Mors tua, vita mea

di Loony Evans
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** There was a time... ***
Capitolo 2: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 1 ***
Capitolo 3: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 2 ***
Capitolo 4: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 3 ***
Capitolo 5: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 4 ***
Capitolo 6: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 5 ***
Capitolo 7: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 6 ***
Capitolo 8: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 7 ***
Capitolo 9: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 8 ***
Capitolo 10: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 9 ***
Capitolo 11: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 10 ***
Capitolo 12: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 11 ***
Capitolo 13: *** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 12 ***
Capitolo 14: *** Solo se mi lascerai volare, sarò capace di tornare (Parte 1) ***
Capitolo 15: *** Solo se mi lascerai volare, sarò capace di tornare (Parte 2) ***
Capitolo 16: *** I vincitori...o ciò che ne resta ***
Capitolo 17: *** Hall of fame ***
Capitolo 18: *** Arte della guerra, arte del tributo ***
Capitolo 19: *** Promossi con debito ***



Capitolo 1
*** There was a time... ***


Un tempo quel luogo veniva chiamato America del Nord. Un tempo quel luogo era famoso per essere la patria della libertà. Un tempo quel luogo ogni anno festeggiava il giorno in cui aveva conquistato la sua libertà.
 
Ora quel luogo è chiamato Panem. Ora quel luogo non è più famoso, è solo crudele. Ora quel luogo ogni anno ricorda il giorno in cui ha perso ogni libertà, anche quella di rimanere in vita o no.
 
E così ogni anno la gente di Panem quel giorno si alza, sapendo che suo figlio potrebbe morire da un momento all’altro, senza neanche ricordare cosa sia la libertà.
 
E s’incamminano piano, piano, verso la piazza che li accoglierà tutti nella sua stretta mortale e condannerà due ragazzi, colpevoli solo di essere nati.
 
E tante famiglie torneranno a casa, tanti genitori abbracceranno i propri figli, felici che siano con loro.
 
Ma altre due famiglie piangeranno, si dispereranno e pregheranno per riabbracciare quelli che in realtà non sono altro che pura e semplice carne da macello.
 
Angolo autrice
Saaaalve! Dopo tanti dubbi finalmente mi sono decisa a scrivere la mia interattiva! Se siete interessati, mandatemi tanti tributi che io provvederò a far sopravvivere, o a far morire, altrimenti limitatevi a leggere la sorte di questi poveri ragazzi.
 

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Capitolo 2
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 1 ***


Distretto 1
(pandamito, Coral97)  
Tutta quell’atmosfera era così…eccitata. Elle non li capiva. Okay, era la Mietitura, il momento che molti di quei ragazzi aspettavano ogni anno con ansia, ma a che pro?
Se non avessero avuto famiglie o amici cui pensare, avrebbe potuto capirli ma così…
Elle scrollò le spalle e si voltò ad ascoltare la sua amica Elizabeth con la quale si stava recando in piazza per la mietitura.
-         Ho sentito che quest’anno non si offrirà nessuna ragazza.-
-         Davvero?- replicò Elle porgendo la mano al Pacificatore per farsi identificare.
-         Ne aggiungi uno ogni anno, Elle?- chiese il Pacificatore guardando il braccio della ragazza, nudo a causa del vestito che aveva due spalline sottili.
-         Sì. - rispose lei allontanandosi un poco per fare spazio a Elizabeth. Quando anche l’amica ebbe finito, andarono insieme verso la fila delle quattordicenni dove si trovava anche un’altra loro amica, Michelle.
Lei le accolse, un po’ ansiosa. Elle capì che aveva saputo dell’assenza di volontarie ed era combattuta fra la voglia di offrirsi e la paura di farlo.
Di nuovo Elle si chiese perché lo facesse. Michelle aveva una famiglia che l’amava, un ragazzo e non molta abilità con le armi.
E all’improvviso la colse un pensiero: se si fosse offerta lei? Non aveva molta dimestichezza con le armi, ma era furba e qual cosina sapeva fare. Avrebbe potuto misurare le sue capacità e se fosse morta…pace.
Diede una fugace occhiata ai signori Evans, i suoi genitori. Stavano guardando interessati la capitolina che si stava avvicinando alla boccia dei nomi delle ragazze.
-         Allora, la ragazza che avrà l’onore di partecipare a questa edizione è…- cominciò la capitolina, tutta eccitata nei suoi vestiti color ocra, in tinta con il colore del Distretto.
-         Mi offro volontaria.- la voce di Elle risuonò chiara in mezzo al silenzio della piazza.
Tutti si voltarono verso di lei, Elizabeth e Michelle la fissarono a bocca aperta, ma Elle fece loro segno di non preoccuparsi e salì tranquilla sul palco.
-         Oh, che bello! Come ti chiami, cara?-
-         Elle Evans.-
-         Elle? Che nome adorabile!- esclamò la capitolina eccitata.- Vuoi dire qualcosa, cara?-
Elle guardò la folla e il suo sguardo cadde sui suoi genitori che la guardavano metà accigliati, metà stupefatti e rispose: - Va bene così. -
 
Jesse si stava dirigendo alla piazza con calma, ascoltando tranquillamente il padre che gli sussurrava parole irate e minacce per indurlo a offrirsi almeno quell’anno.
Il ragazzo, ormai abituato agli scatti d’ira del genitore, si guardò intorno e vide che erano quasi arrivati alla piazza­.
-         La mamma?- chiese di punto in bianco Jesse interrompendo lo sproloquio del padre.
-         È tra la folla. Ora vado da lei.- rispose l’uomo bruscamente spingendolo verso il Pacificatore per farsi identificare.
Jesse sorrise al Pacificatore e lui lo ricambiò. Il ragazzo sorrideva spesso, specie da quando Laser, suo fratello maggiore, era morto negli Hunger Games, e nessuno capiva perché con la famiglia che si ritrovava.
Jesse si unì ai sedicenni e nessuno lo salutò. Non che fosse inviso agli altri, al contrario: tutti lo ammiravano e lo rispettavano, ma lui non aveva mai dato particolare attenzione a nessuno, specie dopo la morte di Laser.
Aspettando che la capitolina ocra facesse il suo discorso, tirò fuori il pezzo di corda che usava come antistress e cominciò ad annodarlo.
Si stupì come tutti quando Elle Evans si offrì, era nota nel Distretto per essere una delle peggiori all’Accademia, e pensò che quell’anno il Distretto 1 non avrebbe vinto.
E improvvisamente lo colpì un pensiero: era dall’anno prima della morte di Laser che non vincevano.
Suo fratello ancora non era stato vendicato. La rabbia lo pervase e, prima che la capitolina potesse anche solo incamminarsi verso la boccia dei ragazzi, con voce calma nonostante l’irritazione, disse con voce chiara: - Mi offro volontario come Tributo.-
La capitolina alzò gli occhi e s’illuminò.
-         Che cosa fantastica! Due volontari! Vieni, vieni.-
Jesse eseguì e, salito sul palco, guardò il padre e la madre, uno esultante, l’altra perplessa ma con un sorriso timido.
- Il tuo nome?-
- Jesse Klanders.-
- Un applauso per Elle Evans e Jesse Klanders, i trentottesimi Tributi del Distretto 1!-


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Angolo autrice
 
Come avrete capito, pubblicherò le Mietiture Distretto per Distretto, ma per il resto vedrò di compattare un po’.
Ah, vorrei chiedere a tutti coloro che devono mandarmi le descrizioni dei Tributi (specie a Clary1835) di inviarmele per favore.
 

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Capitolo 3
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 2 ***


Nota
Perdonatemi, ma a causa di uno sporco ricatto scriverò i capitoli nell’ordine giusto, quindi cancellate la nota precedente e perdonatemi.
 
Distretto 2
(alix katlice, Clary1835)  
Confusione, allegria, caos. Ecco com’era la piazza nel Distretto 2 nel giorno della Mietitura.
Volontari, bambini alla loro prima Mietitura, madri e padri eccitati. Alexa non sapeva come fosse sentito quel giorno negli altri Distretti, ma non credeva che fossero eccitati quanto loro.
Soppesò il coltellino che teneva in tasca e sorrise. Quell’anno finalmente si sarebbe offerta.
Gliel’avrebbe fatta vedere a tutti: a quell’ubriacone di suo padre e a quella donna che affermava di essere sua madre, anche se non la vedeva praticamente mai, e a tutti quelli che avevano dubitato della sua forza.
Si diresse baldanzosa verso il Pacificatore e gli porse il braccio senza neanche guardarlo. Quello la guardò stranito e la punse per poi darle una piccola spinta per mandarla nella folla delle ragazze.
Lei s’introdusse tra le quattordicenni, tutte agitate e smaniose che la Mietitura cominciasse sul serio.
Sentì un paio di ragazze che confabulavano sul modo di offrirsi per prime e le scappò da ridere: davvero pensavano che sarebbero state scelte? Per favore…
Un po’ distanti da lei, vide che Emilia e Livia la stavano salutano. Alexa ricambiò ma non si unì a loro, pensando che anche loro in quel momento erano sue avversarie, come tutte le ragazze nella piazza. Preferiva stare da sola in quel momento.
Sfortuna volle che la sua amica Diana non la pensasse come lei, e si avvicinasse ad Alexa.
-         Come va?- le chiese.
-         Sono pronta per offrirmi.- replicò Alexa con un sorriso glaciale.
-         Be’, avrai delle avversarie direi.- commentò Diana osservando le ragazze trepidanti riunite attorno a loro.
-         Tu sarai tra loro?-
-         Non credo. Ho ancora delle cose da fare prima di entrare nell’arena. Forse il prossimo anno. -
-         Allora ti farò da mentore.- sogghignò Alexa mettendo la mano in tasca e accarezzando la lama del suo coltellino.
-         Chissà.- replicò l’altra fissandola dubbiosa.
Alexa sapeva cosa stava pensando: come poteva una come lei, con il suo corpicino delicato e l’aspetto di una bambola, sopravvivere all’arena?
Era la stessa cosa che le aveva detto il suo istruttore quando l’aveva vista entrare in accademia la prima volta, la stessa che aveva detto Flavio ai suoi amici, subito dopo averla umiliata.
Guardò con una rabbia crudele la capitolina rossa che cinguettava: - Felici trentottesimi Hunger Games e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore! Ora andiamo a estrarre la nostra bellissima signorina!-
Aveva appena fatto un passo verso la boccia delle ragazze, quando una mano scattò in aria e la voce di Alexa risuonò chiara e forte nel silenzio generale: - Mi offro volontaria!-
 
-         Ian!- esclamò la ragazza allegramente, avvicinandosi a lui.
-         Sì?-
-         Come stai?-
-         Bene.-
-         Ti offrirai quest’anno?-
-         Credo di sì. -
-         Anch’io! Potremmo essere compagni di distretto insieme!- esclamò la ragazza eccitata.
Ian la osservò e pensò che non avrebbe voluto averla come alleata per nulla al mondo. Era piccola, secca e con un’aria tremendamente stupida, inoltre non l’aveva mai vista in accademia. Avrebbe preferito chiunque a lei.
Si avviò per la piazza cercando d’ignorare tutti gli squittii, non c’era altro modo per definirli, della ragazza che non lo mollava un secondo.
Finalmente arrivarono in piazza e Ian tese il braccio al Pacificatore. Quando la ragazza cercò di trattenerlo prima che andasse a unirsi ai diciottenni, si voltò bruscamente e sbottò: - Ma perché non te ne vai, ragazzina?-
Lei gli scoccò uno sguardo stupefatto e ferito ma Ian non se ne curò e si avviò tra la folla. Si fermò in piedi, in attesa che cominciasse la Mietitura.
Si voltò e tra la folla di parenti riuscì a scorgere i suoi genitori che lo guardarono fieri. Probabilmente avevano saputo che si sarebbe offerto ed erano eccitati dalla prospettiva di avere un vincitore in famiglia.
Perché Ian avrebbe di certo vinto, non c’era storia, ma non gli interessava la loro approvazione. Non si erano curati di lui per tutti quegli anni, perché il ragazzo avrebbe dovuto fare diversamente?
Guardò la capitolina avvicinarsi alla boccia e rimase stupito quando Alexa Prior si offrì. Era l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere nei Giochi a rappresentare il 2.
“Meglio: sarà più facile ucciderla.” Pensò scrollando le spalle e tornando a fissare il palco.
La capitolina lasciò la ragazza cinguettando eccitata e si rivolse alla boccia dei ragazzi.
-         Cassius Broadman.- annunciò. Ma aveva appena finito di parlare, che almeno dieci mani scattarono e altrettanti ragazzi urlarono: - Mi offro volontario!-
La donna li guardò uno a uno prima di decidere, poi sorrise e, indicando uno di loro, disse: - Tu, vieni pure caro!-
L’interpellato superò tutti in fretta e salì sul palco.
-         Come ti chiami?-
-         Ian Stoner.- disse lui ghignando.
-         Perfetto! Ecco a voi i nuovi tributi del Distretto 2!-
 
 
 
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Capitolo 4
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 3 ***


Distretto 3
(_Maisha_, OhJeice)  
-         Su, Nini, non essere tanto nervosa!- esclamò Monica.
-         Primo: non chiamarmi Nini, secondo: stiamo andando alla Mietitura! Come faccio a non essere preoccupata?- replicò Tanisha.
-         Positività Nini. - rispose Monica tirandole un buffetto sulla guancia.
Tanisha sbuffò e cominciò a guardarsi intorno. Quando vide l’oggetto dei suoi desideri, però, si nascose dietro l’amica, rossa come non mai.
-         Oh, per l’amor del cielo Nini, non puoi essere sempre messa così in soggezione da mio fratello!- esclamò Monica.- Non devi essere così nervosa! Adesso lo chiamiamo ok?-
Cominciò a sbracciarsi per attirare l’attenzione del fratello maggiore ma Tanisha la costrinse a stare ferma e ricominciarono a camminare verso la piazza.
-         Si può sapere perché non vuoi dire a Eric che ti piace?!- le sussurrò Monica perché il fratello era lì vicino.
-         Perché sono timida e tu lo sai. Inoltre non ho voglia di farmi prendere in giro da Troy. - borbottò lei.
-         Ma il tuo fratellino è così carino!-
-         Scherzi? Nove anni di pura perfidia…-
-         Bah, dovresti essere più impulsiva. Insomma, potremmo…- s’interruppe all’improvviso e le lanciò un’occhiata preoccupata.
-         Morire? Stai tranquilla, riesco a sopportare questa parola. Insomma, la mamma e Lavinia non sarebbero certo contente se andassi in crisi solo a sentire quel verbo.-
-         Come vuoi…-
Il Pacificatore le punse e poi le esortò a entrare nella folla per far passare gli altri.
Quando furono tra le sedicenni, Tanisha cercò suo padre e Troy tra la folla e quando li trovò provò un’orribile sensazione: e se fosse stata estratta? Suo padre sarebbe impazzito come la madre? Se l’avesse fatto, Troy sarebbe rimasto totalmente solo!
Cominciò a tremare e mille immagini terribili del padre giustiziato e del fratellino mendicante per le strade le affollarono la mente.
Era così impegnata a pensare che non si accorse del capitolino che estraeva il biglietto. Non sentì il nome della ragazza estratta. Non si accorse dell’urlo di Troy, né del fatto che Monica era improvvisamente impallidita. Solo quando la folla cominciò a spingerla tornò alla realtà e sentì che il capitolino chiedeva spazientito: - Si può sapere dov’è finita Tanisha Luz? Tanisha Luz venga sul palco!-
 
-         Come ti senti Shade?-
-         Non sono io ad aspettare un bambino Wi. - replicò Shade osservando la pancia della sorella.
-         Ma sei tu che andrai alla Mietitura oggi.-
-         Grazie di avermelo ricordato.-
-         Sai cosa intendo.-
-         Io vado a cercare Estelle.- disse lui ignorandola e allontanandosi. A volte sua sorella lo faceva impazzire: perché doveva continuamente ricordargli la Mietitura?
Cercò la chioma nera di Estelle senza trovarla, finché non sentì una mano che gli si poggiava sulla spalla. Si girò e incontrò gli occhi marroni e vivaci della sua amica d’infanzia.
-         Nervoso?- gli chiese.
-         Terribilmente. Tu?-
-         Pure. Ho incontrato Wi. Non dovresti stressare così una donna incinta.- lo canzonò la ragazza. Shade alzò gli occhi al cielo.
-         Vogliamo andare a divertire Capitol, Estelle?- le chiese Shade indicando la piazza.
-         Prego.- lo incitò lei.
Si avviarono insieme discutendo sulla nuova idea che il padre di Shade aveva avuto per perfezionare l’invenzione che gli aveva conferito il grado di benestante: un chip per le docce ormai indispensabile ai capitolini.
Chiacchierando arrivarono in piazza, erano riusciti a calmarsi e a eclissare per un po’ il pensiero della Mietitura che tornò quando furono costretti a separarsi: Shade con i ragazzi, Estelle con le ragazze.
-         Ehi, Shade!- esclamò Estelle poco prima che si perdessero di vista.
-         Cosa?-
-         Buona fortuna!-
-         La fortuna non esiste.-
-         Un motivo di più per crederci, no?- replicò lei prima di sparire tra la folla.
Sistemandosi tra i sedicenni, pensò alla risposta dell’amica. Lei era capace di confondere anche la mente geniale del ragazzo con le sue idee strane a sempre astratte.
Sospirò e, per staccare un attimo la mente dal dilemma, si concentrò sul capitolino, tutto colorato di un arancione così acceso da far male agli occhi.
-         Tanisha Luz!- chiamò inizialmente. Ci volle un po’ prima che la ragazza estratta si facesse avanti. Shade non capì se era troppo spaventata per salire, o se, semplicemente, non aveva sentito. La guardò salire, tremante, mentre un bambino urlava tra la folla. All’improvviso ricordò di averla vista in lacrime mentre una donna veniva giustiziata, qualche anno prima. Era forse sua madre?
-         Ora i nostri ragazzi!- squittì il capitolino avvicinandosi alla boccia con i nomi. La mente scientifica di Shade scattò e calcolò quante possibilità aveva di essere estratto. Molte meno di quante avessero Estelle e tutti quelli che vivevano vicino a lei in periferia. Era solo alla Mietitura che ringraziava il fatto che suo padre fosse così ricco. Un secondo dopo, questo pensiero fu raggelato insieme a tutti gli altri quando la voce del capitolino esclamò: - Shade Davey!-
 
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Capitolo 5
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 4 ***


Distretto 4
(AriiC_, martichan)  
Leonid andava tranquillamente verso la piazza, ascoltando il resoconto di Sheru dell’ultima rissa in cui era stata coinvolta e di come ne era uscita solo con tre lividi.
-         …ma tu avrai qualcosa da obiettare, vero Leo?- disse la ragazza al termine della storia.
-         Ti ho già detto tante volte come la penso sulla violenza, Sheru. Ormai è fiato sprecato, mi sono rassegnato.-
La ragazza gli scoccò un’occhiata scettica, poi scrollò le spalle e cominciò a correre.
-         Che fai?- le urlò dietro Leo.
Lei si fermò di botto e aspettò finché non la raggiunse: - Scusa. Mi andava.-
-         Lo so, lo so. -
Continuarono a parlare finché non arrivarono in piazza, dove tutti erano pronti e carichi per la Mietitura. Sembrava strano ma quell’anno non ci sarebbe stato nessun volontario maschio e ciò inquietava molto Leo, anche se non c’erano molte possibilità che lo estraessero. Nonostante questa certezza, aveva un gran brutto presentimento.
-         Spero che non mi estraggano.- commentò.
-         Tranquillo, se succederà, tutto il Distretto andrà in rivolta. Non vogliono certo perdere il loro psicologo gratis, no?-
-         Non credo che avranno molta scelta.- replicò Leonid guardando verso i suoi genitori, che aveva appena scorto tra la folla. Il padre sembrava accigliato, come al solito, mentre la madre mostrava un nuovo occhio nero.
Il ragazzo sospirò e seguì Sheru verso il Pacificatore, uomo che conosceva personalmente poiché era il compagno di serate di suo padre.
-         Buona fortuna, Leonid.- gli sussurrò mentre il ragazzo si avviava. Leo gli sorrise e andò avanti sempre con uno strano peso nel cuore.
-         Io vado Leo. Fai il bravo mentre non ci sono.- esclamò Sheru. Lui annuì e sorrise lievemente prima di attraversare la folla, che si aprì al suo passaggio, per raggiungere le file dei diciottenni che lo salutarono con rispetto per poi tornare a parlare tra loro.
Leonid si sistemò tranquillo ad aspettare che la capitolina (che assomigliava vagamente a un delfino) cominciasse il suo discorso e andasse a estrarre i nomi.
-         Bene, ora vediamo chi rappresenterà questo fantastico distretto quest’anno! Per cambiare un po’…cominciamo dagli uomini!-
Leonid provò una strana sensazione a metà tra il sollievo e il terrore: era sia sollevato perché avrebbe scoperto se sarebbe stato estratto o no, ma temeva anche che la risposta sarebbe stata positiva.
-         Alloooooraaa!- esclamò la capitolina tutta eccitata estraendo un bigliettino.- Il tributo di quest’anno è…Leonid Sapphiri!-
Nessuno fiatò. Tutti si limitarono a osservare agghiacciati Leo che prima rabbrividì, poi cominciò lentamente a spingere le ruote della sua sedia a rotelle verso il palco, verso la sua condanna a morte.
Riuscì a salire grazie all’aiuto di due Pacificatori e rimase lì, fermo mentre la capitolina cominciava a dire il nome della ragazza estratta ed era interrotta da un urlo di disappunto e dalla voce di una ragazza che si offriva volontaria.
Vedendola, il ragazzo rabbrividì nuovamente pensando “No, lei no, tutti tranne lei!”
 
-         Sai, Tess, dovresti proprio rilassarti.- disse Shadi spazientita.
-         Rilassarmi? Mi spieghi come cavolo faccio a rilassarmi?!- replicò lei fermandosi con i pugni stretti.
-         E stai calma! Mica ti ho insultata!-
-         Ma non rompere tu! Cosa ne vuoi sapere?-
Sembrò che Shadi stesse per dire qualcosa, ma rinunciò e si allontanò in fretta da Tess.
-         Ecco brava! Vattene!- le urlò dietro.
Poi respirò profondamente cercando di calmarsi, senza riuscirci, quindi ricominciò a camminare a passo di marcia verso la piazza, per la sua prima Mietitura.
Andando incrociò alcuni suoi vecchi compagni dell’orfanotrofio, ma non li degnò di uno sguardo e lo stesso fecero loro.
Esitò un momento davanti a un bivio prima di decidere di girare a destra per evitare la spiaggia. E pensare che un tempo amava stare in spiaggia. Questo prima che quell’animale la segnasse per sempre. Al pensiero si sentì ribollire di rabbia e aumentò il passo.
Quando arrivò in piazza, scoprì che Shadi si era calmata e la stava aspettando.
-         Non sento le tue scuse.- fu la prima cosa che le disse Tess fissandola truce.
-         Sta’ zitta va’, prima che decida di chiuderti quella boccaccia per sempre.- sbottò Shadi ricambiando lo sguardo.
Rimasero lì per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere come due pazze.
-         Va bene, ti perdono.- concesse Tess. - Ma solo perché potrei essere in procinto di morire.-
-         E da quando in qua Theresa Boris ha paura?- la stuzzicò l’altra.
-         Non ho paura, solo…inquietudine.- ammise lei.
-         Certo, come no. - sbuffò Shadi facendo irritare l’amica che non disse nulla solo perché fu distratta dal Pacificatore che le pungeva il braccio.
-         Andiamo alla morte?- chiese Shadi. Tess, ancora irritata, si limitò ad annuire.
Quando la strana capitolina annunciò che avrebbero cominciato dai maschi, Tess pensò: “Bah, magari adesso si crede anche originale.”
Ma tutta la sua attenzione fu improvvisamente attratta verso il ragazzo in carrozzella che saliva faticosamente sul palco.
-         Shadi! È lui!- sussurrò all’amica.
-         Lui c…oh cielo! Non ti vorrai…-
Tess non la ascoltò. Vide che una ragazza tra le quindicenni si stava per offrire e si allungò per tirarle un pugno.
Poi alzò la mano e urlò: - Mi offro volontaria come tributo!-
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Capitolo 6
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 5 ***


Distretto 5
(N_Near, darkangel98)  
-         Sei pronta Raen?- chiese Misaki, sua madre affacciandosi nella sua stanza.
-         Come faccio a essere pronta?- replicò lei finendo di aggiustarsi lo chignon.
Misaki si avvicinò a lei e strinse il nastro dell’abito in vita. Era un vestito molto bello, color lilla chiaro, ma in quel giorno non era importante il vestito.
-         Vai tu a prendere Sarah o viene lei?- chiese Misaki.
-         Ci troviamo davanti alla scuola.-
-         Va bene. Io sarò tra la folla.-
-         Lo so mamma.-
La donna la fece voltare e le sistemò per bene i capelli. Poi le prese il volto tra le mani e le sorrise. La figlia rispose con un piccolo sorriso.
In strada osservò con calma il Distretto, la centrale elettrica, il simbolo della loro sottomissione a Capitol, i Pacificatori, la scuola e poi Sarah.
L’amica si voltò verso di lei e le sorrise agitando la mano.
-         Come va, Raen?- le chiese.
-         Starò meglio quando questa giornata sarà finita.-
-         In effetti, hai ragione. Andiamo?-
-         Certo.-
Andarono verso la piazza in silenzio. Erano entrambe d’accordo sul fatto che il silenzio tra amici non era stupido e spesso passavano interi giorni senza parlare, solo agendo.
Purtroppo quel momento di pace fu interrotto da una voce tanto squillante quanto irritante: - Ehi Sarah! Chi è la vecchia che cammina vicino a te?-
-         Ciao Max. - sospirò Sarah preparandosi alla lite che sicuramente si sarebbe scatenata tra il ragazzo e Raen.
-         Stai andando alla Mietitura, Raen?- disse il ragazzo avvicinandosi.- Non sei un po’ avanti con l’età?-
-         Ho un anno meno di te. - osservò Raen con voce infastidita e rifiutandosi di guardarlo.
-         Davvero? Non l’avrei mai detto con questi cosi che ti porti in testa.- replicò lui prendendo una ciocca color platino della chioma della ragazza.
-         Si chiamano capelli e sono così. Lo sai benissimo.-
-         Oh, Raen, Raen! Non sai proprio stare agli scherzi, eh?-
-         Sto agli scherzi divertenti.- scattò lei. Odiava quando qualcuno la prendeva in giro per il suo scarso senso dell’umorismo.
-         Per te gli scherzi divertenti devono contenere almeno cinque formule chimiche e qualche frase strana. Torna tra i comuni mortali per una volta!-
-         Se ci sei tu fra loro, no di certo.-
Continuarono così finché Sarah, stufa, non spinse avanti Max per farlo pungere dal Pacificatore e levarselo di torno.
-         Grazie, Sarah.- le disse Raen mentre avanzava per farsi pungere a sua volta.
-         Figurati, ma tanto lo so che in realtà ti sta simpatico.- rispose lei con una risatina.
-         Come scusa?-
-         A te piace imparare, e quale modo migliore di farlo che discutere con Max? Lui è il tuo opposto, ti fa vedere le cose da un altro punto di vista no?-
-         Non essere ridicola.-
-         Ma io non lo sono. Oddio, come si è vestito?- aggiunse rivolta al capitolino che quell’anno indossava un vestito verde così gonfio da farla assomigliare a un’anguria, cosa cui contribuiva la sua forma non molto magra.
-         Felicissimi Hunger Games, Distretto 5!- esclamò.- Che ne dite di cominciare?- intese il silenzio della folla come un segno d’assenso e si avviò con uno strano passo verso la boccia delle ragazze.
-         Quante probabilità hai di essere estratta?- chiese Sarah all’amica.
-         Otto. Negli ultimi due anni ho dovuto prendere le tessere.-
-         Io nove. Sempre meglio degli altri però. Ho sentito che…- ma fu interrotta dalla voce del capitolino che urlò: - Raen Hikari! Raen Hikari sul palco!-
 
-         Passa, Malvin!- esclamò Skeet. Malvin gli passò il pallone e Skeet le diede un calcio che la fece finire dritta in porta, sfiorando le mani di Rox che cercava di pararla.- E Skeet Larmor vince di nuovo! La folla è in delirio!- esclamò il ragazzo mentre gli amici sbuffavano di disappunto.
-         Piantala idiota. Sbrigati che dobbiamo andare.- sbottò Malvin avvicinandosi a Helène che gli diede un bacio per calmarlo.
Skeet fece una smorfia e si avvicinò al muretto, dove si erano riuniti gli altri.
-         Siete solo invidiosi perché io vinco sempre.- replicò rimettendosi la camicia che si era tolto per giocare a calcio.
-         Certo, certo.- lo liquidò Lucette prendendolo sottobraccio e spingendolo a unirsi agli altri che si stavano avviando.
-         Come sta Emis, Lucette?- chiese Helène avvicinandosi a loro.
-         Stamattina era nervoso.- rispose lei con una smorfia.
-         Be’, è ovvio no? È la sua prima Mietitura.- osservò Skeet.
-         Noi siamo alla terza ma siamo comunque nervosi no?- replicò Rox.
-         Vero. Però noi abbiamo un minimo di esperienza.-
-         E questo ci impedisce forse di essere estratti?- s’intromise Malvin.
-         Ma voi ci godete a farmi sembrare stupido?- scattò Skeet.
-         Tu sei stupido.- ribatté Rox.
Skeet li fulminò ma non poté ribattere perché fu bruscamente trascinato da Lucette verso la piazza. Capì che cosa era successo solo quando la ragazza si staccò da lui e cominciò a parlare freneticamente con un ragazzino dalla folta chioma riccia e bionda. Emis, suo fratello minore.
-         Andiamo, Skeet?- lo chiamò Helène.
-         Sì, sì. - rispose lui distogliendo lo sguardo dai due fratelli e avviandosi verso il Pacificatore.
Si sistemò tra i quattordicenni con Rox mentre Malvin andò tra i quindicenni.
-         Quel capitolino sembra un’anguria.- osservò Skeet guardando l’uomo attentamente.
-         Già…- confermò Rox guardandolo a sua volta, stranito.
Fu il turno delle ragazze e fu chiamata sul palco Raen Hikari che salì lentamente, con calma.
-         Raen Hikari? Quella con i capelli assurdi?- chiese Skeet ancora più sconcertato.- Ma quella è una schiappa!-
-         Che t’importa?- replicò Rox.
-         Il Distretto deve essere rappresentato da tipi forti!-
-         Vedremo chi sarà il ragazzo forte allora.- disse l’altro osservandolo scocciato.
Skeet sbuffò e guardò il capitolino che si avvicinava alla boccia dei ragazzi, tirava fuori il biglietto ed esclamava: - Emis Arlew!-
Sia Skeet sia Rox si voltarono automaticamente a cercare Lucette tra la folla ma non ci fu bisogno di cercare molto poiché non appena il ragazzino ebbe messo piede sul palco, la sorella lo seguì come una furia e si gettò in ginocchio davanti al capitolino sconcertato supplicando: - Prendete me! Non fategli del male, prendete me al suo posto! Prendete me! Vi prego!-
-         M-Ma…- balbettò il capitolino sconcertato.
Skeet non avrebbe saputo dire cosa lo indusse ad agire. Forse le urla di Lucette, il pianto di Emis o le facce sconvolte dell’altra tributa e del capitolino.
Fatto sta che per qualche motivo oscuro anche a lui alzò lo sguardo verso il cielo e urlò con quanta voce aveva: - MI OFFRO VOLONTARIO COME TRIBUTO!-
Ci volle un attimo perché tutti capissero quello che aveva detto, ma l’effetto fu enorme. Il silenzio dilagò per tutta la piazza mentre Skeet si faceva largo tra i ragazzi, ancora non ben consapevole di ciò che aveva appena fatto.
Poi ci furono le urla. Appena il ragazzo mise il piede sul primo gradino della scaletta che portava al palco, la voce di sua madre si levò acuta e disperata. Skeet trattene il respiro per costringersi a non guardare indietro e ad andare avanti.
Ma sul palco lo aspettava lo spettacolo stranamente deprimente delle facce sconvolte e confuse di tutti quanti.
Si avvicinò a Emis e gli sussurrò: - Corri giù. Ora.-
Il bambino guardò un attimo la sorella che gli fece segno di andarsene e lui eseguì. Poi Skeet si voltò verso Lucette senza sapere bene cosa dire, ma lei si alzò dalla sua posizione inginocchiata, gli prese il viso e lo baciò con impeto lasciando di stucco lui e tutto il Distretto.
Poi si staccò, lo fissò per un attimo e poi scappò tra la folla. A quella scena il capitolino si riscosse e annunciò con voce incerta: - Ehm, ehm. Ecco i tributi di quest’anno! Raen Hikari e…-
-         Skeet Larmor.- sussurrò il ragazzo.
-         E Skeet Larmor!- concluse.
Nessuno applaudì.


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Capitolo 7
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 6 ***


Distretto 6
(_lu, Konny_)  
-         Guarda, guarda. Magda, cosa stai combinando?- chiese Tara affacciandosi alla stanza della sorella.
-         Lasciami stare.- borbottò l’altra.
Tara ridacchiò e si avvicinò a Magda che fino a un minuto prima stava cercando di aggiustarsi i capelli in modo tale che non facessero troppo risaltare il naso.
-         Cosa c’è Tara?- le chiese.
-         Oh, niente! Volevo vedere come stava la mia sorellina.- rispose l’altra.
Magda si girò verso di lei e osservò com’era vestita. Maglietta super attillata, giacca e pantaloni di pelle. Magda sapeva perché si era vestita così.
-         Non riuscirai a soffocarlo, anche se ti vesti in quel modo. -
L’atmosfera cambiò improvvisamente e diventò tesa e rabbiosa. Tara la fissò con uno sguardo sprezzante e sibilò: - Zitta tu, che ne sai?-
-         Ho capito quello che vuoi fare, e non sono d’accordo.-
-         Credi davvero che la tua opinione conti?-
-         No, e, infatti, ti voglio solo consigliare. Mamma e papà non se la prenderebbero certo con te. Sei la loro Tara. -
-         Tu non sai cosa vuol dire! Non capisci quanto sia umiliante?! Io mi libererò di lui e questo è quanto!- esclamò la ragazza indicandosi la pancia. Poi le lanciò un’altra occhiata sprezzante e uscì senza ascoltare Magda che urlava: - È la tua ultima Mietitura! Puoi ancora salvarlo!-
Rimase ancora un po’ in camera a fissare la porta da cui era uscita sua sorella, poi Ariadne entrò e le chiese: - Tutto a posto? Ho sentito Tara urlare.-
-         Abbiamo urlato tutte e due.- specificò Magda.
-         Ah. Dov’è?-
-         Credo che sia uscita.-
-         Non dovresti urlare contro tua sorella.- aggiunse la donna.- Sai, ha molti pensieri.-
Magda annuì e aspettò che la madre fosse uscita prima di sussurrare: - Non sai quanti…-
Poi terminò di prepararsi e uscì diretta alla stazione, che era subito dietro casa sua, dove avrebbe incontrato Jeanne e Valerie.
-         Eccoti! Dov’eri? Ti stiamo aspettando da dieci minuti.- la accolse Valerie.
-         Parlavo con Tara. - rispose lei.
-         Parlavi? Davvero? Miss sono-la-più-bella-e-troia-del-mondo ti ha rivolto la sua delicata e preziosissima parola?- chiese Valerie sarcastica. Magda era combattuta tra il rimproverarla e il ridere con lei.
-         Ora basta parlare di Tara. - s’intromise Jeanne.- Non tocchiamo argomenti tristi il giorno della Mietitura. Abbiamo fatto un patto, ricordate?-
-         Ma è un argomento scottante!-
-         Valerie…- la ammonì Magda che era d’accordo con Jeanne.
-         Va bene, uffa però!-
Cominciarono a parlare di argomenti lieti e allegri mentre si avvicinavano alla piazza. Poi all’improvviso Valerie mise un braccio davanti a loro per fermarle e disse: - Attenzione capitan Magda! Obiettivo in avvicinamento!-
Le due seguirono lo sguardo dell’amica e videro Chris Rail si avvicinava ai Pacificatori insieme a qualche amico. Magda arrossì all’istante e si nascose dietro Jeanne che ridacchiò, ma non disse niente.
Valerie al contrario alzò gli occhi al cielo e sbuffò: era da un secolo che cercava di convincere l’amica a parlare con il ragazzo ma non c’era mai riuscita.
-         Allora, andiamo?- chiese Magda quando Chris fu a distanza di sicurezza.
-         Va bene, ma sai che un giorno dovrai dirglielo.- replicò Valerie.
Magda scrollò le spalle e porse il braccio al Pacificatore che glielo punse, poi la spinse senza tanti complimenti tra la folla. La ragazza aspettò che anche Valerie e Jeanne avessero fatto, poi si avviò con loro tra le sedicenni, ignorando le occhiatacce che tutte le altre persone le rivolgevano: c’era abituata ormai.
Individuò Tara tra le diciottenni e poi, girando lo sguardo, vide Michael, il ragazzo di Tara, il padre di suo nipote, tra la folla che fissava intensamente la ragazza. Era accanto ai suoi genitori.
Provò una grande pena per lui che amava tanto sua sorella e suo figlio non ancora nato. Se solo Tara fosse stata un pochino simile a lui…
Fu distratta dalla gomitata di Valerie che la indussero a guardare sul palco dove suo il sindaco stava parlando con la capitolina di turno che era vestita di viola prugna e che aveva i capelli stranamente sparati verso l’alto.
Finirono di chiacchierare e la capitolina dedicò la sua attenzione al pubblico trillando: - Salve, salve miei cari! Che belle faccine vedo oggi! Ma non indugiamo e andiamo subito a estrarre la nostra nuova tributa!-
Si avviò canticchiando verso la boccia delle femmine, fece girare la mano per un po’ e poi estrasse il piccolo quadratino di carta: - Oh bene, bene! Quest’anno la ragazza che rappresenterà il Distretto 6 sarà…Tara Montheit!-
Ci fu un attimo di silenzio, poi tutto il Distretto cominciò a battere le mani entusiasta. Magda sapeva benissimo cosa stavano pensando: una Montheit di meno.
Ma non sapevano che ne stavano condannando due. Perché era certo che sua sorella sarebbe morta, e con lei il bambino.
Magda pensò alla piccola vita che non avrebbe potuto conoscere, alle esperienze che il piccolo non avrebbe vissuto e d’improvviso decise che la vita di suo nipote era troppo importante per finire così presto, che era più preziosa di tutte le altre, anche della sua.
Fu per questo che urlò: - MI OFFRO VOLONTARIA!-
 
Jude sistemò i polsini della sua camicia. Era quasi ora di scendere in piazza e lui si stava preparando come ogni anno.
Si mise la giacca e sospirò guardandosi allo specchio. Era pronto alla Mietitura? Era importante? No. A Capitol City non importava se i ragazzi erano pronti o no, e Jude lo sapeva bene.
Rimase ancora un attimo a guardare lo specchio prima di uscire dalla stanza e dirigersi verso la porta di casa, dove incrociò sua sorella Danielle che stava anch’essa per uscire.
-         Ciao Jude. - fece lei.- Ti va di venire in piazza con me?-
-         Perché no?- replicò lui e uscirono.
All’inizio rimasero in silenzio mentre si lasciavano l’elegante casa del sindaco Auburnson alle spalle e entravano nelle vie popolari che conoscevano così bene. Quando erano piccoli, uscivano spesso di nascosto da casa per conoscere bene il Distretto di cui il padre era a capo, ma era da molto che avevano perso quest’abitudine.
-         T’incontri con Damian in piazza?- chiese Jude alludendo al fidanzato della sorella che a ventuno anni aveva ormai superato l’età massima per partecipare agli Hunger Games, e di questo era ben lieta.
-         Sì. - rispose lei. Poi, come colta da un pensiero, aggiunse: - Jude, c’è una cosa che non vi ho detto.-
-         Sarebbe?-
-         Io…senti, facciamo che te lo dico dopo la Mietitura, ok?-
-         E se mi estraggono?-
-         Allora non credo sarebbe saggio rivelartelo.-
-         Vuoi farmi vivere le mie ultime ore sapendo che non conoscerò mai il tuo segreto?- replicò il ragazzo.
Danielle alzò gli occhi verso di lui e, vedendo che era perfettamente serio, mormorò: - Allora lo saprai quando verrò a trovarti al Palazzo di Giustizia.-
Jude arricciò il naso, contrariato, ma decise di lasciar perdere: non aveva proprio voglia di discutere quel giorno, men che meno con Danielle che sapeva essere davvero cocciuta quando voleva.
-         Ci vediamo dopo.- disse alla sorella quando arrivarono in piazza.
-         Certo, e Jude…-
-         Sì?-
-         Ti voglio bene, sai fratellino?- mormorò.
-         Grazie…ehm, anch’io. - rispose lui colto alla sprovvista e rimase ancora più stupito quando Danielle lo abbracciò. Non che non l’avesse mai fatto, ma lo imbarazzava un po’ lì in mezzo a tutti.
-         Tranquilla, eh?- le disse quando si separarono. Lei annuì con un sorriso triste, poi corse a raggiungere la madre e Damian.
Jude salutò la cugina Kathleen che stava entrando tra la folla proprio in quel momento, poi si avviò per entrare a sua volta.
-         Buongiorno Jude. - lo salutò il Pacificatore, che conosceva a causa del lavoro di suo padre.
-         Salve anche a te, Emilio.- replicò prima di entrare tra la folla.
Il suo sguardo corse subito al padre che stava parlottando con la capitolina viola di quell’anno. Era pallido e nervoso come ogni anno da quando lui e Danielle avevano compiuto dodici anni: la sua paura più grande era quella di vederli salire sul palco.
Quando l’allegra capitolina ebbe estratto il nome di Tara Montheit, Jude si concesse di applaudire insieme agli altri: nel Distretto 6, tutti odiavano i Montheit e il loro stupido modo di ostentare la loro maledetta ricchezza. Tara poi era la peggiore.
-         MI OFFRO VOLONTARIA!- l’urlo della sorella di Tara, quella piccola e quasi invisibile, lo colse di sorpresa ma non si rammaricò: Magda era sicuramente meglio di sua sorella, ma rimaneva una Montheit.
-         Oh, bene! Abbiamo una volontaria! Qual è il tuo nome?-
-         Magda Montheit.- disse lei con un sussurro appena percettibile.
-         Ti sei offerta per tua sorella? Oh che cara! Ora passiamo ai ragazzi.-
Come per le ragazze, fece girare la mano nella boccia prima di tirarla fuori ed esclamare con una gioia solo sua: - Jude Auburnson!-
Jude si mosse meccanicamente, senza volerlo realmente, e andò sul palco, dove la capitolina lo costrinse a stringere la mano della sua compagna e poi li fece avanzare per metterli in bella mostra.
Per far vedere a tutti chi avrebbero perso per sempre.
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Capitolo 8
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 7 ***


Nota: approfitto di questo capitolo per dirvi due cose. 1 alleanze/amori/amicizie le decidete voi consultandovi con gli altri mentori. 2. Farò un capitolo in cui i tributi parlano con i mentori (voi). Dovreste mandarmi (per messaggio) la vostra descrizione (inventata) e una traccia della conversazione con il vostro tributo. Nelle recensioni ditemi solo se volete essere maschio o femmina, mi raccomando.
 
Distretto 7
(Hey there Delilah, Leddy)  
Il lavoro nel distretto 7 non s’interrompeva neanche il giorno della Mietitura, l’unico cambiamento era che si terminava con un’ora di anticipo. Dunque quasi tutti i ragazzi erano sempre sudati e stanchi quando andavano in piazza.
Sheridan non faceva eccezione, ma in fondo non le poteva importare di meno. Scaricò la pesante catasta di legna dalla carriola al magazzino. Appena terminato, il suo turno sarebbe finito e sarebbe andata dritta in piazza.
-         Ehi, bellezza! Vuoi che ti accompagni in piazza?- chiese Reeser mettendole un braccio attorno alle spalle. Sheridan lo scostò senza tanti complimenti.
-         Perché no? Ma saprai sopportare la puzza?- replicò lei.
-         Scherzi? Sei molto più profumata del solito.- rispose il fratello dandole una pacca sulla schiena per farla avanzare.
-         Eh, parla bene lui, che è fuori dai Giochi!- protestò Sheridan.
-         Credi che mi faccia piacere vederti lì in mezzo?- protestò Reeser più serio.
-         Non fare la mammoletta ora!- esclamò la sorella troncando il discorso.
Dopodiché, i due si comportarono normalmente, facendo battute allegre e dandosi qualche pugno scherzoso attirandosi gli sguardi divertiti dei loro compagni di Distretto. La loro famiglia era molto amata e molti spesso si aggiravano intorno alla loro casa solo per ascoltare i discorsi strani, e spesso senza senso di Sheridan e Reeser, per prendersi una pausa dalla realtà.
-         Ehilà! I miei fratellini stanno forse andando verso la piazza?- li salutò Harris unendosi a loro.
-         Esatto. Sai, non sia mai che passi un anno senza rischiare di finire al macello.- replicò Sheridan dando il cinque al fratello maggiore.
-         Non ci pensare neanche! Se ti estrarranno, tutto il Distretto andrà in rivolta!- esclamò Reeser a voce tanto alta che molti si voltarono a guardarlo e Harris gli rifilò una gomitata. Aveva attirato anche l’attenzione di un Pacificatore che lo fissò sospettoso.
-         Zitto idiota!- gli sussurrò.
-         No, Rees ha ragione, Harris. Lascialo stare.- replicò Sheridan.- Non siamo stati cresciuti per rimanere zitti e buoni.- aggiunse lanciando un’occhiataccia al Pacificatore che ora stava prendendo posto per pungere i ragazzi.
-         Allora ci lasci sorellina?- chiese Reeser.
-         Ci vediamo dopo.- ribatté lei allontanandosi.
Mentre era in coda, si voltò verso il posto in cui di solito si metteva la sua famiglia. Reeser e Harris si erano messi rispettivamente accanto a Robb, il maggiore, e ad Armie, il secondogenito. I suoi genitori erano a sinistra vicino a Harris e stavano cercando di trovarla in mezzo ai ragazzi.
Dopo essersi fatta pungere, Sheridan agitò una mano per fargli capire dove si trovava, e loro risposero con un cenno e un sorriso triste.
Ancora un anno pensò Sheridan e poi tutto questo finirà. Un anno e sarò al sicuro.
Si sistemò tra le diciassettenni e attese che la capitolina, in ritardo, salisse sul palco.
Quando arrivò, Sheridan dovette trattenersi per non cominciare a ridere come una matta, e lo stesso fecero gli altri ragazzi del distretto.
La capitolina aveva un vestito completamente fatto di bolle e un caschetto biondo. Il tutto era estremamente ridicolo, tanto che perfino il sindaco dovette reprimere una risata.
Sheridan si voltò a guardare Reeser, il quale prima indico la capitolina poi fece un segno che voleva dire: “Questa è totalmente fuori di testa”.
Sheridan annuì vigorosamente prima di voltarsi. Molti dei ragazzi avevano ceduto e cominciato a sghignazzare rumorosamente, mentre la capitolina era visibilmente confusa. Probabilmente a Capitol quella era l’ultima moda.
-         Ehm, ehm…- cominciò la donna cercando di ignorare le risate.- dunque, è ora di estrarre i tributi per questa edizione…-
Le risate cessarono, anche se molti avevano ancora il viso acceso e dei sorrisini che indicavano un divertimento represso.
-         Sì, bene. Cominciamo con le ragazze.-
Si avviò verso la boccia con le ragazze ma a metà fu interrotta da un’altra ondata di risate: a ogni suo passo alcune bolle scoppiavano e venivano sostituite subito da altre.
-         Silenzio! - tuonò il Pacificatore capo Whip. Tutti tacquero all’istante: era risaputo nel Distretto che Whip adorava rendere giustizia al suo cognome. - Anche tu Dechantes!- tuonò a un ragazzo castano che aveva continuato a ridere.
-         Allora,- disse la capitolina ansiosa di finire visto il clima di disordine del Distretto.- la ragazza che rappresenterà il Distretto 7 è…Sheridan Ardor.-
Curiosamente, la prima cosa che venne in mente alla ragazza mentre saliva lentamente sul palco, era che Reeser si era sbagliato: nessuna rivolta era all’orizzonte. Non per lei.
 
Il ceppo si spaccò in due con un colpo sordo. Heracles lo guardò con un sorriso compiaciuto. Dieci ceppi tagliati con un colpo solo. Era il suo nuovo record.
-         Hai finito?- gli chiese Knave vedendo che si era fermato.
-         Certo. Tu?-
-         Ancora due ceppi.-
-         Bah, sei troppo lento.-
-         Eppure ieri ho dovuto aspettare venti minuti che finissi tu. - osservò l’altro.
-         Be’, il lavoro di ieri era di precisione. Non si può sfrondare un albero troppo in fretta.-
Knave sbuffò e tornò a lavorare mentre Louise, sorella di Knave, si avvicinava a loro con un’ascia in mano.
-         Ehilà! Finito?- li salutò.
-         Io sì. - rispose Heracles.- Tuo fratello…-
-         …pure.- concluse Knave gettando l’ultimo ciocco nella catasta che lui e gli altri taglialegna avevano creato. Presto sarebbero stati divisi e portati a varie fabbriche per renderlo combustibile o carta.
-         Andiamo?- disse Heracles appoggiando l’ascia per terra.
-         Certo, dove incontriamo Aberlard?- chiese Louise.
-         In piazza suppongo.- rispose Heracles scrollando le spalle.
Sistemarono gli attrezzi di lavoro e si diressero verso la piazza, per farlo attraversarono la via dei negozi, in cui solitamente non passavano a causa di un problemino che infastidiva molto Knave e Louise.
-         Ehm, Heracles, credo che stiano cercando di attirare la tua attenzione.- mormorò Knave arrossendo.
In effetti, un gruppo consistente di ragazze stava ridacchiando e salutava nervosamente il bel castano che per risposta fece loro un occhiolino e si scompigliò i capelli, al che il gruppetto emise un sospiro collettivo e lo guardò allontanarsi con sguardo adorante.
-         Non ti danno neanche un po’ di fastidio?- gli chiese Louise osservando divertita le ragazze che ora li seguivano di soppiatto.
-         No, perché dovrebbero? Hanno tutte le ragioni di guardarmi.- replicò lui con un sorrisetto compiaciuto.
-         Come vuoi…-
Il gruppetto li seguì a distanza finché una di loro, una ragazza castana di nome Delia, si fece coraggio e si avvicinò a loro: - Ciao, Heracles. Senti…ti va di venire con me in piazza?-
-         Cara, per quanto ti capisca, anch’io se fossi in te spasimerei per stare solo con me, ma temo di essere invischiato con loro.- indicò Knave e Louise.- Ma se desideri, dopo la Mietitura, sarò tutto tuo.- aggiunse sorridendole ammiccante.
Lei trattenne bruscamente il respiro e arrossì quando il ragazzo si chinò a baciarle la mano.
Mentre si allontanavano, Knave si girò e riuscì a vedere tutte le altre ragazze che attorniavano Delia e cominciavano a cinguettare.
-         Un giorno mi dirai come fai…- mormorò rivolto a Heracles.
-         Un pizzico di autostima e tanta bellezza.- rispose lui sempre sorridendo gongolante.
-         E molta modestia.- scherzò Louise dandogli una gomitata.
-         Certo, anche quella.-
Cominciarono a ridere come pazzi e dopo poco Knave si unì a loro. Arrivati in piazza, la gente era ormai arrivata e la folla era vasta.
Aberlard, cugino di Heracles, li individuò e fece segno a Knave, di diciannove anni, di raggiungerlo.
-         Ci vediamo dopo la Mietitura.- disse. Diede una pacca sulla schiena a Heracles, poi raggiunse l’altro.
-         Pronta per l’ultima Lou?- chiese Heracles mettendosi in fila per la puntura.
-         Se mi chiami di nuovo Lou, questo sarà anche il tuo ultimo giorno.- replicò lei. Heracles sorrise, divertito.
Si salutarono mentre uno andava tra i maschi e l’altra tra le femmine.
Heracles si unì all’ondata di risate che scoppiò quando la capitolina di turno fece la sua apparizione, ma la seconda volta che questa si scatenò, rise ancora di più vedendo la faccia del suo cosiddetto padre, il sindaco.
La sua umiliazione lo divertì tanto che ignorò Whip e anche quando lui gli intimò di stare zitto, rispose: - Tranquillo Archie! Non ci sarà una rivolta per questo!-
Per le ragazze fu estratta Sheridan Ardor. Heracles la conosceva di vista. Sapeva che era molto amata nel Distretto e la reputava un’ottima combattente e di conseguenza un’avversaria pericolosa.
-         E ora i ragazzi!- annunciò la capitolina.
Si avviò cautamente alle bocce temendo un altro scoppio di risa che non arrivò. Tutto il Distretto era triste per Sheridan.
-         Dunque, dunque…ah! Heracles Dechantes!-
“Ma guarda che sfiga…” pensò il ragazzo mentre superava gli altri e saliva sul palco.
Rivolse una fredda occhiata al padre e si sistemò vicino alla sua compagna di Distretto. I Giochi li stavano aspettando.


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Capitolo 9
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 8 ***


Distretto 8
(Calciatrice_2000, LauraTommo)  
Moon si svegliò di soprassalto. Guardò il vecchio orologio sulla parete e si chiese perché non fosse andata al lavoro o a scuola. Poi si ricordò che giorno era e si diede della stupida.
Sentì del movimento nella stanza e guardando per terra vide che John si stava svegliando sulla sua stuoia.
Aspettò che il suo migliore amico fosse in quel momento in cui ci si sta svegliando ma si è ancora nel mondo dei sogni prima di urlare: - JOHN!-
-         Aaaaah!- esclamò lui svegliandosi bruscamente tra le risate di Moon. - Tu! Come osi svegliarmi in questo modo brutale?!-
-         Ehi, ti ho ospitato, mi devi un favore.- replicò lei mettendosi a sedere sul letto.
-         Certo, come se dormire su una stuoia fosse il paradiso.- replicò lui massaggiandosi la schiena.
-         Va bene, la prossima volta, dormirai sul pavimento.- decretò Moon.
-         Sempre meglio di ‘sta roba! L’hai cucita tu?-
-         Come hai indovinato?- chiese la ragazza prima che John le tirasse un cuscino dritto in faccia.
-         Siete svegli?- chiese Dora, la nonna di Moon, affacciandosi alla porta della piccola stanza della ragazza.
-         Certo, nonna!- esclamò la nipote.- Ora John esce e mi fa cambiare mentre vi aiuta!-
-         Ehi!- protestò John, ma dopo poco si arrese e seguì l’anziana donna nell’altra stanza della casa.
Moon sbucò dalla stanza cinque minuti dopo, vestita con l’abito celeste delle grandi occasioni che si abbinava ai suoi occhi.
Si sedette accanto alla madre e cominciò a mangiare la brodaglia insapore che costituiva il loro solito pasto. Nonostante non fosse molto buona, era nutriente e ciò bastava.
-         Allora, come state?- chiese Kendra, la madre di Moon.
-         Normale. Insomma, è un giorno di schiavitù come un altro no?- replicò John.
-         L’unica differenza è che potremmo diventare pedine visibili.- concordò Moon dando il cinque all’amico.
-         Ragazzi…- li ammonì Dora ma i due non le diedero ascolto, si alzarono, rimisero a posto le loro ciotole e uscirono nell’aria puzzolente del Distretto 8.
Si presero la mano e cominciarono a girare per le vie costeggiando le fabbriche che superavano in numero le case. Andò tutto abbastanza tranquillamente, ma quando arrivarono all’ultima svolta prima di arrivare in piazza, incrociarono un gruppo di ragazze che lavoravano con loro alla fabbrica.
Non sarebbe stato un problema, almeno in teoria. Il fatto era che loro e Moon non andavano esattamente d’accordo.
-         Che carini, i fidanzatini!- esclamò acidamente una di loro vedendoli.
-         Non eri di quest’opinione quando mi hai chiesto di uscire l’altro giorno, vero?- replicò John con un lieve ghigno. Lei arrossì.
-         E comunque non stiamo insieme.- aggiunse Moon. - Scusa se posso avere i ragazzi come amici, e non solo come amichetti.-
Detto questo si voltarono e continuarono per la loro strada, ma mentre le ragazze non li potevano vedere, John prese due tubicini dalla tasca e ne porse uno a Moon.
-         Uno,- cominciò a sussurrare.- due, tre!-
Si girarono in sincrono e soffiarono nelle cerbottane ricoprendo le ragazze di pallini appiccicaticci prima di correre ridendo a perdifiato.
Si fermarono, ancora senza fiato dal ridere, solo per immettersi nella fila dei ragazzi per la puntura. Mentre aspettavano, Moon si ritrovò a fissare John.
Aveva provato a pensare come sarebbe stato se si fossero messi insieme, ma aveva subito respinto l’idea. Per lei era un fratello, non provava nient’altro che quel tipo di affetto per lui, e lo voleva tutto per sé. Non tollerava l’idea che stesse con altre ragazze, non per gelosia, ma per quell’attaccamento morboso che provavano l’uno per l’altra. Infatti, era per rispetto verso di lui che Moon non aveva mai neanche provato ad avere un ragazzo.
Si separarono a malincuore per andare nei loro gruppi: avevano entrambi sedici anni, ma ovviamente il sesso li separava.
Il capitolino di quell’anno aveva capelli biondi che sembravano una parrucca, e un trucco inquietante che lo faceva somigliare a un clown, ma non a quelli divertenti, no, era simile a uno di quei pagliacci che appaiono negli incubi.
-         Salve! Come sono felice di vedervi! Il mio nome è Flavius e sarò l’accompagnatore dei tributi di quest’anno!- esclamò.- Ma dopotutto questo già lo sapete, dunque…procediamo!-
Si diresse con un passo abbastanza calmo verso la boccia delle ragazze, poi immerse la mano, coperta da un buffo guanto bianco, tra i foglietti ed estrasse.
Si schiarì la voce e disse chiaramente: - Moon Midknife! Sul palco.-
 
Joseph uscì dalla sua casetta con le mani in tasca e l’aria tranquilla. Il Distretto era tranquillo, a parte vari gruppi di famiglie e ragazzi che s’incamminavano tristemente verso la piazza. Chissà se i suoi, o meglio sua madre e il suo patrigno, erano già in piazza? Be’, molto probabilmente sì poiché lui era il sindaco e non poteva permettersi ritardi.
Lo stesso Joseph sarebbe stato in piazza se avesse avuto un buon rapporto con il patrigno e non se ne fosse andato di casa.
Guardò le alte fabbriche di tessuti ringraziando il cielo di non dover lavorare quel giorno: lui si occupava dei bottoni e di cucire le varie asole, un lavoro noioso e ripetitivo che non avrebbe augurato a nessuno, nemmeno al patrigno. Poco importava, insomma, che le “ferie” coincidessero con il giorno più brutto dell’anno.
-         Ciao Marie.- salutò una ragazza castana che era appena spuntata da una casa.
-         Oh, Jos! Come va?-
-         Bene, o almeno come al solito. Tu?-
-         Sono un po’ nervosa. Tu come fai a essere così tranquillo?-
-         Ormai sono abituato.- spiegò lui alzando le spalle.
-         Senti…ti va se dopo la Mietitura ci troviamo?- chiese a un certo punto lei.
-         Vieni da me?-
-         Certo.-
-         Allora perfetto.- acconsentì lui attirandola a sé e dandole un sensuale bacio.
-         Ah, va bene. Ora vado, ci sono dei miei amici.- rispose lei con una risatina raggiungendo un gruppetto lì avanti. Erano anche amici di Jos ma quel giorno aveva voglia di farsi una camminata in santa pace.
Marie non era la sua ragazza, non ne aveva mai avuta una fissa. Era solo una…accompagnatrice occasionale ecco.
Con questi pensieri arrivò in piazza, ma prima che potesse mettersi in coda, dalla folla uscì una donna alta e secca, con i capelli biondi e gli occhi chiari.
-         Ciao mamma.- la salutò sorpreso. Il patrigno l’aveva lasciata andare in giro da sola?
-         Oh Joseph! Come stai tesoro?- chiese lei con il suo solito modo di fare affettato.
-         Bene…chi stavi cercando?- chiese intuendo che non si era fatta strada tra la folla per lui.
-         Tuo padre. È andato via dieci minuti fa e non è ancora tornato.-
-         Intendi il mio patrigno giusto? No, perché papà è morto dodici anni fa se non ricordi.- obiettò lui.
-         Ma certo che intendo Lewis, Joseph! Non fare lo sciocco.-
-         Comunque non l’ho…- ma il ragazzo venne interrotto dalla spinta di un uomo.
-         Karen, cosa fai in giro da sola?- chiese bruscamente Lewis Knight, il patrigno di Joseph.
-         Ti cercavo.-
-         Bene, mi hai trovato. Ora andiamo.- rispose lui. Poi si accorse della presenza del ragazzo e disse freddamente: - Ah, buona fortuna ragazzo.-
Detto questo, i due si allontanarono verso il palco e Jos li rivide solo quando si fu sistemato tra i diciassettenni.
-         Ma è orribile!- esclamò Terry, uno dei tanti amici di Jos, osservando il terrificante capitolino.
-         Però sembra meno squilibrato degli altri, non trovi?- replicò lui.
-         In effetti, sì, ma sembra comunque un serial killer.- obiettò Terry facendo scoppiare a ridere Jos.
Joseph non conosceva la ragazza estratta, ma ne aveva sentito parlare da alcune sue amiche che non avevano un’alta considerazione di lei. Conoscendo il carattere di quelle ragazze, però, aveva intuito che fosse una ragazza integerrima e non apprezzò il sospiro di sollievo che giunse dal gruppo femminile.
-         E ora…chi accompagnerà questa deliziosa ragazza?- chiese il capitolino lasciando la mano di Moon che aveva fatto alzare e dirigendosi verso la boccia maschile. - Dunque, dunque…ah! Joseph King!-
Gli occhi della moglie del sindaco si spalancarono talmente da sembrare due palle da tennis mentre il figlio saliva con aria stralunata sul palco.


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Capitolo 10
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 9 ***


Distretto 9 (_B_, shinya_387)
 
-         Amy, vai in piazza?-
-         Sì. -
-         Ember non è con te?-
-         No. Lei è nel palco dei mentori.-
-         Ah. Me la saluti?-
-         Sì. -
Amy si allontanò in fretta dalla vecchia signora che l’aveva fermata. Odiava quando le persone le rivolgevano la parola solamente per chiederle di sua sorella; il problema era che lo facevano tutti e sempre.
Dopo quattro anni, ancora non riusciva a convivere con la condizione di essere solo “la sorellina della vincitrice”. Certo, era felicissima che Ember fosse tornata viva dai Giochi e che ora la sua famiglia stesse bene e non avesse più problemi economici, ma la sua autostima era decisamente diminuita da allora.
Sospirò e continuò la sua camminata. Il Villaggio dei Vincitori in cui viveva era il punto più lontano del Distretto dalla piazza e anche tagliando per i campi era dovuta partire tre ore prima dell’inizio della Mietitura. Questo anche perché si perdeva spesso e volentieri tra le alte spighe di grano del Distretto.
All’improvviso sentì un rumore dal folto delle spighe e seppe immediatamente cosa stava per accadere. Detto fatto, una ragazza esile ma forzuta spuntò alla sua destra e la fece cadere a terra tra molte risate.
-         Idiota di una Serenity! Se ci fermiamo ancora un po’ non arriveremo in tempo!- esclamò Amy ancora con il sorriso sulle labbra.
-         Ehi! Io non sono un’assetata di Giochi come te!- replicò l’altra aiutandola ad alzarsi.
-         Non sono un’assetata di Giochi.- replicò Amy.
-         Nooo, infatti, non ti sei lamentata perché non sei ancora stata estratta. Un giorno dovresti offrirti, così almeno la pianteresti!- borbottò Serenity con una smorfia.
-         Lo pensi davvero Serenity Evans?- replicò Amy.
La sua voce era così diretta e fredda che Serenity mise le mani davanti a sé come per protezione e ribatté: - Sai benissimo che non dico sul serio, Amy. Io ti voglio bene.-
-         Sì, lo so. Tu non mi chiedi ogni momento se sono fiera di mia sorella.- replicò l’altra sorridendole.
-         Su Amy, affrontiamo la folla ostile! In più se non ci muoviamo ora arriveremo tardi e temo che il Presidente non apprezzerà.-
Amy ci rifletté un momento, poi spinse scherzosamente l’amica e cominciò a correre tra le spighe lasciandola indietro.
Arrivò correndo fino in piazza e si fermò ad aspettare Serenity guardandosi intorno. I suoi genitori non l’avevano ancora vista, ma Ember sì. Si agitò dal palco dei vincitori e la salutò, Amy ricambiò il saluto chiedendosi quando e se sarebbe potuta sedersi accanto a lei.
Sentiva crescere sempre di più il desiderio di uccidere ed essere la più forte, e non capiva il motivo per cui la sorella a volte piangesse quando ricordava i Giochi. La biasimava: cosa ci poteva essere di meglio della sua vita agiata e del suo favoritismo da parte di Capitol?
Mentre era persa in questi pensieri, Serenity sbucò all’improvviso e la superò fermandosi subito prima di entrare nella fila per il Pacificatore. Lei non aspettava i Giochi con impazienza come Amy.
-         Dai, Sere, prima vai, prima finisce.- la incitò Amy mettendosi in coda prima di lei.
La fila avanzò in fretta e in men che non si dica, le due si sistemarono tra le quindicenni.
Serenity si guardava intorno nervosa, mentre Amy fissava con spavalderia la capitolina che aspettava eccitato che tutti i ragazzi fossero presenti.
Era già stata lì altre volte, e ogni anno cambiava vestito. Quell’anno indossava un vestito giallo e ampio, somigliante a una buffa campana.
 
-         Bene! Poiché ci siete tutti, cominciamo!- esclamò dopo il solito video sui Giorni Bui. Si avviò alla boccia delle ragazze e fece girare per un po’ la mano tra i biglietti prima di estrarne uno.
Lo aprì lentamente e poi annunciò: - Oh, che sorpresa! Amy Clayn!-
I signori Clayn spalancarono la bocca, Ember si alzò terrorizzata, Serenity si voltò verso l’amica, terrorizzata, e Amy…sorrise.
 
-         Tobi! Aspettami!- esclamò Sebastian arrancando sulla gamba guasta.
-         Vai piano.- replicò il fratello fermandosi ad aspettarlo. - Che fai qui?-
-         Steve e Anthony sono andati avanti senza di me. -
-         E ti hanno lasciato solo? Dovrò dirgli qualcosa.-
-         Sarei andato anche da solo, ma la Furia ha visto che non c’era nessun altro e mi ha detto che sarei andato con lei…-
-         Capito. Muoviamoci.- Tòbia aveva capito ancor più del fratello il pericolo che si velava dietro quelle parole. Il mignolo mancante gli prudette come se fosse stato ancora lì e sentì un’ondata d’odio contro la sorella.
-         Tobi aspetta! Sei troppo veloce!- esclamò Sebastian arrancando a fatica.
-         Scusa.- rispose il fratello. - Aspetta. Fermati un attimo.- aggiunse.
-         Cosa?-
Tòbia non rispose e si limitò ad alzarlo di peso e metterselo in spalla. Sebastian sbuffò ma non protestò: con il caldo di quella stagione, la sua gamba zoppa gli doleva ancora di più.
Quindi si limitò a dire: - Grazie.- mentre Tòbia andava avanti tranquillamente.
Tòbia si tenne lontano dai campi, dove il caldo era davvero troppo, e con il fratello in spalla avrebbe faticato troppo.
Arrivò in piazza molto sudato ma, prima di lasciarlo scendere, si addentrò nella folla e individuò i gemelli.
-         Razza d’idioti!- esclamò quando i due si furono accorti di lui.- Cosa vi salta in mente di lasciarlo solo con la Furia?!-
-         Ehm…- mormorò Steve. Poi si voltò a guardare Anthony, come per chiedergli un aiuto, ma, poiché anche l’altro gemello non sapeva cosa dire, si voltò in silenzio verso il fratello maggiore.
-         La prossima volta che succede…- mormorò Tòbia facendo scendere Sebastian a terra.
-         È…è qui.- mormorò lui guardando la folla. Tòbia si voltò e vide la chioma rossa di sua sorella Samantha, detta Furia, che andava tra le dodicenni.
-         Ora io devo andare, voi non fate stronzate.- li salutò.
-         Tòbia Gonzales. Che cosa fai da queste parti?- la voce di Nick si sentì chiaramente sopra il vociare della folla.- Come mai non sei già tra i quindicenni?- aggiunse incuriosito.
-         Ho portato Sebastian.- ripose l’altro.- Senti, non è che gli puoi dare un’occhiata. Non vorrei che i gemelli facessero qualche casino.-
-         Certo.- acconsentì lui con un sorriso. Poi, forte dei suoi diciotto anni, si addentrò tra la folla mentre l’altro prendeva la direzione opposta.
-         Era anche ora.- borbottò il Pacificatore pungendolo e spingendolo tra la folla. Tòbia dovette chiamare a raccolta tutto il suo autocontrollo per non picchiarlo.
-         Bene! Poiché ci siete tutti, cominciamo!- esclamò la capitolina che Tòbia non poté definire in altro modo se non “una stronza campana tirapiedi di Snow”.
La ragazzina estratta aveva la sua stessa età. Tòbia sapeva solo che sua sorella era una vincitrice e che lei si lagnava sempre o qualcosa del genere. Non si erano mai parlati.
-         Oh, che bello! La sorella di una vincitrice! Come ti senti cara?- chiese la capitolina con una voce troppo mielosa per i gusti di Tòbia.
-         Trionfante.- rispose lei con voce sicura.
-         Sono felice per te! Ora, chi ti accompagnerà?-
La campana umana si avviò allegramente verso l’altra boccia ed estrasse più in fretta della volta precedente.
-         Dunque…Tòbia Gonzales!-
Il ragazzo ignorò il gelo che si diffondeva nel suo corpo e gli ululati di dolore provenienti dai suoi fratellini mentre avanzava verso il palco.
-         Come ti senti caro?- chiese Campanellino.
-         Fottiti.- ripose lui.


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Capitolo 11
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 10 ***


Distretto 10 (Never lose myself, Teddy_Soya_Milk)
 
Juliette si rigirò nel letto, godendosi quella mattina d’insolita pace. O almeno, lo fece fino a quando gli urli delle sorelline che erano in stanza con lei non la fecero svegliare di soprassalto.
-         Stupida!- urlò Tina, di cinque anni.
-         No! Tu stupida!- replicò Maia di tre.
-         Tu!-
-         Tu!-
-         Siete entrambe stupide e ora tacete!- esclamò Juliette irritata per essere stata svegliata così di soprassalto.
Le due bambine si voltarono verso di lei e le rivolsero una linguaccia prima di scappare ridendo. Juliette maledisse le alzate brusche e si scrollò di dosso la misera coperta che aveva sopra. Si vestì mestamente e con lo stesso atteggiamento andò nell’altra stanza che fungeva sa cucina, sala da pranzo, salotto e camera da letto per il fratellino Damian e il gemello Lotus. I genitori erano scomparsi da tempo.
-         Brutto risveglio?- chiese Lotus vedendo la sua faccia.
-         Le piccolette urlano.- replicò lei prendendo la colazione: bacon mezzo crudo e leggermente andato a male.
-         Povera piccola dalle orecchie delicate.- commentò l’altro ingoiando il suo ultimo pezzo di bacon.
-         Idiota.-
-         Delicatina.- replicò lui.
Si sedettero attorno al loro tavolo tarlato e cominciarono a mangiare insieme agli altri fratellini.
-         Siete nervosi? Siete nervosi?- chiese Tina.
-         No. - rispose Juliette. Poi, vedendo che tutti la guardavano stupiti, aggiunse: - Insomma, abbiamo diciotto anni e siamo ancora qui. Quanta sfortuna possiamo avere a questo punto?-
-         Buuh, porta sfortuna!- esclamò Damian.
Juliette fece una smorfia e continuò a mangiare la sua colazione mentre i fratelli continuavano a parlare della Mietitura che per i più piccoli ancora non era arrivata.
Finito il pasto, Juliette si alzò e fece per andarsene ma fu fermata da Lotus che le chiese: - Non vieni in piazza con me?-
-         Ti raggiungo dopo, ora vado a salutare Aynek.- ripose lei.
-         La accarezzi per me?- esclamò Maia.
-         Sì, sì. -
Juliette uscì dalla porta sul retro e si avvicinò alla stalla nascosta per andare a salutare la giumenta che qualche anno prima aveva salvato dal macello.
-         Questa è l’ultima volta.- le sussurrò accarezzandola.- L’ultima. Poi non mi toccheranno più e avremo qualche anno di pace aspettando Damian. Ti fidi?-
Aynek nitrì e Juliette lo interpretò come un buon segno e la lasciò con cuore leggero. Avrebbe molto voluto cavalcarla, ma doveva andare e, per di più, era giorno e per avere un minimo di sicurezza, poteva montare Aynek solo di notte.
Nessuno voleva un cavallo vivo nel Distretto 10.
La strada per la piazza non era molto lunga e non passava neanche per i recinti degli animali, quindi niente puzza o versi da sopportare. Non che Juliette ci passasse molto tempo.
La sua immancabile pigrizia la spingeva a cercare di evitare sempre il lavoro e, fino a quel momento, aveva avuto abbastanza fortuna ed era riuscita a scamparla sempre.
Lotus la rimproverava spesso per la sua negligenza ma Juliette replicava con un’alzata di spalle e una battuta pungente.
Ridacchiò al pensiero e continuò a camminare fischiettando, abbastanza calma per il giorno della Mietitura.
Girò l’angolo e fu praticamente travolta da dietro da un ragazzo biondo che conosceva di vista.
-         Non sei il paladino delle vacche tu?- chiese.
Lui sbuffò e non rispose per riprendere a correre verso la piazza. Juliette si rialzò e cominciò a inseguirlo, infuriata per essere stata buttata a terra.
-         Fermati!- sentì dietro di sé. Si voltò e vide due Pacificatori che molto probabilmente stavano inseguendo il ragazzo.
-         Ehi!- esclamò Juliette vedendolo davanti a sé. Lui non la ascoltò e continuò a correre con somma irritazione della ragazza.
Correndo arrivarono fino in piazza, dove lui si mescolò alla moltitudine di ragazzi già presenti e Juliette, accecata dalla rabbia, lo seguì facendosi strada tra la folla e arrivando molto in fretta al Pacificatore che doveva pungere.
Purtroppo, il biondino si diresse verso le file dei diciassettenni mentre lei aveva diciotto anni.
-         Appena finiamo qui, ti sistemo…- mormorò sistemandosi tra le sue coetanee.
Girò lo sguardo e incrociò quello perplesso di Lotus, che probabilmente aveva visto la sua corsa. Lei scrollò le spalle e gli fece l’occhiolino e lui alzò gli occhi al cielo.
Allora Juliette si voltò verso la capitolina e…rischiò di vomitare.
Da lei proveniva un odore nauseabondo e anche la vista non era delle migliori poiché era totalmente rivestita di bistecche da cui colava sangue. Evidentemente credeva di omaggiare il distretto…sbagliava.
-         Saaalve Distretto 10!- esclamò tutta contenta, per poi fermarsi come se si aspettasse che la gente rispondesse. Visto che non lo faceva, continuò: - Bene! Ora estrarremo i fortunatissimi partecipanti di quest’anno!-
-         Fortunatissimi? Questa è fuori.- mormorò Juliette.
-         Duuunque, volete sapere chi è la fortunata ragazza?-
“NO!” avrebbe voluto urlare Juliette, ma non potendo farlo si limitò a digrignare i denti e battere il piede in attesa che tutto finisse.
-         Oh! Ma come siete mogi oggi! Allora lo diremo…Juliette Hendorius!-
 
- Dove sei Oxen?- esclamò la Pacificatrice.
-         Dici che se l’è filata?- propose l’altro.
-         No, non è il tipo. Continuiamo a cercare.-
Jack sbuffò. Perché quei due non se ne andavano? Era solamente passato a salutare sua sorella, non aveva fatto niente. Quel giorno almeno.
Sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio e pian piano strisciò lontano dai due Pacificatori.
Fosse stato per lui, li avrebbe comodamente affrontati, ma almeno nel giorno della Mietitura preferiva starsene buono e non avere problemi.
-         Dannati Pacificatori…- mormorò.
Per essere più sicuro, decise di infilarsi nella stalla più vicina, quella delle pecore.
-         Sh, sh…torno dopo da voi.- sussurrò agli ovini che belavano a più non posso.- Vi prometto che vi salvo dopo.-
Infatti Jack aveva un’abitudine che cozzava leggermente con l’attività del Distretto e gli interessi di Capitol.
Il ragazzo usava passare tutto il suo tempo a cercare di liberare i vari animali che popolavano le varie stalle e i pascoli del Distretto causando anche esplosioni nelle stalle e, pur essendo stato incarcerato molte volte, non la smetteva e continuava imperterrito.
Nessuno sapeva che fine facessero gli animali da lui liberati, si diceva che li mangiasse.
Ogni volta che Jack ci pensava, sputava a terra e li malediceva. Lui non mangiava carne da anni ormai, e una delle torture preferite dei Pacificatori era gustare un buon pranzetto facendogli passare davanti agli occhi ogni portata, che immancabilmente conteneva carne.
Questa sua abitudine, gli aveva fatto acquisire il nome di “paladino delle vacche” o “vaccaro”.
-         Ecco, ci siamo quasi.- mormorò a se stesso mentre si arrampicava su uno dei muri e apriva la finestra per saltare giù.
Guardò in basso e si accorse che il salto era un po’ più alto di quanto si aspettasse e saltare avrebbe significato rompersi una gamba o peggio, e lui proprio non aveva tempo.
Fortunatamente, vide una grondaia sporgente lì accanto. Pensando velocemente, uscì completamente e si alzò sulla ringhiera sporgendosi per prenderla.
Riuscì ad afferrarla e, pregando perché non cedesse, si aggrappò del tutto al tubo e cominciò a muoversi con cautela.
-         Ok…-
-         Ehi! Il vaccaro è lì!-
-         Aaah!- urlò Jack mentre, per la sorpresa, perdeva la presa e precipitava a terra.
Fortunatamente non si ruppe nulla, ma avrebbe dovuto controllare la situazione del suo sedere visto il dolore che sentiva.
Si rialzò e corse mentre i Pacificatori tiravano fuori i fucili.
-         Ma perché non mi lasciate in pace almeno oggi?!- esclamò.
-         Non saprei, forse perché hai fatto saltare le porte del manicomio?- replicò la Pacificatrice.
-         Non mi lasciate vedere mia sorella!- urlò, ma non poté aggiungere niente vista la scarica di proiettili che seguì le sue parole.
Urlando nella sua testa tutti gli improperi e le bestemmie che il Distretto 10 aveva prodotto, giunse in prossimità della piazza e travolse una ragazza che stava camminando tranquillamente.
-         Non sei il paladino delle vacche tu?- sentì che gli chiedeva ma, non avendo tempo per lei, si rialzò e corse via. – Fermati!- sentì che urlava.
“Perfetto, avevo giusto bisogno di un altro inseguitore” commentò nella sua testa mentre entrava nella fila, arrivava correndo al Pacificatore, si faceva pungere ed entrava al sicuro tra i ragazzi.
Non sapendo cosa fare, si guardò intorno e vide con suo sommo orrore il vestito della capitolina di quell’anno.
Avrebbe voluto salire sul palco e pestarla per tutti quei poveri cadaveri che si portava addosso, ma, capendo quanti problemi gli sarebbero derivati, si limitò a insultarla mentalmente.
La ragazza estratta fu la stessa che aveva travolto poco prima. Poco male, non era affar suo. Desiderò che la tipa estraesse in fretta il maschio così poi avrebbe potuto tenderle un’imboscata e fargliela pagare per il suo stupido abito.
-         Ora vediamo chi accompagnerà questa radiosa ragazza!- esclamò la mezza macellaia poggiando una mano sulla spalla della ragazza, che era tutto meno che radiosa.- Duuunque, Jack Oxen! Jack Oxen sul palco!-
E dalle parti dei Pacificatori giunse un’ovazione.
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Capitolo 12
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 11 ***


Distretto 11 (Ivola, Giada Donadai)
 
Il suono di un violino si diffuse nelle stanze della casa del sindaco. La numerosa prole presente si beò per qualche momento del celestiale suono prima che questo fosse interrotto da una voce alta e drammaticamente stonata.
- YUMIIII!- urlò Heenè precipitandosi nella stanza della sorella, i capelli biondi brillanti nella luce del sole.
- Sì?- rispose l’altra interrompendosi, con gioia della casa.
- Quante volte ti abbiamo chiesto di non cantare di mattina, specialmente il giorno della Mietitura.-
Gli occhi neri a mandorla di Yumi scintillarono prima che rispondesse: - La musica è di tutti ed io canto perché ho qualcosa da raccontare.-
Heenè alzò gli occhi al cielo e imprecò mentalmente prima di prendere l’archetto della sorella e cominciare a correre.
- Ferma!- esclamò Yumi cominciando a inseguirla.
Percorsero tutta la casa travolgendo il piccolo Nereor di quattro anni e spingendo Aarise di sette e avrebbero anche continuato se la madre non si fosse messa in mezzo.
- Fermatevi immediatamente e andate a tavola!- esclamò Audrey Flickstone.
- Sì mamma.- rispose Yumi mentre Heenè annuiva.
Robert Flickstone non alzò lo sguardo quando le due si sedettero, preso dalla lettura del giornale e dall’evitare i pezzettini di cibo che Pryn e Fay si stavano lanciando.
- Dopo la Mietitura vieni con me e Laveny all’orfanotrofio? Ho un po’ di cibo da parte.- propose Yumi alla sorella allungandosi per prendere dei cereali.
- Perché no?- replicò Heenè.
- Brave ragazze.- approvò Robert. La secondogenita aveva preso la lodevole abitudine di portare ogni tanto del cibo in più per l’orfanotrofio in cui lei e Heenè avevano vissuto prima che i signori Flickstone decidessero di adottarle.
La colazione si consumò nella consueta confusione. Il sindaco aveva molto a cuore il fatto che le due figlie prima, e quelli più piccoli poi, avessero intorno un’aria serena in quel giorno particolare.
- Sbrigatevi! Siamo già in ritardo!- esclamò la signora Flickstone interrompendo una strenua battaglia per il cioccolato combattuta tra Aarise, Yumi, Fay e il povero Nereor che si era trovato in mezzo per caso. Heenè e Pryn li stavano tranquillamente guardando.
- Scusa mamma!- esclamarono tutti in coro prima di precipitarsi alle rispettive occupazioni.
- YUMIII!- urlò Heenè poiché la sorella non dava segno di voler uscire con lei.
- Scuuusa! Saluto e arrivo!- esclamò lei.
Abbracciò stretto ogni fratello, baciò la madre e strinse il padre prima di precipitarsi fuori con la sorella.
- Dove vai?- le chiese Heenè quando la vide girare dalla parte opposta alla piazza.
- A prendere Laveny. Non la lascerò certo a casa. - spiegò Yumi prendendo a braccetto la sorella.
- Ah, giusto.- approvò lei avviandosi verso la giusta direzione.
Mentre camminavano, tennero un comportamento più calmo: Laveny viveva nella parte povera di un distretto povero e non gli sembrava giusto ostentare la loro ricchezza davanti a quella gente infelice.
Bussarono alla catapecchia che ospitava la famiglia della ragazza e furono felici che aprisse lei. Suo padre non era esattamente sano di mente e non l’avrebbero retto.
- Ciao!- esclamò Yumi quando la vide e si precipitò ad abbracciarla, com’era suo solito.
- Anche a te. - replicò Laveny stringendola per quanto poteva poiché aveva un solo braccio funzionante. L’altro era paralizzato a causa delle violenze subite dal padre.
Si avviarono allegramente verso la piazza chiacchierando del più e del meno, e cercando di non pensare al motivo per cui tutte le persone convergevano verso lo stesso punto.
- I vostri fratelli sono da soli?- chiese Laveny.
- No, dovrebbe accompagnarli mamma. Sono troppo piccoli.- rispose Yumi.
- Non poi tanto. Insomma, Pryn e Fay hanno dieci anni no?-
- Sono comunque piccoli. Da noi vige la regola: se non sei in pericolo di vita, vai con mamma.- spiegò Yumi con solennità facendo ridacchiare Laveny.
- Oh, vi lascio! Ci sono delle mie amiche.- esclamò Heenè.
- Va bene, ci vediamo dopo!- replicò Yumi stringendola forte.
- Tu non sei nervosa?- le chiese Laveny dopo che si furono inserite tre le quattordicenni.
L’altra scrollò le spalle: - Non servirebbe. Dopotutto, è il caso che decide e noi non possiamo farci niente.-
- Tu comunque avresti più possibilità di me. Chiunque avrebbe più possibilità di me. - commentò tristemente Laveny guardando il braccio immobile.
Yumi le mise il braccio attorno alle spalle e la strinse a sé con un sorriso comprensivo.
- Salve Distretto 11!- esclamò il capitolino dai capelli verde acido e il vestito rosa evidenziatore.- Cominciamo, vi va?- propose.
Trotterellò verso la boccia delle ragazze e infilò la mano guantata di giallo tra i bigliettini.
- Dunque…Laveny Wilson!- esclamò alzando il bigliettino alla luce del sole.
Yumi si girò di scatto verso l’amica che aveva la bocca spalancata in un’espressione d’orrore. La vista di quella e del suo braccio, scatenarono in lei una reazione istintiva che la portò ad alzare le braccia ed esclamare: - Mi offro volontaria come tributo!-
 
Jake osservò l’esile ragazza dai tratti orientali salire sul palco, sgranando gli occhi. Non si era mai sentito di un volontario nel Distretto 11! Era un’occasione senza precedenti! Sapeva che lei era la figlia del sindaco, ma non se ne era mai vantata e per questo la rispettava. Rimase colpito nel vedere che sorrideva tranquilla mentre stringeva la mano al capitolino vestito strano.
- Ehi, Tiresias, dici che quella regge?- chiese al suo migliore amico, un ragazzo cieco e basso che si diceva fosse in grado di vedere il futuro.
- Le nebbie del tempo sono troppo fitte perché io possa vedere cosa si prospetta per lei.- rispose lui misterioso.
- Oh, scusa.- rispose Jake. Al contrario degli altri, lui credeva ciecamente alle profezie di Tiresias per quanto strane o inquietanti potessero essere.
- Figurati.-
Jake tacque e guardò oltre le teste dei sedicenni suoi coetanei per trovare le teste more delle sue sorelle maggiori tra le diciottenni.
Non sapeva come stessero e quello era l’unico contatto che poteva avere con loro poiché si erano ormai trasferite stabilmente a casa del nonno Quil e non le vedeva spesso, ma ci teneva molto a loro e temeva terribilmente che fossero sorteggiate.
Infine, i suoi occhi esplorarono la folla per qualche istante prima di posarsi su di un uomo seduto su una carrozzella.
I tratti di Blacky White erano marcati e duri, gli zigomi alti risaltavano sul viso magro, simile a quello delle figlie.
Jake invece aveva preso dalla madre, o almeno così dicevano. Lui, infatti, non l’aveva mai conosciuta poiché era morta subito dopo averlo messo al mondo, e dunque non sapeva se ciò fosse vero o no; comunque gli faceva piacere sentirlo.
Guardare suo padre gli fece dolere le cicatrici sul viso, ormai chiuse da molto tempo. Non smetteva mai di pensare all’incidente che era costato a lui l’eterna condizione di sfregiato, e a suo padre la sedia a rotelle e di conseguenza una retrocessione a un posto di lavoro molto più basso e con uno stipendio da fame.
Vanessa, una sua amica, diceva che gli davano un’aria da macho, ma lui non lo credeva e si trovava orribile e deforme.
- Tutto bene Jake?- chiese Tiresias.
- Sì, perché?- chiese l’altro riscuotendosi dai suoi pensieri.
- Hai sospirato.-
- Oh. - fu l’unico commento.
- Ma bene! E ora vedremo chi ti accompagnerà nel tuo viaggio, deliziosa signorina!- esclamò il capitolino baciando la mano della ragazza che continuava a sorridere, ma a questo punto Jake sospettò che fosse semplicemente congelata dal terrore per ciò che aveva fatto.
- Dunque…potrebbe raggiungermi sul palco il signor Jake White?- disse sorridendo.
Jake sgranò gli occhi e cominciò a boccheggiare, guardandosi intorno come per cercare aiuto, ma tutto quello che vide furono gli altri ragazzi che si allontanavano da lui e Tiresias che mormorava: - Ah! I miei occhi avevano visto correttamente purtroppo!-
S’incamminò verso il palco con il passo di un automa, cercando di non guardare le facce dei suoi concittadini e decise di fissare lo sguardo sullo stemma di Panem che era disegnato sul telo dietro il palco.
- Benvenuto!- disse il capitolino, facendo una smorfia alla vista delle sue cicatrici.- Benissimo! Ecco a voi Yumi Namaru e Jake White, i tributi del Distretto 11!-
 
Angolo di Luna
Benissimo signori, siamo quasi alla fine (Se Greta si sbriga u.u)! Dunque, dunque, vorrei invitare coloro che non mi hanno inviato il mentore a farlo e per chi ha Facebook, questo è il link del gruppo di questa storia, vi aspetto:
http://www.facebook.com/groups/473616332695736/ Image and video hosting by TinyPic

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Capitolo 13
*** Il biglietto della vita o della morte: Distretto 12 ***


Distretto 12 (discolady, Lena Mayfleet)
 
-         Ti sei allenato degnamente oggi, Steve? È il gran giorno.- osservò Richard Adamson.
-         Lo so padre. Ho completato l’addestramento come ogni giorno.- rispose Steve.
-         Ottimo.- approvò l’uomo poggiandogli una mano sulla spalla e facendolo sorridere lievemente.
Aspettò che Steve finisse di mangiare il suo pezzo di pane bruciacchiato, poi uscirono insieme diretto verso la piazza, verso il luogo della ribalta.
Silenzio. Perché il giorno della Mietitura c’era sempre silenzio? Steve lo trovava irritante, soprattutto vista la tensione causata da ciò che stava per fare.
Respirò profondamente senza guardare il padre per non avere nessuna esitazione. Ogni indugio poteva essere fatale per il loro piano.
Al terzo bivio, furono raggiunti dalla zia materna di Steve: Susan Evedaughter. Il ragazzo la abbracciò velocemente; la considerava quasi una madre, poiché era stata lei ad assumere in un certo senso quel ruolo, poiché lui non aveva mai conosciuto la donna che gli aveva dato la vita.
Lucy aveva fatto appena in tempo a vedere il figlio, prima di essere estratta alla Mietitura e morire alla Cornucopia, essendo debole a causa del recente parto.
Il rimpianto di non averla conosciuta era sempre nella mente di Steve, e si era trasformato in puro odio misto a rabbia.
-         Come stai tesoro?- gli chiese zia Susan.
-         Abbastanza bene, fisicamente.- rispose lui.
-         Sei sicuro di…- iniziò.
-         Sì. - la interruppe Steve risoluto.
La donna sospirò e annuì accarezzandogli la schiena e rimpiangendo i tempi in cui faceva lo stesso gesto sulla sua testa, quando era ancora bambino, quando ancora non rischiava.
Lei non aveva mai approvato il progetto del cognato, che riteneva violento e temeva mortalmente di perdere il nipote adorato.
Il tragitto dal Giacimento era lungo e lo passarono quasi del tutto in silenzio, anche se a volte la zia mormorava parole affettuose al nipote il quale, a braccetto con lei, le sorrideva e le accarezzava talvolta la mano.
Passarono la zona dei negozi. Non ci andavano spesso, vuoi perché non avevano molti soldi da spendere, vuoi perché non conoscevano nessuno; comunque era sempre una brutta vista quella dei negozi sprangati e degli esigui gruppi di persone che convergevano verso lo stesso punto.
Seguirono il flusso fino a trovarsi fin troppo presto in piazza, luogo piacevole in tutto l’anno tranne che in quel periodo.
I Giochi non risparmiavano neanche un luogo, ovunque si poteva vedere e sentire la loro presenza.
- Allora vado.- disse Steve.
La zia Susan lo abbracciò di slancio con le lacrime agli occhi e lui la strinse forte. Quando si staccarono, il padre si limitò ad annuire con fare solenne e Steve si accodò.
Si sistemò tra i suoi coetanei e si preparò.
Non poté fare a meno di rivolgere uno sguardo alle diciottenni, dove sarebbe stata lei se solo…
Tentò di scacciare il pensiero e di rivolgere l’attenzione al palco, ma la sua immagine gli danzò davanti agli occhi e sentì il suo profumo e la sua risata.
Un’ondata di dolore lo colpì, facendolo tremare di rabbia e rafforzando la sua decisione.
-         Ma bene! Quanta bella gente vedo qui!- esclamò la capitolina, vestita di uno sgargiante arancione zucca che faceva male agli occhi.
Nel silenzio generale si avvicinò inaspettatamente alla boccia dei ragazzi e, con un occhiolino, disse: - Prima i signori!-
Prese il bigliettino, lo dischiuse e aprì la bocca. Prima che potesse dire una qualsiasi parola, però, fu interrotta da un urlo.
La voce di Steve pronunciò la frase che nel Distretto 12 non si era mai sentita prima: - Mi offro volontario come tributo!-
 
-         Keravenne! Muovi quel cazzo di culo che ti ritrovi e vai in piazza!- urlò il signor Drake.
-         Va bene maledetto imbecille! Ora me ne vado così mi libero dalla visione della tua lurida faccia!-
-         Oh! Finalmente ascolti, piccola pezzente!-
-         Non osare dirmi cosa fare razza di maiale! Se ti do ascolto, è solo perché non voglio che quella cazzo di Capitol mi rompa le palle!-
Detto questo, spinse bruscamente via l’uomo e uscì dal ripostiglio in cui viveva.
Sbatté la porta della conceria in cui lavorava storcendo il naso all’acre odore della vernice odiando il suo stupido proprietario e il fatto di essere stata costretta a lavorare per lui.
Sputò a terra, odiando dal più profondo del suo cuore quello stupido giorno che serviva solo a mostrare ancora una volta che Capitol li controllava.
Ma non lei. No, Freya Keravenne non era nata per rimanere in silenzio. Doveva solo giocare bene le sue carte, allora Capitol avrebbe capito che la tirannia non è mai eterna.
Avrebbe imparato a temere i sudditi.
Aspettando quel momento, si limitava ai suoi piccoli atti di ribellione contenuti che con sua grande rabbia non importavano nulla a Capitol, troppo presa dalla sua vanità per badare ai Distretti.
Tirò un calcio a un sasso lì vicino sbuffando e s’inoltrò nella breve camminata verso la piazza.
-         Mi raccomando, fai attenzione. Ti raggiungeremo dopo.- Freya si bloccò alla vista di Azure che usciva da casa Heeltarh.
-         Va bene.- la ragazza abbracciò la madre sorridendo mestamente.
Poi si voltarono e la videro. S’irrigidirono entrambe e Azure aprì la bocca come per parlare, ma Freya non gliene diede il tempo.
Alzò le spalle e gli passò di fianco senza degnarle di alcuna parola o sguardo. Non li meritavano e poi non voleva essere accusata di pestaggio, aveva necessità di essere libera.
Andò a passo di marcia verso la piazza, voltandosi di tanto in tanto, per essere sicura che Azure non la stesse seguendo. Non avrebbe potuto vederla due volte senza farle del male.
Una bambina di non più di cinque anni camminava mano nella mano del papà, guardandosi intorno spaventata mentre l’uomo tirava dritto, seguendo quella che doveva essere la moglie.
-         Papà, perché quella ragazza va in piazza da sola?- chiese la piccola.
-         Non lo so tesoro. Ora andiamo.- rispose l’uomo con tenerezza.
Freya tremò di rabbia e di rimpianto pensando a quando suo padre teneva lei per mano, quasi dieci anni prima fissò la bambina finché non si fu allontanata, colpevole di averle ricordato di nuovo ciò che Capitol le aveva tolto, ciò che avrebbe potuto essere suo.
Una fugace visione dell’abbraccio caldo della madre e della tuonante risata del padre si affacciarono nella sua mente e altrettanto in fretta svanirono.
Poi scosse la testa. Non sarebbe mai più accaduto, era inutile pensarci.
Finalmente arrivò. La piazza era brulicante e piena di persone, ma allo stesso tempo sembrava come morta.
Non c’erano bambini che si rincorrevano, nessun venditore che cercava di attirare la gente al suo negozio, perfino i contrabbandieri del Forno, che alcune volte si azzardavano a passare di lì pieni di merce, erano del tutto scomparsi.
Quando fu il suo turno, il Pacificatore la punse di proposito più a lungo degli altri e le rivolse un sorriso sprezzante, prontamente ricambiato da un’occhiata di fuoco.
Si sistemò con malagrazia fra le sue coetanee e attese di sentire la voce di quella che pareva essere una zucca venuta abbastanza male.
-         Prima i signori!- disse con una voce pigolante.
“Perfetto, e adesso si crederà anche originale”, pensò Freya con disprezzo.
-         Mi offro volontario come tributo!- urlò una voce maschile poco distante.
La ragazza, come ogni altra persona presente nel Distretto, si voltò di scatto a guardare l’alto ragazzo dalla pelle scura, sicuramente nativo del Giacimento, che saliva le scale con sicurezza.
Superato lo shock iniziale, venne solo il disprezzo.
“Bravo piccolo schiavo, mostra la tua lealtà a Capitol” pensò con spregio.
-         Oh…ottimo!- esclamò la capitolina dopo un momento di sorpresa.- Vediamo allora con chi condividerai quest’avventura!-
Mentre la sua mano vagava tra i bigliettini, Freya assaporò e odiò il silenzio pesante e aggressivo che si era venuto a creare.
-         Dunque, ah! Freya Kerv-Ke-Keravènne!- annunciò trionfante.
Freya rimase ferma un attimo, shockata. Poi, lentamente, si rese conto che tanto ci doveva salire su quel fottuto palco, dunque lo fece.
-         Bene, cara! Ti senti pronta?- chiese la capitolina, fintamente premurosa.
-         Fatti i cazzi tuoi.- replicò gelidamente.- Ah. Si pronuncia Kèravenne cretina.-
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Capitolo 14
*** Solo se mi lascerai volare, sarò capace di tornare (Parte 1) ***


Solo con l’agonia della separazione si può capire la profondità del nostro amore.

 
 
Elle era ferma. La stanza era spaziosa e illuminata dal sole di luglio. Le pareti erano di un tenue ocra mentre le finestre erano ornate di gioielli, il prodotto del Distretto.
La ragazza era tranquilla: i suoi genitori non sarebbero di certo venuti, di amici così stretti non ne aveva.
Fu dunque del tutto inaspettata l’entrata del Pacificatore.
-         Antonius?- mormorò.
Lui non rispose e prese a camminare avanti e indietro per la stanza, le mani dietro la schiena. Sembrava preda di una terribile indecisione.
Elle rimase a guardarlo tranquillamente con giusto una punta di curiosità.
Alla fine, Antonius cambiò direzione, si diresse verso di lei e si bloccò di colpo, come irrigidito. Fece scivolare i suoi occhi sulla ragazza, osservandola intensamente da cima a fondo, con una strana luce nello sguardo. Un attimo dopo, con uno scatto repentino, le fu addosso. 
Elle si ritrovò stesa sul divano, il corpo del Pacificatore sopra di lei.
Shockata, non riuscì a reagire fin quando non avvertì l’umido delle labbra dell’uomo sul suo collo. A quel punto, s’infuriò e raccogliendo le sue forze assestò una poderosa ginocchiata nelle parti delicate dell’altro.
Quello si tirò su e urlò di dolore ed Elle lo sbatté per terra. Poi tornò a sedere sul divano.
- Bel saluto.- fu il suo ultimo commento.
 
Jesse era seduto sul divano, annodando un piccolo pezzo di corda che aveva deciso di portare nell’Arena con sé. L’Arena…mancava così poco e ci sarebbe andato, come Laser. Il suo successo, a quel punto, sarebbe dipeso solo e unicamente dalla sua abilità.
Si appoggiò allo schienale del divano, guardando in alto.
La tranquillità della stanza fu bruscamente interrotta dall’apertura della porta e dall’entrata dei suoi genitori.
-         Jess- cominciò la madre, ma fu interrotta dal padre che avanzò minaccioso.
-         Finalmente ti sei deciso eh ragazzino? Ora vedi di riportare a casa le chiappe, chiaro?!- esclamò.
Jesse fissò lui e poi sua madre, notando un grosso livido sulla guancia. A quanto pareva, suo padre non aveva perso le vecchie abitudini.
- Oh, papà, papà, non impari mai. Dev’essere difficile mettere al mondo due figli solo per vederli morire, no?-
 
Alexa sorrise accarezzando il suo piccolo pugnale. Era utile averlo come portafortuna, avrebbe già avuto un’arma.
Si sentì del rumore, e dalla porta entrarono i suoi genitori.
-         Cosa ti è saltato in testa di offrirti?- esclamò il padre. Alexa storse il naso: puzzava di gin.
-         Sì, perché?- chiese la madre distratta. Si vedeva che non vedeva l’ora di andarsene.
-         Mi state sottovalutando.- sibilò Alexa.
Per risposta il padre scoppiò a ridere; risata che poi si trasformò in un rutto fragoroso.
- Stai tranquillo, papà. - sibilò la ragazza con disprezzo.- Voi tutti mi sottovalutate me presto vedrete di cosa sono capace! Alexa Prior tornerà a casa, e allora vi pentirete di non avermi mai presa sul serio!-
 
Ian fissava la porta che si stava aprendo. Qualche istante e i signori Stoner fecero la loro comparsa. Per essere del Distretto 2, erano molto curati.
-         Madre, padre.- salutò Ian.
-         Ian. Sei stato…coraggioso.- disse la signora Stoner con un lieve sorriso.
-         Grazie.- replicò lui.
Ci fu un momento di silenzio.
-         Sono certo che ci renderai fiero. Sei allenato.- aggiunse il signor Stoner.
-         È ovvio.-
-         Ti seguiremo Ian. Osserveremo i tuoi progressi.-
-         Va bene.-
-         Perfetto.-
E rimasero così, in silenzio.
 
-         Tanisha! Tanisha!- esclamò Troy in lacrime.
-         Fratellino!- esclamò lei.
-         Non andare via! Per favore!-
La ragazza accarezzò guardando la nuca del fratello guardando il padre che aveva gli occhi lucidi. Probabilmente ricordava Lavinia ai suoi saluti.
Gli fece segno di avvicinarsi e strinse entrambi in un grosso abbraccio commosso, poi s’inginocchiò per essere alla stessa altezza del fratello.
-         Ascoltami, Troy, non piangere va bene? Ricorda che papà conta su di te. Io proverò a tornare con tutte le mie forze. Siamo d’accordo?-
Il bambino annuì tirando su con il naso.
-         Tanisha - mormorò il padre ma un Pacificatore entrò e li avvertì che era ora di andarsene.
-         Papà! Tornerò, papà!- esclamò lei un attimo prima che uscissero dalla sua vista.
Crollò sul divano lasciando che le lacrime scendessero sulle sue guance.
-         Nini! Oh, Nini!- la voce di Monica si sentì forte e chiara.
-         Monica…- mormorò la ragazza mentre l’amica la abbracciava.
-         Come ti senti?- chiese Monica.
-         Be’, sono stata meglio…- replicò Tanisha con un debole sorriso.
-         Ascoltami Nini, tu uscirai da lì, ok? Ne sei in grado.-
-         Non rimarrò inerte, tranquilla.-
Monica la fissò per un istante, poi disse: - Mi dai un momento la tua collanina?-
Tanisha annuì, confusa, e le porse la catenina d’argento un tempo appartenuta a sua madre.
L’amica armeggiò per un po’, poi gliela porse. Vi aveva attaccato un papavero essiccato contenuto in un quadratino di vetro.
Mentre il Pacificatore la afferrava per un braccio, Monica continuò a guardarla con un sorriso triste e l’ultima cosa che le disse fu: - Trovati un alleato, Tanisha.-
La ragazza sospirò. Non si aspettava che qualcun altro sarebbe venuto a trovarla, quindi cominciò a prepararsi, ma la porta si aprì di nuovo ed entrò Eric, fratello di Tanisha e suo…interesse.
Rimasero a fissarsi per qualche istante, poi il ragazzo camminò verso di lei le prese il viso fra le mani e le diede un bacio delicato sulla fronte rossa e bollente della ragazza. Poi la abbracciò e sussurrò: -Torna. Ti prego.-
E lei non riuscì a fare altro che annuire.
 
Shade camminava avanti a indietro per la stanza con le mani intrecciate dietro la schiena.
Stava aspettando che arrivasse qualcuno e intanto rifletteva su una possibile strategia. Non c’era un minuto da sprecare.
La porta si aprì e la sua famiglia apparve.
-         Oh. - fu l’unica cosa che riuscì a dire.
-         Piccolo.- mormorò sua madre commossa. Shade pensò che, probabilmente, stesse rimpiangendo i momenti in cui non gli aveva prestato attenzione.
La prima ad avvicinarsi fu Wi. Lo abbracciò e Shade riuscì a sentire la pancia arrotondata e dura. La consapevolezza che non avrebbe mai potuto vedere suo nipote gli provocò un’ondata di commozione ma trattenne le lacrime che, tanto, non sarebbero servite a nulla.
-         Shade… non ti buttare giù ok, fratellino?- disse Wi.
-         Certo. Non mi avranno facilmente.-
-         Ovvio.- fece la sorella, poi si allontanò un poco per far avvicinare il padre.
-         Figliolo, tu…tu sei intelligente. Lo sei e tanto quindi…quindi…- ma scoppiò a piangere prima di finire la frase.
Shade si ritrovò fra le sue braccia e fra quelle della madre che si era avvicinata velocemente. E allora capì che per loro, e nel profondo anche per lui, quello era un addio. Nessuno si aspettava il suo ritorno.
 
Tess era furiosa e malignamente felice al tempo stesso. Furiosa perché, in fondo, lei era sempre furiosa. Felice perché finalmente avrebbe avuto l’occasione di vendicarsi di quel ragazzo. D’accordo, era stato suo padre ad agire ma lui era rimasto lì fermo a guardare…non gliel’avrebbe mai perdonato.
La porta si aprì e, come la ragazza si aspettava, Shadi fece la sua comparsa. A quanto pareva, era molto arrabbiata.
-         Tu! Razza d’idiota come ti è venuto in mente di offrirti?!- esclamò.
-         Sono cazzi miei, ti pare? Cosa te ne frega?-
-         Me ne frega cogliona!-
-         Tanto ormai l’ho fatto, cosa vieni a sacramentare adesso?!-
-         Oh certo! Perché io mi aspetto che alla tua prima Mietitura tu ti offra tranquillamente, sì? Hai dodici anni, imbecille! Ti massacreranno!-
-         Cosa ne vuoi sapere tu? Mi sono fatta un mazzo tanto in Accademia!-
-         Oh per favore! Vuoi farmi bere di esserti offerta per puro piacere?! Guarda che so anch’io chi è quel ragazzo!-
-         E allora non rompermi le palle!-
-         Credi davvero che il miglior modo per vendicarsi sia suicidarti, sottorazza di demente?-
-         Se riesco a portarlo nell’oltretomba con me sì!-
-         Sei un’illusa!-
A quel punto, però, vennero interrotte da un Pacificatore che trascinò via la ragazza, ancora urlante.
- Vai al diavolo, Shadi, e non tornare!-
 
Leo osservava la sua sedia a rotelle. Non l’aveva mai detestata tanto. Come avrebbe potuto vincere lui? Sospirò.
La porta si aprì e Sheru apparve. Sembrava affranta.
-         Leo io…perdonami.-
-         Perdonarti?- replicò Leo sbalordito.
-         Io avevo promesso di proteggerti. E non ci sono riuscita.-
Leo sorrise: - Avresti dovuto essere un maschio per aiutarmi, Sheru. E in quel caso non te l’avrei mai perdonato. Non sono un bambino.-
-         Ma io…-
-         Sheru, non fartene una colpa. Assolutamente. Io vedrò di cavarmela ok?-
La ragazza lo abbracciò velocemente ma dovette andarsene subito. Al suo posto entrarono la madre e la nonna del ragazzo.
-         Tesoro mio!- esclamò la madre.
-         Ciao…-
-         Oh piccolo! Vedrai che ci riuscirai, tu…vincerai sì?- continuò la donna. - E quando tornerai, ti faremo una grande festa.-
-         Mamma,- cominciò Leo. Poi, vedendo la sua faccia speranzosa, sorrise e disse: - certo, grazie.-
-         Oh per favore Daphne! Non fare la sciocca e non mettergli in testa strane idee!- s’intromise la nonna bruscamente.
Scostò la donna e si mise davanti al nipote, fissandolo negli occhi.
-         Ascoltami attentamente Leonid. Non so quante possibilità tu abbia di vincere, ma non sono molte. Il mio più grande desiderio sarebbe vederti scendere da quel treno come vincitore; ma se ciò non dovesse accadere, combatti con onore ok? E non ascoltare tua madre, perché indorare la pillola, non è mai la strategia giusta.-
Leo annuì. La durezza della nonna era stranamente confortante in quel frangente. Le due donne lo accarezzarono e baciarono prima di essere scortate fuori da un Pacificatore dalla faccia scura.
La porta si aprì di nuovo e, con sommo orrore di Leo, suo padre entrò.
-         Allora, ragazzo, cosa devo dire? Se non fossi stato così debole, ora potresti tornare a casa. - esordì.- Perché tanto lo sappiamo benissimo che non tornerai, vero sgorbio?-
-         Questa paralisi non è certo una mia colpa.- replicò Leo con calma.
-         Sì invece perché sei una femminuccia. Non sei mai diventato un uomo. -
-         Un uomo?! Non voglio essere ciò che tu intendi per “uomo”! Sai chi è la ragazza che si è offerta?!- scattò il ragazzo.
-         Perché dovrei?-
-         Perché è la ragazza che tu hai violentato tre anni fa! Quello che per te vuol dire diventare un uomo è rovinare una povera ragazza!-
-         Come osi piccolo…-
Probabilmente l’avrebbe colpito, non ne era sicuro ma sembrava che stesse per farlo. Per fortuna, il Pacificatore entrò a portare via l’uomo e lasciò lì Leo, solo, a guardare le sue gambe immobili.
 
Raen tamburellava le dita sul davanzale della finestra riflettendo su ciò che le era accaduto. Sarebbe tornata? Avrebbe rivisto tutti quelli cui voleva bene? L’orecchino a forma di Ibisco donatole dalla madre per la sua prima Mietitura e che ora sarebbe stato il suo portafortuna scintillava, illuminato dai raggi del sole.
I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di sua madre.
Rimasero a fissarsi per qualche secondo, poi Misaki sospirò e la abbracciò forte stringendole la mano. La figlia rispose lievemente qualche momento dopo. Anche in quel frangente la sua freddezza imperava.
Poi la madre si staccò e non disse niente perché in quell’abbraccio aveva già espresso tutto quello che pensava.
-         Ti guarderò.- mormorò prima di voltarsi e andarsene.
Presa da una strana emozione, Raen fece un gran respirò e sussurrò: - Ti voglio bene.-
La donna voltò la testa e fece un leggero sorriso prima di uscire.
Al suo posto si precipitò Sarah. Aveva gli occhi rossi, Raen capì che aveva appena finito di piangere.
- Amica mia! Io…non oso immaginare cosa tu stia passando!-
Raen alzò le spalle.
-         Ormai ci sono, no? Tanto vale impegnarsi.-
-         Hai ragione ma…-
-         Ma niente. Vedrò di tornare.-
A quel punto Sarah la guardò stupita finché un lampo di comprensione attraversò i suoi occhi e appoggiò la mano sulla spalla dell’amica che annuì.
- Ah! C’è qualcuno che ti vuole vedere.- esclamò Sarah. Si scostò e Raen vide che sulla porta era ferma Ayumi.
La bambina sorrise tristemente e Raen ricordò il giorno in cui l’aveva nascosta dai Pacificatori che la stavano cercando per un furto di pane. Da allora la bambina era sempre stata con lei.
Ayumi si avvicinò e le prese la mano. Poi, timidamente, disse: - Buona fortuna Raen. -
La ragazza, inaspettatamente, sorrise con dolcezza e rispose: - Grazie mille, Ayumi.-
-         Voi due fuori!- tuonò il Pacificatore di guardia e le due la salutarono mestamente.
Raen si massaggiò le tempie cercando un’altra volta di riordinare le idee e venendo un’altra volta interrotta dall’entrata di…Max.
-         Massimo? Come mai qui?- chiese Raen, stupita dalla sua entrata.
Il ragazzo sembrava sconvolto quanto lei da quell’atto, ma, arrossendo, riuscì ad avvicinarsi a piccoli passi e a dire: - Raen, io…volevo darti un portafortuna.-
La ragazza annuì, perplessa, e lui le stampò un veloce bacio sulle labbra che la fece restare di stucco.
-         Tutto qui, ok?-
-         C-Certo.-
E Max uscì.
 
Skeet aspettava che arrivassero e intanto si chiedeva cosa cavolo l’avesse spinto a compiere quel gesto assurdo. Era stata forse pietà per Emis? O più semplicemente la cotta per Lucette aveva raggiunto i massimi storici?
-         Skeet!- esclamò sua madre precipitandosi nella stanza.
-         Ehi, mamma, come mai queste lacrime?- chiese il ragazzo stringendola.
-         La tua pazzia le causa! Come hai potuto pensare di offrirti?!- esclamò lei stupefatta.
-         Mamma io sono Skeet Larmor, andiamo! Sono certo che tornerò!-
-         Sempre il solito.- sbuffò Kyrion, il fratellastro di Skeet.
-         Ehi, Kyr, sto andando a combattere! Un po’ di sostegno per il tuo fratellone!-
L’undicenne alzò gli occhi al cielo, poi si avvicinò al ragazzo e i due batterono i pugni.
Poi la madre si staccò e lo fissò con gli occhi lucidi.
-         Tifiamo per te, Skeet.- gli disse.
-         Lo so mamma.-
Un ultimo abbraccio e poi dovettero uscire.
Al loro posto entrò Rox.
-         Ehi, Skeeter.- esordì.
-         Ehi, Roxanne.- replicò l’altro.
-         Anche ora fai l’imbecille?- chiese l’amico.
-         Ora o mai più, giusto?-
-         Già.-
Rimasero in silenzio per un istante, poi sul viso di Rox si disegnò un sorriso malizioso.
-         A proposito, complimenti per lo spettacolino.-
-         Ma piantala.-
-         Skeety, si è vista la lingua.-
-         Per favore, Roxy. Con gli occhi che ti ritrovi è già tanto se mi hai visto salire su quel palco.-
-         Ecco appunto. Non ti facevo così romantico.-
-         E io non ti credevo così deficiente.-
-         Vedi, ogni giorno si scoprono cose nuove.-
-         Che gioia.- rifletté per un secondo e poi chiese: - Lucette che fine ha fatto?-
-         Si è data alla fuga, trascinando via Emis. Le mie fonti mi riferiscono che era rossa come pochi. Forse le vostre azioni conturbanti l’hanno sconvolta.-
-         Dici? In effetti eravamo molto focosi.-
-         Mi avete shockato.-
-         Perdonami.-
-         Supererò la cosa. -
-         Salutami tutti. Mi raccomando.-
-         Bacerò Lucette per te. -
-         Non ci provare perverso.-
Rox sogghignò, poi, sentendo il Pacificatore che si avvicinava, si affrettò e lui e Skeet si strinsero in un imbarazzato abbraccio simil-fraterno.
-         Vedi di tornare.- lo ammonì Rox.
-         Ovvio.-
 
Magda, seduta su un divanetto,osservava assorta le sue mani. Non si era pentita del suo gesto, ci teneva a suo nipote, ma solo in quel momento cominciava a rendersi conto delle conseguenze.
Come sarebbe potuta andare nell’Arena, lei che era così debole? Tara avrebbe avuto più possibilità di vincere, pur essendo incinta.
Lupus in fabula, la sorella entrò nella stanza. Con stupore di Magda, sul suo viso scorrevano lente delle lacrime.
Tara s’inginocchiò davanti alla sorella e appoggiò la testa alle sue mani.
-         Perdonami sorellina, perdonami.- mormorò. Magda rimase in silenzio e lei continuò: - Sono stata un’emerita stronza e non sai quanto me ne penta. Tu sei…sei sempre stata mille volte migliore di me e io…ero gelosa. Sono stata una stupida, mi puoi perdonare Magda?- concluse guardandola negli occhi.
Magda rimase un attimo in silenzio, poi rispose: - Certo che ti perdono, Tara. È ovvio che ci vorrà un po’ per dimenticare tutto, ma ce la farò. E comunque, sappi che mi sono offerta solo e unicamente per lui. O lei.-
Tara annuì con un lieve sorriso e si alzò per abbracciarla. Magda rispose esitante.
-         Tara. Promettimi una cosa. - mormorò quando si fu staccata dalla sorella.
-         Certo.-
-         Tieni il bambino, per favore.-
Con suo stupore, l’altra annuì convinta: - Tranquilla, ho già detto tutto a mamma e papà. Questo piccolino non se ne va. Ah, ti mandano i loro saluti. -
- Grazie.-
Risero timidamente, poi la sorella le schioccò un baco sulla guancia di Magda e uscì lentamente.
Al suo posto entrò Chris, il giardiniere tanto caro alla ragazza.
-         C-Chris. Come mai qui?- riuscì a sussurrare arrossendo dopo essere scattata in piedi.
-         Per salutarti.- replicò lui.- E per dirti che…che tu devi tornare Magda. Io…non riuscirei a sopravvivere alla tua morte. Ti prego, torna.- terminò con foga.
La ragazza rimase ferma e boccheggiante per qualche secondo, poi annuì.
Chris sembrò sollevato, e sorrise, poi uscì.
Magda crollò di nuovo sul divanetto, shockata e sempre più consapevole del fatto che molte, troppe, persone contavano su di lei. Al suo ritorno, si promise, avrebbe detto tutto a Chris. Sì, l’avrebbe fatto.
La porta si aprì per la terza volta, per far entrare Valerie e Jeanne. La prima corse verso di lei e, dopo averla fatta alzare, cominciò a scrollarla per le spalle.
-         Piccola pazza, fra tutti per Tara ti dovevi offrire?!-
-         Io veramente…-
-         Adesso torna però! Cioè, ormai sei in ballo e devi ballare! Fatti valere perché ne sei capace ok?!-
-         Certo, ma…-
-         Perfetto! Quindi tornerai perché tu ne sei capace. Tutto chiaro.-
-         Sì, però…-
-         Ottimo siamo d’accordo. E adesso, dove l’ho messo? Ah, eccolo.- tirò fuori un ciondolo cui era appeso un fiore essiccato: - È coriandolo.- spiegò Valerie.- Significa “valore nascosto”. In altre parole, vedi di tirare fuori gli attributi in Arena ok?-
Un sorriso affiorò sul volto di Magda che annuì e abbracciò l’amica.
Poi Valerie si scostò per far avvicinare Jeanne che, commossa, abbracciò dolcemente Magda.
Quando fu rimasta sola, un brivido le attraversò la schiena. Sarebbe stato il suo ultimo abbraccio?
 
Jude fissava la corda di violino che aveva deciso di portare con sé. Non era particolarmente preziosa, ma era casa e tanto bastava.
Come si aspettava, i primi ad arrivare furono i suoi familiari.
-         Come va, Jude?- chiese la madre.
-         Be’, avrei preferito non essere estratto, ma se così deve essere…-
-         Il mio bambino.- mormorò sua madre abbracciandolo.
-         Figliolo, tu hai tutte le qualità per tornare. Io sono certo che vincerai.-
-         Sì. -
Lo abbracciarono forti, incapaci di parlare del loro terrore che si era improvvisamente concretato.
Si spostarono per far passare Danielle.
-         Ciao fratellino.- mormorò sedendosi accanto a lui.
-         Ciao. -
La ragazza fece passare il braccio sopra le spalle di Jude e appoggiò la testa sulla sua spalla.
-         Ehi, cosa mi dovevi dire?- chiese il ragazzo.
-         Oh, quello…- Danielle lanciò una veloce occhiata ai genitori, poi si passò velocemente una mano sulla pancia.
-         Ah, capisco.- commentò Jude.
-         Credo che se sarà maschio lo chiamerò…-
-         Non come me spero. Non sono mica morto.- osservò Jude.
Danielle rimase interdetta, poi capì e annuì. Lo baciò sulla fronte e si alzò. A quel punto lei e i genitori se ne andarono lasciando nella stanza solo Jude e Kathy, la cugina del ragazzo.
I due erano molto legati, erano cresciuti insieme.
Lui si alzò e i due si strinsero in un veloce abbraccio.
-         Tornerai?- chiese Kathy.
-         Come si suol dire se la buona sorte sarà a mio favore.-

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Capitolo 15
*** Solo se mi lascerai volare, sarò capace di tornare (Parte 2) ***


Sheridan diede un pugno alla porta, sognando che fosse il viso del Presidente, della capitolina, del sindaco, dei Pacificatori, di tutto il mondo.
Tirò un calcio a un tavolino che si rovesciò con un gran fracasso.
-         Levami le mani di dosso!- esclamò una voce fuori dalla porta e subito dopo Robb, Harris e Reeser entrarono nella stanza.
Il primo abbracciò di slancio la sorella che rispose quasi con disperazione.
-         Dove sono mamma, papà e Armie?- chiese la ragazza da sopra la spalla del fratello.
-         Papà ha avuto un crollo nervoso, mamma e Armie stanno cercando di calmarlo.- rispose Harris rivolgendole uno strano sguardo.
-         Ah. Salutatemeli poi.-
-         Certo!- replicò Harris quasi stupito.
-         Grazie.-
A quel punto anche Reeser e Harris si unirono all’abbraccio, facendo scomparire la sorella fra i loro corpi massicci.
Dopo poco però Sheridan li spinse lievemente perché si staccassero.
-         Ragazzi, mi state soffocando.- esclamò.
-         Sheridan, abbiamo poco tempo per infastidirti. Concedici almeno questo!- replicò Reeser tentando di sembrare scherzoso, inutilmente.
-         Non provare a fare il disinvolto, Rees. Non ci sei mai riuscito del tutto.- lo ammonì Sheridan.
-         Ecco, vedi? Ho bisogno della tua guida per andare avanti sorellina! Quindi ora sei costretta a tornare!-
-         Sei un cretino.- replicò Harris dandogli uno schiaffetto sulla nuca. - Pensa a Sheridan e non fare l’idiota come al solito.-
-         Infatti, Rees. Concentrati per una volta.- aggiunse Robb.
Con loro grande sorpresa, Sheridan si mise a ridere anche se con poca allegria.                  
-         Che ti prende?- chiese Harris sconvolto.
-         Siete ridicoli!- esclamò lei.- E vedete di smetterla con queste scenette, così avrò un buon motivo per voler rivedere le vostre facce. Affare fatto?- chiese tendendo una mano.
I tre si lanciarono un’occhiata, poi Reeser le tese la mano: - Affare fatto, bellezza.-
 
Heracles si sedette sul divano, appoggiò le braccia allo schienale e cominciò a riflettere. Benissimo, l’avevano estratto, quindi bene o male doveva partecipare ai Giochi. Non era certo la cosa più bella che gli potesse capitare, ma dato che non poteva certo tirarsi indietro tanto valeva fare del suo meglio, cosa che non gli era mai riuscita particolarmente difficile.
Aspettò quindi tranquillamente che i suoi amici venissero a salutarlo e ciò puntualmente accadde.
-         Stai bene?- chiese Knave.
-         Diciamo che mi sto abituando all’idea. - replicò Heracles apparentemente tranquillo.
-         Non fare lo spaccone cuginetto.- lo ammonì Aberlard.
-         Sono realista.-
-         Santo cielo, Heracles! Non stai andando a fare un pic-nic!- esclamò Louise.
-         Non puoi essere sempre così leggero.- aggiunse Knave.
-         Siete qui per confortarmi o per darmi del cretino?- replicò Heracles freddamente.
I tre rimasero un momento in silenzio e si scambiarono una veloce occhiata, poi Louise riprese a parlare con calma forzata: - No, Heracles. Ti stiamo solo dicendo di non pensare da spaccone.-
Lui sospirò e rimase un momento fermo a pensare, poi fece un mezzo ghigno e disse: - Come sei cara a preoccuparti, Lou. Lo sapevo che alla fine avresti ceduto al mio fascino.-
La ragazza lo guardò sconcertata, poi sospirò, alzò gli occhi al cielo e ridacchiò: - Cretino.-
Knave gli diede uno schiaffetto sulla nuca e Aberlard scoppiò a ridere: - Cuginetto, non cambierai mai.- esclamò.
-         E perché dovrei scusa?- replicò Heracles.- Io sono perfetto così.-
E la stanza fu animata da altre risate.
 
 
Moon respirava velocemente. Il terrore si stava impadronendo di lei. Come avrebbe fatto a tornare? Diavolo! Tirò un pugno al cuscino rosso del divano.
-         Moon!- John entrò di corsa.
Lei si alzò di scatto e i due si abbracciarono. Rimasero stretti per qualche momento, poi John si staccò e cominciò a parlare velocemente.
-         Ok, Moon, ce la possiamo fare. Tu…io…ok. Niente. Impegnati!-
-         Impegnarmi? Credi che basti questo? Santo cielo, John! Sono gli Hunger Games! Non basta impegnarsi!-
-         Ma è un punto di partenza. Allora, Moon, vogliamo vincere.-
-         Ovvio! Ma io…ho una paura matta John!-
Il ragazzo la abbracciò di nuovo: - Non posso neanche immaginarlo. Ma…fatti valere.-
-         Contaci.- replicò la ragazza senza sorridere.
-         Ah, ce l’hai vero?- chiese John.
-         Certo.- rispose lei mostrando il braccialetto di scooby-doo blu e verde sul polso destro.
John sorrise lievemente e mostrò lo stesso bracciale ma sul polso sinistro e sistemato a rovescio.
-         Oh, sì. Tua nonna ti manda un bacio. Non è potuta venire perché sta curando tua madre. È…in stato di shock.-
-         Capisco.- disse Moon tristemente.
I due si abbracciarono un’altra volta, poi John si avvicinò alla porta e si girò: - Torna, Moonie. Non riesco a stare senza la mia migliore amica, ok?-
 
Jos accarezzava distrattamente il braccialetto nero che avrebbe portato nell’Arena. Non si aspettava alcuna visita: il suo patrigno come sindaco era impegnato e sua madre non si muoveva mai da sola, di amici stretti non ne aveva, dunque…
Prese una caramella dalla ciotola sul tavolo e cominciò a mangiarla lentamente. Da quando era andato via di casa, non aveva quasi mai assaggiato qualcosa di dolce; alcuni vincitori dicevano che prima di cominciare i Giochi c’erano grandi pranzi deliziosi pieni di pietanze strane, e ciò incuriosiva molto il ragazzo. Ciò che più pregustava erano le zuppe, lui aveva una predilezione per le zuppe.
Scosse la testa e si meravigliò: stava davvero pensando al cibo in quel momento? Insomma, aveva buone possibilità di morire e la sua mente andava alle zuppe.
Si morse il labbro e la sua mente elaborò velocemente quel pensiero per poi assorbirlo del tutto.
Morire, avrebbe potuto morire. Com’era morire? Che cosa aveva provato suo padre quando era toccato a lui? Non ci aveva mai pensato.
Dovette appoggiarsi allo schienale del divano per non crollare. La morte era sempre stata un pensiero astratto per lui che aveva vissuto metà della sua vita in una casa comoda, e metà a godere dei soldi che la madre gli aveva dato quando era andato via. Non aveva mai patito eccessivamente la fame.
Crollò sul divano e appoggiò la fronte sulle ginocchia lasciando che quel pensiero lo investisse. Avrebbe rivisto gli spogli capannoni del Distretto 8? Avrebbe più sentito il confortante fracasso delle macchine per cucire?
C’era solo un modo per conoscere quella risposta. E non sarebbe stato per niente facile.
 
Amy era tranquillamente seduta sul divano con i piedi allungati sul tavolo che stava davanti a sé. Sorrideva soddisfatta dagli avvenimenti ed era entusiasta alla prospettiva dell’Arena e della gloria che ne avrebbe ricavato. Non le passava per la testa l’idea che forse non sarebbe tornata.
La porta si aprì e lei si voltò per vedere chi arrivava.
Serenity entrò nella stanza, sembrava angosciata ma anche vagamente dubbiosa.
-         Allora…come stai?- chiese.
-         Perfettamente direi. Finalmente tutti sapranno chi sono.-
-         Ma Amy, come puoi essere così felice? Stai per andare in…in un enorme macello!- esclamò la ragazza con un’espressione sconcertata.
-         In un macello c’è sempre un macellaio, e sarò io!- replicò Amy inviperita.
Serenity aprì la bocca, infuriata, poi la richiuse e osservò l’amica per qualche momento. Infine sospirò e disse: - Vedi di esserlo allora.-
-         Certo.- rispose Amy, felice che l’amica le stesse finalmente dando quella fiducia che era certa di meritare.
Parlarono ancora qualche minuto, poi Serenity uscì per lasciare entrare una figura sciupata e dall’aria disperata: Ember.
-         Ciao, sorellona.- esordì Amy un po’ perplessa dall’aspetto della ragazza. Non era felice per lei?
-         Amy…oh, mia piccola Amy! È colpa mia, solo mia.- mormorò Ember fissandola con gli occhi lucidi.
-         Colpa tua?-
-         Io non ho voluto! Loro volevano che io facessi…facessi…e non ho accettato!- ormai la sorella stava quasi urlando.
-         Che dici, Ember? Non è mica una cosa brutta!- ribatté Amy.
L’espressione che si disegnò sul viso della sorella era simile a quella di una belva pronta a cacciare. Amy non gliel’aveva mai vista, forse solo quando, durante i suoi Giochi, si era avventata su un tributo che aveva ucciso il suo alleato.
-         Cosa ne vuoi sapere tu?! Non stai andando a giocare sciocca! In quel posto non c’è tempo per le esitazioni o per i giochi da bambini, e gli idioti come te che li sottovalutano devono già prepararsi per la tomba! Vedi di prendere sul serio tutto questo, Amy, perché il mio aiuto può arrivare solo fino a un certo punto, chiaro?!- sbraitò; la sorella annuì, leggermente spaventata. - Benissimo. Ci vediamo sul treno.- terminò Ember. E se ne andò.
 
Tòbia si mangiava le unghie. Si era seduto sul pavimento con la schiena appoggiata al divano e le spalle curve. Pensava a Steve e Anthony, sempre terribilmente imprudenti, e al piccolo Sebastian che aveva un costante bisogno di protezione. Non poteva lasciarli in balia di quella Furia di Samantha!
Il moncherino del mignolo della mano destra pulsò, come faceva ogni volta in cui pensava alla maledetta sorella.
Neanche a farlo apposta, fu proprio la ragazzina ad aprire la porta ed entrare nella stanza con un sorriso trionfante.
-         Ciao fratellone. Bella la vita, eh?- ghignò.
-         Taci e vattene.- replicò Tòbia con disprezzo.
-         Come siamo scortesi! E dire che ti avevo anche portato una sorpresa!- esclamò la Furia continuando a ghignare.
Il ragazzo inarcò le sopracciglia, confuso, e lei spalancò del tutto la porta rivelando l’odiata sagoma di Santiago Gonzales, il padre di Tòbia.
-         Cosa fai tu qui?!- scattò il ragazzo.
-         Ehi, un po’ di rispetto marmocchio! Io mi disturbo a venire a salutarti e tu mi tratti anche male?- replicò l’uomo con un ghigno identico a quello della figlia.- Te l’avevo detto, Samantha, che sarebbe stato irrispettoso.- aggiunse rivolto alla ragazza che ridacchiò.
-         Cosa…voi due avete parlato?!- esclamò Tòbia.
-         Credi che avrei potuto abbandonare la mia bambina nelle tue sudice mani?- chiese Santiago.
-         Le mie mani saranno pure sporche ma almeno non sono macchiate di sangue come le tue!- lo odiava, oh se lo odiava.
-         Come osi ragazzino?!-
Santiago stava per scagliarsi su di lui ma un Pacificatore, attirato dal rumore, lo fermò. I tributi non dovevano avere segni antiestetici sul viso.
-         Va bene, va bene!- esclamò l’uomo con astio.- Adesso me ne vado! Senti tu, ehm…tizio, non c’è bisogno che riporti le chiappe a casa, ok?-
A quel punto fu Tòbia a scagliarsi contro di lui ma il Pacificatore lo fermò e portò via Santiago. La Furia li seguì.
Il ragazzo tirò un pugno al muro e rimase fermo ad ansimare e quasi ringhiare per la rabbia.
Fu così che lo vide Nick quando entrò.
-         Ehi, Tòbi, che è successo?- chiese, preoccupato.
-         Santiago! Quell’essere ha osato riemergere dalla tomba!- esclamò.
-         Ahi. - mormorò Nick. Conosceva il difficile rapporto che l’amico aveva con il padre.- Però stai tranquillo, Tobìa. A Steve, Anthony e Seb ci bado io. Non li toccherà.-
Forse fu perché l’amico aveva storpiato il suo nome come quando lo prendeva in giro in mezzo a un discorso così serio; fatto sta che Tòbia cominciò a ridere e Nick si unì a lui. Non cercarono di sopprimere quelle risate perché di tempo per l’allegria ormai ne avevano ben poco. E la calma prima della tempesta bisogna godersela fino in fondo.
 
Juliette era rannicchiata in un angolo del divano con la testa appoggiata sulle ginocchia. Tremava di rabbia e paura. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare.
Dopo alcuni minuti nella stanza entrarono Lotus e Maia e la ragazza si raddrizzò immediatamente per non mostrare la minima debolezza e non farli preoccupare.
-         Ciao. -
-         Ciao Juli. - esclamò Maia. - Lotus mi ha detto che vai via. Perché?- chiese. Juliette sorrise mestamente sotto i baffi: la bambina non aveva capito che cos’erano gli Hunger Games. Lei poteva ancora permettersi questo lusso.
-         Diciamo che vado a fare un viaggio un po’…impegnativo.-
-         Davvero? E dove?-
-         Uhm…diciamo che è una sorpresa.-
-         Oh. Ma tra quanto torni?-
Juliette incrociò per un momento gli occhi terribilmente addolorati del gemello e capì che doveva stare attenta a quello che avrebbe detto.
-         Diciamo che non è sicuro. Stai certa, però, che farò di tutto per tornare.- esclamò allora facendole l’occhiolino.
-         Allora va bene.- acconsentì la bimba.
Juliette le diede un buffetto sulla guancia e le fece la linguaccia. Maia rispose allo stesso modo e si nascose ridendo dietro le gambe di Lotus.
Lui le mise una mano sul capo e fissò Juliette con sguardo indagatore. Lei intuì che stava cercando di capire cosa provava, l’ultima cosa che voleva.
-         Tu non mi saluti?-
-         Certo.- replicò lui.
La abbracciò delicatamente e quando la sua bocca fu vicina all’orecchio della gemella, sussurrò: - So cosa stai facendo. Evita le cretinate e vedi di tornare.-
-         Calmo Lot, cosa credi che stia cercando di fare? Tu piuttosto fa il bravo.-
Lui la strinse più forte, poi si voltò verso Maia e le disse: - Che ne dici di darle il nostro regalo?-
Lei annuì e disse: - Dami è corso a casa e ha preso questo.- le porse un ciuffo di crini candidi.
-         Aynek?- chiese Juliette prendendoli.
-         Sì. - rispose la bambina.
-         Be’, spero che la tratterete bene eh!-
-         Certo.- replicò Lotus in tono grave.
Juliette alzò il pollice in segno d’approvazione, poi la bimba si allungò per darle un bacio e lei si chinò per facilitarla; infine uscirono e la ragazza fu libera di lasciarsi cadere sul divano e stringere un cuscino così forte da poter sentire ogni piuma al suo interno.
 
Jack sbuffò per l’irritazione. I Pacificatori lo avevano mollato in quella stupida stanza con evidenti ghigni di soddisfazione. Odiava la sensazione di dargli divertimento, lui che da anni lottava per un obiettivo che andava contro di loro, lui che li avrebbe picchiati a sangue tutti quanti, senza nessuna eccezione!
Sputò a terra e aprì la finestra che dava sul Distretto. Guardò in basso: non era poi così alto, con un buono slancio avrebbe potuto atterrare senza troppi danni.
Allungò una mano e la ritirò di scatto. Aveva preso la scossa. Prese uno dei cuscini presenti nella stanza e lo lanciò. Non era rimasto in aria neanche per tre secondi che si distrusse e le piume volarono ovunque lasciando il ragazzo a bocca aperta.
-         Si chiama campo di forza Oxen!- esclamò una voce cantilenante da sotto la finestra. Il ragazzo si sporse e vide Julia e Alexandros, i due Pacificatori che odiava di più. Alexandros teneva una mucca.
-         Cosa volete voi due?!- urlò con rabbia.
-         Be’, sappiamo che sei solo come un cane e nessuno verrebbe a trovarti, perciò ti abbiamo portato questa qui. Così può salutarti prima di partire per un bel viaggetto.- spiegò Julia mentre Alexandros rideva.
Jack rispose con un gestaccio e si ritirò nella stanza. Quei due credevano di averlo umiliato? Al contrario, lo avevano aiutato.
Ora aveva due fortissimi motivi per tornare: tirare fuori Megan da quell’istituto e salvare ogni povero animale in pericolo.
Sarebbe tornato e avrebbe terminato la sua missione. Era certo ormai.
 
 
Yumi diede un bacio alla madre, poi i genitori uscirono. La ragazza si passò una mano sugli occhi rossi per il pianto. Respirò a fondo per cercare di eliminare il rossore e il tremito della voce. Aveva già visto la disperazione negli occhi dei suoi genitori, non voleva ripetere la scena.
Era appena riuscita a riottenere un tono di voce normale quando Heenè entrò.
Lei non era riuscita a trattenersi e sulle guance le scorrevano copiose lacrime.
-         Su Heenè, non piangere.- mormorò.
-         Mi dovevo offrire per te! Sei la mia sorellina!- esclamò l’altra.- Non m’importa se non abbiamo gli stessi genitori, tu sei mia sorella minore ed io non ti ho protetto!-
-         Non avresti potuto: il volontario è solo uno. Inoltre devi badare ai nostri fratelli.- replicò Yumi.
-         Anche tu sei mia sorella!-
-         Sì ma…- non riuscì a trovare niente per ribattere; poi un pensiero la colpì e, suo malgrado, cominciò a  ridacchiare: - Pensala così,- aggiunse.- almeno non dovrai più sentirmi cantare.-
Heenè la guardò dubbiosa, poi la abbracciò e le sussurrò nell’orecchio: - Sei davvero stonata Yumi. -
La sorella si staccò e le fece la linguaccia. Infine, Heenè uscì senza smettere di piangere.
Il suo posto fu preso da Laveny. La vista del suo braccio inerme fece stringere il cuore a Yumi che ebbe l’impulso di abbracciarla, anche se, a onor del vero, non era Laveny ad avere bisogno di consolazione.
-         Perché l’hai fatto Yumi? Non è giusto!- esclamò l’amica.
-         Quello che non è giusto è che ti abbiano estratta. Tu sei la mia migliore amica, non potevo lasciarti morire.- replicò Yumi.
-         Ti sarò debitrice per sempre!-
-         No. Io ti voglio bene, non mi devi niente.-
-         Ragazzina, esci. Il tuo tempo è scaduto.- sbraitò un Pacificatore entrando.
Laveny le diede un bacio sulla guancia e uscì.
Yumi si lasciò cadere sul divano, esausta, ma sorrise alla vista del maestro Zhan che entrava.
Era l’insegnante privato suo e dei suoi fratelli, lo ammirava moltissimo e vederlo in quel momento le era di enorme conforto.
-         Yumi. - esordì l’uomo. - Come stai?-
-         Sono…sorpresa. Da me stessa intendo.-
-         Immagino. Ti dirò…non ho potuto fare a meno di ammirarti.- disse il maestro.- Ma al contempo, beh, non mi hai certo reso felice.-
-         Lo immagino.-
-         Comunque, che posso dire? Non arrenderti e sfrutta le tue conoscenze. Tu non sei indifesa, Yumi-chan.- disse Zhan utilizzando un appellativo del paese d’origine della ragazza.
-         Grazie, Zhan-san.- replicò lei con un sorrisetto.
Forse aveva ragione. Forse non era morta in partenza, dopo tutto.
 
Jake guardava il Distretto 11, i suoi campi, le sue strade, perfino i Pacificatori gli sarebbero mancati.
Appoggiò la fronte al vetro e sospirò. Il rumore della porta che si apriva lo fece voltare di scatto.
Blacky White entrò spingendo le ruote della sedia a rotelle.
-         Ehi. - esordì l’uomo.
-         Papà! Ti hanno fatto usare l’ascensore per salire?- esclamò il figlio.
-         Avanti, pensi che questa vecchia carcassa non sappia salire qualche scala da solo?- replicò l’uomo. Però sembrava stanco.
-         Senti…- cominciò il ragazzo, ma s’interruppe subito. Avrebbe voluto dirgli mille cose: mi dispiace di essermi avventurato da solo nei boschi. Mi dispiace di essermi fatto sorprendere da quei lupi. Mi dispiace di aver causato la tua paralisi.
Questo avrebbe voluto dire, ma rimase in silenzio. Blacky, però, sembrò capire lo stesso e gli fece segno di chinarsi.
-         Io sono sempre stato fiero di te, Jake. - disse quando il ragazzo si fu inginocchiato per essere alla sua stessa altezza.- Lo so che t’incolpi per la mia sedia a rotelle, ma non devi farlo. Io sono tuo padre e avevo il dovere di proteggerti. Io ti voglio bene, Jake. -
Il ragazzo rimase interdetto: suo padre non gli aveva mai parlato di affetto così spontaneamente. Blacky sorrise leggermente e si allungò per abbracciare il figlio. Infine, con gli occhi lucidi, uscì con il consueto cigolio delle ruote ad accompagnarlo.
Subito dopo una ragazza si precipitò nella stanza e lo abbracciò di slancio. Dal leggero profumo di lavanda, Jake capì che si trattava di Vanessa e la strinse forte.
-         Ciao. - mormorò poi vedendo Tiresias fermo sulla porta, con la sua consueta espressione impenetrabile.
-         Ciao Jake. - replicò lui.
-         Oh, Jake! Come ti senti?- esclamò Vanessa staccandosi.
-         Vorrei che fosse un incubo.-
-         Anch’io, non sai quanto! Tiresias dice che non riesce a capire la tua sorte.-
Si voltarono verso il silenzioso ragazzo che annunciò: - Le nebbie del tempo non si diradano secondo i desideri dello spirito.-
-         Hai ragione, hai ragione.- concordò Jake capendo ciò che l’amico intendeva.
-         Puoi spiegare anche a me?- chiese Vanessa.
-         Dice che non può vedere a comando.-
-         Oh, capisco.- annuì la ragazza, poi rivolse di nuovo la sua attenzione al neo-tributo: - E Jake, ti prometto che faremo tutto il possibile per aiutarti. Faremo anche una colletta se servirà.-
Il ragazzo arrossì e replicò: - Non dovete farlo, Vanessa. Noi non siamo così ricchi.-
-         Ma ci riusciremo. Ti fidi?-
-         Certo.-
Vanessa lo abbracciò e l’odore di lavanda lo investì nuovamente. Jake pregò di non doversene privare mai.
 
Freya lanciò una lampada all’apparenza molto costosa contro una parete, mandandola in pezzi come già aveva fatto con un piatto pieno di caramelle, vari cuscini e una ciotola che stava sul tavolo. Le poltrone e il divano erano stati minimamente risparmiati: si era limitata a rovesciarli.
Finalmente si fermò e rimase ferma, ansimante, con le gambe leggermente divaricate e le mani ad artiglio con la schiena rivolta alla porta.
Per questo non poté vedere che si apriva, né poté sentirla perché la ragazza che era arrivata sapeva essere molto silenziosa.
Un colpetto di tosse la fece voltare di scatto e si ritrovò davanti Azure.
Lei, quella che in un mondo parallelo, se non fosse rimasta orfana, forse avrebbe potuto essere sua amica e che ora non le provocava alcun sentimento, a parte una lieve rabbia.
Non la odiava, ma di certo non la amava.
-         Ciao…- mormorò Azure.
-         Che ci fai qui?- replicò Freya.
-         Ti sono venuta a trovare.-
-         E per quale motivo? Tu ed io non abbiamo niente da dirci.-
-         Sì invece.-
Freya la guardò con astio, ma non disse niente e aspettò che l’altra parlasse.
-         Io ti conosco, Freya, ho capito cosa vuoi fare. Ti prego non lo fare.-
-         Scusa?-
-         Non puoi vincere questa battaglia, tantomeno da sola! Se non ci sono riusciti tutti i dis…- s’interruppe guardandosi intorno, poi riprese con tono più sommesso: - Cioè, è troppo. Tu sei giovane, devi pensare a uscire da quell’Arena prima di tutto!-
-         Cosa ne sai tu?- sibilò Freya.- Cosa ne sai?- ripeté.
-         Io ci tengo a te. -
-         Per quale motivo ti dovrei credere?-
Azure aprì la bocca ma non disse niente.
-         C’è altro?- chiese Freya.
-         No. - sospirò Azure.
-         E allora vattene!-
La ragazza annuì e si diresse verso la porta. Sull’uscio però si fermò e si rivolse a lei un’altra volta.
-         Pensaci bene.-
-         So quello che devo fare.- replicò Freya.
E Azure uscì.
 
Steve ascoltava con calma gli ultimi consigli di suo padre. Erano molto utili e anche scrupolosi: non poteva perdere, non dopo tutto quello che era successo e tutto il suo impegno.
-         Capito?- chiese l’uomo.
-         Certo.-
-         Bene. Allora direi che sei pronto. E ricorda che devi vincere ad ogni costo.-
-         Sì padre, non lo scorderò mai.-
-         Perfetto.- annuì l’uomo, poi gli diede una pacca sulle spalle.- Ah, tieniti stretto questo.- aggiunse porgendogli un coltello.
Steve lo soppesò per un momento, poi ghignò e disse: - Ottimo.-
Annuirono entrambi, poi l’uomo gli diede una pacca sulle spalle, lo salutò e uscì.
“Manca poco. Mamma, Jennifer, lo faccio per voi.” pensò il ragazzo guardando il Distretto 12 dalla finestra. Gli sembrò incredibilmente bello e deprimente.
Come si aspettava la zia Susan arrivò poco dopo.
Lo abbracciò subito, piangendo disperatamente.
-         Oh Steve, perché? Perché?- singhiozzò.
-         Per la mamma.- replicò lui.
Lei si staccò e gli prese il viso tra le mani: - Tua madre ti amava, piccolo mio. Non voleva certo che tu facessi tutto questo per lei. Comunque, se trovi che sia giusto, fallo. Torna a casa, bambino mio. Me lo prometti?-
-         Te lo prometto.- rispose il ragazzo abbracciandola di nuovo.
Si strinsero ancora per dei minuti che gli parvero pochi istanti, poi l’orologio ricordò loro che mancavano pochi minuti alla separazione.
La zia Susan si frugò nelle tasche e ne estrasse qualcosa di marrone.
-         Senti, Steve, questo era di Lucy. Tua madre. Vorrei che lo avessi come portafortuna. Qualcosa di lei, sai. - disse la donna porgendogli una cordicella da cui pendeva un ciondolo a forma di gufo.
-         Era della mamma?- chiese il ragazzo con un filo di voce.
-         Esatto. Era con lei nell’Arena.- assicurò la donna.
-         Oh…grazie.-
Susan lo abbracciò ancora una volta, poi, mentre i Pacificatori stavano già aprendo la porta, sorrise lievemente e mormorò: - Che la forza di Lucy Evedaughter sia con te, bambino mio.-
 
Angolo di Luna
Perfetto, i ragazzi sono pronti a partire alla volta di Capitol City, si può sentire la tensione nell’aria.
Io cercherò di aggiornare il più presto possibile ma ciò dipende anche da voi: ho bisogno dei mentori mancanti gente! Fatelo per loro!
Baci, baci
Luna (Loony)

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Capitolo 16
*** I vincitori...o ciò che ne resta ***


 Il delitto coronato da successo prende il nome di virtù.
(Lucio Anneo Seneca)

 
Per questo capitolo devo rendere omaggio a Greta che ha ascoltato i miei sfoghi e Ari che mi ha perseguit…sostenuto, sostenuto.

 
 
 
 
Ogni anno Capitol attendeva con impazienza di scoprire quali dei vincitori avrebbero accompagnato i tributi, chi avrebbero rivisto tra loro.
Caesar Flickerman in una tenuta verde muschio e la solita capigliatura impeccabile salì sul palco con il solito sorriso smagliante.
-         Come va, gente di Capitol?- esclamò con il suo sorriso smagliante ricevendo degli urli eccitati in risposta, quindi continuò: - Come ben sapete, è ora di vedere chi dei nostri amati vincitori tornerà a trovarci quest’anno!- altri urli. - E allora vediamo!-
Si rivolse verso il megaschermo alle sue spalle dove apparve il logo del Distretto 1.
-         Per accompagnare Elle Evans…Marsh Mellow dei venticinquesimi Hunger Games!-
Sullo schermo apparve l’immagine di un ventisettenne biondo con occhi magnetici.
 
Marsh soppesò la spada nella mano destra, ignorando volutamente il masso alle sue spalle che pochi secondi prima si era leggermente spostato.
O era un ibrido, o era l’altra tributa rimanente. Siccome però un ibrido avrebbe annunciato pubblicamente la sua venuta o quantomeno non avrebbe scelto un nascondiglio così stupido, doveva essere lei.
Il ragazzo si sedette a terra aspettando che l’altra si muovesse e intanto valutava le sue condizioni.
La gamba destra era indolenzita ma non importava; il vero problema era la testa che continuava a dolergli da quando il ragazzo del 4 l’aveva sbattuto contro quel masso appuntito.
Ovviamente non era rimasto impunito e qualche minuto dopo l’hovercraft aveva dovuto recuperare il suo corpo e ciò che rimaneva della sua testa.
Marsh si stava stufando di aspettare ma non aveva intenzione di facilitarle il compito: probabilmente aspettava che lui venisse dalla sua parte per attivare una qualche trappola. Oppure aveva paura e cercava di tergiversare. In entrambi i casi non aveva la minima intenzione di fare il suo gioco.
Mosse leggermente la testa per cercare di scacciare quel continuo pulsare che sentiva, come se qualcosa stesse cercando di uscire dal suo cranio.
-         S-Stai fermo.- disse una voce alle sue spalle.- H-Ho una freccia e non ho paura di usarla.-
-         Ah davvero?- replicò Marsh senza guardarla.
-         O-Ora io la scoccherò e t-tu morirai.- annunciò la ragazza.
-         Va bene.-
-         Cosa?-
-         Fallo.-
Lei si avvicinò con passo incerto e Marsh vide finalmente la sua ombra sopra di lui. Solo allora con un movimento fulmineo si decise a voltarsi e ad affondare la spada nella sua pancia.
La freccia cadde a terra emettendo un rumore sordo.
 
-         Per il signor Jesse Klanders, Cherise Brûlée dei ventisettesimi Hunger Games!-
Questa volta toccò a una ragazza con capelli rosa confetto legati in due code e un corpo formoso.
 
 
Cherry guardava il fuoco che divorava Laoc Enim, il tributo diciassettenne del Distretto 12, l’ultimo morto di quell’edizione.
Anche Terence era morto, ma lui aveva cercato di ucciderla, lui lo meritava. Non avrebbe dovuto tradirla e neanche sottovalutarla.
Chissà se a Capitol avrebbero potuto riaggiustarle il braccio... forse però era meglio di no. Sì, l’avrebbe tenuto così.
Marsh sarebbe stato contento di rivederla? Lei non vedeva l’ora: le mancava da morire.
Si sedette a terra, ignorando gli insetti che continuavano a zampettarle intorno con le loro piccole tenaglie disgustose.
Il ragazzo aveva finalmente smesso di urlare, per il sollievo delle orecchie di Cherry che davvero non ne poteva più. Il silenzio fu però nuovamente squarciato da un colpo di cannone che la dichiarò vincitrice.
Cherry sorrise appena e improvvisamente sentì qualcosa di bagnato sulle guance. Aveva pianto per tutto il tempo.
 
I capitolini applaudirono contenti e Caesar si unì a loro più pacatamente. Poi apparve il logo del Distretto 2 e il presentatore continuò.
- Per Ian Stoner, Klaus Arvil dei ventesimi Hunger Games!-
Comparve un trentacinquenne serio con corti capelli castani e un’aria triste.
 
Klaus si stava recando al luogo in cui gli Strateghi volevano che andasse. Avevano provocato un violentissimo terremoto che aveva causato una quantità di valanghe.
In quel momento, il ragazzo stava ancora scappando a gambe levate da una di quelle, cercando di non scivolare sul terreno ghiacciato dell’Arena.
Fino a quel momento, aveva evitato gli scontri preferendo che gli altri tributi si uccidessero tra loro, ma adesso era ora di confrontarsi con l’ultimo rimasto e comportarsi da vero Favorito.
E poi lo vide. Cercava anche lui di scappare e non cadere al tempo stesso. Klaus si lasciò scivolare a terra e si bloccò dietro un masso ghiacciato. Le valanghe cessarono all’improvviso: gli Strateghi avevano raggiunto il loro obiettivo.
Klaus lo osservò guardarsi indietro e festeggiare. Incredibile: non aveva capito.
Inspirò profondamente e mormorò: - Mi devi un favore, Nicolai.-
Si sdraiò con la pancia a terra e strisciò lentamente verso di lui, cercando di non farsi né vedere, né sentire.
Il tizio era uno che, alleatosi con il concorrente più forte, l’aveva tradito a quanto Klaus aveva capito. Un rammollito dunque.
Klaus riuscì ad arrivare alle spalle del ragazzino che si stava sedendo, probabilmente per riposarsi. Prese il pugnale che teneva in tasca dall’inizio dei Giochi e lo strinse nel pugno, a quel punto si alzò e gli saltò addosso.
-         Ehilà ragazzino!- esclamò facendolo voltare dalla sua parte.
-         Lasciami!- urlò lui. Klaus lo ignorò e prese un coltello dalla giacca.
Chiuse gli occhi e gli conficcò il pugnale nel petto, all’altezza del cuore.
 
-         E adesso, per accompagnare Alexa Prior, Edween Cheif, dei trentaseiesimi Hunger Games!-
Si presentò una diciassettenne anch’essa con capelli rosa pallido, diversi piercing e degli occhi blu scuro che incantavano.
 
Edween aveva una visuale perfetta e la cosa le piaceva. L’arena-montagna all’inizio le era sembrata una cosa assurda e difficile, ma con il passare dei giorni aveva cominciato ad apprezzarne i nascondigli e le opportunità.
Appesa a uno spuntone roccioso, osservava la ragazza che si guardava intorno in cerca di qualcosa o qualcuno e intanto lei impugnava la lancia pronta a colpirla. Non era la sua arma preferita, ma le era rimasta solo quella e si era dovuta arrangiare.
Strinse l’arma con forza e mirò all’altra che si stava ancora guardando intorno.
Prima che Edween riuscisse però a lanciare, sentirono un lungo ringhio che partiva da un punto alla loro destra ed entrambe capirono con orrore dove si trovavano: erano nel girone degli ibridi.
Edween scese velocemente a terra e si mise a correre dietro la ragazza, sempre con l’arma ben stretta in mano.
La ragazza non diede segno di accorgersi della sua presenza e Edween non se ne curò. Dietro di sé sentiva il verso terrificante di una creatura che non teneva a identificare.
Sentiva le forze che la abbandonavano e capì che anche l’altra aveva dei problemi: arrancò per un po’ fino a cadere di testa in terra.
Edween raggiunse il punto in cui era caduta e si fermò a guardarla presumendo che gli strateghi a quel punto avrebbero fermato la creatura, ma il rumore di passi non scomparve e quindi la ragazza agì di conseguenza; prese la lancia e trafisse la ragazza nella schiena per poi ricominciare a correre senza preoccuparsi del cadavere.
Il cannone sparò e solo allora Edween osò fermarsi e girarsi. Si trovò davanti un ibrido grottesco; un incrocio fra un orso, un cinghiale, un lupo e un rinoceronte.
L’essere la fissò per un istante, poi si voltò e se ne andò lasciandola sola con la sua vittoria.
 
Ci fu un altro applauso scrosciante, questa volta più vivace poiché, come tutti sapevano, il 2 era il Distretto preferito di Capitol.
Caesar con un sorriso smagliante attese che sullo schermo apparisse lo stemma del Distretto 3 prima di continuare.
-         Oh, bene! Ora per accompagnare Tanisha Luz, Emma Wild dei ventitreesimi Hunger Games!-
Una donna di circa ventinove anni, con corti capelli castani e grandi occhi marrone cioccolata. Sembrava triste.
 
Emma era pronta. Ormai rimanevano solamente lei e Xena, la ragazza del Distretto 8. Perché diavolo era andata a cacciarsi nel campo minato quella pazza?
Sospirò e strinse la sciabola che lei e Derek avevano trovato quando si erano avventurati fino alla Cornucopia.
Al pensiero del ragazzo le si strinse il cuore ma scosse la testa: ora poteva solo concentrarsi sulla ragazza. Lui, Kate, Michael, suo zio e tutti gli altri furono esiliati in un angolo recondito della sua mente mentre si avvicinava a Xena, intenta a controllare il terreno con dei sassi.
“Ok, usiamo il cervello”, pensò.
Se Xena era lì dentro, voleva dire che conosceva bene il posto, quindi far esplodere le mine non era una buona strategia, a meno che…
-         Ehi! Distretto 8!- urlò facendosi vedere.- Vieni qua se hai coraggio!-
Xena si girò verso di lei con espressione rabbiosa e cominciò a correrle incontro. Emma notò che correva a zig-zag: aveva capito la disposizione delle mine. Perfetto.
La ragazza stava arrivando ed Emma doveva pensare velocemente. Senza sapere cosa stava facendo, lanciò il coltello contro il terreno per far esplodere le mine.
Solo vedendo l’espressione sconcertata di Xena capii che l’altra non si era aspettata che facesse esplodere le bombe: l’esplosione avrebbe colpito anche Emma stessa.
Maledicendosi, si parò il viso con le mani mentre veniva sbalzata lontano. Il dolore la invase ma l’urlo di Xena fece emergere un pensiero nella mente confusa di Emma: “Vittoria”.
 
-         E per portare da noi Shade Davey…Damian Délone dei ventiquattresimi Hunger Games!-
Un uomo di trentun anni, alto due metri e con due occhi azzurro ghiaccio si mostrò alla popolazione scalpitante.
 
Axel era guardingo: in quella maledetta arena le insidie erano ovunque; chissà se gli Inca costruivano davvero tutti quei tranelli oppure l’inventiva malsana degli strateghi si era scatenata.
Il suo pensiero corse a Damian, il suo gemello che lo aspettava a casa e che forse avrebbe rivisto; sapeva che oltre a lui mancava solo la ragazza del 2, Victoria.
Se fosse tornato a casa però avrebbe dovuto continuare a farsi chiamare Damian, ma dopotutto aveva già, deciso la sua strada quando aveva finto di essere suo fratello per salvarlo. Non se ne pentiva.
Sentì dei passi rapidi che si avvicinavano e corse verso la Cornucopia, dove pregava di trovare qualche arma poiché il suo ultimo coltello era andato a farsi benedire qualche tempo prima.
Arrivò sotto il grande palazzo dove usava nascondere le sue provviste e dove la Cornucopia si trovava per scoprire con suo sommo orrore che le armi erano state tutte prese in precedenza. Spinto dall’avvicinarsi di Victoria, si gettò dentro la Cornucopia pregando di essere protetto dal buio, e fu allora che i suoi occhi furono attratti da un lieve scintillio.
E quando Victoria urlò: - Esci da lì codardo!-, lui eseguì senza problemi.
- Ah! Ti sei deciso!- ghignò la Favorita.- Sono lieta che accetti la tua morte. Detesto i vigliacchi, sono così noiosi.-
- Mai quanto te. - replicò Axel e in un lampo alzò l’ascia che aveva trovato nella Cornucopia, decapitando l’ultima Favorita.
Mentre il suo corpo cadeva, il ragazzo fu pervaso da una strana sensazione che lo portò a urlare al cielo tutto il suo sollievo, il suo orrore.
Quando ebbe finito, sussurrò come se suo fratello potesse sentirlo: - Fai le valigie Dam, ci trasferiamo.-
 
- Ora, - continuò Caesar mentre il logo del Distretto 4 si mostrava.- passiamo al mare e alle spiagge cristalline. Per accompagnare Theresa Boris avremo con noi Sasha Delphin dei trentatreesimi Hunger Games!-
Questa volta apparve un ventottenne con capelli scuri lisci e un po’ lunghi, e due ammiccanti occhi verdi.
I capitolini impazzirono davanti a uno dei loro vincitori preferiti.
 
Sasha fronteggiava l’ultimo altro tributo rimasto, il ragazzo del Distretto 1 di cui non aveva mai imparato il nome.
In effetti, non gli importava: tutto ciò che gli interessava era che fosse stato lui a uccidere Tara, la sua alleata dodicenne.
Lei avrebbe meritato di vivere così come Sarya. Per lei e per Tara l’avrebbe fatto fuori.
-         Allora, Delphin, sicuro di avere le palle per uccidermi?- chiese il tributo.
-         Lo scopriremo ora direi.- replicò Sasha con la voce piena d’odio.
L’altro rise sprezzante, probabilmente ricordando che Sasha non aveva ancora ucciso nessuno. “Perfetto, pensò il tributo del 4, sarà più facile”
L’altro estrasse una balestra dalla sacca che teneva sulla schiena e mirò dritto al cuore di Sasha. Lui si scostò all’ultimo momento
-         Tutto qui?- sibilò il ragazzo. Il tributo dell’1 ringhiò e gli si lanciò addosso.
E fu allora che Sasha estrasse la spada. E fu allora che trafisse la sua prima, unica e ultima vittima. E fu così che Sasha Delphin divenne il vincitore dei trentatreesimi Hunger Games.
 
-         Ad accompagnare Leonid Sapphiri sarà invece la signorina Pearl Harbour dai trentaquattresimi Hunger Games!-
La donna che il megaschermo mostrò aveva lunghi capelli color acquamarina che alla sua edizione avevano fatto scalpore per il loro essere non tinti, e occhi verde pino. Sembrava tranquilla ma tutti sapevano che non era così.
 
Pearl respirava velocemente, consapevole che il tempo era del tutto a suo sfavore. Come le era venuto in mente di mangiare quei frutti di mare incustoditi? Poteva anche avere fame, ma non avrebbe mai dovuto essere così stupida; ora il veleno scorreva liberamente nel suo corpo e doveva pure combattere contro quell’indemoniato del Distretto 10!
-         Scappa verme! Scappa!- sghignazzava lui guardando la poverina che si trascinava stentatamente a terra.
-         Vattene.- riuscì a rantolare lei.
-         Sì, contaci!-
Aveva deciso di prendersela comoda. Sapeva benissimo che Pearl era stata avvelenata e aspettava che morisse senza che lui dovesse fare alcunché.
La seguiva da quando l’aveva vista cadere a terra, a volte fermandosi a rimirare i pesci pericolosissimi che nuotavano fuori dall’arena sottomarina, ben sapendo che avrebbe potuto raggiungerla comodamente.
-         Toglimi una curiosità: come hai fatto ad essere così idiota? Credevi davvero che gli strateghi avessero lasciato un bel piattino di ostriche per farci un favore?- chiese il tributo rincarando la dose.
-         Ma stai un po’ zitto.- replicò Pearl con odio. Lei stava morendo e quello la guardava tranquillamente aspettando la vittoria. Se avesse potuto, l’avrebbe gettato all’inferno con le sue stesse mani.
Si trascinò ancora per un po’, poi le sue mani incontrarono un vuoto e precipitò giù per una scala.
Il ragazzo fu colto alla sprovvista e si mosse velocemente, mettendo il piede nel punto sbagliato e azionando così una serie di geyser incandescenti, uno dei quali lo centrò in pieno uccidendolo sul colpo.
Pearl emise un lieve verso di sollievo e poi si rannicchiò pregando che l’hovercraft arrivasse presto, di non essere lasciata lì a morire.
 
-         Non è finita qui, signori! Passiamo senza indugi al Distretto 5!-
La gente di Capitol era sempre più eccitata e curiosa. Fino a quel momento, i vincitori erano stati giovani e belli, alcuni fra i loro preferiti.
Il simbolo del Distretto 5 apparve e i capitolini urlarono di gioia.
-         Benissimo! Accanto al signor Skeet Larmor troveremo…Solar Ruth dei trentaduesimi Hunger Games!-
Una diciannovenne con buffi capelli ricci castani, pelle candida e labbra rosa. Strizzava l’occhio dallo schermo.
 
Solar analizzò la situazione. Erano rimaste solo lei e Ibikaira, e questo era un problema. Cioè, non avrebbe avuto troppi problemi a ucciderla, ma dopo? Era cosciente del fatto che avrebbe per sempre provato rimorso.
D’altra parte non poteva certo rinunciare all’opportunità di tornare a casa. Insomma, aveva tredici anni ed era riuscita ad arrivare in finale assieme alla sua alleata, una dodicenne. I trentaduesimi Hunger Games non erano stati per niente convenzionali.
Lei e Ibikaira osservarono l’hovercraft che portava via il corpo di Heyrick, un diciottenne dell’1 idiota che loro due avevano ucciso nel sonno, consapevoli di ciò che stava per accadere.
Si voltarono l’una verso l’altra e si scrutarono per qualche lungo istante.
-         Be’, ci siamo.- mormorò Ibikaira. Solar annuii e…scattò.
Prima che l’alleata potesse capire cosa stava per fare, salì velocemente sulla collinetta rocciosa sopra di loro e fece scattare la frana che avevano progettato per intrappolare il Favorito se il piano originale non fosse andato in porto.
Ibikaira urlò ma non fece in tempo a scostarsi prima che i massi le rotolassero addosso e le intrappolassero le gambe in una prigione da cui non poteva uscire.
-         No, no, no!- mormorò con le lacrime che le colavano sulle guance.
-         Mi dispiace.- replicò Solar arrivando davanti a lei, con voce fredda.
E con la stessa freddezza alzò il coltello che era caduto al cadavere di Heyrick e la trafisse. E rise, rise nel farlo, rise sentendo le sue urla, rise quando l’hovercraft la portò su, rise quando fu proclamata vincitrice e continuò a ridere, sempre di più, senza fermarsi.
 
-         E chi potrebbe guidare Raen Hikari se non il nostro Tim Marks dei ventunesimi Hunger Games?- esclamò Caesar tendendo la mano verso l’immagine di un uomo di circa trentadue anni, con i capelli castani e un ciuffo biondo. Era in una posizione composta ma sembrava seccato.
 
Tim era davvero seccato. Quando sarebbe potuto tornare a casa? Non che ci tenesse eccessivamente a rivedere i suoi che sicuramente avrebbero fatto tante storie perché “Ora sei un vincitore anche tu! Proprio come noi!” eccetera, eccetera.
Come se gli potesse importare qualcosa di quegli stupidi Giochi; li odiava da bambino e li odiava ancora di più ora che ne faceva parte. Per di più, le tute che gli avevano dato erano orribili.
Sembravano tutti dei profiterole rossi tanto quelle cose erano gonfie, e solo perché da un momento all’altro avrebbero potuto cadere da quelle stupide piattaforme volanti! Non bastava un paracadute ciascuno? Se uno era così cretino da aprirlo prima del tempo tanto peggio per lui.
Sospirò e cercò di appiattire un po’ la tuta di modo da assomigliare meno a una palla, ma non ebbe il tempo di pensare ad altro quando la ragazza del 9 piombò dall’alto tentando di coglierlo di sorpresa, inutilmente.
Il ragazzo si spostò velocemente e afferrò l’uncino che aveva preso alla Cornucopia qualche ora prima, tanto per essere sicuro.
La ragazza si mosse di nuovo verso di lui caricando come un toro ma Tim si scostò di nuovo inarcando le sopracciglia. Quanta inciviltà c’era in lei!
-         Un po’ più di eleganza non guasterebbe sai?- esclamò quando lei tornò alla carica.
In risposta la tributa sputò per terra e caricò nuovamente solo che a quel punto Tim era davvero stufo di quello spettacolino.
Dunque non si spostò, anzi la attese con una smorfia infastidita brandendo l’uncino.
Quando la ragazza fu abbastanza vicina, lo tese infilzandolo nella testa di lei che urlò di dolore e cadde a terra.
Tim la fissò per un secondo poi, schifato dal sangue, si allontanò attendendo di potersi finalmente togliere quell’orribile tuta di dosso.
 
-         Un concorrente particolare eh?- commentò Caesar sempre sorridendo.- Ma ora siamo costretti a passare dal caro Distretto 5, al non meno amato Distretto 6.- mentre il simbolo mutava di nuovo, perfino la sua espressione imperturbabile s’incrinò a parlare di affetto da parte della capitale ma presto si ricompose.- E così giungiamo all’accompagnatore di Magda Montheit, Caleb Kental dei ventinovesimi Hunger Games.-
L’uomo doveva avere venticinque anni, carnagione olivastra e capelli che arrivavano alle spalle. Era alto e guardava dritto davanti a sé.
 
Caleb era davvero stanco, ma quello era l’ultimo masso. Ancora poco e la prima parte del suo piano sarebbe terminata. Lasciò cadere la pietra con un sospiro di sollievo e si fermò per un momento a riposarsi, prima di correre a nascondersi.
I due ragazzi dell’1 apparvero da una delle buche nel terreno di cui era disseminata l’arena e imprecarono sonoramente vedendo che anche l’ultimo fiume si era prosciugato.
Caleb si concesse una risata lieve prima di correre verso valle e verso il lago. Si aspettava che gli strateghi non ci mettessero molto ad attirarli tutti lì e non si sbagliava: ben presto dai buchi cominciò a salire lava bollente che andò a lambire i talloni della ragazza, che gridò di dolore e corse avanti, come fecero Caleb e l’altro.
Ben presto si ritrovarono al lago, dove, mentre Caleb si nascose dietro una montagnetta di terra, i due Favoriti si buttarono quasi subito per lenire il dolore delle bruciature provocate dalla lava. Tutto secondo i suoi piani.
Per la prima volta dopo tanto, tanto tempo si ritrovò a pregare che tutto funzionasse. Passarono attimi di puro terrore per lui mentre guardava i Favoriti sguazzare tranquillamente nel lago, e anche l’ultimo rimasto del 3 buttarsi con cautela in acqua, senza che succedesse nulla.
E finalmente la sua trappola scattò. Tre tributi morirono fulminati sotto i suoi occhi, cercando disperatamente di uscire da quell’acqua infernale.
Caleb smise di respirare velocemente e riuscì a calmarsi un po’, almeno finché il rumore dei passi affrettati non lo raggiunse e un tributo apparve a pochi metri da lui, fissò il lago e si allontanò cautamente mentre l’artiglio dell’hovercraft scendeva a ripescare i corpi.
In circostanze diverse, forse Caleb avrebbe aspettato, avrebbe cercato di capire le intenzioni dell’altro; ma era in quelle circostanze, quindi agì.
Gli occhi del ragazzo che fissavano il pugnale che lo stava per condurre alla morte non l’avrebbe mai abbandonato. Mai.
 
-         Una grande edizione quella.- commentò Caesar.- Insieme a lui, vedremo a fianco di Jude Auburnson la signora Connie Young dei diciottesimi Hunger Games!-
Lo schermo accolse l’immagine di una donna di circa quarant’anni con lunghi capelli castani e lisci e gli zigomi alti. Gli occhi avevano qualche riga agli angoli e parevano preoccupati.
 
Connie si chiese come avesse fatto a sopravvivere fino a quel punto. Era tutto freddo e desolato, neanche un pochino di legna da ardere.
Che cosa potevano avere in mente gli strateghi quando hanno deciso di creare un’arena senza alberi?!
Per i primi giorni era andato tutto abbastanza bene, ma poi con quel brusco calo di temperatura e la mancanza di vegetazione avevano cominciato tutti a morire, uno dopo l’altro.
Anche lei stava per morire, se lo sentiva. Aveva talmente tanta paura che non riusciva a muoversi, o era solo la conseguenza del freddo che le penetrava le ossa?
Le veniva da piangere, ma lei non doveva farlo. In quell’enorme cubo, le lacrime avrebbero potuto portare qualcuno da lei.
Il cubo si mosse e Connie precipitò nel livello inferiore senza potersi opporre, paralizzata com’era, spingendola nella parte nera, la più calma.
Si tirò su tremando per il freddo e in un lampo di lucidità ricordò che ventidue tributi erano morti; gli strateghi volevano una lotta che lei non era sicura di poter offrire.
Le sue gambe tremavano ma lei non si voleva arrendere, aveva promesso a sua madre di non farlo mai. Si aggrappò al pensiero della donna per non crollare del tutto e attese.
Il suo avversario era un alto ragazzo del 9, al che Connie capì che in quell’arena l’unico vantaggio era una costituzione robusta.
-         La facciamo finita?- chiese Connie quasi implorando.
Lui la guardò diffidente, poi annuì lentamente e alzò la lancia che la ragazza gli aveva visto rubare a un cadavere prima che fosse portato su con l’hovercraft.
-         Mi dispiace, sai?- disse prima di lanciarla.
Connie vide la lancia arrivare verso di lei e l’istinto prese il sopravvento. Conosceva l’arena e le sue caratteristiche, e in virtù di questo si abbassò e rimase giù aspettando che la lancia rimbalzasse e colpisse il ragazzo.
Mentre l’hovercraft portava su il cadavere, Connie mormorò tra le lacrime: - Dispiace anche a me. -
 
-         Ci addentriamo ora nei boschi del Distretto 7, con i suoi colori e i suoi profumi.- annunciò con il logo del Distretto citato alle spalle.- E qui troviamo l’accompagnatrice di Heracles Dechantes, la nostra cara Arya Liberty direttamente dai trentesimi Hunger Games!-
Una ventenne con lunghi capelli neri e il naso dritto, la sua bocca sottile aveva una piega severa.
 
Arya guardò in alto verso quel cielo di un innaturale bianco perlaceo. Aspettò che il pennello calasse e coprisse la visuale ad Aster, il ragazzo del 2 che aveva osato uccidere la sua alleata.
La muovevano una rabbia cieca, quasi folle, e un enorme desiderio di vendetta contro di lui; se Vicky era morta, perché lui avrebbe dovuto vivere?
Si fermò al livello dei piedi del disegno, quello che il pennello aveva dipinto per tanto tempo e che, come aveva capito, doveva ritrarre il vincitore. La testa non era ancora stata disegnata, aspettavano quella finale dall’inizio.
La ragazza ghignò follemente quando vide Aster e gli si avventò contro.
-         Vattene stupida dodicenne!- urlò lui quando se la ritrovò addosso.
-         Muori!- replicò lei cercando di trafiggerlo con una delle affilate setole del pennello che aveva strappato qualche giorno prima.
-         Ti piacerebbe!- ribatté Aster buttandola a terra e stringendole il collo.
Arya con le forze che le rimanevano gli tirò una ginocchiata nelle parti basse e il ragazzo si scostò da lei, preso dal dolore.
-         Salutami l’Inferno!- gli urlò in faccia prima di infilzarla con la setola di ferro.
Il ragazzo urlò e urlò, si fermò solo quando la morte l’ebbe preso nelle sue braccia.
E la vincitrice dei trentesimi Hunger Games osservò il pennello che dipingeva il suo viso, la follia che lentamente lasciava il posto a una terribile consapevolezza.
Per quest’arena si ringrazia la gentile collaborazione di Teddy.
 
-         Non possiamo comunque dimenticare il suo compagno! Insieme a Sheridan Ardor ci raggiungerà Alec Lumbasa dei diciassettesimi Hunger Games!-
Era la volta di un ragazzo di colore di poco più di vent’anni, capelli rasta. Agitava la mano sinistra per mostrare la mancanza del mignolo con un sorriso ironico.
 
Alec tossì, infastidito dal fortissimo profumo che emanava il fiore. Dopo quasi due settimane lì dentro, pensava di esserci abituato, ma la rosa continuava a dargli fastidio.
La rosa aveva diversi livelli che sembravano tutti uguali ma, come lui sapeva, erano molto diversi.
Era forse quello il punto in cui quei terribili esseri avevano ucciso Trixie? Ricordava ancora la sua alleata mentre veniva divorata dagli afidi mentre lui lottava contro il ragazzo del 2, incapace di salvarla.
Scosse la testa e ricominciò a cercare l’ultimo altro tributo rimanente: Walt, il ragazzo del 5, un tipo alto ma scarno che non aveva idea di come fosse riuscito ad arrivare fin lì.
Sentì un rumore e si nascose sotto un petalo per osservare cosa stava per succedere. Walt si stava avvicinando con gli occhi sgranati e un’espressione allucinata; sembrava che stesse guardando qualcosa di bellissimo.
Alec lo guardò perplesso chiedendosi se fosse un trucco o altro, quando vide che si stava pericolosamente avvicinando al pericolosissimo polline del fiore.
-         Fermo!- gridò colto da un improvviso moto di pietà per quel ragazzo pazzo; questi si voltò e lo fissò impaurito, al che Alec continuò: - Se li mangi ti uccideranno!-
-         Non è vero! Tu sei cattivo come tutti gli altri e quindi non mi devo fidare di te!- replicò Walt, come un bambino cui la madre aveva raccomandato di non dare retta agli sconosciuti.
Alec provò a ribattere, ma l’altro lo ignorò e ingoiò la polverina. Non fece neanche in tempo a masticare che il veleno entrò in circolo e il ragazzo cadde a terra, un sorriso beato sul suo cadavere.
 
Il simbolo sul megaschermo diventò quello con il rocchetto di filo del Distretto 8 e Caesar parlò non appena si fu del tutto stabilizzato: - Passiamo ora ai nostri bravissimi sarti! Porterà da noi Joseph King nientemeno che Laura Black degli undicesimi Hunger Games!-
Una trentottenne seria con una lunga coda nera si mostrò a Capitol City con le labbra rosse strette in un’espressione infastidita.
 
Laura inciampò e si rialzò subito, sentendo la risata della Favorita dietro di sé.
-         Corri feccia, corri!- urlò Meredith, fiera tributa del Distretto 2.
“Brutta piccola... ” pensò mentre si aggrappava a una liana per saltare il grande spacco nel terreno. Si era sempre tenuta lontana da quel punto poiché del baratro non si vedevano né il fondo, né la fine; l’unico modo per attraversarlo erano quelle maledette liane.
-         Dannazione!- esclamò vedendo che le liane erano finite, ma non il burrone. Si aggrappò disperatamente all’ultima liana e girò verso la Favorita.
-         Paura ragazzina?- sibilò quella fermandosi alla liana più vicina.
-         Ma sta un po’ zitta.- replicò lei tentando disperatamente di non cadere.
-         E da quando le poppanti come te danno ordini?- ringhiò Meredith con una smorfia-
-         Da quando io sono più grande di te, mocciosa.- esclamò Laura; si ricordava di aver sentito che Meredith aveva sedici anni, mentre lei ne aveva diciotto.
-         Capisco vecchietta.- sogghignò l’altra.- Allora, vista la tua veneranda età, direi che è ora di una bella morte pacificatrice!- aggiunse dandosi lo slancio per arrivare addosso a Laura.
Questa urlò e tirò in alto i piedi per parare il colpo, dando un bel calcio contro le ginocchia della Favorita che tornò indietro con un gemito di dolore.
Laura ebbe appena il tempo di respirare, che la ragazza tornò alla carica con più furia di prima, questa volta preparata alle ginocchiate.
Riuscì a saltare sulla sua liana e tirò fuori una punta di lancia con cui cercò di trafiggere il cranio di Laura.
“No, no, no!” pensò lei e, afferrando la mano di Meredith, riuscì a indirizzarla verso la liana. L’affilatissima lama fece il suo dovere e la loro corda naturale si spezzò lasciandole cadere nel baratro, strette in un abbraccio mortale.
-         Pazza!- urlò Meredith terrorizzata.
-         O furba.- replicò Laura dando una testata all’altra che svenne e la lasciò andare, finendo giù nel burrone. La ragazza pregò di non morire proprio allora.
L’artiglio dell’hovercraft la afferrò un momento prima che colpisse il campo di forza, incoronandola vincitrice.
 
-         Laura non è la sola del suo Distretto a tornare a trovarci! Per guidare Moon Midknife abbiamo Ghris Carplew dei ventiduesimi Hunger Games!-
Il sopracitato era un uomo smilzo con una folta chioma nera regolare, fatta eccezione per un ciuffo biondo platino che in teoria serviva a nascondere una ferita che si era procurato nei suoi Giochi, ma che in pratica lo rendeva affascinante e misterioso per ogni capitolino lo desiderasse.
 
Ghris si strofinò l’occhio. Continuava a dolergli nonostante ormai fossero passati diversi giorni. Scosse la testa e tornò a controllare la rete, la sua ultima e unica possibilità di vittoria.
Sapeva benissimo di non poter competere fisicamente con il tributo dell’1, tale Brilliance, un diciottenne alto e ben piazzato con una strana sete di sangue.
Non aveva idea di dove si trovasse in quel momento ma, poiché gli strateghi non avevano causato alcuna calamità per attirarli in un determinato luogo, Ghris suppose che stesse venendo verso di lui e si preparò ad affrontarlo.
Tese la rete e attese di sentire i passi dell’altro. Dovette aspettare venti minuti buoni prima di intravedere la chioma biondo platino di Brilliance.
“Forza, facciamola finita” pensò Ghris. Ormai era davvero stanco, di tutto. Zaira avrebbe capito, lei che lo comprendeva sempre. Non aveva capito come, in sole tre settimane, avessero potuto stringere un’amicizia tanto forte, e come avesse potuto perderla così facilmente.
Le sue trappole gli si erano ritorte contro, ma questa volta non avrebbe fallito. Brilliance apparve sotto il suo albero e si guardò intorno circospetto per controllare se il ragazzino che stava cercando fosse nei paraggi. Per sua sfortuna, lo era eccome.
Ghris si gettò sopra di lui e lo intrappolò nella finissima rete che aveva costruito, gettandolo a terra.
-         Piccolo stronzo!- urlò il Favorito cercando di divincolarsi e ferendosi con le maglie taglienti della rete.
-         Anche a te. - replicò Ghris lottando per tenerlo fermo e intanto avvicinando il coltello di Zaira al suo collo.
-         Non oserai!-
-         Scommettiamo?- e colpì.
 
- Complimenti!- esclamò Caesar applaudendo insieme ai suoi concittadini.- Che ne dite di passare al Distretto 9?- aggiunse in concomitanza con il cambiamento di simbolo nello schermo.
Interpretò gli urli come un assenso e presentò: - Baderà a Tòbia Gonzales…Johnan Schulte!-
Capitol ebbe la vista di un uomo con capelli ondulati che non riuscivano a nascondere la mancanza dell’orecchio destro, conseguenza della finale della sua edizione.
 
Johnan urlò di dolore, premendo la mano dove un tempo c’era il suo orecchio. Si rialzò a fatica fissando in cagnesco il tributo del 4 che lo guardava divertito.
Si avventò contro di lui con violenza, ignorando il dolore come non avrebbe mai fatto se la ragione fosse stata con lui.
Perché il 3 non era un Distretto Favorito e il 4 sì? Se così fosse stato, Briseide avrebbe avuto più possibilità di vincere mentre quel bamboccio che stava davanti a lui sarebbe morto.
Ma a questo avrebbe rimediato subito: non sarebbe uscito vivo dall’arena. Aveva giurato a Briseide di uscire e l’avrebbe fatto.
In quel momento, però, non era esattamente lei a muoverlo: era la pazzia che l’aveva preso dopo la sua morte, che non sembrava volerlo abbandonare.
Prese un sasso dal terreno e cominciò a picchiarlo sul viso dell’altro che si dimenava follemente e riuscì anche a ferirgli la spalla, ma non poteva nulla contro la forza dello squilibrio.
-         Muori!- urlò infine Johnan picchiando un’ultima volta.
Le urla cessarono e il silenzio calò su quella che veniva chiamata arena, ma era conosciuta come tomba.
 
-         Quest’anno il Distretto 9 ci manda anche un’accoppiata di sorelle! La piccola Amy Clayn sarà accompagnata dalla grande Ember Clayn dei ventisettesimi Hunger Games!-
La nuova vincitrice apparsa sembrava profondamente triste. Questo stato d’animo sembrava estendersi a tutto il fisico rendendo spenti i capelli biondo oro, e opachi gli occhi verde smeraldo. Ember ispirava tenerezza e pietà.
 
Ember camminava con circospezione. Sapeva che Capitol non l’avrebbe più aiutata dopo aver rifiutato l’amore di Steve, quindi temeva di ritrovarsi davanti il suo ultimo avversario armato di tutto punto da loro.
Steve…non si pentiva di non avergli mentito sui suoi sentimenti, ma il suo suicidio le faceva male. Ci teneva davvero a lui, ma non in quel modo. Le lacrime, che ormai non riusciva più a controllare, ricominciarono a scorrere sulle sue guance e non tentò di scacciarle: sapeva che non ci sarebbe riuscita.
A volte pensava che sarebbe stato meglio morire lì, subito; non capiva come gli altri vincitori riuscissero a sopportare di vivere dopo aver combattuto in un’arena. Era troppo per una persona sola e lei non ci teneva proprio a essere osannata per aver ucciso dei poveri ragazzi quasi suoi coetanei.
Il pensiero dei suoi genitori e della sua sorellina, la piccola Amy, le balenò in testa e si ricordò perché all’inizio avesse desiderato di non morire.
La vita era così strana a volte. Quando eri rassegnato a perderla, tornava per ricordati tutto quello che amavi, spingendoti ad afferrarla con disperazione.
Ember si prese il capo tra le mani, cercando di scacciare la pazzia che tentava di aggredirla. Purtroppo, non era l’unica a volerla fare.
Dalla fitta nebbia spuntò la mano del tributo più viscido dell’edizione, Erian Rate, direttamente dal Distretto 6.
- Ciao cuore di ghiaccio.- mormorò.
Fu l’allusione a Steve che la fece finalmente scattare e la indusse a replicare: - Ciao futuro cadavere.-
Lui le sputò ai piedi e si avventò contro di lei che, mossa da una forza che non credeva di possedere, cominciò a lottare.
In seguito, Ember non avrebbe più saputo ricordare di come avesse ucciso Erian; quel momento era un grosso buco nero di cui ricordava solo un urlo e l’odore del sangue.
Mentre l’hovercraft la conduceva lontana dalla grande arena nebbiosa, i suoi pensieri vagavano dalla sua famiglia a Steve, a Erian; capì allora che ogni vincitore doveva convivere con la gioia della vita e il terrore dei fantasmi. Si chiese quali dei due avrebbero prevalso in lei.
 
-         Edizioni singolari a modo loro. E adesso passiamo al Distretto 10- il simbolo cambiò.- che ci regala una, possiamo definirla, matricola e un veterano!- applausi.- Per prima insieme a Jack Oxen giunge a noi Minda Bo, dei trentasettesimi Hunger Games!-
Il mentore più giovane dell’edizione comparve sullo schermo. Aveva quattordici anni, capelli neri corti e tratti asiatici. E Capitol impazzì.
 
Minda roteò i coltelli nelle mani masticando l’ultima ciliegia che le rimaneva, tanto ormai mancava poco alla fine.
Era notte ma lei non aveva intenzione di dormire. Mancavano solo due tributi e lei aveva intenzione di terminare tutto quella notte.
Superò varie pozze bianche di quella sostanza da cui era formata l’arena e finalmente li vide.
Erano un ragazzo e una ragazza, lui del 3, lei dell’8. A quanto Minda aveva capito, si erano innamorati durante gli allenamenti e si fossero alleati per questo. Li considerava davvero stupidi: l’amore era una debolezza nei Giochi.
Leccò la lama di un coltello con una luce folle negli occhi pregustando il momento in cui l’avrebbe usato.
Si avvicinò di soppiatto ai due, addormentati con le mani intrecciate, “Disgustosi” pensò, e mise la mano sulla bocca della ragazza per assicurarsi che non urlasse e poi la trafisse al cuore per assicurarle una morte istantanea.
Con il ragazzo, però, si voleva divertire. Prima si assicurò che dormisse ancora, poi si avvicinò alla sua parte bassa e con un gesto netto gli tagliò i genitali.
Il ragazzo si svegliò urlando per il dolore e guardò sconcertato Minda che si limitò a indicargli la compagna.
Lui, stupefatto e ancora un po’ incosciente, eseguì e distolse quasi subito lo sguardo notando il sangue che si spandeva sulla maglietta di lei.
Si volse verso Minda con la bocca spalancata e fu lì che lei lo trafisse con l’ultimo coltello, decretando la propria vittoria.
 
-         La signorina Bo si è fatta valere, non c’è dubbio!- esclamò il presentatore.- Con la sua gioventù si contrappone a una delle nostre…vecchie glorie! Insieme a Juliette Hendorius ci sarà Connor Dunay, dei terzi Hunger Games!-
Il “veterano” era un uomo di mezza età con i capelli brizzolati e la bocca piegata in una smorfia. Si diceva che non parlasse mai.
 
Connor aveva la gola secca. Buffo: era tanto tempo che non parlava, quindi non ne capiva assolutamente il motivo.
Scosse la testa e si nascose meglio dietro l’albero che aveva scelto, ghignando.
-         Tu sei cattivo.- mormorò abbastanza forte perché l’altro lo sentisse, ma abbastanza piano perché non potesse capire da dove la voce proveniva.
-         No! Chi sei?!- esclamò il ragazzo.
-         Tu sei cattivo. Tu sei un assassino.- continuò Connor cercando di assumere un tono “mistico”.
-         No, no, no!-
-         Oh sì e tu lo sai. Li hai uccisi, li hai tolti alla vita. Sei un assassino, non meriti di vivere.-
-         Basta! Smettila!-
-         Non è forse vero? Vuoi negare le tue colpe?-
-         Io…io…-
-         Tu ti devi redimere, devi cercare la via dell’espiazione.- continuò Connor capendo che il momento era vicino.
-         Non è giusto.-
-         Che cosa è giusto? Uccidere non lo è. E se loro sono morti devi esserlo anche tu. -
-         Ma perché?-
-         Che diritto hai tu di vivere più di loro? Nessuno. Devi seguirli.-
L’altro rimase in silenzio poi, lentamente, annuì.
-         Che cosa faccio?- chiese con tono disperato.
-         Lo vedi l’albero davanti a te?-
-         Sì. -
-         Quello sarà il tuo strumento di espiazione.-
Il ragazzo camminò a scatti verso l’albero indicato e vi trovò un cappio che Connor aveva in precedenza sistemato.
-         Chi ha messo questo?- chiese il tributo interdetto.
-         Tu, tu l’hai fatto nel sonno. Il tuo inconscio sa che questa è la via.- rispose Connor.
-         S-Sì. -
Si arrampicò sull’albero e, arrivato al ramo giusto, prese il cappio e se lo mise attorno al collo.
-         Ho paura.- mormorò tra le lacrime.
-         Fra poco sarai in pace. - replicò la coscienza/Connor con il tono più dolce che riuscì a trovare.
-         È vero.-
Il tributo si sedette sul ramo e poi, con un ultimo singhiozzo, si lanciò giù.
Mentre punzecchiava il corpo penzolante per essere sicuro che fosse morto, Connor cercò di non pensare che tutto quanto aveva detto al ragazzo poteva benissimo valere anche per lui.
 
La mucca del 10 lasciò il posto alla pannocchia dell’11 e Caesar cominciò: - Passiamo ora ai campi e ai frutteti del Distretto 11. Insieme ai dolci frutti della terra troviamo la piccola Yumi Namaru e con lei la nostra Ribes Blynn dei trentacinquesimi Hunger Games!-
La giovane donna doveva avere ventidue anni. I capelli erano ricci e neri, gli occhi scuri e penetranti che inquietavano chiunque la guardasse.
 
Ribes era pronta. Si era esercitata con le lame all’addestramento, aveva passato tutto il tempo nell’arena a esercitarsi con le sciabole che aveva preso a quella Favorita del 2, uccisa con sua gran sorpresa alla Cornucopia. Guardando la ragazza dell’1, Treasure, si chiese se avrebbe avuto fortuna anche questa volta.
Sentire il metallo freddo delle armi le diede una strana sensazione di sicurezza.
-         Che aspetti?- provocò la ragazza.
-         Non tentarmi undici.- sibilò Treasure stringendo la presa sulla balestra.
-         E perché no?-
La Favorita le indirizzò un epiteto irripetibile e Ribes replicò con un ringhio. Si stavano squadrando da molto tempo e la ragazza immaginò che Panem stesse trattenendo il fiato, impaziente di scoprire se quell’anno avrebbe vinto l’ennesimo Favorito o se per una volta un Distretto periferico ce l’avrebbe fatta.
-         Sai, credo che a casa siano stufi di sorbirsi la tua codardia.- commentò Treasure.
-         La mia? Chi di noi due ha una freccia incoccata e non si decide a tirare?- replicò Ribes quasi sorpresa.
La Favorita fece una smorfia irata e finalmente sollevò la balestra e scagliò la letale freccia. Ribes, sapendo che era una freccia cerca-calore non si scansò ma alzò una delle sciabole e la tagliò di netto.
“Non te lo aspettavi eh?” pensò guardando Treasure che arrossiva per la stizza.
Senza aspettare che l’altra potesse dire qualcosa, si lanciò verso di lei e la ferì al braccio con una delle sciabole, facendole cadere la faretra.
Treasure non aveva portato altre armi, sicura com’era della sua riuscita. Era stata arrogante.
Ribes continuò a colpire finché l’altra non smise di agitarsi e distolse lo sguardo: non voleva vederla morire.
Solo quando il cannone ebbe tuonato si voltò a guardarla e vedendo quegli occhi spenti urlò, urlò tutto l’orrore che aveva dentro.
 
-         La terra ci consegna anche vincitori più rudi, e dalla dolcezza femminile, passiamo ai signori! L’accoppiata di quest’anno è composta da Jake White e Tabù Jensen dei trentunesimi Hunger Games!-
L’uomo che comparve aveva dei begli occhi verde mela, un fisico piacente e delle labbra carnose, ma non era questo che attirava lo sguardo; a farlo ci pensava la cicatrice che gli tagliava verticalmente il viso, dalla fronte alle labbra. Il suo souvenir dei Giochi.
 
Tabù si asciugò il sangue sul labbro con una manica della tuta rossa dei tributi. Stava morendo di caldo in quell’arena deserto e non vedeva l’ora di uscirne.
Fortunatamente, non mancava molto.
-         Preparati a morire!- esclamò la quattordicenne del Distretto 5 con una vocetta stridula.
Tabù rise con la sua strana risata sguaiata, simile a quella di un serial killer; sapeva che la ragazza non era da sottovalutare, aveva ucciso cinque tributi da sola e sapeva essere temibile ma sembrava così piccola!
La ragazzina prese la piccola macchina che lanciava raggi elettrici e con cui aveva già compiuto una strage.
Tabù si scostò appena in tempo per evitare di essere centrato dalla letale scarica e cercò di capire come avvicinarsi a lei senza essere ucciso.
Un’altra scarica, un’altra corsa. Tabù cominciava a stancarsi dopo tutti quei giorni di privazione ma non poteva arrendersi: voleva tornare a casa, da Nott. Voleva sbattere in faccia al Distretto che lui ce l’aveva fatta, che era forte quantunque ne pensassero loro.
-         Stai fermo!- urlò la ragazza.
-         Fossi matto.- mormorò Tabù spostandosi di nuovo. Non avrebbe retto ancora quindi cominciò a pensare. Due secondi dopo stava correndo dritto verso la quattordicenne che lo fissò allibita prima di sparare un altro colpo che questa volta centrò in pieno il viso del ragazzo.
Tabù urlò di dolore premendosi una mano sul viso che cominciava già a sanguinare e alla cieca riuscì a prendere la ragazzina per il collo e istintivamente la lanciò con tutta la forza che gli era rimasta.
Dopo un momento sentì il cannone sparare e riuscì ad aprire un occhio e vide il corpicino della tributa carbonizzato: doveva essere finita contro il campo di forza.
- Capitol ha fatto un’altra vittima.- commentò senza urlare ma abbastanza chiaro perché gli spettatori sentissero, e il presidente decidesse la sua punizione.
 
-         Un vincitore unico nel suo genere. Ora però siamo costretti ad abbandonarlo per passare al Distretto 12! E parlando di esso, chi ha mai dimenticato l’accompagnatrice di Steve Adamson? Signore e signori…Christine Stanley dei sedicesimi Hunger Games!-
Una donna alta, magra e fiera si mostrò nello schermo. I capelli erano acconciati in una cresta color rosa acceso, svariati piercing e molti tatuaggi che le ricoprivano la pelle.
Ispirava rispetto.
 
Christine si passò una mano fra i capelli sudati. Erano di un orribile biondo smorto che aveva odiato da quando era bambina; se avesse vinto, a Capitol se li sarebbe fatti tingere, magari di un bel rosa acceso…
Scosse la testa scacciando quei pensieri e tornò a guardare il ragazzo davanti a lei. Era del Distretto 10, capelli biondi, alto e smilzo come lei. In un’altra vita avrebbero potuto essere fratelli, ma in questa erano semplicemente destinati a combattere.
Si allontanò leggermente dall’avversario senza smettere di guardarlo negli occhi e attese che facesse la sua mossa.
Lui però non si muoveva, anzi, sembrava che stesse aspettando la stessa cosa. Poi lentamente si chinò e raccolse l’ascia che aveva lasciato cadere in precedenza ma dalla parte della lama, non del manico.
Si rivolse a Christine con una tristezza esasperata e mormorò lanciandole l’arma: - Ti prego.-
La ragazza lo fissò scettica, poi si avvicinò e prese l’ascia brandendola contro il ragazzo che non si mosse. Stava aspettando.
-         Sicuro?- sussurrò lei. Il tributo annuì in risposta e allora la ragazza si avventò verso di lui affondando la lama nel suo petto.
Lui cadde a terra e con l’ultimo respiro esclamò: - Grazie.-
- Prego.- rispose Christine sinceramente.
 
Caesar terminò di applaudire e con più calma riprese: - Arriviamo così all’ultimo mentore di questa edizione. Accanto alla vivace Freya Keravenne avremo al suo ritorno dopo anni di assenza…Yarhi Bhaltian dei ventottesimi Hunger Games!-
Lo schermo mostrò l’immagine di un uomo alto sui ventiquattro anni. Aveva capelli color cioccolato fondente e occhi grigi.
Il sorriso era pacato e un po’ forzato. Sembrava gentile.
 
Yarhi combatteva strenuamente con il suo piccolo pugnale, cercando di non venire infilzato dalla spada del Favorito del 2, né di cadere nell’enorme crepaccio alle sue spalle.
-         E muori feccia!- esclamò l’altro esasperato ma Yarhi non aveva intenzione di cedere. Sentendo che si stava rapidamente avvicinando al vuoto, raccolse le sue forze e spinse l’avversario lontano da sé in modo da potersi spostare in un luogo più sicuro.
Si appoggiò a un albero cercando di recuperare le forze mentre il Favorito recuperava freneticamente la spada e si alzava zoppicando sulla gamba sinistra con l’odio stampato in faccia.
-         Faresti meglio a fermarti un attimo.- gli consigliò Yarhi ansimando. L’altro sbuffò sprezzante e continuò ad avanzare, quindi lui alzò le spalle e si preparò a riceverlo.
Inaspettatamente il Favorito spiccò un balzo e atterrò sopra Yarhi costringendolo a un corpo a corpo che aveva sempre cercato di evitare: non era esattamente la sua specialità.
Cercò di spingere via il ragazzo senza riuscirci, quindi, mentre con le ginocchia tentava di limitare i colpi dell’altro, allungò la mano e riuscì ad afferrare il pugnale.
Mentre il Favorito tempestava di pugni il suo stomaco, la disperazione del ragazzo vinse e con un colpo netto la piccola lama andò a conficcarsi nella schiena dell’avversario.
Yarhi allontanò da sé il cadavere del ragazzo del 2 per l’ultima volta e rimase sdraiato a guardare il cielo.

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Capitolo 17
*** Hall of fame ***


Standing in the hall of fame
And the world’s gonna know your name
Cause you burn with the brightest flame
And the world’s gonna know your name
And you’ll be in the walls of the hall of fame!

 
 
Il presidente Olisa si sedette sulla sua lussuosa poltrona d’avorio e sbuffò: ormai gli anni avanzavano, quanto sarebbe riuscito a rimanere al potere ancora?
Scosse la testa e si concentrò sui tributi di quell’anno. I suoi collaboratori avevano fatto alcune ricerche su di loro e ne era rimasto quasi del tutto soddisfatto.
Il primo era il carro del Distretto 1.
La ragazza era la cugina di due vincitori tra i più popolari, ricordò Olisa, il che poteva renderla un problema. Tuttavia il popolo l’avrebbe apprezzata.
Il ragazzo era fratello di un tributo morto, cosa tanto tipica da essere ormai noiosa agli occhi di Capitol.
 
Elle e Jesse brillavano, in molti modi. Sia per le pietre che ornavano i loro vestiti, mantelli e corone, sia per i loro scettri d’oro, sia per il loro carro pieno di smeraldi e zaffiri, sia, soprattutto, per l’immagine che i loro vestiti davano.
Erano re e regina, ciascuno con mantelli svolazzanti e un’espressione seria sul volto.
Gli occhi di Elle saettavano sul pubblico, curiosi ma distaccati, e sentiva sulla nuca il peso dell’elaborata acconciatura.
I capelli erano intrecciati come per formare una corona, intorno alla quale c’era un vero diadema argentato.
Sotto le pietre, il vestito era color azzurro pallido, lungo fino ai piedi e lasciava scoperte le braccia della ragazza, così da mettere in risalto i tatuaggi, resi lucenti da una speciale crema.
Jesse era serio al pari della compagna, ma non guardava nessuno. Fissava il presidente, chiedendosi cosa stesse pensando, se si ricordasse di Laser, se gli importasse.
Manteneva una postura eretta, facendo così risaltare il brillante completo azzurro, in tinta con quello della compagna, e brandiva il suo scettro, dello stesso materiale del carro.
La sua corona era più grande di quella dell’altra, ma anch’essa argentata.
I sovrani degli Hunger Games avanzarono, freddi, impenetrabili.
 
Olisa applaudì insieme ai concittadini, ma con molta più calma. Al contrario del popolo, lui vedeva i pericoli.
Comunque, quella sera non sarebbe successo nulla, quindi si rilassò concentrandosi sul carro del Distretto 2, il preferito di Capitol, il più fedele.
La ragazza era una come tante; un prodotto dell’accademia. Sembrava una bambola di porcellana, ma dai suoi risultati prometteva bene.
Anche l’altro veniva dall’accademia, ma era l’opposto della compagna, lui incuteva timore.
Olisa sorrise lievemente, curioso di vedere cosa avrebbero fatto.
 
I due tributi erano ai poli opposti. Non solo per l’aspetto, anche per l’atteggiamento.
Alexa, infatti, sorrideva fiera, orgogliosa. Batté la lancia contro il suo scudo, lanciando un urlo di guerra per la pura gioia dei capitolini.
Il suo viso s’intravedeva poco sotto l’elmo bronzeo, ma i capelli biondi erano perfettamente visibili, e sarebbero presto diventati il suo marchio.
Ian, al contrario, rimaneva composto e serio, fissando il pubblico. Il copricapo non lasciava intravedere il suo viso ma Capitol lo ricordava comunque: non si dimenticava il volto più bello dell’edizione.
I cittadini ridacchiarono eccitati al gesto di Alexa, e tesero le mani verso di lei; ma fu il gesto di Ian a vincere. Il ragazzo batté una sola volta sullo scudo, poi alzò la lancia in un gesto di vittoria, e l’anfiteatro esplose.
I soldati seguirono i sovrani, chi avrebbe prevalso fra potere e armi?
 
Olisa sorrise compiaciuto. Gli piaceva il 2, e gli stilisti avevano fatto anche quell’anno un buon lavoro. Non temeva loro: sapeva per esperienza quanto quel Distretto fosse fedele alla patria.
Mentre il carro si fermava, lo sguardo fu attirato da un tripudio di luci e il presidente si volse stupito verso i tributi del 3.
A malapena fra i raggi si distinguevano i due ragazzi. Una era l’ennesima sorella di una tributa, l’altro era stato atteso con impazienza dai capitolini, essendo il figlio dell’inventore che aveva creato i chip per le docce.
Olisa sorrise al pensiero. Quando tutto fosse finito, si sarebbe fatto un bel bagno, magari aromatizzato con delle viole.
Sarebbe stato davvero bello…
 
Il presidente aveva ragione a stupirsi: i due ragazzi erano a dir poco abbaglianti.
Fari colorati partivano dai loro abiti, originariamente di un grigio metallizzato, inondando i capitolini che ridevano e si beavano di quel divertimento.
Entrambi avevano una mano alzata a pugno e sorridevano, ma Tanisha era evidentemente imbarazzata, Shade aveva un’aria di sufficienza, come se cercasse di accontentare un bambino capriccioso.
La ragazza vacillava un po’ sotto il peso del grande copricapo cilindrico che portava, e a causa del quale era stato necessario acconciare i suoi capelli in un modo un po’ strano, come un grande groviglio laterale che ora le dava non poche difficoltà.
Il taglio corto di Shade era un leggero vantaggio, ma anche lui temeva di cadere da un momento all’altro, quindi si teneva stretto al carro e lanciava veloci occhiate alla compagna che sembrava terrorizzata da qualcosa.
Mentre i due avanzavano, qualcuno si chiese se e quale luce si sarebbe spenta.
 
Il presidente seguì lo strano carro finché non si fu accostato agli altri due, dopodiché volse lo sguardo verso quello che stava arrivando.
I tributi di quell’anno erano particolari. Una veniva dall’accademia, una dodicenne dallo sguardo duro e gli strani capelli azzurri; l’altro appariva più robusto, ma era paralitico.
Olisa si disse che avrebbe dovuto ricordarsi di avvertire i medici di fare qualcosa per lui. Un tributo paralizzato non andava proprio bene.
Certo, gli stilisti non se l’erano cavata male comunque…
 
Balthasar e Imogen, gli stilisti del Distretto, avevano riflettuto a lungo su come aggirare la paralisi di Leo e creare un vestito che andasse bene a entrambi.
Alla fine avevano trovato una soluzione, anche se li aveva obbligati a fare alcune modifiche al carro: il davanti era stato allungato e allargato, di modo da formare una pedana, e modellato così da apparire come due strani troni.
Su di essi erano seduti Tessa e Leo.
Lei era seduta di traverso, con la coda scarlatta da sirena appoggiata sul bracciolo, e le braccia conserte. Fissava con astio i capitolini, cercando di tenersi il più possibile lontano da Leo e nel contempo di non far cadere la coroncina rossa che portava sul capo. I capelli erano tenuti indietro da uno chignon che lasciava cadere solo qualche ciocca ondulata e il viso era cosparso da una crema brillante. Il petto era nudo, eccezion fatta per un elaborato reggipetto rosso che le copriva il seno.
Al suo fianco, Leo era evidentemente a disagio. Continuava a guardare l’altra con un misto di dispiacere e incertezza; la sfuriata della ragazza sul treno gli rimbombava nella testa e le dava sempre più ragione.
Guardò le gambe nascoste dalla coda argentea e strinse il tridente grigio con nervosismo. Dedicò un rapido sguardo al pubblico, e si passò una mano fra i capelli, legati a formare una coda bassa, che non toccava la corona, in tinta con la coda.
Il re e la regina dell’oceano andarono incontro ai loro compagni. Avrebbero rivisto il mare?
 
Sì, decisamente bisognava fare qualcosa per lui, rifletté Olisa. Era troppo rigido in quella posa, si capiva che c’era qualcosa di strano.
Oh, beh, i medici l’avrebbero sistemato. Dopotutto, se non avessero fatto un ottimo lavoro, non sarebbe certo stato lui a risentirne.
-         Ancora un po’ di vino, vuoi Coriolanus?- chiese all’uomo seduto accanto a lui.
-         Certo.- replicò il vicepresidente con un sorriso tirato.
Olisa sapeva che aspirava a diventare il presidente alla sua morte o, se non lui, il suo omonimo figlio, e per questo cercava di ingraziarselo.
Buon per lui; il presidente stava ben attento a evitare ogni tipo di veleno o attentato. Sarebbe rimasto in carica ancora per un bel po’.
L’arrivo del carro del Distretto 5 lo distrasse dal suo funzionario. Anche loro, come il 3, emettevano luce propria, ma questa era meno abbagliante, più elegante.
Lei era un’altra con i capelli particolari: erano di un bianco così immacolato da catalogarla subito come albina, un errore comprensibile.
Lui era un tipo spavaldo, con un’aria fiera. Si notava dalla sua postura.
 
Il presidente aveva visto giusto. Skeet sorrideva divertito guardando il pubblico e alzando entrambe le braccia per mostrare al meglio il suo costume.
Aveva afferrato la mano di Raen e la teneva stretta per costringerla a non abbassarla. Con la mano libera disegnava figure indistinte nell’aria, giusto per far muovere i fulmini che percorrevano il vestito di rame.
Erano scariche innocue di tutti i colori, che si muovevano con i tributi.
Se divertivano Skeet, infastidivano molto Raen. La ragazza aveva un’espressione indispettita mentre guardava il compagno.
I suoi fulmini erano quieti e lievi, non essendo alimentati da alcun movimento tranne quello provocato da Skeet.
Non le piaceva stare lì. Avrebbe voluto tornare da sua madre, da Sarah, anche da Max, solo per chiarire con lui.
Strinse i denti fulminando con lo sguardo il presidente, così alto, così indifferente…
Il carro si arrestò. Da chi sarebbero stati alimentati quei fulmini nell’arena?
 
Olisa sogghignò. Il ragazzo era sempre più apprezzato, aveva l’atteggiamento giusto. Non sarebbe stato male come vincitore.
Lei, invece, avrebbe dovuto essere più allegra. Comunque recuperava tutto in aspetto.
Il Distretto 6 fece il suo ingresso. Era da sempre un Distretto complicato e gli stilisti faticavano molto per trovare un vestito adatto a loro.
Neanche lui sapeva cosa si fossero inventati. I due tributi erano molto in vista: il ragazzo era il figlio del sindaco, lei una rampolla di una famiglia molto ricca grazie ad alcuni favori fatti da suo nonno alla capitale. Inoltre, sua zia era una vincitrice.
Quando finalmente Olisa vide il carro, fece un cenno a Coriolanus e scoppiò in una risata sorpresa e divertita.
 
Magda sorrideva imbarazzata come Tanisha prima di lei. Attese che fossero a metà del percorso prima di battere il caduceo che aveva in mano contro il carro, in contemporanea con Jude.
Il bastone s’illuminò e spuntarono due ali in cima dalle bocche dei serpenti con cui era ornato, identiche a quelle che i due avevano sui cappelli e i sandali.
I tributi li alzarono e le ali cominciarono a muoversi, come se volessero far spiccare il volo ai due novelli Ermes.
Jude aveva atteso un attimo per capire la situazione prima di cominciare lentamente a sorridere con divertito dall’insulsaggine dei capitolini.
Luciana gli aveva detto che quello da cui erano vestiti era un antico dio greco. L’idea gli era piaciuta: gli dava una sensazione di potere che non guastava.
I capitolini lanciarono rose dorate verso la coppia che riuscì a prenderne una ciascuna. Jude esitò un attimo, poi consegnò la sua a Magda, con un lieve sorriso.
Lei la accettò sorridendo a sua volta e arrossendo furiosamente; i capitolini esplosero in un boato di gridolini.
Gli dei sono immortali. Lo sarebbero stati anche loro?
 
Dopo il sesto distretto, di solito, il presidente cominciava seriamente ad annoiarsi. Per i suoi concittadini era bellissimo, certo, ma per lui erano solo ragazzi in costume.
Era ciò che veniva dopoa interessarlo, l’unico motivo per il quale gli Hunger Games erano stati istituiti.
Purtroppo non se ne poteva andare, quindi scosse la testa e si dedicò al carro del Distretto 7. I due tributi avevano entrambi un carattere forte, sarebbero stati interessanti da osservare.
Il carro entrò nell’anfiteatro e Olisa non si pentì di essere rimasto.
 
Entrambi i tributi avevano una tuta che li copriva da capo a piedi, capelli compresi. Era di un bel verde mela, ma s’intravedeva appena sotto le foglie che li ricoprivano.
Cominciarono dalle gemme, per poi schiudersi come in primavera e scurirsi con l’arrivo dell’estate. Pian piano l’autunno arrivava rendendole gialle, rosse e marroncine, finché non giungeva l’inverno che determinava la loro caduta, e il ciclo ricominciava.
Anche in questo caso, l’atteggiamento dei tributi erano opposti: mentre Heracles ammiccava verso i vari capitolini, Sheridan osservava la folla diffidente, con una mano stretta sul carro e sguardo minaccioso.
I due tributi si fecero strada nell’anfiteatro, venendo ognuno notato a suo modo. Quale linfa li avrebbe alimentati nei Giochi?
 
“Almeno non li hanno vestiti da alberi” pensò Olisa applaudendo. Era il turno dell’8, il Distretto con più possibilità per i vestiti.
Lei non era di una famiglia importante, mentre il ragazzo era il figlioccio del sindaco, anche se gli avevano riferito che i due non andassero d’accordo e che fosse andato via di casa.
Bah, agli abitanti di Capitol sarebbe piaciuto comunque.
All’entrare del carro, tutti, tributi e presidente compresi, trattennero il fiato e sgranarono gli occhi, sorpresi dalla vista.
Che diavolo era venuto in mente agli stilisti?!
 
Quantunque ne pensassero gli altri, Nathaniel e Nerissa avevano un piano. Di primo impatto, comunque, i due ragazzi creavano disagio. Come avrebbe potuto essere altrimenti, dopotutto, visto che Jos indossava solamente dei boxer e Moon reggiseno e mutandine di pizzo. I capi di vestiario di entrambi erano completamente bianchi.
I ragazzi contarono fino a tredici, poi con un fluido gesto eseguito in contemporanea, si passarono una mano sul braccio destro e da dove le loro dita passavano si stendevano dei fili colorati e brillanti che si unirono formando una manica. Lo stesso successe quando passarono la mano sull’altro braccio e su tutto il resto del corpo.
Alla fine, ottennero Jos un completo e Moon un vestito, entrambi di colori scintillanti che cambiavano periodicamente, formando un curioso arcobaleno.
Entrambi sorridevano lievemente e si guardavano intorno con cautela, persi nei loro pensieri.
Una bella tavolozza che presto si sarebbe macchiata di sangue.
 
Olisa applaudiva con più vivacità di prima. I costumi di quell’anno erano stati un’ottima idea, doveva complimentarsi con gli stilisti.
Magari li avrebbe spostati al Distretto 7 l’anno dopo. A quel punto, era davvero curioso di scoprire se avrebbe avuto lo stesso pensiero riguardo quelli del 9.
-         La prossima è la sorella della vincitrice…difficile, giusto presidente?- chiese Coriolanus.
-         Esatto.- annuì Olisa.- Speriamo che questo le insegni…la lezione.-
-         E l’altro?-
-         Niente di che. Il figlio di un ladro.-
-         Entrambi criminali a loro modo. - osservò Coriolanus con un ghigno.
I due uomini risero di gusto alzando i calici di vino; poi si girarono per guardare il nuovo carro in arrivo.
 
Questa volta le tute dei due si vedevano chiaramente, anche se erano leggermente strane: sembravano un insieme di chicchi di grano.
Amy e Tòbia sembravano terribilmente arrabbiati. Stringevano i denti ed erano leggermente rossi. Il ragazzo addirittura ringhiava.
La ragione di questa rabbia si dimostrò dopo qualche secondo dalla partenza; i costumi presero a fumare finché i chicchi non si tramutarono in caldi e profumati…pop corn.
I capitolini cominciarono ad applaudire estasiati mentre i pop corn cominciavano a saltare via dai costumi verso il pubblico che li prendeva al volo per poi mangiarli, o gettarli.
Cibo sprecato che i tributi avrebbero presto rimpianto.
 
Decisamente non sarebbero stati promossi. Olisa era ancora sconcertato quando i ragazzi ebbero percorso tutta la strada.
-         Terribile.- giudicò Coriolanus.
-         Spero per loro che siano eccezionalmente bravi.- aggiunse Olisa.
Il presidente si sistemò più comodamente sulla poltrona e si volse di nuovo verso l’interno dell’anfiteatro.
Si augurò di non essere costretto a guardare le solite mucche, anche se gli sarebbe piaciuto umiliare il ragazzo: cominciava a dare fastidio con i suoi boicottaggi ai mattatoi. Contro la ragazza non aveva niente di personale, ma era un tributo.
 
A dispetto dei pensieri del presidente Juliette e Jack non erano vestiti da mucche. L’idea iniziale era stata quella, ma il ragazzo si era categoricamente rifiutato, quindi avevano dovuto cambiare.
I risultati erano stati i seguenti: Juliette aveva i capelli sciolti sotto un cappello da cow-boy con sopra un 10 che anche Jack indossava; aveva un top rosso con sopra una camicetta ocra annodata sulla pancia. Dello stesso colore erano la minigonna a frange e gli stivali alti.
Jack non aveva nulla che gli coprisse il petto. Il suo abbigliamento era costituito dal cappello e da dei pantaloni frangiati marroncini. Juliette gli stava sussurrando qualcosa, concitata.
-         Su, Jack, quanto ti costa? Fallo e basta!-
-         Non ne ho voglia, okay?-
-         Oh, andiamo! Una volta e basta!- lo supplicò la ragazza sottovoce continuando a salutare il pubblico.
-         Me la pagheranno.- sibilò Jack, annuendo.
Detto questo, prese la frusta che teneva legata al fianco e la passò sul palmo della mano. Poi, lentamente, la alzò e la schioccò in aria procurandosi un coro di grida gioiose.
Chi avrebbero marchiato i mandriani nell’arena?
 
Olisa si passò una mano sulla barba argentea. La sfilata era quasi finita, e i tributi si dimostravano uno più particolare dell’altro.
Ancora due distretti, poi avrebbe ottenuto la sua bella vasca comoda.
Sospirò al pensiero e si appoggiò sulla mano per osservare il carro del distretto 11, composto da una figlia adottiva del sindaco e un ragazzo che aveva avuto una brutta avventura con dei lupi.
 
Jake, però, non mostrava più la traccia del suo incontro con quelle belve. I suoi preparatori avevano lavorato a lungo e infine erano riusciti a far sparire del tutto la sua brutta cicatrice; inoltre avevano sistemato i suoi lunghi e indomabili capelli.
Quella sera erano stretti in una coda, sotto un cappello di paglia con una fascia verde. Indossava una salopette con sotto una camicia a scacchi bianchi e smeraldo; ugualmente era vestita Yumi.
Il vero spettacolo arrivò quando alzarono in aria i forconi e premettero una specie di grilletto che c’era sul manico; dalle punte cominciarono a nascere frutti sempre diversi che venivano sparati verso il pubblico che rideva e accoglieva tutto.
Yumi ridacchiava, apparentemente divertita, mentre il suo cuore pregava che la sua famiglia credesse alla sua allegria e cercava di non rimpiangere troppo il suo gesto avventato. Si era offerta per la sua amica, e ciò bastava. La cosa era ormai fatta.
Jake, invece, pensava sempre e comunque alla profezia di Tiresias. Non gli interessava che Tabù l’avesse bollata come una stupidaggine, lui ci credeva, e aveva paura. Una terribile paura.
Peccato che i forconi non li avrebbero potuti portare, in arena.
 
Ed ecco, il carro si fermava e giungeva il Distretto 12. Coriolanus lanciò uno sguardo d’intesa al presidente.
I due tributi di quell’anno erano stati entrambi sorteggiati in modo particolare. Lui, primo in assoluto nel 12, si era offerto; la madre era una tributa morta circa diciotto anni prima.
Lei era uno dei più grandi fastidi del presidente negli ultimi tempi. Non c’era giorno in cui non gli giungesse voce che Freya Keravenne aveva causato questo o quel disagio e la cosa cominciava a farlo arrabbiare.
Come sarebbe stato bello vederla combattere nei suoi Giochi.
 
La ragazza avvertiva perfettamente questa sua condizione, ed era a dir poco furiosa. Il fatto di avere dovuto anche mascherarsi, poi, le aveva quasi fatto venire l’orticaria.
Aveva anche intuito che gli stilisti non avessero ben chiaro che cosa fosse una cava, poiché, chiaramente, pensavano che fosse in un vulcano.
Per quale altro motivo avrebbero preteso di far scendere della lava dai loro costumi da minatori usciti dall’esplosione di una cava?
La vista di quelle tute già l’aveva rattristata al pensiero dei suoi, profanarle così le aveva fatto venire una gran voglia di dare un pugno in faccia a Sebastian, il suo stilista.
Steve non aveva prestato grande attenzione a ciò che gli avevano fatto mettere, tutta la sua attenzione era concentrata sul suo piano.
Trovarsi a Capitol era già qualcosa, e ora guardava con interesse e freddezza insieme la colorata popolazione.
Il carro non si fermò se non fino a quando si fu allineato con gli altri e i tributi si trovarono fianco a fianco.
La lava dei due era caduta ma non bruciò: non c’era terreno adatto.
 
 

When your, standing in the hall of fame
And the world’s gonna know your name
Cause you burn with the brightest flame
And the world’s gonna know your name
And you’ll be in the walls of the hall of fame!

 
 
Angolo di Loony
Saaaaalve. So che non mi faccio molto sentire con questi vari angoli perché non so mai cosa scrivere ma oggi ne devo approfittare per avvertirvi.
Questa settimana partirò, quindi non aspettatevi aggiornamenti per le prossime due settimane.
Okay, non è una gran novità ma questa volta ho una scusa :’)
Buona notte, ecc., ecc.
Loony

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Capitolo 18
*** Arte della guerra, arte del tributo ***


                            L'arte della guerra è l'arte di distruggere gli uomini.
L’arte dell’uomo è l’arte di ricoprirla di gloria.
 
I  Di tipi strani e stupidi bersagli
La freccia volò contro il bersaglio e lo mancò. Tanisha sbuffò di frustrazione osservando tutte le frecce che aveva tirato quella mattina. Alcune si erano conficcate in vari punti del bersaglio, ma la maggior parte era sparsa intorno.
-Prova ad abbassare la balestra mentre tiri.- consigliò una voce maschile dietro di lei.
-Perché scusa?- replicò la ragazza voltandosi.
-Tendi ad alzare la mano nel momento in cui scocchi.- spiegò Shade.
-Ah, grazie.-
La ragazza annuì e provò a fare come il ragazzo le aveva detto. Con sua grande sorpresa, riuscì a colpire un punto molto più vicino al bersaglio.
Si girò verso Shade per ringraziarlo, ma lui si era allontanato verso un’altra postazione. Tanisha fece una smorfia e tornò ad esercitarsi.
Non erano passati che pochi minuti quando una ragazza si affiancò a lei.
-Ehi. Anche tu impedita con ‘sta roba?- le chiese la nuova.
-Non sono impedita. Sto imparando.- replicò Tanisha.
-Allora siamo in due. Io sono Moon.- si presentò l’altra.
-Tanisha.-
Ripresero ad esercitarsi in un silenzio che s’interruppe quando Tanisha riuscì a colpire il centro del bersaglio.
-Brava! Come hai fatto?- le chiese Moon.
-Basta non alzare troppo la mano quando si punta.- spiegò l’altra sorridendo, inorgoglita dalla riuscita del suo lancio.
-Capisco.- replicò Moon lanciandole un’occhiata veloce: non l’aveva giudicata male, non era come le ragazzine cretine del suo distretto che pensavano solo ai ragazzi. Le piaceva.- Senti,- aggiunse dopo un momento.- quel tipo inquietante è il tuo compagno di distretto?-
Indicò Shade che era impegnato a studiare varie piante commestibili accanto ai due tributi del 5. il ragazzo fece l’occhiolino a una di loro, ma non capirono quale.
-Sì, ma non è inquietante. È solo un po’…serio ecco.- rispose Tanisha con un sorriso timido.
-Allora è la sua serietà ad essere inquietante.- concluse Moon facendole l’occhiolino.
L’altra ridacchiò e annuì, poi, insieme, ripresero la loro esercitazione fino a quando delle grida improvvise le distrassero totalmente dai bersagli.
 
II Di pesi e bovini
Freya soppesò solo per un istante il manubrio nella mano, poi lo lanciò rabbiosamente contro il muro. Il suo fisico non era molto adatto a sollevare pesi, ma aveva scelto quella postazione così da evitare di spaccare la faccia altro tributo.
Sollevò un peso maggiore e si preparò a scagliare anche quello quando, inavvertitamente, quello colpì in pieno la schiena di un altro ragazzo.
Steve imprecò e si girò verso di lei: - Che cosa credevi di fare, eh?-
-Stai un po’ calmo.- sibilò lei in risposta.- Non l’ho fatto apposta.-
-Sì, certo. Ti conosco, Keravenne, so cosa fai ogni giorno e mi sta bene. Basta che non crei problemi a me.-
-Non m’importa nulla di te. Non so neanche chi tu sia.-
Il ragazzo ghignò: - A te non importa di nessuno, sei sempre sola. Anche quelli che ti avevano presa ti hanno buttato fuori a calci nel sedere.-
Negli occhi di Freya passò un lampo e contemporaneamente alzò il peso muovendo un passo verso di lui.
Ci fu una frazione di secondo in cui entrambi capirono ciò che stava per succedere ma, d’improvviso, una figura si interpose fra loro.
-Fermi! Conoscete le regole, volete partire svantaggiati?- chiese Jack afferrando il braccio della ragazza che si liberò immediatamente.
-Non mi toccare, chiaro?- lo ammonì assottigliando gli occhi.
-Limpido.- replicò Jack alzando un sopracciglio.
Lei rivolse un’ultima occhiataccia a Steve, poi sbatté il peso a terra e si allontanò.
-Carina.- commentò il Dieci interdetto.
-Chi sei?- gli chiese Steve.
-Io? Jack Oxen.- replicò lui tendendo la mano.
Il ragazzo gliela strinse, osservando con le sopracciglia aggrottate la spilla che l’altro aveva sulla tuta: era gialla e c’era raffigurata una mucca attorniata dalle parole “Bovini liberi!”
-Steve Adamson.- si presentò infine.
-Piacere di conoscerti. È strano che questa sia la nostra ultima occasione di conoscere qualcuno di nuovo, non trovi?- chiese Jack con un sorrisetto.
Steve non poté far altro che annuire, prima di girarsi al suono di una voce alterata.
 
III Di Favoriti e…basta ho detto tutto
Alexa ridacchiò quando la lancia si conficcò nel centro esatto del bersaglio: le piaceva mostrare la sua abilità, così tutti avrebbero saputo chi bisognava temere. Adorava il rispetto e, ancora di più, il timore.
-Hai finito? Vorrei allenarmi anch’io.- una voce seccata la distrasse dai suoi piani.
-Che problemi hai? Ci sono altre lance.- replicò lei girandosi verso Jesse.
-Già, peccato che l’unica postazione decente sia questa.-
-E peccato che tu sia così lento: qui sono arrivata prima io e ci resto.-
Jesse le avrebbe volentieri staccato la testa, solo per vedere sparire quel ghigno arrogante dalla faccia. Chi si credeva di essere quella mocciosa?
-Smettetela, non c’è bisogno di dare spettacolo. Trattenete gli istinti omicidi per l’arena.- s’intromise la voce profonda e fredda di Ian.
Jesse gli rivolse un’occhiata sprezzante; li odiava tutti e tre: Elle, con la sua assoluta mancanza di reazioni, Ian, con la sua freddezza e impassibilità, e Alexa che sembrava convinta di essere la padrona del mondo.
Se non avesse dovuto tenerseli buoni li avrebbe uccisi all’istante.
Alexa fece una smorfia altezzosa e disse: - Non sei il mio capo, Stoner.-
-Neanche tu sei il nostro.- s’intromise Jesse.
-Cosa vorresti insinuare?-
-Che non mi faccio comandare da una bambola.-
La ragazza divenne rossa di rabbia e sibilò: - Mai sentito parlare di bambole assassine?-
-Non cominciate a litigare anche voi.- fece la voce strascicata di Elle.
-Che vuole dire “anche noi”?- chiese Jesse guardandola.
Lei si limitò a indicare la postazione dell’arrampicata e allora Jesse e Alexa capirono. E ghignarono.
 
IV Di piante puzzolenti e occhiolini
-Aspettami Raen!- esclamò Skeet correndo dietro alla compagna che aveva avanzato senza curarsi minimamente di lui.
-Che c’è?- chiese la ragazza voltandosi verso di lui.
-Be’, abbiamo detto a Tim e Solar che ci saremmo allenati insieme no?- replicò l’altro.
Raen lo fissò.
-Okay, gliel’ho detto io. Ma Tim ci teneva tanto!-
Raen lo fissò ancora.
-Va bene, ci ha detto di fare quello che ci pareva, ma così sarà più divertente no?-
-Come vuoi.- disse la compagna scrollando le spalle e riprendendo a camminare.
-Quindi dove andiamo?- chiese Skeet.
-Alle piante commestibili. Prima che a uccidere, voglio imparare a sopravvivere.- rispose saggiamente l’altra.
Alla postazione c’era già un altro ragazzo, che alzò lo sguardo e li studiò brevemente. Raen si mise a studiare i vari tipi di piante, mentre Skeet, sempre se stesso, si dedicò alla conversazione.
-Ehilà, io sono Skeet Larmor! Tu?- chiese al ragazzo sconosciuto.
-Shade Davey.- borbottò lui senza neanche guardarlo.
-Sei bravo in queste cose? Verdure varie intendo.-
-Se lo fossi non sarei qui, no?-
-Giusto. Neanche io sono capace. Cioè, vado in base all’istinto. Quella roba là per esempio non la toccherei mai.-
Indicò una radice bitorzoluta e dal fortissimo odore di formaggio stantio andato a male.
-Quella roba là può riempirti la pancia per settimane.- replicò seccamente Shade.
-Meglio che faccia dare una controllata al mio istinto allora.- disse Skeet sorridendo.
Gli altri due non emisero un fiato, quindi il ragazzo, annoiato, fece vagare gli occhi sugli altri tributi.
Poco distanti da loro stavano due ragazze, intente ad allenarsi con la balestra. Una era la compagna di distretto di Shade, l’altra era la ragazza dell’8 con cui Skeet aveva scambiato qualche parola prima della sfilata; era simpatica.
Proprio in quel momento le due si voltarono e Skeet rivolse loro un occhiolino, pensando che Moon era proprio carina.
 
V Di gente tenera e gente allegra
Yumi alla fine si era dedicata ai nodi. Il giorno prima si era allenata con la fionda, in modo da avere una minima conoscenza di qualche arma; quel giorno preparava trappole.
Le dita fini le erano molto d’aiuto, e riusciva a destreggiarsi abbastanza bene.
-Come sei brava! Io qui non combino un bel nulla.- disse amaramente Juliette, alla stessa postazione.
-Con un po’ di pazienza…- cominciò Yumi.
-Ah, ecco il problema! Quando hanno distribuito la pazienza io ero al bagno.- esclamò Juliette osservando il suo pezzo di corda, tristemente sfilacciato.
Yumi ridacchiò: - Sono certa che potrai riuscirci.-
Juliette la osservò per un secondo, poi cominciò a scuoterla per le spalle: - Sei la persona più tenera che abbia mai incontrato. Vuoi diventare il mio nuovo peluche?-
-Uhm, okay.- rise la cinesina lasciando cadere la corda e sacrificando così mezz’ora di lavoro.
-Ops! Scusami.- esclamò Juliette raccogliendo il pezzo ormai dritto.
-Figurati, lo rifarò meglio.-
-Oh, allora okay! Sei proprio un angioletto sai?- sorrise Juliette.- Ora vado a cercare Jack. È un po’ strano, capisci, ma è simpatico e…che cosa diavolo succede?-
 
VI Di domande inopportune e strane intese
-Perché ti manca un mignolo?-
Tòbia abbassò l’arco per fissare l’altro, sbalordito.
-Come scusa?- chiese.
-Perché non hai un mignolo?- ripeté Jake.
-Oddio, contadino, non puoi andare a chiedere alla gente perché non ha un mignolo!- esclamò Amy, vicina ai due.
-È solo una domanda.- si difese il ragazzo.
-E se io ti venissi a chiedere come ti sei fatto le cicatrici che avevi prima, scusa?-
-Lupi.-
Tòbia alzò un sopracciglio, mentre Amy spalancò la bocca. Jake, ignorando apparentemente le loro reazioni, chiese: - Allora me lo vuoi dire?-
-No, razza di idiota! Per quale strano motivo dovrei farlo?- replicò Tòbia.
-Qual è il problema? Io te l’ho detto.-
-E se io, il cielo non voglia, fossi te, te lo direi.-
-E allora dimmelo.-
-Pestando un deficiente, ti va bene così?- sbottò Tòbia.
-Ci voleva tanto?-
I due del 9 si scambiarono uno sguardo incredulo, poi scossero lentamente la testa e Jake sorrise.
-Benissimo. Ora scusate, vado un po’ in giro a guardare.-
Appena si fu allontanato, Amy emise un verso a metà fra la risata e la rabbia.
-Credi che facesse sul serio?- chiese al compagno.
-Non ne ho idea.- ammise lui.
Ripresero ad allenarsi in silenzio, finché la ragazza non disse: - L’hai perso davvero pestando un cretino? Oh, non ti sto chiedendo di raccontarmi tutta la storia!- aggiunse irritata quando vide l’espressione dell’altro.
-Sono cazzi miei.- fu la cortese risposta.
-Ma quanto siamo gentili.-
-Se vuoi ti mando a fare compagnia al mio mignolo.-
-Non potrei. Quel posto sarebbe già stato preso da te.-
Tòbia non rispose, si limitò a scoccare la freccia con più violenza di prima.
-Forse te lo racconterò.- disse infine.- Un secondo prima della tua morte.-
 
VII Di privilegiati e boscaioli
 
-Siete entrambi figli del sindaco? E tu sei ricca sfondata?- chiese Sheridan sgranando gli occhi.
Jude annuì, Jos scrollò le spalle e Magda arrossì. Heracles si mise a ridere e commentò: - Ma guarda questi tre furbacchioni! Comoda la vita eh? Loro non si spaccano la schiena come noi, vero Sher?-
-Non mi chiamare Sher.- lo freddò lei; il ragazzo scrollò le spalle e continuò: - Comunque non importa: non è mica colpa vostra! E poi chiunque di noi uscirà di qui vivrà meglio di qualunque sindaco di Distretto giusto?-
-Certo.- rispose pacatamente Jude mentre Magda mormorava un lieve “sì”. Jos lo ignorò.
-Scusatemi ma mi auguro di essere io.- aggiunse Heracles.
-Credi che non lo pensiamo anche noi, idiota?- fece seccamente Jos senza interrompere il suo esercizio.
Heracles lo ignorò e si rivolse a Sheridan: - Tu avresti un casino di gente da mantenere vero? Nel Distretto parlano tutti della vostra, come la chiamano? Ah, già, la tribù Ardor.-
-Parlano anche di te sai? Il puttaniere Dechantes.- rispose la ragazza.
-Sono solo invidiosi.- ghignò lui.- Anche voi siete conosciuti?- chiese agli altri tre.
-Sono il figlio del sindaco, mi sembra ovvio.- rispose Jude.
-Io non personalmente. Cioè, la gente odia la mia famiglia in generale.- rivelò Magda.
-Sì.- disse Jos.
-Partiamo avvantaggiati allora.- concluse Heracles ridacchiando.
Magda fece un sorriso incerto: il ragazzo del 7 era un po’ troppo esuberante, forse, ma aveva un fascino che non guastava. Tuttavia non capiva se avrebbe potuto fidarsi di lui, come di tutti gli altri del resto. Jude le era molto simpatico, con quel suo modo di fare cortese, mentre di Jos e Sheridan aveva una gran soggezione. Più per il ragazzo in realtà, poiché l’altra con la sua energia le ricordava l’amica Valerie. Oh quanto avrebbe voluto poter stare un po’ con lei e Jeanne.
Sospirò, ma se ne pentì subito quando, alzando lo sguardo, incontrò gli occhi azzurri di Jos.
-C’è qualche problema?- le chiese il ragazzo.
-Loro.- rispose Sheridan al posto suo, guardando la fonte del rumore che aveva attirato l’attenzione di praticamente tutti i presenti.
 
VIII Di smorfie e sederate
Bonk!
Leo cadde atterrando proprio sulle natiche, per grande divertimento di Tess.
-Non è colpa mia! Sono queste gambe, non sono più abituato!- protestò il ragazzo cercando goffamente di tirarsi su. Le gambe artificiali donategli da Capitol City erano state una benedizione, ma non aveva ancora imparato come gestirle bene.
-Secondo me non dovevano darti neanche quelle.- commentò la ragazza freddamente.
Lui scattò in piedi più velocemente che poté e per la prima volta si mise seriamente a fronteggiare la compagna: - Senti, Theresa, ti ho già detto che mi dispiace per quello che ti ha fatto mio padre, e sai quanto mi vergogni e sia pentito per non averti aiutato! Cos’altro posso fare? Il passato non si cambia, e non sei l’unica che è uscita distrutta da quel giorno!- e così facendo indicò e gambe barcollanti.
-Oh, ma certo, tu sei quello che è uscito peggio giusto? Intanto mi sembra che tu sia in piedi ora o sbaglio? Non provare a fare la vittima!- replicò lei alzando la voce.
-Non sto cercando di…- provò Leo con più calma, ma l’altra lo interruppe.
-Taci! L’unico motivo per cui sono qui, è farti tanto male quanto tu ne hai fatto a me! Sei uno stronzo, e lo sarai sempre!- Tess stava praticamente urlando.
-Non ho detto di non avere nessuna colpa, né cerco di fare la vittima!- replicò Leo.- Tutto quello che penso è che vendicarti non ti darà alcun sollievo.-
-Non sai niente, chiaro?! Io ti odio e lo capirai presto!- urlò la ragazza stringendo i pugni.
-Theresa…- mormorò Leo, dispiaciuto, ma l’altra non lo ascoltò e riprese a scalare la rete senza più guardarlo.
Lui sospirò, poi, sentendosi osservato, si guardò intorno e vide che quasi tutti i presenti lo fissavano, chi incuriosito, chi divertito; ma si concentrò specialmente sulla ragazzina orientale dell’11 che gli indirizzò una smorfia, come a dire “Abbi pazienza”.
Leo scrollò le spalle e sorrise a Yumi, che ricambiò. Che inaspettata fortuna trovare qualcuno di gentile in quel posto crudele!

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Capitolo 19
*** Promossi con debito ***


Voto: 1. Atto con cui si manifesta la propria volontà e la propria scelta nell'eleggere qlcu. o nel decidere qlco.
              2. Numero che esprime la valutazione di merito data a un alunno o a un candidato in una prova o in un esame.
 
 
Steve Adamson: 12
Freya Keravenne: 1
-Ed ecco cosa succede ad arrampicarsi fino agli spalti degli Strateghi, eh Freya?- scattò Yarhi.
-Non vedo il problema.- sibilò lei.
-Ma Freya! Ora pochissimi saranno disposti ad allearsi con te, e ancor meno a sponsorizzarti!- esclamò Arla, l’accompagnatrice, sistemandosi nervosamente ciocche di capelli arancioni.
-E allora?- ribatté la ragazza alzandosi in piedi di scatto.- Non voglio avere alleati, né m’importa di ricevere aiuti per questi maledetti Giochi, pagati con i loro sporchi soldi.-
-Freya, se vuoi uscirne viva…- cominciò Christine ma l’altra non la lasciò finire.
-Se a voi sta bene fare i loro cuccioli sono affari vostri ma io non ne ho intenzione!-
-Freya!-
Ignorandoli, se ne andò a passo di carica verso la sua stanza. Yarhi la seguì dopo un sospiro stanco lasciando soli Christine, Arla e Steve che guardava il suo voto con aria pensierosa.
-E tu Mister Muscolo?- chiese la mentore.- Cos’hai fatto per ottenere quel numero allucinante?-
Il ragazzo scrollò le spalle senza dire una parola. Rifletteva su quel dodici e su ciò che avrebbe comportato. Aiuto, certo, ma anche molte seccature in più.
In ogni caso, concluse, doveva uscire di lì. L’aveva promesso a troppe persone oltre che a sé stesso. E ci sarebbe riuscito.
 
Jake White: 3
Yumi Namaru: 6
Punteggi medio-bassi…accettabili. Insomma, i due non arrivavano certo dal Distretto più bellicoso giusto?
Questo pensava Ribes osservando i volti dei ragazzi con a fianco quei numeri.
“E dopotutto Jake non è stato certo il peggiore. Basta guardare il ragazzo del 9.” Quando saltò fuori l’1 della ragazza dl 12 quasi urlò di gioia, salvo ricordarsi che gli sponsor non sarebbero comunque stati molto entusiasti. Ma quello, ricordò, era un problema di Tabù.
Lo guardò brevemente ma lui stava parlando con Jake che continuava a nominare “Tiresias”e una specie di profezia; Ribes alzò gli occhi al cielo, non c’era giorno che non lo nominasse.
Alla sua sinistra, Yumi stava abbracciando un cuscino come se da esso dipendesse la sua vita, ma Ribes non lo trovò strano: pareva che se non stringesse qualcosa, la ragazzina sarebbe andata fuori di testa.
Erano particolari come tributi, Jake con quell’aria sempre spaesata, Yumi indifesa in privato e sicura di sé in pubblico…
Guardò di nuovo Tabù. Erano mentori insieme da qualche anno ormai, ma non avevano mai legato, vuoi per i loro caratteri scorbutici, vuoi che essere mentori non era esattamente una scampagnata all’insegna dell’amicizia.
Si chiese se un vincitore in comune li avrebbe avvicinati, poi si ricordò che non ne avrebbero mai avuto uno: o Yumi, la sua, o Jake, di Tabù.
No, di certo gli Hunger Games non avvicinavano le persone nel bene. Ed era questa la loro arma peggiore.
 
Jack Oxen: 8
Juliette Hendorius: 6
Un gridolino eccitato annunciò a tutti le emozioni di Minda in quel momento: - Oh Jack! Sei stato così bravo!-
In risposta lui fece un sorriso appena accennato osservando il voto con una smorfia. Ce diavolo avevano in mente? Un voto del genere era decisamente accettabile e allora cosa ci faceva vicino al suo nome? Perché lo stavano favorendo?
-Anche tu non sei andata male, Juliette. Un sei è un ottimo punto di partenza.- aggiunse l’accompagnatrice con un sorriso incoraggiante.
La ragazza, però, non la sentì neanche: stava guardando Connor. Si era affezionata al burbero mentore che, lo sapeva, non si faceva neanche l’illusione di riportarla indietro, eppure continuava a provarci. Lo ammirava molto.
-Va bene.- disse infine l’uomo.- Ma vedi di fare meglio la prossima volta. Anche tu a posto Jack.-
-A posto? Jack è stato straordinario!- lo rimbeccò Minda.
Le lodi su quanto il ragazzo fosse bello, geniale, simpatico e coraggioso furono la colonna sonora di quella penultima e stancante giornata.
 
Tòbia Gonzales: 2
Amy Clayn: 9
Un grugnito, una risata. Così possiamo sintetizzare le reazioni dei due tributi del Distretto 9 dopo l’apparizione dei loro voti.
-Ora, razza d’imbecille, tu mi spieghi come hai fatto ad essere così incapace da prendere due.- annunciò Johnan.
-È come chiedersi perché la mocciosa ha preso nove. Non c’è una spiegazione coerente.- replicò quello.
-Come ti permetti brutto…- cominciò Amy scattando in piedi ma Ember la afferrò per un braccio riportandola a sedere.
-Stai buona.- la avvertì.- Sei stata molto brava ma ora dovrai stare attenta agli altri tributi, potrebbero prenderti di mira.-
-Saprò come cavarmela.- la rimbeccò lei.
-Al contrario di qualcun altro qui.- aggiunse Johnan.
-Senti rompicazzo i fatti tuoi proprio non te li sai fare?- ribatté Tòbia.
-Vorrei ma per mia sfortuna succede che io sia incaricato di farmi i tuoi, Tobìa.-
-È Tòbia razza d’imbecille! Te l’ho già detto.-
-Basta!- urlò Ember.- Dopodomani è l’ultimo giorno e voi fate i ragazzini! Concentratevi piuttosto!-
Detto questo si gettò sul divano e non pronunciò più una sola parola per tutto il resto della serata.
 
Joseph King: 9
Moon Midknife:7
Jos fece schioccare la lingua, soddisfatto. Un 9 era decisamente un voto alla sua altezza. Anche gli altri della sua alleanza avevano ottenuto buoni punteggi, ma non alti quanto il suo.
Mancava un solo giorno all’arena, prima del quale ci sarebbero state le interviste. Nessun problema in quello: affascinare gli riusciva generalmente facile.
Accanto a lui, Moon si rilassò visibilmente. E lei che credeva di aver fatto un disastro! Fortunatamente, a quanto pareva, gli Strateghi avevano apprezzato la sua esibizione; sempre che, in quel caso, di fortuna si potesse parlare.
Ghris le indirizzò un sorriso stanco. Non era un gran voto, il suo, ma ci si poteva comunque lavorare. Se solo si fosse alleata con Joseph! A lui gli sponsor non mancavano di certo, Laura gliel’aveva confermato.
Non importava, comunque. Moon sarebbe tornata a casa: lo doveva a Zaira, e anche a Kendra, la madre della ragazza, sua vecchia amica.
Promise a se stesso che quei grandi occhi azzurri non avrebbero smesso di brillare.
 
Heracles Dechantes: 5
Sheridan Ardor: 8
-Cinque? Cinque?- esclamò Heracles inorridito.
-Sì, è un numero sai? Viene prima del sei e dopo il quattro.- replicò Sheridan.
-Ci deve essere un errore. Chiaramente questo era il tuo voto.- asserì il ragazzo guardando la compagna di Distretto.
-Scusami?-
-Stop! Non cominciate a farvi male.- li ammonì Arya.- Non ve lo potete permettere ora.-
-E allora fai capire a questo idiota che non è infallibile!-
-Ehi!-
-Smettetela immediatamente.- sibilò Alec.
Dava così pochi ordini, quel ragazzo, che gli altri tre si voltarono subito a guardarlo, sbigottiti.
- Heracles, quel voto non è indicativo. Sheridan, sai di essere in gamba, non farti condizionare da lui. E non fate i bambini.- aggiunse dopo un momento.- Lì dentro avrete più che mai bisogno di essere adulti.-
 
Jude Auburnson: 6
Magda Montheit: 8
Un applauso contenuto partì da Jude per poi estendersi anche a Gertrud, in modo molto più entusiastico.
Magda arrossì, imbarazzata come al solito dalla bizzarra accompagnatrice, e cercò aiuto in Caleb che le diede una pacca sulla spalla: - E brava Magda!- esclamò.
-Grazie.- mormorò lei, poi si rivolse al compagno: - E anche tu Jude…-
-No, niente compassione per favore.- la interruppe lui.- Un sei è un voto rispettabile, anche se inferiore alle mie aspettative.- si alzò in piedi e si congedò: - Ora devo riflettere da solo. Buona notte a tutti.-
Gli occhi di tutti volarono verso Connie che scrollò le spalle: - Lasciatelo fare, sa badare a se stesso. Forse è un po’ deluso ma non ci possiamo fare niente. E in fondo fa bene ad andare a riposare, dovresti andarci anche tu.- disse indicando Magda. Poi sorrise: - Non che voglia prendere il posto di Caleb, chiaro.-
 
Skeet Larmor: 7
Raen Hikari: 8
-Be’, bravi entrambi devo dire. Vero Tim?- chiese Solar dando di gomito all’altro mentore, impegnato a controllare il terribile stato delle sue unghie, doveva proprio fare una ramanzina ai suoi preparatori.
-Eh? Ah, sì, sì.- disse senza guardarli.
Skeet non li stava ascoltando. Dopo aver stretto energicamente la mano a Raen, si era ritirato in un angolo della stanza a compiere una specie di danza della vittoria accompagnata da strani versi che alcuni avrebbero potuto definire “canto”.
-E smettila! Lei ha fatto più punti di te!- esclamò Solar, stufa.
-Ma io sono stato migliore di molti altri.- replicò lui con un sorriso tutto denti.
-Sì ma…-
-Non sono indicativi i voti, giusto?- s’intromise Raen, riflettendo.
Solar attese per capire se Tim le avrebbe risposto, ma poiché seguì solo il silenzio, disse: - No, non lo sono. Ma possono essere importanti per le alleanze e gli sponsor. Un 8 è un buon punto di…-
-Non ho chiesto del mio voto in particolare.- la interruppe la ragazza tornando a contemplare lo schermo.
La mentore si guardò intorno: fra Tim che si appuntava migliorie sui suoi capelli, Skeet che imperterrito continuava a cantare come un uomo agonizzante e Raen persa nei suoi pensieri, la donna capì che quell’anno sarebbe stato sfiancante. Molto sfiancante.
 
Leonid Sapphiri: 8
Theresa Boris: 10
-Ah, beh, Leonid! Hai imparato a camminare eh?- commentò Tess.
Leo alzò gli occhi al cielo ma non disse nulla: finalmente la compagna aveva deciso di non odiarlo alla follia, e poteva sopportare qualche battuta sarcastica. D’altra parte doveva ammettere che anche lui era sorpreso.
Sacha grugnì in segno di approvazione – o almeno così sembrò a Leo – dopodichè cominciò a redarguire Tessa riguardo a ogni tipo di pericolo o vantaggio che poteva derivare dal suo voto.
A Leo, Sacha era simpatico, ma a volte lo trovava un po’ troppo iperprotettivo verso la ragazza che quella sera però sembrava molto più accomodante del solito- perlomeno non gli stava tirando addosso la minestra.
Almeno lui si preoccupava. Leo si chiedeva spesso chi avesse avuto la strana idea di scegliere Pearl come mentore; non sapeva proprio come prenderla.
Cioè, sì, gli dava dei consigli ma erano sempre…particolari. In più era terribilmente depressa, anche se non lo dava a vedere. Leo era bravo a capire le persone.
A diciannove anni si poteva davvero essere così devastati? Sì. A Panem sì.
 
Shade Davey: 9
Tanisha Luz: 7
Emma diede il cinque a Tanisha: - E brava ragazza! Te l’avevo detto che c’eri riuscita!-
La ragazza le sorrise: nel poco tempo che avevano passato insieme, lei e la mentore avevano stretto una forte amicizia, forse dettata dal fatto che erano quasi agli opposti per quanto riguardava il carattere.
-Sei contento, Shade?- chiese al suo compagno.
-Chiaro, è un gran voto.- rispose lui annuendo.- Complimenti anche a te.-
Tanisha gli sorrise, salvo pentirsene subito dopo. Doveva smettere di trovare simpatici gli altri tributi o sarebbe finita male. Sarebbe finita come Lavinia.
Eppure era così difficile guardare con distacco persone come Moon, o Skeet, o lo stesso Shade. Doveva riuscire a rimanere concentrata.
-Che ne dite ragazzi di andare a dormire? Domani vi aspetta una giornata faticosa.- propose Axel.
-Nah! Troppo presto! Mica sono dei bimbi!- replicò Emma incrociando le braccia.
-Hanno bisogno di energie.-
-Dormiranno domani!-
-Ma che cosa vuoi fare? Festeggiare?- scattò Axel irritato.
-Certo.- replicò Emma.
-Come?- chiesero gli altri tre sconvolti.
-E che cosa vorresti festeggiare? Gli Hunger Games?- chiese Shade.
-No, sciocchi! Il fatto che siate vivi!-
 
Ian Stoner: 9
Alexa Prior: 10
Alexa dovette compiere un grande sforzo per non cominciare a ridere come una pazza: aveva preso 10! Era stata più brava di quel colosso che era il suo compagno di Distretto! Ora tutti avrebbero dovuto riconoscere il suo valore!
Gongolò in silenzio mentre Edween annuiva lentamente: un 10 era davvero buono, forse avrebbe portato indietro anche quella ragazzina. I tributi erano diventati una sfida per lei, riportarli a casa era la sua vittoria, e lei adorava vincere. Da molto tempo aveva dimenticato che i ragazzi non giocavano per lei.
Klaus, al contrario, era preoccupato. Un 9 era parecchio e avrebbe potuto esaltare troppo Ian. Il ragazzo, lui l’aveva capito, sotto l’apparenza gelida nascondeva una grossa fiducia in se stesso; forse addirittura troppa.
E infatti un accenno di sorriso aveva attraversato il volto di Ian alla vista del voto, cancellato istantaneamente quando era apparso che Alexa aveva fatto meglio di lui.
Ora la stava squadrando con attenzione e, Klaus avrebbe potuto giurarlo, una punta d’odio. Avrebbe voluto avvertire la ragazzina, ma aveva giurato di aiutare Ian; e comunque almeno uno di loro sarebbe sicuramente morto.
Si chiese quale.
 
Jesse Klanders: 10
Elle Evans: 7
10…uno in più di Laser. Una possibilità in più di portare a termine il suo compito, pensò Jesse con un lieve sorriso sulle labbra. Gli Strateghi erano rimasti colpiti allora. Bene! Non avrebbero cominciato a divertirsi da lui.
Comunque non doveva distrarsi: ora tutti conoscevano le sue potenzialità e sarebbe stato un bersaglio, non come Elle. In effetti si chiese come diavolo avesse fatto quella specie di manichino ad arrivare addirittura a 7!
-Ehm, Elle?-
La ragazza gli restituì uno sguardo vagamente interrogativo, e Jesse continuò: - Cos’hai fatto esattamente alla sessione individuale?-
Lei tornò a guardare lo schermo per qualche momento, poi rispose: - Delle cose.-
Se fosse stato il primo giorno, il ragazzo avrebbe cercato di capire di più; ormai però l’aveva più o meno capita e sapeva che non avrebbe detto più di così. Chiaramente saperlo non la rendeva più simpatica.
In quel momento Cherry tornò dal bagno, portando-non ci è dato sapere perché- un vassoio di sandwich e si sedette di fianco a Jesse, masticando lentamente.
-Bravo.- disse infine.
-Grazie. Marsh?-
-È uscito.-
Il ragazzo non fece domande neanche a lei. Aveva un certo rispetto per la donna e sapeva che se avesse voluto dire di più l’avrebbe fatto subito.
Elle non sembrò turbata per l’assenza del suo mentore; non che qualche volta dimostrasse delle emozioni.
A parte…Jesse, dentro di sé, ghignò. Il giorno prima aveva visto una scenetta interessante che coinvolgeva la rossa, e non vedeva l’ora di volgere questa conoscenza a suo vantaggio.
 
Angolo di Loony
Eccoci! Passato un po’ di tempo ne’? Oh beh, perlomeno ci siamo. Quuuindi ecco a voi i mentori, li riconoscete? E se qualcuno scopre di non aver deciso il voto sappia che io i messaggi d’avviso li avevo mandati.
Loony
P.S.
Perché si parte dal 12? Perché avevo voglia.

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