Blacks' Memories

di Memento_B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Blacks ***
Capitolo 2: *** Requiem for a dream ***
Capitolo 3: *** The blow's daughter ***
Capitolo 4: *** Fade to black ***
Capitolo 5: *** Slytherin ***
Capitolo 6: *** Spells and tea ***
Capitolo 7: *** Another black rose? ***
Capitolo 8: *** Quarrels ***
Capitolo 9: *** Secrets ***
Capitolo 10: *** Stained honor ***
Capitolo 11: *** Love affairs ***
Capitolo 12: *** Muggleborns and dishonoured blood ***
Capitolo 13: *** The wedding ***
Capitolo 14: *** Take your choice ***
Capitolo 15: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** The Blacks ***


Londra, 1958.

La campagna londinese era immersa nel silenzio e nella desolazione della tarda sera.
Nessun essere umano camminava su quei sentieri abbandonati, ogni tanto si scorgevano cani dormienti, il silenzio era rotto unicamente dai gufi e dallo strisciare delle bisce sulle sterpaglie bruciacchiate dal sole estivo, un pipistrello cadde fra l’erbacce con l’ala rotta e il tonfo si udì distintamente.
A pochi metri di distanza vi era una villa imponente e lussuosa. Era recintata da un muro bianco alto due metri che in alcuni tratti era ricoperto d’edera, il cancello era nero e a sinistra delle rose s’arrampicavano lungo l’inferriata e si poteva intravedere un vasto giardino.
I cipressi e gli abeti delineavano il sentiero di ciottoli che conduceva alla porta principale, la vegetazione del giardino era molto curata e a sinistra, vicino al muro, vi era un’altalena fatta di corde appesa ad un ramo di un alto abete.
La villa era in stile barocco, costruita in marmo nero alternato a marmo bianco, presentava rientranze e sporgenze che ricordavano la sinuosità di un serpente. Il palazzo aveva due piani e le finestre erano alternate a colonnine puramente decorative, gli infissi erano bianchi decorati con elissi e spirali ed altri motivi che s’intrecciavano tra loro risultando indecifrabili. Suggestivi giochi di luce ed ombre e di chiaro e scuro incutevano meraviglia e un senso d’angoscia.
Davanti alla porta d’ingresso, rigorosamente di legno nero con una maniglia dorata, vi era un portico e due basilischi di marmo bianco con gli occhi di smeraldo ne reggevano le L’unica fonte di luce proveniva dal salotto, la luce di tremule fiamme. In quella sala vi era riunita la famiglia Black per il compleanno della piccola Narcissa, figlia di Cygnus e Druella Black, i proprietari della villa.
Tuttavia nella stanza non vi era certo aria di festa. Cygnus era un uomo tozzo e con calvizie incipienti, il volto era grasso incorniciato da una folta barba brizzolata e due fitte sopracciglia che quasi nascondevano gli occhi azzurri; non aveva certo ereditato la bellezza e la classe tipica dei Black da suo padre Pollux.
Al suo fianco era Druella, un tempo Rosier. Druella era completamente diversa; era una bella donna molto alta con un viso spigoloso, i capelli –biondissimi- erano raccolti in uno chignon e gli occhi neri rendevano il suo volto ancora più austero. Il suo bel corpo era celato da un lungo vestito nero privo di qualsiasi ornamento e maniche, il petto era stretto in un corpetto che man mano si allargava fino a diventare una larga gonna di seta.
Druella era una donna particolare. Molto forte di carattere, era lei a comandare su tutti, compreso suo marito. Era severa e non esitava a ricorrere a punizioni corporali se le figlie sbagliavano. Le tre bambine dovevano essere perfette in tutto e per tutto; la loro discendenza doveva essere intuibile dall’aspetto e dal portamento, dovevano essere austere e severe, non potevano giocare davanti ad estranei, dovevano renderla fiera. E specialmente non potevano sbagliare, mai. Dovevano riuscire in ogni cosa al primo tentativo, altrimenti venivano punite. Non ammetteva sconfitte, non vi erano altri tentativi, ogni parola, ogni lacrima, ogni supplica era vana. No, Druella non si lasciava commuovere ed ogni cosa mossa a propria difesa comportava ulteriori punizioni, poiché non c’erano scuse plausibili ad un fallimento, poco importava se si trattava di incarichi di poco conto.
Tutti gli adulti, perlopiù persone dai capelli scuri con abiti altrettanto scuri, erano riuniti nell’angolo più buio della casa. Non si guardavano, non parlavano, non ridevano. Ogni tanto qualcuno osava rompere il silenzio che si era creato con un sussurro spesso indistinto. Anche nel gelo possono nascere sentimenti e spesso vi erano sguardi e sorrisi fra Walburga –la sorella maggiore di Cygnus- e il suo cugino di secondo grado Orion. Sguardi e sorrisi che più volte furono captati da Druella.
Le tre bambine –Narcissa e le sue due sorelle maggiori- erano sedute sui divani posti dall’altra parte della grande sala. Lì vi era più luce ed allegria; le tre confabulavano fra loro per poi ridacchiare sommessamente, ben attente a non farsi sentire o vedere dalla madre.
La più grande era Bellatrix, aveva sette anni ed era una bambina bellissima. Il colore della sua pelle era un po’ più scuro di quelli delle sorelle, i capelli neri erano ordinatamente raccolti in una treccia che le arrivava fino alla vita, il volto era allungato, gli occhi scurissimi erano perfettamente simmetrici fra loro, il naso era grazioso e proporzionato alle labbra carnose. Nessuno avrebbe mai immaginato che tale bellezza sarebbe poi appassita. Era anche la più seria fra le sorelle e sul suo collo era ben visibile un taglio. Tale taglio era la conseguenza di un suo fallimento. Ira e vergogna si leggevano nei suoi occhi molto espressivi, spesso lanciava sguardi carichi d’odio e rancore verso la madre che l’aveva picchiata davanti ai nonni e agli zii, che l’aveva fatta sanguinare e piangere in pubblico. L’avrebbe pagata, un giorno o l’altro.
Simili pensieri erano ricorrenti, Bellatrix tuttavia non esprimeva mai la sua rabbia verso la madre, essa spariva poco dopo, ammirava quella donna così forte e decisa, desiderava imitarla. Si diceva che se l’aveva umiliata c’era una ragione ben precisa e valida, si sentiva in dovere di prendere esempio da lei, di emularla in tutto e per tutto. Subito dopo averla desiderata morta o umiliata si scopriva a sognare una vita come la sua, si vedeva sposata e con dei figli e degli elfi domestici, tutti l’obbedivano, nessuno la contraddiceva. Sognava di poter far alti e bassi così come faceva sua madre, la donna che tanto odiava e tanto amava.
Andromeda aveva cinque anni e fisicamente assomigliava molto alla sorella. Il suo volto esprimeva però dolcezza e quando sorrideva vi si poteva scorgere una traccia di bontà ben rara nei Black e questo spesso le causava prese in giro da parte della sorella maggiore, i suoi capelli erano più corti e castani, gli occhi più grandi. Raramente la madre aveva qualcosa da rimproverarle, la bambina tentava sempre di fare tutto come le veniva detto ai limiti delle sue possibilità. Raramente fu picchiata, mai fu lodata nonostante la perfezione del suo lavoro. Temeva la madre come più di ogni altra cosa al mondo, temeva tutte le madri, le credeva tutte uguali e prive di ogni sentimento umano. Odiava tutto ciò che era cupo e scuro, odiava il nero –colore primario in quella casa, erano neri perfino le lenzuola dei letti- e amava i colori caldi. Vestiva spesso di giallo o di rosso, quei colori le donavano allegria e la facevano sentire sicura di sé, le piaceva il contrasto che si creava con il nero della casa e della famiglia. Quando invece veniva costretta a vestirsi in nero non si sentiva a proprio agio, provava pensieri tristi, si sentiva oppressa in una cappa di fumo e desolazione. E poi pensava che il nero fosse il colore di chi aveva bisogno di aiuto e lei non ne necessitava, si accontentava di quello che la vita le dava ed era felice così.
Narcissa quel giorno compiva tre anni. Era una bambina minuta, la sua pelle era così pallida che di giorno quasi brillava ed anche alla luce delle candele si poteva vedere la vena azzurrina sulla tempia. Gli occhi erano dello stesso colore di quelli del padre, ma i capelli erano biondi e spesso raccolti in due codini ai lati del capo. Seppur piccola non le fu risparmiato l’abito elegante di pizzo nero. Era seduta in braccio ad Andromeda e vi era un netto contrasto fra l’abito tetro della piccola e il vestito rosso a fiori gialli della sorella. Tale vestito non era molto apprezzato in casa, il rosso e il giallo erano i colori più odiati, i colori dei buoni, dei perdenti, ma ad Andromeda non le importava, quel vestito le piaceva.
Narcissa non era mai stata toccata dalla madre, né per essere punita né per una sola carezza.
Sul tavolo vi era una sola scatola di media misura ed intorno vi era un fiocco di raso grigio. Era l’unico regalo per Narcissa, portatole dalla nonna.
"Narcissa, vieni qui" la voce fredda e acuta di Druella echeggiò nel silenzio in cui era avvolta la sala, la piccola obbedì, le due sorelle rimasero al proprio posto. Narcissa sorrideva ingenuamente a tutti, non si preoccupava degli sguardi severi dei parenti, semplicemente non se ne accorgeva.
Il padre s’inginocchiò vicino alla piccola, con il pacco fra le mani "Cissy, questo è da parte di nonna Irma. Ringraziala ed aprilo" la voce di Cygnus era più calda e piacevole di quella della moglie.
La bambina sgambettò fino alla nonna, che accettò un suo bacio senza mostrare alcuna emozione e senza risponderle, e poi prese il pacco. Tirando a fatica il nastro che le procurò un piccolo taglio nella mano sinistra riuscì ad aprirlo, ed estrasse una mantellina nera su cui erano ricamate in grigio e con caratteri eleganti le sue iniziali.
La madre l’aiutò a provarlo e quando la piccola fece un girò su se stessa per mostrarsi ai parenti riscontrò l’opinione favorevole della zia Wilburga.
"Oh, sembra una piccola Mangiamorte!" esclamò quella, giungendo le mani vicino al petto ed inclinando la testa di lato; osservava la bambina estasiata da ogni angolazione "Cygnus, Druella, non trovate anche voi che è perfetta in quelle vesti?"
La sua affermazione fu ben accolta dai parenti e anche dalla festeggiata che espresse la sua gioia con un “Sì, Magiamotte”.
Solo uno degli adulti non era d’accordo con quella visione. Egli era Alphard, fratello minore di Cygnus. Era appoggiato alla parete, in disparte, le braccia incrociate, il viso in parte coperto dai capelli neri che gli arrivavano fino alle spalle, gli occhi scuri fissi sulla mantellina con aria di disprezzo. Avanzò verso la nipote e la prese in braccio e le sorrise "Ma povera Cissy, ha solo tre anni, perché paragonarla a persone che uccidono ed eseguono gli ordini di qualcuno senza nemmeno riflettere?"
Andromeda sorrise a quest’affermazione. Alphard era sempre stato il suo parente preferito; affascinante e irriverente non si faceva problemi ad esprimere la propria opinione davanti a tutti.
"Oh, se avessi dei figli sarei ben lieta di vederli diventare Mangiamorte!" sbottò Wilburga fissando il fratello con aria di sfida "Seguirebbero dei veri principi, avrebbero dei veri ideali! Cosa c’è di meraviglioso nel seguire la via della giustizia? Nulla, Al! E l’Oscuro Signore lo sa, lui ci fornisce la via da seguire e ci dice come seguirla e…"
"Basta, Wil!" la interruppe Alphard, irritato "Ne abbiamo già discusso abbastanza e tutti voi conoscete la mia posizione" mise a terra la nipotina che tornò dalle sorelle ancora indossando la mantellina.
"Alphard, un giorno capirai anche tu che non possiamo continuare così, che l’Oscuro Signore è la luce" Wilburga non aveva intenzione di lasciar perdere, voleva far valere il suo pensiero, pensiero condiviso da tutta la famiglia. Suo fratello doveva rendersi conto del grande errore che andava facendo.
"Wilburga, è inutile discuterne. Ognuno resterà del proprio parere. Ed ora, scusatemi, ma affari urgenti mi attendono. Ciao Cissy, ciao Meda, ciao Bella" Alphard era alquanto seccato; si smaterializzò per poi materializzarsi nella propria camera.
Si buttò sul letto, sigillò la porta con la magia e sospirò. Non ce la faceva più, Wilburga era sempre più insistente, come tutta la sua famiglia del resto. No, non voleva diventare un Mangiamorte o condividere le loro idee, ma d’altra parte non voleva nemmeno combatterli. Voleva vivere come tanti altri maghi o streghe, fuori da quelle battagliette che ogni tanto scoppiavano qui e lì per il paese, ed era anche sicuro che tutto si sarebbe risolto in meno di un anno. Succedeva spesso che dei giovani maghi tentavano imprese simili ma tutti loro venivano sconfitti in poco tempo o si rendevano conto da soli che non era cosa per loro. Quel che però lo irritava e turbava era che tale Lord Voldemort riscontrava successo non solo fra molti maghi, ma anche nella sua famiglia.

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Capitolo 2
*** Requiem for a dream ***


Londra, 1959

Il viso di Bellatrix era appoggiato contro il vetro della finestra della sua camera. Indossava un vestito largo rigorosamente nero, stretto in vita da una cintura, al collo vi era un collarino di seta, i ciuffi frontali della chioma nera erano raccolti dietro al capo con un fermaglio a forma di rosa nera, ai piedi due scarpe di vernice nera prive di qualsiasi ornamento, al polso destro un braccialetto con delle croci pendenti, due perle adornavano i lobi della bambina.
La stanza era completamente silenziosa e buia, oltre che fredda ed inquietante. Il pavimento era di legno, coperto con un grande e spesso tappeto su cui però Bellatrix non poteva giocare. Un angolo del tappeto era sporco: una volta Bellatrix fece accidentalmente cadere una bevanda al gusto di cioccolato, errore che le costò caro.
Vicino alla porta vi era un grandissimo armadio di ebano, sotto l’unica grande finestra della stanza vi era il letto della bambina.
Era un letto molto grande e comodo, qualsiasi bambina sarebbe impazzita per un letto come quello, ma non Bellatrix. Lei non era come tutte le bambine, ogni singolo dettaglio di quel palazzo, ogni suo mobile era per lei sinonimo di prigionia ed agonia. Raramente le era permesso di uscire dalla casa, ed era sempre accompagnata da un suo parente, era sempre tenuta sotto controllo, nessun movimento sfuggiva alla madre.
Lei, però, voleva solamente correre per le strade di Londra scalza sporcandosi di fango, voleva giocare con la neve, lanciare palle di neve alle sue sorelle, voleva ridere. Ma doveva accontentarsi di quelle quattro o cinque bambole di porcellana che erano posate in una cesta di vimini ai piedi del letto, bambole che l’assomigliavano terribilmente, avevano tutte i capelli scuri a boccoli e gli occhi castani o neri, la porcellana candida era nettamente in contrasto con i vestitini a quadri neri.
Spesso Bellatrix aveva pensato di imitare le eroine dei libri, di scappare di casa e di partire all’avventura e spesso era in procinto di farlo ma non ne aveva mai avuto il coraggio. Odiava quel luogo, ma era pur sempre la sua casa. E poi c’era sua madre... Druella, il suo esempio, il suo mito. Lei sì ch’era una donna forte, lei sì che sapeva cosa voleva, lei conosceva il mondo. Una volta Bellatrix aveva osato chiederle il motivo per cui non poteva giocare come tutti gli altri bambini, i suoi occhi incontrarono quelli austeri e irati della madre e subito si pentì di aver fatto tale domanda.
Si aspettava di venir picchiata, eppure la madre quella volta non la sfiorò nemmeno, per una volta le dette una spiegazione verbale e per la prima volta Bellatrix rimpianse le percosse, avrebbe preferito esser picchiata.
- Tu non sei come tutti gli altri bambini, Bellatrix, tu sei una Black. La vita non è mai giusta, la vita deve essere odiata, non è un dono ma una punizione. Non vi è punizione peggiore del vivere, la morte è solo una liberazione, la morte è l’unica cosa che può liberarci da queste sofferenze. Imparerai ben presto ad invocare la morte, Bellatrix. Imparerai che non v’è gaudio maggiore dell’abbandonare questa vita d’infamia e di sofferenze. Imparerai che la vita non è fatta per essere vissuta, ma per soffrire in silenzio, per piangere, per sentir la propria anima lacerarsi. No, figlia, la vita non è per niente giusta con nessuno, dopo la massima felicità strisci nella polvere come una larva implorando pietà, e quando credi che le cose vadano meglio sprofondi sempre più giù. Non v’è che tristezza dopo la letizia. Soffri, bambina, soffri fin da ora, trattieni le tue lacrime, le tue urla, diventa una donna forte e vedrai che verrai ricompensata. Procura sofferenze, sfogati su quei miseri omuncoli che incontrerai per la tua via, espia tutte le tue colpe, libera la tua rabbia a discapito di altri, rallegrati delle loro lacrime, saziati delle loro urla, infliggi sofferenze poiché è anche una loro colpa la tua effimera esistenza. Tu, Bellatrix, sei superiore a molti, inferiore solo ai tuoi parenti. -
Quelle parole avevano profondamente scosso Bellatrix, non si aspettava certo una risposta simile e non aveva capito come ciò potesse c’entrare col gioco. Eppure aveva deciso di fare tesoro delle parole di quella donna da lei tanto amata e tanto odiata, si era convinta della superiorità della sua famiglia non solo su tutte le creature magiche e non, ma su tutti i maghi e su tutti gli esseri umani.
La luna illuminò il viso della bambina. Bellatrix era sul punto di piangere, cercava di portare alla mente un ultimo pensiero allegro che l’avrebbe tenuta su di morale, ma non ce la fece.
La prima lacrima le cadde sul palmo. Pianse a lungo e rumorosamente, cosa strana per quella bambina che tratteneva sempre le lacrime e la rabbia fino ad esplodere. Non sapeva perché piangeva, non aveva una ragione per farlo, eppure voleva piangere, voleva liberarsi di quel peso e di quella sofferenza.
Si sentiva perduta, come se non potesse più essere felice, si sentiva oppressa e cercava di ritrovare la libertà e l’allegria, voleva essere spensierata come tutti i bambini della sua età, ma non poteva. Desiderava che si trattasse solo di un incubo, desiderava aprire gli occhi e vedere scomparire la sua vita attuale ma sapeva che non sarebbe successo, tuttavia continuava a sperare.
Si sentiva sola, senza alcun aiuto e si odiava. Si odiava perché aveva bisogno delle sue sorelle per stare meglio, necessitava dell’allegria di Andromeda e dell’innocenza di Narcissa per essere felice, cercava dentro di sé il suo vero io, cercava le caratteristiche delle sorelle.
Ogni volta che il sole sorgeva nasceva in lei oblio, ogni volta che il sole tramontava ricominciava a sperare.
Quando calava la notte lei era felice perché poteva chiudersi in camera sua, tirarsi le coperte sulla testa e leggere un libro alla luce della candela, poteva perdersi fra le lettere del romanzo, dimenticare gli orrori della giornata, sognare altri paesi e altre persone.
Poi si addormentava e sognava di quelle terre. Nei suoi sogni sorrideva sempre, ma lei aveva dimenticato come si faceva a sorridere.
- Bellatrix? Posso?- la voce bassa e calda di Andromeda riportò Bellatrix alla realtà, per un secondo si dimenticò del male ch’era in lei.
Andromeda non aspettò risposta ed entrò nella stanza -Ti avevo sentito singhiozzare- disse, avvicinandosi alla sorella - Bella, vuoi parlarmi? -
Bellatrix la fissò con ira. Era entrata nella sua camera, l’aveva vista piangere, aveva scoperto che anche lei aveva un cuore e soprattutto le aveva offerto la sua commiserazione. - No! Vattene via! - le urlò, anche se i suoi occhi tradivano la sua voglia della compagnia della sorella - Non ho bisogno di te, non ho bisogno di piangere, io sono senza lacrime! Via!-
La sorella minore la fissò interdetta per qualche secondo, non si era certo aspettata di venir aggredita in quella maniera. -Come vuoi, Bella. Ricordati che io ci sono sempre però - annuì, uscendo dalla stanza- Fra mezz’ora dovrai scendere, inizia la cena -.
Bellatrix lanciò contro il muro una scarpa, che cadde sul pavimento con un tonfo. Non riusciva a capire come potesse essere la sorella così umana anche quando veniva maltrattata, non comprendeva il motivo del suo continuo perdono. Lei non era in grado di perdonare il più piccolo errore, non sopportava le persone che piangevano o che avevano bisogno di sfogarsi; Andromeda invece era sempre lì pronta a consolare chiunque, aveva una buona parola per tutti e raramente perdeva la pazienza. Aveva poi un qualcosa di carismatico che le permetteva di vincere su tutto e tutti, perfino sulla madre.
Andromeda era sempre sorridente e allegra; lei invece era stanca di quella situazione, era oppressa dalla paura di sbagliare, sentiva l’ombra della madre sempre su di sé, non la lasciava mai da sola, soffriva e non aveva lacrime per mostrarlo, temeva e non aveva voce per chiedere aiuto perché la madre era lì con lei. Capitava anche che Bellatrix sognava la madre, ed allora i suoi sogni generalmente felici diventavano improvvisamente cupi, non poteva più evadere nel suo mondo ma era costretta alla realtà, doveva dire addio ai suoi sogni, doveva proclamare il loro requiem. Sentiva di uscire pazza.
Andò nel suo bagno personale e si sciacquò il viso, poi si aggiustò il vestito e i capelli e ritrovò la sua solita aria austera.
Quel giorno era Natale, tutta la famiglia si era riunita a casa loro per la tradizionale cena. Per i bambini di Londra Natale equivaleva ad una festa allegra e ai regali. Per i Black no. Per loro il Natale era solo un’altra festa come tante altre, i bambini Black non avevano mai visto un regalo ed odiavano quelle carte colorate e quei nastrini luccicanti.
Le tre sorelle avevano passato la mattinata a Londra e guardavano stupite quei bambini che giocavano con la neve, chi lanciava delle palle agli altri bambini, chi costruiva dei pupazzi, chi si tuffava dentro quella poltiglia bianca. Una bambina aveva avuto anche l’ardire di lanciare una palla di neve ad Andromeda. Lei era scoppiata a ridere, ma i suoi genitori no.
Bellatrix uscì nei corridoi, camminò a lungo fra ritratti degli avi e armature, poi finalmente arrivò alla lunga scalinata di marmo e la scese. Nel salone d’ingresso della casa era radunata tutta la sua famiglia, in attesa di cenare.
Erano tutti perfettamente uguali, si distinguevano solo per il diverso colore di capelli, alcuni Bellatrix non li conosceva nemmeno, di altri sapeva solo il nome. Erano pochi i parenti che conosceva davvero, come lo zio Alphard, ma quella sera era l’unico assente.
C’era una sola persona che si distingueva fra tutti, Andromeda. Il suo vestito rosso fuoco risaltava in quel mare di nero, girava su se stessa, cantava e rideva, tutte cose che i suoi parenti non facevano.
Quando Bellatrix l’ebbe raggiunta notò che suo padre, sua madre, i suoi nonni, sua zia Walburga ed un cugino di suo padre, Orion, parlavano sommessamente in un angolo.
Suo nonno Pollux aveva un’aria ancora più severa e cattiva del solito, le bambine notarono che anche tutti gli altri avevano la stessa espressione.
- Secondo te che è successo?- chiese Bellatrix alla sorella in un sussurro. Era curiosa di sapere il motivo di quella durezza ma non voleva chiedere, sapeva che nel migliore di casi sarebbe stata cacciata a calci.
- Non ne ho idea e non m’interessa, sono problemi di adulti, no?- rispose Andromeda, ridendo.
-Sì ma… se riguardassero noi? -
-Ce lo avrebbero detto, Bella. Ti preoccupi troppo! -
Bellatrix non era del tutto sicura dell’affermazione della sorella tuttavia cercò di non dare peso a quei parenti. Le fu impossibile, però, non notare l’espressione sconvolta che si era dipinta sul volto della nonna e il terrore della zia.
- Vieni - Bellatrix afferrò per il polso Andromeda e la trascinò lì vicino, in modo da ascoltare quel che dicevano.
- Non ho alcuna intenzione di sposarmi ora! - sibilò Walburga in direzione del padre.
- Non m’importa quel che vuoi o no, Wal! L’unica cosa veramente importante è nascondere questo scandalo! Vi rendete conto di quello che avete fatto? Fra cugini! - rispose con lo stesso tono di voce Pollux, la sua voce trasudava tutta l’ira che provava. Non ci poteva credere, sua figlia, la sua prediletta aveva una relazione con suo cugino, e da anni.
Il labbro di Walburga tremava, cosa assai insolita. Lei era una donna forte, nulla la colpiva, nulla le importava, aveva fatto letteralmente scappare diversi partiti ed iniziava a non essere più una ragazzina, non le era mai importato di nessuno, svolgeva la sua vita autonomamente.
Poi i suoi occhi incontrarono quelli di Orion, suo cugino. Erano cresciuti insieme, non erano mai andati d’accordo, ma quando tornarono dai propri viaggi e si rincontrarono bastò un solo sguardo per cadere nel peccato, nell’incesto, ormai erano anni che la loro relazione segretamente andava avanti, ogni tanto qualcuno sospettava qualcosa ma fino a quel momento erano riusciti a nascondere tutto. Però ora non potevano più nascondere nulla.
- Scandalo!- strillò Walburga, ormai non le importava più nulla degli altri parenti e della rivalità che c’era nella stessa famiglia. - Non sei sempre stato tu a dirci che era meglio sposare un proprio parente che un Mezzosangue? Ed ora? Preferiresti che il padre del mio bambino fosse un Mezzosangue? Lo vorresti? -
Pollux era spiazzato da quella domanda. Non poteva negare di aver sempre detto quelle parole, né poteva affermarsi favorevole ad un matrimonio con un Mezzosangue. Non poteva replicare. C’era da dire che la famiglia di Orion era ricca, oltre ad essere Purosangue e che sarebbero stati moltissimi i vantaggi di quel matrimonio, lui stesso l’avrebbe obbligata a sposarlo se non fosse stato suo cugino. Tuttavia non poteva cancellare la parentela che li univa ed era troppo tardi per stroncare ogni rapporto.
Tutti i parenti intanto avevano smesso quelle false cerimonie d’inchini e riverenze a cui nessuno voleva mai dar inizio, osservavano le cinque persone nell’angolo cercando di carpire quel che si preannunciava come un pettegolezzo. Le due bambine, che non si erano mosse da lì, si guardavano e si consultavano senza riuscir a capir quel che succedeva.
- Almeno in questo modo hanno preservato la purezza del sangue - intervenne Druella, le braccia incrociate al petto, negli occhi uno sguardo superiore. Sua cognata le era sempre piaciuta, forte di carattere ed eloquente nel parlare, amava passare i pomeriggi con lei. Non poteva dire lo stesso di Orion, non le piaceva particolarmente, ma del resto quelli erano problemi di Walburga, non suoi.
Orion, dal canto suo, era troppo vigliacco per prendere iniziativa, per difendere sé e sua cugina. Non aveva mai preso sul serio quella relazione, l’aveva sempre considerata uno stupido gioco che a quanto pareva era finito male. No, non amava Walburga, amava il suo fisico, amava il suo sguardo, amava possederla ma non l’avrebbe mai sposata o avuto una relazione seria, anche perché non era certo l’unica donna che frequentava in quel periodo. Era stupito che non l’avesse ancora capito, la trattava male, la ignorava se non era lui a cercarlo e spesso lei piangeva a causa sua, ma non capiva. Aveva paura di incrociare lo sguardo della moglie di suo cugino, la temeva più di ogni altra persona, quella donna era in grado di strappare la verità a tutti con un’occhiata. Era una donna estremamente intelligente e pericolosa, la evitava a tutti i costi e quando proprio non poteva fare a meno di parlarle non la guardava mai negli occhi.
-Comunque sia si sono comportati in maniera ignobile e dovranno assumersi le proprie responsabilità, al più presto verrà fissata la data del matrimonio- Pollux prese per il braccio sua moglie Irma e insieme si allontanarono, seguiti dai padroni di casa.
Orion fissò un punto indistinto davanti a sé per qualche secondo, poi si affrettò ad andarsene. A quanto pareva era finito il tempo della bella vita.
Walburga lo seguì con lo sguardo finché non scomparve dalla sua vista, gli occhi pieni di lacrime. Si aspettava un minimo di sostegno, uno sguardo almeno, ma lui se n’era andato come faceva sempre, senza una parola, era sempre così bastardo. Si chiese come faceva a sopportarlo, come poteva piacerle una persona simile, alla fine anche lei aveva un cuore. Si affrettò ad uscire in giardino e si lasciò cadere sotto un albero, incurante della neve, e scoppiò a piangere.



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Capitolo 3
*** The blow's daughter ***


Questo capitolo, che a prima vista sembra diverso dagli altri (ed in effetti lo è), mostra la crescita di Andromeda, che per la prima volta infrange le regole.
Sta crescendo, e come tutti i bambini che crescono contesta –seppur inconsciamente- quel che i genitori comandano
. Ed è proprio questo contestare che la differenzia da sua sorella Bellatrix, ormai “plagiata” dalla madre.


The blow’s Daughter*

Londra, 1960

<< Posso venire con voi? >> Andromeda si aggrappò alla veste di suo zio Alphard con entrambe le mani, gli occhi carichi di speranza.
Alphard e sua cugina Lucretia erano in procinto di andare a Cardiff a trovare il futuro marito di lei, Ignatius Prewett. Lucretia era più grande di Alphard di quattro anni, era una bella donna di trentacinque anni, non particolarmente alta, con i capelli corvini e gli occhi azzurri. Amava viaggiare, passava gran parte dell’anno fuori casa, le sue mete preferite erano l’Egitto e l’India, fu durante uno dei suoi viaggi in Asia che conobbe Ignatius, un mago di origine gaelica, con cui condivise molti altri viaggi decidendo poi di sposarsi.
Trascorrendo gran parte dell’anno fuori casa, Lucretia non era stata assolutamente influenzata dalla sua famiglia ed ogni volta che tornava a Londra e tentavano di parlare della situazione inglese lei scoppiava a ridere. Il Regno Unito non le era mai piaciuto, non vedeva l’ora di partire per paesi esotici, abbronzarsi, indossare vestiti dai colori sgargianti e da fantasie intriganti, conoscere nuova gente, apprendere miti del luogo che avrebbe poi trascritto nei suoi libri, perché lei era una scrittrice e amava raccontare delle leggende di paesi lontani. Era tornata a Londra poiché era da poco nato suo nipote, Sirius, figlio di suo fratello Orion ed era stata nominata sua madrina, così come era la madrina di Andromeda.
Lucretia accarezzò il capo della sua figlioccia, ormai troppo grande e pesante per essere presa in braccio << Ma certo tesoro, certo che puoi venire con noi, però dobbiamo chiedere prima ai tuoi genitori >>
Andromeda si rattristò, probabilmente i suoi genitori non le avrebbero mai dato il permesso di partire con quei due scervellati, come li definivano.
Tuttavia, con sua grande sorpresa, dovette ricredersi. Sua madre acconsentì immediatamente a far partirete la figlia, suo padre fu un po’ più restio e così Andromeda si smaterializzò con i suoi zii. Era la prima volta che si smaterializzava e aveva giurato a se stessa che sarebbe stata anche l’ultima, non le era per niente piaciuta la sensazione provata, avvertiva ancora un senso di nausea.
Si materializzarono a duecento metri dalla villetta di Ignatius, entrambi davano la mano ad Andromeda e le sorridevano. La bambina era felice, era la prima volta che viaggiava o perlomeno si allontanava dai genitori, non le sembrava vero che sarebbe stata una settimana lontano dai suoi genitori, con il suo zio preferito e con la sua folle madrina, era certa che si sarebbe divertita più che mai. E questa volta non avrebbe avuto Narcissa fra i piedi, ormai aveva cinque anni e pretendeva di giocare sempre e comunque con lei, non che ad Andromeda dispiacesse la compagnia della sorella minore, solo che a volte era fin troppo insistente e Narcissa era in perfetta armonia con la famiglia, cupa, amorfa e tetra. Poi c’era Bellatrix, che diventava ogni giorno più insopportabile e prepotente, in un anno era cambiata profondamente, Andromeda la evitava ogni volta che poteva, la inquietava e negli occhi leggeva la stessa sete di male della madre, nella sua risata si avvertiva una seppur lieve sfumatura di crudeltà, era stata plagiata da Druella in maniera magistrale ed Andromeda temeva che la prossima sarebbe stata lei, l’unica che non era cambiata in tutto quel tempo, l’unica delle tre sorelle che non si era uniformata alla famiglia, l’unica che indossava ancora vestiti colorati ed amava giocare, l’unica ancora capace di sorridere.
Il villino dove Ignatius viveva con la sua famiglia era molto più piccolo del maniero dove viveva Andromeda, tuttavia la bambina se ne innamorò a priva vista. Le ispirava allegria, i muri erano candidi, il tetto grigio, dalle finestre grandi e rettangolari s’intravedeva l’interno della casa. Andromeda non aveva mai visto così tanti colori in una stanza, ne restò immediatamente affascinata.
Aprirono il cancello del piccolo e disordinato giardino ed arrivarono alla porta, Lucretia suonò ed immediatamente furono accolti da una ragazzina che non aveva molti più anni di Andromeda, i capelli erano corti e biondi, i tratti erano così poco femminili così come gli abiti che Andromeda l’avrebbe facilmente scambiata per un ragazzo se non fosse stato per l’accenno di seno.
<< Leslie! >> la salutò Lucretia, abbracciandola immediatamente con un gran sorriso.
La ragazzina ricambiò l’abbraccio della donna << Lucretia! Vi stavamo aspettando, venite >> lanciò uno sguardo ad Alphard e ad Andromeda e prese per il polso la donna, trascinandola nel salotto.
Andromeda si bloccò sulla soglia della porta, incapace di credere a ciò che vedeva. Il salotto era una stanza di medie dimensioni, la più grande di tutta la casa, molto illuminata tanto che non avevano bisogno di candele per vedere bene come accadeva a Casa Black indipendentemente dall’ora. Alle finestre vi erano tendine di pizzo bianco, sulla mensola del camino vi era una quantità strabiliante di fotografie che ritraevano tanti bambini allegri e parecchio soprammobili, al centro della stanza vi era un grande tavolo con sopra moltissime, troppe cose. Ma la cosa che più colpì Andromeda si trovava in un angolo. Una bambina dai capelli biondi a boccoli vestita solamente con una maglietta arancione e il costume da bagno del medesimo colore era sdraiata al centro del grande tappeto porpora ed era intenta a colorare un disegno con i colori acrilici, ma il più delle volte il colore gocciolava sul tappeto. Al suo fianco vi era una donna che dimostrava solo qualche anno in più della sua madrina, accarezzava i capelli alla bambina, la guardava con amore colorare quel disegno e non la rimproverava se il colore cadeva sul tappeto, non la picchiava nemmeno, non se ne importava.
Vi erano poi due divani, ognuno di essi occupato da due bambini, l’uno con i capelli castani e più alto, l’altro con i capelli biondi, entrambi in piedi sui divani e stringevano nelle mani due spade di legno e giocavano, saltavano, gridavano, si facevano delle smorfie, ridevano.
All’improvviso Andromeda si sentì terribilmente fuori posto in quella casa. Lei indossava un lungo abito di velluto verde scuro adornato da pizzi bianchi e perline nere che la faceva sudare in una maniera incredibile, ma era costretta a metterlo in quanto regalo di sua nonna, i capelli erano perfettamente legati in due trecce fermate poi sul capo, fra le mani stringeva un cappello bianco simile ad una paglietta con una piuma grigia sopra. Arrossì violentemente quando si accorse di star fissando la scena a bocca aperta e con occhi spalancati, incapace di credere a quel che vedeva. Era così strano, non era normale che due bambini saltassero da un divano all’altro, non era normale che una donna non rimproverava una bambina che sporcava il tappeto…
La donna si voltò, sorrise ai tre Black e si alzò per raggiungerli. << Ciao, Lu. Ciao, Al. >> li salutò con incredibile familiarità, si abbassò poi in modo tale da poter guardare in volto la bambina << E tu sei? >>
<< Andromeda Hesper Black** >> rispose la bambina, senza accennare un sorriso, terribilmente ed innaturalmente fredda agli occhi della famiglia Prewett, ormai attorno a loro.
<< Meda è la mia figlioccia >> aggiunse Lucretia, posando una mano sulla spalla della bambina << E’ la figlia di Cygnus, il fratello di Al, la seconda figlia >> si rivolse poi alla bambina << Lei è Phoebe, sorella di Ignatius, la bambina è Sarah, sua figlia, ha un anno in meno di te. Leslie l’hai già conosciuta, è la figlia di Fabian –un cugino di Ignatius che vive nella villa affianco con Virgina, sua moglie-. E loro due sono Owen, quello con i capelli castani, e Neil, l’altro con i capelli biondi, fratelli di Leslie. >>

*

Cardiff, 1960.
Giorno primo, dopo pranzo.

<< Meda, perché non vai da Leslie? >> propose Lucretia. Erano un’altra volta in salotto, seduti sui divani. La donna era seduta fra il suo futuro marito e la sua futura suocera, sull’altro divano erano seduti Andromeda, Alphard e il padre di Ignatius. Gli adulti sorseggiavano un caffé e parlavano dell’ultimo viaggio di Lucretia, del nuovo nato nella famiglia Black, dei vicini, di cose che ad Andromeda non interessavano.
La bambina si limitava ad annuire o a rispondere a monosillabi quando le si chiedeva un parere, mentre con la mente ripensava a quella mattinata. << Non so la strada >> rispose alla madrina. E poi quei ragazzi erano fin troppo scalmanati per i suoi gusti, sua madre avrebbe avuto certamente da ridire sul loro comportamento, non le avrebbe mai permesso di parlar loro.
<< E’ la villetta qui accanto, quella qui a destra >> le disse Lucretia, sorridendo << Dai, Leslie ha delle bambole bellissime, potreste giocare insieme. >>
“Ma io con quella non ci gioco, la mamma non vuole” pensò Andromeda, tuttavia non ebbe nient’altro da ribattere, annuì e si alzò, uscendo dalla casa.
“Posso sempre scappare e fare finta di esserci andata. Io voglio stare con Lucretia e zio Alphard, non con loro. Ma se ne accorgerebbero, mi sa che mi tocca andarci” Andromeda respirò profondamente e suonò alla porta. Probabilmente Bellatrix sarebbe già scappata, lei era così impulsiva… Mentre lei non era in grado di fare ciò che le comandava l’istinto, doveva seguire la ragione.
Qualche istante dopo la porta fu aperta da uno dei due bambini, quello biondo, Andromeda non aveva ancora imparato il suo nome.
<< Ecco… io, mi chiedevo se… >> mormorò Andromeda. Non le era mai capitato di non saper cosa rispondere! Era in imbarazzo! Questo perché faceva una cosa che sapeva di non dover fare, e lei lo sapeva.
Neil le sorrise e si spostò, facendola passare e richiudendo la porta una volta che la ragazza entrò. La fissò per qualche secondo, non sapeva ancora pensare su di lei, aveva sentito le varie tappe dell’infanzia dei Black, sapeva che come quasi tutte le famiglie di Purosangue si ritenevano superiori a tutti, ma quella bambina era così diversa da loro, o almeno così diceva Lucretia. Neil aveva fiducia in Lucretia, le stava simpatica, giocava sempre con lui e con il fratello, era una donna allegra, sembrava una Prewett a tutti gli effetti, sembrava normale al contrario di quel che aveva sentito dire dei Black e anche quella bambina sembrava normale.
Ma c’era qualcosa nei suoi occhi di innaturale, a dispetto dei suoi modi di fare in quel poco tempo che aveva trascorso con lei aveva colto più volte lampi glaciali nel suo sguardo, la sua voce era sempre bassa e ben impostata, sembrava che sapesse sempre e comunque cosa dovesse fare, non era normale per i bambini, alla fine aveva solo un anno in meno di lei, non potevano essere così diversi.
<< Leslie è di sopra, nella sua camera, vieni >> le disse Neil, iniziando a salire le scale.
Andromeda si guardava attorno cercando di non darlo a vedere, era affascinata da quella casa così ordinata e confusa allo stesso tempo. Salì le scale appoggiandosi alla ringhiera e fissando il muro dov’erano moltissime cornici contenenti fotografie scattate sia in maniera babbana sia in maniera magica, era colpita, non aveva mai visto delle fotografie babbane in una casa di maghi, maghi Purosangue per giunta.
Neil aprì la porta della camera della sorella, aspettò che l’ospite entrasse nella stanza e poi richiuse la porta, tornando di sotto dal fratello.
Andromeda rimase ferma davanti alla porta non sapendo cosa fare, si limitò quindi ad osservare la stanza in ogni suo dettaglio.
Era piuttosto piccola ma molto luminosa, poiché si trovava nel punto più alto della casa il soffitto era spiovente e sostituito in gran parte da una finestra sotto la quale si trovava il letto della ragazza, per terra vi era un tappeto di giochi, libri, riviste e vestiti.
Leslie era sdraiata sul suo letto a pancia in sotto, il cuscino sotto il petto e scriveva su una pergamena consultando un libro particolarmente sporco. La ragazza alzò lo sguardo su di lei e la saluto, senza sorridere. Non le stava simpatica, le sembrava fredda e apatica. Ed ora scambiava lo smarrimento di Andromeda per un senso di superiorità, s’irritò quando la vide immobile a frugare con gli occhi in ogni angolo della sua camera con apparente aria di sufficienza. Si mise a sedere con le gambe incrociate sul letto << Vieni pure >> l’invitò a sedersi accanto a lei sfiorando il lenzuolo con la mano.
Andromeda accettò l’invito e ringraziò con voce sommessa, in preda al panico. Raramente aveva incontrato bambini della sua età o poco più grandi e quando ciò era accaduto era sempre stato in presenza dei genitori. << Io mi chiamo Androme… >>
<< Sì, lo so chi sei >> la interruppe Leslie, la sua irritazione aumentava ogni secondo per il tono di voce della bambina << Io sono Leslie, nel caso te lo sia dimenticato. Allora, quanti anni hai? >> visto che ormai era lì, era meglio occupare quel tempo parlando.
<< Sette >> rispose Andromeda << Fra tre settimane otto. Tu invece? Vai ad Hogwarts, no? In che casa stai?>>
<< Sì, ho appena finito il secondo anno e stavo facendo un tema di Pozioni >> Leslie celò volutamente la seconda domanda della bambina, non volendo fornirle un’ulteriore motivazione per disprezzarla, ma quando Andromeda ripeté la domanda le fu impossibile non rispondere << Grifondoro, come i miei genitori prima di me >>.
Andromeda annuì << Io probabilmente starò a Serpeverde… come tutta la mia famiglia >> le disse << E’ bella Hogwarts? >>
Leslie l’analizzò e quando non vi trovò alcuna forma di disprezzo né nelle sue parole né nel suo volto restò sorpresa. Forse quella bambina non era come tutti i bambini dei Black, dei Rosier, dei Goyle, dei Nott e di quasi tutte le famiglie Purosangue. Loro, i Prewett, ovviamente erano esclusi da quella definizione così come i Weasley. Nel loro albero genealogico c’era qualche parente babbano o che aveva sposato un Mezzosangue, non potevano quindi definirsi Purosangue, non nel senso puro del temine almeno.

*

Cardiff, 1960.
Giorno quarto, dieci di mattina.


Andromeda camminava per la periferia di Cardiff in compagnia di Leslie e Sarah. In quattro giorni era riuscita a farsi conoscere dai Prewett, era riuscita ad aprirsi, a superare alcune delle barriere che la madre le aveva sempre imposto, per la prima volta nella sua vita aveva giocato senza aver paura di sporcarsi o di essere sgridata.
Leslie le era da subito sembrata una ragazzina allegra, spigliata nonostante sapesse di risultarle antipatica, e si rallegrò quando scoprì che la ragazza aveva cambiato parere sul suo conto; Sarah aveva sei anni ed era piuttosto schizzinosa e lagnosa e a volte la sopportavano a stento, Andromeda scoprì che era divertente farle dei dispetti o perlomeno assistere a quelli che le facevano.
<< Ma io non voglio…>> iniziò a protestare Sarah col suo solito tono simile ad una cantilena.
<< Non importa a nessuno cosa vuoi tu, Sarah, dobbiamo tornare a casa e non si discute >> l’interruppe Leslie, prendendola per mano. Si sentiva responsabile, doveva badare a quelle due bambine.
<< Ma io voglio andare sull’oceano! >> continuò a protestare la bambina, che desiderava più di ogni altra cosa tornare indietro per quella strada e ritornare sulla sponda dell’oceano e bagnarsi i piedi.
<< Ci andremo domani, ma adesso taci che ci aspettano a casa >>
Erano arrivate nei campi dietro le due case quando un piede sfiorò il volto di Andromeda, che si voltò verso la fonte della risata ed urlò contro Owen che scorrazzava sulla sua scopa con il fratello poco lontano. Come risposta alle sue urla ben poco educate, Owen iniziò a ridere ancora più forte. << Idioti >> commentò Leslie, scuotendo il capo << Idioti e irresponsabili, mi sorprendo che la mamma li faccia giocare con le scope d’estate e di domenica. Non passa mai nessuno di qui, ma… Non si può mai sapere >>.
<< Les, tu ti preoccupi troppo >> l’ammonì Owen, smontando dalla scopa e passando il braccio destro attorno alla spalla della sorella maggiore << Vedi, cosa fa la gente d’estate e di domenica? O è al mare, o si riposa a casa, non passa per nessuna ragione di qui, in realtà non sa nemmeno l’esistenza di questo posto. >>
<< Deve essere bello volare… >> sussurrò Andromeda imbarazzata, abbassando il capo. Lei non aveva mai volato, sua madre glielo aveva sempre negato, ma la tentazione era tanta…
Tutti la fissarono stupiti << Non hai mai volato? >> chiese poi Leslie, senza fiato, e quando la bambina scosse il capo sospirò << Bisogna imparare, allora. Non puoi arrivare ad Hogwarts, proclamarti Purosangue e poi non saper volare, ti prenderebbero in giro a vita, sai? >>
Prese per il polso la bambina, afferrò la scopa del fratello e la mise nella mano della londinese.
Mezz’ora dopo Andromeda era ad un metro e mezzo da terra, fissava il terreno con aria terrorizzata, stringeva irrequieta il manico della scopa con le mani e le ginocchia erano attaccate fra loro.
<< Muoviti! Non stare ferma! >> le urlò Sarah << E’ facile, dai! >>
<< Muoversi… sì… >> mormorò Andromeda in preda al panico. Sarah diceva che era facile volare, e doveva essere così, Sarah era la bambina che non faceva mai niente ma si lamentava sempre, eppure riusciva a volare. Perché non doveva saperlo fare lei?
Andromeda cercò di muoversi, ma qualcosa la bloccava. Pensava a quel che avrebbe detto la madre se l’avesse vista, le era vietato volare, le era vietato anche solo sfiorare un manico di scopa, non è femminile, le diceva sempre. E più la madre glielo vietava, più Andromeda era curiosa di volare, aveva sentito e letto cose meravigliose riguardo al volo, voleva provare anche lei quelle sensazioni.
Dovrei scendere.
Ma no, non ho ancora volato, provo a fare mezzo metro, se poi non mi piace scendo.
La mamma non vuole.
Ma la mamma non è qui a guardarmi…
Lo verrebbe a sapere comunque, lei sa sempre tutto.
Deve essere così bello volare, nessuno lo saprebbe mai…
E per la prima volta l’istinto ebbe la meglio sulla ragione. Andromeda si sporse in avanti ed avanzò di un metro. Non era poi così difficile ed era certamente più bello di rimanere sospesa a mezz’aria come stava facendo, doveva scendere ma non voleva e con un sorriso sul volto continuò a volare. Tanto prima o poi avrebbe volato comunque, ad Hogwarts era obbligata a volare… Tanto valeva anticipare quella data, poco le importava delle regole ferree di casa Black, il suo unico desiderio era quello di continuare a volare.

*

Londra, 1960.
Tre giorni dopo.


Andromeda era stesa sul suo letto a pancia in su e rifletteva sulla sua breve ma intensa vacanza. Era appena tornata a casa ed era notte, ragion per cui le sue sorelle dormivano profondamente, avrebbe affrontato la loro invidia e avrebbe risposto alle domande della madre il giorno dopo.
Si sentiva costretta a mentire, non poteva certo dire la verità anche perché la madre non se la sarebbe presa solo con lei, ma anche con suo zio e la sua madrina che non le avevano impedito tali scelleratezze. Ma non capiva cosa c’era di male nel volare, nel fare quello che tutti gli altri maghi facevano.
Era senza parole, quei cinque minuti sul manico di una scopa le erano parsi un sogno felice, e del resto volare era il suo sogno più atteso. L’aria che le scompigliava i capelli e le colpiva il viso le entrava nei polmoni, facendole assaporare la libertà, poiché solo volando si sentiva libera, veramente lontana dalla sua casa e da tutti. Aveva trasgredito una regola. L’aveva fatto per la prima volta nella sua vita e non vedeva l’ora di riprovare il brivido del farlo, la sola idea la faceva sorridere, aveva un segreto che doveva rimanere tale. Ebbene sì, lei, Andromeda Black, aveva disobbedito alla madre, sentendosi per la prima volta nella sua vita realizzata. Era stato proprio quel ribellarsi a farle sembrare il volo ancora più emozionante. Si era sentita la figlia del vento.
Ed ora non faceva altro che sognare di volare nuovamente, di sorvolare la propria terra a cavallo di una scopa, si chiedeva perché i maghi preferissero la Metropolvere alle scope, non immaginava che la sua preferenza nascesse proprio dal divieto.
Ad un certo punto una idea le balenò in testa. E se avesse raccontato a Bellatrix anche di quel particolare? Oh, l’avrebbe invidiata ancora di più e questo le dispiaceva, odiava essere invidiata almeno quanto odiasse invidiare però aveva bisogno di raccontare quell’esperienza a qualcuno.
Si alzò, uscì dalla camera ed entrò nella stanza accanto. Si stupì che Bellatrix non stesse già dormendo. La sorella era stesa a pancia in giù sul letto, aveva una candela accesa sul comodino, il lenzuolo era tirato fin sopra al capo e poggiato sul materasso vi era un libro; la degnò appena di uno sguardo quando entrò nella stanza.
<< Ah, sei tornata. Cosa vuoi? >> le chiese sgarbatamente.
<< Non vuoi sapere del mio viaggio? >> chiese a sua volta Andromeda, accigliata.
<< No, non me ne importa nulla. Sei stata una stupida a partire, dovevi restare qui a casa con noi, avresti appreso di più da nostra madre che da quei… maghi, perché Purosangue non sono, c’è del schifoso sangue babbano nella loro famiglia, non sono puri come noi, loro. Non capisco perché quella pazza della tua madrina voglia sposare uno di quella famiglia quando potrebbe benissimo sposare un Nott. >>
Andromeda la fissò ferita ed irritata, si era affezionata a quella famiglia che si era dimostrata affettuosa nei suoi confronti nonostante non ne facesse parte, era rimasta sorpresa anche da questo, nella sua famiglia si provava quel minimo di affetto solo ed unicamente per i familiari più stretti, quali genitori, sorelle, zii e nonni. << Beh, se proprio vuoi saperlo, ho imparato a volare! >> sbottò.
Bellatrix perse ogni interesse verso il libro e si alzò << Tu cosa? Sei impazzita? Non puoi! >>
<< Invece posso! Ora se voglio davvero fare una cosa niente e nessuno mi potrà più impedire di farlo! Non esiste più la frase “Andromeda, non puoi”! E se me lo vieteranno, io infrangerò le regole perché non c’è nulla di più bello! >> affermò Andromeda con passione, battendo un piede per terra << Io non sono la stupida, sei tu! Sei sempre così cupa, credi che tutto il mondo ti odi e di conseguenza tu odi tutti, non capisci mai che io ti voglio bene e ogni volta che provo a parlarti mi rispondi male! Sai che ti dico? Il mondo dovrebbe davvero odiarti! Non ti meriti niente, non ti meriti nemmeno di vivere se tratti male tutti in maniera ingiusta! Io non ti ho mai fatto niente! Addio, non parlarmi mai più! >> continuò, alzando il tono della voce, in preda alle lacrime. Uscì di corsa dalla stanza sbattendo la porta ed uscì in giardino. La odiava, non poteva farne a meno, trattava tutti male senza nessuna ragione, tutti tranne i suoi genitori, era peggio di sua madre, la donna almeno ogni tanto le sorrideva, seppur per pochi secondi, seppur per orgoglio, ma le sorrideva e questo le bastava. La sorella invece pareva in grado solamente di odiare e questa volta non l’avrebbe più perdonata, l’aveva sopportata per troppo tempo.
Si sedette sui gradini davanti alla porta d’ingresso e guardava le stelle, respirando profondamente per calmarsi.
Maledetta, rovinava sempre tutto, era stata così felice in quei giorni ma erano bastate poche sue cancellare la sua felicità. In un anno Bellatrix era profondamente cambiata, se prima ci si poteva parlare più o meno tranquillamente ora non era più possibile. Andromeda aveva accumulato per fin troppo tempo quella rabbia dovuta ai maltrattamenti subiti e quella sera non ce la faceva più. Oh, quanto voleva tornare ad sentirsi nuovamente la figlia del vento.




Note:
* Per “Blow” non s’intende il significato primario del termine, ma scorrendo nella colonna dei significati nel dizionario ho trovato anche vento, ventata e ho preferito “blow” a “wind”.
** Da Hesper Gamp, moglie di Sirius II Black (1877-1952), madre di Arcturus, Regulus e Lycoris Black.


Ringraziamenti:
- Ringrazio Piccola Vero e Aires_fly per i commenti ^^
- E ringrazio anche lei, la Padrah, Taryn, Hikari, Chiara per leggere tutto in anteprima e per sopportarmi.

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Capitolo 4
*** Fade to black ***


Fade to Black

Londra, 1961.

Stava arrivando la primavera, lo s’intuiva dall’allungarsi delle giornate e dalla temperatura che pian piano aumentava. Andromeda era felice di questo, le piaceva molto passare interi pomeriggi all’aria aperta nel giardino stesa a pancia in su sull’erba, passava ore ed ore a fissare il cielo o gli alberi del suo giardino.
Bellatrix, dal canto suo, preferiva chiudersi in camera e tirare le tende, cercando di essere il più possibile immersa nel buio, odiava il cinguettare degli uccelli e odiava tutto quel verde, così come odiava la luce. Ma del resto, lei odiava tutto, era totalmente priva di buoni sentimenti verso il mondo. Oh, se aveva ragione sua madre! Vivere sì che era una sofferenza!
Narcissa, povera bambina, si divideva fra l’una e l’altra sorella, assecondando le richieste di entrambe, ancora incapace di prendere una posizione definitiva o anche solo di pensare con la propria testa, tuttavia prediligeva passare il tempo con Andromeda.
In quel momento si trovava con lei in soffitta, sedute in un angolo abbastanza illuminato e giocavano. Erano costrette a giocare in soffitta, lontano da Bellatrix che avrebbe sicuramente rovinato quel loro gioco e lontano dalla madre, che non avrebbe sicuramente approvato tali passatempi.
<< Allora, facciamo finta che io sono un vampiro e tu la mia vittima, eh Cissy? >> propose Andromeda, scattando in piedi, sul volto un’espressione speranzosa. Andromeda ormai era alta quanto Bellatrix, l’avrebbe superata entro poco tempo, anche se non sarebbe mai stata bella quanto lei. I capelli castani erano stati finalmente tagliati il giorno prima, ora le arrivavano appena alle spalle, i suoi grandi occhi trasudavano la sua felicità. Continuava ad ostinarsi a non vestirsi in nero, in quel momento indossava una camicia da notte bianca che le arrivava fino alle caviglie.
<< Sì! >> le strillò Narcissa come risposta, alzandosi ed iniziando a scappare. Giocarono a lungo, si rincorsero, urlarono, si fecero anche male, tuttavia il so
rriso non sparì dal loro volto.
Andromeda si lasciò cadere sfinita per terra e poi osservò il soffitto, riprendendo fiato. << Cissy, voglio farti vedere una cosa >>
<< Cosa? >> chiese la bambina avvicinandosi alla sorella, incuriosita << Si mangia? >>
<< No >> rispose Andromeda sorridendo. Si alzò e si avviò ad un armadio impolverato e lo aprì, prendendo un libro molto grosso con una copertina verde in pelle di drago << Vedi, l’ho nascosto qui qualche tempo fa per non farlo trovare alla mamma >> spiegò.
<< E’ una cosa proibita allora! Non dovremmo leggerla, Meda! >> protestò Narcissa, anche se si avvicinò ulteriormente alla sorella.
<< Oh, in ogni caso imparerai presto quel che vi è scritto. E’ destino, capisci? Non capisco perché la mamma ci ostini a proibircelo, il Quidditch è uno sport fantastico! Quando arriverò ad Hogwarts cercherò in tutti i modi di entrare nella squadra! >> si ripromise Andromeda. Si era fatta procurare quel libro da Lucretia quando era tornata a Cardiff per il suo matrimonio, cinque mesi prima. E da allora l’aveva studiato, letto, riletto, lo aveva perfino imparato a memoria. Era la sua lettura preferita, nulla a che vedere con quelle favole che leggeva quando era più piccola o con quei banali libri di lettura che leggeva la sorella. Era il suo tesoro più prezioso, non l’avrebbe mai scambiato con nulla, per lei nulla al mondo era più bello del Quidditch, e quello di diventare una Cacciatrice professionista era il suo sogno nel cassetto.
<< Se lo dici tu… >> mormorò Narcissa, poco convinta. Non capiva cosa ci fosse di bello nel volare a cavallo di scope inseguendo delle palle stregate << Ad ogni modo… vediamo >>
Andromeda sorrise << Lo sapevo >> si sedette, posò il libro intitolato Il Quidditch attraverso i secoli sulle gambe e lo aprì << Sai che il Quidditch non fu assolutamente il primo sport magico con le scope? Per esempio c’era lo St… Stich… lo Stichstock, credo che si dica così, era un gioco tedesco che però nel 1300 scomparve. In Irlanda invece c’era l’Aingingein… >>
<< Quella della ballate irlandesi? >> chiese Narcissa << Sì, lo conosco, anche perché la nonna parla spesso di Fingal il Focoso, ricordi? >>
<< Sì, giusto >> rispose Andromeda, contenta di avere le attenzioni della sorella. << Poi vediamo… Il più pericoloso senza dubbio fu uno scozzese, il Creaothceann, si giocava con dei calderoni sulla testa e in genere dieci dei dodici giocatori morivano. Invece qui in Inghilterra si giocava a Shuntbumps o a Swivenhodge. Ma senza dubbio il più popolare fu il gioco della palude di Queerditch. Al Museo del Quidditch, quello che sta in città, c’è il diario di Gertie Keddle, la strega che prese appunti sul gioco, unica nostra informazione. Sai da dove deriva il Boccino d’Oro? >>
<< Io… no >> replico Narcissa, che ormai rivolgeva tutte, proprio tutte le sue attenzioni alla sorella.
Andromeda sorrise con aria superiore << Lo dice nel quarto capitolo, se solo tu avessi letto il libro… >> sfogliò le pagine fino ad arrivare alla pagina da lei cercata e lesse <<Fin dal 1100, la Caccia allo Snidget fu popolare tra molti maghi e streghe. Il Golden Snidget oggigiorno è una specie protetta, ma a quel tempo i Golden Snidget erano comuni nel Nord Europa, anche se difficili da distinguere agli occhi dei Babbani… >>
<< Tipico. Sono così addormentati e scemi, loro. I maghi lasciano tracce ovunque, ma continuano a non accorgersi di nulla >> commentò Narcissa, convinta di quel che diceva.
Andromeda le rivolse un’occhiata furiosa ma preferì andare avanti nella lettura << dei Babbani per la loro inclinazione a nascondersi e la loro enorme velocità. La taglia minuscola del Golden Snidget, unita alla sua notevole agilità nell’aria e alla destrezza nell’evitare i predatori, era solo un ulteriore motivo d’orgoglio per i maghi che li catturavano. Un arazzo… No, andiamo avanti. La caccia al Golden Snidget finalmente s’intrecciò con il Quidditch nel 1269 in una partita a cui assistette il Capo del Consiglio dei Maghi in persona… poi… I Golden Snidget ben presto vennero liberati durante tutti gli incontri di Quidditch, e un giocatore di ciascuna squadra aveva il solo compito di catturarlo. Quando l’uccello veniva ucciso, il gioco finiva. Però poi, visto che i Golden Snidget erano quasi tutti morti, inventarono il Boccino d’Oro >>
<< E’ vero che ci sono giocatori che picchiano delle palle con le mazze? >> chiese Narcissa, desiderosa di sapere di più su quello strano sport.
<< Certo, sono i battitori, loro hanno il compito di colpire i Bolidi, delle palle che se ti colpiscono ti fanno male, e indirizzarli contro altri giocatori. In genere le loro scope sono in legno di Tasso >>
<< E perché? Cioè, che differenza c’è fra un legno e l’altro? Alla fine sempre alberi sono, no? Non hanno niente di speciale >>
<< Cissy, Cissy, Cissy… >> mormorò Andromeda chiudendo gli occhi, con l’aria di chi aveva ricevuto il più terribile degli insulti << Ci sono molte differenze fra un legno e l’altro. Per esempio il legno di Tasso o quello di Frassino sono fra i preferiti di chi gioca a Quidditch perché sono molto veloci, il contrario delle scope in legno di Ciliegio oppure di Castagno. Se poi devi viaggiare al Nord con la scopa ti conviene comprare una scopa in legno di Abete, gli altri alle temperature basse si possono spaccare, mentre se devi trasportare carichi molto pesanti usa una scopa in legno di Quercia. Certo che sei proprio ignorante, eh >>
<< Ma io non lo potevo sapere, non l’ho mica letto il tuo libro! E nemmeno tu lo sapevi prima di leggere! >> protestò Narcissa, offesa, incrociando le braccia al petto, aggrottando le sopracciglia e sporgendo il labbro inferiore com’era solita fare quando era arrabbiata o offesa.
Andromeda, che conosceva quell’espressione, chiuse il libro e lo posò accanto a sé e si gettò sulla sorella, facendole il solletico ai fianchi. Presto si ritrovò a lottare con lei fra le risate. Era contenta che la sua sorellina fosse molto più allegra dell’altra, o che almeno lo fosse in sua presenza. L’aveva ignorata per parecchio tempo, prediligendo la più grande e sentendosi onorata di essere stata presa in considerazione dalla sorella maggiore.
Ma quando c’era un altro gioco a cui giocare, Bellatrix non c’era mai, Narcissa invece era sempre pronta a seguirla nelle sue strane fantasie riguardanti amori impossibili fra draghi ed elfi domestici o nei suoi strampalati giochi che inventava sul momento.
Narcissa era contenta di giocare con Andromeda, con lei poteva sorridere o almeno provarci senza sentirsi giudicata in maniera negativa, poteva far emergere il suo “io bambino” che la spingeva a ridere senza motivo o ad apprezzare tutto senza considerare le parole degli altri. E poteva piangere quando si faceva male, non doveva reprimere tutto il dolore. Andromeda le sembrava una benedizione, era sempre lì vicino a lei quando la chiamava, e rideva sempre, anche solo con gli occhi. Quell’ora che passava con Andromeda era sempre allegra e scivolava via fin troppo velocemente.
Si sentiva anche in colpa perché le piaceva la compagnia di Bellatrix, le piaceva sentirla parlare col suo solito pessimismo o inveire contro Babbani o Mezzosangue, cosa che riteneva giusta anche se a volte Bellatrix esagerava con i termini volendo sentirsi “grande” a tutti i costi. Loro erano i migliori, loro erano i Black.
Pensava che Bellatrix avesse sempre ragione, riteneva i suoi discorsi molto più profondi di quelli di Andromeda, e più veritieri.
Tuttavia non avrebbe mai rinunciato ad Andromeda, così come non avrebbe mai rinunciato a Bellatrix.
<< E allora? Si può sapere cos’è tutto questo casino? Si sente dalla mia camera, da qui sotto >> la voce fredda di Bellatrix colpì Andromeda come uno schiaffo. Lei subito si alzo e senza farsi notare spinse sotto un mobile il suo libro con il piede.
<< Stavamo solo giocando. Tu non ne sei in grado, non puoi capire, del resto ti odiamo tutti, no? >> rispose Andromeda, corrucciata. Dopo un anno non avevano ancora fatto completamente pace ed Andromeda era sicura che non l’avrebbe mai voluta fare, del resto viveva meglio senza la presenza continua di Bellatrix.
<< Ma davvero? Che cosa stupida. A cosa servirà mai nella vita giocare? >>
<< A cosa servirà mai passare la propria infanzia in quella maniera terribile? Ti rendi conto che ti stai rovinando? Se a dieci anni desideri morire, a trenta cosa farai? Ti suiciderai? Non hai ideali! Non vali nulla! >>
<< Sei tu che non hai ideali, Andromeda. Io so benissimo cosa vorrò fare della mia vita. E quando smetterai di parlare a vanvera, nostra madre ti aspetta di sotto >> replicò duramente Bellatrix, convinta che la sua strada fosse quella del male. Aveva deciso di diventare cattiva.
<< Io non parlo a vanvera! >> protestò Andromeda.
<< Certamente >> disse Bellatrix con tono distaccato, mentre camminava attorno alla stanza, sfiorando i vari mobili e constatando lo strato di polvere << Ora, ti conviene non far aspettare nostra madre >>
Andromeda la guardò con odio, non credeva di arrivare ad odiare una persona fino a quel punto << Va bene, ho capito. Narcissa… >> la bambina si avviò alla porta, tendendo una mano verso la sorellina.
<< Oh, no, no, no. La piccola Narcissa resta con me >> l’informò Bellatrix, posando una mano sulla spalla della sorellina << Ciao ciao >> aggiunse poi, inclinando il viso da un lato e mostrando un sorriso ironico e falso, come il suono della sua voce.
Narcissa e Bellatrix passarono il pomeriggio nella camera della più grande senza scambiarsi una parola e senza nemmeno guardarsi.
In tarda serata, le due ottennero il permesso dal padre di uscire fuori dal cancello e di camminare nelle stradine campagnole circostanti.
Camminavano distanti, senza considerarsi. Le stradine erano vuote ed entrambe sentivano freddo, Narcissa aveva le braccia strette ai fianchi e voleva tornare a casa, tuttavia non poteva, Bellatrix le aveva chiesto, o meglio le aveva imposto, di seguirla.
Narcissa voleva solo giocare, voleva solamente una persona gentile al suo fianco con cui passare quella serata fredda e quasi primaverile, a cui confidare i propri sciocchi segreti.
Bellatrix, seppur forte di carattere, spesso le appariva una figura scialba priva di qualsiasi spessore, un fuoco spento, un sole dormiente.
Camminarono a lungo, poi quando non c’era nient’altro su cui camminare senza farsi male si fermarono e si sedettero.
Narcissa sentiva d’impazzire, aveva bisogno di sfogarsi, in quel momento si sentiva a disagio. Decise di parlare.
<< Bella? >> la chiamò, incerta.
<< Sì? >> rispose la più grande << Cosa c’è? >>
<< Perché mi hai portato qui? >>
<< Perché sì >> replicò secca Bellatrix. In realtà non lo voleva ammettere, le risultava difficile ammettere la sua gelosia per Andromeda, Andromeda la perfetta, Andromeda l’allegra, Andromeda la giusta, Andromeda la carismatica. Tutto quel che faceva Andromeda andava sempre bene alla madre, mentre lei sbagliava sempre e comunque. Era gelosa, non sopportava che sua madre adorasse Andromeda, che la preferisse a lei. Lei sì, che l’amava. Lei la seguiva, l’ascoltava, le obbediva, al contrario della sorella.
Andromeda era così attaccata a Narcissa, quindi avrebbe fatto di tutto per sciogliere quel legame, per separare le due sorelle, per metterle l’una contro l’altra.
Narcissa tacque per un po’, poi ci riprovò << Bellatrix? >>
<< Mh? >>
<< Mi sento strana. Io… >>
<< Oh, no, Narcissa. Non ti sfogare con me, io non ti ascolterò. >>
<< Non c’è bisogno che mi ascolti, basta che tu mi faccia parlare. Ti prego >>
Ti prego. Ti prego. Bellatrix amava il suono di quelle due parole, amava sentirsi pregare dalla gente, si sentiva importante. Ti prego. << Fa’ pure, allora, ma non ti aspettare una risposta >>
<< Sai, a volte ho l’impressione che io faccia male a fare quello che vuole la mamma. So che ha ragione perché, ehi, è la mamma. Però… quando rinuncio a giocare sento un pezzo di me che… che se ne va, sì, che se ne va. E quando mi viene proibito il gioco perdo quasi la voglia di vivere, non ho più nulla da fare, del resto sono una bambina. Perché gli altri possono giocare e io no? Certo, sono una Black, questo mi rende superiore a tutti, però… a volte preferirei essere una bambina qualsiasi, almeno non sarei piena di angoscia. A volte mi sembra quasi di avere due personalità, quella della bambina seria e quella della bambina… bambina. Mi sento sfumare, sfumare in nero >> Narcissa trattenne quasi a stento le lacrime << Ed ho il male di vivere dentro, lo incontro spesso durante la giornata ed altrettanto spesso sparisce, è strano, ecco! Mi sento morta, la mattina mi alzo e mi credo forte, ma quando arrivo a sera mi sento distrutta. Ogni volta che penso di fare qualcosa di buono, di giusto, subito dopo capisco che non è così. E’ una cosa che si ripete sempre. A volte vorrei essere come Andromeda, lei è cocciuta, fatata ed insiste sempre, non molla mai >>
<< Quanto sei stupida >> commentò Bellatrix, che aveva sentito solo l’ultimo periodo. Si alzò e si avviò verso casa << Avanti, è ora di tornare a casa. Hai già detto troppe cretinate per oggi >>
Cretinate. Narcissa fu colpita da quella parola per lei fin troppo pesante e sospirò, seguendola << Immagino di sì… >> mormorò a capo chino.
Una volta tornate a casa Narcissa corse dall’altra sorella, bussò al suo uscio << Posso? >> chiese timidamente.
Andromeda le aprì la porta, sorridente << Ma certo, che fai? Stai pure a chiedere il permesso? >> le domandò scherzosa, ma quando notò l’espressione della sorella il sorriso le si spense << Che ti ha fatto? >>
<< Vipera, strega, Augurey! >> strillò Andromeda una volta che Narcissa le raccontò del pomeriggio e del breve dialogo.
<< Augurey? >> chiese Narcissa, che non aveva mai sentito quel termine.
<< Augurey, sì. è un uccello irlandese magro e tetro, come nostra sorella. Ha anche gli stessi riflessi verdognoli, sai? Emette un verso basso e fastidioso, prima si pensava che annunciasse la morte. Infatti tutti evitavano i nidi di Augurey per paura di sentire quel verso, pochi li sopportano, come del resto nessuno sopporta Bellatrix >> spiegò Andromeda, che si era alzata e appoggiata alla finestra in modo da osservare la sorella maggiore che in quel momento era seduta in giardino, perfettamente immobile << Non è giusto che ci tratti così! >>
<< Oh, e cosa possiamo fare? E’ la più grande…>> mormorò rassegnata Narcissa << E poi ha il suo fascino >>
<< Il suo fascino da vipera! >> sbottò Andromeda << E’ lei la scema, la cretina, non darle retta >>
Narcissa , anche se non era del tutto convinta, annuì << E a te? Com’è andata? Cosa voleva la mamma? A cena non abbiamo avuto modo di parlare… >>
<< Nulla, non voleva nulla di importante, voleva solo sapere cosa voglio per il giorno del mio compleanno, la solita cosa di tutti gli anni >>
<< Posso dormire qui? >> chiese poi all’improvviso Narcissa, che non voleva dormire da sola in quella stanza enorme e buia che le faceva venire incubi tremendi. Aveva pura dei mostri, lei.
<< Sì >> rispose Andromeda, che ben conosceva le paure della sorella, visto che più e più volte era corsa nella sua camera piangendo e urlando qualcosa riguardo ai mostri.
E così mezz’ora dopo si addormentarono, Andromeda occupava il minor spazio possibile in modo da far stare comoda la sorella. Una giornata piena d’odio e rabbia era terminata, un’altra ne stava per arrivare.



Note:
E’ ovvio che quel che riguarda il Quidditch è stato reperito in “Il Quidditch attraverso i secoli” e che l’Augurey non è una creatura inventata da me, bensì è reperibile ne “Gli animali fantastici: dove trovarli”.

Ringraziamenti:
- Grazie a Piccola Vero, sono contenta che ti piaccia.
- Grazie anche a Rebellious_Angel, alias , per giudicare la mia Fanfic una “Bibbia” xD
- Grazie ancora una volta alla santa donna della padra.

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Capitolo 5
*** Slytherin ***


Sltyherin

Londra, 1962
13 agosto



Erano le nove di sera di una serata particolarmente calda di agosto. Su due poltrone di pelle nera con rifiniture dorate in uno dei tanti salotti di casa Black al primo piano arredato con mobili in stile barocco e con un meraviglioso affresco sul soffitto erano seduti Druella e Cygnus. Lui leggeva un libro, o perlomeno così lasciava intendere alla moglie che fissava con aria truce il giardino illuminato dalla luna.
Di tanto in tanto scambiavano qualche parola riguardo la loro odierna visita a Grimmauld Place o riguardo l’impellente bisogno di Bellatrix di materiale scolastico. La bambina, infatti, avrebbe preso per la prima volta l’Espresso per Hogwarts. Non c’erano dubbi riguardo la Casa di appartenenza, sarebbe stata certamente a Serpeverde, così come tutta la sua famiglia prima di lei. Sarebbe stato un disonore avere una figlia a Tassorosso o, peggio, a Grifondoro. Per quel che riguardava Corvonero, le cose erano diverse o almeno non sarebbe stata diseredata all’istante.
<< Incredibile! >> esclamò Druella, la voce fredda resa acuta dalla rabbia << Incredibile! Di nuovo incinta! Oh, ma tua sorella sa benissimo che quello che Orion prova per lei non è certo amore. Eppure, Sirius avrà un fratello! >>
<< Lo chiameranno Regulus, se maschio. Altrimenti Cassandra >> l’informò Cygnus, senza alzare lo sguardo dal libro e senza ascoltare veramente la moglie.
<< Non m’importa come si chiamerà! Io ho sempre stimato tua sorella, ma ultimamente si comporta da… da idiota! >> sibilò la donna, rossa in volto per la rabbia. Non capiva come potesse una donna intelligente e forte come sua cognata innamorarsi di una persona come Orion a tal punto da perdonare i troppi tradimenti, i maltrattamenti, le violenze subite e tutto il resto.
Walburga era completamente abbandonata al se stessa, non aveva alcun aiuto dal marito, e così cresceva Sirius da sola e presto avrebbe avuto un altro bambino a cui badare, un altro bambino da crescere da sola. Druella al suo posto non avrebbe taciuto, non avrebbe sopportato, ogni traccia d’amore presente nel suo cuore verso quell’essere sarebbe stata dilaniata dalla rabbia e dall’odio, perché nessun amore è tanto forte da permettere di erodere la propria dignità.
Walburga ne risentiva. Ne risentiva il suo fisico, ormai non più bello come quello di una volta, ne risentiva il suo animo, la sua psiche, il suo essere, ogni giorno era per lei una continua pena, una continua lotta contro se stessa, spaccata in due dall’amore e dall’odio che provava per suo cugino, ed ogni volta che tentava di dire basta le si lacerava ulteriormente il cuore. E così da donna forte qual era, Walburga diventò una donna fragile e dispotica.
Quel che più irritava Druella era l’atteggiamento della famiglia nei confronti della donna. Tutti conoscevano quella situazione, pochi cercavano di darle una mano nei limiti del possibile, molti davano la colpa a Walburga. Non era una vera donna, dicevano, altrimenti non si sarebbe lamentata una sola volta, anzi, avrebbe amato il marito ancora di più.
<< Comunque sia, la visita a Diagon Alley non può essere rimandata oltre. Saremmo dovuti andare giù molto tempo fa >> disse Cygnus, chiudendo il libro << Le bambine ne saranno felici >>
<< Bambine? Credevo fosse chiaro che sia Andromeda sia Narcissa sarebbero rimaste qui! >> Druella contava infatti di lasciare le sue due figlie minori ad Hilde, l’elfo domestico.
<< Oh, Meda e Cissy mi hanno chiesto di venire, comprendile, non riuscivano più ad aspettare, e così ho promesso loro che sarebbero venute con noi >> spiegò Cygnus, lui adorava le tre figlie, avrebbe esaudito qualsiasi loro richiesta se Druella non l’avesse impedito, e poi crescere ed educare i figli era, a suo parere, un’attività riservata solamente alle donne, i padri di famiglia avevano il compito di mantenere economicamente e moralmente moglie e figli.
<< Comprenderle, certo >> borbottò Druella << Questa non è comprensione, così le vizi e i vizi non aiutano a crescere, non aiuti me ad educarle. Le accontenti sempre, bastano quei due occhi da cerbiatto di Andromeda a farti perdere la ragione! Ci ritroveremo tre figlie viziate, saranno sulla bocca di tutti, perché la gente parla, eccome se parla! >>
<< Ma… >> Cygnus voleva ribattere, trovando oltre modo eccessiva la reazione di Druella. Ci ripensò. << Ad ogni mondo, manterrò la mia promessa >>

Londra, 1962
14 agosto

Era mattina, la famiglia Black era riunita nella sala da pranzo e consumava la colazione.
<< Oggi, finalmente, andremo a Diagon Alley >> annunciò Cygnus << E’ ormai tempo che Bellatrix abbia il suo materiale scolastico >>
<< E ovviamente dovrete essere tutte e tre presentabili d’aspetto e impeccabili nei modi >> impose Druella << Più del solito >>.
Andromeda, che conosceva il significato di quelle parole che aveva sentito fin troppe volte, protestò << Ma fa caldo per vestirsi in nero… >> Bellatrix e Narcissa la osservarono sgomente. Loro non avrebbero mai avuto il coraggio di protestare. Spostarono quindi lo sguardo sulla madre per studiarne la reazione.
Druella se lo aspettava. Andromeda era sempre restia ad obbedire, protestava sempre, insisteva nel vestirsi con vestiti colorati, correre, gridare, differenziarsi dalle sorelle. Eppure Druella la preferiva alle sue sorelle, era così intelligente, vispa, era certa che sarebbe diventata qualcuno. << Allora vorrà dire che indosserai il vestito verde scuro >>
Bellatrix e Narcissa erano incredule, loro avrebbero sicuramente ricevuto uno schiaffo e basta. “Ma se ha fatto così, avrà i suoi motivi. Motivi giusti e buoni” pensò subito dopo Bellatrix.
Druella si alzò. I segni dell’età non tardavano ad arrivare; i capelli biondissimi iniziavano a diventare bianchi, attorno agli occhi apparivano le prime rughe. Ma era sempre bellissima.
Tornò nella sua stanza e rimase a lungo davanti allo specchio, cercando di assumere un’aria severa. Non si rendeva conto che la sua aria era già severa, non aveva bisogno di sforzarsi. Lei amava le sue figlie più di ogni altra cosa al mondo, e fu per loro che undici anni prima decise di cambiare radicalmente carattere, fu solo per prepararle al mondo esterno, così crudele e ingiusto, dove non c’era spazio per comprensioni. Rinunciò così a quella vita piena di frivolezze che tanto le piaceva. Indossò uno dei suoi vestiti migliori e raccolsi i capelli in uno chignon.
Narcissa era Druella in miniatura. Bellatrix tentò di imitarla per tutta la giornata, emulando comportamenti ed espressioni. Andromeda era quasi estranea alla famiglia. I capelli castani erano raccolti in due code fermate da due enormi fiocchi dello stesso colore del vestito, un’aria allegra e un sorriso che metteva in mostra i due vuoti lasciati da i denti da latte caduti. << Andremo con la Metropolvere? >> chiese, ansiosa e curiosa di provare quel mezzo di trasporto.
<< Certo che no, idiota! >> le rispose Bellatrix.
<< La Metropolvere non è consona ad una famiglia Purosangue, e poi ci sporcheremmo. Bellatrix, modera i termini, tua sorella non ha il sangue sporco, quindi non hai alcun diritto di maltrattarla >> disse Druella, senza alcuna emozione sul volto << Ci Smaterializzeremo >>.
Poco dopo si Materializzarono all’interno de The Leaky Cauldron, tutti –tranne Andromeda- ignorarono i capannelli di maghi dall’aria sudicia e le altre famiglie di maghi, passarono a testa alta nel mezzo del locale, per poi uscire in un cortile.
<< Come si raggiunge Diagon Alley? >> chiese Andromeda al padre, il quale le avrebbe certamente risposto al contrario della madre.
<< Così >> rispose Cygnus, colpendo tre volte il muro con la punta della bacchetta. Apparve un buco, che s’ingrandì fino ad aprirsi in un arco. Quel che le tre sorelle videro le lascio senza fiato, Bellatrix inclusa.
Non avevano mai visto così tanta gente in una volta sola, così tanti maghi ammassati in una sola via. Chi usciva dalla farmacia, chi comprava un calderone, chi pieno di buste continuava ad entrare e ad uscire dai negozi, bambini fissavano desiderosi manici di scopa, donne si lamentavano del prezzo della merce, chi si gustava un gelato dei Fortebraccio, chi contava i soldi rimanenti, chi era fermo con alcuni amici o parenti in un angolo a chiacchierare. Diagon Alley era un agglomerato di gente, colori e confusione e Andromeda si era già innamorata di quella via.
La bambina continuava a girarsi e rigirarsi, fissando vetrine e persone dall’aspetto stravagante, fermandosi di tanto in tanto ad ascoltare le conversazione altrui.
<< Bellatrix ha bisogno di un calderone >> disse, fermandosi davanti al primo negozio che incontrarono.
<< E come lo vorresti comprare senza soldi, Miss Intelligenza? >> chiese Bellatrix con pesante sarcasmo nella voce << E’ ovvio che dobbiamo andare prima alla Gringott, lo sa perfino Narcissa! >>
Le bambine non furono per niente colpite dall’edificio bianco della banca, loro vivevano in un palazzo più grande, lussuoso ed inquietante di quello.
Superarono la porta bronzea ed Andromeda si fermò poco prima della porta argenta, alzò il capo e lesse ad alta voce << Enter, stranger, but take heed of what awaits the sin of greed, for those who take, but not earn, must pay most dearly in… >>
<< Andromeda! >> la chiamò Druella, voltandosi. << Non farmi pentire di averti portato con noi >>
Andromeda raggiunse la famiglia di corsa, un paio di folletti li accompagnarono in un grande e affollato salone di marmo, dove centinaia e centinaia di folletti seduti dietro a dei banchi svolgevano il loro lavoro.
Mentre Cygnus, accompagnato da un folletto, andò a prelevare i soldi necessari, le quattro rimasero nel grande salone. Duella era al centro della sala, le braccia conserte e un’aria snob, Bellatrix era accanto a lei e cercava di imitarla, Narcissa si guardava attorno a bocca aperta (che fu prontamente richiusa da un gesto secco della madre) ed Andromeda contava e saltava sulle mattonelle con l’aria di divertirsi molto finché non fu richiamata dalla madre.
<< L’anno prossimo resterai a casa, da sola >> le sibilò la donna, per nulla contenta del comportamento della figlia.
Appena uscirono dalla banca, comprarono il telescopio in un negozio non molto lontano dall’edificio. Mentre una commessa tentava di esaudire le difficili richieste di Druella per quel che riguardava il telescopio, Andromeda fissava incantata gli oggetti esposti nelle teche, toccando tutto quel che era a portata di mano e lasciando varie impronte sui vetri e sugli oggetti, ricevendo occhiate di rimprovero dalla commessa poiché li aveva appena lucidati.
Subito dopo andarono in farmacia, dove comprarono una scorta d’ingredienti per Bellatrix, nonostante non fosse segnata sulla lista.
Andarono poi in un negozio in cui erano esposti diversi oggetti, alcuni dall’aria pericolosa, altri colorati. Andromeda e Narcissa furono stregate da un oggetto che faceva cadere i capelli a chiunque lo toccasse e la più grande si costrinse a non farlo toccare a Bellatrix (Bellatrix, infatti, riteneva i suoi capelli il suo più grande tesoro dopo la madre), la quale era attratta da oggetti impolverati che non promettevano nulla di buono. Comprarono un set di provette di cristallo ed una bilancia di ottone, anche se Druella avrebbe preferito comprare il modello in platino, ma era decisamente poco pratico.
Comprarono un calderone in peltro, e poi entrarono nel Ghirigoro per comprare i testi scolastici. Lì si divisero. Druella cercava i libri di Trasfigurazione e di Storia della Magia, li trovò subito ed attese a lungo alla cassa. Cygnus ci mise più tempo a trovare “Teoria della Magia” poiché si fermò a parlare con un collega del Ministero, Andromeda doveva cercare il libro di Incantesimi e “Gli animali fantastici: dove trovarli”, ma ben presto si perse fra le pagine di un volume di Quidditch, mentre Narcissa si era persa nel negozio, stringendo al petto “Mille erbe e funghi magici” e “Infusi e pozioni magiche”.
<< Le Forze Oscure: guida all’autoprotezione… Che cosa stupida >> mormorò Bellatrix << Come se volessi proteggermi dalle Forze Oscure, io, che appena finirò Hogwarts diventerò Mangiamorte! >>
Un bambino di undici anni dai capelli rossi ebbe l’ardire e l’infelice idea di fermarla << Scusa… io mi sono perso, non è che sai dirmi dov’è Madama McClan? Mia madre è lì, è lei la strega in famiglia, mio padre e Babbano e io… >>
<< E tu devi sparire, Mezzosangue >> sibilò Bellatrix, imitando in modo straordinario la madre in tono e postura << Possa crepare tua madre, per aver infangato il nome di mago, possa crepare tuo padre, per averti generato e possa crepare tu, sudicio ibrido, per aver rivolto la parola a me, Bellatrix Black >>.
Quando uscirono dal negozio, andarono a comprare la divisa per Hogwarts da Madama McClan. Bellatrix stava provando l’uniforme, che le stava davvero bene o perlomeno la faceva sembrare una vera ragazzina di undici anni, quando la porta si apri nuovamente, facendo entrare una famiglia composta da tre persone: I Black diedero un rapido sguardo, sembravano Purosangue, ma c’era qualcosa di strano nella donna e nella figlia.
<< Hogwarts? >> chiese Madama, con tono stanco e annoiato.
<< Oh, no >> rispose il padre << La piccola Apolline andrà a Beauxbatons come la madre. Sapete, mia moglie è francese, ed è una Veela >>.
<< C’era qualcosa di bestiale in quella. Beh, meglio una mezza Veela di un Mezzosangue >> commentò a bassa voce Druella, decidendo poi che la divisa di Bellatrix era perfetta << Vedrai, ti starà d’incanto con i colori di Serpeverde, ma ora andiamo a pranzo >>.
<< Bebaton? >> chiese Narcissa, avvicinandosi ad Andromeda mentre andavano a pranzo. L’aveva sentita nominare qualche volta, ma non aveva mai chiesto informazioni, così decise di farsi spiegare da Andromeda qualcosa.
<< Beauxbatons, Cissy, Beauxbatons. E’ una scuola francese, non si sa molto. Fu fondata nel 1300 credo, e se guardi le divise capisci che si trova nel sud della Francia, infatti sono leggere. Non è raro trovare una Veela o un suo discendente fra gli allievi, sai? >>
<< Mah, bestie antipatiche e snob >>
<< In questo modo sembri tu l’antipatica e snob >> replicò Andromeda << Che fai? Parli come Bellatrix? >>
Dopo il pranzo la famiglia, con grande felicità da parte di Andromeda, fu costretta ad andare da “Accessori per il Quidditch” per una curiosità di Cygnus.
Andromeda fissò estasiata tutti quei manici di scopa, innamorandosi della Comet 260 ma non disprezzando la Scopalinda 3.
Alla fine Bellatrix li trascinò da Olivander, non vedeva l’ora di possedere una bacchetta.
Olivander era un uomo sulla quarantina con grandi occhi velati, Narcissa aveva quasi paura a sostenere lo sguardo. Mezz’ora dopo Bellatrix stringeva contenta la sua bacchetta di Tiglio, 11 pollici con corda di cuore di drago.
<< Sono contenta che questa sia la tua bacchetta, non mi piacciono molto le bacchette di Castano o quelle di Tasso, trovo poi insulse quelle con crine di unicorno, già la piuma di Fenice è più decente, ma la corda di cuore di drago è perfetta >> commentò Druella.
La loro ultima tappa fu il Serraglio Stregato e lì Bellatrix lesse le varie targhette sotto le gabbie, in cerca del suo animale.
Per primi esaminò i gatti. Potevano percepire presenze quali spiriti, ma quello poteva farlo anche da sola, anche se non poteva vedere persone sotto il Mantello dell’Invisibilità come quei gatti. Ma nessuno ad Hogwarts sarebbe mai andato in giro sotto i Mantelli dell’Invisibilità, no? Bellatrix li scartò non appena lesse che potevano essere vendicativi se maltrattati.
Lei amava maltrattare cose, animali e persone e quella palla di pelo bianca che la fissava con occhi languida la istigava alla violenza.
Osservò poi i rospi, anche se con scarso interesse. Mandavano via gli insetti e potevano consegnare dei messaggi. Brutti, un po’ più utili dei gatti, ma sempre brutti.
Finalmente si avvicinò alla gabbia delle civette e dei gufi. Pesavano circa tre chili, alti settanta centimetri, apertura alare di un metro e ottanta centimetri, orgogliosi, era bene non dare totale indipendenza… Oh, erano perfetti. Quando tornarono a casa, Bellatrix aveva il suo gufo bruno.

Londra, 1962
31 agosto

Era tardo pomeriggio, Bellatrix era in camera sua, seduta sul letto ed osservava il sole tramontare dietro i cipressi e gli abeti e si ritrovò a pensare che quello sarebbe stato l’ultimo tramonto che avrebbe visto dalla sua camera prima di Natale. Perché ovviamente sarebbe tornata a casa, non sarebbe rimasta ad Hogwarts in compagnia di Mezzosangue per nulla la mondo.
Era stregata dall’idea di essere finalmente diventata indicesse, di essere stata ammessa alla più prestigiosa scuola di Magia, di entrare finalmente ed ufficialmente nella società magica, avrebbe reso fieri i suoi genitori, avrebbe mantenuto alto il nome dei Black, avrebbe umiliato tutti quei Mezzosangue come le aveva insegnato sua madre, si sarebbero pentiti di aver preso il treno per Hogwarts insieme a lei, Bellatrix Black, futura serva dell’Oscuro Signore. Avrebbe fatto amicizia con i figli delle più importanti e migliori famiglie Purosangue, avrebbe lottato per mantenere alto l’onore dei Serpeverde, la sua futura Casa, perché lei era certa che sarebbe finita lì.
Quel che proprio non riusciva a concepire era la presenza di Mezzosangue o, peggio, di surrogati dei maghi, i nati Babbani. Loro non erano e non sarebbero mai stati veri maghi, potevano risultare anche i migliori a scuola, ma non sarebbero mai diventati famosi nella società della Magia, sarebbero rimasti per sempre i retti qual erano. Non magici, ma nemmeno Babbani. Semplicemente, erano la Feccia della società.

Hogwarts, 1962
1 Settembre

<< Black, Bellatrix >>
<< SERPVERDE >>
Bellatrix raggiunse il tavolo della sua Casa, consapevole che da quel momento non era più Bellatrix Black, primogenita di Cygnus e Druella Black ma era Bellatrix Black, studentessa di Serpeverde.



Ringraziamenti:
-Si ringrazia Chiara, che ha gentilmente provato –inutilmente xD- a postare questo capitolo per me.
-Ringrazio tutti coloro che hanno commentato, vorrei spendere una parola di più ma vado di corsa, scusatemi.

Note:
-Apolline, la bambina citata, è proprio la madre di Fleur.
- Passo l’estate alla villa estiva, priva di connessione, perciò non so ogni quanto potrò copiare dalla carta al pc e postare, scusatemi nuovamente.

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Capitolo 6
*** Spells and tea ***


Spells and tea




Londra, 1963
Febbraio.



Druella era seduta in uno degli innumerevoli salotti in compagnia delle figlie, della cognata Walburga e del nipote bevendo una tazza di tè e chiacchierando della settimana appena trascorsa. Narcissa era seduta accanto alla madre a cui assomigliava sempre più, mentre Andromeda era in un angolo della stanza a leggere un libro, lanciando ogni tanto occhiate al ventre ingrossato della zia e a Sirius, suo cugino, che in mezz’ora era riuscito ad incendiare una tenda dopo essersi arrampicato su di essa ed averla strappata.
La bambina era allo stesso tempo divertita e preoccupata per la salute del suo cuginetto, ancora troppo piccolo per capire cosa fosse pericoloso per la sua salute, ma non poteva fare a meno di ridere per ogni suo danno. Si preannunciava diverso dalla famiglia, o perlomeno sembrava vivo e non morto come tutti gli altri membri. Chissà se sarebbe rimasto sempre così oppure se sarebbe diventato come tutti gli altri loro parenti.
Ormai Walburga aveva rinunciato a rimproverarlo. Ogni volta che lo sgridava suo figlio sorrideva e qualche secondo dopo tornava al suo tentativo di distruzione. Non sapeva più cosa fare, come educarlo, sembrava infischiarsene delle regole ed era attratto da tutte quelle cose che chiunque avrebbe definito “pericolose”.
Druella osservava la sua figlia più piccola con un sorriso compiaciuto, era sempre così seria e quell’atteggiamento superiore che aveva sempre nei confronti di chiunque le donava molto, le riusciva piuttosto naturale. Quel che la preoccupava era la costante presenza di Andromeda. Andromeda era quasi pericolosa per Narcissa, l’aveva sentita parlare dei Babbani e dei Mezzosangue con una sfumatura benevola e Narcissa pendeva dalle labbra della sorella. Ora che non c’era più Bellatrix a rivelarle la verità, la donna temeva che Narcissa seguisse la sorella in quei suoi pensieri folli, che facesse amicizia con Mezzosangue. Per quanto irritata dal comportamento di Andromeda, Druella non riusciva a picchiarla o a sgridarla, le si bloccava la mano a mezz’aria e la voce le moriva in gola senza riuscire a capire il perché. Cosa aveva mai di speciale quella bambina? Perché non riusciva a picchiarla come faceva con le altre due figlie? Eppure era inquietata da quel comportamento, Andromeda meritava di essere punita, meritava di venire umiliata, forse così avrebbe capito quale fosse la verità sui Maghi e sui Babbani. Le mancava Bellatrix.
Andromeda, al contrario di tutto il resto della famiglia, era contenta che Bellatrix non fosse lì con loro, si sentiva libera di ridere, di gridare, di correre, di giocare, non correva il pericolo di incontrare quella sagoma scura della sorella, a volte era pronta a giurare che attorno a lei ci fosse un’aura negativa, tetra, e si era convinta di quel suo pensiero, perché nessuno poteva essere così negativo ed avere così poca voglia di vivere. Bellatrix per lei era diventata l’incarnazione dell’apatia e dell’angoscia.
Narcissa era bramosa di giocare con quel suo cugino minore che pareva divertirsi, eppure rimaneva seduta sul divano accanto alla madre, immobile. Si ripeteva che quel che faceva suo cugino era sbagliato, che sua madre non avrebbe gradito vederla giocare con quel nipote da lei tanto odiato, che non era divertente giocare e che il gioco in sé non portava risultato alcuno se non la perdita di tempo che avrebbe potuto impiegare in cose più utili. Ogni tanto gettava uno sguardo nervoso e veloce ad Andromeda, che durante l'assenza di Bellatrix era diventata il suo unico mito ed esempio, e la osservava sorridere ai gesti del cugino così intraprendente, trattenere risate anche.
Un rumore fece girare le due donne e le due bambine verso un angolo della stanza, dove Sirius aveva iniziato a strappare un pezzo di pergamena in diversi pezzi più piccoli dopo averlo staccato dalla parete. Druella si alzò in piedi, gli occhi spalancati e la bocca coperta da entrambe le mani, pietrificata.
<< Mamma! >> esclamò Sirius, tutto contento e con un sorriso enorme << Visto che belli i coriandoli con le facce dei nonni? Ci sei anche tu qui, guarda! >>
<< Sarà meglio mettere tutto in ordine, prima che torni Cygnus... Sai anche tu quanto tiene alla copia dell'arazzo di famiglia... >> mormorò Druella, ricadendo sul divano e portandosi una mano alla fronte.
<< Meda, porta fuori quel disastro di mio figlio e non farlo tornare qui dentro per nessun motivo >> ordinò Walburga, il tono della voce altero.
Andromeda si avvicinò al cugino, coprendo con i capelli il sorriso divertito e compiaciuto che le era spuntato sul volto in seguito alla sua opera. Era fiera di lui, anche lei aveva tentato diverse volte di staccare quel pezzo di pergamena su cui erano stampati i volti dei suoi familiari, ma ogni volta che ne afferrava un lembo ci ripensava, presa dal terrore. Non le era mai piaciuto, la inquietava, eppure non voleva farlo, nonostante tutto era sempre la sua famiglia e voleva bene ai suoi familiari, anche se molte volte esageravano nei comportamenti, e da qualche anno erano diventati sempre più fanatici di quelle idee strambe che si ostinavano a sbandierare in giro, fieri. Seppur strani, erano i suoi parenti e per nessuna ragione al mondo li avrebbe disonorati in qualsiasi maniera, anche se era dura essere alle loro aspettative.
Prese in braccio il bambino e lo portò in giardino, mentre Narcissa le trotterellava dietro.

Hogwarts, 1963



<< Bella, aspettami! >>
<< Jane, non ho tempo da perdere, sbrigati! >> sibilò Bellatrix camminando fin troppo velocemente nei corridoi di Hogwarts, la voce eccitata ed un luccichio negli occhi << Non vorrai privarmi di questo divertimento. Oh, la pagherà! >>

Londra, 1963



<< Quanto vorrei avere anche io una figlia come Bellatrix, davvero Druella. E' obbediente e sa cosa vuole dalla vita, non come quel mio maledetto figlio. Anche Andromeda non è male, ma è troppo... buona, mi capisci vero? Buona ed ingenua, ecco. Te l'ho detto, l'ho sorpresa aiutare Kreacher nelle pulizie, ti sembra normale? Mi stupisco che tu non l'abbia punita, una Purosangue che si abbassa ai livelli di un sudicio elfo domestico, la cara vecchia zia Elladora andrebbe su tutte le furie! Ma non ti ho ancora raccontato cosa ha fatto quel mio elfo domestico ieri, ti invidio Dru! La tua Hilde non commette simili errori, lei è perfetta, sei davvero fortunata Dru. Pensa che Kreacher ha osato rompere il vaso che mi regalò Alphard per il compleanno, te lo ricordi quel bel vaso? E non ti ho detto tutto! Insisteva nel dire che si era trattato di un incidente, che non voleva romperlo. Fino a quando abuserà della mia pazienza? In quella casa diventerò matta, fra elfi domestici svergognati, figli ribelli e un marito che di certo non allieva la situazione. Ma tu non puoi capire, Dru, tu hai avuto tutte le fortune di questo mondo: un marito che ti ama, una bella casa -non che la mia sia brutta, sia chiaro-, tre figliole graziose, una buona famiglia Purosangue alle spalle e anche una buona posizione sociale, del resto il famoso sottosegretario anziano del Ministro Orpheus Rosier non è forse tuo padre? E anche tuo fratello Miles ha fatto un'ottima cosa quando ha sposato Dafnia, anche i Carrow sono una famiglia di tutto rispetto. Come si chiama la loro figlia? Jenna? >>
<< Jane, un nome piuttosto comune, ma adatto a mia nipote >> rispose Druella, sorseggiando una tazza di tè con un sorriso amabile. Lei era una donna di poche parole e quel che amava di sua cognata era la sua tendenza a fare monologhi, poteva parlare anche per ore senza che l'altro dovesse dire una parola << Del resto la piccola ha un aspetto piuttosto comune, come quello della madre. Se non fosse per il suo portamento fiero e gli abiti eleganti la si potrebbe facilmente confondere con una Weasley. Stessi capelli rossi, stessi occhi marroni, stesse lentiggini. >> << Ah, i Weasley. Traditori, ecco tutto. Fino a qualche generazione fa avevano tutta la mia stima, è una delle famiglie di sangue veramente puro, non come quei Prewett che quella sciocca di Lucretia si ostina a difendere. Eppure, non so se hai sentito, una di loro ha sposato un babbano, un ragioniere. Pensa che disonore per tutti loro! E attualmente poi, ho avuto a che fare con uno dei giovani, si ostinano a schierarsi contro il Signore Oscuro, anche se solo idealmente. Traditori e vigliacchi. Ma dimmi, quanti anni ha Jane? Dovrebbe avere la stessa età di tua figlia, se non sbaglio sono nate con solo qualche giorno di differenza >>
<< Sì, infatti. Jane è ad Hogwarts con Bellatrix, frequenta il primo anno come lei, lo stanno quasi finendo e sono nella stessa stanza. Ovviamente anche mia nipote è Serpeverde >> replicò la donna, una nota di fierezza nella voce.
Walburga era interessata alla vita di Hogwarts della sua nipote prediletta, trovava Bellatrix affascinante e misteriosa nonostante la giovanissima età, era certa che avrebbe fatto grandi cose, magari al fianco del Signore Oscuro << E dimmi, con chi stanno in stanza? >>

Hogwarts,1963



<< Bella, ma ti sembra davvero il caso? Dai, è solo una Mezzosangue! >> disse Jane, raggiungendo la cugina ansimando.
Bellatrix si voltò di scatto, il viso duro e colmo d'ira << Una Mezzosangue che ha osato infangare me e la mia famiglia, che è anche la tua in parte >>
<< Ma non so se è la cosa giusta da fare, se poi scrivessero a casa... >>
<< Zia Dafnia e zio Miles sarebbero fieri di te, loro non lascerebbero mai impunita quest'onta! Ma forse sei troppo vigliacca, del resto Jane è un nome da coniglio, dovresti unirti ai Tassorosso, lì staresti bene. Sai cosa significa il mio nome, eh? Significa "guerriera", significa. E poi vuoi forse che una stupida, sciocca, deficiente Grifondoro Mezzosangue si prenda gioco di te per tutti questi sette anni? Fa' come ti pare, io non lo permetterò, nessuno può prendersi gioco di me >>

Londra, 1963

<< Oh, con ragazze Purosangue con grandi famiglie alle spalle. C'è una Avery, una Mulciber e una McNair. E se proprio devo dirla tutta, il fratello di Josie Avery si è appena unito ai Mangiamorte, lui ha finito la scuola. Insomma, gente dabbene. Posso essere soddisfatta, mia figlia Bellatrix vive in un ambiente consono al suo rango >> Druella si gonfiò di orgoglio, unì le mani in grembo e sospirò << Cosa darei per tornare ad Hogwarts, anche se allora ero piuttosto sciocca >>
<< Me lo ricordo, me lo ricordo. E ricordo anche che Cygnus ed io ti abbiamo snobbato per un bel po', eri troppo intenta a civettare con i nostri compagni di scuola e a partecipare a tutte le festicciole, comportamento piuttosto disdicevole in effetti. Ma l'età fa miracoli, anche se non avrei mai detto che quella sciocca di Druella Rosier, due anni più piccola di me, sarebbe diventata mia cognata, davvero >> commentò Walburga, pensierosa. L'aveva odiata Druella, era gelosa di lei e della sua bellezza, aveva attirato perfino le attenzioni di Orion -per il quale lei aveva sempre avuto un debole, fin da piccolissima- ma la cognata l'aveva sempre rifiutato. Seppur fosse sempre stata una bella donna, non avrebbe mai potuto eguagliare la bionda Druella, molto più disinibita e sfacciata di lei. Era rimasta sorpresa quando Cygnus le aveva confessato che erano fidanzati da un anno e che aveva intenzione di sposarsi. Non riusciva a concepire come una donna meravigliosa come sua cognata che avrebbe potuto avere chiunque avesse deciso di sposare suo fratello, che certo non brillava per bellezza. Ed era rimasta sconcertata per la scelta del fratello, per poi riconoscere che Druella era davvero cambiata in meglio e ch'era degna d'essere sposata da un Black.

Hogwarts, 1963


<< Io non sono una vigliacca! >> protestò Jane, rossa in volto per la rabbia e la vergogna. Lei aveva davvero paura delle conseguenze, ma non l'avrebbe mai mostrato, specialmente a quella sua perfida cugina.
<< Dimostramelo, allora >> la sfidò Bellatrix, con un sorriso di sfida e le mani sui fianchi. Aveva ottenuto quel che voleva, avrebbe fatto vergognare e pentire la Grifondoro e avrebbe dimostrato la sua superiorità alla cugina.

Londra, 1963

<< Mi vergogno io stessa della mia gioventù >> confessò Druella, con un sorrisetto << Eppure mi mancano quei giorni, mi piacerebbe tornare indietro nel tempo. Oh, ma non pensiamoci più. Ancora un po’ di tè, Walburga? >>
<< Sì, grazie Dru >> accettò Walburga, porgendo la tazza alla cognata << Ancora una tazza e poi torno a casa, il mio maledetto dovere m’attende. >> si portò la tazza nuovamente piena alla bocca, ne bevve un sorso e schioccò le labbra << Mi piace questa qualità. Ottima, davvero. >>
<< E’ anche la preferita di Narcissa, per me è fin troppo dolce >> disse Druella, scostandosi i capelli dal volto.
<< Narcissa. E’ strana, sai? Non ha le idee molto chiare, mi sembra. Ma comunque è fin troppo piccola, è normale. A volte, però, mi sembra come Andromeda, persa in un mondo tutto suo, anche se il suo amore verso Bella è palese. >> Walburga non nutriva un affetto particolare nei confronti delle altre due nipoti: Andromeda era fin troppo diversa da lei, estranea alla famiglia quasi, Narcissa era facilmente condizionata dalle due sorelle, fin al punto che non assomigliava né all’una né all’altra. Pareva condividere le idee della famiglia ma non osava metterle in pratica. << Cissy >> riprese poi << E’ facilmente plasmabile. Io starei attenta alle sue compagnie. Non alludo certo a Meda, ma ti consiglierei di seguirla da vicino, una volta ad Hogwarts >>.
<< Narcissa non mi deluderà, ne sono certa. E’ stata educata da me e da Cygnus come Bellatrix e Andromeda >>

Hogwarts, 1963


Bellatrix riprese a camminare, seguita da Jane. Ogni tanto la Black imprecava e mormorava frasi sconnesse, che riguardavano comunque la vendetta. Raggiunse il giardino, dove sapeva che avrebbe trovato la Mezzosangue. Si fermò, non riuscendo più a trovarla sotto la quercia dove era seduta fino a poco tempo prima. Si guardò attorno e la trovò in riva al lago con qualche sua amica, solo qualche metro più avanti.
<< Bella, rifletti! Avete solo undici anni, cosa volete fare? >>
<< Il solo sfidarla è per me un riscatto, taci, essere ignobile >>
Una ragazzina dai capelli biondi e dal viso grazioso che indossava la divisa di Grifondoro la vide e con un sorriso si rivolse alla Mezzosangue tanto odiata da Bellatrix << Ehi, Tara, c’è la Black qui >> Tara si voltò divertita. Era una ragazzina minuta, una folta capigliatura biondo sporco incorniciava il suo volto allungato, aveva gli occhi di un marrone banale e il naso piuttosto grande, che creava un contrasto piuttosto brutto con le labbra scarne.
<< Lake! >> la chiamò Bellatrix << Come stanno i tuoi cari genitori babbani? >>
<< Come mai tutta questa premura nei confronti dei miei genitori, Black? >> chiese Tara Lake, alzandosi in piedi, le braccia incrociate al petto.
<< Pura semplice informazione >> rispose Bellatrix, gli occhi accesi da una rabbia incontrollata.
<< Ciò mi sorprende non po… >> Tara Lake non ebbe opportunità di finire la frase. Prima che la ragazzina potesse rendersi conto di quel che Bellatrix stesse facendo, si vide la bacchetta della Serpeverde puntata contro e qualche istante dopo si ritrovò pietrificata.
Bellatrix scoppiò in una risatina allegra ed infantile, poi si rivolse alle amiche della Grifondoro << Sbloccatela voi, se siete vere streghe. E ricordatele sempre cosa può fare Bellatrix Black. >>



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Capitolo 7
*** Another black rose? ***


Another black rose?

Espresso per Hogwarts, 1 settembre 1964
Ore 11:30

Bellatrix ed Andromeda erano sedute in uno scompartimento dell’Espresso per Hogwarts con le compagne di camera della maggiore.
Mentre le cinque ragazze che avrebbero frequentato il terzo anno si perdevano nei racconti dell’estate, Andromeda era rannicchiata nel proprio sedile, fissando la bacchetta che aveva in mano. La sua bacchetta magica, con la quale avrebbe potuto finalmente fare magie, avrebbe potuto stregare Bellatrix, se solo avesse voluto, anche se la sorella maggiore era indubbiamente più potente e preparata di lei, che doveva ancora mettere piede ad Hogwarts.
Quando Bellatrix era tornata a casa dopo il suo secondo anno di scuola, Andromeda l’aveva trovata cambiata. Anzitutto il suo aspetto non era più quello di una bambina, ma quello di una ragazzina improvvisamente diventata donna. Il suo corpo sembrava quello di una donna, ma sul volto erano ancora presenti tracce d’infanzia, che tradivano la sua età. In secondo luogo, Andromeda l’aveva scoperta intelligente. Aveva portato a casa ottimi risultati e pareva una strega davvero potente, cosa che la madre aveva elogiato a non finire, facendo sentire Bellatrix fiera di se stessa per la prima volta, fiera per i voti e per aver suscitato orgoglio nella madre. Infine, quando i genitori o adulti di ogni sorta non erano presenti, Bellatrix parlava in una maniera estremamente volgare, pronunciava parole e insulti che non avrebbe mai avuto il coraggio di ripetere davanti alla madre o al padre, cosa che inavvertitamente faceva Narcissa, risultando una bambina volgare e meritandosi punizioni ingiuste.
E poi era diventata molto più superficiale e sfacciata, faceva vanto della propria bellezza in un modo che avrebbe ricordato Druella a chiunque l’avesse conosciuta da giovane, mantenendo comunque un comportamento distaccato, freddo ed antipatico con chi non fosse Purosangue dalla notte dei tempi.
<< Ehi, Bella, ma hai visto come Rob ti ha sorriso prima di salire sul treno? >> chiese Josie Avery, sporgendosi in avanti verso l’amica.
<< Chi? >> chiese Tallulah McNair, non ricordando chi fosse il “Rob” in questione.
<< Robert Goyle, no? Quello carino del quarto >> rispose Tessa Mulciber << Quello che fa il filo a Bella da mesi, ormai >>
<< Sarà meglio per lui che si rassegni >> intervenne Bellatrix, storcendo il naso << Ha gli occhi troppo vicini, ed è troppo stupido >>
<< Ah, certo, tanto Madama può avere chi vuole >> scherzò Jane, invidiosa però della bellezza straordinaria e dalle forme della cugina. << Ma tanto lui non ti vuole, tesoro >>
<< Tsk, prima o poi anche quel deficiente del quinto si dovrà inchinare a me >> sbuffò Bellatrix << E’ solo questione di tempo >>
<< Lui… chi? >> chiese Andromeda, aprendo bocca per la prima volta, incuriosita ora dal discorso. << Rabastan Lestrange >> sospirarono in coro le quattro compagne di stanza di Bellatrix.
<< Oh, allora non sei muta >> constatò Bellatrix << Comunque questi non sono fatti tuoi, sorella, ficca il naso nelle tue faccende. >>
<< Ha anche un fratello, Rodolphus, è un anno più grande di te. Chissà… >> ammiccò Jane verso Andromeda.
<< Oh, taci. Quanto siete superficiali! >> sbottò Andromeda, strizzando gli occhi infastidita da quella affermazione.
<< Sei tu che puzzi ancora di latte, sorella >> scoppiò a ridere Bellatrix << Aspetta di crescere, e vedrai che non siamo superficiali. >>
<< Va’ al diavolo >> borbottò Andromeda, prendendo uno dei suoi libri di scuola ed iniziando a leggere.

Londra, 1 settembre 1964
Ore 12:00 a.m.



<< Saranno già arrivate? >> chiese Narcissa durante il pranzo. Ormai era rimasta sola con i suoi genitori e sentiva fortemente la mancanza delle due sorelle. Fin quando era stata via solo Bellatrix, aveva sempre Andromeda come compagna di giochi, ma adesso che anche lei era partita… era completamente sola, con i suoi genitori. E se si fossero dimenticate di lei?
<< Cissy, ce l’hai già chiesto ventidue volte. No, arrivano stasera. Capisco che ti mancano le tue sorelle, ma dovrai rassegnarti. Su, torneranno a Natale, non dovrai aspettare molto a lungo >> rispose Cygnus, pazientemente. Aveva ripetuto quelle parole altre ventuno volte e non sapeva quanta pazienza gli rimaneva.
<< Uffa però. Anch’io voglio andare ad Hogwarts >> mormorò Narcissa, finendo il suo piatto di minestra, anche se non aveva per nulla fame.
<< Beh, dovrai aspettare due anni >> replicò Druella, fredda e seccata << Non si ottiene nulla di buono, se non si aspetta almeno un po’. >>

Espresso per Hogwarts, 1 settembre 1964 Ore 03:00 p.m.< /i>



Andromeda era uscita nel corridoio per sgranchirsi le gambe, stanca del lungo tempo trascorso seduta nello scompartimento. Camminava sbirciando negli scompartimenti e sbattendo contro altri studenti. Era attonita, non aveva mai visto così tanti ragazzi in una volta sola, quel treno era così… confusionario.
<< Ehi, Lestrange! Rabastan! >>
Andromeda si voltò, curiosa di vedere il volto del prediletto di sua sorella. Attese che un ragazzo rispondesse e rimase profondamente delusa.
Rabastan era un ragazzo di stazza robusta, le spalle troppo larghe, i capelli scuri ricadevano disordinati sulla sua faccia tonda e snob. Non era certo il canone di bellezza di Andromeda, che si chiedeva come potesse un ragazzo simile. Al suo fianco c’era un ragazzino più basso, mingherlino e carino che gli assomigliava in maniera impressionante, senza dubbio Rodolphus.
<< Allora? Cosa c’è? >> chiese Rabastan, scortese.
<< Hai visto la Black? A quanto pare le interessi ancora >> rispose l’amico, con una risata.
<< Illusa >> sbottò Rabastan << E’ solo una bambina. >>
Andromeda sorrise contro ogni sua volontà, era contenta che finalmente sua sorella non ottenesse tutto quel che si desiderava con sorrisi e sbattere di ciglia, si vergognava di quel pensiero ma era la verità. E poi quella faccenda era stata urlata nel corridoio dell’Espresso… Tutta Hogwarts l’avrebbe saputo.
Raggiante, continuò a camminare per il treno, raggiungendo il vagone ristorante. Si sedette ad uno dei tavolini, consumando una bibita.
<< Scusa, possiamo sederci qui? >> chiese una ragazzina con corti capelli biondi, dietro di lei un’altra ragazzina di colore più bassa di venti centimetri, i capelli di media lunghezza raccolti in diverse e fitte treccine << Tutti gli altri tavoli sono occupati e… >>
<< Ma certo >> rispose Andromeda con un sorriso, felice di socializzare con qualcuno.
<< Io sono Wendy Smith, frequento il secondo anno, a Corvonero >> si presentò la bionda, sedendosi << E lei è Allyson Clark, mia compagna di camera >>
<< Andromeda, ma chiamatemi Meda, se volete >> rispose Andromeda, comprendendo al volo che le ragazze non potevano essere Purosangue: né i Smith né i Clark comparivano nell’elenco di Purosangue.
<< Non ti ho mai vista, frequenterai il primo anno immagino >> constatò Allyson, scrutando la primina a lungo.
<< Sì, infatti >>
<< Conosci qualcuno qui ad Hogwarts? Parenti, amici? >> chiese Wendy, vogliosa di conversare. << Per esempio noi non conoscevamo nessuno, siamo Babbane di nascita. >>
<< Oh, sì… Ho una sorella ed una cugina qui >> rispose Andromeda, sperando ardentemente che non le chiedessero i nomi, anche se ne dubitava. Non si vergognava dei suoi genitori o dei suoi parenti, si vergognava della loro fama e delle loro idee.
La sua speranza fu vana, così fu costretta a sputare i nomi << Mia cugina si chiama Jane Rosier e mia sorella è Bellatrix Black, Bella. Le conoscete? >>
I sorrisi scomparvero immediatamente dai visi delle due ragazze << Oh, sì che le conosco. Tua sorella si è particolarmente divertita a lanciarmi fatture lo scorso anno. Per un motivo sciocco, che a quanto pare voi idolatrate, la purezza del sangue >> sibilò Allyson << Andiamo, Wendy, credo che ci convenga cambiarci. >>
Andromeda rimase sola, con profondo risentimento nei confronti della sorella. Così lanciava fatture a chiunque non fosse Purosangue. Bella sorella che aveva.

Londra, 1 settembre 1964
Ore 06:00 p.m



Narcissa era seduta in giardino, sull’altalena, le mani strette attorno alle corde che la fissavano, le punte dei piedi che toccavano il terreno, un’espressione triste in volto. Quante volte aveva camminato in quel giardino con le sue sorelle? Quante volte Andromeda l’aveva spinta quando lei era seduta sull’altalena ed era troppo piccola per spingersi da sola? A quanti litigi fra Bellatrix ed Andromeda aveva assistito? Erano sempre state Bellatrix e Andromeda e Narcissa, ora invece era solo lei, Narcissa.
Cissy, la più piccola.Quella troppo piccola per salire sul treno che l’avrebbe portata dalle sue sorelle, che l’avrebbe fatto studiare la magia, che le avrebbe permesso di essere una vera strega. Quella troppo grande per essere spinta sull’altalena, per stare nel letto con la sorella che le raccontava storie se malata, per sentire la mancanza delle sorelle. Quella che poteva sopportare l’assenza delle sorelle, che poteva fare tutto da sola. Cissy Black.

Grimmauld Place, Londra, 1 settembre 1964
Ore 06:00 p.m



Regulus Black, che ormai era nato da un anno e mezzo, sgambettava per la stanza da letto dei genitori tendendo le braccia alla madre che era in uno stato di dormiveglia.
Sirius era seduto sulle scale e fissava la scena con astio. Da quando era nato quel bambino, sua madre pareva odiarlo ancora di più e di conseguenza lui odiava suo fratello. Odiava tutto di quel bambino, i capelli neri così simili ai suoi, la vocetta, le dita, il nome. << Regulus! >> lo chiamò, mentre una idea gli balzò in mente.
Regulus si girò verso di lui, e lo fissò. Poi però si rigirò verso la madre e si arrampicò sul letto, al suo fianco.

Espresso per Hogwarts, 1 settembre 1964
Ore 06:00 p.m.



Andromeda era nuovamente in giro per il corridoio del treno. Non sopportava le risatine stridule della cugina e delle sue amiche e non sopportava nemmeno l’aria fredda della sorella, aveva bisogno di fuggire. Si stavano avvicinando ad Hogwarts, lo Smistamento diventava sempre più imminente.
<< Ahia! Ma guarda dove vai! >> sbottò un ragazzino biondo, probabilmente anche lui per la prima volta ad Hogwarts. Indossava già la divisa, ma mancava il colore e lo stemma della sua Casa.
Andromeda si rese conto di star pestando allegramente il piede del ragazzino e si ritrasse, arrossendo << Io? Tu, piuttosto >> sbuffò, riprendendo a camminare, sempre più rossa in volto dalla vergogna.
Il ragazzino la guardò allontanarsi per qualche secondo, poi scosse il capo. Certo che ce n’era di gente strana in giro. << Di’ un po’! Non si usa più chiedere scusa? >> le urlò contro, ben poco propenso a lasciar perdere.
<< No, direi di no >> mormorò poi, quando Andromeda si voltò e lo fulminò con lo sguardo.

Grimmauld Place, Londra, 1 settembre 1964
Ore 06:15 p.m.



Walburga si svegliò all’improvviso quando sentì il pianto di un bambino. Aprì gli occhi e si alzò di scatto, uscendo dalla stanza. << Regulus? Sirius? >>
<< Sì, mamma? >> chiese Sirius, uscendo dalla stanza accanto con un’aria fin troppo angelica e assonnata.
<< Che cosa hai fatto a tuo fratello? >> domandò Walburga, l’espressione altera e le mani sui fianchi. Conosceva bene quella espressione angelica e sapeva che in realtà suo figlio aveva combinato qualcosa.
<< Io? Ma… mamma! Io stavo dormendo! >> rispose Sirius, falsamente accigliato.
Il pianto del bambino si era fatto più forte e Walburga corse di sotto, in cucina. Quando aprì la porta vi trovò Regulus a testa in giù spaventato e piangente, i piedi fissati con il magiscotch al davanzale della finestra, il viso imbrattato di colore.
<< Oh santo cielo, Regulus! >> esclamò Walburga, andando immediatamente ad aiutare il figlio minore << Buono, Reg, buono… >> mormorò, mentre lo cullava fra le braccia << SIRIUS BLACK! Maledetto disgraziato! >> urlò, avvicinandosi alle scale.
Sirius scese immediatamente, nascondendo un sorriso compiaciuto << Mi hai chiamato? >> chiese << Cosa è successo al mio fratellino? >>
<< Non lo immagini, eh! Tu non ne hai colpa, vero? >> sbraitò la madre, inferocita.
<< Beh… Boh. >> mormorò Sirius, indietreggiando. Odiava quando sua madre urlava, riusciva sempre a spaventarlo.
<< Ma questa è l’ultima! Giuro che è l’ultima che tu fai! >>

Hogwarts, 1 settembre 1964


Andromeda aveva appena preso posto sull’ultima barca per raggiungere Hogwarts, fissava l’acqua, ricordandosi che aveva letto da qualche parte che nel lago viveva una piovra gigante. Fissava gli alberi, ricordandosi però che nella Foresta Proibita vivevano creature di ogni sorta. Nulla in quel paesaggio riusciva a tranquillizzarla, era nervosa per lo Smistamento e lo sapeva, così come sapeva di non essere proprio quel che i maghi definivano “Black”. E se fosse finita a Tassorosso?
Tre figure corsero verso la barca, ma Andromeda non li notò nemmeno quando si sedettero, facendo oscillare pericolosamente l’imbarcazione.
<< Oh, miss Gentilezza. Ci rivediamo! >> commentò il ragazzo biondo che Andromeda aveva investito sul treno.
<< A quanto pare >> sibilò Andromeda, irritata. Quando era nervosa era sempre fredda ed antipatica, finiva per odiare le persone senza una buona ragione, ed ora odiava quel biondino.
<< Mi sa che ci tocca attraversare il lago insieme.>>
<< Però… sagace.>>
Il biondo sbuffò, innervosito dal comportamento della ragazza. Era lei che gli aveva pestato il piede, non il contrario! << Ad ogni modo, io sono Ted. Ted Tonks >>
<< Non me ne importa un accidente del tuo nome >> sbottò Andromeda << Taci, ora >>
<< Altrimenti? Cosa fai? Mi trasfiguri? >> rise Ted Tonks.
<< Ti affogo, ti butto nel lago, va bene? >>
La risata di Ted e degli altri due ragazzini si fece più forte, poi decisero di lasciarla perdere iniziando a parlare fra loro.
Andromeda trascorse in silenzio il resto della traversata e fu sollevata quando riuscì a scappare da quei tre ragazzini che parevano aver già legato fra loro, tuttavia quando si mise in coda per essere smistata si ritrovò il biondo dietro.
<< Oh, un’altra attesa con miss Gentilezza-e-Simpatia. Fantastico! >> esclamò falsamente allegro il ragazzo.
<< Andromeda! >> la chiamò Jane, seduta al tavolo di Serpeverde. La cugina si girò e lei la salutò con la mano, poi sorrise e le fece segno di vittoria, mormorando quel che sembrava un “vai e torna vincitrice”. Adesso anche Jane aveva delle aspettative su di lei, tutti si aspettavano di vederla a Serpeverde.
<< Andromeda? Che razza di nome è? >> commentò Ted, divertito.
<< E Tonks? Che razza di cognome è, eh? >> sbottò Andromeda, inviperita.
Ted aprì la bocca come per rispondere, ma non trovò nessuna parola e quindi tacque, desiderando dare uno schiaffo a quella ragazzina così antipatica.
<< E chiudi la bocca, sembri ancora più stupido così, sai? >> sibilò Andromeda, avendo ormai preso in antipatia quel biondino.
<< Black, Andromeda >>
Il cuore di Andromeda balzò in gola alla ragazza, toccava a lei, doveva essere smistata, doveva finire a Serpeverde a qualsiasi costo.
<< Black. Nero. Si addice al tuo carattere infernale, sai? >> commentò Ted << Ora capisco perché non ti presenti mai, non sei maleducata. Ti vergogni, e ti do ragione, con un nome e con un cognome così… >>
<< Va’ a quel paese >> gli disse Andromeda, facendosi strada fino al Cappello Parlante. Sospirò e si mise il Cappello in testa. Avrebbe atteso il suo verdetto, verdetto che sembrava non arrivare mai. Le sarebbe piaciuto finire a Corvonero, ma sapeva che la sua famiglia non l’avrebbe perdonata mai e poi mai. Le piaceva studiare, forse si sarebbe trovata bene in quella Casa. Oppure Tassorosso? Lei era anche leale, glielo dicevano tutti. Era leale e buona, forse era meglio Tassorosso di Corvonero. Ma si sentiva anche coraggiosa, quindi perché non Grifondoro? Sarebbe stato un bel colpo per la sua famiglia! Avrebbero capito che lei non era quel che credevano che fosse! Corvonero? Tassorosso? Grifondoro? Cosa era meglio per lei? Quale era la Casa che le si addiceva veramente? E se fosse stata Serpeverdere la Casa ideale per lei? Beh, se lo doveva aspettare, del resto era una Black e tutti in famiglia erano finiti a Serpeverde. Ma lei voleva essere diversa, sentiva che poteva finire in un’altra Casa, il suo posto non poteva essere a Serpeverde, insieme alla sorella. Lei era così diversa da Bellatrix! No, non voleva assolutamente finire a Serpeverde, ma le bastava anche solo sapere in quale Casa sarebbe finita. Il Cappello, tuttavia, non sembrava volersi sbrigare. Andromeda Black, studentessa di Corvonero. Suonava bene, molto meglio di “Andromeda Black, studentessa di Serpeverde”.
Lei voleva essere diversa dalla sua famiglia, ma allo stesso tempo non voleva deluderla. Sapeva che doveva finire a Serpeverde fosse solo per far contenta sua madre. Sì, si sarebbe dovuta rassegnare, era Serpeverde la Casa adatta a lei.
Bellatrix la fissava interdetta, erano più di cinque minuti che sua sorella indossava il Cappello Parlante e ancora non si era unita ai Serpeverde. Le era ormai spontaneo chiedersi se sarebbe davvero finita fra di loro o se in un’altra Casa. In questo caso, non l’avrebbe mai perdonata poiché avrebbe infangato per sempre il nome dei Black. A questo punto tanto valeva sposarsi un Mezzosangue o, peggio, un nato Babbano.
“Serpeverde, ti prego!” si ritrovò ad implorare Andromeda, pallida in viso. Respirava affannosamente, sudava. Lei doveva finire a Serpeverde per qualsiasi ragione al mondo!
“Ne sei sicura?” le sussurrò il Cappello Parlante.
“Sì, sì!”
<< SERPEVERDE >> annunciò il Cappello Parlante non essendo tuttavia del tutto convinto di quella scelta.
Andromeda sospirò e raggiunse la sorella, sedendosi accanto a lei e fissando il legno. Era finita a Serpeverde. Ma era finita lì per sua volontà o perché il Cappello aveva visto in lei le qualità dei Serpeverde? Aveva il terrore di scoprire la verità, lei non voleva essere come tutti i Serpeverde, eppure ora era una di loro. Era davvero un’altra rosa nera?

Note:
PiccolaVero mi aveva fatto sorgere il dubbio "E se Andromeda nella storia non è Serpeverde?" Io l'ho sempre immaginata a Serpeverde, anche perché Sirius dice "Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde" {Capitolo 33, Harry Potter e i Doni della Morte}. Ho controllato quindi su Wikipedia e sì, Andromeda è sempre stata Serpeverde. {Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Andromeda_Black#Andromeda_Tonks}

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Capitolo 8
*** Quarrels ***


Quarrels

Hogwarts, 1965
Giardino



Bellatrix era seduta in riva al lago in compagnia di alcuni suoi compagni di corso, molti dei quali sarebbero diventati Mangiamorte. Era a qualche metro di distanza dagli altri ragazzi, appoggiata ad un tiglio ed era intenta a scribacchiare su un quadernetto dalla copertina rigida e di colore scuro. Ogni tanto si fermava, posava il quadernetto sulle ginocchia ed osservava il profilo del castello come se fosse in cerca di ispirazione per poi riprendere a scrivere le sue memorie.
Le sue mani erano straordinariamente candide, al contrario di quelle dei suoi compagni non presentavano alcuna macchia d’inchiostro così come sul quadernetto non vi era alcun genere di cancellatura o sbavatura. Tutto in lei appariva perfetto, dalla sua postura fiera ai suoi movimenti fluidi e puliti. La chioma nera era sciolta e le arrivava quasi alla vita, perfettamente liscia e pettinata. Gli occhi scuri e le labbra rosse spiccavano nel pallore spettrale del suo volto, la piuma grigia e marrone era impugnata con la mano destra saldamente, le unghie lunghe e tagliate perfettamente a forma di mezzaluna non presentavano alcuna mancanza di calcio né una qualsiasi forma di sporcizia.
Era irremovibile nell’espressione, pareva emanare tranquillità e serenità con un misto di tristezza, ma se la si guardava bene negli occhi si poteva notare il furore covato negli anni, sembrava quasi che ogni tanto ci fosse qualche lampo di follia. Era straordinariamente contraddittoria. La calma apparente veniva distrutta dalla foga dei movimenti del suo braccio e dalla straordinaria velocità con cui scriveva, la sua stupefacente bellezza ingannava ogni sguardo e senso, facendola apparire di una dolcezza straordinaria, ma bastava un solo sguardo al suo viso e la profondità del suo sguardo a far cambiare idea. Era contrastante anche nel vestire, poiché la divisa di Serpeverde –oltremodo ordinata- la faceva apparire comune, poco diversa dai suoi compagni di corso, eppure c’era sempre qualche dettaglio più elegante che la distingueva. Un bracciale, un anello, degli orecchini oppure una camicetta col pizzo inamidato o ancora una traccia di rossetto facevano la differenza.
<< … Non è così, Bella? >> la voce di Jane Rosier, sua cugina, distolse con profonda irritazione la quasi quindicenne dai suoi pensieri.
<< Cugina, non so di cosa tu stia parlando e non m’importa saperlo >> sibilò Bellatrix, degnandola di una rapida e sdegnosa occhiata << E nel caso si trattasse di un parere importante su un pensiero da te formulato, sappi che la risposta è no. Non è mai come dici tu. >>
<< Sempre assorta nei tuoi pensieri, che a quanto pare sono profondi e giusti, i soli degni di nota immagino >> replicò Jane, offesa ed umiliata. Si aggiustò la trecce rosse con un gesto della bacchetta e si allisciò la frangetta sulla fronte con la mano. Era molto gelosa di Bellatrix e della sua bellezza, la cugina non passava mai inosservata ed aveva una buona dose di disprezzo verso le comuni regole della buona educazione riuscendo sempre e comunque ad apparire nella sua forma più bella. Per lei e per la sua epoca era inconcepibile che una ragazza si presentasse in pubblico con il viso truccato a soli quattordici anni e mezzo ed avere i bordi della camicetta fuori dall’orlo della gonna era alquanto vergognoso. Ma quel che più faceva irritare Jane era il fatto che tutto ciò passasse inosservato, era normale che Bellatrix Black fosse un po’ fuori dalle righe nei suoi comportamenti . Allo stesso tempo ammirava la cugina poiché era riuscita a rendere quelle sue strane abitudini comuni.
<< Sono proprio curiosa di leggere quel che scrivi, sai Bella? >> continuò Jane, alzandosi dall’erba ed avvicinandosi alla cugina.
<< Beh, credo che tu rimarrai curiosa a vita >> commentò Bellatrix << E ti ho già detto di non chiamarmi “Bella”. Anche se tu sei malauguratamente imparentata con me, non hai questo privilegio. Per te io sono Bellatrix. >>
La Black era infastidita dall’abitudine di tutti i suoi conoscenti di chiamarla “Bella”. Parevano non capire che erano in pochi ad avere il permesso di accorciare il suo nome, fra questi vi erano i suoi genitori, le sorelle e gli amici più intimi. Cercava di fare a meno di avere amici, lei non ne aveva bisogno, poteva benissimo cavarsela da sola; rifiutava poi qualsiasi consiglio, provenisse esso da un insegnante o da Andromeda. L’unica che poteva consigliarla e di cui poteva fidarsi era sua madre, per la quale Bellatrix nutriva ammirazione sempre più crescente nonostante la notevole distanza. “Bella” suonava così comune, c’erano un sacco di altre ragazzine ad Hogwarts che si facevano chiamare “Bella”, tutte persone di un livello inferiore al suo mentalmente e fisicamente, alcune erano perfino Mezzosangue. Lei non poteva essere chiamata come altre, lei era unica, era la migliore. Amava il suo nome, le suonava così forte e deciso, perfetto per lei. Bellatrix Black. Si vergognava profondamente del suo secondo nome, che affiancato al primo la faceva apparire scialba e toglieva ogni magnificenza. “Bellatrix Elladora Black” non avrebbe mai suscitato rispetto.
<< Bella, sei così antipatica a volte. Antipatica e fredda. Suvvia, siamo tutti simili, anche tu hai un cuore dolce >> disse Jane, con un mezzo sorriso. << Tesoro, non è possibile che tu sia così esclusivamente… stronza. >>
<< Rosier, stai andando oltre ogni limite >> sibilò Bellatrix, gli occhi puntati su quelli della cugina e le labbra livide << Perdonami se non uso i tuoi stessi termini straordinariamente fini, ma non vorrei rendere ancora più evidente la nostra parentela. Sono acida, sì, e ne vado fiera. E’ mille volte meglio essere acida che essere svenevole come te, Rosier. >>
Jane ricambiò lo sguardo di Bellatrix con palese sfida ed un sorriso divertito dipinto sul volto; raggiunse la cugina con passi veloci ed ampi ed afferrò il diario dalle mani della Black, iniziando a leggerne stralci ad alta voce << “… E’ fin troppo riguardevole nei miei confronti, l’opposto di quel che io desidererei…” Bella, ma come ti esprimi? >>
<< Rosier, restituisci immediatamente ciò che hai preso >> Bellatrix scattò in piedi, la mano sinistra tesa verso la cugina, il braccio destro teso lungo il fianco. Poiché la cugina era restia ad obbedirle, estrasse la bacchetta << Rosier, sto perdendo la pazienza. Conto fino a tre, dopodiché nessuna parentela potrà salvarti dalla mia bacchetta. Uno... due… tre. >>
Jane fu schiantata contro l’albero con un movimento fluido del polso e l’incantesimo appena sussurrato. Bellatrix si era portata avanti nel programma, studiando incantesimi che non avrebbe conosciuto fino all’anno successivo. Recuperò il quadernetto e l’infilò nella borsa a tracolla. << Che ti serva da lezione, Rosier. >>
Bellatrix si allontanò dalla cugina, passando attraverso il capannello di Serpeverde che fino a pochi minuti prima acclamava Jane, mentre adesso parevano preferire di gran lunga la Black. Lei non li degnò di uno sguardo, con la testa alta, lo sguardo altero e il portamento fiero proseguì, entrando nel castello.
Percorse i corridoi illuminati fievolmente dalle torce che conducevano alla Sala Comune di Serpeverde. I rumori dei suoi passi rapidi rimbombavano nel corridoio deserto che man mano che si avvicinava ai sotterrai diventava sempre più umido e buoi. La ragazza scese l’ultima rampa di scale ed imboccò decisa il corridoio che svoltava a sinistra. Ricordava perfettamente le sue prime tragiche settimane ad Hogwarts. I corridoi dei sotterrai erano innumerevoli e somiglianti, gli unici elementi di decoro erano le armature che erano poste nei punti dove un corridoio s’incrociava con un altro; si brancolava poi nella più completa oscurità, le torce fissate ai muri e le grosse fiaccole di pietra bianca alte un metro non erano sufficienti ad illuminare del tutto il passaggio.
Era quindi esasperante e quasi impossibile orientarsi in quel labirinto di corridoi e passaggi segreti, il tutto ostacolato da rappresaglie contro gli studenti di Pix.
Ma quando si riusciva a memorizzare una volta per tutte il percorso da compiere tutto diventava più semplice. Bellatrix s’arrestò davanti ad un tratto di muro in pietra dove i segni dell’umidità erano particolarmente evidenti.
<< Ambizione >> mormorò stanca Bellatrix, entrando nella Sala Comune non appena il tratto di muro rivelò una porta scorrevole che s’aprì quando la ragazza pronunciò la parola d’ordine. Bellatrix amava la sua Sala Comune. Era un sotterraneo esteso più in lunghezza che in larghezza completamente in pietra grigia e finemente intagliata, ancora intatta nonostante il lungo tempo e l’umidità grazie alla magia. Dei lampadari di forma circolare e di colore verde pendevano dal soffitto particolarmente basso, anch’esso in pietra. Ogni lampadario reggeva due dozzine di candele che illuminavano alla meglio l’ambiente, ma la più grande fonte di luce e di calore proveniva dal camino posto in fondo alla sala. Era di colore nero, adornato da varie figure in bronzo, perlopiù sinuosi serpenti con occhi di smeraldo che s’arrampicavano su per colonne intagliate nella pietra. Sopra il camino troneggiava il ritratto di Salazar Serpeverde. Il ritratto era stato eseguito nella tarda età di Serpeverde, pochi mesi prima che l’uomo lasciasse Hogwarts. Era grande, circa due metri di larghezza e due metri e mezzo di altezza, dipinto con olio su tela e mantenuto con vari incantesimi di permanenza e impermeabilità. Serpeverde era raffigurato a mezzobusto, indossava un’elegante veste verde finemente decorata d’argento, decorazioni che parevano serpi. Aveva le braccia incrociate e dalle maniche spuntavano due mani ossute e bianche. La forma del viso era ovale, un viso scarno e particolarmente pallido, con gli zigomi alti e folte sopracciglia, un naso lungo e diritto e una bocca livida e mai sorridente. I capelli bianchi arrivavano a toccare le spalle e i baffi e la barba s’allungavano di poco oltre il mento. Inoltre, vi era un medaglione sul petto. Solo una cosa era immutata nel quadro, per quanto Serpeverde si muovesse, l’espressione del viso rimaneva tale. Arcigna, superba, severa, quell’espressione glaciale incuteva timore a chiunque incrociasse gli occhi dipinti di Salazar Serpeverde. Bellatrix amava gli occhi di Serpeverde, sarebbe rimasta ore ed ore a guardarli. Erano di forma allungata, leggermente infossati, di un azzurro così chiaro da sembrare quasi bianco con lievi sfumature di grigio. Sembravano vivi, specialmente quando saettavano da una parte all’altra della stanza. Lo sfondo del dipinto mostrava la Sala Comune ai tempi di Serpeverde, all’epoca molto più buia. L’artista aveva cercato senza molto successo la tridimensionalità dell’immagine, realizzata sicuramente in periodo gotico, come si poteva intuire anche da alcuni fattori della figura stessa di Salazar Serpeverde, ad esempio la raffigurazione più umana e vicina alla realtà del volto.
Ma il dettaglio che Bellatrix più amava di quel dipinto era il medaglione. Era un grosso medaglione d’oro con una elaborata S che –Bellatrix ne era sicura, nonostante avesse davanti una rappresentazione grafica- con la luce adeguata era in grado di produrre dei giochi visivi grazie agli smeraldi con cui pareva essere fatta. Spesso si chiedeva quanto valore avesse storicamente ed economicamente, chi fosse l’attuale proprietario, se fosse a corrente del valore dell’oggetto e che uso ne facesse. Si diceva che avrebbe dato la vita pur di conoscere il proprietario di quell’oggetto così prezioso, e che sicuramente l’avrebbe protetto nel suo possibile. Non sapeva e mai avrebbe saputo che quei suoi pensieri e desideri un giorno si sarebbero avverati, finendo proprio col farle perdere la vita e quanto di più caro avesse al mondo.
La cornice era imponente e d’oro, finemente lavorata sempre rifacendosi ai serpenti, sul sommo poi vi era lo stemma argento e verde di Serpeverde.
La Sala Comune era quasi del tutto vuota, erano poche le sedie scolpite su cui erano seduti dei ragazzi, così Bellatrix poté sedersi sulla sua sedia preferita. Era accanto al camino, da lì riusciva ad osservare il punto da cui era entrata. Anche dall’interno sembrava un semplice muro, solo che aveva la particolarità di essere attraversabile anche da essere umani, come se fosse liquido. Accanto vi era un ritratto di una bambina dai capelli neri, di cui Bellatrix non conosceva l’identità, ma che era sicura di aver visto da qualche parte. Tale bambina era infatti Helena, la Dama Grigia, figlia di Salazar Serpeverde e Rowena Corvonero, fantasma di Corvonero e amata del Barone Sanguinante, fantasma di Serpeverde.
Bellatrix si era appena seduta quando Andromeda entrò velocissima nella Sala Comune, alcuni libri stretti al petto e un gran sorriso sul volto. Vide subito la sorella e le corse incontro << Bella! >> la chiamò, allargando il sorriso. Andromeda era parecchio cresciuta in altezza e il suo corpo mostrava piccoli cenni di cambiamento. Era diventata anche più carina, si era tagliata i capelli castani a caschetto e si era fatta crescere una frangia fino alle sopracciglia, come aveva visto a diverse cantanti di nazionalità francese sui vari giornali delle amiche. Era un taglio molto diverso da quello solito della famiglia Black, che erano solite portarli talmente lunghi da poter permettere raffinate ed elaborate acconciature. La famiglia non aveva approvato il taglio, ma Druella come al solito non era stata capace di dire di no alla sua seconda figlia, che quindi adesso aveva un taglio piuttosto insolito sia per l’epoca che per la famiglia.
<< Che vuoi? >> chiese Bellatrix, incrociando le gambe ed appoggiando il mento al palmo della mano sinistra. Iniziava ad apprezzare sul serio Andromeda, che oltre a conseguire buoni risultati a scuola, davanti ai suoi occhi cominciava a maltrattare gente. Non sapeva però che appena era lontana da orecchie e occhi della sorella e degli altri Serpeverde s’affrettava a chiedere scusa alle vittime. Andromeda cercava con tutta se stessa di uniformarsi alla famiglia, ma essere buona era più forte di lei. Ci sono casi in cui essere buoni è una forzatura, altri in cui lo si è solo per convenienza.
Andromeda, invece, era veramente buona. Lo era nell’animo, nel cuore, nell’aspetto. Più tentava di comportarsi come la sorella, più si disprezzava, si ritrovava con sensi di colpa terribili che non si estinguevano finché non si scusava con la vittima. Non le importava di essere perdonata, cosa che non accadeva quasi mai, le importava solamente di scusarsi. Perché ci sono anche casi in cui una persona è talmente buona che non riuscirà mai a commettere qualcosa di tremendo e Andromeda era uno di quelli.
<< Oggi Lumacorno mi ha dato il massimo dei voti! >> rispose Andromeda, soddisfatta. A dir la verità, anche un altro studente aveva preso il massimo dei voti: Ted Tonks. Andromeda e Ted proprio non riuscivano ad andare d’accordo, non potevano fare a meno di litigare, ogni conversazione era un litigio. Litigi che spesso diventavano forme di divertimento per gli studenti di Tassorosso e Serpeverde e in alcuni casi si trasformavano in vere e proprie scommesse.
<< E allora? Frequenti il secondo anno e Lumacorno è largo di voti, non è una cosa così straordinaria >> commentò Bellatrix, spegnendo tutto l’entusiasmo di Andromeda. << Senti, Meda, finché si tratta di stupidi conseguimenti scolastici non m’importa. Tu sei solo Andromeda Black, frequenti solo il secondo anno, le tue lezioni parlano solo di cose noiose, in effetti la tua intera vita è solo una cosa stupida e noiosa. Sempre lì a punzecchiarti con quel Tassorosso dal sangue sporco,a studiare, a leggere, a recitare a memoria cose noiose che non ti serviranno mai… Dovresti prendere esempio da me, sai? >>
<< Bellatrix, sei una… >> Andromeda si bloccò mordendosi il labbro inferiore e ricacciando indietro le lacrime. Stava per insultare la sorella, si stava abbassando ai suoi livelli meschini, si doveva trattenere e per di più stava per pronunciare una di quelle parole che non avrebbe ripetuto davanti ai suoi genitori, una di quelle parole che aveva tanto disprezzato e che la disgustava quando la sentiva dire da sua sorella.
<< Sì? Cosa sono? Avanti, dimmelo >> la incalzò Bellatrix con un sorriso di sfida e un enorme sorriso infantile stampato sul volto. Si sporse in avanti col busto, avvicinando così il suo volto a quello della sorella, restando a pochi centimetri da lei << Avanti, su. E’ facile. Sii cattiva, feriscimi. >>
Bellatrix attese qualche secondo, poi riprese << Oh, sei troppo piccola e presa a fare la bambina innocente e pura. Sei solo una sciocca, Meda. Una sciocca ed una fallita, pensi di sapere sempre tutto, di essere in grado di controllarti in qualsiasi occasione. Ma credimi, se non diventerai tu stessa spietata e crudele –come me, ad esempio-, non arriverai da nessuna parte. Solo con la crudeltà si ottiene il potere e solo con il potere si ottiene la libertà. E poi, lo dice anche nostra madre, per essere felici bisogna far soffrire gli altri. Ma del resto, tu hai tredici anni. Che cosa puoi mai capire della vita? >>
<< Oh, tu invece hai quattordici anni e mezzo e questo cambia tutto, vero? A quattordici anni e mezzo puoi dire di capire? Sei tu la sciocca, Bella. Ed ora scusami, ma adesso ho da fare >> Andromeda si voltò ed attraversò la Sala Comune, asciugandosi le lacrime con la manica della divisa.
<< Vai dal tuo innamorato, forse? >> insistette Bellatrix, che non aveva previsto una qualsiasi reazione da parte della sorella, escluso un sano pianto.
<< No, vado a studiare. A differenza tua, non perdo tempo a sospirare per un ragazzo di due anni più grande che non ti vuole e che mai ti vorrà. >>

*


Sala comune di Tassorosso



<< Ehi, Ted! >>
Ted Tonks si voltò con un gran sorriso << Sì, Beth? >>
Beth era la migliore amica di Ted. Aveva i capelli lunghi e ricci, di colore castano scuro, col viso paffuto e le guance rosee, gli occhi grigi chiarissimi. Di costituzione robusta, non era agile e non brillava nemmeno per intelletto, né riusciva particolarmente nelle magie. In effetti, il mondo magico era solito chiamarla Magonò. Era Purosangue, aveva poi la sfortuna di chiamarsi Bethasha Reezie McLair.
<< Ho saputo di Pozioni, complimenti >> disse Beth, sorridendo, sinceramente felice per il risultato conseguito dall’amico.
<< Oh, grazie >>
<< Te lo sei meritato, erano due settimane che facevi solamente ricerche per quella stupida materia >> << L’unica cosa è che anche quella ha avuto il mio stesso voto >> mormorò Ted, stringendo i pugni e i denti << Non puoi avere idea di quanto mi infastidisca ciò. >>
<< Andromeda Black, dici? Beh, però non è così male. Voglio dire, almeno non ci ricopre di incantesimi come quella pazza furiosa della sorella e dei suoi amici. Ci ho parlato un paio di volte, ti dirò che l’ho trovata simpatica quasi, perlomeno è riuscita a farmi ridere >> commentò Beth, lasciandosi cadere su una sedia accanto al fuoco del camino. Ricordava quelle volte in cui aveva incrociato Andromeda Black in biblioteca, si era aspettata di essere insultata e invece aveva avuto modo di conversare con la Serpeverde per parecchio tempo, parlando del più e del meno. Solo che quando aveva accennato alla sorella e ai Black, Andromeda aveva rapidamente cambiato discorso. << C’è una cosa che ho imparato in due anni, Beth. Non devo fidarmi dei Serpeverde. E Andromeda Black è Serpeverde e per di più è una Black. Da tenere decisamente alla larga, quindi >> replicò Ted, sedendosi accanto a lei. Ted disprezzava Andromeda come non aveva mai disprezzato nessuno, nemmeno Bellatrix o altri Serpeverde. Ai suoi occhi Andromeda era terribilmente falsa, in presenza della sorella era ancora più insopportabile del solito, quando invece Bellatrix non c’era la ragazza si trasformava e d’un tratto diventava gentile.
<< Chi disprezza compra, Ted >> rise Beth.
<< E chi compra una Black fa prima a suicidarsi prima di finire ammazzato nel letto. >>

*


Biblioteca



Lucius Malfoy aveva dodici anni e mezzo e frequentava il secondo anno. Era un Serpeverde tanto superbo e ambizioso quanto meschino. Passava moltissimo tempo a sognare il suo sicuramente glorioso futuro, lo aveva ormai organizzato in tutto e per tutto. Per prima cosa, sarebbe diventato più famoso di suo padre. Poi avrebbe sposato una Purosangue, una Black o una Carrow ad esempio, ed avrebbe avuto un figlio, ovviamente maschio. Con una serie di mosse a lui ancora sconosciute sarebbe diventato Ministro della Magia o comunque avrebbe affiancato l’uomo più potente della sua epoca, chiunque egli fosse, nel bene o nel male. Sarebbe diventato uno dei suoi più fedeli servitori e il suo signore avrebbe riposto ogni tipo di fiducia in lui.
Accanto a Lucius vi era Rodolphus Lestrange. Il più piccolo dei fratelli Lestrange andava molto d’accordo con Lucius, nonostante fosse di un anno più grande.
<< Lucius, se vuoi un consiglio per il prossimo anno, non scegliere per nessun motivo al mondo Antiche Rune >> sospirò Rodolphus, chiudendo in malo modo il suo libro di Antiche Rune e spingendolo lontano << E’ una materia inutile e incredibilmente noiosa, ecco. >>
<< A me è sempre sembrata affascinante >> ammise Lucius, continuando a scrivere il suo tema di Difesa contro le Arti Oscure << Questa materia è inutile e questo tema lo è di più. A chi vuoi che interessi dove vivono i Folletti della Cornovaglia? Ad ogni modo, sicuramente non sceglierò Babbanologia. Andiamo, a chi vuoi che interessino gli usi dei Babbani? >>
<< E a chi verrebbe in mente di tramandare un segreto importante in questa stupida, noiosa, pezzente, lurida lingua fatta di altrettanto stupidi, noiosi, pezzenti e luridi segni incomprensibili? >> sbottò Rodolphus, infilando i suoi libri nello zaino con foga.
<< Beh, sarebbe un ottimo modo per assicurarsi che siano in pochi a conoscerlo, no? >>
<< Oh, sì, e dai allora facciamo che tramandiamo le più grandi verità attraverso le fiabe per bambini! >> scoppiò a ridere Rodolphus, agitando le braccia in aria << A questo punto dovrei iniziare a credere all’esistenza dei Deathly Hallows! >>
Lucius ridacchiò. Da bambino aveva letto più e più volte quelle storie, era arrivato a credere perfino all’esistenza dei Deathly Hallows, cosa che crescendo aveva ritenuto impossibile. Chi sarebbe stato così sciocco da raccontare in quel modo l’esistenza di oggetti tanto potenti? Certo, i Mantelli dell’Invisibilità esistevano, ma erano praticamente introvabili. L’Elder Wand… sarebbe davvero stata così potente? Alla fine la potenza di un mago non è misurata da una bacchetta e comunque è la bacchetta a scegliere il mago, non sarebbe servito a granché possederla. Quel che poi era più ridicolo era la Pietra della Resurrezione. Quando gli morì uno zio capì che nulla al mondo l’avrebbe mai portato indietro, era anche inutile cercare o provarci. Nulla resuscitava i morti, così come nulla rendeva immortale. La morte non si poteva aggirare in nessun modo, era parte stessa della vita ed una vita senza la morte non era compiuta.
<< Beh, farebbe senz’altro comodo una bacchetta invincibile. O un Mantello dell’Invisibilità. Tu cosa sceglieresti, Rod? >> chiese Lucius, scrivendo l’ultima frase del suo tema.
Rodolphus non esitò nemmeno un secondo << La Pietra della Resurrezione! >> esclamò ad alta voce, facendo voltare qualche studente che ancora studiava << Voglio dire, deve essere meraviglioso riportare in vita i morti. >>
<< Meraviglioso quanto impossibile >> disse Lucius, a bassa voce, mettendo via il suo tema e le sue cose << Io sceglierei l’Elder Wand. Andiamo, chi non vorrebbe essere invincibile? Essere in grado di battere lo stesso Signore Oscuro… o offrirgliela.>>
<< Quando finirò la scuola >> annunciò Rodolphus << mi unirò ai Mangiamorte. Anche prima, se ci riuscirò. Rab ed io abbiamo conoscenze in quell’ambiente, non ci sarà particolarmente difficile. E Rab poi ha ottenuto degli ottimi GUFO lo scorso anno, è un mago straordinario. Ad ogni modo questa faccenda dei Deathly Hallows è semplicemente… ridicola. Andiamo, o faremo tardi a cena. >>
Lucius e Rodolphus si alzarono e nel più completo silenzio lasciarono la biblioteca. Camminarono a lungo senza scambiarsi una parola o uno sguardo, Rodolphus era intento a guardare dove metteva i piedi visto che erano nelle vicinanze del secondo piano e qualche giorno prima si era ritrovato i piedi zuppi a causa dell’acqua che straripava dal bagno femminile, non voleva incappare in un altro pezzo di corridoio allagato o sporco. Il Malfoy, invece, camminava con aria distratta, osservando gli studenti che erano ancora in giardino dalle finestre che ogni tanto illuminavano il corridoio.
<< Ehi, Rod! Non è tuo fratello quello? >> chiese Lucius, strattonando Rodolphus per la manica. Rodolphus si avvicinò alla finestra e seguì con lo sguardo il dito dell’amico finché non trovò suo fratello. Rabastan era seduto sull’erba, con alcuni suoi amici e chiacchierava allegramente. Poco lontano c’era Bellatrix, in compagnia di Jane. La Black lanciava sguardi a Rabastan e poi scoppiava a ridere insieme a Jane, una risata infantile e fastidiosa.
<< A quanto pare, Bellatrix Black non ha ancora lasciato perdere tuo fratello >> rise Lucius << Sono due anni che lo tampina ovunque. >>
<< Però la Black è bella >> commentò Rodolphus, che da alcuni mesi tentava invano di attirare le attenzioni di Bellatrix << Lo dice anche Rab, alla fine cederà. E’ troppo insistente e determinata, e dalla sua ha anche una bellezza straordinaria. >>
<< Da come ne parli >> sogghignò Lucius << Sembra che la Black ti interessi, gioisci del fatto che tuo fratello continua a respingerla. >>
<< Sei uno sciocco, Lucius. Io dico solo come stanno i fatti. Nemmeno tu, sciocco dodicenne, puoi dire che Bellatrix sia brutta >> sibilò Rodolphus, girandosi di spalle, le braccia rigide lungo i fianchi e i pugni stretti. Non gli andava che qualcuno sapesse della sua simpatia nei confronti di Bellatrix, nemmeno il fratello ne sapeva nulla. Nessuno, solo lui.
<< Ma è anche fin troppo antipatica, perfino per essere una Serpeverde. Sua sorella è già più simpatica >> Lucius odiava Bellatrix. La stimava, la temeva e la odiava. Era una strega molto dotata, proveniva da una famiglia di Purosangue molto rinomata fra i maghi, aveva un suo stile, era degna di essere Serpeverde ed era indipendente, per questo la stimava. Ma allo stesso tempo la temeva perché era fin troppo indipendente, nessuno sapeva mai cosa pensasse, e quando non si conosce la mente di una persona non si può far altro che temerla. E quindi, l’odio nasceva da solo, senza bisogno di un casus belli per nascere, senza poter aumentare o diminuire. Era odio nella forma più pura. E più l’odiava, più Lucius la stimava e questo non faceva che rendere l’odio ancora più profondo nel suo animo.
<< Andromeda? Beh, con le ci si può parlare. Hanno anche un’altra sorella, sai? Inizierà Hogwarts il prossimo anno >> lo informò Rodolphus, che aveva stretto amiciza con Andromeda già da parecchio tempo.
<< Sì? Non ho mai avuto modo o interesse di scambiare due parole con Andromeda, ma da quel che sento in giro è molto diversa dalla sorella e dai Black in genere. Ieri ho sentito una Corvonero dell’ultimo anno che parlava di come anni prima le aveva insegnato a volare. Perlomeno, è una strega che ha qualche interesse, non come quell’essere apatico della sorella. >>
<< In effetti, Andromeda è come se non fosse pienamente Serpeverde. Sono curioso di conoscere la sorella, mi pare abbia un nome tipo Nancy, non ne sono sicuro. >>
<< Nancy? Non è un nome da Black, non credo proprio >> ridacchiò Lucius << Sarà qualcosa tipo… Nymphea, non lo so, ma sicuramente non Nancy. >>
<< Probabile che sia proprio Nymphea il nome della sorella, sai? Non ho mai avuto buona memoria per i nomi. Ad ogni modo, non puoi non dire che le sorelle Black siano affascinanti. Sono particolari, ecco >> affermò Rodolphus, che era attratto oltremodo dalle due sorelle anche per i caratteri molto diversi e contrastanti fra loro, due caratteri così forti che non potevano convivere serenamente.
<< No, Rod, non sono affascinanti. Sono pazze, ecco tutto. Voglio dire, la loro famiglia è un’ottima famiglia, una delle migliori, composta da gente dabbene e distinta. Ma loro due sono pazze, completamente pazze. Una è perfida nel più profondo del cuore, è sadica, irrecuperabile, ormai da Bellatrix non potrai mai aspettarti una buona azione se non sarà fine a se stessa >> rispose Lucius, che per nulla al mondo avrebbe desiderato avvicinarsi ad una delle due sorelle Black, probabilmente avrebbe avuto lo stesso parere sulla terza sorella e l’avrebbe tenuta alla larga, alla fine il sangue era sempre lo stesso.
<< Senti da che pulpito… Non sei proprio tu a non fare nulla per nulla? >> mormorò Rodolphus, irritato poiché l’amico non era dello stesso parere.
<< L’altra, invece >> proseguì Lucius, ignorando l’affermazione del Lestrange <>
<< Sarà, ma sono certamente particolari nel loro genere. >>
<< Te l’ho detto, non sono particolari. Sono semplicemente pazze. >>

*


Corridoi



<< Meda! Ti ho cercato per tutto il giorno! >> esclamò Leslie Prewett, Caposcuola, raggiungendo Andromeda e ponendosi davanti a lei.
<< Ed ora mi hai trovata, Les >> ridacchiò Andromeda, fermandosi << C’è una ragione per cui mi hai fermato o volevi solamente ammirare la mia splendida figura? >>
<< Ho questa per te >> esclamò Leslie, estraendo dalla tasca una lettera stropicciata << Viene da Cardiff, Lucretia ha scritto qualcosa anche per te. >>
Andromeda prese la lettera ed iniziò a leggerla, ad un certo punto si bloccò << Ma… Fabian non era tuo padre? E chi è Molly? >>
<< Oh, Fabian è anche il nome di mio padre, in quel caso è uno dei miei numerosi cugini. Ha un fratello, Gideon, ed una sorella, Molly. Li riconoscerai quando arriveranno ad Hogwarts da tratti simili a quelli dei Weasley, Molly in effetti sembra una di loro. Un po’ come tua cugina Jane, insomma >> rispose Leslie, con una nota di tristezza di voce quando parlò della scuola. Lei da lì a poco avrebbe affrontato i MAGO e avrebbe lasciato per sempre Hogwarts.
<< Ti dispiace lasciare Hogwarts? >> chiese Andromeda qualche minuto dopo, restituendo la lettera. << Sì >> ammise Leslie << Voglio dire, finalmente finirò di studiare, tornerò a casa, potrò lavorare. Ma… tutti i miei parenti, quelli più o meno miei coetanei saranno ancora ad Hogwarts, sarò la prima della “nuova generazione” a lasciare Hogwarts. Non è proprio il massimo. >>
<< Posso immaginare >> mormorò Andreomeda.
<< Meds, guarda un po’ chi arriva >> disse Leslie, alzando gli occhi al cielo, indicando un punto dietro di loro con aria esasperata. Leslie era una delle poche a trovare i litigi di Andromeda e di Ted alquanto noiosi, infantili ed irritanti.
Andromeda intravide Ted, trattenne il respiro e prese l’amica per le spalle e la tirò davanti a sé << E’ passato? >> sussurrò. Aveva ben poca intenzione di perdere tempo con quel Tassorosso irritante e sciocco specialmente dopo il litigio che aveva avuto nel pomeriggio con la sorella.
<< Sta passando or… >>
<< Ehi, Black! Ti nascondi dietro la Caposcuola? Hai paura forse? >> sghignazzò Ted.
Andromeda chiuse gli occhi, tentando di contenersi, ma quel ragazzo faceva di tutto per irritarla << Ciao, Beth >> salutò la ragazza accanto a Ted con un sorriso radioso, poi spostò lo sguardo su quello del Tassorosso e il sorriso scomparve dal suo volto << Tonks, muori. >>
<< Ciao, Meda. Come stai? >> rispose al saluto Beth, ricambiandone tono e sorriso.
<< Oh, stavo benissimo fino a poco fa. Più o meno fino a quando il tuo amico non mi ha rivolto la parola. >> rispose Andromeda, tornando sorridente come fino a pochi istanti prima.
<< Il tempo passa, e tu diventi sempre più gentile e simpatica, eh Black? >> la provocò Ted, contento di avere vicino la sua vittima preferita. Si divertiva moltissimo a litigare con la Serpeverde.
<< Tu, invece, diventi sempre più stupido >> provocò a sua volta Andromeda << Cos’è? Ti rode che ho preso il tuo stesso voto? >>
<< Beh, Black. Se io sono un idiota e se ho preso il tuo stesso voto significa che anche tu sei un’idiota, no? La logica e l’intelligenza sono delle opinioni per voi Serpeverde, forse? >> disse Ted, un sorriso soddisfatto sul volto. Era contento di aver trovato un’offesa adatta a quella ragazzina antipatica.
Il viso di Andromeda s’indurì, la sua mano scattò alla tasca della divisa in cui teneva la bacchetta, l’estrasse e la puntò contro Ted << Tonks, mi hai davvero stufata. Tarantall… >>
<< No, Meda! Niente incantesimi nei corridoi! >> intervenne Leslie, bloccando il braccio dell’amica con la mano destra e le tappò la bocca con l’altra mano.
<< Dovresti tenerla così a vita, Prewett. Almeno non farebbe danni e terrebbe chiusa quella fogna che ha per bocca >> sogghignò Ted, passandosi una mano fra i capelli biondi.
<< Fogna? >> chiese Andromeda a Leslie quando questa le lasciò la bocca.
<< Non credo che tu voglia realmente sapere il significato della parola, Meda. >> rispose Leslie, che si era stancata di quel ruolo di baby sitter << E… Tonks, ti suggerirei di non spiegarle cosa significa >> aggiunse, vedendo Ted in procinto di svelare ogni arcano riguardo i sistemi fognari dei Babbani.
Andromeda si lanciò in avanti, afferrando Ted per il collo della camicia e tentando di mandarlo a sbattere contro il muro, senza riuscirci<< Brutto schifoso lurido pezzo di… >> fu nuovamente interrotta da Leslie, che insieme a Beth l’allontanò da Ted.
<< Meds, contieniti >> l’ammonì severamente Leslie.
<< … pezzo di acromantula spiaccicato e divorato da un vermicolo >> concluse Andromeda, inclinando il capo a destra, un sorriso innocente stampato sul volto.
<< Pezzo di cosa divorato da un cosa? >> chiese Ted, confuso.
<< Non credo che tu voglia realmente sapere il significato della frase, Tonks, né che tu sia in grado di comprenderla >> rispose Meda, sapendo di aver vinto questo litigio.

Londra, 1965
Grimmauld Place



<< ‘Rìus! >> piagnucolò Regulus, seduto sul pavimento in cucina mentre osservava sua madre leggere attentamente un quotidiano. Da quando era nato, aveva visto pochissime volte il padre e mai ci aveva giocato. Orion preferiva evitare qualsiasi contatto con entrambi i figli, usciva di casa la mattina presto, prima che chiunque si svegliasse, e tornava molto tardi, quando i bambini dormivano già. Regulus aveva due anni e mezzo ed assomigliava in maniera impressionante a Sirius e, di conseguenza, al padre.
<< Che vuoi? >> sbuffò Sirius, ormai vicino ai sei anni. Sopportava sempre meno il fratello, per colpa di Regulus non era più al centro delle attenzioni della madre, per colpa di Regulus ogni volta che accadeva qualcosa era sempre colpa di Sirius, anche se magari era stato il fratello a combinare il danno.
<< Giochi con me? >> chiese il fratellino minore, desideroso di giocare con chiunque gli capitasse a tiro.
<< No >> rispose Sirius, seccato. Lanciò un’occhiata al fratello, che pareva vicino alle lacrime << E va bene >> sospirò << A cosa vuoi giocare, Reg? >>
<< Perché non fate qualcosa di più costruttivo? >> intervenne la madre << Il gioco non è costruttivo, non insegna nulla. Meditate, per esempio, sulla fortuna che vi è capitata nel nascere non solamente maghi, ma anche Purosangue e Serpeverde. >>
<< Sinceramente >> disse Sirius, inginocchiandosi vicino al fratellino << Serpeverde non mi attira così tanto, mamma. Per esempio Bella, Bella è cattiva, non voglio assomigliarle. Grifondoro non può essere così male come dite. E poi i Serpeverde sono quasi sempre Mangiamorte. Il Signore Oscuro era Serpeverde, no? Non mi piace lui. >>
<< Il Signore Oscure è bene, ‘Rius, deve piacere a te >> lo rimproverò quasi Regulus, ripetendo come un pappagallo quel che gli aveva sempre detto la madre. << La mamma ha detto che dobbiamo diventare Mangiamorte.>>
Walburga lasciò il giornale per avvicinarsi ai figli, s’abbasso alla loro altezza ed accarezzò il capo del minore << Reg, tu sì che sei un bravo figlio, il bambino che tutti desiderano. Sir, dovresti prendere esempio da lui >> esclamò << E ti sarei grata >> continuò rivolta a Sirius, indurendo e alzando il tono della voce << Se in futuro non dirai più sciocchezze come quelle che hai appena detto. Il Signore Oscuro è la sola via, Sir, ricordalo sempre. Tu sei nato Purosangue e Purosangue morirai, dopo aver onorato il nome dei Black e dei Purosangue. Non avrai mai alcun contatto con Mezzosangue, ibridi e traditori del sangue, perché non te lo permetterò. E se mai avrai la disgrazia di non capitare a Serpeverde, verrai ripudiato non solo da me, ma da tutta la nostra famiglia, poiché non vi è più grande disonore del tradimento del sangue. Va’ in camera tua, ora, e medita su quel che ti ho appena detto affinché tu non ripeta più simili sciocchezze. >>
<< Ma… mamma, io… >> tentò di difendersi Sirius.
<< Vai, ho detto. >>
<< Vado >> strillò Sirius, sentendo pesare quelle parole su di sé, parole ingiuste a suo parere. Alla fin fine, ognuno era libero di avere il proprio parere. << Vado, ma quando andrò ad Hogwarts finirò a Grifondoro e poi mi sposerò una Babbana o una Mezzosangue, fosse l’ultima cosa che farò! >>


Note:
- E’ inutile dire che la storia d’amore fra Salazar e Rowena non trova fondamento nei libri di Harry Potter, ma a me piace come coppia, quindi ho deciso d’inserirla. D’altronde è a mio parere inimmaginabile che Salazar si possa essere innamorato di Tosca, tantomeno di Godric. L’unica strega abbastanza pura e intelligente e meritevole di essere sua amata era appunto Rowena.
- Per quel che vi riguarda il nome di Beth, la migliore amica di Ted, vi rivelo l’origine del nome. Scrivevo più o meno felicemente al portatile di mio zio, scambiando qualche chiacchiera con mia cugina. Ad un certo punto mi si pone il problema “E questa come la chiamo? Beth… Beth…”. Priva di qualsiasi ispirazione per un nome magico, ho premuto i primi tasti che mi sono trovata sotto mano. Bethasha Reezie. Nome peggiore non potevo trovarlo.

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Capitolo 9
*** Secrets ***


Secrets



Hogwarts, 1966
Sala Grande

Narcissa attendeva di essere smistata. Si guardava attorno, dissimulando perfettamente lo stupore. La sua casa era certamente meravigliosa ed imponente, ma mai avrebbe potuto eguagliare anche solo una delle poche stanze che aveva visto, in particolar modo la Sala Grande, dove si trovava in quel momento. Mai aveva visto così tante persone concentrate in una sola stanza, in genere la sua casa era sempre vuota, erano pochissimi coloro che avevano l’onore di entrare in Casa Black. Ogni singolo mattone di Hogwarts, ogni singolo dettaglio del castello, anche quello più effimero, trasudavano magia. Tutti in quel luogo erano maghi in grado di usare la magia e tutti avevano il diritto e il dovere di usarla.
Lanciava sguardi al tavolo di Serpeverde, bramosa di sedersi con le sorelle e i suoi futuri compagni di Casata, di indossare i colori della più nobile delle Casate, così come la famiglia Black era la più nobile fra le famiglie di maghi. Avrebbe potuto vantarsi di non essere solo figlia dei Black, di avere il sangue più puro e nobile nelle vene, ma anche di appartenere alla migliore delle Casate, sarebbe insomma stata davvero una dei “Migliori”.
Si trattava solo di attendere qualche attimo, eppure lei non capiva perché si tenesse lo Smistamento per tutti gli studenti; insomma, moltissimi sapevano già in che Casa sarebbero capitati, o perlomeno lo sapevano i figli dei maghi. Se poi si considera che per Narcissa i Mezzosangue non erano degni di frequentare Hogwarts, si può dire che per la ragazzina lo Smistamento era una cerimonia del tutto inutile e fine a se stessa.
Quando fu chiamata la prima studentessa, Narcissa si tenne pronta. Presto sarebbe toccata a lei, non erano mai molti gli studenti prima di un Black.
<< Black, Narcissa. >>
Con movenze eleganti Narcissa avanzò fino al Cappello Parlante, si sedette e indossò il Cappello. L’espressione ricordava fin troppo quella usuale di Druella; Narcissa guardava avanti a sé con espressione gelida, gli occhi andavano oltre ad ogni singolo capo, come per manifestare la sua superiorità.
<< SERPEVERDE >> urlò il Cappello Parlante dopo solo qualche istante.
Narcissa si alzò, si tolse il Capello Parlante e lo ripose sullo sgabello dove qualche secondo prima era seduta e si affretto a raggiungere il tavolo di Serpeverde, scivolando fra Andromeda e Bellatrix. << Ben fatto, sorellina >> approvò Bellatrix, osservando con una smorfia di disprezzo un ragazzino basso unirsi ai Grifondoro.
<< Grazie, Bella >> mormorò Narcissa, sorridendo soddisfatta e sentendosi anche un po’ a disagio poiché attorno a sé vedeva solo ragazzi più grandi di lei.
<< Questo finisce a Serpeverde >> sentenziò Bellatrix, osservando un ragazzino piuttosto dinoccolato e dai capelli color cenere raggiungere il Cappello Parlante, che subito le diede ragione. << Bella, un giorno mi insegnerai il tuo trucco, sono quattro anni che indovini tutti i Serpeverde. Piuttosto, sei diventata Prefetto, eh? >> disse una delle compagne di stanza di Bellatrix, subito dopo aver fatto spazio al nuovo Serpeverde.
<< Evidentemente >> sibilò Bellatrix, stringendo con la mano destra un calice pieno di succo di zucca e appoggiando il mento al palmo della mano sinistra. Sulla sua divisa scintillava uno stemma con una grande P al centro.
<< Beh, se non diventava prefetto Bellatrix sarebbe stato uno scandalo. E’ la migliore del suo anno ed è anche di sangue purissimo >> intervenne Rabastan Lestrange, che pian piano iniziava a cedere al fascino non indifferente di Bellatrix. Più la ragazza diventava adulta, più il suo fascino aumentava finché diventava impossibile resisterle. << Peccato che questo sia il mio ultimo Smistamento, assistere ai verdetti di Bellatrix è sempre divertente. >>
<< Beh, Rab, sicuramente il prossimo anno avrai cose più divertenti a cui partecipare >> sogghignò Rodolphus, seduto accanto a lui, con l’aria di chi sapeva molto di più di quel che faceva apparire. << Hai già pensato a cosa ti piacerebbe fare dopo Hogwarts? >> chiese Bellatrix, lieta che per una volta fosse stato il ragazzo a parlare per primo, in genere era lei ad iniziare la conversazione.
<< Oh, Bella, l’ho già pensato e messo in pratica. >>
<< E cosa farai? >>
<< Sai mantenere un segreto, Black? >> chiese Rabastan << Non è cosa da poter dire davanti a troppa gente, magari potrei dirtelo più tardi e darti una prova di quel che dico. Ma mi devi giurare il tuo silenzio, al momento ne sono al corrente solo i miei genitori, Rod e il suo amico, Lucius. >> Bellatrix era spiazzata da quella risposta, si sarebbe aspettata una risposta comune e vaga, del tipo “lavorerò al Ministero” oppure una risposta sgarbata che le intimava di non immischiarsi in faccende che non la riguardavano, anche perché Rabastan non era mai stato aperto e gentile nei suoi confronti << Beh, sì, so mantenere i segreti >> rispose infine, chiedendosi cosa diamine ci fosse di tanto misterioso in un normale lavoro da non poter essere svelato a cena.
<< Meds, che corsi hai scelto quest’anno? >> chiese Rodolphus, che non aveva avuto ancora modo di chiedere all’amica i corsi che avrebbe frequentato.
<< Oh >> rispose Andromeda, alzando la testa dal piatto e parlando per la prima volta da quando si era seduta al suo tavolo << Cura delle Creature Magiche, Antiche Rune e Aritmanzia, ma mi sarebbe piaciuto studiare Divinazione, peccato non ci sia ancora una cattedra, credo che ne prenderò qualche lezione una volta finita la scuola.>>
<< Hai le idee chiare, Meds >> sorrise Rodolphus << Hai scelto gli stessi corsi di Lucius, di conseguenza credo che frequenterete tutte le lezioni insieme. >>
<< Penso di sì >> annuì Andromeda, tornando a fissare il suo cibo. Durante i pasti preferiva non dare nell’occhio e non proferire parola con nessuno, specialmente poiché non trovava particolarmente simpatici i suoi compagni di Casata, eccezioni a parte. Se non le veniva posta una domanda, non parlava.
<< E tu? >> chiese ancora Rodolphus, rivolgendosi questa volta alla bionda << Ti chiami Narcissa, no? Come ti sembra Hogwarts? >> Rodolphus era estremamente curioso di conoscere la più piccola delle Black, affascinato fino all’inverosimile dalle due sorelle, voleva sapere se anche la terza fosse degna di nota o meno. Certo, aveva solo undici anni, era ancora una bambinetta e non era certamente ancora al livello delle sorelle eppure se l’essere particolari era una caratteristica della famiglia Black, doveva esserlo anche quella bambina.
Bellatrix si voltò a guardare la sorella con un sorriso di scherno sul volto, voleva sapere in che modo avrebbe reagito ad una domanda di un ragazzo più grande e specialmente voleva sapere cosa avrebbe risposto. Erano cinque anni che lei sminuiva Hogwarts con commenti più negativi che positivi, nascondendo i suoi reali pensieri. Voleva far sembrare la sua casa e la sua famiglia più grandi e meravigliose di quel che in realtà erano.
<< Sì, mi chiamo Narcissa >> confermò dapprima l’undicenne, deludendo ogni aspettativa della sorella riguardo alla reazione. Bellatrix se l’era immaginata arrossire e tentennare, invece si era comportata come si sarebbe comportata lei al suo posto, era rimasta impassibile. << Hogwarts? Beh, non è male, ma ci sono troppi Mezzosangue >> concluse Narcissa << Ad ogni modo, è un bel posto, sì. >>
<< Sei la degna sorella di Bellatrix Black >> ridacchiò Josie Avery << Impassibile ed impenetrabile! Mi domando solo com’è che Andromeda sia così aperta e allegra.>>
<< Meda è strana, ecco tutto >> replicò Bellatrix, scoccando una rapida occhiata alla sorella tredicenne, che pareva non aver ascoltato i loro discorsi.
<< Benissimo, Cissy adesso fammi il favore di radunare tutti i bambinastri come te che vi devo guidare fino al dormitorio,visto che mi tocca questo compito ingrato >> intimò Bellatrix alla sorellina, una volta finita la cena. Si alzò e quando fu certo di avere tutti i nuovi Serpeverde attorno a sé si avviò verso il portone che avrebbe consentito loro di raggiungere i corridoi.
<< Ci vediamo dopo, Bella! >> le gridò dietro Rabastan, facendole spuntare sul volto un sorriso soddisfatto.
Bellatrix e l’altro prefetto li guidarono attraverso i corridoi con fare seccato e facendo commenti poco gentili sui primini delle altre Case. Narcissa camminava al fianco di Bellatrix, correndo per essere al suo passo e guardando i suoi coetanei con una espressione mista di disprezzo e superiorità, espressione che aveva imparato da sua sorella Bellatrix.
<< Cercate di tenere a mente questo percorso, perché io non ve lo farò rivedere >> sbottò la Prefetta rivolta ai primini << Siamo quasi arrivati, ora credo sia inutile dirvi che la parola d’ordine non va rivelata a studenti d’altre Case e cose simili, alla fine se pur piccoli siete Serpeverde e non Tassorosso, quindi qualcosa in quella testaccia dovreste averla. >>
<< Gentile come al solito, Bellatrix >> ghignò l’altro Prefetto.
<< Non vedo l’utilità dell’essere gentili con una manica di teste ancora vuote >> sbuffò la Black. Arrivarono davanti al muro d’ingresso della Sala Comune di Serpeverde e la fila si fermò, i Prefetti si voltarono per la prima volta a guardare i primini << Questo >> disse Bellatrix, indicando con la mano il muro dietro di lei << è l’accesso alla Sala Comune di Serpeverde, lo riconoscerete dallo stemma di Serpeverde posto ad un lato. La parola d’ordine è –sentitemi bene, perché non la ripeterò- “Phineas Nigellus”, che fra parentesi fu un mio avo.>>
Il tratto di muro scivolò da un lato e i Prefetti entrarono nella Sala Comune, seguiti dagli undicenni che si guardavano attorno con aria stupita. Una volta che l’altro Prefetto indicò loro i dormitori, Bellatrix e Narcissa poterono finalmente allontanarsi, raggiungendo l’altra sorella nell’angolo dov’era seduta.
<< Meda! >> esclamò Narcissa, lasciandosi cadere su una sedia accanto a quella della sorella, mentre Bellatrix preferì rimanere in piedi, appoggiata al muro e con le braccia incrociate al petto, scrutando la Sala Comune in cerca di Rabastan Lestrange. Non vedendo ancora il ragazzo, prese a fissare la porta, corrucciata, in attesa del suo arrivo.
<< Cissy! Allora? Come ti sembra Hogwarts? >> le domandò Andromeda. Era veramente felice di avere la sorella minore con sé. Finalmente avrebbe potuto parlare con qualcuno senza temere di essere aggredita o senza dover mascherare i suoi veri pareri. Narcissa era la persona ideale per scambiare qualche parola; era Serpeverde e quindi non aveva bisogno di trovare patetiche scuse come era costretta a fare ogni volta che Bellatrix la scopriva a parlare con qualcuno di un’altra casa; era sua sorella, quindi fra loro c’era un certo feeling che permetteva alle due ragazzine di parlare senza molte spiegazioni o parole. Infine, seppur una condivideva le idee della famiglia e l’altra no, c’era rispetto fra loro e mai accennavano a quei discorsi che portavano discordia fra le tre sorelle Black. Narcissa poi, al contrario di Bellatrix, era una ragazza normale; non si esaltava ogni volta che veniva menzionato l’Oscuro Signore, non sbandierava a tutti la propria discendenza e specialmente non l’usava come minaccia come faceva Bellatrix. E, cosa più importante, Narcissa non era crudele e all’occasione sapeva divertirsi e scherzare.
<< Oh, Meda, è enorme! E’… è meravigliosa ecco! >> rispose Narcissa, avvicinandosi alla sorella castana. << Mi aiuterai, vero? Dico a trovare le aule e tutto il resto, non ci riuscirò mai da sola! >> << Ovvio che ti aiuterò, del resto sei mia sorella, no? >> ridacchiò Andromeda << E’ mio dovere aiutarti, almeno per i primi tempi, poi ti abbandonerò nei corridoi. >>
<< Oh, grazie, Black. Molto gentile, davvero >> disse Narcissa, fingendosi offesa e guardando avanti con aria superba, quasi avesse la puzza sotto il naso.
<< Adesso fai l’offesa, eh? >> chiese Andromeda, divertita. Si alzò e si mise in ginocchio davanti alla sorella fino a fissarla negli occhi, un ghigno di divertimento sul volto.
<< Meda, risiediti, non renderti ridicola >> le intimò Bellatrix, osservando i movimenti della sorella con aria di sufficienza.
Andromeda spostò il suo sguardo sulla sorella maggiore, senza però risedersi o alzarsi << Bella, senti, non rompere. Cerca il tuo amato Rabastan e vattene. >>
<< Oh, se Rabastan arrivasse, me ne andrei con piacere. >>
Bellatrix dovette attendere ancora una quarantina di minuti, ormai le sue sorelle erano andate a dormire e nella Sala Comune non era rimasto più nessuno. Era sempre appoggiata al muro, nella medesima posizione. Lottava contro il sonno, era stanca di aspettare ma lui le aveva detto che si sarebbero rivisti dopo, e lei avrebbe atteso quel “dopo” anche al costo di restare sveglia tutta la notte. O forse era meglio di no. Decise così che avrebbe atteso solo altri dieci minuti, dopodiché sarebbe andata a dormire.
Finalmente il passaggio si aprì di nuovo, Bellatrix però aveva ormai perso le speranze e lanciò solo un’occhiata distratta, vedendo solo due ragazzi del settimo anno con cui non aveva mai parlato, li riconosceva come amici di Rabastan. Accigliata e stufa, Bellatrix tornò a fissare le fiamme del fuoco.
<< Bella >> la voce di Rabastan fece voltare di scatto Bellatrix, che subito notò che i ragazzi appena entrati non erano due bensì tre, semplicemente non aveva visto il Lestrange.
<< Lestrange >> lo salutò Bellatrix, mostrandosi fredda e desiderosa di mantenere le distanze fra loro.
Rabastan la raggiunse, riempiendo con pochi passi la distanza fra loro << Scusa se ti ho fatto aspettare a lungo, ho avuto un contrattempo. >>
<< Lo spero. >> sibilò Bellatrix ora astiosa nei confronti del suo prediletto.
<< Giudicherai tu stessa. Ma ora, Bella, te lo ripeto. Sei veramente capace di mantenere un segreto? E’ questione di vita…o di morte. >>
<< Ne sono capace. >>

Hogwarts, 1996
Giardino


<< Meds! Aspettami! >> gridò Narcissa, correndo verso la sorella << Andromeda Hesper Black, non vorrai veramente fare quello che stai per fare senza di me, spero >> sentenziò, raggiungendola. Andromeda si voltò, guardandola raggiante << Oh, Cissy! Vuoi davvero venire con me? Non immagini cosa significhi, davvero! >>
<< Certo che vengo con te, alla fin fine sei sempre mia sorella! >>
Le due sorelle camminarono a lungo, raggiungendo così lo stadio di Quidditch. Quell’anno alla squadra di Serpeverde mancavano un cacciatore, i due battitori e il cercatore. Andromeda aveva così deciso ti tentare, del resto sapeva di essere brava a volare, quindi perché perdere un’occasione simile?
Furono chiamati per primi i cercatori. Mentre i cinque aspiranti cercatori si sottoponevano al provino, gli altri ragazzi si sedettero sugli spalti in attesa del proprio turno.
Andromeda lanciava sguardi nervosi a Narcissa, seduta una decina di file più dietro. Temeva di fare la figura dell’imbranata, di non essere in grado di farsi valere sul campo da Quidditch, forse doveva solo rinunciare al suo sogno ed abbandonare lo stadio, in ogni modo non sarebbe mai stata presa, non era poi così brava. Aveva solo tredici anni e poco più, gli altri aspiranti battitori erano tutti ragazzi dell’ultimo anno, certamente più adatti di lei per il ruolo di battitore.
<< Buona fortuna, Meda! >> le gridò Narcissa dagli spalti, quando finalmente –dopo un’ora e mezza circa- furono chiamati i battitori.
Andromeda le rivolse uno sguardo rassegnato mentre afferrava un manico di scopa. L’osservò per qualche secondo, era una Comet Duecentosessanta. A lei piacevano le Comet, erano leggere, veloci e facili da guidare. Lei stessa aveva una Comet Duecentosessanta a casa, se avesse ottenuto il ruolo se la sarebbe fatta mandare ad Hogwarts.
Guardò il provino del primo ragazzo –lei era la quarta ed ultima-, che andò decisamente male. Il ragazzo colpì solo una volta il Bolide, ma fu un tiro scialbo e dopo pochi secondi il Bolide era tornato a sfrecciare su una sua rotta. Inoltre, il ragazzo era riuscito a colpirsi in testa con la mazza, facendosi sanguinare il naso.
Andromeda si rincuorò un poco, di sicuro non sarebbe andata peggio di quel ragazzo. Anche il secondo provino non andò benissimo, ma perlomeno il secondo ragazzo riuscì a colpire un paio di volte il Bolide.
Il terzo provino fu spettacolare. Il ragazzo cavalcava una Comet Duecentosettanta, la scopa migliore che c’era sul mercato. Era velocissimo, riusciva anche in particolari numeri di abilità e destrezza, colpì il Bolide cinque volte, come richiesto dal Capitano, spedendolo sempre lontano lungo una rotta progettata da lui.
Andromeda lo ammirava moltissimo, era sicuramente il nuovo battitore di Serpeverde. Lei non sarebbe riuscita a volare come lui nemmeno sognando.
Si rese poi conto che era giunto il suo turno. Avrebbe avuto lei l’onore di affiancare William Seevers –il ragazzo del provino precedente? Oppure sarebbe stato quello del secondo provino il nuovo membro della squadra di Serpeverde?
Avrebbe dato il meglio di se stessa, il provino di William Seevers l’aveva spronata a fare tutto ciò che poteva fare, voleva essere lei l’altra battitrice, voleva essere lei ad affiancare quel ragazzo. Deglutì e salì sul manico di scopa, afferrando la mazza che il Capitano le lanciò. Volò quindi fino al centro del campo, attendendo le istruzioni del capitano e che uno dei due Bolidi fosse nuovamente liberato.
<< Spediscilo verso gli anelli di sinistra, il più forte che puoi >> le disse il Capitano, liberando il Bolide.
Quello schizzò subito via, Andromeda si lanciò al suo inseguimento andando il più velocemente possibile. Aveva commesso una sciocchezza, lei non era in grado di raggiungere il Bolide, non era in grado di batterlo, di comandarlo. Sarebbe dovuta rimanere nella sua camera, avrebbe evitato di coprirsi di ridicolo come stava facendo in quel momento.
Finalmente il Bolide fu a sua portata, Andromeda impugnò la mazza con entrambe le mani, la portò dietro la testa e la riportò in avanti, verso il Bolide, cercando di mettere più forza possibile nel tiro e di spedire la palla verso gli anelli di sinistra.
Per qualche istante sembrò che tutto andasse bene, poi il Bolide perse potenza e deviò verso destra. Andromeda chiuse gli occhi, aveva sbagliato il primo tiro, non era stata abbastanza forte. Adesso si sarebbe sicuramente scoraggiata e avrebbe sbagliato tutti gli altri tentativi, coprendosi di ridicolo. Oh, Bellatrix l’avrebbe presa in giro per quella sua folle idea a lungo, forse per anni. E l’avrebbe anche disprezzata, certo, poiché aveva suscitato divertimento negli altri attraverso le sue azioni.
<< Mh, troppo debole Black. Prova a fare di meglio lanciandolo verso destra, il più in alto possibile >> le urlò il Capitano che la osservava da terra con i membri più anziani della squadra.
“Troppo debole… prova a fare di meglio…” quelle parole riecheggiarono più volte nella testa di Andromeda. I suoi tiri non erano troppo deboli, lei aveva grinta, era la persona giusta. E non avrebbe provato a fare di meglio, lei avrebbe fatto di meglio. Lei era Andromeda Black, non poteva certo umiliarsi in quel modo. Lei era forte, sapeva volare, era la persona più adatta a quel ruolo, più adatta di Seevers.
Scattò verso destra, questa volta era pronta a colpire il Bolide ancora prima di raggiungerlo. Portò la mazza stretta fra le due mani dietro la spalla sinistra e quando fu abbastanza vicina al Bolide, colpì la palla con tutta la forza che aveva, spingendola verso l’alto con la mazza.
<< Questo è quel che mi aspettavo da te, Black. Ora prova a colpire il braccio di Yvone.>>
Yvone Wellinghton era una delle cacciatrici. Sorella del Capitano della squadra, erano ritenuti i migliori cacciatori di Hogwarts degli ultimi quindici anni. Si librò in aria dalla parte opposta del campo e compiva piccoli cerchi girando in tondo sul manico di scopa.
Andromeda era consapevole di non poter più sbagliare, ora iniziava anche a divertirsi. Alla fin fine quel provino era divertente, aveva l’occasione di poter volare e di far vedere quel che sapeva fare. Comunque, se quel provino fosse andato male, avrebbe potuto ritentare l’anno successivo, no? Salì di qualche metro e colpì il bolide, lanciandolo verso la cacciatrice che lo evitò scansandosi qualche istante prima.
Dieci minuti dopo, Andromeda toccò nuovamente terra. Con sua enorme soddisfazione era riuscita anche negli altri due colpi, era quasi sicuramente la nuova battitrice di Serpeverde.
<< Molto bene >> disse il Capitano, rivolgendosi a tutti gli aspiranti giocatori con un gran sorriso soddisfatto << Questa sera affiggerò in Sala Comune la nuova formazione e gli orari degli allenamenti. >>
Il Capitano, Dirk Wellinghton, era un ragazzo del sesto anno, un anno più grande di sua sorella Yvone. Era molto più alto e più magro di Yvone, aveva capelli e occhi castani, un viso secco e squadrato, la mascella molto pronunciata, nel complesso era un ragazzo carino. La sua vita era interamente dedita al Quidditch. I suoi voti non erano fra i migliori, raggiungeva la mediocrità con facilità ma non andava oltre, ma sul campo di Quidditch eccelleva. Non aveva alcun dubbio per il suo futuro; insieme alla sorella avrebbe tentato di entrare in una squadra di professionisti e in seguito nella nazionale. Yvone prediligeva le Holyhead Arpies, Dirk non disprezzava il Puddlemore United. Era convinto che quell’anno avrebbero avuto la squadra migliore di Hogwarts.
Narcissa raggiunse la sorella con un sorriso raggiante ed insieme uscirono dallo stadio. La bionda era fiera di sua sorella che si era fatta onore sul campo nonostante un incidente iniziale.
<< Ciao >> la salutò una ragazza che Andromeda aveva visto di sfuggita nei corridoi, era sicura che frequentasse il secondo anno. Aveva corti capelli castani e occhi neri dalla forma allungata, era una decina di centimetri più bassa di Andromeda. Si era sottoposta al provino nella veste di cacciatrice. Accanto a lei c’era un’altra ragazzina dai capelli rossi, che aveva assistito ai provini comodamente seduta sugli spalti.
<< Ciao >> salutò a sua volta Andromeda << Ti sei presentata come cacciatrice, vero? Sei stata brava, credo che tu sia stata presa. >>
<< Oh… grazie. Anche tu non sei stata male. Ad ogni modo, io sono Gwenog Jones, e lei >> la ragazza castana indicò la rossa al suo fianco << lei è Veronika Drakelvin, siamo entrambe del secondo anno. >>
<< Drakelvin? >> chiese Narcissa, storcendo il naso << Sei Purosangue? >>
<< Io… sì, sono Purosangue >> rispose Veronika, abbassando lo sguardo. Non era vero, lei era figlia di Babbani, capitata non si sa come fra i Serpeverde. Erano due anni che ripudiava le proprie origini, disgustandosi di se stessa. Eppure erano in molti a dichiararsi Purosangue anche se non lo erano.
<< Strano, non ho mai sentito questo cognome. In genere tutti i Purosangue sono imparentati con noi Black >> commentò Narcissa, con aria di superiorità.

*


Sala Comune di Serpeverde

<< Ma sei impazzita? >> strillò Bellatrix, guardando la sorella castana con disgusto << Presentarti alle selezioni di Quidditch! Ma che esempio vuoi dare a nostra sorella? Una femmina, una Black che gioca a Quidditch! A questo punto mi auguro davvero che tu abbia passato quella stupida selezione, perché almeno sarai riuscita in qualche cosa e non avrai fallito nel tentativo, cosa che disonorerebbe te e tutta la tua famiglia. >>
<< Oh, Bella, quante storie… >> sbuffò Andromeda, dando le spalle alla sorella maggiore. << E poi Meda è davvero brava a Quidditch. Comunque, Meds, fra poco sapremo l’esito del provino. Aveva detto “questa sera”, e noi abbiamo già cenato. >>
<< Credo che il risultato sia scritto su quello stupido foglio che Wellinghton ha appena affisso alla bacheca >> le informò Bellatrix, accennando alla bacheca di Serpeverde con un cenno del capo. Narcissa ed Andromeda scattarono in piedi, attraversarono in fretta tutta la Sala Comune fino ad arrivare alla bacheca. Il muro era tappezzato di fogliettini scritti in maniera a volte confusa, a volte precisa, c’erano annunci scolastici, i nomi dei prefetti di tutta la scuola, la situazione della Coppa delle Case sempre aggiornata (Serpeverde era seconda, alle spalle di Corvonero) e talvolta anche foto. Al centro, però, spiccava un grande foglio di pergamena scritto con inchiostro verde, ancora fresco. Il titolo era scritto in grande e recitava << SQUADRA DI QUIDDITCH DI SERPEVERDE >>.
<< Meda, riesci a vedere cosa c’è scritto? >> chiese Narcissa, alzandosi sulle punte dei piedi e cercando di spiare oltre le spalle di altri studenti.
<< Solo il titolo >> rispose Andromeda << Sono i risultati dei provini! Solo… credo sia meglio aspettare che se ne vada qualcuno. >>
Andromeda e Narcissa si spostarono di una ventina di centimetri ed appena un gruppo di tre studenti si allontanò dalla bacheca le due sorelle corsero a prendere i loro posti. Andromeda fissava il foglio di pergamena posto esattamente all’altezza del suo viso senza avere il coraggio di leggerlo, Narcissa allungava il collo tentando di colmare i quindici centimetri che la separavano dalla pergamena.
<< Meda, non riesco a leggere! >> piagnucolò la più piccola delle sorelle Black.
<< Capitano >> iniziò a leggere Andromeda, con voce abbastanza alta da poter essere udita dalla sorellina << Dirk Wellinghton, ma questo già lo sapevamo. Portiere: Victor Feakes, e non ci interessa. Cacciatori: Dirk Wellinghton, Yvone Wellinghton e Gwenog Jones. Ci avrei scommesso, la Jones è davvero brava, meglio della Wellinghton anche. Cercatore: Robert Kenagh, questo illustre sconosciuto. E… battitori: William Seevers, anche questo era logico. E… >> Andromeda deglutì, senza avere il coraggio di leggere l’ultimo nome. Infine respirò profondamente e si fece coraggio << E Andromeda Black >> sussurrò.
Subito dopo le due sorelle si stavano abbracciando con urletti e saltelli.
<< Lo sapevo! >> esclamò Narcissa, fiera della sorella. Era davvero contenta che Andromeda fosse stata presa nella squadra di Quidditch, a suo parere se lo era davvero meritata, era stata la sorella ad insegnarle tutto quel che sapeva sul Quidditch, e trovava inoltre che Andromeda fosse molto portata per il ruolo di battitrice.
<< Tu sei Andromeda Black, immagino >> disse William Seevers, avvicinandosi alla nuova battitrice di Serpeverde. Quando questa confermò l’identità, William proseguì << Io sono William Seevers, l’altro battitore. >>
<< Sì, lo so >> sorrise Andromeda << Ho visto il tuo provino >> aggiunse poi, guardando per la prima volta da vicino l’altro battitore. Aveva perlopiù quindici o sedici anni, era parecchio più alto di Andromeda, aveva capelli castani poco più corti di quelli della ragazza, un naso fine lievemente all’insù e una bocca sottile, gli occhi verde scuro spiccavano nel pallore spettrale del suo volto allungato. Nel complesso, Andromeda l’avrebbe definito “accettabile”. Certo, era molto meglio di Rabastan Lestrange.
<< Sei del terzo anno vero? La sorella di Bellatrix, se non sbaglio. Io frequento sono del suo anno >> William, a sua volta, osservava i tratti fini di Andromeda. Mentre la bellezza di Bellatrix era piuttosto aggressiva e devastante, quella di Andromeda era particolarmente delicata, così come Andromeda era molto più delicata e mite di Bellatrix. Narcissa, invece, si preannunciava il giusto equilibrio fra le due, con tratti né troppo duri né troppo dolci.
<< Sì, sono del terzo. E sì, Bellatrix è mia sorella. Lei invece >> Andromeda afferrò la sorellina per la spalla e la spinse in avanti << E’ nostra sorella Narcissa, del primo anno. >>
<< Meda, cugina mia adorata! Ho appena saputo chi è uno dei battitori di Tassorosso! >> esclamò Jane, entrando nella Sala Comune e avvicinandosi spedita alla cugina.
<< Non dirmi… >> replicò Andromeda, sperando con tutta se stessa che la cugina non pronunciasse quel nome.
<< Eh, sì! Ted Tonks! Contenta? >> rispose Jane, scoppiando a ridere << Ciao, Will >> salutò poi il ragazzo.
<< Oh, sì, così potrò rompergli la testa una volta per tutte >> sibilò inviperita Andromeda. Quella notizia le aveva guastato la giornata. Si allontanò da William e Jane e si risedette vicino a Bellatrix, imbronciata, mentre Narcissa la seguiva fedelmente.
<< Come mai parlavi con Seevers? >> chiese Bellatrix, chiudendo il libro che aveva appena iniziato.
<< E’ l’altro battitore >> rispose mugugnando Andromeda.
<< E anche Ted Tonks è un battitore! >> si precipitò a dire Narcissa << Quello che sta antipatico a Meda! >>
<< So benissimo chi è Ted Tonks, Narcissa. Chiudi il becco quindi. Fossi in te, Andromeda, un pensierino su Seevers ce lo farei. E’ un bel ragazzo e viene da una buona famiglia, anche se non è abbastanza per me. Per te, invece, va benissimo. >> consigliò Bellatrix, giocando noncurante con i propri capelli. William le era piaciuto all’inizio del quarto anno, però poi lo aveva ritenuto troppo inferiore rispetto a lei. Lei, Bellatrix Black, era la migliore fra tutti e meritava il meglio.
Andromeda, al contrario, a suo parere non era poi così straordinaria come lei, poteva accontentarsi di chiunque. Per non parlare di Narcissa, così infantile nei suoi comportamenti.
<< Bellatrix, va’ al diavolo, non ho bisogno che tu mi ripeta ancora una volta quanto mi reputi inferiore rispetto a te. >>
<< Ma non è un mio pensiero, tu sei inferiore, non sei certo alla mia altezza >> protestò Bellatrix, inarcando un sopracciglio << Non vali nemmeno quanto una mia unghia! >>
<< Bellatrix, vorrei poterti dire cosa sei, ma nostra sorella è fin troppo piccola per sentire ciò. >>
<< Vedi, allora? Io non me ne farei scrupoli, vedi che sei inferiore? >>
<< Bellatrix, se proprio vuoi saperlo, sei una stronza, una bastarda! >> esclamò Andromeda, lasciando senza parole Narcissa. Andromeda scattò in piedi e si allontanò dalle sorelle, diretta alla sua camera.
<< Andromeda, vieni qui immediatamente e chiedimi scusa! >> impose Bellatrix, che per tutta risposta ricevette un invito ben poco gentile. Ora era altera, non si sarebbe mai immaginata che Andromeda l’avrebbe insultata in quel modo, che avrebbe mai trovato il coraggio di farlo.

Hogwarts, 1966.
Corridoi.


<< Bella! >> Rabastan Lestrange affiancò Bellatrix, rivolgendole il più bello dei suoi sorrisi. << Ti ho cercato in Sala Comune, e anche in Sala Grande, ma non c’eri. >>
<< Ho fatto colazione presto, così posso passare questa mattinata a farmi i compiti per lunedì, del resto domani si va ad Hogsmeade e non posso certo studiare >> disse Bellatrix, guardando Rabastan da sottecchi.
<< Sì, ecco. Mi chiedevo se avresti voglia di venire con me ad Hogsmeade domani >> la invitò Rabastan, che dal primo settembre era diventato sempre più interessato a quella ragazza così bella e particolare.
<< Oh, certo! >> esclamò Bellatrix, riuscendo a stento a contenere l’entusiasmo. Erano anni che aspettava un invito simile, e da quando Rabastan le aveva rivelato quella cosa, lo trovava anche più affascinante.
<< Perfetto, allora! Ti lascio studiare, altrimenti domani non potrai venire >> Rabastan era euforico, a dir poco felice che Bellatrix avesse accettato l’invito. Bellatrix gli interessava molto anche sotto un altro punto di vista, era sicuro che a lui sarebbe senz’altro piaciuta e l’avrebbe trovata più che degna della sua compagnia. Come se non bastasse, lui, lo stupido Rabastan Lestrange, ne avrebbe giovato da questa situazione. Si fermò in mezzo al corridoio, prese il volto della Black fra le mani e si chinò per baciarla.

*



Giardino

<< Che cosa? >> strillò Tallulah << Ti ha baciata? Ma che sfacciato, non è nemmeno il tuo fidanzato! >>
<< Sì che lo è >> disse stancamente Bellatrix, che aveva appena raccontato alle sue compagne di dormitorio quel che era successo un’oretta prima nei corridoi della scuola. Alla fine aveva rinunciato a studiare, lo avrebbe fatto dopo pranzo. Un bacio di Rabastan non poteva attendere, lo studio sì.
<< Adesso lo è. Non quando ti ha baciata! Sfacciato, screnzato! >> riprese Tallulah, sempre più indignata delle gesta del Lestrange.
<< Oh, Tal! Svegliati, siamo nel 1966, non nel 1920! Adesso non si aspetta più il matrimonio per andare a letto con qualcuno, figurati se un bacio dato prima dell’essere fidanzati costituisce uno scandalo! >> sbuffò Bellatrix, che si trovava particolarmente d’accordo con quel cambio di usanze.
<< Rabastan! Mia cugina sta con Rabastan Lestrange! >> esclamò ad un tratto Jane, con aria sognante << Anche se è stato ben poco romantico… >>
<< Oh, scusa se non ha aspettato il chiaro di luna per baciarla >> sghignazzò Josie << Ormai di ragazzi romantici non ne trovi, del resto è una caratteristica inutile, su questo sono d’accordo con Bella. >>
<< Ad ogni modo non ho trovato carino quel che ha fatto Rabastan >> intervenne Tessa << Insomma, gli costava così tanto aspettare un po’, qualche secondo? >>
<< Ecco, diglielo, Tessa! Ma è anche colpa sua, che si è lasciata baciare, così! >> Tallulah indicò Bellatrix, con una smorfia di disprezzo. Probabilmente lei al suo posto gli avrebbe tirato uno schiaffo, poco le importava che da lì a un minuto sarebbe stata la fidanzata di quel ragazzo.
Josie alzò gli occhi al cielo, sospirando << Eh, certo! Bellatrix, sei una peccatrice vergognosa! >> scherzò, fingendosi adirata e sconvolta dall’accaduto << Come bacia? >>
<< Ma sentitele! Ecco che ritornano ai soliti discorsi da… da prostitute! Come bacia! >> sbottò Tallulah, storcendo il naso << Ma ti sembrano domande da fare? >>
<< McNair, i tempi cambiano. Ti saresti trovata bene, all’epoca di mia nonna >> Bellatrix scosse il capo, disperata.

Hogwarts, 1966.
Sala Grande.


<< Sei pronta, Bella? >> Rabastan si alzò dalla panca appena ebbe terminato la colazione, oltremodo desideroso di andare ad Hogsmeade con la Lestrange.
<< Certo! >> sorrise Bellatrix, raggiungendo il ragazzo, si voltò poi verso le sorelle << Meda, tu vai ad Hogsmeade con Jane e le altre o con… >> si chinò verso la bruna fino a sussurrarle nell’orecchio << o con Seevers? >>
<< Non vado ad Hogsmeade, men che mai con quello. No, rimango ad Hogwarts con Cissy, le ho promesso di farle compagnia. >> rispose Andromeda, scivolando sulla panca e prendendo il posto che la sorella aveva appena lasciato.
Narcissa abbassò lo sguardo, si sentiva tremendamente in colpa. Non fosse stato per lei, Andromeda sarebbe andata ad Hogsmeade e si sarebbe divertita come tutti gli altri studenti di Hogwarts. Si sentiva in più quando era in compagnia delle sorelle. Ben presto tutti coloro che erano stati curiosi di conoscere Narcissa rimasero delusi. Lei non era straordinaria come le due sorelle. I suoi capelli erano di un biondo comune, il suo colorito era un colorito comune fra gli studenti, i suoi occhi non erano né profondi né glaciali, non era né alta né bassa, né bella né brutta. Insomma, era perfettamente normale. Ma quel che aveva lasciato tutti delusi era stato il suo carattere. Del resto, era una cosa che si poteva prevedere, Bellatrix ed Andromeda avevano caratteri troppo forti perché Narcissa non fosse sottomessa sia all’una che all’altra. Lei era la via di mezzo, il giusto equilibrio, la banale, quella in più.
<< Bah, contenta tu >> sospirò Bellatrix << Hogsmeade è davvero un bel posto, oggi potresti fare la prima visita e invece… Ma sì, resta con quella sciocca di nostra sorella. >>
Bellatrix si riavvicinò a Rabastan ed insieme uscirono dalla Sala Grande, mentre Narcissa terminava silenziosa la colazione sotto lo sguardo distratto di Andromeda.
<< Meda, se vuoi andare… >> mormorò Narcissa, senza guardare la sorella.
<< Oh, non se ne parla! >> sbottò Andromeda << Ho detto che ti avrei fatto compagnia, e ti farò compagnia! Ad Hogsmeade ci andrò la prossima volta. E poi stasera ho l’allenamento, non vorrei tardare. Non hai idea di quanto possa essere noioso Dirk, a volte. >>
<< Già, il Quidditch. Quando avrai la prima partita? >> chiese Narcissa, spingendo il piattino vuoto verso il centro del tavolo ed alzandosi. L’unica cosa che le mancava di casa era il poter mangiare da soli e in silenzio, senza ragazzi urlanti e comodamente seduta su una sedia, e non su una panca. Però il cibo era decisamente migliore ad Hogwarts.
<< Domenica prossima >> rispose Andromeda, spalancando gli occhi in un evidente stato d’ansia << Contro Corvonero. Al momento la prima in classifica è Tassorosso, visto che ha stracciato Grifondoro. Mi rincresce ammetterlo, ma quel ragazzo non gioca affatto male. >>
<< Ted Tonks? Quello che odi? >>
<< Già. Andiamo, su >> Andromeda s’irrigidì non appena sentì nominare il Tassorosso, si alzò di scatto e seguita dalla sorella lasciò la Sala Grande ed uscì in cortile.
Andromeda e Narcissa amavano il cortile di Hogwarts, lo trovavano uno dei posti più affascinanti e suggestivi del castello. Era di medie dimensioni, rettangolare, vicino alla Sala Grande e alla Torre Nord, il pavimento era formato da grosse pietre rettangolari, che in alcuni punti erano più consumate. Tutt’intorno vi erano panchine bianche, solitamente era difficile trovare un posto in cui sedersi, ma poiché quel giorno moltissimi studenti non erano nel castello, il cortile era quasi del tutto vuoto.
Andromeda si avvicinò ad una panchina e si distese su di essa, osservando il cielo come se fosse la cosa più interessante del mondo; Narcissa invece si sedette in un angolino della stessa panchina su cui si era stesa la sorella.
<< Meda, posso farti una domanda? >> chiese Narcissa dopo un quarto d’ora di assoluto silenzio << Perché odi Bella? >>
Andromeda si mise a sedere, sorprese da quella domanda << Ma io non odio Bella. E’ solo che… a volte esagera troppo nei comportamenti, si ritiene troppo superiore, ecco. Le piace recitare la parte della superiore e della cattiva, si rende più cattiva di quel che è. >>
<< Secondo me non recita >> obiettò Narcissa << La parte della cattiva, dico. Lei si diverte davvero a fare del male a chiunque le capiti, fosse anche una delle sue sorelle, lo si capisce da quel sorriso e da quel brillio particolare degli occhi ogni volta che fa qualcosa di brutto. Ieri ho sentito due dire che queste sono le classiche caratteristiche da Mangiamorte. >>
<< Oh, beh, del resto tutta la nostra famiglia pare fatta da Mangiamorte! >> sbuffò Andromeda << Non dar loro retta, Cissy! Bella segue solo il solito pensiero Black; purezza del sangue, inferiorità dei Mangiamorte e via dicendo, lei non sarà mai una Mangiamorte. >>
<< A te cosa piacerebbe fare da grande, Meda? >>
<< Beh… credo che se troverò qualcuno da sposare, lo farò subito. Di questi tempi tutti si sposano subito, hai notato? Se il Signore Oscuro non sarà ancora sconfitto mi sposerò immediatamente, mi piacerebbe avere un figlio. Poi penso che diventerò Auror, o che giocherò a Quidditch. Oppure sarebbe bello curare le relazioni magiche, voglio dire in questo modo hai il dovere di viaggiare e conoscere posti nuovi, non è male no? Tu cosa vorresti fare? >>
Narcissa scrollò le spalle << Penso che farò come tutte le donne Black, sposerò un uomo ricco e di nobili natali e me ne starò a casa senza far nulla. Però, Meda, non credo che l’Oscuro Signore verrà sconfitto tanto presto, è possibile che non verrà affatto sconfitto, è così potente… >>
<< Oh, Cissy! Prima o poi dovrà morire, nessuno può diventare immortale! >> rise Andromeda << Sarà un gran giorno per tutti noi, quello. Come quando Silente uccise Grindewald, non è stata forse la sua morte una liberazione per tutto il mondo magico? >>
<< Nonna dice che Grindewald era un grand’uomo e che aveva nobili intenzioni >> Narcissa aveva sentito più e più volte i ricordi di sua nonna, le raccontava spesso dei tempi in cui aveva frequentato Hogwarts con Silente e di quando conobbe Grindewald.
<< Nonna dice anche che i Camaleonti Trifolati esistono. >>

*



Hogsmeade



Bellatrix e Rabastan erano ai “Tre manici di scopa”, seduti al centro della sala. Parlavano del più e del meno, delle proprie famiglie, di Hogwarts, di cosa avrebbero fatto una volta lasciata la scuola, ma specialmente parlavano di Voldemort.
<< Il Signore Oscuro è… è divino, inimmaginabile, ha in sé un potere senza paragoni, un potere così immenso che nemmeno Silente stesso può eguagliare >> raccontava Rabastan con un tono di voce particolarmente basso << Mi chiedo come si possa desiderare combatterlo. >>
<< Sai, Rab… adesso pare che stiano formando una sottospecie di associazione segreta, credono di poterlo battere. Illusi. Immagino che l’Oscuro Signore sappia come raggirare la morte, è così potente, il mondo aspettava da secoli un mago così forte, un vessillo a cui aggrapparsi >> Bellatrix ascoltava attentamente il suo nuovo ragazzo, piegata in avanti sul tavolo come se temesse di perdersi anche una sola parola, il mento appoggiato sui palmi delle mani, fissava ardentemente il Serpeverde.
<< Oh, Bella! Ce ne sono di idioti a questo mondo, idioti che credono di poter creare un mondo migliore con la sola pace e fratellanza. Gli stessi idioti che non capiscono che se i Babbani non hanno avuto poteri magici c’è un motivo, e che quindi le due razze non vanno mischiate. Loro sono Babbani, noi siamo maghi, sarebbe la stessa cosa di sposare un Elfo Domestico. Ma noi, Bella, siamo di sangue puro, siamo veri maghi, siamo i successori di Serpeverde e come tali siamo in grado di riconoscere il giusto dallo sbagliato, e il giusto è seguire il Signore Oscuro. Poco importa se qualche idiota tenta di fermarlo, non ci riuscirà. >>
<< Una volta purificato il Regno Unito, sarebbe bello poter purificare tutto il mondo >> sospirò Bellatrix << Quel che non capisco è come possa un Purosangue tollerare e sposare qualcuno di origine Babbana. Per esempio, una cugina di mio padre si è sposata con un Prewett. Ora, i Prewett sono di sangue puro, ma non purissimo, c’è feccia nella loro famiglia! E poi… sono così contrari al Signore Oscuro, sono male. >>
<< Bella, mi chiedevo se per la prossima uscita non vorresti venire con me. >>
<< Ad Hogsmeade? Certo! >>
<< No, non ad Hogsmeade, un po’ più lontano. Potrai smaterializzarti con me, ovviamente. >>

*


<< Rodolphus, vuoi dirmi perché accidente hai quell’aria truce e cupa? >> sbottò Lucius, sbattendo il bicchiere di Burrobirra sul tavolo. Da quando erano entrati nel locale, Rodolphus non aveva proferito parola, il che era strano per il Lestrange, che di solito rintronava Lucius a furia di parlare.
<< Mah. Nulla >> rispose seccato Rodolphus, lanciando sguardi nervosi ed irati al fratello, seduto a soli tre tavoli di distanza.
Lucius seguì gli sguardi dell’amico e presto capì il motivo di quel nervosismo << E’ per la Black, vero? Ti secca che stia con tuo fratello e non con te, ti piace. >>
<< No… io… >> mentì Rodolphus, agitandosi sulla sedia. Sì, era vero, non sopportava di vedere Bellatrix e Rabastan insieme, gli piaceva Bellatrix fino all’inverosimile, ma intanto era la ragazza di suo fratello, il fascinoso Rabastan. Lui era solo il fratello del ragazzo più popolare fra i Serpeverde, probabilmente se proprio voleva una Black, si sarebbe dovuto accontentare di una delle sorelle della ragazza più bella del quinto anno e non solo. Un popolare per un’altra, un fratello scialbo per una sorella scialba.
<< Sì, invece. E ne capisco il motivo, è una bella ragazza del resto. Acida, crudele ed antipatica, ma bella. >>

Hogwarts, 1967
Infermeria.



Ted Tonks era sdraiato su un lettino dell’infermeria. Madama Chips gli aveva appena riparato la gamba e il braccio rotti, ma gli aveva assolutamente impedito di lasciare l’infermeria per la notte. Del resto, come darle torto. Aveva tentato di colpire quella Black, ma lei riusciva sempre a sfuggirgli di qualche centimetro e gli lanciava sguardi di derisione. Poi, perse la pazienza. Non solo gli scagliò contro un Bolide, colpendolo con una precisione assurda al gomito e procurandogli una frattura doppia al braccio sinistro, ma era riuscita anche a disarcionarlo dalla scopa e a fargli fare un volo di quindici metri, facendogli rompere anche la gamba destra.
E nonostante Uma Reechard, la cercatrice di Tassorosso, avesse preso il Boccino d’Oro, aveva perso per una misura di trecento punti. A quanto pareva nessun portiere resisteva a Gwenog Jones. I tiri dei fratelli Wellinghton a volte erano facili da parare, altre volte solo un bravo portiere era in grado di parare, ma la Jones era più forte su tutta la linea. Saettava velocemente nell’aria, in sella all’ultimo modello di manico di scopa, rendendola praticamente impossibile da colpire con i Bolidi, poi arrivava davanti ai tre cerchi ed aumentava ancora la velocità. Mentre tutti i cacciatori si fermavano prima di tirare la Pluffa, lei era in grado di segnare in volo. Ogni suo tiro era un punto. Alla fine Uma aveva posto fine a quella umiliazione, facendo finire la partita seicento a trecento per Serpeverde. Ian Toker, il portiere di Tassorosso, non si era mai sentito così umiliato, era il migliore dei quattro portieri, eppure la Jones lo aveva umiliato. Così come aveva umiliato Robert Corner, il portiere di Corvonero, segnandogli ben sessantacinque reti, oppure come aveva umiliato Tara Lake mandando a segno cinquantatré tiri. Dirk Wellinghton aveva visto giusto, in quella ragazzina bassa, piatta e bruttina c’era davvero il talento per il Quidditch.
Sarebbe diventata certamente una giocatrice famosa di Quidditch, di questo erano ormai tutti certi. E poi c’era Seevers, battitore di gran lunga migliore di lui, che insieme ad Andromeda Black faceva una gran bella coppia di battitori. Andromeda Black aveva talento e mira, Ted si ritrovò costretto ad ammetterlo, ed era anche molto forte. Ted era scettico quando seppe che Serpeverde aveva una battitrice, in genere le ragazze non avevano la forza necessaria, ed infatti la Black era l’unica ragazza nelle quattro coppie di battitori.
Si sarebbe rifatto l’anno seguente, magari spaccandole la testa. Non intendeva ucciderla, non ancora almeno. Prima la Black avrebbe dovuto soffrire come aveva sofferto lui più e più volte, solo dopo avrebbe potuto morire.

*



Sala Comune di Serpeverde.


<< Gwen, fammi degli autografi, così quando sarai famosa li rivenderò e diventerò ricco >> rise un Serpeverde.
La squadra di Serpeverde era al centro della stanza, la Coppa di Quidditch in bella vista sul camino. Accanto c’era la foto della squadra, Dirk alzava al cielo la Coppa, tutti avevano un gran sorriso sul volto.
Gwenog ed Andromeda erano state indubbiamente le protagoniste della partita. Gwenog aveva affascinato tutti, mostrandosi ancora una volta la migliore cacciatrice; Andromeda aveva dato prova della sua bravura di battitrice spedendo in infermeria quel Tassorosso, sollevando un boato nelle tribune di Serpeverde.
Tutti si erano congratulati con le due, perfino Bellatrix aveva rivolto un sorriso soddisfatto alla sorella ed aveva preso parte ai festeggiamenti.
I membri della squadra non riuscivano a resistere alla tentazione di contemplare i propri nomi incisi alla base della Coppa di Quidditch e a turno si recavano presso la mensoletta ad osservare la piastrina d’argento.
Andromeda avrebbe guardato per sempre i loro sette nomi scritti in grafia corsiva, separati da un minuscolo puntino.

Dirk Wellinghton • Victor Feakes • Yvone Wellinghton • Gwenog Jones •
Andromeda Black • William Seevers • Robert Kenagh •



Entrare nella squadra di Quidditch era la cosa migliore che fosse mai successo ad Andromeda. Si rese conto che riuscì a legare con alcuni Serpeverde a cui non avrebbe mai rivolto parola, fu felice quando si accorse che improvvisamente la sua popolarità decollò, superando quasi quella della sorella. Se non altro, quella sera era lei quella importante, quella famosa e non Bellatrix. E poi in quella partita aveva fatto male a Ted Tonks, dopo un’ora passata ad insultarsi era riuscita a spezzargli braccio, gamba e scopa in un colpo solo.

Espresso per Londra, 1967

Bellatrix e Rabastan erano ancora nel vagone ristorante. Gli altri studenti si erano andati a preparare, a prendere le proprie robe. Da lì ad un quarto d’ora sarebbero arrivati a Londra, sarebbero tornati a casa. Loro erano già pronti, indossavano i vestiti babbani e avevano i bauli accanto.
<< Verrai a trovarmi questa estate, vero? >> chiese Bellatrix, nervosa. Non avrebbe più rivisto il suo ragazzo tutti i giorni, ma solo sporadicamente. L’estate era vicina, e poi lei sarebbe tornata ad Hogwarts, mentre lui avrebbe cercato lavoro nel ministero.
<< Ovvio, Bella. Ma credo che ci vedremo prima di quanto entrambi possiamo immaginare, probabilmente anche questa sera stessa. E’ inevitabile, ci rivedremo spesso. >>
<< Oh, già! Dimenticavo quel particolare, fino ad ora si è trattato solo di una formalità, di un vezzo quasi. Adesso invece… i tempi sono maturi, Rab. >>
<< Mi ha fatto davvero piacere che tu abbia accettato la proposta >> sussurrò Rabastan, finendo di bere l’ultimo sorso di Burrobirra.
<< Era il mio sogno, ed inoltre non avevo grande scelta, no? O quello, o la morte >> sorrise Bellatrix.
<< In effetti >> ridacchiò Rabastan << E’ stata una scelta un po’ obbligata, ma sapevo di poter contare su di te.>>
<< Ragazzi, stiamo per arrivare a Londra >> un inserviente s’inserì bruscamente nella loro conversazione, scuro in volto e visibilmente annoiato di quel lavoro. << Perciò, vi devo chiedere di andare. >>
I due ragazzi si alzarono e trascinarono i loro bauli nel corridoio che si riempiva di gente man mano che il treno rallentava.
Una volta arrivati alla stazione, Rabastan aiutò Bellatrix a trasportare il baule fin ad un carrello, poi l’afferrò per il polso e la portò lontano dagli altri studenti. << Ci vediamo, Bella >> mormorò, dopo averla baciata.
<< BELLA! >> strillò Andromeda, spazientita << Quando finirete tutte queste smancerie avvisami, così magari potremo tornare a casa. Sbrigati! >>
<< Andromeda, va’ a fare un po’ al diavolo >> sibilò Bellatrix, raggiungendo le due sorelle ed oltrepassando la barriera.
Trovarono i genitori alla sinistra del binario, Narcissa corse loro incontro, rischiando di investire parecchi passanti con il carrello e si buttò fra le braccia del padre, mentre la madre le sfiorò la guancia con le labbra.
Andromeda e Bellatrix arrivarono qualche secondo più tardi ed entrambe salutarono i genitori con baci sulle guance.
<< Bella! Meda! Cissy! >> esclamò Cygnus, abbracciandole << Com’è andata quest’anno? Meda, sono così fiero di te! E i GUFO, Bella? E… Cissy, come ti sono sembrati gli esami? No, non dite nulla, ce ne parlerete fra poco, a cena, quando ci sarà quasi tutta la famiglia. >>
<< Oh, perfetto. Devo giusto fare un annuncio >> commentò Bellatrix, avviandosi verso l’uscita della stazione.
<< Bella, chi è Rabastan Lestrange fra loro? >> chiese Cygnus, la voce indurita << Fammelo vedere. >>
Bellatrix cercò la famiglia Lestrange nella folla, poi li indicò al padre << E’ il ragazzo di spalle, l’altro è suo fratello Rodolphus. >>
Cygnus grugnì a mo’ di assenso << Sembra un bravo ragazzo. Del resto è un Lestrange, ottima famiglia. >>

*



Casa Black


<< Zio Alphard! >> Andromeda corse a salutare il suo zio preferito non appena questi varcò la soglia della casa. La maglietta verde e la gonna di jeans di Andromeda e le vesti viola di Alphard spiccavano in tutto quel mare di nero, tutti i parenti salutavano le tre sorelle Black, desiderosi di sapere le novità dell’anno.
<< Meda! >> Alphard ricambiò il saluto con un gran sorriso << Fatti vedere! Sei ancora cresciuta, Meda, e sei più bella da quando ti ho vista a Natale! E le tue sorelle dove sono? >>
Andromeda lo portò al centro dell’ingresso, dov’erano Narcissa e Bellatrix, la prima sorrideva, l’altra fremeva, pareva che avesse voglia di parlare, di rivelare un segreto.
<< Cissy, Bella! Oh, Cissy, sei alta quasi quanto Andromeda, l’ultima volta eri molto più bassa! E tu, Bella, stai diventando proprio una bella ragazza, ma raccontatemi di quest’anno, su! Ho saputo che ho una nipote battitrice e campionessa di Hogwarts… >>
<< Beh, ora che ci siamo tutti, possiamo anche metterci a tavola >> disse Druella, avviandosi verso la sala da pranzo. Le tre sorelle si sedettero al centro della tavolata, la madre al fianco di Bellatrix, il padre affianco ad Andromeda, Alphard e Walburga davanti alle sorelle.
<< Bella, non senti caldo? >> chiese Irma, la nonna << Le maniche lunghe a luglio, sei proprio come quel pazzo di tuo zio Alphard! Stai forse male? >>
<< Oh, nonna, non preoccuparti, sto bene >> rispose Bellatrix, ostentando un sorriso.
Verso metà cena, la conversazione ricadde inevitabilmente su Voldemort. Alphard ed Andromeda si scambiavano sguardi annoiati e sopportavano Bellatrix che si era lanciata in un elogio su Voldemort.
<< … e l’Oscuro Signore è così affascinante, così potente! Lui può tutto, lui deve impadronirsi della nostra comunità, è per il nostro bene, no? E’ quanto di meglio ci possa mai capitare, l’Oscuro Signore è superiore a tutti noi, è un grande onore solo il sentir pronunciare il proprio nome da lui, sapere che ti parla è la più grande gioia… >>
<< Bella, ma come puoi parlare così? >> sbottò Alphard, interrompendo il monologo di Bellatrix che andava avanti da mezz’ora << Neanche lo conosci! >>
Bellatrix si alzò, un sorriso enigmatico sul volto << Ah no? >> chiese con tono di sfida << Beh, guarda qui, guardate tutti qui >> ordinò. Si portò la mano destra al braccio sinistro e lentamente sollevò la manica, sentendo lo sguardo incuriosito di tutti su di sé.
Le reazioni furono varie. Andromeda fece un salto sulla sedia, spaventata e disgustata, Alphard fissò incredulo Bellatrix, la madre fissava con occhi sgranati la figlia, incapace di proferir parola, Walburga trattenne rumorosamente il respiro, portandosi le mani davanti alla bocca.
<< Il Marchio Nero… >> sussurrò la zia.
<< Rabastan è un Mangiamorte. E’ stato lui a presentarmi l’Oscuro Signore, e l’Oscuro Signore stesso mi ha proposto di unirmi a loro >> spiegò Bellatrix, fiera di se stessa.
<< La prima… la prima Black Mangiamorte >> mormorò Druella, alzandosi ed abbracciando la figlia, le lacrime agli occhi << Bella, hai fatto la cosa giusta, la miglior scelta della tua vita. >>
<< Direi che un brindisi a Bellatrix Black, prima Mangiamorte della famiglia, è d’obbligò >> propose Cygnus, alzandosi a sua volta in piedi.
Narcissa ed Andromeda erano esterrefatte. La bionda era in parte ammirata in parte spaventata, sua sorella ora avrebbe ucciso e torturato chissà quanta gente, avevano ragione tutti quei Serpeverde. Bellatrix era una Mangiamorte, e lo sarebbe stata a vita; era davvero cattiva.
<< Mi fai schifo >> dichiarò Andromeda, alzandosi in piedi e scaraventando a terra la sedia << Mi fai schifo >> ripeté << Da questo momento non ti considerò più come una sorella >> urlò, lasciando di corsa la stanza, mentre la madre le ordinava di tornare e di chiedere scusa.
<< Bella, ma ti rendi conto? Hai solo quindi, sedici anni! Cosa puoi capirne? Hai voluto seguire a tutti i costi la moda del momento, ti sei fatta plagiare da quel Lestrange! E voi tutti che l’acclamate! Bellatrix adesso è una criminale, ha il dovere di uccidere, da oggi a domani potrebbe finire ad Azkaban! >> Alphard ormai era rosso in volto per la rabbia, anche lui era in piedi. Sbatté un pugno sul tavolo, furioso << Dovreste aiutarla, non mandarla in prigione! Ed ora, scusatemi, ma io non ho alcuna attenzioni di avere a che fare con Mangiamorte. >>
Alphard si smaterializzò, esattamente come fece anni prima. Si materializzò nella sua nuova casa e corse al camino. Ci buttò dentro una manciata di Polvere Volante e chiamò a sé Lucretia.
<< Al, è successo qualcosa? Ti vedo grave! E’ morto qualcuno? >> domandò Lucretia, precipitandosi al camino.
<< E’ morta tutta la famiglia, Lu. Posso venire da te? >> chiese Alphard << Dobbiamo parlare. Urgentemente. >>
<< Ma certo, certo… Vieni subito >> acconsentì Lucretia, facendosi da parte.
Poco dopo Alphard apparve nel salotto di casa Prewett, dove Ignatius e Lucretia stavano finendo di cenare << Scusate se mi presento così, all’improvviso, ma la situazione è grave. >>
<< Siediti, Al >> lo invitò Lucretia, sedendosi su un divano insieme al marito. Lucretia era impallidita, non respirava quasi << Racconta. >>
<< Ve la ricordate Bellatrix? >> chiese Alphard, e quando i due risposero di sì, continuò << Bene, è una di loro, una Mangiamorte. >>
<< Che cosa? >> strillò Lucretia, scattando in piedi e portandosi una mano alla fronte << Alphard, stai scherzando! Ha solo sedici anni! >>
<< Lo so, Lu. E no, purtroppo non sto scherzando. Quel che è peggio >> Alphard tirò un pugno al tavolino di vetro ch’era vicino al divano << Quel che è peggio è che ora tutta la famiglia la sta acclamando. Tranne Andromeda, lei non vuole più aver a che fare con la sorella a quanto pare. >>
Lucretia scosse il capo << Non ci posso credere… non ci posso credere… >> mormorava. Non avrebbe mai immaginato che una di quelle tre graziose bambine potesse mai diventare una Mangiamorte.
Ignatius era sconvolto. Si era aspettato una morte, un avvelenamento, un litigio grave, di tutto ma non quello. << Io… sono senza parole, davvero. Una bambina, una bambina che uccide e tortura! Se mai avrò un figlio, gli impedirei in tutti modi di fare cose simili… >>
<< A quanto pare per i Black è giunto il tempo di diventare Mangiamorte. Lu, dovremo adeguarci o… dovremo combattere i nostri consanguinei. >>
<< Ne accadono di schifezze nella famiglia Black >> mormorò Lucretia, risedendosi << Decori ricavati da Elfi decapitati, incesti… Ma questa è di gran lunga la peggiore, se su tutto il resto posso chiudere un occhio, su questo no. Non mi adeguerò. >>

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Capitolo 10
*** Stained honor ***


Stained honor




Londra, 1967



Narcissa vagava per i corridoi del piano superiore della sua casa, pensierosa. Erano passate solo poche ore dall’annuncio di Bellatrix e già molte, troppe cose erano cambiate. Lei stessa non sapeva cosa pensare della nuova attività della sorella maggiore, da una parte la ammirava e la invidiava, poiché Bellatrix portava avanti una lotta che lei e la sua famiglia ritenevano giusta, avrebbe contribuito alla creazione di un mondo migliore dove solo i Purosangue avrebbero comandato, avrebbe anche lei creato il mondo in cui avrebbero vissuto i loro figli. Dall’altra parte non era così sicura di voler diventare a sua volta una Mangiamorte. Vedeva la loro posizione troppo estrema e forse, forse, i Mezzosangue non meritavano di morire, forse erano persone come tante altre, con i propri diritti, fra cui il diritto alla vita. Forse aveva ragione Andromeda.
Una cosa sola Narcissa dava per certa: avrebbe perso una delle due sorelle, se non entrambe. Se fino a quel momento era riuscita ad andare d’accordo con entrambe, adesso sarebbe stato impossibile. Se avesse appoggiato Bellatrix, Andromeda non le avrebbe più parlato. Se avesse appoggiato Andromeda, Bellatrix probabilmente le avrebbe distrutto la vita.
Dunque cosa fare? Chi appoggiare? Lei si sentiva spaccata a metà, non dava ragione né all’una né all’altra, ma un giorno avrebbe dovuto scegliere.
Andromeda era quella sempre disponibile ad ascoltarla, a parlarle, era lei a trattarla bene, come una persona e non come un giocattolo. Andromeda era sempre stata la sua unica compagna di giochi, era la persona in cui riponeva tutta la sua fiducia, a cui chiedeva sempre consigli. Di Andromeda poteva fidarsi, era certa che non l’avrebbe mai tradita o sbagliato nel consigliarle, era una ragazza riflessiva e che conosceva i propri limiti.
Bellatrix, invece, adesso non aveva limiti. Con lei avrebbe ottenuto fama e tutto quel che voleva. Durante il suo primo anno ad Hogwarts non aveva faticato a farsi obbedire, le era bastato presentarsi come “Narcissa Black, sorella di Bellatrix” e tutti erano pronti ad obbedirle, a diventare suoi schiavi. A Bellatrix nessuno disobbediva, solo un pazzo lo avrebbe fatto. Aveva la sua compagnia di sottomessi, ma non provava amicizia verso nessuno di loro. A Bellatrix nessuno resisteva, lei avvicinava le persone, le illudeva con false amicizie e pian piano le sottometteva, rendendole schiave della sua persona. Li rendeva inferiori, colpendoli fisicamente e verbalmente, li ingannava a tal punto che quelle persone eseguivano i suoi ordini, tutti i suoi ordini, senza nemmeno rendersene conto. Le uniche persone che Bellatrix fino a quel momento non aveva sottomesso ai propri ordini erano solo tre: le due sorelle e Rabastan.
Se da Andromeda avrebbe ricevuto solo amicizia pura, da Bellatrix avrebbe ricevuto il mezzo per realizzare ogni suo desiderio.
A cosa avrebbe rifiutato? All’amicizia o alla fonte della sua gioia?
Narcissa si rispose che non avrebbe voluto rifiutare né all’una né all’altra cosa, perché anche se se ne vergognava non avrebbe mai rinunciato alle comodità che le poteva offrire un buon rapporto con Bellatrix, ma non voleva nemmeno gettare via dodici anni di vita passati con Andromeda per un regalo di Bellatrix, perlopiù involontario.
Si vedeva quindi costretta a rinunciare ad entrambe. Avrebbe dovuto imparare a fare a meno dell’una e dell’altra, perché non poteva essere divisa per sempre in due parti. Oppure avrebbe dovuto trovare il modo di restare in buoni rapporti con entrambe le sorelle, per quanto impossibile fosse.
Bellatrix d’altro canto era in camera sua, seduta sul suo letto a gambe incrociate. Si osservava il Marchio Nero, con aria affascinata. Ricordava quando le era stato apposto, durante le vacanze di Pasqua, le aveva fatto male in un primo momento, ma ne era valsa la pena. Ora lei era parte attiva di qualcosa, la storia non la subiva più, poteva determinarne e cambiarne il corso. Durante quei mesi il Marchio Nero aveva bruciato varie volte, ma non aveva mai potuto lasciare Hogwarts. Non aveva ancora lanciato una Maledizione Senza Perdono, ma sperava di poterlo fare presto. Insomma, voleva dimostrare la propria superiorità a tutti, voleva avere tutto il mondo magico ai propri piedi.
La ragazza guardò fuori alla finestra e subito vide la chioma castana appartenente ad Andromeda. L’ira si accese in lei, non era mai stata così furiosa con la sorella. Lei non l’aveva osannata, lei non la prendeva ad esempio, lei aveva osato contestare la sua decisione. Era solo una sporca babbanofila che meritava di morire, così come moltissimi altri. Doveva essere eliminata anche lei per ripulire la stirpe magica e far splendere ancora di più il blasone dei Black.
Bellatrix non si vergognava dei suoi pensieri, né ne aveva paura. Quel poco affetto che aveva provato per la sorella era ormai morto, non voleva più nessun legame con quella ragazza, non voleva più averci a che fare. Era lei a macchiare il suo onore.

Hogwarts, 2 settembre 1967



<< Allora, Meds, sei pronta per un nuovo anno scolastico? >> Rodolphus affiancò Andromeda uscendo dalla sala comune e avviandosi alla Sala Grande per fare colazione prima di iniziare le lezioni.
<< Mmh, diciamo >> rispose la ragazza. Andromeda l’aveva evitato per tutta la serata, non sapeva se aveva saputo di quel che era successo a casa quell’estate e se era a conoscenza del suo pensiero. E del resto non provava più tanta simpatia nei confronti di quello che fino a poco tempo prima era stato il suo migliore amico. Insomma, era stato il fratello di lui a rovinare irrimediabilmente la sorella maggiore. Dopo aver perso anche il suo migliore amico, Andromeda non si fidava più di nessuno. Non voleva avere più a che fare con nessuno. << Scusami. Ho una certa fretta >> disse poi, allungando il passo.
<< Ma che ha Andromeda? >> chiese Rodolphus a Narcissa, una volta giunto nella Sala Grande. Narcissa arrossì immediatamente, cosa strana per lei, che trattava tutti dall’alto in basso, ma quella estate si era ritrovata a pensare spesso a quel ragazzo, giungendo alla conclusione che sì, forse, gli piaceva << Non ne ho idea >> rispose poi, chinando il capo << Non ci parlo più da luglio. Non parla più con nessuno, a dire il vero. >>
<< Perché? Che le è successo? >> insistette lui, volendo sapere per filo e per segno quel che turbava l’amica.
Narcissa sbuffò. Non sopportava l’idea di parlare con lui della sorella. << Non lo so. E’ strana >> rispose sgarbatamente.
Uno scoppio di risate la fece voltare alla sua destra, dove pochi posti più in là stava Bellatrix, che raccontava alle sue compagne di stanze di come aveva già ridicolizzato ragazzi delle altre case. Bellatrix sorrideva raggiante, il suo volto appariva ancora più bello, era nel fiore della sua giovinezza e della sua bellezza, non era ancora segnata dai tanti orrori che avrebbe commesso nel suo futuro.
Era facile individuarla: era l’unica ad avere già le braccia coperte, gli altri ragazzi –nonostante la temperatura andasse via via facendosi più fredda- avevano le maniche rimboccate, ma lei no. Era consapevole di attirare l’attenzione di tutti, ma nessuno osava farle domande. Di certo mostrare il Marchio Nero a tutta Hogwarts non era esattamente il suo scopo.
Si era accorta che dalla sera prima tutti la guardavano con occhi diversi. Chi la ammirava, adesso era ai suoi piedi; chi la temeva, ora era terrorizzato dalla sua vicinanza.
Insomma, tutti sapevano ma nessuno lo poteva dimostrare. E a Bellatrix non dispiaceva: amava essere al centro della attenzione, amava essere rispettata, ammirata, temuta, amava poter comandare tutti a bacchetta, e l’essere Mangiamorte la favoriva. Non poteva dire nulla, ma le voci l’avevano preceduta e così tutti erano convinti che Bellatrix Black fosse diventata una Mangiamorte, ma nessuno osava chiederle se quella notizia fosse vera o meno.
<< Bella, perché non ci racconti un po’ di questa estate? >> chiese Jane che, nonostante fosse sua cugina, durante le vacanze l’aveva vista solo un paio di volte. Nemmeno lei sapeva la verità su Bellatrix, nonostante i suoi genitori erano al corrente di tutto, ma con lei non volevano parlare, non volevano dirle la verità sulla sua cugina prediletta.
Non appena sentirono quella domanda, molti studenti di Serpeverde smisero di parlare fra loro e si voltarono verso Bellatrix, ansiosi di conoscere la risposta. Magari avrebbe detto tutto.
Bellatrix dapprima s’irritò, ma quando sentì su di sé gli sguardi di tutti quei ragazzi, sorrise e rispose spiazzando tutti per la gentilezza del suo tono.
<< E’ stata un’estate particolare, carica di novità >> disse, senza sbilanciarsi troppo << L’ho passata perlopiù con Rab e altre persone di nostra conoscenza, definiamoli amici comuni. >>
<< Con lui tutto bene, allora >> Jane fece un finto sorriso, delusa dalla risposta. Ma comunque, secondo lei “amici comuni” era una definizione ambigua.
<< Sì, infatti >> rispose Bellatrix, radiosa. Sì, finalmente lo aveva avuto, dopo tanti anni che aveva sofferto per lui e che le aveva provate tutte. Lui era il suo unico vero interesse, l’unica persona a cui teneva, l’unica persona per cui non provava disprezzo. Insieme al Signore Oscuro, logicamente, ma il Signore Oscuro veniva prima di qualsiasi altra cosa, era il suo dio. Mentre Rabastan Lestrange era stato l’oggetto dei suoi desideri per quattro anni, l’unica cosa che le interessava davvero e che non riusciva mai ad avere.
E poi le aveva offerto su un piatto d’argento la possibilità di realizzare il suo sogno, di dare un senso alla sua vita. Da quando era Mangiamorte, perfino sua madre aveva perso fascino. Quella donna che tanto stimava e ammirava, adesso le era indifferente. Lei non era Mangiamorte, era inferiore.

*



<< Cissy, tutto bene? >> Andromeda ritornò nella Sala Comune di Serpeverde solo dopo cena. Aveva passato tutto il giorno in biblioteca con la scusa di anticiparsi i compiti, la realtà è che voleva stare da sola e lontano da chiunque per un bel po’.
Ora l’orario le imponeva di tornare nel dormitorio, e così raggiunse la sorella minore, che era seduta sul tappeto vicino al camino, spento.
Le sedette vicino e le sorrise, poggiando la borsa stranamente già piena di libri e di rotoli di pergamena accanto.
Lo sguardo di Narcissa cadde proprio sulla borsa, poi guardò negli occhi la sorella, con espressione incredula << Non dirmi che ti sei già messa a studiare! >>
<< Oh… in realtà sì, io… io ho avuto già dei compiti e poi ho scoperto un sacco di cose interessanti e… >>
<< E volevi evitare chiunque, vero Black? >> completò Rodolphus, che appena vide Andromeda entrare nella Sala Comune si alzò dalla sua poltrona e raggiunse l’amica << Possiamo parlare, adesso? >>
L’espressione di Andromeda mostrava tutta l’angoscia che provava. Ebbe un tuffo al cuore quando sentì la voce del Lestrange e subito impallidì. Era giunta alla conclusione che lo temeva, temeva che potesse portarla sulla “cattiva via”. Perché sapeva che avrebbe seguito le orme del fratello, era inevitabile, era sempre stato il suo punto di riferimento ed il suo esempio. << Non vedo di cosa dovremo parlare, Rod… >>
Rodolphus s’innervosì all’affermazione di Andromeda. Lei aveva deciso di fare finta di nulla? Lui non l’avrebbe certo assecondata. << Io sì. Black, seguimi. >>
A malincuore Andromeda si alzò e seguì Rodolphus vicino alle scale che portavano alle camere, dove non c’era rischio di poter essere sentiti.
<< Allora? Mi spieghi questa pagliacciata? >> chiese Andromeda, appoggiandosi alla parete, incrociando le braccia al petto e guardando nervosamente per la stanza.
Rodolphus si stupì a contemplare la bellezza della ragazza, poi si ricordò che proprio quella ragazza l’aveva fatto soffrire per tutta l’estate e che reputava la sua migliore amica e che pochi secondi prima l’aveva irritato. << Pagliacciata? Andromeda, se qui c’è qualcuno che deve spiegare qualcosa sei tu! >>
<< E cosa vuoi che ti spieghi, eh? >> Andromeda decise che avrebbe detto tutto, presa dall’ira si staccò dal muro e tenne le braccia lungo i fianchi, stringendo i pugni. Ora guardava negli occhi Rodolphus, arrabbiata e allo stesso tempo profondamente ferita << Cosa vuoi che ti spieghi? Quanto ci metterai a seguire tuo fratello? Oppure l’hai già seguito? Ti rendi conto di quello che tuo fratello ha fatto a mia sorella e alla mia famiglia? Ti rendi conto che per colpa vostra la mia vita non sarà più quella di una volta? >>
<< Per colpa nostra?! >> urlò Rodolphus, poi quando sentì addosso gli sguardi degli altri studenti abbassò la voce << Per colpa nostra? Andromeda ma… stai bene? E’ colpa nostra se tua sorella ha il diavolo in corpo? Se è cattiva di suo? >>
<> gridò Andromeda, poco importandosi che ormai buona parte degli studenti di Serpeverde erano a conoscenza di quel litigio.
Per Rodolphus fu come una coltellata al cuore. Aveva già immaginato che le cose con Andromeda non sarebbero più andate come una volta, un chiaro sentore era il fatto che non gli rispondeva alle lettere, ma mai avrebbe immaginato che dalla bocca della sua migliore amica sarebbero uscite quelle parole.
<< Benissimo Black. Rispetterò la tua decisione. Addio >> Rodolphus con quelle pose per sempre fine a tutto, al litigio e all’amicizia con Andromeda. Si girò ed andò nella sua camera.
Andromeda sospirò, rimase per qualche minuto ferma lì davanti alle scale e alla fine andò anch’essa nella propria camera.
Entrambi i ragazzi non riuscirono a prendere sonno quella notte.
Rodolphus era nervoso. Non riusciva a capacitarsi di quel che era successo. Ma il litigio con la ragazza gli aveva schiarito le idee, adesso non aveva più dubbi sulla strada da prendere.
Andromeda, invece, piangeva. Piangeva per Bellatrix, piangeva per la sua famiglia, piangeva per Rodolphus. Adesso si sentiva totalmente sola, sentiva di non poter contare più su nessuno.

Hogwarts, 31 ottobre 1967



<< Hai appuntamento con mio fratello oggi? >> Rodolphus si sedette accanto a Bellatrix a colazione. Dopo aver chiuso i rapporti con Andromeda, era passato a frequentare la sorella. Provava ancora quell’attrazione fisica e intellettuale nei confronti di Bellatrix, ma si era rassegnato all’idea che probabilmente sarebbe diventata sua cognata.
Accanto a lui era Lucius Malfoy, silenzioso. Lui non era particolarmente entusiasta di andare ad Hogsmeade, avrebbe preferito rimanere ad Hogwarts, magari a concludere “affari” con studenti poco esperti e facili da ingannare.
<< Sì, ci dobbiamo vedere >> rispose Bellatrix. Rabastan era stato molto vago sul programma della giornata, diceva che sarebbe stata una giornata davvero importante per lei e che non l’avrebbe mai dimenticata.
<< Voglio venire anche io ad Hogsmeade… >> mugugnò Narcissa, incrociando le braccia al petto. Voleva andare anche lei ad Hogsmeade, voleva fare le stesse identiche cose delle sorelle, avere la loro libertà, ma era ancora troppo piccola.
<< Non ti perdi nulla di straordinario, Narcissa >> le disse Lucius mentre si versava del succo di zucca << Ad ogni modo si tratta di aspettare ancora un anno, e poi potrai venire anche tu ad Hogsmeade >>.
<< Andromeda? >> chiese Rodolphus, quasi involontariamente. Gli era naturale informarsi su ciò che faceva o cercarla la mattina appena sveglio, solo che poi si ricordava che non erano più amici, e gli faceva male.
<< Bah, Meda se la fa con la squadra di Quidditch >> rispose.
<< Stessa formazione, no? >>
<< Sì, Rod. Squadra vincente non cambia. E del resto, sabato scorso hanno letteralmente stracciato i Grifondoro >> sorrise Narcissa. Lei amava il Quidditch, ma non era in grado di volare. Ed era anche troppo pigra per poter pensare di giocare una partita.
<< Beh, il merito è tutto di Gwen. E’ fenomenale. E messa insieme ai Wellinghton non ci sono storie. Peccato che questo sia l’ultimo anno del Capitano. >>
<< Gwenog ha sicuramente un futuro in qualche squadra, se non direttamente nella nazionale. A meno che non sia così stupida da non sfruttare il suo talento per dedicarsi ad altro >> intervenne Lucius, che capiva poco e nulla di Quidditch. Sapeva che Serpeverde vinceva, che era la squadra migliore, che Yvone Wellinghton era una gran bella ragazza e che anche Gwenog Jones prometteva bene, e che ci giocava anche Andromeda Black. Più di tanto non capiva, né voleva capire. Non comprendeva perché impazzire per sette tizi su manici di scopa.
<< Ho sentito che tua sorella ha avuto una storiella col cercatore, com’è che si chiama? >> chiese Bellatrix, sdegnata.
<< Robert Kenagh >> rispose Narcissa << E’ possibile. Anche se adesso la si vede sempre con Seevers >>.
<< Almeno lui ha il naso dritto ed è carino >> commentò Bellatrix, che di certo non trovava attraente nessuno dei giocatori di Quidditch, ma fra loro il migliore non poteva che essere il battitore.
<< La si vede anche con i Tassorosso >> disse poi Narcissa << Ma non m’importa più di tanto di lei >>.
Bellatrix rimase come fulminata. Sua sorella non poteva essere amica dei Tassorosso. Sua sorella era una Serpeverde, era una Black. Irritata, lasciò cadere le posate sul piatto, con un gran fracasso << Che schifo. Cissy, più le stai alla larga, meglio è. >>
Mezz’ora dopo Bellatrix era quasi arrivata ad Hogsmeade. Lì aveva appuntamento con Rabastan davanti a MondoMago, anche se lei avrebbe preferito quella grande casa -che qualche anno dopo sarebbe diventata la Stamberga Strillante con l’arrivo di Remus Lupin ad Hogwarts-, la affascinava ed era abbastanza lontana dalla cittadina.
Arrivò davanti a MondoMago e sorrise raggiante quando scorse Rabastan. Gli andò incontro e si accorse che non era solo, ma con lui c’erano altri due uomini, un po’ più vecchi di loro. Bellatrix era parecchio scocciata, era la prima volta dopo due mesi che si rivedevano, e magari avrebbe voluto passare quella giornata da sola con lui. Già durante l’estate avevano avuto ben pochi momenti di solitudine.
<< Rabastan, cosa significa? >> chiese la ragazza, prendendo da parte Rabastan. Gli occhi le scintillavano di rabbia, il braccio sinistro era teso lungo il fianco e il pugno era stretto, mentre con la mano destra stringeva con forza il braccio sinistro di lui, le labbra serrate e i piedi puntati per terra << Perché sono qui anche Thorfinn ed Evan? >>
Rabastan si strattonò dalla presa della fidanzata e la guardò irritato << Ti avevo parlato di una giornata diversa, no? Che non avresti mai scordato… >>
<< Non capisco cosa c’entri con la nostra giornata >> sibilò Bellatrix.
Evan Rosier e Thorfinn Rowle, i due Mangiamorte più devoti all’Oscuro Signore fino all’arrivo di Bellatrix, si avvicinarono.
<< Non abbiamo molto tempo, Lestrange >> sbuffò Rosier. Non capiva perché dovevano fare quella cosa proprio in compagnia di due ragazzini inesperti.
<< Siamo pronti >> rispose Rabastan << Ma prima dobbiamo spiegare a Bella cosa faremo >>.
<< Fa’ in fretta >> mugugnò Rosier. Ragazzini… Perdevano tanto tempo prezioso in chiacchiere << E possibilmente lontano da orecchi indiscrete >> aggiunse, vedendo Rabastan sul punto di parlare. Inesperto ed anche stupido. Lei pareva più intelligente, ma non l’aveva mai vista all’azione. Era facile proclamarsi Mangiamorte, ma era molto più difficile dimostrarsi degno di quella nomina.
Una volta giunti poco fuori dal paese, una Bellatrix sempre più arrabbiata pretese di sapere il motivo per cui la sua giornata ad Hogsmeade era totalmente diversa da quel che aveva immaginato. << Semplice, Bella >> iniziò Rabastan << Un Auror sa troppo. Oggi ci dimostrerai il tuo valore. Loro due si occuperanno dell’infame, noi di sua moglie e di sua figlia. >>
Bellatrix era sconvolta. Tutto si sarebbe aspettato, ma non ciò. Aveva atteso per mesi quel momento e adesso che era arrivato sentì l’adrenalina scorrerle nelle vene, mettendo in moto tutto il suo entusiasmo e tutta la sua cattiveria. Finalmente era giunta la sua occasione. << E come ci arriveremo? >>
Per tutta risposta, Rabastan l’afferrò e si smaterializzò, seguito dai due uomini.
Non era la prima volta che Bellatrix si smaterializzava, ma questa volta era diverso. Un’emozione la rendeva impaziente, frenetica, eccitata. Un Auror l’avrebbe pagata cara, avrebbe reso un servigio per l’Oscuro Signore, che le sarebbe stato grata, che magari avrebbe anche iniziato a stimarla.
Solo una volta fu più agitata, ovvero la volta che si smaterializzò per conoscere lui, Lord Voldemort. Si materializzarono a Leicester, in periferia.
Rosier e Rowle si diressero spediti verso una villetta posta sul lato sinistro della via. Era una bella casa, bianca con infissi neri, diversi fiori erano disposti fuori ai balconi del primo piano e il giardino era molto curato, un cancelletto nero dava su un vialetto che conduceva alla porta d’ingresso.
Bellatrix e Rabastan li seguivano. Nessuno dei due fiatava, Bellatrix aveva anche qualche difficoltà a respirare. Lei, la fredda, l’impassibile Black finalmente conosceva il significato di coronare un sogno.
Erano poco più di cento passi a separarli dalla casa dell’Auror e ad ogni passo Bellatrix sentiva la frenesia aumentare.
<< State pronti >> li avvertì Rowle << Da adesso abbiamo circa dieci minuti prima che il Ministero sappia qualcosa e arrivi qui. E altri due prima che lui vada a lavoro. Quando apriremo il cancello, dovremo fare in fretta >>.
Più si avvicinavano alla loro meta, più veloci si facevano i loro passi, finché non iniziarono a correre. Rosier spalancò il cancello con fracasso, tanto che la moglie si affacciò dalla finestra del primo piano, rivelando così ai due ragazzi dove si trovasse. Corsero fino all’ingresso, dove trovarono la porta già aperta e l’Auror con la bacchetta in mano, pronto a combattere.
Bellatrix stringeva la sua bacchetta con al mano destra con tanta forza che le dolevano le dita. Sentiva che le girava la testa e sentiva la paura scivolarle addosso, lentamente.
Non era sicura di essere cosciente, vedeva immagini confuse, vide i due Mangiamorte buttarsi contro i due, udì Rabastan urlarle << Di sopra! >>, sentiva che correva.
<< Di qui non passerete, bastar… >>
Un lampo di luce verde accecò Bellatrix.
Il rumore attenuato del corpo dell’Auror che cadeva sul tappeto le risuonò assordante nella testa, rimbombando.
Si bloccò alla visione del cadavere che formava una strana angolazione con il braccio sinistro e l’espressione agitata del volto, ormai eterna.
Tutto era un turbinio di colori e di suoni e di movimenti e di urla e di dolore e di paura e di vergogna e di eccitazione, tutto e niente le si presentavano ai suoi occhi.
Si sentì strattonare e inciampare sul primo scalino, si ritrovò a fissare una bambina che poteva avere al massimo sei anni, con i capelli biondi raccolti in due code e l’espressione terrorizzata sul volto. Era corsa via, strappandosi al grembo materno che la stringeva fino a pochi secondi prima. Era corsa per le scale, consegnandosi alla morte.
<< Papà! >> strillò la bambina, disperata, lacerando le orecchie di Bellatrix.
Un altro lampo di luce verde, questa volta era stato Rabastan, e subito la bambina rotolò per le scale, urtando con il piedino la gamba della ragazza. Si fermò una volta arrivata al piano terra, la testa sul tappeto, vicina a quella del padre, le gambe ancora sulle scale, un rivolo di sangue le sporcava la fronte e le guance, trovò conforto con la morte al suo terrore e al suo dolore, un conforto eterno a cui non si sarebbe più potuta sottrarre, un conforto che aveva pagato col prezzo della vita, passando all’eternità martoriata e col volto tumefatto.
Bellatrix si sentiva mancare, avrebbe voluto vomitare, avrebbe voluto sedersi e morire insieme a quella bambina, era sconvolta, non riusciva a prendere possesso delle sue azioni.
<< BELLATRIX! >> urlò Rabastan.
Lei si voltò, la donna era dove poco prima c’era sua figlia. Le avevano distrutto la famiglia, le avevano distrutto quanto di più caro avesse, non aveva più né suoni da emettere né emozioni da provare.
Bellatrix capì che era giunto il suo turno, che avrebbe dovuto commettere l’atto che l’avrebbe resa gloriosa. Ciò la fece riprendere un po’, ma non ce la poteva fare. Sapeva di non potercela fare. Levò la bacchetta e disperata disse << C… crucio >>.
Un lampo di luce rossa investì in pieno la donna, ma che parve immune alla maledizione.
<< DEVI VOLERLO BELLATRIX, CAZZO! DEVI VOLERLO! >>
<< CRUCIO! >> urlò Bellatrix, con tutta la sua rabbia e con tutta la disperazione. La donna si accasciò a terra, urlando e contorcendosi, e proprio da quelle urla Bellatrix trasse forza. Le piacevano, la facevano sentire potente, le piaceva sentirsi implorare, sentiva che la vita della donna andava pian piano nelle sue vene, era una sensazione che le piaceva oltremodo.
<< STANNO ARRIVANDO! >> urlò Rosier << BELLATRIX, FALLA FINITA! >>
<< Avad… >> mormorò Bellatrix, ma si bloccò, incapace di andare avanti. No, non poteva ucciderla. Non le aveva fatto nulla alla fine. Non sarebbe stato più crudele portarla alla pazzia o lasciarla sola al mondo?
<< BELLATRIX! >>
<< Av… AVADA KEDAVRA! >>
La donna rimase a terra, dov’era prima, immobile, il suo corpo tutto emanava dolore.
<< MORSMORDE! >> Rowle evocò il Marchio Nero nell’esatto momento in cui quattro Auror si materializzarono nell’ingresso.
Bellatrix si rese conto di quello che aveva fatto. Non era un semplice omicidio, era un omicidio giusto. Quella era una vita di serie B, che aveva scelto di sposarsi con chi voleva impedire la purezza della razza. Era un omicidio che non poteva che riempire di gloria Bellatrix. Anche lei aveva contribuito alla causa. Ed ora ci aveva preso gusto, un ghigno comparve quando si materializzarono i quattro Auror. Levò nuovamente la sua bacchetta, ma Rosier l’afferrò e si smaterializzò.
I quattro Mangiamorte si materializzarono di nuovo appena fuori da Hogsmeade. Bellatrix cadde in ginocchio sulla terra, lasciando la bacchetta.
<< Potevi rovinare tutto, Black! >> esclamò Rowle, rosso di rabbia.
Bellatrix non ascoltava niente all’infuori del proprio cuore che batteva all’impazzata nel suo petto. Era disgustata e allo stesso tempo fiera di se stessa, aveva fatto il grande passo. D’ora in poi sarebbe stato tutto più facile.
<< Perché non siamo rimasti? Erano solo quattro… >> chiese, a bassa voce.
<< Black, non sei nelle condizioni di sopportare un duello serio. Sei sconvolta >> rispose Rosier << Ma del resto è la tua prima volta. Ti sei comportata fin troppo bene. >>
<< Fin troppo bene?! Potevamo andarcene prima del loro arrivo! >> intervenne Rowle.
<< Thorfinn, ti devo ricordare che la tua prima volta non combinasti niente? Bellatrix ha fatto molto. Ha dimostrato di valere qualcosa. >>
Bellatrix ha fatto molto. Ha dimostrato di valere qualcosa. Queste parole riempirono di orgoglio la Serpeverde, che raccolse la bacchetta e si alzò, scuotendosi la terra dei jeans e ostentando un sorriso.

*

<< NO! >> Bellatrix si svegliò di soprassalto, scattando a sedere, in una pozza di sudore.
Si rese conto di essere nel suo dormitorio, nel suo letto.
<< Bella? Tutto bene? >> mormorò Tessa dal letto accanto << E’ successo qualcosa? >>
<< Non è nulla, non è nulla >> sussurrò Bellatrix, stendendosi nuovamente. Aveva ferma nella memoria l’immagine di quella bambina e non riusciva a cancellarla, non riusciva a dimenticarla. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarsi. Si rendeva conto di aver fatto una cosa orribile, di aver ucciso, seppur mossa da nobili ideali. Per quanto ancora avrebbe sognato quella bambina? Era sempre più sicura della sua scelta, sapeva che avrebbe posto fine ad una vita con più facilità e che col tempo i sensi di colpa sarebbero scomparsi, lo faceva in nome di un puro ideale. Ridacchiò istericamente, ripensando al dolore che aveva inflitto a quella donna di cui non conosceva il nome. Si sentiva marcia dentro, sentiva che stava imboccando una strada difficile, di essere segnata per sempre, aveva usato due maledizioni senza perdono, nessuno sarebbe stato clemente con lei, ma lei non se ne pentiva. Le dispiaceva solo non poter vantarsi della sua azione, nessuno avrebbe mai saputo cosa aveva fatto quel giorno. Tutto le appariva così banale adesso.
D’ora in poi sarebbe stato tutto più facile, ma per quanto ancora avrebbe sognato quella bambina?

Hogwarts, gennaio 1968



<< Vai, Meda, che a questi Tassorosso abbiamo spaccato il culo! >> Gwenog Jones stava rimettendo la divisa da Quidditch nello zaino. Avevano appena stracciato per quattrocento a sessanta la seconda squadra più forte di Hogwarts, ora tutta la squadra sentiva che non sarebbero certo stati i Corvonero a fermarli. E anche se avessero vinto i Corvonero, era quasi impossibile perdere la Coppa.
<< E stasera, festa grande in dormitorio! >> annunciò Dirk Wellinghton, infilandosi la camicia.
<< E comunque… se Andromeda e William non avessero preso di mira il nuovo cercatore, non ce l’avremmo mai fatta! Chissà se gli hanno già riaggiustato le ossa >> disse Yvone Wellinghton, abbracciando i due battitori << Sai farci con le mazze, ragazza >> aggiunse, facendole un occhiolino e un sorriso allusivo, che le procurarono un pugno da parte di una imbarazzatissima Andromeda.
Era ormai più di un mese che lei e William erano ufficialmente fidanzati e da allora Yvone si sentiva in obbligo di farcire con doppi sensi ogni frase che le rivolgeva.
Due ragazzi di Serpeverde fecero irruzione nello spogliatoio, lanciando ai giocatori uno stendardo di Tassorosso << A voi! Sottratto a dei Tassorosso delusi durante la partita >>.
Robert Kenagh afferrò incredulo lo stendardo << Siete dei grandi >> mormorò.
<< Questo va senza dubbio appeso vicino alla Coppa dello scorso anno… che rimarrà nel nostro dormitorio per un altro anno >> rise Dirk << Avete rubato lo stendardo… roba da pazzi! Non usciranno più dal dormitorio per l’umiliazione! >>
<< La fede è una cosa che va oltre la ragione, per la squadra si è pronti a tutti >> ridacchiò uno dei due ragazzi << Poveri fessi… Dopo la vergogna dell’anno scorso, ora questo. >>
Dirk si legò lo stendardo al collo e intonando cori per far pesare alla tifoseria avversaria il grande disonore subìto e che loro non avrebbero mai fatto dimenticare. In quel momento, per tutti il Quidditch non era solo uno sport, era una ragione di vita.

*

<< Gwen, mi passeresti gli appunti di Storia della Magia per domani, vero? >> chiese Andromeda una volta giunta in biblioteca a quella che era diventata la sua migliore amica.
<< Ma prenderli da sola no, eh? >> sbuffò Gwenog, sedendosi ed aprendo il libro di Pozioni. Doveva fare un tema, ma entusiasta com’era a causa della vittoria dubitava che ne sarebbe uscito qualcosa di buono.
<< Lo sai che ho avuto da fare, Gwenny. >>
<< Gwenny? >> ripeté disgustata Gwenog << Andromeda, se solo tu fossi un poco più responsabile, io gli appunti te li passerei pure, ma ti stai lasciando andare, non stai stud… >>
Andromeda non l’ascoltava, era abituata a prediche del genere da parte della ragazza. Era vero, ultimamente non studiava più, non aveva più la stessa voglia di prima. Non perché fosse scossa o perché avesse altro da fare, semplicemente non le andava. La sua attenzione fu catturata da una chioma bionda che lei ben conosceva che entrava in biblioteca. Sorrise. Perfetto, era proprio quello che cercava per rendere indimenticabile quella giornata.
<< Tonks! >> lo chiamò Andromeda, alzandosi, con tono canzonatorio << Ma che piacere! Bella partita quella di oggi, eh? >>
Ted Tonks la ignorò. Andromeda era decisamene l’ultima persona che voleva incontrare quel giorno. La sconfitta gli bruciava, e tanto.
<< Toglimi una curiosità, Tonks! >> Andromeda si avvicinò al tavolo dove si era appena seduto il Tassorosso e gli si pose davanti << Ma con che coraggio vi fate vedere in giro quando il vostro prezioso stendardo ora è nel nostro dormitorio? >>
Ted serrò la mascella. Dopo la sconfitta, il disonore. E quella ragazza malefica era lì apposta per ricordarglielo << E tu spiegamene un’altra, Black. Con che coraggio Seevers si fa vedere in giro con te? Come fa a guardarti in faccia senza morire d’infarto? >> sibilò.
Il sorrisetto tronfio scomparve dal viso di Andromeda, che adesso non sapeva come rispondere. Non si aspettava certo una reazione da parte del Tassorosso.
<< Che c’è, Tonks, sei geloso? O semplicemente ti rode il fatto che sei solo come un cane? >>
<< Geloso di te? Piuttosto preferisco farmi mangiare vivo da un’acromantula! >> sbottò Ted << Davvero non capisco cosa ci trovi in te quel ragazzo. >>
<< Ooh, Tonks! Hai imparato a dire “acromantula”? Mi sorprendi! >>
<< Black, tu però non hai ancora imparato che il cervello non serve a riempire la testa, ma che va usato. >>
Andromeda fu rapida. Impugnò la bacchetta e tentò di schiantarlo, ma Ted fu più rapido di lei e si scansò, tentando di schiantarla a sua volta e riuscendo nel suo intento.
La bibliotecaria irruppe nella saletta, sbraitando, dimenandosi ed agitandosi. << SCELLERATI! Come potete mettere a repentaglio lo stato di questi poveri libri?! Ah, ma le regole di Hogwarts le conoscete, eccome se le conoscete! E di certo non la passerete liscia stavolta! >>

Hogsmeade, 14 febbraio 1968



Bellatrix girovagava per Hogsmeade da una buona oretta. Da ottobre non aveva più avuto “incarichi”, ma sapeva –o almeno sperava- che era per via della scuola. Non riusciva a sopportare l’idea che aveva sprecato la sua grande occasione per dimostrare chi fosse veramente. Insomma, aveva immaginato che sarebbe stato più facile uccidere un Auror o la sua famiglia o dei mezzosangue o dei babbanofili. Ma così non era stato. Del resto, sempre di uccidere si trattava. Uccidere per i suoi puri ideali, certamente, ma aveva scoperto che porre fine ad una vita non era così facile come aveva immaginato.
Spesso, fin da bambina, aveva provato ad immaginare cosa si provava ad uccidere una persona. Aveva avvertito tante sensazioni al solo pensiero, ma mai la paura. E questa novità, questa nuova sensazione l’aveva quasi portata al fallimento. Già, perché lei non aveva mai avuto seriamente paura prima d’allora, e il non aver paura porta a credersi invincibile, infallibile. Ma quando ci si schianta contro il terrore, allora si è persi.
Bellatrix era cresciuta col mito della madre, donna che non aveva mai visto piangere, cedere o mostrare segni di debolezza, e proprio per imitarla non conobbe mai la paura.
E poi, adesso, a scuola era la ragazza forte, la ragazza da temere, quella che sapeva sempre quel che voleva.
Sapeva che tale descrizione le apparteneva, che lei era davvero temibile, forte e decisa. Ma da quel giorno aveva iniziato ad indossare una maschera, perché lei non aveva dimenticato ciò che aveva fatto. Ne andava fiera, ma ne era anche spaventata. Del resto, era sempre una sedicenne. E si sentiva debole, inerme, non era più quella di prima. Adesso era più crudele, più cattiva, più forte, ma era cambiata perché aveva costruito un muro attorno a sé, e quale muro respinge meglio la gente se non quello della crudeltà? Non voleva che qualcuno sapesse ciò che provava veramente, solo Narcissa aveva intuito qualcosa.
Con Narcissa i rapporti andavano sempre più migliorando, adesso passavano più tempo insieme. Non che a Bellatrix importasse veramente della sorella, ma voleva istruirla, portarla sulla giusta via.
Con Andromeda, invece, non parlava da luglio. Era passato anche il tempo delle spallate, degli sguardi minacciosi, adesso semplicemente s’ignoravano. Ognuna proseguiva la sua vita facendo finta di avere solo una sorella, Narcissa. E spesso lo credevano veramente, tanto si erano sforzate di cancellare i ricordi comuni.
<< Bella! >> la chiamò Rabastan, dall’altra parte della via.
Bellatrix si voltò e, sorridente, gli andò incontro, per poi abbracciarlo e baciarlo. Oh, sì, le era mancato, non si vergognava ad ammetterlo.
<< Bella, dobbiamo parlare >> disse subito Rabastan, che voleva togliersi al più presto quel peso che gli gravava sul cuore e sullo stomaco.
<< Bella, come ben sai, quella cosa l’hai svolta bene. Non alla perfezione, ma almeno un risultato c’è stato. >>
Bellatrix sorrise, fiera e orgogliosa. Aveva fatto bene. L’avevano lodata. Chissà se l’aveva lodata anche lui. Chissà.
<< Ma… Bella… Devi capire che basta una macchiolina per definire sporco qualsiasi cosa. Basta una mela marcia a rovinare tutte le altre. Una persona a macchiare l’onore di tutta una famiglia. Se tua figlia si sposasse con un babbano, lo tollereresti? Se tua figlia volesse diventare un Auror, glielo permetteresti? Sono certo che la risposta ad entrambe le domande è no. Perché questo macchierebbe il tuo onore, perché costituirebbe un disonore per la tua famiglia. Ti opporresti in tutti modi a questo, immagino, in tutti i modi. Però Bella, tesoro, il tuo onore è già macchiato. E sai benissimo a chi mi riferisco. Non puoi risentirne per colpa sua, Bella. Non è giusto, capisci? Ma solo tu puoi porre fine a questa situazione, solo tu puoi riscattare il tuo decoro. >>
Bellatrix l’ascoltò senza dire una parola. Oh, certo che sapeva a chi si riferiva. Ci aveva già pensato ancora prima di intraprendere la sua via. << E’ un suo ordine? >> chiese.
<< No. O almeno, non ancora. >>
<< E allora non lo farò. Andromeda è pur sempre una Black. E’ stata mia sorella, ha il mio stesso sangue nelle vene. Fosse un suo ordine, troverei una soluzione. Ma non lo è, e non farò nulla contro Andromeda, anche solo convincere i miei a cacciarla di casa >> rispose Bellatrix, guardando oltre la testa del ragazzo.
<< Ma Bella… >>
<< No, Rab, nessun “ma”. >>
<< Bella, pensa a me. A me non ci pensi? A me che ti ho portato da Lui? >>
<< Perché mai dovrei pensare a te? Questa cosa non ti tocca minimamente, Rabastan! >> Bellatrix iniziava ad innervosirsi. Ma come si permetteva di dirle cosa fare o non fare con sua sorella? Perché le rinfacciava sempre quel che aveva fatto per lei? Tanto lei sarebbe diventata comunque una Mangiamorte, con o senza lui.
<< E allora, Bella, mi sa che è meglio finirla qui. Non credo di poter sopportare una cosa del genere! >> Rabastan si voltò e ripercorse la strada da cui era venuto. Non avrebbe voluto lasciarla così, per quel motivo. Ma forse era stato meglio. A lui di lei non importava nulla. Non ne era innamorato, ne era solo affascinato. Insomma, era una ragazza che veniva da una famiglia importante, lo nobilitava e lo aveva messo in buona luce. Ma non poteva sopportare tutto. Era lui l’uomo, era lui a dover comandare, non lei. E lei aveva un carattere troppo forte perché lui potesse contrastarlo.

*



Hogwarts



<< Oh, che bello, ho sempre desiderato passare una probabile giornata ad Hogsmeade in punizione con te ad Hogwarts, Tonks >> sbottò Andromeda, spolverando accuratamente un volume.
Erano stati messi in punizione per “aver quasi distrutto un’ala della biblioteca”, e quindi erano costretti a passare il 14 febbraio ad Hogwarts, a spolverare libri che si trovavano in un’ala che nessuno visitava più, mentre tutti gli altri studenti dal terzo anno in su si trovavano ad Hogsmeade. << Paura che il tuo amore esca con un’altra ragazza? >> chiese Ted, sogghignando.
Andromeda lo ignorò onde evitare una seconda punizione. Ripose il volume e passò a quello successivo.
<< Hai intenzione di passare tutta la giornata in silenzio, Black? >>
<< E perché dovrei parlare con te Tonks? >>
<< In effetti è una buona domanda >> commentò Ted.
<< Lo so, è una mia domanda. Ho un cervello, io. >>
<< Black, e con questo cosa vorresti insinuare? >>
<< Oh, io non insinuo nulla. Dico solo che io ho un cervello, sei tu che sei permaloso. Coda di paglia? >> chiese Andromeda, con un sorrisetto. Si divertiva a litigare con quel ragazzo, forse perché ne usciva sempre vincitrice.
Ted rimase per un bel po’ di tempo in silenzio, imbronciato. Odiava quella ragazza, la odiava con tutto il cuore, eppure era certo che se non fosse stato per lei, le giornate sarebbero state davvero noiose. Insomma, almeno le movimentava, almeno lo faceva incazzare. Ma continuava ad odiarla.
<< Allora, quand’è che ti marchi il braccio? >> chiese dopo un po’, ironicamente.
Andromeda rimase spiazzata dalla domanda, tanto che lasciò cadere il volume << Che cosa? >> sibilò << E perché mai dovrei farlo? >>
<< Beh, sei una Purosangue, una Black e una Serpeverde. E’ quasi un destino, no? >>
<< E perché mai dovrei dire proprio a te una scelta del genere, scusa? >>
<< Come cosa sarebbe stupida, è vero >> ghignò Ted << Ma tu non brilli certo d’intelletto… >>
Andromeda lo lasciò perdere, irritata e infastidita dalla domanda che il ragazzo le aveva posto. << Comunque… Non lo farei mai >> disse, dopo un’ora passata in silenzio.
<< Cosa non faresti mai? >>
<< Il Marchio Nero. Non lo farei mai. L’Oscuro Signore non è il mio Dio, i Mangiamorte non hanno la mia stima. >>
<< Ma non andrai molto lontano così. Non tu >> Ted sapeva che ormai c’era una vera e propria diffidenza nei confronti dei Serpeverde da quando tutti o quasi gli allievi degli anni passati di quella Casata si erano uniti a Voldemort, e del resto Voldemort stesso era stato un Serpeverde.
<< Non capisci? E’ anche questo che mi fa rabbia, che mi spinge a non diventare mai uno di loro! Le case bruciano, il terrore avanza, loro s’impossessano pian piano del nostro mondo, della nostra vita, avanzano, avanzano sempre più, non si fermeranno. O sei con loro o sei fuori. Via, spazzato via, per loro la tua vita vale meno di una carta portata via dal vento. Sempre più disastri, sempre più battaglie, sempre più morti, ormai la speranza ci sta abbandonando e stiamo cedendo. Ed è anche per tutto quello che non potrò mai avere nella mia vita a causa loro che mi rifiuto di unirmi a quel branco di pazzi. Prima ancora delle ideologie, prima ancora dei componenti, vengo io. E, tu ne sei la prova, tutti si aspettano che io diventi una Mangiamorte, ma io questo non lo farò MAI! Perché loro mi fanno SCHIFO, e non ho paura di dirlo e di urlarlo >> Andromeda non sapeva perché stesse dicendo quelle cose che da tempo la opprimevano, né perché le stesse dicendo a lui, Ted Tonks, persona che più odiava ad Hogwarts. Però adesso si sentiva meglio. Era quasi stata sul punto di dire che sua sorella era una di loro, ma si era trattenuta. Non capiva il perché, ma da questo punto di vista si fidava di Ted. Forse perché se avesse rivelato quelle cose, non avrebbe più avuto motivo di prenderla in giro.
Ted l’ascoltò, sconvolto. Non si aspettava certo una reazione da parte della ragazza, né tantomeno si aspettava una reazione del genere. Forse quella Black non era poi così male come aveva sempre creduto, caratteraccio a parte. Forse era ancora sana di mente. Forse…

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Capitolo 11
*** Love affairs ***


Love affairs





Londra, maggio 1968
3.00 a.m.


Walburga era in cucina. Seduta, spostava ogni minuto lo sguardo sull’orologio affisso alla parete. Era un orologio magico, diverso da quelli dei Babbani. Le lancette erano quattro, una per ogni membro della famiglia. La sua e quelle dei suoi figli indicavano la dicitura “casa”. E certo, i bambini erano nelle loro camere, lei invece, disgraziata, attendeva il ritorno del marito, del cugino. La sua lancetta, infatti, la informava che era fuori casa, ancora fuori casa. Ormai Walburga ci era abituata, fin da quando si erano sposati non avevano mai passato una notte insieme, non avevano mai passato anche solo una giornata insieme. Orion usciva, spendeva la sua fortuna, si divertiva in ogni modo. Alcool, donne, tutto era lecito. E poi, quando proprio non c’era nessuna, tornava a casa da lei, la usava e poi usciva nuovamente.
Walburga lo aveva sempre permesso. Non le importava, lei lo amava, ogni cosa le andava bene purché egli rimanesse al suo fianco. Soffriva, non era certo così che si era immaginata la sua vita. Otto anni prima aveva solo una relazione aperta con il cugino. Quando lui la desiderava, lei c’era sempre. Lei aveva sempre saputo che c’erano anche altre donne fin dall’origine della loro relazione, ma quando rimase incinta fu costretta a sposarlo e sperò in un cambiamento. Cambiamento che non arrivò mai, nemmeno dopo il secondo figlio.
Lui dei figli non sapeva niente. Sapeva solo che due esseri di sesso maschile e minorenni giravano per casa, sapeva i nomi, li aveva scelti lui, sapeva che il primo aveva circa otto anni, perché otto anni prima gli divenne illegale frequentare più donne contemporaneamente, ma del secondo non sapeva nemmeno l’età.
Né i figli conoscevano il padre. Erano cresciuti senza la figura paterna, sapevano che l’uomo che a volte incrociavano in casa e che non li degnava di uno sguardo o di una parola era il loro padre, ma erano cresciuti solo con la madre, costretta a rimanere chiusa in casa ad accudire i figli. Il primo, poi, cresceva in maniera strana. Se lei gli diceva una cosa, poteva star certa che lui faceva la cosa contraria. Era di sangue pazzo, a volte diceva affermazioni che la spiazzavano, più volte aveva affermato davanti a vari parenti che secondo lui i Mezzosangue non erano poi così inferiori. Sangue pazzo esattamente come quello della nipote, Andromeda. Walburga la trovava tanto strana e così poco educativa che aveva deciso di tenerla ben lontana dai suoi figli. Anche Druella era disperata per quella sua figlia, ma di certo non poteva sbatterla fuori di casa. Era sangue del suo sangue, magari con l’età sarebbe cambiata.
Quando Walburga sentì la serratura della porta scattare si alzò, si aggiustò la vestaglietta nera ed uscì sul corridoio, appoggiandosi all’uscio.
Era una figura imponente, alta e muscolosa, decisa, fare da madre e da padre per i suoi figli l’aveva decisamente fortificata e resa autonoma, sviluppando in lei quasi una coscienza femminista.
Orion aveva un sorriso stampato in faccia. Oh sì, si era decisamente divertito quella sera. Si tolse la giacca, l’appese e si diresse verso le scale. Probabilmente non avrebbe nemmeno notato la moglie se non le fosse passato davanti.
<< Wal, ti sei tagliata i capelli? >> le chiese, dopo averla squadrata per qualche secondo.
<< Li ho tagliati due mesi fa. >>
<< Stai bene >> approvò lui, dirigendosi nuovamente alle scale.
Walburga respirò a fondo, poi si fece coraggio. << Orion, dobbiamo parlare. >>
Orion la guardò << Adesso? Non possiamo parlare domani mattina? >>
<< Sì, adesso >> Walburga entrò nuovamente in cucina ed una volta che fu entrato il marito chiuse la porta.
<< Sai dirmi quanti anni hanno i tuoi figli? >> gli chiese, incrociando le braccia al petto.
<< Otto e quattro? Tre? >>
<< Sette e cinque. Ad agosto Sirius ne farà otto. >>v << Oh, e che importanza ha? >> Orion spostò una sedia e si lasciò cadere su di essa, poi sorrise alla moglie << Dammi un po’ d’acqua, va’ >>
Walburga sentì la rabbia avvampare dentro di lei, il respiro si fece più affannoso, il suo colorito diventava pian piano scarlatto << Non sono la tua serva, prenditela da solo >> sibilò << E ad ogni modo, dovrebbe importarti dei tuoi figli. E’ colpa tua se sono al mondo, è colpa tua se… >>
<< Non mi pare che tu fossi poi così contraria all’epoca, anzi… >> la interruppe con un ghigno Orion << Mi sembravi piuttosto… felice, sì. >>
<< Cosa c’entra questo adesso? Qualsiasi cosa io abbia fatto in questi anni, qualsiasi cosa io abbia sopportato, l’ho sempre fatto per amore. E cosa ho avuto in cambio? Un patrimonio che va pian piano diminuendo, un marito con non so quante amanti, dei bambini che non sono in grado di crescere da sola… Ma adesso basta, Orion, adesso basta! Io non posso andare avanti così, quindi tu domani mattina prendi le tue cose e te ne vai dalla mia casa. Non m’importa cosa dirà la famiglia, io non posso andare avanti così. >>
Il ghigno scomparve dal volto dell’uomo, questa era decisamente l’ultima cosa che si sarebbe aspettato, aveva sempre contato sul fatto che sua moglie l’amava e che gli perdonava qualsiasi, ma qualsiasi schifezza egli avesse mai fatto. << Wally, ragiona un attimo… >> tentò.
<< No, Orion, non ho ragionato per otto lunghi anni, adesso sono stufa di subire passivamente. Ho preso una mia decisione, per una volta nella tua vita, rispettami >> Walburga uscì dalla cucina a passo veloce, sbatté la porta e corse nella sua camera, tentando di reprimere le lacrime. Lacrime di tristezza, di rabbia, ma anche di soddisfazione.
Orion sapeva bene che salire di sopra sarebbe stato poco saggio, né voleva condividere la camera con quella donna che l’aveva umiliato. Sì, l’aveva umiliato, anche lui aveva un onore e adesso lei l’aveva azzerato. Doveva anche fare i conti con i sentimenti. Walburga per lui c’era sempre stata, non l’aveva mai amata, ma di certo non la odiava o gli era indifferente. Solo, non si era mai reso conto di chi aveva accanto; era proprio vero che ci si accorge di quello che si ha solo nel momento in cui si perde. All’improvviso non gli importava più né di Jamie, né di Katia né di qualsiasi altra donna. Walburga gli aveva intimato di lasciare la sua casa, era questo che importava. Walburga non voleva più essere sua moglie e, per quanto gli fosse doloroso ammetterlo, aveva ragione a prendere quella decisione.
<< Ma che cazzo sto dicendo? >> mormorò poi l’uomo, rendendosi conto che quella donnina che aveva comprato con qualche parolina dolce e a cui aveva strappato via ogni innocenza con estrema facilità e che l’aveva incastrato rimanendo incinta e l’aveva appena messo alla porta. Lui era un uomo, era un Purosangue ed era un Black, come poteva lei, stupida donna, pretendere la sua fedeltà, se poi lei si era rivelata la prima puttana? Prima gli aveva aperto il cuore, poi l’aveva messo all’angolo e costretto a sposarlo (Orion era certo di ciò, per quanto Walburga continuasse a ripetergli che era stato un incidente e che se fosse stato per lei non avrebbe mai voluto un figlio da lui) ed ora voleva cacciarlo di casa. Oh no, non aveva capito proprio nulla. Cosa gli importava mai dei suoi figli, di quella donna? Nulla! Solo che non l’avrebbe vinta lei, poteva montarsi la testa con tutti quegli argomenti femministi ma le avrebbe fatto capire che in quella casa era lui l’uomo e che lei non comandava nessuno e che non poteva decidere per una famiglia. Era una donna, una stupida donna, e le donne dovevano solo obbedire agli uomini e badare ai bambini. Non era certo un suo compito tener conto dell’età di quei due marmocchi.
Prese dei soldi ed uscì nuovamente da casa. Ah, quella donnaccia non aveva decisamente capito nulla.
Walburga nel frattempo fissava i drappi del letto a baldacchino che aveva in camera, assorta nei suoi pensieri. Quante notti aveva passato così, ad aspettare che suo marito tornasse a casa? Tante, troppe. Però adesso aveva vinto.
Quando, poche ore dopo, si ritrovò il padre alla porta di casa, capì che forse avrebbe dovuto ancora lottare, ma non si sarebbe arresa.
<< Cosa c’è? >> chiese la donna bruscamente, facendolo entrare in casa.
<< Lo sai benissimo cosa c’è, Walburga! >> sbottò Pollux, accarezzando distratto la testa del nipote più piccolo, che gli era corso incontro, e ricambiando il saluto del nipote più grande.
<< Senti, non m’interessa! Io sono stufa di questa situazione! E ho deciso che è finita, basta così! >> strillò la donna. Era stata una stupida, aveva pensato che tutto si sarebbe risolto con nulla.
<< Walburga, non puoi parlare così! Non puoi fare una cosa simile! Pensa ai tuoi figli! >>
<< E’ anche per loro che ho preso questa decisione. Non potranno che trarne vantaggi. E adesso, se non ti dispiace, ho da fare >> Walburga indicò al padre la porta.
<< Non finisce qui, Wal. Ti aspetto stasera, a casa mia >> le disse Pollux, uscendo dalla casa della figlia. Irma, sua moglie, aveva sempre avuto ragione riguardo il marito della figlia, riguardo al loro matrimonio e riguardo ai loro figli. Entrambi sapevano che Walburga non sarebbe mai stata felice con lui, ma in fondo se l’era cercata. Concedersi al cugino non era stata una felice idea, nessuno in famiglia avevano mai tenuto in considerazione Orion, nemmeno Melania e Arcturus, i genitori di lui.
Del resto sorella di Orion era Lucretia, che per quanto non approvassero del tutto il suo matrimonio con un Prewett, era brillante, e non si poteva negare. Al suo fianco, Orion appariva più scialbo di quello che già era.
Era un vizio delle ultime generazioni, notò Pollux, quello di andare sempre più verso il declino. Lucretia aveva sposato un Prewett, Alphard si mostrava quasi babbanofilo, Andromeda e Sirius –per quanto ancora recuperabili- erano ben lontani dall’idea di famiglia. Per fortuna c’era Bellatrix, lei aveva compensato a rialzare il valore della famiglia fra i Purosangue. Una ragazza, per di più sedicenne, Mangiamorte.
Ah, quei figli gli avevano procurato solo preoccupazioni e delusioni.
Cygnus era un debole, per niente vicino all’idea di uomo della famiglia Black. Certo, sposando Druella Rosier aveva fatto un grande affare. Una bella donna e molto intelligente, per quanto egli stesso all’inizio fosse scettico.
Walburga sembrava promettere bene, ma alla fine si era rivelata anche lei una delusione. Rimasta incinta, aveva rinunciato –sia per sua volontà, sia perché costretta dalla situazione- ad affermarsi in un ambito lavorativo. Aveva grandi potenzialità, come tutti i Black, ma la sorte le era avversa, anche per colpa della sua stoltezza.
Alphard, poi, era il peggiore. Aveva sempre da ridire, fin da giovanissimo. Non si era sposato, del resto quale donna con una buona famiglia alle spalle l’avrebbe voluto?
Ma quella sera avrebbero risolto la situazione una volta per tutte, per il meglio. Si sarebbero seduti tutti ad un tavolino e avrebbero cercato di far ragionare la donna, e magari anche di far cambiare un poco Orion.
Erano circa le sette di sera, Pollux indossava i suoi abiti migliori, ed era seduto in salotto, dove leggeva un libro. La sua casa era parecchio fuori Londra, in precedenza aveva abitato a Grimmauld Place con i tre figli, ma una volta giunto il matrimonio di Cygnus ne aveva regalata una ai novelli sposi, a Walburga aveva lasciato Grimmaudl Place e aveva dato soldi ad Alphard perché se ne comprasse una secondo i suoi gusti. Infine, Irma e lui si erano trasferiti in un villino. Piccolo –ma ugualmente lussuoso-, ma a loro andava bene così.
<< Irma! >> la chiamò infine Pollux, scocciato << Alla fine è una cena fra di noi, non deve venire il Ministro della Magia! >>
<< Sono qui, sono qui… >> rispose la donna, entrando nella stanza. Di nascita Tiger, era una donna di corporatura robusta, carina, con occhi piccoli e neri e il volto incorniciato da boccoli ormai grigi, ma una volta castani. Indossava vestiti e gioielli decisamente esagerati per l’occasione, ma la rivalità fra lei e Melania era storica, era fin dai tempi di Hogwarts. Ognuna si sentiva in dovere di dimostrare all’altra chi fosse la migliore, ma in tutto quel lasso di tempo nessuna delle due aveva ancora “vinto” quella sfida.
Mezz’ora dopo erano tutti lì, tutti tranne Walburga, che era ancora indecisa sul da fare. Andare o non andare? Portare o meno i bambini? Di certo non sarebbe stato un bello spettacolo per loro, ma a chi li avrebbe lasciati? A Lucretia mai, Druella non la voleva scomodare, e ad ogni modo le due donne erano state “convocate” quella sera. Era una questione di famiglia, tutti dovevano essere presenti.
Del resto lei aveva un elfo domestico, ma non si fidava più di tanto di lui, nonostante le fosse sempre stato devoto. Alla fine era sempre una bestia, un essere inferiore.
Alla fine si convinse. Lasciò i figli in compagnia di Kreacher, si vestì e s’incamminò verso la casa del padre. Sapeva che ci sarebbe stato anche lui. Non era certa che ce l’avrebbe fatta a sostenere il suo sguardo, ma doveva farlo.
<< Non intendo tornare indietro >> sostenne poco più tardi la donna. Alla sua destra c’era Druella, sapeva che la cognata sarebbe stata sempre dalla sua parte, qualsiasi cosa fosse successa.
<< Neanche io intendo tornare con lei e con i suoi marmocchi. Chi mi dice che sono davvero figli miei? >> intervenne Orion. Era seduto di fronte a Walburga, le braccia incrociate al petto ed un sorriso beffardo sul volto.
<< Ma sentitelo! >> sbottò Cygnus, indignato. Non poteva voltare le spalle alla sorella, ma doveva ammettere che quella “separazione” era fuori luogo << Qui dentro sappiamo tutti delle tue… avventure amorose. >>
<< E con ciò? >>
<< E con ciò, cognato >> intervenne Druella, fissandolo in maniera glaciale << con ciò Walburga ha tutti i diritti di non volerti più sotto il suo tetto >>.
<< Non è conveniente per la famiglia! >>
<< Madre, seriamente, t’importa di più che tua figlia sia felice o che continui a stare con uno che la rende infelice pur di salvare “l’onore della famiglia”? >> Alphard proprio non riusciva a tollerare i suoi genitori e le loro uscite sull’onore della famiglia. Non tollerava nemmeno sua sorella, però si sforzava di essere imparziale in quell’occasione.
<< No, Al, nostra madre ha ragione. Non è conveniente per la famiglia >>.
<< Esattamente >> Arcturus era solamente felice del matrimonio che suo figlio aveva contratto, aveva portato un sacco di vantaggi a Melania ed a lui.
<< E’ per questo che nostro figlio deve tornare con la vostra >> Melania era una donnetta bassa, dall’aria snob e frivola, nonostante ormai fosse avanti con gli anni. Continuava a lanciare sguardi antipatici ad Irma, che ricambiava con la stessa antipatia.
<< Ma qui siamo impazziti o cosa? >> Lucretia quasi strillò. Non poteva crederci, non potevano davvero volere una cosa del genere. Dei genitori non potevano essere così crudeli con la propria figlia, i suoi genitori non potevano essere così ciechi alle porcate fatte dal figlio.
<< Walburga, Orion, è questo il volere della famiglia. Walburga, tu devi far tornare tuo marito in casa. Orion, magari è il momento di smetterla con le ragazzate >> concluse Pollux.
<< Ma… >> tentò di protestare Walburga, spiazzata << No, io non voglio >>.
<< E allora non potrai più essere membro della famiglia Black. Scegli, o riaccogli tuo marito in casa o perdi tutta la famiglia. Sei solo una donna, non puoi sapere cosa è veramente meglio per te. >>
Quella sera, Walburga era furiosa con se stessa. Aveva dovuto cedere, alla fine. Aveva ceduto e ora si trovava nel suo letto, ovviamente sola. Non era cambiato nulla, Orion non avrebbe mai nemmeno fatto finta di cambiare. Era così,e gli era lecito, era un uomo.

Edimburgo, luglio 1968

<< Gwen! >> Andromeda era appena arrivata attraverso la Metropolvere a casa dell’amica. Aveva avuto il permesso dai genitori di trascorrere l’ultima settimana di vacanza a casa dell’amica. Tutte e tre le sorelle passavano quella settimana fuori casa. Si sarebbero rivisti il primo settembre, a Londra, poco prima di partire per Hogwarts.
<< Meda! >> Gwenog era impaziente di rivedere l’amica, si erano scritte tutte i giorni durante quei mesi estivi, aveva imparato ad affezionarsi alla Black.
L’abbraccio, sorridente << E le tue cose? >> le chiese poi.
<< Arriveranno più tardi, mia madre finirà di farmi i bagagli per l’anno e poi mi manderà tutto. Compresa la mia spilla >>.
Gwenog sospirò << Ovviamente. Prefetta come tutti in famiglia, non c’era neanche bisogno di chiedersi chi sarebbe stato eletto Prefetto quest’anno. Chi è l’altro? >>
<< Lucius Malfoy >> rispose Andromeda, storcendo il naso. Malfoy non le era simpatico, per niente.
<< Vieni, ti faccio vedere la mia casa. Anche se non è certo come la tua >> mormorò Gwenog << E’ abbastanza incasinata >>.
La famiglia Jones abitavano in una bifamiliare posta nel centro di Edimburgo. Era una casa Babbana, ma i Jones avevano apposto degli incantesimi alla casa così da mantenere la loro segretezza. Era piccola, al piano terra c’erano il salotto, la cucina e la sala da pranzo, al primo piano la camera di Gwenog, della sorella, dei genitori e due bagni.
<< Dormirai nella camera di Aryanna >> le annunciò Gwenog << E’ piccolina, ma spero che ti ci troverai bene >>.
Andromeda sorrise alla vista del caos che regnava in casa Jones, casa sua era fin troppo ordinata.
<< Mamma, è arrivata Meds >> disse Gwenog una volta entrata in cucina, dove la madre era intenta a cucinare il pranzo.
<< Buongiorno, signora Jones, e grazie per l’ospitalità >> sorrise Andromeda.
Ashel Bonam – Jones aveva un’aria stravagante, un tempo fu anche lei Serpeverde, come tutta la famiglia, i capelli neri erano raccolti sulla nuca in una acconciatura particolare e gli occhi verdi erano troppo vicini. Squadrò Andromeda. Gwenog le aveva a lungo parlato di lei, ma non era certa che una Black fosse una compagnia adatta per la figlia. Per quanto fossero Purosangue, per quanto fossero Serpeverde, non stimavano né temevano i Black. Li vedevano come una massa di fulminati. Ma, a quanto diceva Gwenog, quella ragazzina era diversa. << Ciao, cara >> la salutò alla fine.
<< Mamma! >> uno strillo proveniente dal piano superiore fece sobbalzare Andromeda. In casa sua nessuno gridava…
<< Mamma! Si può sapere che fine ha fatto la mia maglia viola? >> Aryanna Jones arrivò in cucina, avvolta in un accappatoio rosa e i capelli stretti in un asciugamano, sgocciolando ovunque.
Andromeda l’aveva vista un paio di volte ad Hogwarts, era davvero una bella ragazza, alta e bionda, ma per quel poco che la conosceva, le risultava un po’ snob. Ma alla fine non era un suo problema, a giugno aveva finito la scuola.
<< Aryanna, tesoro, mi hai detto tu di lavarla >> Ashel guardò esasperata la figlia. Ogni volta non andava mai bene ciò che faceva. E le lavava la maglia e sbagliava. Non la lavava e sbagliava lo stesso.
<< E mi dici cosa mi metto adesso? >>
<< Aryanna, hai un armadio pieno di vestiti. Se proprio vuoi quella maglia, vai nel giardino, prenditela e facci un incantesimo per asciugarla. Sei maggiorenne, ormai. >>
<< Mamma, non posso andarci così. Sono in accappatoio. >>
<< Allora mettitene un’altra, cara >>.
<< Gwenog, vai a… >>
<< Eh no! >> protestò Gwenog, afferrando Andromeda per il polso e trascinandola per le scale << Non ti faccio più da elfo domestico! >>
Andromeda ridacchiava sommessamente, Gwenog le aveva sempre raccontato del carattere della sorella e aveva ardentemente desiderato assistere ad una scena come quella. Aryanna era una ragazza un po’… particolare, ma nella sua particolarità era divertente.
<< Tu dormi qui >> disse Gwenog, aprendo l’ultima porta del corridoio << Io sono nella stanza affianco >>.
Dopo pranzo, una volta arrivati i bagagli di Andromeda, le due Sepeverdi salirono di sopra. Gwenog si sedette sul letto, mentre Andromeda usciva dal baule le cose che le sarebbero servite nei giorni a venire.
<< Beh? Con il tuo moroso? >> chiese Gwenog, ridacchiando << Che sta facendo? >>
<< Boh? >> rispose Andromeda << Non ne ho idea. >>
<< Avete litigato? >>
<< No, solo non ho idea di che cosa stia facendo >> rispose sinceramente Andromeda, scrollando le spalle << Non siamo mica inseparabili, eh. Non ci sentiamo da un paio di giorni, tutto qui. >>
<< Povero William >> sospirò Gwenog << Con una fidanzata snaturata come te… >>
<< Io non sono una fidanzata snaturata >> protestò Andromeda, incrociando le bracci al petto.
<< Certo, certo. Diciamo che ci stai insieme per passatempo, dai. >>
<< Gwenog! >> protestò Andromeda << Questo non è vero. >>
<< Vedremo… >>

Cambridge, agosto 1968

<< Ruth, ti rendi conto che per la prima volta andremo ad Hogsmeade? >> chiese Narcissa, estasiata.
<< Sì, Cissy, me lo hai detto circa sette volte in questi due giorni >> ridacchio Ruth Goyle, compagna di stanza della Black ad Hogwarts.
<< Tu le hai contate? >> chiese Narcissa, sconvolta << Ad ogni modo, si può sapere dove stiamo andando? >>
<< Facciamo un giro nei dintorni di casa mia, tutto qui. >>
<< Da queste parti abitano anche i Malfoy, vero? >>
<< Sì, esatto, in quella casa >> Ruth le indicò una villa che si vedeva in lontananza << Probabilmente, anzi, sicuramente oggi incontreremo Lucius. E’ stato nominato Prefetto, sai? >>
<< Sì, lo so, me l’ha detto Andromeda. Anche lei lo è. >>
Ruth fu infastidita da quella notizia, cosa che non sfuggì a Narcissa << Beh, Cissy, senza offesa, ma tua sorella non mi sta propriamente simpatica. Cioè, è brava a Quidditch e tutto il resto, però… >>
<< Sì, sta antipatica a parecchia gente, solo perché è se stessa e non porta una stupida maschera >> rispose d’istinto Narcissa, a difesa della sorella. Ancora non aveva scelto con quale delle due stare, e avrebbe rimandato quella scelta al più tardi possibile.
Le ragazze continuarono a camminare per i viali della campagna adiacenti a casa Goyle e a casa Malfoy, ed un paio di ore dopo incontrarono –come predetto da Ruth- Lucius con Rodolphus ed un altro loro amico.
Lucius era fiero di se stesso. Era Prefetto, un passo avanti verso la scalata al Ministero della Magia. Sentiva che presto sarebbe stato suo, che presto sarebbe diventato il più giovane Ministro della Magia della storia.
Quando incontrò la Black rimase sorpreso di trovarla lì, ma del resto si disse che era amica della Goyle, quindi era ovvio che sarebbe andata a trovarla. Non capiva proprio come potessero una ragazzina bella e dotata come Narcissa frequentare una ragazzetta bruttina e scarsa come Ruth Goyle. Sì, da un po’ aveva messo gli occhi addosso alla Black, aveva deciso che sarebbe stata lei sua moglie. Bellatrix era troppo grande, e poi piaceva a Rodolphus, per quanto egli lo negasse, Andromeda per quanto bella non poteva fare a meno di odiarla, Narcissa invece era perfetta. Bellina, Purosangue e con una sorella Mangiamorte –perché Lucius lo sapeva, Rabastan in un moto di rabbia verso la ragazza quell’estate se l’era lasciato sfuggire-. Certo, c’era l’inconveniente che aveva tredici anni, ma sentiva che doveva sbrigarsi prima che qualcun altro gli rubasse la preda. Aveva deciso che Narcissa Black doveva essere sua moglie e nessuno gli toglieva dalla testa quell’idea. Nessuna donna meritava più di una Black, nessuna donna portava più prestigio di una Black, solo una Black poteva aiutarlo ancor di più per realizzare la sua ambizione. E poi, ormai era certo di dover diventare un Mangiamorte, ed avere la cognata già nel giro non poteva che favorirlo.
<< Narcissa, che piacere vederti qui >> la salutò, sempre con i suoi modi cortesi.
Narcissa era certa che il suo cuore aveva perso un battito. Era andata a trovare Ruth anche perché sperava di vederlo. Si era resa conto che da maggio Lucius era più gentile e riguardevole nei suoi confronti ed aveva deciso che questo le faceva piacere. Le faceva piacere sentirsi speciale, dopo essere rimasta per parecchi anni all’ombra delle sorelle, dopo essere stata sempre considerata quella di poco rilievo. << Auguri per la carica, Lucius >> sorrise infine.
<< Grazie, Cissy, spero di rendere onore alla nostra Casa come Prefetto. >>
Narcissa era alquanto positivamente spiazzata. Cissy, l’aveva chiamata Cissy e non Narcissa! Gli sorrise, radiosa.

Londra, 1 settembre 1968



Bellatrix si maledisse. Diluviava, e lei si era materializzata troppo presto. Questo perché aveva dato retta a Jane. A quanto pareva, in diciassette anni che si conoscevano, ancora non aveva capito che Jane aveva quella maledetta fissa di arrivare almeno mezz’ora in anticipo. Se il tempo era buono magari era anche piacevole. Ma quel giorno diluviava, lei era di cattivo umore e come se non bastasse era bagnata fradicia. Era di cattivo umore perché la cugina l’aveva lasciata sola, l’aveva lasciata lì sotto la pioggia per andare dal suo sciocco fidanzatino. E lei invece era sola. Non capiva, eppure era bella, formosa, potente, aveva una bella voce e non chiedeva molto da un ragazzo, sapeva anche proteggersi da sola e quell’estate aveva sconfitto una volta per tutte il suo terrore di uccidere. Anzi, ci provava pure gusto, purché prima di porre fine a tutto torturasse a lungo le sue vittime, fin quasi farle uscire di senno. Le piaceva far soffrire la gente.
Il suo umore peggiorò ancora quando vide la famiglia Lestrange attraversare il varco. Rabastan non c’era, naturalmente. Lui era superiore a queste cose. A distanza di mesi, Bellatrix si chiedeva cosa mai ci aveva trovato in lui, eppure sapeva che infondo le piaceva ancora un poco. Del resto era pur sempre il suo primo amore, ed era a lui che aveva deciso di darsi per la prima volta, nonostante le avessero sempre ripetuto che agli uomini non va mai dato nulla prima di avere un anello al dito. Aveva deciso che per lui poteva fare un’eccezione.
<< Ciao, Bella >> la salutò Rodolphus, passandole davanti.
<< Ciao >> rispose stanca la Black. Sapeva di piacere al fratellino minore della sua vecchia fiamma, ma Rodolphus non era nemmeno lontanamente bello e affascinante come Rabastan. Però così non sarei più sola… si disse Bellatrix Ma sì
<< Rodolphus, potremmo parlare un secondo? >> gli disse, alzando la voce perché la sentisse.
Rodolphus si girò stupito verso la ragazza. Non gli aveva mai chiesto di parlare, non gli aveva mai dato molta confidenza. Che gli volesse parlare del fratello? << Certo >>
<< Lestrange, io ti piaccio vero? >> gli chiese Bellatrix. Sapeva in quel momento di essere tutto tranne che attraente, appoggiata ad un muro, i capelli attaccati al viso, i vestiti babbani fradici ed una smorfia disgustata in faccia << Sii sincero >>.
<< Beh… >> Rodolphus era spiazzato dalla domanda. Era proprio così evidente? A quanto pareva. Come poteva non piacergli quella ragazza?
<< Perfetto, Lestrange, da adesso sei il mio fidanzato >> aggiunse lei, per poi staccarsi dal muro ed allontanandosi.
<< Stai scherzando? >> le chiese Rodolphus, rimanendo impalato dov’era.
<< No >> rispose lei, senza girarsi e continuando a camminare.
Rodolphus aveva bisogno di schiarirsi le idee. Era alquanto confuso e imbarazzato. Non era certo così che aveva immaginato il suo fidanzamento con Bellatrix. E adesso come doveva comportarsi? Si era davvero fidanzato con Bellatrix Black, quella Bellatrix Black, o stava sognando?
Poco dopo Bellatrix era nel reparto dei Prefetti, con il nuovo distintivo da Caposcuola appuntato al petto. Iniziava a pentirsi di quello che aveva fatto, Rodolphus fra l’altro era più basso di lei e non le piaceva minimamente, sotto nessun aspetto. Però non poteva tornare indietro, doveva prima trovare qualcun altro almeno. E poi sarebbe stato uno bello schiaffo morale per Rabastan, anche se sapeva che lui era già da un po’ che usciva con un’altra smorfiosetta.
Si alzò, decisa a cercare le sue compagne di stanza, forse avrebbe detto loro la novità.
<< Andiamo, Rod, tu mi vorresti far credere che Bellatrix Black ora è la tua fidanzata? >>
<< Sì, Nott, è proprio così >> Bellatrix doveva aspettarselo, lui aveva già diffuso la notizia << Rodolphus è il mio fidanzato. Problemi al riguardo? >>
<< N… no nessuno, Bellatrix, figurtai >> Joshua Nott era sbigottito. Oh beh, beato Rodolphus. Bellatrix passò oltre. Non voleva far giungere prima del previsto quel momento, non voleva affatto baciare Rodolphus, sapeva che non sarebbe stato nemmeno lontanamente bello come baciare Rabastan, ma ormai erano fidanzati. Ah, avrebbe pagato per vedere la faccia di Rabastan.
Rabastan, Rabastan, Rabastan… Erano passati mesi da quando l’aveva umiliata in quel modo, da quando l’aveva lasciata, eppure era in ogni suo pensiero, e la loro frequentazione assidua durante l’estate non aveva migliorato le cose. Ormai erano quasi una squadra. Dove veniva mandato uno, velina mandata anche l’altra. A Bellatrix non dispiaceva, almeno c’era qualcuno che la conosceva meglio in quei momenti, e Rabastan cambiava totalmente quando si trattava di certe cose. L’aiutava, perché sapeva che la sua vita dipendeva anche da lei.
Finalmente Bellatrix trovò lo scompartimento dove stavano anche le sue compagne di camera e si lasciò cadere su uno dei sedili che le avevano lasciato.
<< Ecco, ora siamo esattamente come sette anni fa >> commentò Tallulah << Sette anni fa ci conoscemmo in questa situazione, ricordate? Poi ci misero in camera insieme… E da allora ogni anno ci siamo sedute insieme. Questa… questa è l’ultima volta. >>
<< Già… >> mormorò Josie, con la testa appoggiata al finestrino.
Bellatrix le squadrò una ad una << Beh? Che è quest’aria depressa e che sono ‘ste parole sdolcinate? >> chiese poi, dopo parecchio silenzio.
<< Beh, Bella, è il nostro ultimo anno ad Hogwarts. Non faremo mai più questo tragitto insieme. E’ il nostro ultimo anno in camera insieme >> rispose Tessa << Dal prossimo anno non ci sarà più il cartellino con i nostri nomi fuori dalla nostra stanza. Chissà chi ci andrà. >>
<< Spero solo che ci andranno delle Purosangue fedeli al loro sangue >> mugugnò Bellatrix.
<< Ma insomma, proprio non ti dispiace? >> domandò Jane, indignata << Chissà se ci vedremo ancora! >>
<< Rosier, io e te per mia sventura ci vedremo ancora, visto che sei mia cugina >> commentò Bellatrix, con tono sarcastico. No, non le dispiaceva. Una volta finita Hogwarts avrebbe potuto impegnarsi giorno e notte alla sua missione. Le sue compagne di stanza le avrebbe riviste, erano tutte provenienti da una buona famiglia, ognuna di loro aveva un parente Mangiamorte, chi il padre, chi il fratello, chi il cugino. Ma ovviamente nessuna sapeva della sua vera identità, eccetto la cugina che era presente quando lo rivelò alla famiglia in un momento vanesio. Se fosse potuta tornare indietro, probabilmente non l’avrebbe più fatto. In quei mesi Bellatrix era cambiata, e tanto. Tutto ciò le aveva fatto capire che non era invincibile, anzi era più fragile degli altri, e che doveva lottare per sembrare la Bellatrix Black che era sempre stata. Quella da Mangiamorte era un’esperienza meravigliosa ma allo stesso tempo terrificante, l’aveva messo a nudo, l’aveva impegnata fino alla fine, estraeva la vita dal suo corpo. Perfino la sua bellezza iniziava a risentirne, per quanto la cosa fosse impercettibile a chiunque altro all’infuori di Bellatrix. Non si curava più come una volta, la sua bellezza innata iniziava ad appassire, molto prima di quanto era successo ad ogni altra Black, i suoi tratti erano più severi, ma non più di quel severo attraente. Sentiva di non avere nulla di più di una Jane Rosier, di una Tessa Mulciber, di una Tallulah McNair o di una Josie Avery. Non riusciva nemmeno ad essere acida e superba come una volta.
<< Ad ogni modo >> annunciò Bellatrix << Mi sono fidanzata. Con Lestrange. >>
<< Sei tornata con Rabastan? >> chiese Jane, fra lo stupore generale << Oggi non l’ho visto alla stazione. >>
<< Infatti non c’era. No, mi sono fidanzata col fratello, con Rodolphus. Che c’è? >> chiese poi Bellatrix quando vide che le quattro la fissavano a bocca aperta << Avete problemi? >>
<< No, no >> si affrettarono a dire le altre ragazze.
Ben presto venne il tempo di cambiarsi. L’anno precedente la ragazza aveva accuratamente evitato, con la complicità della cugina, di spogliarsi e di cambiarsi in presenza delle altre ragazze. Era stato difficile, ma alla fine si era abituata a svegliarsi prima o ad andare a letto presto. Sul treno aveva aggirato il problema vestendosi nello scompartimento dei Prefetti una volta sola, ma questa volta se n’era totalmente dimenticata. Era presa dai suoi problemi, sola ed emotivamente sconvolta. Sì, per la prima volta in vita sua si sentiva totalmente sola. Non c’era nessuno ad Hogwarts in grado di capirla, tutte le persone che potevano comprenderla non erano con lei, erano nelle loro case ed erano quasi tutti padri di famiglia.
Così si tolse la maglia a maniche lunghe che portava, per fortuna era sempre stata freddolosa e nessuno si era mai chiesto perché avesse le braccia costantemente coperte.
<< Che c’è? Oggi è il giorno del “fissiamo Bellatrix con uno sguardo scemo”? >> chiese la Black, infastidita. Poi notò che tre di loro fissavano il suo braccio sinistro ed imprecò. Era stata stupida, molto stupida. Come poteva essere una Mangiamorte se non riusciva nemmeno a nasconderlo a tre stupide diciassettenni?
<< Bella…tu? >> mormorò Tessa, con voce soffocata.
<< Sì, sono due anni quasi >> rispose Bellatrix, stanca. Era inutile negare l’evidenza, così si afferrò la camicia della divisa e se l’abbottonò.
<< Io lo sapevo >> affermò Jane.
<< Anche io. Me l’aveva detto mio fratello >> aggiunse Josie << Ma non credevo che fosse vero. >>
<< E’ ovvio che se una di voi dirà una, e dico una parola sarà considerata come traditrice e trattata di conseguenza >> sibilò Bellatrix, guardando tutte e quattro con aria minacciosa.
<< Non ti preoccupare, Bella. Siamo con te >> le sorrise Tallulah. Sì, aveva ragione. Si comportava esattamente come suo padre, e adesso aveva avuto la conferma. Nel loro cuore, tutte sapevano che Bellatrix era una Mangiamorte e adesso non avevano più dubbi.

Hogwarts, novembre 1968



Andromeda usciva dalla biblioteca, stanca, assonnata. Era tardi, aveva appena finito di studiare. Il quinto anno era tutto tranne che facile.
<< Black >> la salutò Ted, con un cenno della mano ed un ghigno sul volto. In quei mesi erano stati sempre più frequenti i loro litigi, non passava giorno che non litigavano almeno un paio di volte.
<< Tonks, non dovresti essere a letto ora? >> sbadigliò Andromeda.
<< Non sarò un Prefetto, ma sono sempre del quinto anno. Ho esattamente un quarto d’ora per andare a dormire. >>
<< So già che non ce la farai, ma… sono troppo stanca anche per toglierti un punto. Buonanotte Tonks. >>
Ted la fissò allontanarsi, deluso. La inseguì << Ehi, che vuol dire questo Black? Non mi insulti? >>
<< Se proprio ci tieni torna domani mattina. >>
<< Eh no, Black, lo studio ti fa male! >>
<< Ecco, Tonks, questa tua affermazione mi spiega perché tu sei così ignorante. Hai paura di ammalarti, no? >>
Ted non poté fare a meno di sorridere. Ecco, questa era l’Andromeda Black che conosceva.
<< Io invece ancora non mi spiego perché Silente abbia affidato l’incarico di Prefetta a te. Sei una frana, probabilmente vuole vedere la sua scuola distrutta, non ho altra spiegazione. >>
<< Tonks, sei divertente quanto un vermicolo nel letto >> replicò Andromeda, seccata << E anche poco originale, devo dire. Una cosa simile me l’hai detta sul treno. E adesso la smetteresti di seguirmi? >>
<< Black, cosa ti fa pensare che io ti seg…? >> Ted lasciò la frase a metà, poiché vide la ragazza accelerare e andare incontro a Seevers. Ted proprio non riusciva a capire cosa spingeva Andromeda Black a stare con Seevers, erano totalmente diversi. Sentì un moto di rabbia crescere dentro di sé quando li vide baciarsi. Si girò e ripercorse il corridoio. Era inutile, la sua era una pura utopia. Andromeda era una Black, era una Purosangue. Ed era fidanzata. Sì, era geloso di lei, da quella punizione non aveva smesso di ripensare alle sue parole e non credeva più che Andromeda fosse una Purosangue come tutte le altre. Sì, gli interessava, e anche tanto. Del resto lui non era poi un brutto ragazzo. Non era bello come Seevers, ma di certo non era brutto. Ed era anche intelligente. E bravo a Quidditch. Ma era un figlio di Babbani e Tassorosso, e per quanto magari ad Andromeda non importava, la sua famiglia non l’avrebbe mai accettato.
Ted sbuffò. Pensava alla famiglia quando era proprio Andromeda a non volerlo…

Hogwarts, febbraio 1969



<< Lucius, sei sicuro? >> sussurrò Narcissa.
<< Ma sì, Cissy, di qui non passa mai nessuno >> replicò Lucius, baciandola.
Narcissa non era totalmente certa che quella fosse la cosa più giusta da fare, ma non aveva saputo dire di no al ragazzo, adesso suo fidanzato. Quella parola le suonava strana. Lei era fidanzata, era la fidanzata di qualcuno. Chissà cosa avrebbero detto a casa. Alla fine aveva solo tredici anni e mezzo, forse sarebbe stato meglio nascondere la cosa per un po’… Suo padre non ne sarebbe stato proprio felice.
<< Lucius >> mormorò la Black fra un bacio e l’altro << Non… non deve saperlo nessuno, non ancora almeno. >>
<< Nessuno nessuno? >> Lucius non riusciva a fare a meno di baciarla. La ragazza dei suoi sogni era lì, adesso era la sua fidanzata, era fra le sue braccia contro un muro di un corridoio remoto del castello e aspettava solo un suo bacio.
<< Nessuno nessuno. >>
<< E allora non lo saprà nessuno fin quando non me lo dirai tu, Cissy. >>
<< NARCISSA! >>
L’urlo di Andromeda fece separare subito i due ragazzi, Narcissa la guardò con occhi spalancati e pieni di terrore << Meda… tu non… >>
<< Come hai potuto? E’ solo una bambina! Ha tredici anni! >> strillò Andromeda. Era disgustata da Lucius Malfoy. Narcissa era piccola, troppo piccola per lui. Si passavano solo due anni, ma la differenza fra i quindici e i tredici anni è abissale.
<< Andromeda, tu non puoi decidere per me, e poi io non sono una bambina! >> protestò Narcissa, pestando il piede destro.
<< Il tuo comportamento lascia a intendere tutto il contrario >> sibilò Andromeda. Era incredibile, era fisicamente donna solo da qualche mese e già aveva riscosso le attenzioni dei ragazzi. Fosse stato un ragazzo del suo anno sarebbe stato normale, ma Lucius Malfoy… Lei lo odiava, era viscido, dietro ogni sua azione c’era sempre un calcolo che lo portava “un gradino più su e un passo più avanti degli altri”. Scosse la testa e se ne andò, non senza aver rivolto un “mi fai schifo” al ragazzo.

Hogwarts, giugno 1969



<< Bella, amore, sei qui allora >> Rodolphus aveva finalmente trovato Bellatrix, che era sommersa da una pila di libri. Erano diversi mesi che erano fidanzati, ma Bellatrix faceva di tutto per evitarlo. Purtroppo, non aveva ancora trovato nessun altro. Quell’anno era stato molto stressante, non aveva fatto altro che studiare in vista dei M.A.G.O. che sarebbero iniziati il giorno dopo, così aveva avuto ben poco tempo per guardarsi attorno e trovare un fidanzato migliore dell’attuale. Non che ci volesse poi molto, pensava Bellatrix malignamente. Come aveva fatto Andromeda a sopportarlo come amico se l’era sempre chiesto, ma del resto sapeva che Andromeda aveva gusti sempre un po’ particolari in fatto d’amicizie.
<< Evidentemente… >> sospirò Bellatrix, senza alzare lo sguardo dal volume di Pozioni da cui ripeteva le ultime nozioni.
<< Su, piccola, basta studiare, tanto sai già tutto. Perché non facciamo un giro? >> propose Rodolphus, chiudendo il libro.
Bellatrix fissò dapprima incredula la superficie della scrivania, poi spostò lo sguardo, irata, sul ragazzo. Piccola, l’aveva chiamata piccola. Forse poteva tollerare “amore” o “tesoro”, ma “piccola” proprio no. Si costrinse alla calma, se si fosse agitata non sarebbe più stata in grado di studiare, e non ne valeva la pena. << Perché magari io domani inizio gli esami, gli esami più importanti della mia vita, da cui dipende il mio futuro? >>
<< Ma tu l’hai già un futuro, Bella, qualsiasi voto tu prenda a questi stupidi esami >> rise Rodolphus << Dai, andiamo! >>
<< No. Devo studiare. >>
Rodolphus sospirò. << Come vuoi, dolcezza… >>
Bellatrix lo guardò uscire dalla biblioteca con un’espressione sconvolta. Dolcezza. Dolcezza? DOLCEZZA LEI? Era impazzito o cosa? Aveva tollerato tante, tantissime cose. Le sue “sorprese”, i suoi “regali” –non ultimo un pupazzo di pelo a forma di acromantula che l’aveva lasciata perplessa, ma alla fine nemmeno lei aveva resistito ed ora non poteva dormire senza averlo vicino-, i suoi continui mazzi di fiori… Insomma, era il ragazzo che qualunque altra ragazza avrebbe voluto. Qualunque, ma non lei. Non era certo la figura forte che desiderava, nonostante non ne avesse bisogno.
Sbuffò e riaprì il libro, cercando il segno. A cosa portava la solitudine…

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Capitolo 12
*** Muggleborns and dishonoured blood ***


Muggleborns and dishonoured blood



Bristol, 3 settembre 1969


Margaret stava tornando a casa dopo aver fatto la solita visita ai nonni e aver fatto la spesa per la settimana. Camminava spedita per la strada, non le piaceva quella zona, e le piaceva ancor meno alle otto di sera, purtroppo però la visita era d’obbligo e la madre anche quella sera era troppo ubriaca per andare a fare la spesa. Girò l’angolo, la testa china, le braccia affaticate dal peso delle buste.
Sentì delle gocce d’acqua bagnarle la testa e la schiena e il vento che le sferzava la faccia e sbuffò. Era estate eppure si preannunciava un temporale.
L’acqua cadde via via più forte, il vento aumentava di potenza, spazzava via non più solo carte e foglie, Margaret stessa trovava difficoltà ad andare avanti.
La ragazza aumentò il passo e alzò lo sguardo. Si sentì sollevata quando vide delle figure in fondo alla strada, una delle quali sicuramente femminile, ma non riusciva a capire perché si lanciassero dai raggi verdi e rossi gli uni contro gli altri, sembrava stessero giocando a qualche nuovo gioco, divisi in due squadre, ognuno stringeva in una mano un pezzo di legno. Mah, Margaret proprio non capiva questi nuovi giochi dei ragazzi della sua età.
Ad un certo punto ebbe come la sensazione che forse era meglio cambiare strada e man mano che si avvicinava loro la voglia di scappare aumentava, ma le era impossibile, quei tizi giocavano proprio davanti al portone della sua casa.
Adesso Margaret li vedeva da più vicino e poteva sentire quel che dicevano. Urlavano parole senza senso in un lingua a lei sconosciuta, sette di loro indossavano delle tuniche nere. Notò poi una cosa che non aveva mai visto prima, non di persona almeno. Un teschio con in bocca un serpente illuminava la via con una luce verdognola, era sopra il tetto di una casa vicina alla sua, la casa dei Jordan, gente che tutto il quartiere reputava strana.
Sul giornale l’aveva visto un paio di volte, nessuno riusciva a spiegarsi cosa fosse, spesso era collegato a notizie di cronaca nera come morti o sparizioni.
Adesso il cuore di Margaret batteva fortissimo, adrenalina ed ansia la confondevano. Cosa fare? Tornare indietro? Del resto nessuno di loro l’aveva ancora vista. Ma prima o poi sarebbe dovuta tornare, lei abitava lì… Decise così che sarebbe corsa verso il portone e sarebbe sgusciata dentro. Quando vide uno di quei lampi rossi colpire uno dei maghi senza tunica, uno di quelli più vicini al suo portone, e quando lo vide per terra ad urlare di dolore, Margaret non ebbe più dubbi. A casa sarebbe stata al sicuro, così mollò le buste della spesa in mezzo alla strada e corse il più veloce possibile verso il suo portone, nella mano stretta la chiave.
L’inserì nella serratura, la girò, entrò e chiuse il portone, appoggiandosi ad esso con le spalle per riprendere fiato. Era salva.
All’improvviso un’esplosione, seguita da un crollo. Sulla strada ormai c’era una voragine, dentro un corpo di un Auror, altri tre erano sul ciglio del baratro. Due intere palazzine erano crollate, non avevano retto al colpo, una di questa era proprio quella di Margaret.
<< Bel colpo, Lestrange >> si complimentò Bellatrix, sollevando la bacchetta dall’uomo che stava torturando. Era già impazzito, la ragazza quasi delusa decise che era il momento di ucciderlo. Non duravano proprio nulla i nuovi Auror, crollavano subito, non avevano nessun tipo di resistenza fisica.
<< Gli Auror non li fanno più come una volta >> constatò poi ad alta voce.
Bellatrix era elettrizzata dalla nuova vittoria, ogni volta si sentiva ad un passo dall’invincibilità, ogni volta acquisiva più forza ed esperienza.
<< Già, ma noi ne abbiamo persi due… >> Rabastan Lestrange le si avvicinò << I Jordan erano davvero bravi a combattere. Ma noi lo siamo di più >> ridacchiò << Andiamo, prima che ne arrivino altri. >>
I sette Mangiamorte si smaterializzarono, per poi materializzarsi a casa del Lestrange, nel salotto. << Poteva andarci molto male >> mugugnò Bellatrix << Colpa di quei due incapaci >>.
Il piano originale non prevedeva l’impiego di così tanti Mangiamorte, all’inizio erano solo lei, Rabastan e altri due. Ma una volta dentro la casa la lotta fu davvero dura, tanto che Bellatrix temette di non essere all’altezza della donna sua avversaria. Così, gli altri due Mangiamorte rimasero uccisi dai loro stessi incantesimi, e i due ragazzi si videro soli, sapendo che di lì a poco avrebbero dovuto affrontare anche degli Auror. Iniziarono a credersi spacciati, quando videro gli altri cinque arrivare. In sette forse erano troppi, ma almeno erano sicuri di vincere.
<< Ce la siamo cavata lo stesso, ed egregiamente anche. Rabastan, hai avuto davvero una buona idea >> disse il Mangiamorte alla destra di Bellatrix, che la ragazza conosceva come il padre di Tessa Mulciber.
<< Beh, è stata attuabile solo perché eravamo abbastanza lontani da loro, altrimenti non avrei mai osato >> confessò Rabastan.
Mezz’ora dopo Bellatrix tornò a casa. Alla sua casa. Seguendo, infatti, l’esempio di Rabastan aveva lasciato la casa dei suoi genitori, specialmente perché in questi tempi la sua foto era molto frequente sui giornali a casa di un Auror sopravvissuto loro, e lei non voleva creare rogne ai suoi genitori, così avevano convenuto in una “cacciata” di casa. E poi, la prima casa in cui l’avrebbero cercata sarebbe stata appunto quella dei genitori, anche se lei aveva svariati modi per sfuggire dalle situazioni più disperate.
Così, si era comprata una casa dall’altra parte di Londra e dai suoi genitori ci tornava solo la domenica, per il pranzo.
Aveva scoperto così che vivere una vita più libera le piaceva. Fino a poco tempo prima era stata costretta a girare per casa sempre perfetta, a dover compiere ogni azione nella maniera più precisa, a dover perfino impostare la voce in un certo modo.
Ora si rendeva conto che era meglio prendere le cose alla leggera, con comodo.
Dopo aver ammirato per diciotto anni la madre, Bellatrix era giunta alla conclusione che era arrivata l’ora del divertimento più sfrenato. Appena cambiò casa si sentì come libera da una gabbia, libera degli sguardi severi della madre, degli sguardi disgustati di Andromeda e degli sguardi quasi ammirati del padre e di Narcissa. Finalmente non doveva più fingere di essere una ragazza impeccabile, finalmente poteva comportarsi da ragazza della sua età senza che nessuno la potesse vedere o giudicare, anche per questo era felice di aver lasciato oltre la casa dei genitori anche Hogwarts.
Si preparò alla bell’e meglio qualcosa da mettere sotto i denti, mangiò (si rese conto che negli incantesimi di casa non era nemmeno lontanamente brava come Andromeda) e si buttò sul letto, dove lesse scocciata l’ultima lettera del suo fidanzato.
Se solo avesse saputo che era appena stata a casa del fratello, se solo avesse saputo che suo fratello il giorno precedente era stato proprio in quella camera, da solo con lei. Alla fine aveva deciso che non gli importava di fargliela pagare e per una volta mise da parte orgoglio e superbia.
Da quando era una Mangiamorte aveva due modi di comportarsi. Con le persone “comuni” si comportava come sempre, con i Mangiamorte aveva dovuto imparare a comportarsi quasi con educazione. Del resto non poteva rispondere male a chi aveva trent’anni più di lei, ai padri delle sue amiche e men che meno a Rabastan. Sì, ne era ancora innamorata, anche se era la ragazza del fratello.
Ma nulla le vietava di frequentare Rabastan Lestrange, magari non solo come amico. Alla fine non era sposata, era solo fidanzata, per di più con un ragazzo che non le piaceva affatto e che avrebbe passato un ulteriore anno ad Hogwarts.
Insomma, Rodolphus era il fidanzato, quello che magari un giorno sarebbe diventato il marito (seppur Bellatrix rabbrividiva alla sola idea, ma si rendeva conto che si doveva sposare al più presto, magari subito dopo i M.A.G.O. di Rodolphus), quello da invitare ai pranzi di famiglia, quello che le obbediva sempre, che si comportava quasi da cagnolino. Alla fine, dopo aver messo in chiaro un paio di cose, con lui ci stava bene.
Ma era Rabastan quello che, occasionalmente, le ricordava il significato di virilità. Per quanto ella provasse ancora rancore nei suoi confronti, per quanto lo odiasse, per quanto si odiasse dopo ogni pomeriggio passato con lui, era l’unica persona che aveva mai veramente voluto.
Arrivata a metà di quella lunga, lunghissima lettera, Bellatrix sbuffò e la rimise sul comodino. Era il tre settembre e già le scriveva quattro pagine. Gli avrebbe scritto l’indomani un paio di righe su come stava e sulla famiglia e l’avrebbe spedite. Guardò il nome finto che avevano concordato. Helena Crabbe. Le era strano avere una “seconda identità”, però sapeva che almeno per quell’anno si sarebbe chiamata Helena Crabbe, che le piacesse o meno. Essere ricercata, invece, non le faceva strano, anzi quasi le piaceva, le piaceva essere sbattuta sul giornale come pericolo pubblico, come ricercata, avere una taglia sulla testa. Ah, ma forse sarebbe stata solo questione di un paio di mesi, forse poi Lui avrebbe sistemato tutto, avrebbe finalmente messo le mani su tutto. Al massimo, avrebbe atteso un anno. Ormai l’apice del potere era molto, molto vicino, e di sicuro a Lui non sarebbe sfuggito. Nessuno poteva più fermarlo.

Treno per Hogwarts, 1 settembre 1969



Andromeda e Narcissa avevano percorso già tre carrozze, senza trovare un posto libero. Andromeda era dovuta andare, come l’anno precedente, nella carrozza di testa, a sentir ripetere le stesse cose dell’anno passato. Responsabilità, responsabilità e responsabilità. Ecco cosa portava il suo incarico di Prefetta. Narcissa aveva preferito aspettarla al di fuori. Magari l’anno seguete sarebbe stata nominata anche lei Prefetta, magari… Ecco, Lucius aveva un brutto effetto su di lei, l’aveva resa ambiziosa.
<< Meda, dai, aspettiamo Lucius, che ti costa! >> piagnucolò Narcissa, tirando la sorella per la manica.
<< Se vuoi, lo aspetti tu >> sbuffò Andromeda, che ancora non aveva perdonato al ragazzo di essersi fidanzato con la sua sorellina.
<< Dai, sono certa che starà arrivando! >>
<< E va bene… >> si rassegnò Andromeda. Adesso Narcissa era sotto la sua unica responsabilità, visto che Bellatrix se n’era andata. Si prospettava un anno particolare quello, per la prima volta non avrebbe avuto Bellatrix vicino. A dir la verità, non la vedeva da due settimane, avendo passato l’ultima settimana di vacanze a casa di Gwenog. E comunque quell’estate l’aveva vista davvero pochissime volte, e per la prima volta Andromeda si ritrovava ad ammirare quasi la sua scelta. Infatti era solo a grazie a quello stupido marchio che aveva sul braccio che se n’era andata di casa. Quell’anno non ci sarebbe stato nemmeno William, e da quando si erano fidanzati non erano mai stati lontani per un anno, ma di questo poco le importava. Di William non era innamorata, aveva ragione Gwenog a dire che ci stava per passatempo. Certamente gli voleva bene, ma non provava amore per lui, ma era un bravo ragazzo e questo le bastava. Contava di rivederlo alle uscite ad Hogsmeade, magari poteva fare un salto, del resto lui non abitava nemmeno tanto lontano… E adesso avrebbe iniziato a lavorare al Ministero, di lui poteva esser certa che non sarebbe mai e poi mai diventato un Mangiamorte.
Le due ragazze sapevano che tutti le spiavano da dietro i vetri degli scompartimenti e sapevano anche perché. Quell’anno si prospettava davvero brutto, tutti le avrebbero additate come “sorelle di Bellatrix Black, la Mangiamorte”. Se a Narcissa alla fine non dispiaceva, Andromeda era molto arrabbiata per ciò. Anche i Serpeverde le avrebbero guardate con occhio diverso, per quanto si professavano vicini all’Oscuro Signore. Ma si sa, una cosa è la parola, un’altra è l’azione. Per fortuna avevano messo in scena la cacciata di Bellatrix, almeno avrebbero passato gli anni ad Hogwarts in maniera tranquilla.
<< Cissy! >> Lucius si apprestava a raggiungere le sorelle Black, trascinandosi dietro il suo baule. Andromeda lo guardò scettica. Certo, aveva una faccia caruccia, ma come fisico era decisamente gracile, lei non avrebbe mai rinunciato al fisico del battitore.
<< E la spilla, Malfoy? >> chiese poi la mora, con tono sarcastico << Come mai non la esibisci di già? >>
Lucius le rivolse una smorfia, poi decise che era meglio ignorarla e si rivolse a Narcissa << Non hai ancora trovato dei posti? >>
<< Oh, certo, vaghiamo per i corridoi trascinandoci dei bauli pieni di roba e che pesano il doppio di noi per sport >> rispose Andromeda, avanzando verso l’altro scompartimento.
<< Lucius! >>
Rodolphus Lestrange lo chiamava, sporgendosi dallo scompartimento dove stava con tre suoi compagni di camera.
<< Dimmi che ci sono dei posti liberi >> Lucius quasi lo supplicò. Se c’era una cosa che odiava, era proprio cercare un posto vuoto sul treno.
<< Sì, ma… sono solo due >> rispose Rodolphus, guardando Andromeda.
Andromeda ricambiò il suo sguardo, seria << Comunque non avrei voluto sedermi lì >> rispose, girandosi nuovamente.
Perfetto, ora doveva solo trovarsi uno scompartimento privo di ragazzi che la guardassero come una Mangiamorte terrorista o come una traditrice del sangue, impresa ben difficile per Andromeda Hesper Black, rinomata per le amicizie con Tassorosso e per essere parente Mangiamorte.
<< Meda, vieni con noi? >> le chiese Gwenog, una carrozza più avanti.
<< Con chi stai? >>
<< Ehm… No, non penso che tu voglia stare con Polissena Greengrass e le sue amiche. Ma, capiscimi, era l’unico posto libero che ho trovato… >>
<< No, infatti. Ci vediamo ad Hogwarts, Gwen >> le sorrise Andromeda.
Finalmente Andromeda trovò uno scompartimento vuoto e si buttò dentro di esso prima che il ragazzo dietro di lei glielo soffiasse. Sistemò il baule e si distese sui tre sedili, certa che comunque nessuno risarebbe voluto sedere con lei, infatti vide il ragazzo che conosceva come Corvonero del settimo anno entrare nello scompartimento precedente, dove stavano cinque primini.
Ma un quarto d’ora dopo la porta si aprì.
<< Scusa, posso sed… Ah, sei tu Black >> Ted Tonks la guardo simulando delusione e nascondendo agitazione, poiché finalmente la rivedeva.
<< Chi poteva rompere se non tu? Chi? >> esclamò, quasi disperata Andromeda.
<< Allora? Posso entrare o no? >>
<< Tu vuoi veramente sederti qui? >> chiese Andromeda, allibita e mettendosi seduta << Fammi capire. Tu, Ted Tonks, vuoi sederti in questo scompartimento, dove ci sono io, Andromeda Black. >>
<< A-ah, esatto >> confermò Ted << E’ l’unico libero, non ho molta scelta, a meno che di non sedermi con qualche Serpeverde. >>
<< Io sono Serpeverde, Tonks >> gli fece notare Andromeda << Ricordi? Ho la divisa con i bordi verdi e lo stemma di Serpeverde, presente? >>
<< Sì, ma che c’entri tu. Sono più Serpeverde io di te, te sei diversa. Posso o no? >>
<< Entra… >> rispose stancamente Andromeda, stendendosi nuovamente. Si prospettava un lunghissimo viaggio.
Ted si sedette e fissò il suo volto, con un sorriso. Sì, era proprio bella… << Black, allora hai fatto i compiti di poz… >>
<< Tonks, un favore. Uno solo. Non parlare. Grazie. >>
A metà viaggio però fu proprio la ragazza a rompere il silenzio. << Tonks, esci, devo cambiarmi. >>
<< Già da ora? >> chiese stupito lui.
<< Problemi? >>
<< Sì, tu. Vuoi qualcosa da mangiare? >> già che c’era, Ted sarebbe andato nel vagone ristorante, che era quello accanto.
<< Se paghi te sì >> rispose Andromeda << Esci, ora! >>
<< Allora scordatelo >> sogghignò Ted, uscendo.
Quando il ragazzo tornò dopo il pasto, Andromeda era intenta a completare il suo tema di Aritmanzia.
<< Come mai non hai finito i compiti, Black? Non è da te… >>
<< Ho avuto ben altre preoccupazioni di uno stupido compito di Aritmanzia, Tonks. Alla fine è solo un tema. >>
Ted sospirò e rovistò nel suo baule, fino ad estrarre un rotolo di pergamena. << A dire la verità, nemmeno io ho finito i miei compiti >> ridacchiò << Cura delle Creature Magiche, però. Decisamente una materia più leggera di quella roba lì! >>
<< Su cosa lo stai facendo? >> chiese Andromeda << Merlino, non lo finirò mai in tempo! >> imprecò, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro.
<< Ippogrifi. Scrivendo di pari passo quello che ho scritto lo scorso anno. E quello primo ancora. Tanto, chi se ne accorgerà mai? >> disse Ted, che infatti stava copiando da un secondo rotolo di pergamena. Si fermò e cercò ancora nel baule, per poi estrarre una ulteriore pergamena, che lanciò alla Black << Copia da me, dai. >>
Andromeda lo guardò, esterrefatta. << Tonks? Sei sicuro di sentirti bene? >>
<< Certo, Black, copia e statti zitta. Potrei ripensarci… >>
Andromeda afferrò la pergamena, iniziando a copiare interi passaggi del tema del ragazzo. Doveva ammettere che era un bravo studente, quel tema era fatto davvero bene, come l’avrebbe fatto lei stessa se solo avesse avuto il tempo necessario.
Il treno si fermò circa un’ora dopo che i ragazzi finirono i compiti, ora che fu riempita dal silenzio. Andromeda era intenta a guardare il paesaggio fuori dal finestrino e a gustarsi il suo primo vero anno ad Hogwarts. Ted, invece, osservava lei, Andromeda. Quella ragazza che tanto aveva odiato e di cui adesso era innamorato. Non ci riusciva a credere, aveva appena passato un’intera giornata con lei, Andromeda Black. Definirlo amore impossibile equivaleva a sminuire i fatti.
Scesero dal treno e subito la ragazza si allontanò, raggiungendo la sorellina. Ted sospirò. Cosa credeva? Che sarebbe rimasto al suo fianco fino all’arrivo al castello? Lei lo odiava e basta. La osservò parlare con la sorella, sillabare il suo cognome (ma quanto gli piaceva quando diceva “Tonks” con quell’aria di disprezzo?), probabilmente per raccontarle di quanto aveva trovato orrendo quel viaggio in treno.
<< Già litigato con la Black, Ted? >> Joseph Treewte, Corvonero, il suo migliore amico. << Mh, già… >> mormorò laconico Ted. Non aveva avuto il coraggio di confessare a qualcuno la sua cotta per la Serpeverda. Riusciva a stento a confessarla a se stesso, figurarsi agli altri!

Londra, settembre 1969



<< Ciao, mamma. Ciao, papà. >>
Bellatrix entrò nella casa dei genitori per gustarsi l’unico pranzo decente della settimana. Lei non era in grado di cucinare ed aspettava con impazienza la domenica solo per mangiare del cibo più che decente. Il suo aspetto era decisamente cambiato da luglio, con grande delusione e rabbia da parte di Druella, che l’aveva vantata sempre come il suo gioiello, perfetta nel carattere e nell’aspetto.
Adesso aveva un aspetto più cattivo e trasgressivo che elegante e raffinato. Se qualche mese prima tentava in ogni modo di rendere lisci i capelli, lunghissimi, per poi legarli sempre in una treccia che lasciava libere poche ciocche, adesso erano ricci, sciolti e decisamente più corti. Certo, non corti come quelli di Andromeda – lei portava sempre un carré molto corto -, ma nemmeno lunghi come quelli di Narcissa, che arrivavano ben oltre la metà spalla. Gli occhi scuri erano messi in risalto da un trucco abbastanza pesante, indossava poi una maglietta nera piuttosto corta e scollata, le mani infilate nelle tasche dei jeans scuri.
<< Ciao, Bella… >> Druella ricambiò il saluto, quasi sconsolata. La nuova passione della figlia per gli abiti Babbani la mandava in bestia, ma nonostante tutto non poteva non notare quanto questo stile si addicesse maggiormente alla figlia.
Bellatrix si lasciò cadere sul divano, aveva imparato che le buone maniere servivano a poco e niente nella vita. Aveva imparato tante cose in quei venti giorni, imparato e capito…
Aveva decisamente lasciato perdere Rabastan. Alla fine lui era solo un ragazzino arrogante, lei si meritava ben altro, era travolta da ben altra passione che per quella di un mocciosetto. Nella sua mente c’era solo Lui, l’Oscuro Signore. Non una passione carnale, ma una passione folle, irrazionale, che la rendeva cieca ed ubbidiente ad ogni suo ordine. E questa passione la colpiva, impetuosa, non la lasciava un attimo, mai, non la faceva respirare, pensare, vivere, né Bellatrix voleva più vivere senza questa. Era la sua ragione di vita.
<< Allora, come va? >> chiese Cygnus, sedendosi accanto a lei. Per i genitori adesso era più difficile comunicare con la figlia, non riuscivano a concepire quel cambiamento, eppure l’avevano sempre cresciuta in una campana di vetro, quasi viziandola. Iniziavano, inoltre, a rendersi conto di quel che significava veramente essere genitori di una Mangiamorte.
<< Me la passo bene >> annuì Bellatrix << Cissy? Come sta? >>
<< Andromeda e Narcissa stanno bene, Bella. Dovresti parlarci, con tua sor… >>
<< Mamma, per favore, non sono venuta qui per farmi fare la predica. Non ho intenzione di parlare con quella. Non la considero più mia sorella, lo sapete, lo sapete tutti. E’ strana. >>
Bellatrix guardò la stanza come se non la riconoscesse, come se non ci avesse vissuto per diciassette anni. Il suo passato non le apparteneva, aveva chiuso con l’infanzia, ora era una nuova Bellatrix che si era stufata delle brave maniere e delle apparenze, era appena nata, aveva iniziato a vivere. Aveva appreso che oltre quelle quattro mura c’era un mondo vero e proprio che le si addiceva, doveva solo lasciarsi andare e rompere ogni muro mentale. Se solo lo avesse fatto quando era ancora ad Hogwarts…

Hogwarts, 30 ottobre 1969
Corridoi



<< Tonks! >> Andromeda stava rimettendo i libri nella borsa quando aveva visto passare il Tassorosso. Gli corse dietro << Tonks! >> urlò di nuovo.
Ted sospirò, fermandosi e girando sui tacchi << Sì, Black, lo so, sono fuori oltre il coprifuoco. Quanti punti vuoi togliermi? >> Non aveva più avuto modo di parlare con la Black dopo la giornata in treno, aveva deciso che voleva evitarla e farsi meno male possibile, che avrebbe provato a dimenticarla.
<< No, Tonks, nessuno. Volevo solo ringraziarti per il tema >> Andromeda si avvicinò a lui, sorridente. << Ho preso una E per il mio… per il tuo compito. >>
<< Oh, beh… figurati… >> Ted era alquanto confuso. Da quando Andromeda era gentile con lui? Da quando superava la distanza “di sicurezza” senza prenderlo a pugni?
Andromeda passò il suo braccio sotto a quello del ragazzo, incapace di smettere di sorridere. Era felice di rivederlo, non riusciva a capire perché, ma le era mancato. Il gesto spiazzò alquanto Ted, ma la ragazza parve non accorgersene, riprendendo a camminare << Dove andavi, Tonks? >>
<< D-da nessuna parte >> rispose Ted, incapace di formulare una risposta di senso compiuto.
<< Allora non ti dispiacerà accompagnarmi al mio dormitorio, immagino, Ted >> Andromeda non sapeva perché dicesse quelle parole o perché si comportasse in quella maniera. Così le andava, non si rendeva neanche conto di lasciare sempre più perplesso il Tassorosso, che aveva appena chiamato per nome dopo sei anni che lo conosceva.
<< Certo che no… Andromeda >> mormorò Ted, che aveva appena mandato al diavolo tutti i suoi propositi e che aveva deciso di cogliere la situazione.
<< Sai che non ho mai saputo dove sei nato o cosa fanno i tuoi genitori, Ted? >>
<< Sono di Glasgow e i miei genitori sono Babbani, mio padre è avvocato e mia madre è insegnante di inglese. Nulla di straordinario, insomma. >> Ted iniziò seriamente a pensare che quella ragazza era ubriaca. Non aveva altra spiegazione per il suo comportamento altrimenti inspiegabile.
Andromeda, però, trovava straordinariamente straordinario quel che Ted le aveva appena detto. Camminarono a lungo, ed Andromeda continuava a rivolgergli domande su di lui, sulla famiglia, sulla sua vita Babbana, e Ted rispondeva ogni volta sempre più stranito. Però quella situazione gli piaceva, eccome se gli piaceva!
<< Immagina te cosa direbbe mia sorella se ci vedesse in questo momento! >> ridacchiò Andromeda, fermandosi il corridoio prima dell’ingresso della Sala Comune. << Sei anche troppo vicino, non puoi sapere di più sulla nostra Sala Comune… >>
<< Ma se so perfettamente dov’è… >> le disse Ted, ponendosi davanti a lei.
Andromeda si fece più vicina a lui, le sue mani che sfioravano quelle del ragazzo, nei suoi occhi un bagliore che nessuno aveva mai visto prima. Lo guardava con occhio diverso, quel mese di lontananza le aveva fatto capire che lei aveva bisogno di lui, che alla fine non era così male, forse aveva sempre sbagliato tutto con lui, forse aveva sbagliato ad odiarlo, forse non voleva più odiarlo, forse lo voleva…
<< Sì, ma comunque non puoi sapere la parola d’ordine! >>
<< Vorrà dire che mi tapperò le orecchie! >> Ted sorrise, il fiato corto, iniziava a sentire un calore che gli si spandeva nel corpo. “Non illuderti, Ted. E’ una Serpeverde, è una Black… Ora ti prenderà in giro, non illuderti!”
Andromeda sorrise a sua volta, quasi d’istinto. Accidenti, se era bello! Aveva gli occhi grigi, non se ne era mai accorta prima…
E, come se avesse atteso da sempre quel momento, Andromeda si avvicinò al viso di lui, fino a sfiorare le labbra del ragazzo con le proprie. Ted l’attirò a sé, Andromeda l’abbracciò a sua volta e si lasciarono andare in un lungo bacio carico di passione. Bacio che Ted sognava da parecchio tempo e che Andromeda, inconsapevolmente, aveva aspettato a lungo. E finalmente era arrivato.
<< E cosa direbbe tua sorella se ci vedesse adesso? >> sussurrò Ted, senza però avere intenzione di lasciare la ragazza. Era su di giri, aveva appena baciato Andromeda Black. Solo mezz’ora prima non l’avrebbe mai ritenuto possibile, ed ora…
<< Sai una cosa? Non me ne importa minimamente… Non m’importa né di lei né di nessun altro >> Andromeda fissava il volto del ragazzo come se lo vedesse per la prima volta, e in effetti era la prima volta che lo guardava seriamente, non più accecata dall’odio che aveva caratterizzato il loro rapporto per sei anni. Si era accorta solo in quel momento che l’astio che ostentava nei confronti del ragazzo era pura finzione, portata avanti per convenzione, mascherando a se stessa il verso sentimento che nutriva per il ragazzo da un po’ di tempo.
<< Devo andare… >> mormorò Ted dopo qualche minuto. Non riusciva a capacitarsi degli avvenimenti di quella serata. Per prima cosa, Andromeda Black era stata gentile con lui. Poi gli aveva chiesto di accompagnarla al suo dormitorio, dove l’aveva baciato. E infine gli aveva detto che della sua famiglia, della gente e dei loro pensieri non gliene importava niente. Poteva immaginare una serata migliore?
Andromeda fece un passo indietro, sorridente << A domani… >>
<< A domani >> Ted la guardò allontanarsi per raggiungere l’ingresso della Sala Comune, un sorriso ebete sul volto.
<< Ah, Tonks! >> Andromeda si voltò prima di girare l’angolo << Cinque punti in meno per Tassorosso, sei sempre fuori oltre il coprifuoco, non penserai mica di avermi corrotto! >>

Banbury, 31 ottobre 1969



<< Si nasconde qui, quindi? >> chiese Bellatrix ai suoi compagni Mangiamorte. Quella notte era una notte particolarmente favorevole per il loro piano. Potevano passare per il centro della città indisturbati, nessuno avrebbe trovato strani i loro abiti.
Bellatrix però era infastidita da tutti quegli addobbi, da tutti quei bambini che correvano da una casa all’altra, insomma, Halloween era una festa loro, non dei Babbani.
<< Sì >> annuì Rabastan, qualche passo dietro la Black. Ultimamente era lei a condurre le varie “visite”, anche se era quella più giovane, era la persona più adatta al compito. Crudele, cinica, nessuno l’aveva mai eletta al capo, era stata una cosa automatica.
I tre Mangiamorte avanzarono tranquilli per le strade della città, indisturbati. Questa volta non dovevano uccidere, dovevano semplicemente “prelevare” una strega, una pozionista. Non sapevano cosa aveva di particolare, ma il Signore Oscuro la voleva, e loro gliel’avrebbero portata. Solo complicava le cose, nascondendosi prima in una città e poi in un’altra. Ma ora Bellatrix era stufa di questa situazione, la voleva e l’avrebbe avuta. Quella sera.
Callen Troow era seduta su una panchina della piazza della città. Le piaceva l’Halloween Babbano, non potevano certo sapere che le streghe e i maghi esistevano veramente, festeggiavano con innocenza quella ricorrenza, con zucche ai balconi e bambine vestite da streghe, con una ramazza in mano. Il tempo della giovinezza per lei era andato da parecchio tempo, aveva sui cinquant’anni ma non aveva mai smesso di armeggiare con le pozioni, non riusciva ad immaginare la sua vita senza pozioni. Sapeva di essere ricercata dal Signore Oscuro per le sue abilità, ma lei non aveva nessuna intenzione di raggiungerlo, di lavorare per lui.
<< E’ lei >> Bellatrix la individuò non senza difficoltà. Se da una parte Halloween rendeva normali i loro abiti da Mangiamorte, faceva diventare quasi impossibile riconoscere una strega << Ha il segno sotto l’occhio, quella col vestito blu scuro. >>
Nello stesso tempo che Bellatrix sussurrò quelle parole, Callen si voltò alla sua destra. Li vide. Sgranò gli occhi, era stata una incosciente ad uscire di casa quella sera… L’avevano beccata, non sarebbe stata in grado di fuggire. Scattò in piedi, estrasse la sua bacchetta, pronta.
<< Oh, ha voglia di sfidarci >> ridacchiò Bellatrix << Ci penso io, non ci vorrà molto >>.
Bellatrix avanzò, la bacchetta nella mano destra, espressione divertita e arrogante allo stesso tempo. Amava quelle situazioni, si divertiva sempre, non capiva perché i suoi compagni volessero sempre fare in fretta. << Troow… ti conviene non fare storie, non credi? >>
<< Stupef… >>
Un cenno della bacchetta di Bellatrix fece volare via quella della donna << Sarai anche una brava nozionista, Troow, ma in quanto velocità… >>
Callen si voltò ed iniziò a correre tra gli sguardi allibiti dei Babbani che assistevano a quella scena. Bellatrix parve indispettita di quella svolta, lei odiava quando le sue vittime scappavano, odiava correre, preferiva risolvere tutto con un incantesimo e via. << Crucio >> disse, puntando la bacchetta verso la donna, che cadde per terra, dolorante.
<< Troow… Inizio ad innervosirmi. Facciamola finita, su. Non fare la bambina >> Bellatrix si avvicinò ancora alla donna, che urlava per il dolore e la supplicava. Bellatrix cessò l’incantesimo e l’afferrò per un braccio. Era stizzita, non era stato divertente quella sera. Ma del resto a lei piaceva uccidere, non rapire. Rapire era una cosa stupida, uccidere le dava soddisfazione. << Pensateci voi alla loro memoria, io vado. >>
Gli sguardi dei Babbani, i colori di quella festa interrotta, il bellissimo viso furente di Bellatrix furono fra le ultime cose che Callen vide. Bellatrix si smaterializzò, portando la donna con sé, ma la donna non sarebbe sopravvissuta a lungo, preferì morire che donare la sua scienza a Voldemort.

Hogwarts, 31 ottobre 1969

<< Tu cosa…? >> A Gwenog andò di traverso il pezzo di mela che aveva appena addentato.
<< Io… io lascerò William oggi. Insomma, hai sempre avuto ragione, no? Non ne sono innamorata >> Andromeda sorrise, non aveva ancora raccontanto a nessuno di quel che era successo la sera prima, ed ora aveva intenzione di lasciare William. Non poteva stare con un ragazzo e sbaciucchiarne un altro, no? Così doveva decidere. O il bravo ragazzo con cui stava da anni ma che non amava, o il ragazzo figlio di Babbani che aveva appena scoperto di amare nonostante l’odio che aveva provato per un sacco di anni.
<< E perché? >> chiese Narcissa, seduta affianco alla sorella. Lei era ogni giorno più felice, tutto le andava bene. A scuola aveva buoni voti, aveva un sacco di amici e aveva un fidanzato che amava. << Perché… perché sì >> rispose Andromeda, arrossendo.
<< Chi è? >> chiese Gwenog << Avanti, chi è? >> era offesa perché l’amica non le aveva detto che c’era un altro nel suo cuore, e la cosa era evidente, altrimenti mai e poi mai avrebbe lasciato William…
<< N… Nessuno! >> disse Andromeda, alzandosi << Ci vediamo stasera! >> tagliò corto, avviandosi verso il portone. Aveva visto Ted uscire, voleva raggiungerlo e parlargli.
<< ‘Dromeda! >> Ted sorrise nel vederla uscire dalla Sala Grande, incurante dei ragazzi che passavano vicino a loro. Il loro odio era noto a tutta la scuola, e questo cambiamento di atteggiamento poteva essere sospetto.
<< Ted… >> lo salutò Andromeda. Ted la prese per il polso, trascinandola in un corridoio vuoto. Fece per baciarla, ma lei si scansò << Ted, non posso. Non ancora. >>
Ted la lasciò, sospirando. Era stata una serata troppo perfetta, in effetti. << E perché no? >>
<< Fammi prima lasciare William. Lo farò, oggi, prima di tornare al castello. >>

*



<< Tu stai con chi? >> esclamò Gwenog. Era con Andromeda fuori in giardino, in un punto nascosto, dove nessuno le avrebbe viste o sentite.
Andromeda sorrise. Aveva previsto questa reazione. Anche Joseph, l’amico di Ted, aveva avuto la stessa reazione alla notizia. Del resto non era una cosa prevedibile, nessuno ci avrebbe scommesso sopra, no? Dopo sei anni passati a lanciarsi incantesimi di ogni sorta un fidanzamento era l’ultima cosa che chiunque avrebbe previsto. << Con Ted Tonks, Gwen! >>
<< T… Ted Tonks? Quel Ted Tonks? Tu hai lasciato William per Ted? >> Gwenog aveva perso alle parole, non riusciva a credere che l’amica avesse fatto un atto folle come quello. Doveva essere uno scherzo, Andromeda Black non sarebbe fidanzata mai e poi mai con Ted Tonks, e viceversa!
<< Sì >> annuì Andromeda. Gwenog, tuttavia, non poté fare a meno di notare che quella che leggeva sul volto di Andromeda era vera felicità, non l’aveva mai vista così brillante ed euforica, non per un ragazzo almeno. << Solo, Gwen, capisci che nessuno, dico nessuno deve saperlo. Non ancora, almeno. >>
<< Non ti preoccupare, Meda >> disse Gwenog, seria. Anche perché, onestamente, chi le avrebbe creduto se fosse andata in giro a spargere la notizia che Andromeda Black e Ted Tonks s’erano messi insieme?
Passarono i giorni, mesi, ma ancora la notizia non si era divulgata. Andromeda non si sentiva pronta a farlo sapere alla famiglia, voleva prima compiere 17 anni in modo di trovarsi –in caso- una casa in cui abitare, come aveva fatto Bellatrix. Mancava poco al diventare maggiorenne, ormai. Quel nascondere tutto, però, non faceva vivere ai due ragazzi la loro relazione come un peso, anzi rendeva tutto più divertente quasi. Appena qualcuno si avvicinava subito cambiavano atteggiamento, insultandosi e litigando pesantemente, ma di certo tutta Hogwarts aveva notato che dove c’era uno, c’era anche l’altra. Non poteva essere un caso, vero, ma nessuno degli studenti avrebbe mai pensato ad una relazione amorosa fra i due.
Perfino Narcissa, che attribuiva l’aumento di allegria e di gioia di Andromeda alla lontananza di Bellatrix, non si sarebbe mai immaginata una notizia del genere.
Ai due ragazzi non importava del comportamento della famiglia Black in seguito alla scoperta di tale fidanzamento, probabilmente avrebbero fatto di tutto per separarli o avrebbero diseredato Andromeda, volevano solo accertarsi che la ragazza fosse in grado di vivere da sola e in possesso dei mezzi economici necessari.
Loro erano felici così, delle reazioni, delle parole, dei pensieri degli altri non se ne importavano. Come potevano importarsene, quando avevano tutto quel che desideravano? A chi può mai importare degli altri quando si nutre un amore profondo e incondizionato, fra l’altro ricambiato?
<< Sicuro che tua madre non mi butterà fuori di casa quando mi vedrà? >> chiese Andromeda, affiancandosi al volto di Ted e mettendosi in posa affinché il ragazzo scattasse l’ennesima foto, che avrebbe poi mandato a casa.
<< Certo che no >> ridacchiò Ted. Andromeda avrebbe passato le vacanze di Pasqua a casa di Ted, non senza la complicità di Gwenog e della sua famiglia, che avevano accettato di essere complici della ragazza. Mentre la famiglia Black credeva Andromeda a casa di Gwenog, lei avrebbe conosciuto il significato del vivere Babbano a casa di Ted.
Andromeda era pronta a correre il rischio di essere scoperta, magari così avrebbe evitato anche di dover parlare. Non se ne curava minimamente, non aveva certo legami indissolubili con la sua famiglia, era pronta a cambiare di vita una volta reso noto il fidanzamento. Ted questo lo sapeva, si sentiva quasi in debito. Non sono molte le ragazze pronte a cambiare totalmente per amore, Ted lo sapeva e anche per questo ammirava la sua fidanzata.
<< Tonks, ma che cazzo vuoi? >> Andromeda saltò in piedi non appena vide una Corvonero girare l’angolo. La ragazzina si girò a guardarli per un secondo, trovava divertente vedere quei due ragazzi urlarsi contro. Quando passò oltre, Andromeda si rimise a sedere, ridendo. << Insultarti è sempre divertente, sai Ted? Liberatorio quasi… >>
<< Oh, ‘Dromeda, potrei dire la stessa cosa >>.

Hogwarts, maggio 1970



<< Cissy! >> Ruth Goyle corse incontro a Narcissa, per poi bloccarla con le braccia << Cis… E’ vero che tua sorella sta col Mezzosangue? >>
<< Sì >> rispose Narcissa, liberandosi dalla stretta e proseguendo. Era livida di rabbia, rigida come un tronco, le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti, le labbra sigillate fra loro. Voleva trovarla, bastarda.
<< Andromeda >> la chiamò, quando la vide. Eccola lì, affianco al Mezzosangue. Così adesso era diventata la puttana dei Mezzosangue? << Vieni con me >> le intimò.
Andromeda si alzò, seguita da Ted << No >> gli sussurrò la Black << E’ un affare di famiglia. Me la vedo io. >>
Arrivate in un pezzo remoto del parco, lontano da occhi indiscreti, Narcissa estrasse la bacchetta e, senza che la sorella maggiore se ne potessero rendere conto, si voltò di scatto, schiantandola.
Andromeda attenuò la caduta atterrando sui gomiti. Per fortuna, Narcissa non era ancora così potente da poterla schiantare. Strinse la sua bacchetta in mano, rimettendosi in piedi << COSA STAI FACENDO, BLACK? >>
<< Cosa pensi di fare tu? >> urlò di rimando Narcissa << Ti rendi conto di quello che fai o no? >>
<< Oh, certo, essere Mangiamorte è lecito, amare no! >>
<< Non puoi amare un Mezzosangue! Ci hai disonorati! Tutti! Me, Bella, i nostri genitori, i nostri nonni, i nostri morti! >>
<< Facciamone una questione di stato, allora! Ma che cazzo di male c’è nell’amare una persona che non è figlio di maghi? COSA? >>
<< C’è di male che tutti ora ridono di noi! Ma cosa pensi? Che lui ti ami veramente? E anche se fosse, meglio sposare un Purosangue senza amarlo che sposare feccia! >>
<< Non accetto consigli da chi è la sgualdrina del primo che è passato e che la sta solamente usando >> sibilò Andromeda. Lei non era una persona che amava urlare, più s’incazzava, più basso era il tono della sua voce. << Non ti preoccupare, Black, non metterò più piede nella vostra casa >> Andromeda, poi, la schiantò, dando sfogo a tutta la rabbia e il rancore che aveva dentro di sé. << Impara a schiantare, Black. >>

Stazione di King’s Cross, 1 luglio 1970



Andromeda e Ted oltrepassarono la barriera del binario 9 e 3/4, insieme, come avevano trascorso quegli ultimi mesi di scuola. Andromeda non sapeva dove avrebbe dormito quella notte, probabilmente in un hotel, il giorno dopo avrebbe ritirato parte dell’eredità che si trovava nella sua camera di sicurezza. Appena raggiunta la maggiore età, aveva fatto sì che il suo oro fosse stato reperibile per lei e solo per lei. Non parlava più con nessun Serpeverde, eccetto Gwenog, tanto meno con la sorella, di cui realmente non le importava più nulla. Aveva Ted, e questo bastava.
<< Ci vediamo, Ted >> sussurrò lei, dando un bacio sulle labbra al ragazzo. Sapeva che pochi metri più in là c’era la sua famiglia, ma non aveva nessuna intenzione di salutarla.
<< Dove pensi di andare, Black? Mia madre ti ha già preparato la camera, tu vieni con me. >>

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Capitolo 13
*** The wedding ***


The wedding

Glasgow, agosto 1970

Andromeda stava sognando. Sognava di correre in una foresta, libera, era un sogno molto ricorrente. Pioveva, sentiva i capelli e i vestiti bagnati, una pioggia fredda. No, non poteva essere pioggia, la pioggia non cade tutta d’un colpo…
<< TONKS! >> strillò Andromeda, scattando a sedere, completamente fradicia << Tonks, io… io ti disintegro! >>
Ted rimise la bacchetta in tasca, ridendo << ‘Giorno, Black. Dormito bene? >>
<< Stupido idiota Tassorosso cretino deficiente >> sibilò Andromeda, alzandosi << Che ore sono, deficiente? >>
<< Ah, Black, hai toppato. Deficiente l’hai già detto. Le cinque, credo >> rispose Ted, passandosi una mano fra i capelli con un sorriso divertito e colpevole in faccia. Da quando Andromeda era entrata in casa, non c’era giorno che non passavano facendosi scherzi più o meno pesanti.
<< Tonks, tu hai osato svegliarmi alle cinque di mattina? >> ringhiò Andromeda, guardandolo carico d’ira << Tonks, sei morto. >>
<< Davvero, ‘Dromeda? Sai che quando vuoi fai quasi paura? Sorridi un poco, che se no ti vengono le rughe, Black. >>
Andromeda lo ignorò, prese i primi vestiti che trovò ed uscì dalla stanza.
<< Ed ora dove vai? >>
<< In bagno. A lavarmi. E’ un reato, forse? >> Questa volta Ted non l’avrebbe passata liscia, quant’era vero che si chiamava Andromeda Hesper Black. Doveva architettare qualcosa che gli avrebbe fatto pagare questo e tutti gli scherzi che le aveva fatto… Si guardò allo specchio, le piaceva la sua nuova immagine. Non era cambiato nulla di particolare, ma lei si sentiva diversa, perfino a vedersi si reputava diversa. Tutto adesso le piaceva. Le piaceva la sua faccia, il suo fisico, perfino il suo naso, che aveva tanto odiato. Le piaceva quella casa, quel villaggio, perfino la sua famiglia le appariva simpatica nella loro superbia. Non aveva avuto notizie della sua famiglia, non direttamente almeno. In compenso, una delle sue sorelle era famosa, visto che la sua foto era costantemente sbattuta in prima pagina sul giornale. Però, il mondo magico le incuteva sempre più ansia e terrore. Il male serpeggiava ovunque, non c’era luogo che non avesse raggiunto, ogni famiglia magica aveva fatto la sua scelta, e ne aveva pagato le conseguenze. O eri con, o eri contro, non c’era via di mezzo. Ma se i Mangiamorte erano tanti e forti, quelli che si opponevano loro erano tanti sì, ma deboli, poiché divisi. Non c’era una grande unità che li raccogliesse, che li chiamasse a sé. Tutti avevano paura di fare qualsiasi cosa, e adesso anche lei era in ansia. Doveva ammettere che per lungo tempo aveva goduto della parentela con Bellatrix Black. Black o Lestrange? A giugno aveva sentito Rodolphus parlare di un matrimonio, ma non sapeva se fosse già avvenuto o se lo sposo fosse scappato. Certamente, adesso era anche lui un Mangiamorte. Oh, ma a lei che importava di loro? Adesso era felice.
<< Black, non dirmi che vuoi uscire a quest’ora >> chiese Ted, una volta che Andromeda uscì dal bagno. Indossava un vestito rosso lungo fin sotto le ginocchia e delle scarpe aperte. E ciò non gli piaceva, quando Andromeda voleva uscire, raramente tornavano a casa dopo pochi minuti.
<< Beh, qualcuno mi ha svegliata, no? >> rispose Andromeda, tornando in camera e prendendo il giornale del giorno prima. Black. Probabilmente Rodolphus era veramente scappato via, e non gli avrebbe certo dato torto. Avrebbe controllato tutti i giorni, voleva sapere come chiamare quella che era diventata la sua prima nemica, se signorina Black o signora Lestrange.
<< Sì, ‘Dromeda, ma… Ma è l’alba! >> protestò Ted, seguendola.
<< M-mh, me ne sono resa conto, Tonks >> replicò glaciale Andromeda. Buttò sul comodino il giornale, che ancora non dava la ‘lieta’ notizia.
<< Black, a quest’ora può essere pericoloso! Davvero, non è una buona idea uscire all’alba di questi tempi. >>
<< Prendi la tua bacchetta, allora >> sorrise la ragazza, prendendo la borsa che usava per uscire. Non che uscisse spesso, in effetti quella era la prima estate che trascorreva passando intere giornate fuori di ‘casa’. O meglio, fuori dalla casa del suo fidanzato.
I genitori di Ted erano incredibilmente gentili e premurosi con lei, per la prima volta si sentiva membro di una famiglia vera e propria, tuttavia sentiva che non poteva vivere per sempre a casa Tonks, né lo voleva. Insomma, era un peso in più. Quell’estate era andata così, ma avrebbe cercato una casa per la sua vita futura. Perché lei in casa Black non ci avrebbe più messo piede.

Londra, agosto 1970.

E così erano passati quattro mesi. Quattro schifosi mesi da quando Andromeda aveva deciso di avere a che fare un nato Babbano. Di tutti gli insulti che poteva fare alla sua famiglia, questo era di certo il peggiore. Non era ancora stata diseredata e disconosciuta, non aveva ancora fatto qualcosa di irreparabile, alla fine aveva diciassette anni e poteva ancora cambiare idea, aveva tutto un anno di scuola davanti a sé per farlo. Tuttavia, l’aria in casa Black era pesante.
I genitori di Andromeda erano shockati, i parenti li accusavano di non aver dato alle figlie una buona educazione, di aver cresciuto una traditrice del sangue, nessuno voleva più vedere Andromeda, nessuno più la nominava, nessuno più la considerava Black. Era come se Andromeda Hesper Black non fosse mai esistita, di lei rimaneva solo la camera –vuota, dopo che lei aveva chiesto al padre di spedire tutte le sue cose a casa Tonks- e i ricordi dell’infanzia, di quando era ancora ‘sana’.
Che fosse sempre stata un po’ particolare nessuno lo aveva mai messo in dubbio, così diversa dalle sue sorelle, così umana e buona, ma nessuno si sarebbe mai aspettata un’azione del genere, degna dei figli di Babbanofili, non di certo di una Black.
Druella, saputa la notizia, aveva passato diverse giornate a piangere, chiedendosi cosa avesse fatto di male per avere una figlia del genere; pazza, diversa. Aveva sempre dato ad Andromeda tutto ciò che era nelle sue possibilità, senza fare distinzioni fra lei e le sorelle, nonostante le palesi diverse attitudini. Da lei non si era mai aspettato nulla di particolare, sapeva che non sarebbe mai diventata una Mangiamorte, disprezzava perfino il Signore Oscuro, e questo Druella poteva quasi tollerarlo. Avrebbe potuto tollerare anche un matrimonio con un Purosangue non Serpeverde, nonostante il vecchio fidanzamento con un Serpeverde. Ma mai avrebbe potuto immaginare o accettare l’idea di vedere sua figlia con un Mezzosangue. Non poteva nemmeno sentirsi colpevole di quello che era successo, lei le aveva dato la stessa educazione che aveva dato a Bellatrix e a Narcissa, ed ora una era Mangiamorte e l’altra era la fidanzata di un ipotetico nuovo servitore del Signore Oscuro.
Cygnus, poi, non riusciva a tollerare le critiche mosse dai parenti, ma d’altra parte non riusciva nemmeno ad odiare Andromeda. Al contrario della moglie lui aveva una preferenza fra le tre figlie, ed ovviamente preferiva di gran lunga Andromeda alle altre due. Andromeda per certi versi gli era così simile, anche lui non era propriamente un Black, sia per l’aspetto decisamente poco attraente e diverso dai suoi familiari, sia per un indole un po’ più docile. Aveva sempre ammirato Andromeda, che aveva fatto tutto ciò che lui non aveva osato fare, alla fine lui si era sottomesso prima alla cinta del padre, poi alla moglie. Se da bambino aveva ammirato la cugina Lucretia, ora ammirava segretamente la figlia. Lucretia non aveva avuto il coraggio di portare completamente a termine ciò che si era prefissata di fare. Era diversa dai Black, sì, ma non poi tanto. Andromeda ora la disprezzava, ma nel profondo del suo cuore poteva solo renderle onore. Il cambiamento era una cosa molto frequente nelle ultime generazioni dei Black. Se per secoli i Black non erano mai cambiati, ora in ogni famiglia c’era un cenno di svolta. Prima Lucretia, poi Andromeda, e ora anche Sirius iniziava a mostrare indoli particolari. Forse la loro dinastia era marcia e aveva bisogno di cambiare.
Bellatrix appariva la più indignata, del resto non si parlavano da diversi anni e nessuna aveva mai voluto riallacciare i rapporti con l’altra, il suo odio era più che scontato. Ma in fondo Bellatrix non la odiava veramente, era pur sempre sua sorella, non avrebbe mai potuto ucciderla. Un suo futuro marito forse, un suo ipotetico figlio sicuramente, ma non lei, sarebbe stato come uccidere una parte di sé stessa.
La più piccola, Narcissa, però era di sentimenti totalmente opposti. Schifata sì, ma non riusciva a nascondere le lacrime. Andromeda le mancava. Le mancava il suo sorriso, la sua mano sempre tesa in suo favore, la parola gentile che le rivolgeva, la sua dolcezza, la sua bontà. Le mancava tutto di lei, e piangeva. E si odiava perché si sentiva così debole, così indifesa. Ora che non c’era più la sorella, la casa le sembrava vuota senza di lei. Andromeda le aveva fatto capire tante cose, era colei che più di tutti le aveva insegnato cosa fosse veramente la vita.
Insomma, nessuno la nominava, ma Andromeda era sempre presente. Tutti l’avevano sempre sentita come una persona non totalmente integrata nella famiglia, tutti si lamentavano dei suoi colori, della sua bontà, della sua allegria. Ma adesso che non c’era, la mancanza si sentiva.
Ciò che faceva più rabbia, però, era il saperla felice. I Black non potevano dirsi felici. Reprimendo i loro veri istinti, rendendosi forzatamente cupi, rinunciavano alla vera felicità. Costretti a comportarsi in una certa maniera, a frequentare solo certa gente, ad assumere un ben preciso atteggiamento, vivevano per convenienza e non per desiderio. Andromeda, invece, aveva stravolto tutto questo, e in molti aveva suscitato il dubbio che forse un’altra vita, una vita vera, era possibile. Lei era felice, e basta. Non era austera, non era perfetta, non era Black. Era solo felice. E proprio perché aveva fatto sorgere quel dubbio veniva ancora più odiata. La felicità non era una cosa per i Black.
Lo sapeva bene Bellatrix, mentre osservava la sua figura allo specchio. Si sistemò la rosa bianca che aveva fra i capelli e osservò nuovamente la sua immagine. Sì, ora era decisamente più bella. Il giorno seguente si sarebbe sposata, eppure lei non era felice. In effetti, non voleva sposarsi, non voleva assolutamente diventare la moglie di Rodolphus Lestrange, la nuova recluta del Signore Oscuro. Lui era tutto ciò che Bellatrix detestava, eppure ventiquattro ore dopo sarebbe diventata sua moglie. Non voleva nemmeno sposarsi, ma ormai aveva quasi vent’anni, e a vent’anni tutte le donne Black erano già belle sposate e con un figlio.
<< Sei bellissima, Bella >> le sussurrò Druella, facendo l’ultima modifica al vestito.
<< Grazie… >> mormorò lei, apatica. Cosa le importava di essere bella se poi non avrebbe più nemmeno potuto rivolgere lo sguardo ad un uomo se non al suo stupido marito?
Il pomeriggio seguente Narcissa vagava per il salone più grande di casa, che piano piano si riempiva di persone. Si era deciso di far sposare i giovani a casa Black, certamente il luogo più indicato per una cerimonia del genere. Non c’erano più problemi per la questione dei nomi, dell’essere Mangiamorte. Adesso Bellatrix avrebbe anche potuto vagare libera nel Ministero mostrando il Marchio Nero e non le sarebbe successo nulla, non ora che Voldemort era vicino al potere totale.
Narcissa indossava un abito verde scuro, come tutte le donne Black. Non potevano certo vestirsi di nero, non ad un matrimonio, così optavano per il verde scuro del blasone di Serpeverde. Un vestito molto semplice, stretto in vita da una fascia nera. Era il primo vero matrimonio a cui prendeva parte, dato che quando si sposarono le zie era fin troppo piccola. Accompagnava gli ospiti ai loro posti –le file davanti a destra erano per i Black, quelle a sinistra per i Lestrange, le ultime file per i compagni di scuola dei due e per altri invitati, fra i quali molti Mangiamorte.
<< Cis, sai dirmi dov’è Bella? >> le chiese una voce maschile, che Narcissa riconobbe immediatamente come quella di Rabastan Lestrange.
<< Oh, nella sua camera >> mormorò Narcissa << Ma aspetta, tu non puoi…>> La Black non poté finire la frase che già il ragazzo stava uscendo dalla sala.
Rabastan bussò alla camera della sposa e la porta gli fu aperta da quella che riconosceva come Jane Rosier, cugina e compagna di camera di Bellatrix ai tempi di Hogwarts.
<< Oh. >> disse Jane, mentre le si spegneva il sorriso sul volto.
Bellatrix si sporse dall’uscio, per vedere di chi si trattasse. Quasi le venne un tuffo al cuore quando riconobbe il ragazzo. Beh, del resto era il fratello del suo futuro marito. << Fallo entrare, Jane >> le disse << Anzi, ragazze, potete lasciarci soli? >>
Jane si consultò con le altre tre compagne di stanza, poi annuì << Sicuro. Ci vediamo dopo, Bella >> le sorrise.
<< E dunque oggi è il grande giorno >> sorrise Rabastan, una volta entrato nella stanza e chiusa la porta.
<< Già, Lestrange, chi l’avrebbe mai detto? >> rispose Bellatrix, dandogli le spalle per guardarsi allo specchio e aggiustarsi nuovamente i capelli. Era bellissima, in un abito semplice, piuttosto stretto e molto lungo, di colore argenteo. Non aveva nessun decoro, eccetto la rosa bianca che spiccava fra i ricci neri. Sì, d’accordo, aveva lasciato perdere Rabastan, ma in quel momento si sentiva piuttosto colpevole nei suoi confronti. Del resto avrebbe dovuto sposare lui e non Rodolphus. Oh, il solo verbo “sposare” la faceva sentire quasi in gabbia, si sentiva le ali tarpate, la sua vita non sarebbe stata più come una volta, e non ne era felice. Avrebbe voluto mollare tutto, mandare al diavolo lo sposo e tutto il resto, ma ormai era troppo tardi.
Rabastan le si avvicinò e le posò le mani sulle spalle, con delicatezza ma allo stesso tempo deciso. << Sei bellissima, Black >> le sussurrò.
<< Cosa vuoi? >> gli chiese Bellatrix, nervosa.
Rabastan la guardò attraverso lo specchio, con un sorrisetto di derisione. Forse quella era l’ultima volta che la poteva toccare in quella maniera, suo fratello gli aveva rubato qualcosa di prezioso, qualcosa che sentiva veramente suo, e non gli andava bene. Si sentiva un idiota ad averlo lasciata, avrebbe voluto fermare il tempo in quel momento, la teneva ancora stretta a sé, poteva sentire il suo respiro. Presto non avrebbe più potuto farlo, presto sarebbe stata sua cognata. Non voleva rendere quei sentimenti pubblici, nessuno l’avrebbe mai capito, non si capiva nemmeno da solo, sapeva solo che stava perdendo un grande pezzo della sua vita. Lei non lo amava, non più. Non provava nemmeno più la stessa passione che l’aveva portata più volte a tradire il fratello per stare con lui. Era fredda, non mentiva quando diceva che non lo voleva, e come darle torto? Rabastan si era reso troppo tardi conto di quanto fosse prezioso quello che aveva buttato via come una bambolina.
<< Voglio solo dare il mio regalo alla sposa, Black. >>
Le si pose di fronte e poi la strinse a sé, baciandola per quella che conosceva come l’ultima volta. Bellatrix si rese conto che stava mandando i suoi propositi alle ortiche, che stava baciando qualcuno che non amava e perlopiù poco prima del suo matrimonio, ma decise che le andava bene così, del resto avrebbe sposato qualcuno per cui non aveva mai provato nulla, né amore né passione fisica. Si alzò sulle punte dei piedi e ricambiò quel bacio, l’ultimo bacio di libertà.
Poco dopo si sentì bussare alla porta << Bella? Sei pronta? >>
I due ragazzi si separarono, a malincuore << Un attimo, mamma. Un attimo ancora. >>
<< Auguri, signora Lestrange >> disse laconico Rabastan, aprendo la porta della camera ed uscendo. Si era fatto del male, aveva fatto del male a Bellatrix, ma aveva sospirato quel bacio troppo a lungo per poterlo reprimere.
Bellatrix ora era sola nella camera e guardandosi per l’ultima volta non si riconobbe, né riconobbe quel sentimento che l’agitava e che le aveva fatto spuntare una lacrima. La sua prima vera lacrima. Per lei era incredibile, non riusciva a crederci, eppure stava piangendo. L’asciugo col dorso della mano ed uscì.
Quando scese, sentì gli sguardi di tutti su di lei, ma lei guardava per terra, a pezzi. Non era quello che voleva, desiderava poter tornare indietro, eppure proseguiva. Si fermò quando seppe che accanto a lei c’era Rodolphus, raggiante. Non poteva certo immaginare i sentimenti di Bellatrix, né quello che era appena successo. Aveva sempre dato piena fiducia al fratello, specialmente perché riteneva ormai chiusa la loro vecchia storia.
Bellatrix non provava veramente più nulla, aveva la morte nel cuore. E quando il mago le chiese se lei volesse prendere come marito quel ragazzo al suo fianco che non conosceva più si limitò a mormorare un sì, mentre il suo cuore avrebbe voluto urlare un no. L’unica persona a cui lei si sentiva devota, che amava, non era presente in quella stanza. Del resto il Signore Oscuro non poteva certo presenziare a degli stupidi matrimoni, no? Ma del resto lui era con lei, sempre. In quel momento il Marchio Nero era in bella vista a differenza di quello di Rodolphus, e questo la tranquillizzava, bastava solo dare un’occhiata di sfuggita al Marchio Nero che Bellatrix si sentiva meglio.
<< … Allora vi dichiaro uniti per la vita. >>
Bellatrix avvertì le labbra di Rodolphus sfiorare le sue e sentì in lontananza degli applausi, perlopiù provenienti dalle ultime file.
Lestrange. Adesso si chiamava Bellatrix Lestrange.
Di lì a poco, la sala fu completamente trasformata. Ora gli ospiti sedevano su comode sedie disposte vicino a diversi tavoli, su un palco un’orchestra suonava e i più giovani ballavano su una pista posta al centro della sala.
Bellatrix e Rodolphus sedevano ad un tavolo con i genitori e i fratelli. Rodolphus era visibilmente allegro, ma Bellatrix doveva sforzarsi di apparire almeno lontanamente felice, di sorridere. Nessuno diede un particolare significato al tuo comportamento, nessuno si aspettava da lei chissà quale allegria visto il suo carattere.
Bellatrix lanciava ogni tanto sguardi a Rabastan, non perché lei fosse interessata al ragazzo, ma semplicemente perché rappresentava tutto ciò che aveva appena perduto e che già le mancava da morire.
<< Mamma, ma perché Meda non s’è vista oggi? >> chiese Sirius, verso fine serata, mentre salutavano gli sposi e i genitori di Bellatrix << Cioè, Bellatrix è sua sorella! >>
Per un secondo rimasero tutti in silenzio, indecisi su cosa rispondere, poi Walburga decise che era giunto il momento della verità.
<< Non penso che rivedrai più… quella. Si è fidanzata con un Mezzosangue >>.
<< Ah… >> mormorò Sirius, abbassando il capo. Già, non l’avrebbe beccata nemmeno ad Hogwarts. Quello sarebbe stato l’ultimo anno di scuola per Andromeda, mentre lui avrebbe iniziato a frequentarla solo l’anno seguente. Peccato, Andromeda gli era davvero simpatica. Anche se era ormai maggiorenne, continuava a pensarlo e non lo trattava male come le altre due cugine. Però poteva capire e stimava la sua scelta. Sì, era stata decisamente una grande a fidanzarsi con un Mezzosangue, anche lui voleva fare una cosa del genere, lui non era come i Black.

Hogwarts, settembre 1970



Andromeda prese la carrozza per Hogwarts per quella che sapeva l’ultima volta nella sua vita. Con lei erano Ted e due studenti del secondo anno di Corvonero, che a dir la verità erano abbastanza contrariati di condividere quel viaggio con i due ragazzi. Non pochi vedevano male il fidanzamento dei due, chi perché riteneva Andromeda una traditrice, chi perché accusava uno dei due di avere secondi fini, chi perché semplicemente era stufo di passare le giornate a sentirli litigare.
Narcissa era nella carrozza che precedeva quella della sorella, con Lucius e tre sue amiche. Aveva incontrato per la prima volta da luglio la sorella sul treno, nella carrozza dei Prefetti. Ebbene sì, anche lei come tutte le sorelle Black era diventata Prefetta, mentre Andromeda aveva le nomine di Caposcuola e di caposquadra di Quidditch. Lei le aveva rivolto un’occhiataccia, ma la più grande l’aveva semplicemente ignorata, come se non esistesse.
Narcissa sperava che la sorella capisse che il suo comportamento era forzato da un andare generale della famiglia, ma si rendeva conto che lei era davvero una brava attrice. Del resto, nemmeno lei riusciva più a distinguere la realtà dalla finzione ormai, completamente immedesimata nel ruolo che interpretava. E forse davvero la odiava. Più le mancava, più la odiava, più sentiva schifo nei suoi confronti. Avrebbe sicuramente preso le distanze da certi elementi.
<< Passata una buona estate? >> chiese Narcissa, appena salì sulla carrozza, con un sorriso sulle labbra. Si sedette accanto a Lucius, che le passo un bracciò attorno alle spalle, stringendola a sé. I due ragazzi stavano realmente bene insieme, raramente litigavano e Narcissa aveva reso Lucius meno ambizioso, mentre quest’ultimo le aveva dato quel pizzico di carattere in più che le era sempre mancato.
<< M-mh >> annuì Ruth Goyle << Non ho fatto niente di particolare. Mi aspettavo una tua visita verso fine estate… >>
<< Sì, lo so, ma ti dissi che mia sorella si sarebbe sposata proprio in quel periodo… >> quasi si scusò Narcissa.
<< Vero. Com’è andato il matrimonio di Bellatrix? >> le chiese Ruth.
<< Tutto bene. Per la prima volta ho visto qualcosa che assomigliava ad un sorriso sul suo viso >> ridacchiò Narcissa, che aveva visto solo quello che tutti avevano visto, non immaginando nemmeno lontanamente i veri sentimenti della sorella.
<< Sì, ma oserei dire che è stato terrificante >> annuì Lucius << Insomma, Bellatrix Black… >>
<< … Lestrange >> lo corresse automaticamente Narcissa.
<< Bellatrix Lestrange >> si corresse Lucius, non senza lanciare un’occhiata di rimprovero alla fidanzata, che ben sapeva che odiava essere corretto << sorridente non è propriamente ciò che ti aspetti di vedere. >>
<< Io sono andata in Portogallo >> annunciò una ragazza bassina, scura di carnagione << A Lisbona, dai miei nonni. >>
<< Bella Lisbona? >> le chiese un’altra ragazza, rossa.
<< Ci sono stata un paio di anni fa in Portogallo >> affermò Lucius << In vacanza con i miei genitori. >>
<< Io non sono mai uscita da Londra se non per venire ad Hogwarts o per andare a casa di Ruth >> mormorò Narcissa, che improvvisamente divenne di umore cupo. Se c’era una cosa che invidiava alle amiche erano proprio i loro viaggi. Lei poteva essere più bella, più ricca e più Purosangue di tutta la scuola, ma non aveva mai viaggiato e questa cosa la faceva sentire piuttosto incompleta.
Quando mise piede ad Hogwarts, lo shok più grande fu causato dal vedere tanta gente insieme, con abitudini e accenti insieme. C’era Livy ad esempio, la ragazza con i nonni portoghesi, che parlava inglese con un accento molto strano, che poi successivamente identificò come accento portoghese. Chiusa nella sua casa, circondata dai suoi parenti, non poteva immaginare che fuori dalla porta di casa c’era un vero e proprio mondo, molto diverso da come se l’era immaginato. Nonostante vivesse appena fuori Londra, nella città vera e propria non era stata più di una decina di volte.
Durante lo smistamento Narcissa tentò di guardare il meno possibile nella direzione di Andromeda, che rideva con Gwenog incurante dagli sguardi sprezzanti che tutti le rivolgevano.
<< Meds, dovevi vedere la scena! Aryanna che svolazzava per la campagna sotto un mio incantesimo e le sua amichetta idiota Babbana che la fissava terrorizzata. Certo, peccato che poi lei abbia dimenticato quella scena, ma di certo mia sorella ha capito che ora che sono maggiorenne non mi faccio problemi ad usare la magia su di lei >> raccontò Gwenog, mentre tamburellava impaziente con le dita sul tavolo. Voleva mangiare, al diavolo i primini.
<< A proposito, vuoi proprio diventare una giocatrice professionista una volta fuori da scuola? >> le chiese Andromeda.
<< Certo, che domande! Raggiungerò Yvone nella squadra in cui gioca, credo, e poi tenterò di entrare nelle Holyhead. Dovresti provarci anche tu, capitano. >>
Andromeda sorrise, ben conscia che l’amica si aspettava di ricevere la nomina di capitano, che però era arrivata a lei, e di questo Gwenog era particolarmente gelosa ed invidiosa, anche se non l’avrebbe mai ammesso. << No, non è nel Quidditch il mio futuro. >>
<< Oh, certo. Sei la prova che anche le ragazze possono essere bravissime battitrici e il Quidditch non è il tuo futuro?! Le Holyhead non ci penserebbero due volte a prenderti in squadra, lo sai! E cosa vorresti fare, di grazia? >>
<< Penso che diventerò un Auror >> affermò Andromeda, sicura di quel che diceva. << Se non passerò i test, invece, mi darò alle pozioni. >>
<< Una Serpeverde parente di Mangiamorte Auror… La cosa è divertente >> sorrise Gwenog. Andromeda sospirò, scuotendo il capo. Guardò il Cappello Parlante smistare l’ultima alunna, mandandola a Serpeverde.

Londra, dicembre 1970



Bellatrix uscì da casa sbattendo la porta e si inoltrò nella campagna londinese calciando tutto ciò che trovava e senza una meta ben precisa.
Perché? Perché mai aveve deciso di sposare quel… quel deficiente? Dubitava che sarebbe riuscita a resistere ancora un po’ dentro casa quella sera. Erano sposati da nemmeno cinque mesi e già non ce la faceva più, già si pentiva del suo folle gesto.
Rodolphus sarebbe stato un marito perfetto per qualunque altra donna, ma non per Bellatrix Black. Ancora non riusciva ad abituarsi al fatto di essere una Lestrange, si rifiutava di accettare quel cognome e guardandosi sui giornali non si riconosceva.
Le aveva perfino chiesto di lasciare da parte i servigi per l’Oscuro Signore, che non erano cose per donne, che doveva pensare a tenere pulita la casa e a crescere figli. Già, i figli… Bellatrix era dell’idea che un figlio le avrebbe solo rovinato la vita. Un figlio l’avrebbe costretta per sempre dentro quattro mura, avrebbe dovuto rinunciare a tutto ciò in cui credeva. E lei non poteva. Non poteva ignorare ciò che il suo cuore le dettava, non poteva ignorare i suoi ideali o il sentimento che l’agitava e la faceva agire in maniera totalmente incondizionata dalla ragione.
La sera, quando tornava a casa e rimaneva da sola sul divano con un libro in una mano ed un bicchiere di whiskey nell’altra e il marito già dormiva, rifletteva su come una scelta fatta a quindici anni le avesse condizionato la vita.
Adesso non agiva più per sua volontà, eseguiva solo ciò che la personificazione del suo ideale le chiedeva di fare, era fiera di essere un gradino sotto qualcuno o qualcosa.
Le donne normali –streghe o Babbane- passavano le giornate a pulire le case e dietro ai figli, magari avevano anche un lavoro normale, come tanti altri. Lei invece non aveva né figli né lavoro, lei passava le giornate ad ammazzare e rapire gente, il suo hobby non era l’uncinetto, ma la tortura di Babbani.
A volte si chiedeva se ciò che faceva fosse giusto, se fosse veramente quello che voleva, dopo tutto quello che le era successo.
Sì. Sì, lo era.
Bellatrix non aveva dubbi sulla sua scelta, non aveva nessun ripensamento. Aveva perso amici, si era nascosta, aveva cambiato nome, aveva perso il conto della gente che aveva ammazzato, spesso non sapeva nemmeno il perché ammazzava un’intera famiglia o il perché ammazzava vecchi così come bambini o gente che non poteva nemmeno lottare contro la magia, portava le maniche lunghe anche ad agosto, si era ferita, aveva calpestato se stessa e la sua famiglia, ogni giorno rischiava la morte, quasi ogni sera tornava a casa sanguinante, subiva le battute dei suoi “colleghi” e tornata a casa aveva a che fare con un uomo sposato solo per convenzione e non per amore, ma nonostante questo Bellatrix non sarebbe mai tornata indietro. Non avrebbe mai ripudiato ciò che era –anche perché avrebbe comportato una morte lunga e dolorosa-, né se fosse potuta tornare indietro nel tempo avrebbe compiuto un’altra scelta.
C’era qualcosa che la faceva andare avanti, che le permetteva di ignorare le critiche e le accuse e che leniva le sue sofferenze e questa cosa era rappresentata dall’Oscuro Signore. Lui era la perfetta incarnazione dei suoi ideali e questo la rendeva cieca a qualsiasi altra cosa.
Magari quel per cui lottava non era giusto, le avrebbe procurato dolore, sofferenze, solitudine, ma non per questo vi avrebbe rinunciato.




Grazie mille a ale146 ^^

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Capitolo 14
*** Take your choice ***


Nuova pagina 1

Take your choice

Londra, agosto 1971

 

<< Allora? >> chiese Ted, avvicinandosi ad Andromeda. Aspettava fuori dal Ministero della Magia da più di un’ora, nell’attesa che Andromeda depositasse la domanda per diventare Auror << Quando farai l’esame? >>

<< Non lo farò >> rispose Andromeda, mesta. Camminava a testa bassa, le mani infilate nelle tasche dei jeans, oltrepassò Ted, trattenendo le lacrime.

<< Perché? >> le chiese lui, trattenendo il fiato e seguendola.

<< E’ facile, non ci arrivi? Sono una Black… E sono legata da vincoli familiari a dei Mangiamorte. Non potrò mai fare l’esame. >>

Ted serrò le labbra, infuriato. Solo perché Andromeda, la sua ‘Dromeda, aveva una sorella Mangiamorte non voleva dire che lo fosse anche lei. Sicuramente c’erano tanti Mangiamorte in incognito che lavoravano nel Ministero, perché lei non poteva diventare Auror? Aveva ottenuto il massimo dei M.A.G.O., non aveva mai commesso nessun tipo di reato e specialmente non aveva un’indole cattiva. Perché doveva pagare per la scelta di Bellatrix Lestrange quando la stessa era libera di vagare indisturbata?

<< E poi… un altro Auror darebbe fastidio, no? Hai notato che ultimamente vengono assunti i più incapaci? Sai chi ho incontrato, chi ha appena passato l’esame per diventare Auror? Quella cernia di Robbie Marshall… Quanti M.A.G.O. ha preso? Uno? Due? E sai chi sta lavorando al Ministero? Augustus Rookwood! Rookwood, capisci?! Nel Dipartimento Misteri, a giudicare dalla targhetta>>inveì Andromeda, quasi leggendo il pensiero del fidanzato.

Era davvero stufa di essere indicata come la sorella di una delle Mangiamorte più pericolose in circolazione. I tre Lestrange –Bellatrix, Rodolphus e Rabastan- erano infatti considerati fra i Mangiamorte più leali a Lord Voldemort e Bellatrix forse era la più temuta di tutti. Unica donna della compagnia, conosceva ogni metodo per infondere terrore, disperazione e dolore nelle sue vittime. Si diceva che avesse portato alla pazzia diverse persone torturandole, era diventata quasi una leggenda, un esempio per tutti i futuri Mangiamorte, nessuno di coloro che la conoscevano pensavano ancora  a lei come la ragazzina di Hogwarts che era, tutto sommato, innocente. Pareva invincibile, nessuno poteva batterla o resisterle.  

Andromeda asciugò con rabbia la lacrima che le scivolò sulla guancia, ora tutti i suoi sogni erano infranti anche per colpa dei suo parenti. Ma che colpa aveva lei se era nata Black? Che colpa poteva mai avere se la sua sorella maggiore aveva deciso di diventare Mangiamorte e se il fidanzato della sorella più piccola si era appena unito a loro? Perché la sua vita doveva essere condizionata da altre persone? Dal quarto anno aveva iniziato a studiare notte e giorno per diventare Auror, aveva sempre preso il massimo dei voti, era fra le migliori della scuola, non dovevano guardare solo a ciò o a quello che era lei? E ora anche quel sogno di era infranto, solo perché nata nella famiglia sbagliata, famiglia che non vedeva ormai da parecchio, troppo tempo.

E, come se non bastasse, non riusciva neanche a trovare una casa che le andasse bene. Non era un problema di soldi. Sebbene quello che aveva alla Gringott non era nemmeno un decimo della ricchezza dei suoi genitori, non si preoccupava del costo, poteva permettersi tutto. Solo che alcune erano troppo vicine alla città, altre troppo lontane, altre troppo piccole, altre non erano adatte per lei.

Viveva ancora a casa Tonks, ma sapeva di non poter restare lì ancora molto, per quanto i genitori di Ted continuassero a ripeterle che poteva rimanere a casa loro anche per tutta la vita. Non aveva grandi pretese, nemmeno sulla città, le andava bene qualsiasi cosa.

<< Vedrai, Meda, la troverai la casa adatta. E anche un buon lavoro, poco importa se non ho ancora capito cosa sia esattamente un Auror. >>

Un paio di giorni dopo, a colazione parlavano ancora del rifiuto da parte del Ministero di farle sostenere l’esame per diventare Auror con grande rammarico di Andromeda. Non voleva più sentirne parlare, ma le pareva una cosa alquanto sgarbata da dire, così si limitava a rispondere vagamente e a cercare di cambiare il più spesso possibile discorso.

<< Vuoi ancora del succo d’arancia? >> le chiese ora Katherine Tonks, che prima che potesse rispondere le riempì nuovamente il bicchiere.

<< ‘Dromeda, hai da fare oggi? >> le chiese Ted, mandando già una considerevole porzione di porridge. << Non importa, dimentica qualsiasi cosa tu abbia da fare oggi, devi venire con me. >>

Erano un paio di settimane che Andromeda sentiva Ted distante, le pareva sempre immerso nei suoi pensieri e distaccato dal mondo intero, compresa lei, e la cosa la infastidiva e non poco.

<< Allora? Dove mi vuoi portare? >> gli chiese un’ora dopo, quando si erano entrambi lavati e cambiati, pronti per uscire.

<< Ho preso un appuntamento… >> rispose Ted << Tu non ti preoccupare, ci penso io >> sorrise il ragazzo, afferrando la fidanzata per il braccio e smaterializzandosi.

<< Dove siamo? >> gli chiese Andromeda, una volta materiliazzati << Perché mi hai portata in aperta campagna? >>

<< Non è aperta campagna. La città è a solo quattro chilometri da qui. E’ vicina. Solo, ora bisogna camminare per un duecento metri, non potevamo materializzarci davanti all’agente immobiliare, non trovi? >>

<< Agente immobiliare? >> chiese Andromeda, senza fiato << Hai trovato una casa per me? >>

<< Forse… >>

<< Non riesco a crederci… >> mormorò un paio d’ore dopo Andromeda. << Questo… questo paradiso a così poco prezzo. >> Quel pomeriggio avrebbe convertito il suo denaro in quello Babbano e avrebbe sbrigato le ultime formalità e poi quella casa sarebbe stata sua.

Era una grande villa poco fuori Brighton, si trovava in aperta campagna, ma comunque l’oceano era raggiungibile in meno di mezz’ora di cammino, tant’è che a volte si potevano sentire i gabbiani. Il giardino non era grande quanto quello di Casa Black, ma Andromeda lo riteneva decisamente più bello. Perlomeno, non era pieno di cipressi. Era un giardino molto ben curato, carico di fiori , con pini particolarmente alti e diversi alberi da frutto e perfino con un gazebo.

Un sentiero portava all’ingresso della casa, una villa a due livelli in puro stile inglese, completa di garage. Ovviamente il garage sarebbe stato trasformato, probabilmente in una serra per coltivare ingredienti per pozioni varie, cosa che le sarebbe tornata molto più utile. Arrivati alla fine del sentiero, c’erano tre gradini che poi portavano in un porticato che corrispondeva al balcone del piano superiore e che precedeva la porta d’ingresso, in legno bianco. All’interno, il pavimento era interamente di legno, escluso nella cucina e nei bagni, dove c’era marmo bianco. Al primo piano c’erano due salotti, uno studiolo, la cucina, la sala da pranzo, un bagnetto e un ripostiglio, mentre salendo le scale si poteva accedere alle camere da letto e ad un altro bagno.

I precedenti proprietari avevano lasciato la casa arredata, completa di amaca e tavolini all’aperto. L’arredamento interno era in stile antico, di legno scuro contrastato spesso con tessuti chiari, che rendevano gli ambienti ancora più luminosi. Ad Andromeda di quella casa piaceva veramente tutto, dal giardino alla carta da parati, perfino i mobili le risultavano graditi. Era la casa che aveva sempre sognato, in una zona tranquilla, senza vicini e dove avrebbe potuto tenere diversi animali. E poi lei amava l’aria di mare che impregnava quel luogo.

<< E’ forse anche troppo grande per viverci da sola >> ridacchiò Andromeda, che continuava a guardarsi attorno, entusiasta ed estasiata.

<< Nessuno ha mai detto che tu debba viverci da sola >> sussurrò Ted, ad un tratto serio e visibilmente teso. Ci aveva pensato per settimane su quello che stava per dirle, quelle due stupide parole che lo bloccavano e lo agitavano. Non se ne sarebbe pentito, solo temeva la reazione di lei, temeva un suo rifiuto. Ah, ma per quale ragione avrebbe dovuto rifiutare, se per lui era andata via da casa? Ma la paura, si sa, è una cosa irrazionale. << Sposami, Black. >>

Andromeda si sentì quasi mancare quando udì quelle parole. Sposarlo… Sì, si era aspettata una proposta del genere, in realtà l’attendeva da parecchio, ma il sentirla così all’improvviso era sempre spiazzante. << Tonks… >> mormorò, con un filo di voce.

Ecco, aveva sbagliato tutto. Ted avrebbe preferito morire che sentire il suo no, cosa che sarebbe successo presto a giudicare dal tono di voce usato dalla ragazza. << Sì? >> chiese, a malincuore.

<< No, Ted, non hai capito nulla. Hai sbagliato tutto. Tonks, non Black. Ma se preferisci, puoi chiamarmi signora Tonks. >>

 

*

 

La mattina dopo, i due ragazzi stavano iniziando a riporre le loro cose nei bauli, poi da lì a qualche giorno si sarebbero trasferiti nella loro nuova casa.

Andromeda la sera prima aveva scritto ai genitori, dando loro sue notizie per la prima volta dopo un anno e mezzo. Aveva scritto loro che a dicembre si sarebbe sposata con Ted Tonks, il Nato Babbano. Avevano deciso di sposarsi a dicembre, durante le vacanze, per far sì che i loro amici che frequentavano ancora Hogwarts (come Gwenog, che al suo settimo anno era finalmente riuscita a diventare Capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde) potessero presenziare al matrimonio. Rito magico, ovviamente. I parenti di Ted si sarebbero adeguati, di amici Babbani lui non aveva, non più almeno.

Un gufo bussò alla finestra della camera di Andromeda. Quel gufo lo conosceva come quello di Narcissa, così aprì la finestra e prese la lettera dalle sue zampe. Non appena fece quel gesto, il gufo partì. Non era una lettera lunga, del resto non lo era stata nemmeno la sua. Era più un bigliettino, aveva solo dato la notizia del suo matrimonio.

 

Siamo profondamente delusi e disgustati dal tuo comportamento. Abbiamo a lungo sperato in un tuo risveglio, ma vedo che le nostre speranze sono state vane.

Abbiamo già provveduto a cancellarti da ogni albero genealogico e da ogni arazzo riguardante la famiglia Black. Da questo momento, ritieniti diseredata. Tu non sei più nostra figlia, non sei più una Black. Per il profondo disonore che tu hai gettato sulla nostra famiglia, non sei nulla più della stessa feccia che la nostra famiglia ogni giorno tenta di contrastare.

Se mai le nostre strade si incroceranno nuovamente, puoi star certa che nulla ci vieterà di disprezzarti, di sfidarti a duello anche. Se nostra figlia Bellatrix t’incontrerà di nuovo, non ci saranno più vincoli parentali che le impediranno di ucciderti.

Traditrice del sangue, feccia, disonore dell’intero mondo magico.

 

Cygnus e Druella Black.

 

Londra, Stazione di King’s Cross, 1 settembre 1971

 

<< Walburga! >> Cygnus intravide la sorella attraversare la barriera della stazione col figlio maggiore e subito la chiamò.

<< Cygnus, Druella >> li salutò Walburga, raggiungendo i parenti. << Cissy >> sorrise poi alla nipote << Finalmente sola ad Hogwarts, eh? >>

<< Beh, quest’anno ci sarà Sirius con me >> rispose Narcissa, posando gli occhi glaciali sul cugino, squadrandolo dall’alto al basso. Era solo un bambino…

Sirius ricambiò lo sguardo con una espressione di sfida, non vedeva l’ora di salire sul treno, così per la prima volta dopo undici anni avrebbe detto addio alla famiglia, almeno per quattro mesi. A Natale sarebbe tornato, anche solo per scappare di casa un giorno ed assistere al matrimonio di Andromeda. Da quando aveva saputo la novità, le aveva scritto di nascosto con maggiore frequenza. Quando l’anno precedente lei andò via di casa,  gli scrisse per la prima volta. Sirius fu sorpreso, ma iniziarono una corrispondenza più o meno assidua. Quella sì che era una ragazza, non quelle due cugine che gli decantavano come esempio e perfezione.

Di Narcissa non si preoccupava, sarebbe stata lei la prima a non cercarlo. Era solo un undicenne e lei probabilmente doveva fare la prima donna della situazione, e non poteva farlo se si portava dietro per dietro il cuginetto di undici anni.  Chissà, magari sarebbe finito anche in un’altra Casa… Serpeverde non faceva per lui e poi Andromeda gli aveva dato l’esempio…

<< Chi hai visto? >> chiese Druella sottovoce al marito, quando lo vide fare una smorfia di disprezzo.

<< I Potter. Evidentemente anche il loro bambino frequenterà Hogwarts da quest’anno. Ecco, Sirius, il loro figlio lo devi evitare in tutti i modi. Purosangue sì, anche nostri lontani parenti credo, ma sono Babbanofili… >>

Sirius si voltò a guardare nella stessa direzione in cui guardavano gli altri parenti. Doveva essere quel ragazzo con i capelli neri che sembravano non vedere un pettine da diversi anni e con degli occhiali tondi. Sorrise quando i loro sguardi si incontrarono per un secondo. Quel ragazzo ancora non lo conosceva, ma sentiva che gli stava tremendamente simpatico.

<< Andiamo, Sir >> gli disse Narcissa, mentre il padre le trascinava il baule verso il treno << E’ ora.>>
Sirius afferrò il suo baule e lo spinse fino al treno, guardando con invidia la cugina. Anche lui avrebbe voluto un padre che gli portava il baule sul treno, ma suo padre forse non sapeva nemmeno che quel giorno sarebbe partito per Hogwarts, e probabilmente non si sarebbe neanche accorto della sua assenza.

Quando i parenti furono ormai lontani, Narcissa si girò verso di lui << Sentimi bene, Black. Prova ad avvicinarti a me quest’anno e ti disintegro. Io ora vado nella carrozza dei Prefetti e non ti voglio più vedere se non fino alle vacanze. >>

<< Sta tranquilla, Black. Sono io che non voglio avvicinarmi a te e alle tue amichette, sei troppo stupida per i miei standard. Ci si vede! >>

Narcissa entrò, umiliata, offesa e indispettita nella carrozza di testa, mentre Sirius tentava ancora di portare sul treno il suo bagaglio.

<< Serve una mano? >>

<< Sì, grazie >> rispose Sirius. Alzò lo sguardo e riconobbe il giovane Potter. Beh, era anche gentile. Un motivo in più per frequentarlo.

Il ragazzo lo aiutò a salire il bagaglio sul treno, poi lo guidò fino allo scompartimento da lui occupato << C’è spazio qui, se vuoi. >>

<< Mi chiamo Sirius Black >> si presentò lui, mettendo il suo baule sulla grata sopra ai sedili.

<< James Potter. >>

La loro attenzione fu subito catturata da una ragazzina dai capelli rossi e occhi verdi che bussò al loro scompartimento << Posso? Sapete… non ci sono più posti liberi… >>

James annuì, distratto, per poi tornare a parlare con quel ragazzino dai capelli neri che aveva appena conosciuto.

La ragazzina, dall’aria triste, probabilmente reduce da un litigio, tentò di intromettersi nella conversazione << Ciao, io sono Lily Evans… >>

<< Sì, interessante >> mormorò James, anche se dal suo tono si capiva che non c’era il minimo interesse. << Davvero hai fatto saltare in aria la cucina di casa tua? >> chiese poi al Black, con aria affascinata.

Sirius annuì, ridendo << Sì, mentre poi una volta incollai mio fratello alla porta del bagno… >>

<< Oh, io una volta feci diventare verde la pelle della mia vicina di casa. E’ una ragazzina antipatica, sai? Anche presuntuosa, non perdeva l’occasione di prendermi in giro. Sì, ma poi i suoi genitori dissero che era posseduta dal demonio o una cosa del genere, chiamarono anche l’esorcista. In effetti quella fu la mia prima magia… credo. >>

A lungo i due continuarono a parlare, chiassosi. La ragazzina chiamata Lily Evans tentò in tutti i modi di ignorarli, premeva il viso sul vetro dello scompartimento, rannicchiata.

La porta dello scompartimento si aprì nuovamente, facendo entrare un altro primino, che indossava già la divisa.

*Lily gli gettò un’occhiata e poi tornò a guardare fuori. Sirius le lanciò uno sguardo e si accorse che gli occhi della ragazza erano gonfi e rossi, il volto ancora rigato dalle lacrime.

<< Non voglio parlare con te >> la sentì dire al ragazzo. Poi mormorò qualcosa su una certa Tuney e di una lettera, dopodiché la sua attenzione fu nuovamente catturata da James.

<< Speriamo che tu sia una Serpeverde >> disse l’ultimo arrivato, che non aveva degnato di uno sguardo gli altri due ragazzini.

<< Serpeverde? Chi vuole diventare un Serpeverde? Io credo che lascerei la scuola, e tu? >> chiese James a Sirius, che non sorrise.

<< Tutta la mia famiglia è stata Serpeverde >> rispose mestamente il Black.

<< Oh, cavolo. E dire che mi sembravi a posto >> sbottò James. Aveva davanti un Purosangue Serpeverde e non l’aveva riconosciuto. Aveva sentito parlare dei Black, di Bellatrix, ma immaginava che il ragazzino avesse solo lo stesso cognome, era così diverso dalla descrizione della famiglia fattagli dai suoi genitori.

<< Probabilmente romperò la tradizione >> ghignò Sirius. La reazione dei parenti vari sarebbe stata alquanto divertente, non glielo avrebbero perdonato mai, forse si sarebbero perfino dimenticati del matrimonio di Andromeda. Probabilmente sarebbe stato diseredato anche lui, e la cosa non poteva che fargli piacere, perlomeno non avrebbe più avuto nulla a che fare con la sua “famiglia”.*

Poco tempo dopo, Sirius e James avevano già preso in antipatia quel ragazzetto, che a quanto pare rispondeva la nome di Severus, anche se Sirius lo aveva già ribattezzato Mocciosus.

<< Guarda! >> quasi strillò James, indicando un punto fuori dal finestrino << Quella è Hogwarts, siamo arrivati! >>

<< Finalmente >> sorrise Sirius << Spero che sia valsa la pena di farsi questo viaggio in treno… >>

Poco dopo, i due ragazzi erano su una barchetta che avrebbe attraversato il lago di Hogwarts. Fissavano rapiti il castello che si ergeva direttamente a picco sul mare.

<< Ad ogni modo, io sono Sirius Black, e questo è James Potter >> Sirius decise che i due ragazzi che aveva davanti erano degni della sua attenzione, o perlomeno lo era quel ragazzo dai capelli castano chiaro.

<< Remus Lupin >> sorrise quello, presentandosi a sua volta.

<< E io sono Peter Minus >> intervenne timido l’altro ragazzo, che Sirius guardò di sfuggita per un secondo. Se doveva descriverlo con una parola, quella era comune.

<< Remus >> ripeté Sirius << Non hai l’aria molto sana, sei appena uscito da una malattia? >>

Remus parve preso alla sprovvista, e dapprima balbettò confuso.  << Oh, no, è solo un po’ di stress. Mia madre non sta molto bene… Quasi mi pento di esser venuto qui >> disse poi, mestamente, distogliendo lo sguardo.

<< Mi dispiace, amico >> disse James << In che casa pensate di stare? >> chiese.

<< E’ la tredicesima volto che ti sento fare questa domanda >> sbuffò Sirius, per poi scoppiare a ridere << Cambia disco, James! >>

<< Tanto fra poco non avrò più bisogno di chiederlo, Sirius! >>

Già, lo Smistamento… Sirius non ne era preoccupato, e da quel momento era ansioso sì, ma di sfidare attraverso quel Cappello secoli di storia Black.

Quando mise piede per terra quasi correva per la fretta che aveva di raggiungere la Sala Grande.

<< Insomma, Sirius, vuoi rallentare un po’? >> gli chiese James, affiancandolo e tentando di riprendere fiato.

<< Spiacente, ho una famiglia da disonorare! >> ridacchiò Sirius, euforico. Una porta, una stupidissima porta lo separava dalla Sala Grande, dal suo futuro. Inveì contro la porta a lungo, quando finalmente quella si aprì. Dovette attendere che altre otto persone fossero smistate, poi a passo veloce e con aria di sfida avanzò verso il Cappello Parlante quando la professoressa che lo aveva fermato fuori dalla stanza esclamò << Black, Sirius. >>

Sirius cercò con lo sguardo Narcissa, che era seduta al centro del tavolo di Serpeverde, sorseggiando distratta un succo di zucca. Sirius sorrise e quasi strappò il Cappello dalle mani della professoressa. Una volta seduto, se lo posò sul capo. Fu una cosa rapida, bastarono pochi secondi.

<< GRIFONDORO! >> urlò il Cappello Parlante.

Narcissa sputò il suo succo di zucca, che andò a colpire in parte il tavolo e in parte una primina. Spostò lo sguardo sul cugino, incredula. << Cosa? >> urlò a sua volta, saltando in piedi.

Ruth, seduta al suo fianco, la tirò per una manica << Non dare spettacolo >> aggiunse poi, pacata. Certo, la situazione era particolare…

Sirius si voltò nuovamente verso la cugina e sorrise, con aria di trionfo. Vittorioso, si sedette al tavolo di Grifondoro, accanto ad un altro ragazzino smistato poco prima. I più adulti, che ancora ricordavano i tempi di Bellatrix e che ben conoscevano Narcissa si voltavano e si sporgevano da ogni tavolo per osservare quel Black che non era finito a Serpeverde, stupiti.

Sirius, poi, colse il primo momento buono per mostrare alla cugina, in quel momento rappresentante della sua famiglia, l’indice e il medio della mano destra, gesto ben poco gentile nel Regno Unito. Incredibilmente, ce l’aveva fatta. Incrociò poi lo sguardo di James, che rideva. Da quella mattina James aveva imparato così tante cose su Sirius che quasi poteva affermare di conoscerlo meglio della sua famiglia. Conosceva i caratteri delle cugine e l’affronto della media, conosceva anche le intenzioni di Sirius nei riguardi della famiglia, in effetti sentiva quasi di definirlo già un fratello.

Narcissa scostò sdegnata e incredula lo sguardo dal cuginetto. Poteva prevedere la reazione della famiglia una volta scoperto il misfatto, cosa che sarebbe accaduto molto presto. Dapprima aveva pensato che si trattasse di un errore, insomma Sirius era sì strano, ma era pur sempre suo cugino, era pur sempre un Black. Poi nei suoi occhi lesse la consapevolezza di quello che era successo e vide che era felice. E, come se non bastasse, si era anche preso gioco di lei. Stupido nanerottolo Grifondoro. La sola idea di vedere un Black con i colori rosso ed oro addosso era nauseante, nessuno in famiglia aveva indossato colori diversi da quelli di Serpeverde, mai. C’era anche chi in famiglia diceva che loro stessi discendessero da Serpeverde, a questo Narcissa non credeva ma il loro sangue restava il più puro in circolazione. Secoli e secoli di magia e di matrimoni mandati in fumo da un ragazzino presuntuoso e arrogante. Narcissa vide che una ragazzina dai capelli rossi gli si sedette accanto, una Mezzosangue sicuramente, e la vide dargli le spalle sdegnata. Poi lo raggiunse il giovane Potter, con cui pareva aver fraternizzato nonostante gli ordini della famiglia.

Narcissa all’improvviso non ebbe più fame, e molto prima del discorso finale del Preside decise che ne aveva abbastanza di quella farsa, così si alzò e si diresse al suo dormitorio. Avrebbe scritto una lunga lettera a casa.

 

*

 

<< Allora? Come l’hanno presa i tuoi? >> James affiancò Sirius mentre questi usciva dall’aula di Incantesimi, ultima lezione del primo giorno di scuola.

Sirius sorrise << Il solito, mi minacciano di morte e di diseredarmi, come se m’importasse veramente qualcosa di loro >> ridacchiò << Basta guardare lo sguardo assassino di Narcissa, è lei che ha dato la notizia a casa. Si mormora anche che Malfoy non accetti di essere fidanzato con la cugina di un Grifondoro, ma queste sono solo voci, e in caso non mi dispiacerebbe nemmeno >>.

L’odio era ben radicato in lui e lo muoveva ad andare controcorrente senza un reale motivo, senza neanche capire il perché stesse compiendo una determinata azione, sapeva solo che lui doveva fare tutto ciò che la sua famiglia gli proibiva e sarebbe stato contento.

 

Londra, novembre 1971

 

Bellatrix sedeva impeccabile alla tavola della famiglia Lestrange, per una cena di famiglia. Lei non sopportava queste interminabili e noiosissime cene, in cui la suocera le chiedeva almeno tre volte quando avessero intenzione di avere un figlio, e puntualmente Bellatrix le rispondeva che non lo sapeva, che era troppo presto, anche se in realtà sapeva che lei un figlio non l’avrebbe avuto mai, poiché un figlio le avrebbe rovinato tutto ciò che aveva costruito con tanta dedizione.

Se si era pentita di aver sposato Rodolphus? No. Chiaro, non lo amava, ma alla fine era meglio di tanti altri, dopo i primi mesi di matrimonio si era rassegnato all’idea che era lei a comandare, e non lui. E poi era così ingenuo… Bellatrix non gli era fedele, sentiva quasi la necessità di tradirlo, di violare quel vincolo che si era imposta, violare le regole era da sempre la sua passione. Rodolphus le permetteva di ricevere in casa chiunque volesse, forse perché si fidava ciecamente di lei, forse perché non avrebbe mai immaginato che lei potesse tradirlo col fratello, anche se da tempo aveva messo gli occhi addosso al suo migliore amico, nonché fidanzato della sorella, Lucius.

Rodolphus ovviamente lavorava, era lui a portare uno stipendio a casa. Bellatrix, invece, si dedicava anima e corpo a quello che alla fine era il suo vero e puro amore. Non passava minuto ch’ella non pensasse al Signore Oscuro e alla sua grande opera e non riusciva a capacitarsi che lei era davvero parte integrante di essa, che aveva il privilegio di conoscere e di rivolgere la parola a lui, Lord Voldemort.

Lei era terrorizzata dal suo Signore, e per questo non poteva fare a meno di amarlo. Lo amava con tutto il cuore, con trasporto, per lui era pronta anche a morire, bastava ch’egli muovesse un dito o pronunciasse una parola e lei avrebbe fatto tutto, ma davvero tutto, anche ammazzare la sua tanto amata madre. Ormai l’aveva capito; per amare una persona, doveva averne paura.

Lei era potente, ne era consapevole, e non poteva amare una persona più debole di lei. Trovare una persona più forte di lei era difficile, ma ne aveva incontrate ben due durante la sua seppur breve vita; la madre – l’unica che fosse riuscita a metterla in riga, colei che le aveva fatto capire cosa fosse veramente la vita- e il Signore Oscuro, il più potente di tutti. Del resto non le importava, erano solo figurine scialbe che provavano sentimenti umani e quindi erano deboli, degli altri se ne sarebbe volentieri separata, ma delle sue guide –una dell’infanzia, una della vita- non ne avrebbe mai fatto a meno.

Lei era Bellatrix Lestrange e il solo suono del suo nome avrebbe fatto tremare chi l’udiva. Avrebbe iniettato il terrore nelle vene delle sue vittime.  Avrebbe gioito del loro dolore, così come le era stato insegnato fin da piccola. Perché era proprio dal dolore altrui che lei traeva la sua forza, essendo ormai priva di sentimenti. Amava far soffrire gli altri, erano quei momenti a farla sentire viva, amava farli soffrire fino all’ultimo secondo, torturarli, farli diventare pazzi, fare in modo che della loro vita non ricordassero nulla, amava essere implorata, sentirli implorare la morte la faceva sentire invincibile, la morte la concedeva raramente, solo se era abbastanza soddisfatta, altrimenti li avrebbe fatti soffrire a lungo, per poi lasciare tutti inermi, privi di sensi, prossimi e allo stesso tempo lontanissimi alla morte. La clemenza non era per lei, la pietà nemmeno. Lei non era buona, lei era cattiva.

 

Brighton, 28 dicembre 1971

 

<< Bella casa… >> commentò James, entrando con Sirius nella casa dei Tonks. Sirius era andato dai Potter per le vacanze, così da poter presenziare al matrimonio di Andromeda, che non si sarebbe perso per nulla al mondo. Così, lui e James avevano usato la Metropolvere ed ora cercavano un posto nel giardino. C’era molta gente, più di quanta Sirius si aspettasse. Molti degli invitati li aveva visti ad Hogwarts, sapeva che frequentavano gli ultimi anni, altri probabilmente erano amici di vecchia data. C’era anche qualche parente di Ted, che ovviamente Sirius non conosceva, ma che individuava facilmente a causa dello sguardo sconvolto con cui assistevano alle varie preparazioni.

<< Sirius! James! >> li chiamò Gwenog, sorridendo e andando loro incontro. Sirius e James non avevano particolare simpatia per i Serpeverde, ma dovevano riconoscere che Gwenog Jones era un caso a parte, come del resto lo era la stessa Andromeda.

<< Ted? >> le chiese Sirius, curioso di conoscere il marito della cugina. Aveva tanto sentito parlare di lui, descritto dalla famiglia nei modi peggiori ed era proprio questo il motivo per cui era tanto ansioso di conoscerlo.

<< Attendi ancora un poco, Black, e lo conoscerai >> ridacchiò Gwenog, particolarmente agitata perché era stata scelta come testimone. Era curioso, si trovava a testimoniare un amore che aveva reputato per moltissimi anni impossibile. << Ed ora, scusami, ma vado da Meds! >>

<< Meda! Sei pronta? >> quasi le urlò attraverso la porta. Come tutta risposta, la Black uscì dalla stanza, raggiante, splendida. Il vestito era candido, senza maniche, costituito da uno stretto corpetto e da una gonna piuttosto larga, le spalle coperte da una stola. Aveva freddo, anche vista la data, ma in realtà non se ne rendeva conto, vista la sua immensa felicità. Il viso era abbellito da un filo di trucco e i capelli, sempre tagliati in un carré, erano adornati da una coroncina.

Gwenog non poté fare a meno di sorridere a sua volta, tanto era contagiosa l’allegria della sposa.

Arrivarono all’esterno del padiglione e Gwenog la precedette all’interno. Di quel che accadde dopo, Andromeda non aveva ricordi molto chiari. Ricordava quanto fosse bello Ted nel suo vestito elegante, ricordava che fu accompagnata da lui dal padre di Gwenog. Suo padre, ovviamente, non c’era e questo il giorno prima aveva causato un po’ di amarezza nella Black. Alla fine, gli voleva bene, e ci teneva davvero a vederlo al suo matrimonio, ma l’unico membro della sua famiglia presente era il cuginetto.

Quando raggiunse Ted non poté fare a meno di guardarlo a lungo, raggiante. Entrambi i ragazzi si dovettero concentrare per prestare attenzione al mago che li stava sposando tanto grande era la loro contentezza. Non prestavano attenzione a nessuno, esistevano solo loro due e quel fastidioso mago che pronunciava parole che non capivano. Confusi, sbagliarono più volte qualche passo, qualche gesto, ma parevano non accorgersene. Volevano che quello stupido mago finisse di borbottare parole, volevano vivere il loro matrimonio, non sentire delle parole prive di senso.

<< Vuoi tu, Ted, prendere Andromeda Hesper come moglie? >>

<< Sì >> Ted non poté trattenersi dal ridacchiare mentre esprimeva il suo consenso e i suoi occhi si posavano su quelli, incantevoli, della sua promessa sposa.

<< E vuoi tu, Andromeda Hesper, prendere T…? >>

<< Sì! >> esclamò Andromeda, ben prima che il mago potesse completare da formula come da rito. Al diavolo le formalità, perché mai doveva essere lì in quel momento se non per sposare quel ragazzo che le stava di fronte?

<< Dunque io vi dichiaro uniti per sempre >>.

Ted quasi saltò addosso ad Andromeda, baciandola con trasporto, mentre lei si stringeva a lui e il mago –di cui si erano già dimenticati l’esistenza- levò la bacchetta sopra le loro teste e diede via ad una pioggia di stelle argentate.

<< Ti amo, ‘Dromeda >> le sussurrò poi Ted, mentre lei non voleva saperne di separarsi da lui.

Aveva fatto la sua scelta ed ora era sicura che non sarebbe tornata indietro mai e poi mai, nemmeno se avesse potuto. Era quella la sua via, sapeva che il suo destino era stato quello, si rendeva conto solo ora di come sapesse già da parecchio tempo, da quando ancora non sopportava suo marito, che presto o tardi sarebbe diventata la signora Andromeda Hesper Tonks. O, più semplicemente, ‘Dromeda.

 

N.b.

Fra i segni “*” sono riportate frasi contenute nel capitolo 33 de “Harry Potter e i Doni della Morte”.
P.s. Finalmente ho front page, così non dovrò più sbattere con i codici! Un aspetto decente!

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Capitolo 15
*** Epilogue ***


Nuova pagina 1

Epilogue

 

Due donne si fronteggiavano, non più giovani. Due paia d’occhi, uno marrone, l’altro glaciale, si fissavano per la prima volta dopo più di vent’anni.

<< Narcissa. >>

<< Andromeda. >>

Le due donne si salutarono, freddamente, per poi entrare in un bar un po’ fuorimano, dove avrebbero potuto parlare tranquillamente. La più giovane ordinò un te’, incapace di staccare gli occhi dall’altra donna, che un tempo fu sua sorella. Non la vedeva da molti, troppi anni, ci aveva messo qualche minuto a capire che lei era Andromeda. Erano passati vent’anni dalla fine della seconda guerra, dalla morte di Bellatrix, ma Andromeda era vecchia dentro, non solo esteriormente. E come non capirla? Aveva perso il cugino, il marito, la figlia e il genero, aveva perso tutto. Le rimaneva solo il nipote, figlio di sua figlia.

Narcissa non aveva mai conosciuto la nipote, non sapeva nemmeno come si chiamasse.

In quel momento, si rese di quanto fosse stata sciocca in tutti quegli anni a lamentarsi della sua sorte. Suo marito era ancora vivo e lei l’amava, sapendo anche di essere ricambiata, aveva un figlio meraviglioso, sposato, che le aveva dato un nipotino. La sua famiglia era caduta in disgrazia dopo la fine della seconda guerra, ma almeno lei aveva una famiglia, aveva dei parenti.

La donna che le sedeva davanti, invece, non aveva nulla.

<< Sono felice che tu sia venuta >> disse Narcissa, tentando di abbozzare un sorriso, che le morì subito quando i suoi occhi lessero tutta la tristezza impressa sul volto della vecchia sorella.

Andromeda annuì, serrando le labbra. Non sapeva veramente perché avesse accettato la richiesta di Narcissa di rivedersi, ma quando ricevette la lettera non poté fare a meno di pensare ai vecchi tempi, ai tempi di quando provava ancora qualcosa per la vita e non attendeva la morte con una spenta rassegnazione.

<< La verità è che… in questi anni mi sei mancata, Andromeda. >>

La donna più anziana fece una smorfia << Sapevi benissimo dove trovarmi, Malfoy. Eppure non mi hai mai cercata. >>

<< Sei mai andata a trovare i nostri genitori? O… >> Narcissa tacque, all’improvviso le mancò il coraggio di nominare Bellatrix.

<< Una volta, un bel po’ di anni fa, andai da tuo padre. Ma da tua madre non sono mai andata. Non le sono mai stata affezionata quando era ancora in vita, sarebbe stato ipocrita andare a trovarla da morta. So anche cosa vuoi chiedermi, ma ti risponderò solo che non intendo visitare la tomba della donna che uccise mia figlia. >>

Il resto del tempo, pochi minuti, lo passarono in silenzio. Alla fine, Narcissa si alzò << Devo andare. Vienimi a trovare qualche volta. >>

Entrambe sapevano che quelle parole erano state pronunciate più per convenienza ed in entrambe quel pomeriggio aveva riaperto ferite mai del tutto cicatrizzate. Andromeda non andò mai a trovare Narcissa, che si riguardò dal ripeterle l’invito.

Fu quello il loro ultimo incontro, da allora non si rividero mai più, e con loro si spense anche la famiglia Black. Famiglia che rappresentava un ideale per i più, un flagello per i pochi, ma che in entrambi i casi procurò la medesima cosa: sofferenza.

 

-

 

E così si chiude anche questa fanfiction. Dopo un anno e mezzo mi sembra incredibile, ci ho dato l'anima, mi sono dannata e ora è finita. E va beh. Ringrazio tutti coloro che hanno recensito/messo la storia fra i preferiti/messo la storia fra quelle seguite, ma in particolar modo ringrazio quella pazza della mia gemella di due anni più piccola separata alla nascita. E' lei che ha sempre sopportato tutto.

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