Le note dell'animo

di Graine
(/viewuser.php?uid=97583)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Così sua ***
Capitolo 2: *** Bianco sporco e freddo ***
Capitolo 3: *** L’essenza della sua disperazione ***
Capitolo 4: *** Le cose ora erano diverse ***



Capitolo 1
*** Così sua ***


Nick su EFP: Graine
Nick sul forum: Graine_EFP
Titolo: Le note dell'animo


Angolo Autrice:
Piccola premessa e poi vi lascio alla lettura.
Questa piccola raccolta - già terminata e di quattro racconti - è nata grazie a un brano musicale (qui il link dal tubo: https://www.youtube.com/watch?v=QIvaZwkiA3E ) che non solo l'ha ispirata, ma ne è anche, in un certo senso, il vero protagonista. Capirete più avanti perché. Quello che vi chiedo, pertanto, è di ascoltarlo durante la lettura. Anche perché buona parte dell'atmosfera la fa lui xD
Ultima cosa: questo primo racconto è ambientato nella Francia di metà/fine '800.





 
Le note dell’animo
 
Così sua
 
Da quanto tempo stava ballando?
Non lo sapeva, non se ne ricordava. Non aveva nemmeno più memoria di quando aveva iniziato.
La musica.
Era così angosciante, così dolorosa, eppure così dolce… così sua.
Lo era stata dal primo istante.
L’aveva percepita per caso, senza sapere nemmeno come, in mezzo ai vivaci brani eseguiti dall’orchestra, e, subito, essa aveva riempito ogni cosa.
Quella musica l’aveva capita.
Si sentiva a disagio in mezzo alla folla e detestava quelle feste, trascorrere serate intere circondata dall’alta società di Parigi. Sua madre lo sapeva ma l’aveva trascinata lì ugualmente, per l’ennesima volta. Avrebbe compiuto il proprio destino sposando un giovane e ricco rampollo.
Tutto ciò la disgustava, odiava che sua madre la trattasse a quel modo; odiava vedere gli sguardi lascivi degli invitati che studiavano le forme del suo vestito troppo stretto; odiava sentirsi come un capo di bestiame offerto al miglior offerente durante una fiera.
E poi aveva sentito la musica.
Oh, quella musica l’aveva salvata. Dal primo istante in cui ne aveva percepito le note, si era sentita… capita per la prima volta nella sua vita.
Erano stati solo pochi istanti e subito aveva afferrato le gonne e si era fatta strada tra gli invitati, via dal ballo e da sua madre, lontano da tutti, diretta al luogo dove quella splendida e commovente melodia veniva eseguita. Come se quel carezzevole pianoforte e quell’angosciante violino la chiamassero a sé.
Aveva percorso quasi correndo i lunghi corridoi e le scalinate, salendo per diversi piani dell’edificio; aveva vagato quasi disperata per le stanze, senza mai trovare la causa e – ne era certa – al contempo cura dell’improvvisa follia di cui era diventata vittima. A ogni passo, la musica si era fatta via via più nitida, eppure non era riuscita a capire da dove essa provenisse con esattezza. Poi, di colpo, una porta aveva attirato la sua attenzione.
Era stata la musica a dirglielo.
Un lieve variare delle sue note e così era entrata; oltre la soglia, un’altra sala da ballo, più piccola e circondata da pareti a specchio, deserta e immersa nell’oscurità, fatta eccezione per un tenue bagliore dorato di cui, come per la melodia, non era in grado di identificare la fonte.
Era lì… era da lì che proveniva la musica.
Eppure, lì non vi era nessuno.
Si era avvicinata agli specchi, studiando, nell’ombra, la propria immagine, poi, inspiegabilmente, aveva chiuso gli occhi e iniziato a danzare. Da sola, in silenzio, girando su se stessa e seguendo i passi di un valzer delicato e tormentato quanto la musica.
Da quanto tempo stava ballando?
Non lo sapeva, non se ne ricordava. Non aveva nemmeno più memoria di quando aveva iniziato.
Non aveva più idea di nulla che riguardasse il resto del mondo fuori dalla sala con gli specchi. Tutto ciò che contava era la musica e tutto ciò che le interessava era continuare a danzare sulle sue note.
Un paio di volte aveva schiuso le palpebre, desiderosa di vedersi riflessa mentre ballava, e le era sembrato di scorgere qualcosa nell’oscurità, un luccichio diverso, come due occhi rossi che la guardassero nel buio, seguendo i suoi movimenti folli e misurati. Eppure, lei richiudeva tranquilla le palpebre ogni volta.
Altre ancora, le era sembrato di sentire dita gentili carezzarle il volto, polpastrelli delicati che le sfioravano il collo, scendevano sulle spalle, lungo la schiena; mani che le lambivano con gentilezza i fianchi e la sollevavano in piroette leggiadre.
Perché non ne era spaventata? Perché non cercava di sottrarsi, impaurita, a quei tocchi? Di scappare via terrorizzata?
Non lo sapeva.
Non le importava.
Tutto ciò che contava era la musica.
«Sei stanca, non è così?», le chiese una voce alle sue spalle, un sussurro al suo orecchio, mentre braccia gentili la cingevano.
, rispose la sua mente.
Era stanca, se ne accorse di colpo. Come se la stanchezza di tutta una vita l’avesse raggiunta in un istante.
«Allora dormi», le sussurrò ancora la voce. «Non hai più motivo di resistere. Puoi riposare, ora».
Sì, riposerò finalmente…
Qualcosa di morbido le sfiorò le labbra in un tenero bacio. Reclinò indietro il capo, abbandonandosi del tutto al petto che la sorreggeva e al bacio, sentendo le forze lasciarla.
E finalmente riposò.
 
 
 
 
 
 
 
  
Angolo Autrice:
Salve, gente! Sì, rieccomi qui a rompervi le balle xD
Innanzitutto, come già anticipato nell'introduzione, questa raccolta è nata per partecipare al Mini-Contest di Halloween di Jo_gio17 sul forum del sito. La tematica del contest è, appunto, Halloween, o comunque la sua atmosfera di terrore e mistero. Più che sulla prima - in tutta sincerità non so se sono riuscita a mettere paura, ne dubito, soprattutto in questo primo racconto - ho puntato su un'atmosfera di inquietudine e disperazione. Sono tante le cose che possono mettere paura e per i più svariati motivi; ognuno possiede una soglia di tolleranza più o meno sensibile a determinate cose, ecco, quindi, il perché della mia scelta.
La protagonista di questa prima OS si sente ingabbiata in una vita di cui non possiede il controllo, per via di sua madre e delle convenzioni sociali a cui ci si aspetta si adegui. Questa atmosfera "più lieve e delicata", che, insomma, non mette poi così tanta paura, è voluta; il mio intento, con le successive OS, è quello di creare un effetto climax, in cui gli elementi inquietanti e disturbanti aumenteranno di volta in volta per culminare nel racconto finale.
Infine, volevo approfittare di questo spazio per segnalarvi un'autrice che, per quanto mi riguarda, merita tantissimo: la mia tesssssoro MusicDanceRomance, attiva principalmente nel fandom di HP, e che oltre a essere talentuosa è anche una perla di persona (splendore, tu mi fai sempre pubblicità, mi sembrava giusto ricambiare! xD). Qualche giorno fa ha pubblicato una OS splendida (qui il link, fateci un salto: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2236905&i=1 ) e già solo questa vi basta per notare che la sua attenzione va soprattutto verso i personaggi meno noti (Regulus, in questo caso) della saga. Una cosa per cui io vado matta, tra l'altro! Se poi voleste leggere una sua perla, questa sarà senza dubbio Quando viene dicembre ( http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=914015&i=1 ), che non smetterò mai di lodare e amare!
Detto ciò, a tutti un bacio (tesssssoro mio, a te tanti!) e al prossimo aggiornamento.

Graine

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Bianco sporco e freddo ***


Vi ricordo, anche qui, il link del brano musicale (lo stesso dello scorso racconto): https://www.youtube.com/watch?v=QIvaZwkiA3E 
Buona lettura!




 
Bianco sporco e freddo
 
Non era pazza.
Glielo aveva detto, ripetuto, urlato, lo faceva di continuo, ma loro non l’ascoltavano.
Lei non era pazza e non aveva motivo di stare lì, in quel covo di folli e assassini. Perché nessuno voleva crederle?
Era così stanca, non poteva più continuare a quel modo, avrebbe sul serio perso il senno se l’avessero lasciata lì dentro ancora a lungo.
Perché nessuno della sua famiglia era venuto a cercarla?
Che Richard li avesse minacciati? Che li avesse costretti a dimenticarsi di lei? Se così era, allora non aveva davvero più speranze di uscire; se c’era una cosa in cui suo marito era degno di fede era nel mettere in pratica le minacce. Dopotutto, era stato lui a farla rinchiudere in manicomio.
Ancora faticava a credere che gli fosse risultato così semplice. Possibile che persino la polizia fosse tanto manipolabile?
E quella povera ragazza…
Dio, non avrebbe mai più dimenticato l’orribile scena che le si era parata davanti nel momento in cui aveva aperto la porta della camera da letto. Tutto quel sangue… e quegli occhi, Dio, il terrore che la morte aveva cristallizzato nelle sue iridi spente!
Come aveva potuto Richard arrivare a tanto?
«Gelosia, signore. L’assassina credeva che la cameriera e il marito avessero una relazione, così ha ucciso la ragazza».
Era questo che aveva sentito dire ai poliziotti e con questa spiegazione essi avevano chiuso un caso che, ne era certa, grazie al denaro di suo marito non era stato realmente mai aperto.
Il processo era stato una farsa e la condanna emessa con una rapidità sorprendente. Adesso, lei si trovava rinchiusa in quell’inferno. Se l’avessero condannata alla prigione avrebbe almeno potuto confidare in un appello, ma non c’era ricorso per la follia.
Lei, però, doveva uscire, doveva tornare da Eva; così piccola, così indifesa, non poteva permettere che restasse in balia di quel mostro.
«La prego, dica al Dr. Cook che ho bisogno di parlargli!», supplicava ogni giorno gli infermieri quando entravano nella sua stanza con il pranzo o la cena.
«Il dottore oggi è impegnato, signora. Forse domani», le rispondevano puntualmente.
«Voi non capite, io sono innocente! Devo uscire da qui, devo tornare da mia figlia!».
«Non deve preoccuparsi per Eva, signora Miller, ha il padre a prendersene cura».
Ogni giorno lo stesso scambio di battute.
Finché, una sera, qualcosa cambiò; non era più riuscita a tollerare il disinteresse con cui l’infermiere di turno si beffava di lei e lo aveva aggredito, gettandogli il brodo bollente addosso. Così l’avevano messa in isolamento.
Quella stanza dalle pareti imbottite, di un bianco sporco e freddo, priva di finestre, era persino peggio della precedente. E il silenzio, Dio, quasi rimpiangeva le urla degli altri internati; prima, almeno, aveva ancora la sensazione di far parte di un piccolo residuo di mondo.
Disperata, chiamava di continuo chiunque la udisse, ma nessuno l’ascoltava. La ignoravano come facevano col resto dei pazienti.
Esausta, ora era seduta sul pavimento freddo, le mani fra i capelli. L’aspetto sudicio di quella stanza vuota la logorava.
Sarebbe morta, lì dentro, lo sapeva.
No, sarebbe impazzita sul serio.
Poi, qualcosa catturò la sua attenzione e lei sollevò il capo. Era una melodia.
Non riusciva a immaginare che qualcuno, in quel luogo, fosse capace di una cosa simile, ma di chiunque si trattasse, gliene era grata. C’era qualcosa, in quelle note così disperate e struggenti, che la faceva sentire meglio; come se le leggessero dentro, esprimessero le sue emozione e, al contempo, le placassero. Alla fine, su quelle note si addormentò.
Da quel giorno, sembrava essersi calmata. Non urlava più, non chiedeva più del dottore. Trascorreva la maggior parte del tempo immersa in un sonno privo di sogni e quando era sveglia si sentiva talmente esausta da rasentare l’incoscienza. Eppure, era certa di aver scorto più volte qualcosa, agli angoli della stanza; dei movimenti, degli strani scintillii rossi, quasi… degli occhi.
«Potrebbe dirmi chi sta suonando questa splendida melodia?», sussurrò una mattina a un infermiere. «Vorrei ringraziarli».
«Lo farò io», le rispose quello e uscì prima che lei si riaddormentasse di nuovo.
«Chiede ancora del Dr. Cook?».
«No, ora dice di sentire della musica».
«Se li lasciassimo andare ogni volta che giurano di non essere pazzi!».
Ore dopo, rientrando nella cella di isolamento, l’infermiere lasciò cadere il vassoio e urlò terrorizzato, reprimendo a stento la nausea.
La paziente giaceva morta sul pavimento, il suo corpo di giovane donna avvizzito come quello di una mummia.
 





Angolo Autrice:
Rieccomi qui col secondo racconto.
Come già accennato la scorsa volta, ho cercato di aumentare gli elementi disturbanti e inquietanti in ognuno dei racconti, in modo che il successivo "spaventi" più dei precedenti. Ci sarò riuscita? xD non lo so, spero di sì.
Personalmente trovo l'ambientazione di questa storia la più terrificante; l'idea di finire chiusa in manicomio, per di più senza un disturbo che lo giustifichi, mi fa mancare l'aria. E lo stesso accade alla protagonista. Rispetto alla precedente, lei non si sente semplicemente ingabbiata in una vita che vorrebbe diversa, la sua libertà le è stata letteralmente strappata via e la sua, di prigione, è fisica, non solo psicologica o emotiva.
Ovviamente, anche qui a salvarla c'è una misteriosa melodia che, a quanto sembra, solo lei è in caso di sentire. Coincidenza? Be', io nelle coincidenze non credo - per di più sono l'autrice, quindi so perfettamente che ogni cosa è voluta e ha uno scopo! xD -, ma la cosa più importante da chiedersi è... la salvezza offerta è realmente tale? 

Graine

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** L’essenza della sua disperazione ***


Siate pazienti, è l'ultima volta che vi rompo xD qui di nuovo il link del brano musicale, sempre lo stesso: https://www.youtube.com/watch?v=QIvaZwkiA3E 
Buona lettura!




L’essenza della sua disperazione
 
 
Tese l’orecchio ascoltando il rumore dei passi, la portiera dell’auto aperta e poi richiusa; il rombo del motore e i copertoni che grattavano sulla ghiaia facendo manovra, mentre la luce dei fari penetrava la coltre opaca di sporco del vetro della stretta finestrella dello scantinato e poi, finalmente, il pick-up prese il sentiero e si allontanò.
Era il momento.
Sollevò il maglione rivelando il coltello da tavola che aveva nascosto nei jeans, in un momento in cui lui non guardava. Inserì la lama nella serratura della catena alla caviglia e l’agitò facendo pressione finché, finalmente, quella si aprì.
Subito scattò verso la piccola finestra; buttò a terra alcuni degli scatoloni che ingombravano il tavolo e vi poggiò sopra lo sgabello, così da usarlo come scala. Quello, che aveva uno dei piedi leggermente più corti, traballò un poco quando vi salì, ma lei non se ne curò. La finestrella era grande abbastanza per passarvi attraverso, se solo fosse riuscita ad aprirla, ma era bloccata, così dovette spingere con entrambe le mani e tutta la forza che aveva per spalancarla.
Quando si lasciò cadere sulla schiena dopo essersi trascinata fuori dallo scantinato artigliando con le dita il terreno, vide la luna e le stelle per la prima volta in quegli ultimi otto mesi.
Ce l’aveva fatta, era libera.
Aveva pianificato tutto nell’istante in cui aveva visto la data sul calendario, intuendo che, tra meno di una settimana, Wayne sarebbe andato in città come d’abitudine, lasciandola da sola, incatenata nella cantina chiusa a chiave, per due interi giorni.
Era passato quasi un anno dal giorno in cui l’aveva rapita, una mattina in cui era andata a correre, ma adesso era finalmente libera.
Si tirò in piedi e corse verso gli alberi mentre l’aria fredda di fine ottobre le sferzava il viso. Non aveva idea di quale direzione prendere, non sapeva nemmeno dove si trovasse, ma mantenendosi parallela al sentiero e nascosta nella boscaglia sarebbe arrivata alla strada e, da lì, sperava, in un giorno o due, alla prima città vicina.
Camminò per ore, a tratti correndo, finché non perse la cognizione del tempo, ma dal buio opprimente dedusse che l’alba era ancora lontana. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era allontanarsi il più possibile dalla sua prigione.
Terrorizzata all’idea che Wayne fosse tornato indietro e, accortosi della sua fuga, ora la stesse cercando, ascoltava ossessivamente i suoni di quella notte fredda: il verso di un gufo, l’ululare di un lupo, il rombo di tuoni lontani che annunciavano l’avvicinarsi di un temporale.
Poi qualcosa la fece fermare di colpo, tanto improvvisamente che inciampò e cadde a terra, sbucciandosi i palmi con cui aveva tentato di attutire la caduta.
Un brivido di terrore le corse lungo le membra, mentre si chiedeva se non avesse sentito male.
Della musica.
Sembrava un brano di musica classica, una melodia di violino e pianoforte, un suono decisamente fuori luogo in un bosco, a meno che non giungesse dalla radio di un’auto, eppure non era quella prospettiva a incuterle timore.
Scattò di nuovo in piedi e corse più veloce che poteva.
Conosceva quel brano.
L’aveva sentito tante volte in quei mesi, ogni giorno, a ripetizione; tutte le volte che lui l’aveva picchiata, baciata, toccata. Non sapeva da dove venisse, non c’erano radio in casa, ma la sentiva sempre.
Odiava quella musica.
Con tutta se stessa.
Era l’essenza di tutto ciò che aveva patito, della sua disperazione.
«Sei la prima a pensarla così».
Una voce giunse improvvisamente alle sue spalle. Cadde e il terrore fu tale da privarla della forza di urlare.
Davanti a lei c’era un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi di un innaturale rosso rubino. La fissava immobile e con sguardo gentile, ma, benché fosse buio, lei lo comprese immediatamente: non c’era nulla di umano in lui.
«Così come?», gli domandò, senza sapere dove avesse trovato la voce per farlo.
«Tu odi la mia musica. Gli altri le sono sempre stati grati». Il ragazzo piegò la testa di lato. «Eppure puoi sentirla», riprese. «Questo significa che anche tu, in realtà, desideri morire».
«No, non è vero», rispose la ragazza, arretrando.
«Smettila di resistere e lascia che ti aiuti».
«Non voglio il tuo aiuto», ribatté lei con rabbia, ma quando fece per alzarsi il terreno le franò sotto i piedi. Cadde giù in una scarpata di cui non aveva visto il bordo e quando, finalmente, smise di scivolare, il dolore alle gambe le fece capire che erano rotte.
«Ti prometto che finirà presto».
La voce del ragazzo era incredibilmente dolce al suo orecchio.
Sollevò a fatica le palpebre e lo vide piegarsi su di lei e, infine, baciarla con delicatezza. E mentre la vita l’abbandonava, tutto ciò a cui riusciva a pensare era che non voleva morire.
 
 
 
FINE




Angolo Autrice:
Innanzitutto mi scuso per il ritardo, avevo detto che avrei postato l'11 ma da me c'è stato brutto tempo e al mio collegamento internet basta un po' di vento per frullarmi le balle e sparire dalla circolazione.
Fatta questa premessa, posso finalmente dire che la raccolta è arrivata alla sua conclusione.
OcchiRossi, come ho amorevolmente e con estrema fantasia ribattezzato la creatura, non è poi questo gran stinco di santo che può sembrare. Per rispondere alla domanda sulla sua identità - perché comunque dalla riccoltà si può forse intuire, ma nulla di più - nel mio immaginario è una sorta di vampiro energetico, una creatura che si alimenta dell'energia vitale delle persone, risucchiandola via con un bacio con cui trasforma le sue vittime in prughe secche e che possiede una predilezione per la sofferenza umana. Le mie protagoniste sono tutte donne, ma in realtà le vittime possono essere anche uomini, come si nota dal terzo racconto, in cui OcchiRossi si ciba anche del padre, altra anima dolente. Il fatto che la sua musica possa essere udita solo da chi desidera morire è relativo, come si capisce da questo quarto e ultimo racconto; in realtà si tratta di un mero pretesto. L'ultima fanciulla, pur sentendola, non desiderava affatto morire, ma lui se n'è nutrito ugualmente, approfittando del fatto che, con le gambe ormai spezzate e sola in mezzo al nulla, non avrebbe comunque avuto scampo.
Mia sorella si è lamentata molto per questo finale, sperava in un minimo di happy ending xD ma non avrebbe mai potuto esserci (anche perché il contest prevedeva storie del terrore e quale storia degna di questo nome finisce bene?!).
Sarò sincera: sono molto contenta di questi racconti, non lo dico spesso, ma stavolta sì. Mi sono divertita scrivendoli, la musica è stata una vera musa ispiratrice e poi, cosa per cui sono ancora intontita e assolutamente felicissima, ho vinto il contest per cui li avevo scritti xD è stata una sorpresa splendida e ci tengo a ringraziare ancora una volta Jo_gio17 sia per aver indetto il contest che per le splendide parole del suo giudizio che mi hanno emozionata davvero tanto.
Un altro, grandissimo grazie va al mio tessssoro MusicDanceRomance, la quale già l'altro ieri si è lamentata per il mio ritardo (è strano se dico che è stato tenerissimo? xD) e che è sempre pronta a leggere ogni cosa io scriva. Tantissimo ammmmore a te! 
Grazie anche tutti coloro che hanno letto silenziosamente e a HelenMZ (non vedo l'ora di sapere che ne pensi!) e a quell'altro tesoro di sawadee (è sempre emozionante quando apprezzi ciò che scrivo =) ) per aver recensito.
Un bacio e spero di ritrovarvi coi prossimi racconti che posterò (e potrebbe avvenire prima di quanto crediate...).

Graine

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Le cose ora erano diverse ***


Di nuovo, vi ricordo il link del brano musicale, sempre lo stesso per tutti i racconti, augurandomi che lo ascoltiate anche questa volta: https://www.youtube.com/watch?v=QIvaZwkiA3E 
Buona lettura!




Le cose ora erano diverse
 
«Fammi entrare, tesoro».
Guardava il legno bianco della porta con un misto di disperazione e rassegnazione, le braccia strette attorno alle ginocchia portate al petto, mentre si dondolava sul letto come faceva sempre da bambina dopo essersi svegliata da un brutto incubo; ma per quanto lo desiderasse, quello non era un incubo e quella misera barriera non lo avrebbe tenuto lontano ancora per molto.
«Andiamo, Katy, apri la porta», la invitò ancora suo padre, con quel tono fintamente garbato che mal celava la rabbia che in realtà provava.
Poi un tonfo inconfondibile, il pugno che cozzava con violenza sul legno, e lei si portò immediatamente le mani a coprire le orecchie, dondolando ancora più velocemente.
«Ho detto apri questa maledetta porta, dannazione!», le urlò l’uomo battendo ancora le mani sul legno e scuotendo furiosamente il pomello; sfogando solo superficialmente una rabbia ben più profonda di quella causata da una porta chiusa in faccia.
«Vedrai quello che ti farò quando entrerò, brutta puttanella! Sei identica a tua madre!».
Katy strinse le dita fra i capelli e aumentò la pressione delle mani sulle orecchie, nel tentativo di attutire il più possibile il suono delle urla e dei colpi.
Non ce la faceva più, desiderava solo che la smettesse.
Desiderava solo che tutto finisse.
Suo padre si era addormentato ubriaco davanti alla televisione per l’ennesima volta e quando lei era rientrata e lo aveva trovato afflosciato sulla poltrona, si era fatta largo tra le bottiglie di birra vuote e aveva tentato di svegliarlo per convincerlo ad andare a letto.
Nemmeno sapeva perché lo aveva fatto: lo detestava. Con tutta se stessa.
Lo detestava per tutte le volte che le aveva fatto del male, per tutte le volte che l’aveva picchiata e umiliata. Quindi perché continuava a ripetere idiozie di quel tipo? Forse perché non era sempre stato così, non quando sua madre era ancora viva, almeno. Ma da quando lei era morta, era cambiato tutto.
Quella sera, trovandolo in poltrona, al suo rientro, si era ricordata di sua madre e del modo in cui lo accompagnava in camera ogni volta che, puntualmente, lui si addormentava davanti al film che avevano deciso di guardare tutti insieme, quando lei era piccola.
Le cose, però, ora erano diverse.
Dopo che era riuscita a farlo alzare, suo padre le si era praticamente accasciato addosso e quando finalmente aveva aperto gli occhi annebbiati dall’alcol, l’aveva scambiata per sua madre.
«Sally».
«No, papà, sono io, Katy».
«Oh, è vero, sei Katy», aveva biascicato lui, la bocca impastata dal sonno e dall’ubriachezza. «È che le somigli così tanto», aveva aggiunto guardandola in modo strano, come se, nonostante tutto, quella che aveva davanti non fosse davvero sua figlia. «Le somigli ogni giorno di più», e aveva avvicinato il viso al suo, come per baciarla. A quel punto lei si era spaventata ed era scappata in camera, sbarrando a chiave la porta.
Suo padre le urlò altri insulti e lei strinse ancora di più le mani sulle orecchie.
Non ce la faceva più.
Desiderava solo che tutto finisse.
Finché il suo udito non afferrò un suono diverso, nuovo, e lei smise di dondolarsi. Sollevò il viso e guardò verso la finestra aperta.
Violino e pianoforte.
Da dove provenivano? Era la prima volta che li sentiva, nel vicinato nessuno suonava uno strumento, né, tantomeno, sarebbe stato in grado di eseguire una melodia come quella.
Chiuse allora gli occhi, come per ascoltarla meglio. E in quel momento capì.
La melodia parlava di lei.
Era certa di non aver ascoltato nulla di più bello e struggente in vita sua; nulla di così dolente e rilassante allo stesso tempo. E di colpo dimenticò suo padre e le sue urla e i colpi contro la porta.
Quella musica era tutto ciò che contava.
«Posso aiutarti a farlo cessare, se lo desideri», le sussurrò dolcemente una voce.
Sì, ti prego… Non posso più sopportarlo.
 
*****
 
Quando finalmente la serratura cedette e lui riuscì a entrare nella stanza, in un primo momento ebbe la sensazione che sua figlia dormisse. Strizzando, però, gli occhi percepì qualcosa di innaturale nella sua postura e, benché ancora ubriaco, l’intuito lo spinse a girare l’interruttore accanto alla porta.
Perse così l’equilibrio e cadde a terra, arretrando goffamente fino alla parete del corridoio con gli occhi sbarrati: quella sul letto non era Katy, ma il cadavere di una vecchia dalle guance incavate e i capelli bianchi.
«Non si preoccupi», disse una voce assurdamente gentile. «L’aiuterò come ho fatto con lei».
Subito, due occhi rossi furono su di lui.





Angolo Autrice:
Rieccomi qui con il terzo racconto della raccolta.
Se lo scorso, a parer mio, era il più angosciante per via dell'ambientazione, questo credo sia il più triste. E il senso di angoscia che ho cercato di tramettere nella raccolta, qui è determinato proprio da questa tristezza.
Stavolta siamo tornati a una prigione emotiva, come nel primo racconto; al contrario di quest'ultimo, però, la vita della protagonista non è sempre stata così soffocante, ma lo è diventata, si è trasformata in prigione di colpo, in maniera traumatica e permanente.
Spero di essere riuscita nel trasmettere tutto ciò. E spero di stare riuscendo nel mio intento originario e cioè di rendere questo famoso effetto climax di angoscia e paura che culminerà nel prossimo nonché ultimo racconto.
Altro elemento importante... cominciate a intuire qualcosa di più riguardo agli occhi rossi e al loro legame con la musica? Non mi piace particolarmente dare anticipazioni, quindi mi limiterò a dirvi che alla fine verrà finalmente chiarita ogni cosa xD
Un bacio a tutti e ci rivediamo l'11, cioè tra cinque giorni, con l'ultimo aggiornamento.

Graine

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2245390