! Non farlo mai! Per Atena, per Pegasus e i Cavalieri, per la giustizia sulla Terra, per tuo fratello Micene… e per il sogno che per molte persone rappresenti! Forse non sarò io la donna che arriverà al tuo cuore, ma sono certa che ci sarà, presto… e tu dovrai vivere anche per lei! Per donarle l’ardente amore del tuo cosmo! Devi… vivere… anche per me!” –E più Castalia non parlò, distesa a terra, tra detriti di roccia franati su di lei e frammenti della sua corazza insanguinata.

 

Castalia ha ragione! Mormorò Ioria, stringendo i denti, mentre la luminosa aura del suo cosmo cresceva intorno a lui. Non mi sono mai arreso, di fronte ai nemici più temibili, agli avversari più pericolosi e potenti! E non lo farò adesso, qua, ad un passo dal salvare un amico! Nooo! Brucia cosmo di Leo! Un’immensa luce dorata circondò Ioria, espandendosi a dismisura, travolgendo le infuocate vampe del Dio della Guerra, che osservò la scena attonito ma interessato.

 

Aaaah!!!” –Urlò, distruggendo il malvagio potere che lo aveva bloccato, e ricadendo a terra. Ma non ebbe neppure il tempo per prendere fiato che Ares fu su di lui, brandendo la sua infuocata spada, sottile e leggera, ma altamente affilata e assetata di sangue, come quella di Flegias.

 

Spegniti, maledetto!” –Ghignò il Dio, calando la lama su Ioria, che fu svelto a rotolare sul terreno, evitando l’affondo.

 

“Per il Sacro Leo!” –Ritentò l’attacco Ioria, scattando avanti. Ma ancora una volta il reticolato di luce si dimostrò inefficace, riuscendo Ares a parare ogni fascio luminoso con la sua spada infuocata, muovendola a velocità elevatissima. In quella però Ioria riuscì a portarsi fino di fronte al Dio, torreggiante sopra di lui, con i pugni carichi di energia cosmica. Ares abbassò nuovamente l’infuocata lama, ma Ioria la bloccò, afferrandola con entrambe le mani, prima di liberare un urlo di dolore.

 

“Non resisterai a lungo, Cavaliere di Atena! Soffrirai, com’è giusto che sia, di una morte atroce e sanguinaria, resa ancora più lenta dalla tua resistenza all’inevitabilità del destino! E il tuo martirio è per me fonte di godimento, un’estasi irrefrenabile!”

 

Ioria non rispose, stringendo i denti per il dolore, mentre l’infuocata spada di Ares stava distruggendo i guanti protettivi della corazza del Leone, raggiungendo le carni al di sotto di essi, ed il violento cosmo di Ares spingeva sul corpo del ragazzo.

 

Miceneee!!!” –Urlò Ioria, concentrando sulle mani tutta la sua forza, e iniziando a spingere, smuovendo la possente massa di Ares.

 

“Maledetto, resisti a me?!” –Tuonò il Dio, incrementando le vampe del suo cosmo. Ma Ioria, per quanto la sua armatura si stesse distruggendo in più punti, e fiotti di sangue uscissero dalle numerose ferite sul suo corpo, non cedette di un passo, continuando a contrastare lo strapotere del Dio della Guerra. Questi, infine, stanco di giocare, mosse la spada in orizzontale, con un colpo brusco col quale ferì le mani di Ioria, prima di tagliare il ragazzo all’altezza dell’addome.

 

Aaah!” –Urlò Ioria, accasciandosi a terra, mentre l’indemoniato cosmo di Ares penetrava dentro di lui, avvelenando i suoi sensi ed il suo spirito.

 

“Piegati a me!!!” –Tuonò Ares, tentando di distruggere l’anima del Cavaliere.

 

Ma… maiii…” –Rispose Ioria, delirante.

 

“Se non avrò il tuo spirito, allora te lo spezzerò!” –Urlò rabbioso il figlio di Zeus, scaraventando Ioria lontano, fino a farlo schiantare contro la parete frontale, che crollò su di lui, innescando una serie di cedimenti a catena, che riempirono l’intera sala di rocce e di terra, rendendo minima la visibilità e la possibilità di movimento.

 

Castalia! Mormorò il ragazzo, sommerso da tonnellate di pietra e di terriccio. Devo trovarla, o sarà sepolta viva! Si disse, cercando di farsi spazio. Bruciò il proprio cosmo, liberando una vasta area intorno a lui, sufficiente per muoversi e guardarsi intorno. Percepì il cosmo di Castalia, non lontano ma nascosto dalla tenebra che tutto aveva invaso. Per un momento gli sembrò di non sentire più neppure il cosmo di Ares, come se il Dio se ne fosse andato, abbandonandoli ad una morte naturale.

 

Ma non appena si mosse, per cercare la Sacerdotessa, fu afferrato per il collo da possenti braccia, e scaraventato in alto, sbucando proprio all’interno dell’antico Tempio dell’Apocalisse. O di quello che ne restava. La possente figura di Ares apparve di fronte a lui, brandendo l’infuocata spada desiderosa di immergersi nel suo corpo, e Ioria capì che non aveva più alcuna possibile via di uscita. Disteso a terra, tentò di rimettersi in piedi, mentre Ares si avvicinava a lui. Rapidamente, liberò il proprio cosmo, scaricandolo nel terreno intorno a loro, sotto forma di guizzanti scariche energetiche che avvolsero Ares, provenendo proprio dai suoi piedi.

 

Lightning Fang!” –Mormorò Ioria, osservando le iridescenti zanne del Leone circoscrivere la figura del Dio della Guerra, senza produrre risultato alcuno. Facendo esplodere il suo infuocato cosmo, Ares si liberò dei fulmini di Ioria, proprio mentre il ragazzo si rimetteva finalmente in piedi.

 

“Non avrai creduto di immobilizzarmi con così poco?” –Ironizzò il Dio, mentre il suo vasto cosmo si espandeva nell’aere intorno a loro.

 

“Quanto basta…” –Commentò Ioria, socchiudendo gli occhi.

 

“Uh?” –Si chiese Ares, osservando la straordinaria calma che il ragazzo aveva improvvisamente ritrovato. –“Quanto basta per cosa?!”

 

“Quanto basta per ucciderti! Photon Invoke!” –Urlò Ioria infine, mentre il dorato cosmo del Leone esplodeva intorno a lui. –Cosmos Open!”

 

La devastante energia prodotta da Ioria sorprese perfino Ares, che fu obbligato a fare un passo indietro, mentre tutto attorno comparivano stelle e astri lucenti.

 

“Cosa diavolo è? L’universo?” –Si chiese il Dio della Guerra, mentre le stelle da Ioria create squarciavano il demoniaco cosmo di Ares, trafiggendolo con potenti raggi di luce.

 

“Astri da me generati, travolgete il malvagio tiranno, esplodendo in tutto il vostro scintillante fulgore!!!” –Gridò Ioria, mentre con il braccio sinistro sosteneva il destro, teso avanti a sé. –“Photon Drive!!!” –L’universo da lui creato scatenò tutto il suo potere su Ares, incredulo che il ragazzo potesse disporre di una simile forza, tale persino da ferire un Dio.

 

“Non ci credo!” –Vociò il Nume della Guerra, creando la sua formidabile difesa. –“Scudo di Ares!!! Proteggimi!” –E improvvisamente una barriera di energia scura comparve di fronte a lui, un’immateriale protezione capace di difenderlo dall’assalto del Leone Dorato. La stessa tecnica che Flegias usava in combattimento.

 

“Non basterà! Photon Burst!!!” –Urlò Ioria, liberando tutta la sua energia cosmica in quell’immenso scintillio di stelle, che si abbatterono su Ares, trafiggendo il suo cosmo e parte della sua corazza, al punto da obbligarlo ad estendere il proprio scudo su tutti e quattro i lati, fino a creare un’impenetrabile fortezza dove i lucenti astri di Ioria non potevano giungere.

 

Micene! Mormorò Ioria, ricordando la tecnica che aveva ideato per proteggerlo, per quanto, purtroppo, non ebbe mai l’occasione per usarla in tal senso. Tu mi insegnasti a combattere per i miei ideali, e per difendere le persone a me care! Atena prima tra tutte, ma anche i miei amici e i miei compagni! Ed io ti promisi che avrei usato il Photon Burst solo in quel caso, in quel massimo caso in cui le mie forze non sarebbero bastate per difendere vite in procinto di venir meno! Per uno strano destino fu proprio per salvare Virgo, da Ceo del Lampo Nero, uno dei Dodici Titani, che lo usai la prima volta! Ed anche questa, che si prospetta l’ultima, è per difendere lui, e Castalia, in onore all’immenso amore fraterno che provo per lei!

 

“Brucia mio cosmo, brucia mia vita, e riversa nella sfavillante esplosione stellare tutta la mia forza!” –Urlò Ioria, portando al livello massimo il suo micidiale attacco.

 

Lo Scudo di Ares, difesa suprema del Dio della Guerra, fu assalito dalla pioggia di stelle, trafitto e distrutto, davanti agli occhi attoniti e stupefatti dello stesso Dio, venendo annientato poco dopo, su tutti e quattro i lati, lasciando Ares senza difesa alcuna. Ma lo sforzo per una simile titanica impresa fu troppo anche per Ioria, che si accasciò a terra, carente di forze e quasi privo di sensi, mentre il sangue sprizzava fuori dalle sue ferite.

 

“Ebbene, lo ammetto! Hai vinto una battaglia, Cavaliere di Atena!” –Esclamò Ares, incamminandosi verso il corpo esanime di Ioria. –“Hai distrutto il mio scudo con il tuo cosmo, lasciandomi senza difese! Ma per farlo hai usato tutta la forza che avevi nel corpo e nell’anima, riducendoti ad un vegetale, privo di sensi e di qualsiasi vigore! E adesso morrai! Ma sentiti onorato di cadere per mia mano! Chi è ucciso da Ares Andreiphontês gli Dei lo onorano e pure i mortali!”

 

Il nume sollevò l’infuocata spada, pronto per abbeverarla col sangue dorato del ragazzo, impossibilitato ad un qualsiasi movimento. Prima che la lama però gli sfondasse il cranio, fu fermata da una sottile barriera di energia dorata, che circondò il corpo moribondo di Ioria, impedendo a Ares di ucciderlo.

 

“Uh?! Cosa succede?” –Si chiese il Dio della Guerra, sollevando la spada. Si voltò di scatto e vide, in piedi dietro di sé, due figure deboli e ferite appoggiarsi l’una all’altra. Il Cavaliere di Virgo e Castalia dell’Aquila. –“Custode della porta di Ade! Ancora vivo?” –Esclamò, sinceramente sorpreso.

 

Virgo non rispose, preferendo risparmiare persino il fiato da tanto che era debole, limitandosi a concentrare una sfera di energia cosmica tra le sue mani e a scagliarla contro Ares, il quale però non ebbe problema alcuno a respingerla, con un colpo secco della sua spada infuocata.

 

Ioria! Mormorò Virgo, con le lacrime agli occhi. Ancora una volta sei giunto in mio soccorso, come facesti quel giorno a Kasia Kusinagara, rischiando la vita per proteggermi, per proteggere un uomo che, in passato, non è stato degno della tua fiducia. Un uomo che non aveva mai creduto in te, né in tuo fratello Micene, e che hai saputo convertire, aprendo i suoi occhi e mostrandogli l’infinito scintillio del tuo cosmo! Cercherò adesso di renderti il favore! Virgo si mise a sedere, in posizione meditativa, radunando tutte le forze che aveva in corpo, ma Ares, ben conoscendo il suo potere, non perse tempo, piombando su di lui con l’infuocata spada carica di energia cosmica.

 

Kaan!” –Urlò Virgo, creando la sua barriera energetica difensiva, su cui la lama incandescente si schiantò, impegnando notevolmente il Cavaliere d’Oro.

 

“Sai bene che non basterà per fermare la mia furia!” –Tuonò Ares, che già aveva sconfitto Virgo, due giorni prima, grazie all’aiuto dei suoi tre figli.

 

Il Dio della Guerra appoggiò la mano sinistra sulla barriera, scaricandovi tutto il suo demoniaco cosmo. Il Kaan resistette per una manciata di secondi, prima di schiantarsi e scaraventare Virgo, e Castalia che era al suo fianco, in alto, travolti dall’esplosione del cosmo di Ares, che dilaniò le loro carni, penetrando dentro di loro, e facendoli ricadere a terra, agonizzanti.

 

“Ah ah ah!” –Esclamò Ares, tronfio di gloria e di sangue. Concentrò il cosmo sul palmo sinistro, preparandosi per terminare il lavoro, ma fu distratto da un rumore provenente da dietro di sé.

 

Ioria, in stato di semi-incoscienza, si era rimesso in piedi e aveva scagliato il suo colpo sacro contro Ares, che dovette muovere la spada a gran velocità per fronteggiare i lucenti raggi energetici del Leone. Ci riuscì, e poi contrattaccò, scaricando l’energia che aveva accumulato sul palmo sinistro, travolgendo Ioria, e paralizzandolo a mezz’aria, mentre l’Armatura di Leo si schiantava sempre più.

 

Ioria! Mormorarono Virgo e Castalia, preoccupati per l’amico, ma incapaci di una qualsiasi mossa, non avendo più forza alcuna.

 

“Addio, Cavaliere di Leo!” –Esclamò Ares, osservando con orgoglio e soddisfazione il suo nemico in balia del suo violento e sanguinario potere. Ma in quel momento una voce parlò al suo cosmo. Erano i suoi due figli, Phobos e Deimos, rientrati da poco al Grande Tempio.

 

“Padre!” –Esclamò Deimos, mettendosi in contatto tramite il cosmo. –“I Cavalieri di Atena hanno superato la Nona Fatica! E combattono contro il Gigante Gerione!”

 

Uhm…” –Mormorò il nume, quasi incredulo che quei cinque ragazzini avessero potuto tanto. Con rabbia trafisse il martoriato corpo di Ioria con la spada infuocata, prima di scaraventarlo via, facendolo schiantare contro una colonna del tempio.

 

“Addio Cavalieri d’Oro! Avrei voluto uccidervi con le mie stesse mani, ma impegni inderogabili richiedono la mia presenza altrove!” –Ironizzò, concentrando tutto il suo spaventoso cosmo in un’incandescente sfera di energia, che strinse tra le sue mani prima di liberarla. –“Vi direi arrivederci, ma sarebbe una bugia! Ah ah ah!”

 

Un attimo dopo le porte dello spaziotempo vibrarono e Ares scomparve dall’isola, mentre l’infuocata palla di energia lo seguì per poche centinaia di metri, prima di dirigersi nel lago di lava, raggiungendo le sue profondità ed esplodendo poco dopo, provocando un terremoto che scosse l’intera isoletta, creando enormi crepe e faglie su tutto il territorio, mentre mostruose onde di lava si agitavano tutto intorno, divorando la terra stessa.

 

Mo… moriremo qua.” –Commentò Castalia, boccheggiando sul terreno traballante.

 

Un’immensa faglia si aprì proprio poco distante da loro, inclinando la superficie del terreno, mentre terriccio, pietre, resti di colonne iniziarono a rotolare verso la fenditura, da cui emergevano infuocati lapilli di lava.

 

Ioria, Virgo e Castalia trovarono la forza per rimettersi in piedi, e aggrapparsi a degli alberi oscillanti, come naufraghi su una nave destinata ad inabissarsi. Castalia sorreggeva Ioria, tremendamente debole e stordito, mentre Virgo, con le lacrime agli occhi, non trovò altro da fare che ritrovare la sua posa meditativa, davanti allo sguardo straniato della Sacerdotessa dell’Aquila.

 

“Ioria!” –Parlò infine Virgo, usando solo il cosmo, che stava tentando di radunare con uno sforzo estremo. –“Le parole non bastano per esprimerti la mia riconoscenza, la mia gratitudine, non soltanto per avermi liberato dalla malvagia prigionia di Ares, ma per il fatto stesso di aver rischiato la vita, ancora una volta, per me! Per venire alla mia ricerca, e combattere per liberarmi! Le parole non bastano, purtroppo no… e ti ringrazierò con un gesto… con l’ultimo che mi è dato compiere!”

 

Vi…” –Mormorò Ioria, tentando di riaprire gli occhi. –“Virgo…

 

“Addio amico!” –Pianse il Custode della Porta eterna, mentre Ioria e Castalia venivano imprigionati in una dorata sfera di energia. –“Abbiamo passato la vita ad aiutarci a vicenda, senza esserci mai conosciuti fino in fondo! Possa tu vivere questa degna e meravigliosa vita anche per me!”

 

In un attimo tutto accadde, più veloce della luce.

 

Virgo sorrise, mentre una lenta fila di lacrime gli rigò il volto, bagnandolo per l’ultima volta; Ioria aprì gli occhi, sorretto da Castalia, urlando a squarciagola il nome dell’amico, avendo compreso le sue intenzioni. L’isola esplose, travolta dall’infernale potere di Ares, inabissandosi poco dopo all’interno dell’oceano di lava infuocata.

 

Virgooo!!!” –Urlò Ioria, mentre le porte dello spaziotempo vibravano intorno a lui. Vide forme strane passargli davanti, mentre sentiva che i sensi lo abbandonavano a poco a poco, e quando riuscì a focalizzare nuovamente, realizzò di trovarsi sulla riva del lago di lava, nel momento stesso in cui l’isola dell’Apocalisse esplodeva davanti ai suoi occhi.

 

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Capitolo 32
*** Capitolo trentesimo: L'ultima fatica ***


CAPITOLO TRENTESIMO. L’ULTIMA FATICA.

 

Grazie all’aiuto della Ninfa del Tramonto, Pegasus, Andromeda e Phoenix riuscirono ad uscire dal Giardino delle Esperidi, ma la ragazza non li accompagnò oltre, sentendosi in debito con il Cavaliere del Cigno, e ritornando da lui, lasciando i tre Cavalieri, da soli, a percorrere l’ultimo tratto di strada. Dopo pochi passi infatti gli alberi iniziarono a scomparire, lasciando il posto nuovamente alle pietre e alla parete rocciosa sul lato destro e all’antica scalinata di marmo che conduceva alla Dodicesima Casa, quella dei Pesci. Quando vi arrivarono, Pegasus, Andromeda e Phoenix furono quasi stupiti di trovarla ancora lì, perfettamente identica all’ultima volta in cui l’avevano veduta, senza alcuna apparente modifica esteriore. Dopo le stalle di Augia, la palude di Stinfalo, il Bosco d’Oro, quasi dubitavano che esistesse ancora una casa integra. Ma così fu, almeno all’apparenza.

 

“Strano!” –Mormorò Andromeda, osservando la atena penzolare tranquillamente dal suo braccio. –“La catena non segnala la presenza di alcun nemico al suo interno!”

 

“Non per dubitare delle sue doti, ma ho seri dubbi che funzioni correttamente!” –Ironizzò Phoenix.

 

“Se non ricordo male l’ultima fatica di Eracle fu la discesa agli Inferi e lo scontro con Cerbero, cane guardiano!” –Mormorò Andromeda, non prestando troppa attenzione alle battute del fratello.

 

“Cerbero!” –Ripeté Pegasus, incamminandosi all’interno dell’Ultimo Tempio dello Zodiaco. –“Nemico che abbiamo già affrontato e abbattuto, alla Seconda Prigione di Ade! Che Ares abbia riportato in vita anche quel cagnaccio?!”

 

Andromeda e Phoenix non risposero, seguendo l’amico, a passo lento, dentro la Dodicesima Casa. I tre Cavalieri camminarono all’interno del corridoio principale con i sensi tesi, pronti a percepire la seppur minima vibrazione intorno a loro. Ma nessuno si palesò e convennero infine che l’ultima casa fosse realmente disabitata.

 

“Forse Ares non riteneva possibile che arrivassimo fin qua?!” –Azzardò l’ipotesi Andromeda, fermandosi con gli amici al centro del tempio.

 

“In ogni caso dobbiamo fare attenzione!” –Fremé Phoenix, continuando a guardarsi intorno con aria sospetta. Ma non udirono niente, né percepirono presenza alcuna dentro quelle quattro mura, convincendosi sempre di più che non vi fosse nessuno.

 

“Sarò tranquillo solo quando usciremo di qua!” –Esclamò Pegasus, incitando gli amici a proseguire. Andromeda e Phoenix gli andarono dietro, infilando nel corridoio che avrebbe dovuto condurre all’uscita, mentre le luci si facevano sempre più fioche, fin quasi a scomparire, lasciandoli al buio.

 

“Ehi, che succede?” –Disse Pegasus, mentre l’oscurità si faceva sempre più pressante intorno a loro.

 

“Un corridoio scuro…” –Mormorò Phoenix.

 

“Là in fondo… guardate…” –Esclamò Andromeda, che non riusciva più a vedere i suoi compagni, indicando avanti a sé. –“C’è una luce! È l’uscita!” –I tre amici, ognuno per conto suo, si diressero verso la luce alla fine del tunnel, credendo davvero che si trattasse dell’uscita, ma quando varcarono la soglia di quella porta si ritrovarono da soli nel cuore dell’Inferno.

 

“Eh?!” –Domandò Pegasus, osservando il panorama avanti a sé.

 

Si trovava in un ampio stanzone, scarsamente illuminato, al termine del quale una lunga scalinata conduceva in cima ad un palco, dove vi era un trono, nascosto da macabre tende. Pegasus non ebbe dubbi al riguardo: era la Giudecca, l’ultima zona dell’Inferno. Solo allora si accorse di avere indosso la sua vecchia armatura, quella forgiata da Shin con il sangue di Atena, e che anche Andromeda, apparso improvvisamente accanto a lui, indossava la sua corazza di bronzo.

 

“Andromeda!!!” –Esclamò Pegasus, correndo verso l’amico. Ma un’improvvisa scarica di energia lo colpì in pieno, facendolo stramazzare al suolo, agonizzante. Quando si rialzò vide una donna, con lunghi capelli corvini, puntare un tridente verso di lui.

 

“Pa... Pandora…”

 

“Non rivolgerti in questo modo al Signore degli Inferi!” –Esclamò la donna, continuando a puntare il suo tridente verso Pegasus.

 

“Il Signore…” –Rifletté Pegasus, prima di voltarsi verso l’amico. –“No!!! Andromeda!!!” –Gridò Pegasus, sollevandosi di scatto. Ma Pandora lo colpì di nuovo, facendolo crollare al suolo, inerme, prima che robuste braccia lo afferrassero e lo portassero via, mentre gli occhi scuri del ragazzo piangevano lacrime amare, invocando il nome dell’amico, posseduto da Ade.

 

Quando rinvenne, Pegasus si ritrovò in un luogo ai confini della realtà, murato vivo nel ghiaccio, con solo la testa al di fuori, mentre raffiche di gelido vento sferzavano la superficie di quell’immensa distesa, da cui spuntavano altre teste. Altri visi noti a Pegasus.

 

“Ioria!!!” –Gridò. –“Mur!!! Scorpio!!!” –Ma i Cavalieri d’Oro, ghiacciati anch’essi vivi nelle tristi lande del Cocito, non risposero, aumentando l’angoscia nel suo cuore. D’un tratto un’immagine iniziò ad apparire di fronte a lui. Un’immagine sfuocata, a cui solo il cuore diede nitidezza: il candido volto della sua amata Isabel.

 

“Atenaaa!!!” –Urlò Pegasus. Ma la Dea non lo udì, continuando a camminare, nella visione che Pegasus aveva davanti agli occhi, nella sala della Giudecca, fino a portarsi di fronte ad Ade. –“Cosa fa?! Attentaaa!!!” –Gridò ancora, ma la sua voce si perse nella bufera di ghiaccio.

 

Rassegnato, tornò a guardare, anche se quelle immagini gli facevano dolere il cuore. Ascoltò le parole di Atena, che offriva ad Ade la sua stessa vita, purché fermasse l’Eterna Eclissi e lasciasse il sole agli uomini liberi. Infine, vide Ade puntare il tridente contro di lei, che lo fermò con le sue mani, mentre sangue usciva copioso dalle sue vene.

 

“Isabel… Isabeeeel!!!” –Gridò Pegasus, angosciato, tormentato dal non poter far niente per aiutare la dea che amava. E forse, la donna che amava.

 

Ade rapì Isabel, portandola al di là del Muro del Pianto, facendo sfocare nuovamente l’immagine. Quando Pegasus riuscì a vedere meglio, notò soltanto la nera spada di Ade che veniva verso di lui. Enorme, immensa, sfondò il ghiaccio del Cocito, trasformando la visione in realtà, e perforando la corazza di Pegasus, proprio all’altezza del cuore.

 

“Noo… basta!!!” –Urlò Pegasus, che mai si era liberato del fantasma della Spada Nera di Ade. Ma una nuova immagine comparve di fronte ai suoi occhi: una visione di morte, in cui Isabel, scalza e con le vesti lacere, correva in mezzo ad oscure fiamme, venendo presto risucchiata in un vortice di fuoco. Sopra tutto torreggiava la maligna risata di Ares. E Pegasus, prostrato, non poteva far niente per salvarla. Solo guardare. E soffrire.

 

“Talvolta il cuore mostra ciò che i nostri occhi non possono, o non vogliono, vedere!” –Sibilò Ares prima di scomparire, lasciando Pegasus sconvolto in lacrime.

 

***

 

Anche Andromeda si ritrovò alla Giudecca, da solo e completamente nudo, ferito da qualche taglio sul corpo. Una donna si avvicinò, porgendogli dei vestiti che giudicò più adatti per la sua persona.

 

“Grazie!” –Mormorò Andromeda, senza capire bene cosa stesse accadendo.

 

La donna si presentò come Pandora e lo guidò in cima alla scalinata, facendolo sedere sul trono, sul suo trono, lo scranno di Ade, Signore degli Inferi.

 

“E mio amatissimo fratello minore!” –Affermò la donna, inginocchiandosi ai suoi piedi.

 

Andromeda non riusciva a capire. Era davvero Ade? Com’era possibile ciò? Lui che era sempre stato un Cavaliere di Atena, lui che aveva sempre posto la pace e la tolleranza come supremi valori della vita, da trasmettere agli altri, adesso sedeva sul trono della più oscura Divinità, che tormentava i dannati anche dopo la morte e che voleva ridurre la Terra ad un’immensa distesa di ghiaccio, privandola della calda luce del sole.

 

“Un secondo Inferno!” –Commentò una voce, apparendo ai piedi della scalinata. Tre uomini alti e robusti, ricoperti da oscure vestigia, simboleggianti mitologiche figure: Eaco, Minosse e Radamante, i Giudici Infernali, comandanti dell’esercito di Spectre.

 

“Sire Ade…” –Mormorò uno di costoro. –“Siamo pronti a portare la distruzione sulla Terra in nome suo, guidando i centocinque spectre alla conquista del pianeta!”

 

La distruzione?! Posso davvero volere questo?! Posso davvero chiedere che uomini uccidano altri uomini per soddisfare le mie ambizioni di dominio?! Io che sono stato relegato nelle viscere del mondo, mentre i miei fratelli ottennero i mari e il cielo, posso finalmente aspirare ad uscire allo scoperto, occupando quel posto al sole che da troppo tempo mi è stato negato? Andromeda non aveva dubbi. La sua mente non gli apparteneva più. Adesso era diventato veramente Ade.

 

“Proseguite!” –Fu lui a pronunciare tali parole, ma fu il Dio dell’Oltretomba a meditarle. Ma il Dio è in me! Vive in me! Ade sono io?! Ammise infine, disperandosi, gemendo, tentando di urlare, tentando di uscire da quella prigione in cui era costretto ad assistere ad eventi di cui lui stesso era responsabile senza poter intervenire, senza poter far niente per cambiare le cose, intrappolato come Gemini e Ilda erano stati prima di lui. Pianse a lungo, ma nessuno lenì i suoi affanni, nessuno consolò il suo animo. Soltanto Pandora si prese cura di lui, ma ella serviva Ade, il Dio di cui era il ricettacolo, non curandosi dell’interiorità, dei sentimenti del vero Andromeda.

 

“Mio amato fratello…” –Mormorò la donna, sedendo ai piedi di Ade e carezzandogli le braccia.

 

No! Smettila! Urlava Andromeda, ma le sue grida si perdevano nel limbo in cui era confinato, obbligato spettatore di un’esistenza su cui non aveva potere. Non poteva fermare i Giudici Infernali, non poteva rallentare l’Eterna Eclissi. Né salvare suo fratello dalla furia del Dio dell’Oltretomba.

 

“Phoenix!!!” –Mormorò, osservando suo fratello in piedi davanti a lui, intento a combattere contro il suo corpo, cercando di cacciare Ade e restituirlo all’anima di Andromeda, che sapeva essere ancora viva. Che sentiva essere ancora viva. Ma alla fine cadde, vinto, pieno di ferite, sanguinante e debole, e le sue carni furono gettate al vento. E Andromeda rimase solo, ad urlare, sotto un cielo oscuro e senza fine.

 

***

 

Quanto dolore provò Phoenix quel giorno, quando giunto nell’Inferno, per aiutare Kanon contro i tre Generali dell’Aldilà, apprese che suo fratello era diventato il Signore dell’Oltretomba, che Ade si era reincarnato in lui. E quante lacrime versò quando lo vide lassù, in cima a quello scuro trono, con un volto che non era il suo. Un volto innaturale, senza tempo, senza il profondo sguardo pieno di amore che solo gli occhi di suo fratello sapevano produrre.

 

“Andromeda!!!” –Balbettò Phoenix, ma l’uomo che aveva di fronte non parve neppure riconoscerlo.

 

“Egli non è più Andromeda! Adesso è Ade, Sire dell’Oltretomba!” –Parlò una voce di donna, la sorella di Ade, Lady Pandora. Ma Phoenix non si arrese, testardo come sempre, e diede l’anima, bruciando al massimo il proprio cosmo, per salvare suo fratello e liberarlo dal demonio.

 

Quanto dolore albergava in lui quando dovette schiaffeggiare Andromeda, quando dovette colpirlo con il pugno, sfondare il suo petto, per cacciare l’anima di Ade dal suo corpo. Neppure gli Dei tutti potrebbe raccontare quanto atroce fu per lui, che non amava nessun altro al mondo, che non aveva nessun altro al mondo, a parte i suoi tre amici e suo fratello, lo stesso che Ade voleva portargli via.

 

“Colpiscimi fratello! Colpiscimi!” –La voce di Andromeda rimbombava nella mente di Phoenix, che non capiva più dove fosse.

 

Un attimo si trovava alla Giudecca, impegnato a schiaffeggiare il corpo di Andromeda, un attimo dopo giaceva nelle lande desolate del Cocito, abbandonato a se stesso, prima che un’impetuosa tempesta lo travolgesse trascinandolo a casa, sull’Isola della Regina Nera, in mezzo al lago di lava dove ardevano miserabondi i corpi dei suoi vecchi nemici: Jango, i Cavalieri Neri, Gemini, Kanon. C’erano tutti, e presto ci sarebbe stato anche lui.

 

“Ecco l’inferno adatto a te! La collera!” –Esclamò una voce, mentre Phoenix sentì scomparire il terreno sotto i suoi piedi, percependo un immenso senso di vuoto. Un tuffo soltanto e si trovò nel lago di sangue. Rovente, bollente, mentre i dannati cercavano di affogarlo e ridurlo come loro, per quanto Phoenix si dimenasse. Torreggiante su di lui, la figura di Virgo sogghignava felice, sentendosi superiore, dominante, come durante lo scontro alla Sesta Casa.

 

“Colpiscimi fratello! Colpiscimi!” –Gridò ancora Andromeda, e Phoenix non poteva fare a meno di ubbidire, sperando, con quei suoi gesti, di liberare il fratello dalla prigionia di Ade.

 

E Pegasus, sepolto nel ghiaccio, continuava a rivedere quelle immagini, non sapendo come fermarle. Non sapendo come fermare il pugno di Phoenix prima che sfondasse il cuore di Andromeda, non sapendo come urlargli di fermare quel gioco al massacro.

 

Improvvisamente un piccolo punto luminoso comparve di fronte a loro, e ognuno dei tre amici lo vide crescere, aumentare, diventare una vera e propria luce, eterea, celeste, primordiale, al punto da sovrastare ogni altra immagine, ogni altra visione, inglobandole in sé.

 

“Segui il tuo cuore, Cavaliere! E trova la tua strada!” –Mormorò una voce, soave e indistinta, che inizialmente non riconobbero.

 

“Aa... Atena!!!” –Urlò infine Pegasus. E le sue urla echeggiarono nel vuoto, distruggendo ogni visione, spazzando via ogni inganno. Riaprì gli occhi improvvisamente, ritrovandosi sdraiato in terra, su un pavimento di marmo, con ancora indosso la sua Armatura Divina. Accanto a lui c’erano Andromeda e Phoenix, e Pegasus convenne che fossero ancora alla Dodicesima Casa.

 

“Cos’è stato?! Una visione?! Un inganno?!” –Scosse la testa, ma ricordava soltanto confusi pensieri, immagini di morte e sangue ed una tremenda angoscia che si era impadronita di lui. Cercò di non pensarci e allungò una mano, fino a sfiorare i corpi di Phoenix e Andromeda, risvegliando anche loro, un po’ frastornati e insicuri.

 

“Phoenix!!!” –Esclamò Andromeda, tremendamente felice di vedere suo fratello, come se fossero anni che non si incontravano. La stessa reazione, seppure più controllata, la ebbe Phoenix, che non nascose un singhiozzo nel vedere che il fratello non era posseduto da Ade.

 

“Pegasus… Cos’è accaduto?!”

 

“Non so dirvelo, amici! So soltanto che vedevo le vostre gesta, ma non riuscivo ad arrivare a voi, a comunicare con voi!”

 

“La stessa cosa è accaduta a me!” –Rispose Phoenix, rialzandosi.

 

“Se non fosse stato per quella luce alla fine…” –Mormorò Andromeda. –“Sarei rimasto prigioniero di quella visione per l’eternità!” –I tre amici concordarono di essere stati vittima di un’illusione, di una potente manipolazione della loro mente, che soltanto un Dio poteva condurre.

 

“E soltanto un Dio poteva giungere in nostro aiuto!” –Esclamò Pegasus, prima che un sorriso di speranza gli aprisse il cuore. –“Isabel!!!”

 

“Atena è intervenuta per salvarci!” –Affermò Andromeda. E anche Phoenix gli dette ragione, prima di spronare gli amici a lasciare la Dodicesima Casa e a correre ad affrontare Ares. Ma non appena si voltarono, per incamminarsi verso l’uscita, notarono un uomo, ricoperto da un’inquietante armatura, appoggiato comodamente ad una colonna, che li stava osservando, forse già da qualche minuto.

 

“Eh?!” –Esclamarono i tre amici, quasi spaventati. –“E tu chi sei?” –Domandò Pegasus. –“Non ho sentito il tuo cosmo arrivare!”

 

“È naturale!” –Esclamò questi, staccandosi dalla colonna e portandosi al centro del salone. –“Posso arrivare non visto, se lo desidero, e scomparire a mio piacimento!”

 

“Un vero mago dell’inganno…” –Commentò Pegasus, sollevando le difese.

 

Quel tipo non gli piaceva per niente. Per quanto avesse un viso semplice, molto maschile, quel ghigno malizioso lo faceva stare in guardia. Era alto e ben fatto, con mossi capelli neri e occhi di color grigio scuro, ricoperto da un’armatura scarlatta dalle sfumature biancastre, ingannevolmente eteree, diabolicamente mortali. I bordi della sua Veste Divina erano simili ad artigli pronti a ghermire e alla cintura pendeva una spada infuocata.

 

“Mio Padre è stato troppo buono con voi, luridi Cavalieri di Atena! E per colpa dell’interferenza di Atena quest’ultima fatica si è rivelata un piacevole viaggio nei ricordi, anziché una terrorizzante angoscia perpetua!” –Sogghignò l’uomo, la cui voce era maschile e profonda.

 

“Tuo Padre?!” –Ripeté Andromeda. –“Dunque tu sei…”

 

“Deimos è il mio nome celeste, ma tra gli uomini mortali sono noto come Spavento, Divinizzazione del Terrore, di Ares figlio e, come lui, portatore di guerra!”

 

“Deimos!!!” –Mormorò Pegasus, cui soltanto il nome faceva venire i brividi.

 

“Sei tra coloro che hanno fatto strage di Divinità sull’Olimpo!” –Esclamò Andromeda, ricordando il triste volto di Efesto dopo la morte di Afrodite. –“Insieme ai tuoi fratelli!”

 

Deimos non rispose, limitandosi a sogghignare, per quanto l’espressione utilizzata da Andromeda non lo convincesse più di quel tanto. Per lui infatti esisteva un solo fratello, il suo gemello Phobos, Signore della Paura. Flegias era soltanto un bastardo, uno dei tanti figli di Ares, anche se, a detta di molti, si stava rivelando il più abile e vincente.

 

“Allora…” –Sogghignò Deimos, ostentando apertamente il proprio cosmo, dalle sfumature biancastre. –“Chi vuole essere il primo a morire?!” –I Cavalieri di Atena si misero sulla difensiva, sollevando le braccia e bruciando il loro cosmo, e Andromeda srotolò addirittura la catena, disponendola ad anelli concentrici intorno a loro.

 

“Poco importa…” –Commentò il Dio. –“Tanto morirete tutti comunque!” –E senz’altro aggiungere sfrecciò avanti, guizzante come un bianco fulmine, scivolando sulla Catena di Andromeda, più veloce dei movimenti della stessa.

 

Colpì Andromeda con un calcio in pieno addome, scagliandolo contro Pegasus, prima di voltarsi verso Phoenix e sferrargli un pugno sul mento che lo spinse di lato, facendolo barcollare, mentre Deimos balzava indietro, portandosi alle spalle di Pegasus, che intanto si era divincolato. Afferrò la spada che portava con sé e la piantò nella schiena del Cavaliere di Atena, senza riuscire ad andare troppo a fondo, a causa della resistenza del mithril, ma fu abbastanza per far urlare Pegasus e farlo accasciare al suolo, mentre sangue colava abbondantemente sulla sua corazza.

 

“Maledetta canaglia!” –Gridò Phoenix, scattando avanti, con il pugno carico di energia infuocata. Ma Deimos si limitò a spostare il capo verso destra, evitando l’affondo di Phoenix, e fermando poi il suo braccio con la mano sinistra. Con un’abile mossa rovesciò il Cavaliere facendolo sbattere contro il muro alle sue spalle, prima di brandire la sua Spada Infuocata per infilzare anche lui. Ma Andromeda non glielo permise, liberando la sua catena, che saettò verso il polso destro di Deimos, arrotolandosi intorno ad esso e frenando i suoi movimenti.

 

“Fermati!” –Esclamò il Cavaliere, tirando con forza.

 

“Hai così fretta di morire, ragazzino?!” –Lo schernì Deimos, che riusciva a resistere alla stretta della Catena di Andromeda continuando a tenere Phoenix bloccato, a testa in giù, contro il muro.

 

“Lascia stare mio fratello”! –Gridò Andromeda, liberando anche l’altra catena.

 

Con una mossa astuta, Deimos afferrò il corpo di Phoenix, buttandolo davanti a sé, come scudo su cui si infranse l’appuntito triangolo della Catena di Andromeda, mentre il fratello urlava disperato e colpevole. Non contento, passò il braccio fermato dalla catena intorno al collo di Phoenix, usando la stessa arma per strozzarlo, mentre violente scariche energetiche percorrevano l’intera superficie della catena.

 

“Ah ah ah!” –Gridò Deimos, osservando il volto di Phoenix farsi sempre più rosso, impossibilitato a respirare al meglio.

 

“Fulmine di Pegasus!!!” –Esclamò una voce improvvisamente, mentre migliaia di pugni lucenti si abbattevano su Deimos, scaraventandolo contro la parete laterale, e liberando finalmente Phoenix. –“Stai bene, amico?” –Domandò Pegasus, che si era rialzato a fatica.

 

“Non... preoccuparti per me!” –Tentennò Phoenix, respirando affannosamente.

 

“Dov’è andato?!” –Si chiese Pegasus, cercando Deimos con lo sguardo. Ai piedi della parete non c’era nessuno, e neppure tra le colonne intorno a loro, ma i Cavalieri sentivano ancora la sua presenza, ostile e bellicosa, tra le mura della Dodicesima Casa. –“Dove sei?” –Urlò Pegasus, guardandosi intorno. –“Mostrati! E combatti da Cavaliere!”

 

“Vai, Catena di Andromeda! E trova il nemico!” –Esclamò Andromeda, liberando l’arma, che saettò nell’aria per qualche metro, prima di fermarsi, priva di vita, e cadere a terra, incapace di portare a compimento la missione. –“Uh?! Che significa?” –Si chiese, cercando di scuoterla. Ma in quel momento, pur senza confessarlo agli amici, iniziò a provare un senso di inquietudine, un’angoscia montante, che stava divenendo vero terrore. Un sentimento simile albergava anche negli animi di Pegasus e, in misura minore, di Phoenix, disturbati da quel tuffo nell’ignoto, da quel non sapere, non vedere, che aveva caratterizzato gli eventi dell’Ultima Casa dello Zodiaco.

 

“Eh eh eh…” –La voce di Deimos risuonò nelle orecchie di ognuno di loro, provenendo da un indefinito luogo intorno a loro.

 

“O forse è in nessun luogo?!” –Mormorò Pegasus tra sé. –“Forse è dentro di me?!” –Si disse Andromeda. –“Come Ade era in me?! Come io ero Ade?!” –Non sapeva più cosa credere, non sapeva più cosa pensare.

 

“Eh eh eh!” –Sibilò ancora la maligna voce di Deimos, risuonando nell’animo dei Cavalieri.

 

“Mo... mostrati!!!” –Esclamò Pegasus, ma le parole gli sembrarono morire in bocca, tanta era la paura che stava provando. Che mi succede?! Mormorò tra sé. Non è da me essere così terrorizzato! Eppure... non posso fare a meno di… tremare... come un coniglio in gabbia! Come un passero di fronte ad un’aquila! Rifletté confusamente il ragazzo, che poteva sentire persino le sue gambe sussultare, mentre brividi di freddo correvano lungo la sua schiena dolorante.

 

“Onde di Terrore!” –Sibilò una figura indistinta, apparendo di fronte a loro.

 

Bianche onde di cosmo scivolarono nell’aria, lentamente, senza incontrare resistenza alcuna, come una scure che cade pian piano sulla testa del condannato, che non può far altro che osservarla scendere, finché non raggiunsero i corpi paralizzati dal terrore dei Cavalieri di Atena, stridendo sulle loro Armature Divine, scheggiandole in parte, e scaraventandoli indietro.

 

“Eh eh…” –Commentò Deimos soddisfatto, riacquistando le sue solite fattezze.

 

Per quanto il suo aspetto in realtà non fosse mai mutato, il figlio di Ares, grazie ai poteri che gli erano propri, aveva instillato nei tre giovani un forte senso di terrore, di spavento, come il nome che gli uomini gli avevano dato. Un terrore psicologico che aveva vinto le loro già provate difese, rendendoli deboli e vulnerabili. Senz’altro aggiungere, impugnò la Spada Infuocata, dirigendosi verso i corpi dei Cavalieri di Atena, per affondarla nel loro cranio. Solo quando fu di fronte a loro si accorse, con sincero stupore, che i corpi sdraiati in terra erano soltanto due.

 

“Pugno Infuocatoooo!!!” –Esclamò improvvisamente una voce, sbucando da dietro una colonna. Il turbine di fuoco travolse Deimos in pieno, per quanto avesse tentato di difendersi incrociando le braccia avanti a sé, e lo scaraventò lontano, sfondando una colonna del Dodicesimo Tempio e ricadendo a terra, perdendo la presa della sua spada.

 

“Cosa?!” –Esclamò furibondo Deimos, rialzandosi di scatto.

 

Phoenix era in piedi al centro del salone, pronto per combattere con lui, dopo essersi velocemente sincerato della salute dei due amici, che esteriormente non sembravano feriti.

 

“Come hai potuto resistere al mio assalto mentale?! Centinaia di uomini ho piegato, fin dagli albori del Mondo Antico, instillando in loro il terrore allo stato puro!”

 

“Figlio di Ares…” –Mormorò Phoenix. –“Grandi sono i tuoi poteri, e indiscussa la tua abilità, ma essi non hanno effetto sul Cavaliere della Fenice, che di niente, neppure della morte, ha paura!”

 

“Impossibile!!!” –Tuonò Deimos, imbestialito. –“Non esiste uomo che non abbia paure! E, su tutte, la morte, la fine di ogni certezza, è il massimo terrore che possa provare!”

 

“Non per me, l’uccello immortale, capace di risorgere dalle proprie ceneri!”

 

“Non gloriarti di un mito che non ti appartiene, Cavaliere di Phoenix! Tu non sei l’uccello infuocato, sei soltanto un uomo che veste la corazza della Fenice! Non la fenice stessa! E, come tale, resti pur sempre un mortale!”

 

“La Fenice vive in me, Deimos, ed essa è capace di riportarmi a nuova vita, non soltanto quando il mio corpo è rotto, ma anche quando è la mia anima, il mio spirito, ad essere spezzato!” –Esclamò Phoenix, fiero della sua armatura, e della costellazione che lo guidava.

 

“Spezzare lo spirito… eh?!” –Mormorò tra sé Deimos, i cui occhi si illuminarono improvvisamente di una terrificante malizia. –“Sarà ciò che farò con te, Phoenix! Ucciderò la fenice che in te, impedendole di risorgere, facendole conoscere per la prima volta il terrore... allo stato puro!”

 

Quell’ultima frase fece raggelare il sangue a Phoenix, per quanto il Cavaliere non lo diede a vedere, proprio mentre Deimos scattava avanti, brandendo l’infuocata spada che suo Padre gli aveva donato. Rapidi fendenti, che portavano seco vampe di fuoco, percorsero l’aria, satura di tensione, mentre Phoenix cercava di evitarli, lanciandosi in terra e rotolando sul pavimento, scagliando decine di Piume Infuocate contro Deimos, che non ebbe problema alcuno a colpirle con la propria lama, prima di piantarla in terra, e lasciar partire un violento piano energetico, che travolse Phoenix, spingendolo contro un muro. Immediatamente Deimos scagliò con forza la Spada Infuocata contro di lui, che si piantò nel braccio sinistro del Cavaliere, trapassando la divina protezione.

 

“Aargh!!!” –Gridò Phoenix, mentre l’incandescente lama dilaniava le sue carni.

 

“Muori!!!” –Esclamò Deimos, lanciandosi contro di lui, prima che una voce lo fermasse.

 

“Aspetta!” –Affermò una donna, comparendo sull’ingresso della Dodicesima Casa. –“Lascia a me l’onore di uccidere quest’uomo!”

 

 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo trentunesimo: Eterno terrore ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO. ETERNO TERRORE.

 

Deimos, Divinizzazione del Terrore, figlio di Ares e Afrodite, fermò il pugno a mezz’aria, distratto dall’apparizione di una donna all’interno del Dodicesimo Tempio, e concedendo a Phoenix qualche ulteriore momento per recuperare le forze. Si voltò verso l’ingresso e vide una figura avvicinarsi a loro, una figura che ben conosceva, avendola suo Padre richiamata al suo servizio pochi giorni prima: Ippolita, Regina delle Amazzoni.

 

La donna indossava un’armatura grigiastra, dai toni spenti, identica a quella che vestiva durante lo scontro con Phoenix, e portava appesa alla cintura una rozza spada. Aveva lo sguardo fiero delle Amazzoni e un portamento impeccabile e niente poteva far pensare che due ore prima fosse stata malamente sconfitta proprio da Phoenix.

 

“Ippolita!” –Esclamò Deimos, stupito di trovarsela di fronte.

 

“Comandante Deimos!” –Affermò la donna, inginocchiandosi di fronte al Dio. –“Chiedo a voi solennemente il permesso per affrontare quest’uomo!”

 

“Uh?!” –Mormorò Deimos, fissando la Regina inginocchiata ai suoi piedi. –“Stupidaaa!!!” –Le urlò, scagliandole un calcio in pieno viso e scaraventandola indietro. –“Hai avuto la tua occasione, inutile donna, di dimostrare la tua fedeltà ad Ares, e l’hai sprecata, permettendo a costui e ai suoi compagni di superare il Nono Tempio!!! E adesso vieni a chiedermi un’altra possibilità?!”

 

“Ho fallito, mio Signore!” –Continuò Ippolita, pregando Deimos di concederle una nuova occasione. –“Ho avuto paura di morire! La morte, per noi che abbiamo vissuto per secoli in un limbo senza fine, è una prospettiva terrificante, a cui non ho saputo opporre tenace resistenza!”

 

“La morte vince su tutto, Regina delle Amazzoni! Ed è ciò che meriti per il tuo tradimento!”

 

“Vi prego... vi imploro umilmente... a nome di tutto il mio popolo… offritemi la possibilità di rimediare al mio errore! Qua! Adesso! Lasciate che onori il giuramento che feci a vostro Padre!”

 

Deimos la fissò ancora per qualche secondo, combattuto tra il desiderio di ucciderla, per l’incapacità dimostrata e quello di lasciarla fare, rischiando al massimo di vederla massacrata nuovamente da Phoenix. La sadica prospettiva di uno scontro tra i due lo eccitò, spingendolo ad acconsentire alla sua richiesta.

 

“E sia Ippolita…” –Esclamò infine, ordinando alla donna di alzarsi. –“Ma non avrai un’altra possibilità! Uccidilo, e fallo adesso!”

 

“Grazie... grazie infinite.” –Disse Ippolita, rialzandosi commossa. Senz’altro aggiungere, la Regina delle Amazzoni si portò di fronte a Phoenix, bloccato al muro dall’infuocata spada che gli aveva trapassato un braccio, incuriosito, quasi preoccupato, dall’evolversi della situazione.

 

“Ippolita…” –Mormorò stancamente Phoenix, mentre la donna impugnava la spada, estraendola di colpo e facendo barcollare il ragazzo. Con lo sguardo perso nel niente, malinconico ed eterno al tempo stesso, la Regina delle Amazzoni strinse con forza la mortifera lama, sollevandola con entrambe le mani, mentre Deimos osservava eccitato l’intera scena.

 

“Uccidilo!!!” –La incitò follemente. –“Adesso!!!”

 

“Sì!” –Commentò semplicemente lei, incrociando finalmente lo sguardo di Phoenix. Durò soltanto un attimo, ma ad entrambi sembrò eterno. Ippolita si voltò di scatto verso Deimos, scagliandosi contro di lui, lanciando fendenti infuocati che stridettero contro la corazza del Dio del Terrore.

 

“Come osi?! Come osi?!” –Tuonò questi, evitando i veloci attacchi della Regina delle Amazzoni.

 

“Ippolitaaa!!!” –Urlò Phoenix, sorpreso e disorientato dalla situazione.

 

“Mi hai chiesto un motivo per combattere per la libertà e per il mio popolo!”–Mormorò la Regina, continuando a fronteggiare Deimos. –“Eccolo! Ed è lo stesso che spinge anche tu a lottare! Un patto fatto con noi stessi, di cui noi soltanto siamo i firmatari ed i beneficiari! Un patto che si chiama lealtà, onore, orgoglio, rispetto! Amore!” –Aggiunse, calando la lama su Deimos.

 

Il figlio di Ares fece schiantare la spada sul bracciale sinistro, usandolo come scudo e trattenendo un urlo di dolore, mentre il sangue usciva dalla ferita; ma questo gli permise di sferrare un violento calcio contro Ippolita, scagliandola indietro e recuperando il possesso della propria arma.

 

“Traditrice!!!” –Le puntò l’indice contro Deimos, mentre le bianche onde di terrore del suo cosmo aleggiavano intorno a lui. –“Ares ti avrebbe donato la tua terra, ma tu hai preferito rinunciarvi, condannandola ad un rogo perpetuo!! Lo stesso rogo nel quale brucerai tu!!!”

 

“Dardo incandescente delle Amazzoni!” –Esclamò Ippolita, concentrando il cosmo verdastro sotto forma di arco e scoccando un’incandescente freccia di energia contro Deimos. Ma il dardo si perse nelle onde che circondavano il Dio del Terrore, sfasciandosi al proprio interno, di fronte allo sguardo preoccupato di Phoenix, che cercò di intervenire, caricando il proprio Pugno Infuocato, che incontrò la stessa sorte della freccia di Ippolita.

 

“Onde di Terrore!” –Urlò Deimos, liberando le proprie onde cosmiche, le quali, a differenza di quelle che avevano terrorizzato e vinto Andromeda e Pegasus, erano molto più violente, simili a fluttuante energia cosmica che scaraventò Phoenix contro la parete, facendola crollare su di lui, e paralizzò Ippolita, sospendendola a mezz’aria.

 

“Uungh…” –Mormorò la Regina delle Amazzoni, tentando di liberarsi, ma si rese conto di non riuscire a muovere autonomamente neppure un muscolo, bloccata a mezz’aria, tremante come un canarino, dalle onde di bianco cosmo di Deimos.

 

“E dopo aver ucciso te, taglierò la gola a tutte le tue donne, con questa mia spada!!!” –Sibilò perfidamente il Dio, avvicinando la lama alla donna e passandola contro il suo collo. Non aggiunse altro e la scaraventò contro il muro, schiacciandola con le sue onde di energia, mentre la protettiva cozza della guerriera andava in frantumi.

 

“Muoriii!!!” –Urlò infine Deimos, lanciando la spada contro Ippolita e mirando al cuore. Ma essa non la raggiunse, venendo intercettata da Phoenix, che offrì il suo corpo come scudo alla donna, lasciando che l’affilata lama lo centrasse alla spalla sinistra, distruggendo la sua Armatura Divina.

 

“I… Ikki…” –Mormorò Ippolita, vedendo il ragazzo accasciarsi a terra, in una pozza di sangue. Bruciò il cosmo, cercando di liberarsi dalla prigionia del Dio del Terrore, ma si rese conto di essere troppo debole, di avere ancora le cicatrici dello scontro con Phoenix. Si maledisse, incitandosi a reagire, prima che Deimos massacrasse entrambi. Improvvisamente una catena scintillò nell’aria, moltiplicandosi in infinite copie, che Deimos fu svelto ad evitare, venendo però spinto indietro. Si voltò e trovò Andromeda in piedi, seppur affaticato, e Pegasus al suo fianco.

 

“Ancora vivi?! Credevo che le vostre anime già vagassero terrorizzate per la Valle di Ade!”

 

“E così è stato, infatti!” –Disse Andromeda, ancora agitato a quel ricordo. –“Ma è stato mio fratello a riportarci qua! Il suo cosmo ardente, accendendosi intorno a me, mi ha richiamato alla vita!”

 

“Phoenix…” –Mormorò Pegasus, chinandosi sull’amico. Ma questi lo spinse via, estraendosi a fatica la spada dalla spalla, e lo incitò a correre avanti, portando Andromeda con sé. –“Ma Phoenix.. vuoi rimanere da solo a combattere contro di lui?!”

 

“Voi non sareste in grado di fronteggiare i suoi poteri.” –Commentò Phoenix bruscamente. –“E non sono da solo!” –Pegasus e Andromeda si scambiarono uno sguardo dubbioso, prima di annuire con un sospiro; fecero per voltarsi e correre via, ma Deimos scattò dietro di loro, determinato a fermarli.

 

“Non ci provare!” –Gridò Phoenix, mettendosi in mezzo. –“Sono io il tuo avversario!”

 

“Tu eri il mio avversario! Adesso sei morto!” –Gli rispose Deimos, poggiando la mano sinistra sul petto del Cavaliere. Onde di energia scossero l’intera superficie dell’Armatura Divina, mentre Phoenix era bloccato davanti a lui, incapace di muoversi. –“Tremor!” –Sibilò il Dio.

 

Le forme del corpo di Phoenix, i lineamenti del suo viso, i suoi occhi, parvero deformarsi orribilmente, prima di venir scaraventato in alto, schiantarsi contro il soffitto e ricadere a terra, precipitando verso il basso, dove Deimos lo aspettava con la Spada Infuocata sollevata sopra di sé.

 

“Nooo!!!” –Urlò Ippolita, espandendo al massimo il proprio cosmo e liberandosi dal potere psichico di Deimos. Si avventò sul figlio di Ares, gettandolo a terra, e impedendogli di penetrare Phoenix con la sua lama, mentre il Cavaliere si schiantava sul pavimento, battendo la spalla ferita.

 

“Sei pazza, donna!” –Mormorò Deimos. –“La furia di mio Padre ti perseguiterà in eterno!”

 

“Saprò domarla!” –Sibilò lei, afferrando di scatto la sua corta spada e piantandola nell’interno del braccio destro di Deimos. –“Come domerò te!” –Fece per sollevarsi ma Deimos la scaraventò in aria con un potente calcio all’addome, facendola rotolare a terra per diversi metri, mentre il Dio estraeva la corta lama dal suo braccio, troncandola sulle proprie gambe. Ma Ippolita era determinata a non lasciarsi abbattere e aprì il suo palmo destro, liberando iridescenti fasci di energia, che travolsero Deimos, intrappolandolo al centro di una rete.

 

“Maglia delle Amazzoni!” –Gridò, usando la tecnica che aveva immobilizzato Sirio ore prima.

 

“Traditrice... traditriceee!!!” –Urlò Deimos come un dannato.

 

“Risparmia il fiato, figlio di Ares!” –Mormorò Ippolita, mentre i fili di energia della maglia da lei creata intrappolavano Deimos, sospeso in aria, in una grande ragnatela. Assicuratasi che il Dio fosse momentaneamente innocuo, Ippolita si avvicinò a Phoenix, per sincerarsi delle sue condizioni; si chinò su di lui, ancora debole e frastornato, e gli sfiorò una mano, aiutandolo a rialzarsi.

 

“Ippolita…” –Disse Phoenix, fissandola con i suoi occhi scuri. La Regina delle Amazzoni sorrise, senza abbassare lo sguardo, e in quel momento si sentì meno guerriera e più donna, più umana.

 

“Ooaaah!!!” –Urlò improvvisamente Deimos, espandendo il proprio cosmo biancastro. Onde di energia apparvero intorno a lui, scivolando nell’aria fino a lambire i feriti corpi di Phoenix ed Ippolita, fermando nuovamente i loro movimenti.

 

“Co.. come puoi fare questo, prigioniero della mia maglia?” –Chiese Ippolita, incapace di muoversi.

 

“Stupida donna!” –Sibilò il Dio dello Spavento. –“Puoi fermare il mio corpo, ma non i miei poteri! Le onde di energia da me generate possono arrivare ovunque, superando qualsiasi difesa, perché agiscono direttamente sulle emozioni umane!”

 

“Che... cosa?!” –Balbettò Phoenix, mentre il suo corpo tremava e fremeva agitatamente.

 

“Le Onde di Terrore agiscono sui sentimenti inconsci, acuendoli, incupendoli, trasformando anche l’uomo più sicuro e determinato in una larva incapace di scegliere, in un dubbioso cronico, insicuro e impaurito! Paralizzando i suoi centri nervosi e generando in lui il panico!” –Spiegò Deimos, osservando soddisfatto Phoenix e Ippolita, fermati a mezz’aria di fronte a sé, mentre le loro corazze vibravano sinistramente. –“La pressione a cui le vostre armature e i vostri corpi sono sottoposti diventerà presto insostenibile ed esploderete!”

 

“Ma... mai…” –Rantolò Phoenix, bruciando il suo ardente cosmo.

 

“Non puoi vincermi Phoenix! Non finché non vincerai le tue paure!!!” –Esclamò Deimos, ridendo beffardamente.

 

“Le tue paure?!” –Domandò Ippolita, ma Phoenix non rispose, concentrando i sensi.

 

Fin da quando era diventato Cavaliere non aveva avuto alcuna paura, non aveva mai provato sentimenti di terrore e di panico, in parte perché, grazie al supremo potere della Fenice, poteva sempre trovare la forza per risorgere, anche dalle situazioni più buie, in parte perché non c’era realmente niente che potesse spaventarlo. Spavaldo ed arrogante, Phoenix aveva sempre affrontato i suoi nemici a testa alta, anche quelli più tremendi, come Virgo e Gemini, senza mai mostrare cenni di debolezza, ma riuscendo sempre a vincere, superando ogni volta i proprio limiti.

 

L’unica occasione in cui si era realmente trovato in difficoltà era stato in Ade, affrontando Ade reincarnatosi in suo fratello; ma non era stata paura a fermare il suo pugno, bensì l’affetto fraterno che lo legava ad Andromeda, la triste, ma profonda consapevolezza, che Andromeda avesse deliberatamente accettato Ade dentro di sé, per permettere ai Cavalieri suoi amici di ucciderlo.

 

Allora cos’è?! Si domandò. Cos’è questo terrore che mi corre lungo la schiena, come un’affilata lama che scende sulla mia pelle nuda? Perché le Onde di Terrore mi bloccano? Su quali sentimenti agiscono per rendermi così tremante e insicuro? Phoenix non rispose, ma una parte di sé iniziò a capire. C’era un unico sentimento che era mancato nella sua vita, un’unica emozione che non aveva mai provato, o che forse aveva messo da parte. E su essa Deimos stava giocando.

 

“Maledetto!!!” –Ringhiò Phoenix.

 

“Smettila di agitarti, ragazzino!” –Mormorò Deimos, mentre il suo cosmo cresceva sempre più intorno a lui, fino al punto da strappare i fili della maglia di energia.

 

“Nooo… si sta liberando!!!” –Esclamò Ippolita, stupefatta.

 

“Tutti i limiti sono fatti per essere superati!” –Sogghignò Deimos. –“E il terrore vince su tutto!” –E con un brusco gesto strappò via la ragnatela energetica che lo aveva imprigionato, ricadendo compostamente a terra. Sollevò il braccio destro, mentre le Onde di Terrore fluttuavano nell’aria, ballerine danzanti al suo comando, e aprì il palmo di colpo. Ippolita e Phoenix furono scaraventati indietro, schiantandosi contro la parete retrostante, mentre le loro corazze si danneggiavano ancora.

 

“Così... giunge la fine!” –Mormorò Deimos, richiamando a sé la sua Spada Infuocata. –“Che siate pronti oppure no, che la vogliate accettare o meno!”

 

“I... Ippolita…” –La chiamò Phoenix, cercando di voltarsi verso di lei. –“Liberati dalle tue paure, cerca di vincerle!”

 

“Che... cosa?!” –Balbettò lei, non capendo a cosa Phoenix si riferisse.

 

“Le Onde di Terrore agiscono sui sentimenti, sulle nostre incertezze, trasformando dubbi in angosce, rimorsi in opprimenti sensi di colpa, amore in disperazione!” –Spiegò Phoenix, che aveva compreso il segreto di Deimos. –“Cos’è che ti preoccupa così tanto?! Libera i tuoi sentimenti ed egli niente più potrà su te!” –Urlò Phoenix, mentre le Onde di Terrore lo opprimevano sempre più.

 

I miei sentimenti?! Rifletté Ippolita. E per un momento realizzò di non averne, di non provare desiderio alcuno che non fosse tornare a Themiskyra, sulle rive del Termodonte, dove vivere in pace, Regina del popolo di Donne guerriero che desideravano essere libere dalle schiavitù dei maschi. Indipendenti e fiere di loro stesse. Doveva forse rinunciare a quello?!  Ma realizzò che non era la risposta giusta. Quella non era una paura, ma una speranza che coltivava da millenni e che Ares aveva riacceso in lei, offrendole un’occasione per riavere la sua terra. Ma adesso che aveva tradito, ribellandosi a lui, Ippolita era perfettamente cosciente che il Dio non gliel’avrebbe mai resa.

 

No! Deimos non sta giocando con questo. Rifletté Ippolita, prima di voltarsi a fatica verso Phoenix, sentendo un suo nuovo grido di dolore, stretto dalle mortali Onde di Terrore. Lo osservò per un momento, appiattito al muro, con il volto stanco e ferito e i capelli mossi, e chiazze di sangue sulla sua splendida corazza ammaccata, e lo trovò… bello! Sì! E le scappò un sorriso, prima che una nuova fitta le stringesse il cuore, facendola quasi esplodere dall’interno.

 

“Libera i tuoi sentimenti ed egli niente più potrà su di te!” –Le ultime parole di Phoenix rimbalzarono nella sua mente. E… se fosse?! Rifletté per un momento, prima di cacciare quel pensiero improbabile. Ma una nuova fitta al cuore la ferì, obbligandola a fronteggiare se stessa. Ikki. Mormorò. E per un attimo le sembrò di sentire le Onde di Terrore diminuire. Ikki di Phoenix

 

“Ikkiiiii!!!” –Gridò. E come d’incanto le onde allentarono la presa, lasciandola cadere al suolo, di fronte agli occhi stupefatti di Deimos.

 

“Che cosa?!” –Esclamò il Dio, spostando poi lo sguardo su Phoenix.

 

“Eh eh…” –Sorrise il ragazzo, mentre il suo corpo riacquistava scioltezza nei movimenti.

 

“Non può essere! Non potete sfuggire alle Onde di Terrore!” –Gridò Deimos, rinnovando l’assalto. Fluttuanti onde di energia biancastra tentarono di abbattersi sui corpi di Ippolita e Phoenix, ma furono improvvisamente fermate da un’invisibile barriera.

 

“Il Cinto di Ippolita!” –Commentò la donna, toccando la sua cintura. –“Adesso è tuo!” –Sorrise, rivolgendosi a Phoenix.

 

“A buon rendere!” –Mormorò questi, scattando avanti, con il pugno destro carico di energia. –“Pugno Infuocato!!!” –La sfera di rovente cosmo sfrecciò verso Deimos, rimasto sorpreso e allibito dal fallimento della sua mortifera tecnica, che non riuscì ad evitare l’impatto, venendo scaraventato indietro, e ricadendo con fragore sul pavimento di marmo.

 

“Maledetta Fenice… ti strapperò le piume una ad una!!!” –Ghignò Deimos, tentando di rialzarsi

 

“Eccole!” –Esclamò Phoenix, scagliando raffiche di Piume Infuocate verso il Dio, il quale, disteso in terra, rotolò in fretta per evitarle, nascondendosi dietro una colonna e rimettendosi poi in piedi. L’ultima infuocata piuma della Fenice si piantò nel marmo della colonna dietro alla quale Deimos si era celato, per riprendere un attimo fiato. Non era debole fisicamente, ma solamente sorpreso, quasi sconvolto, che qualcuno avesse sventato il suo attacco sentimentale. Senza demoralizzarsi troppo, sogghignò, concentrando il proprio cosmo.

 

“Phoenix!!! Attento!!!” –Gridò Ippolita, osservando la Spada Infuocata, caduta in terra quando Deimos era stato colpito, tremare per un momento, prima di sfrecciare verso il Cavaliere della Fenice, mirando alla sua schiena. Ma non la raggiunse, venendo imbrigliata da una sottile trama di energia, che assunse presto la forma di una ragnatela.

 

“Maglia delle Amazzoni!” –Esclamò Ippolita, prima di crollare in ginocchio, debole e stanca.

 

“Maledetta Amazzone!” –Gridò Deimos furibondo, uscendo da dietro la colonna e colpendo Phoenix con un pugno in pieno addome. La spinta fece barcollare il ragazzo, permettendo al Dio di avvicinarsi e toccare il suo petto con il palmo sinistro. –“Tremor!” –Sogghignò, mentre il corpo di Phoenix, bloccato di fronte a lui, iniziò a tremare, e la sua corazza a vibrare. –“A differenza delle Onde di Terrore, questo mio colpo non incide sull’animo della vittima, limitandosi a fermare i suoi movimenti e a farla tremare, finché, disperata, non crolla su se stessa!”

 

Ippolita, vedendo Phoenix in difficoltà, si rialzò, cercando di aiutarlo, ma Deimos, stufo dei suoi continui interventi, le puntò l’indice destro contro, sprigionando un violento fascio di energia che la trapassò completamente, distruggendo quel che restava della sua corazza e dilaniandole il petto.

 

“Phoenix…” –Mormorò Ippolita, accasciandosi in un lago di sangue. –“Apri le tue ali e vola via…”

 

“Ippolitaaa!!!” –Urlò Phoenix, angosciato alla vista della donna gravemente ferita.

 

Il cosmo della Fenice avvampò impetuoso, mentre tutto il suo corpo si surriscaldava, obbligando Deimos a togliere la mano, per non essere scottato, e a balzare indietro, stupefatto. Un momento dopo, l’infuocato uccello si liberò, mentre Phoenix riprendeva possesso dei suoi movimenti.

 

“Pagherai, per il male che hai voluto farci!” –Gridò, mostrando il pugno carico di energia cosmica. –“Ali della Feniceee!” –L’impetuosa tempesta infuocata scivolò nel salone della Dodicesima Casa, travolgendo Deimos e scaraventandolo in alto, mentre stridenti vampe di fuoco danneggiavano la sua Veste Divina. Ricadde rovinosamente al suolo molti metri indietro, scavando una fossa nel pavimento, da cui comunque emerse poco dopo, ansimando per la fatica, ma pronto a lottare ancora.

 

Phoenix non ebbe neppure il tempo per avvicinarsi ad Ippolita che sentì una tremenda angoscia montargli nel cuore, così grande come mai l’aveva provata prima. Il timore di perdere qualcuno che gli era caro. Si voltò verso Deimos e lo vide sollevare il braccio destro sopra di sé, concentrando il cosmo sull’indice destro; vide onde di energia fluttuare nell’aria, attratte dal dito del Dio, evanescenti strati di cosmo che si racchiudevano in un’unica piccola sfera.

 

“Come promesso, Phoenix, spezzerò il tuo spirito, piegandolo a me! Tu che rifiutasti di servire il male, e divenire Cavaliere oscuro, che ti gloriasti della tua immortalità, forte della Fenice che albergava in te, che accantonasti i sentimenti umani, tronfio della tua superba indipendenza, adesso piegherai il capo a me, Dio supremo dello Spavento!”

 

“Tzè, non mi chinerò mai a nessun Dio malvagio, Deimos!” –Esclamò Phoenix, ma il figlio di Ares lo ignorò, continuando a concentrare il cosmo sulla punta dell’indice.

 

“Conoscerai adesso il vero terrore!” –Sibilò, prima di abbassare il dito e sprigionare una violenta luce biancastra. –“Il massimo colpo di Deimos! Strage di Spirito!”

 

Phoenix incrociò le braccia davanti a sé, come per parare l’attacco di Deimos, qualunque cosa essa fosse, ma si accorse, con stupore, che esso non era rivolto a lui. Ma ad Ippolita, che tentava di rialzarsi dolorante. La bianca dissolvenza di Deimos la raggiunse in testa, sollevandola per un momento da terra, come se un vampiro le stesse risucchiando l’anima, impedendole di proferire qualsiasi parola. Un attimo dopo ricadde a terra, giù, lungo distesa. Morta.

 

“Nooo!!! Ippolita!!!” –Gridò Phoenix, correndo verso di lei, sollevandola, scuotendola, cercando di risvegliarla. Ma la donna non parlò più, vuoto fantoccio di un’anima spezzata. Persino i suoi occhi erano spenti, privi di ogni fiamma vitale. A conferma di ciò, la maglia di energia dentro la quale era intrappolata la Spada Infuocata di Deimos scomparve nel nulla, lasciando cadere l’arma a terra.

 

“Ippolita… Ippolitaaa!!!” –Urlò Phoenix, piangendo, finalmente piangendo.

 

“Era la fine che meritava, per aver tradito mio Padre, colui a cui aveva prestato giuramento di fede! Giuramento che ha tradito!” –Commentò Deimos, recuperando la spada, tronfio del suo successo. –“Lo Strage di Spirito non lascia possibilità alcuna di salvezza, spezzando l’anima della vittima!”

 

“Perché hai colpito prima lei? Perché l’hai fatto Deimos?!” –Ringhiò Phoenix, rimettendosi in piedi, rabbioso come non mai.

 

“Perché era una traditrice! E meritava mille volte di morire!” –Rispose il Dio, in piedi di fronte a lui. –“Inoltre volevo tormentarti ancora un po’! Dal momento che le Onde di Terrore non hanno avuto su te l’effetto sperato, speravo che questo potesse scuoterti un po’!”

 

“Mi ha scosso, Deimos! Mi ha scosso!!!” –Esclamò Phoenix, bruciando al massimo il proprio cosmo infuocato. –“E sentirai sulla tua pelle quanto sono agitato adesso! Quanta rabbia covo dentro!!!” –E senza altro aggiungere Phoenix scattò avanti, scagliando un pugno dopo l’altro, destro, sinistro, carichi di energia incandescente. Deimos tentò di difendersi con la Spada Infuocata, sollevandola di fronte a sé, ma un destro di Phoenix la schiantò, spaventando persino il Dio da tale violenza, estrema espressione di una ferrea volontà di vendetta e di distruzione.

 

Deimos si scansava di lato in lato per evitare gli affondi del Cavaliere, ma si accorse presto, suo malgrado, che la velocità di Phoenix aumentava sempre più, dovendo faticare maggiormente per schivare i suoi colpi. Ouch! Strinse i denti, mentre un cazzotto infuocato lo raggiungeva alla spalla destra. Maledizione! Sibilò, quando un secondo pugno lo prese allo sterno.

 

“Fermati Phoenix! Bastaa!” –Gridò il figlio di Ares, ma Phoenix continuò a prenderlo a pugni, uno dopo l’altro, spaccando con le sue mani la Divina Armatura del Terrore. L’ultimo pugno lo prese in pieno viso, scaraventandolo a terra. Stupefatto, Deimos si rimise in piedi, con il volto gonfio di lividi e la corazza ammaccata in più punti. Ma non ebbe il tempo di pensare ad un piano di attacco che fu subito afferrato per il collo da Phoenix e stretto da dietro la schiena in un mortale abbraccio.

 

“Diavolo d’un Phoenix, ma cosa vuoi fare?!” –Urlò, mentre l’ardente cosmo della Fenice esplodeva attorno a loro.

 

“Ucciderti…” –Mormorò Phoenix a bassa voce. –“Ma prima farti provare il terrore, lo stesso panico che tu, maledetto, riservavi alle tue vittime!” –E nel dir questo il cosmo del Cavaliere esplose, assumendo la forma di un immenso uccello infuocato che si sollevò in volo, distruggendo il soffitto della Dodicesima Casa e volteggiando nel cielo di Atene, mentre ardenti fiamme stridevano sui corpi dei due uomini. 

 

“Volo dell’ultima Fenice!” –Urlò Phoenix, stringendo Deimos a sé, mentre il timore della sconfitta iniziava a farsi strada nell’animo del Dio. Ruotarono su loro stessi, prima di precipitare verso il basso, ancora avvolti nelle fiamme dell’uccello incandescente, schiantandosi contro la parete rocciosa dietro la Dodicesima Casa, ricadendo nel piazzale posteriore, tra i cocci delle loro corazze.

 

“No... non è possibile!” –Balbettò Deimos, cercando di rimettersi in piedi. –“Un uomo… senza paura ha potuto vincermi?! No! Nooo!!!” –Urlò, espandendo l’ultimo residuo del suo cosmo e concentrandolo sull’indice destro. Ma prima che potesse scagliare nuovamente lo Strage di Spirito, un violento pugno di infuocata energia gli sfondò il petto, proprio all’altezza del cuore.

 

“Ouch...” –Mormorò il figlio di Ares, mentre i suoi occhi parevano spegnersi. Con violenza, la mano estrasse il cuore insanguinato dal petto del Dio, ponendoglielo di fronte agli occhi.

 

“Questo è il terrore!” –Commentò Phoenix, prima di gettarlo via.

 

Deimos stramazzò al suolo, senza più vita né cosmo, in un lago di sangue, visione che gli avrebbe eccitato l’animo se fosse stato lui la causa di simile delitto. Ma anche Phoenix crollò poco dopo, troppo debole persino per camminare. Aveva ferite su tutto il corpo e perdeva sangue, ma prima di lasciarsi andare doveva fare ancora una cosa.

 

A fatica, si trascinò per l’intero piazzale, strisciando come un lombrico sul terreno, lasciando sporche tracce di sangue sul candido marmo. Arrivò all’ingresso del tempio e continuò a rantolare sul pavimento, trascinandosi fino all’interno, mentre tutto il corpo gli doleva, tutto il corpo gli piangeva di dolore. Fisico e morale.

 

Raggiunse infine il corpo di Ippolita, Regina delle Amazzoni, colei che aveva dato la vita per salvare la sua, la vita di uno sconosciuto. Un uomo che aveva saputo ricordarle cosa significasse essere donna, cosa significasse provare un sentimento per qualcuno. Le accarezzò il volto, con le mani insanguinate, mentre lente lacrime scendevano sul suo sporco viso, e rimase così per qualche minuto, a cullarla dolcemente, mentre le forze lo abbandonavano sempre più. Infine, le prese la testa tra le mani e la baciò, poggiando le sue labbra su quelle di lei.

 

“C’è sempre una seconda scelta... Ikki…” –Gli sembrò di udire la sua voce. Poi non udì altro, e crollò, accanto a lei, sul freddo pavimento di marmo.

 

 

 

 

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Capitolo 34
*** Capitolo trentaduesimo: Il massacro degli Argonauti ***


CAPITOLO TRENTADUESIMO. IL MASSACRO DEGLI ARGONAUTI.

 

Giasone della Colchide stava affrontando due vecchi compagni, gli Argonauti Ascalafo e Ialmeno, che avevano partecipato, millenni prima, alla ricerca del Vello d’Oro, guidata proprio da Giasone. Per quanto i loro rapporti, all’epoca, fossero stati positivi, di amicizia e collaborazione reciproca, adesso i due vecchi compagni d’armi, che di Ares erano figli bastardi, avevano mostrato il loro lato malvagio, desiderosi di uccidere Giasone, colpevole, secondo loro, di aver ricevuto gloria ed onori, oscurando quindi i meriti di tutti gli altri.

 

“Hai avuto tutto!” –Gridò Ialmeno, mentre una devastante rabbia gli invadeva l’animo. –“E a noi non hai dato niente, approfittando della nostra buona fede, della nostra disponibilità! Senza di noi non saresti mai giunto nella Colchide, né avresti incontrato Medea!”

 

“Quello forse sarebbe stato un bene…” –Ironizzò Giasone, ricordando l’affascinante, quanto psicologicamente instabile, donna che lo aveva ammaliato millenni prima.

 

Medea, figlia di Eete, re della Colchide, era la nipote della Maga Circe, dotata, come lei, di poteri magici, che non esitò a usare per aiutare Giasone, che conobbe e rubò il suo cuore, sia per recuperare il Vello d’Oro, sia per uccidere l’usurpatore del trono di Iolco, antica città della Magnesia di cui Giasone avrebbe dovuto essere re. Ma per quest’ultimo atto fu bandita, insieme a Giasone, sposato in fretta durante il viaggio di ritorno dalla Colchide, il quale molto soffrì la separazione dalla sua città natale, e infine, quando dieci anni dopo il nuovo re di Iolco gli offrì la mano di sua figlia, egli accettò, tradendo il patto d’amore sancito con Medea, incapace di sopportare ancora di essere un proscritto e convivere con un’assassina. Quel gesto gli attirò l’odio di Medea, che con l’inganno riuscì ad uccidere sia la futura moglie di Giasone che suo padre, sterminò i figli avuti dall’uomo, assistendo impassibile al suicidio dell’eroe. Dell’unico eroe che aveva veramente amato, al punto da mettersi contro suo padre. Ma quando seppe che Zeus aveva salvato Giasone, donandogli un posto nel cielo immortale dell’Olimpo, per farne un Cavaliere Celeste, Medea andò su tutte le furie, lanciando un pesante anatema su di lui, condannandolo all’insofferenza perpetua.

 

“Come io non ho avuto diritto, a causa tua, alla felicità, neppure tu la assaporerai mai!” –Aveva mormorato la donna, millenni prima, puntando i pugni contro il cielo.

 

E ancora oggi la tua maledizione mi colpisce! Rifletté Giasone, cercando di evitare gli assalti dei suoi avversari, i cui cosmi, lo percepiva chiaramente, erano molto potenti, sospinti, quasi violentati, dall’ardente cosmo del loro Padre.

 

“Il giorno della resa dei conti è infine giunto!” –Esclamò Ialmeno, sollevando il braccio destro al cielo, mentre le unghie della sua mano diventavano affilati artigli carichi di oscura energia cosmica. –“Ooh, Padre grazie… Quanto ho aspettato questo momento di gloria!”

 

“Se è soltanto la gloria in battaglia ciò a cui miri, Ialmeno, allora dovresti essere soddisfatto! Perché grandi sono state le tue gesta nella Colchide e nella Guerra di Troia, in cui combattesti a fianco di tuo fratello!”

 

“In cui fui ucciso a fianco di mio fratello!” –Precisò Ialmeno rabbioso, scagliando gli Artigli del Male verso Giasone, il quale fu svelto a pararli con lo Scudo della Colchide. Ma la pioggia di avvelenati unghioni continuò, mentre Ialmeno si faceva sempre più vicino, obbligando Giasone a una maggiore concentrazione e a un aumento di velocità.

 

“Vortice Oscuro!” –Esclamò una seconda voce, liberando un vortice di oscura energia cosmica, che travolse Giasone in pieno, scaraventandolo in alto e facendolo schiantare molti metri addietro, danneggiando la sua robusta Armatura Divina.

 

“Perché ti sei intromesso, Ascalafo?”

 

“La vendetta non deve accecare il nostro obiettivo finale, Ialmeno!” –Precisò questi, avvicinandosi al fratello. –“Siamo qua per sconfiggere Giasone, per vederlo strisciare ai nostri piedi, chiedendo perdono per averci precipitato nella dimenticanza, offrendoci la gloria e le ricchezze di cui ci derubò in passato per avere salva la vita!”

 

“È ciò che stavo facendo!” –Ruggì Ialmeno, mentre Giasone si rialzava a fatica, grondando sangue.

 

“Mi pareva che l’ira avesse accecato il tuo istinto, fratello, rendendoti vulnerabile!”

 

“E a me sembra che tu voglia proteggere Giasone!” –Esclamò scocciato Ialmeno, prima di bruciare nuovamente il suo cosmo. Ma quella volta Giasone lo anticipò, scattando avanti brandendo la propria lucente spada, caricandola del suo scintillante cosmo.

 

“Spada della Colchide!” –Avvampò, lanciando rapidi affondi sui due fratelli, che furono obbligati a separarsi. Ialmeno scattò di lato, venendo ferito solo a un braccio, mentre Asclafo cercò di contrastare Giasone con il mazzafrusto su cui la spada si abbatté inutilmente, senza scalfirlo, prima che il figlio di Ares scagliasse la sfera rotante avanti, arrotolando la catena intorno al polso di Giasone e tirando con forza. –“Aargh…” –Gridò il Cavaliere, perdendo la presa della spada, che cadde a terra. Con un rapido strattone, Ascalafo tirò Giasone a sé, concentrando il cosmo sul pugno destro per colpirlo, ma il Cavaliere di Zeus fu più abile, centrandolo con un calcio secco sulla mano, distruggendo il guanto protettivo della sua armatura, e scagliando poi nuovi calci contro il suo braccio sinistro, per liberarsi dalla presa della catena.

 

“Vortice oscuro!” –Vociò nuovamente Ascalafo, liberando il nero vortice di energia cosmica, che travolse in pieno Giasone, scaraventandolo indietro.

 

L’argonauta ricadde al suolo, con la palla chiodata ancora arrotolata al braccio, sbattendo la spalla destra e scheggiando la sua corazza, ma non fece in tempo a muoversi che Ialmeno fu su di lui, affondando i suoi avvelenati artigli nel pettorale del Cavaliere Celeste, facendolo gridare dal dolore.

 

“Sii uomo fino in fondo, sporco traditore! E muori senza piangere!” –Sibilò il figlio di Ares.

 

“Non io…” –Mormorò Giasone, con un filo di voce. –“Non io sono il traditore!” –Detto questo mosse velocemente il mazzafrusto, ancora attorcigliato al suo braccio destro, stringendo il collo di Ialmeno con la catena, fino a farlo soffocare.

 

“Aah…” –Rantolò Ialmeno, ritirando immediatamente i propri artigli e dimenandosi per liberarsi.

 

“Tu sei il traditore, Ialmeno! Non soltanto perché hai tradito me, cercando di uccidermi, ma anche per aver venduto i tuoi principi, la tua lealtà, a tuo padre, che ha fatto di te soltanto un servo per le sue mire di dominio!” –Mormorò Giasone, stringendo ancora la presa, mentre Ialmeno si portava le mani alla gola, cercando di togliersi quell’opprimente catena che gli stava facendo mancare il fiato. –“Comprendilo adesso, mio vecchio amico… adesso… prima che sia troppo tardi!”

 

“È già troppo tardi!” –Esclamò una voce di donna, intromettendosi nella conversazione.

 

“Uh?! Che cosa?!” –Mormorò Giasone, sorpreso da quell’apparizione. Scaraventò Ialmeno di lato, facendogli sbattere la testa per terra, e lo calciò via violentemente, prima di voltarsi verso la nave di Argo, da cui aveva sentito provenire la voce.

 

Là, in piedi, sulla prua della nave, che lo fissava con occhi intrisi di fiamme, stava Medea, come l’aveva vista l’ultima volta, millenni prima. Non molto alta, mora, con riccioluti capelli ondulati, che sembravano serpi avvelenate, ricoperta da una semplice veste nera, e con una lunga lancia in mano, dalla punta dorata.

 

“Me… Medea?!” –Balbettò Giasone, facendo un passo indietro.

 

“Grandi sono i poteri di nostro Padre!” –Commentò Ascalafo, avvicinandosi. –“Ha pensato persino a te! Non sei felice di rivedere la tua antica amante?!”

 

Senza rivolgergli alcun saluto, Medea spiccò un tremendo salto, lanciandosi dall’alto della nave di Argo, gridando follemente e scagliando la lancia verso il cuore di Giasone, il quale, sorpreso da tale immediata violenza, poté soltanto sollevare lo scudo, in cui la lancia si conficcò, trapassandolo con la punta dorata e raggiungendo il braccio di Giasone, che si accasciò sulle ginocchia per il dolore. In un attimo, Medea fu su di lui, sbattendolo in terra e iniziando a graffiare il suo viso ed il suo corpo con unghie affilate, finché il sangue non sgorgò copioso dalle ferite dell’uomo.

 

“Addio Giasone!” –Esclamò Ialmeno, rialzandosi. –“Avrei voluto avere io il piacere di ucciderti, ma credo che lei abbia più diritto di me di avere vendetta!” –E fece un cenno al fratello, indicandogli la cima dell’Olimpo, su cui sentiva che gli altri berseker stavano combattendo.

 

“Fe… Fermatevi!” –Gridò Giasone, ma l’eroe non era nelle condizioni di bloccarli, impegnato a tenere a bada la brutale violenza dell’animalesca Medea.

 

“Tu non sai il dolore che ho dentro, la rabbia che ho covato in questi anni, Giasone…” –Sibilò la donna, e la sua voce parve veramente quella di una serpe avvelenata. –“Ho aspettato millenni, nelle profondità dell’Inferno, che qualcuno mi riportasse alla luce, anche soltanto per un giorno, per confrontarmi con te, per vendicarmi del torto subito!”

 

“Credo che tu ti sia anche troppo vendicata, Medea!” –Le rispose Giasone, scagliandola via con un violento calcio nello stomaco, che lanciò la donna contro un albero retrostante. –“Hai ucciso la mia futura sposa, e il mio re, togliendomi ogni speranza di ritornare in patria, ogni speranza di ritornare tra la mia gente!”

 

“Io ero la tua patria!!!” –Gridò Medea furibonda. –“Doveva bastarti il mio amore, la mia passione! Ma tu no, volevi di più! Hai sempre voluto di più, incontentabile vittima dei vizi umani! Volevi compiere imprese eroiche, e hai sfidato gli Dei conquistando il vello d’Oro! Volevi una bella moglie, e l’hai avuta, sposando me, che per amore tuo sono andata contro mio padre! E infine volevi tornare in patria, e per farlo non hai esitato a sacrificarmi, a vendermi, gettandomi via, come un oggetto privo di utilità!!!”

 

“Il nostro amore era finito tempo prima… Quando ti rivelasti per quello che eri, un’assassina che non esitava ad usare gli altri per il proprio tornaconto!”

 

“Fui io ad uccidere Pelia, che aveva usurpato il tuo trono!” –Gridò Medea, assatanata. –“E come ricompensa ho avuto soltanto questo.. la morte!”

 

“Non ho mai desiderato sedermi su un trono imbrattato di sangue!”

 

“Ma certo.. tu sei sempre stato l’eroe… e noi, compagni abbandonati, mogli tradite.. siamo sempre stati il male!” –Ironizzò Medea, prima di lanciarsi nuovamente contro Giasone, il quale concentrò il cosmo sullo Scudo della Colchide, liberando la sua possente luce e scaraventando la donna indietro, fino a farla ricadere distesa a terra, apparentemente svenuta.

 

“Fermi, voi!!!” –Li chiamò infine, rivolgendosi ad Ascalafo e Ialmeno, che si stavano allontanando.

 

“Quante volte vuoi morire?!” –Dissero i due, voltandosi verso di lui. Ma prima che potessero muovere un muscolo si ritrovarono completamente immobilizzati da guizzanti liane verdi sgorgate dal terreno sotto i loro piedi; lunghi resistenti filamenti di erba che intrappolarono i loro muscoli.

 

“Gorgo dell’Eridano!” –Esclamò una squillante voce, mentre un turbine di energia acquatica sfrecciava nel terreno, dirigendosi verso di loro. Li travolse e li scaraventò indietro, sbattendoli a terra con violenza, ammaccando le loro corazze, prima di esaurire la sua potenza, e mostrare l’uomo che lo aveva generato: Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo. Dietro di lui, un centinaio di Cavalieri Celesti, dalle armature dai colori scintillanti: l’Ultima Legione di Zeus.

 

“Gwynn!” –Esclamò Phantom. –“Conduci i soldati alla Reggia di Zeus! Là il nostro Signore ha bisogno di aiuto!”

 

“Sì, Luogotenente!” –Rispose l’amico di Ascanio, incitando i Cavalieri Celesti a proseguire.

 

Quindi Phantom si avvicinò a Giasone, aiutando il compagno, che intanto si era accasciato a terra, a rialzarsi. Lo osservò con preoccupazione, notando i numerosi graffi sul suo corpo, e i fori sulla corazza divina, da cui sgorgava sangue scuro, probabilmente infetto. Era pallido e ansimante, quasi febbricitante, e Phantom intuì che era necessario intervenire immediatamente per salvarlo. Ma non ebbe il tempo di riflettere ulteriormente che dovette evitare guizzanti fendenti di energia che lo obbligarono a saltar via per non essere trafitto.

 

“Chi siete?!” –Domandò Phantom, atterrando poi di fronte ai due guerrieri.

 

“Ascalafo del Mazzafrusto, figlio di Ares!” –Rispose uno.

 

“E io sono Ialmeno dell’Anfesibena!” –Disse l’altro, muovendo le braccia davanti a sé, che subito assunsero la forma di due teste di serpente, sibilanti e sputanti fuoco.

 

L’Anfesibena! Ma certo! Rifletté Phantom. Avrei dovuto capirlo dai coprispalla della sua armatura! Mitico serpente dotato di due teste, una per ogni estremità del corpo, capace di strisciare in entrambe le direzioni! Vuole il mito che sia nata dal sangue della Gorgone, quando Perseo volò, stringendola in pugno, sopra il deserto libico!

 

“Come l’animale bicefalo che rappresento, per te, Cavaliere di Zeus, doppia razione di veleno!” –Sibilò il guerriero, liberando i suoi incandescenti artigli velenosi, da entrambe le mani.

 

Ma Phantom, ristoratosi grazie alle sanguigne acque della Blood Spring, scattò in alto velocissimo, evitando tutti gli affondi del figlio di Ares, che cercava di stare dietro ai guizzanti movimenti del Cavaliere Celeste, che balzava in ogni direzione. Finché, con un ultimo salto, non si portò proprio dietro a Ialmeno, il quale si voltò immediatamente, pronto per affondare i suoi artigli dentro di lui, ma Phantom fu più veloce, colpendolo con un montante al mento e sollevandolo da terra.

 

Ialmeno cercò di trascinare il Luogotenente con sé, afferrando il braccio con cui l’aveva colpito con le sue gambe, e ci riuscì, tirandolo in alto; quindi mosse le mani come serpenti velenosi, per affondare dentro al suo corpo, ma Phantom lo anticipò di nuovo, portando le braccia al petto e poi aprendole di scatto, liberando la devastante potenza del Gorgo dell’Eridano. Colpito da distanza ravvicinata, Ialmeno venne travolto in pieno e scaraventato in alto, prima di ricadere a terra, scavando una fossa nel terreno, che presto si tinse di scuro sangue.

 

“Complimenti, Cavaliere!” –Disse Ascalafo, osservando Phantom atterrare compostamente al suolo. –“Hai tenuto testa ai velenosi attacchi di mio fratello e lo hai sconfitto in fretta! Stupefacente!”

 

“Conserva il fiato per combattere, e non per lusingarmi, figlio di Ares! Sarebbe fiato sprecato!” –Replicò Phantom, bruciando ancora il proprio cosmo celeste.

 

“Non è falsa lode la mia ma verità! Tuttavia non credere di esserne uscito indenne…”

 

“Uh?!” –Mormorò Phantom, non comprendendo le parole dell’uomo. Una fitta incredibile al fianco destro lo fece accasciare a terra, strappandogli un lacerante grido di dolore, mentre Ascalafo sogghignava compiaciuto, iniziando a roteare il proprio mazzafrusto.

 

“Soltanto un artiglio avvelenato ti ha raggiunto!” –Mormorò, avvicinandosi al Cavaliere. –“A te andrà meglio che al tuo compagno, il quale morirà tra poco, con tutte le ferite che ha riportato!”

 

“Cosa... vuoi dire?!” –Strinse i denti Phantom rimettendosi in piedi.

 

“Il veleno dell’Anfesibena è doppiamente mortale, e necessita della metà del tempo di un comune veleno per agire sull’organismo!” –Commentò Ascalafo, prima di bruciare il cosmo. –“Difenditi adesso, perché hai ancora un nemico da affrontare! E temibile per di più!” –E roteò con forza il mazzafrusto, moltiplicando le sfere chiodate e scagliandole contro Phantom. –“Sfere distruttici!” –Gridò, mentre comete oscure piombavano sul Luogotenente dell’Olimpo, il quale rotolò in fretta sul terreno, mentre le palle chiodate si piantavano dietro di lui, senza riuscire a raggiungerlo.

 

Si rifugiò dietro un albero, ma Ascalafo non gli diede pace, arrotolando la catena intorno al tronco e sradicandolo con vigore. Di grande forza è dotato costui! Rifletté Phantom, ritenendo opportuno giocare d’astuzia, e scattò via, per evitare un nuovo assalto delle sfere distruttici. Continuando a saltare qua e là, schivando le palle chiodate, il Cavaliere Celeste si allontanò dal sentiero principale, obbligando Ascalafo a rincorrerlo tra gli antichi alberi dell’Olimpo. Là, sul versante che dava sul Mediterraneo, la furia devastante dei berseker non era giunta e la natura incontaminata regnava intorno a loro, permettendo a Phantom di fruire a pieno di quell’energia silenziosa in cui era immerso. D’istinto si fermò, socchiudendo gli occhi e lasciando che il Talismano di Demetra risplendesse intorno al suo collo, caricandosi delle immortali energie dell’Olimpo.

 

“Sciocco! Non riuscirai ad evitarla  anche stavolta!” –Gridò Ascalafo, lanciando nuovamente la sua palla chiodata avanti.

 

“E non era questa la mia intenzione!” –Mormorò Phantom, afferrando la sfera con mano decisa, senza riportare danno alcuno.

 

“Incredibile!!!” –Ascalafo rimase a bocca aperta. Fermare la sua sfera, che sfrecciava alla velocità della luce, irta di punte acuminate, avrebbe piegato molti avversari comuni. Ma il Luogotenente non apparve affatto sfiatato, anzi procedeva nella sua posa meditativa, senza lasciare la presa della sfera.

 

“Mollala!!!” –Gridò Ascalafo, scuotendo il suo mazzafrusto. –“D’accordo… passerò alle maniere forti!” –Commentò, e si lanciò avanti con il pugno carico di energia.

 

“Ora!!!” –Aprì improvvisamente gli occhi Phantom, liberando il cosmo che aveva accumulato. Dal terreno sottostante spuntò una moltitudine di liane e piante rampicanti, che si arrotolarono immediatamente intorno al corpo del guerriero di Ares, fermando i suoi movimenti, stridendo sulla sua corazza, avvoltolandosi intorno al suo collo e iniziando a soffocarlo.

 

“Non crederai… di fermarmi con un po’ d’erba…” –Mormorò Ascalafo, espandendo il suo cosmo, ed iniziando a recidere le liane che lo tenevano prigioniero. Ma si rese presto conto che per ogni liana che recideva, bruciandola con il suo infuocato cosmo, altre due ne sgorgavano dal terreno, obbligandolo ad uno sforzo sempre maggiore.

 

“Sono in pena per Giasone! Questo scontro deve terminare adesso!” –Esclamò Phantom, chiudendo le braccia al petto e concentrando su di esse il suo cosmo.

 

“Non te lo permetterò….” –Sbraitò Ascalafo, bruciando tutto il suo indemoniato cosmo. –“Vortice Oscuro!!!” –E liberò il nero mulinello di energia, che recise le liane che lo tenevano prigioniero, dirigendosi verso Phantom, il quale, tatticamente, non lo contrastò con il suo gorgo energetico, onde evitare una violenta esplosione, ma cercò di frenarlo con le braccia incrociate davanti a sé, cariche di tutto il suo cosmo.

 

“Iaaaaahhh!!!” –Strinse i denti Phantom, mentre la violenta pressione del Vortice Oscuro si abbatteva sulle sue braccia, spingendolo indietro, e facendo scavare ai suoi piedi profondi solchi nel terreno erboso. Alla fine, il vortice esaurì la sua potenza, senza riuscire a travolgere Phantom, che, con grande sforzo, aveva resistito, per quanto gli dolessero le braccia .

 

“Non... può essere!!!” –Sgranò gli occhi Ascalafo.

 

“Accetta il tuo destino, figlio di Ares! Il destino che tu stesso hai scelto per te!” –Esclamò Phantom, concentrando il cosmo sul pugno destro e scattando avanti, sfondando il pettorale dell’armatura di Ascalafo e scaraventandolo indietro. Quindi, convinto che fosse morto, fece per scattar via, ma un gemito lo costrinse a rimanere. Il berseker si stava infatti rialzando, tossendo e vomitando sangue.

 

“Non vuoi morire, figlio di Ares?!” –Esclamò Phantom, caricando nuovamente il pugno, ma la flebile voce di Ascalafo lo fermò.

 

“Portami da Giasone!” –Mormorò, prima di accasciarsi in una pozza di sangue.

 

Phantom, titubante, esitò un momento, finché non percepì che il cosmo di Ascalafo si stava schiarendo, come se l’oscurità presente nel suo cuore stesse scivolando via, con il suo sangue. Ancora un po’ dubbioso, Phantom si caricò il corpo esanime dell’uomo sulle spalle, scattando verso la Via Principale, mentre Ascalafo parlò, con molta fatica, al cosmo del Cavaliere, raccontandogli la sua storia e quella del fratello, due Argonauti che avevano combattuto a fianco di Giasone.

 

“E lo avete massacrato?!” –Domandò Phantom, depositando il figlio di Ares a terra, poco distante da Giasone, il cui viso era pallido e febbricitante, segno inequivocabile che il veleno ormai aveva invaso tutto l’organismo e lo avrebbe ucciso entro pochi minuti.

 

“Dei dell’Olimpo!!!” –Imprecò Phantom, non sapendo come salvare l’amico.

 

Ascalafo a fatica si trascinò fino al corpo di Giasone, sfiorando con un dito le sue ferite.

 

“Non provare a…” –Gridò Phantom, preoccupato che volesse dargli il colpo di grazia. Ma Ascalafo non si curò di lui, continuando a tastare il corpo ferito di Giasone, cercando una vena principale. La trovò e la morse con i propri denti. –“Ma che diavolo fai?!” –Esclamò il Luogotenente, sollevandolo immediatamente dal corpo di Giasone.

 

“Lasciami fare… Il veleno è ormai troppo in profondità… colpire le sue stelle vitali non sarebbe sufficiente! Devo aspirarlo...” –Mormorò, ricadendo sul corpo del Cavaliere, allo stremo delle forze.

 

Phantom lo lasciò fare, dubbioso e incerto, ma qualcosa gli suggerì che ciò che muoveva il figlio di Ares in quel momento era sincero affetto. Per un amico che aveva dimenticato. Affetto che la rabbia del fratello e del Padre, la ricerca dell’oro e della gloria e l’orgoglio ferito gli avevano portato via, nascondendolo al suo cuore, e che adesso la lucentezza del cosmo di Phantom gli aveva ricordato.

 

“Tu mi hai ricordato cosa sia l’onore!” –Commentò Ascalafo, continuando a succhiare via il veleno dal corpo del vecchio amico. –“Mi hai ricordato antichi valori per cui io combattevo un tempo, per cui accompagnai Giasone nella Colchide e mi lanciai nella Guerra di Troia in seguito, trovandovi la morte! Non solo gloria, non solo ricchezza, ma anche onore, volontà di emergere, di essere qualcuno, un nome che potesse vincere le asperità del tempo, e fosse segno inequivocabile delle umane possibilità! Non sono gli Dei che decidono la storia… ma gli uomini…” –Mormorò infine, accasciandosi a terra, con la bocca sporca di sangue.

 

“Ascalafo…” –Lo chiamò Phantom, chinandosi su di lui. Ma si accorse di non poter più fare niente per salvarlo: il veleno che aveva succhiato fuori, come si succhia quello delle vipere, era penetrato nel suo organismo, ormai indebolito e senza difese, e lo aveva ucciso, rapidamente, lasciandogli soltanto il tempo di rimediare in parte ai suoi errori.

 

“Cough Cough…” –Tossì improvvisamente Giasone, sputando bava e sangue.

 

“Giasone!!!” –Esclamò Phantom, felicissimo, chinandosi su di lui, ed aiutandolo a tirarsi su. –“Come stai, amico?”

 

Gli scoppiava la testa, e si sentiva debole e febbricitante, ma senza più le fitte che lo avevano aggredito poc’anzi. –“Ascalafo?!” –Sgranò gli occhi l’argonauta, obbligando Phantom a raccontargli l’intera vicenda.

 

“Credo che infine, liberatosi dal giogo di Ares, abbia compreso l’affetto che provavi per lui, l’amicizia che legava voi tutti Argonauti e che, per quanto il tempo vi abbia diviso e la vita abbia riservato ad ognuno di voi sorti diverse, è stata capace di resistere… per interi millenni!”

 

“Frottole!!!” –Esclamò improvvisamente una voce stridula dietro di loro.

 

Phantom e Giasone si voltarono e trovarono Ialmeno, in piedi, grondante sangue e con l’armatura quasi tutta distrutta, e con fiamme negli occhi ed un cosmo ostile che lo avvolgeva.

 

“Mio fratello in punto di morte ha perso il senno! Ma io non lo farò!”

 

“Tuo fratello ha ammesso i suoi errori! Non essere da meno, Ialmeno!” –Esclamò Phantom, pregando Giasone di non preoccuparsi del nemico.

 

“No!” –Intervenne una voce di donna. –“Giasone avrà altro di cui preoccuparsi!”

 

“Medea!!!” –Esclamò Giasone, osservando la donna, appoggiata ad un albero poco distante, che reggeva in mano una lama scarlatta, raccolta in terra.


Nello stesso momento Ialmeno e Medea scattarono avanti, il primo su Phantom e la seconda su Giasone, ancora intento a rimettersi in piedi. Il Luogotenente dell’Olimpo evitò l’affondo del figlio di Ares, portandosi rapido alla sua destra e colpendolo con un calcio allo sterno che lo spinse indietro, prima di afferrarlo dal dietro, sollevarlo in aria e sbatterlo sul terreno, come un cencio.

 

“Grrr!!!” –Ringhiò ancora Ialmeno, sgraffiando con i suoi affilati artigli il braccio che lo teneva prigioniero, mentre le fiamme nei suoi occhi bruciavano sempre più.

 

Quest’uomo ha l’Inferno dentro! Possano le fresche acque dell’Eridano purificare il suo animo! Sospirò Phantom, prima di scagliarlo in alto, avvolto da un energetico gorgo acquatico, di cui Ialmeno rimase in balia, prima di schiantarsi disastrosamente al suolo, alla fine morto.

 

Medea, dal canto suo, era balzata su Giasone, brandendo l’affilata lama e mirando al suo cuore, quel cuore che lui le aveva spezzato millenni prima, abbandonandola per un’altra donna. Non capiva Medea, non poteva capire cosa avesse spinto il suo amato ad un gesto simile. Ma da quel momento Giasone non era più stato il suo amato, bensì il suo nemico, il demonio allo stato puro, che lei avrebbe perseguitato anche dopo la morte, lanciando su di lui la maledizione dell’infelicità eterna.

 

“Muoriii!!!” –Gridò, puntando la lama al cuore di Giasone, ma egli si liberò della donna inferocita calciandola via, facendola rotolare al suolo e farle perdere la presa della lama.

 

“Medea! Fermati! Abbandona i tuoi propositi omicidi, liberati dalla prigionia di Ares, e torna la donna che ho amato un tempo!” –La esortò Giasone, concentrando il cosmo sullo scudo.

 

“Mai!!! Ringrazierò Ares ogni giorno, invece, per avermi riportato in vita, per avermi concesso di vederti nuovamente.. e poterti uccidere!!!” –Gridò, in preda ad un profondo delirio esistenziale, prima di lanciarsi avanti, sfoderando i suoi affilati artigli.

 

“E sia… allora…” –Sospirò Giasone, prima di liberare la devastante luce della Colchide. –“La maledizione che mi lanciasti continua a colpirmi… e a rendermi infelice…”

 

In un attimo, l’energia cosmica travolse Medea, svuotandola della vita, facendola ricadere a terra, con il braccio teso verso Giasone, senza che la sua vendetta avesse trovato compimento.

 

Cadde nella polvere insanguinata, giù lungo distesa, ricoperta dai suoi aggrovigliati capelli scuri, e Giasone cadde accanto a lei, debole e dispiaciuto per non aver saputo vincere quel vecchio fantasma. Per non essersi liberato dalla sua maledizione.

 

 

 

 

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Capitolo 35
*** Capitolo trentatreesimo: Il brigante di anime ***


CAPITOLO TRENTATREESIMO. IL BRIGANTE DI ANIME.

 

Quando Tifone arrivò sull’Olimpo, in quel caliginoso pomeriggio di maggio, Demetra, Dea delle Coltivazioni, stava curando con il timo selvatico, intriso del suo benefico cosmo, le ferite dei Dioscuri, nell’ampia radura dove un tempo sorgeva il Bianco Cancello, prima delimitazione della dimora degli Dei. Spaventata da quelle immonde grida, la Dea fu svelta a nascondere Castore e Polluce tra i cespugli, usando i propri poteri per mimetizzarli con l’ambiente circostante, fondendosi in un’unica natura, e là rimasero, quei pochi minuti, mentre l’immonda sagoma di Tifone apparve nel cielo, volando con le proprie demoniache ali, completamente avvolta da fiamme incandescenti.

 

“È terribile!!!” –Mormorò, osservando Tifone discendere sull’Olimpo.

 

“E noi siamo qua nascosti!” –Commentò Castore, cercando di rimettersi in piedi. –“Dobbiamo correre alla Reggia di Zeus per…

                                           

“Per farvi massacrare?!” –Ironizzò la Dea, pregando il Cavaliere di tornare a sedersi.

 

“Per difendere il nostro Signore e Padre!” –Precisò Castore, zoppicando.

 

“Non siete nelle condizioni fisiche per combattere, al momento! Tantopiù con Tifone, un essere così infernale che neppure la potenza riunita di noi tutti Dei potrebbe bastare!”

 

“Motivo in più per correre alla Reggia!” –Aggiunse Castore, ma Polluce, alzandosi a sua volta, lo fermò, pregandolo di rimanere.

 

“Demetra ha ragione, Castore! Per quanto mi irriti e mi mandi in bestia non poter far niente, non avremmo speranze contro quel mostro!”

 

“E allora…” –Ma Demetra zittì entrambi, prima di socchiudere gli occhi e lasciar scivolare il suo cosmo, verde pallido, sul pendio del Monte Olimpo. Evocati dalla loro Signora Madre, numerosi alberi si svegliarono, scossero le alte fronte, sollevarono le antiche radici, e si misero in marcia, diretti verso il medio versante, nel tentativo, ridicolo forse, di frenare l’avanzata di Tifone.

 

“Vuoi fermarlo con i tuoi alberi?!” –La schernì Castore. –“Ne farà una pira sui cui arderà i corpi di tutti noi!”

 

“Smettila Castore!” –Esclamò Polluce, sferrando un cazzotto nello stomaco al fratello, facendolo cadere a terra. –“Non è un atteggiamento costruttivo il tuo!”

 

“E il tuo invece sì!?” –Si arrabbiò Castore, rialzandosi dolorante. –“Rimanere qua, inerti, mentre Giasone e Zeus si fanno massacrare al posto nostro?!” –E senza lasciare al fratello la possibilità di rispondere, si incamminò fuori dal boschetto, spuntando nella radura dove avevano affrontato ed ucciso Kampe. Con un sospiro di tristezza, osservò l’antica cancellata abbattuta e i rovinosi segni dell’avanzata dell’esercito di Ares. Fiamme e distruzione! Ecco cosa resterà dell’Olimpo se non fermeremo queste furie devastatrici! Mormorò, stringendo i denti.

 

Polluce lo raggiunse in quel momento, lasciando Demetra, in meditazione, nel boschetto, e gli mise una mano sulla spalla, accennando un sorriso. Ma prima che Castore potesse parlare, una raffica di dardi investì i due fratelli, obbligandoli a scattare in direzioni diverse per non essere colpiti.

 

“Chi diavolo?!” –Mormorò Polluce, riparandosi verso un albero bruciacchiato. –“Altri nemici?!” –E si voltò verso la direzione delle frecce, trovandosi di fronte ad un immenso vascello volante, sul cui ponte si stagliavano centinaia di demoniache figure, guerrieri di Ares dalle infuocate lance. Alcuni si lanciarono di sotto, avendo visto i due fratelli e desiderando confrontarsi con loro, ma la maggioranza rimase sulla barca, che non si fermò troppo sopra la radura, continuando in direzione del Monte Sacro. Prima di scomparire, però, a Polluce e Castore sembrò di vedere due guerrieri dalle scarlatte armature, e una donna, vicini tra loro, sorridergli con un ghigno di perversa soddisfazione, come se un’antica vendetta, a lungo covata, potesse finalmente trovare realizzazione.

 

“Attento, Castore!” –Esclamò Polluce, sbucando fuori dal suo nascondiglio, mentre una raffica di frecce si abbatteva sul fratello. Concentrando il cosmo, fermò l’avanzata dei dardi e li rinviò indietro, mirando ai colli degli arcieri.

 

“Ferma questa se ci riesci!” –Esclamò un guerriero alto e grosso, brandendo un’alabarda. Senz’altro aggiungere la calò su di lui, con tutta la sua forza, mentre altre frecce venivano scagliate su Polluce, il quale dovette usare tutta la sua concentrazione per frenare l’oscura alabarda, esponendosi così agli assalti degli altri nemici. –“Muori, bastardo!!!” –Sibilò il gigante, continuando a spingere la sua arma verso il basso, mentre Polluce, sotto di lui, puntava entrambe le braccia verso l’alto, per frenarla con il suo potere mentale.

 

Iaaaa!!!” –Urlò Castore improvvisamente, lanciandosi contro il grosso guerriero. Balzò su di lui con entrambe le gambe tese e lo colpì su un fianco, facendolo sbilanciare, quindi sferrò un violento calcio alla sua gamba destra, scheggiando la sua corazza, permettendo a Polluce di prendere possesso dell’alabarda, rigirarla e trapassare la gigantesca mole del gigante.

 

“Uccideteli!” –Esclamò una voce, intimando i berseker a rinnovare l’assalto. E nugoli di frecce si abbatterono sui Dioscuri, che usarono astutamente il corpo enorme del colossale guerriero per ripararsi, prima che Castore, stufo di rimanere passivo, uscisse fuori caricando il suo colpo segreto.

 

“Pugno di Zeus!!!” –Tuonò, spazzando via la prima linea dei berseker. Ma una freccia lo ferì alla gamba destra, in un punto scoperto dell’armatura, facendolo accasciare al suolo mentre altri guerrieri si facevano avanti senza paura, brandendo le loro acuminate picche.

 

Castore! Attento!!!” –Urlò Polluce, che bruciò al massimo il cosmo, sollevando il colossale guerriero usando l’alabarda come leva e lanciandolo in alto, facendolo cadere proprio sui berseker in corsa.

 

“Tecnica grossolana e un po’ rozza!” –Commentò Castore, rialzandosi, prima di sorridere al fratello. –“Ma inequivocabilmente efficace!”

 

Solo allora i Dioscuri si accorsero di un guerriero rimasto in disparte, avvolto nel suo mantello grigio. Lo fissarono per un momento e parve loro più un mendicante che un combattente, ricoperto da una corazza grigiastra che sembrava la veste di un barbone, fatta di toppe e cuciture grossolane.

 

“Chi sei, guerriero di Ares?!”

 

“Non sono un guerriero…” –Commentò questi, avvicinandosi, con voce beffarda. –“Sono un brigante! E sono qua per rubare la vostra vita!”

 

“Un brigante?!” –Ripeterono i Dioscuri, non comprendendo. L’uomo non aggiunse altro e si avvicinò, passando in mezzo ai corpi dei berseker abbattuti; camminava lentamente, quasi trascinandosi, e a Castore e Polluce sembrò di notare una leggera evanescenza sollevarsi dai cadaveri, al suo sfiorarli, e perdersi nel suo grigio mantello.

 

“Precisamente!” –Affermò questi, giunto ormai a pochi metri dai due fratelli. –“Un brigante di anime! E voi sarete le mie prossime vittime!”

 

“Non contarci!” –Esclamò Castore, scattando avanti, nonostante il dolore alla gamba. –“Pugno di Zeus!” –E scaricò il suo violento pugno, che sfrecciò nell’aria, diretto verso l’uomo, il quale rimase imperturbabile ad attenderlo. Venne investito in pieno dall’attacco di Castore, ma sembrò proprio non risentirne minimamente, come se il violento assalto energetico fosse stata aria. –“Che... cosa?!” –Balbettò Castore, incredulo, mentre anche Polluce sgranò gli occhi. –“Non si è mosso. L’ho visto, non ha evitato il mio assalto! Lo ha... lo ha subito!”

 

No…” –Commentò il fratello, osservando meglio l’uomo. –“Lo ha assorbito!”

 

“Come?!”

 

L’uomo dal grigio mantello ridacchiò tra sé, prima che una lucente energia lo circondasse per un momento, per poi spegnersi, assimilata dal suo corpo. Abbassò il cappuccio del suo mantello, rivelando il suo viso, vecchio e smunto, con radi capelli grigi e scavati occhi neri, piccolissimi. Il suo fisico era gracile, ed apparentemente sembrava abbattibile con un solo attacco, ma aveva la forza per portare con sé una robusta clava marrone.

 

Aaah… Grazie. Avevo proprio bisogno di un po’ di energia… prima di uccidervi!” –Mormorò, sollevando la clava e puntandola verso i due fratelli. In un lampo di luce Castore e Polluce vennero investititi in pieno dall’assalto dell’uomo, che si manifestò sotto forma di un gigantesco pugno che sfrecciò diretto verso di loro, sbattendoli lontano.

 

“No! Non è possibile!” –Gridò Castore, rialzandosi a fatica. –“Era il mio stesso attacco! Il mio colpo segreto! Come hai fatto?!” –Ma l’uomo non rispose, sogghignando, mentre la clava brillava ancora di viva energia, stretta nella sua mano.

 

“Devo ripetermi?!” –Sibilò l’uomo.

 

“Chi sei?”

 

Cicno è il mio nome celeste, figlio di Ares e Pelopia! Brigante di anime!”

 

Cicno… il brigante di anime…” –Mormorò Castore, prima che il fratello gli venisse in aiuto. –“Cicno era un brigante figlio bastardo di Ares, che derubava i pellegrini diretti all’Oracolo di Delfi! E adesso, resuscitato dal Padre, deruba i Cavalieri del loro cosmo…

 

“Maledizione!” –Strinse i pugni Castore, riconoscendo che l’avversario si presentava insidioso.

 

“Non soltanto il vostro cosmo prenderò!” –Mormorò Cicno. –“Ma anche la vostra anima! La farò mia, recidendo lo stelo della vostra fragile vita!”

 

“Provaci, bastardo!” –Gridò Castore, scattando nuovamente avanti. –“Pugno di Zeus!” –E scagliò un nuovo assalto contro Cicno.

 

Castore nooo!!!” –Urlò Polluce.

 

Come in precedenza, Cicno rimase immobile, lasciando che l’assalto di Castore scivolasse sul suo grigio mantello, venendo assorbito, prima di sollevare nuovamente la clava e rispedirlo al mittente. Ma Castore, che aspettava proprio quel momento, lanciò un altro Pugno di Zeus, facendolo scontrare con quello che gli veniva incontro, generando una violenta esplosione che lo scagliò indietro, rotolando fino ai piedi del fratello. Quando si rimise in piedi, ammaccato e dolorante, constatò con dispiacere e preoccupazione che Cicno era ancora là, imperturbabile.

 

“Come può essere?! Grrr!!!” –Esclamò arrabbiato il Dioscuro.

 

“Sfogati, figlio di Zeus!” –Lo incitò con voce suadente Cicno. –“Sfogati e libera l’energia che porti dentro! Essa confluirà poi in me! Ah ah ah!”

 

“Non farti dominare dall’ira!” –Sussurrò Polluce. –“O finirai per fare il suo gioco!” –E senz’altro aggiungere il Dioscuro espanse il proprio cosmo, che scivolò silenziosamente nell’ampia radura, cingendo le gambe e il corpo del Brigante di Ares, stringendosi intorno alla sua clava.

 

“Uh?!” –Mormorò Polluce, rendendosi conto di non riuscire a muoverla. –“Non ho potere su essa!”

 

“No, Cavaliere! Quali che siano i tuoi poteri, adesso appartengono a me!” –Disse Cicno, sollevando la clava e puntandola contro Polluce. Immediatamente Polluce venne scaraventato indietro, schiantandosi contro la carcassa di un albero, prima di venire risollevato da terra, quasi manovrato da fili invisibili, e sbattuto contro un altro albero, e poi nuovamente in terra, con violenza e brutalità tali da scheggiare la semidistrutta Armatura Divina, facendo urlare il Cavaliere dal dolore.

 

“Maledetto!” –Strinse i pugni Castore. –“Ha preso anche il potere di Polluce!!!” –Quindi si gettò avanti, verso il figlio di Ares. Ma invece di scagliare nuovamente il Pugno di Zeus, scivolò sul terreno, afferrando la lancia di un guerriero morto e portandosi sotto a Cicno, puntando l’arma contro la sua gamba. La punta della lancia scheggiò la sua corazza, ma non riuscì ad affondare in profondità perché Cicno, con velocità e destrezza, sollevò la clava, calandola poi su Castore, distruggendo la lancia e colpendolo al braccio destro. Un secondo colpo, dal basso verso l’alto, scaraventò il Dioscuro indietro, lungo il terreno, sconfitto ma soddisfatto. Dunque anch’egli può essere ferito! Rifletté, prima di venire raggiunto dal fratello che, a fatica, si era rimesso in piedi.

 

“Possiamo colpirlo!” –Mormorò Castore. –“Ma non dobbiamo usare la nostra energia cosmica, o verrò risucchiata dalla sua clava!”

 

“Facile a dirsi…” –Ironizzò Polluce, ansimando. –“Ma possiamo provarci!”

 

Si scambiarono un rapido sguardo prima di lanciarsi avanti, ognuno su un lato del figlio di Ares, mentre questi, sogghignante, rimaneva in attesa del loro attacco energetico. Ma le intenzioni dei Dioscuri erano diverse: Polluce attrasse a sé, numerose armi presenti nella radura, dandone un paio al fratello, e insieme a lui si lanciò contro Cicno, brandendo lance e spade.

 

Il Brigante, per quanto sorpreso dalla sensata iniziativa dei Cavalieri, non si fece ferire una seconda volta, roteando la clava vorticosamente in modo da creare una piccola barriera su cui si infransero le armi dei Dioscuri, troncandole e gettandole via, prima di fermarla e colpire Castore in pieno petto. La violenza della botta fu tale da scaraventare il Cavaliere indietro, crepando la sua corazza protettiva, ma prima che Cicno riuscisse a muovere la clava contro Polluce, questi lo colpì con un calcio sul braccio destro, facendogli perdere la presa dell’arma, che cadde fragorosamente a terra.

 

“Adesso sei mio!” –Mormorò Polluce. –“Carica dei Cento Cavalli! Travolgilo!!!” –Gridò, liberando il suo possente attacco da distanza ravvicinata, sicuro di travolgere il figlio di Ares. Ma la stessa violenza con cui lanciò l’attacco fu la causa della sua rovina, venendo infatti investito in pieno e scaraventato lontano, tra i frammenti insanguinati della sua corazza.

 

“No! Non è possibile... eppure aveva perso la clava…

 

“Folle sei stato! Un attacco così potente, così devastante, da distanza ravvicinata significa scegliere il suicidio!” –Commentò Cicno, prima di recuperare la propria clava. Camminando lentamente, come gli era proprio, si trascinò fino al corpo ferito di Polluce, sollevando la rozza arma sopra di sé, per schiacciare il Cavaliere Celeste, ma Castore, rialzatosi, scagliò contro di lui un violento pugno energetico, sperando di fermarlo. Ma anch’esso venne assorbito dal figlio di Ares, e rispedito indietro, scaraventando il Dioscuro nuovamente a terra.

 

“Adesso muori!!!” –Urlò Cicno, calando la clava su Polluce. Ma il Cavaliere si riprese, afferrando l’arma con entrambe le mani, cercando di contrastare la pressione che Cicno esercitava su essa.

 

Come… come hai fatto?!” –Rantolò Polluce, i cui muscoli erano tesi al massimo per lo sforzo. –“Come hai respinto la Carica dei Cento Cavalli senza la tua clava?!”

 

“La mia clava?!” –Ripeté Cicno, genuinamente sorpreso. Quindi scoppiò a ridere, allentando la pressione sull’arma, e permettendo a Polluce di rimettersi in piedi. –“Davvero pensavate che fosse la mia clava ad assorbire i vostri attacchi?! Ah ah ah!”

 

“Perché?! Non ce li hai forse rispediti contro con essa?! Non farti beffe di noi, guerriero di Ares!” –E in tutta risposta Cicno gettò la clava a terra, aprendo le braccia come fosse in croce e ordinando ai Dioscuri di colpirlo.

 

“Fatelo! Forza!” –Gridò. –“E vi mostrerò la potenza del Brigante di Anime! Con o senza la mia clava, resto irraggiungibile!”

 

“Maledetto!!!” –Tuonò Castore, ripresosi. E concentrò il cosmo sul pugno, pronto per lanciarsi su di lui. Ma Polluce lo fermò, temendo un inganno. –“Non si lascerebbe mai colpire se non sapesse di poter evitare o sopportare il nostro attacco!”

 

“Questo lo so anch’io!” –Brontolò Castore. –“Ma cos’altro possiamo fare?! Rimanere inattivi ad attendere che ci colpisca nuovamente?!”

 

“Proviamo insieme!” –Sussurrò Polluce, allungando una mano verso il fratello. Questi comprese il suo gesto ed afferrò la sua mano, lasciando che i loro cosmi venissero in contatto, combinandosi tra loro. –“Illusione dei Dioscuri!” –Gridarono, mentre i loro corpi si moltiplicavano.

 

“Mi facilitate il lavoro!” –Ironizzò Cicno, senza scomporsi. Ma Castore e Polluce non risposero, preferendo agire direttamente, liberando i loro colpi segreti e lanciandoli insieme, da ogni direzione, da ogni copia replicata, contro di lui. –“La morte proprio non vi spaventa!” –Disse Cicno, a braccia aperte ad attendere gli assalti dei due fratelli. E anche quella volta sembrò non subire danno alcuno, immagazzinando l’energia e rispedendola indietro, sotto forma di una devastante bomba di luce, che spazzò via le illusioni dei due fratelli, scaraventandoli indietro, feriti e danneggiati.

 

A… ancora!” –Mormorò Castore, stramazzando al suolo.

 

“Ho tenuto fede alla mia promessa, sconfiggendovi figli di Zeus!” –Commentò Cicno, avvicinandosi ai due. –“Adesso, dopo aver svuotato il vostro cosmo, prenderò la vostra anima! Brigante di anime!!!” –Esclamò, volgendo il palmo della mano destra verso di loro.

 

Immediatamente una grigia evanescenza partì dalla sua mano, avvolgendo gli stanchi corpi dei Dioscuri ed entrando dentro di loro, facendoli urlare per la sofferenza, disperare per il dolore. Gli occhi dei due fratelli schizzarono sangue, mentre tutto il loro corpo tremò, in preda a una violenta fibrillazione, tra le grida laceranti che presto si spensero. Un attimo dopo la grigia evanescenza abbandonò i loro corpi, rientrando in Cicno, portando seco le anime dei due nobili guerrieri.

 

“Addio, figli di Zeus! Adesso vivete in me!” –Esclamò il brigante, esplodendo in una grassa risata. Quindi diede le spalle ai due corpi abbandonati, trascinandosi lungo la radura, diretto verso la Via Principale, ma prima che potesse fare due passi sentì un cosmo accendersi di fronte a lui.

 

“Uh?! Chi sei?!” –Domandò, osservando una figura dorata apparire.

 

“Il Grande Mur dell’Ariete!” –Rispose il Cavaliere d’Oro, con voce placida come sempre. –“E sono giunto fin qua, sfidando i devastanti cosmi di Tifone e dei berseker di Ares, per portare aiuto ai Dioscuri, nobili Cavalieri Celesti!” –Quindi fissò i corpi senza vita dei figli di Zeus, avvicinandosi e toccandoli, per sincerarsi delle loro condizioni. Svuotati! Mormorò, sentendo dentro di loro mancare completamente una benché minima forma di energia pulsante. Prosciugati! Rifletté, sollevandosi e volgendo lo sguardo verso il suo avversario.

 

“Hai avuto del fegato a spingerti fin qua, Cavaliere di Ariete!”

 

“Cosa hai fatto loro?!”

 

“Il mio lavoro!” –Ridacchiò Cicno, presentandosi. –“Sono un brigante di anime ed ho assorbito il loro cosmo e il loro spirito! Ih ih!”

 

“Assorbito, eh?!” –Mormorò Mur tra sé, espandendo il suo cosmo. –“Facciamo una prova!” –Si disse, sollevando il braccio destro al cielo, prima di abbassarlo di colpo verso Cicno. –“Per il Sacro Ariete! Rivoluzione stellare!” –Gridò, mentre milioni di stelle parvero cadere sul figlio di Ares.

 

“Ih ih…” –Ridacchiò Cicno, aprendo le sue braccia e lasciando che le stelle lo trafiggessero, senza riportare, come in precedenza, danno alcuno. –“A te adesso!” –Mormorò, aprendo il palmo della mano, e rinviando contro Mur il suo attacco. La fitta pioggia di stelle cadenti sfrecciò verso il Cavaliere di Ariete, il quale, aspettandosi l’attacco, non aveva esitato a creare la sua impenetrabile difesa, il Muro di Cristallo, che le stelle non riuscirono ad abbattere.

 

“Che cosa?!” –Esclamò Cicno stupefatto.

 

“Era un assalto di prova, brigante di anime! Volevo soltanto verificare un’idea!” 

 

“Una tua idea?!”

 

“Non la clava ti permette di assorbire l’energia altrui, ma la tua corazza! I vari elementi che la compongono, e che esteriormente sembrano stracci di mendicante, hanno la capacità di catalizzare le energie cosmiche, risucchiandole al proprio interno e permettendoti di usarle per attaccare!”

 

“Perspicace! Si vede che di armature te ne intendi!” –Sibilò Cicno, irato che qualcuno avesse scoperto il suo trucco. –“Ma aver compreso questo non basterà a vincermi!” –E scattò avanti, brandendo la rozza clava, caricandola di energia cosmica, con una velocità che Mur non avrebbe mai pensato avesse. Si abbatté sul Muro di Cristallo con foga, lanciando colpi violenti e facendo tremare la difesa del Cavaliere di Ariete, il quale fu inizialmente tentato di scagliarlo via con il suo colpo sacro, ma realizzò che un attacco così diretto non avrebbe avuto effetto, venendo assorbito dalla corazza di Cicno. Assorbito… Rifletté Mur, chiedendosi quanta energia potesse contenere. Prima di esplodere!

 

Improvvisamente, mentre Cicno si stava nuovamente avventando con foga sul Muro di Cristallo con la propria clava incandescente, Mur fece scomparire la sua difesa, sbilanciando il berseker e facendolo cadere in avanti, prima di colpirlo con un diretto calcio sull’addome, che lo scaraventò indietro di parecchi metri, incrinando la sua cotta e facendogli perdere la presa sulla clava.

 

“Maledetto Ariete…” –Mormorò Cicno, rialzandosi. Fece per richiamare la clava ma si accorse che l’arma non si muoveva, intrappolata in una bianca ragnatela di energia.

 

“Uh?! Che succede?!” –Si domandò, mentre sottili fili si arrotolavano intorno al suo corpo, intrappolandolo a mezz’aria, in una rete di bianco cosmo.

 

“Ragnatela di cristallo!” –Mormorò Mur, avvicinandosi al figlio di Ares. –“Sei ancora in tempo per liberare le anime dei Cavalieri Celesti, sporco brigante!”

 

“Liberarle?! Stai scherzando, non è vero?!” –Ridacchiò Cicno, bruciando il suo cosmo e cercando di strappare i fili della ragnatela di Mur, ma presto si rese conto di non riuscirvi, che la tela di energia era altamente resistente da richiedergli uno sforzo maggiore. –“E sia, mi hai imprigionato, ma non credere che da questa posizione non mi sia possibile… ucciderti!!”

 

“Uh?!” –Sgranò gli occhi Mur, mentre Cicno riusciva a liberare la mano destra, concentrando sul palmo il suo corpo. Una grigia evanescenza si liberò dalla sua mano, dirigendosi verso Mur, per assorbire la sua anima, come aveva fatto con i Dioscuri. Ma anche quel tremendo attacco non riuscì a superare il Muro di Cristallo.

 

“Che cosa?! Ma non è possibile!!!” –Gridò, imbestialito.

 

“Niente può superare questa barriera invisibile, neppure i gas e gli odori! Tutto si ferma di fronte al Muro di Cristallo!” –Esclamò Mur, espandendo ancora il suo cosmo. –“E adesso addio, brigante di anime, ti avevo offerto una possibilità per aver salva la vita, ma hai scioccamente e superbamente rifiutato! Onda di luce stellare!” –Gridò, liberando un violento globo di luce, che raggiunse Cicno, inghiottendolo.

 

“Non hai imparato la lezione, Ariete?!” –Lo derise il figlio di Ares. –“La mia corazza assorbirà la tua energia, rispendendola poi ind…” –Ma la sua frase fu mozzata a metà, quando sentì esplodere il suo corpo. –“Che succede?! Che mi sta succedendo?!” –Gridò, mentre la corazza si schiantava in più punti. –“Non solo la mia armatura, ma anche il mio corpo… si sta.. distruggendo.. perché?!”

 

“L’Onda di luce stellare è una tecnica mortale, capace di risucchiare ogni materia al suo interno e farla esplodere, liberando una devastante quantità di energia! Troppa, perché la tua corazza, già piena di altre energie, potesse reggere!” –Spiegò Mur, calando gli occhi di fronte al triste spettacolo.

 

La cotta protettiva di Cicno esplose poco dopo, satura di energia, così come il suo corpo, senza lasciare traccia alcuna del brigante di anime. Lentamente, e con il cuore trepidante, Mur si avvicinò ai Dioscuri, sperando che la morte del guerriero avesse liberato anche le anime da lui assorbite in precedenza. Ma questo non accadde e il Cavaliere si dispiacque, iniziando ad angosciarsi, non essendo nei suoi poteri richiamare le loro anime, dall’Ade o da qualunque altro luogo spaziodimensionale che non riusciva a raggiungere.

 

Improvvisamente un’abbagliante luce apparve dietro di sé, rischiarando la fosca caligine di quel pomeriggio, portando seco un centinaio di scintillanti cosmi, ardenti e incontaminati, retaggi di un ancestrale potere non usurato dal tempo.

 

“Posso aiutarti, Cavaliere di Ariete?!” –Mormorò un’educata voce maschile.

 

Mur si voltò e trovò un uomo in piedi di fronte a lui. Alto ed aitante, con  scompigliati capelli neri, occhi scuri, viso abbronzato, e un corpo perfetto, ricoperto da una scintillante Armatura Divina, dalle sfumature rossastre, sulla parte destra, e bianche, sulla parte sinistra, raffigurante un doppio Drago. Lo osservò per un momento, accennando un mezzo sorriso incompreso.

 

“Non mi hai riconosciuto, a quanto pare!” –Sorrise Ascanio. –“Sono passati quattordici anni e all’epoca ero solo un ragazzetto, allievo del miglior maestro che abbia mai potuto desiderare!”

 

“Dunque tu sei…” –Mormorò Mur, riconoscendo finalmente il giovane che aveva incontrato una sola volta, molti anni addietro, ai Cinque Picchi.

 

Ascanio Testa di Drago, Comandante dell’Ultima Legione di Zeus e allievo del Maestro dei Cinque Picchi!” –Si presentò, mentre uomini dalle Celesti Armature lo affiancavano.

 

A un comando del loro signore, i Cavalieri Celesti sfrecciarono via, verso la cima del Monte Olimpo, dove sentivano che cosmi inquieti si scontravano furiosamente, lasciando Ascanio chino sui corpi dei figli di Zeus. Li osservò per un momento, mentre Mur gli raccontava l’accaduto.

 

“Metempsicosi!” –Mormorò infine Ascanio, aprendo il polso della mano destra sopra i Dioscuri, mentre tutto intorno a loro scivolava il suo lucente cosmo.

 

Metem... la trasmigrazione dell’anima?!” –Chiese Mur, ricordando antichi insegnamenti di Shin.

 

“Proprio così!” –Annuì Ascanio, mentre cercava di penetrare con il proprio cosmo dentro i due fratelli. –“I celti avevano elaborato una dottrina dell’immortalità, in base alla quale l’anima passava dal mondo dei vivi a quello dei morti e viceversa!”

 

“E tu sei in grado di ricrearla?!” –Domandò Mur, genuinamente sorpreso.

 

Ascanio non rispose, socchiudendo i propri occhi neri, prima di spingere ancora il proprio cosmo, ardente ed eterno, dentro i figli di Zeus. Vi un lampo di luce e poi il suo cosmo si placò, mentre il Cavaliere si rimetteva in piedi soddisfatto. Mur udì un gemito sommesso e si chinò, vedendo i Dioscuri respirare nuovamente.

 

 

 

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Capitolo 36
*** Capitolo trentaquattresimo: La grande paura ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO. LA GRANDE PAURA.

 

Con un brivido ancora nel cuore, Pegasus e Andromeda uscirono dalla Dodicesima Casa, lasciando Phoenix a combattere contro il demoniaco figlio di Ares. Insieme a lui Ippolita, Regina delle Amazzoni, nemica già affrontata da Phoenix al Nono Tempio e che adesso, inaspettatamente, si era rivelata loro alleata, al punto da tradire Ares cercando di ferire Deimos. Chissà cosa l’ha spinta a ribellarsi ad Ares? Rifletté Pegasus, lanciandosi con Andromeda lungo l’ultima scalinata. Che sia una decisione maturata adesso, per comodità, o che sia il risultato di un lento processo iniziato magari durante il suo incontro con Phoenix?! I suoi pensieri furono interrotti dalla violenta esplosione del cosmo di Phoenix.

 

“Andromeda!” –Lo chiamò il ragazzo, osservando l’amico che si era fermato e voltato indietro.

 

“Arrivo!” –Si limitò a rispondere il Cavaliere, senz’altro aggiungere. Ripresero a correre di buona lena, proprio dove Castalia aveva sorretto Pegasus, per aiutarlo contro le ottenebranti rose di Fish.

 

Già... Castalia! Mormorò Pegasus, chiedendosi dove si trovasse. Ho sentito il suo cosmo esplodere, poche ore fa! Ma poi non sono più riuscito a raggiungerla, a causa dell’opprimente cosmo di Ares che domina l’intero Grande Tempio! Ma non mi pareva che si trovasse sull’Olimpo…

 

“Pegasus!” –Lo chiamò Andromeda, rubando il ragazzo ai suoi pensieri.

 

Ancora dieci metri e avrebbero raggiunto il piazzale antistante la Tredicesima Casa del Grande Tempio, antica residenza di Atena e del suo Grande Sacerdote, e attualmente occupata da Ares. Andromeda non fece in tempo ad aggiungere altro, che i due amici dovettero scattare in direzioni diverse, mentre una robusta scure, dal manico scarlatto, si piantava nel pavimento in mezzo a loro, liberando frizzanti scariche di energia cosmica.

 

“Ah ah ah! Bel salto!!! Avete avuto paura, eh?!” –Esclamò una voce, apparendo tra le colonne della Tredicesima Casa.”

 

“E tu chi sei?!” –Domandò Pegasus, avvicinandosi nuovamente a Andromeda e osservando colui che aveva parlato.

 

Fisicamente era un giovane dai corti capelli scuri e dagli occhi neri, bello e dal fisico scultoreo, come quello di una statua classica, con un viso maschile, corta barbetta e una cicatrice sotto l’occhio destro. Era ricoperto dalla sua Armatura Scarlatta dalle accese sfumature violacee, una veste liscia e senza troppe decorazioni, dai toni scuri e incutenti paura. Pegasus non poté non notare la somiglianza fisica col demonio che avevano incontrato al Dodicesimo Tempio, e le parole dell’uomo confermarono il suo dubbio.

 

Phobos, Demonizzazione della Paura! Figlio di Ares e Afrodite, e fratello di Deimos!” –Si presentò l’uomo, avanzando verso i due Cavalieri.

 

Phobos... e Deimos... Le due canaglie figlie di Ares!”

 

“Bada a come parli, randagio ateniese! Adesso ti mostrerò cosa è lo Sgomento!” –Affermò Phobos.

 

“Ma come ti…” –Ringhiò Pegasus, ma Andromeda lo fermò, dicendogli ciò che non aveva potuto prima.

 

“Come alle Dodici Case, così adesso, Pegasus!” –Esclamò, dando ad intendere che avrebbe affrontato lui il figlio di Ares.

 

“Andromeda ma…

 

La conversazione tra i due fu interrotta dalla sonora risata di Phobos, che richiamò a sé la sua scure. La grande ascia vibrò nel pavimento, liberandosi, e saettò nell’aria, fino a tornare nelle possenti mani del suo padrone. Era un’arma dal lungo manico scarlatto, con una doppia lama affilata su entrambi i lati, che ben si intonava con i macabri riflessi dell’armatura di Phobos.

 

“Scure dello Sgomento!” –Gridò il Dio, piantandola in terra di fronte a lui.

 

Immediatamente guizzanti scariche di energia violacea dipartirono da essa, percorrendo l’intero piazzale e raggiungendo i due Cavalieri di Atena, che cercarono di evitarle scattando lateralmente. Andromeda liberò la sua catena, lanciandola verso l’ascia stessa, ma le scariche di energia intorno all’arma deviarono l’attacco, impedendo alla catena di afferrarla.

 

“Ah ah ah!” –Esclamò Phobos, soddisfatto. Ma Pegasus non si perse d’animo. In quel momento sentì nuovamente esplodere il cosmo di Phoenix e, molti metri più in basso, quelli di Sirio e Cristal.

 

Tutti stanno combattendo! Per avermi permesso di arrivare fin qua! Mormorò, scattando in mezzo alle folgori di Phobos. Non ho intenzione di deluderli! No, non ho affatto intenzione di vanificare i loro sforzi! E nel pensar questo si portò proprio di fronte a Phobos, rimasto attonito che quel ragazzino agonizzante, che aveva affrontato Dodici Fatiche, potesse riuscire a superare le sue scariche energetiche.

 

“Cometa Lucente, splendi!” –Urlò, concentrando il cosmo in un unico attacco luminoso, il quale travolse Phobos dal basso verso l’alto, scaraventandolo indietro, fino a farlo schiantare contro una colonna della Tredicesima Casa. –“A te Andromeda!” –Aggiunse, scattando avanti, infilando all’interno del Tempio. Con il cuore in gola.

 

Mi raccomando, amico mio! Grazie… ma non morire! Mormorò Pegasus, correndo verso la Sala del Trono e lasciando Andromeda da solo, a fronteggiare il secondo demoniaco figlio di Ares.

 

“Quel bastardo…” –Mormorò Phobos, rialzandosi a fatica.

 

“Non ti permetto di offendere il mio amico, Cavaliere!” –Esclamò Andromeda, mentre la sua catena si disponeva tutta intorno a lui, ad ampi cerchi concentrici.

 

“Ed io non ti permetto di chiamarmi Cavaliere, bastardo!” –Precisò Phobos, recuperando la propria ascia oscura. –“Sono un berseker, un guerriero, orgoglio e vanto di mio Padre, il Sommo Ares! Non un volgare galoppino degli Dei!”

 

“Io non sono un galoppino, Phobos! Ma un Cavaliere di Atena!” –Rispose Andromeda, ma il Dio parve disinteressarsi delle sue motivazioni.

 

“Resti comunque un debole, come tutti coloro che credono troppo negli ideali di pace!” –Mormorò, iniziando a girare intorno alla Catena di Andromeda, quasi come volesse studiarla.

 

“Credere nella pace non è debolezza... essa…

 

Taciiiii!!!” –Gridò Phobos, scagliando la sua oscura ascia verso il viso del ragazzo.

 

Immediatamente la Catena di Andromeda si sollevò, come guizzanti serpenti energetici, cercando di afferrare l’orrida arma che mirava alla vita del suo padrone. Vi riuscì solo alla fine, quando la scure era a pochi centimetri dal volto di Andromeda, visibilmente preoccupato da tale rapido e brutale assalto. Impegnato a fermare la scure, Andromeda non poté evitare l’attacco diretto del figlio di Ares, il quale era balzato su di lui, colpendolo a piedi uniti in pieno stomaco e spingendolo indietro, recuperando, nel far questo, persino la sua ascia.

 

“Scure dello Sgomento! Divora questo sciocco idealista!!!” –Gridò il Dio, piantando nuovamente l’arma nel terreno, e creando una faglia di energia che corse in fretta verso Andromeda.

 

Per quanto la catena scattasse immediatamente a difesa del suo padrone, disponendosi a cerchi concentrici, essa fu travolta e Andromeda sollevato in aria, mentre la terra tremava sotto di lui, aprendo una piccola, ma profonda, voragine. Il Cavaliere ricadde proprio sul bordo della faglia, mentre il peso della corazza lo trascinava sul fondo. Annaspando, cercò di risollevarsi, ma quando alzò gli occhi vide con orrore Phobos in piedi di fronte a lui, che calava la sua scura mannaia.

 

“Muori!!! E porta la pace all’inferno con te!” –Esclamò il Dio, abbattendo l’ascia su Andromeda, il quale, per evitarla, non poté che lasciarsi cadere all’interno della faglia, mentre la scure si conficcava sul bordo del terreno. Phobos sgranò gli occhi, sorpreso dal gesto suicida del Cavaliere.

 

Ma Andromeda non aveva intenzione di morire, solo di evitare l’affondo del Dio, prima di tornare alla carica grazie alla sua catena. Con un balzo acrobatico si aggrappò a uno spuntone roccioso, liberando la catena che saettò fuori dalla faglia, arrotolandosi intorno ai capitelli delle colonne del tempio, permettendogli di balzar fuori velocemente e colpire Phobos con un calcio, sbilanciandolo. Quindi, continuando ad oscillare, quasi fosse su una liana, Andromeda avrebbe voluto atterrare e lanciare le sue catene indietro, ma la rabbia devastante di Phobos glielo impedì.

 

“Maledetto!” –Gridò infatti il Dio, che stava quasi per cadere nella faglia da lui stesso creata. E senza aggiungere altro scagliò la lama rotante della violenta scure, carica di energia cosmica, contro la Catena di Andromeda, grazie alla quale il Cavaliere stava per atterrare, trinciandola di colpo a metà, schiantando alcuni anelli, e facendo cadere il ragazzo a terra. Quindi l’oscura lama continuò il suo giro in tondo, ritornando da Phobos e riagganciandosi al lungo bastone. Ma il Dio, non contento, scattò avanti, mentre Andromeda cercava di rimettersi in piedi, sollevando la scure e calandola di colpo su di lui, che fu obbligato a difendersi con la catena, afferrandola con entrambe le mani e lasciando che l’ascia si abbattesse su essa. Schiantandola.

 

Di fronte agli occhi allibiti di Andromeda, la Scure dello Sgomento trinciò la catena, calando sul petto di Andromeda, che riuscì in tempo a scansare il viso, perdendo solo alcune ciocche di verdi capelli, squarciando la sua Armatura Divina proprio all’altezza del seno. Con una rapida mossa, Phobos cambiò la direzione della scure, facendola risalire e ricolpendo Andromeda nello stesso punto, scaraventandolo questa volta indietro.

 

“Ah ah ah!” –Scoppiò a ridere il figlio di Ares, osservando l’avversario agonizzare in una pozza di sangue. –“Grandi Cavalieri i tuoi, Atena! Guarda, oh Padre, la fine dell’ultimo invasore!” –E si avvicinò ad Andromeda, sollevando la scure, mentre il suo violaceo cosmo risplendeva tutto attorno al suo corpo. Andromeda, terrorizzato e macchiato di sangue, vide la mannaia cadere su di lui, ma all’ultimo riuscì a reagire, liberando una potente scarica di energia con il braccio destro.

 

“Onda Energeticaaaa!!!” –Urlò, spingendo Phobos indietro e facendogli perdere la presa sull’ascia. Una seconda scarica di energia la diresse contro la stessa scure, caduta in terra, sperando di scagliarla nella spaccatura, ma, con suo sommo stupore, l’arma si difese, liberando folgori incandescenti a sua volta.

 

“Eh eh…” –Esclamò Phobos, rialzandosi. –“Non avrai creduto di vincermi così facilmente?! Puoi colpirmi quante volte vuoi, Andromeda, sono un guerriero senza abbastanza orgoglio per offendersi per una botta ricevuta! Ma alla fine sarò io a piantare la scure nel tuo cranio! Come mio fratello sta massacrando il tuo alla Dodicesima Casa!!!”

 

“Questo non accadrà! Phoenix non sarà mai sconfitto! In lui risiede l’immortale fenice, il cui battito d’ali spazzerà via l’oscurità dai Templi dell’Ira!”

 

“Vuote parole le tue… che accompagneranno la tua macabra fine!!!” –Tuonò Phobos, espandendo il proprio cosmo.

 

Sottili cerchi di energia violacea apparvero intorno al suo corpo, roteando su Phobos, assumendo quasi la forma di un atomo, al cui esterno ruotano gli elettroni. Andromeda sbatté per un momento gli occhi, immaginando di vedere il pianeta Marte e i suoi satelliti girargli intorno, perché era proprio quello l’effetto che producevano quei sottili cerchi di energia.

 

Deciso a non lasciare al guerriero la possibilità di attaccare nuovamente, Andromeda si rimise in piedi, liberando una nuova Onda Energetica dal palmo della mano destra. Ma, con stupore e sgomento, notò che le scariche non raggiunsero il Dio, protetto dai cerchi di energia viola.

 

“Eh eh…” –Sogghignò Phobos, mentre il suo cosmo cresceva ancora. –“Perditi Andromeda, perditi nello Sgomento! Ruota della Morte!” –E i cerchi di energia rotolarono avanti, travolgendo Andromeda e circondandolo, facendolo roteare su se stesso all’impazzata. Era lui stavolta, non Phobos, a trovarsi al centro del nucleo, era lui l’atomo attorno al quale roteavano gli elettroni. Ma c’era qualcosa di diverso da prima, infatti adesso era l’atomo che girava su se stesso, continuamente, vorticosamente, fino a fargli perdere i sensi.

 

“Addio Cavaliere idealista…” –Esclamò Phobos, dirigendo la Ruota della Morte sopra la faglia aperta nel suolo.

 

In quel momento, mentre Andromeda roteava su se stesso, stretto dai cerchi di energia di Phobos, senza capire più quale fosse il sopra quale il sotto, quale il davanti quale il dietro, un’abbagliante esplosione di luce attirò la sua attenzione.

 

Incapace di vedere con gli occhi, Andromeda socchiuse gli occhi e gli parve di vedere un immenso uccello dalle ali di fuoco scivolare nel cielo sopra il Grande Tempio. Phoenix Mormorò, riconoscendo il cosmo del fratello. Phoenix!!! Ma il fratello non rispose, e questo gli diede la forza di reagire, anziché spingerlo alla disperazione. Bruciò ardentemente il proprio cosmo, come Phoenix aveva fatto poc’anzi, tentando di lacerare quei maledetti cerchi di energia.

 

“Uh?!” –Mormorò il figlio di Ares, osservando il declinare del moto dei suoi cerchi energetici. –“La Ruota della Morte sta scemando di intensità! Possibile?!”

 

Come una bomba, esplose il cosmo di Andromeda, che si liberò dalla prigionia della mortale ruota di Phobos, atterrando sul piazzale di fronte alla Tredicesima Casa, con una lucida determinazione negli occhi, mentre la catena, tornata a nuova vita, guizzava freneticamente intorno a lui.

 

“Melodia Scintillante di Andromeda!” –Esclamò, scatenando l’ultima configurazione della catena, la quale saettò nell’aria, moltiplicandosi in infinite copie, come aveva fatto contro il Custode della Palude di Stinfalo.

 

Phobos tentò di difendersi, ricreando i cerchi energetici che lo avevano protetto in precedenza dall’Onda Energetica, ma la furia della catena, motivata ulteriormente dal sacrificio di Phoenix, sfondò la sua difesa, trapassandola e raggiungendolo. La Divina Veste di Phobos fu scheggiata in più punti, addirittura traforata in altri, mentre il Dio veniva sollevato e spinto indietro, fin quasi sul bordo della fenditura.

 

Aaah… Impossibile…” –Mormorò Phobos, rantolando al suolo.

 

Lentamente, Andromeda ritirò le sue catene, ansimando per il notevole sforzo, e convinto di aver sconfitto il violento figlio di Ares. Mosse un piede, per correre in aiuto di Pegasus, il cui cosmo aveva sentito accendersi violentemente, ma la voce profonda di Phobos lo richiamò. Il Dio della Paura era ancora in piedi, con il viso stanco e l’armatura scheggiata, ma aveva ancora la scure in mano, e non l’avrebbe lasciato andare via così facilmente.

 

“Ho sbagliato con te, Cavaliere di Atena! Ti ho sottovalutato!” –Ammise. –“Ma adesso che conosco i tuoi poteri non mi limiterò più neanch’io!” –E scattò avanti, brandendo la sua tenebrosa Scure dello Sgomento, lanciandosi su Andromeda, il quale prontamente sollevò la sua catena, che scattò come un serpente, verso Phobos. Ma questi non si arrese, quasi avesse un diavolo in colpo, scagliando colpi su colpi sulla Catena di Andromeda con la sua ascia.

 

È una furia assetata di sangue! Sta facendo a pezzi la catena! Mormorò Andromeda, osservando la violenza brutale con cui Phobos respingeva ogni singolo assalto. E sta avanzando! Aggiunse, notando che il Dio si faceva sempre più vicino.

 

Con una brusca mossa, Phobos liberò un fendente che dilaniò la catena, trinciandola in più punti e spingendo Andromeda indietro, quindi lanciò nuovamente la lama della scure avanti, che roteò intorno al corpo di Andromeda, senza venire raggiunta dalla catena, piantandosi proprio sulla sua schiena, continuando a roteare e a scavare la sua corazza, distruggendola e ferendo gravemente il Cavaliere, che non poté far altro che accasciarsi al suolo.

 

Phobos richiamò la lama della scure, sollevando l’arma sopra Andromeda, il quale, in ginocchio di fronte a lui, tentò di difendersi con l’Onda Energetica, ma senza successo, venendo le scariche di energia attratte dall’oscura ascia, che calò su di lui tra le grida isteriche del Dio della Paura.

 

“No... noo…” –Esclamò Andromeda, rotolando sul pavimento e venendo ferito ad un braccio.

 

“Sta’ fermo, bastardo! Non frignare! Accetta la morte che gli Dei ti hanno riservato!”

 

“Non ancora…” –Sospirò Andromeda. –“Non ancora!” –E nel dir questo espanse a dismisura il suo cosmo rosa, che si manifestò sotto forma di una corrente di energia.

 

“Zitto, bestia!!!” –Urlò Phobos, calando nuovamente la scure. Ma prima che potesse colpire Andromeda, si accorse di non essere in grado di spingerla ulteriormente, che la corrente energetica rosastra stava frenando i suoi movimenti.

 

“Cos’è?!” –Domandò, osservando l’aria intorno a sé, carica di indicibile tensione.

“La Nebulosa di Andromeda. Il potere ultimo della mia costellazione…” –Mormorò Andromeda, cercando di rimettersi in piedi. –“Esito sempre prima di utilizzarla, perché la sua potenza è così devastante da non lasciare possibilità alcuna di sopravvivenza a chi la subisce!”

 

“La Nebulosa di Andromeda?! Che nome altisonante per un po’ di brezza!” –Esclamò Phobos, ritirando a sé la propria Scure.

 

“Non deriderai più la Nebulosa quando ti avrà travolto… Presto la corrente si muterà in tempesta.. ed allora non resterà niente del Dio della Paura!”

 

“Come osi minacciarmi, insulso essere umano! Vedremo se userai ancora questo tono quando ti avrò tagliato la testa!” –E scattò avanti, puntando al cranio di Andromeda, ma non appena si mosse la corrente aumentò d’intensità, frenando i suoi movimenti, stridendo con forza contro la sua corazza, impedendogli di giungere dal ragazzo.

 

“Ora… Nebulosa di Andromeda, esplodi!!!” –Gridò il Cavaliere, liberando il suo immenso potere.

 

“Scure dello Sgomento difendimi!!!” –Esclamò Phobos, piazzando l’ascia di fronte a lui. Ma la tempesta creata da Andromeda vinse ogni difesa, travolgendo Phobos e sollevandolo in alto, squassando tutto il piazzale di fronte alla Tredicesima Casa, sul tetto della quale Phobos si schiantò malamente, ricadendo a terra, tra le colonne anteriori. Lo sforzo per Andromeda fu eccessivo e il ragazzo cadde al suolo esanime, mentre sangue traboccava fuori dalle sue ferite, soprattutto dallo squarcio che aveva sulla schiena.

 

Pensò a suo fratello, e a Pegasus impegnato in battaglia contro Ares, a pochi passi da lui, e cercò di reagire, muovendo le mani per rialzarsi. Ma non ce la fece e ricadde al suolo, con la faccia sul pavimento. Per un momento realizzò che in fondo morire così, vittorioso, a pochi metri dalla meta finale, era comunque un gran risultato che aveva ottenuto. Lui, così timido e puro, che aveva sempre rifiutato la violenza, e non aveva esitato a chiedere ai suoi avversari di desistere, pur di non affrontarli, aveva dato grande prova di sé, in numerose occasioni. Per Atena e per i suoi compagni.

 

Ma adesso, mentre la sua vita scorreva via, gli sembrò di aver sbagliato tutto, di essere venuto meno al patto cha aveva stipulato con se stesso. Per un momento gli parve di essere di nuovo là, alla Prima Prigione dell’Inferno, di fronte allo sguardo impassibile e giudice di Lune di Barlog.

 

“Sei solo un essere umano, non disponi del diritto divino di punire gli altri! Abbiamo un luogo di espiazione appropriato per chi come te ha peccato di brutalità e violenza! Prima valle attende chi vita altrui spense!” –L’imperiosa voce di Lune risuonò nella sua anima, tormentandola ulteriormente.

 

In quel momento, mentre la frusta di Barlog si arrotolava intorno al suo corpo, per quanto Andromeda sapeva che fosse sbagliato lasciarsi andare, mentre il mondo andava incontro al caos a causa di Ade, una parte di sé concordò con le parole di Lune, ritenendole veritiere. Aveva ucciso tante persone, combattendone altrettante, e tutto questo per portare nel mondo gli ideali di pace e di giustizia incarnati da Atena.

 

Ma era davvero giusto tutto questo? Era davvero necessario spargere così tanto sangue soltanto per inseguire un ideale, pur nobile che fosse? Si domandò, lasciando vagare la mente indietro, travolto dai fantasmi del passato. O c’era dell’altro? Forse Atena non era la Vergine Dea che voleva far credere, e lui ed i suoi compagni non erano i Cavalieri della Speranza, gli scintillanti eroi pronti a dare la vita per la libertà?

No, la verità era un’altra e Andromeda lo sapeva bene! Atena era la Dea della Guerra, barbara soldata proprio come Ares! Poco importa che rifiutasse l’uso delle armi, restava pur sempre un’arrogante Divinità disposta a sacrificare i propri uomini, immolandoli come vittime sacrificali sull’altare della giustizia. Un altare tinto di sangue, sopra il quale presto avrebbe regnato sovrana.

 

E Pegasus e gli altri erano soltanto dei soldati, dei guerrafondai, degli assassini, che avevano fatto strage di Cavalieri loro pari, causando un’immensa guerra civile, con lo scopo di togliere Gemini dal trono di Grecia per instaurare la silenziosa dittatura di Isabel, che non aveva tardato a mostrare il suo vero volto, inviando i suoi guerrieri spietati a far strage di nemici in giro per il mondo. Ovunque la stabilità alla sua tirannia poteva essere minacciata. Ad Asgard, nel Regno Sottomarino, al Tempio della Corona, in Ade. E infine sull’Olimpo.

 

La presunzione di Atena era senza limiti, come quella degli Dei tutti, Zeus in persona, che adesso si stava servendo di loro per sconfiggere Ares, mentre lui se ne stava comodamente seduto sul Trono Olimpico a sorseggiare ambrosia, cullato indifferentemente da Ganimede e da Era. Questa era la realtà dei fatti, e Andromeda lo sapeva, vittima compiacente di un’infinita guerra che mai avrebbe avuto termine. Ma come poteva mettere fine a quei massacri? Come poteva impedire al suo corpo di uccidere ancora, di portare ancora la violenza e la morte in nome di Atena?

 

Fuggire non sarebbe stato da lui, e inoltre sarebbe stato vano, venendo presto riacciuffato! Uccidere i suoi compagni?! Oh no... si sarebbe macchiato di altro sangue, e questo andava evitato! Era lui che doveva morire! Sì, lui soltanto! In questo modo avrebbe fermato la macchina bellica del suo corpo! Con un unico gesto. Come fosse un automa, Andromeda si sollevò da terra, mentre gocce di sangue scendevano ancora sulla sua corazza semidistrutta, barcollando per un istante, e si incamminò lungo il piazzale dirigendosi verso la fenditura nel terreno.

 

Ancora un passo! Mormorò una voce nella sua testa, ed egli credette davvero di sentire se stesso. Ancora uno! Insistette la voce, mentre Andromeda si fermava, insicuro, sul bordo della faglia. Così, finiranno le tue sofferenze! Così nessun’altro innocente sarà ucciso per cause ingiuste! E sarà sempre pace! Sembrava così convincente, così reale, come inganno. Ma un amico venne in suo soccorso. Un amico da lontano, che parlò al suo cuore con voce sincera.

 

Andromeda…

 

“Ma.. maestro?!” –Sospirò il ragazzo, riconoscendo il cosmo del suo maestro, il valoroso Albione di Cefeo, Cavaliere d’Argento dell’Isola di Andromeda.

 

“Andromeda, il tuo cuore è nobile, io l’ho sempre saputo, ho sempre sentito la nobiltà del tuo animo! E sempre ho sostenuto che essa sarebbe stata la tua forza, espressione della tua grandezza!”

 

“Maestro mio…

 

“Non lasciare che la paura delle tue azioni ti porti a gesti avventati e contraddittori! I cuori generosi, proprio come il tuo, che credono in ideali puri, sono quelli che maggiormente susciteranno invidia negli altri, soprattutto in coloro che vivono di inganni e di morte, desiderando follemente danneggiare la pacifica e luminosa visione di vita che hai!” –Spiegò Albione. –“Perciò non disperare, mio giovane allievo, e non cedere alla paura e allo sconforto, ma continua a credere in te stesso, e in ciò che sei, e le stelle guideranno il tuo cammino! Sempre!”

 

D’incanto la voce di Albione scomparve, lasciando un vuoto nell’animo del Cavaliere, che non poté fare a meno di aprire gli occhi, togliendo quella polvere di tristezza che aveva offuscato la sua vista e avvelenato il suo cuore. Trovandosi sul soglio della faglia un profondo senso di vertigine lo invase, facendolo barcollare per un momento, e cadere all’indietro, ma subito si rimise in piedi, riordinando i confusi frammenti delle sue idee.

 

“Cosa mi è successo?!” –Si chiese. Ma la risposta non tardò ad arrivare, presentandosi sotto forma di un uomo dall’armatura scarlatta, contro il quale aveva combattuto finora.

 

“Cosa non ha funzionato? Cosaaa?!” –Gridò Phobos. –“Stavi quasi per cedere, per toglierti la vita!”

 

“Mi dispiace, Dio della Paura, ma la vita è un bene troppo prezioso perché vi rinunci così facilmente!” –Esclamò Andromeda, fiero del suo ritrovato coraggio.

 

Liberò la catena, lanciandola nella sua ultima configurazione, la Melodia Scintillante di Andromeda, in cui centinaia e centinaia di strali luminosi si diressero verso Phobos, il quale ne evitò alcuni, ma non riuscì a schivarli tutti, venendo trapassato in più punti.

 

“Soffrirai ad occhi aperti allora il dolore che ti avevo riservato!” –Sibilò il Dio, bruciando il proprio cosmo, che fece piazza pulita delle Catene di Andromeda, spazzandole via, mentre nubi di energia apparivano intorno a lui. –“Fantasmi del Passato! Travolgete Andromeda!”

 

Come fossero spiriti di pura energia, indistinte forme scivolarono nell’aria, mentre la catena tentava di fermarle, senza riuscirvi, non essendo concrete. Andromeda fu avvolto dalle nebbie energetiche di Phobos, che stridevano sulla sua corazza, cercando di divorare il corpo del Cavaliere di Atena.

 

“Ho preso i tuoi rimpianti! Ho ripercorso assieme a te i passi che non volevi muovere, i gesti che non volevi compiere!” –Esclamò Phobos, confessando di essere stato lui ad insinuarsi nella sua mente, per mettere in dubbio le certezze del Cavaliere. –“Adesso prenderò la tua vita!”

 

“Mai!!!” –Urlò Andromeda, tentando di liberarsi. Ma per farlo dovette nuovamente portare il suo cosmo al massimo, ricreando la violenta corrente energetica che spazzò via le nubi di Phobos. –“Ti vincerò, figlio di Ares! Per Atena, e per i miei compagni! E per gli ideali in cui credo!” –Esclamò deciso, tramutando la corrente in tempesta. –“Nebulosa di Andromedaaaa!!!”

 

“Fantasmi del Passato, portatelo via!” –Esclamò Phobos, portando entrambe le braccia avanti a sé, a palmi aperti, nello stesso modo in cui Dohko scagliava il Colpo dei Cento Draghi.

 

I due assalti si incastrarono tra loro, travolgendosi a vicenda, e raggiungendo i rispettivi avversari. Phobos fu investito in pieno dalla possanza della Nebulosa di Andromeda, che disintegrò parte della sua corazza, trascinandolo in alto, fino a farlo schiantare contro le mura della Tredicesima Casa e ricadere al suolo, battendo la testa.

 

Gn... nn… nooo…” –Mormorò Phobos, prima di seguire suo fratello nell’oblio.

 

Andromeda, debole per il tremendo sforzo, fu travolto dagli spiriti energetici del figlio di Ares, contro i quali la sua catena non aveva potere, e spinto indietro, rotolando fin sul bordo della faglia, con la corazza insanguinata e danneggiata.

 

Maestro…” –Commentò, prima di chiudere gli occhi. –“Ho vinto! Ho vinto la battaglia più grande.. con me stesso!”

 

 

 

 

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Capitolo 37
*** Capitolo trentacinquesimo: Il flagello degli uomini ***


CAPITOLO TRENTACINQUESIMO. IL FLAGELLO DEGLI UOMINI.

 

Mentre Phoenix, aiutato da Ippolita, combatteva contro Deimos, e Andromeda fronteggiava Phobos, parecchi metri più in basso, in una radura di alberi inceneriti, nel cuore del Giardino delle Esperidi, il terzo diabolico figlio di Ares, ma primo in astuzia e potenza, faceva la sua comparsa, circondato da infernali vampe di fuoco che travolsero Cristal e Scorpio, già indeboliti per la battaglia contro Ladone. Flegias, il Rosso Fuoco, apparve di fronte a loro, rivestito della sua oscura Veste Divina, inquietante solo a guardarsi, e brandendo la sua Spada Infuocata si lanciò su Cristal, mirando alla sua gola. Ma Scorpio, per difendere l’amico, si spostò rapidamente di fronte a lui, lasciando che l’indemoniata lama penetrasse la propria gola, da parte a parte, raggiungendo persino il pettorale dell’armatura di Cristal al riparo dietro di lui.

 

Scorpiooo!!!” –Gridò Cristal, mentre Flegias ritirava la spada, lasciando che violenti fiotti di sangue sgorgassero dal collo del Cavaliere d’Oro, imbrattando ulteriormente la sua semidistrutta armatura.

 

“Mi faciliti il lavoro, Cavaliere di Scorpio!” 

 

“Bada a te, bastardo!” –Gridò Cristal, alzandosi di scatto e scagliando un violento pugno dal basso verso l’altro contro Flegias.

 

Il figlio di Ares fu abile a balzare indietro, con una capriola in aria, e ad atterrare compostamente, stringendo ancora la Spada Infuocata e venendo colpito solo di striscio dallo spostamento d’aria. Cristal barcollò per un momento sul terreno, ma non poté non esitare a chinarsi sul Cavaliere di Scorpio, agonizzante ai suoi piedi, in una pozza di amaro sangue.

 

Scorpio… che cosa hai fatto?!” –Singhiozzò Cristal, accarezzando i capelli sporchi e macchiati di sangue del Cavaliere.

 

Un violento fendente infuocato scavò il terreno, correndo verso i due Cavalieri di Atena, e obbligò Cristal a spingere Scorpio di lato, per non essere travolti. Fu ferito alle gambe, ma riuscì a rimettersi in piedi, incontrando il sogghignante volto di Flegias, a pochi metri da lui.

 

“Avrai tempo per piangere, Cavaliere del Cigno!” –Commentò il Rosso Fuoco. –“Quando sarai all’Inferno, non ti resterà che quello! Uahahah!” –E nel dir questo scagliò un nuovo fendente infuocato, che scavò il terreno tra di loro, dirigendosi con fragore su Cristal, che lo evitò, rotolando sul terreno ghiacciato fino ai resti della carcassa di Ladone. Recuperò la spada che Orion gli aveva donato, liberandola dall’oscuro liquido della mostruosa creatura, e si voltò giusto in tempo per usarla per parare, con gran fatica, un fendente di energia che Flegias gli aveva diretto contro.

 

“Suvvia, mio buon amico, non vorrai combattere ancora?!” –Esclamò il Flagello degli Uomini, con voce melodica e suadente. –“Le profonde ferite che segnano il tuo corpo non lasciano spazio a dubbi! Stai per morire, Cristal, e questo sarà il tuo ultimo canto!”

 

“Se anche dovessi morire…” –Ansimò Cristal, continuando a tenere Gramr avanti a sé, frenando a fatica i colpi di Flegias. –“Io ti condurrò con me, bastardo figlio di Ares!”

 

“Ragazzaccio testardo!” –Si indispettì Flegias. –“E allora provaci!!!” –Aggiunse, liberando un violento fendente di infuocata energia, che travolse la spada di Orion, raggiungendo Cristal e scagliandolo indietro, tra schizzi di sangue e frammenti di armatura.

 

Il fendente trinciò la corazza del Cigno in verticale, proprio a metà, affettando anche ciocche di capelli sporchi del Cavaliere, il cui volto sudato e stanco era sporco di sangue e grumi di terra. Ma Flegias non gli concesse neppure un attimo di riposo, liberando il suo violento assalto energetico.

 

“Apocalisse Divina!” –Tuonò, sollevando il braccio destro e scatenando un’immensa tempesta di energia a cui Cristal tentò di opporsi, per quanto le folgori dilaniassero la sua corazza e il suo corpo.

 

“Re... resisterò!!!” –Mormorò, ma sapeva anche lui che non sarebbe stato possibile.

 

D’un tratto la tempesta sembrò calare d’intensità, come se un muro si fosse interposto tra i due contendenti. Un muro umano.

 

Cristal, che aveva socchiuso gli occhi, li riaprì improvvisamente, vedendo Scorpio in piedi di fronte a lui, che stava parando la bufera energetica di Flegias, facendogli da scudo con il suo corpo.

 

Scorpio… Nooo.. che fai?!” –Gridò Cristal, cercando di affiancare l’amico. Ma l’Apocalisse Divina esplose in tutta la sua potenza, travolgendo persino Cristal, riparato dietro Scorpio, il quale non poté far altro che portare ai limiti estremi della galassia il suo cosmo, concentrandolo in una sfera di energia rossastra, che scagliò contro Flegias, sotto forma di una luminosa cometa.

 

Antareeees!!! Per Atena!!!” –Urlò, prima che l’Apocalisse Divina lo scaraventasse via.

 

Quando Cristal ricadde a terra, schiantandosi in malo modo, la tempesta di Flegias si stava placando e il Cavaliere poté vedere il figlio di Ares rialzarsi da terra, toccandosi il petto dolorante, raggiunto probabilmente dalla Cometa di Antares. E quello gli fece tornare in mente Scorpio, l’amico che si era sacrificato per lui, disteso a terra, in una pozza di sangue, con l’armatura distrutta, retaggio di un glorioso passato.

 

Scorpio…” –Balbettò Cristal, rotolando su se stesso, incapace di rimettersi in piedi.

 

“Non sprecare il fiato, Cavaliere del Cigno! Milo di Scorpio ha lasciato questo mondo!” –Esclamò Flegias, incamminandosi verso il corpo inerme del Cavaliere d’Oro e sollevando infine la Spada Infuocata. –“Proprio adesso!” –Aggiunse, piantandola nel cranio del Custode dell’Ottava Casa.

 

Nooooo!!!” –L’urlo furibondo di Cristal esplose nella radura del Giardino delle Esperidi, penetrando le fitte nebbie che la circondavano. Rabbioso e furibondo, con le lacrime che gli scendevano dagli occhi azzurri, il biondo Cavaliere si rialzò, mentre il suo cosmo cresceva intorno a lui, raggiungendo immense dimensioni, ghiacciando tutto ciò che si trovava loro intorno.

 

“Uh?!” –Mormorò Flegias, stupefatto persino lui da un simile prodigio. –“Un uomo in punto di morte che ancora non accetta il proprio destino?!”

 

Cristal neppure lo ascoltò, quel pazzo, limitandosi a sbattere i pugni avanti a sé, con tutta la forza che aveva dentro, fino all’ultimo bagliore del suo candido cosmo.

 

“Aurora del Nord!” –Gridò, mentre immensi getti di ghiaccio correvano verso Flegias, il quale, per non essere travolto, fu svelto ad evocare lo Scudo di Ares, la mistica barriera di energia capace di proteggerlo da qualsiasi attacco.

 

“Incredibile!” –Mormorò, osservando l’interminabile sforzo del Cavaliere del Cigno.

 

Cristal stava infatti seguitando a sbattere i pugni avanti a sé, in un ininterrotto flusso di energia glaciale, pari allo Zero Assoluto, che continuava a schiantarsi contro lo Scudo di Ares, congelando tutto ciò che stava loro attorno, creando un immenso paesaggio siberiano. Un sospetto scricchiolio fece spaventare Flegias, che vide, con orrore, la propria barriera congelarsi lentamente, ricoperta da un consistente strato di ghiaccio che la stava privando delle sue funzioni.

 

“Non può essere! Lo Scudo di Ares!!!” –Urlò, mentre la sua difesa andava in frantumi. –“Aaah!!!” –Gridò, venendo travolto dallo scintillante vortice di energia creato da Cristal e scaraventato lontano. Quando ricadde a terra, sbattendo la spalla destra, lussandosela, e perdendo la presa della Spada Infuocata, Flegias osservò con stupore l’intera radura, che non aveva più alcun tratto del mitico Bosco dalle foglie d’oro. Adesso era pari alle desolate lande della Siberia, interamente ricoperte di ghiaccio. A fatica il figlio di Ares si rimise in piedi, richiamando a sé la propria spada.

 

Apparentemente la sua armatura era ancora intatta, poiché lo Scudo di Ares lo aveva comunque protetto, ma guardandola bene si accorse che era ricoperta di un consistente strato di ghiaccio. Bravo Cristal! Si complimentò, osservando il ragazzo, crollato infine a terra, dopo aver esaurito le proprie energie. Se il tuo assalto mi avesse investito in pieno, mi avresti congelato vivo! Ed ucciso! E nel dir questo strusciò con la Spada Infuocata l’intera superficie dell’Armatura Divina, sciogliendo il ghiaccio e liberandola. Quindi si incamminò verso Cristal, senza più quella baldanza che aveva ostentato inizialmente. Per quanto non avesse riportato ferite esteriori, lo smacco che aveva subito, venendo travolto dall’Aurora del Nord, era stato notevole.

 

E io odio perdere! Sibilò il Rosso Fuoco, sollevando la Spada Infuocata sopra il cranio di Cristal.

 

Muoriii!!!” –Urlò, calando la lama su di lui. Ma essa non raggiunse la testa del Cigno, in quanto Flegias fu obbligato a muoverla di colpo alla sua destra, per parare un violento piano energetico verticale, che aveva scavato un profondo solco nel terreno, dirigendosi verso di lui.

 

“Chi osa?!” –Tuonò il Flagello degli Uomini, osservando i due nuovi arrivati.

 

Di fronte a lui, pochi metri distanti, c’era Sirio il Dragone, con il braccio destro avanti a sé, ancora carico dell’incandescente luce che aveva sprigionato poc’anzi, e al suo fianco Dohko di Libra. Entrambi sporchi e malconci, con graffi sulle corazze, in parte distrutte, ma pronti a una nuova lotta.

 

Siriooo!” –Esclamò Flegias, abbassando la Spada Infuocata. –“Che piacere rivederti! Sei dunque arrivato fin qua! Pensavo che Gerione vi avrebbe sbranati vivi e usato le vostre teste come defecatoio per le sue giumente!”

 

“Allontanati da Cristal!!!” –Urlò Sirio, senza curarsi delle parole di Flegias. –“Adesso!!!”

 

Il figlio di Ares, a quella frase, sorrise, con un perverso ghigno che infastidì i due Cavalieri. –“Sai qual è il vostro problema, Sirio?” –Mormorò, voltandosi nuovamente verso Cristal, senza curarsi dei due. –“Siete troppo generosi, troppo preoccupati l’uno per l’altro che a volte vi sfugge il nocciolo della questione!!!” –E nel dir questo sollevò la Spada Infuocata, calandola poi su Cristal.

 

Nooo…” –Urlò Sirio, balzando in alto, per abbattersi su Flegias, con il braccio destro avanti.

 

“Attento Sirio!!!” –Urlò Dohko, che aveva compreso il rischio che l’allievo correva.

 

Zac! Con un colpo secco di spada Flegias colpì Sirio ancora in volo, trinciando la sua Armatura Divina proprio all’altezza dell’addome, e facendogli sputare sangue dal dolore. Sirio si chinò a terra, toccandosi il ventre ferito, mentre Flegias, senza remore alcuna, lo colpì con un violento calcio in pieno viso, scaraventandolo indietro.

 

“Sirio!” –Intervenne quindi Dohko, liberando il suo colpo segreto.

 

Un drago di energia saettò verso Flegias, ma egli fu abile a spezzarlo in due con la propria spada, sogghignando dietro di essa, prima di rispedirne parte indietro e saltare verso il suo avversario. Rapidi fendenti squarciarono l’aria, mentre fiamme avvampavano stridendo sul dorato scudo della Bilancia, dietro al quale Dohko tentava di difendersi.

 

“Frammenti!!!” –Mormorò Flegias, continuando a colpire lo scudo con botte rapide e decise. –“Resteranno solo frammenti di voi!!!”

 

Dohko tentava di difendersi, ma l’impeto travolgente del figlio di Ares non lasciava spazio alcuno a pensieri o riflessioni strategiche, neppure a movimenti, e continuava a colpire lo scudo dorato, scheggiando sempre più quel che restava dell’antica difesa.

 

“Addio!!!” –Sibilò infine, puntando la cima della spada contro il cuore dello scudo. Fu un attimo, ma Dohko sentì un dolore immenso, una rovente energia trapassargli il braccio sinistro, mentre lo scudo d’oro andava in mille frammenti, distrutto dalla Spada Infuocata.

 

“Maestro!!!” –Urlò Sirio, tentando di rialzarsi. Bruciò il cosmo e scattò avanti, caricando il braccio destro di energia cosmica, che assunse la forma di un luminoso dragone verde. –“Colpo segreto del Drago Nascente!”

 

Ma Flegias non ebbe difficoltà ad evitare l’attacco, estraendo di colpo la Spada Infuocata e balzando indietro, con agili piroette. –“Il Drago Nascente?! Che nome ridonante per un colpo così debole!” –Lo schernì, camminando sul terreno ghiacciato. –“Io l’avrei chiamato drago dormiente!”

 

“Ti chiamerò fantasma tra poco!” –Tuonò Sirio, scattando ancora avanti. Ma, indebolito per la ferita all’addome, barcollò cadendo a terra, e subito Flegias ne approfittò, lanciandosi su di lui, sollevando con entrambe le mani la spada infuocata.

 

Sirioo!!!” –Urlò Dohko, liberando una delle Barre Gemellari, che si allungò fino a colpire il ventre di Flegias, mentre calava su Sirio, spingendolo indietro.

 

“Ancora tu, vecchio maestro?!” –Strillò furioso il Rosso Fuoco, rialzandosi. –“Dopo due secoli anni non hai capito che non dovresti intrometterti negli affari divini!”

 

“Dopo due secoli sono sempre più convinto che le res divinae e le res humanae siano così simili tra loro, da rendere necessario combattere affinché menti aperte e tolleranti collaborino insieme per mantenere la pace su questa nostra verde Terra!”

 

“La pace, eh?!” –Grugnì Flegias. –“Io odio la pacee!!!” –Gridò istericamente, lasciando partire un violento fendente infuocato, che travolse Dohko, trinciando la sua corazza sull’avambraccio destro. –“Ed è mio supremo dovere evitarla, e fare in modo che le genti si combattano le une con le altre, in un caos perpetuo, in un circolo continuo di violenza e follia! Perché la follia mi inebria, mi eccita pazzamente, come l’acuminata lama di un pugnale che scende sulla gola inerme di una bambina!”

 

“Maledetto!” –Esclamò Dohko, scagliando un raggio di energia contro Flegias, che non ebbe alcun problema a pararlo con la Spada Infuocata. –“Fosti tu ad ordinare a Gemini di uccidere Atena?!”

 

“Io? O Crono? O Ade?! Che importanza ha?! Non sono tutti gli Dei un unico Dio?! Non sono tutti dei sottoposti, manifestazioni temporanee della suprema volontà che sta dietro la creazione?!”

 

“La suprema…?!” –Ripeté Dohko. Ma Flegias non gli diede tempo per riflettere, balzando avanti nuovamente, brandendo la sua Infuocata Spada, che fronteggiò la spada dorata della Bilancia. Lama contro lama, mentre frizzanti bagliori di luce e fiamme si sprigionavano al loro contatto.

 

“Affonderò questa mia lama nel tuo cranio vetusto, Cavaliere di Libra! Proprio come ho ucciso il Cavaliere di Scorpio tuo compagno, adesso prenderò anche la tua vita!”

 

“Cosa? Scorpio?!” –Esclamò Dohko, distraendosi per un momento. E ciò permise a Flegias di colpirgli la mano con violenza, mozzandogli un paio di dita e facendogli perdere la presa sulla spada che fluttuò in aria finché Flegias non la afferrò, sogghignando compiaciuto.

 

“Ah ah! Hai perso, Libra!!!” –Aggiunse, puntando la Spada Infuocata alla gola di Dohko, il quale, per evitarla, si gettò a terra, scivolando sul terreno ancora ghiacciato.

 

“Prendi, maledetto!” –Esclamò, sdraiato in terra. –“Colpo dei Cento Draghi!!!” –E portò entrambe le mani avanti, per quanto la destra gli sanguinasse copiosamente e gli dolesse.

 

Le zanne dei draghi di Cina si schiantarono però sulla difesa di Flegias, lo Scudo di Ares, una tecnica insuperabile che poteva essere abbattuta provvisoriamente ma mai definitivamente, traendo origine dal cosmo stesso del figlio di Ares. Ma Dohko non si arrese, continuando a scaricare la possente energia dei Cento Draghi su Flegias, e sulla barriera posta a sua difesa.

 

“Excalibur!!!” –Urlò una voce improvvisamente.

 

Flegias si voltò, trovando Sirio poco distante, con il braccio destro sollevato e un veloce piano di energia che guizzava verso di lui, distruggendo il terreno ghiacciato. Con agilità, il figlio di Ares balzò in alto, superando il proprio Scudo di Ares, nel momento stesso in cui Excalibur lo raggiungeva dall’interno, scontrandosi con i Cento Draghi e facendo esplodere la difesa. Ancora in volo, lanciò la Spada Infuocata contro Dohko, piantandola nel petto del Cavaliere d’Oro, ancora sdraiato a terra, e abbatté Sirio con un’onda di energia, prima di atterrare sul terreno e liberare la devastante potenza dell’Apocalisse Divina.

 

La tempesta di energia travolse sia Dohko, sollevandolo da terra, mentre cercava di estrarre la Spada Infuocata dal suo petto, sia Sirio, leggermente più distante, facendoli fluttuare in aria, mentre le folgori devastanti distruggevano parte delle loro armature. Ricaddero a terra molti metri addietro, deboli e pieni di ferite sanguinanti.

 

A… Atena.. quest’uomo è il demonio in persona!!!” –Mormorò Dohko, rialzandosi a fatica.

 

Aveva estratto la spada dal petto, e sangue aveva iniziato a scorrere copiosamente sulla sua corazza, offuscando l’antica brillantezza di ciò che in quel momento parve a Dohko soltanto un ricordo. Scorpio! Mormorò, tirando uno sguardo in lontananza, verso il corpo inerme dell’amico di cui non avvertiva più il cosmo.

 

Maestro…” –Balbettò Sirio, risollevandosi e affiancandolo. –“Dobbiamo vincerlo! Pegasus è ormai alla Tredicesima Casa! Sento il suo cosmo esplodere!”

 

“Sì, Sirio!” –Annuì Libra, anche se non aveva idea alcuna su come abbattere il semidio di fronte a loro. Tranne una, forse troppo rischiosa.

 

“Ancora vivi?! Siete duri a morire!” –Commentò Flegias, aprendo il palmo della mano. La Spada Infuocata, gettata via da Dohko, fluttuò nell’aria, tornando nella sua stretta presa, mentre un ghigno di perversa soddisfazione adornava il viso maschile del figlio di Ares, mentre la agganciava alla cintura dell’armatura.

 

“Siamo Cavalieri di Atena, Flegias! Abbiamo uno scopo per cui combattere!” –Gli rispose Sirio.

 

“Spero che ne abbiate anche uno per cui morire!” –Sogghignò questi, bruciando il proprio cosmo, vasto e oscuro, come la notte più nera.

 

“Ne abbiamo molti… per cui vivere!” –Parlò una voce, proveniente da dietro di lui.

 

“Uh?!” –Mormorò il figlio di Ares, voltandosi, e vedendo Cristal che, a fatica, si rimetteva in piedi. –“Non ti arrendi eh, Cigno?!”

 

“Abbiamo troppi motivi per cui valga la pena vivere su questa Terra! Ed è così triste che tu, Flegias, che in fondo sei un uomo, non ne comprenda neppure uno!” –Mormorò Cristal, trascinandosi a fatica sul terreno, per raggiungere i propri amici.

 

Ma Flegias non glielo permise, avventandosi su di lui e iniziando a tempestarlo di pugni. Diretti cazzotti in pieno viso, sul corpo martoriato del Cavaliere di Atena, che frantumarono ancora la sua corazza ammaccata, finché uno di questi non gli sfondò il pettorale all’altezza del cuore.

 

Cristal!!!” –Urlò Sirio, osservando il figlio di Ares affondare il pugno destro nel petto dell’amico.  Ma Cristal prevenne ogni suo movimento, afferrando il braccio del Rosso Fuoco e sprigionando tutta la sua energia gelante.

 

“Che stai facendo?! Mollalo Cristal!!! Mollalo o te lo maciullo!” –Ringhiò Flegias, mentre fitte di dolore gli stavano raggiungendo il braccio, al di sotto dall’armatura.

 

“Almeno questo braccio voglio troncartelo!” –Mormorò Cristal, arrabbiato come non mai per la morte di Scorpio. –“Il punto della bandiera!”

 

Flegias non rispose iniziando a colpire il Cavaliere di Atena con pugni in pieno viso, con il braccio sinistro, e a sferrargli calci violenti tra le gambe, sull’addome, distruggendo con la sola forza fisica la sua Divina Corazza. Ma Cristal non era intenzionato a lasciare la presa.

 

Non finché non ti avrò gelato il braccio! Rifletté il Cigno, incurante del dolore, delle ferite, delle botte che stava incassando su tutto il suo corpo.

 

Flegias!!!” –Gridò improvvisamente Dohko, obbligando il figlio di Ares a voltarsi.

 

Prima ancora che questi lo avesse fatto, il Tridente d’Oro della Bilancia saettò nell’aria, piantandosi alla fine nel petto di Flegias, proprio mentre Cristal, senza più forze, lasciava la presa, crollando al suolo esanime, permettendo al figlio di Ares di togliere il braccio dal suo pettorale sfondato, portando con sé la croce del nord, il rosario ultimo dono di Natassia.

 

“Mio Dio… Cristal!!!” –Esclamò Sirio, correndo verso l’amico, sotto il quale si stava allargando una chiazza di sangue.

 

Flegias si accasciò in terra a sua volta, estraendo il tridente dorato con la mano sinistra, incapace a muovere il braccio destro, completamente paralizzato, diveuto un ammasso indistinto di ghiaccio.

 

“Maledetto Cigno! Hai dunque mantenuto la tua promessa! Anche se in punto di morte, mi hai ghiacciato il braccio!” –Sibilò, rialzandosi. Gli doleva il petto, avendo alcune costole rotte a causa del tridente di Dohko, ma fortunatamente la sua Divina Armatura aveva ben retto, impedendogli di scendere in profondità. Nonostante tutto non voleva arrendersi. Non poteva arrendersi. Bruciò ancora il suo cosmo oscuro, avvolgendo l’intera radura con vampe di tetra energia, deciso all’ultimo attacco.

 

“Sirio!” –Esclamò Dohko, avvicinandosi all’allievo, chinato su Cristal, in una pozza di sangue.

 

Sì…” –Rispose semplicemente Dragone, rialzandosi. Ma prima che si rimettesse completamente in piedi, una mano afferrò la sua gamba, sussurrando lievi parole. –“Cristal!” –Urlò sorpreso, mentre l’amico cercava il suo aiuto per rialzarsi.

 

“Avete... bisogno di me…” –Mormorò soltanto Cristal. E Sirio comprese a cosa si riferisse, incontrando anche lo sguardo annuente di Dohko.

 

In quella, la tempesta di energia si fece ancora più potente, mentre le infuocate vampe di odio stridevano sul terreno, sciogliendo il ghiaccio e riscoprendo la terra sotto di esso.

 

“Qua giunge la fine, Cavalieri di Atena! Violenta e inesorabile!” –Esclamò Flegias, espandendo ancora il suo oscuro cosmo. E si preparò per portare l’Apocalisse Divina ai limiti estremi, finché non si fermò improvvisamente, osservando la strana posa che avevano assunto i tre Cavalieri di Atena. La postura della Triade.

 

Dohko si era messo nel mezzo, genuflesso sulle proprie ginocchia, mentre Sirio e Cristal erano ai suoi lati, ognuno di spalle all’altro, rivolgendo a Flegias le proprie braccia cariche di energia. Il figlio di Ares riconobbe la posizione del colpo segreto dei Cavalieri di Atena, bandito dalla Dea secoli prima, ma recentemente rispolverato.

 

“Ah ah! Ma sì! Codardi!” –Li derise Flegias. –“Unite pure i vostri poteri, usate il colpo che la vostra Dea ha proibito! Se sfidare gli Dei non vi disturba, se la morte non la temete, potete anche non temere l’indignazione e l’infamia!”

 

“Non è per l’infamia né per la gloria, Flegias…” –Mormorò Sirio. –“Ma per la prospettiva di un futuro migliore!”

 

“Che Atena ci perdoni…” –Aggiunse Dohko, prima di far esplodere il proprio cosmo, subito imitato da Sirio e Cristal. –“Urlo di Atena!!!”

 

L’energia congiunta dei tre Cavalieri si concretizzò in un’immensa sfera cosmica che sfrecciò verso Flegias, il quale oppose doppia resistenza, tentando di frenarla con lo Scudo di Ares e scaricando la bestiale potenza dell’Apocalisse Divina, lo stadio ultimo del suo cosmo oscuro. Lo scontro tra i due poteri generò un’esplosione di immensa portata, che spazzò via il Giardino delle Esperidi, facendo tremare tutta la Collina della Divinità, persino Ares, impegnato in battaglia alla Tredicesima Casa. Gli alberi dalle foglie d’oro scomparvero, come il verde manto erboso, e rocce franarono, distruggendo l’antica scalinata dello Zodiaco, culmine estremo di quella sanguinaria guerra.

 

Quando la polvere si diradò, permettendo di vedere meglio la rovina e lo sfacelo della Collina della Divinità, emersero i tre corpi esanimi dei Cavalieri di Atena, le cui armature erano in buona parte frantumate e i cui visi stanchi e scavati erano sporchi di sangue e terriccio. Ma di Flegias non vi era più alcuna traccia.

 

Il primo a riaprire gli occhi fu Sirio, sdraiato a pancia in su, la cui prima visione fu il cielo fosco e caliginoso, e per un momento credette di essere morto. Resosi conto di essere ancora vivo, cercò di muovere la testa, per trovare i suoi compagni, distesi a terra vicino a lui. A fatica, allungò un braccio verso Dohko, dalla cui crepata corazza sgorgavano flussi di sangue, afferrandogli una mano.

 

A… Atena…” –Mormorò Dohko, e questo permise a Sirio di capire che era ancora vivo. Stringendo i denti, Sirio si rimise in piedi, svegliando il maestro e chinandosi poi su Cristal, debolissimo ma ancora vivo.

 

Abbiamo… vinto?!” –Domandò questi. Ma Sirio non ebbe risposta da dargli, non sapendo quale sorte fosse toccata al figlio di Ares. Già una volta credevano di averlo spazzato via, ed invece era ricomparso, più sadico e violento che mai.

 

“Pegasus ha bisogno di noi!” –Esclamò infine, aiutando Cristal a rialzarsi.

 

I tre Cavalieri, sorreggendosi a vicenda, si incamminarono sul terreno distrutto, cercando di trovare la strada per raggiungere la Tredicesima Casa. Improvvisamente tre fanciulle apparvero di fronte a loro, ricoperte da un candido velo bianco sporco. Egle, Aretusa ed Esperia, le Ninfe del Tramonto o Esperidi. Con un sorriso mesto, mostrarono ai tre compagni il corpo del loro amico, il Cavaliere di Scorpio, completamente ricoperto di foglie dorate. Lo avevano protetto dalla furia dell’esplosione, impedendo che fosse spazzato via.

 

Dohko le ringraziò, prima di chinarsi sul parigrado caduto e scoprire il suo volto, per guardarlo un’ultima volta, mentre lacrime troppo a lungo represse scivolarono via sul suo viso sporco. Cristal avrebbe voluto gettarsi in terra, prendere per mano l’amico e risvegliarlo, ordinargli di alzarsi e venire con lui da Ares, a combatterlo insieme. Ma realizzò che Scorpio non lo avrebbe udito.

 

“No!” –Mormorò piangendo. –“Egli non udirà più il clangore delle spade che si affronteranno sui campi di battaglia, non sentirà più il dolore della guerra! Adesso, finalmente, avrà il riposo eterno!”

 

“Che Atena sia con te, nobile Cavaliere di Scorpio!” –Balbettò Sirio, in lacrime.

 

Quindi i tre Cavalieri di Atena si incamminarono verso la Tredicesima Casa, estremo confine dei Templi dell’Ira, dando l’ultimo saluto al loro vecchio amico, decidendo di onorare la sua memoria nel miglior modo possibile: sconfiggendo Ares e liberando la Terra dalla sua nefasta presenza.

 

 

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Capitolo 38
*** Capitolo trentaseiesimo: Ritrovarsi ***


CAPITOLO TRENTASEIESIMO. RITROVARSI.

 

“Virgooooo!!!”

 

L’acuto strillo del Cavaliere del Leone risuonò nell’aria per pochi secondi, prima che il tremendo boato con cui l’isola dell’Apocalisse esplose, per effetto del malvagio cosmo di Ares, lo coprisse.

 

Ioria non fece in tempo a realizzare ciò che stava accadendo che si sentì trascinare via, schiacciato da vari piani spaziotemporali, prima di ritrovarsi sulle rive del lago di lava, proprio dove era giunto qualche ora prima, insieme alla Sacerdotessa dell’Aquila. Ferito, con l’armatura distrutta in più punti, penetrato dall’infuocata spada che Ares aveva immerso nel suo fianco destro, con qualche costola rotta dalla demoniaca lancia della Guerra, Ioria rantolò sul terreno, mentre guizzanti lapilli di lava scintillavano nell’aria intorno a lui, testimoni soddisfatti della distruzione del Tempio dell’Apocalisse, e di quel che restava di quell’empio luogo.

 

Castalia ansimò, cercando di rimettersi in piedi, ma non ci riuscì e ricadde a terra, trascinandosi fino al corpo martoriato di Ioria, disteso poco distante. Lo raggiunse, aggrappandosi ad esso, stringendolo a sé, con le ultime forze rimaste, senza dire niente, incapace di pronunciare qualsiasi parola di conforto. Rimasero così, senza sapere neppure loro quanto e perché, vinti dalla stanchezza e dal dolore, mentre la terra tremava ancora e le scroscianti onde di lava increspavano la superficie del lago. Castalia si strinse a Ioria, sfiorando il suo corpo con le braccia ferite, sperando di dargli un po’ di affetto e di fiducia che il ragazzo capiva di aver perso.

 

Perché era così che Ioria si sentiva in quel momento.

 

Vinto. Sconfitto da Ares, a cui non aveva saputo tenere testa, trafitto dall’infuocata Spada che aveva distrutto la sua sicurezza e gli aveva ricordato che egli era ancora un mortale, un uomo mortale, come suo fratello prima di lui, e come Virgo, l’amico che non era riuscito a salvare. Virgo! Singhiozzò Ioria, in silenziose lacrime. Perdonami! Ho fallito! Avrei voluto essere migliore, avrei voluto essere più forte, per sconfiggere Ares e liberarti da quel martirio! Avrei voluto essere Micene! Sospirò infine, dando libero sfogo ad un complesso che non l’aveva mai abbandonato per tutti quegli anni. Micene ti avrebbe salvato! Commentò, cercando di rimettersi in piedi.

 

“Ioria…” –Mormorò Castalia, osservando il ragazzo barcollare sul terreno. –“Devi riposare!”

 

“Ho già riposato abbastanza!” –Rispose bruscamente il Cavaliere d’Oro. –“Chissà quante altre vittime Ares ha mietuto in queste ore in cui sono rimasto inattivo!” –E subito si chiese se sarebbe cambiato qualcosa se fosse intervenuto. In fondo, si disse, Virgo non sono stato capace di salvarlo!

 

“Non colpevolizzarti!” –Gli sorrise Castalia, rialzandosi a sua volta. –“Hai fatto tutto ciò che era possibile per salvare Virgo! Ed egli lo sa!”

 

“No, non ho fatto abbastanza! Ed è morto per causa mia, perché non sono riuscito a salvarlo! Se avessi sconfitto Ares, saremmo potuti andarcene tutti e tre da quell’isola infernale, senza che lui si sacrificasse per noi, dandoci la sua ultima energia!”

 

“Sono sicura che l’ha fatto col cuore, perché era ciò che sentiva in quel momento!”

 

“Sai… sai qual è la cosa più ironica in tutto questo?!” –Esclamò Ioria, singhiozzando. –“Virgo un giorno mi disse che avrebbe voluto morire sotto gli Alberi Gemelli, dove morì il Buddha millenni fa! Mi disse che quello era il destino scritto per lui! Ebbene, oggi con il suo gesto ha confermato la teoria che sostengo da anni! Che non esiste alcun destino, alcun fato supremo, ma che sono gli uomini, con i loro gesti, con le loro azioni, a determinare la loro strada!”

 

“Ioria…” –Disse Castalia, osservando una nuova luce di determinazione negli occhi del ragazzo.

 

“Virgo!” –Esclamò il Cavaliere, voltandosi verso il lago di lava. –“Hai sfidato il destino! E per questo sei stato punito! Ma io vendicherò la tua morte, lo giuro! Taglierò la testa di Ares e la getterò in questo lago infuocato! Voglio vederlo agonizzare quel bastardo!!!” –E nel dir questo strinse i pugni con rabbia, scagliando un violento colpo energetico contro l’infuocata distesa di lava, che scivolò su essa, esplodendo in mezzo.

 

Ansimando con fatica, il ragazzo voltò le spalle al lago, al tempio inabissato e a tutti i suoi rimorsi, trascinandosi a passo stanco lungo il sentiero che avevano percorso all’andata, seguito da Castalia, anch’ella affaticata e con poche energie. Non riuscirono a percorrere neppure due metri che furono attaccati da una pattuglia di berseker, inviati dal Dio della Guerra per controllare che non vi fossero stati superstiti. Era un drappello poco numeroso, e dai poteri non molto grandi, che Ioria avrebbe potuto sconfiggere con un colpo solo se fosse stato in condizioni fisiche perfette. Ma in quello stato, ferito e insanguinato, con la corazza semidistrutta, riuscì soltanto a mettersi davanti a Castalia, per proteggerla, venendo trafitto da un paio di dardi al posto suo.

 

“Ioria!” –Urlò la ragazza, osservando il Cavaliere d’Oro estrarre le frecce dalla sua schiena.

 

“Va… tutto bene!” –Cercò di sorridere Ioria, ben sapendo che non era così. Non avevano più forze, neppure per camminare. E quelle nuove ferite sarebbero state il loro boia. Ares, alla fine, avrebbe vinto.

 

Il pensiero che Virgo si fosse sacrificato invano fece avvampare l’orgoglio del Leone, spingendolo a bruciare al massimo il proprio cosmo, i cui dorati bagliori invasero l’intera radura, terrorizzando per un momento i berseker di Ares.

 

“Non indietreggiate!” –Esclamò un uomo, brandendo una falce. –“È uno soltanto e si regge in piedi per miracolo! Uccidiamolo!” –E si lanciò avanti, seguito dai compagni, che impugnavano lance e picche.

 

Con la forza della disperazione e con un tremendo sforzo di volontà Ioria mosse il braccio destro, creando un reticolato di energia lucente, contro il quale si infransero le armi dei berseker, venendo distrutte, prima di dirigerlo verso di loro. Alcuni guerrieri furono travolti, ma altri riuscirono ad evitare il colpo, non essendo portato alla velocità della luce, giungendo ai lati del Cavaliere d’Oro.

 

Accerchiato, Ioria vide picche scarlatte puntare su di lui, ed immaginò che presto le avrebbe sentite nel suo corpo. Ma non accadde, e questo lo stupì non poco. Le armi dei berseker andarono in frantumi, distrutte da sottili, ma precisi, raggi di luce, che trapassarono le corazze dei guerrieri di Ares, uccidendoli subito dopo.

 

“Che cosa?! Un altro?!” –Esclamò il berseker che brandiva la falce.

 

“Andiamo Falcetto!” –Lo esortò un guerriero con una lunga picca. I due berseker scattarono avanti, brandendo le loro sanguinarie armi, ma furono investiti in pieno da luminosi affondi dorati.  Ricaddero a terra, pochi metri addietro, mentre la splendente sagoma di un Cavaliere dalla scintillante armatura si ergeva su di loro.

 

“Chi… sei tu?” –Domandò Falcetto, prima che un secco colpo di spada lo privasse della vita.

 

L’ultimo gruppo di berseker, rimasto in disparte, si dette alla fuga, ma bastò un rapido movimento del braccio del Cavaliere scintillante a travolgerli con i suoi fendenti dorati, e a spazzarli via.

 

“Maledette carogne di Ares!” –Brontolò lo sconosciuto, ma provvidenziale, arrivato. E questo permise a Castalia di riconoscere che il Cavaliere che li aveva salvati era in realtà una donna.

 

Ricoperta da una scintillante armatura, dal dorato colore e dalle aerodinamiche forme, che sembrava non rappresentare alcun animale o figura conosciuta, la donna si voltò verso di loro, domandando se stessero bene. Non era affatto alta, anzi era più bassa di Castalia, ma aveva un fisico ben fatto e curato, con muscoli atletici e seno abbondante; un viso sereno su cui splendevano due bellissimi occhi, più azzurri del mare stesso, e lisci capelli castani, che parevano trecce d’oro sfuso da tanto che erano luminosi, fermati dal brillante elmo a diadema della sua corazza.

 

“Uh…?!” –Balbettò Ioria, osservando la ragazza, mentre un senso di dejà-vu lo invadeva.

 

“È un piacere rivederti, Cavaliere del Leone!” –Esclamò lei, sorridendo a Ioria.

 

“Reis?!”

 

La ragazza si limitò a sorridere, aiutando Castalia, caduta a terra durante l’assalto, a rialzarsi.

 

“Gra… grazie.” –Mormorò la Sacerdotessa. –“Dunque.. voi vi conoscete?”

 

“Ci siamo... incontrati qualche anno fa!” –Esclamò Ioria, accennando finalmente un sorriso.

 

“Parecchi anni fa…” –Rise la ragazza. –“Quando eri ancora un ragazzino inesperto, che aveva qualche problema ad accettare il suo ruolo di Cavaliere!”

 

“Non sono molto cambiato da allora…” –Rifletté Ioria, prima di fare le presentazioni. –“Castalia dell’Aquila, ti presento Reis di Lighthouse, Cavaliere di Luce!”

 

“Piacere di conoscerti!” –Esclamò Reis con decisione, stringendo la mano di Castalia.

 

“Pia... piacere mio!” –Mormorò Castalia, un po’ basita. –“Cavaliere di Luce?! Non sapevo dell’esistenza di altri Cavalieri oltre a quelli di bronzo, d’argento e d’oro!”

 

“Per la verità io non sono un Cavaliere di Atena!” –Precisò Reis. –“Ma un Cavaliere delle Stelle! E, a differenza vostra, non traggo i miei poteri da una specifica costellazione, ma dalle forze stesse della natura! La luce, nel mio caso!”

 

“Reis mi ha salvato la vita molti anni fa!” –Spiegò Ioria, ricordando la sua prima battaglia, a fianco di Micene.

 

“Non metterla in questi termini! Mi fai sentire vecchia! In fondo ho soltanto un anno più di te!” –E scoppiò a ridere, mentre Ioria faceva altrettanto, davanti agli occhi sempre più straniti di Castalia.

 

La Sacerdotessa dell’Aquila, non sapeva bene come, iniziò a provare un sentimento strano nei confronti di Reis, per quanto la ragazza li avesse salvati. Una gelosia inconscia dovuta alla paura di perdere il posto che aveva mantenuto per tutti quegli anni a fianco del Leone. Sospirò un momento, prima di chiedersi se in fondo fosse mai stata davvero importante per Ioria. Se fosse mai stata guardata come lei avrebbe voluto che fosse? Come la donna al cui fianco vivere, e non solo combattere? Nel vedere i sorrisi e gli sguardi complici tra Ioria e Reis, Castalia si rispose da sola, ma non ebbe tempo di dire o fare niente che la radura fu invasa da una potente energia cosmica.

 

“Che succede?” –Chiese Ioria, osservando striature violacee sul terreno stridere sui loro corpi.

 

“C’è qualcuno!” –Fremé Reis, concentrando i sensi. Quindi si voltò, scandagliando l’aria intorno a loro, caliginosa come quando erano arrivati, molte ore prima. E notò una figura, avvolta da un nero mantello stracciato, camminare verso di loro. –“Chi sei?!” –Tuonò, stringendo l’impugnatura della spada. E solo allora Castalia la notò.

 

Una spada bellissima, con un’impugnatura rifinita da antichi disegni, e una lama bianchissima e splendente, come fosse un raggio di sole. Che sia…? Si chiese, ricordando una leggenda dei tempi antichi.

 

La corrente energetica aumentò d’intensità, mentre l’ammantata figura si avvicinava senza proferire parola. Ma ai tre Cavalieri sembrò di udire una sottile, quanto maligna, risata risuonare nell’etere.

 

“Mostratii!!!” –Urlò Reis, scattando avanti.

 

Rapidi e veloci fendenti luminosi si liberarono dalla sua spada, dirigendosi verso la figura ammantata, che li evitò, prima di scagliare un violento attacco energetico contro la ragazza. Il contraccolpo tra i due poteri spinse entrambi indietro, facendo volar via lo sbrindellato mantello che ricopriva la figura, rivelandola in tutta la sua bruttezza e ferocia.

 

Era una donna, dai lunghi capelli neri, che le ricadevano sulla schiena di una scarlatta armatura, così simile, come forme, a quelle di Flegias e di Ares, per quanto ricoprisse una minore percentuale di corpo. Era orribile a vedersi, con quella pelle chiara, quasi verdastra, e quegli occhi intrisi di sangue, quasi come sputassero fuoco.

 

“Enio è il mio nome! Dea della Strage e della Distruzione! Sono giunta fino qua, alle porte dell’antico Tempio del mio amante, per portarvi l’Apocalisse!”

 

“L’Apocalisse, dici?!” –Esclamò Reis, per niente intimorita. –“Sarai tu ad esserne travolta, Dea malvagia e crudele!”

 

“Taci, donna!” –La zittì Enio, concentrando l’energia sul palmo della mano destra, e volgendolo contro Reis, che fu investita in pieno e spinta indietro, scavando solchi nel terreno con i piedi. Ma riuscì a non crollare, tenendo salda la spada avanti a sé, usandola come lucente barriera.

 

“Reis!!!” –Esclamò Ioria, preoccupato.

 

“Non temere, Ioria! Vi proteggerò!” –Lo rassicurò Reis. –“Non ricordi la mia spada? Essa non teme confronti né Divinità alcuna!” –Quindi scattò avanti, lanciando rapidi affondi luminosi. –“Flashing Sword!” –Urlò, dirigendo migliaia di fendenti dorati contro Enio.

 

La Dea della Strage dovette muoversi a velocità altissima per non essere travolta, ma non riuscì comunque ad evitare tutti i fendenti di Reis, precisi e taglienti. Alcuni la raggiunsero ad un fianco, stridendo fortemente sulla sua scarlatta protezione, ed obbligandola a contrattaccare con impeto.

 

“Drops of Loneliness!!!” –Gridò allora, lasciando cadere a terra una goccia di energia.

 

Prima ancora che Reis potesse riflettere sul suo gesto, un guizzante piano energetico le falciò le gambe, facendola cadere in avanti, dolorante, perdendo la presa della spada. Un secondo cerchio energetico la sollevò bruscamente, scaraventandola indietro, mentre l’elmo a diadema della sua corazza volava via, scheggiandosi.

 

“Uahahah! Muori!!! Drops of Loneliness!!!” –Rinnovò l’assalto Enio, lasciando cadere una nuova goccia di energia. Come un sasso in un lago, cerchi di energia incandescente saettarono intorno a lei, diretti verso Reis, ancora stordita, davanti agli occhi sghignazzanti di Enio, che di Cavalieri voleva fare strage. Ma presa com’era dalla sua arrogante superbia, non si avvide del rapido balzo di Ioria, che si portò di fronte a Reis per difenderla, fermando con la sola forza delle mani il piano di energia.

 

“Che... Cosa?!” –Gridò Enio, imbestialita, aumentando la pressione del suo assalto. Ma Ioria non era intenzionato a mollare, spingendo con tutto se stesso, con tutte le ultime forze che gli rimanevano, mentre la protezione dorata delle sue dita andava in frantumi e schizzi di sangue colavano sulle sue mani logorate. –“Togliti di mezzo, bel damerino!” –Lo apostrofò Enio, lasciando cadere una nuova goccia di energia. –“O ti taglierò quelle mani maschili e forti!”

 

“Non... arretrerò di un passo!” –Mormorò Ioria, con decisione, mentre il dorato cosmo esplodeva intorno a lui, frenando l’ardente impeto della Dea della Distruzione.

 

Ho già fallito una volta, quest’oggi! Rifletté il ragazzo, con il cuore in gola. Non permetterò che un’altra persona, per me importante, venga uccisa davanti a me! No, giammai Ioria fuggirà! Ed aumentò la pressione sui piani di energia, riuscendo ad allungare un po’ di più le proprie braccia, spingendo con forza quasi delirante.

 

“Oooh…” –Gridò, pressando sempre di più le proprie braccia avanti, ormai al limite della tensione. – “Cadiiiiii!!!” –Urlò, rispedendo indietro i cerchi di energia di Enio.

 

La Dea della Strage, sorpresa e stupefatta che un uomo potesse tanto, fu travolta in pieno dai propri piani energetici e scaraventata indietro, danneggiando notevolmente i bracciali e gli schinieri della sua Veste Divina. Sbuffando rabbiosa, come una Furia infernale, Enio si rimise in piedi, agitandosi gli scompigliati capelli scuri, prima di battersi il petto con foga ed emettere suoni osceni e lamenti.

 

“Ioria…” –Mormorò Reis, osservando il ragazzo crollare a terra, esausto.

 

Per difendere me e la Sacerdotessa dell’Aquila hai esaurito le tue forze, Cavaliere di Leo, nobile ed altruista come sempre! Sorrise, mentre Castalia si chinava sul ragazzo per prendersi cura di lui. No, non ho sbagliato, quel lontano giorno, sotto il caldo sole dell’Egitto, a credere in te e nel tuo cosmo, anche se eri soltanto un ragazzino, un po’ arrogante ed irascibile, ma con un’immensa voglia di vivere e di dare! Per te, per difendere te, adesso Reis combatterà! Rifletté, richiamando la sua spada lucente e stringendola con forza.

 

“Ihihih…” –La malefica risata di Enio risuonò nell’aere caliginoso, mentre una fitta nebbia scendeva sui tre Cavalieri.

 

“In guardia, Dea della Strage!” –Esclamò Reis, lanciandosi avanti, circondata dal suo luminoso cosmo.

 

“Perditi… donna infame… nelle Nebbie della Disperazione.. nelle Nebbie di Sangue di cui sono Regina!!! Uahahah!” –Sogghignò la Dea, scomparendo nella scura foschia e lasciando Reis, da sola, avvolta da un’opprimente cappa caliginosa.

 

“Dove sei? Vigliacca!” –Gridò il Cavaliere di Luce, guardandosi intorno.

 

Le nebbia era fittissima, innaturalmente prodotta dal cosmo della Dea della Strage, al punto da rendere impossibile per lei ritrovare persino Ioria e Castalia, sepolti chissà dove in quell’oscura caligine. Improvvisamente, parve a Reis che la nebbia si muovesse, modellando oscene figure di guerrieri armati di lance e di spade, soldati di un esercito oscuro che dalla disperazione era nato.

 

“Che succede?!” –Si chiese, sbattendo i suoi occhi azzurri come il mare.

 

Le orribili figure si mossero contro di lei, impugnando le loro armi sanguinarie e mormorando versi osceni. Per un momento Reis fu quasi tentata di lasciarli fare, credendo si trattasse di illusioni, di un trucco ottico con cui Enio voleva ingannarla; ma quando un colpo di lancia la ferì ad un braccio dovette ricredersi, e bruciare al massimo il proprio cosmo.

 

Lucenti raggi di energia sorsero dalla sua scintillante armatura, rischiarando l’aere intorno a lei e permettendole di identificare con ribrezzo le orride figure che aveva attorno. Un vero e proprio esercito di ombre, tenebrosi figli della disperazione più cupa, che si avventarono su Reis da ogni lato, impegnando duramente la ragazza, obbligandola a muoversi continuamente, senza distogliere l’attenzione nemmeno per un momento.

 

“Ahahah! È inutile, Cavaliere… Presto la luce del tuo cosmo si spegnerà, debole, proprio come te!” –La derise Enio, nascosta all’interno dell’oscuro ammasso nebbioso. –“Abbandona ogni speranza di vittoria e cadi, abbracciando la mortale disperazione che ti attende!”

 

“Mai!!!” –Tuonò Reis, con voce decisa, continuando a muovere la propria spada e a colpire quelle deformi sagome. Ma ogni volta che ne feriva una, tranciandola a metà con la sua affilata lama, essa si ricreava automaticamente, rinascendo dalla propria polvere, e stringendosi sempre più intorno al Cavaliere delle Stelle, mentre sinistre risate risuonavano nell’aria greve.

 

“Esercito della Disperazione! Stringiti in un mortale abbraccio attorno alla donna che ha sfidato la Dea della Strage!” –Esclamò istericamente Enio, mentre l’esercito di nebbia si chiudeva su Reis.

 

Improvvisamente però, deludendo le aspettative di Enio, un’abbagliante luce risplendette in mezzo all’oscurità, obbligando le deformi figure a compiere un passo indietro. Il primo passo verso la fine. 

 

“Spada di Luce!!!” –Esclamò Reis, sollevando la scintillante arma con il braccio destro e lasciando che sprigionasse un’immensa luce, capace di rischiarare tutto attorno.

 

Per un momento, Reis vide i volti tumefatti delle mostruose sagome che Enio aveva creato, li vede sciogliersi come neve al sole, svanire di fronte all’abbagliante luminosità delle stelle, che nella Spada di Luce, ancestrale talismano del Mondo Antico, trovava espressione.

 

“Che cosa?! Non può essere!!!” –Ringhiò Enio, sgomenta, mentre i fitti raggi di luce facevano breccia nell’oscura cappa, come un piccolo ma potente sole.

 

“Sparite, ombre infernali!” –Gridò Reis, liberando l’immenso potenziale della spada di cui era Custode. –“E tornate nell’inferno di disperazione cui la vostra Dea ha attinto!”

 

“Non ci credo!!! Bastardaaaa!!!” –Ruggì Enio rabbiosa, gettandosi nelle nebbie.

 

Come un avvoltoio, la Dea della Strage si lanciò su Reis, avvinghiandosi su di lei con le sue torve grinfie, sbattendola a terra e iniziando a graffiarla a più non posso, mentre i suoi serpentiformi capelli si allungavano a dismisura, arrotolandosi intorno al corpo di Reis, fermando le sue braccia, le sue gambe, impedendole di muoversi. Persino di respirare.

 

“Muori, muori cagna bastarda!!! Ti mostrerò le porte di Ade! Riaprirò i gironi dell’Inferno per trovarti un posto dove terminare la tua banale esistenza!!!” –Ghignò Enio, sgraffiando Reis convulsamente. Ma mentre i suoi unghioni cercavano di penetrare la robusta protezione del Cavaliere di Luce, un immenso calore si liberò dal corpo di Reis, accendendosi di un cosmo luminoso, simile a quello dei Cavalieri d’Oro.

 

“Questo cosmo…” –Mormorò Ioria, ancora debole tra le braccia di Castalia. –“Questa sensazione.. l’ho già provata anni fa… così pacifica... così serena... così eterna al tempo stesso… è il calore delle stelle.. la luce profonda della galassia!”

 

Vampate di luce arsero il corpo di Enio, provenendo proprio dall’imprigionata ragazza sotto di lei, la quale, con un rapido movimento del braccio, trinciò parte dei capelli che la rendevano prigioniera, liberando finalmente il braccio destro, con cui brandiva la Spada di Luce. Con un secondo colpo, recise il resto della serpentiforme chioma di Enio, tagliando persino una mano alla Dea, che si alzò di scatto, gridando istericamente, mentre sangue nero e orribili vipere uscivano dal suo polso mutilato.

 

“Aaargh!!! Aarrgh!!!” –Gridò Enio, scuotendo il braccio forsennatamente. –“La disperazione! La disperazione proverai per questo!!!” –E le puntò il braccio mozzato contro, da cui uscirono schizzi di sangue oscuro e orripilanti serpenti che erano annidati dentro il suo corrotto animo, puntando su Reis, senza comunque raggiungerla. Il Cavaliere di Luce aveva infatti creato una resistente barriera lucente, simile ad una scintillante cascata di polvere di stelle, la quale la rendeva praticamente irraggiungibile ai velenosi morsi delle vipere di Enio.

 

“Cascata di Luce!” –Esclamò Reis, espandendo il proprio cosmo, ed una violenta esplosione di energia lucente fece piazza pulita del sangue nero, delle serpi, delle rocce, di tutto ciò che le stava intorno, scaraventando persino Enio indietro.

 

Quando la donna si rialzò, trovo Reis che camminava verso di lei, brandendo con determinazione la lucente spada. La rabbia e lo spavento che iniziò a provare la fecero impazzire, portandola a sollevare il braccio sinistro, quello non mutilato, e a scagliare gocce di energia contro il suo avversario, una goccia per ogni dito, a getti continuati. Bombe di energia cosmica, come quelle che aveva lasciato cadere in precedenza a terra. Ma Reis fu svelta a passare nel mezzo a quella fitta pioggia mortale, prima di sollevare la Spada di Luce lasciando partire un violento fendente energetico che travolse Enio, scaraventandola indietro e distruggendo parte della sua corazza.

 

“Uaaaah…” –Gridò la Dea, stramazzando al suolo come i nemici che aveva crudelmente torturato per millenni, mentre macchie di oscuro sangue chiazzavano la sua corazza e il suo corpo mutilato.

 

“Uccidila, Reis!!!” –La incitò Ioria, immaginando che la Dea potesse ricorrere a qualche altro bieco trucco.

 

Ed infatti, dopo aver rantolato per un momento sul terreno, Enio si lanciò su di loro, afferrando Castalia per il collo, con il braccio sinistro ancora sano, e sollevandola da terra, digrignando i suoi giallastri denti pieni di bava e sangue. Spalancò le sue fauci e fu su di lei, come un vampiro, di fronte agli occhi terrorizzati della ragazza e dei due Cavalieri amici, mentre le sue nodose dita stringevano con violenza il suo fragile collo.

 

“N... Nnooo!!!” –Urlò Ioria, muovendosi ad altissima velocità.

 

Una sfera di rovente energia cosmica centrò il petto di Enio, sfondandolo, e la scaraventò in alto, facendo ricadere bruscamente Castalia a terra, ma liberandola dalla mortifera presa della Dea della Strage; con un secondo scatto, Ioria balzò in alto, dietro al corpo deforme della donna, travolgendola con il suo colpo sacro e scagliandola indietro, proprio dentro il lago di lava che circondava l’isola dell’Apocalisse. Enio vi precipitò dentro, e subito increspate onde di magma incandescente furono su di lei, cercando di portarla sotto, mentre la Dea si dimenava come una pazza, strillando forsennatamente. Fu una fine orribile, di fronte agli occhi di Ioria, Reis e Castalia, arsa viva da un calore che lei stessa, millenni addietro, aveva contribuito a creare.

 

“Mio Dio…” –Mormorò Reis, osservando Enio divorata dal mare di lava. –“Una morte atroce…”

 

“Ha avuto ciò che si meritava e non provo pena per lei!! No…” –Commentò Ioria, crollando a terra. –“Avrei voluto gettarvi Ares…”

 

Il ragazzo ansimò convulsamente, respirando a fatica, sfinito com’era, mentre la vista andò sfumandosi e i suoi sensi si fecero sempre più deboli ed incapaci di percepire le vibrazioni attorno. Cadde sul terreno, affondando nella polvere i suoi mossi capelli castani, lasciandosi finalmente vincere dal tempo. Da quel tempo in cui per tredici anni non si era mai sentito parte.

 

Virgo… Mormorò, ripensando all’amico che non era riuscito a salvare. Come non aveva salvato Micene molti anni prima, come non aveva creduto al buon cuore del fratello, venendo meno a quel legame di sangue e di affiatamento che era esistito tra loro. Castalia... La donna che gli aveva dato una ragione per tornare ad Atene, in quei tredici lunghi anni in cui aveva cercato di farsi affidare più missioni possibile dal Sacerdote, per andarsene dal Grande Tempio, dove tutti lo guardavano male, e per compiere prodi azioni, che potessero ristabilire il buon nome di Micene, che Ioria si ostinava disperatamente a voler ripulire. Per quanto il fango fosse su di lui, come lo era su tutti i Cavalieri del Grande Tempio, vittime inconsapevoli di un potere più grande di loro.

 

Ma era davvero così? Era solo per ripulire l’onore macchiato dal fratello che Ioria si era lanciato in continue sfide suicide, in guerre senza causa, o c’era qualcosa di più? Qualcosa che il Cavaliere di Leo aveva tenuto nascosto per tutti quegli anni, segretamente sperando di poterla rivedere un giorno. Non importava dove, non importava quando, importava soltanto specchiarsi nuovamente nei suoi occhi, azzurri come il mare, profondi come le stelle.

 

Rispecchiarsi negli occhi della ragazza che lo aveva salvato anni prima, sotto il sole d’Egitto, curando le sue ferite e donandogli un sorriso di cui la vita poi sarebbe stata avara. Rispecchiarsi in quegli occhi in cui si era sentito meno solo.

 

Perciò ben venissero le guerre, se quelle potevano portare a lei, a Reis di Lighthouse, Cavaliere delle Stelle, Custode della Spada di Luce.

 

 

 

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Capitolo 39
*** Capitolo trentasettesimo: Assedio finale ***


CAPITOLO TRENTASETTESIMO. ASSEDIO FINALE.

 

L’Olimpo era invaso dalle fiamme devastanti di Tifone e dei berseker, dilaniato fino nelle più recondite profondità dal demoniaco cosmo del Dio della Guerra e dei suoi infernali soldati. Seduto sul trono del Grande Tempio di Atene, Ares aizzava i suoi guerrieri all’ultimo assalto contro il Cancello del Fulmine, al di là del quale avrebbero raggiunto la Reggia di Zeus.

 

Tifone aveva abbattuto Gige e Cotto, due degli Ecatonchiri risvegliati da Zeus, e adesso stava affrontando Briareo, il più nobile e il più forte tra i tre. Ma anch’egli, per quanto possente e giusto, non aveva la forza, da solo, per contrastare la malefica brutalità della più orrenda bestia che la Terra avesse mai partorito. Le vipere di Tifone gli entrarono dentro, dilaniando le proprie carni, azzannando le robuste braccia, che si dimenavano confusamente, che cercavano di bloccarlo, di colpirlo con le loro clave. Fallendo continuamente.

 

Ai loro piedi le ultime centinaia di berseker, che avevano dato fuoco ai vuoti Templi del Sole e dei Mercanti, disonorando i loro custodi, abbattendo statue e colonne antiche, sfoderavano le armi per la battaglia finale, di fronte al Cancello del Fulmine. Quando vi giunsero, guidati da Enomao, ritto e tronfio sul suo carro, trovarono soltanto un uomo ad aspettarli: basso e gobbo, ricoperto da una luminosa Veste Celeste, decorata da decorazioni rossastre simili a lingue di fuoco.

 

Non lo riconobbero, e fu loro fatale.

 

“Aaalt!!!” –Gridò Enomao, sollevando il braccio destro e ordinando ai guerrieri di radunarsi intorno a lui. –“Soldati della Guerra, infine ci siamo! Alle porte dell’Olimpica Reggia siamo giunti! Soltanto un gobbo si pone tra noi e l’obiettivo finale, la testa del Sommo Zeus, che porteremo a nostro Padre, Dio Supremo della Guerra e del Sangue, per omaggiarlo del dono che ci ha fatto! Il più grande! Essere qua quest’oggi, ad abbattere i Cancelli Olimpici!!!” –E tutti i guerrieri gridarono selvaggiamente, sbattendo le lance e le picche, calpestando con ferocia il terreno sotto di loro, mentre sguaiati inni accompagnavano le incitazioni all’assalto. –“Per la Guerra, madre del mondo, Signora suprema che regola i destini degli uomini!!!” –Gridò Enomao, affiancato presto da Molo, Pilo e Testio. –“E per Ares, nostro Signore e Padrone! Avanziamo!!!”

 

“Sììì… iaaahh!!!” –Gridarono confusamente i berseker, lanciandosi all’assalto, come una mandria di bisonti in carica.

 

“Sciocchi!” –Mormorò l’uomo di fronte al Cancello del Fulmine. Senz’altro aggiungere, espanse il suo caldo cosmo e lo concentrò sulle proprie possenti braccia, scagliando due pugni nel terreno. Come reazione, la terra tremò per un momento sotto i piedi dei berseker ed immediatamente getti di energia incandescente sgorgarono dal terreno, decimando le file dei soldati di Ares.

 

“Aaargh!!!” –Urlarono in molti, venendo travolti. Ma altri li incitavano a non cedere e a continuare, lanciando frecce e lance acuminate.

 

“Lava Incandescente!” –Gridò infine l’uomo, sollevando le braccia avanti a sé e liberando l’immenso potenziale racchiuso in esse. Getti di caldo magma sfrecciarono verso i berseker, che si fermarono di colpo, spaventati e terrorizzati, mentre la prima fila veniva raggiunta dall’assalto dell’uomo, e carbonizzata, arsa viva in quell’infuocata lava che soltanto un Dio poteva ricreare.

 

“Efesto!!!” –Mormorò Enomao, scuotendo le briglie dei propri cavalli alati, i quali si sollevarono giusto in tempo per evitare un violento getto di lava diretto proprio contro il Carro Furioso. Ma il figlio di Ares non potette gioire molto dello scampato pericolo che un’agile figura fu su di lui.

 

Circondato da sfolgoranti saette, un Cavaliere dalla violacea corazza comparve dagli alberi che circondavano lo spiazzo antistante al Cancello del Fulmine e balzò su di lui, colpendolo a gambe unite in pieno petto e scaraventandolo lontano, mentre i cavalli imbizzarriti fuggivano nel cielo.

 

“Argh, maledizione!” –Sibilò, rialzandosi a fatica e osservando colui che lo aveva atterrato: un ragazzo di media altezza, con folti capelli castani e un viso determinato, ricoperto da una corazza viola con un corno in testa, raffigurante il mitico Unicorno.

 

“Asher è il mio nome, Cavaliere di Atena!” –Si presentò, scattando subito su Enomao con i pugni carichi di energia cosmica. Ma questi non si fece prendere nuovamente alla sprovvista, evitando i colpi del ragazzo, portati ad una velocità inferiore a quella della luce, a cui il figlio di Ares si muoveva, e bloccando infine il pugno di Asher con il suo, stringendolo poco dopo.

 

“Se non molli il pugno te lo distruggo!” –Sibilò Enomao.

 

“Mai!!!” –Ringhiò Asher, con una profonda determinazione negli occhi. E subito mosse il pugno sinistro per cercare di colpire il braccio con cui l’uomo gli aveva fermato il destro, sbattendolo con forza su di esso. La corazza di Enomao non subì alcun danno, ma il guerriero ritirò comunque il braccio dolorante, sollevando l’altro, mentre sotto di esso risplendeva una lucente ruota di energia.

 

“Ruota del Carro Furioso! Travolgilo!” –Esclamò, mentre l’energetica ruota sfrecciava verso Asher, investendolo in pieno e scagliandolo in alto, fino a farlo ricadere a terra molti metri addietro.

 

Una decina di berseker furono subito su di lui, brandendo spade acuminate, mentre Enomao scattava via, tentando di richiamare i cavalli alati del suo carro e riorganizzare le fila dei guerrieri, disorientati dalla lava di Efesto.

 

“Stai fermo, moscerino!” –Esclamò un berseker, calando una lancia su Asher, che fu svelto a rotolare sul terreno evitando l’affondo, prima di rialzarsi e bruciare il suo cosmo.

 

Il corno argentato posto sul suo elmo iniziò a brillare, mentre sfavillanti folgori di energia lo circondarono, ricoprendo tutto il suo corpo, prima che il ragazzo le liberasse, scagliandole contro i suoi nemici. Alcuni berseker vennero raggiunti dalle scariche energetiche, crollando a terra, ma altri, più resistenti, si unirono tra loro, caricando compatti il ragazzo.

 

“Iaaah! Per Ares!!!” –Gridarono, emettendo suoni bestiali, e puntando lance e lame avanti.

 

Asher li lasciò avvicinare ancora un po’, evitando le lance che gli venivano scagliate contro, prima di balzare in alto con un salto e ridiscendere in picchiata, con le gambe tese, sulle teste dei guerrieri.

 

“Criniera dell’Unicorno!!!” –Esclamò, piombando sul cranio di un berseker e sfondandolo, prima di balzare nuovamente in alto e ridiscendere su un’altra testa, e su un’altra ancora.

 

“Ora basta!” –Gridò infine un grosso guerriero, lanciando la propria palla chiodata contro il ragazzo, afferrandolo in volo per una gamba e sbattendolo a terra con forza, spaccandogli un labbro.

 

Asher strinse i denti, mentre il guerriero tirava con forza la sua catena, sollevandolo e facendolo girare intorno a sé, prima di scagliarlo contro un albero.

 

Immediatamente un nugolo di frecce piovve sul Cavaliere di Bronzo, che fu svelto a muoversi, venendo ferito solo da un paio, lanciandosi sul terreno e sferrando un violento calcio dal basso alla gamba del robusto guerriero, facendolo crollare, prima di rialzarsi e scattare su un altro.

 

“A terra, pulce!!!” –Lo bloccò un berseker, piantandogli una lancia nella gamba destra.

 

“Aaargh!!!” –Gridò Asher, contorcendosi dal dolore. Ma seppe reagire comunque, bruciando il proprio cosmo violetto, liberandosi del suo nemico con un violento calcio con la gamba ancora sana e sfilando la lancia dalla sua coscia, trattenendo un urlo di dolore, caricando proprio con essa il berseker, e trapassandolo da parte a parte. Altri guerrieri furono subito su di lui, ma con un colpo secco della lancia li tenne lontani, ringhiando rabbioso, sia per il dolore che per il desiderio di vendicare i compagni che quelle turpi bestie avevano barbaramente ucciso.

 

“Clap clap!!!” –Qualcuno improvvisamente lo applaudì, facendosi largo tra il gruppo di guerrieri. –“Complimenti, Unicorno! Non pensavo che ti avrei ritrovato quassù, alla Reggia degli Dei Olimpi!”

 

“E tu chi diavolo sei?!” –Esclamò Asher, osservando il guerriero che aveva parlato.

 

Basso e tarchiato, con mossi capelli neri che scendevano fino alle spalle, un viso robusto e barbuto, un solo occhio, nero come la notte, mentre sull’altro portava una cicatrice vistosa; era ricoperto da una corazza piuttosto tozza, dall’inquietante colore viola scuro, che al posto dei coprispalla e sopra i ginocchi portava degli orribili teschi bianchi, segni distintivi della sua furia demoniaca.

 

“Ossilo, del Teschio Letale!” – Si presentò l’uomo, dando ordine agli altri guerrieri di allontanarsi. –“Figlio di Ares!” –Precisò, a denti stretti.

 

“Ossilo…” –Mormorò Asher, a cui quel nome non diceva niente.

 

“Sei stato più fortunato dei tuoi compagni, Unicorno! Se non fosse stato per quel marmocchio saresti morto insieme a loro!” –Esclamò Ossilo, facendo avvampare Asher.

 

“Bastardo! Eri dunque tra gli assassini di Geki e gli altri?!”

 

“Non direttamente uccisi quei poveracci. Ma ero tra i berseker che invasero il Grande Tempio, e là ti vidi combattere, infuriato e determinato… proprio come adesso!”

 

“E con la stessa determinazione di sempre ti vincerò!” –Gridò Asher, scagliando la lancia contro Ossilo, il quale, senza scomporsi, sollevò il braccio destro, reggendo in mano un bianco oggetto dalla tozza forma, sui cui la lancia si piantò, balzando via. –“Uh?!” –Mormorò Asher, prima di sgranare gli occhi stupefatto, e inorridito. –“Ma quello è… un teschio?!”

 

“Esatto! Mostrami adesso, di fronte a questa mortifera pioggia, la tua determinazione! Mostrami cosa può fare la determinazione di un uomo inferiore, in procinto di morire!” –E nel dir questo lanciò il teschio contro Asher, presto seguito da altri dieci, cento, mille orribili teschi.

 

Asher cercò di evitarli, per quando la gamba destra ferita limitasse notevolmente la sua agilità nello scatto, muovendosi rapidamente, senza curarsi dei teschi che esplodevano toccando terra, e del maleodorante odore che emanavano.

 

“Bleah…” –Commentò il Cavaliere, nauseato. –“È orribile!”

 

“Orribile dici?!” –Ripeté Ossilo, rinnovando l’assalto. –“No! È mortale!” –Sibilò con un ghigno di perversa soddisfazione, respirando gli effluvi dei teschi che reggeva. –“Pioggia di Teschi!” –E una moltitudine di teschi ricadde su Asher, alcuni raggiungendolo e schiantandosi contro la sua bronzea corazza, altri schiantandosi in terra, liberando un nauseabondo odore di morte, che il Cavaliere fu suo malgrado costretto ad inalare.

 

Quando Asher cercò di colpire un teschio con un pugno si piegò in avanti in preda ad un violento attacco di tosse, a cui ne seguì un altro, ed un altro ancora, che lo portarono a terra, dilaniandogli i polmoni, stridendo sulla sua gola, come se lentamente il respiro gli venisse a mancare. D’istinto si tolse il pettorale dell’armatura, poi i coprispalla, i bracciali… la pelle stessa gli sembrava che lo opprimesse, che lo facesse soffocare, impedendogli di respirare aria pura.

 

“Eh eh... è letale l’esalazione dei teschi di Ossilo. Pallidi, come l’ultimo raggio di luna, come i tuoi occhi mentre rantolando a terra, privo ormai di ogni alito di vita, allungherai la mano per afferrare un pezzo di infinito.. che negato ti sarà!” –Commentò Ossilo, avvicinandosi al giovane semivestito.

 

“Cough cough….” –Asher tossì ancora, sputando convulsamente, mentre la vista gli sembrò annebbiarsi sempre di più. –“Che succede?! Non respiro…”

 

“Non temere… tra poco non tossirai più! Tra poco non ti dimenerai più!” –Mormorò Ossilo, mentre Asher si accasciava a terra, sempre più debole ed incapace di respirare e reagire. –“Abbandona ogni agitazione e accetta la morte, Cavaliere di Atena, presto sarai con i tuoi adorati compagni!”

 

E fu quell’ultima frase a spingere Asher a ribellarsi, a reagire all’intorpidimento del suo corpo, al sonno eterno che lentamente stava scendendo su di lui. Bruciò il proprio cosmo, cercando di rimettersi in piedi, pur continuando ad avere violenti attacchi di tosse, pur continuando a sentire gli occhi bruciargli dal dolore. Non.. mi… arrendo! Mormorò, rimettendosi a fatica in piedi e stringendo i pugni per il dolore, come un vero Cavaliere doveva fare. Aspides, Geki, Ban, Black… sorreggetemi dal Paradiso dei Cavalieri! Asher combatterà anche per voi!

 

“Incredibile!” –Esclamò Ossilo, genuinamente sorpreso, mentre le vestigia dell’Unicorno tornavano sul petto di Asher, circondato dal proprio sfolgorante cosmo. –“Hai deciso di lottare, Cavaliere? Preferisci dunque una morte violenta, sul campo di battaglia, che non la lenta agonia a cui il mio gas letale voleva indurti?! E sia dunque… crepa!!!” –Gridò, scagliando migliaia di teschi contro Asher.

 

Devo evitarli! Si disse il Cavaliere, scattando di lato ed iniziando a girare in cerchio intorno al figlio di Ares, che continuava a scagliare teschi esplosivi su di lui, senza colpirlo. Ma ogni teschio che cadeva a terra, esplodendo, liberava altro gas mortifero, ed Asher stava ricominciando a sentirne l’effetto. Questa volta sotto forma di un violento prurito, sempre insieme a violenti attacchi di asma. Maledizione! Ghignò, fermandosi e bruciando al massimo il proprio cosmo. Cerchi concentrici di energia cosmica partirono dal suo corno, espandendosi nell’aria intorno come onde sonore, fermando la pioggia infernale di teschi esplosivi.

 

“Che cosa?!” –Gridò Ossilo, osservando i propri teschi venire distrutti, mentre erano ancora in volo, dalle onde di energia emanate da Asher.

 

“Per Atenaaa!!!” –Urlò Asher, caricando il suo corno d’argentea energia, e lanciandosi avanti, come un toro in corsa. –“E per voi, amici miei! Guardatemi!” –La carica di Asher travolse Ossilo in pieno, mentre il suo acuminato corno penetrò la cotta del figlio di Ares, raggiungendo le carni al di sotto di essa e infondendo in esse lo scintillante crepitio del cosmo dell’Unicorno.

 

“Corno d’Argento!!!” –Strillò il Cavaliere, colpendo con un violento pugno dal basso il mento di Ossilo, il quale, traforato dal corno, fu spinto in alto, mentre luminose folgori schiantavano la propria corazza, fino a ricadere a terra, molti metri addietro.

 

Stremato per lo sforzo, e per le difficoltà respiratorie, Asher si lasciò crollare sulle ginocchia, prima di vomitare tristemente, tossendo in continuazione. A fatica, tentò di rimettersi in piedi, riuscendo a focalizzare, con i proprio occhi semispenti, delle sfere rotolanti verso di lui. Dei globi dalla deforme sagoma umana. Con orrore, Asher aprì gli occhi e si trovò di fronte le teste mozzate dei suoi cari amici: Ban, Black, Geki ed Aspides erano lì, intorno a lui, crani vuoti e scavati, dai capelli bruciati e gli occhi incavati, mostruose forme di un abominevole delitto.

 

“Nooo!!! Nooo!!!” –Urlò, prendendosi la testa tra le mani.

 

Gli scoppiava da morire, senza dargli tregua, mentre un forte voltastomaco lo faceva vomitare continuamente. Lui che aveva sempre desiderato combattere a fianco dell’amico Pegasus, per difendere l’amata Isabel, adesso che aveva tastato il terreno di gioco, il campo di battaglia, ne era rimasto sconvolto, sconcertato. Solo.

 

“A... Amici…” –Rantolò, mentre fiotti di bava scendevano dalla sua bocca sfigurata. Come in un mostruoso incubo, le teste dei quattro Cavalieri iniziarono a deformarsi ulteriormente, squagliandosi a poco a poco, mentre nugoli di mosche ronzavano disgustosamente loro attorno. –“Nooo!!! Noo... Via…” –Esclamò, muovendo convulsamente le mani, per scacciare quei fastidiosi insetti, senza riuscire neppure ad afferrarli. –“Nooo…”

 

Crollò infine a terra febbricitante, incurante della battaglia che proseguiva intorno a lui e di sinistri passi che si avvicinavano al suo corpo stanco. Una mano lo sollevò bruscamente, strattonandolo per il collo e portandoselo di fronte all’unico occhio ancora funzionante. Asher, da tanto che era debole, non riuscì neppure a torcere lo sguardo per fissare il suo nemico, Ossilo del Teschio Letale, colui che con le sue mortifere esalazioni lo aveva ridotto in quel modo, creando inganni e percezioni illusorie di una realtà che non era comunque molto diversa da quella che il ragazzo aveva vissuto.

 

“Addio, Unicorno!” –Mormorò il figlio di Ares, concentrando una sfera di energia nel palmo sinistro. – “Ritroverai i tuoi compagni all’Inferno!” –E in quel momento, in quei pochi secondi, mentre la mano di Ossilo si avvicinava minacciosa al petto di Asher, quattro voci giunsero in aiuto del Cavaliere di Bronzo, direttamente dal Paradiso dei Cavalieri. Quattro voci che parlavano con una soltanto, quella del suo cuore.

 

“Asher!!! Asher, svegliati!!!”

 

“Coraggio, amico!! Non vorrai lasciarti andare?! Puoi stenderlo!”

 

“A… amici…” –Boccheggiò Asher, muovendo leggermente la testa, stretto dalle robuste dita di Ossilo. –“Voi... qui?!”

 

“Certo che siamo con te, Cavaliere!” –Esclamò Geki, finalmente riconosciuto da Asher. –“E non abbiamo intenzione di abbandonarti, né ora né mai!”

 

“Perciò coraggio, amico, reagisci!” –Lo incitò Ban. –“E dimostra a quello sporco figlio di Ares il valore di un Cavaliere di Atena!”

 

“Di un combattente per la giustizia!” –Sorrisero Aspides e Black.

 

“Amici… voi… dentro di me… per sempre!” –Mormorò Asher, mentre le voci dei quattro amici scomparivano, perdendosi dentro il suo cosmo e diventando un’unica infiammante energia.

 

! I miei amici vivono in me, e così sarà per sempre! Finché l’ultimo soffio di vita non abbandonerà il mio corpo malato, io combatterò, e loro saranno orgogliosi di me, orgogliosi di aver donato la vita per salvarmi! Per permettermi di essere qua, oggi, a combattere per Atena, a decidere i destini del mondo! Asserì, mentre il luccicante cosmo dell’Unicorno esplodeva intorno a lui, stupendo lo stesso Ossilo.

 

“Che prodigio è mai questo?!” –Si chiese il guerriero, costretto ad abbandonare la presa, da tanto calore che il corpo di Asher sprigionava.

 

“Non è un prodigio, figlio di Ares... è un sogno!!!” –Esclamò Asher, bruciando ancora il proprio cosmo, vasto ormai come una galassia intera. –“Un sogno che mi è stato donato da quattro amici che adesso vivono in me, che credono in me!!! E che non ho intenzione di deludere, né ora né mai! Corno d’Argentooo!!!” –Gridò, caricando il pugno di scintillante energia cosmica.

 

Come un punteruolo argentato, il colpo trafisse Ossilo al cuore, sfondando la sua corazza e uccidendolo, mentre il Cavaliere, sfinito, barcollò ancora per qualche istante, prima di crollare sulle ginocchia. Rimase così, ciondolante su se stesso, con gli occhi semichiusi, finché un violento calcio non lo colpì in pieno petto, scaraventandolo indietro. Un paio di berseker si avventarono su di lui, percuotendo il suo corpo inerme, ma improvvisamente un incandescente dardo trapassò i loro corpi, facendoli accasciare a terra, mentre un corno risuonava a gran voce su tutto l’Olimpo.

 

“Posso aiutarti, Asher?!” –Esclamò una squillante voce di donna.

 

“Ti... Tisifone…” –Mormorò il ragazzo, facendosi aiutare dalla Sacerdotessa, che aveva l’armatura scheggiata ed il viso pieno di lividi.

 

Dietro di lei Artemide, Dea della Caccia, e uno scintillante oceano di cosmi luminosi, i legionari nascosti che Zeus aveva richiamato sull’Olimpo: i Cavalieri di Glastonbury, guidati da Ascanio Testa di Drago. Come uno sfavillante fiume di energia, i Cavalieri Celesti si abbatterono sull’esercito di Ares, in un affascinante, quanto mortale, scontro di cosmi e di corpi, di valori e di ideali. Sfondarono le fila della sorpresa armata della Morte e della Guerra, travolgendo i malvagi soldati che già pregustavano la vittoria finale. Così vicina, così irraggiungibile.

 

Soltanto pochi furono i coraggiosi che riuscirono a sottrarsi alla mischia che si creò di fronte al Cancello del Fulmine e tentarono di passare oltre, ma trovarono Efesto, Dio del Fuoco, e Artemide, Dea della Caccia, pronti a sbarrare loro il passo; la maggioranza combatté nel mucchio, caoticamente e anonimamente, come Ares li aveva addestrati, senza interesse alcuno per i propri compagni, che altro non erano se non soldati loro pari, solo per l’obiettivo finale di conquista.

 

Impetuoso, il cosmo di Ares avvampò sul deturpato terreno, sollevando vampe di fuoco, mirando a spaventare i Cavalieri di Zeus e ad accendere violenza e passione guerriera nei suoi berseker, ormai decimati e circondati; da un lato i Cavalieri Celesti, dall’altro le Divinità e gli ultimi difensori della Reggia di Zeus: Efesto, Artemide, Asher, Tisifone, presto raggiunti anche dagli altri Cavalieri. Vi fu una vibrazione nello spaziotempo e il Cavaliere di Ariete apparve direttamente al Cancello del Fulmine, sorreggendo gli indeboliti Dioscuri, mentre Phantom, al suo fianco, reggeva Giasone, il cui corpo ed il cui spirito erano a pezzi. Un gorgo di energia acquatica e una pioggia di stelle frantumarono gli scudi dei berseker e anche Mur e il Luogotenente dell’Olimpo scesero in campo.

 

Nella continua e scompigliata battaglia che avvampò, vedendo sangue scorrere presto lungo le distese del Monte Sacro, un uomo, su un carro trainato da cavalli alati, travolse un buon numero di Cavalieri Celesti, brandendo un’affilata sciabola: Enomao del Carro Furioso.

 

“Yeah!!!” –Gridò, incitando i berseker alla lotta. –“Non fuggite, pavidi! Non arretrate!!! Fossero anche centomila, i Cavalieri di Zeus, cadranno tutti nel Tartaro più oscuro, dove noi li confineremo, insieme agli Dei che hanno osato opporsi al volere di nostro Padre!” –Ma per quanto le sue parole accendessero l’animo dei più esaltati e violenti, una buona parte dei berseker si sentì sfinita, disillusa, ad un passo dall’obiettivo finale, senza la forza di raggiungerlo.

 

“Nel Tartaro getterò te e la tua biga!” –Esclamò una decisa voce maschile, piantandosi davanti al Carro Furioso.

 

Il figlio di Ares osservò il Cavaliere Celeste che aveva di fronte, giunto da chissà dove a difendere il suo Signore. Alto, con scompigliati capelli neri, occhi scuri, viso abbronzato, ed un corpo perfetto, ricoperto da una scintillante Veste Divina raffigurante due dragoni, uno bianco e uno rosso.

 

“Sono il Comandante dell’Ultima Legione, Ascanio Testa di Drago!” –Si presentò, bruciando il proprio cosmo, vasto e luminoso.

 

“Dovrebbero chiamarti Testa di Legno invece!” –Lo derise Enomao, frustando i propri cavalli. –“Non sai che è follia mettersi di fronte ad Enomao del Carro Furioso?!”

 

“Il re di Pisa?!” –Mormorò Ascanio, tra sé, aggiungendo divertito. –“Se non ricordo male finisti ucciso dal tuo stesso carro!”

 

Enomao era infatti figlio di Ares e di Arpinna, e padre di Ippodamia, splendida dama da molti chiesta in sposa. Ma il padre, violento e sadico di natura, aveva stabilito una gara nuziale per la mano di sua figlia: sfidava i pretendenti in una corsa con il carro, alla quale partecipava con i cavalli alati che Ares gli aveva donato, risultando quindi invincibile. Uccisi i pretendenti sconfitti usava le loro teste per decorare il suo palazzo. Ma fu proprio la figlia, innamoratasi follemente del giovane Pelope, a tradirlo, corrompendo il cocchiere del padre, Mirtilo, che segò l’asse del carro, facendolo quindi cadere durante la gara, e morendo travolto dal suo amato carro.

 

“Non ricordarmelo!” –Tuonò Enomao dall’alto del carro. –“Avessi Mirtilo avanti a me gli taglierei la gola!” –Sibilò, brandendo la propria sciabola. –“Ma in mancanza sua… farai tu le sue veci!” –Ed incitò i cavalli a correre avanti, lanciandosi contro Ascanio, il quale, per niente intimorito, aspettò che il carro gli fosse di fronte per spostarsi di lato, evitando di essere travolto.

 

Ma Enomao volse subito indietro il suo Carro Furioso, forte anche del potere divino dei suoi cavalli, e si lanciò nuovamente alla carica, puntando su Ascanio a gran velocità, ma mentre gli animali piombavano su di lui si imbizzarrirono improvvisamente, impennandosi e nitrendo come folli, facendo cadere malamente Enomao a terra.

 

“Ma che diavolo?!” –Esclamò Enomao, rialzandosi sconcertato.

 

“Uuuhhh…” –Mormorò Ascanio, ancora in piedi di fronte ai cavalli spaventati, sollevati sulle sole gambe posteriori. Le sue braccia, agli occhi di Enomao, avevano mutato forma, diventando due immensi verdi serpenti intrecciati, che sprigionavano energia cosmica, e ciò aveva spaventato notevolmente i due cavalli, contro cui Ascanio aveva puntato le braccia.

 

“Maledetto! Con me i tuoi trucchi non attaccano!” –Dichiarò il berseker, lanciandosi contro Ascanio con la propria sciabola.

 

“Trucchi?!” –Mormorò questi, puntando un braccio contro Enomao, che fu scaraventato a terra da un violento getto energetico, schiacciato dalla mostruosa sagoma di un serpente di pura materia cosmica.

 

“Trucchiii!!!” –Gridò, muovendo confusamente la sciabola sopra di lui per colpire il serpente. Ma l’evanescente figura era intangibile, ed Enomao non riusciva a colpirla.

 

Pur tuttavia la sentiva su di sé, schiacciandolo a terra, stritolandolo, sibilando con la sua lingua biforcuta, mentre folgori di energia pura stridevano sulla sua cotta scarlatta. Impaurito, il figlio di Ares si portò due dita alla bocca e fischiò, attirando i cavalli alati che saettarono verso di lui, sfrecciando leggeri nell’aria. Ad essi si aggrappò, ordinando loro di sollevarsi immediatamente, prima di muoversi per rimontare sul carro. Ma Ascanio balzò in alto, afferrando le briglie dei cavalli alati e strattonandole con forza, scaraventando l’intero carro verso terra, facendolo schiantare in malo modo contro alcuni alberi, ferendo i cavalli, mentre Enomao rotolava disastrosamente a terra.

 

“È un peccato che il carro sia andato in frantumi…” –Ironizzò Ascanio, in posa da combattimento. –“Non potrai più morire travolto da esso!”

 

“Maledetto, l’unico che morirà quest’oggi sei tu!!!” –Esclamò Enomao, rialzandosi a fatica. Sollevò il braccio destro, concentrando il cosmo sotto di esso. –“Ruota del Carro Furioso, travolgilo!” –Gridò, mentre la guizzante ruota di energia sfrecciava verso Ascanio, sperando di travolgerlo come aveva fatto con Asher.

 

Ma il Comandante dell’Ultima Legione, concentrando al massimo i propri sensi, portò entrambe le braccia avanti, fermando il vorticante roteare del disco energetico, stringendo i denti per lo sforzo. Spingendo con vigore, ed aggiungendovi del proprio cosmo, Ascanio rispedì la ruota indietro, ad una velocità superiore, che investì Enomao in pieno, trinciando verticalmente la sua cotta protettiva e scaraventandolo contro un albero.

 

“Adesso puoi scegliere come morire!” –Esclamò Ascanio, avvicinandosi. –“Con una morte lenta, ma soave, o rapida e violenta! Due scelte per due morti, così come per due draghi!”

 

“Scegliere come morire?!” –Balbettò incredulo Enomao, rimettendosi in piedi. –“Devi essere folle per chiedere questo ad un berseker! Noi siamo la morte stessa, da lei forgiati nel sangue e nella guerra!! Come puoi chiedermi ciò?!” –Gridò, lanciandosi avanti con il pugno teso.

 

“A modo tuo… mi hai risposto…” –Commentò Ascanio, socchiudendo gli occhi. –“Rapida e violenta!” –E nel dir questo liberò il suo immenso cosmo, portando avanti entrambe le braccia, mentre la maestosa sagoma di un dragone rosso compariva dietro di lui, scattando a fauci aperte verso Enomao. –“Questo è l’attacco del drago di sangue! Bloody Red Dragon Attack!” –Gridò, investendo in pieno il suo nemico.

 

Enomao ricadde a terra, tra i frammenti del suo corpo insanguinatio e, per quanto cercasse di rialzarsi, fu costretto infine ad arrendersi, venendo addirittura calpestato dagli altri berseker in fuga.

 

In quello stesso momento infatti, un grido pauroso echeggiò sull’intero Olimpo mentre un’immensa sagoma, circondata da vampe infuocate, torreggiò su tutti i combattenti, oscurando le nuvole nel cielo lontano. Tifone sollevò la carcassa tumefatta del gigantesco Briareo e la scagliò a terra, proprio sul campo di battaglia. Poco importava alla mostruosa creatura che fossero i berseker ad esserne schiacciati, o i Cavalieri Celesti di Zeus; egli non era dominato da razionalità alcuna, soltanto da una crudele brutalità che lo istigava alla violenza eterna, la stessa che sua madre Gea gli aveva insegnato, e che Flegias aveva risvegliato in lui.

 

Molti furono infatti i berseker che vennero schiacciati dall’enorme massa di Briareo, uccisi con un unico colpo, insieme ai loro avversari, i bianchi Cavalieri dell’Ultima Legione, parecchi dei quali non riuscirono a mettersi in salvo. Il Cancello del Fulmine venne abbattuto, e così pure il muro perimetrale della Reggia di Zeus, mentre Efesto, Artemide, Phantom e gli altri Cavalieri Celesti venivano scaraventati lontano, a causa del violento smottamento del terreno, che fece traballare persino il Seggio di Zeus, in cima alla scalinata nella Sala del Trono, su cui il Dio era seduto da ore, impegnato a contrastare a distanza il demoniaco cosmo di Ares, e quello di Tifone.

 

“Padre!!!” –Esclamò Atena, aiutando il Dio a rimettersi in piedi.

 

“Non preoccuparti, figlia mia! Riesco ancora a camminare con le mie gambe!” –Ironizzò Zeus, risollevandosi.

 

Atena fissò il Padre per un momento, leggendo nei suoi occhi la stessa luce di speranza e disperazione che già vi aveva scoperto millenni prima, quando Tifone aveva assediato l’Olimpo e lei sola era rimasta, unica tra tutti gli Dei, ad affiancarlo nella terribile lotta. Speranza, perché era il solo sentimento che potessero provare in quel momento, il solo ardore che poteva accendere i loro cuori e quegli degli uomini fuori dalla Reggia, impegnati nell’ultima resistenza; e disperazione, perché quel sentimento era labile come una foglia al vento, e Zeus non era certo che possedessero radici sufficientemente resistenti per non essere spazzati via.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 40
*** Capitolo trentottesimo: Fino alla fine ***


CAPITOLO TRENTOTTESIMO. FINO ALLA FINE.

 

Pegasus stava combattendo contro il Dio della Guerra nel salone del Grande Sacerdote, alla Tredicesima Casa di Atene, proprio dove un anno prima aveva affrontato Arles.

 

Non appena entrato nella Sala del Trono, il Cavaliere era stato atterrato dall’infuocato cosmo di Ares, che lo aspettava con baldanza e trepidazione, pronto per combattere con lui, il preferito di Atena, come lo aveva etichettato con scherno.

 

Il Dio della Guerra era alto e robusto, con ampie spalle, mossi capelli scuri che fuoriuscivano dall’elmo della sua corazza, e fiammeggianti occhi rossastri; indossava la sua splendida Veste Divina, dal colore scarlatto e dorato, una corazza che, come Pegasus ebbe a notare, poco somigliava all’eterea Veste del Signore dell’Olimpo, presentando più i tratti tipici di un’armatura da battaglia. Sulla schiena erano fissate due grandi ali, simboleggianti qualche mostruosa creatura infernale, mentre affissa alla cinta una spada infuocata, simile a quella di Flegias, risplendeva sinistramente.

 

“Ares!” –Mormorò Pegasus, rialzandosi. –“Ti batterò!”

 

“E così ce l’hai fatta, moscerino! Hai superato le Dodici Fatiche che vi avevo imposto, giungendo fin qua, al mio regale cospetto! Ammetto che sono stupito! Conoscevo la vostra resistenza, Cavalieri di Atena, ma ero certo che quantomeno Gerione e Ladone sarebbero riusciti a fermarvi, e ad uccidervi!” –Sogghignò il Nume, prima di aggiungere, con tono divertito. –“Poco importa! I miei figli stanno massacrando i tuoi compagni, e tu morirai qua, per mano mia, con questa stessa spada che ha bevuto il sangue di Ioria e Virgo!”

 

“Tu menti!!!” –Urlò Pegasus, visibilmente agitato.

 

“Mai mentirei su una vittoria, Cavaliere di Pegasus! Io stesso ho ucciso i Cavalieri d’Oro tuoi alleati, estirpando il loro puerile cosmo da questa terra!”

 

“Bastardoooooo!!!” –Gridò il Cavaliere, scattando avanti e lanciando una violenta pioggia di luce contro Ares. –“Fulmine di Pegasus!” –Ma il Dio non ebbe problema alcuno a parare con il palmo destro tutti i colpi, prima di afferrare il pugno del ragazzo, giunto di fronte a lui, e schiacciarglielo con forza, per poi scagliarlo indietro.

 

“Ah ah ah!” –Rise con gusto, osservando Pegasus schiantarsi contro alcune colonne del salone.

 

“Non ridere, e combatti!” –Esclamò il ragazzo, rialzandosi prontamente. –“Se è vero che hai ucciso Ioria e Virgo, ho un motivo in più per sconfiggerti!”

 

“Hai un motivo in più per morire, ragazzo!” –Tuonò Ares, fissando Pegasus con occhi infuocati.

 

Immediatamente il Cavaliere si ritrovò sollevato da terra, sospeso in aria, mentre tutto il suo corpo vibrava pazzamente travolto da incandescenti onde di energia.

 

“Se Phobos e Deimos hanno ucciso Andromeda e Phoenix, e Flegias si è sbarazzato degli altri due cadaverici Cavalieri, io farò molto di più con te, Pegasus! Proverai sul tuo corpo il marchio della sconfitta, che il Dio della Guerra, con le sue possenti mani, ti infliggerà!” –E nel dir questo scaraventò, con la sola potenza mentale, Pegasus indietro, fino a farlo schiantare contro il portone d’entrata, abbattendolo e facendo crollare anche pezzi di muro su di lui. Tossendo e sputando, Pegasus si rimise in piedi dopo poco, rientrando nella Tredicesima Casa.

 

“I miei compagni saranno qua tra poco, Dio della Guerra, con i corpi esanimi dei tuoi figli, infami carogne degne della tua discendenza!”

 

“Infami carogne che hanno massacrato Divinità e Cavalieri Divini!” –Ironizzò Ares, mentre Pegasus scattava nuovamente verso di lui, con il pugno carico di energia. Ma Ares fermò una seconda volta tutti i suoi colpi, spostandosi infine sul lato destro del Cavaliere, prima di poggiare la mano sul suo petto. Istantaneamente Pegasus si irrigidì, fermando ogni muscolo del corpo, rimanendo così, immobile come un fermo-immagine, mentre la violenta energia del Dio della Guerra premeva su di lui, stridendo con forza sulla sua Armatura Divina.

 

“Tremor! Direbbe mio figlio!” –E sogghignò, osservando Pegasus tremare di fronte a lui, prima di scaraventarlo verso l’alto, farlo schiantare sul soffitto e ricadere verso terra. –“Muori, adesso!” –Urlò Ares, sguainando la spada e saltando in alto, mentre Pegasus ricadeva verso il basso.

 

“N... Nnooo...” –Riuscì a pronunciare Pegasus, cercando di liberarsi dalla prigionia mentale del Dio. Vi riuscì soltanto in parte, scansandosi di lato ed evitando che la lama affondasse direttamente nel suo petto, strusciandogli il braccio destro, frantumando la sua corazza e spingendolo indietro. Ares ricadde compostamente al suolo, spalancando le immonde ali della sua armatura, mentre Pegasus ruzzolò in terra poco distante, rimettendosi subito in piedi.

 

“Ti direi di smetterla, di rinunciare a questa lotta, Cavaliere di Pegasus, ma so già che non lo faresti, per l’amore che nutri per Atena e per i tuoi compagni! Ed inoltre perché in fondo non è ciò che voglio!” –Esclamò Ares, con malizia. –“Una morte senza battaglia, senza un estenuante combattimento all’ultimo sangue, non è gratificante, non è maschile, non fa per me!”

 

“Sei... un folle!”

 

“Non esiste genio, senza una dose di follia!” –Rispose Ares, citando Aristotele.

 

“Taciii!!!” –Gridò Pegasus, scattando ancora una volta avanti, con il pugno destro carico di energia e lanciando migliaia di stelle cadenti dirette verso Ares.

 

“Ma non capisci?! È tutto inutile! Ammira l’infinita vanità del tutto!” –Rise Ares come un folle, muovendo le braccia alla velocità della luce per parare i colpi del ragazzo.

 

Li frenò tutti, per quanto stupito fosse della velocità e della resistenza del Cavaliere di Atena, ma non riuscì ad evitare che Pegasus si portasse di fronte a lui, con il pugno destro carico di energia cosmica. In un attimo, il giovane scagliò una devastante cometa di luce contro Ares, colpendolo da distanza ravvicinata. Il Dio sogghignò, prima di vedere il Cavaliere di Atena scaraventato indietro, travolto dal suo stesso potentissimo attacco, così potente che distrusse parti della sua Armatura Divina, facendolo schiantare contro un muro.

 

“Non hai capito la lezione? Lo Scudo di Ares mi protegge! Esso è indistruttibile, in quanto trae origine dal mio cosmo, dalla mia pulsante energia divina, e come tale inesauribile!” –Spiegò Ares, circondato da strati di cupa energia dai riflessi scarlatti.

 

“Lo Scudo di Ares!” –Rantolò Pegasus, rialzandosi ancora. –“La stessa tecnica usata da Flegias…”

 

“È naturale! Non dimenticare chi hai di fronte, Cavaliere! Il Dio della Guerra, Signore supremo della battaglia cruenta! Colui che ha istruito i propri figli alla nobile arte della lotta, insegnando loro le migliori tecniche di assalto e di difesa!” –Spiegò Ares, avanzando verso Pegasus, che barcollava convulsamente. –“Conosco ogni colpo segreto dei miei figli, perché io l’ho insegnato loro, per quanto io ne faccia ovviamente un uso migliore di loro! Ah ah ah!”

 

“Bell’esempio di padre che sei!” –Commentò Pegasus, sputando di fronte al Dio. –“Così affezionato ai tuoi figli da mandarli incontro a morte certa!”

 

“È la guerra, Pegasus! Come disse Creso, in pace i figli seppelliscono i padri, in guerra i padri seppelliscono i figli!” –Ed esplose in una sadica risata, simbolo di tutto il disinteresse che potesse provare verso di loro. –“Ma se proprio ti interessa la sorte dei miei figli… ti manderò in Ade, così forse li ritroverai!” –E sguainò la sua Spada Infuocata, liberando un violento fendente energetico, che scavò un solco nel pavimento, correndo verso Pegasus.

 

Il ragazzo fu però svelto ad evitarlo, balzando in alto, aiutato dalle scintillanti ali della sua armatura, mentre Ares cercava di contrattaccare con nuovi piani di energia, muovendo la spada all’impazzata. Pegasus oscillò su se stesso, bruciando al massimo il proprio cosmo lucente, e schivò tutti i fendenti energetici di Ares, interponendosi continuamente tra essi, scivolando leggero nell’aria, grazie al mithril della corazza, fino a giungere proprio di fronte al Dio. Un violento calcio raggiunse Ares in pieno viso, spaccando l’elmo della sua corazza e facendolo sanguinare, ma non fu sufficiente per scaraventarlo indietro, piazzato com’era su robusti piedi da battaglia.

 

“Maledetto…” –Esclamò il Nume, irato per essere stato ferito. E afferrò Pegasus per le gambe, sbattendolo a terra di schiena, varie volte, scheggiando la sua corazza, prima di scaraventarlo contro un muro laterale, lanciandogli contro la propria Spada Infuocata. Ma Pegasus fu abile a ricomporsi durante il lancio, atterrando a piedi uniti sul muro e a darsi una spinta per balzare avanti, proprio mentre la spada sopraggiungeva su di lui. Gli tagliò qualche ciuffo dei suoi disordinati capelli, stridendo sul pettorale dell’Armatura Divina, prima di piantarsi nel muro.

 

L’ha evitata! Mormorò Ares, furibondo, mentre Pegasus, forte della spinta ricevuta, piombava su di lui, con il pugno destro carico di energia cosmica.

 

“Iaiiii!!!” –Gridò il ragazzo, liberando una violenta cometa di energia, la quale investì Ares in pieno e lo scaraventò indietro, facendolo schiantare con vigore contro il muro dall’altra parte della stanza, che crollò in fretta su di lui.

 

“Che mi serva da lezione!” –Urlò Ares, rialzandosi, mentre il suo fiammeggiante cosmo finalmente compariva, invadendo l’intera stanza. –“Sottovalutare un moccioso come te può rivelarsi controproducente! Flegias aveva dunque ragione! Purtroppo!” –Sibilò, dirigendo le immense vampe infuocate contro Pegasus, il quale cercò di evitarle, scattando in varie direzioni, mentre il violento cosmo di Ares stringeva su di lui, limitando le proprie azioni e lo spazio di movimento.

 

“Dannato Ares!!! Combatti da uomo!” –Gridò Pegasus, che sentiva i muscoli intorpidirsi per effetto del cosmo del Dio.

 

“Ira di Ares!” –Tuonò il figlio di Zeus, mentre un’immensa massa di torrida energia piombava su Pegasus, schiacciandolo a terra e poi contro il muro, facendo schiantare ulteriormente la sua armatura.

 

“Aaaaah!!!” –Gridò il Cavaliere, travolto dalla violenta emanazione cosmica, più potente di qualsiasi attacco avesse ricevuto fino ad allora.

 

“Muori, Pegasus!!!” –Tuonò Ares, recuperando la Spada Infuocata e lanciandosi sul ragazzo, bloccato al muro dal suo immenso potere. La lama calò sul Cavaliere, sfregiandogli il pettorale, prima di piantarsi con forza nel suo braccio destro, dilaniando le carni sotto la corazza, di fronte al sogghignante sguardo pago del Dio.

 

“Muori! Come Ioria prima di te, come Virgo e Castalia, come Cristal, Sirio e Andromeda! Muori!”

 

“Ma... maiiiiiii…” –Urlò Pegasus, facendo esplodere il proprio cosmo.

 

La devastante energia della costellazione di Pegasus scaraventò Ares lontano, facendo crollare parte del soffitto e delle mura interne della Tredicesima Casa, permettendo al ragazzo di liberarsi dalla Spada Infuocata, che venne addirittura annichilita da tale violenta esplosione, prima di crollare sulle ginocchia, debole e ansimante. Finché una voce non attirò nuovamente la sua attenzione.

 

“Sottomettiti a me, Pegasus! Come gli uomini tutti!” –Sibilò un uomo, avanzando tra le fiamme che stavano divorando la Sala del Grande Sacerdote.

 

“Aaa... Ares…” –Rantolò Pegasus, cercando di rimettersi in piedi. Non ci riuscì e cadde a terra, disteso di lato, mentre il sangue colava copioso dal suo braccio destro, ed Ares si avvicinava.

 

“La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà!” –Esclamò Ares, recitando versi del teorico militare prussiano Carl von Clausewitz. –“Grande uomo quello! Uno dei pochi degni della mia attenzione! Insieme a Filippo Tommaso Marinetti, ideatore e massimo esponente del Futurismo, movimento che considerava la guerra sola igiene del mondo! Saremmo andati d’accordo, noi tre! Uah ah ah!”

 

“Tu... tu non puoi interpretare la storia a modo tuo, usare i pensieri di uomini liberi che avevano le loro idee, per giustificare le tue, folli e sanguinarie!” –Esclamò Pegasus, rialzandosi finalmente.

 

“Ah no?! Non posso?! E perché?! Me lo impedirai forse tu?!”

 

“Sì!!!” –Urlò Pegasus, scattando avanti, ma in quelle deboli condizioni non riuscì a fare neppure un passo che venne afferrato per il collo dalla mano destra di Ares, che strinse con forza, scaricando sul ragazzo il suo ardente e violento cosmo.

 

“Onde di Terrore!” –Sibilò il Dio, mentre tutto il corpo di Pegasus veniva percorso da violente scosse di infuocata energia, che creparono in più punti l’Armatura Divina, avvelenando la sua mente. –“Fatti un bel viaggio, Pegasus!” –Aggiunse, gettando a terra il corpo del ragazzo.

 

Le Onde di Terrore agirono sulle paure inconsce del Cavaliere, giocando con esse, trasformandole in realtà, facendo tremare il corpo di Pegasus, fino a farlo implodere. E quali paure erano più grandi di quelle di non ritrovare i suoi affetti? I suoi cari? Le persone per cui aveva vissuto e combattuto per tutta una vita! Sua sorella in primis, ed Isabel, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix, per secondi.

 

Grazie ai suoi ricordi, Ares mostrò al ragazzo un mondo di fiamme e disperazione, scaraventando la sua anima in un universo parallelo, dove gli amici morivano, uccidendosi tra loro, e i nemici restavano, vincendo ed instaurando un nuovo ordine, senza che lui, debole e vinto, riuscisse a reagire, riuscisse a fermare il delirante scorrere del flusso temporale. Uno dopo l’altro Pegasus li vide morire tutti quanti: Ioria e Virgo sull’isola dell’Apocalisse, mentre una devastante bomba di energia cancellava quel che rimaneva di quella sperduta terra, insieme a Castalia, sdraiata ai loro piedi; quindi Sirio e Libra, schiacciati dal Gigante Gerione, calpestati e fatti a pezzi, prima di essere mangiati vivi dalle fauci del colosso; poi Cristal e Scorpio, avvelenati dal Serpente delle Esperidi, resi bianchi e pallidi, incapaci di reagire, di fare soltanto un passo, prima di essere sbranati da Ladone; infine Andromeda e Phoenix, che caddero di fronte a lui, sterminati dalle loro armi infuocate di Phobos e Deimos, che tagliarono le loro teste, lasciandole rotolare verso il corpo di Pegasus, che ebbe furiose convulsioni, di fronte allo sguardo soddisfatto di Ares.

 

“E adesso l’ultima…” –Sogghignò il Dio della Guerra, mentre le Onde di Terrore continuavano a stringersi intorno al Cavaliere. –“La tua adorata Isabel!”

 

E quella fu la visione peggiore per Pegasus, dopo l’inganno subito alla Dodicesima Casa, che comunque non aveva intaccato troppo il suo spirito, essendo più forte e preparato che non adesso, ferito e avvelenato dal bastardo cosmo di Ares che aveva raggiunto le sue interiora, grazie alla ferita sul braccio. Isabel combatteva insieme ai suoi Cavalieri sulla cima dell’Olimpo, contro la demoniaca furia di Tifone, dal cui abominevole corpo uscivano migliaia di vipere, che strisciarono sul terreno avvolgendosi intorno alla delicata figura di Atena, stringendola a sé con forza.

 

“Nooo… Nooo... Isabeeel!!!” –Gridò Pegasus, contorcendosi a più non posso.

 

Vide le serpi di fuoco sfondare il cranio della Dea, cibandosi delle sue membra, strisciando sul suo freddo corpo, mentre le grida deliranti di Atena riempivano l’aere, ed egli non poteva far niente per salvarla. In un momento rivide morire tutti gli amici e le persone a lui care, Ioria, Virgo, Castalia, Sirio, Libra, Cristal, Scorpio, Andromeda, Phoenix, Isabel. E nuovamente Ioria, Virgo, Castalia, in un infinito turbine di delirio che lo stava facendo diventare pazzo, al punto da spingere Ares a credere che il ragazzo sarebbe morto all’istante per lo shock.

 

Ma inaspettatamente una luce giunse in suo soccorso, aiutandolo a riaprire gli occhi e a vincere le sue paure. Una flebile voce di donna pregava per lui, come aveva pregato durante lo scontro finale con Thanatos e Ade: sua sorella. Nascosta chissà dove, da sconosciuti sicari, Patricia pregava per la salvezza del fratello e riuscì ad inviargli forza e speranza, come aveva fatto mesi prima, dalla Grecia all’Ade. Lei sapeva che Pegasus sarebbe riuscito, che non si sarebbe fatto abbattere nemmeno questa volta, credendo in lui stesso e nei suoi amici, in quei punti fermi che Ares adesso aveva voluto abbattere, puntando sulle inconsce paure del ragazzo che erano anche la sua grande forza.

 

“Pa... Patriciaaa!!!” –Gridò Pegasus, e il suo strillo echeggiò per l’intera Tredicesima Casa, stupendo lo stesso Ares.

 

“Com’è possibile?! Eri ormai morto Pegasus! Avevo ucciso il tuo spirito, seppellendolo con macabre visioni!!!” –Ringhiò il Dio furibondo.

 

“A…. Ares... puoi uccidermi mille volte, fare a pezzi il mio corpo, ma non vincerai mai il mio spirito, la fiducia che nutro nei miei amici, in coloro che mi hanno sostenuto per una vita intera, dandomi un motivo per andare avanti! Sempre e comunque!!!” –Esclamò Pegasus rialzandosi, circondato dallo splendore del suo cosmo azzurro. –“Per orfani come noi, che mai hanno conosciuto l’amore di un padre e di una madre, gli amici sono tutto ciò che di bello possa esistere nel mondo, sono l’amore stesso, fonte inesauribile di emozioni e di speranze, ed incrollabile fiducia che i tuoi trucchi da cartomante non abbatteranno mai!!!”

 

“Cartomanteee?!” –Tuonò Ares, espandendo il proprio cosmo infuocato, mentre vampe incandescenti piombavano su Pegasus. –“Ira di Ares!!! Travolgilooo!!!”

 

E un’immensa massa di rovente energia si abbatté su Pegasus, il quale, per tentare di difendersi, incrociò le braccia avanti a sé, lasciando che la furia devastante del cosmo di Ares si abbattesse su di esse, pressando con forza, al punto da spingerlo indietro, facendogli scavare solchi nel pavimento con i suoi piedi. Ma senza riuscire ad abbatterlo, per quanto impetuoso fosse l’assalto.

 

“Ti piegherò!!!” –Gridò Ares, rinnovando il proprio violento attacco.

 

Pegasus sentì ribollire il sangue sul suo braccio destro, avvelenato dalla spada del Dio della Guerra, infettato dal suo demoniaco cosmo che lo stava richiamando a sé. Per un momento si sentì perduto e stordito, vacillò, dando la possibilità ad Ares di travolgerlo con la sua poderosa massa energetica.

 

“Ira di Ares!!!” –Tuonò, scaraventando Pegasus indietro, fino a farlo schiantare contro le mura anteriori, che subito crollarono su di lui. Non contento Ares sollevò il ragazzo con il proprio potere, richiamandolo a sé, stritolando il suo corpo con violente vampe infuocate, che schiantarono le ali della sua Armatura Divina, impedendogli di fruirne ancora, prima di scattare avanti e poggiare il palmo destro sul petto del giovane, e scagliarlo violentemente via.

 

“Ah ah ah!” –Rise di gusto Ares, osservando Pegasus stramazzare al suolo, fra i frammenti insanguinati della sua corazza, la quale, in ogni caso, continuava a risplendere di un’eterea luce che neppure la fiamma di Ares era capace di spegnere.

 

“La luce... della speranza!!!” –Mormorò Pegasus rialzandosi. E senz’aggiungere altro scagliò una cometa di energia cosmica, sorprendendo lo stesso Ares, che non si aspettava una così immediata reazione. In un lampo, il Dio riuscì a ricreare lo Scudo di Ares di fronte a sé, su cui la cometa si schiantò, percependo, per la prima volta, una goccia di sudore freddo scendere lungo la sua schiena.

 

C’è mancato un attimo! Un attimo soltanto e mi avrebbe investito in pieno! Senza possibilità di difesa! Tremò per un istante all’idea di venire scaraventato indietro da quel moccioso, prima di ritrovare il suo solito ghigno di sfida e abbassare le sue difese, sentendo esaurire la potenza della cometa lucente.

 

“Uh?!” –Esclamò Ares, vedendo che Pegasus non era più di fronte a lui. –“Dove sei bamboccio?!”

 

“Quassù!!!” –Urlò una voce, proveniente da una lucente cometa, in alto di fronte ad Ares. Una vera e propria meteora umana in cui Pegasus, saltando e roteando su se stesso, si era trasformato.

 

“Sciocco!” –Gridò il Nume, osservando la meteora di luce sfrecciare verso di lui. –“Scudo di Ares!!! Difendimi!!!”

 

Il violento scontro tra i due poteri fece schiantare la difesa del Dio della Guerra, scaraventandolo indietro, raggiunto di striscio da guizzanti fulmini lucenti, e facendolo crollare a terra. Subito Ares si rialzò, per affrontare il suo nemico, che immaginava fosse di fronte a lui, ma Pegasus si era portato alle sue spalle e lo afferrò da dietro, bloccando i suoi movimenti, seppur a fatica.

 

“Spirale... di Pegasus!!!” –Urlò il ragazzo, sollevando il corpo di Ares e portandolo in alto, avvolgendolo in una lucente cometa energetica.

 

“Non essere ridicolo!” –Esclamò Ares, spalancando immediatamente le ali della sua scarlatta armatura, e liberandosi con una vampa infuocata della presa del Cavaliere, il quale, privo ormai delle sue ali, ricadde malamente al suolo, slogandosi una caviglia.

 

Ares con un’abile piroetta fluttuò nell’aria, atterrando proprio accanto al trono, in cima al piccolo palchetto della Sala del Grande Sacerdote, contemplando soddisfatto la distruzione dell’intera stanza, simbolo inequivocabile della rovina del Grande Tempio e di Atena e dei suoi Cavalieri.

 

“Hai sprecato un’occasione, ragazzo!” –Esclamò, mentre immense lingue di fuoco scivolavano sul suo corpo. –“Avresti dovuto colpirmi con il tuo leggendario fulmine, invece di tentare quella sciocca spirale! Adesso muori!” –Ironizzò, prima di scagliare le vampe infuocate contro Pegasus.

 

“No!!!” –Tuonò il Cavaliere, aprendo di scatto le braccia e formando un quadrato di energia lucente, su cui si infranse l’assalto di Ares. –“Quadrato di Pegasus!” –Mormorò, prima di rinviare le vampe indietro.

 

“Quadrato di Pegasus?!” –Ripeté Ares, sorpreso. –“E credi che basterà per fermare il mio potere? Ira di Ares!!!” –Tuonò nuovamente, mentre Pegasus, incurante delle vampe di energia cosmica, sfrecciò nella stanza, scagliando il suo colpo segreto contro il Signore della Guerra.

 

Migliaia di stelle caddero su Ares, che fu svelto a ricreare lo scudo protettivo, su cui i colpi di Pegasus si infransero, prima di potenziare il proprio assalto e scaraventare via il ragazzo, sbattendolo contro mura lontane.

 

“Bene!” –Mormorò Ares infine, notando che il Cavaliere non accennava a rialzarsi, privo ormai di forze. –“Sembra che lo scontro sia giunto a termine, conclusosi giustamente con la vittoria del Dio del... glom!!!” –Ares sputò sangue, improvvisamente, toccandosi il petto con dolore.

 

Una macchia scura, simile ad un pugno, aveva sporcato la sua Veste Divina, proprio sotto il cuore, simbolo inconfondibile di un colpo andato a segno del ragazzo. Glom! Un altro conato piegò Ares, obbligandolo a tastarsi il ventre, dove ben due macchie scure ornavano la sua Veste Scarlatta.

 

“Com’è possibile?!”–Sussurrò, tastando la corazza, calda, quasi rovente. –“Com’è possibileee?!” –Gridò, furioso che un ragazzo avesse potuto tanto. –“Come hai potuto superare lo Scudo di Ares?!”

 

“Eh eh…” –Sorrise Pegasus, rimettendosi in piedi, ansimando a fatica, ma con una luce di determinazione negli occhi. –“Non te ne sei accorto, Divino Ares? Eri forse troppo impegnato a citare Clausewitz o Marinetti da non notare le decine di colpi che ti hanno raggiunto?”

 

“De... decine?!” –Sgranò gli occhi Ares, sentendo la corazza cigolare sinistramente.

 

In un secondo altre sette macchie, grandi come un pugno, comparvero sulla sua corazza, dislocate in vari punti, sulle ali, sulle braccia, persino nell’interno coscia, prima di schiantarsi poco dopo, distruggendo la Veste Divina della Guerra, di fronte agli occhi, per la prima volta sgranati, del Dio.

 

“Il tuo scudo non è poi così efficace!” –Ironizzò Pegasus, asciugandosi il sangue che gli colava dal labbro con il pugno destro. –“Tutt’altro, presenta numerose falle!”

 

“Falle?! Buchi?!”

 

“Precisamente! Piccolissimi, certo! Così piccoli da non essere notati da un uomo normale, soltanto da un Cavaliere!”

 

“Da un Cavaliere... certo!” –Rifletté Ares, realizzando che quello doveva essere l’effetto finale dell’esplosione fotonica che Ioria del Leone aveva diretto contro di lui. –“Il Photon Burst!” –Mormorò, mentre Pegasus si incamminava verso di lui, avvolto dal suo scintillante cosmo azzurro.

 

“Cadi adesso!” –Gridò il Cavaliere, lanciandosi avanti, con il pugno destro carico di energia cosmica. –“Fulmine di Pegasus!!! Iaaaiiii!!!”

 

“Non così in fretta!” –Esclamò Ares, recuperando parte della sua calma. Con la mano sinistra frenò il pugno di Pegasus, stringendolo con forza, prima di espandere il suo demoniaco cosmo, scaraventando il ragazzo indietro, contro un gruppo di colonne che subito crollarono su di lui.

 

“Ma…” –Mormorò Pegasus, rialzandosi.

 

“Mi credevi inerme?!” –Esclamò Ares, i cui occhi fiammeggiavano in mezzo a quell’oceano di fiamme maledette. –“Sciocco sei stato! Non è certo la prima volta che vengo ferito da un uomo! Anche Eracle vi riuscì nel mito, e persino durante la Guerra di Troia riportai cicatrici, come questa che vedi sul mio collo!” –Aggiunse, storcendo il collo per mostrarla. –“Ma di ognuna di esse vado fiero, ad ognuna di queste ferite sono grato! Perché ogni volta mi hanno permesso di superarmi, di superare i miei limiti, imparando dai miei errori, per non commetterli più la volta successiva!! Così agisce uno stratega ed un guerriero, Cavaliere di Pegasus! Un maschio come me, la cui anima è stata forgiata nel sangue e nella guerra, senza mai conoscere la deprimente nausea della pace!”

 

“La pace non è nauseante… essa...” –Tentò di ribattere Pegasus, ma la voce imperiosa del Dio lo sovrastò nuovamente.

 

“Essa è irrealizzabile! Finché gli uomini saranno egoisti, finché continueranno a desiderare, a chiedere, a pretendere, scontrandosi gli uni contro gli altri, in un’eterna guerra di tutti contro tutti!” –Precisò Ares, prima di sollevare il braccio destro avanti a sé, concentrando sul palmo rivolto verso Pegasus il proprio cosmo incendiario. –“Finché gli uomini saranno loro stessi, la guerra continuerà ad esistere, ad insanguinare il mondo, gettando coloro che un tempo si chiamavano fratelli uno contro l’altro, fino alla morte! E pace mai sarà!”

 

“Ti sbagli…”

 

“Non mi sbaglio! E te lo proverò!” –Tuonò Ares, liberando il demoniaco assalto. –“Ira di Ares!”

 

Pegasus bruciò al massimo il proprio cosmo, cercando di contrastare l’avvampante attacco di Ares, ma vi riuscì solo in parte e crollò con un ginocchio a terra, ansimando per la debolezza. Strinse i denti e cercò di rialzarsi, mentre nuove orribili vampe piombavano su di lui, trovando però un’inaspettata resistenza in un arcobaleno di cosmi posto a sua difesa.

 

Rosa, verde, bianco, rosso e dorato erano i colori della barriera energetica su cui si infranse l’assalto di Ares, creata dai cinque amici che Pegasus aveva lasciato ai piani inferiori: Andromeda, Sirio, Cristal, Phoenix e Dohko erano infine giunti alla Tredicesima Casa, malconci e con le armature danneggiate, ma determinati a combattere insieme l’ultima battaglia.

 

***

 

Poche ore prima, mentre i Cavalieri di Atena affrontavano Ladone, nel Giardino delle Esperidi, una figura avvolta da un’inquietante aura cosmica, fiammeggiante come l’Inferno, osservava sconsolata il Grande Tempio dal miglior posto di osservazione che potesse desiderare: la Collina delle Stelle. Un’isolata altura poco distante dal Grande Tempio, in cima alla quale era stato edificato, in tempi molto antichi, un osservatorio astronomico, dedicato al Grande Sacerdote, l’unico ad avervi accesso, per osservare i moti stellati ed eventualmente rivolgere preghiere ad Atena. Là, di fronte a quell’abbandonato tempio, Gemini aveva assassinato Shin, sul finire di un’estate di quattordici anni prima. E adesso Flegias, il Rosso Fuoco, camminava su quelle insanguinate pietre.

 

Maledizione! Mormorò, tirando un violento calcio ad un mucchio di sassi. Anche qua niente!!! Ma dove può essere?! Doveee?! Gridò, arruffandosi i folti capelli neri. Aveva trascorso l’intera giornata alla sua ricerca, ma anche quella si era rivelata vana, come tutte quelle che aveva condotto fino ad allora. Quattordici anni! Ghignò, mentre i suoi occhi scuri si infiammavano di rabbia e odio. Quattordici anni che lo cerco e ancora non sono riuscito a venirne in possesso! Sarei quasi tentato di credere che non esista, che sia soltanto un trucco, un inganno degli antichi saggi, per portare alla disperazione i loro nemici! Ma non può essere! Deve esistere! Anzi, no, esiste!!! Precisò, sbattendo con forza un pugno contro una colonna dell’osservatorio, e distruggendola. Ne sono certo! Come sono certo del fatto che se oggi non ne verrò in possesso, le possibilità di dedicarmi alla sua cerca in futuro diminuiranno! I Cavalieri di Atena combattono nel Giardino delle Esperidi e sull’Olimpo le cose non vanno meglio! Quella dannata legione inglese ha portato rinforzi a Zeus troppo presto! Spero almeno che Tifone distrugga quanto più possibile! È il prezzo che devono pagare, quei maledetti, per aver osato opporsi ai miei progetti di dominio! Progetti che, devo ammettere, stanno incontrando ostacoli imprevisti!!! Rifletté, incamminandosi verso il precipizio del colle.

 

Se mio Padre e Tifone non elimineranno i Cavalieri quest’oggi, dovrò essere io, in futuro, ad occuparmi di loro! Nessun altro potrà più farlo per me! Nessun altro potrà essere convinto a farlo, credendo di perseguire il proprio interesse, come gli sciocchi burattini che ho manovrato fin’oggi, mentre in realtà hanno solamente fatto il mio gioco! Sì…  il mio interesse! Eliminare i Cavalieri di Atena e di Zeus, oscurare le abbaglianti luci dei loro cosmi, gli unici che potrebbero frenare l’avvento della nuova epoca! Un’epoca che metterà fine all’anarchia e al disordine di questi tempi, soffocando le guerre e le violenze attuali sotto un’unica bandiera, sotto un’unica grande ombra. Una tenebra primordiale a cui nessuna luce potrà opporsi! E senz’altro aggiungere, Flegias si lanciò di sotto dalla Collina delle Stelle, a braccia aperte, lasciando che il vento gli sbattesse in faccia, facendolo sentire vivo, pazzo e vivo come era sempre stato. Esplose in una delirante risata, prima di scomparire e rientrare ai Templi dell’Ira.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 41
*** Capitolo trentanovesimo: La grande alleanza ***


CAPITOLO TRENTANOVESIMO. LA GRANDE ALLEANZA.

 

Tifone scaraventò Briareo con rabbia contro la grande ammucchiata di uomini ai suoi piedi, schiacciandone molteplici ed abbattendo alberi e templi, cancelli e mura, mentre immonde vampe di fuoco salivano dal suo corpo informe verso il cielo oscuro, di fronte agli occhi sgomenti e terrorizzati degli ultimi difensori dell’Olimpo.

 

Efesto, Afrodite, Ermes, Phantom, Ascanio e i tre Cavalieri di Atena sopravvissuti, Asher, Tisifone e Mur, affiancati da Kiki, impegnato a sorreggere Giasone e i Dioscuri, tutti e tre in condizioni piuttosto malandate, si radunarono di fronte alla Reggia di Zeus, mentre Gwynn e i Cavalieri Celesti cercavano di arginare la disperata avanzata dei berseker sopravvissuti. Non erano rimasti in molti, neppure una cinquantina, ed ormai procedevano più per disperazione che non per reale convinzione, travolti da quel gioco al massacro a cui Ares li aveva addestrati, per cui il cosmo del Dio della Guerra aveva fatto ribollire loro il sangue. Ma adesso, sulla cima dell’Olimpo, privi del sostegno del loro Dio, impegnato a combattere alla Tredicesima Casa di Atene, molti di loro erano impazziti, accusando crolli nervosi, abbattendosi come folli sui nemici, senza più obiettivo alcuno che non cercare la morte, per loro stessi e per i loro avversari, mettendo finalmente termine a quel tremendo dolore interno. Dei diciassette figli di Ares ne erano rimasti soltanto due, Molo e Pilo, privi del fratello, morto poc’anzi schiacciato dalla deforme massa di Briareo, intenti ad affrontare Gwynn del Biancospino, uno dei Cavalieri Celesti di Glastonbury, affiancato da un paio di suoi compagni.

 

Barbuti, con mossi capelli scuri, e ricoperti da tozze corazze scarlatte, senza fregi particolari, Molo e Pilo, figli di Ares e Demonice, brandivano lance acuminate, lanciandosi contro i Cavalieri Celesti con tutto l’ardore che si confaceva loro, per quanto ormai il destino della battaglia fosse segnato. Non era più Ares a guidarne le fila, ma era il demoniaco cosmo di Tifone, avvelenato da secoli di rancore covato nelle viscere dell’Etna, e che Flegias aveva risvegliato, potenziandolo con gli oscuri influssi della Pietra Nera. Per un momento, mentre le verdi foglie del Biancospino di Glastonbury si attorcigliavano intorno al suo collo, Pilo pensò che forse Flegias aveva previsto tutto, che sapeva che Tifone sarebbe stato un’arma troppo potente, troppo difficile da gestire, persino per il Sommo Ares, e che forse quelle previsioni erano ciò che il Rosso Fuoco realmente auspicava.

 

“Che abbia.. ingannato anche lui?!” –Rantolò, crollando esanime al suolo, mentre il biancospino aveva assorbito completamente il suo sangue.

 

Pilooo!!!” –Urlò Molo, lanciandosi avanti, con l’arma puntata verso i Cavalieri Celesti. Ne trafisse un paio, sventrandoli con ferocia, prima che un secco colpo di spada trinciasse la sua testa, facendola rotolare sul terreno smosso, accanto ai cadaveri di altri anonimi berseker. Ma i Cavalieri dell’Ultima Legione non fecero in tempo a riprendere fiato che subito dovettero affrontare una nuova terribile minaccia.

 

Le fetide vampe di fuoco dell’orrendo Tifone calarono su di loro, mentre terrificanti serpenti dagli occhi di fuoco si srotolavano dal corpo dell’orrida creatura, puntando crudelmente sui Cavalieri Celesti. A nulla valsero i loro tremendi sforzi, i loro continui attacchi a quelle vipere velenose, per quanto carichi di energia cosmica potessero essere.

 

Gwynn!!!” –Gridò Ascanio da lontano, vedendo il ragazzetto in difficoltà.

 

Senz’aggiungere altro scattò sul terreno, evitando le vampe infuocate di Tifone, raccolse una scure, spaccò il suo manico e lanciò la lama, facendola roteare su se stessa, la quale sfrecciò nell’aria come un lampo, trinciando una mostruosa vipera che stava per intrappolare Gwynn. Grazie a quel gesto, il ragazzo poté mettersi in salvo, creando una barriera di biancospini con cui coprire la sua fuga. Resistette solo un secondo, il tempo che impiegarono le mostruose vipere infuocate a distruggerla, ma permise a Gwynn di raggiungere Ascanio, al centro del giardino antistante la Reggia di Zeus, solo e temerario come sempre.

 

“Non ce la farà!” –Urlò Phantom, di fronte al tempio, insieme agli altri Cavalieri e Divinità. –“Dobbiamo aiutarlo!!!” –E nel dir questo bruciò al massimo il proprio cosmo, accendendolo di tutto il suo celeste bagliore. –“Gorgo dell’Eridano!” –Gridò, liberando il vortice di energia acquatica.

 

Ermes, Artemide, Efesto, Mur e Tisifone fecero altrettanto, unendo i loro cosmi a quelli del Luogotenente dell’Olimpo, creando un violento gorgo di energia cosmica che sfrecciò nell’aria, raggiungendo le gambe di Tifone, strappando numerose vipere dal suo corpo deforme, come fossero erbacce da divellere. Anche Asher si unì all’assalto, seppure poco fosse il cosmo che gli rimaneva, e così fecero i Dioscuri e Giasone, per quanto barcollassero in piedi.

 

“Guardate!!!” –Gridò Ermes, puntando avanti il Caduceo. –“Niente!!! Come fosse aria… Come non l’avesse sentito…” –E infatti Tifone non aveva riportato danno alcuno, eccezion fatta per le numerose vipere fuoriuscenti dalle sue gambe che erano state uccise e che adesso giacevano sul terreno, carcasse immonde dal maleodorante odore di morte. Ma per ogni vipera uccisa, una nuova veniva creata, uscendo direttamente dall’orrido corpo dell’ancestrale creatura. Versi osceni emisero le cento teste di Drago, prima di scendere verso terra, avvolte da tossiche nubi di fumo, provocato dalle vampe infuocate uscenti dalle loro fauci.

 

Attentiii!!!” –Gridò Phantom, mentre una devastante pioggia di lingue di fuoco cadeva su di loro.

 

“Muro di Cristallooo!!!” –Urlò Mur, subito affiancato da Kiki.

 

“Non resisterà!!!” –Li raggiunse Efesto, concentrando il proprio cosmo sulle braccia. –“Che la possente lava dell’Etna sia con noi!!!” –E rivestì il trasparente Muro di Ariete di una solida difesa, costituita dall’incandescente magma di cui era Signore. Ma anche quella barriera crollò, frantumandosi in mille pezzi, scaraventando indietro i Cavalieri e le Divinità riparate dietro di essa, mentre un immenso artiglio calava sulla Reggia di Zeus, sfondando il tetto e penetrando all’interno.

 

“Mio Signore…” –Mormorò Giasone, cercando di rimettersi in piedi. Ma subito decine di vipere infuocate furono su di lui, obbligandolo a brandire nuovamente la Spada della Colchide, colpendole una dietro l’altra, senza lasciargli tregua, come stavano facendo anche gli altri Cavalieri. Una vipera si attorcigliò intorno alle sue gambe, facendolo cadere a terra e perdere la presa della spada, mentre un’altra, mostruosamente affamata, spalancava le fauci puntando al viso stanco dell’eroe.

 

“Pugno... di Zeus!!!” –Esclamò una voce, mentre un pugno di energia cosmica distruggeva l’orrido serpente.

 

Castore…” –Rantolò Giasone, mentre una lama tagliava la vipera che gli bloccava le gambe, permettendogli di rimettersi in piedi. –“Polluce…

 

“Corri da nostro Padre, Giasone!!!” –Lo esortarono i Dioscuri. –“Ha bisogno di te!” –Ma Giasone non fece in tempo ad aggiungere altro che una raccapricciante scena si presentò lui.

 

Cumuli di vipere infuocate scesero sui figli di Zeus, avvinghiandosi intorno ai loro corpi stanchi, e per quanto i due si dimenassero notevolmente furono raggiunti dai loro denti avvelenati. Polluce fu il primo a morire, cadendo a terra senza vita, mentre le immonde vipere si cibavano del suo fisico spento; a tale vista, Castore impazzì, lanciandosi come un folle contro Tifone, da solo, facendo esplodere tutto il suo cosmo al contatto con la bestia.

 

Le teste di drago accusarono la ferita, ma neanche ciò servì per frenare l’avanzata distruttiva di Tifone. La sua grandezza e la sua deformità erano tali da permettergli di occupare l’intera cima dell’Olimpo, impegnando in battaglia numerosi Cavalieri al tempo stesso, inviando contro di loro le vipere annidate nel suo orrido corpo e le numerose teste di drago del suo molteplice viso.

 

“Attento Kiki!!!” –Gridò Mur, proteggendo il fratello, impegnato a colpire un’enorme vipera con una spada. Ma il fetido respiro di Tifone fu anche su di loro, scendendo come devastanti fiamme di oscuro cosmo, obbligando Mur a ricreare il Muro di Cristallo, questa volta tutto intorno a loro, per quanto sapesse che non avrebbe resistito per molto. E infatti la difesa di Mur si schiantò poco dopo, spingendo indietro i due fratelli, mentre orribili fauci infuocate si aprivano su di loro.

 

Vento… dell’Est!!!” –Esclamò improvvisamente una voce. Vi fu un turbine di aria e le fiamme furono provvisoriamente spazzate via, mentre una figura dalla Celeste Armatura scendeva su di loro, aiutandosi a rialzarsi: Euro, Dio del Vento dell’Est.

 

“Grazie per l’aiuto, figlio di Eos!” –Commentò Mur.

 

“Dovere di Cavaliere, nobile Ariete!” –Sorrise Euro, prima di voltarsi verso l’orribile mostro, bruciando il suo cosmo. –“È dunque questo il luogo in cui cadremo? Qua, di fronte alla Reggia del mio Signore, dove tutto ha avuto inizio e tutto avrà fine?”

 

“Temo che le nostre speranze siano minime…

 

“Se così sarà, che giornata questa! Che onore per me cadere al vostro fianco, Cavalieri di Atena!” –Strinse i pugni Euro, e senz’altro aggiungere si librò in aria, puntando su Tifone e scaricando su di lui una violenta tempesta di energia cosmica.

 

Phantom, dal basso, fece altrettanto, aiutato da Ermes, Artemide ed Efesto, ma nuovamente il loro attacco collettivo venne respinto, e Tifone scaraventò tutti lontano, prima di distruggere con i suoi enormi artigli la Reggia di Zeus, cercando il suo eterno rivale. Lo trovò, ma inaspettatamente fu costretto ad un passo indietro, venendo travolto da una devastante bolla di energia, accecante come il firmamento: una bomba di luce che per un momento rischiarò l’oscura cima dell’Olimpo, ricordando a tutti i combattenti il caldo tepore del sole e delle stelle.

 

“Ma quello...” –Mormorò Ermes, rimettendosi in piedi a fatica.

 

Sopra di loro, circondato da una sfera di dorata energia, apparve il Signore dell’Olimpo: Zeus, Padre di tutti gli Dei, rivestito dalla sua Divina Veste, con le grandi ali spiegate dietro la schiena ed il Fulmine in mano. Al suo fianco c’era Atena, che impugnava saldamente la Nike con la mano destra e l’Egida con la sinistra, determinata come il Padre a non lasciarsi abbattere dallo sconforto.

 

Lo abbiamo battuto una volta! Possiamo rifarlo! Si disse la Vergine Dea, sollevando lo scettro di Nike avanti a sé e caricandolo del suo cosmo. Un raggio di energia sfrecciò subito nell’aria, diretto verso Tifone, il quale inizialmente parve non sentirlo neppure, limitandosi a liberare osceni versi e a lanciarsi avanti, caricando le sue molteplici teste di fiamme infernali.

 

“Fulmini di Zeus!!!” –Gridò Zeus, scagliando migliaia e migliaia di incandescenti folgori contro le teste di drago. Molte furono distrutte, altre semplicemente si fermarono, ma Tifone non fu affatto abbattuto, semplicemente fatto infuriare ancora di più. Il suo demoniaco cosmo scivolò sul terreno, avvelenando i deboli cosmi dei Cavalieri sopravvissuti, che cercarono di resistergli, unendosi tra di loro e facendo barriera con le loro lucenti energie.

 

Non… passerai!!!” –Gridò Phantom. –“Maledettooo!!!”

 

Efesto, Artemide, Tisifone, Mur e Asher erano al suo fianco, e anche Ascanio, Gwynn e gli altri Cavalieri Celesti sopravvissuti, tutti con il cosmo carico al massimo. Ermes ed Euro si librarono nell’aria, sfidando le sinuose fiamme della mitologica bestia, decisi a colpirlo da vicino. Il Messaggero degli Dei puntò il Caduceo, mentre Euro concentrò il cosmo sul pugno destro, prima di lanciare due violenti attacchi energetici contro le teste di drago, potenziando le folgori di Zeus.

 

Tifone sbraitò disperatamente e liberò una devastante energia oscura sotto forma di un terribile uragano che travolse tutti i Cavalieri e le Divinità, stringendoli nel suo mortale abbraccio. Crollò la Reggia di Zeus, e i Cavalieri a sua difesa furono scagliati lontano, sbattuti per terra, dilaniati nel profondo dalle velenose fiamme di morte, mentre soltanto Zeus rimase di fronte a lui, sospeso in aria, riparato da una sottile barriera di energia cosmica. Anche Atena venne scaraventata a terra, schiantandosi sulla scalinata della distrutta Sala del Trono, subendo la stessa sorta di Efesto e delle altre Divinità e perdendo la presa dello scettro di Nike.

 

Aaah... Padre…” –Mormorò, cercando di rialzarsi.

 

Un giovane dai ricciuti capelli castani venne in suo soccorso, aiutandola a rimettersi in piedi, e la donna riconobbe l’Armatura della Coppa Celeste, indossata da colui che Zeus aveva rapito un tempo, sotto forma di aquila, per farne il Coppiere degli Dei: Ganimede, il più bello dei mortali.

 

“Atena!!!” –Esclamò il Cavaliere Celeste, aiutando la Dea.

 

“Ti ringrazio, Ganime…” –Ma la voce le morì in bocca quando vide Tifone scagliare un nuovo devastante uragano di infuocata energia contro Zeus, distruggendo persino la sua cupola protettiva e scaraventando il Dio indietro, fino a farlo schiantare contro le crollate mura della Reggia.

 

“Mio Signoreee!!!” –Urlò Ganimede, preoccupato quanto Atena per Zeus.

 

In quella, un gruppo di berseker che era sopravvissuto penetrò tra le macerie del Palazzo Divino, giungendo di fronte alla Dea e al ragazzo, e riconoscendo la prima.

 

“Se anche dovremo morire…” –Commentò sadicamente uno di questi. –“Lo faremo portando al nostro Signore un grazioso presente!”

 

“Già!” –Gli fece eco un altro, dal viso sporco di sangue. “–La testa della sua amica Atena! Ih ih ih!“ –E senz’altro aggiungere i due si lanciarono avanti, seguiti da altri quattro berseker, brandendo armi infernali, ma Ganimede non si lasciò intimorire, espandendo il proprio cosmo, dalle striature dorate.

 

Il Coppiere degli Dei sollevò le braccia sopra la testa, mentre la luccicante sagoma di una coppa compariva tra le sue mani, piena di scintillante nettare dorato. In un lampo di luce la coppa si riversò verso i berseker, liberando un’abbagliante energia simile ad un fiume di stelle, che li travolse tutti, scaraventandoli via.

 

“Anfora delle Stelle!” – Esclamò il Cavaliere, osservando i berseker schiantarsi a terra con fragore. Ma uno riuscì ad evitare l’assalto, facendosi scudo con il corpo del suo compagno, e a balzare quindi avanti, srotolando la propria catena ferrata, la quale si avvolse intorno al collo del Coppiere degli Dei, sbattendolo a terra con forza.

 

“Muori!!!” –Gridò il berseker, strattonando il ragazzo, ma prima che potesse aggiungere altro fu colpito in piena nuca da un violento colpo di spada.

 

“Sarai tu, a morire!” –Esclamò una voce, affondando la lama nel cranio del guerriero di Ares. –“Se osi levare la mano sul mio più caro amico!”

 

“Giasone!!!” –Urlò Ganimede, liberandosi dall’oscura catena. –“Allora sei tornato?!”

 

“Perché?! Non te lo avevo forse promesso?!” –Sorrise Giasone, e Ganimede non poté non accorgersi di quanto stanco e tirato fosse quel sorriso.

 

“Attenti!!!” –Gridò Atena improvvisamente, indicando il cielo, su cui si stagliava imperiosa e terribile la sagoma di Tifone.

 

L’orrenda creatura stava infatti passando sopra di loro, facendo crollare i resti della Reggia di Zeus, dirigendosi verso il Dio dell’Olimpo, schiantatosi poco distante. Schegge di mura e di soffitto crollarono su di loro, ma Giasone fu svelto a buttarsi sopra Ganimede per coprire l’amico con il suo corpo, finendo schiacciato da un pezzo di muro. Anche Atena fu sballottata, cadendo a terra, ma riuscì a rimettersi in piedi e ad impugnare Nike, distruggendo il muro sopra Giasone e liberando i due ragazzi. Quindi si lanciò fuori, con il cuore in gola, pronta per affrontare di nuovo Tifone.

 

Nel frattempo Zeus era in difficoltà contro il figlio di Gea. Non soltanto il Signore dell’Olimpo era stanco per aver usato i suoi poteri nella ricostruzione del Sacro Monte, devastato dalla guerra contro Crono, ma aveva anche tenuto testa al diabolico cosmo di Ares per l’intera durata della guerra, fronteggiando il figlio a distanza.

 

“Fulmini di Zeus!!!” –Gridò, liberando una violenta scarica di folgori, con cui distrusse numerose teste di drago e vipere. Ma anche quel colpo non fu risolutivo e sciami di serpenti infuocati scivolarono dal corpo orribile del gigante, strisciando sul terreno, dirigendosi verso Zeus. Per un momento il Dio ricordò quel giorno, millenni prima, ritrovandolo negli occhi iniettati di sangue delle serpi che puntavano su di lui, ricoperte da squame di fuoco.

 

“Gorgo dell’Eridano!!!” –Gridò improvvisamente una voce, mentre un devastante vortice di energia acquatica spazzava via numerose vipere. Ad esso seguirono due violenti raggi di energia ed una moltitudine di frecce incandescenti, che uccisero gli ultimi orribili serpenti, anticipando l’arrivo di Phantom dell’Eridano Celeste, di Ermes, Artemide e degli altri Cavalieri Celesti.

 

“Padre!!!” –Esclamò Efesto, ansimando per la stanchezza. –“Già una volta abbiamo mancato… fuggendo da una lotta che era anche nostra… ma stavolta non accadrà! Stavolta combatteremo insieme!” –E nel dir questo espanse il suo infuocato cosmo, concentrando fiotti di magma ardente sulle mani e lanciando impetuosi getti contro le gambe di Tifone.

 

Dal canto loro gli altri Cavalieri e Divinità non rimasero inoperosi, bruciando al massimo i loro cosmi. Artemide scoccò una freccia, moltiplicandola in infinite copie, mentre Ermes liberava violenti raggi di energia con il Caduceo, affiancato dagli assalti di Euro, Mur, Phantom, Ascanio, Asher e Tisifone. Seguendo la lezione di Pegasus e dei suoi compagni, le cui gesta Euro aveva ammirato per molto tempo, il figlio di Eos propose di unire i loro cosmi, i loro attacchi, in un’unica scintillante cometa di energia, capace di trapassare il ventre deforme del mostro.

 

Atena approvò l’idea, sorridendo orgogliosa, per quanto il suo cuore fosse in ansia, incapace di capire cosa stesse accadendo al Grande Tempio, cosa fosse accaduto ai Cavalieri a lei tanto cari, i cui cosmi aveva smesso di percepire poche ore prima.

 

Adessooo!!!” –Gridò Euro, indicando un punto nell’alto ventre, a cui si attaccavano tutte le teste di drago. –“Il punto vitale di Tifone!!! Insieme!!!” –E i Cavalieri Celesti e le Divinità unirono i loro cosmi, mentre la sfolgorante potenza del cosmo di Zeus sovrastava, inglobandoli, tutti loro, concretizzandosi in guizzanti fulmini diretti verso Tifone, il quale, quella volta, non poté evitare l’assalto, venendo centrato in pieno e scaraventato indietro.

 

L’immensa figura ricadde lungo l’Olimpo, rovinando ulteriormente la morfologia del Monte Sacro, distruggendo alberi e costruzioni, mentre i Cavalieri e le Divinità si accasciavano a terra, stanchi e spossati. Per un momento credettero realmente di aver vinto, di aver messo fine alle guerre e alle devastazioni. Durò solo un momento tale illusione, ma infuse in essi tanto calore e speranza.

 

Tifone infatti si rialzò, lentamente ma si rialzò, spalancando le immonde ali infuocate del suo corpo deforme, e sbattendole con vigore, creando roventi turbini di oscura energia, che sferzarono l’aria, sradicando alberi e aprendo fenditure sul terreno, mentre le molteplici teste di drago lanciavano getti di fuoco.

 

Fu Euro il primo a riprendersi, dei Cavalieri Celesti, cercando di contrastare la furia di Tifone con il proprio Vento dell’Est, ma senza successo. L’attacco del figlio di Eos era solo brezza, paragonato alla devastante potenza dell’uragano di Tifone.

 

“Dobbiamo aiutarlo!” –Dissero Ascanio e Phantom, lanciandosi contro la tempesta infuocata.  I due espansero al massimo i propri cosmi, mentre le sagome di uno scintillante fiume celeste e di due draghi, uno rosso e uno bianco, comparvero dietro di loro, simboli del potere da cui traevano forza.

 

“Gorgo dell’Eridanooo!!!”

 

Double Dragon Attack!!!” –Gridò Ascanio, affiancando il proprio assalto a quello dell’amico.

 

Il vortice acquatico e i due dragoni di energia cosmica sferzarono le fiamme demoniache di Tifone, ridando vigore al turbine di Euro, e raggiungendo la mitologica bestia sul fianco destro, distruggendo parte delle sue velenose carni.

 

“Adesso!!!” –Gridò Ermes, indicando il punto dove colpire. Là puntò il Caduceo, presto seguito da Artemide che scoccò decine di frecce incandescenti, che raggiunsero il fianco aperto di Tifone, trapassando le proprie orride carni, facendolo gridare dal dolore, e rendendolo ancora più furioso.

 

Con ferocia immane, Tifone si chinò su di loro, piantando artigli nella terra, stritolando i Cavalieri Celesti, incenerendoli con le sue fiamme infernali. Anche Euro venne catturato, mentre cercava di librarsi in aria, e stretto dai mortiferi artigli della bestia, mentre cumuli di vipere si attorcigliavano attorno a lui, stridendo la loro squamosa pelle velenosa sulla lucente corazza del giovane.

 

Euroo!!!” –Gridò Mur, dal basso, bruciando il cosmo dorato, e scaricando un devastante Sacro Ariete contro l’artiglio della bestia, penetrando parte della sua pelle con tale pioggia di meteoriti.

 

Ragazzo…” –Mormorò Efesto, preoccupato e dispiaciuto per le sorti del giovane.

 

“Caduceo!” –Gridò Ermes, puntando la Bacchetta Divina contro l’artiglio di Tifone. Il raggio energetico raggiunse la bestia, facendola urlare di dolore, e il Messaggero degli Dei continuò a spingere, mettendo tutto il suo cosmo in quell’assalto. Se non lo liberiamo adesso, il veleno di Tifone lo ucciderà… Rifletté, scaricando altra energia.

 

Artemide incoccò una nuova freccia, concentrandola di tutto il suo cosmo, e la diresse proprio verso il punto che Ermes stava colpendo, centrando il bersaglio e obbligando Tifone ad aprire l’artiglio, ormai semidistrutto.

 

Double Dragon Attack!!!” –Gridò Ascanio, liberando le brillanti sagome del Drago bianco e del Drago rosso, che raggiunsero l’artiglio malefico, polverizzandolo.

 

Euro precipitò verso terra, debole ed incapace di aprire le sue ali e volare via, di fronte agli occhi dei presenti, impossibilitati ad intervenire, in quanto costretti ad affrontare le vipere e le teste di drago di Tifone, più furibondo che mai. Fu Efesto a correre verso il ragazzo, trascinando la propria zoppa gamba dolorante, riuscendo a prenderlo in tempo, prima che si schiantasse al suolo. Un devastante getto di fuoco fu subito su di loro, facendo urlare il Dio della Metallurgia dal dolore, incapace in quel momento di difendersi.

 

“Muro di Cristallo!!!” –Urlarono Mur e Kiki, raggiungendo i due e creando la barriera difensiva.  Resistette pochi secondi, ma permise ai quattro di allontanarsi e ricongiungersi agli altri combattenti, tutti ormai stanchi e preoccupati, soprattutto quando videro che Tifone spalancò nuovamente le proprie ali, caricandole del suo oscuro cosmo fiammeggiante.

 

In quella un guizzante fulmine, potente quanto il firmamento, si schiantò sul petto deforme della bestia, facendola piegare in avanti dal dolore.

 

“E questo è solo l’inizio!” –Esclamò Zeus, apparendo nuovamente nel cielo, solo e determinato. –“Vieni avanti, Tifone!! Da millenni va avanti questa insana lotta, ed è tempo di concluderla!” –E nel dir questo scaricò nuovamente scattanti fulmini contro Tifone, il quale, sorpreso dal repentino attacco, si contorse tutto su se stesso, gridando dal dolore, mentre le folgori del Dio entravano dentro di lui, trinciando vipere e teste di drago, sfondando il suo corpo deforme.

 

Vista da sotto, la scena del combattimento finale tra Zeus e Tifone sembrava uno scontro tra due immense forze sovrannaturali: un uragano di fiamme oscure, che turbinava su se stesso, impedendo a chiunque, Dei compresi, di avvicinarsi, ed uno sfolgorante scintillio cosmico, creato dai lucenti fulmini di Zeus, le cui scariche di energia fendevano l’aria, rischiarando la cima dell’Olimpo, di fronte agli occhi attoniti e stanchi dei Cavalieri e delle altre Divinità accasciate a terra.

 

“Tutta la tua esistenza, Tifone, l’hai consacrata al male, alla volontà di distruggere un regno perfetto, il Paradiso degli Dei, come tua madre ti aveva insegnato, come tua madre, adirata per la sconfitta dei Dodici Titani suoi figli, ti aveva concepito! Un’immensa macchina da guerra! Incapace di provare amore o qualsiasi altro sentimento che non fosse il desiderio di distruggere ed annientare l’Olimpo, e me che ne sono il Signore!” –Esclamò Zeus, continuando a lottare contro la bestia, circondato dal suo incandescente cosmo. –“Ho pena di te, Tifone! Sì, ho pena di te! Di te che non sei mai stato niente, se non una marionetta nelle mani dei potenti, tua madre prima, e Ares adesso! Un burattino vuoto e freddo, senza sentimento alcuno, senza possibilità di scegliere il proprio destino! A differenza dei tuoi fratelli e dei tuoi figli, le altre mitologiche bestie figlie della tenebra, tu non hai mai avuto un senso se non in funzione della mia distruzione!”

 

Un violento fulmine squarciò Tifone in pieno ventre, facendogli vomitare sangue oscuro, che scivolò sul corpo deforme della bestia, infiammandosi poco dopo, mentre le vipere sibilavano convulsamente, ormai isteriche spettatrici di un titanico scontro.

 

“L’ho capito solo adesso! Che fu sbagliato seppellirti sotto l’Etna! Perché là non trovasti la morte, là non trovasti la pace! Ma continuasti a vivere, a nutrirti dell’odio che provavi per me, dell’odio che tua madre voleva che tu provassi per me!! Continuasti a roderti per la sconfitta, avvelenando ulteriormente il tuo cosmo malato, incapace di qualsiasi raziocinio! Ooh…” –Mormorò Zeus, con una punta di tristezza. –“Quanto vorrei che tu fossi un uomo, magari come Ares, che per quanto Dio convive in un corpo umano. Almeno potresti scegliere il tuo destino… Invece che rimanere così, in balia degli eventi, costretto ad andare avanti senza possibilità alcuna di virare!”

 

E in quella, vedendo Zeus rattristarsi e fermare il proprio attacco, Tifone si lanciò su di lui, spalancando le immonde fauci delle sue infuocate teste di drago ed emettendo gemiti terrificanti. Ma il Dio dell’Olimpo, raccolte al massimo le proprie forze, fece esplodere il proprio cosmo, abbagliante come una supernova, illuminando non solo l’Olimpo stesso, ma l’intera Grecia, quasi fosse un secondo sole. Stritolanti fulmini avvolsero il corpo ferito di Tifone, penetrando al suo interno, portando dentro di lui il caldo fuoco delle stelle, mentre il suo sangue oscuro ribolliva, sterminando le orride creature che di esso si cibavano.

 

“Fulmini di Zeus!” –Gridò il Dio, scaricando tutto il suo immenso potere su Tifone, il quale cercò comunque di reagire, di opporre resistenza a quel vasto e caldo cosmo.

 

“Ora!!!” –Esclamò Atena, dal basso, puntando Nike, verso il ventre di Tifone. Al suo segno tutti i Cavalieri e le Divinità unirono i loro cosmi, caricando lo scettro di Atena di tutta la loro energia. Efesto, Artemide, Ermes, Euro, Ascanio, Phantom, Giasone, Ganimede, Mur, Kiki, Asher e Tisifone misero tutto loro stessi, tutto il loro destino, in quel raggio di luce, che trafisse Tifone in pieno, mentre le dilanianti folgori di Zeus frantumavano il resto del suo corpo deforme, precipitandolo a terra, circondato dalle ultime oscure vampe di fuoco. Triste e vinto, nuovamente.

 

Euro ricordò la precedente sconfitta di Tifone, narrata da Esiodo nella sua Teogonia:  E quello, poi che fu domato, spezzato dai colpi, piombò giú mutilato, dié gemiti lunghi la Terra. Ed una vampa sprizzò dal Dio folgorato percosso nelle selvose convalli dell'Etna tutto aspro di rupi. E lungo tratto ardea per quel fiato divino la terra dall'ampio dorso, e al pari si liquefaceva di stagno quando lo scaldano dentro nei cavi crogioli i garzoni... Oppur di ferro, ch'è fra tutti i metalli il più duro, quando in convalli montane lo doma col rabido fuoco entro la terra divina, lo liquefa Efèsto l'industre. Così la terra al vampo del fuoco si liquefaceva. E quindi, lo scagliò, furioso, nel Tartaro immenso”. E realizzò di aver partecipato anche lui, finalmente, ad una leggenda. Di essere parte anch’egli dell’eroica storia del mondo.

 

Il mutilato corpo di Tifone arse in vampe di fuoco, mentre i Cavalieri e le Divinità, accasciandosi al suolo, potevano finalmente tirare un sospiro di sollievo, ed ammirare lo splendente Dio dell’Olimpo discendere su di loro, ricoperto dalla sua maestosa Veste Divina.

 

“Lo seppelliremo nuovamente sotto l’Etna, mio Signore!” –Disse Ermes, rialzandosi prontamente.

 

“No!” –Affermò perentoriamente Zeus. –“Non un’altra prigionia per lui! Non potrebbe sopportarla!” –E qualcosa, in fondo al cuore, scattò in Zeus, portandolo a provare pietà, quasi tristezza, per l’orrendo destino cui Tifone era stato condannato. Fin dalla nascita. –“Bruciatelo! È l’unico modo per porre veramente fine alla sua sofferenza! L’unico modo per estirpare per sempre... la mia nemesi!” –Mormorò infine a bassa voce.

 

“Come desidera.. Sommo Zeus!” –Si inchinò Ermes, per quanto non avesse ben compreso il motivo di tale commiserazione per un carnefice quale Tifone era, ai suoi occhi. –“Lo getteremo in uno dei vulcani delle Eolie!” –Aggiunse, incontrando lo sguardo assenziente di Efesto.

 

Quindi si incamminò verso la carcassa sconquassata dell’orrida bestia, seguito da Efesto, Artemide, Tisifone, Euro ed Ascanio, per trovare il modo per trasportarlo e per controllare gli enormi danni che l’Olimpo aveva subito. Tra smottamenti, crolli di templi, devastazioni di vegetazione, niente più rimaneva degli antichi fasti che tanto avevano acceso il cuore degli Dei Olimpi, che tanto avevano attirato uomini da terre lontane, alla ricerca di gloria e ricchezza, di splendore e di apparenza. Euro sorrise, per quanto dolorante fosse il suo corpo, realizzando che forse, adesso, sarebbe stato possibile ritrovare i veri fasti perduti: non quelli materiali, di cui statue ed ambrosia erano il simbolo, ma quelli spirituali, morali, che gli Dei avevano abbandonato millenni prima, chiudendosi in uno splendido isolamento e perdendosi nelle nebbie del tempo, venendo poi dimenticati dagli uomini, e sostituiti con nuovi idoli.

 

Atena si rialzò a fatica, aiutata da Mur e da Asher, deboli anch’essi e con le armature crepate in più punti, e subito la sua mente volò via, oltre quel deturpato colle, cercando il cosmo dei suoi Cavalieri, impegnati in battaglia al Grande Tempio di Atene. In quel momento, le nuvole finalmente si diradarono, spazzate via dal vento proveniente dal mare, rivelando un rossastro tramonto. Un sole tinto di sangue, ma anche di eroi.

 

 

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Capitolo 42
*** Capitolo quarantesimo: Verso l'apocalisse ***


CAPITOLO QUARANTESIMO. VERSO L’APOCALISSE.

 

Il violento assalto del Dio della Guerra, si schiantò su una scintillante barriera posta a difesa di Pegasus, formata dai colorati cosmi dei suoi cari amici, giunti in quel momento alla Tredicesima Casa, dopo aver sopportato prove massacranti, con cui Ares aveva tentato di piegarli.

 

Sirio il Dragone, la cui armatura presentava numerose fratture, priva ormai dell’elmo, delle ali e dello scudo, con gli schinieri danneggiati e un taglio all’addome, dovuto alla lama infuocata di Flegias, che Sirio, insieme a Cristal e a Libra, aveva affrontato poco prima, dopo aver sconfitto, in precedenza, il guerriero dell’Idra di Lerna, Diomede e il Gigante Gerione. Cristal il Cigno, che aveva raggiunto i compagni salvandoli dai pericolosi fanghi di Augia, dopo aver affrontato la terribile Enio, Dea della Strage, nelle ghiacciate lande di Siberia, si era battuto con Ladone, vincendolo grazie all’aiuto e al sacrificio di Scorpio, massacrato da Flegias di fronte ai propri occhi.

 

Phoenix, che quel giorno aveva fronteggiato ben due nemiche donne, le Cerva di Cerinea e Ippolita, Regina delle Amazzoni, trovando nella seconda un valido aiuto durante il terribile scontro alla Dodicesima Casa, contro Deimos, Dio del Terrore, che aveva notevolmente danneggiato la sua armatura, già scheggiata in numerosi punti, soprattutto alla spalla sinistra e al braccio destro. Andromeda, coraggioso amico che non aveva esitato ad affrontare l’ultimo tremendo nemico, Phobos, Dio della Paura, per permettere a Pegasus di correre da Ares, nonostante fosse debole per le ferite riportate negli scontri con il guerriero del Cinghiale di Erimanto e con il Custode della Palude di Stinfalo, di cui portava ancora i segni.

 

E infine Dohko di Libra, vecchio maestro di Sirio, giunto con Scorpio in aiuto dei Cavalieri dello Zodiaco, utilizzando al meglio le Armi della Bilancia, fronteggiando sia il terribile Gerione che il demoniaco Flegias. Molte erano state distrutte, altre erano danneggiate, ma ancora otto ne rimanevano, compreso lo scheggiato scudo sul braccio destro. Insieme erano arrivati alle Stanze del Sacerdote, sorreggendosi a fatica, deboli per le battaglie combattute quel glorioso giorno, in cui avevano raggiunto persino Eracle, sostenendo le terribili fatiche che Ares aveva imposto loro.

 

“Voi... qua?!” –Esclamò Ares, furibondo.

 

“Il tuo piano è fallito, Dio della Guerra!” –Parlò Cristal, per quanto debole fosse. –“I tuoi guerrieri sono stati sconfitti, i tuoi figli abbattuti, dei tuoi sogni di gloria e dominio restano solo le ceneri!”

 

“Le ceneri dici, Cavaliere del Cigno?!” –Sogghignò Ares, espandendo il proprio fiammeggiante cosmo. –“E di voi allora cosa resterà?!” –E senz’altro aggiungere scatenò una violenta tempesta, simile all’Apocalisse Divina di Flegias, travolgendo i sei Cavalieri di Atena, mentre dilanianti vampe di oscuro fuoco divoravano le loro carni e le loro corazze.

 

“Aaaahh…” –Esclamò Cristal, precipitando a terra poco distante.

 

“Non… abbiamo più forze...” –Rantolò Andromeda, incapace di rimettersi in piedi.

 

“Ma dobbiamo tentare!” –Strinse i denti Phoenix, provando a rialzarsi.

 

“Ma no, resta in terra, Phoenix!” –Lo derise Ares, puntando l’indice verso di lui. –“Resta a terra!!!” –E lo colpì con un violento raggio di energia che lo scaraventò lontano, frantumando ulteriormente la sua Armatura Divina, di fronte agli occhi sgomenti dei compagni.

 

“Ares! Ora subirai l’ira del Dragone!!!” –Esclamò Sirio, bruciando il proprio cosmo.

 

“Non aspetto altro!” –Ironizzò il Dio, preparandosi a ricevere l’assalto.

 

“Colpo segreto del Drago Nascente!” –Tuonò Sirio, mentre un drago di energia cosmica scivolava nell’aria, diretto verso Ares, il quale lo superò in velocità, balzando proprio accanto al Cavaliere.

 

Il Dio della Guerra poggiò una mano sul petto di Sirio, frantumando l’armatura al sol contatto e fermando tutti i suoi movimenti, sospendendolo a mezz’aria, facendolo tremare come un passero impaurito, incapace di muovere anche solo un muscolo. Senz’attendere altro sollevò il secondo braccio, pronto per piantare i suoi artigli infuocati nel collo del Cavaliere, ma uno scintillio dorato lo disturbò, obbligandolo a saltare indietro, mentre una lucente barra sfrecciava davanti al suo naso.

 

“Lascialo!!!” –Gridò Dohko, richiamando la Barra Gemellare.

 

“Come vuoi!” –Ironizzò Ares, scaraventando il corpo inerme di Sirio contro Dohko, facendoli schiantare insieme contro il muro lontano. –“Ah ah ah!!!”

 

“Ehi, occhietti rossi!” –Ansimò una voce, a fatica. –“Non ti sarai dimenticato di me?!”

 

“Pegasus!!!” –Esclamò Ares, osservando il giovane avanzare barcollando verso di lui. –“Non sia mai!” –E senz’altro aggiungere scattò avanti, pronto per travolgerlo.

 

“Catena di Andromeda!!!”–Gridò il Cavaliere, rialzatosi in quel momento, liberando la propria arma, che assunse la forma di lancio della rete, in cui tentò di immobilizzare Ares.

 

“Interessante tecnica!” –Giudicò questi. –“Ma non credo possa fermare il fuoco!!!” –Tuonò, liberando il suo fiammeggiante cosmo, sotto forma di voraci vampe di fuoco che travolsero Andromeda scaraventandolo indietro, obbligandolo ad allentare la presa sulla sua catena, che Ares non ebbe problema alcuno ad annientare facendo esplodere il proprio cosmo.

 

“Iaiii!!!” –Scattò allora avanti Pegasus, avendo recuperato un po’ di forze. –“Fulmine di Pegasus!”

 

“Sei ostinato eh!” –Precisò Ares, schivando tutti i colpi e fermando la sua corsa con un violento calcio allo sterno, che scaraventò il Cavaliere lontano.

 

Quindi il Dio della Guerra si incamminò verso il trono, per sedervisi nuovamente, fiero e tronfio del suo nuovo successo. Un successo che gli avrebbe assicurato il dominio sul Grande Tempio di Atene, dato che quello sull’Olimpo era, per il momento, quantomeno incerto. Aveva sentito il cosmo di Tifone esplodere poco prima, ed era certo che Zeus lo stesse combattendo con tutte le sue forze, rischiando la distruzione reciproca, a cui Ares molto mirava. Non aveva più ispezionato l’Olimpo, impegnato ad affrontare Pegasus in battaglia, ma in cuor suo sperava che alcuni berseker fossero sopravvissuti e riusciti ad eliminare qualche nemico.

 

Ma il maggiore dispiacere di Ares era dovuto alla fine dei suoi figli, Phobos e Deimos, la cui utilità molto avrebbe giovato alla sua causa. Ed in quel momento rimpianse di non averli con sé, per ordinare loro di sfrecciare sull’Olimpo a far strage di quei poveri Dei e Cavalieri sopravvissuti.

 

Un rumore lo distrasse dai suoi pensieri, richiamando la sua attenzione alla battaglia in corso: Pegasus si era rimesso in piedi e stava camminando a fatica al centro del salone, diretto verso di lui, per quanto sangue sgorgasse dalle numerose ferite sul suo corpo ammaccato. Per fronteggiarlo, Ares si alzò nuovamente dal trono, mentre una strana angoscia, che mai aveva provato prima, si impadronì di lui e gli sembrò di ricordare la voce ghignante del suo malefico figlio.

 

“Non sottovalutare i Cavalieri di Atena!” –Gli aveva detto Flegias. –“Altrimenti rischiamo di cadere nell’errore di Issione e di Crono, che pensavano di poterli escludere dai loro progetti!”

 

Non li ho sottovalutati! Si disse, quasi a giustificare il fatto che fossero giunti alla Tredicesima Casa, dopo aver fatto strage di berseker. Hanno sconfitto l’Idra di Lerna e il suo guerriero, il Leone di Nemea e il berseker relativo, svelato gli inganni della Cerva di Cerinea, vinto il Cinghiale di Erimanto, sconfitto mio figlio Diomede, uno dei più meritevoli discendenti che abbia mai avuto, superato le Stalle di Augia, massacrato il Custode della Palude di Stinfalo, ucciso il Toro di Creta, sconfitto le Amazzoni ed Ippolita, stesi Ortro, Euritione e il terribile Gerione, ucciso Licaone e Ladone, e persino i miei figli! I miei figli!!! Si imbestialì Ares, realizzando finalmente il fallimento dei suoi progetti di dominio.

 

“Iaaaiii!!!” –Gridò Pegasus, lanciandosi nuovamente avanti. –“Fulmine di Pegasus!”

 

E quest’uomo continua ad attaccarmi! Quest’uomo ha ancora la forza per volgere i suoi pugni contro di me, ad una velocità impressionante, pari a quella della luce! Rifletté Ares, cercando di schivare le stelle cadenti che Pegasus lanciava contro di lui, rendendosi conto di doversi impegnare sempre di più. Basta!!! Bastaaa!!!

 

“Ira di Ares!!!” –Tuonò infine, scagliando contro Pegasus una devastante massa di infuocata energia. Ma il ragazzo seppe resistere, contrastando lo strapotere del nume con la sola forza delle mani, bloccando il suo demoniaco avanzare, mentre vampe di tremenda energia sferzavano sulle sue braccia e sulla sua armatura danneggiata. –“Non può essere! Non puoi resistere!!! Cadiii!!!” –Gridò Ares, spingendo sempre più.

 

La pressione aumentò sulle braccia di Pegasus, il quale venne lentamente ma inesorabilmente spinto indietro, scavando solchi nel terreno, per quanto non accennasse minimamente a muoversi e a farsi da parte, continuando a sostenere, con tremendo sforzo, l’assalto di Ares.

 

“Siamo con te!” –Esclamò Dohko, piantandosi davanti al ragazzo, con lo scudo dorato di Libra puntato verso Ares. Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix si rialzarono, unendo i loro cosmi a quelli dell’amico, e aiutandolo a respingere la devastante massa infuocata, con uno sforzo immane.

 

A tale vista Ares si imbestialì ancora di più, facendo esplodere il suo cosmo, travolgendo i sei Cavalieri, scheggiando le loro corazze e distruggendo lo Scudo d’Oro di Libra; quindi si accasciò a terra per lo sforzo, crollando sulle ginocchia, mentre i Cavalieri si schiantavano lontano, qualcuno contro le colonne, qualcuno contro resti di muro di quel che rimaneva della Tredicesima Casa.

 

Possibile?! Mormorò Ares, respirando a fatica. Che sia richiesto a me, Dio Supremo della Guerra, un simile sforzo? Che così tanto debba penare per aver ragione di sei mortali, di cinque stupidi ragazzini e di un vecchio bicentenario? E in quel momento, approfittando del momentaneo fuorigioco dei Cavalieri di Atena, lasciò vagare il suo cosmo fuori dal Grande Tempio, mentre il sole scompariva al di là delle Colonne d’Eracle e quel lungo giorno di sangue volgeva al tramonto. Trovò l’Olimpo, devastato come aveva richiesto, colle insanguinato e ferito, distrutto dalla furia dei berseker, dalla fetida massa assassina di Tifone, e ne raggiunse la cima, solamente per restare con l’amaro in bocca. Niente più rimaneva dell’inquietante esercito della Guerra e della Morte che aveva inviato sul Sacro Monte, nessuno respirava ancora dei cinquecento berseker da lui incitati. Tutti avevano trovato la morte, persino i suoi figli, i suoi diciassette figli: iniziando da Issione, ucciso giorni prima sull’Olimpo da Phoenix, e continuando con Ascalafo del Mazzafrusto e Ialmeno dell’Anfesibena, caduti per mano di Phantom dell’Eridano Celeste, Ossilo del Teschio Letale, ucciso da Asher, Enomao del Carro Furioso, vinto da Ascanio, Cicno il Brigante d’Anime, annientato da Mur, e Molo, Pilo e Testio, caduti di fronte al Cancello del Fulmine. Anche Tereo dell’Upupa e Driante dell’Arpa Nera, inviati a Glastonbury per ritardare l’avanzata dell’Ultima Legione, erano stati uccisi, come Eveno della Quadriga Celere, morto ai Cinque Picchi. E stessa sorte avevano trovato Diomede, alla Casa del Leone, Licaone, nel Bosco d’Oro, e Phobos e Deimos. Solamente di Flegias non era certo della sua fine, che fosse stato realmente annientato dall’Urlo di Atena. Ma in quel momento non gli importava niente di lui, né dei berseker caduti.

 

Solamente una cosa lo infastidiva, anzi lo faceva infuriare: il fatto che avessero fallito, che non fossero riusciti, anche grazie all’aiuto di Tifone, a sterminare gli Dei Olimpi e a conquistare la Reggia di Zeus, e che egli, bloccato ad Atene dagli insistenti tentativi dei Cavalieri di Atena, non potesse correre a dare il colpo di grazia agli stanchi difensori del Sacro Monte.

 

E sia dunque! Ringhiò, risollevandosi, mentre l’avvampante aurea del suo cosmo scarlatto si accendeva intorno a lui, scivolando nell’aria sotto forma di pressanti onde di energia. Cinquecento anni ho atteso! Cinquecento anni confinato nel limbo della dimenticanza, per tornare su questa terra infame! Cinque secoli in cui ho maturato la profonda convinzione, anzi la certezza, di riuscire a vincere! Di essere destinato a vincere, a dominare queste ignoranti masse di uomini, che come pecore nella nebbia si aggirano in questo strano mondo credendo di essere immortali, di essere superiori agli Dei stessi, sfidandoli con atteggiamenti provocatori e di sfida! Incapaci di comprendere la verità ultima, la più evidente: che sono destinati ad essere schiavi, succubi del potere più grande, da loro stessi creato: la guerra, sublime armonia cosmica! Ed io, Ares, ne sono il Signore! E mentre rifletteva, il Dio della Guerra si erse in tutto il suo ardore, osservando i timidi tentativi dei Cavalieri di Atena di rimettersi in piedi. Phoenix e Andromeda si erano rialzati e stavano espandendo il loro cosmo, pronti per attaccarlo, presto affiancati da Sirio e da Cristal. Ma l’assalto congiunto dei quattro Cavalieri si schiantò sull’invalicabile barriera rappresentata dallo Scudo di Ares, la cui oscura energia assorbì l’attacco rinviandolo indietro.

 

Approfittando di quel momento, in cui Ares abbassava lo scudo, gioendo del nuovo successo, Dohko si lanciò avanti, brandendo la Barra Gemellare e dirigendola verso il Dio, il quale fu svelto a spostarsi di lato, evitandola, e a scagliare un fendente energetico verso Dohko, con la sua Spada Infuocata. Libra fermò il piano energetico con la sua spada dorata, che si scheggiò in più punti, ma resse all’impatto, ma non riuscì a rispondere all’offensiva che Ares era già su di lui, fermando i suoi movimenti con le Onde di Terrore.

 

“Ma... maestro…” –Balbettò Sirio, rialzandosi, osservando Dohko tremare convulsamente, sospeso in aria, mentre la dorata corazza della Bilancia cigolava sinistramente, quasi fosse sul punto di schiantarsi. –“Excalibur!!!” –Esclamò Dragone, liberando la Sacra Spada, la quale scavò un solco nel terreno, raggiungendo Ares ed obbligandolo a saltare di lato.

 

Non riuscì però il nume a rimanere indenne, venendo raggiunto al braccio sinistro dall’affilata lama, che scheggiò parte della sua Veste Divina, facendo infuriare il Dio della Guerra, che bruciò il suo cosmo, stritolando Sirio tra infuocate vampe di energia rovente.

 

“Siriooo!!!” –Urlò Dohko, espandendo il dorato cosmo della Bilancia, e liberandosi dalle onde di energia di Ares. Senz’altro aggiungere, imbracciò la Lancia Bracciale, provocando esplosioni di luce, che disturbarono la vista del Dio della Guerra, prima di liberare il Colpo Segreto del Drago Nascente con la mano dalle dita mozzate.

 

Ares non ebbe problemi a fermare quel colpo, ma questo permise a Dohko di affiancare Sirio, che nel frattempo si era liberato dalle vampe stritolatrici, ed unire i loro cosmi, mentre le ardenti figure di dragoni scintillanti apparivano intorno a loro.

 

“Insieme, Sirio!” –Esclamò Dohko, portando entrambe le mani avanti.

 

“Colpo Dei Cento Draghi!!!” –Gridarono i due Cavalieri, mentre centinaia di luminosi dragoni verdi sfrecciavano nell’aria, diretti verso Ares, il quale, per contrastarli, ricreò lo Scudo di Ares. –“È inutile, Ares!!! Neppure tu puoi fermare le zanne dei Cento Draghi!!!” –Esclamò Dohko, spingendo ancora, per quanto poche fossero le forze rimastegli.

 

Ma sembrò realmente che il Dio potesse bloccare la devastante avanzata dei Cento Draghi uniti di Sirio e Dohko, se non che, servendosi di quel momento di disorientamento di Ares, Phoenix e Andromeda si lanciarono avanti, liberando i propri colpi migliori. Le Ali della Fenice e la Nebulosa di Andromeda travolsero lo Scudo di Ares, colpendo in pieno il Dio e scaraventandolo contro il muro posteriore, mentre i Cavalieri si accasciavano nuovamente a terra, privi di energia.

 

“Aaargh!!!” –Rantolò il nume, sbattendo contro il muro, e ricadendo a terra, con la Veste Divina danneggiata. –“Non… può essere! Lo Scudo di Ares!!! Superato?!”

 

“Non hai voluto ascoltarmi prima, e adesso ne paghi le conseguenze!” –Esclamò una voce, che costrinse Ares a sollevare lo sguardo da terra, prima di rialzarsi.

 

“Pegasus!!!”

 

“Usurata è la tua difesa, ed incapace di resistere ai nostri attacchi congiunti!”

 

“Follie!!!” –Tuonò Ares. –“Eresie che spazzerò adesso via…”

 

“No!!!” –Ripose perentoriamente Pegasus, concentrando il cosmo sul pugno destro, e scagliando contro Ares un violento pugno di energia, dalla forma di meteora lucente.

 

Il Dio, per quanto sorpreso, riuscì comunque a spostarsi a destra, schivando la devastante sfera energetica che si schiantò dietro di lui, facendo crollare quel che rimaneva delle mura retrostanti, stupendo Ares. E preoccupandolo non poco.

 

Improvvisamente, mentre Ares caricava nuovamente le sue braccia di poderosa energia rovente, la sua Veste Divina fischiò sinistramente, prima di creparsi in più punti, proprio sul braccio sinistro, apparentemente solo strusciato dalla meteora di Pegasus.

 

“Che cosa?!” –Gridò il Dio, stupefatto che il ragazzo fosse riuscito a colpirlo. –“Mi hai ferito?! Mi hai feritooo!!!” –Tuonò, espandendo di botto il suo cosmo infernale.

 

L’intero salone venne invaso da fiamme mortifere, che stridettero sulle armature dei Cavalieri, scaraventandoli lontano, mentre la furia del Dio si abbatteva su Pegasus. Un pugno in pieno viso gli fracassò la mascella, mentre il ragazzo non poteva muoversi, bloccato, sospeso in aria, dal potere di Ares, prima che un secondo pugno lo colpisse al ventre, crepando la sua luminosa corazza.

 

“I miei sogni di dominio!” –Avvampò Ares. –“I miei progetti di conquista naufragati a causa vostra, maledetti Cavalieri di Atena! Voi, piccoli esseri insignificanti, avete osato sfidare il Dio Supremo della Guerra, avete sconfitto i miei berseker, sterminato i miei figli, mandato in fumo i miei ideali!!!” –E mentre parlava colpiva Pegasus continuamente, incapace di muoversi e incapace di ricevere aiuto, poiché i compagni si stavano dimenando nelle mortali fiamme incandescenti.

 

“Adesso morirete! Qua! Pagando il fio dell’esservi opposti a me, principio ispiratore di ogni atto umano!” –E colpì il petto di Pegasus con violenza tale da scaraventarlo lontano, frantumando l’Armatura Divina proprio all’altezza del cuore. –“Rialzati!!!” –Gridò. –“Ho ancora tanta rabbia da sfogare! Tanta distruzione da portare!” –E così dicendo sollevò il braccio destro, iniziando a concentrare il cosmo sull’indice.

 

Phoenix, intrappolato tra le fiamme, nel vedere quella posizione, urlò improvvisamente, avvertendo Pegasus, e gli amici tutti, di fare attenzione, di impedire al Dio di usare quell’arcano potere, che Deimos aveva utilizzato ore prima.

 

“Farò strage dei vostri spiriti!” –Ghignò Ares sadicamente, mentre tutto il suo coso convergeva intorno a lui, allentando persino la presa sulle vampe infuocate.

 

“Non te lo permetterò!” –Mormorò Pegasus, rialzandosi ed espandendo il cosmo azzurro. –“Cometa di Pegasus!!!” –Gridò, liberando una scintillante cometa di energia, che sfrecciò verso il nume, il quale credette di fermarla con lo Scudo di Ares, ma essa lo distrusse, stupendo il Dio e obbligandolo, a quel punto, a portare entrambe le braccia avanti per fermare la sfera di luce, la quale esplose tra le sue mani, annullando la concentrazione necessaria per scagliare lo Strage di Spirito.

 

“Alzatevi amici miei!” –Esclamò Pegasus. –“Alzatevi e combattiamo insieme l’ultimo nemico!!!”

 

“Pe... gasus!!!” –Rantolò Cristal, sdraiato a terra in una pozza di sangue.

 

“Noi…” –Mormorò Andromeda, cercando di rimettersi in piedi. Ma fu solo Sirio colui che riuscì a rialzarsi, ansimando a fatica, mentre il Dio della Guerra osservava i due Cavalieri con atroce disperazione, desiderando porre termine quanto prima a quell’assurdo scontro che, nei suoi progetti,  avrebbe dovuto concludersi già da tempo, con la sua inequivocabile vittoria.

 

“Sei con me, Dragone?”

 

“Come sempre!” –Sorrise Sirio. –“Fino alla fine del mondo!”

 

“E forse anche più in là!” –Aggiunse Pegasus, prima di bruciare al massimo il cosmo delle tredici stelle, disegnando nell’aria la sagoma del cavallo alato. Sirio imitò l’amico, socchiudendo gli occhi, ed evocando la scintillante immagine del Drago di luce, prima di lanciarsi avanti insieme a Pegasus.

 

“Fulmine di Pegasus!!! Colpo Segreto del Drago Nascente!” –Esclamarono i due, liberando i loro classici colpi, portati al massimo della loro lucente potenza.

 

La purezza e l’ardore di quell’assalto stupì lo stesso Ares, che decise di non ripetere l’esperienza dello scudo difensivo, contrattaccando immediatamente con il suo cosmo avvampante, contro cui si scontrò il doppio attacco dei Cavalieri, provocando una violenta esplosione che spinse tutti indietro, sollevando polvere e facendo crollare mura e colonne.

 

Quando Ares riuscì a vedere di nuovo, trovò i due Cavalieri di fronte a sé, stanchi ma determinati a continuare a lottare; sollevò la Spada Infuocata, calandola su Sirio, ma Pegasus fu svelto a porsi di fronte all’amico, afferrando la lama con entrambe le mani, per quanto il dolore delle oscure fiamme dilaniasse la propria pelle e cercasse di intaccare il suo spirito.

 

“Folle!! Come Ioria prima di te!!!” –Gridò Ares, spingendo con foga. –“E come Ioria morirai!!!”

 

“Come Ioria vivrò!!!” –Rispose Pegasus, espandendo al massimo il cosmo e riuscendo, di fronte allo sguardo attonito del Dio, a spingere in alto la spada, vincendo la resistenza dello stesso Ares.

 

Un violento calcio del ragazzo colpì Ares in pieno ventre, facendolo accasciare, mentre un secondo calcio raggiunse il suo braccio destro, facendo volar via la spada e lasciando il Dio disarmato di fronte a Pegasus.

 

“Muoriii!!!! –Tuonò Ares, infervorato, evocando infinite fiamme di morte che avvolsero il corpo di Pegasus, determinate a stritolarlo. Ma l’improvvisa esplosione del cosmo del ragazzo lo liberò dal mortifero giogo, scaraventando Ares indietro, mentre Pegasus, boccheggiando, riusciva a mantenersi in piedi.

 

“Alzatevi!” –Ripeté il ragazzo, esortando i compagni di sempre. –“Alzatevi amici, e unitevi a me in questa battaglia! Che sia l’ultima che dobbiamo combattere per la giustizia e la libertà su questa splendida Terra!”

 

“Pegasus…” –Rantolarono Andromeda e Phoenix. –“Siamo con te!” –Esclamarono Sirio e Cristal.

 

“Memori delle battaglie combattute fianco a fianco, contro tutti gli oscuri nemici che hanno tentato di sovvertire l’ordine del mondo, Arles, Discordia, Nettuno, Apollo, Lucifero, Ade e Crono, troviamo dentro di noi, nei nostri impetuosi cuori ardenti, la forza per reagire, e continuare a lottare, credendo in noi stessi e in ciò che siamo! Angeli da una stessa ala in volo verso l’infinito!” –E così dicendo, Pegasus espanse al massimo il proprio cosmo azzurro, mentre Sirio, Andromeda, Cristal e Phoenix facevano altrettanto, lasciando che i loro cinque cosmi si unissero in uno soltanto, colorato e splendente come l’arcobaleno. –“Forse sarà l’ultima, forse finirà tutto qua, ma se così fosse avremo avuto l’onore di viverla insieme!” –Esclamò, concentrando la sua energia sul pugno destro.

 

“Per Atenaaa!!!” –Gridò Dragone, liberando i Cento Draghi d’Oriente.

 

“Insieme!!!” –Urlarono Andromeda e Phoenix, lanciando la Nebulosa e le Ali della Fenice.

 

“In nome dei Cavalieri d’Oro!” –Aggiunse Cristal, sbattendo con foga i pugni uniti avanti a sé.

 

“Cadi… Ares!!!” –Concluse Pegasus, mentre il lucente assalto congiunto sfrecciava verso il Dio della Guerra, che non poté far altro che cercare di contrastarlo scatenando l’Ira di Ares.

 

Il violento contraccolpo scaraventò tutti i contenenti indietro, mentre le Divine corazze che li ricoprivano si schiantavano in più punti, sia quelle dei Cavalieri che quella del Dio, il quale fu comunque il primo a rimettersi in piedi, osservando il desolato paesaggio di fronte a sé.

 

Ares ansimava a fatica, perdendo sangue da numerose lesioni sul suo corpo, mentre la Veste Divina era crepata in più punti, come il suo ego ferito. Per un momento ricordò la precedente Guerra Sacra contro Atena, e la sensazione provata durante la sua sconfitta finale. Morte! Mormorò, rievocando quel momento. Morte! Ripeté, sentendolo nuovamente vicino, nuovamente dentro di sé. Fece qualche passo, barcollando, mentre il suo diabolico cosmo avvampava attorno, per quanto in maniera inferiore rispetto a prima. Fiamme di un caminetto potevano sembrare, agli occhi dei Cavalieri di Atena, contro le infernali vampe che li avevano in precedenza ostacolati.

 

“Giunge anche per voi la fine!!!” –Tuonò Ares, mentre i cinque compagni si rimettevano in piedi.

 

“Morirai con noi, Ares!” –Sibilò Pegasus, ansimando.

 

Improvvisamente, mentre il Dio concentrava il suo cosmo sul braccio destro, evocando vampe portatrici di morte, un fascio di luce nera lo investì in pieno, provenendo dal distrutto soffitto del Tempio. Un raggio di luce che si fece sempre più grande, al punto da ricoprire l’intera figura di Ares, stupefatto quanto i Cavalieri di tale simile prodigio. E subito, all’interno del cono di luce nera, la figura del Dio iniziò a scomparire, venendone assorbita. Gridò, Ares gridò come un forsennato, mentre le sue carni scomparivano, annichilite dalla silenziosa violenza del fascio stesso.

 

“Noooo!!!” –Urlò, e quello fu l’ultimo suono che i sei Cavalieri di Atena udirono, prima che il silenzio scendesse nuovamente sul Grande Tempio.

 

Ares era scomparso, di fronte ai loro occhi stupefatti, inghiottito da un ignoto fascio di energia che aveva tolto di mezzo il loro potente nemico. Per un momento ne furono quasi lieti e si lasciarono cadere a terra, sbattendo con fragore le ginocchia sul pavimento, boccheggiando convulsamente, stanchi dalle lunghe ed estenuanti battaglie. Quindi si rinvennero, al sibilante suono di una risatina che gelò loro il sangue.

 

Istintivamente si voltarono verso l’ingresso della Tredicesima Casa, e là, tra le rovine del Tempio, mentre il sole si tingeva di amaranto e scompariva ad Occidente, osservarono una figura sogghignare con perfidia e violenza. Ricoperto dalla sua Armatura Divina, scheggiata in più punti, Flegias, il Rosso Fuoco, sorrise malignamente, tronfio del suo successo. Si tastò il collo, sfiorando con le dita una pietra nera che indossava, prima che una tenebrosa luce lo avvolgesse.

 

“L’apocalisse sta per arrivare!” –Mormorò. –“E tutti voi sarete travolti!” – E scomparve, lasciando i Cavalieri stupefatti e sconvolti.

 

All'improvviso, mentre Pegasus e gli altri si chiedevano cosa stesse accadendo, Dohko, disteso in terra vicino a loro, iniziò ad avere violente convulsioni che sembrarono dilaniarlo dall’interno.

 

“Maestro… Maestro!!!” –Gridò Sirio, spaventandosi, chinandosi su di lui.

 

“L’ombra! La grande ombra… sta scendendo su di noi! Ci oscurerà!!!” –Esclamò confusamente Dohko, mentre nei suoi occhi un oscuro potere risplendeva, facendoli infiammare.

 

Phoenix, a tale vista, arretrò di un passo, cercando lo sguardo di Andromeda, e ricordando di aver visto una scena simile, una sensazione simile, quando aveva fissato gli occhi del fratello, dopo che Ade si era in lui reincarnato.

 

“L’eclissi… il sole... tutto si spegnerà quando calerà l’inverno!” –Ripeté Dohko, smaniando convulsamente, di fronte agli occhi preoccupati dei cinque amici.

 

Quindi si calmò, mentre il suo viso ritrovava la serenità che gli era propria, ricominciando a respirare normalmente, libero dall’oscuro maleficio che aveva ghermito la propria anima in quei brevi, ma intensi, momenti. Spostò lentamente il capo, incrociando lo sguardo di Sirio, chino sopra di lui, impensierito quanto i cinque amici da un futuro che mai come in quel momento parve loro incerto. Mai come in quel momento non degna di tale nome.

 

 

 

 

 

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Capitolo 43
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

La mattina successiva, mentre il sole sorgeva nuovamente sull’affaccendata Nuova Luxor, Patricia si svegliò nel suo letto, nell’appartamento della Darsena nel quale aveva vissuto insieme a Pegasus per tutti i mesi successivi alla fine della Guerra Sacra contro Ade. Per un momento, l’odore del mare la fece sorridere, incantandola con la sua magia, e facendole credere che il fratello sarebbe uscito presto dalla doccia, con i capelli scombinati; ma poi la consapevolezza del reale la travolse nuovamente, facendola alzare di scatto dal letto, angosciata come non mai. Incerta come mai si era sentita prima.

 

Pegasus…” –Mormorò la ragazza, e quello fu il suo primo pensiero.

 

Nello stesso momento, a migliaia di chilometri di distanza da Luxor, e dal Giappone, in una caverna sotterranea dagli ampi soffitti, dove fiaccole di viva luce rischiaravano i visi decisi, ma preoccupati, dei presenti, un vecchio dalla barba bianca sedeva su una poltrona di legno, di fronte a quattro giovani ricoperti da scintillanti armature.

 

Flegias non ha trovato il talismano!” –Mormorò un ragazzo, dai corti capelli castani e gli occhi azzurri come il mare.

 

“Ma neppure noi!” –Commentò malinconicamente una voce di donna, l’unica tra le cinque voci.

 

“Non crucciatevi di ciò che è stato!” –Li rincuorò l’anziana guida, abbozzando un sorriso. –“Altri hanno beneficiato del nostro aiuto!”

 

“Ma il tempo stringe… dobbiamo sbrigarci!” –Incalzò un ragazzo dai biondi capelli, stringendo in mano un lungo bastone dorato. –“Riusciremo a trovarlo prima che la grande ombra scenda su di noi?!”

 

“Ce la faremo, Jonathan! Ce la faremo!” –Commentò il giovane dagli occhi azzurri, incontrando lo sguardo annuente del vecchio dalla barba bianca. –“Ci siamo preparati per tutta la vita, e non falliremo!”

 

“Che le stelle siano con noi!” –Mormorò l’antico saggio, prima di sospirare.

 

 

 

 

 

 

© ALEDILEO Per tutti i personaggi inediti

 

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Capitolo 44
*** Schede tecniche Cavalieri di Atena, Olimpo, Asgard e Avalon ***


SCHEDE TECNICHE ATENE, OLIMPO, ASGARD e AVALON

 

CAVALIERI DI BRONZO

 

PEGASUS:

Pegasus è inizialmente in crisi, preoccupato per le sorti di Atena, che tanto dolore ha patito prigioniera della Torre del Fulmine. Inizia a rendersi conto che per lei prova forse qualcosa che va al di là dei rapporti di fiducia e fedeltà di un Cavaliere verso la propria Dea. Saputa la minaccia di Ares, Pegasus si reca al Grande Tempio con i suoi compagni, preoccupato che il Dio della Guerra abbia rapito o ferito Patricia. Dopo un breve screzio con Flegias, Pegasus si lancia in una nuova corsa attraverso le Dodici Case, adesso occupate dai berseker di Ares, che impongono ai Cavalieri di Atena dodici nuove fatiche, come quelle di Ercole nel mito. Pegasus vince facilmente il Leone di Nemea e il guerriero relativo, venendo però adescato dalla Cerva di Cerinea. Affronta alla svelta le cavalle di Diomede e gli uccelli di Stinfalo, prima di iniziare un violento scontro con il guerriero del Toro di Creta. Combatte fianco a fianco con gli amici contro Gerione, e brevemente contro Ladone, prima di correre alla Tredicesima Casa e affrontare Ares. Assieme ai suoi compagni, assiste impotente alla scomparsa del Dio della Guerra e alla risata sadica di Flegias, che avverte tutti dell’avvento della grande ombra.

(Colpi segreti: Fulmine di Pegasus, Spirale di Pegasus, Cometa Lucente, Quadrato di Pegasus)

 

SIRIO il DRAGONE:

Sirio continua ad essere il grande amico di Pegasus, preoccupato per lui e per il dolore che prova per le sorti di Atena. Come Pegasus, anche Sirio è in pena per Fiore di Luna, e non esita a lanciarsi nella nuova Corsa attraverso le Dodici Case, ingaggiando battaglia subito alla prima, contro il guerriero dell’Idra di Lerna. Alla terza viene adescato anch’egli dall’inganno della Cerva di Cerinea, e a alla quinta si lancia in un duro combattimento con Diomede, il violento figlio di Ares. Alla decima casa affronta Gerione, il terribile gigante, con l’aiuto del suo maestro e, adesso, amico, Dohko della Libra, e sempre a fianco di Libra combatte contro Flegias, correndo in aiuto di Cristal nel giardino delle Esperidi. Costretto a usare l’Urlo di Atena, contro il demoniaco figlio di Ares, Sirio corre infine alla Tredicesima Casa, per affrontare il Dio della Guerra assieme ai suoi compagni.

(Colpi segreti: Colpo segreto del Drago Nascente, Colpo del Drago Volante, Colpo dei Cento Draghi, Excalibur, Acque della Cascata)

 

CRISTAL il CIGNO:

Cristal non fa inizialmente parte del gruppo di Cavalieri che affronta le dodici Fatiche di Ares, essendosi recato ad Asgard assieme a Ilda, per ricondurvi i corpi di Mizar e Alcor. Nella cittadina nordica assiste ad una ribellione improvvisata di alcuni nobili, che volevano uccidere Ilda, prima di recarsi nella vera Asgard, al di là delle nuvole, per rivedere, seppur brevemente, Flare. Sentendo cosmi ostili minacciare il suo villaggio in Siberia, Cristal torna nelle terre ove si era addestrato, per sgominare un gruppo di berseker e affrontare la terribile Enio, Dea della Strage. In suo aiuto giunge però un misterioso Cavaliere, dalla splendida armatura azzurra, la cui identità Cristal scoprirà soltanto mesi dopo. Corre infine ad Atene, in tempo per salvare Sirio dalla furia delle cavalle di Diomede e affrontare Augia, alla Sesta Casa. Affianca i compagni contro Gerione, prima di combattere il mostruoso Ladone, sostenuto da Scorpio, che si sacrificherà per lui, per proteggerlo da Flegias. Irato, Cristal unisce il suo cosmo a quelli di Sirio e Libra, per lanciare l’Urlo di Atena contro il demoniaco figlio di Ares, prima di correre alla Tredicesima Casa per combattere proprio contro il Dio della Guerra.

(Colpi segreti: Polvere di Diamanti, Aurora del Nord / Vortice Fulminante dell’Aurora, Anelli di ghiaccio,  Sacro Acquarius, Spada di ghiaccio)

 

ANDROMEDA:

Andromeda si lancia con i compagni nella nuova corsa attraverso le Dodici Case, affondando prima l’Idra di Lerna, a fianco del fratello, poi venendo ferito dalla Cerva di Cerinea. Alla Quarta Casa impegna battaglia contro il guerriero del Cinghiale di Erimanto, scoprendo il suo dolore, e alla Settima la sua catena si rivela abile arma contro gli uccelli della palude di Stinfalo, prima di sconfiggere il suo custode. Combatte contro Gerione assieme ai compagni, e brevemente contro Ladone, fronteggiando di nuovo l’incubo del suo passato alla Dodicesima Casa. Dà una splendida prova di sé nel piazzale antistante la Tredicesima Casa, fronteggiando Phobos, e vincendo i fantasmi del suo passato. Assieme a Pegasus e gli altri, combatte infine contro Ares.

(Colpi segreti: Catena di Andromeda, Onde del Tuono, Nebulosa di Andromeda, Onda Energetica, Melodia scintillante di Andromeda)

 

PHOENIX:

Phoenix, superato il trauma della scoperta della sorte di Esmeralda, uccisa per volontà di Issione, è adesso più forte e maturo, e finalmente in grado di correre a fianco dei suoi compagni. Affronta l’Idra di Lerna con Andromeda e ingaggia combattimento con la Cerva di Cerinea, aiutato dal vecchio amico Morfeo, prigioniero in chissà quale limbo sconosciuto. Alla Nona Casa combatte contro Ippolita, in uno scontro che è anche un tentativo per entrambi di conoscersi meglio, e per Phoenix è anche un modo per andare avanti. Alla Dodicesima Casa fronteggia la violenta furia di Deimos, venendo aiutato proprio dalla stessa Ippolito, che per amore di lui morirà. Unisce il suo cosmo a quello degli amici, nello scontro finale con Ares.

(Colpi segreti: Ali della Fenice, Fantasma Diabolico, Pugno Infuocato, Piume della Fenice, Volo dell’ultima fenice)

 

ASHER dell’UNICORNO:

Asher è l’unico sopravvissuto al massacro di Flegias e dei berseker al Grande Tempio. Salvato da Kiki, grazie al teletrasporto, e condotto sull’Olimpo, Asher dà una magnifica prova di sé, ergendosi a difesa del Cancello del Fulmine e affrontando Ossilo del Teschio Letale con coraggio. Sorretto dagli spiriti dei quattro amici morti in guerra, Asher riesce a vincere il suo nemico, prima di unire il proprio cosmo a quello degli altri compagni contro Tifone.

(Colpi segreti: Criniera dell’Unicorno, Corno d’Argento)

 

BAN del LEONE MINORE, BLACK il LUPO, ASPIDES dell’IDRA, GEKI dell’ORSA:

I quattro Cavalieri di Bronzo vengono massacrati da Flegias e dai berseker, durante l’assalto al Grande Tempio, venendo brutalmente uccisi. Le loro teste sono conficcate su picche nere e piantate ai piedi della scalinata delle Dodici Case, come ammonimento e sfida verso i Cavalieri di Atena. Dall’alto del paradiso dei Cavalieri, i quattro proteggeranno sempre Asher.

 

NEMES del CAMALEONTE:

Nemes compare brevemente nella storia, quando cerca di mettere in salvo Patricia, e se stessa, dalla furia distruttiva dei berseker, a Nuova Luxor. Verrà salvata da un Cavaliere sconosciuto, dotato di uno scettro in grado di emettere un’accecante luce dorata. Condotta in una caverna sotterranea, vi rimarrà, assieme a Patricia e a Fiore di Luna, fino al termine della Grande Guerra contro Ares.

 

CAVALIERI D’ARGENTO:

 

TISIFONE del SERPENTARIO:

Tisifone continua a crescere e, dopo i successi riportati nella scalata all’Olimpo, adesso combatte fianco a fianco con Artemide, contro i demoniaci figli di Ares, Phobos e Deimos. Assiste alla disfatta dell’esercito celeste di Zeus e all’assalto di Tifone, unendo il proprio cosmo a quello dei compagni, per difendere il Monte Sacro.

(Colpi segreti: Cobra Incantatore, Artigli del Cobra)

 

CASTALIA dell’AQUILA:

Castalia è una ragazza confusa, il cui incontro con Phantom dell’Eridano Celeste ha messo in crisi tutte le certezze su cui la sua vita si era basata. Il ritorno di Ioria e l’incertezza sul suo futuro, soprattutto i suoi sentimenti, ne fanno una donna molto fragile, per quanto in battaglia rimanga comunque molto combattiva. Nel tentativo di chiarire con il Cavaliere di Leo, si offre di accompagnarlo alla ricerca di Virgo, provando ad aiutarlo nello scontro con Ares, ma venendo massacrata dal Dio. Salvata, per miracolo, dalla distruzione dell’isola dell’Apocalisse, Castalia conosce Reis, un Cavaliere delle Stelle, di cui ignorava l’esistenza, ma che, a quanto pare dai loro sguardi d’intesa, Ioria conosceva invece molto bene. E di questo neppure lei sa se esserne o meno gelosa.

(Colpi segreti: Cometa pungente, Volo dell’Aquila reale)

 

CAVALIERI D’ORO:

 

MUR dell’ARIETE:

Mur ha modo di praticare quella raffinata arte di cui è unico padrone tra i Cavalieri di Atena, riparando le Armature d’Oro dei suoi compagni, soprattutto quella di Ioria, danneggiate durante la scalata all’Olimpo. Scende in campo personalmente, per affrontare Cicno, il Brigante di Anime, ma si rivela incapace di richiamare le loro anime. Unisce infine il proprio cosmo a quello dei compagni, e di Kiki, per proteggere il Sacro Monte dall’avvento di Tifone.

(Colpi segreti: Muro di Cristallo, Onda di Luce stellare, Per il Sacro Ariete/Rivoluzione stellare, Ragnatela di Cristallo)

 

IORIA del LEONE:

Ioria è dinamico e attivo, incapace di stare con le mani in mano ad attendere passivamente gli eventi. Prega Mur di riparare la sua corazza e si reca quindi sulle tracce di Virgo, seguito da Castalia, con cui ha occasione di parlare, chiarendo che i sentimenti che prova per lei non sono niente di diverso da rispetto e amicizia, verso una persona che gli è stato accanto nei giorni più tristi e difficili. Combatte una cruenta battaglia con Ares, sull’Isola dell’Apocalisse, venendo massacrato dal Dio, ma non arretrando mai di un passo, determinato a salvare l’amico. Teletrasportato proprio da Virgo, prima dell’esplosione dell’Isola dell’Apocalisse, Ioria si sente in colpa per il suo fallimento, e subisce l’assalto di Enio, Dea della Distruzione. In suo soccorso giunge Reis, la ragazza che quattordici anni prima aveva conosciuto sotto il cielo d’Egitto. Una ragazza a cui non aveva mai smesso di pensare per tutto quel tempo.

(Colpi segreti: Per il Sacro Leo, Lighting Fang, Photon Burst)

 

VIRGO:

Virgo compare poco nella storia, ma la sua presenza è fondamentale per mettere in moto Ioria e per influenzare il suo stato d’animo, di ansia prima, di ardore per salvare l’amico e di delusione per il fallimento poi. Massacrato da Ares, Flegias, Phobos e Deimos, Virgo utilizza gli ultimi barlumi del suo cosmo per mettere in salvo Ioria e Castalia, prima che l’Isola dell’Apocalisse esploda, e lui con essa.

(Colpi segreti: Kaan)

 

DOHKO di LIBRA:

Libra è ormai diventato un amico e un compagno di Sirio, di cui non si sente più il maestro, ma al suo stesso piano. Corre ai Cinque Picchi, per sincerarsi delle condizioni di Fiore di Luna, ma trova soltanto corpi di berseker massacrati. Ingaggia battaglia contro Eveno, della Quadriga Celere, prima di ritornare in Grecia, dove corre in aiuto di Sirio contro il Gigante Gerione, affrontandolo assieme a lui. In seguito, sempre assieme a Sirio, Libra affronta Flegias, e nel combattimento gli vengono portate via alcune dita, mozzate dall’infuocata spada del figlio di Ares. Costretto a usare l’Urlo di Atena, con Sirio e Cristal, Libra cerca di mettere fine a quel combattimento micidiale, che è costato la vita anche del Cavaliere di Scorpio.

(Colpi segreti: Colpo segreto del Drago Nascente, Colpo dei Cento Draghi)

 

SCORPIO:

Scorpio si reca a Nuova Luxor, per controllare Nemes e Patricia, ma anziché trovare le ragazze, incontra solo segni di lotta e i corpi morti dei berseker di Ares. Chiedendosi chi le abbia salvate, fa quindi ritorno in Grecia, per aiutare i Cavalieri di Atena contro Gerione. Nel giardino delle Esperidi, affronta e vince Licaone e poi unisce i suoi poteri a quelli di Cristal, aiutandolo contro Ladone. Molto debole, protegge infine il Cavaliere del Cigno, offrendo il suo corpo come scudo nell’attacco di Flegias. Muore ucciso dal figlio di Ares, con una spada piantata nel collo. Il suo corpo sarà in seguito condotto nel cimitero del Grande Tempio.

(Colpi segreti: Cuspide Scarlatta, Onde di Scorpio, Chele dorate dello Scorpione, Cometa di Antares)

 

CAVALIERI D’ACCIAIO:

 

SHADIR del Cielo, BENAM della Terra, LEAR dell’Acqua:

I Cavalieri d’Acciaio sono tra le vittime della sanguinosa guerra scatenata da Ares, cadendo nell’ospedale della Fondazione Thule, barbaramente uccisi dai berseker, per difendere Patricia e Nemes.

 

DIVINITA’ e GUERRIERI DEL NORD:

 

ILDA di Polaris:

Ilda fa ritorno ad Asgard assieme a Cristal e ad Ermes, per condurvi le salme dei defunti Mizar e Alcor. Assiste impotente alla rivolta contro di lei, capeggiata dal Conte Turin, un uomo che in passato le era stato spesso a fianco. Dispiaciuta, la Regina di Asgard inizia a chiedersi cosa stia accadendo nella sua città, se la grande ombra, tanto evocata da Flegias, non sia destinata a coprire anche il cielo del nord.

 

FLARE:

Flare compare brevemente nella storia, ancora rifugiata nella vera Asgard, alla corte di Odino. Preoccupata per le sorti di Cristal, lo abbraccia con calore, felice di rivederla, ma al tempo stesso si chiede cosa prova davvero per lui. E cosa per Artax.

 

ARTAX, ORION, MIZAR, ALCOR:

I Cavalieri di Asgard compaiono brevemente nella storia, quando Cristal ritorna nella vera Asgard, per salutare Flare e conferire con Odino, per ringraziarlo dell’aiuto prestatogli. Orion conferma a Cristal il dono di Gramr, la spada con cui uccise Fafnir.

 

ODINO, Signore degli Asi, FREYR, Dio del Sole, HEIMDALL, Guardiano del Ponte Arcobaleno:

Heimdall, Odino e Freyr vengono intravisti quando Cristal ritorna brevemente ad Asgard, ma il Dio degli Asi sembra non interessato ad incontrarlo, chiuso nelle sue meditazioni e preoccupato per un’antica profezia. Pare infatti che il Ragnarok, per Asgard, stia infine per arrivare.

 

DIVINITA’ GRECHE:

 

ZEUS, Signore dell’Olimpo:

Recuperato il trono, perso per l’attacco di Crono, Zeus organizza le difese del Monte Sacro, ma non si limita a mandare avanti i suoi Cavalieri, decidendo di intervenire lui stesso. Richiama la Legione nascosta a Glastonbury secoli prima, durante la Guerra di Britannia, in cui Avalon gli concesse tale onore in virtù dell’aiuto prestato dai Cavalieri di Grecia. Risveglia gli Ecatonchiri per affrontare Tifone, e poi si scontra con lui direttamente, cercando di comprendere l’origine del male di tale creatura.

(Colpi segreti: Fulmini di Zeus)

 

ERA, Sposa di Zeus:

Il ruolo di Era è molto limitato. Più che Divinità gelosa e capricciosa, Era è adesso una donna preoccupata, per le sorti del suo amante e signore, e per il destino dell’Olimpo. Seppur esitante, acconsente alle richieste di Zeus, e dona una goccia del suo sangue per risvegliare gli Ecatonchiri.

 

ERMES, Messaggero degli Dei:

Ermes ha recuperato il posto di consigliere privato del Sommo Zeus, e continua a dimostrarsi un servitore fedele e al tempo stesso molto giudizioso. Accompagna Cristal e Ilda ad Asgard, prima di correre in aiuto di Efesto e Euro sull’Etna. Unisce infine il proprio cosmo a quello delle altre Divinità e dei Cavalieri di Atena e di Zeus per difendere il Monte Sacro da Tifone.

(Colpi segreti: Caduceo):

 

ATENA, Dea della Giustizia:

Atena è inizialmente molto debole, per le ferite riportate durante la prigionia nella Torre del Fulmine, ma non esita a scendere in campo personalmente, per difendere Zeus e l’Olimpo da Tifone. Concede una goccia del suo sangue per risvegliare gli Ecatonchiri e combatte, rivestita dalla sua Veste Divina, contro Tifone, preoccupata intanto per le sorti di Pegasus e degli altri impegnati ad Atene.

 

ARTEMIDE, Dea della Caccia:

Battagliera e ardita, Artemide è una guerriera tenace, desiderosa di difendere il Monte Sacro e anche di farla pagare ai bastardi figli di Ares, soprattutto a Phobos e Deimos, con cui ha un aperto conto in sospeso. Li affronta assieme a Tisifone, riconoscendone il valore, evocando addirittura gli antichi spiriti della Foresta. Unisce infine il suo cosmo a quello delle altre Divinità e degli altri Cavalieri di Atena e Zeus per contrastare l’assalto di Tifone.

(Colpi segreti: Dardo di Artemide, Spiriti della Foresta)

 

EFESTO, Dio del Fuoco e della Metallurgia:

Efesto, l’abile fabbro dell’Olimpo, è un Dio molto arrabbiato, con Ares e con la vita, per la morte di Afrodite, l’unica donna che mai lo avesse amato. Ripara le Armature Divine dei Cavalieri di Atena, potenziandole con il mithril, e affronta in seguito Flegias e Enio, sulla bocca dell’Etna. Aiutato da Euro, non riesce però ad impedire il risveglio di Tifone, l’ancestrale mostro che vuole distruggere l’Olimpo. Salvato da Ermes, riesce a rientrare sul Monte Sacro proprio in tempo per difenderlo dall’assalto dei berseker e del mostruoso Tifone.

(Colpi segreti: Lava Incandescente)

 

DEMETRA, Dea delle Coltivazioni:

Demetra è una Dea molto giudiziosa, che cerca di compensare la sua debolezza in battaglia con l’astuzia e con la cura dei feriti. Aiuta i Dioscuri, nello scontro con Kampe, curando poi le loro ferite, prima di unire il proprio cosmo a quello delle altre Divinità e ai Cavalieri di Atena e di Zeus per contrastare l’avanzata di Tifone.

 

ASCLEPIO, Dio della Medicina:

Asclepio si occupa di prendersi cura di Atena e delle ferite dei Cavalieri sull’Olimpo, sostenendo Zeus e difendendo con lui il Sacro Monte. È meno combattivo delle altre Divinità, per il particolare legame che lo lega a Flegias, essendo figlio di Coronide, appunto figlia di Flegias.

 

ARES, Dio della Guerra Violenta:

Dopo cinquecento anni trascorsi in un limbo senza fine, Ares viene liberato da Flegias, grazie all’oscuro potere della Pietra Nera, e convinto dal figlio a riprendere le armi contro Zeus. Sfruttando il potere accumulato dallo Scudo di Ares durante la scalata dei Cavalieri di Atena all’Olimpo, e incanalato nella pietra nera, Ares riorganizza il suo esercito di berseker, lanciandoli contro i Cavalieri e le Divinità Olimpiche. Occupa il Grande Tempio di Atena, facendone il proprio centro di comando e stabilendosi alla Tredicesima Casa.

Arrogante e superbo, non si fida di nessuno, neppure dei suoi figli, per i quali non prova alcun sentimento di affetto. Anche loro infatti, come tutti i suoi berseker, servono solo al suo scopo, che è quello di ergersi a dominatore del mondo. Combatte contro Ioria sull’Isola dell’Apocalisse, massacrando il Cavaliere di Leo e Castalia, e poi fronteggia l’assalto di Pegasus e dei suoi compagni alla Tredicesima Casa. Non sconfitto da loro, viene però assorbito da un fascio di energia nera, che mette bruscamente fine ai suoi progetti di dominio.

(Colpi segreti: Spada Infuocata, Tremor, Onde di Terrore, Ira di Ares)

 

ENIO, Dea della Strage e della Distruzione:

Enio è l’amante di Ares, la mostruosa donna con cui il Dio si sollazza nelle sue notti di passione. Combatte contro Cristal in Siberia, venendo interrotta dall’arrivo di un misterioso Cavaliere dall’armatura azzurra. Quindi ritorna a sud, dove affronta Efesto sul vulcano Etna, aiutando Flegias a liberare Tifone. Infine combatte contro Ioria e contro Reis, sulle sponde del lago di lava ove sorgeva l’Isola dell’Apocalisse. Viene ferita dalla Spada di Luce, e gettata da Ioria nella lava, morendo arsa viva.

(Colpi segreti: Drops of Loliness, Esercito della Disperazione)

 

EURO, Vento dell’Est:

Generoso e nobile, Euro è l’ultimo ancora vivo dei quattro figli di Eos. Interviene personalmente per aiutare Efesto contro Flegias, venendo però ferito dalla violenza del figlio di Ares, e salvato da Efesto e Ermes.

(Colpi segreti: Vento dell’Est)

 

CAVALIERI CELESTI:

 

PHANTOM dell’ERIDANO CELESTE, Luogotenente dell’Olimpo:

Il Luogotenente dell’Olimpo si conferma un personaggio carismatico, fedele servitore di Zeus e grande ammiratore dei Cavalieri di Atena e dei loro ideali di giustizia. Inviato in Britannia per risvegliare la Legione dormiente, Phantom conosce Ascanio Pendragon, combattendo al suo fianco contro i berseker. Recupera le forze grazie all’energia curativa del Pozzo del Calice, prima di tornare sull’Olimpo e combattere lo scontro finale. Affronta Ascalafo del Mazzafrusto, aiutando Giasone, e lotta infine contro Tifone, assieme a tutti i compagni.

(Colpi segreti: Liane dell’Eridano, Gorgo dell’Eridano)

 

GIASONE della COLCHIDE:

Giasone è un fedele Cavaliere di Zeus, la cui figura viene maggiormente approfondita in questa storia, indagando anche sul suo passato. Giasone è l’eroe leggendario che, millenni addietro, viaggiò verso la Colchide, sulla nave di Argo, per recuperare il vello d’oro, lo stesso eroe che aveva avuto Medea per moglie. Giasone affronta prima Kampe, assieme ai Dioscuri, riuscendo a vincerla con l’aiuto di Demetra, quindi deve fronteggiare una minaccia che arriva direttamente dal passato: Ascalafo e Ialmeno, i suoi antichi compagni, che hanno ceduto ad Ares. E infine deve vincere la sfida più grande, quella con Medea.

(Colpi segreti: Spada della Colchide, Scudo della Colchide)

 

GANIMEDE, della Coppa Celeste

È il coppiere degli Dei, l’uomo scelto da Zeus per la sua bellezza. Ganimede continua ad eseguire tale compito, anche se combatte contro alcuni berseker, per difendere Atena. Possiede un’Armatura Divina, simile a quelle di Giasone e di Phantom, rappresentante una coppa, creata anch’essa da Efesto.

(Colpi segreti: Anfora delle stelle)

 

CASTORE e POLLUCE, i Dioscuri:

I Dioscuri combattono contro Kampe, cercando di fermare la sua distruttiva avanzata, aiutati da Giasone e da Demetra. Quindi fronteggiano Cicno, che rapisce le loro anime, venendo liberate da Ascanio. Molto deboli, non esitano comunque a lanciarsi contro Tifone, per difendere loro padre Zeus, venendo uccisi dal mostro.

(Colpi segreti: Illusione dei Dioscuri, Pugno di Zeus, Carica dei Cento Cavalli)

 

ASCANIO del PENDRAGON, Comandante dell’Ultima Legione:

Affascinante e potente, Ascanio dimora a Glastonbury, è il Comandante scelto da Zeus per guidare e mantenere in efficienza la Legione nascosta, la Legione che sarebbe uscita dall’oblio soltanto quando Zeus e l’Olimpo stesso avrebbero dovuto fronteggiare la massima minaccia. Ascanio è stato addestrato ad Avalon, l’Isola Sacra che sorge dietro Glastobury, e possiede ottimi poteri, sia fisici che spirituali. Combatte contro Tereo e Driante sulle pendici del Tor, prima di scendere in Grecia, alla guida dell’Ultima Legione. Salva i Dioscuri dalla prigionia di Cicno e combatte con i Cavalieri di Atena e di Zeus contro Tifone. Non incontra mai il suo vecchio maestro, il Cavaliere di Libra, essendo questi impegnato in battaglia alle 12 Case.

(Colpi segreti: Bloody Red Dragon Attack, Double Dragon Attack, Metempsicosi)

 

GWYNN, del BIANCOSPINO:

Gwynn è uno dei più giovani Cavalieri Celesti della Legione nascosta, servitore fedele di Zeus e grande ammiratore di Ascanio. Combatte contro i berseker di Ares a Glastonbury e poi partecipa alla battaglia sull’Olimpo.

(Colpi segreti: Glastonbury Thorn)

 

CAVALIERI DELLE STELLE:

 

REIS, Cavaliere di Luce:

Reis è una ragazza molto bella, che interviene per aiutare Ioria e Castalia contro i berseker di Ares, sulle sponde del lago infuocato ove sorgeva l’Isola dell’Apocalisse. Reis aveva conosciuto Ioria anni addietro, durante la Guerra d’Egitto, quando aveva aiutato lui e Albione nello scontro con il Custode delle Sabbie del Sahara. Quali sono i suoi sentimenti per Ioria ancora non sono chiari, ma certamente si è accorta dello sguardo interessato del Cavaliere di Leo. Reis è un Cavaliere delle Stelle, che non risponde direttamente ad Atena, e custodisce la Spada di Luce, uno dei Talismani forgiati nel Mondo Antico.

(Colpi segreti: Spada di Luce, Flashing Sword, Cascata di Luce)

 

MARINS:

Cavaliere delle Stelle incaricato di recuperare il Vaso di Nettuno, prima che i berseker possano metterci le mani sopra.

 

FEBO:

Compagno di Marins, lo accompagna nel Regno Sottomarino per recuperare il Vaso di Nettuno.

 

JONATHAN:

Cavaliere delle Stelle, custode dello Scettro d’Oro, interviene a Nuova Luxor, per salvare Nemes e Patricia, sterminando i berseker di Ares, e conducendole in un rifugio sotterraneo, che Avalon ha apprestato appositamente per difenderle.

 

PERSONAGGI VARI:

 

Lady Isabel:

Lady Isabel ha ormai preso coscienza di sé, diventando una Dea a tutti gli effetti, per quanto il cuore in fondo rimanga quello di una donna. E, come i cuori di tutte le donne, sia suscettibile di provare emozioni e sentimenti, spesso contrastanti con il suo status di Divinità.

 

Patricia:

Patricia sfugge all’assalto dei berseker, grazie a Nemes e grazie all’intervento di un Cavaliere dalla scintillante armatura. Viene nascosta in una caverna sotterranea e liberata alla fine della Grande Guerra contro Ares.

 

Fiore di Luna:

La giovane amica e amante di Sirio viene salvata da un Cavaliere che non aveva mai visto prima e condotta, assieme a Patricia e a Nemes, in una caverna sotterranea, dove un biondino ed un anziano saggio si prendono cura di loro, nascondendole ai berseker di Ares.

 

Jacov:

Il piccolo amico di Cristal assiste inorridito alla distruzione del suo villaggio in Siberia, operata da alcuni berseker. In suo aiuto giunge però Cristal, che lo salva.

 

Conte Turin:

Il conte è stato per anni uno dei fedeli sostenitori della dinastia dei Polaris, difendendo Ilda e le sue scelte e giustificando anche il suo comportamento durante la prigionia dell’Anello del Nibelungo. In un modo che Ilda non sa spiegarsi, sembra essere a capo di una rivolta contro la Celebrante di Odino, senza sapere di essere stato manovrato da un’ombra, per fini più grandi di quelli che poteva immaginare.

 

L’Antico:

L’anziano saggio, dalla lunga barba bianca, ordina ai Cavalieri delle Stelle di intervenire per salvare Nemes, Patricia e Fiore di Luna dagli assalti dei berseker di Ares, nascondendo le ragazze in una caverna sotterranea.

 

Elena e Deucalione:

I genitori di Phantom dell’Eridano Celeste vengono nominati brevemente, quando Phantom ripensa alle storie sull’Antica Grecia che sua madre era solita raccontargli da piccolo.

 

Druidi:

Antichi sacerdoti di Britannia, dimorano attorno al Tor e sull’Isola Sacra, continuando a celebrare i loro riti.

 

Alexer:

L’uomo misterioso, ricoperto da una scintillante armatura azzurra, che aiuta Cristal contro Enio.

 

 

 

 

 

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Capitolo 45
*** Schede tecniche dei Berseker e figli di Ares ***


SCHEDE TECNICHE di ARES E BERSEKER

 

BERSEKER DI ARES:

 

I berseker hanno dimenticato il loro vero nome, venendo chiamati da Ares, e dai suoi figli, soltanto in base all’arma che utilizzano in battaglia, privi di qualsiasi valore che non sia quello guerriero.

 

Scure:

Alto e magro, ha il viso coperto dalla visiera del suo elmo, impugna un’ascia in battaglia. Fa parte del gruppo di berseker inviati a Nuova Luxor. Massacra i Cavalieri d’Acciaio ma viene ucciso da Jonathan, il Cavaliere delle Stelle.

 

Balestra:

Basso, veloce e scattante, possiede una balestra montata sul bracciale destro della sua corazza. Fa parte del gruppo di berseker inviati a Nuova Luxor. Massacra i Cavalieri d’Acciaio ma viene ucciso da Jonathan.

 

Rostro:

Grosso e robusto, di origini orientali, con lisci capelli neri raccolti in un codino, e un’armatura ornata da due scudi rotondi, fissati ai bracciali, dal bordo seghettato e tagliente. Fa parte del gruppo di berseker inviati a Nuova Luxor. Massacra i Cavalieri d’Acciaio ma viene ucciso da Jonathan.

 

Daga:

Guida i berseker di Ares nell’assalto in Siberia, contro il villaggio di Cristal, ma viene sconfitto e ucciso dal Cavaliere del Cigno.

 

Kriss:

Fa parte del gruppo di berseker che invade la Siberia, per cercare Jacov e catturarlo, in modo da usarlo contro Cristal. Viene ucciso dal Cavaliere del Cigno.

 

Falcetto:

Fa parte del gruppo di berseker che Ares invia in Tessaglia per finire Ioria e Castalia. Viene ucciso da Reis, con un secco colpo di spada.

 

Gladio:

Anonimo guerriero che in Tessaglia ferisce Castalia alla spalla con il pugnale, prima di essere ucciso da Ioria.

 

BERSEKER DELLE DODICI FATICHE:

 

Guerriero dell’Idra di Lerna:

Il guerriero senza nome che protegge la prima casa del Grande Tempio di Ares, i cui poteri sono ispirati alla bestia leggendaria da lui custodita, l’Idra di Lerna. Si scontra con Sirio, non riuscendo mai ad essere veramente pericoloso. È fedele ad Ares, ma non combatte con ferocia sanguinaria, bensì con lealtà. Viene ucciso da Sirio.

(Colpi segreti: Fauci dell’Idra di Lerna, Alphard, Cuore del Dragone)

 

Guerriero del Leone di Nemea:

Il più debole dei berseker messi a difesa delle Dodici Case. Viene eliminato da Pegasus con un colpo solo.

(Colpi segreti: Artigli del Leone di Nemea)

 

Cerva di Cerinea:

Affascinante e pericolosamente attraente, Esperia, la Cerva di Cerinea è una bella combattente, agile e scattante, e dotata di un particolare potere con cui riesce a incantare i suoi avversari, facendogli vivere situazioni illusorie, per poterli vincere. Ha la meglio su Pegasus, Sirio e Andromeda, sfruttando i loro sentimenti, ma non riesce a vincere Phoenix, da cui viene sconfitta.

 

Erimanto, del Cinghiale:

Karol era un prete e amava leggere e scrivere poesie, poi Ares lo sopraffece, piantandogli una zanna di cinghiale nel cranio e avvelenando il suo corpo e il suo animo, facendone un berseker. Ingaggia battaglia contro Andromeda, dopo aver fermato Phoenix e gli altri, venendo da lui sconfitto e liberato dal tormento di Ares.

(Colpi segreti: Campane infernali, Campane di cristallo)

 

Diomede, figlio di Ares:

Il primo vero avversario che i Cavalieri di Atena affrontano al Grande Tempio. Figlio di Ares, Diomede ha una potenza cosmica che non ha niente da invidiare a quella di Phobos e Deimos, per quanto privo di tanti altri loro poteri e attributi. Forte e determinato, Diomede impegna notevolmente Sirio, obbligando il Dragone a dare fondo a tutte le sue forze.

(Colpi segreti: Furia di Ares).

 

Augia, lo Splendente:

Augia è un ragazzino, che si diverte a guerreggiare approfittando delle situazioni sfavorevoli che crea per svantaggiare i propri nemici. Fisicamente non è affatto forte, per questo cerca sempre di volgere a suo vantaggio il terreno di gioco. Questo trucchetto non gli riesce con Cristal, da cui viene sconfitto.

(Colpi segreti: Bomba di Fango, Ruota solare)

 

Guerriero della Palude di Stinfalo:

Chiamato anche solo “il custode”, il guerriero che custodisce la Palude di Stinfalo, ricreata al posto della Settima Casa di Libra, è brutto ed è crudele, sadicamente in cerca di uno scontro sanguinario. Affronta Andromeda, ferendolo più volte, aiutato anche dagli uccelli della sua palude, e obbligando il Cavaliere di Atena a creare un nuovo colpo segreto, l’ultima configurazione della Catena, con cui viene sconfitto.

 

Guerriero del Toro di Creta:

Robusto e fisicamente potente, il guerriero del Toro di Creta attacca rannicchiandosi su se stesso e rotolando come un masso lanciato in una folle corsa contro l’avversario. Atterra Sirio e Phoenix, ma viene sconfitto da Pegasus.

 

Ippolita, Regina delle Amazzoni:

Splendida, Ippolita combatte per riconoscenza verso Ares, che ha dato nuova vita al Tempio delle Amazzoni a Themiskyra. Non è crudele né sadica, ma esegue solo il suo dovere, ordinando alle Amazzoni di fermare e catturare Sirio, e poi ripetere lo stesso con Phoenix. Ma nello scontro che segue, con il Cavaliere della Fenice, Ippolita ha modo di comprendere molte cose, e chiedersi se la sua obbedienza ad Ares sia giustificata o meno. Sconfitta da Phoenix, lascia passare i Cavalieri di Atena, giungendo addirittura a tradire Ares, intervenendo in aiuto della Fenice nello scontro con Deimos alla Dodicesima Casa. Incapace di trattenere ancora i sentimenti maturati per Phoenix, Ippolita si dichiara, proprio prima di morire uccisa da Deimos.

(Colpi segreti: Spada, Maglia delle Amazzoni, Dardo incandescente delle Amazzoni)

 

Le Amazzoni:

Donne combattive, senza petto, molto abili nell’uso dell’arco e della spada. Fermano Sirio e tentano di fare lo stesso con Phoenix, ma il Cavaliere della Fenice si ribella uccidendo molte di loro.

 

Il Gigante Gerione:

Enorme e mostruoso, Gerione impegna per molte ore i Cavalieri di Atena, sfruttando la protezione offerta dal cosmo di Ares. Le sue tre teste vengono eliminate soltanto dallo sforzo congiunto dei Cavalieri di Atena, soprattutto di Sirio e di Libra.

 

Licaone:

Un altro figlio di Ares, custode del Bosco d’Oro, affronta Scorpio, venendo da lui ucciso dopo un breve scontro. Può evocare le foglie del Bosco d’Oro per usarle come arma contro gli avversari.

 

Ladone:

Gigantesco serpente del Giardino delle Esperidi, capace di parlare e sputare fiamme dalla bocca. Impegna notevolmente i Cavalieri di Atena, soprattutto Cristal e Scorpio, che riescono ad averne infine ragione, grazie alla loro tenacia incrollabile e alla spada Gramr.

 

CREATURE MITOLOGICHE:

 

Idra di Lerna:

Custodisce la Prima Casa dello Zodiaco, e viene affrontata da Sirio, Pegasus e, in particolare, Andromeda e Phoenix, venendo sventrata.

 

Leone di Nemea:

Balza contro Pegasus, fuori dalla Seconda Casa, ma viene fatto fuori dopo poco dal Cavaliere di Atena.

 

Cavalle di Diomede:

Terribili e furiose, caricano agli ordini di Diomede i cavalieri di Atena alla Quinta Casa dello Zodiaco. Vengono eliminate da Phoenix, poi da Sirio, e infine da Cristal.

 

Uccelli di Stinfalo:

Sorvolano la Palude di Stinfalo, cercando di ferire i Cavalieri di Atena con le loro affilate piume, ma Andromeda li vince grazie ai multiformi poteri della sua Catena.

 

Ortro:

Cane bifronte che tenta di impedire ai Cavalieri di raggiungere il luogo ove sorgeva la Decima Casa, ma viene squartato vivo da Pegasus, imprigionato da Andromeda e infine tagliato in due dall’Excalibur di Sirio.

 

Tifone:

Il mostro per eccellenza della storia. Risvegliato da Flegias dalla prigionia cui Zeus lo aveva confinato sotto l’Etna, Tifone marcia sull’Olimpo, facendo strage di uomini e terre, distruggendo tutto ciò che incontra, mosso soltanto da uno stimolo, che sua madre Gea aveva instillato in lui millenni addietro. Zeus ha quasi pietà di lui, preferendo che alla fine, anziché seppellirlo nuovamente, venga bruciato, per mettere per una volta fine ai suoi tormenti.

 

Kampe:

Mostro risvegliato dalla Pietra Nera di Flegias, Kampe assalta l’Olimpo, abbattendo il Bianco Cancello e permettendo ai berseker di entrare sul Monte Sacro. Viene affrontata dai Dioscuri, da Giasone, da Demetra e dagli alberi animati dalla Dea della Vegetazione, e vinta a prezzo di molta fatica.

 

Ecatonchiri:

Gige, Cotto e Briareo, sono i tre Ecatonchiri risvegliati da Zeus, Era e Atena con una goccia di sangue, per proteggere l’Olimpo dalla minaccia di Tifone.

 

FIGLI DI ARES:

 

Flegias, il Rosso Fuoco:

         Flegias continua a tessere le fila del suo diabolico piano per coprire il mondo intero con una nuova oscurità. Grazie al potere della Pietra Nera risveglia Ares, da un sonno durato 500 anni, e i suoi fratelli, e invade in suo nome il Grande Tempio di Atena prendendone possesso. Massacra personalmente Gerki e gli altri Cavalieri di Bronzo inferiori, piantando le loro teste ai piedi della scalinata Dodici Case. Quindi si reca sull’Etna, con un piccolo contingente di berseker, per risvegliare Tifone e spingerlo sull’Olimpo.

Viene fermato da Efesto e da Euro, con cui ingaggia un veloce combattimento, aiutato da Enio, Dea della Strage, prima di ritirarsi, osservando compiaciuto l’avanzate dal Dio verso l’Olimpo e potendo dedicarsi al suo interesse principale. Ovvero la ricerca di mistici talismani, che da anni va inseguendo nei luoghi di culto di tutto il mondo, le uniche armi in grado di impedire, o di favorire, l’avvento dell’ombra. Affronta Cristal e Scorpio, uccidendo il Cavaliere d’Oro, nel terreno ove un tempo sorgeva l’Undicesima Casa di Acquarius, prima di combattere con Sirio, Libra e Cristal contemporaneamente, riuscendo a tenere loro testa. Resiste all’Urlo di Atena e riappare nel finale solo per terrorizzare Pegasus e i suoi compagni, avvertendoli che la grande ombra ha iniziato a calare sulla Terra.

(Colpi segreti: Apocalisse Divina, Spada Infuocata)

 

Phobos, Divinizzazione della Paura:

         Il Dio della Paura guida, assieme al fratello, l’esercito di berseker lungo la via per l’Olimpo, istigandoli ad avanzare, sempre e comunque. Sempre assieme a Phobos si reca nella Foresta di Artemide, per massacrare la Dea della Caccia, una delle sopravvissute al massacro degli Dei Olimpici da loro operato giorni prima. Ma anche in quell’occasione, nonostante lo sforzo congiunto dei figli di Ares, Artemide riesce a resistere loro, aiutata da Tisifone.

         Phobos rientra al Grande Tempio assieme al fratello, preoccupato dal fatto che Pegasus e gli altri siano giunti fino ad affrontare Gerione. Non ascoltando gli avvertimenti di Flegias, né prestando ascolto al cosmo del fratello scomparso contro Phoenix, Phobos affronta Andromeda convinto di vincerlo, convinto che un Cavaliere così debole non possa opporsi al suo potere. Ma nonostante i gravi danni che gli causa, viene comunque sconfitto.

(Colpi segreti: Spada Infuocata, Scure dello Sgomento, Ruota della morte, Fantasmi del passato, Ira di Ares)

 

Deimos, Divinizzazione del Terrore:

         Deimos è pazzo, un sadico guerriero assetato di sangue. Assieme al fratello Phobos, guida i berseker e Kampe sull’Olimpo, affrontando Artemide nella Foresta, assieme a Tisifone. Rientra quindi ad Atene, per occuparsi personalmente dei Cavalieri Divini giunti alla Dodicesima Casa.

         Affronta brevemente Pegasus, Andromeda e Phoenix, prima di ingaggiare un serio confronto con la Fenice Divina, osservando il tradimento di Ippolita consumarsi di fronte ai suoi occhi. Senza pietà alcuna, Deimos massacra la Regina delle Amazzoni togliendole la vita, ma scatenando l’ira di Phoenix, che lo uccide strappandogli il cuore.

(Colpi segreti: Spada Infuocata, Onde di terrore, Tremor, Strage di Spirito, Ira di Ares)

 

Enomao, del Carro Furioso:

Tra i figli di Ares che assaltano l’Olimpo è il più spregiudicato, il più desideroso di emergere e conquistare la fiducia del padre. Guida i berseker durante la scalata, sfidando i Dioscuri con il suo carro Furioso, trainato da cavalli alati; viene atterrato da Asher, ma si sbarazza facilmente di lui, di fronte al Cancello del Fulmine, prima di ingaggiare combattimento contro Ascanio. La superiorità del Cavaliere Celeste è evidente, ma Enomao combatte fino alla morte.

(Colpi segreti: Ruota del Carro Furioso)

 

Eveno, della Quadriga Celere:

Inviato da Ares ai Cinque Picchi, per controllare il motivo del ritardo della spedizione, si scontra con Dohko, ma sottovaluta il nemico, tronfio della sua superiorità, in quanto figlio di un Dio. Viene ucciso da Libra, che libera così i cavalli della Quadriga.

(Colpi segreti: Prigionia dell’Anima)

 

Tereo, dell’Upupa:

Tereo guida, assieme a Driante, l’assalto dei berseker a Glastonbury. Anche se in inferiorità numerica, i guerrieri di Ares avevano il compito di ritardare la partenza dell’ultima legione, cosa che nel loro piccolo sono riusciti a fare, impegnando i Cavalieri Celesti in una dura battaglia.

Tereo, che combatte muovendosi come un upupa, affronta Phantom dell’Eridano Celeste, e viene massacrato dal biancospino di Glastonbury, scagliato da Gwynn, per punire coloro che hanno osato macchiare di sangue il sacro suolo del Tor.

 

Driante, dell’Arpa Nera:

Musico dall’animo oscuro, Driante affronta Ascanio sulle pendici del Tor, senza pesare che egli è refrattario ad ogni attacco di tipo musicale, venendo sconfitto dal Comandante dell’Ultima Legione. È però il primo a notare i serpenti tatuati sulle braccia di Ascanio, e a nominare il Pendragon.

(Colpi segreti: Inquietudine esistenziale)

 

Ascalafo del Mazzafrusto:

Ascalafo era uno dei compagni di Giasone, durante il viaggio nella Colchide alla scoperta del Vello d’Oro, ma poi, avvelenato da Ares, e incitato dall’isterismo del fratello, ha ceduto al rancore verso il vecchio amico, accusandolo di aver preso tutti i meriti e la gloria. Affronta Giasone, indebolito dal veleno di Ialmeno, e poi Phantom, da cui viene atterrato. Ritrovato se stesso, e capiti i suoi errori, Ascalafo succhia il veleno dal corpo di Giasone, salvandogli la vita, anche se questo gesto lo condanna a morte.

(Colpi segreti: Mazzafrusto, Sfere distruttrici, Vortice Oscuro)

 

Ialmeno dell’Anfesibena:

Fratello di Ascalafo, Ialmeno è molto più vicino alle posizioni di Ares ed incita continuamente il fratello a uccidere Giasone, per vendicarsi dei torti subiti. Viene sconfitto da Phantom e travolto dal Gorgo dell’Eridano.

Colpi segreti: Artigli del male)

 

Ossilo, del Teschio Letale:

Fa parte dei berseker che inizialmente assaltano il Grande Tempio di Atene, e lì nota Asher, desiderando poi confrontarsi con lui sull’Olimpo. Riesce ad atterrare più volte il Cavaliere dell’Unicorno, sfruttando i suoi sentimenti, prima di venire però sconfitto dal contrattacco di Asher, e da lui ucciso.

(Colpi segreti: Pioggia di Teschi)

 

Molo, Pilo e Testio:

Figli di Ares, impauriti da Phobos e sempre pronti ad eseguire ogni ordine. Affrontano Gwynn del Biancospino, venendo da lui uccisi.

 

Cicno, del Brigante:

Un berseker non troppo interessato alla conquista dell’Olimpo, quanto soprattutto a una sua guerra personale, che conduce con l’ausilio della sua armatura, in grado di assorbire l’energia cosmica degli avversari. Affronta i Dioscuri, vincendoli e intrappolando la loro anima in un limbo sconosciuto, prima di essere sconfitto da Mur, che satura la sua corazza portandola all’esplosione.

(Colpi segreti: Clava del Brigante, Brigante di Anime)

 

 

 

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