Rewind. Replay.

di micRobs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Di decisioni consapevoli e consapevole idiozia. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Di attacchi di panico e omicidi premeditati. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Di eventi memorabili e memorabili incontri. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Di piccoli passi e rinnovata sintonia. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Di prese di coscienza ed equilibrio cosmico. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Di tutto, di niente, e poi di nuovo di tutto. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Di nuovi inizi e salti nel vuoto. ***



Capitolo 1
*** Prologo: Di decisioni consapevoli e consapevole idiozia. ***


Day 1: Cliché ♥
Note di Robs: Alla fine non ho resistito alla tentazione di scrivere una mini long per questa Thadastian Week. Lo so, sono recidiva, ma vi assicuro che questa non avrà nulla a che vedere con i miei soliti drammi e papiri di 5000 e passa parole. È sostanzialmente una commedia romantica, piena di fluff e dolcezze varie, ma per la restante parte delle note ci vediamo giù, così vi lascio alla lettura e mi eclisso.
La mia beta per questo primo capitolo è stata la dolcissima SereILU, che ringrazio dal profondo del cuore ♥
Sebbene io abbia dovuto fare a meno di lei per la lettura in anteprima e le sue solite e preziosissime rassicurazioni, Vals non si è risparmiata di regalarmi la meraviglia che potere ammirare proprio qui sotto ♥ Valsie, non farmi più fare a meno di te, please ç__ç ♥
 
  


00. Di decisioni consapevoli e consapevole idiozia.
 
 
 
 

La prima cosa che Thad Harwood ha pensato la prima volta che ha visto Sebastian Smythe è stata: “Wow”.

È accaduto esattamente un attimo prima che lui potesse ricordare a se stesso di essere fermamente etero e che il ragazzo – un nuovo studente della sua scuola, nonché suo nuovo compagno di stanza in dormitorio – potesse aprire la bocca per presentarsi. A quel punto, quell’unica esclamazione di sorpresa è stata sostituita dalla seconda cosa che Thad Harwood ha pensato la prima volta che ha visto Sebastian Smythe. E cioè: “Ma tu guarda che razza di egocentrico, presuntuoso, arrogante smargiasso spaccone, che si crede un Dio sceso in terra”, cosa che Sebastian ha anche avuto parzialmente modo di smentire, nel corso del tempo.

Il problema è che, adesso che è seduto di fronte a lui ad uno dei tavolini della caffetteria dell’Accademia Dalton, Thad Harwood non può fare a meno di pensare a due cose: la prima è “wow”, seguito da un incredulo: “Che gran faccia tosta”; la seconda si è rivelata essere qualcosa di molto simile all’intramontabile: “Ma tu guarda che razza di egocentrico, presuntuoso, arrogante smargiasso spaccone, che si crede un Dio sceso in terra”.

C’è stato un tempo in cui Thad era molto più bendisposto nei confronti di Sebastian Smythe. Nonostante le incomprensioni, le differenze caratteriali, le porte che il ragazzo gli sbatteva in faccia, il suo remargli costantemente contro; nonostante schernisse lui e i suoi tentavi di stringere un legame, nonostante lo ignorasse e poi lo trattasse come l’ultimo anello della catena alimentare. Nonostante tutto. Thad continuava a insistere e Sebastian a fare passi indietro, perché c’era la volontà, da parte del primo, di offrirgli una mano, una compagnia, metà della sua porzione di patatine. Una parola o anche due.

Il ragazzo che invece Thad sta adesso osservando è diverso da quello con cui ha incessantemente provato ad avere a che fare l’anno precedente. Non quanto esteticamente – stessi capelli invidiabilmente perfetti, stesso sorriso storto, stessi occhi verdi e penetranti, stesso numero di nei sul viso e sul collo. Sì, lui li ha contati tutti – quanto caratterialmente e nelle intenzioni. Se prima infatti Sebastian era stato il viziato principino di Francia, venuto nella loro scuola per dettar legge e impartire ordini dall’alto del suo piedistallo, con il tempo aveva offerto ai suoi compagni un altro lato di sé. Uno più umano, più vulnerabile, più fragile, nascosto dietro la facciata di supponenza e arroganza che il ragazzo era solito mostrare come un trofeo. 

Forse Thad avrebbe dovuto prevederlo, forse avrebbe anche potuto evitarlo, ma non lo ha fatto. E si è ritrovato innamorato di quel lato della sua personalità ancor prima di riuscire a rendersene conto – scendendo a patti con se stesso, ammettendo di essere attratto da un ragazzo, rischiando una crisi isterica ogni volta che Sebastian trovava il modo di girare mezzo nudo per la camera, incantandosi ad osservarlo nei momenti più impensabili.

Per questo motivo – e per moltissimi altri – il “No” che dovrebbe lasciargli le labbra fa doppiamente male. Fa male perché dovrebbe dire di no al ragazzo che gli ha rubato il sonno e i pensieri, fa due volte male perché la delusione di doverlo effettivamente fare brucia più dell’insoddisfazione e della consapevolezza che le cose tra loro non sarebbero mai potute andare diversamente, se Sebastian ha addirittura il coraggio di fargli una richiesta come quella. Nonostante i suoi buoni propositi, però…

«D’accordo» risponde, dandosi mentalmente dell’idiota. «Era- te lo avevo promesso. Quindi-»

«Non voglio costringerti» la voce di Sebastian è calda e premurosa, Thad ci ha messo talmente tanto a smettere di fantasticarci su che adesso fa quasi male ritrovarla con tale intensità. «Voglio che ti vada bene davvero e- è una situazione imbarazzante e me ne rendo conto, ma-»

Thad scuote la testa e lo interrompe morbidamente. «Va bene così. Posso farlo, posso- è un favore che ti faccio volentieri» annuisce, per sottolineare la sua convinzione, anche se questa è praticamente inesistente. Perché lui non dovrebbe acconsentire a quella richiesta, non dovrebbe dare a Sebastian altri modi per fargli del male, non dovrebbe volersi così poco bene e, soprattutto, non dovrebbe essere ancora così tanto preso da lui da mettere da parte il proprio istinto di conservazione in favore di un po’ di tempo da trascorrere insieme. Anche se, si rende conto in questo preciso istante, è tutto quello che vuole.

Quando pensi che niente possa più sorprenderti, quando ti arrendi all’evidenza di aver commesso la tua parte di colpe, quando trovi il modo di chiudere tutto in un cassetto e smettere di sperare, quando trovi la forza di alzarti ogni mattina ben sapendo che ti basterà voltare lo sguardo per scontrarti con la figura del tuo ex-ragazzo mezzo nudo, quando ti convinci di star riuscendo a sopravvivere dignitosamente a quella rottura che in realtà ti ha spaccato a metà… ecco che lui trova il modo di mandare in frantumi ogni tuo sforzo e ricordarti, ancora una volta, che potrai impegnarti quanto vorrai, ma che lui non se ne andrà mai. Dalla tua stanza, dalla tua vita, dai tuoi pensieri. E, soprattutto, dal tuo cuore.

Sobbalza appena, quando le mani di Sebastian si chiudono intorno alle sue, posate sul tavolino rotondo della caffetteria, e percepisce il cuore mancargli un battito al sorriso che il ragazzo gli sta rivolgendo. È uno di quelli belli, uno di quelli che lo abbagliano e gli fanno dimenticare come si pensa e come si respira. Uno di quelli che Sebastian era solito dedicare solo ed esclusivamente a lui, quando stavano ancora insieme e il mondo smetteva di esistere quando Sebastian gli sorrideva.

Prima che le cose si complicassero e che entrambi si rendessero conto di avere troppa paura di esporsi e lottare per loro due. Perché a volte l’amore non basta, e Thad se n’è reso conto nel momento esatto in cui Sebastian ha detto che “forse dovremmo lasciarci” e lui non ha avuto la forza di fare altro se non annuire e dargli ragione.

«Okay, ti do la mia parola che non farò nulla per metterti in difficoltà o a disagio» Troppo tardi. «Che farò la persona matura, che non me ne approfitterò e che mi comporterò con te come non ho mai fatto.»

Thad aggrotta la fronte e non è certo di aver compreso l’esatto significato di quelle parole, perché il viso di Sebastian è una maschera di positività e sincerità e lui non riesce a pensare ad altro che non sia: “Mi metterò nei guai e alla fine non potrò dare la colpa a nessun’altro” oltre che un quasi disperato: “Dio, perché devi essere sempre così bello?”

«Lo so» annuisce, seppur con voce un po’ titubante ed incerta, che comunque non cancella l’espressione serena dal viso del suo ex ragazzo – era diventato sempre meno doloroso pensare a lui in questi termini, ma il bruciore alla bocca dello stomaco che gli causa quella parola è improvvisamente tornato in tutta la sua intensità. E per delle ovvie ragioni.

Perché ha appena accettato di accompagnare Sebastian Smythe al matrimonio di suo cugino Pierre, prendendo a calci qualsiasi buon senso al punto da acconsentire di seguirlo a Parigi per una settimana intera, la prima dopo la fine della scuola.

A Sebastian i matrimoni fanno profondamente schifo e Thad lo sa benissimo – troppi fiori, troppo cibo, parenti che non vedi da anni e di cui neanche ricordi o sai l’esistenza, ipocrisia e amore, a cui lui è sempre stato piuttosto allergico. A questo preciso matrimonio, però, ci tiene in modo particolare, perché non solo è del ragazzo che ha ricoperto il ruolo di fratello maggiore per lui negli anni in cui ha vissuto a Parigi, ma anche e soprattutto perché dovrà essere il testimone dello sposo.

«Grazie di essere così-» Stupido? Senza speranza? Privo di qualsiasi istinto di sopravvivenza? «Così e basta, lo sai.»

«Che fortuna» commenta caustico, abbozzando un sorriso che spera risulti abbastanza convincente da non compromettere la brillante messinscena in cui si sta impegnando così strenuamente.

La verità è che ha appena accettato di volare a Parigi insieme al suo ex – mandando alle ortiche non solo ogni forma di logica, ma anche il suo presunto amor proprio – e, come se non bastasse, ha acconsentito ad andarci nelle vesti di suo ragazzo. Di suo attuale ragazzo, per amor di precisione.

Thad ricorda con assoluta accuratezza il giorno in cui quella telefonata intercontinentale è arrivata, svariati mesi prima. Ricorda che era l’inizio di dicembre, che aveva da poco iniziato a nevicare e che il suo blazer era completamente zuppo, perché lui aveva dimenticato l’ombrello in camera. Ricorda la risata fresca e allegra di Sebastian, le sue labbra screpolate dal vento a contatto con le proprie, il suo abbraccio caldo e rigenerante. Soprattutto, però, ricorda la felicità dipingersi sul suo viso, mentre ascoltava Pierre al telefono, e il “Ci saremo sicuramente, io e Thad, il mio ragazzo” che aveva pronunciato poco dopo – in un francese perfetto che poi ha provveduto a tradurgli.

Quella è stata la prima volta che Sebastian si è riferito a lui in quei termini e Thad ora non ha bisogno di sforzarsi o concentrarsi, per richiamare alla mente l’emozione di sentirglielo dire; per questo preciso motivo, non se l’è sentita di negargli quel favore – sebbene non si spieghi perché Sebastian non abbia informato suo cugino della loro rottura – e concedersi di prendere parte a quell’avvenimento su cui ha fantasticato giorni interi, nei mesi addietro.  

Il fatto che sia ancora stupidamente e irrimediabilmente innamorato di lui è un problema di importanza del tutto relativa, conviene con se stesso.

Relativamente disastroso. 
 

 
L'ultimo mese di scuola è il più duro che Thad abbia in memoria. Gli esami finali alla Dalton sono notoriamente impegnativi e massacranti, quindi lui si ritrova a studiare senza sosta ogni giorno per essere sicuro di dare il meglio di sé – sebbene la sua media sia tutto fuorché traballante o a rischio.

Oltretutto, è anche il periodo in cui iniziano – e finiscono – di arrivare le risposte dalle università a cui i diplomandi hanno fatto domanda, e quindi lui vive costantemente diviso tra l'ansia di vedere quella busta arrivare e quella ben più asfissiante di leggervi dentro parole che non si aspetta.

Come se non bastasse, poi, Sebastian si è messo in testa di insegnargli qualche parola utile in francese, in vista del loro imminente viaggio a Parigi, perciò trascorrono ogni sera almeno due ore chiusi in camera a studiare. E questa, forse, per Thad è la parte peggiore perché, oltre ad essere psicologicamente difficile, stare così vicino al suo ex è anche emotivamente distruttivo. Thad non ha idea di dove trovi la forza di volontà per non mandare tutto all'aria e confessargli di amarlo ancora, come e forse più di prima. Inoltre, il connubio Sebastian/francese è anche fisicamente insostenibile per lui: non può escludere che il ragazzo si stia approfittando di questa sua debolezza ma, ogni volta che gli insegna una nuova frase, gliene spiega il significato e poi lo corregge dove sbaglia, Thad è costretto a stringere pugni, denti e gambe per combattere i brividi caldi che gli accarezzano la schiena a tutte quelle esse così sibilanti e alle consonanti morbide che il ragazzo pronuncia.

A tutto ciò, si aggiunge la consapevolezza che entro poco dovrà separarsi dai suoi migliori amici, con cui quindi cerca di trascorrere più tempo possibile, quasi come se volesse fare scorta degli abbracci spaccaossa di Jeff e dei consigli saggi di Nick – l'ultimo dei quali, dopo avergli confessato i dettagli del suo viaggio oltreoceano, è qualcosa del tipo: "Tu non sei un essere umano, ma una bomba a orologeria, e lui- lui- Dio, io lo ammazzo", solo che Sebastian è ancora vivo e vegeto, quindi o la convinzione di Nick è venuta meno o Smythe ha più vite di un gatto.

Il culmine di questo periodo di tensione e ansia fisica e mentale, Thad lo raggiunge quando Sebastian si presenta in camera con il suo biglietto aereo, rendendogli quindi impossibile rimandare ancora il confronto con sua madre. Quando Thad la informa che trascorrerà una settimana in Europa, la reazione di Amanda Harwood è tutto tranne che sorpresa ed entusiasta – come lui si aspettava, visto che l’ha praticamente messa di fronte al fatto compiuto – ma quando poi le spiega le condizioni a cui si sta recando con Sebastian a Parigi, sua madre sospira e gli rivolge uno sguardo paziente e pieno di quella che Thad è sicuro sia commiserazione.

«Cosa mi impegno a fare a punirti» gli dice, abbracciandolo, «se tu sei così lungimirante da pensarci da solo?»

E sì, più o meno sta tutto lì.

 
 
 

 
 

Quindi abbiamo: un matrimonio, un post break up, il cliché del finto fidanzato e Parigi. Cosa vi suggeriscono tutti questi elementi infilati nella stessa storia? Volete un suggerimento? Ebbene, sono tutti i miei kink più grandi e su cui sbrodolo costantemente amore infinito, quindi potete già intuire da adesso quanto questa mini long sarà diversa dalle mie precedenti e quanto io ne sia già innamorata.

Veloci informazioni circa questa storia ve le fornirò con un pratico elenco a punti, tanto sapete che io li amo in maniera viscerale:
  • La lunghezza dei capitoli, sarà più o meno sempre questa e ciò perché sto sperimentando un nuovo stile un po’ meno pesante e più “diretto”, ecco. Vedremo se funziona e se posso utilizzarlo anche per qualcosa di più serio, chissà xD
  • Il POV sarà sempre quello di Thad, perché la storia sarà sostanzialmente molto leggera e pseudo comica e ho bisogno del suo Pov per renderla tale (come avete potuto notare).
  • Il rating l’ho messo giallo a scanso di equivoci: non credo che lo raggiungerò neanche ma, siccome devo ancora finire di scriverla, ho pensato di alzare un po’ il margine per evitare di doverlo eventualmente fare poi.
  • L’angst di questa storia non supererà i livelli di questo primo capitolo: ci sono solo loro due che sono due idioti patentati, per intenderci. Niente drammi o eccessive pare mentali.
  • Preparatevi a Sebastian in versione fidanzato perfetto ♥
E bon, ho detto fin troppo, quindi vi saluto e vi do appuntamento a domani. Grazie per esservi spinti fino a qui e grazie a chi, eventualmente, si prenderà il tempo di lasciarmi un parere.

Bacioni e buona week,

Robs.
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Di attacchi di panico e omicidi premeditati. ***


Day 2: Paris ♥
Note di Robs: Sono costretta a pubblicare relativamente presto perché oggi è una giornata davvero delirante. Di conseguenza, il presente capitolo non ha ricevuto l’approvazione di nessuno prima di essere postato – ansia? No, macchè? – né è stato passato al setaccio dalla mia efficientissima beta. Se trovate errori, mi scuso in anticipo e prometto che correggerò quanto prima ♥
  
 


01. Di attacchi di panico e omicidi premeditati.
 
 



 
Thad Harwood è lievemente claustrofobico. Quel tipo di “lievemente” che gli fa preferire le scale all’ascensore e non gli ha mai consentito di salire su una ruota panoramica. È quel tipo di “lievemente” che cerca di nascondere e non dare a vedere, sin da quando a undici anni ha rischiato una crisi respiratoria e isterica, perché un gruppetto di compagni di classe ha pensato che fosse divertente chiuderlo nello stanzino del bidello.

La claustrofobia di Thad Harwood è quel tipo di “lievemente” che non è lievemente, ma “le feste di paese evitiamole, perché c’è troppa gente”. Con queste premesse, è quasi doveroso aspettarsi problemi e attacchi di panico durante quella che forse è la fase più importare del viaggio a Parigi: il volo in aereo. Quasi sette ore chiuso in una scatola di metallo, a svariati metri da terra e con la più epica maratona di Lost alle spalle. Che poi, la parte importante di Lost si svolge sull’isola, ma è comunque partito tutto da un aereo precipitato e quindi lui non ha tutti i torti ad essere preoccupato e fin troppo titubante. Di questo è assolutamente certo.

È organizzato bene, in ogni caso. Ha due lettori mp3, per essere sicuro di non dover interrompere i suoi tentativi di distrazione a causa di una batteria scarica, e una fornitura annuale di gomme da masticare e caramelle contro il mal d’aria, il mal di mare e il mal d’auto – e questo perché non era sicuro di quali fossero le più adatte a combattere la sua fobia. Nel caso in cui tutto ciò non dovesse funzionare, poi, può sempre ricorrere al suo geniale piano B, che consiste nel continuare a farsi portare camomilla dalle hostess fino a collassare e dormire fino all’atterraggio. Ma è organizzato bene, non si può proprio dire il contrario. 

Eppure…

«Guarda, siamo quasi arrivati.»

Eppure Sebastian è seduto al suo fianco e gli sta indicando la Francia da uno dei finestrini e il mondo diventa improvvisamente un posto bellissimo e luminoso. Quando stavano insieme, Smythe era l’unico – oltre a Jeff, sia chiaro – a sapere come tranquillizzarlo durante una delle sue crisi di panico. Thad non ha mai capito come facesse a saperlo o come fosse sempre così sicuro di cosa dire per distrarlo e farlo tornare a respirare con regolarità, ma non se n’è mai fatto un problema: Sebastian lo teneva a galla quando Thad si sentiva andare a fondo e lui sapeva di poter sempre contare sul suo ragazzo e sulla profonda connessione che li legava. Era tutto così perfetto, all’inizio, Thad sente costantemente la mancanza di quel primo periodo. Prima che le cose iniziassero a complicarsi, insomma.

«Quasi» ripete Thad, come assaporando quella parola. «Suona bene.»

Sebastian sorride e poi scuote appena la testa, tornando a concentrarsi sulla rivista che stava svogliatamente sfogliando. «Sei stato bravo, da qui in poi è tutto in discesa. Nel vero senso della parola.»

Il solo pensare all’aereo che si inclina per iniziare la fase di atterraggio gli serra dolorosamente la bocca dello stomaco. Thad stringe i pugni e si costringe ad annuire con decisione, ben sapendo che non è ancora tempo di farsi prendere dall’ansia e dall’agitazione. Il ragazzo al suo fianco, però, non fa alcuna fatica ad accorgersi del cambiamento della sua espressione, tant’è che allunga una mano e la posa con sicurezza su una delle sue, facendolo inevitabilmente sobbalzare e rabbrividire insieme.

«Respira e non guardare fuori, altrimenti saremo costretti a scoprire se quei sacchetti funzionano davvero e ci sono stati troppi tagli alle compagnie aeree per poterne essere fiduciosi.»

Thad si volta a guardarlo e sorride, un piccolo sorriso spontaneo che gli piega le labbra per un attimo ma che poi si accentua di più quando Sebastian continua.

«Tagli su bicchieri di plastica e cibi che non sembrino cartone, sia chiaro, non sui materiali di produzione e manodopera. Stai tranquillo.»

E lui lo fa, si rilassa grazie alle sue parole e ai delicati cerchi che il suo pollice sta tracciando sul dorso della sua mano. Non ha idea di come faccia, ma Sebastian sa sempre cosa dire e quando dirlo per fargli passare la paura. E a Thad va bene, anche se non stanno più insieme e lui non è certo delle ragioni per cui il ragazzo si stia comportando così con lui.

Inevitabilmente, inclina leggermente la testa in avanti per gettare uno sguardo alla fila di sedili centrali, dove i signori Smythe stanno conversando concitatamente, sorseggiando le loro bevande. Thad non aveva capito che avrebbero viaggiato con loro e, dapprincipio, quella scoperta lo ha un po’ allarmato, perché ha avuto a che fare con loro solo una volta e non è stato esattamente un incontro memorabile – si era inaccuratamente lasciato scappare di essere il ragazzo di Sebastian, cosa che in effetti era, anche se non in maniera così definita, e la reazione di Thomas Smythe non era stata delle più entusiaste.

«Perché non hai detto a nessuno che ci siamo lasciati?» Mormora, senza averlo premeditato, ma rendendosi conto solo in quel momento di avere quella domanda impigliata sulle labbra da troppo tempo ormai.

L’espressione sul viso di Sebastian cambia in una frazione di secondo, la sua fronte si aggrotta e le sue spalle si irrigidiscono appena. Thad è certo di aver fatto un casino, se non fosse che poi il ragazzo solleva lo sguardo su di lui – continuando a stringergli delicatamente la mano con la sua – e i suoi occhi sono di nuovo limpidi e trasparenti.

«Perché nessuno me l’ha chiesto» scrolla leggermente le spalle e rivolge lo sguardo oltre Thad, al paesaggio aereo fuori dal finestrino. «Non mi piace granché raccontare i fatti miei, quindi me lo sono semplicemente tenuto per me. Tutto qui.»

Il suo ragionamento non fa una piega. Thad annuisce, anche se Sebastian non lo sta guardando, fermandosi un attimo a riflettere sull’eventualità di porgli anche quell’altra domanda a cui Sebastian non ha mai dato una risposta concreta e soddisfacente.

«Perché mi hai chiesto di fingere, allora? Se non ti importa-»

«Non ho mai detto che non mi importa» la voce di Sebastian è ferma e irremovibile, quando lo interrompe, spostando di nuovo gli occhi nei suoi. «Mia madre ti adora e mio padre sono mesi che non vede l’ora di sbattermi in faccia che “lui lo sapeva che non sono in grado di avere un progetto a lungo termine”. Per questo ti ho chiesto di fingere.»

L’unico suono che lascia le labbra di Thad è un “oh” appena udibile, accompagnato da un cenno affermativo del capo. Non sapeva cosa si aspettasse, ma non può comunque impedire a una punta di delusione di colpirlo a tradimento. Dovrebbe seriamente iniziare ad abituarsi all’idea che Sebastian sia andato avanti e che non tornerà più sui suoi passi, ma è sempre più difficile trovare la forza e la volontà di farlo. Specialmente se ha ancora una mano stretta nella sua.

Non aggiunge altro e né si preoccupa di farlo Sebastian: rimangono prevalentemente in silenzio fino alla fine del volo, uno perso nei suoi pensieri e l’altro nella sua rivista, ma la mano di Sebastian non accenna a lasciare la sua neanche per un attimo e, che sia per portare avanti la messinscena o perché la fase di atterraggio gli fa accelerare il respiro e i battiti, a Thad va benissimo così.
 

 

 
La casa a Parigi di Sebastian è un edificio che la mente di Thad non fa alcuna fatica a catalogare nella sezione “regge e ville borghesi”. La prima cosa che gli passa per la testa, quando varcano la soglia del cancello e lui è costretto a trattenere esclamazioni di meraviglia e stupore, è: “Avevamo ragione a chiamarti principino”. La seconda, come diretta conseguenza della prima, è: “Quanti modi troverò per sentirmi inadeguato in questo posto?”. La risposta a questa domanda retorica è solo una e Thad la conosce benissimo: “fin troppi”.

«Ti piace?»

La voce di Sebastian lo raggiunge non appena scesi dall’auto che li è andati a prendere all’aeroporto, Thad si volta a guardarlo e intanto si stringe nelle spalle, inarcando un sopracciglio. «C’è qualcuno a cui non piace?»

L’altro ragazzo fa una smorfia divertita e poi gli strizza l’occhio, con talmente tanta confidenza e complicità che lui si sente vacillare per un attimo. «Non più in vita» ghigna.

Thad gli rivolge un’occhiata scettica e ostenta una risata finta e sarcastica. «Molto divertente, Smythe» commenta, mentre Sebastian prende la sua valigia e gli fa un cenno per invitarlo a seguirlo dentro casa. «Avete anche le segrete in cui torturate i domestici negligenti?»

Sebastian si volta quel tanto che basta per rivolgergli uno sguardo veloce da sopra la spalla. «Dopo te le mostro» propone, con un sorriso che – Thad lo conosce fin troppo bene – è tutto tranne che innocente.

Non ci siamo, non ci siamo per nulla.


 
Due ore e un numero incalcolabile di scalini dopo, Thad è di nuovo all’ingresso di Villa Smythe. Sono giunti a Parigi nel primo pomeriggio, dopo aver sistemato i bagagli nella camera degli ospiti e fatto un veloce giro della casa, Anne Smythe ha proposto a Sebastian di portare Thad in città. Sebastian ha inutilmente provato a farle notare che il viaggio è stato stancante e che forse Thad avrebbe voluto riposare ma, non solo la donna era talmente fresca e rilassata da smentire la prima affermazione, ma Thad stesso si è detto d’accordo ed entusiasta dell’idea di sgranchirsi un po’ le ossa, smentendo anche la seconda affermazione.

È stanco e spossato e tutto ciò che vorrebbe è farsi una doccia fresca e dormire per dodici ore di fila, ma deve recitare la parte del fidanzatino perfetto? Ottimo, è una cosa su cui può iniziare a lavorare fin da subito: appoggiare le decisioni della padrona di casa è un buon punto di partenza per assicurarsi il suo beneplacito e permettere a Sebastian di avere quello che vuole. Cosa sia, Thad non è sicuro di averlo compreso appieno.

«Andiamo con Pierre, ti va?» Lo informa Sebastian, uscendo con lui in giardino, le mani infilate nelle tasche posteriori dei pantaloni e gli occhiali da sole a schermargli le iridi verdi. «Sta venendo a salutare e- il ricevimento lo facciamo qui, te l’ho detto?» Domanda, indicando la casa con un cenno del capo.

Thad scuote la testa, ma non può non ammettere che quella scelta sia molto sensata: chiunque ne approfitterebbe, su quello non si discute. «No, non lo hai- mi hai detto ben poco» sospira, rendendosi conto solo adesso di non avere la più pallida idea di cosa dovrà fare per i successivi giorni.

«Rimedierò. Quando torniamo, ti spiego i dettagli, così- Oh, eccoli.»

Il cugino Pierre è una sorta di Sebastian Smythe più grande e più francese. Ha un sorriso accattivante di cui è assolutamente consapevole e una corona di capelli biondi e ondulati in cui passa le dita più volte di quanto sia umanamente concepibile. Thad lo osserva con espressione guardinga e attenta, come a voler accumulare più particolari possibili della sua persona per cercare di capire con chi dovrà avere a che fare nel corso della settimana, ma è troppo distratto dalla mano di Sebastian che è corsa a prendere la sua, per riuscire pienamente nell’impresa.

Che lo spettacolo abbia inizio, si dice mentalmente, mentre Sebastian fa eco ai suoi pensieri con un caloroso: «Posso presentarti Thad? Il mio ragazzo.»

E il cuore gli fa appena un po’ più male, mentre stringe la mano di Pierre – accompagnato da un «Finalmente ti conosco» in un inglese sporcato fortemente dall’accento francese – e della sua futura moglie, Margot, che invece non si prende neanche il disturbo di aprire la bocca e mostrarsi educata. Thad decide che lei non gli piace, mentre lui è in prova – e solo perché ha fatto abbastanza esperienza con Sebastian da sapere come comportarsi con il suo doppione parigino.

 

«Visto? Ti avevo detto che, prima o poi, ti avrei portato a Parigi.»

Sì, grandioso! Solo che speravo di venirci in quanto tuo ragazzo e non in veste di garanzia ambulante di maturità raggiunta.

Si sente improvvisamente cinico e sfruttato, la verità è questa. Sta camminando mano nella mano con il ragazzo dei suoi sogni, nella città dei suoi sogni e mangiando il cono gelato dei suoi sogni, e la consapevolezza che sia tutta una fottuta finzione inizia ad annebbiargli la vista e farlo sentire in gabbia anche se di fatto stanno passeggiando lungo gli Champs Elysées.

«Uno Smythe mantiene sempre le sue promesse» articola un po’ a fatica, mentre Pierre e Margot camminano al loro fianco, conversando in un francese talmente fitto che Thad non riuscirebbe a capirlo neanche dopo un anno intero di lezioni con Sebastian, visto che sarebbe costantemente distratto da altro.

«Quelle poche che riescono ad estorcergli.»

Thad aggrotta la fronte e solleva nuovamente lo sguardo su di lui. «Non ti ho mai costretto a promettermi di portarmi a Parigi» gli ricorda, con assoluta sincerità. Ha sempre saputo che con Sebastian le promesse non funzionano.

Il ragazzo scrolla le spalle, leccando un po’ di crema dal suo cono gelato e costringendo Thad a fingere di trovare improvvisamente interessante l’asfalto parigino, ma non risponde subito. Quando lo fa, la sua voce suona tranquilla, ma è sporcata da una vena di qualcosa che, se Thad non lo conoscesse così bene, potrebbe sembrare rimpianto.

«Vero. Ma con te era diverso. Tu- tu avevi un modo tutto tuo per incastrarmi.»

Abbassa gli occhi su di lui, nello stesso momento in cui Thad sente il bisogno di alzare nuovamente i suoi: sebbene coperto dai vetri scuri, si sente dolosamente attraversato dal suo sguardo intenso e serio. Dillo che lo stai facendo apposta. Non è sicuro di cosa rispondere, né di dover effettivamente rispondere qualcosa a quella che non è una domanda, così si limita a ingoiare a vuoto e ad aprire la bocca per provare ad approfittare del piccolo spiraglio offertogli da Sebastian.

«E qual era?» Si ritrova a mormorare, senza una ragione precisa.

L’eventuale risposta – qualunque essa fosse, a Thad sarebbe andato bene anche un “ne riparliamo dopo”, a questo punto – viene stroncata sul nascere dalla fastidiosa intrusione di Pierre che si intrattiene in una veloce conversazione con il suo ragazzo. In francese.

Sebastian, un cono gelato che cola panna sciolta, l’accento francese e la prematura dipartita di quella conversazione che lui muore dalla voglia di sapere come sarebbe continuata: Thad sente l’improvviso impulso di strozzare il cugino Pierre. A mani nude.

«Ti va di continuare il giro?» La voce di Sebastian lo interrompe morbidamente, quando lui ha già trovato almeno sette modi diversi per liberarsi di Pierre e farlo passare per un incidente. Il ragazzo si solleva gli occhiali da sole sulla testa, osservandolo con sguardo apprensivo e premuroso. «Se non sei stanco. Altrimenti possiamo tornare a casa, così ti riposi un po’, mh?»

E poi lo fa. Gli rivolge quel sorriso sghembo e dolcissimo che Thad sa aver contribuito fortemente alla perdita della propria ragione per quel ragazzo. Il cuore gli trema appena e lui avverte lo sguardo di Pierre e Margot addosso, ma è troppo concentrato sulla tacita attesa nell’espressione di Sebastian, per badarci realmente.

Sai cosa? – si ritrova a pensare. – Finzione o no, fanculo a tutti: mi sono meritato questo sguardo e adesso me ne approfitto.

«In realtà sono a pezzi» confessa quindi, con un sorriso storto e vagamente colpevole. «Deve essere il jet lag o come diavolo si chiama. Ti dispiace se rientriamo?»

Sebastian scuote la testa, ma non smette di studiare il suo viso – come a volersi accertare che sia tutto in ordine e che lui stia davvero bene – e stringere la sua mano con delicatezza. Traduce la loro decisione a suo cugino e alla ragazza – che rispondono rispettivamente con una veloce alzata di occhi e uno sbuffo – e poi getta il suo gelato in un cestino lì accanto, provvedendo poi a fare lo stesso con quello di Thad.

«Devo portarti più spesso con me, Harwood» gli comunica, con un mezzo sorriso complice, iniziando a camminare. «Questi due sarebbero capaci di arrivare a Montmartre a piedi, ci hai appena salvato la vita.»

Che è praticamente l’equivalente di una proposta di matrimonio, vero? Salvare la vita a qualcuno non comporta la sua totale devozione fino alla fine dei giorni? Thad non lo sa e, a ben pensarci, non è neanche sicuro di volerlo sapere. Certo, forse dopo ci vorrà un po’ tanto in più per leccarsi le ferite e riportare la situazione ad uno stato di equilibrio che sa gestire e con cui può convivere, ma per adesso… per adesso ha la possibilità di avere Sebastian per una settimana intera, come ha sempre voluto e desiderato. Che male c’è ad approfittarsene, anche se le condizioni sono sbagliate e immorali?

Nessuno, conviene con se stesso. Deve semplicemente comportarsi come se fosse ancora innamorato di lui: niente che lui non sappia già fare alla perfezione, insomma. E senza neanche fingere.
 
 


 

Ed ecco anche il giorno 2 ♥

Ho un po’ tanta ansia da prestazione, ma spero che il capitolo sia stato comunque di vostro gradimento e che vi abbia strappato un sorriso e qualche “awwww” random: se così è stato, vuol dire che sono riuscita nel mio intento.

Un grazie infinito a tutti coloro che si sono fermati a leggere e recensire ieri e a chi ha inserito questa storiella nelle varie categorie di Efp: non mi aspettavo foste così tanti, è stata una bellissima sorpresa ♥

In tutto ciò, vi comunico che ho anche quasi finito il capitolo 4 e che è un pelino pelino più lungo dei precedenti (nulla di eccessivo comunque), but it’s Robs, davvero non potevate aspettarvi che reggessi molto prima di straripare xD

Un bacio grande a chiunque sia arrivato fino a qui e a chi deciderà di lasciarmi un parere ♥

Sentitevi pure liberi di venirmi a trovare in pagina,

 
Robs.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Di eventi memorabili e memorabili incontri. ***


Day 3: Alternative Universe ♥
Note di Robs: Altro aggiornamento mattutino, altro capitolo non betato – che, probabilmente, mi beterà di nuovo SereILU in diretta mentre lo legge, *rotfl* ♥ È leggermente più lungo dei precedenti, ma nulla di troppo esagerato come mio solito. Spero davvero vi piaccia ♥  
 
 


02. Di eventi memorabili e memorabili incontri.
 
 
 
 

Ci vuole meno di un’ora, perché Thad si renda conto che forse la sua idea di fare tesoro di quella settimana con Sebastian non è così geniale e gloriosa come lui pensava. La prima ora che trascorre nel mondo cosciente, per inciso – visto che, dopo essere tornato dalla passeggiata con Pierre e Margot, ha resistito il tempo di una cena veloce e qualche chiacchiera, prima di stendersi sul letto e perdere i sensi per le successive undici ore e mezza.  La villa di Sebastian è fresca e silenziosa e lui è sicuro che, se il Paradiso avesse dei letti, sarebbero come quello su cui ha dormito lui. Non si era reso conto di essere così stanco, fino a che non ha aperto gli occhi e ha realizzato di sentirsi riposato e in forma come non gli capitava da troppo tempo.

L’orologio sul comodino segna che mancano pochi minuti alle dieci del mattino e, a questo punto, Thad può provare due cose: la prima è l’improvvisa sensazione di asfissia che lo assale, non appena torna lucido abbastanza da ricordarsi dove sia e cosa ci faccia lì; la seconda è il panico, ma nulla a che vedere con la claustrofobia o le crisi respiratorie. Quello che lui avverte è panico da inadeguatezza, ansia da prestazione, un laccio alla bocca dello stomaco che gli ricorda che le dieci del mattino sono un orario molto poco dignitoso a cui alzarsi, se sei ospite nella casa a Parigi del tuo ex ragazzo e stai fingendo di stare ancora insieme a lui. Merda.

È esattamente questo il momento in cui si rende conto che sarà un disastro, da qualunque prospettiva o attraverso qualsiasi chiave di lettura, sarà un disastro senza precedenti, una bomba ad orologeria che lui non riuscirà a disinnescare in tempo per evitare la più grande umiliazione della sua vita. Scosta le lenzuola e si alza in fretta, si sente patetico e sull’orlo di una crisi di nervi e non è neanche sicuro di ricordare la strada per arrivare in cucina – dove presume troverà gli altri a fare colazione, sempre che non sia troppo tardi – ma sa di doversi dare una mossa.

Indugia un attimo davanti alla propria figura nello specchio e realizza che non si trova a casa sua e che quindi non sarebbe carino piombare di sotto in pantaloncini e T-shirt. Una bassa imprecazione gli lascia le labbra, ma lui non se ne preoccupa: afferra qualche vestito a caso dalla sua valigia e poi si chiude nel bagno comunicante con la propria stanza, maledicendo i francesi, Sebastian, se stesso e l’universo in ordine sparso.

Quando arriva di sotto, dopo aver trovato la strada un po’ a fatica, la famiglia Smythe è riunita intorno al tavolo da pranzo, il che lo fa sospirare internamente di sollievo per la consapevolezza di non essere eccessivamente in ritardo.

«Bonjour» lo saluta Anne, la prima ad accorgersi della sua presenza sulle scale. A lei fanno eco anche suo marito e suo figlio ed è al fianco di quest’ultimo che Thad prende posto. «Dormito bene?» Continua lei, avvicinandogli un piatto di pancakes da cui lo invita a servirsi.

Lui annuisce e la ringrazia con un sorriso un po’ incerto. «Se avessi dormito male vi avrei raggiunto già da tempo» le fa notare, usando tutta l’educazione di cui dispone.

«Harw- Thad continuerebbe a dormire con invidiabile rilassatezza anche se la casa andasse a fuoco, te l’avevo detto» Sebastian sogghigna al suo fianco, prendendo poi un sorso di succo d’arancia.

Thad apre la bocca per ribattere a quell’affermazione, ma viene subito messo a tacere dalla donna. «Meglio così» cinguetta lei e lui si domanda dove lo prenda tutto quell’entusiasmo spropositato a quell’ora del mattino. «In questo modo è riposato abbastanza da poterci dare una mano oggi.»

Come, prego? Thad non è sicuro di sapere a cosa lei si riferisca, così aggrotta appena la fronte e si volta a guardare Sebastian, come invitandolo implicitamente a spiegare quel punto di ostica comprensione. Il ragazzo ingoia il suo boccone di croissant e poi scrolla lievemente le spalle. «Sì, ti ho detto che il ricevimento lo facciamo qui, no?» Si volta a guardarlo ed è talmente bello con i capelli spettinati e le guance arrossate che Thad si sente morire e rischia quasi di perdersi la restante parte dei chiarimenti. «Mamma ha chiesto la nostra collaborazione per-»

«-coordinare il via vai di gente che ci sarà per casa in questi giorni. Posso contare su di voi, naturalmente?»

E non solo suona come una domanda a cui non sono accette risposte negative, ma il tono con cui viene pronunciato è anche vagamente minaccioso e inquietante. Thad annuisce più volte e stabilisce in questo momento che Anne Smythe è molto più da temere di suo marito Thomas che, di fatto, è rimasto in silenzio a leggere il suo giornale – salvo lanciare occhiate irreprensibili e veloci a moglie, figlio e… genero?
 


 
Thad non ha mai creduto che quella settimana sarebbe stata rilassante e facile da gestire, ma è costretto a ricalibrare la sua scala di misura, quando il cugino Pierre fa irruzione a Villa Smythe. All’alba delle undici di mattina e accompagnato da futura moglie e wedding planner. Una pretenziosa e francesissima wedding planner, tra parentesi.

Deve essere una punizione divina, Thad giunge a questa conclusione quando la donna – con un nome talmente francese e pieno di consonanti che lui non sa neanche pronunciare – si rivolge a lui, con la delicatezza di un generale delle SS stitico, ordinandogli di alzarsi dal divano che deve dare una mano a spostare. Naturalmente, lui non capisce una parola di quello che lei gli ha sputacchiato in faccia, ma la sua espressione rimane comunque perplessa, anche quando Sebastian interviene per spiegare a lei che Thad non parla francese e a lui ciò che lei ha detto.

«Dobbiamo spostare il divano?» Domanda, un sopracciglio inarcato a sottolineare il suo scetticismo.

Sebastian annuisce e fa un cenno della testa verso suo cugino e le due donne che, visto il modo in cui stanno osservando e indicando ogni angolo del grande salone di quella casa, sembra più che stiano facendo un preventivo per un’agenzia immobiliare.

«Tra un’ora sarà qui il fotografo» lo informa passandosi elegantemente una mano tra i capelli. «Margot vuole dei segnaposto personalizzati con le foto di lei e Pierre, quindi ne scatteranno un po’ qui e un po’ in giardino.»

Se prima Thad era semplicemente scettico e perplesso, la sua espressione si fa via via più allibita ad ogni parola di Sebastian. «Che cosa assolutamente pacchiana e di… pessimo gusto» commenta, ricevendo l’approvazione dell’altro ragazzo che annuisce concorde.

«Lo so. Ma a questo matrimonio ci sarà talmente tanta gente che inizio a pensare abbiano raccattato persone all’angolo dei marciapiedi per fare numero. Magari vogliono essere sicuri che tutti sappiano chi sono gli sposi.»  

«A occhio e croce – non lo so, la butto lì – direi che saranno quello con il frac e quella vestita da transatlantico.»

E neanche ha idea di come saranno effettivamente vestiti Pierre e Margot, ma ciò che fino ad ora sa di questo matrimonio non può che fargli supporre che sarà l’evento più esagerato a cui avrà l’onore di assistere nel corso della vita.

Sebastian scrolla le spalle con naturalezza, rimane qualche attimo in silenzio e poi gli rivolge un sorriso dolcissimo che Thad trova assolutamente fuori luogo ma non per questo meno bello. «Non ti piacciono proprio, eh?»

Non può fare a meno di pensare che deve essere davvero evidente, se se n’è accorto anche Sebastian. «No, cioè» distoglie lo sguardo dal suo viso e aggrotta lievemente la fronte, come se stesse cercando il modo più carino per esporre quel concetto. Non è che non gli piacciono, il problema principale è che lui continua a sentirsi fuori luogo. «Mi odiano» sospira infine, convenendo che quella risposta non sia totalmente errata e fasulla.

Contro ogni aspettativa, la risposta di Sebastian è una leggera risata divertita; Thad riporta la sua attenzione su di lui, ma il ragazzo lo sorprende ancora e, in un gesto che di forzato non ha nulla, gli prende la mano e lo attira con delicatezza a sé.

È una finzione, pensa immediatamente, c’è gente nella stanza e si sta calando nella parte. È tutta una maledetta finzione.

«Come fanno a odiarti» gli fa notare, mentre gli sposta entrambe le mani sui fianchi. «Se hai detto due parole in croce da quando siamo arrivati?»

Ed è troppo vicino. È vicino come non lo era da tempo e come Thad desiderava ardentemente che fosse. È talmente vicino che sente il calore del suo corpo e il profumo della sua colonia dargli alla testa. Lo guarda con quell’espressione rilassata, le labbra piegate in quel ghigno storto che lui ama, amava, baciargli via.

«Non ho detto nulla» risponde, la voce ferma per puro miracolo. «Perché non conosco una parola in francese.»

Sebastian sogghigna e gli fa scivolare le mani alla base della schiena e, davvero, Thad non ha idea del perché debba comportarsi così e del perché, soprattutto, lui debba reagire come se fosse tutto vero. Perché ha il cuore in gola e lo stomaco annodato e sa che Pierre li sta guardando, sa che avrebbe dovuto prevedere un tale comportamento e sa che si è portati ad aspettarsi effusioni del genere da parte di una coppia. Solo che loro due non sono una coppia e, oltretutto, loro non sono mai stati quel tipo di coppia. Quindi, perché?

«Lo sapevo che le nostre lezioni non erano servite a nulla» puntualizza, inutilmente. «So ancora leggerti piuttosto bene, io.»

E forse è il retrogusto allusivo con cui ha colorato il suo tono di voce, o quelle precise parole che erano mesi che lui voleva sentirsi dire, o la vicinanza che lo sta mandando fuori testa, ma Thad si ritrova a schiudere le labbra e a perdersi nel suo sguardo così trasparente e intenso, gettando ulteriore benzina sul fuoco.

«Perché lo hai fatto, allora? Se sapevi che-»

Sebastian scuote lievemente la testa e piega le labbra in una smorfia a metà tra il colpevole e il palesemente ovvio. «Per passare un po’ di tempo con te» mormora e sembra talmente sincero che il precario castello di carte, su cui Thad aveva costruito la sua convinzione che tra loro non potesse più esserci nulla, crolla miseramente. Una folata di vento calda come le braccia che lo stringono e leggera come le labbra che Sebastian gli posa sulla guancia.

«Ricordati di respirare, Harwood» mormora sulla sua pelle e Thad chiude gli occhi, tornando indietro con la mente di mesi. A quando loro stavano ancora insieme e Sebastian lo baciava con talmente tanta foga e passione che alla fine temeva puntualmente che Thad avesse uno dei suoi attacchi d’asma. “Ricordati di respirare” ridacchiava alla fine, al che Thad sorrideva e “Sei tu che mi rendi incapace di farlo” rispondeva, prima di baciarlo ancora e ancora e ancora. Sembra passata una vita intera da allora.

Deve mordersi la lingua per impedirsi di pronunciare di nuovo quelle parole esatte, ma la sua espressione deve comunque tradire i suoi pensieri, perché Sebastian si allontana quel tanto che basta per rivolgergli uno sguardo consapevole e sicuro, colorato da quella vena di affetto e premura che era solito rivolgergli in quei casi.

Poi scioglie l’abbraccio e Thad avverte quel distacco come una separazione talmente brusca e definitiva da doversi ricordare davvero di respirare.

Come farò a rimettere insieme i cocci, stavolta? Si domanda, mentre Pierre si avvicina a loro e batte una mano sulla spalla di Sebastian per comunicargli come hanno deciso di procedere.
 


 
Quattro ore e duecentouno scatti dopo – no, non li ha contati, ma il fotografo ne era talmente fiero che non ha fatto altro che ripetere quel numero con sempre maggiore enfasi – Thad è seduto sul divano del salone di Sebastian ed è assolutamente certo che non riuscirà mai più a muoversi. Ha perso il conto di quante volte ha fatto avanti e indietro tra il giardino, le scale, il terrazzo, il cortile, la camera da letto e la cucina. Apparentemente, qualsiasi location era incredibilmente appropriata per le foto dei segnaposti, quindi il fotografo è stato coì attento da non farsene scappare neanche una.

«Questa casa è enorme» comunica a Sebastian, non appena questo crolla sul divano al suo fianco. Sembra spossato e sfinito quanto lui, ma Thad è sicuro di non apparire ugualmente bello ed elegante.

«Dopo un po’ ci si abitua» gli risponde, come se fosse solito rifilare quel commento a chiunque gli faccia quella constatazione. «Non è così male, specialmente perché non ho mai dovuto pulire io.»

E quello sembra anche piuttosto logico: Thad è lì da scarse ventiquattro ore e ha già avuto modo di avere a che fare con metà della servitù che lavora in quel posto. Si limita ad annuire però, lasciando ai suoi muscoli la possibilità di riposarsi e riprendere le forze necessarie ad affrontare la restante parte del pomeriggio. Sebastian, d’altro canto, non si preoccupa di aggiungere alcunché, così per un po’ gli unici rumori che riempiono l’ambiente sono quelli dei loro respiri regolari e dell’incessante ticchettio dell’orologio a pendolo che decora la stanza.

«Quindi è qui che hai vissuto fino a un paio di anni fa?» Le parole gli lasciano le labbra senza una ragione precisa e senza che lui lo avesse premeditato. Sa solo che, dopo quel breve momento di intimità, lui e Sebastian hanno avuto ben poco tempo per fermarsi a riprendere fiato e scambiare più di due frasi, quindi adesso si sente quasi in dovere di recuperare il tempo perduto.

Il ragazzo al suo fianco scivola un po’ più nel divano e posa la nuca allo schienale, soffermandosi ad osservare il soffitto. «Mh. Ho vissuto qui praticamente tutta la vita.»

Thad annuisce. «E non ti manca mai? Insomma, qui è molto più- più nel tuo stile, ecco.»

La lieve risata di Sebastian gli solletica le orecchie inaspettatamente. «Per la servitù e il numero spropositato di metri quadri? Frequenti la Dalton, Harwood, non fare la parte del villico con me.»

«Non intendevo quello» chiarisce, scuotendo la testa. «Mi riferivo a- a Parigi, sì. Non senti mai la mancanza di Parigi?» Affonda un po’ più nel divano e si mette nella sua stessa posizione, poi volta il viso verso di lui. Nello stesso momento in cui Sebastian fa lo stesso.

«Ogni giorno» risponde, con voce sicura e diretta. Quello è il suo posto, Sebastian appartiene alla borghesia parigina e basta guardare il modo in cui cammina, parla, gesticola, si veste, per rendersene conto. «Ma a Westernville ho compensato bene la mancanza.»

La consapevolezza che Sebastian stia parlando di lui gli attraversa lo stomaco come un fulmine a ciel sereno. Non è una supposizione, non è una speranza, non è un sospetto destinato a infrangersi sulla scogliera della dura realtà. No. Thad è assolutamente certo che Sebastian si riferisca a lui e alla loro storia e quelle parole, unite al suo sguardo così profondo e serio, non sono per nulla d’aiuto alla strenua lotta interiore che lui sta conducendo per evitare di farsi troppe illusioni.

«Se tu non ti fossi mai trasferito-» si schiarisce la voce che gli è uscita bassa e arrochita, ma Sebastian deduce senza difficoltà ciò che lui sta per dire, tant’è che scuote la testa con decisione e lo interrompe.

«Ci saremmo conosciuti lo stesso» asserisce con una tale sicurezza che Thad avverte il proprio cuore tremare all’intensità di quell’ennesimo momento che stanno condividendo: erano mesi che non si sentiva così emotivamente vicino a lui. «Prima o poi» continua il ragazzo, gli occhi nei suoi e un sorriso scanzonato a piegargli le labbra. «Saresti venuto in vacanza a Parigi e io ti avrei visto passeggiare per Montmartre o guardare le vetrine in centro, avrei pensato che avevi un bel culo e avrei trovato una scusa per avvicinarmi a te.»

Thad trattiene il respiro, ma non può impedire alle proprie labbra di curvarsi in un sorriso adorante e perso, sporcato dalla malinconia che le parole di Sebastian gli trasmettono. «Sarebbe stata una cosa decisamente da te» commenta, la voce più bassa e accorta, come se gli stesse confessando un segreto che gli pesa sul cuore e i pensieri. Sebastian annuisce e sposta il peso su una spalla, sollevandosi quel po’ che basta per guardando più comodamente.

«E tu avresti finto che le mie attenzioni ti infastidivano e mi avresti mandato al diavolo, ma in realtà morivi già dalla voglia di mettermi le mani addosso e godere del mio calore» prosegue, implacabile, calando progressivamente il tono di voce e spostandogli nel contempo una mano sulla gamba.

«Sei sleale» è tutto ciò che riesce a mormorare Thad, sopraffatto dalle emozioni che sta provando e dall’aria che si è fatta improvvisamente tesa e pregna di parole non dette. Non è giusto il modo in cui Sebastian si sta comportando con lui, non è giusto che si sta approfittando della sua vulnerabilità e della sua ingenuità ad aver accettato quella proposta senza sapere a cosa andava incontro.

Ma il ragazzo sembra non prestare il benché minimo ascolto alle sue parole, poiché che non si fa problemi a continuare. «Ed io mi sarei offerto di farti da cicerone per mostrarti le bellezze di Parigi e magari entrare nei tuoi jeans… e ti avrei sfiorato casualmente più volte di quanto sarebbe stato consono e- e avrei arricchito il discorso con un’allusione dietro l’altra e sarei stato assolutamente detestabile, lo so.»

Tace un attimo, ma Thad non ha la forza di aggiungere altro. Perché è tutto sbagliato e, allo stesso tempo, maledettamente giusto e voluto, solo che lui avverte la testa vorticare con violenza e il peso di quelle parole gravargli sulle spalle e tutto ciò a cui riesce a pensare è: “sei uno stronzo” ma anche “come faccio ad amarti ancora così tanto?”

E non sa quale sia la risposta a questa domanda, se l’è posta talmente tante volte che ormai ha smesso di cercarla, ma Sebastian gli fa scivolare lentamente la mano sotto la guancia ed è di nuovo tutto lì. In quello sguardo che gli rivolge e nel modo in cui lo alterna tra i suoi occhi e le sue labbra.

«E poi io avrei detto qualcosa di stupido e- e tu avresti sorriso in quel modo che- e allora io mi sarei innamorato di te all’istante. Esattamente come poi ho fatto in America.»

Thad avverte distintamente il proprio cuore mancare un battito a quella confessione così intensa e sussurrata; ogni muscolo freme per colmare quella distanza e i suoi occhi sembrano non avere la forza di abbandonare quelli di Sebastian. La diga che aveva così disperatamente e faticosamente costruito sta venendo giù con una facilità talmente disarmante che lui non riesce a non pensare a quanto sia giusto che quei pensieri siano liberi di fluire, che lui e Sebastian siano in realtà destinati a stare insieme.

«Non- non c’è nessuno che ci guarda» mormora comunque, con voce un po’ spezzata, provando a difendersi da quell’attacco come meglio può. «Non sei obbligato a fingere.»

La risposta di Sebastian è un sorriso storto e fintamente esasperato, come se si aspettasse da lui quelle precise parole. Non parla, ma scivola più vicino al suo corpo, colmando quella distanza irrisoria che ancora li separava. «Chi ti dice che io stia fingendo» sibila, dopo qualche attimo.

E non è una domanda, ma una sentenza definitiva che Thad percepisce con la stessa violenza di un attacco di asma improvviso. Neanche sa se Sebastian sia sincero o se si stia prendendo gioco di lui, se si riferisca solo a quel preciso momento o a tutta quella farsa che stanno portando avanti. Sa solo ciò che lui gli dice subito dopo. E cioè nulla. Sebastian non può aggiungere altro, perché le sue labbra sono troppo impegnate a posarsi su quelle di Thad.

Per un momento che sembra infinito ma che, di fatto, dura solo pochi istanti. Interrotto bruscamente da un eloquente colpo di tosse che li fa sobbalzare e allontanare di malavoglia. Thad non ha bisogno di voltarsi, per sapere che Anne Smythe li sta osservando dall’uscio della porta.

“Da quanto tempo è lì?” È il primo pensiero che gli attraversa la mente. Il secondo, di pari intensità e vividezza è: “Lui lo sapeva.”

Chi ti dice che io stia fingendo?

Esattamente questo.

                                                          
 


 

  
Aspettate.

Lo so che adesso starete pensando: “Ma non avevi detto che non sarebbe stato angst e bla bla bla?”. Sì, lo avevo detto, ma tenete conto che a) questi sono solo i pensieri di Thad, campione olimpionico di paranoie e turbe mentali e b) No, davvero, non potete concentrarvi solo sulla fine, dopo il momento così d’ammmmore che hanno condiviso ♥

Non so se vi convince il modo in cui ho utilizzato il prompt del giorno, ma io sono davvero convinta che loro due si sarebbero trovati in ogni universo e… beh, mettere queste parole in bocca a Sebastian mi è sembrata una scelta abbastanza efficace e romantica :3

Adesso volo a studiare e poi a finire il capitolo per domani, non prima però di avervi ringraziato per tutto l’affetto e l’entusiasmo che mi state riservando. Non me lo aspettavo, non me lo aspettavo per nulla e sono felicissima che questo mio piccolo esperimento vi stia piacendo ♥

Grazie infinite, quindi, a tutti coloro che hanno recensito, preferito, seguito e ricordato: vi prometto tutta la puntualità di cui sono capace ♥

A domani,

 
Robs.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Di piccoli passi e rinnovata sintonia. ***


Day 4: Lezioni noiose ♥
Note di Robs: Come mio solito, ho un po’ stravolto il prompt ^^’’ La lezione c’è, anche se non è propriamente noiosa, ecco *rotfl* E sì, l’avevo detto che questa storia sarebbe stato un accavallarsi di cliché? Qui ne avrete la conferma :3
 


03. Di piccoli passi e rinnovata sintonia.
 
 
 

 
 
«Ma neanche per sogno.»

Il tono piccato e irremovibile con cui vengono pronunciate queste parole convince Thad ad arrestarsi in corrispondenza dell’uscio della cucina. Ha di nuovo dormito troppo e ha di nuovo fatto tardi a colazione, ma questa volta la motivazione è molto più seria e giustificabile di un po’ di stanchezza post volo. Sebbene la sera precedente abbia millantato un mal di testa martellante e abbia quindi avuto la possibilità di mettersi a letto relativamente presto, ha passato buona parte della notte a rigirarsi tra le lenzuola, preda di un caldo improvviso e di pensieri molesti e ronzanti. Inutile specificare su cosa abbia rimuginato, in ogni caso, ma gli ha impiegato talmente tante energie che, quando poi ha finalmente preso sonno, ha dormito ad oltranza.

«Ho acconsentito a trasformare questa casa in un programma di Real Time, a vestirmi secondo i suoi capricci, a mettermi a disposizione per tutti gli sconosciuti che piomberanno qui domani. Non prenderò parte anche a questo, se lo può-»

«E invece lo farai, Sebastian, non si discute» la voce risoluta e ferma di Thomas Smythe interrompe la sentita arringa di suo figlio. «Sapevi che le condizioni sarebbero state queste e mi aspettavo un po’ più di maturità e comprensione da parte tua, visto che comunque non stai facendo nulla di così impegnativo.»

«Thomas, non mi sembra il caso di- Thad

Il ragazzo in questione sobbalza appena e si irrigidisce nel rendersi conto di essere stato scoperto a origliare – cosa vera solo in parte, visto che aspettava solo che le acque si placassero per fare il suo ingresso nella stanza. «Non volevo disturbare» si scusa comunque, avvicinandosi al tavolo della colazione e prendendo posto vicino a un Sebastian particolarmente imbronciato e contrariato. «Buongiorno.»

«Buongiorno anche a te, tesoro» lo accoglie Anne, versandogli un bicchiere di succo all’arancia. «E non farti problemi, avresti saputo a breve di cosa stavamo discutendo.»

«A quale pagliacciata dovremmo prendere parte, insomma» chiarisce Sebastian mentre sbocconcella svogliatamente un croissant dall’aspetto particolarmente invitante. «Visto che, a quanto pare-»

«Prima che io mi dimentichi» si intromette però sua madre, scusando la sua intromissione con un sorriso morbido ma che non ammette repliche. «Abbiamo commesso un lieve errore di calcolo nel conteggiare gli invitati che verranno ad alloggiare qui per il matrimonio – i parenti di Margot sono sparsi in giro per la Francia e ci è sembrato scortese obbligarli a prendere un hotel quando qui ci sono così tante stanze a disposizione.»

«Anne

«Solo che c’è stato uno spiacevole equivoco e una coppia di zii della Borgogna non ci ha comunicato la partecipazione in tempo, quindi a te non dispiacerebbe spostarti in camera di Sebastian per far posto a loro, vero?» Conclude con un sorriso talmente accentuato e speranzoso che Thad è sicuro immediatamente di due cose: la prima è che da quella risposta – e dal modo in cui la darà – dipenderà il suo futuro in quella casa e la riuscita della loro commedia; la seconda è che, ci si giocherebbe la retta di due anni alla Dalton, suo marito e suo figlio sono stati messi al corrente di quella notizia in questo preciso momento. E infatti…

«Anne, dubito sia il caso di ricorrere a questa soluzione, possiamo tranquillamente trovarne un’altra. La casa è grande, un letto uscirà senz’altro» la voce di Thomas stride tra i denti che lui si sta costringendo a tenere stretti, chiaramente contrariato da quella novità. E come dargli torto?

«Tesoro, Sebastian e Thad hanno diviso l’alloggio a scuola per ben due anni, quale vuoi che sia il problema se continuano a farlo per un altro paio di giorni?»

È ragionevole, apparentemente calma, sicura di essere nel giusto: Thad dubita che Thomas Smythe sia così scellerato da mettersi a discutere davanti a lui, ma è comunque un’eventualità che non può escludere e il modo in cui l’uomo sta ostentando tranquillità non gli suggerisce nulla di buono.

«Papà, davvero, così ti salterà una coronaria. Io e Thad siamo abituati a convivere, di che ti preoccupi?» Gli fa notare, logicamente. «Oltretutto, le nostre camere sono sullo stesso corridoio e se avessimo voluto approfittarne per rotolarci tra le lenzuola, sarebbe stato incredibilmente semplice farlo, sai?»

«Oh, Gesù» Anne si porta la mano alla fronte e abbassa lo sguardo sulla propria colazione. Thad immagina che sia talmente abituata a quel genere di battibecchi da sapere, che una volta iniziati, è inutile intervenire perché non si concluderanno tanto presto.

«E tu pensi che questo dovrebbe incoraggiarmi ad appoggiare questa nuova sistemazione? Sono disposto a spostare te sul divano in salotto, se necessario.»

«E mostrare a tutti i tuoi ospiti che il tuo unico figlio è costretto a dormire accampato come un senzatetto in casa propria?» Sebastian sbuffa una risata amara. «Ti prego, preferiresti piazzare Thad in mezzo a voi nel letto matrimoniale, piuttosto che inquinare l’idea che gli altri hanno di te.»

Sebastian è un fiume in piena, Thad non lo vede da appena undici ore eppure gli appare chiaro come il sole che ci sia qualcosa che non va, qualcosa che si è rotto e che lo ha spezzato, facendolo uscire dagli argini. Non ha incontrato il suo sguardo neanche una volta e, per quanto Thad sia abituato al Sebastian burbero e scontroso che si chiude in se stesso, sente la mancanza di quello sguardo adorante e dolcissimo che gli ha rivolto appena il giorno prima. Per questo motivo, agisce senza pensare e, in un impeto di familiarità e coraggio, posa una mano su quella che il ragazzo sta stringendo sul tavolo. «Sebastian» la sua voce nasconde una morbida decisione, un invito a lasciar perdere e a concentrarsi su altro, un rimprovero mascherato da timida richiesta.

Pochi attimi e Sebastian pare sgonfiarsi come un palloncino bucato, lascia andare l’aria che stava trattenendo e si volta a guardare Thad, forse sorpreso da quel gesto che non si aspettava. Sospira e si limita a spiegare semplicemente, cambiando anche brevemente discorso: «Oggi pomeriggio- Margot vuole che prendiamo parte a una lezione di ballo da sala con- non lo so, una vecchia megera francese con chignon e bacchetta, immagino, perché a quanto pare è una tradizione della sua famiglia e nessuno» mette l’accento su quella parola e si volta per un attimo a guardare i suoi genitori. «Può esserne esonerato.»

Thad annuisce, sebbene la situazione sia peggiore di quanto avesse preventivato. C’era un motivo ben preciso se non lo mettevano mai in prima fila alle esibizioni dei Warblers: lui e il ballo in generale viaggiano su due binari paralleli e destinati a non incontrarsi mai. Neanche per sbaglio.

«D’accordo» risponde comunque, relegando la presenza di Thomas ed Anne ad un angolo lontano del suo cervello – la sua attenzione è tutta volta a far calmare e sorridere di nuovo Sebastian. «Possiamo farlo, anche se mi devo scusare già da adesso per tutte le volte che ti pesterò i piedi.»

E poi gli sorride, perché da sempre – da quando era solo curiosità, da quando poi si è trasformato in inconsapevole interesse, da quando ha capito di esserne innamorato e da quando Sebastian è a sua volta sceso a patti con se stesso e con i sentimenti che provava per lui – è sempre venuto il benessere di Sebastian prima di qualsiasi altra cosa. Il punto è che il malessere fisico che lui prova quando il ragazzo è giù di morale, nervoso, contrariato, deluso o amareggiato, è talmente intenso e annichilente da fargli mettere da parte qualsiasi altro pensiero o occupazione per riportargli il sorriso quanto prima.

Così come fa adesso. Sebastian piega le labbra in un ghigno storto che Thad decide di farsi bastare e poi restituisce la stretta sulla sua mano, seppur con delicatezza.

«Sei un imbranato» commenta, sbuffando una bassa risata. «Vorrà dire che ci metteremo in un angolo appartato, così eviterai di scatenare un domino umano.»

Thad ricambia il sorriso e si limita ad annuire; Sebastian sembra molto più sollevato e calmo rispetto a poco prima e così il suo cuore decide improvvisamente di fare una capatina dalle parti della sua gola, nel realizzare che parte del merito è suo.

«Sebastian» la voce di Anne è accorta e materna, come se non volesse disturbare il momento venutosi a creare tra loro. Thad si rende conto solo in questo istante di come deve essere apparsa quella scena a uno spettatore esterno: la semplice e palese dimostrazione dell’influenza che lui ha su quello che in teoria è il suo ragazzo. In teoria, per l’appunto, perché è vero che Thad sa quali tasti toccare e cosa dire o meno per fargli tornare il sorriso, ma sono rimembranze di tempi passati, reminiscenze di un esame per cui lui ha già studiato e a cui è stato bocciato.

«Perché non finite di fare colazione e aiuti Thad a spostare le sue cose nella tua camera?» Continua lei, ignorando volutamente l’occhiata intransigente che le rivolge il marito e continuando a sorridere ai due ragazzi. «Stamattina non ci sono incombenze da sbrigare, conviene approfittarne.»

Sebastian non risponde, ma fa un cenno affermativo con la testa, poi lascia un’ultima carezza sul palmo della mano di Thad e sfila via la propria, riprendendo a fare colazione. Qualcosa gli dice che il suo silenzio non è una dichiarazione di resa, ma un invito a rendersi conto che sta facendo la parte della persona matura, tirandosi fuori da ulteriori discussioni.

Tirandosi fuori da ulteriori discussioni, ma mandando al diavolo la sua proverbiale educazione ed eleganza nel mangiare con più velocità e foga di quanto sia strettamente necessario.

«Finito» afferma dopo qualche secondo, prendendo qualche sorso di succo di frutta per mandare giù il suo croissant. Poi si alza e afferra la mano di Thad senza neanche lasciargli il tempo per rendersi conto di quello che sta accadendo. «Andiamo.»

Un attimo dopo, se lo sta trascinando al piano di sopra, sghignazzando apertamente all’espressione allibita ed esasperata di suo padre.

Persona matura, come no.
 

 

 
L’operazione di trasloco gli impegna veramente molto poco tempo, giacché Thad non aveva sentito il bisogno di togliere i propri vestiti dalla valigia. Lui e Sebastian si limitano a infilare nel trolley quelle due o tre cose sparse sulle sedie, prima di trovarsi nella camera di quest’ultimo a guardarsi negli occhi.

«È stato facile» commenta Sebastian e si passa una mano dietro il collo, in un modo che Thad fa fatica a non definire sexy. «Sei sempre stato piuttosto ordinato tu.»

L’altro annuisce e si mordicchia un labbro, lo sguardo irrimediabilmente rivolto al grande – e unico – letto a una piazza e mezza che troneggia al centro della stanza. «Davvero non ti crea problemi che io stia qui?» Si ritrova a domandare, perché a lui la prospettiva di dormire nello stesso letto con il suo ex- ragazzo crea un sacco di problemi. Più di quanti dovrebbe.

Ma Sebastian scuote la testa e solleva appena le spalle, ostentando una naturalezza che Thad non riesce a capire se sia spontanea o meno. «Non sarà la prima volta che dormiamo insieme» gli fa notare. «Il letto è anche più grande di quelli della Dalton, quindi non devo preoccuparmi di ritrovarmi a terra» conclude, una risata malcelata a colorargli la voce.

«È successo solo una volta» puntualizza Thad, alzando gli occhi al cielo. «E ti ho già chiesto scusa un numero sufficiente di volte.»

Ci sono volte in cui Thad si domanda come abbia fatto a superare le prime settimane dopo la rottura con Sebastian. Non che sia mai riuscito ad andarvi completamente oltre, ma la situazione è comunque migliorata moltissimo rispetto a quei primi, tesi, giorni. Il problema è che quando ti ritrovi ad appartenere a qualcuno come lui apparteneva a Sebastian – e come Sebastian apparteneva a lui, Thad sa che è così e questa consapevolezza brucia ancora sottopelle – non si può semplicemente passare oltre e metterci una X sopra, fingere che nulla sia accaduto e ricominciare la propria vita da dove era stata interrotta. Sono stati giorni colmi di tensione e sottili rimpianti, densi di silenzi rumorosi, porte sbattute e letti freddi, sonni consumati in camere altrui e sguardi. Tanti sguardi, ricchi di rimorsi e parole non dette. Thad non credeva di riuscire a venirne fuori – cosa che comunque non ha mai fatto completamente, visto che si ritrova ancora ad amarlo in disparte – ma deve ammettere che è stato progressivamente più semplice ricominciare a dividere gli spazi, a riprendere quell’abbozzo di quotidianità che sembrava impossibile da ristabilire, scambiare qualche parola di cortesia che poi si è trasformata in gentilezza e viver civile. Bruciava e tirava come sale su una ferita aperta, ma era comunque un netto miglioramento.

Solo che poi vi sono momenti come questo, in cui si trovano occhi negli occhi e riscoprono quella complicità e quella sintonia che non hanno mai perduto del tutto, e allora si domanda se sia vero, se siano davvero riusciti a dimenticarsi com’era stare insieme, se non la senta anche Sebastian quell’elettricità che ancora passa tra loro, che ancora li scuote e li avvicina inesorabilmente.

«È vero, ma non sarei io, se non te lo rinfacciassi costantemente» la voce di Sebastian è morbida e divertita. «Ormai dovrei essermi abituato alla tua… scarsa capacità di coordinazione degli arti?»

«Non tutti abbiamo la fortuna di essere leggiadri e aggraziati come te» ribatte, seppur con una punta di innocente sarcasmo e le labbra piegate in un sorriso disinvolto. Si sente a proprio agio, non l’avrebbe mai detto.

Il ragazzo di fronte a lui solleva le spalle con semplicità, le mani affondate nelle tasche del pantalone beige che indossa. «Sei scusato» concede con magnanimità. «Ma solo se tu scusi me per… essermi fatto prendere la mano, di sotto.»

Sebastian che si scusa. Sebastian che si scusa senza avergli prima fatto patire le pene dell’inferno. Sebastian che si scusa senza averne alcuna ragione. Thad non è certo di comprendere a che gioco stia giocando, così si limita a scuotere la testa e a rivolgergli un’occhiata interrogativa. «Non hai nulla da- insomma, le giornate storte capitano a tutti e» tace un attimo, non sapendo cosa aggiungere, poi sospira: «Lo so che i rapporti con tuo padre sono tesi, non devi giustificarti, non con me

E riesce a distinguere distintamente il momento in cui lo sguardo di Sebastian si spegne e vacilla, come attraversato da un lampo di inconsistente incertezza. Un attimo dopo, il ragazzo gli allunga una mano in un esplicito invito a prenderla. «Vieni qua, dai» mormora, nuovamente serio, negli occhi quella malinconia che Thad riesce a scorgere a tratti.

Magari non dovrebbe farlo, magari è tutto sbagliato e magari è solo l’ennesima scelta di cui si pentirà, l’ennesima dimostrazione che non riuscirà mai a dire di no a qualsiasi richiesta di Sebastian, ma lo fa. Allunga una mano e la chiude intorno alla sua, lasciandosi poi avvicinare al suo corpo senza interrompere il contatto visivo con lui. Sebastian non parla e non esita neanche un attimo: gli prende l’altra mano e se la conduce sulla spalla, ancorando poi la propria al suo fianco.

«Stiamo per ballare?» Domanda Thad, seppur inutilmente, poiché la posizione in cui si trovano è fin troppo inequivocabile.

L’altro annuisce e fa un po’ di pressione per avvicinarlo ulteriormente a sé. «Fai pratica con me, prima di avere a che fare con quella vecchia megera. Ti va?»

Esiste davvero qualcuno che rifiuterebbe una proposta del genere? Sì, un Thad Harwood con un istinto di sopravvivenza leggermente più conservato. Cosa che lui è piuttosto certo di non essere, quindi non ci pensa un attimo di più, annuisce e sistema meglio la presa sulla sua spalla, ricevendo in cambio un sorrisino sghembo.

«Okay, iniziamo con qualcosa di semplice» propone Sebastian, che sembra fin troppo a proprio agio in quella situazione, quasi come se non avesse il proprio ex ragazzo tra le braccia e stesse per dargli lezioni private di ballo da sala. «La famiglia di Margot vive in Francia da generazioni intere e non posso quindi escludere che abbia intenzione di istruirci nella nobile arte dei balli tipicamente francesi» gli spiega, prendendo ad ondeggiare lentamente sul posto. «Ma io direi che è già tanto che tu riesca a tenerti in piedi senza tirare giù anche me, quindi partiamo da qui» ridacchia, notando l’espressione imbronciata in cui è mutato il viso di Thad.

«È necessario continuare a mettere l’accento sulla mia scarsa capacità di coordinazione?»

«Assolutamente sì, è la parte divertente. Tutto quello che devi fare è copiare quello che faccio io… però al contrario. Chiaro?»

Thad aggrotta la fronte in un’espressione confusa e scettica, poi scuote la testa. «No, abbiamo trovato qualcosa in cui non sei bravo: fare l’insegnante» e poi tenta di reprimere una risata leggera, sebbene il calore delle mani di Sebastian gli arrivi con precisa vividezza attraverso il tessuto della T-shirt. Ma intanto, senza neanche rendersene conto, ha già preso a seguire i suoi piccoli passi. Prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra.

«Un passo avanti-»

«Avanti verso di te o verso di me?»

«Avanti verso di te.»

«Quindi indietro.»

E ridono di nuovo, con Sebastian che lo tiene stretto e gli ripete cosa fare, come una nenia infinita di cui sembra non trovare noia, e con Thad che alterna febbrilmente lo sguardo dal suo viso ai loro piedi. Non vuole inciampare o fare la figura dell’imbranato patentato, così si assicura di mettere i piedi nella giusta posizione, per evitare di intralciare i suoi; al contempo però, la risata allegra e fresca di Sebastian, accompagnata dalla sua voce cadenzata, gli solletica la pelle e la voglia di perdersi nel suo sguardo è troppo forte per non assecondarla con precisa puntualità.

«Stai andando bene» lo elogia Sebastian e gli fa scivolare la mano alla base della schiena, accorciando ancora la distanza tra loro.

«Forse non sei un insegnante così pessimo, allora.»

«O forse stiamo semplicemente dondolando sul posto.»

«Evidentemente, sono bravo a dondolare.»

Thad non sa cosa dovrebbe fare e come dovrebbe comportarsi, specialmente perché si sente così in sintonia con lui da doversi costringersi a ricordare ciò che attualmente li lega – ovvero un po’ di ingenuità e un favore fatto a un amico, se loro due sono mai stati amici – però non può negare che la situazione sia intima e delicata, come se fossero davvero due fidanzati che stanno semplicemente ballando nel silenzio della loro camera. Ha una strana sensazione, qualcosa che gli scivola sottopelle e gli ricorda che le cose tra lui e Sebastian non sono mai andate così tanto bene neanche quando stavano insieme, ma gli atteggiamenti del ragazzo, la sua innata premura e i suoi sorrisi adoranti, gli suggeriscono che potrebbe non essere solamente una finzione e Thad davvero non sa a cosa pensare.

Così si limita a prendere ciò che il ragazzo gli concede, ripromettendosi di provare a capirci qualcosa di concreto in quella situazione, valutando seriamente i rischi e le possibilità di ritrovarsi con una mano vuota e un cuore infranto. Perché che Sebastian ne valga la pena Thad lo ha sempre saputo, così come ha sempre saputo che i problemi sono sempre lì in agguato e che loro due non sono mai stati particolarmente efficienti nel risolverli.

Quando però qualche ora dopo si ritrovano nel salone della villa, di nuovo occhi negli occhi e stretti l’uno all’altro, e Sebastian gli sorride adorante mentre lo presenta a qualche parente che non vede da tempo, Thad la sente scorrere tra loro quella chimica, quella complicità inspiegabile che ha sempre reso il loro rapporto esclusivo e totalitario. La sente e si domanda: “Sono davvero in grado di rinunciarvi? Anche se lui non fosse più interessato a me in quel senso, anche se fosse solo un attore particolarmente bravo e convincente, io saprei farne a meno dopo averla provata?”

La risposta è nella mano che Sebastian intreccia alla sua quando decidono che di ballo per quel giorno ne hanno avuto fin troppo; la risposta è nella panchina che condividono nel cortile, all’ombra di un albero a cui Thad neanche saprebbe dare un nome; la risposta è nelle poche parole che fluiscono dalle loro labbra mentre si godono quel breve momento di pace e solitudine e di loro; la risposta è nel “Mi dispiace averti baciato ieri, per questo ero di cattivo umore stamattina. Ti avevo dato la mia parola che non avrei fatto nulla per mettersi a disagio” che gli confessa Sebastian e in Thad che gli rivolge uno sguardo incantato e un “C’era tua madre” che creda spieghi più di quanto effettivamente faccia.

La risposta è in Sebastian che tace un attimo, si china lentamente sul suo viso e lo bacia di nuovo, con lentezza e attenzione, con gli occhi chiusi e la mano sotto la sua guancia.

La risposta è nel “Adesso non c’è” che gli sussurra poco dopo.

Ed è negativa.

 
 



 

 
Ci sono vari motivi per cui questo capitolo non mi convince del tutto, ma ve li dico domani, così vediamo se magari li avete notati anche voi :3

In molti, nelle recensioni, mi avete scritto che non credete affatto che Sebastian stia solo fingendo e che è impossibile che abbia dimenticato ciò che c’era tra lui e Thad. Ebbene, la risposta a queste vostre affermazioni l’ho messa in bocca a Thad: loro due si sono appartenuti e non esiste che si dimentichino da un giorno all’altro quello che hanno avuto ♥   

E so perfettamente che morite dalla voglia di sapere cosa accadrà in questa prima notte in cui dormiranno insieme, quindi troverò il modo di farvelo sapere domani, I promise ♥

Al solito, grazie per essere giunti fino a qui e per i pareri che costantemente mi lasciate: sono davvero felice che la storia sia di vostro gradimento e che vi stia prendendo così tanto ♥

Il capitolo di domani è ancora a zero, quindi corro a studiare e poi a scrivere, visto che non ho la minima intenzione di ritardare con l’aggiornamento ♥

Un bacio grande,

Robs.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Di prese di coscienza ed equilibrio cosmico. ***


Day 5: Cucina ♥
Note di Robs: Stavolta non dico nulla, vi lascio al capitolo e vi do appuntamento giù ♥
 
 


04. Di prese di coscienza ed equilibrio cosmico.
 
 
 


 
«Sei sicuro che debba venire anche io?»

«Per la quarta volta in appena un’ora: sì, ne sono sicuro, Thad. E poi, scusa, mi spieghi quale alternativa avresti?»

Thad non risponde, non subito, almeno. Continua a guardarsi allo specchio e finge che tutta la sua attenzione sia dedicata al giusto ordine con cui deve infilare i bottoni nelle asole, quando in realtà ha la mente sovraccarica di pensieri e riflessioni più o meno consistenti. Sebastian è seduto sul bordo del suo – loro – letto e si sta allacciando le scarpe ed è una situazione talmente intima e confidenziale che Thad non sa se essere più preoccupato per l’atmosfera in cui si trovano o per il fatto che ha appena realizzato di non esserne affatto preoccupato.

«Cosa dobbiamo fare?» Domanda allora, perché non hai mai partecipato così attivamente a un matrimonio e non è certo della natura di tutti i passaggi di cui esso si compone. Osserva Sebastian scrollare lievemente le spalle, attraverso la superficie riflettente, e poi alzarsi e dirigersi verso di lui.

«Sederci a tavola e mangiare, presumo» spiega e Thad si sposta appena per consentire anche a lui di specchiarsi. «È solo un pranzo di prova, più per approvare definitivamente le portate che altro. Pierre ci tiene che ci sia anche io, in quanto testimone, e tu sei la mia metà, quindi devi partecipare anche tu.»

No, Thad continua a non essere preoccupato di quella vicinanza, continua a trovare assolutamente normale la familiarità di certe argomentazioni e la sicurezza con cui Sebastian finge di essere il suo ragazzo. Anche se, di fatto, non c’è nessuno a guardarli e a giudicarli a tale proposito. Lo trova semplice e naturale, come respirare.

«Ci saranno anche i tuoi genitori?» Si informa, finendo di abbottonare la camicia a quadri celesti che ha scelto di indossare per quell’occasione. Inconsciamente o meno, sa che è una delle preferite di Sebastian. Quest’ultimo annuisce brevemente e gli rivolge un sorriso tranquillizzante attraverso lo specchio, seppur inutilmente.

«In quanto padroni di casa, sì» chiarisce, senza smettere di studiare criticamente la propria immagine riflessa. È perfetto così, con i capelli spettinati e il viso pulito e riposato: Thad non può fare a meno di pensarlo ma, proprio quando si trova sul punto di farglielo notare, Sebastian si volta verso di lui e fa schioccare la lingua, osservandolo con un sorrisino sghembo che non promette nulla di buono. «Forse vi sarà anche la sorella di Margot, la sua testimone, non ne sono sicuro, però. Ciò di cui sono sicuro» comincia con enfasi e Thad non può impedire a un brivido caldo di attraversargli lo stomaco e il bacino, quando il ragazzo porta entrambe le mani al colletto della sua camicia. «È che questa camicia sia troppo abbottonata. Non sei un’educanda, Harwood. Sei sexy e puoi permetterti di-» si morde un labbro e sfila un paio di bottoni dalle asole, lasciandogli una carezza leggera sulla pelle appena scoperta.

Thad trattiene il fiato, ma le mani di Sebastian gli riportano alla mente sensazioni vive e incandescenti, dita che lo sfiorano e braccia che lo stringono. Non per ultima, la notte appena terminata, che Thad ha trascorso premuto contro il petto di un Sebastian che ci ha messo veramente poco prima di attirarlo a sé e chiedergli – sottovoce e quasi disperatamente – di restare in quella posizione per un po’.

E forse è per questo. Forse è questo il motivo per cui non riesce a preoccuparsi dell’intimità che si respira tra loro: perché, seppur non in maniera così esplicita come desiderava, ha ricevuto parte delle risposte che cercava e adesso ha la conferma che sì, quella non è semplicemente una finzione.

«Mi piace questa camicia» la voce del ragazzo lo richiama dai suoi pensieri e lui si ritrova a sbattere più volte le palpebre per riportare la sua attenzione a un livello accettabile. Sta sorridendo, sorride affabile e sardonico, ma sembra felice e Thad non può che gioire internamente del suo buonumore.

È felice grazie a me – si ritrova a pensare, senza neanche avere la conferma che sia quella la verità.

«Lo so» confessa comunque, perché è ben conscio che mentire non servirebbe a nulla. «Non è la prima volta che me lo dici.»

«Vuol dire che lo penso davvero» gli strizza l’occhio con fare accattivante e poi lascia scivolare via le mani. «Adesso sei perfetto. Andiamo?»

E Thad annuisce, ancora stordito e preso in contropiede dal suo comportamento. Lo prende per mano, lo bacia, lo abbraccia durante la notte, gli fa complimenti carini e lo tratta con dolcezza e premura, ma non parla. A parole, Sebastian Smythe non si esprime e Thad sta seriamente diventando scemo a furia di analizzare ogni sua mossa per carpirne significati nascosti e chiavi di lettura che possano spiegare l’arcano.
 


 
Il pranzo di prova non è così male, Thad deve ammetterlo dopo appena un paio di portate. Sospetta che parte del merito sia da attribuire alla percentuale di francofoni presenti a quel tavolo – che quindi non lo coinvolgono in conversazioni imbarazzati e indesiderate – ma non potrebbe esserne certo. Come aveva immaginato qualche giorno prima, però, quel matrimonio sarà davvero un evento sfarzoso e principesco senza precedenti: l’ennesima conferma gli è data dal numero indecente di portate di cui si compone il menu che gli è stato presentato. Non ha mai capito la necessità di rimpinzare gli ospiti con primi, secondi, contorni, antipasti, sorbetti, zuppe e quant’altro: dopotutto, dove sta scritto che ai matrimoni si ha più fame degli altri giorni? Da nessuna parte, Thad ne è piuttosto certo, per cui si trova sul punto di deporre le armi già dopo un antipasto più che abbondante una minestra in brodo che gli ha fatto sudare sette camicie ma che, a quanto pare, è un piatto immancabile ad un pranzo di quel genere.

Gli ospiti a tavola sono strategicamente divisi in “solo francesi” e “anche inglesi”, disposti in modo da facilitare commenti e discussioni circa i vari assaggi che gli vengono serviti. Thad, unico profano in francese, ha trovato il suo posto tra Sebastian e sua suocera che si impegnano strenuamente per coinvolgerlo e non farlo sentire escluso e fuori luogo.

«Immagino che la cucina messicana sia completamente differente da quella francese» sta intanto argomentando Anne, dopo una breve disquisizione sulle origini della sua famiglia.

Thad annuisce, mentre un cameriere gli serve un altro piatto che lui non saprebbe neanche da dove iniziare ad identificare. «È molto più aromatica e… intensa, sì. Sicuramente meno delicata.»

La donna annuisce con partecipazione e, notata la sua espressione dubbiosa, sorride incoraggiante. «Rôti de porc» pronuncia in un francese fluido ed elegante. «Nient’altro che un arrosto di maiale con condimenti e salse.»

Il ragazzo le sorride con riconoscenza e sobbalza appena quando Sebastian gli sfiora la gamba con la punta delle dita. «Stai andando benissimo» gli sussurra con complicità e una punta di orgoglio, prima di servirsi e ricominciare a mangiare con educazione. Thad rimane ad osservarlo incantato una frazione di secondo, poi si riscuote brevemente e pensa bene di imitarlo per non fare la figura dell’idiota. Ed è a quel punto che accadono più cose contemporaneamente e per Thad è quasi come assistere alla scena dall’esterno, vedere l’azione svilupparsi con chiarezza e precisione ma senza poter fare nulla per intervenire. Vede se stesso tagliare un pezzo del suo… qualsiasi cosa sia e portarselo lentamente alle labbra, incoraggiato dal suo buon profumo, e poi la forchetta volare e cadere disordinatamente sul piatto, in un tintinnio di acciaio e ceramica. Il tutto è accompagnato da un paio di violenti colpi di tosse che gli fanno temere il peggio e dalla mano che, prontamente, si è chiusa intorno al suo polso.

Il tempo che gli occhi di tutti si puntino su di lui è quello che impiega per realizzare che la mano che lo sta stringendo è quella di Sebastian, così come i colpi di tosse che ancora gli risuonano nelle orecchie.

«Che accidenti-» fa per dire, ma le guance arrossate del ragazzo al suo fianco gli fanno aggrottare la fronte e schiudere le labbra.

Sebastian scuote la testa e manda giù un paio di sorsi d’acqua, prima di respirare profondamente e sospirare. «Funghi» spiega semplicemente e Thad sente il cuore stringersi e crogiolarsi nell’improvvisa comprensione. «Stai bene?» Si interessa poi, con sguardo serio e apprensivo.

«Non mi hai dato tempo di mangiarli» annuisce e gli accarezza delicatamente il dorso della mano per tranquillizzarlo. Abbassato nuovamente lo sguardo sul suo piatto, la crema beige che insaporisce la carne ha adesso un aspetto chiaro e definito, così come il profumo che lo aveva convinto a fidarsi di quella pietanza dal nome impronunciabile. Funghi. Thad adora i funghi e li adorerebbe anche di più, se non ne fosse fortemente allergico. L’ultima volta che li ha inconsapevolmente mangiati, circa sette o otto anni prima, ha quasi avuto un blocco respiratorio. «Grazie» mormora poi, recuperando la forchetta, mentre Anne spiega velocemente agli altri quello che è appena accaduto.

«Questo piatto non va bene» Sebastian si rivolge a Pierre con tono di voce perentorio e incontestabile. «Così come qualsiasi altro a base di funghi» aspetta che il cugino abbia annuito e provveduto a tradurre alla sua futura moglie, poi torna a rivolgere la sua attenzione a Thad che, dal canto suo, non solo sente gli occhi di tutti addosso, ma ha anche realizzato che Sebastian gli ha appena salvato la vita. Come il ragazzo non tarda a fargli notare, prima di negargli il permesso di assaggiare qualsiasi altra pietanza non abbia precedentemente approvato lui.

Thad non se lo fa ripetere due volte: accoglie quella premura con un sorriso divertito e un “grazie” silenzioso che Sebastian non fa alcuna fatica a recepire, mentre intorno a loro i rumori riprendono e il pranzo ritorna a scorrere con convivialità e rilassatezza.

Ma Thad lo sa, la legge di Murphy è sempre lì in agguato a spiare i suoi movimenti e impegnarsi per riportare il sistema ad un equilibrio cosmico e naturale. A discapito suo, ovviamente, e di quei pochi momenti di felicità vera che riesce a ritagliarsi quando decide che le conseguenze dell’ascoltare il suo cervello sono più confusionarie e caotiche di quelle causate dall’agire senza premeditare. Prendere le cose come vengono e smettere di fasciarsi la testa con congetture e supposizioni che di concreto hanno ben poco.

Se qualcosa può andare storto, lo farà: Thad si rende conto solo in questo momento di essere stato ingenuo e superficiale a non pensare che qualcuno avrebbe potuto porgli quella domanda. Quella da cui è iniziato tutto. Quella per cui è finito tutto.

Quando Thomas Smythe gli chiede che programmi ha per il college, Thad avverte il peso del mondo e degli occhi di Sebastian gravargli sulle spalle e comprimergli lo stomaco. Ingoia lentamente e si prende del tempo che non ha per rispondere, ben conscio dello sguardo del suo ex ragazzo che gli trapassa la nuca. «Vorrei studiare medicina» risponde con sincerità, perché quella è la parte facile e definita. Quella a cui ripensa quando il suo futuro gli appare ancora traballante e incerto. Voglio studiare medicina, è tutto quello che sa.

L’uomo annuisce e si tampona le labbra con un angolo del tovagliolo, prima di versarsi un bicchiere di vino rosso. «E dove pensi di studiare?» Chiede, con un vivo interesse che Thad non fa alcuna fatica a trovare assolutamente fuori luogo. L’approvazione del padre di Sebastian gli fa fin troppa gola, ma non a quelle condizioni e non per quel motivo.

«Non ho ancora deciso» risponde quindi, tenendosi volutamente sul vago. «Sto, uhm, valutando le varie opzioni per essere certo di fare la scelta giusta.»

«Sebastian frequenterà Harward» dichiara lui e Thad vorrebbe rispondere che, grazie tante, lo sa benissimo. «Immagino sarà difficile continuare a… frequentarsi.»

E forse è a causa di quella nota di leggera derisione nella sua voce, o nella lampante certezza che quell’uomo non appoggerà mai un’eventuale relazione tra lui e Sebastian, ma tutto quel discorso a Thad sembra profondamente ingiusto. Specialmente perché Thomas Smythe, dall’alto del suo piedistallo dorato e incastonato di rubini, non può avere idea che sia proprio quello il motivo per cui le cose tra lui e suo figlio sono degenerate fino a compromettersi del tutto.

“Non posso permettermi di studiare ad Harward, Sebastian. Farò domanda a Princeton o alla Columbia.”

“Puoi chiedere una borsa di studio. Se non la danno a te, a chi?”

“Lo sai meglio di me quanto è difficile ottenere una borsa di studio in un’università così prestigiosa.”

“Puoi almeno fingere che ti importi che il prossimo anno potremmo trovarci ai lati opposti dell’America?”

“Puoi almeno fingere di metterti nei pieni panni e guardare le cose dal mio punto di vista?”

“Io ci provo a guardare le cose dal tuo punto di vista, ma qui pare che io sia l’unico a preoccuparmi della fine che faremo a Settembre.”

«Non mi sembra il caso di parlarne adesso» la voce intransigente del Sebastian del presente si sostituisce a quello dei suoi ricordi, interponendosi tra lui e la sua eventuale risposta. «L’estate è ancora lunga, il tempo per riflettere non manca.»

«Naturalmente» commenta Thomas, apparentemente cieco alla reazione dei due ragazzi. «Dopotutto, com’è che si dice-»

Sebastian sospira e si passa una mano sugli occhi e Thad sa esattamente quello che sta per accadere, lo sente con precisione e non sa come fare ad evitarlo. «Non dirlo» quasi lo prega stancamente, perché le cose tra loro saranno anche confuse e traballanti e difficili da definire e razionalizzare, ma Thad sa che anche Sebastian ricorda alla perfezione le ore infinite di discussioni che il parlare di quell’argomento si è portato con sé. Sfinendoli, sfiancandoli e mettendoli l’uno contro l’altro durante la ricerca di una soluzione che sembrava impossibile da trovare. E che alla fine li ha sconfitti.

«Se son rose-»

«Ma vaffanculo.»                                

 
 
 



 
 

Uhm.

Ammetto di aver tenuto questo capitolo a metà per buone due ore, decidendo se metterci questa parte finale oppure concluderlo con Sebastian che salvava la vita a Thad (qualcuno ha detto cliché? Sì, io, quando vi ho presentato questa mini long), ma alla fine ho optato per questa mezza botta di angst, perché era ora che venisse svelato il motivo per cui questi due si sono lasciati. Motivo che, per inciso, nella mia testa è sempre stato questo, così come faccio davvero fatica a vederne un altro in generale. Ecco.

In ogni caso, sappiate che è una situazione destinata a durare poco, perché già nel capitolo di domani si risolve parzialmente tutto, parola di lupetto ♥
E nulla, ieri è stata una giornata infernale e non ho avuto tempo per rispondere alle recensioni/leggere e recensire le vostre week, ma mi riprometto di fare tutto oggi ♥

Nella speranza che questo capitolo vi sia piaciuto, vi do appuntamento a domani, specificando già che l’aggiornamento avverrà nel tardo pomeriggio, perché sarà un’altra giornata incasinatissima. Un bacio grande a chiunque sia arrivato fino a qui, a chi segue/preferisce questa long e a chi si prenderà quei due minuti per lasciarmi un parere ♥

Robs.
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Di tutto, di niente, e poi di nuovo di tutto. ***


Day 6: Regalo di compleanno ♥
Note di Robs: Vi capita mai di essere pienamente soddisfatti di un vostro scritto? A me è molto raro, ma questo capitolo… boh, io lo lascio a voi ♥
 
 


05. Di tutto, di niente, e poi di nuovo di tutto.
 
 


 

Un vaso di Pandora.

Un mistico contenitore in cui sono racchiusi tutti i mali del mondo e che, spesso e volentieri, è utilizzato come comoda spiegazione della stupidità umana. Un tappeto sotto cui nascondere la polvere che non si ha voglia di spazzare via, un ripostiglio stipato di cianfrusaglie e rifiuti. La verità è che di modi per definirlo ce ne sarebbero a decine, ma tutti non fanno altro che ricondurre alla figura di un ideologico buco nero in cui finisce la roba vecchia, ciò di cui non ci va più di occuparci, un dimenticatoio in cui nascondere ciò che ci turba e ci dà da pensare. Un cassetto talmente pieno di ricordi e frasi a metà che ormai non si apre più. Una diga che argina la coscienza.

Ciò che tutte queste definizioni hanno in comune, però, è l’ineluttabilità. L’impossibilità di tornare indietro una volta sbloccato il cassetto, crepata la diga, aperto il ripostiglio, scoperchiato il vaso. L’impossibilità di rimettere tutto in ordine e fingere che non sia accaduto, ritornare ad una condizione di equilibrio.

Thad lo sa bene. Lo sa perché la sua rottura con Sebastian è sempre stato un vaso di Pandora di dimensioni non indifferenti. Per mesi, hanno continuato a gettarvi tutto dentro, discussioni lasciate a metà, parole non dette, desideri inespressi. Hanno accumulato ogni insoddisfazione e ogni recriminazione nei confronti dell’altro, fino a che il contenitore è risultato talmente pieno – e loro talmente vuoti – da non poter accogliere più nulla. E allora lo hanno lasciato lì, in un angolo della stanza, ad accumulare polvere e rimpianti, senza fare nulla di concreto per sistemare ciò che vi era incastrato dentro.

Fino a che la chiusura non ha ceduto e, senza che loro potessero fare qualcosa per impedirlo o prevederlo, si è aperto di nuovo. E forse così è stato anche peggio, perché non vi è stato il tempo necessario per pensare, trovare soluzioni, riflettere e prepararsi psicologicamente all’ondata di risentimento che poi li ha investiti in pieno. Con la potenza di mesi interi di silenzi tesi e parole taciute.

«Pensavo avessi cambiato idea.»

«Perché dovevo essere io a cambiare idea?»

«Perché lo sai perfettamente che io non posso, Thad.»

«Non ti sei mai fatto problemi ad agire di testa tua. Guarda caso, proprio adesso dovevi iniziare a comportarti da figlio ubbidiente.»

«Continui a comportarti come se la decisione pesasse solo a te.»

«Perché a quanto pare è così. Le cose non sono facili per nessuno, Sebastian, perché devo essere io a mettermi da parte?»

E forse è proprio questo il problema, il nocciolo della questione che è sempre stato difficile da mandare giù e digerire: nessuno dei due vuole o ha mai voluto cedere o scendere a compromessi. Sin da quando si è presentata la necessità di dover riflettere seriamente sul loro futuro come coppia, né Thad e né Sebastian hanno mai palesato l’intenzione di lasciar cadere le armi e arrendersi. Ognuno dei due voleva avere l’ultima parola, decidere per entrambi e aspettare che fosse l’altro a farsi da parte e arrendersi. Chi l’ha detto che dobbiamo fare come dici tu? – era all’ordine del giorno.

Quando Thomas Smythe ha riportato in auge la questione, ha inconsapevolmente scoperchiato un vaso rimasto sigillato per quasi sei mesi, sommergendo i due ragazzi con la più antica delle forze del mondo: quella dell’orgoglio. Proprio quando la situazione sembrava essersi ristabilita, proprio quando Thad si era convinto a provarci davvero e di nuovo, proprio quando Sebastian si era scoperto quel tanto che bastava per permettere a Thad di accorgersi che i suoi comportamenti erano sinceri, quella domanda ha minato il precario equilibrio su cui si reggeva il loro sistema.

“Ti amo, ma non puoi chiedermi di scegliere tra te e il mio futuro.”

“Dovrei essere io il tuo futuro, Thad. Si suppone che tu mi ci veda con te, sai?”

“Potrei farti la stessa obiezione.”

Non hanno parlato, non hanno messo in chiaro la loro posizione o si sono preoccupati di dare un nome a ciò che hanno scoperto li lega ancora: sono semplicemente esplosi, come se quei sei mesi passati a fingere di non tenerci più all’altro non fossero mai trascorsi, come se fossero ancora nel dormitorio dell’Accademia Dalton a discutere sull’eventualità di doversi dividere per sempre. Come se non si fossero mai lasciati. Stanno ancora insieme e stanno ancora discutendo e rinvangano un passato che non sarà mai troppo remoto per smettere di fare male.

Anche adesso, anche dopo quasi ventiquattro ore da quella fatidica domanda. Thad si sente come un fiume in piena e sa di avere ragione a portare avanti le sue convinzioni e il suo punto di vista, specialmente perché Sebastian continua a comportarsi come se avesse dato per scontato che alla fine lui avrebbe cambiato idea e avrebbe fatto domanda ad Harward per averlo vicino. Ed è proprio questo che Thad non riesce a farsi andare bene: Sebastian non ha mai avuto la minima intenzione di scendere a compromessi per loro, ma ha sempre agito nella piena convinzione che Thad sarebbe tornato da lui con la coda tra le gambe e una borsa di studio per l’università a cui si sarebbero iscritti insieme.

«Lo hai visto, Harwood. Mio padre non si metterà l’anima in pace solo perché io ho un progetto a lungo termine da portare avanti.»

«E il progetto a lungo termine sarei io, ovviamente. Tu hai dimenticato che non stiamo più insieme?»

«Io, ho-? Ho organizzato tutto questo benedetto casino per farti capire-»

«E non potevi parlare come fanno i comuni mortali, Sebastian?»

«No!» Sebastian è furibondo, sbatte la porta della piccola rimessa in giardino, a cui lui e Thad si sono recati per recuperare gli attrezzi con cui allestire il patio per la celebrazione dell’indomani; i suoi occhi sono fiammeggianti e adirati. «Perché avevo capito che per te contassero i fatti e non delle stupide parole campate in aria.»

«E avevi capito bene, se solo i suddetti fatti fossero alla portata della comune comprensione umana.»

«Scusami tanto» si infervora l’altro, la sua voce che rimbomba attraverso le pareti della piccola casupola in penombra. «Se non mi sono limitato a spedirti un mazzo di fiori con “Vaffanculo, voglio tornare con te” scritto vicino.»

«Sarebbe stato di certo più chiaro!» Ribatte Thad, fuori di sé al punto da non rendersi pienamente conto della confessione appena sputata da Sebastian. «La prossima volta vedi di-»

«Quante cazzo di volte ancora vuoi lasciarmi?» Lo interrompe però Sebastian, le braccia leggermente allargate e l’espressione di chi ha appena ricevuto una secchiata d’acqua gelida in pieno viso.

Thad assottiglia gli occhi, ma non osa muovere un muscolo. «Sei stato tu a lasciare me.»

«Io avevo detto che “forse” avremmo dovuto lasciarci» gli fa notare, con stoicismo e sicurezza.

«Ma lo hai detto comunque.»

«E tu ti sei detto d’accordo, smettila di dare la colpa a me» sbotta, il tono di voce che non ammette repliche; afferra la cassetta degli attrezzi posata su un ripiano in basso e poi si volta di nuovo a guardarlo. «È troppo facile scaricare tutto su di me, mh? Tanto sono io quello stronzo e menefreghista che avrebbe mandato tutto a puttane comunque. Tu pensi che io non lo sappia quello che sei andato a dire in giro? Ovviamente, è la tua di versione quella che circola sulla bocca di tutti. Io sono passato per il cattivo approfittatore e tu ne sei uscito come la povera vittima con il cuore spezzato.»

Thad è allucinato; sgrana gli occhi ad ogni parola che Sebastian gli vomita addosso, non potendo credere alla quantità nociva di veleno che vi ha riversato dentro. Non è vero, è ciò che pensa ed è anche ciò che dice un attimo dopo. «Non mi sarei mai permesso di screditarti o spalarti merda addosso solo perché sì, vaffanculo, mi sentivo spaccato a metà. Se tu mi conoscessi almeno un minimo, lo sapresti.»

E detto ciò, non aspetta che Sebastian aggiunga altro: avverte gli occhi pizzicare e il nodo alla gola premere per essere liberato, non vuole che Sebastian lo veda piangere e non vuole davvero passare per la povera vittima di cui avere pietà, così si volta e abbassa la maniglia della porta, del tutto intenzionato a correre via e non farsi vedere fino al matrimonio.

Solo che la porta non si apre. Thad la abbassa di nuovo e la scuote un po’, ma quella rimane inequivocabilmente chiusa.  

«Non è divertente» prova a mostrarsi calmo, anche se avverte il panico iniziare ad avvolgerlo e dare la colpa a Sebastian è davvero troppo semplice. «Se è uno scherzo, non è affatto divertente.»

Quando però si volta di nuovo a guardarlo, il ragazzo ha la fronte aggrottata e l’espressione confusa di chi è genuinamente con la coscienza pulita. «Di che diavolo-» inizia, ma poi deve accorgersi dell’improvviso pallore sul viso di Thad, tant’è che gli strascichi di quella violenta discussione abbandonano immediatamente il suo viso. «È chiusa?» Domanda stupidamente, ma avvicinandosi a lui e sostituendo la sua mano a quella di Thad. «Deve essersi incastrata quando-» stringe la maniglia e la tira con forza, provando a sbloccarla. «Quando l’ho sbattuta prima.»

Thad ingoia a vuoto e si guarda intorno velocemente, alla ricerca di qualcosa con cui forzare la porta e- no, e se poi dovesse deformarsi e rimanere bloccata definitivamente? Quanto sarà grande quel capanno? Due o tre metri quadri? La finestra è troppo piccola per uscirvi, ma possiamo aprirla e fare entrare un po’ d’aria, così- quanta aria ci sarà qua dentro? Se dovesse finire- Sebastian può scardinare la porta e- o possiamo urlare e magari qualcuno- cazzo, se solo avessi preso il telefono…

«Thad» la voce sicura e dolce di Sebastian lo richiama dal vortice autodistruttivo dei suoi pensieri e lui si rende conto solo adesso di essere indietreggiato fino a sbattere la schiena contro uno scaffale. «Ascoltami, ehi» il ragazzo gli posa le mani sulle guance e lo induce a sollevare il viso, ma Thad sa che ciò che Sebastian sta osservando nei occhi altro non è che il panico più asfissiante. «Questa rimessa è un po’ malconcia, non è strano che la porta si sia bloccata, ma-»

«Facci uscire da qua dentro, fammi» ingoia a vuoto mentre il respiro gli accelera appena. «Uscire da qua dentro.»          

E Sebastian annuisce, le sue dita che prendono ad accarezzargli le guance con delicatezza, continuando ad osservarlo con sguardo premuroso e accorto. «Non posso mettermi a smanettare là vicino, se non so che tu stai tranquillo.»

Stare tranquilli, è una parola. L’aria è sempre di meno, perché- respira più lentamente, Thad, respira-

«Thad» di nuovo, Sebastian lo richiama a sé con decisione e tanta di quella dolcezza che a Thad viene solo da piangere. Per tutto, per ogni fottuta cosa. «Ehi, guarda me, dai. Sono qui.»

E lui lo fa, punta i suoi occhi lucidi in quelli di Sebastian e prova ad attingere da essi la calma e la tranquillità necessarie a ricominciare a respirare con regolarità, ma avverte la testa iniziare a girare e la stanza rimpicciolirsi a ogni respiro che prende e sottrae da quelle quattro mura.

«Se finisce l’aria…»

Sebastian scuote la testa con un piccolo sorriso morbido a piegargli le labbra. «Ti presto la mia» risponde lo stesso, prima di avvicinarsi e posargli le labbra sulla fronte. «Te lo ricordi il nostro primo bacio?» Domanda, muovendo la bocca contro la sua pelle appena increspata dalla preoccupazione.

L’altro ingoia a vuoto e annuisce. «Certo che- me lo ricordo.»

«Ti va di raccontarmelo?»

E Thad non pensa che quella sia una richiesta insolita o stupida, neanche mette in dubbio il fatto che Sebastian possa ricordarlo o meno. Semplicemente, prende un respiro profondo e poi chiude gli occhi, incoraggiato dalle dita di Sebastian che gli tracciano delicatamente le gote e dal suo profumo che lo inebria. «Era il mio compleanno» comincia, faticando a tenere la voce ferma. «E avevamo fatto tardi a lezione.»

L’altro strofina le labbra contro la sua fronte, annuendo lentamente. «Pioveva e avevamo fatto una corsa dai dormitori all’edificio scolastico» aggiunge, sottovoce. «Eravamo tutti bagnati, perché avevamo dimenticato l’ombrello.»

«E- e stavamo litigando. Io stavo dando la colpa a te.»

Sebastian emette una piccola e bassa risata a quella precisazione. «Come al solito. Dicevi che era colpa mia che ti avevo distratto.»

«Ed era vero ma-» Thad ingoia a vuoto, sempre tenendo gli occhi chiusi, provando a figurarsi mentalmente quella scena come meglio può. «Mi convincesti a prendere l’ascensore per fare prima. Io non volevo-»

«-ma io ti risposi che per una volta non sarebbe accaduto nulla. Che ci avrebbe risparmiato una ramanzina inutile e quattro rampe di scale.»

«Solo che- l’ascensore si bloccò a metà strada.»

Sebastian annuisce e gli fa scivolare entrambe le braccia dietro al collo, senza però allontanare le labbra dalla sua fronte. «Per nove minuti. Li contai, lo sai?»

No, Thad non ne ha e non ne aveva idea, perché di quei nove minuti lui ricorda solo l’ansia e l’agitazione e il panico che lo assaliva. «Ti dissi che era tutta colpa tua.»

«Come al solito» sorride di nuovo Sebastian e lui non riesce a impedire a un angolo delle sue labbra di piegarsi a tradimento. «Io ti dissi di respirare e- non lo sapevo che eri così tanto claustrofobico. Mi spaventai a morte, mi spaventasti a morte.»

«Mi mancava l’aria» ricorda Thad e sposta le mani sui fianchi di Sebastian, quasi a volersi aggrappare alla sua presenza nel presente, per non farsi trascinare ulteriormente dalla paura che gli spazi chiusi gli causano. «E ti chiesi di distrarmi e farmi pensare ad altro.»

«E io avevo la testa completamente vuota e non riuscivo a concentrarmi su nulla di concreto e utile.»

«Iniziasti a raccontarmi una barzelletta, ma non ti ricordavi come finiva e-» si morde un labbro, prendendo l’ennesimo respiro profondo, beandosi della sensazione dei suoi polmoni pieni d’aria. «E comunque non faceva ridere per niente.»

La bassa risata di Sebastian gli solletica la pelle e lo fa rabbrividire appena, mentre il ragazzo aumenta di poco la stretta su di lui e lo avvicina ulteriormente a sé. Thad si sente al sicuro nel suo abbraccio, si sente protetto dal mondo e dalle sue paure così limitanti. «E allora ti baciai» prosegue Sebastian e per un attimo tutto tace, perché il ricordo di quel momento, di quelle sensazioni, di quell’attimo apparentemente infinito, ancora gli fa battere il cuore e lo emoziona come null’altro. Erano mesi che moriva dietro Sebastian, quel bacio fu il coronamento di un sogno. «E tu mi dicesti-»

«-che così il respiro me lo toglievi del tutto.»

L’altro annuisce e si allontana da lui quel tanto che basta per osservarlo negli occhi, con sguardo vivo e adorante, carico di talmente tanto amore che Thad si sente vacillare per un attimo. «E io ti risposi che potevi prendere in prestito il mio quando volevi.»

«Fu bellissimo» mormora Thad, che intanto ha fatto passare le proprie braccia intorno alla schiena di Sebastian e adesso si trova premuto contro il suo petto, incastrato tra lui e la scaffalatura alle sue spalle. E non si è mai sentito meglio. «Era da tanto che lo volevo. Baciarti- non restare bloccato nell’ascensore.»

«Anche io» è la risposta di Sebastian, sussurrata a bassa voce, direttamente sulle labbra di Thad. «E ti dissi che quello era il tuo regalo di compleanno.»

Thad ingoia a vuoto, stordito da quella vicinanza che lo confonde e fa rabbrividire. «E poi l’ascensore è ripartita.»

«E poi l’ascensore è ripartita» ripete Sebastian e gli sfiora le labbra con le sue, in un contatto talmente delicato che Thad crede di averlo solo immaginato. «E io ho desiderato baciarti di nuovo per tutto il resto della giornata» gliele sfiora di nuovo, un po’ più a lungo, ma con la stessa dolcezza e semplicità di poco prima.

«Ci hai messo un po’, prima di farlo di nuovo» gli fa notare, le palpebre calate a metà e il cuore che corre furioso sotto la cassa toracica. «Pensavo non lo avresti più fatto.»

«Sono sempre stato un po’ idiota, quando si trattava di te.»

«Sei ancora un po’ idiota» mormora Thad, la voce talmente bassa che non si stupirebbe se Sebastian non lo avesse sentito.

Ma Sebastian lo ha sentito alla perfezione, tant’è che stringe un po’ la presa su di lui e se lo preme addosso, in maniera talmente disperata che Thad crede voglia farlo diventare parte di sé. «Perché si tratta ancora di te» sussurra. «Si è sempre trattato solo di te.»

E poi lo fa. Chiude definitivamente la distanza tra loro e lo bacia, lo bacia come non faceva da mesi interi. Con dedizione e venerazione, accarezzando le sue labbra e dando a Thad il tempo di adattarsi ai suoi movimenti, modellando la propria bocca sulla sua e lasciando che sia lui a decidere se e quando interrompere quel contatto. Ma Thad non lo fa. Chiude le mani intorno alla sua schiena e si solleva appena sulle punte per premersi maggiormente su di lui, ricevendo in risposta un sorriso innamorato che altro non è che un riflesso del suo.

Quando la porta del capanno si apre e la voce di Thomas Smythe li sorprende in quella posizione, Thad sospira internamente di sollievo per la libertà riacquistata, ma non interrompe quel contatto. E neanche Sebastian lo fa. Continua a baciarlo con intensità e dolcezza, mentre suo padre sbuffa e impreca a mezza voce.

Questa consapevolezza per lui vale più di mille parole.   




 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Di nuovi inizi e salti nel vuoto. ***


Day 7: The day of firsts ♥
Note di Robs: Vi aspettavate davvero che io concludessi la week in tempo? Lo so, sono pessima, abbiate pietà di me. Ho preferito aggiornare di domenica per continuare da dove avevo interrotto, insomma. Per il resto, ci vediamo giù  ♥
 
 


06. Di nuovi inizi e salti nel vuoto.
 
 
 


Pierre e Margot pronunciano il loro sì sotto un arco di fiori di arancio e magnolia.

A discapito di ogni aspettativa, l’abito della sposa non è la meringa gigante che Thad si aspettava e la cerimonia è più seria e discreta di quanto avesse preventivato. Si è ufficialmente reso conto di dovere le sue scuse a quella coppia così anomala – su cui non avrebbe mai scommesso nulla – quando lei si è ritrovata ad emozionarsi durante lo scambio degli anelli. Ha distolto lo sguardo da quel momento così intimo solo per incrociarlo con quello di Sebastian, in piedi accanto agli sposi. I suoi occhi erano carichi di promesse e tenera aspettativa, Thad riusciva a leggerne ognuna direttamente dalle sue ciglia a cui erano rimaste impigliate.

Le parole sono sempre state superflue tra loro, un modo di comunicare che non hanno mai sentito rappresentarli davvero. Sguardi e tocchi leggeri erano il loro alfabeto e le linee immaginarie, che solevano disegnare l’uno sul corpo dell’altro, erano la loro carta bianca.

Funziona ancora, è un meccanismo che non si è inceppato, una lingua che non hanno dimenticato a causa dell’inutilizzo. Sebastian continua a sottintendere interi discorsi in un battito di palpebre e Thad continua a comprenderli a rispondervi con solerzia. È una dimensione che si conquista solo con la pratica, una sintonia da accordare continuamente e da mantenere viva e costante con dedizione e volontà.

Sebastian ama in silenzio, ama con discrezione e intimità. Ama in un modo che Thad ci ha messo un po’ a comprendere e fare proprio, ma che poi ha condiviso e amato a sua volta. Amare Sebastian per il modo in cui ama è quanto di più sorprendentemente facile Thad abbia fatto. E faccia tuttora. Amarlo per le parole che tace e non per quelle che dice.

Quando Sebastian prende posto accanto a lui, ad uno dei tavoli rotondi che adesso riempiono il giardino della villa, Thad non si domanda dove fosse e perché fosse sparito per metà ricevimento. Non se lo domanda perché sa dove Sebastian ha trascorso la notte precedente: nel loro letto, insieme a lui. A ritagliare promesse e mi dispiace da cucire sulla pelle di Thad, stringendolo e facendo l’amore con lui fino all’alba.

Sebastian sorride di un sorriso nuovo e felice, uno di quelli che Thad venderebbe l’anima per avere la certezza di esserne la causa. Sorride con gli occhi e con le dita, con la mano che cerca la sua sopra il tavolo e che si porta alle labbra con naturalezza.

«Sei più bello dello sposo» dice e lo intende davvero, perché il suo sorriso si accentua e i suoi occhi si illuminano e Thad allora ce l’ha quella certezza. Ce l’ha e se la tiene stretta, anche se l’anima l’ha comunque venduta a quegli occhi verdi e a quel ghigno storto, ormai molti mesi addietro.

«Ho una cosa per te» aggiunse Sebastian, tornando serio ma non lasciando andare la sua mano. «Per noi» si corregge un attimo dopo. Non gli lascia il tempo di rispondere che, distolto per un istante lo sguardo verso il centro del giardino, prosegue. «Ho pensato che forse abbiamo sbagliato approccio con tutta questa situazione.»

Thad avverte il cuore tremare e improvvisamente ha paura di ciò che Sebastian sta per dire. Ma poi il ragazzo continua e allora lui si tranquillizza, le sue dita che gli tracciano morbidamente il dorso della mano.

«Ci siamo sempre arroccati nelle nostre convinzioni e abbiamo sempre preteso che fosse l’altro a cedere ma- quando ieri ti sei sentito male… voglio essere con te se dovesse accadere di nuovo, voglio essere io a farti tornare a respirare.»

Thad annuisce lentamente, fiumi di pensieri e parole che premono per lasciargli le labbra e a cui non sa dare una forma. «Stai dicendo che-»

Sebastian scuote la testa. «No. Sto dicendo che- forse c’è un altro modo. Una terza opzione che non abbiamo considerato» e, così dicendo, infila una mano dentro la giacca del completo elegante e ne tira fuori un foglio di carta piegato in quattro parti. «Tu sei in gamba, Thad, non hai bisogno della Columbia per diventare un gran medico» gli porge il foglio di carta e lo invita a dispiegarlo con un cenno del capo. «Ed io… io non sono mai stato poi così tanto ubbidiente, avevi ragione tu.»

Thad apre il foglio con dita tremanti, lasciandosi cullare da quel dolce limbo tra l’inconsapevolezza e l’improvvisa comprensione. Inarca un sopracciglio e schiude le labbra. «La New York University

L’altro annuisce e si sporge un po’ in avanti, andando a cercare nuovamente la sua mano. «Possiamo prendere un appartamento insieme, magari, e ricominciare da lì. Ma possiamo farlo solo se lo decidiamo entrambi, solo- solo se lo vogliamo entrambi.»

Il volantino ha i colori un po’ sbavati e non è ben centrato in pagina, così diventa improvvisamente chiaro come il sole che Sebastian sia andato a stamparlo in fretta e furia nello studio di suo padre. Thad non sa cosa dire e non sa cosa pensare, perché niente di ciò che aveva immaginato sembra avere senso adesso. Continua a studiare quell’ennesima dimostrazione dell’amore di Sebastian e intanto pensa.

Pensa concretamente all’idea di loro due insieme a New York, nello stesso appartamento. Pensa ai momenti di intimità senza restrizioni, pensa alle infinite possibilità per la loro relazione, pensa a Sebastian che cucina la cena e alla lista della spesa attaccata al frigo, ai calzini sporchi lasciati in giro, ai piatti che nessuno dei due vorrà lavare, pensa al letto che condivideranno e ai loro nomi scritti su ogni superficie su cui faranno l’amore.

E pensa ai litigi, alle porte sbattute, ai bicchieri rotti e alle notti trascorse sul divano, pensa ai silenzi tesi e ai pasti lasciati a raffreddare sul tavolo. Ci pensa e pensa che sia bellissimo e che tra lui e Sebastian c’è sempre stata troppa razionalità e poco spirito di improvvisazione. Ogni storia d’amore è un salto nel vuoto, lanciarsi a capofitto e senza paura in una relazione che non saprai mai dove ti porterà e quanto male ti causerà, fidarsi di qualcuno al punto tale da non avere bisogno di sapere cosa c’è al di là, ma vivendolo insieme così come viene.

Lui e Sebastian hanno sempre affrontato la loro relazione tenendosi per mano, ma sorretti da due paracadute che limitavano la loro velocità e gli frenavano l’atterraggio. Le correnti li sbilanciavano, ma non costituivano mai una grave minaccia, perché vi era sempre qualcosa a mantenerli, a parargli le spalle dagli urti.

Così Thad solleva gli occhi su Sebastian e lo trova intento ad osservarlo, con quello sguardo carico di speranza e aspettativa che gli stringe il cuore per diversi secondi. E allora lo fa, taglia le funi del suo paracadute e lascia che il brivido della caduta libera lo scuota dall’interno, forse per la prima volta.

«Facciamolo. Ricominciamo, insieme.»

E non ha bisogno che Sebastian lo baci con urgenza un attimo dopo, per sapere che è appena saltato con lui.
 

 
 
 

 
 
The End
 
 

E quindi è finita anche questa week e in tempi ragionevolmente brevi, wow ♥

Vi è mai capitato di voler leggere una storia particolare e sentirvi dire “Allora scrivitela tu”? A me un sacco di volte, specialmente in questo fandom. Lo dico, perché questa particolare mini long è una di quelle storie che io volevo leggere a tutti i costi e che quindi mi sono scritta io xD Per questo, devo ringraziare la week, altrimenti non avrei mai trovato l’input e l’occasione per farlo.

Un grazie a chiunque si è fermato a leggere, a recensire, a preferire e a spargere amore un me; un bacio a chi ha tifato dall’inizio per loro due, a chi si è intenerito davanti a Thad e a chi aveva smascherato Sebastian sin dall’inizio, un bacio a chi si è emozionato con la loro storia. Siete un pubblico bellissimo ♥

Detto questo, come avevo accennato anche in pagina, io mi prendo qualche giorno/settimana di tempo per studiare con calma e togliere un po’ di distrazioni da mezzo, quindi non preoccupatevi se sparisco, Robs è peggio della varicella: una volta che arriva, non va più via <3

A prestissimo ♥
 
 

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