Il Drago e la Tigre

di D_Cocca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Nato dalle Tenebre ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - L'inizio del viaggio, il fratello del domani (Parte I) ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 - L'inizio del viaggio, il fratello del domani (Parte II) ***
Capitolo 4: *** Capitolo 1 - L'inizio del viaggio, il fratello del domani (Parte III) ***
Capitolo 5: *** Capitolo 1 - L'inizio del viaggio, il fratello del domani (Parte IV) ***
Capitolo 6: *** Capitolo 2 - Le catene del Drago (Parte I) ***
Capitolo 7: *** Capitolo 2 - Le catene del Drago (Parte II) ***
Capitolo 8: *** Capitolo 2 - Le catene del Drago (Parte III) ***
Capitolo 9: *** Capitolo 2 - Le catene del Drago (Parte IV) ***
Capitolo 10: *** Capitolo 3 - Un'utopia, poi i Monti Bezor (Parte I) ***
Capitolo 11: *** Capitolo 3 - Un'utopia, poi i Monti Bezor (Parte II) ***
Capitolo 12: *** Capitolo 3 - Un'utopia, poi i Monti Bezor (Parte III) ***
Capitolo 13: *** Capitolo 4 - L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l'Oracolo (Parte I) ***
Capitolo 14: *** Capitolo 4 - L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l'Oracolo (Parte II) ***
Capitolo 15: *** Capitolo 4 - L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l'Oracolo (Parte III) ***
Capitolo 16: *** Capitolo 4 - L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l'Oracolo (Parte IV) ***
Capitolo 17: *** Capitolo 5 - Nella villa (Parte I) ***
Capitolo 18: *** Capitolo 5 - Nella villa (Parte II) ***
Capitolo 19: *** Capitolo 5 - Nella villa (Parte III) ***
Capitolo 20: *** Capitolo 5 - Nella villa (Parte IV) ***
Capitolo 21: *** Capitolo 5 - Nella villa (Parte V) ***
Capitolo 22: *** Capitolo 6 - Il primo giglio (Parte I) ***
Capitolo 23: *** Capitolo 6 - Il primo giglio (Parte II) ***
Capitolo 24: *** Capitolo 6 - Il primo giglio (Parte III) ***
Capitolo 25: *** Capitolo 7 - Una notte movimentata, Vicino e Lontano (Parte I) ***
Capitolo 26: *** Capitolo 7 - Una notte movimentata, Vicino e Lontano (Parte II) ***
Capitolo 27: *** Capitolo 7 - Una notte movimentata, Vicino e Lontano (Parte III) ***
Capitolo 28: *** Capitolo 7 - Una notte movimentata, Vicino e Lontano (Parte IV) ***
Capitolo 29: *** Capitolo 8 - Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell'Anno (Parte I) ***
Capitolo 30: *** Capitolo 8 - Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell'Anno (Parte II) ***
Capitolo 31: *** Capitolo 8 - Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell'Anno (Parte III) ***
Capitolo 32: *** Capitolo 9 - La verità, il secondo Giglio (Parte I) ***
Capitolo 33: *** Capitolo 9 - La verità, il secondo Giglio (Parte II) ***
Capitolo 34: *** Capitolo 9 - La verità, il secondo Giglio (Parte III) ***
Capitolo 35: *** Capitolo 9 - La verità, il secondo Giglio (Parte IV) ***
Capitolo 36: *** Capitolo 10 - Sailam, la Mangiasogni, la Prova (Parte I) ***
Capitolo 37: *** Capitolo 10 - Sailam, la Mangiasogni, la Prova (Parte II) ***
Capitolo 38: *** Capitolo 10 - Sailam, la Mangiasogni, la Prova (Parte III) ***
Capitolo 39: *** Capitolo 10 - Sailam, la Mangiasogni, la Prova (Parte IV) ***
Capitolo 40: *** Capitolo 11 - Pietra e Sabbia (Parte I) ***
Capitolo 41: *** Capitolo 11 - Pietra e Sabbia (Parte II) ***
Capitolo 42: *** Capitolo 11 - Pietra e Sabbia (Parte III) ***
Capitolo 43: *** Capitolo 11 - Pietra e Sabbia (Parte IV) ***
Capitolo 44: *** Capitolo 12 - Cuore di Drago (Parte I) ***
Capitolo 45: *** Capitolo 12 - Cuore di Drago (Parte II) ***



Capitolo 1
*** Prologo - Nato dalle Tenebre ***


Buongiorno, Buonasera o Buonanotte a tutti, a seconda dell'ora in cui state leggendo. Vorrei scambiare con voi due paroline e fare una premessa, prima che vi accingiate a leggere. Mi scuso per lo stile grezzo a cui andrete incontro in questo prologo e nei primi capitoli, ma questa storia l'ho iniziata a scrivere un po' di tempo fa e il mio stile pian piano si è evoluto, ma non ho ancora deciso di mettere le mani sul prologo e riadattarlo al mio stile attuale; no, prima devo finire l'opera! Questo non vuol dire che il testo sia poco curato o intrapreso da me in modo leggero. Per scrivere questa storia ci sto mettendo tutto l'amore e la dedizione possibili.
In questa storia a sfondo Fantasy voglio farvi partecipi dei miei pensieri attraverso l'evoluzione della personalità di Lenn e Jao, i protagonisti di questa storia. Ho intenzione di prendere in considerazione molti temi delicati, quali l'amicizia, l'amore e la famiglia, ma parlerò soprattutto del razzismo, della morte e degli abusi sui più deboli.
Tenterò di farlo con leggerezza, ma non troppa; di parlare in modo delicato dell'amore tra un padre e una figlia, ma non mancherò nemmeno di sbattervi in faccia la realtà nuda e cruda delle violenze sessuali; vi racconterò storie di persone che trovano serenità dopo tanto dolore e di altre che dopo una vita spensierata devono fare i conti con le responsabilità e la dura realtà.
Questa storia, anche se auto-conclusiva, è la prima di una trilogia, chiamata semplicemente la Trilogia del Drago (
Il Drago e la Tigre, Il Drago e il Cigno, Il Drago e il Maestro).
Spero che vi imbarcherete assieme a me in questo viaggio fisico e metaforico e apprezzerete quello che troverete!
Buona lettura!



Prologo - Nato dalle Tenebre



Freddo. Silenzio. Oscurità. 
Di queste cose era fatto il suo mondo, intorno ad esse avrebbe girato il suo destino. Da anni quelle erano state la sua unica realtà, la sua vita, il suo scopo. 
Ma da quel giorno le cose sarebbero cambiate, non sapeva in che modo, ma l'avrebbero fatto. 
Non aveva paura. Quella era per i deboli. 
Stava in piedi, davanti alla porta del luogo che per sedici lunghi anni era stata la sua dimora, sempre buia e fredda, priva del minimo calore e soprattutto di luce. 
Aveva una missione da compiere, e l'avrebbe portata a termine obbedendo al suo Maestro, il suo unico contatto con l'umanità da quando era piccolo, da quando i suoi genitori lo avevano abbandonato; li odiava, quegli sconosciuti, per quello che gli avevano fatto. Ma d'altronde, odiava tutti senza posa, anche chi non conosceva. Odio e rabbia scorrevano nel suo corpo come il sangue nelle vene, l'Oscurità gli dava poteri distruttivi. 
All'improvviso una voce, grave e potente, si fece sentire. - Ricorda, ragazzo. Lì fuori troverai gente pronta ad ucciderti appena ti vedrà, ma tu dovrai essere più veloce di loro ed eliminarli. Ricorda la tua missione, quella di uccidere tutti gli Impuri, le persone che sono al servizio della Luce. Loro sono nostri nemici da secoli. - 
- Lo so, Maestro. - rispose gelido il ragazzo. 
Passarono altri minuti di interminabile silenzio, nel quale nessuna delle due figure si mosse. In fondo alla stanza, in un angolo, stava rannicchiata una ragazza sui vent'anni, occhi chiari e capelli lunghi e neri che le nascondevano il viso; guardava con tristezza il giovane davanti alla porta, quello che sarebbe dovuto essere suo fratello. Invece era un mostro. E la cosa peggiore era che lui non se ne rendeva nemmeno conto. 
- Quando sarai fuori dovrai superare una prova per dimostrare la tua preparazione, il tuo valore e la tua fedeltà - continuò la possente voce. - Dovrai uccidere la prima persona che incontrerai sul tuo cammino, uomo, donna, giovane o vecchio che sia. Se non lo farai o non sarai in grado di portare a termine il compito, sarai punito con la massima severità... - 
Fece una pausa, nella quale bevve un sorso d'acqua da un bicchiere su di un tavolino lì vicino. Poi riprese. - Verrai espulso dal nostro Clan per sempre - concluse tetro. 
Quelle parole risultarono molto suggestive ed esplicite, e fecero sobbalzare la ragazza in fondo alla stanza. Essere espulsi dal proprio Clan era la peggiore delle disgrazie; non si poteva essere riammessi, e consisteva nella cancellazione del tatuaggio di famiglia disegnato sulla schiena. 
Il giovane, nel buio, sorrise in modo maligno, mentre carezzava il fodero della katana che portava alla cintura - Sarà fatto, Maestro. - "Niente di più semplice." pensò in aggiunta. 
Era sicuro di sé, era consapevole di essere in grado di farlo, lo sapeva fare; aveva vissuto solo per vedere quel giorno e dimostrare la sua forza, dimostrare di essere in grado di far tornare in auge il suo nobile Clan caduto nell'oblio. 
L'uomo si avvicinò alla porta, e fece scattare la serratura. 
- Bene, allora sei pronto per andare. - disse, e poi spalancò violentemente la porta, provocando un gran rumore. 
La luce del mondo entrò vorace nella stanza, come se desiderasse con tutte le forze d'eliminare le tenebre che per anni avevano regnato in quel luogo freddo e che odorava di chiuso; essa ferì gli occhi dell'allievo, che non avevano mai visto la luce del sole, o almeno non così direttamente. Il ragazzo, preso da un momento di debolezza, si portò una mano al viso per proteggersi da quella strana luminosità, che pareva anche un pò minacciosa. Nel vederla, provò un senso di smarrimento misto a curiosità quasi immenso; si ritrovò a desiderare con tutte le sue forze di uscire il prima possibile da lì e vedere il mondo là fuori. 
Quando si ricordò che il suo Maestro lo stava osservando, fece cadere la mano lungo il fianco, e cominciò a camminare verso la luce, verso l'esterno e l'ignoto. 
Appena oltrepassò la soglia, l'uomo che prima era al suo fianco sorrise compiaciuto, poi accennò un saluto con il capo. 
- Buona fortuna, Lenn del Clan del Drago. - 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - L'inizio del viaggio, il fratello del domani (Parte I) ***


Capitolo 1
L'inizio del viaggio, il fratello del domani
Parte I




La porta si richiuse dietro di lui, lasciandolo solo nella calda mattinata, davanti al cielo azzurro e privo di nuvole.
Lenn sbattè più volte le palpebre per abituarsi alla luce del sole, che affrontava per la prima volta in modo così diretto; in quel momento gli parve quasi di rivenire al mondo.
Si guardò attorno per squadrare bene il paesaggio e farsi un'idea del luogo in cui aveva sempre vissuto, ma che non aveva mai visto. In quel momento si trovava su di una collina; davanti a lui c'era una valle modesta, ove sorgeva un piccolo paese. A circondare il complesso di case stavano varie colline particolarmente alte e rocciose, che dividevano tutti gli abitanti di quel luogo dal resto del mondo. La sua stessa casa era posta quasi alla sommità della collina più alta di tutte, isolata e seminascosta da grandi rocce che parevano messe lì appositamente per rendere più difficile la localizzazione dell'abitazione. Da lassù godeva di una visione completa dell'area sottostante.
Se qualcuno l'avesse visto da lontano, il ragazzo sarebbe parso una macchia di scuro inchiostro su di un foglio bianco per quanto risaltasse immediatamente agli occhi in quel paesaggio sereno e piacevolmente variopinto. Il suo corpetto di cuoio nero, tenuto legato da dei lacci, aderiva perfettamente al corpo muscoloso, mettendo in risalto anche la sua magrezza e la visibile elasticità del suo corpo; pantaloni neri a sbuffo e sandali del medesimo colore si abbinavano inoltre ai suoi corti capelli corvini e agli occhi color dell'ossidiana. La sua espressione dura e seria completava il dipinto, non augurando niente di buono.
Il ragazzo strinse il fodero della sua katana come per darsi coraggio, inspirando ed espirando un paio di volte l'aria pulita ed incontaminata; poi cominciò a scendere il pendio scosceso e pieno di enormi massi della collina.
La prima cosa da fare al momento era trovare qualcuno ed ucciderlo per superare la prova impostagli dal Maestro per dimostrare la sua fedeltà al Clan, dopodiché avrebbe pensato a come svolgere la sua vera missione, eliminare gli Impuri, i servitori della Luce.
Camminando con sicurezza e agilità fra i massi non emetteva quasi alcun rumore; scese sempre di più, lasciandosi alle spalle in poco tempo la prima metà della collina.
Improvvisamente si bloccò e si nascose veloce dietro ad un grande masso lì accanto, che torreggiava poco più su rispetto ad un sentiero sterrato.
Aveva sentito delle voci. Queste si fecero sempre più vicine, e mantenendo il sangue freddo, Lenn poggiò nuovamente una mano sulla spada. Avrebbe dovuto uccidere la prima persona che avrebbe visto, come ordinato. Si sentiva pronto ad affrontare chiunque, anche se non avrebbe ammesso neppure a se stesso che il fatto che si trovasse in un luogo del tutto nuovo e mai visto lo faceva sentire teso. Non sapeva nemmeno che aspetto avessero le persone che giravano in quella zona.
Scosse la testa e tenne gli occhi puntati sulla strada sottostante.
Aspettò altri pochi secondi e poi, svoltando l'angolo poco distante, comparve un ragazzo che camminava spensierato e andava per la sua strada, con un gran sorriso ad illuminargli il volto. Era magro e alto quasi quanto Lenn, con corti capelli castano chiaro e un sorriso a trentadue denti disarmante; forse erano coetanei, ma il viso dello sconosciuto aveva un qualcosa di molto infantile che di sicuro lo faceva sembrare più giovane di quel che era in realtà. Portava un grande cinturone stretto alla vita, da cui pendeva una spada dall'elsa massiccia ed il piatto della lama particolarmente ampio, che dava l'impressione di essere più pesante del suo padrone. Al suo seguito comparvero altri tre individui, ma Lenn dedicò loro la sua attenzione nemmeno per un istante. Sorrise malignamente soddisfatto. Il suo obbiettivo era il ragazzo in testa al gruppetto, e non se lo sarebbe lasciato scappare, non dopo anni di addestramento. A prima vista, poi, non sembrava nemmeno un bravo combattente.
Senza curarsi troppo del rumore, sfoderò lentamente la katana. Il ragazzo, ora sotto di lui, si fermò e sbarrò gli occhi dopo aver probabilmente avvertito il suono causato dall'arma sguainata. I suoi compagni lo guardarono, non capendo cosa stesse succedendo all'amico.
- Che ti prende? - gli domandò uno di loro, un ragazzo di colore.
- Ho sentito qualcosa. - rispose il giovane inconsciamente osservato.
Lenn, da dietro il masso, caricò le energie per vibrare il colpo, aveva intenzione di uccidere il ragazzo con un solo fendente ben mirato alla testa; poi lanciò un urlo rabbioso ed uscì allo scoperto, saltando giù dal masso fino alla stradina. La lama della sua katana si sarebbe conficcata nel cranio del suo obbiettivo come previsto, se prontamente uno degli amici del ragazzo non l'avesse tirato indietro per il colletto della camicia, per salvarlo.
Lenn allora atterrò e la sua spada si conficcò nel terreno, bloccandolo per qualche secondo. Imprecò sottovoce.
"Questa non ci voleva!"
Una volta liberata la spada, divaricò le gambe e la tese davanti a sé, in posizione di guardia. Ormai aveva perso l'attimo, s'aspettava un contrattacco da un momento all'altro.
I ragazzi davanti a lui lo guardavano allibiti, come se avessero visto un mostro sbucato fuori dal nulla.
Il ragazzo dai capelli castani lo guardò stranito. - Ma che...? -
Si interruppe per schivare un colpo al viso scagliato da Lenn, guizzato improvvisamente in avanti.
Con agilità rotolò a terra lontano da lui, ed estrasse lo spadone che portava al fianco mentre si rimetteva in piedi. - Ehi! Cosa vuoi fare, combattere? Cerchi rogne? -
Ricevette come risposta uno sguardo deciso di Lenn.
Lo sconosciuto assunse improvvisamente un'espressione compiaciuta dopo aver scrutato bene il suo mancato assassino in viso, poi sorrise divertito. - E va bene, ti accontento! - esclamò così.
Lenn non aspettava altro. In fondo, aveva sperato di incontrare qualcuno abbastanza forte, che non si lasciasse ammazzare subito. Quell'incontro avrebbe reso la faccenda interessante. Quello era il suo primo scontro con uno sconosciuto, si sarebbe presto potuto misurare con la forza della gente del mondo esterno.
Le lame dei giovani cozzarono fra di loro, e si fronteggiarono per vari minuti, senza smettere però di attaccare e parare colpi.
Il castano schivava con agilità tutti i fendenti mirati alle gambe, e rispondeva con vari colpi che tentavano di fargli volare la spada di mano.
"I suoi compagni" pensò ad un certo punto Lenn, "Perché non lo aiutano? Sono troppo codardi?"
Il suo avversario continuò a rispondere bene ai suoi colpi, anche se sembrava che qualcosa improvvisamente lo spaventasse. Lenn non sapeva che espressione avesse assunto in quel momento, ma era davvero terrificante. Solo gli assassini assumono quell'espressione. Sembrava avere sete di vedere il sangue scorrere sulla terra, ed era così.
Con un potente tondo, allontanò il suo avversario di qualche metro, scagliato lontano per l'impatto del colpo.
In quel momento il ragazzo pronunciò sottovoce qualche parola strana, che Lenn riconobbe come formule magiche. La lama della spada del suo avversario si illuminò di una luce bianca ed intensa, e in quel momento Lenn capì come mai i suoi amici non lo stessero aiutando in quello scontro. Quello che aveva davanti era uno Stregone, proprio come lui. Quando due Stregoni ingaggiano una battaglia è regola non interferire nell'incontro tra i due contendenti, finchè uno dei due non finisce al tappeto o dichiara sconfitta.
Lenn non aveva intenzione di perdere, avrebbe ucciso quel ragazzino.
Kya Haraizen! Luce! - gridò all'improvviso l'altro, e una massa di magia bianca sembrò fuoriuscire direttamente dalla spada, scagliandosi contro Lenn.
All'impatto ci fu una grande esplosione, si alzò un consistente polverone che avvolse la figura del ragazzo dai capelli corvini, nascondendolo alla vista.
- Credo sia finita. - constatò l'altro giovane, non vedendo riemergere Lenn dalla polvere.
Ma aveva cantato vittoria troppo presto. Quando tutta quella polvere sollevatasi tornò a terra e liberò la visuale, poté vedere chiaramente Lenn ancora in piedi, avvolto da uno scudo di magia color nero, percorsa da guizzi di sfumature violacee.
I compagni dell'avversario sobbalzarono. - E' uno Stregone Oscuro, andiamocene di qui se non vogliamo ulteriori rogne! - propose il più alto di tutti.
- Noi non andiamo da nessuna parte. - disse il ragazzo dai capelli castani in risposta.
A quell'affermazione, Lenn pronunciò delle parole magiche, e la sua spada fu avvolta da un'aura nera e minacciosa. Fece un lungo balzo e si buttò con tutto il suo peso sul ragazzo, che riuscì a parare il colpo per miracolo. Si piegò appena all'indietro, ma sostenne la violenza dell'attacco con altrettanta forza. Allontanò Lenn con una spinta, poi tentò di colpirlo con il piatto della spada ad un fianco, ma non riuscì ad arrivare in tempo al suo obbiettivo.
Esattamente come prima, sferrarono qualche fendente e risposero entrambi agli attacchi avversari, senza fermarsi per altri apparentemente interminabili minuti.
Il castano allora saltò più in alto che poté e caricò un forte colpo, la sua spada a quel punto s'illuminò ulteriormente. Pronunciò altre parole antiche in qualche frazione di secondo - Curo y Haraizen a Fir! -
Un raggio ancora più potente del precedente scaturì dalla lama, accompagnato da lingue di fuoco, che si abbattè sull'avversario. Lenn, sicuro di sè, innalzò un'altro scudo Oscuro, pensando che sarebbe bastato a vanificare anche quell'attacco. Ma non fu così.
La Luce, appena entrò in contatto con lo scudo, lo sgretolò come fosse stato un castello di sabbia e lo prese in pieno.
Assunse un'espressione sbalordita, poi sentì una strana sensazione pervaderlo. La Luce scagliatasi contro di lui cercava in ogni modo di entrare nel suo corpo, aprirlo in due. Fece resistenza, anche se sentiva sempre più chiaramente le energie sfumare e la possibilità di formulare nuovi incantesimi spezzarsi; il tipo di energia di quell'incantesimo era diverso dagli altri che aveva imparato ad usare, e finalmente sentiva a pelle la sua potenza. Quelle sensazioni erano completamente nuove, non gli fecero provare né sollievo né dolore. Però ne era un po' spaventato. O meglio: confuso come non lo era mai stato.
Cadde rovinosamente a terra e chiuse gli occhi, in attesa che la Luce scomparisse. Invocò le Tenebre ad assisterlo, in parte dileguò l'incantesimo che andava ad affievolirsi, ma non si mosse dal posto in cui era caduto.
Dopo un tempo che gli parve eterno, riaprì gli occhi.
Il cielo era azzurro esattamente come lo era sempre stato, ma sembrava guardarlo incuriosito, proprio come stava facendo il suo avversario. Nel frattempo il ragazzo gli si era avvicinato e ora stava in piedi vicino a lui. Il sorriso era tornato ad illuminargli il volto, e lo fissava con i suoi grandi occhi color nocciola, con l'intenzione di squadrarlo bene. In mano teneva ancora la spada, adesso priva di alcuna energia magica.
Lenn chiuse nuovamente gli occhi, convinto che il suo avversario fosse sul punto di finirlo, ma si sbagliava. Non arrivò alcun colpo finale, nessuna punizione per il debole, niente morte per chi soccombeva; ciò non rientrava tra le cose che il suo Maestro gli aveva insegnato.
Socchiuse gli occhi per sbirciare e vide l'estraneo rinfoderare la spada, poi questo gli porse gentilmente la mano - Hai bisogno di aiuto? - chiese con altrettanta gentilezza.
Lenn non rispose, ma afferrò la mano e la strinse, aiutandosi a rimettersi in piedi e tornando in una dignitosa posizione eretta. Dopodiché si allontanò di qualche passo dallo sconosciuto, spolverandosi i vestiti e lanciandogli sguardi minacciosi. Lenn non capiva come mai il castano si comportava in quel modo, era sempre più confuso, ma si guardò bene dal darlo a vedere.
Il giovane non si scompose e gli porse la katana che aveva raccolto da terra. - Credo che questa sia tua. - disse sorridendo.
Lenn la afferrò e la ripose nel fodero senza parlare, non sapendo neanche bene come reagire. Forse quello sciocco non capiva che avrebbe ancora potuto ucciderlo, e l'avrebbe fatto, ma in quel momento era troppo stanco per alcunché, più psicologicamente che fisicamente. E non sarebbe comunque riuscito ad affrontare anche gli altri tizi che stavano assieme al suo mancato obbiettivo, erano in troppi. La cosa migliore era non fare niente di particolare e analizzare ogni singola azione di questi ultimi.
Lenn vide il ragazzo di colore più indietro bisbigliare ad un suo compare: - Tagliamo la corda, questo è pazzo! -
Il castano lasciò per un attimo perdere Lenn e si girò verso di lui - Ehi, guarda che io e questo ragazzo ti abbiamo sentito. Non fare il maleducato, Chad. - disse pazientemente.
Poi rivolse di nuovo l'attenzione sul suo aggressore, guardandolo negli occhi - Scusalo, ha la bocca così larga che non è nemmeno capace di non farsi sentire quando bisbiglia. -
Rivolse uno sguardo a metà tra il severo ed il divertito al ragazzo nero. - A me, tutto sommato, sembra un tipo a posto. -
Con un altro sorriso porse nuovamente la mano a Lenn in gesto di amicizia.
- Piacere, - disse, - io mi chiamo Jao. -

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 - L'inizio del viaggio, il fratello del domani (Parte II) ***


Capitolo 1
L'inizio del viaggio, il fratello del domani
Parte II




Vedendo la mano di Jao protesa verso di lui, Lenn fece qualche passo indietro, non sapendo quali fossero le sue intenzioni. Anche se probabilmente non gli avrebbe fatto alcun male, non si fidava, ovviamente.
La mano rimase ferma e tesa verso di lui, il suo proprietario sorrideva in modo gentile. Si chiese cos'avrebbe dovuto farci, con quella mano; era un po' confuso. Nel dubbio, mantenne un'espressione seria, di quelle che non trasudano alcuna emozione.
Jao, che forse aveva capito il problema, fece scendere lo sguardo sulla spada che impugnava ancora; sorrise e la rinfoderò, poi disse: - Non ti voglio far del male. - poi accennò con lo sguardo alla sua mano sempre protesa - La gente, in simbolo di pace, si stringe la mano quando si conosce. -
"Pace?" pensò Lenn, "Ho appena provato ad ucciderti, sveglia!"
Rimase qualche secondo a riflettere. Se il ragazzo si fosse fidato di lui, probabilmente non avrebbe reagito subito ad un suo possibile attacco, e avrebbe potuto ucciderlo facilmente. Non voleva fallire la sua prima missione, e neanche essere espulso dal suo Clan.
Un pò riluttante, sollevò il braccio e strinse la mano del ragazzo, che ricambiò con una stretta decisa. Un altro grande sorriso gli si disegnò in volto. Lenn non capiva quello strano comportamento; non aveva mai visto una persona sorridere così tanto in vita sua. Anzi, forse quelli erano i primi veri sorrisi che vedeva.
- Bene! - esordì Jao dopo qualche secondo di silenzio, - Ora sai come mi chiamo. Ti presento i miei amici. -
I suoi compagni non sembravano gradire tutta quella conversazione da salotto, ma Jao faceva tutto da solo senza pensare che forse non tutti avevano l'intenzione di conoscere lo strano sconosciuto che era Lenn; ma non lo faceva apposta, era fatto così e basta.
Il castano si avvicinò al ragazzo di colore di prima. Era alto come Jao, la pelle era color del cacao; aveva dei folti e ricci capelli neri, che si muovevano al primo movimento del capo come una medusa. Era vestito con una camicia e abiti leggeri come tutti gli altri; quella giornata era particolarmente calda. Al fianco, legata alla cintura, aveva un fionda.
- Questo è Chad, del Clan del Coccodrillo. Viaggiamo insieme da due mesi ormai. - lo presentò Jao.
- Er... Ciao. - disse questo, leggermente intimorito dallo sguardo truce che gli rivolse Lenn. Probabilmente temeva una vendetta da parte del ragazzo dai capelli corvini perché s'era fatto sentire quando gli aveva dato del pazzo.
Jao parve non accorgersi di quello scambio di sguardi, e si affiancò ad un altro ragazzo: questo aveva capelli corti, ispidi e neri, e occhi di un azzurro disarmante; abbastanza alto, spalle larghe e di corporatura generalmente tonica e muscolosa. Appesi allo zaino che portava sulle spalle, come un mazzo di chiavi, stavano dei coltelli da lancio visibilmente affilati, di sicuro le sue armi per combattere.
- Lui è Harù, del Clan dell'Orso. Viene dall'estremo Sud dell'isola, e ci conosciamo da tre mesi. -
Harù guardò Lenn sorridendo, quasi divertito, poi accennò un saluto sollevando la mano. Lenn non ricambiò, si limitò a fissare il terzo individuo, quello che di sicuro era il più anziano degli altri. Aveva dei cortissimi capelli biondi, occhi verdi e un pizzetto ben curato, di cui andava sicuramente fiero; era l'unico ad avere già la barba, dalla sua espressione traspariva che si sentiva superiore agli altri, compreso a Lenn. Era il più alto di tutti, cosa che gli dava la possibilità di guardare davvero in tutti i sensi la gente dall'alto verso il basso.
In mano stringeva uno scettro simile ad un bastone che sembrava essere di rame, di sicuro estratto per ogni evenienza dopo aver incontrato Lenn; l'arma era molto semplice, quasi non aveva ideogrammi disegnati sopra, solo quelli per le magie più elementari; sulle spalle invece portava uno zaino dall'aspetto pesante.
Jao lo presentò: - Lui, per finire, è Rizo, è il più vecchio del gruppo. -
Rizo lo interruppe. - Sono il più maturo, non il più vecchio. Suona meglio, no? -
- Sì, sì, come vuoi. - tagliò corto il castano, come se avesse ascoltato quel tipo di frase centinaia di volte.
- Rizo fa parte del Clan del Pino, famoso per la migliore produzione di birra in tutta Argeth. -
Lenn registrò i dati; chissà, forse gli sarebbe tornato utile conoscere quei tizi, un giorno. Poi guardò in cagnesco Rizo. Gli piaceva meno di tutti gli altri, non sapeva bene il perché. L'uomo ricambiò il suo sguardo.
Jao si avvicinò poi a Lenn. - Come ti ho già detto, io mi chiamo Jao. Ah, e faccio parte del Clan della Tigre. - disse. - Com'è invece che ti chiami, tu? E il tuo Clan? -
Lenn fece roteare gli occhi; sapeva che sarebbe arrivato a quell'irritante domanda, prima o poi. Il suo nome avrebbe potuto dirglielo senza problemi, tanto non sarebbe vissuto abbastanza per dirlo ad altri potenziali nemici, ma il Clan... Era la seconda cosa che bisognava dire quando degli Stregoni si conoscevano; prima veniva il proprio nome, poi quello del Clan di appartenenza. Era tradizione e buona educazione. Non che a lui importasse molto di apparire educato, ma sapeva come la pensassero le persone del mondo esterno sulla sua famiglia. Ogni Clan aveva un nome diverso, quindi era impossibile confonderli l'uno con l'altro, ed erano facili da riconoscere per abitudini, correnti di pensiero e a volte anche per tratti somatici e lingua, anche tra individui della stessa razza.
Il suo Maestro gli aveva raccontato che il loro Clan era famoso per molte gesta per loro onorevoli, ma che per gli altri Clan, o almeno la maggior parte di essi, non lo erano altrettanto.
Jao gli si avvicinò ancora di più, incuriosito dal suo silenzio. - Allora, il tuo nome è...? - incalzò, parlando quasi come se avesse di fronte un bambino di cinque anni.
- Lenn. - rispose.
- Oh, piacere, Lenn! - disse Jao, entusiasta.
- E a quale Clan apparterresti, sentiamo. - aggiunse Rizo, guardandolo già sospettoso.
Lenn si poggiò una mano al petto, indicandosi. - Drago. - disse semplicemente.
Subito cominciò a scrutare i loro visi in cerca di reazioni, sorridendo in modo spiacevole.
Gli altri ragazzi sobbalzarono, compreso il calmo Jao, anche se fu il primo a ricomporsi. Harù però si avvicinò subito al castano, lo prese per un braccio e lo trascinò indietro. - Scusaci, Lenn. Dobbiamo scambiarci due paroline. - disse con un sorriso affettato.
Appena i due non furono più a portata di voce, Harù mise Jao con le spalle contro la parete di roccia alla loro destra, lo fulminò con uno sguardo severo.
- Ci hai messi nella merda, lo sai? Con tutte le persone che esistono al mondo, proprio con un assassino dovevi fare amicizia? Un Drago! Ma dico, li hai letti i libri di storia a scuola? -
Jao ascoltò il ragazzo più grande annuendo lentamente. Poi si voltò per guardare di nuovo Lenn. Sì, aveva letto i libri di scuola; lo sapeva che il Clan del Drago era famoso per le stragi fatte ovunque nel nome del dio Draco Magnus... Ma qualcosa lo persuadeva, una vocina nella sua testa gli diceva che quel ragazzo non era pericoloso. Appena guardato negli occhi, gli era sembrato che lo conoscesse da anni, anche se non l'aveva mai visto prima in tutta la sua vita. Non gli sembrava cattivo, ma non sapeva come spiegare bene a parole quei suoi pensieri senza che gli altri lo prendessero per matto.
- Certo che sì... - rispose calmo alla domanda, scandendo lentamente le parole. - Ma a me non sembra un grande problema. -, riuscì solo a dire.
- Invece lo è! -, insistette Harù - I Draghi sono sempre stati una famiglia di assassini, non esiste Clan che non abbia subìto almeno una perdita a causa loro! Vent'anni fa, uno di loro ha ucciso mio nonno! -
Jao alzò le spalle, accennando ad un sorriso. -E allora? Vent'anni fa non eri nemmeno nato, non vedo dove questo abbia potuto nuocerti nell'animo. Non può mancarti qualcuno che non hai nemmeno conosciuto, non esagerare. -
Harù scosse la testa, anche se sembrava abituato a risposte del genere. - Non è questo il punto! -
In quel momento, Chad sbucò dal nulla e quasi spaventò i suoi due amici. - Io pensavo che i Draghi fossero definitivamente scomparsi quindici anni fa. Sui libri c'è scritto che si uccisero a vicenda per motivi sconosciuti. - disse.
- Questo tizio però dev'essere sopravvissuto, oppure i libri non dicono il vero... - Sospirò Harù, per poi fissare Jao nuovamente negli occhi. - Non possiamo fidarci di uno come lui. Andiamocene finchè siamo in tempo. -
- No, non sarebbe giusto. -, rispose Jao. - Che è tutta 'sta discriminazione? Magari lui è diverso, che ne sai? A me sembra simpatico, un po' strano, ma comunque abbastanza a posto. -
Quell'affermazione era difficile da credere, Jao lo sapeva, ma non sapeva che dire. Voleva conoscere meglio Lenn, era deciso.
Chad lo fissò inarcando un sopracciglio. - Non è che hai mangiato qualcosa di avariato, stamattina? -
- Sono lucido, se è questo che vuoi sapere. -, rispose il ragazzo dai capelli castani, ignorando l'ironia della domanda e rispondendo in tono abbastanza serio.
- Pensate quello che volete, ma adesso gli propongo di venire con noi. -
Si liberò dalla morsa di Harù e si diresse di nuovo verso Rizo e Lenn, che continuavano a lanciarsi sguardi minacciosi.
- Senti, Lenn. - disse con un sorriso, - Ti andrebbe di venire con noi? Siamo in viaggio per partecipare ad un Torneo di Stregoni, tu vai già da qualche parte? -, chiese.
Lenn scosse il capo in segno di diniego.
- Hmm... Allora vieni? - domandò il ragazzo.
Lenn accennò un altro sorriso. Quella era l'opportunità per poter tenere la sua vittima sotto controllo e intanto seguirla senza troppi problemi. Non poteva assolutamente perdere di vista quel ragazzo, e doveva cogliere al volo l'occasione; almeno non avrebbe dovuto faticare nel pedinarlo, perché lo stava già invitando a seguirlo!
- Vengo. -, disse.
Chad, all'affermazione, quasi svenne. Rizo lo prese per le spalle in tempo per non farlo cadere.
Harù si limitò ad incrociare le braccia e scuotere la testa.
- Ottimo! - esclamò Jao.
Il ragazzo era troppo ingenuo e fiducioso nel prossimo per sospettare che avrebbe potuto davvero ucciderlo, pensò Lenn.
- Avanti, andiamo. - disse svogliatamente Harù. - Arriviamo al villaggio a valle, almeno. -
- D'accordo. - Jao si rimise in testa al gruppo, cominciò a camminare lungo il sentiero spensieratamente come prima. Poi si girò verso Lenn, rimasto ancora al suo posto. - Dài, vieni. - lo esortò, per riprendere subito dopo il cammino.
Lenn lo seguì mansueto. Poi si girò per un'ultima volta verso un punto preciso della collina, dove sapeva che, anche se nascosta, lì ci fosse la sua casa. In quel momento niente era più importante della sua missione, e l'avrebbe portata a compimento. In gioco c'era il suo onore ed il futuro del suo Clan.

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Capitolo 4
*** Capitolo 1 - L'inizio del viaggio, il fratello del domani (Parte III) ***


Capitolo 1
L'inizio del viaggio, il fratello del domani
Parte III





Il gruppo di ragazzi si diresse verso il paese nella valle, per fare rifornimento di cibi e altri oggetti per il viaggio. Sapevano che presto non avrebbero più avuto modo di fare grandi rifornimenti, quindi dovevano equipaggiarsi per bene. Lenn li seguì come fosse stata la loro ombra, non perdendo mai di vista Jao, soprattutto. Arrivati davanti al villaggio e alla moltitudine di persone per strada, però, esitò. C'era tanta, troppa gente per i suoi gusti.
Il paese era piccolo, le case modeste che non andavano oltre il primo piano in altezza, ed erano tutte in mattoni. Ciononostante le strade erano molto larghe e capienti, infatti per le vie passavano un fiume di persone, più di quante Lenn ne avesse mai viste in vita sua; la cosa lo turbava, il vociare era troppo forte ed intenso.
Intanto gli altri ragazzi avevano iniziato a discutere. Si avvicinò a loro per distrarsi dall'agglomerato di persone e per sentire di che parlassero.
- Adesso ci dividiamo. Come al solito ci occuperemo tutti del cibo per il viaggio, ma Harù in particolare si occuperà dei vestiti e magari porterà l'attrezzatura da viaggio danneggiata a riparare; tu, Rizo, cercherai informazioni sui tragitti più brevi e Chad vedrà di procurarsi più acqua possibile. Io come al solito cercherò altri oggetti utili e nuovi da comprare, nonché le medicine. -, chiarì Jao ai compagni. Nonostante il castano fosse il più piccolo e gracile di tutti, sembrava proprio lui il capogruppo, e parlava con sicurezza.
Rizo tossicchiò per prendere la parola. - Sì. Ehm... E "coso" che farà nel frattempo? Vuoi lasciarlo qui e farlo divertire un po' ad ammazzare la gente, così dopo ci facciamo una partitina a palla con qualche testa mozzata? -
- Ma che stai dicendo? - domandò Jao perplesso. Non sempre afferrava l'ironia con cui parlava Rizo.
- Dài, sai bene che mi sto riferendo al Drago. - disse sottovoce l'amico, per paura che Lenn lo potesse squartare al solo sentire la sua voce. Infatti il ragazzo dai capelli corvini lo guardava truce, sembrava solo aspettare la scusa migliore per avventarsi su di lui e farlo fuori.
Il volto di Jao s'illuminò. - Ah, questo non è un problema. Lui viene con me. - disse. Poi si avvicinò al ragazzo in questione, poco più distante dal gruppo.
- Ehi Lenn, ti va di venire con me e farmi un po' di compagnia? -, chiese sorridendo.
Lenn assentì con un cenno del capo. Andando con Jao avrebbe potuto tenerlo d'occhio e controllare che non acquistasse niente di pericoloso per lui. Doveva rimanere allerta e sospettare di qualunque cosa, o non sarebbe sopravvissuto a lungo. Così gli avevano insegnato a pensare, così faceva.
- Benissimo! Ehi ragazzi, Lenn viene con me. - affermò poi rivolto ai compagni.
I tre sospirarono di sollievo, visibilmente rincuorati per quell'affermazione.


Quel giorno in paese si era stabilito un grande mercato. Le strade erano quasi del tutto occupate da bancarelle, complete di venditori urlanti che lodavano ogni aspetto della loro merce per attirare dei potenziali clienti. La gente era tanta, il chiasso e gli odori lo erano ancora di più, e Lenn non si sentiva così fuori posto da quando era nato. Non comprendeva quel chiasso, quell'eccitazione e quell'allegria. Non c'era niente di piacevole nello stare appiccicati l'uno con l'altro per passare nella via, pensava; tutto quel trambusto disturbava la sua natura seria e generalmente quieta. Se ne sarebbe andato volentieri via da lì per tornare al buio e al silenzio della sua casa, ma doveva seguire Jao, faticando non poco per stargli dietro. Dopo vari minuti però arrivarono in una zona più appartata del villaggio e meno affollata, così i due riuscirono a camminare affiancati senza tanti problemi. Lenn guardava Jao dall'alto della sua statura e cercava di carpire dal suo sguardo i suoi pensieri, ma quella faccia da gatto sornione non gli diceva nulla.
Ad un certo punto il castano attaccò a parlare, purtroppo. - Senti, non so molte cose di te. So solo come ti chiami e a quale Clan appartieni. Conosco a malapena il suono della tua voce! Non mi puoi dire qualcos'altro? Ad esempio, quanti anni hai? -, chiese curioso.
Lenn rimase per un po' in silenzio, ma pensò che avrebbe comunque potuto rivelare qualcosa di sè, tanto quel ragazzo sarebbe morto quella sera stessa.
- Sedici. -, rispose tranquillamente.
Jao sorrise. - Anch'io! Beh, siamo coetanei. Anche Chad ha la nostra stessa età, mentre Harù ne ha diciassette. Rizo dice di averne venti, ma io dico che ne ha di più. -
A Lenn non importava minimamente di quelle cose, ma Jao sembrava le trovasse interessanti e necessariamente da dirsi.
Ci fu un lungo periodo di pausa e silenzio, mentre Jao si fermò per guardare la merce su di qualche bancarella. Nulla lo interessava, però.
Cercò di continuare a parlare, anche se si fece più indagatore. - E... Com'è la tua famiglia? Che tipi sono i tuoi genitori? -
Lenn provò una certa irritazione per quella domanda. Non gli piaceva parlare, e trovava la curiosità del castano troppo impertinente. Ma la verità era che lui sapeva dei suoi genitori quanto Jao, cioè niente. L'unica cosa che il suo Maestro gli aveva raccontato era che lo avevano abbandonato davanti alla porta di casa sua assieme alla sorella quando aveva poco più di un anno, e allora lui lo aveva allevato e addestrato più per misericordia che per altro. Non gli andava però di raccontarlo, così si chiuse in un silenzio spinoso.
Jao invece non capiva il suo ostinato mutismo, ignorando la tempesta emotiva che imperversava nel suo animo, non capendo quanto fosse sensibile ed instabile.
Lenn però non pensava di essere sensibile ed instabile, lui si sforzava in ogni singolo momento ad essere forte, anche se il suo concetto di forza era inconsciamente distorto.
Jao intanto comprò cibi di vario tipo; con alcuni di essi mentre camminava, con un'abilità che di sicuro gli aveva dato l'abitudine, preparò un paio di panini. Poi ne porse uno a Lenn. - E' ora di pranzo, ti va qualcosa da mettere sotto i denti? -, chiese.
Lenn accennò un "no" con il capo. Non si fidava abbastanza per accettare il cibo che gli veniva offerto da qualcun altro.
Jao parve per un attimo deluso, poi alzò le spalle e addentò il suo panino imbottito con gusto.
Girarono l'angolo, e videro Rizo che faceva il galletto con tre belle ragazze, di sicuro vantandosi e inventando frottole su frottole per ammaliarle.
Era poggiato al muro di una casa reggendosi col gomito, ogni tanto sorrideva affabile alle giovani fanciulle, che lo guardavano con interesse.
- Oh, ma è un vizio! -, sbuffò Jao quando lo vide, ed accelerò l'andatura per dirigersi verso il quartetto; Lenn lo seguì a ruota, chiedendosi cos'avesse intenzione di fare.
La risposta arrivò subito. Jao si affiancò a Rizo con una faccia stranamente alterata, si alzò sulle punte dei piedi e lo tirò per un orecchio. Le ragazze vicino a loro si misero a ridere divertite.
- Quante volte ti ho detto che devi andare in giro per comprare e non per rimorchiare? Se proprio vuoi fare questo genere di cose, non viaggiare più con noi, capito? Ci hai già fatto perdere tempo prezioso per quella storia della bionda a Dafrin, non ci rallenterai per l'ennesima volta. - disse il più giovane con decisione. Jao sembrava anche un po' stufo, evidentemente erano già incappati in situazioni del genere innumerevoli volte.
Lenn nel frattempo guardava la scena stranito, come quando un bambino guarda gli adulti litigare. Non sapeva con precisione a cosa pensare.
Nel frattempo le tre donzelle se n'erano andate in preda alle risa ora di derisione, mentre il biondo veniva scaricato e diventava rosso dal nervoso. Rizo le guardò allontanarsi con un misto di collera e sofferenza.
- Insomma, possibile che un uomo non possa soddisfare i propri bisogni primari?! Non siamo tutti come te, santarellino! - sbottò.
- Ti ho già detto che puoi soddisfare tutti i bisogni che vuoi, ma in questo caso non ci dovrai più seguire, perchè noi vogliamo arrivare in tempo al Torneo; sai che con la distanza che abbiamo ancora da percorrere ogni singolo giorno è prezioso. -, ribatté Jao.
Rizo sbuffò contrariato. - E va bene, quanto rompete le palle! Vado a comprare, è meglio. -, si arrese però. Sapeva che era meglio non tirare troppo la corda. Detto questo si allontanò, dirigendosi dalla parte da cui erano venuti Jao e Lenn.
Il ragazzo dai capelli castani si avvicinò di nuovo a Lenn, sospirando. - Non cambierà mai. Viene con noi solo perché condividiamo i soldi e non sa la strada giusta per il Torneo, se no non si sarebbe mai unito a noi. Però quando vuole sa essere simpatico. - aggiunse alla fine, come a non voler dare un'immagine di Rizo completamente negativa.
Lenn lo guardò e cercò nuovamente di capire cosa stesse passando per la testa del compagno. Poco prima era nervoso, mentre adesso era tranquillo e sereno come se non fosse mai accaduto niente. Si chiese come diavolo facesse ad apparire così in pace con se stesso e pieno di autocontrollo; in più sorrideva quasi in continuazione. Lenn non aveva mai sorriso come lo faceva lui, e non credeva che lo avrebbe mai fatto.
Ma non gli importava più di tanto, visto che quella notte avrebbe ucciso quel ragazzo e sarebbe stato degno del nome del suo Clan.


Quella notte, Lenn si svegliò prima di tutti, subito dopo che Harù si addormentò completamente. Si erano accampati appena fuori dal villaggio per riposarsi.
Il ragazzo aprì gli occhi, e la luce della luna gli bastò per vedere tutto con nitidezza, gli occhi ormai abituati a vedere nel buio quasi completo. All'inizio non mosse un muscolo, si godette per qualche istante il silenzio della notte; il suo momento preferito era quello in cui brillavano di più le stelle in cielo. Era sdraiato sul terreno polveroso, la luce del fuoco illuminava l'area in cui dormivano tutti gli altri. Portò lentamente una mano alla katana, sapendo che Jao dormiva alle sue spalle. Gli sarebbe bastato sfilarla dal fodero e piantarla nello spazio subito dietro di lui, uccidendolo nel sonno. Aveva atteso anche troppo a lungo, ed il suo Maestro lo stava aspettando di sicuro, impaziente. Preso dalla foga e dall'allettante idea di poter tornare a casa, estrasse la spada di colpo, si girò e la piantò repentinamente nel sacco a pelo lì a fianco.
Rimase sorpreso. Dentro al sacco non c'era nessuno.
Digrignò i denti furente, alzò lo sguardo e si guardò attorno. Jao era poco più in là, sveglio, seduto a gambe incrociate; guardava le stelle, tranquillo e sereno come sempre.
Lenn non aveva idea di come avesse fatto ad alzarsi senza farsi sentire, ma mantenne l'autocontrollo e tirò fuori dal terreno la katana, si avvicinò con passi felpati al castano; per fargli capire che aveva fatto la mossa sbagliata a svegliarsi e complicargli il lavoro arrivando fin lì, gli puntò alla schiena la punta della spada affilata.
Jao non reagì, però Lenn poté come vedergli il sorriso disegnato sul volto, anche se era girato e gli dava le spalle.
- Credevi che non avessi capito le tue intenzioni? Non sono cretino, sai? - disse Jao tranquillo.
Lenn rimase sorpreso. Quel ragazzo non era ingenuo come sembrava, forse. Esitò.
Jao si girò verso di lui, non curante della katana puntata contro e pericolosamente vicina; si alzò in piedi, incrociò le braccia e lo fissò. Il suo sguardo era calmo ma anche fermo e sicuro si sé; Lenn lo trovava pure spaventosamente familiare, anche se non aveva mai visto nel mondo esterno altre persone, oltre che quei ragazzi.
- Allora? Non dovevi uccidermi? Era questo il tuo intento oggi, no? -, domandò.
Almeno le sue intenzioni le aveva capite. Ma se era così, perché non faceva niente? Lenn non capiva.
- Perché non ti difendi, se sai che ti dovrei uccidere? - ribatté serio.
- Perché non mi sembri un assassino, lo sento. Tutti quanti potrebbero vederti come tale, ma a me non dai quella sensazione. E' il mio sesto senso a dirmelo, sai? Poca gente riesce a risvegliarlo, ma tu ci sei riuscito subito. - rispose semplicemente Jao.
- Non capisco... E' sbagliato. Dovresti combattere! Io sono un tuo nemico! -, disse Lenn, ma non poté nascondere la sua insicurezza. L'unica cosa che era capace a fare era quella: combattere. Il fatto che invece Jao rifiutasse lo scontro lo confondeva, gli dava la possibilità di usare qualche alternativa di cui non gli avevano mai rivelato l'esistenza.
- Io non voglio combattere, capisci? E non credo che ti converrebbe sfidarmi di nuovo. - affermò lui con tranquillità.
Il ragazzo estrasse lentamente la spada, e Lenn sorrise soddisfatto; stava aspettando solo lo scontro. Anche se...
- Ti ho già battuto al nostro primo scontro: desideri essere umiliato di nuovo? -
Lenn digrignò ancora i denti, frustrato. Sapeva di avere le mani legate, quel dannato Stregone l'aveva stordito per bene con il suo incantesimo di Luce e ne sentiva ancora gli effetti, il leggero torpore agli arti e la mente indebolita da quell'attacco di forza sconosciuta; Lenn non aveva mai incontrato attacchi che usavano quel tipo di magia, non ne era abituato e aveva sottovalutato l'avversario. Non era pronto per un altro scontro diretto, ed in più aveva ormai perso il fattore sorpresa, l'unico su cui avrebbe potuto giocare.
- Ma se vuoi proprio uccidermi, puoi farlo. - affermò il ragazzo, interrompendo la linea di pensiero di Lenn.
Il ragazzo dai capelli corvini portò con uno scatto felino la lama della spada alla gola di Jao, e rimase fermo in quella posizione. Non una reazione da parte dell'avversario, neanche un movimento. Lenn non capiva quel suo comportamento. Era indeciso.
Quel ragazzo sembrava riporre fiducia in lui, o il suo era solo uno sporco trucchetto? E perché poi riporre fiducia in uno sconosciuto? Che gli stesse cercando di comunicare qualcosa?
Il suo sguardo tranquillo lo irritava ogni secondo di più, ma era anche vero che più lo guardava, più quegli occhi lo facevano desistere. Li aveva già visti da qualche parte, aveva visto quell'espressione, eppure non ricordava dove.
Nonostante apparisse calmo, Jao stringeva saldamente l'elsa della spada.
No, non aveva proprio la forza psicologica per affrontare un altro scontro; di sicuro l'avversario si teneva pronto per difendersi al primo accenno di Lenn di spingere la katana nel suo collo.
Frustrato, allontanò la lama della spada dal ragazzo e si allontanò nel buio, non togliendogli mai di dosso lo sguardo. Si sentiva impotente. Dannatamente impotente. E la rabbia per questa sua impotenza lo pervase in pochi istanti. Si guardò attorno per cercare qualsiasi cosa su cui sfogare la propria rabbia.
Vide un albero appena fuori dal raggio d'illuminazione del fuoco acceso lì vicino. Conficcò la lama della spada nel legno una, due, tre volte; si sfogava così, estraendola e riconficcandola di volta in volta. La sua rabbia distruttiva gli annebbiò completamente la mente, non aveva intenzione di smettere di martoriare quel povero albero.
Jao lo guardava impassibile. Dopo un paio di minuti passati ad osservare Lenn, rinfoderò la spada, sospirando.
- Senti, io vado a dormire. - disse, - Ti suggerisco di fare lo stesso, domattina ci alzeremo presto per proseguire il viaggio. Sempre se vorrai continuare a seguirci. -
Detto questo, camminò tranquillamente verso il suo sacco a pelo, notando lo squarcio provocato poco prima dalla katana. Rabbrividì; c'era andato molto vicino e aveva rischiato di lasciarci veramente le penne. Ma ora era sicuro che a Lenn servisse solo qualcuno in grado di aiutarlo, anche se lui stesso non sapeva di aver bisogno di aiuto, probabilmente.
Si infilò nel sacco a pelo, e si riaddormentò tranquillo, sentendo il rumore della spada di Lenn che tagliava l'aria. Sperò soltanto di non aver scatenato qualcosa di irreparabile e pericoloso nel ragazzo.
Lenn cominciò a sfogarsi con tutto ciò che gli capitasse a tiro. Tante domande gli ronzavano nella mente. Sarebbe stato punito dal suo Maestro? L'avrebbe espulso dal Clan?
Forse quella non era la giornata giusta, dopo tutto era solo il primo giorno nel mondo esterno. Avrebbe riprovato la sera dopo, o quella dopo ancora. Non poteva assolutamente fallire la sua prima missione.
"Non dopo tutto quello che ho passato."

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Capitolo 5
*** Capitolo 1 - L'inizio del viaggio, il fratello del domani (Parte IV) ***


Capitolo 1
L'inizio del viaggio, il fratello del domani
Parte IV




Passarono altri tre giorni dalla notte in cui Lenn provò di nuovo ad uccidere Jao, e la situazione non si evolvette in una delle migliori.
La sera dopo il loro primo faccia a faccia, Lenn aveva di nuovo tentato di uccidere Jao, che si era fatto trovare pronto e che aveva sfidato. Avevano combattuto con tranquillità e meccanicità, in un luogo appartato, seguendo una specie di rito; ormai per Lenn era diventata una questione di onore, ma non riuscì ad avere la meglio, il breve scontro finì in parità.
Dopo di ciò Lenn, nervoso e ancora più ostile, si era chiuso a riccio e non aveva più rivolto mezza parola ai compagni, che non capivano il motivo di quel silenzio ancora più ostinato. Jao invece capiva. Dallo scontro di quella notte Lenn non ne era uscito molto bene. Per tre giorni non aveva neanche mangiato o bevuto, rifiutando le offerte degli amici con sguardi accusatori, né aveva dormito; passava le notti a squarciare l'aria con la katana o abbattendo i piccoli alberi lì attorno, sembrava non avere pace. Jao riusciva a percepire tutta la frustrazione nelle sue azioni. Avrebbe voluto parlargli per sistemare le cose, ma Lenn lo evitava, nonostante viaggiassero insieme e vivessero a stretto contatto. Il ragazzo dai capelli corvini aveva altro per la testa: il pensiero assillante che, non avendo nemmeno eseguito la sua prima missione, il suo Maestro l'avrebbe probabilmente espulso dal Clan. Aveva passato una vita intera ad imparare l'arte della Stregoneria e del combattimento, e quindi non riusciva a capacitarsi di quella sconfitta; non sopportava che un ragazzino fosse riuscito con tanta facilità a batterlo, battere proprio lui, a cui avevano insegnato che la perdita di uno scontro non era contemplata.
Camminava e camminava con quel chiodo fisso nella mente, e si accorse in ritardo che il paesaggio davanti a lui stava lentamente cambiando.
Ormai il gruppo di ragazzi era arrivato ai piedi della collina rocciosa locata al lato opposto rispetto a dove Lenn aveva incontrato i compagni, dall'altra parte della valle; il giorno dopo si sarebbero preparati a scalarla.
Adesso il sole stava tramontando, emanando spasmi di luce rossa e dorata prima di sparire alla vista, oltre le colline.
Jao stava ammirando quel bel tramonto, seduto a terra a gambe incrociate, tranquillo e in pace con se stesso come sempre. Chad e Harù stavano cercando di capire come si montasse una tenda comprata al mercato, litigando e facendo chiasso. Rizo invece cercava di ignorare quel baccano; era steso a terra, poggiava la testa su di un tronco d'albero caduto, e guardava pigramente il fuoco ardere accanto a lui.
Lenn era seduto a pochi metri da Jao, ma fissava il terreno senza degnare il ragazzo di uno sguardo, seccato. Era abituato a resistere ai morsi della fame e sopportare la sete grazie al suo addestramento, a volte a casa sua rimaneva digiuno per una settiamana intera, ma avrebbe voluto dormire; invece non poteva, perchè sapeva per certo che se si fosse addormentato la sua mente sarebbe stata vulnerabile, le barriere psichiche si sarebbero abbassate, e il Maestro avrebbe potuto rintracciarlo telepaticamente e costringerlo a tornare a casa, per essere punito. A lui era stato insegnato di obbedire a qualsiasi suo ordine senza obiezioni e di assumersi tutte le responsabilità, non sarebbe riuscito a sfuggire a quel credo a cui era stato abituato; e comunque sapeva che il suo Maestro era tanto potente da riuscire a tormentarlo e torturarlo anche a distanza, grazie ai poteri della mente, quindi non aveva molta scelta.
Alzò lo sguardo, e vide che Jao lo stava fissando con il suo solito sorriso sulle labbra. Lenn trovava fastidiosa la sua abilità a mostrare sempre quel sorriso sereno in qualsiasi situazione, si sentiva preso in giro, come se la vita fosse stata un gioco. Irritato, estrasse la katana dal fodero che portava sempre allacciato alla cintura e la piantò a terra, vicina a sé, per avvertirlo che avrebbe potuto attaccarlo.
Di solito, come le altre volte, a quel punto Jao si girava e tornava a farsi i fatti suoi; quel giorno, però, non fece la stessa cosa. Si alzò da terra e prese la sua sacca, gettata vicino a quelle degli altri, poi si diresse nuovamente verso di lui e gli si sedette a fianco, più vicino di prima. Lenn si scostò un po', ma non in modo eccessivo. Si era incuriosito e voleva vedere cos'avrebbe fatto il ragazzo. Quest'ultimo estrasse dalla sacca un'altro sacchetto più piccolo, lo aprì e ne uscì subito un forte odore di dolci.
- E' da un po' che non mangi, ormai. -, disse con fare apparentemente divertito. Ma lo stava prendendo in giro?
- Non vorrai mica morire di fame, vero? - continuò, tirando fuori dei biscotti dall'aspetto invitante.
"Tsk, mi vuoi tentare con quella roba lì?" pensò Lenn per autoconvincersi che non desiderava mangiare e accettare il cibo da quell'estraneo.
- Non possiamo permetterci di mangiare altro per cena stasera, altrimenti poi non avremo abbastanza cibo per il tragitto più lungo, però io ho tenuto la tua parte, anche se probabilmente non li mangerai. - disse in aggiunta, alzando le spalle.
Lenn lo guardò stizzito. Solo l'idea di accettare dei biscotti lo faceva sentire un cretino, Jao l'aveva scambiato per un bambino?
Continuava a non fidarsi di lui, e quei biscotti avrebbero potuto benissimo contenere veleno o altre sostanze per farlo fuori; l'addestramento che aveva ricevuto, l'unica cosa con cui si poteva orientare là fuori, gli aveva insegnato a nutrire quelli ed altri sospetti. Tuttavia il suo stomaco gemeva e reclamava cibo, la gola secca e la mancanza di saliva lo facevano stare ancora peggio. Sapeva comunque che non sarebbe durato ancora a lungo senza nutrimento; se voleva continuare a tener d'occhio Jao, doveva rimanere vivo ed in forze per un possibile scontro.
- Guarda che sono normali biscotti. Non ti piacciono i dolci? - domandò Jao, passando più volte davanti agli occhi di Lenn l'invitante manicaretto. Però non sembrava volerlo forzare; magari mirava solo a suscitare una qualche reazione su cui lavorare più avanti nel tempo.
Il ragazzo dai capelli neri, per tutta risposta, lo guardò di sottecchi.
Jao alzò le spalle. - Vabbè, vorrà dire che li mangerò io. - disse, e addentò il dolce. Senza cattiveria però, sembrava quasi essersi rassegnato.
Lenn lo osservò attentamente masticare. Non sembravano nocivi, se Jao mangiava la stessa cosa che gli aveva offerto senza riscontrare problemi, voleva dire che non lo avrebbe ucciso tramite avvelenamento da cibo. Così la fame si fece sentire ancora più viva, provocandogli crampi allo stomaco. Si portò una mano al ventre, ma subito la ritrasse. Lo fece troppo tardi. Jao aveva colto il gesto e aveva sorriso; prese un altro biscotto e glielo porse nuovamente. - Dài, si vede lontano un miglio che hai fame. Non puoi andare avanti così, devi assimilare almeno qualche zucchero o ti ridurrai ad uno straccio. -
Lenn lo guardò di nuovo. Non gli avrebbe parlato, non si sarebbe mosso e non gli avrebbe dato nessun'altra soddisfazione, ma quel biscotto lo avrebbe mangiato; la fame lo costringeva. E non solo, magari avrebbe potuto mettere sotto i denti anche qualcos'altro.
Lentamente prese il biscotto di Jao, poi, senza perderlo di vista, portò il dolce alla bocca; lo addentò con tale rapidità che quasi non se ne accorse. Il gusto era tanto, troppo dolciastro per Lenn, ma lo mandò giù comunque; a pensarci bene, era il primo dolce che mangiava ad avere un sapore così intenso, differente dalle cose quasi insipide che aveva sempre mangiato. Non era abituato a quel tipo di cibo. Ma questo non lo stupiva affatto, non era abituato ad un sacco di cose che invece gli altri ragazzi facevano d'abitudine.
Jao esibì un sorriso a trentadue denti, tutto felice. - Finalmente! Pensavo che non ti saresti mai fidato abbastanza di me! - esclamò.
Poi, improvvisamente, si protese verso di lui e gli diede un'amichevole pacca sulla spalla. Lenn, non aspettandosi quel gesto nuovo, si scostò e scivolò in fretta il più distante possibile dal castano, sentendosi quasi attaccato. Jao rimase di sasso per la sua reazione, non capendo cosa ci fosse di male in una normale pacca sulla spalla. Capì definitivamente che Lenn era un tipo tutto particolare da trattare con attenzione.
- Ehi, guarda che era solo una pacca sulla spalla. - tentò di spiegargli. - Non volevo mica farti del male. Non te ne hanno mai data una? E' un gesto abbastanza comune. -, chiese poi.
Lenn non rispose. No, non gli avevano mai colpito una spalla senza un valido motivo, e non sapeva cosa accidenti significasse.
Ricordava però che sua sorella, tanti anni prima, cercava sempre di entrare nella sua cella, disobbedendo agli ordini del Maestro. Una volta entrata, gli si avvicinava nel buio e lo stringeva tre le sue braccia. Quello non era proprio ciò che Jao aveva fatto, ma gliel'aveva ricordato. In entrambi i casi, lui non aveva mai capito come reagire. Si ricordava quando rimaneva immobile mentre sua sorella piangeva, fino a quando il Maestro non la scopriva e puniva entrambi. Non capiva perchè lei non avesse mai potuto parlargli direttamente, ma di sicuro ci sarebbero stati vari motivi validi.
Adesso, come tutte le altre volte, non sapeva cosa fare, ma visto che quello era uno sconosciuto si era allontanato. Non reagiva positivamente ad un abbraccio della sorella, figurarsi ad un gesto simile da parte di uno sconosciuto!
Jao gli rivolse uno sguardo triste, quasi rammaricato, poi si avvicinò di nuovo a lui e gli poggiò una mano sulla spalla, più lentamente di prima. Lenn questa volta non si scostò, ma non reagì in nessun altro modo. Dopo qualche secondo il ragazzo gli si allontanò e sorrise. - Tra amici questo si fa. Niente di male, eh. - disse.
Lenn ne rimase indifferente, ma non se la sentì di dire qualcosa a riguardo e mettere Jao a conoscienza dei suoi pensieri, quindi si girò da un'altra parte, cercando altro con cui distrarsi. Vide che la tenda che Chad e Harù dovevano montare era ancora a terra, smontata. I due ragazzi e Rizo si erano distesi insieme e avevano cominciato a ronfare, cullati dal silenzio del luogo e dalla stanchezza del viaggio percorso durante la giornata; e dire che non si erano lasciati alle spalle nemmeno due miglia di strada.
"Scansafatiche." pensò Lenn, che si alzò in piedi e si diresse verso la tenda afflosciata. Si sentì sollevato grazie alla possibilità di ignorare palesemente Jao.
Il castano lo seguì con lo sguardo. - Che fai? -, chiese curioso.
- Monto la tenda. - borbottò di rimando lui, seccato.
Lenn era sempre più confuso, Jao sempre più di buon umore. Lenn non capiva cosa lo trattenesse dall'uccidere quel ragazzo e andarsene da lì, lasciando tutto e tutti e nascondersi da qualche parte per rimanere un po' tranquillo e da solo con se stesso, a pensare. Quella situazione di stallo lo irritava più di quanto avese potuto immaginare.
Jao invece provava molta simpatia per Lenn, nonostante non lo conoscesse quasi per niente; tuttavia era fiducioso, considerava il fatto che Lenn si fosse fidato abbastanza da accettare del cibo da lui fosse un grande passo avanti. Si sentiva quasi in dovere di aiutarlo in qualsiasi modo, si fidava del suo istinto, che gli diceva di pazientare e provare a stringere un legame con quel ragazzo piombato sul suo cammino a katana sguainata.
Tutto ruotava attorno alla fragile speranza che Lenn non cercasse di nuovo lo scontro e tentasse di nuovo di ucciderlo, a quel punto il castano sarebbe stato costretto a farlo tornare al suo posto una volta per tutte, o cacciarlo via.
Per il momento, comunque, era al sicuro. Lenn aveva lasciato la katana conficcata a terra, senza apparentemente degnarla di uno sguardo per la prima volta negli ultimi giorni.
Così, mentre il sole spariva, Lenn in poco tempo montò la tenda correttamente, ravvivò il fuoco e poi si sedette lì vicino.
Quando gli altri amici si svegliarono dal loro pisolino, a notte inoltrata, videro Lenn mangiare accanto a Jao, in silenzio, con fare a dir poco famelico. Il ragazzo dagli occhi nocciola gli parlava senza posa, lucidando la sua grande spada. Stanchi e non soddisfatti della dormita, si girarono da un lato e tornarono a dormire, notando che il mondo dei sogni era meno strano e quasi più comprensibile di quello in cui vivevano.


Il sole era ormai sorto, illuminando le colline ed il villaggio che circondavano. Quella calda luce dorata, che presagiva l'inizio di un altro giorno sereno, non la poteva vedere nessuno perché tutti dormivano ancora nei loro letti o nei sacchi a pelo; solo una persona era sveglia. Lenn non aveva dormito neppure quella notte, era rimasto a fissare la collina opposta; sapeva che in quel punto sorgeva la sua casa, anche se era ben nascosta tra le rocce e gli alberi.
Temeva che il Maestro sarebbe potuto uscire per venire a prenderlo da un momento all'altro, per punirlo; sentì un brivido percorrergli la schiena fino al collo, forse per la paura; la mattinata però era anche stranamente fredda.
Stava cominciando a riflettere su quello che il Maestro gli aveva raccontato sul mondo esterno, e lo stava mettendo a confronto con quello che aveva visto fino ad allora; le due versioni non avevano quasi nulla in comune. Gli era stato detto che il mondo era un'insidia continua, che le persone lo avrebbero disprezzato, perseguitato o ucciso, che avrebbe sofferto se si fosse legato a qualcuno. Ma lui non aveva ancora incontrato difficoltà, le persone che aveva visto lo avevano ignorato oppure accolto come i suoi nuovi compagni, e non soffriva più di tanto mentre stava con loro. Nonostante fossero degli Impuri, non sembravano malvagi o mostri, erano solo differenti da lui. Cominciava a chiedersi se quello che gli avesse insegnato fosse stato un errore di giudizio o qualcosa di voluto, qualcosa per sviarlo. Ma sviarlo da che? C'era qualcosa di cui non era al corrente e che invece avrebbe dovuto sapere? Non poteva neanche pensare però che il suo Maestro lo avesse ingannato. Dopotutto lo aveva cresciuto, istruito, adddestrato e aiutato; però perché aveva l'impressione che qualcosa non andasse? Tante domande gli affollavano la mente, e non sapeva se avesse più paura di esse o delle loro risposte.
Non sapeva cosa fare, si sentiva insicuro. Forse era stato buttato in quel mondo troppo presto, o in malomodo. Qualunque fosse il motivo, non riusciva a tollerare quelle sue manchevolezze ed esitazioni, non gli avevano insegnato il perdono. Però non era stupido, e voleva andare a fondo con quella storia, voleva capire.
Si passò una mano sul viso, provato.
Si girò e si guardò alle spalle; Harù si stava svegliando.
Il ragazzo sollevò la testa e tirò un grande sbadiglio, poi la scosse nel tentativo di far cadere la rugiada dai capelli. - ...Buongiorno. - disse con un altro sbadiglio. Harù era sempre il primo a svegliarsi, anche se poi rimaneva imbambolato e sonnolento per una buona mezz'ora.
Lenn ricambiò il suo saluto con un gesto della mano. Non voleva ancora parlare molto, non più perché non si fidava, si era abituato alla loro presenza; solo, non aveva niente da dire. Aveva deciso di evitare qualsiasi accenno alla sua vita a casa, in più.
Harù si alzò in piedi e si stiracchiò come un gatto, i capelli ritti lo facevano sembrare un porcospino. - Ho una fame! -, commentò. Anche quella frase era di rito. Non aveva ancora aperto del tutto gli occhi e già parlava di cibo, il suo stomaco era un baratro senza fondo.
In quel momento anche Chad si svegliò, la faccia simile a quella di un fantasma col mal di stomaco. La cosa che gli piaceva di più fare la mattina era oziare, per poi scatenarsi durante la giornata.
Jao, una volta chiamato a svegliarsi da Harù, si svegliò e si alzò quasi subito; il castano era di sicuro quello più mattiniero. Si diresse subito verso Rizo che, nonostante fosse già sveglio, aveva ficcato anche la testa nel sacco a pelo per sembrare addormentato e stare di più a riposare. Ma Jao ormai conosceva tutti i suoi stupidi trucchi. - Andiamo Rizo, lo so che sei sveglio. Non dobbiamo perdere tempo, ieri abbiamo fatto poca strada. -
- Non ho voglia di scarpinare, oggi. - rispose, facendo segno con la mano di andare via, una volta tirata fuori dal sacco.
- E allora ti lasciamo qui. - rispose Harù, mentre si cambiava d'abito.
Jao sospirò. - Senti, non possiamo tirar fuori le stesse questioni ogni mattina, ci fa solo perdere tempo. Tanto domani dovremo camminare lo stesso, tanto vale fare un po' più di strada oggi per arrivare prima a destinazione, no? -
Rizo si preparò come sempre a ribattere, ma Lenn lo anticipò rifilandogli un calcio negli stinchi. - Muoviti. -, disse glaciale.
- Ah! Che dolore! - si lamentò l'uomo. Poi, vedendo Lenn prepararsi per un altro inesorabile colpo, si alzò il più velocemente possibile, quasi inciampando nel farlo.
- E va bene, per stamattina avete vinto, ma domani voglio dormire di più. - disse, e poi raggiunse Chad mentre smontava la tenda e contemporaneamente consumava la sua colazione.
- Però. Mica male come metodo. - commentò Jao. - Grazie Lenn. -
Il ragazzo dai capelli corvini si congedò con un gesto del capo e tornò al punto in cui era stato quasi tutta la notte appena passata, per contemplare un'ultima volta il punto in cui avrebbe dovuto sorgere la sua casa.
Jao gli si affiancò silenzioso, rimase un paio di minuti vicino a lui senza fiatare per non disturbare o interrompere i suoi pensieri.
- Quando arriveremo a destinazione, penserò ai bellissimi posti che ho visto. Mi aiuteranno a vincere il Torneo. Pensare anche a quanta strada ho percorso, magari. - disse improvvisamente. Forse pensava che Lenn stesse semplicemente ammirando il paesaggio.
- Sono mesi che viaggio e non sono neanche arrivato a metà del tragitto. - aggiunse. Poi volse lo sguardo verso Lenn. - Ma tu sai dove stiamo andando, vero? - domandò, assalito da un dubbio.
Lenn alzò le spalle. Non lo sapeva, ma non gli importava più di tanto.
- Incredibile. Ci segui e non sai nemmeno perché girovaghiamo come un gruppo di sbandati. - disse ridacchiando.
- Beh, allora te lo dico. - arrivò poi alla conclusione.
Cominciò a raccontare: - Come molti sanno, due anni fa il re Kaloshi e il re Fanir decisero di porre un accordo per far terminare le ostilità che da sempre hanno coinvolto gli Umani e gli Elfi. I due discussero e poi decisero di eleggere un unico re che portasse la pace fra le due razze. Il re degli Elfi, Fanir, rimase vedovo anni fa, e si rifiuta ancora adesso di risposarsi e avere figli; il re Umano Kaloshi, invece, ha avuto molti figli, ma sono morti tutti durante l'ultima guerra, e non se la sente più né di governare né di scaricare il peso della sua corona su di un figlio che potrebbe avere. Per questo decisero di lasciare la corona ad un'altra persona, capisci? Ma non sapevano se il prescelto sarebbe dovuto essere un Elfo o un Umano. I consiglieri di Fanir proponevano di eleggere un Elfo, ovviamente, e quelli di Kaloshi invece insistevano sul fatto che un Umano sarebbe stato migliore nel ricoprire tale ruolo di riappacificazione. Così, dopo un anno di dibattiti, trovarono un accordo. Indirono un torneo tra gli Stregoni Umani ed Elfici, gli esseri più collegati alla magia e vicini agli Dèi. Decisero che chi avrebbe vinto tutti gli incontri magici sarebbe stato proclamato re, uomo o Elfo che fosse. -
I due si scambiarono varie occhiate. Lenn si era incuriosito e ascoltava il racconto, Jao si mise a ridere. - La sfortuna è che questo Torneo si svolgerà nella parte opposta a quella da cui sono partito, all'estremo nord di Argeth, e per percorrere tutta la distanza che ci divide ancora da quel luogo ci vorrà almeno un anno. Però, proprio per dare una possibilità anche a chi viveva distante, decisero di lasciare due anni scoperti per i viaggiatori. Man mano che i concorrenti arriveranno, riceveranno più istruzioni e verranno portati nel luogo preciso in cui si svolgerà il Torneo. Saremo così tanti che ci vorrà una vita prima di eliminare tutti i contendenti e arrivare ad averne solo uno. -
Jao sollevò lo sguardo e fissò deciso il cielo azzurro. - Ma l'ultimo rimasto sarò io, sono deciso. -
Lenn assunse un'espressione scettica. Quel ragazzo era forte, aveva potuto constatarlo già un paio di volte, ma non sarebbe mai riuscito a superare le prime selezioni. Il mondo era pieno di Stregoni, e lui di sicuro non era il migliore. Tuttavia, stava pensando seriamente che avrebbe potuto partecipare. Il posto di re era davvero allettante.
- Gli altri sono miei amici, ma quando arriveremo lì dovremo scontrarci, prima o poi. - sospirò Jao.
Lenn lo fissò, poi si girò e camminò verso gli altri che erano ormai quasi pronti a ripartire.
- Vincerò io. - sussurrò con un furbo mezzo sorriso. Aveva deciso definitivamente, avrebbe seguito i ragazzi per partecipare a quel Torneo. Come re, avrebbe disposto del massimo potere, avrebbe riportato in auge il nome del suo Clan, e in più sarebbe fuggito dal suo Maestro; sapeva che se fosse tornato a mani vuote sarebbe stato severamente punito, tanto valeva allora non tornare affatto.


Il sole di mezzogiorno batteva violento sulle teste di cinque ragazzi, quelli che stavano scalando la ripida e aspra collina nel tentativo di raggiungere l'altro lato e uscire finalmente dalla valle.
- Ho caldo, mi frana il terreno da sotto i piedi e mi fanno male le braccia! - si lamentò Chad per l'ennesima volta.
- Stà zitto e scala, così risparmi pure fiato. - lo rimproverò Harù, che stava sotto di lui. Sembrava scocciato, non per il caldo, ma perché ogni volta che alzava lo sguardo era costretto a guardare il sedere di Chad davanti alla faccia, che sembrava non salire di un millimetro.
Jao e Rizo erano poco sopra di loro, intenti a trovare appigli sicuri e ad issarsi. A volte dei sassi a cui erano aggrappati cedevano, così strisciavano indietro e perdevano terreno.
- Odio tutta 'sta roccia franabile! - sbottò improvvisamente il castano, lamentandosi per la prima volta dopo un'ora di scalata. Questo significava che il pendio era davvero ostico da superare.
Lenn invece era l'unico a non avere problemi. Saltava con agilità da un punto all'altro, senza mai esitare e senza mai cadere. Sembrava quasi sapere già dove si trovavano gli appigli, appena ne vedeva uno balzava da quella parte e si issava con le sue braccia forti e abituate a sforzi del genere. Dopo aver percorso un certo numero di metri, si fermava e si metteva in una posizione comoda per aspettare gli altri, con molta pazienza. Una volta raggiunto dai compagni, ricominciava a scalare la collina e ripeteva le stesse azioni di prima.
A pomeriggio inoltrato, Lenn si fermò un'ultima volta per aspettare i suoi compagni, poi solo qualche metro li avrebbe divisi dalla vetta. Lui era tranquillo e non eccessivamente provato, gli altri invece erano tutti sporchi di terra e polvere, ottenuta a forza di scivolare e rotolare di sotto; riuscivano a malapena ad issarsi.
- Avanti ragazzi, ci siamo quasi. -, li incitava Jao, anche se era quello più stanco.
Dopo una ventina di minuti circa, Jao arrivò in cima. Fu seguito a ruota da Rizo, poi da Harù e infine da Chad, che era più morto che vivo.
- Uao, guardate che roba! - esclamò Harù quando vide il paesaggio davanti a loro.
Lenn, che era rimasto ultimo per controllare che nessuno cadesse, arrivò dietro di loro velocissimo, ansioso di vedere anche lui il paesaggio.
Quando arrivò in cima, poté finalmente vedere quanto fosse veramente vasto il mondo. Oltre la collina, davanti a loro, si estendeva una prateria dall'erba verde smeraldo, così vasta e bella che non si poteva vedere nient'altro sulla linea dell'orizzonte. Quelle colline grige e impervie stonavano in mezzo a quel mare verde, che sembrava essere l'unica cosa che sarebbe potuta esistere sulla terra, tanto era assoluta la sua presenza.
- Quanta strada da fare... - disse abbattuto Chad mentre si sdraiava a terra.
- Sembra quasi infinito. - commentò Jao.
- Già... - confemò Harù.
Rimasero in silenzio per qualche minuto.
- ...Voi non avete fame? - chiese poi, rovinando il momento magico e pieno di soddisfazione per aver conquistato la vetta.
- Harù, possibile che tu debba sempre pensare al cibo?? - sbottò Rizo.
- Io penso al cibo quanto tu pensi alle donne nude. - ribattè Harù acido.
- Pensare a certe cose è anche normale, eh! -
- E pensare a mangiare secondo te non è normale, cretino? -
Rizo sembrò diventare rosso di rabbia, ma Jao li calmò.
Lenn non li stava ascoltando, era rimasto a fissare la distesa d'erba davanti a lui. Quando era uscito da casa sua si era sentito strano, ma ora guardando quel posto si sentiva libero, non aveva dubbi su cosa provasse. Cominciò a pensare a quello che avrebbe potuto fare là fuori, senza catene o altro a trattenerlo, senza preoccupazioni. Se fosse uscito dalla valle, pensò, il suo Maestro non sarebbe di sicuro riuscito a trovarlo, e non sarebbe stato punito. Era potente, ma magari non abbastanza per ritrovarlo là fuori, chissà.
Aveva voglia di mettersi alla prova, di sfidare qual grande mondo. E aveva bisogno di ritrovare un po' di sicurezza. Pensava solo a quello da quando Jao gli aveva spiegato la storia del Torneo, non aveva altro per la testa.
Gli altri ricominciarono a camminare e scesero il pendio, decisamente meno ripido della salita, facendo attenzione a dove mettere i piedi. Lenn fece per seguirli, ma un dolore sordo ed improvviso gli trapassò la testa, come una frecciata. Si guardò attorno, ma non vide niente. A parte lui e i suoi compagni, lì non c'era nessuno.
Il suo sguardo ricadde d'istinto nel punto dove avrebbe dovuto sorgere la sua casa, come al solito coperta alla vista.
Pensò che fosse stata solo una sensazione, forse era il sonno che cominciava a prevalere su di lui, era decisamente molto stanco; si rigirò e diede le spalle a quel posto, poi scese la collina e raggiunse i suoi compagni.
Dall'altra parte della valle, nello stesso momento, si levò un urlo possente di rabbia.

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Capitolo 6
*** Capitolo 2 - Le catene del Drago (Parte I) ***


Capitolo 2
Le catene del Drago
Parte I




Il sole tramontava sull'ennesimo giorno di cammino, all'orizzonte si poteva vedere solo altra erba, senza che il paesaggio cambiasse mai; la piana sembrava infinita.
- Ho fame... - mugugnò Harù, mentre si trascinava avanti.
- Pure io. - affermò Rizo.
- Cosa darei per un arrosto! - esclamò di nuovo il ragazzo dagli occhi azzurri.
- E dove lo troviamo un arrosto, qui? - rispose Jao.
Lenn, stanco di sentire i loro lamenti che andavano avanti da ore, alzò lo sguardo al cielo. Un'aquila volava tranquilla sulle loro teste, libera ed elegante. Cosa ci faceva lì, in mezzo ad una prateria, lontana dalle montagne? Era davvero bizzarro vedere quel tipo di uccelli in quella zona. Da lontano vide arrivare in volo altri tre uccelli, sembravano colombe o volatili molto simili. Il rapace, con uno scatto repentino, si rigirò e si diresse fulmineo verso le prede, che non ebbero il tempo di reagire all'attacco. Pochi secondi dopo, l'uccello predatore stringeva fra gli artigli una delle tre colombe, morta sul colpo, ghermita dai suoi artigli a mezzaluna.
Harù aveva assistito alla scena come Lenn.
- E se facessimo come l'aquila e ci mangiassimo una colomba? Sembrano buone! - disse, leccandosi le labbra.
- Non ci posso credere, ti mangeresti pure quelle? - sbottò Rizo.
- Beh, credo proprio che siano commestibili. - aggiunse Jao, a cui piaceva l'idea dell'amico.
Lenn si avvicinò ai compagni. - E come farete a prenderle? Volando? - domandò sarcastico.
Sul volto di Chad si dipinse un'espressione famelica, poi con un sorriso prese la sua fionda e raccolse un sassolino da terra. - Guarda e impara. - disse.
Harù estrasse dallo zaino un grande piatto per grandi portate, pronto per essere riempito. Chissà come faceva a starci un piatto simile in uno zaino.
- Dai, vai! Ho già l'acquolina in bocca! - esclamò tutto contento.
Lenn si avvicinò a Jao. - Cosa vogliono fare? - domandò.
- Ci procurano la cena, sta a vedere. - rispose il ragazzo, poi diresse di nuovo la sua attenzione verso i due amici.
- Pronto? - domandò Chad ad Harù. L'amico scosse la testa per confermare.
Il ragazzo di colore allora caricò con il sassolino la fionda, poi la puntò in direzione delle due colombe; prese la mira e poi tirò. - Fir! - gridò nello stesso momento.
In pochi istanti, il sassolino lanciato da Chad prese fuoco, fino a diventare un globo di fiamme; la sfera centrò in pieno uno dei volatili e lo avvolse, rimase per qualche secondo ancora sospeso un aria. Quando il fuoco si dissolse, Harù era già corso lì sotto con il piatto in mano; un arrosto ben cotto cadde su di esso, fumante e dall'aspetto invitante, nonostante qualche bruciacchiatura.
Harù con aria trionfante e un gran sorriso stampato sul volto si affiancò a Lenn e gli passò il piatto sotto il naso: - Petto o coscia? -


La notte era ormai calata, i cinque compagni di viaggio erano tutti seduti attorno ad un vivace fuoco e avevano un'aria satolla.
- Buono, però mancava di sale. - commentò Rizo.
- Non facciamo i pignoli, eh! - rispose Chad con aria scherzosa. - E poi ti sei sbafato la tua razione più in fretta di Harù! -, aggiunse poi.
Quest'ultimo era seduto a gambe incrociate e fissava le fiamme davanti a lui con un'insolita serietà.
- Sapete cosa mi manca più del cibo sempre a disposizione? - domandò all'improvviso.
- No, cosa? - chiese Jao.
Harù sospirò. - Mi manca casa mia. -, disse - I miei genitori, il mio letto, la neve, le mie due sorelle... -
- A tutti manca la propria casa. - disse Rizo.
- No, non è detto. - ribattè Jao, - A me per esempio non manca affatto. -
- E perché? - chiese curioso Lenn. Da quando era uscito dalla valle, si sentiva decisamente più a suo agio.
- Ah, te lo dico subito, il perché. - rispose sicuro Jao - A casa mia ero come in gabbia. Solo perché la mia famiglia è antica e di origini nobili, non significa che io debba seguire tutte le sue tradizioni! I miei genitori mi facevano frequentare solamente persone di Clan importanti, tutti ragazzini miei coetanei, ma con la puzza sotto il naso. Io volevo andarmene da lì, decidere da solo il mio futuro. Quando ho saputo del Torneo ho colto l'occasione al volo e me ne sono andato. -
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Rizo intervenne: - Io sono andato via nella speranza di trovare belle donne ricche e sposarmici, ma adesso che sono in viaggio per il Torneo mi accontento di qualsiasi donna. -
- Tu sei un pervertito! - disse Harù.
- Non è vero! - ribattè offeso Rizo.
- E invece sì, come quella volta in cui ti stavi per portare a letto una tredicenne! Sei un maniaco. -
- Pft, è stata lei a chiedermelo quella volta! E poi, pensate quello che volete, ma io non resisto a lungo a fare un viaggio con un gruppo di soli uomini; è deprimente, dai! -
- Cos'è, non ti piace la nostra compagnia? -
- No, ma... -
- Smettetela di discutere! -, s'intromise Chad, - Non ho voglia di sentire i vostri battibecchi mentre sono nel bel mezzo della digestione! -
Jao si mise a ridere, tentando però di non farsi vedere dagli altri.
Quella sera Lenn si sentiva stranamente in vena di conversazione, aveva una certa voglia di conoscere meglio le persone che adesso viaggiavano insieme a lui.
- E tu Chad, perchè sei partito? -
Il ragazzo dalla pelle nera lo guardò in modo strano, forse stupito per la sua improvvisa parlantina che sostituiva le poche sillabe che di solito pronunciava in un'intera giornata. Scosse leggermente le spalle. - Beh, non avevo voglia di lavorare con mio padre, preferisco l'avventura al coltivare i campi e vendere frutta e verdura al mercato. E poi lì non potevo esprimere la mia creatività, non potevo cantare, ballare, fare quello che mi piace fare... Una vera noia, insomma. In più, sentivo il desiderio di distinguermi dai miei dodici fratelli e sorelle e fare qualcosa di nuovo, come lo Stregone. -
- Hai davvero tanti fratelli. -, constatò Lenn.
- Sì, ma sono tutti dei rompiscatole, specialmente i più piccoli. - rispose Chad. - Quanto vorrei essere stato figlio unico! -
- Non è un granchè essere figli unici, si sta sempre soli. Io ad esempio vorrei un fratello o una sorella. -, disse Jao.
- Ehi, Lenn. Fai tante domande ma non dai risposte, sappiamo ben poco di te. - s'intromise Rizo, con un sorriso beffardo ed irritante e quell'affermazione scomoda, ma veritiera. - Che ne dici di rispondere a qualche domandina? -, propose.
Lenn lo guardò torvo. Harù, risvegliato il suo interesse, si avvicinò al ragazzo dai capelli corvini.
- Dai, qualche domanda innocente. Ad esempio... -
Harù riflettè e volse gli occhi al cielo. - ...Dove vivi? Ti abbiamo trovato vicino a quel sentiero, non credo che tu sia sbucato dal nulla. -
Lenn rimase muto per qualche secondo, ma decise di rispondere. - Vivo in una casa su una collina della valle in cui eravamo, la più alta e la più ripida. - disse in tono pacato.
- Allora sei un novellino, non hai ancora viaggiato molto. - disse Rizo.
Lenn gli indirizzò un'altra occhiataccia. Non gli piaceva proprio quel tipo, gli ispirava poca fiducia, anche se comunque sembrava l'unico a pensarlo.
- Ma fai veramente parte del Clan del Drago? - continuò Chad.
Lenn annuì. - Perché me lo chiedi? -
- Sai, nessuno sapeva che esistete ancora. Da anni si pensa che il tuo sia un Clan estinto. - spiegò Harù.
- Beh, non lo è. -
- Com'è la tua famiglia? - domandò improvvisamente Rizo.
Ma Lenn questa volta non rispose. Rimase in silenzio. Non gli andava proprio di parlare della sua famiglia.
- ...Perchè la notte non dormi, Lenn? - chiese Jao. Era la prima domanda che gli faceva, sembrava uscito da una specie di catalessi.
- Non ne ho bisogno. - rispose brusco.
- Io invece credo di sì, non hai una bella cera. -, insistè il ragazzo.
- A proposito di dormire! -, esclamò Harù, - Si è fatto davvero tardi. Buonanotte! - aggiunse, e poi si buttò sul suo sacco a pelo, che era già aperto dietro di lui. Pochi minuti dopo lo si potè sentir russare.
- Ah, come vorrei potermi addormentare in fretta come ci riesce lui! - commentò Jao guardando l'amico dormire già della grossa.
Chad sbadigliò. - Credo che lo imiterò. Domani avremo molta strada da fare. Dovremo camminare, e camminare, e camminare... - raggiunse il suo sacco pelo e vi strisciò dentro. - ...e camminare, camminare... -, poi non lo si sentì più muovere o parlare, improvvisamente crollato nel sonno.
Rizo si stiracchiò un po', poi disse: - Buonanotte, cicci, il grande Rizo se ne va a dormire! -
- Buonanotte. - rispose Jao.
Lenn invece si limitò a guardarlo male e si avvicinò al fuoco, come tutte le altre sere; avrebbe passato insonne anche quella notte, seppur si sentisse più al sicuro da quando era fuori dalla valle. Non voleva assolutamente abbassare la guardia, anche se era arrivato allo stremo delle forze.
- Senti Lenn, dovresti dormire almeno un po'. - disse poi Jao. Sembrava sinceramente preoccupato per lui. - Non corri pericoli con noi, sei al sicuro. -
Lenn continuò ad osservare le fiamme. - Tu non capisci... -. Si girò verso il compagno. - Non puoi capire. -
- Io capisco solo che hai bisogno di riposarti. Secondo te perché gli Dei hanno inventato il sonno, per gioco? -
Lenn non era ancora convinto.
- Farò io la guardia stanotte. Tu riposati, anche solo per qualche ora. -, lo rassicurò Jao.
Lenn non voleva assolutamente addormentarsi, ma sapeva che non avrebbe potuto rinunciare al sonno per il resto della sua vita, e da quando era lì si sentiva meglio: lontano dalla sua casa. Forse il suo Maestro non sarebbe riuscito a rintracciarlo da lì.
- Allora...? Solo per qualche ora. -, continuò Jao.
Lenn si stese a terra, rassegnato. Se il Maestro lo avesse rintracciato, avrebbe risposto alla sua chiamata al dovere, sapeva che non avrebbe potuto fare altro.
- Solo per qualche ora. - assentì, poi si mise comodo sull'erba e chiuse gli occhi.
Il buio lo avvolse, la stanchezza lo assalì, e pochi istanti dopo perse conoscienza.


Intorno a lui tutto era buio. Si girò a destra e a sinistra, sospeso come nell'aria, ma non vide niente.
In quel momento, facendolo sobbalzare, una potente voce tuonò:
"Lenn! Che piacere rivederti. E' da un po' che non ci vediamo, così tanto che potrei pensare che tu volessi evitare il nostro incontro..."
Lenn si guardò attorno, spaesato. "No, Maestro, non potrei mai farlo!"
"Non mentirmi Lenn, e ammetti le tue colpe. Mi hai tradito. Hai creduto di poter fuggire invece di eseguire gli ordini!"
"No!" gridò Lenn, cercando di salvaguardare un briciolo di onore.
"E allora perché non hai ucciso lo Stregone? Perché hai tenuto chiusa la tua mente senza lasciarmi entrare? Credevi che non sarei riuscito a ritrovarti?", tuonò l'uomo, adirato.
"Avrei obbedito, avrei ucciso lo Stregone appena possibile!" disse Lenn.
"Smettila di mentire! Ti ho insegnato che il nostro Clan è sempre stato ligio al dovere e rispettoso nei confronti degli antenati, assassini esperti prima ancora che nascessimo entrambi. Se l'avessi voluto uccidere veramente l'avresti fatto immediatamente, non avresti esitato per giorni!"
Lenn chinò il capo in segno di scusa, ma sapeva che non sarebbe servito. Non aveva mai visto il suo Maestro così adirato, e aveva ragione ad esserlo.
Ci fu un lungo silenzio, poi la voce riprese a parlare, con tono più calmo, ma anche più inquietante:
"Lenn, mi hai profondamente deluso.", poi si fece più deciso ed imperioso. "Torna immediatamente a casa. Riceverai la tua punizione. E' quello che ti meriti."
Un brivido attraversò l'intero corpo di Lenn, pensando al tatuaggio del suo Clan inciso sulla schiena; se fosse tornato, l'avrebbe di sicuro perduto per sempre. Un gusto amaro di consapevolezza gli riempì la bocca; sapeva che non sarebbe potuto scappare da nessuna parte, ormai il suo contatto mentale con il Maestro era stato tracciato, e nessun luogo sarebbe stato più sicuro per lui. Sapeva che, presto o tardi, quel momento sarebbe arrivato.
E gli avevano insegnato a caricarsi delle conseguenze delle sue azioni, non sapeva che altro fare, oltre che obbedire.

"...Sì, Maestro. Partirò immediatamente per raggiungervi." disse, sottomesso.
"Così va meglio..." disse la voce "E non cambiare direzione durante il tragitto. Se lo farai, lo saprò."


Lenn si svegliò di soprassalto, sudato e con il fiato corto. Il cuore gli batteva nel petto dolorante, rendendo ogni respiro sempre più faticoso. Si guardò intorno. Era ancora notte fonda: Jao, Chad, Harù e Rizo dormivano e russavano beati.
Tutto era tranquillo.
Poi, improvvisamente, il ragazzo ebbe una fitta dolorosissima alla testa: di nuovo quell'orribile sensazione di avere una freccia che gli trapassava il capo. Ma questa volta era più acuta, e duratura; il dolore continuava a pulsare forte e non sembrava accennare a svanire.
Lenn, spaventato e scosso, si mise in piedi in fretta, barcollante, e recuperò la katana poggiata vicina a lui.
Il fuoco e le braci illuminavano l'area circostante, silenzioso e tranquillo. Lenn decise di mettersi subito in cammino per raggiungere la sua casa. Senza la zavorra dei suoi compagni ci avrebbe messo solo ventiquattr'ore di cammino ininterrotto. Sarebbe scomparso nel nulla esattamente come era apparso, così che la sua assenza non sarebbe stata subito notata. Ma tanto non sarebbero mai venuti a cercarlo, non si meritava tanto. Si mise a camminare verso le colline ancora visibili; il dolore si fece meno intenso. Poi accellerò, finchè non si mise a correre. Ad ogni passo la testa gli doleva un po' di meno, sapeva che il male sarebbe passato non appena fosse arrivato a destinazione.
Lasciò tutte le sue illusioni lì dove le aveva trovate, tra quel gruppo di ragazzi; cosa si era messo in testa? Di disobbedire e di farla franca? Di essere libero e tranquillo e rimanerne impunito?
Quante sciocchezze. Doveva tornare a casa e poi abituarsi all'idea di vivere da reietto, non si meritava altro.
All'alba non sarebbe già più esistito per nessuno.

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Capitolo 7
*** Capitolo 2 - Le catene del Drago (Parte II) ***


Capitolo 2
Le catene del Drago
Parte II




Jao sbadigliò, poi si stiracchiò come un gatto, le membra appesantite dal sonno. Aprì gli occhi e venne accecato dalla forte luce del sole di quella mattinata, stranamente calda e tranquilla. Dal silenzio potè capire che tutti gli altri dormivano ancora, quindi aveva qualche minuto di piacevole tranquillità prima della colazione. Si guardò attorno, aveva la strana sensazione che mancasse qualcosa. Se ne accorse solo dopo: Lenn era sparito.
Si alzò in piedi e si guardò in giro, ma la piana era deserta, nessuna forma di vita oltre a lui ed i suoi amici. Si chiese dove fosse andato, e soprattutto perché.
Si avvicinò ad Harù e lo scosse. - Harù, svegliati! -
Passò qualche secondo, poi il ragazzo sollevò la testa.
- Che c'è? - domandò, mezzo addormentato.
- Lenn è sparito. - disse Jao preoccupato.
Harù si girò verso di lui e aprì completamente gli occhi. - Sarà andato in giro ad ammazzare qualcuno, vedrai che ritorna. -
- Smettila di scherzare, qui oltre a noi non c'è nessuno! - ribattè scocciato Jao.
- E allora non so che dirti, chiedi a Rizo, magari ha visto dov'è andato. - rispose l'amico, che poi poggiò il capo a terra.
Jao si rialzò e si avvicinò a Rizo, che come al solito era già sveglio ma fingeva di dormire.
- Rizo, hai visto Lenn? -, chiese.
Il biondo si mise subito a sedere, stranamente di buonumore. - No, non l'ho visto, infatti la giornata è cominciata benissimo! - affermò.
Jao sbuffò. - Ma perché perdo tempo con te? -
Chad intanto era stato svegliato da Harù e si era messo anche lui a sedere. - Ma perché ti preoccupi tanto? Forse si era stufato di noi e ha deciso di viaggiare da solo, eh. - disse con uno sbadiglio.
- S'è messo a dormire ieri notte, ma poi dopo un'ora sono crollato anch'io. Non capisco perché se ne sia andato senza neanche salutare, senza dire niente. A me sembrava che andasse tutto bene... - disse Jao amareggiato. A volte rispecchiava davvero i sentimenti di un bambino, con le sue espressioni.
Rizo, che nel frattempo s'era alzato, gli si affiancò. Gli poggiò una mano sulla spalla.
- Jao, mica puoi forzare una persona a stare dove non vuole esserci. E poi è un bene che se ne sia andato, finalmente dormirò senza la paura che quello mi uccida nel sonno. -
- Ma non capite? - disse Jao, scrollandosi la mano di Rizo da dosso. - Forse gli è successo qualcosa di brutto, forse non voleva andarsene. Mi sembra strano che una persona ti rimanga appresso per un po' e poi di punto in bianco se ne vada senza dire nulla! Secondo me dovremmo cercarlo. -
- Io invece propongo di proseguire il viaggio, chi è d'accordo con me? - domandò Rizo, alzando la mano.
Chad e Harù si guardarono per qualche secondo, poi la sollevarono anche loro.
Jao assunse un'espressione offesa.
Harù tentò di giustificare la sua decisione. - Jao, non pensi che molto probabilmente a quello lì non importava niente di noi? Ha pure provato ad ammazzarti, possibile che tu non riesca a serbare rancore per nessuno? -
Jao incrociò le braccia. - Nessuno ha capito che quel ragazzo ha bisogno di un aiuto, invece? Secondo me è particolare, ma non è cattivo, ha solo bisogno che qualcuno lo capisca. -
- Jao, quello è uno spietato assassino, non un barboncino. E in più è uno Stregone Oscuro, portarcelo appresso ci procurerebbe solo guai! -, ribattè Rizo.
Jao passò il suo sguardo accusatore sui tre amici, poi seguì un attimo di teso silezio.
- Fate quello che volete, io vado a cercarlo. - si avvicinò alla cintura con la spada poggiate a terra e le indossò, poi cominciò a camminare in una direzione a caso. Non sapeva neanche dove cominciare a cercare, ma prima o poi avrebbe trovato qualcosa.
Rizo, mentre lo guardava, sembrava il più contrariato di tutti. - Ah, beh, così però non vale! Prima rompi le scatole a me che non dobbiamo ritardare nemmeno di qualche ora per arrivare in tempo al Torneo, e poi pretendi che torniamo indietro e perdiamo giorni interi per andare a cercare un tizio che ci sta pure sulle palle? -
Jao lo guardò con un'espressione stranamente fredda. - Non vi ho detto di seguirmi. Ho detto fate quello che volete. Potete anche proseguire e lasciarmi indietro. -
I suoi tre amici rimasero basiti per la risposta. Jao era in assoluto quello che desiderava di più arrivare al Torneo il prima possibile, non capivano cosa gli passasse per la testa per fargli cambiare idea in modo così radicale. Rimasero in silenzio per qualche secondo, guardandolo allontanarsi senza mai voltarsi.
Il castano andava spedito per una direzione a caso, guardando sempre avanti. Non vide un sasso ed inciampò, cadendo rovinosamente a terra.
- Ahia! Ma porca...! -
- Stai bene? - gli gridò da lontano Chad.
- Benissimo! - rispose lui di rimando, rialzandosi. Guardò il sasso che l'aveva fatto cadere con aria accusatoria, mentre si puliva i vestiti dalla terra umida per la rugiada.
Guardando il terreno, si accorse che c'erano delle impronte. Tra la rugiada, alcuni fili d'erba erano rimasti piegati e formavano la pianta di un piede, diretto nella direzione in cui stava andando lui. Potè capire che non era quella degli amici perchè la punta era dalla parte opposta alla loro marcia. Alzò lo sguardo e vide altre impronte sempre più marcate, intuendo che probabilmente Lenn si era messo a correre. Puntavano verso la valle che avevano lasciato poco più di due giorni prima.
Preso da uno strano senso di vittoria, si girò verso i compagni. - Ho trovato delle tracce! - gridò.
Harù e Chad si misero a correre verso di lui, Rizo invece restò al suo posto.
Quando i due amici lo affiancarono, Jao puntò con il dito la direzione della pista. - Guardate, è tornato indietro. Forse è andato a casa sua, ieri sera ha detto che abitava su una delle colline. -
- Forse si è stancato ed è voluto tornare a casa. - azzardò Chad.
- Vedi le impronte marcate? Probabilmente ha corso. Ma che motivo aveva? Come mai ha deciso di tornare così improvvisamente a casa e pure in fretta e furia? Per me, come ho detto, è successo qualcosa di strano. -
Jao era stranamente inquieto, guardava le colline più distanti sfregandosi le mani in continuazione.
Harù rimase a fissarlo per un po', pensieroso. Poi sospirò. - Vuoi proprio ritrovarlo? -
- Potrebbe aver bisogno di aiuto. - rispose deciso Jao - Andrò a casa sua a vedere almeno se è tornato e sta bene, poi riprenderò il viaggio. -
Harù riflettè ancora per qualche momento sul da farsi. - Aspetta anche me, vado a recuperare lo zaino e ti seguo. -
Jao sorrise. Meno male che Harù faceva poche domande e aveva tanta pazienza con lui.
- Allora vi accompagno anch'io, non si sa mai. - aggiunse Chad, che seguiva Harù ovunque andasse.
I due corsero indietro e cominciarono a raccogliere le loro cose. Rizo li guardava adirato.
Sarebbe stato difficile smuovere anche lui.


Lenn sentì un'altra frustata bruciante alla schiena, poi un'altra e un'altra ancora. Ad ogni colpo gridava di dolore, ma i suoi lamenti non sarebbero mai potuti uscire dalle mura di pietra dei sotterranei della sua casa.
Si trovava in una cella con pareti di roccia fredda e dura, alcuni angoli erano pieni di ragnatele e muffa, il cui odore si mischiava a quello di sangue e quello tipico dei luoghi chiusi.
Era appeso al soffitto a torso nudo tramite delle catene legate ai polsi, queste erano tenute tese da un meccanismo attaccato al soffitto e collegato ad una grande ruota di legno massiccio che si poteva girare manualmente, posta vicino del muro alla sua sinistra. La stessa cosa per le caviglie, ormai lacerate dalle catene troppo strette. Ogni volta che il Maestro faceva girare la ruota, le catene si tendevano e lo tiravano sempre di più. Sentì i muscoli tirarsi e quasi strapparsi quando l'uomo la fece girare per la terza volta. Un altro gemito gli uscì dalle labbra.
Poi, l'uomo gli si avvicinò fino a stargli di fronte; era grande e massiccio come un armadio a due ante, altissimo; aveva la faccia dai contorni leggermente squadrati e i lineamenti duri. Corti capelli neri tirati all'indietro e una folta barba nera gli incorniciavano il viso serio. In mano stringeva una lunga frusta di cuoio nero, le estremità terminavano con degli affilati denti di squalo sporche di sangue, il suo.
- Quindici anni passati a prepararti al momento della tua iniziazione... E sono stati tutti buttati al vento. - disse freddo l'uomo.
- N-non volevo... - balbettò Lenn. Aveva un occhio nero che rendeva il suo aspetto ancora più miserabile di quanto lo fosse già.
- SILENZIO! - tuonò il Maestro, scagliandogli poi un potente pugno allo stomaco. A Lenn mancò il respiro.
- Io ti ho mantenuto per tutto questo tempo, ti ho istruito, ti ho insegnato la nobile arte del combattimento, ti ho fatto padrone della magia Oscura! E' questo il modo di ringraziarmi? - gridò ancora. Le pareti parvero tremare.
Regnò il silenzio per qualche attimo.
- Quello che mi hai detto, tutto quelle cose che riguardavano le persone del mondo esterno, erano false! - rispose il ragazzo. Si passò la lingua sul labbro inferiore rotto. - Mi hai mentito. -
- Mentito? Come osi! Io ti ho detto che sono mostri, che ti uccideranno e ti caccerano per quello che sei! Vedrai che succederà. - ribattè il Maestro.
- Ma cosa sono io? Cos'ho di sbagliato? - sbottò Lenn. L'ira cominciava a pervaderlo, portata dalla frustrazione.
- Tu sei il peggiore degli esseri viventi, indegno di vivere e di esistere, sei un insulto al mondo in cui viviamo, ecco cosa sei! -
Quelle parole lo trafissero, taglienti più di una spada. Era davvero quello ciò che pensava il suo Maestro di lui?
Il suo unico punto di riferimento in tutti quegli anni non lo accettava più, l'aveva espulso dal suo Clan.
In quel momento, si udirono dei singhiozzi. Non erano di Lenn, che aveva sempre trattenuto le lacrime, ma erano di una ragazza che piangeva disperata oltre la porta della cella, sofferente vedendo il fratello minore ridotto in quel modo. Il suo viso si poteva scorgere attraverso la finestrella munita di sbarre della porta.
- Ti prego, lascialo stare! - disse, supplichevole e in preda alla disperazione.
- No. La deve pagare per avermi disobbedito e disonorato il Clan. - rispose l'uomo.
Questo impugnò di nuovo la frusta e la scagliò sulla schiena di Lenn, ormai insanguinata e ricoperta di ferite. Il suo tatuaggio, quello che simboleggiava il suo Clan, era stato strappato insieme alla pelle dalla frusta. Tutti i maschi di ogni Clan avevano il tatuaggio di famiglia sulla schiena, le donne no. Era comunque quello il simbolo che attestava l'appartenenza ad un Clan e veniva inciso nella pelle quando il bambino compiva undici anni e cominciava a diventare uomo. Lenn non sarebbe mai appartenuto a nessuna famiglia, ora.
La ragazza dietro alla porta della cella continuava a piangere, impotente. - Zio, non ha fatto niente di male! E' solo un ragazzino! - ripetè.
- Quante volte ti ho detto di non chiamarmi zio, ragazza! - ruggì l'uomo. - Tu non sei mia nipote, e ora neanche lui! -
La ragazza però continuò incessantemente a piangere.
Lenn provava pena per la povera sorella, che in tanti anni non era mai stata trattata in modo decente dal Maestro e non l'aveva mai fatta troppo avvicinare a lui. - Lascia stare, Lia. Merito questa punizione. -
La ragazza lo fissò sbalordita con i suoi occhi verdi colmi di lacrime, ma non disse nulla.
- Finalmente l'hai capito. - commentò il Maestro. - Uhm, mi sembra che qui ci sia ancora visibile un pezzo di tatuaggio. -
Detto questo, sollevò per l'ennesima volta la frusta sopra al capo e poi la scagliò su di un punto alla cieca, tanto per colpirlo.
Lenn non riuscì a trattenere un altro urlo di dolore.
Lia, che nel frattempo si era girata e aveva chiuso gli occhi, continuava a ripetere ininterrottamente una frase, che diceva ogni volta mentre vedeva Lenn soffrire. - E' tutta colpa mia, è tutta colpa mia! - ripeteva come sotto shock, non riusciva a pensare ad altro.
- Lia, và via di qui. -, ordinò il Maestro - Arroventa le aste di ferro, credo che di qui a poco ci serviranno. -
L'uomo poi alzò una mano al cielo. In quel momento si levarono dal pavimento dei filamenti di Oscurità; questi risalirono le catene e aggredirono Lenn, ormai sfinito e arreso al suo destino. Il ragazzo non oppose nemmeno resistenza. Lo ricoprirono quasi completamente e si insinuarono all'interno del suo corpo entrandogli nel petto, dov'era situato il cuore. Lenn cominciò ad essere scosso da violente convulsioni, ma non gridò; non ne aveva più la forza. La magia torturatrice lo comprimeva e lo soffocava, ma mai abbastanza da poterlo uccidere.
Lia osservò inorridita la scena, poi uno sguardo severo del Maestro la costrinse ad andare via e ad allontanarsi, dirigendosi verso la stanza in cui si trovava il forno a legna. Continuava a piangere per il fratello, senza mai smettere di ripetere la stessa frase, come se non volesse risparmiarsi da quella dura affermazione: - Oh, Lenn, è tutta colpa mia... -

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Capitolo 8
*** Capitolo 2 - Le catene del Drago (Parte III) ***


Capitolo 2
Le catene del Drago
Parte III




- Io mi sto ancora chiedendo perché siamo tornati indietro... - mugugnò Rizo, mentre saliva il ripido sentiero. - In questo modo abbiamo solo perso due giorni preziosi di marcia per tornare qui. -
- Sai com'è fatto Jao, se s'intestardisce nel volere qualcosa non si arrende finchè non la ottiene. -, gli rispose Harù, che camminava di fianco a lui con la schiena piegata dal peso dello zaino sulle spalle.
- Ma dove accidenti vive 'sto qui? Scegliersi una collina meno ripida in cui vivere no, eh?. - sbottò di nuovo il biondo.
Jao camminava in testa al gruppo, deciso ad arrivare a destinazione, mosso da una tigna e una determinazione davvero singolari. Guardava sempre avanti, tranne le poche volte in cui si girava per accertarsi che non ci fossero problemi tra i compagni alle sue spalle.
Chad, ad un certo punto della salita, gli si affiancò. - Ma non potevi semplicemente farti gli affari tuoi e continuare il viaggio? Cos'ha quel Lenn di tanto singolare? A me sta pure un po' antipatico, ti guarda come se ti volesse uccidere con lo sguardo! -
- E' una lunga storia, e francamente non mi va di parlarne adesso. Preferirei risparmiare il fiato per la salita. - gli rispose il ragazzo. Era sfinito, ma non aveva intenzione di fermarsi.
Chad lo squadrò un'ultima volta, poi tornò indietro dagli altri. - Bah, fà quello che vuoi... - disse mentre scendeva.
La discussione si chiuse lì, Chad era un tipo a cui bastavano poche parole o fatti per placare la sua curiosità o il suo disagio.
Dopo qualche altro minuto di salita, finalmente Jao vide il tetto di una casa, molto probabilmente quella di Lenn.
- Ehi ragazzi, siamo arrivati! - disse voltandosi indietro.
- Che il cielo sia lodato! -, esclamò Harù a quel punto, sollevando le braccia in aria.
- Quanto la fate lunga per una salita! Non vi ho mica costretti a seguirmi... - commentò il castano. Dopodichè si rigirò e fece gli ultimi passi che occorrevano per piazzarsi di fronte all'abitazione.
Era una casa di pietra che aveva solo il piano terra, ma che si estendeva per molti metri in larghezza; le finestre erano poche e piccole, come se i padroni non volessero ch'entrasse la luce all'interno o che qualche curioso riuscisse a vedere cosa ci fosse là dentro, dato che anche delle piccole tende bloccavano la visuale. Il tetto era di semplici tegole in terracotta color verde scuro.
"Se Lenn è in casa non avremo altro da fare che bussare." pensò Jao. Nonostante il suo sorriso e la solita scorta di ottimismo che serbava in sè, era abbastanza inquieto, come se in quel luogo ci fosse qualcosa di sbagliato. In più gli sembrava terribilmente familiare. Un forte brivido gli percorse la schiena facendolo quasi sussultare; quando si girò vide i suoi amici avere la stessa reazione a quella vista. Sentì la spiacevole sensazione di un vento freddo carezzargli le guance, e per un attimo temette che ci fossero dei fantasmi lì attorno pronti ad attaccarli. Qualcosa di negativo proveniva da quel luogo, aria di morte, addirittura.
La casa in sè non aveva nulla d'inquietante, era una normale abitazione, ma era riuscita a preoccupare tutti, che con la sensibilità degli Stregoni percepivano tanta energia negativa.
- Questo posto mi piace poco... - disse Harù.
- Sapete una cosa? Io me ne vado! - se ne uscì Chad, che fece dietrofront.
Rizo lo fermò afferrandolo per una spalla. - No, mio caro, tu resti qui. Mi hai convinto a venire fin qui e adesso non te ne vai. -
Jao, seppur teso, sfoderò un sorriso per tranquillizzare gli animi degli amici, che erano già contrariati dal principio. - E' solo una casa! Bussiamo, chiediamo di Lenn e poi ce ne andiamo, niente di più. -
Detto questo, si avvicinò alla porta e bussò. Passò un intero minuto, ma non accadde niente, nessuno venne ad aprire.
- Forse non hanno sentito. Riprova. - lo incoraggiò Harù.
Jao ripetè il gesto, stavolta con più decisione, ma la situazione rimase la stessa.
- C'è nessuno? - chiamò ad alta voce Jao.
- Spostati, ci penso io. - disse Rizo. Il biondo si piazzò di fronte alla porta e le diede un calcio ben assestato. Questa si aprì di botto e con violenza, come se fosse già stata aperta dal principio.
- Ma sei scemo? Potevi rompere qualcosa o colpire qualcuno! - lo sgridò Harù.
Mentre Rizo ribatteva, Jao entrò cautamente nella casa, cercando di non fare rumore. - Si può? - chiese, anche se la domanda sembrava ormai superflua. - C'è qualcuno? -
Si guardò attorno. La stanza in cui era entrato era praticamente vuota, alla sua destra c'era un grande armadio di legno scuro ed intarsiato poggiato contro il muro e vicino alla porta stava un tavolino; sopra v'era poggiato un bicchiere vuoto. A parte quei pochi e semplici elementi, la stanza era sgombra.
A sinistra c'era un'altra porta. Senza esitazione e curioso più che mai, Jao la aprì, poi si sporse per vedere oltre la soglia.
La stanza che vide, differentemente da quella all'entrata, era piena di oggetti e strumenti adibiti all'allenamento fisico; pesi, aste, anelli e molto altro. Accostate ai muri c'erano delle teche piene zeppe di armi antiche e apparentemente lucidate di recente.
Sentì i passi degli altri avvicinarsi per raggiungerlo, poi Rizo gli si affiancò e guardò la stanza nel suo insieme, emettendo un fischio di approvazione. - Guardate che robetta niente male. Si vedeva che quel Lenn era palestrato. -
- Evitiamo questi commenti, perfavore. - disse Jao ora visibilmente turbato. Il castano saltò oltre ad un peso di grandi dimensioni lasciato lì a terra e si diresse verso un'altra porta, giusto di fronte a loro. Ne girò il pomello, ma la trovò chiusa a chiave; poggiò allora l'orecchio sul legno per sentire se c'era qualcuno dall'altra parte, ma non udì alcun suono. Curioso, guardò attraverso la serratura; vide solo oggetti di vario tipo ammassati l'uno sull'altro: mobili, soprammobili, tappeti, letti e altri elementi caratteristici di una casa ricoperti di polvere, tanta polvere. Forse nessuno entrava lì dentro da anni.
Rimase qualche secondo di più a contemplare quella desolazione, sentendo una punta di sincero dispiacere.
- Dài Jao, andiamo! Qui non c'è niente e nessuno, credo che abbiamo sbagliato casa o collina. - disse Harù, non molto convinto.
Jao si voltò e tornò indietro, nell'entrata, dove gli amici lo aspettavano.
- Certo che qui c'è davvero poco, come potrebbe viverci una persona? - si domandò Chad.
- Ehi, avete visto che bello l'armadio? - domandò Jao. Si era subito precipitato davanti al grande mobile, sicuro che ci dovesse essere per forza qualcosa in più, dentro a quella casa. Sulle ante dell'armadio in questione vi erano dei rilievi, che assieme davano forma al grande disegno di un drago rampante, squamoso e dalle ali simili a quelle di un pipistrello; aveva la bocca zannuta spalancata e vi uscivano delle fiamme. Era completamente nero, l'occhio del profilo sembrava fissare il vuoto, anche se Jao sentiva quello sguardo su di lui più intenso di quello dei suoi amici in quel momento.
- Dev'essere il simbolo del suo Clan. - commentò dopo averlo osservato con attenzione.
D'impulso, come se sentisse il bisogno di farlo, afferrò le maniglie delle ante, spalancandole.
Lui ed i suoi compagni rimasero a bocca aperta.
Al posto della parete, vi era un buco, o meglio, un'entrata. Era di roccia ed entrava nelle viscere della collina tramite una lunghissima e stretta scalinata, portava ripidamente verso il fondo che pareva di un baratro.
- Questa non me l'aspettavo. - ammise Rizo.
- Andiamo. - disse Jao, senza esitare.
Harù lo fermò prendendolo per una spalla. - Aspetta un attimo! Non sappiamo dove porta, non mi sembra nemmeno tanto sicuro. -
- Ma dai che è una figata, andiamo a dare un'occhiata! - esclamò Chad.
Jao sorrise soddisfatto. - Ti accontento subito Chad, seguimi. -
Il castano fece strada, cominciando a scendere le scale. Chad lo seguì a ruota, ma dopo poco si fermarono; una zaffata di aria fredda li aveva investiti in pieno, portandosi dietro un strano odore.
- Comincio a preoccuparmi... Andiamo a vedere! - disse ancora Jao, che imperterrito continuò la sua discesa.
Gli altri, che non trovavano piacevole il fatto di rimanere lì ad aspettarlo e basta, lo seguirono a ruota.
Era buio pesto, per non cadere si poggiarono tutti al muro alla loro destra, riuscendo così a mantenere l'equilibrio. Scoprirono così che le pareti erano ricoperte di muschio, umidità, polvere e ragnatele, senza includere una sostanza appiccicosa e maleodorante che non riuscirono ad identificare.
Dopo una lenta discesa che durò qualche intero minuto, finalmente raggiunsero la fine delle scale. Da lì arrivarono in una piccola stanza, da cui partivano vari corridoi bui e stretti, consoni all'ambiente.
Tutti i ragazzi allora impugnarono le loro armi e lanciarono un'incantesimo per illuminarle e per fare luce, in modo da vedere bene quello che stava loro intorno. Non pensavano che la loro missione si sarebbe trasformata in un'esplorazione del genere.
La roccia e le pietre attorno a loro emanavano umidità e freddo, e ora che avevano la luce videro delle catene fissate con dei chiodi al muro.
- Ma che posto è questo? - sussurrò Harù, come se avesse paura che qualcuno al di fuori dei suoi amici potesse sentirlo.
- Forse è una sala delle torture, dove i Draghi rinchiudevano le loro vittime per farle a pezzetti - commentò Rizo.
- Dove andiamo adesso? - domandò Chad a Jao, preoccupato.
- N-non lo so. -, balbettò. Aveva i brividi per il freddo.
- Andiamo di là. - disse Rizo, puntando il corridoio più a destra e prendendo l'iniziativa.
Non sapendo bene dove dirigersi, decisero di prendere la direzione indicata da lui. Camminarono per meno di un minuto, poi il corridoio curvò a destra e terminò portando i ragazzi davanti ad una porta di ferro, somigliante ad una porta blindata. Su di essa, in alto, c'era una piccola finestrella munita di sbarre per guardare all'interno. Jao si alzò sulle punte e sbirciò. Quella che aveva davanti era una piccola cella praticamente vuota. Alle pareti erano saldate delle catene come quelle sui muri che avevano visto prima, in un angolo si trovava un giaciglio di paglia umida e quasi marcia, e un vaso pieno di acqua sporca lì accanto.
- Che schifo, neanche un cane rognoso entrerebbe qua dentro. - commentò Rizo dopo aver dato pure lui un'occhiata all'interno.
Jao non lo ascoltò e tornò indietro, assalito da un dubbio. - Prendiamo un altro corridoio e vediamo che c'è alla fine. - disse serio.
Tornarono tutti al punto di partenza, e fissarono gli altri quattro corridoi rimanenti. Prima che qualcuno potesse proporre una strada da scegliere, dal corridoio al centro della stanza si sentirono provenire dei deboli lamenti, affievoliti ancora di più dalle spesse pareti di roccia e dalla distanza dal punto in cui partivano.
- Avete sentito? - domandò a bassa voce Jao. Tutti gli altri annuirono raggelati.
- Sono i fantasmi che ci vogliono punire per essere entrati qui! - squittì Chad, visibilmente spaventato.
Jao gli diede una pacca sulla spalla. - Non ti preoccupare, sono sicuro che non c'è nessun fantasma qui dentro. -
"Anche perché quelli erano lamenti di dolore, e i fantasmi non ne provano" pensò in aggiunta.
- Provenivano da laggiù, andiamo. -
Chad esitò, ma fu costretto a seguire gli amici per non rimanere solo.


Lenn era di nuovo stato appeso alle catene della stanza delle torture, dopo aver passato una notte tormentata nella sua vecchia cella. Era stato davvero brutto rientrarci dopo tutti quegli anni.
I polsi e le caviglie non le sentiva più, e ormai erano viola e quasi completamente paralizzate. Probabilmente non erano rotte, ma ciononostante non le sentiva più.
Il Maestro se n'era andato con Lia ore fa, e l'avevano lasciato lì. In quel buio, in quel silenzio, potè riflettere su cosa era successo in quegli ultimi giorni. Aveva incontrato dei ragazzi, tanto diversi da come il suo Maestro gli aveva descritto le persone del mondo esterno che l'avevano completamente spaesato. Proprio per questa differenza di visioni, dopo aver fallito il tentativo di uccidere quel ragazzo dai capelli castani, Jao, non aveva provato a ripetere la sua azione nei giorni a seguire. Si era incuriosito nel vedere la spropositata gentilezza di quella persona ed il suo contagiante buonumore. I suoi compagni non erano da meno, e non avevano provato ad ucciderlo, come gli era stato detto che invece le persone avrebbero fatto vedendolo e riconoscendolo.
Era stata la sua curiosità a fregarlo, dunque.
Anche se per poco tempo, si era sentito tranquillo, con loro, specialmente l'ultimo giorno passato assieme. Non aveva idea di come fossero le altre persone, ma loro erano diversi da come se li era aspettati.
Però c'era stata un'altra cosa che lo aveva disorientato ancora di più, e cioè l'affermazione che suo zio aveva fatto alla sua domanda su cosa ci fosse di sbagliato in lui; aveva risposto dicendogli che era un rifiuto, che non meritava di esistere e altre cose spiacevoli dette nei giorni a seguire. Perché l'aveva descritto in quel modo? Cos'aveva fatto di male per meritarsi quelle accuse, quelle ingiurie? Per tutta la vita gli aveva obbedito e gli era rimasto fedele, non capiva il motivo di tutto quell'odio improvviso.
O forse aveva aspettato anni per un'occasione del genere, giusto per sfogarsi su di lui. Quella era la considerazione più dolorosa che era riuscito a fare. Non aveva più alcun punto di riferimento, si trovava in uno stato di dubbio ed incertezza perenni, senza nessuno che potesse dargli delle risposte.
Il dolore ai polsi e alla schiena lo riscossero da quei pensieri, riportandolo al presente.
"La mia schiena..."
Il senso del disonore faceva più male delle ferite riportate dalle frustate. Il suo tatuaggio non c'era più, al suo posto ci sarebbero state solo un mucchio di vecchie cicatrici, col passare del tempo.
Ai fianchi aveva delle bruciature recenti, che sentiva corrodergli la pelle arrossata. Ai sui piedi c'era molto sangue, di sicuro quello che sentiva ancora scorrere lungo la schiena e le gambe. Le forze se ne stavano andando sempre di più...
Sollevò lo sguardo e fissò la porta davanti a sè, disperato.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter rivedere la sorella, anche solo da lontano, per infondergli un po' di sicurezza. Molte volte, in tutti quegli anni, la ragazza era entrata nella sua cella di nascosto per stare del tempo con lui e tenergli compagnia, soprattutto quando era ancora piccolo. Lei soffriva tanto, troppo forse. Il Maestro non le consentiva di vederlo più di una volta alla settimana, perciò molti loro incontri erano "clandestini". Non sapeva molto di lei perché non s'erano mai parlati molto, nemmeno se il Maestro le aveva mai fatto soffrire la fame, la sete, fatta stare al freddo, oppure picchiata. Non l'aveva mai vista sorridere, il più delle volte piangeva. Solo ogni tanto smetteva, quando lo guardava negli occhi e lo carezzava. Forse era per quel motivo che quando aveva visto Jao sorridere non sapeva bene cosa volesse dirgli; semplicemente non aveva mai visto un vero sorriso. Neanche lui aveva mai sorriso come faceva il castano, ma non ne aveva motivo e non sapeva in quali circostanze si dovesse fare. Questo lo faceva sentire terribilmente stupido e ignorante di molte cose che per molti sarebbero sembrate normali o scontate.
Guardò la sua katana, poggiata in verticale contro il muro davanti a lui, dentro al suo fodero nero. Sembrava abbandonata al suo destino, la nobile arma, proprio come lui. Si ricordò quando il Maestro gliela affidò, dicendogli che era appartenuta al fratello, ovvero a suo padre. Aveva promesso che le avrebbe dato l'onore che il padre non era stato capace di darle, ma non c'era riuscito.
Poi, un rumore insolito attirò immediatamente la sua attenzione; proveniva da fuori, oltre la porta della cella. Erano dei passi, più di quelli di una sola persona. In un primo momento pensò che fossero Lia ed il Maestro di ritorno, ma poi si accorse che dovevano essere più di due, forse tre o quattro individui. Provò a dimenarsi, ma ottenne solo qualche tintinnio di catene e un grido scappato dalle labbra per il dolore.
Sentì delle voci, ormai subito oltre la porta; erano sussurri, ma gli suonarono familiari.
Poi, di scatto, la porticina della finestrella sulla porta della cella si aprì, da fuori Lenn potè scorgere due grandi occhi color nocciola guardarsi attorno e poi fissarlo con sorpresa.
Al vederli, per la prima volta nella sua vita, senza neanche accorgersene, Lenn ringraziò il cielo e si lasciò andare ad un sorriso pieno di sollievo.

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Capitolo 9
*** Capitolo 2 - Le catene del Drago (Parte IV) ***


Capitolo 2
Le catene del Drago
Parte IV



- Trovato! Presto Rizo, apri! –
-Sì, mi piace far esplodere tutto! –
Il biondo puntò il suo scettro davanti a sè. - Hama! -
A quella parola, una violenta esplosione colpì la porta, che fu sbalzata lontano completamente accartocciata su se stessa. Chad fu il primo a saltare oltre la soglia, seguito a ruota dai suoi amici.
Lenn non poteva credere che fossero veramente lì, che fossero tornati indietro in pochissimo tempo solo per liberarlo. - Rimanendo qui rischiate grosso, andate via. - disse, anche se la sua espressione li supplicava di rimanere.
Jao, vedendolo, rimase a dir poco sbigottito; non doveva dare un bello spettacolo, conciato com’era.
Harù si avvicinò a lui, stette a fissare le catene ed il sangue ancora fresco che lo ricopriva quasi dalla testa ai piedi. - Ma come ti hanno ridotto? -
- E' una cosa un po’ complicata da spiegare... – rispose Lenn. Sussultò e gemette dopo che Jao scosse le catene.
- Scusa! - disse il castano. Jao osservò con attenzione le ustioni che l’amico aveva ai fianchi, poi cominciò a girargli attorno. Quando vide le frustate, aprì e richiuse più volte la bocca prima di parlare. – Merda, guarda la schiena! -, deglutì. – Il tuo tatuaggio non c’è più… -
- Lo so. – disse Lenn, pronunciando quelle parole con amarezza.
Calò il silenzio per qualche secondo.
Chad però fu il primo a riprendersi dallo stupore. - Come facciamo a liberarti? -
Lenn girò con fatica il capo indicando la ruota di legno dietro di lui. - Dovete spezzare le catene da lì, così non sarò più appeso. -
- E' presto fatto, vai Rizo. - disse Harù.
Il biondo si avviò tutto contento. – La faccio saltare in aria e via. -
Rizo si sistemò davanti alla ruota, poi pronunciando lo stesso incantesimo di poco prima la fece esplodere insieme a tutte le catene arrotolate intorno ad essa. Lenn, non più tenuto sospeso dal meccanismo, cadde a terra, ma riuscì ad atterrare in piedi, anche se subito dopo dovette accasciarsi per il dolore.
Jao gli sollevò i polsi, ancora legati dalle catene munite di lucchetto. - Dove sono le chiavi? - domandò.
- Non qui - ansimò Lenn.
- Ci penso io! - esclamò allora Chad, cominciando a rovistare tra le tante tasche della sua giacca.
Lenn capì le sue intenzioni quando estrasse da una tasca un filo di ferro. Il ragazzo di colore gli si avvicinò e infilò il filo nel lucchetto; da bravo scassinatore quale era, riuscì a farlo scattare nel giro di pochi secondi. Lenn distese le braccia e girò varie volte i polsi indolenziti, finalmente liberi. Poco dopo poté muovere anche le gambe, anche se non avrebbero mai retto il suo peso, era troppo debole. Jao e Harù capirono la situazione, così lo aiutarono a sollevarsi e lo sostennero.
- Dobbiamo sbrigarci, se qui c'è qualcuno avrà di sicuro sentito il botto di prima. - li incitò Rizo.
- Devi portarlo tu. - disse all'improvviso Jao, rivolto all' amico.
- Come scusa? - fece Rizo.
- Déi, hai visto quant’è alto Lenn? Sei l’unico che può portarlo sulla schiena senza avere troppe difficoltà. - spiegò Harù.
- Ma neanche per sogno! Perché devo fare tutto io? -
- Perché dobbiamo sbrigarci, e se perderemo troppo tempo ci faremo beccare. - insistette il ragazzo dagli occhi azzurri.
- Uff, e va bene… - si arrese poi Rizo che, suo malgrado, con delicatezza afferrò Lenn per le braccia e se lo tirò sulla schiena - Andiamo adesso. –, e si avviò verso la porta.
-Aspettate…! – disse debolmente Lenn.
Protese la mano verso il muro, a cui era ancora appoggiata la sua katana. – La mia spada… -
Jao prese l’arma e poi gliela porse gentilmente. Lenn la strinse forte a sé; non si sarebbe mai separato dalla sua spada, era tutto ciò che aveva, adesso.
Poi i ragazzi partirono spediti verso l’uscita, conoscendo ormai la strada.
Lenn si sentiva abbastanza umiliato e sottovalutato facendosi portare da Rizo, ma sapeva che non sarebbe comunque resistito a lungo da solo; così mise da parte l'orgoglio e si strinse al compagno, mentre correva assieme agli altri. I cinque percorsero i due corridoi, salirono veloci le scale e infine tornarono al punto di partenza uscendo dall’armadio, nella casa semivuota di Lenn.
Subito dopo si udì un urlo che fece sobbalzare tutti. Il Maestro si era accorto dell’inaspettata fuga del nipote.
- Tutti via! - strillò Chad, che corse verso la porta, ancora a terra per il calcio di Rizo. Improvvisamente, questa cominciò a vibrare, si sollevò in aria e si riagganciò ai cardini, chiudendosi infine ermeticamente.
Harù provò a tirarla e a forzarla. - Sembra incollata, siamo bloccati! -
Anche le finestre si sigillarono, i vetri si appannarono, le tende vibrarono in maniera innaturale; l'aria si fece fredda e quasi solida, facendo condensare i loro respiri; le pareti scricchiolarono in modo inquietante; la stanza sembrò diventare anche più buia, avvolta da un’innaturale oscurità.
- Troppo tardi... - sussurrò Lenn.
All'improvviso, al centro della stanza, si formò una sfera Oscura, fatta di tenebre, che man mano diventava più grande e minacciosa. Dal suo interno uscì un uomo alto e robusto, il viso tirato in un'espressione di rabbia mal trattenuta; subito dopo di lui, comparve una ragazza dai lunghi capelli neri e gli occhi verdi, tenuta stretta dal braccio dall'uomo come una preda indifesa; guardava gli estranei con terrore per la loro sorte.
- Siete entrati in casa mia. - disse l'uomo a denti stretti.
Un alone nero con riflessi viola fatto di magia nera circondò la sagoma del nuovo arrivato.
La ragazza al fianco del Maestro gli strattonò la veste con fare supplichevole, capendo le sue intenzioni. - Ti prego, non fare loro del male... -
- Silenzio! - tuonò lui in risposta, e con un colpo scaraventò la ragazza a terra, lontana da lui.
- Ehi, smettila! Che ti ha fatto lei di male? – intervenne Jao, che non riusciva a sopportare cose del genere.
- Prenditela con chi è in grado di difendersi! - sbottò Harù.
Il Maestro rise malignamente e con gusto. - Vi accontento subito. -
Tra le mani dell'uomo comparve un'alabarda, entrambe le lame affilate come rasoi e risplendenti nonostante la poca luce nella stanza.
- E' lo scontro che vuoi? - domandò Jao, che estrasse dal fodero il suo spadone. Non aveva paura di quell’uomo. - Bene, lo avrai. -
Chad tirò fuori la sua fionda, già con un dardo pronto per essere scagliato, Harù impugnò i suoi coltelli da lancio, pronti all’attacco; Rizo posò Lenn in un angolo al sicuro e sollevò lo scettro.
Dall’alabarda del Maestro scaturirono lampi neri, che miravano alle gambe dei nemici. I quattro giovani Stregoni balzarono in direzioni diverse per schivarli. Rimasero sorpresi dal fatto che il nemico non aveva avuto bisogno di pronunciare alcun incantesimo per invocarli.
Harù appena poté cominciò a far girare i coltelli come un giocoliere, sorridendo. Sembrava proprio che si stesse divertendo facendo la sua esibizione. Mentre però faceva girare i coltelli per aria, stava pronunciando varie parole sottovoce nella lingua della magia, così in breve le lame cominciarono a brillare di luce propria, poi cominciarono a girare in circolo da sole; il ragazzo le lasciò librare nell'aria; i coltelli girarono così velocemente che formarono un anello di luce. - Siur kai Haraizen. Anello di lame, vai! - esclamò infine, e obbediente il cerchio di lame rotanti si scagliò contro il Maestro.
L'uomo non poté evitare il colpo perché era già occupato con Chad e i suoi dardi scagliati a ripetizione. Il ragazzo saltava come una gazzella a destra e a sinistra e mentre tirava le pietre pronunciava gli incantesimi. - Fir! Gallad! Tora! -
Ogni volta le pietre venivano circondate dall'elemento da lui evocato, diventando proiettili molto pericolosi, tra palle di fuoco e scaglie di ghiaccio. Non aveva intenzione di lasciare respiro all'avversario.
Rizo invece prese la mira e puntò il bastone verso il Maestro. - E' l'ora di una bella scossa! Farìm! – gridò, e dei fulmini scaturirono da esso e centrarono l'avversario.
- Stupidi e fastidiosi ragazzini! - commentò seccato l'uomo, che innalzò uno Scudo Oscuro e cominciò lentamente ad incanalare le sue energie nell'alabarda, che brillava sempre più di luce violacea. I ragazzi continuavano a lanciare magie, imperterriti.
Lenn, in tutto quel trambusto, era riuscito a strisciare fino al muro più vicino a lui; lentamente e con molta fatica si rialzò, aiutandosi grazie alla parete accanto. Era deciso a fare anche lui la sua parte, per quanto impossibile e folle potesse sembrare, ridotto com'era. Non gli piaceva l'idea di far lottare gli altri e poi scappare come un codardo, non era una cosa che gli era stata insegnata, così aveva deciso di scagliare almeno qualche magia sullo zio per poter dire di aver fatto la sua parte. Perché era deciso a conquistare la libertà, non avrebbe accettato altra fine a quello scontro.
Una palla di fuoco Oscuro gli sfiorò l'orecchio sinistro, e un coltello luminoso gli passò accanto. Alzò lo sguardo e vide Jao proprio davanti al Maestro, mentre stava tentando di abbattere lo scudo difensivo che lo avvolgeva con la sua spada splendente di Luce.
Deciso, il ragazzo dai capelli neri estrasse la sua katana dal fodero, con un paio di parole magiche la lama si illuminò di una luce nera e viola, simile a quella del suo Maestro. Barcollante e con la schiena dolorante che gli dava fitte tremende, si avvicinò alla mischia. Arrivato abbastanza vicino, cominciò a far roteare la lama con velocità. – Kairia Domhaiden. Spirale di tenebra. – disse.
Una scia di magia Oscura si diresse verso il nemico compiendo vorticosi giri su se stessa. L'attacco andò a buon fine e si scagliò sullo scudo del Maestro, che non attendendo un colpo di quel tipo, cadde.
Jao ne approfittò e si lanciò sulla grande figura, ma questa parò il suo attacco mettendo in orizzontale l'alabarda e spingendolo indietro.
- Lenn, hai deciso di smettere di fare il coniglio? - disse tranquillo l'uomo, mentre lottava con Jao.
Lenn prontamente rispose: - Sì, ho deciso di combattere per la mia libertà, senza fuggire da te. -
I suoi compagni si girarono verso di lui, compreso Jao, e il Maestro ne approfittò per dargli un pugno allo stomaco e buttarlo a terra.
Lentamente, si avvicinò al punto dov'era situato il nipote, con la lama dell’alabarda puntata su di lui. I ragazzi provarono ad attaccarlo, ma le magie arrivavano fino ad un certo punto, poi rimbalzavano su di una barriera semi-invisibile che il nemico aveva issato.
Si fermò a qualche passo dal ragazzo, che stava caricando un altro colpo con la katana, voleva dar luogo ad un'esplosione di magia; non sapeva che avrebbe potuto ferirsi da solo.
Incurante della sua espressione minacciosa, sorrise tranquillo al nipote e proferì: - Tu appartieni a me, Lenn. Non potrai mai battermi. Sei ancora in tempo per tornare da me, e vivere in eterno nella redenzione e nel tentativo di rimediare al tuo tradimento; ti risparmierò e potrai continuare a vivere. Se invece ora mi attacchi, per te arriverà presto l'oblio, e farò in modo che la morte ti torturi prima di portarti via, proprio quando ti sentirai al sicuro e protetto. - fece un altro passo in avanti. - Torna da me, discepolo delle Tenebre. Puoi ancora salvarti. -
Lenn raccolse tutta l'aria che aveva nei polmoni, rabbioso. - Preferirei morire piuttosto che stare ancora con te, sei solo un bugiardo! –
Gli sputò contro con lo sguardo più disgustato che riuscì a usare.
Il Maestro lo fulminò con lo sguardo, poi sollevò l’alabarda. – E sia! Lenn del Clan di Nessuno, hai scelto la tua strada! Soffri, vergognati, fuggi, vivi! Ma sappi che passerò ogni giorno della mia vita a cercare un modo per punirti definitivamente, portarti via tutto e farti morire tra le più atroci sofferenze. E un giorno porterai a compimento la tua missione e tornerai dalla mia parte! Giuro sul nome del Clan del Drago che succederà! –
Fece calare la lama, sferzando l’aria. – Che gli Déi ne siano testimoni, da oggi fino al resto della tua vita tu sei un Maledetto! –
Un lampo percorse l’intera stanza, tra l’allievo ed il suo maestro.
- NO! – gridò Lenn a pieni polmoni.
Il ragazzo si avventò contro l'uomo con cui aveva vissuto tutta la sua vita, calò la lama della katana, e fece partire l’incantesimo esplosivo. Un'onda di Tenebra investì l'enorme figura dell'uomo, per poi diffondersi in tutta la stanza. Jao e gli altri innalzarono degli scudi per proteggersi, che però ressero pochi secondi.
Lo stesso Lenn subì un contraccolpo e cadde a terra, battè la testa e perse i sensi.
Passarono vari minuti di silenzio assoluto. La nuvola viola innaturale che si era formata in seguito all'esplosione scomparve, diradandosi e rivelando i ragazzi a terra, ansimanti.
Il Maestro era sparito nel nulla.
Lia si rialzò a fatica e camminò più veloce che poté verso la figura esanime del fratello.
Anche Jao e gli altri, uno dopo l'altro, si rialzarono e si diressero tutti verso i due.
La ragazza, ancora spaventata, vedendoli avvicinarsi cercò di riparare con le braccia Lenn, come per proteggerlo facendo scudo con il suo corpo.
- Non ti preoccupare, siamo amici. - affermò Jao a bassa voce, quasi temendo che rompendo il silenzio che si era formato il Maestro potesse ricomparire.
Lia si tranquillizzò e li lasciò avvicinare. Poi, chinando il capo sul fratello, sussurrò: - Portatelo via di qui. – Le lacrime le rigarono il volto.
- Dove? - domandò Chad.
- Ovunque! Qualsiasi posto è più sicuro di questo, per lui. - rispose la ragazza.
- E il suo Maestro? Dov’è finito? - domandò cautamente Harù.
Lia scosse la testa. – In un luogo lontano da questo, probabilmente se n’è andato per far sbollire la rabbia. Ma tornerà presto. Per questo dovete partire subito e allontanarvi il più possibile da questa casa infernale. -
La ragazza si alzò e corse alla porta che, non più sottoposta ad alcuna magia, si aprì senza difficoltà. - Andate via. - disse.
Rizo, senza dire nulla, si sporse verso Lenn e lo sollevò di nuovo sulla schiena, aiutato da Harù.
Jao si avvicinò a Lia. - Vieni anche tu con noi. Non mi piace l’idea che tu rimanga in balia di quel mostro. -
La ragazza sembrò quasi spaventata da quella proposta. - Oh, no. Rimarrò qui finché il Maestro non tornerà, poi cercherò di trattenerlo il più possibile. Ormai lo conosco, so come farlo calmare. Ma non deve assolutamente vedere Lenn ancora qui, altrimenti nulla lo fermerà, e lo ucciderà. -
Uscirono insieme all'aria aperta, dove il sole stava cominciando a tramontare. Lia si portò una mano agli occhi, per non rimanere accecata dalla luce crepuscolare. – Non voglio che mio fratello muoia… -
Jao la guardò mentre la ragazza assumeva un’espressione più decisa, ma ciononostante sembrava molto fragile. Ma non poteva e non voleva opporsi al suo volere.
- Cosa possiamo fare per sdebitarci? Il tuo aiuto è molto prezioso e il tuo sacrificio è nobile, rimanendo qui rimani comunque in pericolo per dare la possibilità a noi di allontanarci. - continuò Jao.
Lia si avvicinò a Rizo e a Lenn, poi carezzò una guancia al fratello con fare materno. - Fate in modo che Lenn torni normale. Lui non era così, da piccolo. Dentro di lui si nasconde un animo buono, lo so, ma è stato sopraffatto dall'Oscurità; il solo stare a contatto con persone buone come voi potrà fare molto. Aiutatelo. -
Jao rimase in silenzio, serio. Poi annuì. – Io Jao del Clan della Tigre, mi prenderò personalmente cura di tuo fratello, anzi, sarà un onore per me farlo. –
Detto questo, portò una mano al cuore. – Mi prendo questa responsabilità. Te lo prometto. –
Lia sorrise a quelle frasi, con un sorriso radioso pieno di speranza; Jao avrebbe giurato di aver visto anche della sorpresa, in quell’espressione. La ragazza gli portò le braccia al collo e lo abbracciò. – Grazie… Jao. Adesso sono veramente sicura che lo farai. -
Rimasero qualche secondo abbracciati, poi Lia riprese le distanze.
- Adesso andate! - incalzò lei. - E addio. -
Jao, che aveva cominciato a camminare, si rigirò verso di lei. - Addio? Che brutta parola! Mette tristezza e significa che non ci rivedremo mai più. Molto meglio un “arrivederci”. – affermò. Poi sorrise dolcemente alla ragazza, infondendole serenità. - Sono sicuro che ci rivedremo. –
- Lo spero. - ammise la ragazza. – Arrivederci, allora. -
- Arrivederci! - dissero in coro i ragazzi.
Con un ultimo saluto con la mano, Jao e gli altri cominciarono a scendere giù per la collina.
Lia rimase a guardare il gruppo di amici finché non arrivarono ai piedi della collina, poi le lacrime scorsero sulle sue guance ancora una volta, silenziosamente.
- Buona fortuna. Spero che almeno voi riusciate a rimediare al mio errore. – mormorò.
In cuor suo Lia sapeva che non avrebbe potuto mai vedere se il fratello sarebbe cambiato e cosa sarebbe diventato, e questo la rendeva triste.
Per sua fortuna, si sbagliava; avrebbe rivisto il fratello, un giorno, anche se dopo tanto tempo. Come sarebbe stato però, nessuno avrebbe mai potuto dirlo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 3 - Un'utopia, poi i Monti Bezor (Parte I) ***


Capitolo 3
Un'utopia, poi i Monti Bezor
Parte I




Lenn aprì gli occhi appena riprese i sensi, per vedere subito dove si trovasse; non avrebbe sopportato il fatto di essere di nuovo chiuso nei sotterranei. Davanti a lui balenarono immagini diverse: il buio pesto, le catene, la cella in cui viveva; ma anche gli odori erano chiari e apparentemente reali, come quello della muffa o della paglia bagnata; quasi poteva sentire il sapore del sangue in bocca.
Ma sospirò di sollievo. Sopra la sua testa non c’erano soffitti in pietra, bensì un cielo azzurro come mai ne aveva visti prima dall’ora. Era circondato da erba bagnata dalla rugiada. Spirava una brezza fresca e leggera; una bella mattinata per inaugurare l'inizio di Marzo e salutare Febbraio fino all'anno seguente.
Notò di essere steso su di una barella di fortuna, costruita con rami e una tela tenuta tesa per sorreggerlo, probabilmente i ragazzi avevano viaggiato già molto e l’avevano costruita per facilitarsi il tragitto con lui appresso.
Alzò lo sguardo, e poco distante da lui vide Harù e Jao che smontavano la tenda; Chad e Rizo bagnavano le braci del fuoco acceso la sera prima e ripiegavano i sacchi a pelo.
Provò a muoversi, ma la schiena era ricoperta di ferite non ancora guarite, e non riuscì nemmeno a muovere le spalle senza dover sentire dolore. Si portò le mani al viso, stanco. Nel mentre notò che i polsi non erano più violacei come prima, i lividi stavano già cominciando a sparire. Indossava anche una camicia bianca, invece del suo corpetto, che probabilmente gli avevano tolto di dosso perché inzuppato di sangue.
Si chiese per quanto tempo fosse rimasto incosciente, forse per giorni, e si chiese come avessero fatto a trasportarlo oltre le colline, perché in quel momento erano di nuovo nella piana da cui era partito per tornare a casa e issare una barella per tutta la scalata era un lavoro troppo complicato con i mezzi che avevano i ragazzi; sullo sfondo poteva vedere bene le piccole e ripide colline dove era passato tempo prima.
In quel momento Jao lo vide sveglio, sorrise e dopo aver finito di piegare la tenda gli si avvicinò, poi si sedette a terra accanto a lui.
- Buongiorno, dormiglione. - disse.
- 'Giorno... – Lenn, ancora steso a pancia in giù, incrociò le braccia e vi poggiò il mento, poi rimase a fissare il vuoto davanti a sé.
- E’ da un sacco che sei privo di sensi, lo sai? Chad continuava a ripetere che saresti morto. - continuò sorridente l'altro.
Lenn rimase in silenzio per un po’, Jao attese paziente che dicesse qualcos’altro.
- La mia schiena… - disse solamente il ragazzo dai capelli neri.
Jao sospirò, s’aspettava una frase del genere. – Sarò sincero, è ridotta male. Però è anche vero che sta guarendo in fretta. All’inizio volevamo usare qualche incantesimo per velocizzare la guarigione, ma in alcuni punti la frusta era arrivata a scorticare i muscoli, fare fuori qualche legamento o roba del genere… Nessuno di noi è mai stato abbastanza attento durante le lezioni di anatomia del corpo, non volevamo creare più danni cicatrizzando qualcosa nel modo errato e rischiare di procurarti danni permanenti. –
Lenn non proferì parola.
- Va bene, un po’ ne abbiamo usata, ma siamo stati attenti, abbiamo curato soprattutto i tagli meno profondi. Per gli altri, non so, dovremo cercare di stare attenti a non aprire le ferite, applicare le medicine e aspettare che con il tempo guariscano anche un po’ da sole… - continuò il castano.
Seguì altro pesante silenzio, ma poi Lenn si decise a parlare. – Dici che potrò ancora combattere? –
- Eh, non lo so. Prima dobbiamo sperare che tu ti riesca ad alzare e stare dritto con la schiena, sarebbe già un traguardo. Il combattimento viene dopo, penso. -
Lenn strinse i denti, preso dallo sconforto. Che avrebbe fatto se non fosse stato più in grado di combattere? Non sapeva fare altro, oltre che battersi senza darsi tregua non c’era più niente, per lui. In più, non aveva nemmeno un Clan. Sarebbe diventato inutile, inesistente; il futuro non si prospettava roseo per uno come lui, probabilmente storpio e senza più una casa a cui far ritorno.
- Comunque, anche se riuscirai a combattere, la tua schiena rimarrà per sempre un punto debole, e ci vorrà un po’ di tempo prima che tu riesca a muoverti come prima. Lo sai, no? -
Lenn annuì.
Jao gli sorrise e gli scompigliò i capelli con una mano. – Però dai, come pensi di stare adesso, meglio? Hai una faccia migliore rispetto a quando ce ne siamo andati. -
Lenn non rispose subito. Poi annuì e disse: - Sì, sto abbastanza bene. –
Si sentiva dolorante e puzzava degli impasti spalmati sulle ferite, ma stava decisamente meglio di prima, soprattutto moralmente.
- Quanto ho dormito esattamente? - chiese.
- Quattro giorni, senza contare i pochi momenti in cui sei rinvenuto. - rispose Jao, facendo il segno del numero con la mano. – Avevamo paura che morissi di fame o per disidratazione, ma per fortuna adesso sei sveglio e puoi mettere sotto i denti qualcosa per recuperare le forze. –
In quel momento Lenn s’accorse di avere una fame da lupi, e che non gli sarebbe dispiaciuto mangiare qualcosa di consistente. Jao sembrò leggergli nel pensiero; si alzò e silenziosamente andò a frugare nel suo zaino. Tornò con della carne secca, gliela porse. Lenn la fece sparire in qualche morso; alla fine aveva ancora fame, ma si era placata un po’. Bevve quasi tutto il contenuto di una borraccia che il castano gli porse in seguito.
- Quattro giorni di marcia… - meditò ad alta voce il ragazzo. - …quindi il Maestro non c’ha seguiti. Sai dov’è? -
- Boh. Tua sorella ha detto che è andato via, ma che sarebbe comunque tornato a casa presto. –
- E dov’è mia sorella? –
- E’ rimasta a casa tua per coprirci. Ha detto che sarebbe stato meglio per tutti se fosse rimasta lì a placare l’ira del tuo Maestro, invece di scappare. -
Lenn sospirò, di nuovo stanco. Sperò che non le succedesse niente di male. – Lia… -
Stavolta fu Jao a non dire niente. S’era ricordato della promessa che aveva fatto alla ragazza, cioè di prendersi cura di Lenn; avrebbe cercato di mantenerla, aveva preso sul serio quel compito. Quando aveva guardato la giovane donna negli occhi, non aveva potuto fare altrimenti. Nel suo sguardo c’era un misto di disperazione, malinconia e torpore che quasi lo aveva sopraffatto, non sarebbe mai riuscito a dirle di no. E mentre faceva quella promessa alla ragazza, si era anche giurato di fare del suo meglio per non vedere mai più un’espressione del genere sulle facce delle persone a cui teneva; non chiudendo gli occhi e basta, ma cercando di fare del suo meglio per rendere la loro vita più serena possibile. Compreso Lenn.
- Grazie… – disse quest’ultimo, all’improvviso. Probabilmente s’era sforzato non poco per dirlo, e di sicuro era carico di significato.
- Prego. -
Entrambi non se la sentivano di aggiungere altro, per il momento.


Più tardi anche gli altri salutarono Lenn, ponendogli le solite domande di rito su come si sentiva, o semplicemente gli dettero il buongiorno, come Rizo. Mai avute tutte quelle attenzioni in vita sua, quasi lo facevano sentire in imbarazzo, e forse anche un po’ ferito nell’orgoglio perché in quelle condizioni di “malato” del gruppo era davvero inutile.
Pochi minuti dopo erano già tutti pronti per ripartire, avendo smontato la tenda e raccolto tutte le loro cose già prima. Lenn provò più volte ad alzarsi e mettersi almeno a sedere, con scarsi risultati. Rizo e Harù allora lo trasportarono con la barella, uno davanti e l'altro dietro, come avevano fatto negli ultimi giorni. Lenn si dovette stendere a pancia in giù perchè non voleva nemmeno provare a stendersi sulla schiena, e si fece trasportare mentre teneva le braccia a penzoloni e le mani toccavano l'erba ancora fresca di rugiada. Seguì un’ora di marcia in assoluto silenzio, erano tutti troppo assonnati per parlare. Ma quando Jao vide che Lenn e gli altri si stavano annoiando, cercò immediatamente di fare conversazione e, cogliendo l’occasione, di farsi ancora un po’ gli affari di Lenn e curiosare.
- Tua sorella ti deve volere molto bene. Com’è lei? - fu la prima cosa che gli venne in mente.
Lenn guardò il vuoto, e a Jao parve per un attimo che non l'avesse neanche sentito.
Dopo vari secondi di pausa, Lenn inarcò le sopracciglia e parlò. – E’ una brava ragazza, penso. Non mi ha mai fatto del male. Non la conosco abbastanza per giudicarla, comunque. -
Jao rimase abbastanza stupito dall’ultima affermazione dell’amico. – Come sarebbe a dire, non conosci nemmeno che persona è tua sorella? –
Lenn scosse la testa. – Non ci ho passato molto tempo assieme… Il Maestro diceva che era giusto che non avessi contatti con nessuno, specialmente con lei perché non faceva davvero parte della famiglia. –
- Perché non faceva parte della famiglia? – indagò Jao.
- Lia è stata adottata dai miei genitori tanti anni fa, non siamo consanguinei. –
- Ah, allora si chiama Lia. E’ più grande di te? –
- Sì, credo di almeno sette anni. Ma non ne sono sicuro. –
Jao scosse la testa, turbato. Trovava innaturale e triste che Lenn non sapesse nemmeno le cose più elementari sulla sua sorellastra. Se lui avesse avuto un fratello, di sicuro avrebbe fatto tutto il possibile per conoscerlo il meglio possibile.
- Comunque, la tua è una sorella davvero molto attraente. - aggiunse Rizo ghignando.
Lenn alzò gli occhi e lo guardò male, poi Jao cercò di non parlare ulteriormente di Lia per non arrivare a dire cose sconce da parte di Rizo. - Scusa, ma i tuoi genitori che fine han fatto? -
Lenn tornò a guardare il vuoto. - Se ne sono andati. – disse semplicemente.
Jao si chiese cosa intendesse l'amico con quella frase, se erano morti o effettivamente partiti per chissà dove, ma trovò la domanda troppo invasiva, sapeva dosare la sua curiosità; gli avrebbe fatto quella domanda in un altro momento.
- E che c'entra questo tuo Maestro con te? Da dove salta fuori quel vecchio? - chiese Chad.
- Lui è mio zio. - rispose tranquillo Lenn.
- E che accidenti di zio è quello che tortura e frusta i propri nipoti?! - sbottò Harù indignato.
- Non lo so. - rispose Lenn.
- Perché non hai mai provato a liberarti o a scappare? – continuò il ragazzo dagli occhi azzurri.
- Non sapevo di essere prigioniero… -
Calò un triste silenzio, e da quel momento nessuno parlò più per un po’, poi Lenn provò di nuovo ad attaccare discorso, per non distrarsi e perdersi nei meandri della sua mente confusa e stanca. Non voleva proprio più pensare a quegli ultimi giorni e a suo zio, almeno non per il momento.
- Dove andiamo adesso? - chiese senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
Jao fu felice di rispondergli e vedere che stava tentando di interagire con loro. - Adesso dobbiamo percorrere tutta questa piana, alla sua fine ci saranno delle montagne innevate, i monti Bezor. Se andiamo avanti con questo passo, saremo in grado di scorgerli all’orizzonte entro tre giorni, più o meno. -
- Dobbiamo arrivarci e scalarli entro la fine dell'estate, altrimenti saranno impraticabili a causa del ghiaccio perenne e delle tormente. Non sai quanta gente spaccona che ha provato a scalarli d’inverno è crepata, lassù. - aggiunse Rizo.
- Ma qui il clima è mite. Non credo che possa cambiare abbastanza nettamente per avere montagne con così tanta neve e ghiaccio sopra. – osservò Lenn.
Chad sorrise. - Eh, ma i Bezor sono presi in pieno da una corrente di aria estremamente fredda che fa un giro attorno a tutto il globo, dividendolo praticamente a metà. In alcuni punti, comunque, non porta tanto gelo. Lo spirare del vento però è continuo e segue sempre lo stesso percorso, potremmo definirlo quasi un blocco di aria sempre in movimento. Strano, no? –
- Da quand’è che sai tutte ‘ste cose? – domandò Harù al ragazzo di colore.
- Geografia era l’unica materia in cui andavo bene, a scuola. Questo vento particolare, ad esempio, si chiama semplicemente Gallad: la parola Elfica usata per dire “ghiaccio”. –
- Ma perché tutti i luoghi importanti devono per forza avere nomi in Elfico? E’ una cosa che non sopporto, è una lingua odiosa e difficile da studiare! – si lamentò Rizo.
- Infatti anche i monti hanno avuto una sorte simile. Portano il nome del primo e unico essere vivente che riuscì a scalarli e ad arrivarci in cima in pieno inverno. – continuò Chad. – Che c’è? Anche in storia me la cavavo piuttosto bene. – aggiunse poi, in risposta ad un’occhiata ancora più stupita di Harù e Jao.
- Davvero? Allora quel Bezor era un Elfo, sicuro. - disse Rizo.
- Come fai a dirlo? - domandò Lenn.
- Semplice: tutte le imprese rischiose le compiono gli Elfi, hanno manie di protagonismo che neanche ti immagini. Non vedono l'ora di mettersi in mostra e sfoggiare i loro poteri naturali. Hanno un continuo bisogno di dimostrare al mondo che la loro somiglianza con noi Umani si ferma solo all’aspetto fisico. - spiegò il biondo.
- Devo ammetterlo, a me gli Elfi stanno un poco sulle palle, sono troppo vanitosi ed egoisti. Lo fossero un po’ di meno, forse… -commentò Chad.
- Beh, loro sono alti, belli, abili nelle arti magiche, veloci, particolarmente furbi... Anche noi Umani ci vanteremmo allo stesso modo se avessimo tutte quelle conoscenze e loro no. - disse Jao.
- Sì, però non vedo il motivo per considerarci allo stesso livello della merda di Drago. Noi abbiamo una forza fisica superiore, mentre loro senza la magia sono spacciati. E poi abbiamo il coraggio e il senso della giustizia. Quelli là chiamano giusto solo ciò che fa bene a loro. - ribattè Harù.
- Noi sappiamo costruire buone armi, quasi sempre migliori delle loro. Molte volte vincono solo perché le stregano con qualche strambo sortilegio. Se non fosse per noi, andrebbero tutti in giro armati di arco e frecce, e il combattimento vero e proprio se lo sognerebbero.- aggiunse Rizo.
Mentre gli altri discutevano, Lenn li ascoltava tranquillo, non provando nessuna irritazione per gli Elfi come quella dei suoi compagni. Forse il motivo era che non aveva mai visto un Elfo in vita sua? Probabilmente. Di loro sapeva solo ciò che stava scritto nei libri che aveva studiato.
- Bah. -
Jao lo guardò incuriosito. – Tu cosa ne pensi, Lenn? -
Gli altri si zittirono per ascoltare anche una sua opinione.
Lenn sospirò. Non aveva voglia di parlare, ma dato che gliel’avevano chiesto… - Penso che vi stiate incazzando tutti per niente. Noi e gli Elfi siamo differenti, sì, ma così come siamo potremmo completarci a vicenda. – disse. – Infatti, non capisco nemmeno perché al Torneo a cui siete diretti si debba per forza scegliere una sola persona, o Umano o Elfo. Perché non due re che possano rappresentare entrambe le razze? Kaloshi e Fanir non vogliono più regnare? E allora eleggiamo altri due re, no? -
- Ma tu non sei contro gli Elfi? - domandò Rizo.
- No. –
- E allora contro chi sei? –
- Prima, forse, potevo essere contro qualcuno… Adesso non me ne importa più niente. –
Anche se, in quel momento, davanti agli occhi di Lenn balenò l’immagine di suo zio, gli tornarono alla mente i suoi insegnamenti, la sua missione contro gli Impuri… Molte cose che gli aveva insegnato erano distorte, perciò aveva deciso di non credere più a niente, cercando di farsi idee solo sue.
- Perciò… Non sarebbe anche meglio un ibrido tra le due razze? Potrebbe avere diverse caratteristiche, eh… -
- Tsk, non ti rendi di sicuro conto di quello che hai detto. Non succederà mai una cosa così, è troppo inverosimile! – lo interruppe Rizo.
- E perché, di grazia? - ribattè seccato Lenn.
- Soprattutto perché i primi ad escludere una possibilità del genere sarebbero proprio gli Elfi. Sono troppo orgogliosi per scendere al nostro livello e unirsi a noi. – disse il biondo, con una nota di sarcasmo nella sua ultima frase. - E io di sicuro non ci tengo stare con loro. -
- Per rendere possibile una cosa del genere, dovrebbero esistere i mezzelfi. Ma io non credo che questo potrà mai accadere, vedendo come siamo messi. - commentò Chad. - E poi, siamo sinceri, alla fine che razza di essere sarebbe? Una specie di mostro, portante i geni di due razze completamente diverse! Io non ci parlerei mai con un mezzelfo, sarebbe come parlare ad un Umano e contemporaneamente anche ad un Elfo, e non saprei come potrebbe reagire a certe cose. - concluse poi.
Lenn rimase un po’ di sasso. “E dire che pensavo di essere io quello con la mente chiusa…
- Tu cosa ne pensi, Jao? - domandò Harù al castano, che non aveva proferito parola.
- Boh, non saprei... Per me un mezzelfo sarebbe una persona come tutti gli altri, non credo che solo per il fatto di essere metà Elfo possa essere un mostro. - rispose tranquillo, incrociando le braccia dietro il capo.
- Però avrebbe difficoltà a farsi accettare da tutti, vista la sua diversità. - continuò Harù.
- Ma davvero non esistono mezzelfi? Nemmeno uno? - domandò Lenn. Gli sembrava difficile pensarlo davvero. Il mondo era grande, davvero non ne esisteva nessuno sulla faccia della Terra?
- Certo che no! - rispose Chad. - Se ce ne fosse uno probabilmente succederebbe un bel casino. -
- A me non sembrava cattiva come idea... – commentò ancora Lenn.
Jao gli si avvicinò e sorrise. –Lascia stare, tanto questi testoni non cambieranno mai opinione. Ma almeno abbiamo parlato un po’ tutti assieme, no? E’ positivo, significa anche che stai già meglio. -
Lenn lo guardò, ma non rispose; tornò ad immergersi nelle sue meditazioni su altri argomenti. Presto sarebbe riuscito di nuovo a camminare, avrebbero raggiunto le montagne e infine avrebbero ricominciato a camminare oltre, per raggiungere l'estremità opposta dell'isola. Quanto sarebbe stato lungo il viaggio? Cosa sarebbe successo nel frattempo?
"Almeno," pensò, "non sarò solo."
Era finalmente riuscito a sbloccarsi e a parlare con loro, cosa essenziale se avesse dovuto passarci insieme tanto tempo, e soprattutto fondamentale per riuscire a pensare ad altro, distrarsi e non portare la mente a rivivere i giorni precedenti. In conclusione, si sentiva meglio. Anche se un senso di inspiegabile angoscia lo accompagnava sempre, senza riuscire a capire da cosa fosse scaturito.
Si voltò per guardare il paesaggio e rilassarsi un po’. Cielo blu, erba verde.

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Capitolo 11
*** Capitolo 3 - Un'utopia, poi i Monti Bezor (Parte II) ***


Capitolo 3
Un'utopia, poi i Monti Bezor
Parte II




- Fermo dove sei. Dove credi di andare? - domandò Jao. Il castano stava estraendo il sacco a pelo dal suo zaino, tre secondi prima sembrava completamente assorto in altri pensieri; a volte sembrava avesse gli occhi dietro la testa.
Lenn sbuffò. – Voglio sgranchirmi le gambe. E’ vietato? –
Jao lasciò lo zaino a terra. – No, affatto. – rispose, - Solo, ti vedevo andare un po’ troppo spedito. Devi stare attento a non riaprire le tue ferite. –
A una settimana di distanza dal giorno in cui aveva ripreso i sensi, Lenn si era sempre fatto trasportare sulla barella perché le ferite gli dolevano troppo, ma adesso era stufo di far la figura del debole davanti agli altri, così si era alzato e aveva cominciato a camminare.
- Non sono un bambino. Vuoi prendermi anche per mano, già che ci sei? - rispose il ragazzo dagli occhi scuri, infastidito.
Jao sollevò le braccia in segno di resa. – Oh, quanto sei permaloso! Fa quello che vuoi, allora. -
Lenn assunse un’espressione d’approvazione. Si mise a camminare intorno al campo che stavano allestendo Rizo e Harù, compiendo larghi cerchi molto lentamente. Usava la katana come bastone, conficcando la lama nel terreno ad ogni nuovo passo. Viaggiava a torso nudo, le varie bende che gli coprivano il corpo in bella mostra. Guariva in fretta anche da solo, senza incantesimi curativi, con grande sorpresa di tutti. Ma Jao si ostinava ancora a tenerlo sotto controllo, lui stesso gli cambiava le bende di volta in volta e guardava fino a che punto erano guarite le ferite.
In quel momento il castano si era messo a cercare i pochi rametti che aveva trovato per strada per accendere il fuoco e che aveva messo nello zaino.
Chad, invece, brontolava per il fatto che Lenn non faceva mai niente per aiutarli. Tutti facevano la loro parte, lui era l’unico che rimaneva disteso a fissarli mentre sgobbavano.
Dopo l'ennesimo lamento, Jao si stufò di doverlo sopportare ancora; decise di accontentarlo facendo fare qualcosa al convalescente. - Ehi Lenn, puoi farmi un favore? -
Lenn distolse lo sguardo dal sole calante tra le nuvole e guardò Jao, poi si diresse verso di lui.
- Io aiuto Rizo e Harù a montare la tenda, tu intanto potresti accendere il fuoco, per favore? - domandò il castano.
Il ragazzo scosse le spalle, poi annuì, mentre Jao si alzò da terra e si avvicinò agli altri.
Lenn si sedette sull'erba e avvicinò la mano destra ai rami secchi. Mormorò: - Domhaiden Fir -
All'improvviso l’aria si fece piena di energia, poi delle scintille nere comparvero come dal nulla, in pochi secondi attecchirono e diedero forma ad un fuoco Oscuro quasi identico ad un fuoco normale, ma con la differenza d'aver le fiamme dalle sfumature nere e violacee.
Chad, che lo stava osservando, sussultò. La paura per quel tipo di magia si riaccese in lui, rammentandogli che il ragazzo che aveva vicino non era uno Stregone qualsiasi, ma un individuo molto pericoloso. Si alzò velocemente in piedi. - Ehm... Jao? - chiamò.
Il ragazzo interpellato si voltò e vide la faccia preoccupata di Chad, poi Lenn ancora accovacciato a terra ed infine il fuoco di Tenebra.
Capì al volo la situazione, così si avvicinò a Chad e gli sussurrò all'orecchio di andare dagli altri, mentre parlava con Lenn.
Il ragazzo di colore non se lo fece ripetere due volte e sgattaiolò via, mentre il castano si sedeva accanto a Lenn.
- Cosa c'è che non va? - domandò ingenuamente quest’ultimo.
- Questo. - rispose Jao, indicando le fiamme anomale.
Lenn le osservò senza dire niente.
- Sai usare solo la magia nera, tu? - domandò.
Lenn annuì. - E' quella che mi ha insegnato ad usare mio zio. -
Jao fu preso dalla curiosità. - E... Come fai ad usarla? E' difficile da governare e bisogna non avere buone intenzioni per evocarla. Almeno da quanto so. -
- Na, è una cazzata. Mica ho cattive intenzioni, adesso. Solo, non riesco ad immaginare la possibilità di poter evocare un potere primario diverso. - rispose Lenn. - Tu come fai a non usarla? – chiese invece.
Jao rifletté. - Io non ho bisogno di evocarla, non so neanche come si fa. So solo che dovrai cercare di non usarla più, altrimenti non credo che riuscirai a guadagnarti la fiducia degli altri tanto facilmente. -
- Perché? -
- Perché noi ci serviamo della Luce, viviamo in un mondo in cui la Tenebra è percepita come pericolosa e nemica. Ai giorni d'oggi ci sono pochissimi Stregoni Oscuri, ma vivono tutti nell'ombra, esiliati da tutte le città. Se qualcuno scoprisse che noi ci portiamo uno di quegli Stregoni appresso ci scaccerebbero dappertutto. -, spiegò il compagno.
Lenn rimase in silenzio per qualche secondo. – Credo di capire... Ma come faccio ad usare la Luce? -
- Non lo sai proprio fare? – s’accertò Jao.
Lenn scosse la testa in segno di diniego.
- Uhm… -
Jao rimase a pensare. Come insegnare ad uno Stregone nero come si utilizza la Luce? Di solito quando si imparava ad evocare l’Oscurità, difficilmente si poteva evocare la Luce, e viceversa. Anche se ci potevano essere delle eccezioni. Quelle erano due forze primarie, che una volta evocate per la prima volta diventavano parte dell’essere dello Stregone, la forza che poi maggiormente usava per richiamare i vari elementi: Fuoco, Terra, Aria ed Acqua.
Ma quelle fiamme color pece che bruciavano come un normale fuoco… L’evocazione rimaneva comunque anomala, nonché superflua. Perché evocare le Tenebre invece del Fuoco?
Jao si protese e avvicinò la mano alle fiamme. Sentì scaturirne un gran calore. “Questo sì che è interessante. E anomalo, come avevo pensato.
L’Oscurità, come la Luce, poteva fare molte cose, ma di sicuro non generava calore. Se se ne voleva un po’, si usava un incantesimo per il Fuoco puro. Jao elaborò infretta le informazioni che possedeva, e forse capì.
Lenn aveva vissuto tutti quegli anni nelle tenebre più complete, al buio, incapace di vedere il mondo esterno, questo gliel’aveva detto lui stesso qualche giorno prima. Tutto quello che sapeva del mondo l’aveva imparato leggendo i libri a lume di candela, o ascoltandoli a voce. Per immaginarsi un intero mondo, aveva dovuto usare una consistente e fervida immaginazione. Di sicuro il suo Maestro l’aveva tenuto lontano dal mondo esterno apposta per far sviluppare al massimo quella capacità di immaginare qualunque cosa senza alcuna difficoltà, senza avere limiti.
Il potere di uno Stregone, come tutti sapevano, era limitato solo dalla sua immaginazione. Combinando le parole giuste si poteva formulare un incantesimo qualsiasi, che poteva fare qualsiasi cosa; a patto che si pagasse il prezzo con una giusta quantità di energia vitale.
Nel mondo di tutti i giorni, una persona impara che la cosa più ovvia per riscaldarsi è evocare il Fuoco, non la Luce o l’Oscurità. Ma per Lenn, il mondo era distorto e soprattutto senza regole precise e consuetudini, per lui tutto era possibile. Non c’era qualcosa di concreto e qualcosa che non lo poteva essere; gli bastava immaginare quello che voleva e conoscere le parole giuste, usando una certa combinazione sarebbe arrivato ad ottenerla.
Jao trattenne il respiro, sorpreso dalla semplicità di quella spiegazione e di ciò che poteva comportare. Lenn, se ne era capace, poteva potenzialmente evocare qualunque cosa, qualunque incantesimo, il solo limite erano le sue forze e la sua conoscenza dell’Elfico.
Ma proprio perché non conosceva concretamente il mondo poteva rischiare la vita; una magia troppo potente, fuori dalla sua portata, che non aveva potuto pensare fosse così complessa e sconosciuta, e sarebbe facilmente morto. Poteva essere pericoloso sia per se stesso che per gli altri.
- Jao! Ci sei? – sentì chiamare.
Un paio di dita schioccarono davanti a lui, il movimento veloce lo fecero risvegliare e riemergere dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo.
Harù era davanti a lui, Lenn vicino, lo scrutavano entrambi in cerca di qualche indizio su cosa stava pensando.
- In che mondo eri? Non rispondevi più. -
- Eh, ero un po’ sovrappensiero, scusa. –
Lenn lo fissava, serio. – Sei sicuro che sia tutto apposto? –
Jao annuì. – Sì, certo. –
Ma il ragazzo non sembrava convinto. – Perché mi guardi così? –
- Eh? Io non ti guardo in nessun modo. Va tutto bene, te l’ho detto. Stavo pensando ad un modo per farti usare la Luce, ma non lo trovo. -
Harù a quel punto scosse le spalle, si avviò di nuovo alla tenda. Lenn tornò a fissare le fiamme davanti a lui.
Jao notò che Chad, poco lontano, era lì che fissava il fuoco, probabilmente in conflitto; voleva venire a scaldarsi, la vicinanza ai monti Bezor cominciava a farsi sentire, ma da bravo fifone non voleva avvicinarsi alla magia nera.
Qualche parola, e Jao annullò il fuoco di Tenebra di Lenn, lo sostituì con uno normale. Il ragazzo di colore aspettò ancora mezzo minuto, poi fece finta di capitare lì vicino per caso e finalmente si sedette accanto a loro.
- Allora, che si fa con la mia magia? – gli chiese improvvisamente Lenn.
Jao scrollò le spalle. – Non lo so. Per il momento, sarà meglio che tu non la usi in presenza di sconosciuti. –
L’altro annuì.
Poi Jao sorrise. – Lenn, che ne dici di un po’ di allenamento? E’ da un po’ che non fai nulla. Mi fai vedere che altro sai fare? –
Lenn rimase sorpreso da quella proposta, all’inizio. Poi sorrise soddisfatto. Finalmente il compagno parlava la sua lingua.
S’alzò in piedi più in fretta che poté. – Certo, anche subito. -
Jao sfoggiò un sorriso a trentadue denti. – Va bene, aspetta che recupero la spada. Solo magia però, eh? Non sei pronto per il corpo a corpo. -
- Sì, sì, certo. -
Jao raccolse da terra la guaina della sua spada, estrasse l’arma, s’allontanò dal campo. – Vieni, dai. –
Lenn non se lo fece ripetere due volte e lo seguì a ruota, usando sempre la katana a mo’ di bastone.
Si disposero uno davanti all’altro, le spade puntate verso l’avversario.
Jao non vedeva l’ora di vedere di cosa l’amico fosse capace, e se la sua teoria era giusta. - Dopo di te.-, disse. – Mostrami alcuni tuoi trucchetti. Ma non sperare di essere più bravo di me, eh. -
- Tsk, guarda e impara. –
Qualche parola Elfica, e la katana di Lenn fu avvolta da un manto di Tenebra. Poi fece girare la spada davanti a sé mostrando grande abilità e controllo nelle mani; presto la lama acquistò velocità, arrivò poi a generare un forte vento, roteando poi da sola, senza il padrone che la girasse. Ancora qualche secondo, e davanti a Jao si formò un piccolo vortice che si spostava a destra e a sinistra; dalla cima uscì una testa di Drago, anch’essa evocata dall’Oscurità, che aprì le fauci e sputò fiamme, che bruciarono l’erba attorno a loro.
Jao ammirò l’incantesimo. Era un pochino instabile, Lenn aveva messo con evidenza tutte le sue risorse per dare una forma specifica all’energia, senza dargli forza. Dopotutto, doveva solo mostrare di che era capace, non attaccare il castano.
- Uh, mica male, davvero. -
A quella frase, il vortice e tutto il resto scomparve nel nulla. Lenn sembrava già un po’ stanco, ma era deciso a non darlo a vedere, lo si capiva dall’espressione.
Uhm, proprio quello che pensavo… Deve imparare a controllare bene le forze.
- Adesso tocca a me! – esclamò. – Non aspettarti uno scontro già vinto, sono più bravo di quanto pensi. –


Harù, Chad e Rizo assistevano da una distanza di sicurezza lo scontro tra Jao e Lenn, almeno quando non rimanevano accecati dai loro giochi di luce ed esplosioni.
- E’ da più di un’ora che giocano, quand’è che si stancheranno? - domandò Chad.
- Boh, non lo so. So solo che lo stufato è pronto. Ehi, ragazzi, portate i culi qui a mangiare! Guardate che non vi chiamo una quinta volta, eh! -
- Sì, arriviamo, solo un minuto! – gridò da lontano Jao, mentre cercava di abbattere lo scudo protettivo di Lenn con qualche globo infuocato.
Harù s’arrese. – Ah, io non li chiamo davvero più. -
- Oh, ma che te ne frega? Mangia e basta. – gli disse Rizo. – Vedi? Io me ne sbatto e vado a riempirmi lo stomaco tutto contento. –
Detto questo, il biondo andò al suo posto vicino al fuoco e al pentolone e si servì.
Chad e Harù si scambiarono un’occhiata rassegnata. – Dai, verranno quando avranno fame, i bambini. – disse il nero.
- Va bene. -
I due s’accovacciarono vicino a Rizo, si misero a mangiare.
- Noi, intanto, guardiamoci il panorama. –
E i tre rimasero così a osservare il sole che spariva all’orizzonte. A nord, in lontananza, si potevano vedere già i Monti Bezor, altissimi e dalle nevi colorate dal rosa pesca del tramonto.
Come sottofondo a quel paesaggio avevano le urla, gli sbraiti e il rumore delle esplosioni causate da Jao e Lenn.
- Serata tranquilla, eh? –
- Già. Come mai ne avevo viste da un po’di tempo a questa parte. -

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Capitolo 12
*** Capitolo 3 - Un'utopia, poi i Monti Bezor (Parte III) ***


Capitolo 3
Un'utopia, poi i Monti Bezor
Parte III




Davanti ai cinque ragazzi, a poco più di una ventina di chilometri, si ergeva una catena di altissime montagne innevate: i Monti Bezor. Quei grandi pezzi di roccia completamente ricoperti di neve e ghiaccio non davano molta sicurezza ai viaggiatori da cui erano contemplati. Verso di loro spirava un forte vento freddo, il Gallad, quasi glaciale, che li raggiungeva sin lì; sull'erba della pianura già si andava a formare la brina, contribuendo al congelamento dei piedi dei viaggiatori.
Visti da vicino, i Monti sembravano mille volte più grandi di quanto Lenn li avesse immaginati, e avevano anche un aspetto molto più pericoloso. Il suo istinto aveva cominciato a suonare il campanello di allarme per il pericolo imminente già molto tempo prima, e adesso sembrava assordante. Avrebbe volentieri fatto dietro-front.
Il gruppo si era fermato per osservare da lontano la loro meta inquadrando i punti meno scoscesi, ma era un'impresa riuscire a trovarli. Chad era quello che si scervellava di più davanti alla cartina, muovendo la testa in su e in giù con un movimento quasi ipnotico, mentre spostava lo sguardo dalla cartina alle montagne più e più volte.
Harù aveva cominciato a tirare fuori dagli zaini dei grandi cappotti imbottiti e fatti di varie pellicce color senape e pelose, dall’aspetto molto caldo; li stava distribuendo ai suoi amici. Lenn si chiese come avesse fatto a far stare quattro vestiti così grandi in uno spazio tanto esiguo, ma poi cominciò a preoccuparsi seriamente, riflettendo su cose più importanti. I cappotti erano solo quattro, e loro erano naturalmente in cinque. Qualcosa gli diceva che lui sarebbe rimasto senza una buona copertura per tutto il resto del viaggio.
Come per affermare tutte le sue preoccupazioni, vide Jao avvicinarsi all’altro ragazzo e parlagli, poi lo vide assumere un’espressione preoccupata; in seguito lo raggiunse con un sorriso poco convinto stampato in volto.
- Lenn, abbiamo un piccolissimo problema... - disse.
Lenn fece roteare gli occhi. - Ho già capito. -
- Ah, bene... - disse ancora Jao, insicuro. - Stavo pensando che, visto che non abbiamo un altro cappotto, potresti coprirti con una giacca più leggera. Ne abbiamo due, una mia e l’altra di Harù, potresti provartele entrambe e vedere quale ti sta giusta. Non sono molto pesanti, ma lo sono di più di una camicia, no? -
- Perfetto. Morirò assiderato. - sbuffò Lenn, sarcastico.
In quel momento arrivò anche Harù, che porse uno dei cappotti di pelliccia a Jao. - Devi capire che quando li abbiamo comprati tu non c'eri, e non sapevamo che a noi si sarebbe aggiunto qualcun altro. - spiegò pacatamente il ragazzo.
- Però abbiamo un berretto in più, dei guanti e anche una sciarpa. Potresti anche usare una coperta a mo’ di mantello. - si affrettò ad aggiungere Jao, vedendo l'espressione rassegnata di Lenn al pensiero della sua morte tra le nevi.
- E’ sempre meglio di niente. –
Lenn non rispose.
- Aspettate, forse c'è un altro modo! - esclamò all'improvviso Rizo, sorridendo soddisfatto. - Non ce lo portiamo appresso e basta. Noi andiamo e lui rimane qui, è tanto semplice! -
Lenn estrasse in parte la katana. – Piantala di dire stronzate o ti taglio la lingua. Scommetto che da quel momento mi andresti molto più a genio. - disse.
- Tu mi tagli la lingua, io però in risposta ti affetto ancora di più la schiena. -
Lenn fulminò Rizo con lo sguardo, sguainò completamente la katana e si preparò ad un attacco.
Jao gli mise un braccio davanti e lo fermò. – Calmati! Rimandiamo gli sgozzamenti a dopo, adesso abbiamo problemi più impellenti da risolvere. -
- Possiamo provare a coprirti con quello che abbiamo. Se vediamo che la cosa non funziona, tornerai indietro e ci saluteremo. - propose Harù.
- Purtroppo oltrepassare quelle montagne è l'unico modo per arrivare in tempo per il torneo, non riusciremmo mai a girarci intorno senza metterci una vita. - commentò Chad, fanalmente scolatosi dalla cartina.
Lenn annuì, deciso. - Non preoccupatevi, so resistere al freddo. Sono stato addestrato anche per quello. -
- Beh, allora è fatta. - disse Jao, decisamente più sollevato.
Harù porse le giacche e tutti gli altri indumenti a Lenn. - Meno male che non siamo in autunno o in inverno, altrimenti sarebbe stata una vera tragedia. -


- Lenn, come va là sotto? - gridò Jao per sovrastare il rumore del vento nella tormenta.
Erano ai piedi dei Monti, avevano cominciato da poche ore a scalare e salire sulle rocce, ma erano stati sorpresi da un'improvvisa tormenta nel pieno del pomeriggio, che li stava rallentando molto. Anche se erano ancora lontani dalla cima, il vento era forte e molto freddo, cadevano grandi fiocchi di neve che continuavano a coprire la visuale ai viaggiatori. Più volti i ragazzi s’erano persi di vista e avevano rischiato di perdersi, e spesso dovevano rallentare o fermarsi per assicurarsi che tutti fossero ancora lì.
Lenn aveva il cappello calato completamente sulle orecchie che rischiavano di congelare, ma sentì comunque la domanda del compagno. - Abbastanza bene! -, urlò di rimando.
La sciarpa gli copriva metà del viso e il collo, gli spessi guanti riparavano bene le mani, ma la coperta che gli faceva da mantello continuava a dimenarsi a causa del vento. Ormai stava rinunciando al tentativo di tenerla stretta a sé, perché così facendo aveva le mani occupate e non era in grado di scalare e arrampicarsi.
"E meno male che non siamo in inverno!" pensò sarcastico, più per darsi forza che per scherzare con se stesso.
I denti gli battevano forte, ma era testardo e non avrebbe mai mollato. Avrebbe continuato a scalare senza lamentarsi, così avrebbe dimostrato a tutti quanto fosse forte. Anche se da un po’ sentiva una grande sensazione di calore e umidità sulla schiena; molto probabilmente qualche ferita si era riaperta a causa dello sforzo.
Lenn era l'ultimo della fila, e ogni tanto si faceva trascinare dagli altri, facendosi sollevare dalla corda che li teneva legati l'uno all'altro per non perdersi di vista e rimanere uniti, ma lo faceva solo per riprendere fiato per qualche secondo, poi ripartiva e scalava con le sole sue forze.
I suoi compagni però, anche se coperti meglio, non se la passavano bene neanche loro. Loro erano tutti imbacuccati, ma a differenza di Lenn mancava loro la forza di volontà e la decisione, nonché una buona dose di testardaggine.
Quando scese la notte erano ormai troppo lontani dai piedi della montagna che stavano scalando, perciò non sarebbero potuti tornare indietro, ma erano ancora tanto distanti dalla cima, ovviamente. La bufera finalmente si chetò, ma la neve non smise di cadere.
Trovarono un piccolo crepaccio nella roccia e vi si infilarono dentro, scoprendo una piccola grotta capace di contenere tutti. Decisero di passare lì la notte e riposarsi.
Con loro grande sorpresa notarono che Lenn era ancora vivo e vegeto, anche se un pò intirizzito. Tutti si congratularono con lui.
- Ah! Hai visto? E' ancora vivo, sgancia. - esclamò Chad felice, porgendo una mano verso Rizo.
- Uff....Hai vinto. – si lamentò irritato quest’ultimo, ed estrasse da una tasca qualche moneta che porse al nero.
- Grazie per la fiducia, eh! - sbuffò Lenn.
- Io lo sapevo che ce l'avresti fatta. - affermò Jao sorridente.
Lenn ammiccò un sorriso poco convinto. Quel ragazzo sembrava l'unico a cui stesse veramente simpatico, per questo parlava di più con lui che con gli altri. Quello più odioso invece era Rizo, che avrebbe con piacere strangolato. Poteva comunque dire che cominciava ad abituarsi alla compagnia di quei ragazzi.
In seguito, Lenn si fece curare le ferite riaperte da Jao, che gli fece una bella ramanzina, dicendogli che era stato uno sconsiderato cercando di farsi forte e scalando la montagna da solo. Gli suggerì poi di lasciar scalare loro e farsi issare un po’ di più; la dignità al momento non serviva, gli disse in risposta alle sue proteste, perché contava di più la sua salute.
Harù nel frattempo accese un piccolo fuocherello per scaldare l'ambiente e per cuocere quel poco che bastasse per sfamare tutti.
Lenn divorò la sua porzione in pochissimo tempo, poi si distese a cominciò ad ascoltare le conversazioni degli altri.
- Secondo te qui sui Monti c'è qualcun altro oltre a noi? - stava chiedendo Chad ad Harù.
- Non credo. Pochi si farebbero una scalata del genere solo per arrivare ad un torneo. - rispose l'amico.
- Però non è un torneo qualunque, è Il Torneo! Il premio è diventare Re di tutte le isole, non mi sembra una cosa molto comune. - ribattè Rizo - Solo pochi stupidi non agognerebbero un titolo così importante e ambito. -
- Ma ci pensate? Diventare re! Sarebbe una pacchia! - disse Chad, sognando ad occhi aperti.
- Però non sarebbe facile esserlo. - affermò Jao. - Se siamo fortunati, tra queste montagne ci sono un centinaio di persone, ma non le incontreremo perché i Monti sono vastissimi. -
- Sarà difficilissimo batterli tutti quanti. - disse Chad, visibilmente demoralizzato.
- E staremo lontanissimi da casa per tantissimo tempo... - aggiunse Harù.
- E' il prezzo da pagare, se si vuole diventare re. - disse Lenn, mentre osservava il fuoco. – D’altronde, non è una cosa che capita tutti i giorni. -
- Già... - fece Jao.
- Bah, io voglio diventare re solo per avere tutte le donne che voglio. Pensate alle concubine! - disse Rizo con l’aria di chi la sa lunga.
- Per diventare re bisogna essere giusti, essere in grado di governare con saggezza e portare la pace con gli Elfi, che poi è la cosa più importante. - disse Jao.
- E allora perché i due re attuali non se lo sono scelto da soli il loro successore? Non siamo tutti così. Insomma, ci sono anche ladri e assassini che partecipano, di sicuro. - ribatté Rizo.
- Ma perché non sapevano se dare la carica ad un Elfo o ad un Umano, così hanno indetto un torneo per scegliere. - spiegò Jao.
- Però dovrebbero sapere che potrebbero correre dei rischi di questo tipo, è pieno di disgraziati. - fece il biondo.
- Ah, lo sanno di sicuro. - affermò Lenn. - Ma non si preoccupano più di tanto, tipi come te non ci arriveranno mai alla finale. -
Rizo strinse i denti e tentò di non rispondere alla provocazione. - Mi sto ancora chiedendo come mai non ti abbiamo lasciato marcire in quella cella... – sibilò comunque.
Lenn sentì, ma non si curava di quello che pensava o diceva quel tipo di lui. Si mise comodo e chiuse gli occhi per riposarsi, ma senza dormire.
La discussione durò ancora poco, poi scemò e il rumore delle voci lasciò spazio alla sensazione di torpore che arieggiava fra tutti i ragazzi, stremati per la giornata passata a faticare.
A notte fonda, dopo altri discorsi e dopo incoraggiamenti un po’ da parte di tutti per andare avanti nella scalata del giorno dopo, finalmente vennero tirati fuori i sacchi a pelo. Si addormentarono tutti quasi subito.
Non sapevano che altre persone, nello stesso momento, stavano scalando i monti imperterriti, e tutti avevano una fiamma nel cuore che li animava: arrivare al Torneo, vincere su tutti e diventare re di Argeth. Ognuno di loro sperava anche di non incontrare altre persone sulla propria strada. Purtroppo i cinque ragazzi avrebbero incontrato qualcuno, più avanti. Da lì sarebbero cominciati gli scontri e sarebbero comparsi pericolosi ostacoli sul loro cammino. I guai stavano per iniziare.

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Capitolo 13
*** Capitolo 4 - L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l'Oracolo (Parte I) ***


Capitolo 4
L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l’Oracolo
Parte I


 
Lenn lottava contro l'ennesima tormenta, la quarta, ad essere precisi. Ogni giorno la neve cadeva spietata e il vento riusciva a sollevare da terra i ragazzi tanto era impetuoso, accadeva anche se erano ben saldati alle rocce. Più salivano e più il tempo sembrava deciso ad ucciderli prima di arrivare alla cima, il freddo era insopportabile.
Dopo ore di scalata, con loro meraviglia, i ragazzi raggiunsero una vasta zona pianeggiante, come una piattaforma che dava sul vuoto. Doveva essere pomeriggio, ma nessuno avrebbe potuto stabilire l'ora con quella bufera.
- Fermiamoci qui! - gridò Chad. - Non sento più le dita dei piedi. -
- Più avanti potremmo non trovare un altro luogo dove sostare. - continuò Harù.
- Ma qui non c'è nessun riparo! Siamo in balìa della tormenta, così! - rispose Jao.
Lenn si guardò intorno, aguzzando la vista. Scorse una piccola grotta scavata nella montagna, più grande dei soliti squarci in cui si rifugiavano di solito, a qualche metro da loro. Lì avrebbero trovato riparo dal vento e sarebbero stati di sicuro più comodi.
- Andiamo di là. – disse risoluto, e si diresse verso la grotta.
Gli altri lo seguirono con lo sguardo, poi decisero di andargli dietro. Faticarono anche ad arrivare sin lì, andando proprio nella direzione opposta della bufera, controvento.
Arrivarono all’entrata, e tirando un sospiro di sollievo entrarono dentro. Subito dopo non sentirono né la neve cadere sulla loro testa né il vento che soffiava e graffiava la pelle. Quello era un posto ben asciutto e molto grande, più di quello che Lenn si era immaginato.
Esausto, Chad si accasciò a terra, la caduta attutita dal cappotto imbottito. - Finalmente... -, mormorò.
Harù si adoperò subito per accendere un fuoco con un paio di pietre focaie, forse l'ultimo che sarebbero riusciti a produrre; erano tutti troppo deboli per fare magie, e i rametti che si erano portati dietro erano finiti, quindi non avevano più niente su cui far attecchire qualsiasi fiamma, oltre alla loro attrezzatura. La situazione non era delle migliori. Sui cappotti e sui cappelli di tutti si erano formati vari ghiaccioli, che li facevano somigliare a dei pupazzi di neve.
Lenn si sfilò il cappello e lo scrollò per togliere la neve e se lo rimise subito, poi si avvicinò al fuocherello nel tentativo di scaldarsi. Anche il cibo cominciava a scarseggiare, e ognuno di loro doveva mangiare giusto il minimo indispensabile per stare in piedi e magari riuscire ad arrampicarsi. Il sonno era un'altra cosa che li perseguitava, oltre alla stanchezza; dovevano stare svegli a turno per controllare il fuoco, e comunque dormivano poche ore; se fossero stati troppo tempo fermi il freddo avrebbe potuto avere la meglio su di loro e ucciderli.
- Fa un freddo bestia, mannaggia a me che non sono rimasto a coltivare i campi con mio padre, almeno sarei stato al caldo. - disse Chad.
- Pensa: io sono abituato al freddo, perché vivevo tra le montagne a sud e le scalavo spesso, ma non ho mai avuto tanta paura di morire assiderato in vita mia come ora. - continuò Harù.
- Su ragazzi, non dobbiamo demoralizzarci, tra un po’ saremo in cima e la discesa sarà sicuramente più facile. - disse Jao, cercando di tirare su gli animi.
- Io non ne sarei tanto sicuro. - affermò Lenn.
Il silenzio scese tra loro, nessuno aveva niente da dire.
Poi, probabilmente perché si sentiva a disagio, Rizo parlò improvvisamente. - A chi tocca stare fuori adesso? -
- Toccherebbe a me. - rispose Lenn.
- Bene, allora vai. - ribattè Rizo.
- Ma perché dobbiamo stare fuori a fare la guardia? Avete paura che arrivi l'uomo delle nevi? - domandò sarcastico il ragazzo.
- Se incontrassimo altri Stregoni adesso, sarebbe la fine. - disse Jao. – E’ in corso un Torneo, il vincitore sarà proclamato re, ognuno di noi lo vorrebbe diventare; ergo sarebbe meglio togliere un po’ di concorrenza fin da subito. Noi non vogliamo combattere, ma potremmo incontrare delle persone intenzionate a farlo. Potremmo anche rischiare la pelle, alcune persone non si fermano davanti a niente pur di togliere di mezzo la concorrenza. -
- Ah, ci mancava solo questa. - disse sarcastico Lenn. Quel giorno non era di buonumore, non aveva motivi per esserlo.
- Adesso che lo sai và fuori, che è meglio. - insisté Rizo.
Lenn si alzò in piedi.
- Un giorno o l'altro ti farai molto male, e sembrerà un incidente. - mormorò a denti stretti, mentre passava accanto al biondo.
Senza aggiungere altro, il ragazzo si diresse verso l'uscita e si appostò ai limiti della grotta, giusto per proteggersi dalle folate di vento. I suoi compagni stavano invece in fondo, a qualche metro di distanza, dove si stava andando a formare un leggero calore.

 
I Monti Bezor non offrivano una vista panoramica molto interessante o varia. Ovunque girasse lo sguardo, Lenn vedeva un grande manto bianco di neve, oppure non vedeva proprio nulla a causa della tormenta. Il vento lo gelava fin nelle ossa, acuiva la sua solitudine. C’erano solo lui ed il nulla, il freddo, la completa desolazione. Sentiva la sua vita molto più fragile ed in pericolo, in un luogo come quello. Insomma, gli sembrava di essere ancora nella cella dei sotterranei di casa sua, le sensazioni che provava erano quasi le stesse. E non riusciva a non pensare a quel luogo ogni volta che sentiva tirare o prudere la pelle della schiena ancora in via di guarigione. Non odiava fare i turni di guardia perché fuori faceva freddo; si sentiva a disagio ogni volta che rimaneva solo così a lungo, solo i suoi pensieri ed i ricordi gli facevano compagnia; il dolore della sua anima non sembrava voler chetarsi.
Dopo un'ora passata a fissare il vuoto, Lenn vide improvvisamente qualcosa muoversi nella neve, una sagoma alta e grande, una persona. Anche quest’ultima era sulla piattaforma, ad una decina di metri di distanza, e avanzava proprio nella loro direzione. Lenn rimase immobile ad osservare, poi ritenne giusto rientrare a chiamare i suoi compagni di viaggio, che stavano stesi a terra nel tentativo di riposarsi senza dormire.
- Arriva qualcuno. - disse con un sussurro.
Harù trasalì, gli altri come lui si misero subito a sedere, pronti a reagire e silenziosi.
Jao, lentamente, si affiancò a Lenn. - Ne sei sicuro? -, domandò.
- Sì, viene verso di noi. Dev’essere un uomo, dalla sagoma sembrava robusto. - confermò il ragazzo.
- Speriamo che non veda la grotta, se è uno Stregone siamo finiti. - sussurrò Harù, dietro di loro.
Ma tutti sapevano già che lo straniero era uno Stregone, potevano sentire l’aura di magia emanata dal suo corpo, l’essenza del suo Spirito sopito, segni inconfondibili. Lenn recuperò la sua katana e la estrasse dal fodero mentre tornava quatto all’apertura della grotta, pronto ad attaccare.
- Cosa vuoi fare? - gli chiese Jao.
- Si sta avvicinando troppo, meglio farlo fuori colpendolo di sorpresa, prima che s’accorga della nostra presenza. Se ha dei compagni potrebbe chiamarli, e se sono tanti non avremo speranze. - spiegò velocemente Lenn.
- Aspetta. - Harù frappose il suo braccio tra Lenn e la tormenta all’esterno per bloccarlo. - Per quanto si possa avvicinare, non uscire allo scoperto, è meglio. -
La figura dello sconosciuto si avvicinava sempre di più, lentamente ma con convinzione, di sicuro di lì a poco sarebbe stato abbastanza vicino per vederli nonostante la tormenta.
- Io vado. - disse deciso il ragazzo con la katana.
- No! - ribadì Jao.
Altri passi verso di loro, poi la persona si fermò, guardava sicuramente nella loro direzione.
- Ci ha visti, vado. – concluse Lenn, che scattò in avanti e corse allo scoperto.
- Lenn, no! - sibilò Jao, non volendo sino all’ultimo rivelare la sua presenza. Cercò di tirare l’amico per la giacca, ma perse subito la presa.
Lenn corse deciso verso lo straniero, di cui finalmente poteva vedere bene le caratteristiche principali; da vicino sembrava un cavaliere, indossava una grande armatura.
Sostenne la katana con entrambe le mani, e con un grido si precipitò sullo sfortunato, sorpreso per la sua improvvisa comparsa. La lama lo colpì alla spalla, ma incontrò la dura corazza che venne di poco scalfita. Lenn ne rimase sorpreso, e in quell'attimo di distrazione si vide arrivare un pugno diretto allo stomaco, che non riuscì a schivare. Si piegò in due dal dolore e senza volerlo perse la presa sulla sua spada, che cadde nella neve; poi reagì e ricambiò il pugno, diretto però al viso del nemico. Colpì in pieno l’elmo dell’avversario; probabilmente si fece più male Lenn che l’uomo con quel colpo, tuttavia il primo non fece una piega. In quattro e quattr'otto cominciò una zuffa tra i due, mollando calci e pugni. Lenn saltò e arrivò alle spalle dell'avversario, poi gli scagliò contro uno dei suoi calci più decisi, che lo fecero cadere a terra. Questo però con agilità si rimise in piedi, poi sparì nel nulla, accompagnato da un sibilo.
"Dov'è finito?", si chiese Lenn, sorpreso per l'ennesima volta. Poi sentì un passo dietro di lui. Si girò di scatto e venne colpito alla testa dall'elsa della spada del suo nemico, estratta in un attimo dal fodero. Lenn barcollò e cadde a terra stordito, il misterioso cavaliere si fiondò su di lui e lo bloccò prima che potesse reagire, inchiodandolo a terra con il suo solo peso. Una nuova fitta alla schiena malandata del ragazzo lo avvertì che il colpo appena subìto rischiava di peggiorare le sue ferite ulteriormente. Lenn riuscì però a liberare un braccio, riuscendo a dare un altro pugno deciso al viso del nemico, che gli stava a pochi centimetri; l'elmo volò via, e finalmente poté vedere il suo viso.
Era un ragazzo molto giovane, doveva avere la sua stessa età, aveva dei corti capelli castani e ricci, gli occhi castano scuro lo fissavano insistentemente; il viso aveva tratti squadrati, aveva un accenno di barba, l’espressione che vi stava disegnata sopra era piena di superiorità. Il tizio sorrise, poi prese fiato e urlò. - Ehi, ragazzi! Ne ho trovato uno! -
Lenn rimase perplesso, poi vide comparire poco distante altre tre sagome tra la neve che si dirigevano nel punto in cui si trovavano. Anche questi erano vestiti con grandi armature che li riparavano dalle intemperie. Uno di loro reggeva una balestra carica in mano, un altro portava un grande scudo fissato ad un braccio che poteva coprire quasi completamente il suo proprietario. Il terzo, il più alto e quello che reggeva uno spadone, si avvicinò al ragazzo dai capelli castani e osservò attentamente Lenn, scrutandolo in viso.
- Sei sicuro che sia uno Stregone? - domandò.
- Certo che lo è, non senti la forza che emana? - ribatté il ragazzo, apparentemente scocciato. - E scommetto che è pure un Elfo. -
- Come fai a dirlo? - gli domandò il ragazzo con la balestra con grande scetticismo.
- Ha la faccia antipatica. - sostenne l'altro, come se fosse la cosa più semplice e scontata per un Elfo.
- Sfilagli il berretto e vediamo. - propose il tipo con lo scudo.
Lenn nel frattempo non aveva mai smesso di dimenarsi, nonostante la stanchezza per la scalata si facesse sentire più di prima; se fosse stato completamente in forze, sarebbe riuscito sicuramente a sbarazzarsi di quei mentecatti!
Aveva ancora il berretto in testa, che gli copriva le orecchie. Gli fu tolto brutalmente dal tizio che gli stava sopra, che vedendo le sue orecchie normali assunse un'espressione scocciata.
Il cavaliere vicino a loro sbuffò e gli tirò un ceffone dietro alla testa. - Raphael, sei sempre lo stesso! Vedi Elfi dappertutto tu! -
- Non è colpa mia se li detesto! – ribatté il tizio di nome Raphael. – Questo moccioso poi aveva proprio il faccino giusto. -
- Tu sei fissato. - affermò l'altro.
- E piantala, Air! L'ho capito che ho sbagliato. - disse scocciato il ragazzo.
Il tipo con lo scudo si mise a ridere. - Sì, come quella volta che hai assalito un contadino pensando che fosse un Elfo pure lui. Sbagli quasi sempre. -
Il cavaliere in questione si tolse l'elmo e gli fece una linguaccia derisoria. Lenn colse al volo l’occasione per vedere in viso anche quel nemico: riuscì a notare che aveva dei capelli lunghi, mossi e biondi.
Raphael gli scoccò un'occhiata di fuoco. – Ricordami che dopo ti devo ammazzare, Ciel. -
- Non mi fai paura. - affermò l'altro, rimettendosi l’elmo.
- Smettetela di comportarvi come bambini, voi due. - intervenne il cavaliere con la balestra. - Cosa ce ne facciamo dello Stregone? -
- Uccidiamolo! - propose Raphael divertito.
- A me sembra già abbastanza indebolito, potremmo lasciarlo qui e basta. - disse Air. – Ho la netta sensazione che la tormenta potrà fare bene il lavoro al posto nostro.
- E perché non lo uccidiamo subito noi e stiamo più sicuri? - insistette Raphael.
- Raph, sai che io non uccido se non è necessario, e qui io non vedo la necessità. Andiamo via, c’è una scalata da affrontare. - affermò Air, che girò i tacchi e cominciò ad andarsene.
- Aspetta, e se ce ne fossero altri? – domandò Ciel.
Air rimase a riflettere per qualche secondo. – Va bene, facciamo una piccola ricognizione, non ci credo che questo ragazzino sta viaggiando tutto da solo. –
- E’ meglio. Così siamo sicuri di non trovarci altri piantagrane sulla strada. -
In quel momento uscirono allo scoperto Jao, Harù e Chad, che si fiondarono sui cavalieri con le armi pronte a colpire. Riuscirono ancora a cogliere di sorpresa gli avversari.
Il ragazzo sopra di Lenn si alzò in piedi e prese in mano due spade, poi vi incanalò della magia, pronto a lanciare un incantesimo.
Lenn si alzò in piedi e recuperò la katana, caduta poco distante da lui. Corse verso i suoi compagni, poi si affiancò a Jao in posizione di guardia.
- Te l'avevo detto che non dovevi muoverti! - disse questo.
- Lo so. - ribatté secco Lenn. Sapeva di aver sbagliato, non c’era bisogno che il compagno glielo ricordasse.
- Lenn, qualunque cosa accada, non usare la magia. - aggiunse poi.
- E perché? -
- Perché no! Non fare questioni! –
Poi Jao si lanciò alla carica, pronto all’offesa.
Lenn decise di ignorare ancora i comandi del castano ed evocò la magia Oscura, che trasmise alla katana. Se voleva combattere e fare la sua parte, non aveva altro modo.
I cavalieri, impegnati a combattere contro gli altri, si fermarono e sussultarono.
- Attenti! Usa magia nera! - gridò il cavaliere con la balestra.
- Ve l'avevo detto che dovevamo ucciderlo quando ne avevamo l’occasione! - gridò Raphael.
- Sta zitto e combatti. - ammonì Ciel.
Raphael prese la rincorsa e l’iniziativa e si schiantò contro Lenn con tutte le sue forze con la spada, ma il ragazzo incassò bene il colpo con una parata laterale e riuscì ad annullare l’attacco.
- Ordine dei Castigatori ! Avanti! Per la purezza di Argeth! - gridò Air, che ingaggiò battaglia con Jao.
Harù lanciò con estrema velocità i suoi coltelli contro Ciel, ma le lame furono come assorbite dal suo scudo e poi rigettate contro il mittente, che venne inchiodato al suolo dalle stesse, trapassando i vestiti.
Chad invece lanciava vari colpi con la fionda contro il nemico con la balestra, che rispondeva al fuoco con i suoi dardi. Entrambi combattevano a distanza, il loro scontro sembrava il più composto e strategico.
- Ma dove diavolo è Rizo? - gridò Lenn per farsi sentire dagli altri in tutto quel baccano.
- E' rimasto alla grotta. - gli rispose Jao.
- Quell'inetto! - ringhiò il ragazzo dagli occhi scuri, non smettendo di combattere contro Raphael.
L’avversario incrociò le spade e cercò di colpire Lenn al collo con l’intenzione di mozzargli la testa, ma il ragazzo si lasciò cadere a terra di peso e schivò, poi dalla sua posizione mollò un calcio alle caviglie nemiche per farlo cadere. Raphael fu colpito e fece un salto per il dolore, ma poi ricambiò con un calcio al viso. Lenn venne gettato ad un metro di distanza, accompagnato da uno schizzo di sangue. Si rialzò da terra con un balzo nonostante tutto, si passò una mano sul labbro sanguinante.
- Hela - mormorò. Un guizzo di tenebra all’altezza del viso ed il labbro guarì grazie all’incantesimo di guarigione.
Invocò un altro incantesimo, poi con la lama della sua spada tracciò dei cerchi invisibili nell’aria; si formarono subito dopo un paio di onde d’urto che colpirono Raphael, il colpo fu appena attutito da un fragile scudo che riuscì ad evocare nel giro di pochi istanti, ma che cedette subito.
La battaglia si prolungò per vari minuti, che parvero secoli.
Jao sembrava stanco, e parava con sempre più difficoltà i colpi di Air, anche se quest'ultimo cominciava a cedere; erano tutti provati per la scalata che stavano intraprendendo e il freddo rallentava i loro riflessi. Con un ultimo colpo con il piatto della spada sulla mano di Jao, Air fece indietreggiare il nemico, poi saltò indietro.
- Dawn, qui! - gridò.
Al richiamo, il cavaliere con la balestra si girò, preparò l'ennesimo dardo con grande velocità e lo lanciò in quella direzione. La freccia colpì Jao al fianco sinistro.
Il giovane gridò dal dolore, poi si accasciò a terra.
Lenn lo vide cadere con la coda dell'occhio, e scocciato corse contro l’avversario e gli diede un calcio in mezzo alle gambe, e Raphael cadde a terra piegato in due dal dolore. Poi Lenn corse verso al compagno per soccorrerlo.
- Jao, mi senti?! - domandò.
Il ragazzo castano gli rispose con un mugolìo un po’ incerto, poi Lenn cominciò a vedere il sangue scorrere veloce sulla neve.
In quel momento Chad approfittò del momento di distrazione e colpì al viso Dawn, il tipo con la balestra, per vendicare il compagno ferito.
Harù riuscì a scalfire la difesa di Ciel con un coltello vagante che gli sfiorò una gamba.
Rizo infine apparve come dal nulla e lanciò un fulmine con il suo scettro su di Air, che non si aspettava la comparsa di un nuovo avversario.
Gli sconosciuti avevano ferito Jao gravemente, ma adesso erano in inferiorità numerica e stanchi. Così i quattro si riunirono senza dirsi niente di particolare, già sapendo cosa fare. Avevano capito che la situazione stava volgendosi a loro sfavore con la comparsa del nuovo Stregone più in forze di loro.
- Torneremo, e la prossima volta vi accopperemo! - gridò Raphael, che poi si portò una mano al petto e scomparve in un fascio di luce. La stessa cosa fecero gli altri, che scomparvero nel nulla.
L'Ordine dei Castigatori era sparito con la stessa velocità con cui era arrivato.
I ragazzi non vi fecero molto caso e corsero nel punto in cui Jao era steso a terra, affiancato da Lenn.
- Oh, no! E' ferito gravemente. - esclamò Harù.
- E'... E’ vivo? - domandò timoroso Chad.
- Sì, ma ha bisogno di cure. Prima di tutto dobbiamo portarlo al riparo dalla tormenta e togliergli la freccia dal fianco. - affermò Lenn.
Rizo si avvicinò agli altri. - Ve l'avevo detto che non sarebbe stata una buona idea uscire allo scoperto. -
Lenn lo guardò male – Tu non hai detto un bel niente! E non è il momento di lamentarsi, portiamolo dentro la grotta. - disse.
Harù e Lenn si adoperarono per tirare su Jao e condurlo il più velocemente possibile verso la grotta sostenendolo, al riparo dal freddo.
- Ma chi erano quelli? - domandò Rizo.
- L'Ordine dei Castigatori, da quanto ho capito. - rispose Harù.
Lenn non ascoltò il resto del discorso dei due, ma registrò nella mente il nome di quel gruppo, promettendo a se stesso che se li avesse rincontrati gliele avrebbe date di santa ragione per vendicarsi. Avevano ferito un suo compagno e li avevano attaccati. La prossima volta avrebbe avuto la meglio su di loro e non si sarebbe fatto cogliere impreparato.

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Capitolo 14
*** Capitolo 4 - L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l'Oracolo (Parte II) ***


(NdA: Il nome del gruppo di cavalieri incontrati dai protagonisti è stato cambiato in qualcosa di meno anacronistico. E' una cosa provvisoria, ma è sempre meglio di prima.)


Capitolo 4
L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l’Oracolo
Parte II




Il giorno dopo la battaglia contro l'Ordine dei Castigatori la tormenta si placò e smise di nevicare per la prima volta da quando i ragazzi si trovavano tra i Monti.
Harù, Rizo e Chad avevano deciso di uscire e cercare qualcosa, qualsiasi cosa che avrebbe potuto attecchire per fare un fuoco, o magari qualche animale della zona da cacciare, anche se era difficile che si trovassero animali, lì.
Lenn invece era rimasto nella grotta perché gli mancavano i vestiti adeguati per uscire al freddo, cosa di estremo disappunto per Rizo; inoltre qualcuno doveva badare a Jao, che aveva bisogno di cure. Quest’ultimo era steso a terra, le coperte che aveva usato in quei giorni Lenn lo tenevano al caldo mentre il suo cappotto si asciugava vicino al fuoco ancora acceso dal giorno prima; Chad aveva provato a lavarlo con la neve per levare le tracce di sangue, ottenendo qualche buon risultato.
Jao teneva gli occhi chiusi, cercando di non pensare al fianco dolorante. Lenn, da bravo Stregone, aveva provveduto per le cure della sua ferita usando le erbe medicinali che si portavano dietro, tra cui tante antidolorifiche; aveva deciso di utilizzare le stesse usate sulla sua schiena, ormai quasi guarita. Era stato anche lui ad estrarre la freccia dal fianco di Jao, cercando di non procurargli troppo dolore. Avrebbe anche voluto cauterizzarla per sicurezza, ma il castano si era opposto energicamente a quella scelta.
Il suo scopo ora come ora era fare compagnia al ferito, ciononostante si era piazzato abbastanza lontano da lui e aveva cominciato a fare vari esperimenti con la magia. Stava tentando di accendere un piccolo fuoco tra le sue mani senza invocare la magia Oscura, ma dopo più di un'ora di vani tentativi si era stancato. Decise che non gli importava se tutti gli sconosciuti l’avrebbero subito riconosciuto come Stregone nero, lui la Luce non la riusciva ad invocare!
Si affiancò poi a Jao per controllargli la ferita, che aveva finalmente smesso di sanguinare; Jao non doveva avere più forze con tutto il sangue che aveva perso durante la notte, infatti era bianco come un lenzuolo.
- Mi sto ancora chiedendo perché tu l'abbia fatto. – disse all’improvviso Lenn.
Jao aprì gli occhi e lo squadrò. - Eri nei guai, dovevamo aiutarti. O avresti preferito farti fare a fettine da quei quattro rinoceronti? -
- Se ti fossi fatto gli affari tuoi adesso non saresti in questo stato. - ribattè Lenn severo. – E comunque, me la sarei cavata benissimo anche da solo. -
- Sì, come no… - sbuffò il castano. – Ma non è stato di peso aiutarti, per me. Mi hanno insegnato che si fa questo ed altro per gli amici e le persone care. -
Lenn rivolse lo sguardo al terreno per evitare lo sguardo di Jao. - Non ho bisogno di amici. Non servono. Se tu non ne avessi avuti non sarebbe mai successo niente. -
- Per me gli amici sono tutto, invece. - disse Jao con il suo solito tono tranquillo e sicuro. - La vita sarebbe triste e noiosa, senza di loro. -
- Bah, contento tu... -
Seguì qualche secondo di silenzio, poi Jao parlò: - Io sono tuo amico, no? – disse con un tono quasi ingenuo.
Lenn inarcò le sopracciglia. – Non saprei. Cosa bisogna fare per diventare amici? – disse con tutta sincerità.
Il castano alzò le spalle. - Non molto. Si parla, si scherza, si sta insieme... Non è che ci si mette d’accordo su cose del genere, lo si diventa e basta. -
All’altro ragazzo l’argomento dava fastidio, non lo voleva affrontare, perciò tentò di cambiare discorso. - Mi devi ancora spiegare perché siete tornati a prendermi sin nelle segrete di casa mia. Che diavolo ti passava per la testa? –
Ma Lenn aveva già immaginato la risposta di Jao, perché cominciava a conoscerlo meglio.
Il compagno all’inizio, però, sembrò riflettere. - Beh, ho pensato che ti fosse successo qualcosa e mi sono preoccupato, così sono tornato a casa tua per capire se era tutto apposto. Sai, io ti consideravo già mio amico. -
Lenn chinò il capo, irritato. Ancora quella parola assillante, di cui non capiva a fondo il senso e che stava sempre sulle labbra di Jao, e lui quando non capiva una cosa veniva assalito dall'irritazione. Gli avevano insegnato che stare da soli e vivere in solitudine era più utile e più facile che stringere inutili legami con gli altri, e nonostante avesse deciso di fare tabula rasa e non considerare più quegli insegnamenti, non riusciva a concepire idee simili a quelle del castano. Era passato un po’ di tempo da quando si erano conosciuti, ma ancora non riusciva a comprendere tante cose, e molti ragionamenti di Jao gli sembravano solo stupidi.
- Ma perché tutto questo? A quale scopo lo fai? Essere amici non può essere l'unica motivazione per fare certe cose, dai! Potevate lasciarci le penne quella volta, tutti quanti. -
Jao sorrise. - Non ci crederai, ma essere amici significa molto, specialmente in questi tempi bui. Tantissime persone agiscono solo per il bene di terzi, perché si instaura un particolare legame. Tutti hanno bisogno di qualcuno con cui confidarsi, passare il tempo... - poi guardò Lenn. - Anche tu, musone. -
- Ah, ti ho già detto di no. - rispose Lenn, orgoglioso.
- Però con me ci parli abbastanza. Con gli altri un po’ meno. -
- E' diverso. - si giustificò il ragazzo dagli occhi scuri.
- Va bene, come vuoi.... - sospirò l’altro, troppo stanco per insistere.
Rimase a fissare il soffitto della grotta a lungo, placido. Pensò un po’ alla sua casa e ai suoi genitori, che aveva felicemente lasciato lontano da sé per un po’. Chissà se, nonostante tutto, mancasse loro almeno un tantino.
Poi, improvvisamente, si rese conto che uno come lui non poteva reggere al silenzio che si era andato a formare, doveva riempirlo con un qualcosa. Così iniziò a parlare, rivolgendosi a Lenn.
- Sai... Quando nacqui una Veggente predisse il mio futuro, e disse ai miei genitori che avrei compiuto varie imprese, mi sarei fatto onore, e infine avrei avuto la meglio su tutti i miei nemici... Insomma, quello che avevano sempre desiderato. Ma poi la vecchia aggiunse che non ce l’avrei mai fatta da solo. - si girò per guardare Lenn, che si era messo ad ascoltare suo malgrado. - Disse che ero incompleto, e che per trovare il mio posto nel corso del tempo avrei dovuto trovare il mio pezzo mancante, ciò a cui mi avevano diviso, una persona che avrebbe potuto completarmi stando insieme a me. Aggiunse che da solo sarei servito a ben poco, perché incapace di comprendere alcune cose. In sintesi: l’unico erede del mio Clan è al momento completamente inutile già alla partenza. – Aggiunse un sorriso un po’ amaro. - I miei genitori si offesero e la cacciarono via. -
Lenn rimase in silenzio, non sapeva come commentare, ma associava quel discorso delirante ad una possibile infezione che gli stava facendo un brutto effetto. Perché gli stava dicendo gli affari suoi tutto d’un tratto? A lui mica interessavano.
Jao fece una domanda insolita: - Conosci la storia di Altarìa e Draco Magnus, no? -
- Sì, la conosco. La Luce e l'Oscurità che si respingono e allo stesso tempo si completano a vicenda, l’eterno conflitto tra le due forze. Sì, insomma, la solita roba… -
- Infatti. - annuì Jao. - Credo che la Veggente si riferisse ad una cosa del genere quando disse quelle cose. E' anche per questo che sono partito, perché voglio trovare il mio completamento. Lì a casa mia non c'era nessuno così. -
- Così se lo troverai vincerai il Torneo, giusto? - chiese Lenn.
- Na, non credo proprio. Sono solo curioso di conoscere questa mia metà. Speravo che fossero Chad, Harù o Rizo, ma non ne sono più tanto sicuro... Però penso che sarà il destino a farmelo incontrare al momento giusto, quando saremo entrambi pronti. -
- Forse si riferiva all'anima gemella, tipo una ragazza. - ipotizzò Lenn. – Sarebbe anche un’alternativa più piacevole di trovarsi legato per qualche legame mistico ad un uomo, eh. -
- Sì, hai ragione! - rise Jao, che alzò di nuovo le spalle.
La discussione terminò lì, e Lenn tornò ad occuparsi della fiammella che non riusciva ad evocare senza usare le Tenebre.
Jao tentò di mettersi a sedere, ma con scarsi risultati. Decise di rimanere disteso ad osservare Lenn mentre falliva nelle sue magie.
Dopo qualche minuto, il ragazzo imprecò e mandò al diavolo il fuoco nero sospeso tra le palme, poi si distese e si mise a fissare anche lui il fuoco.
Cominciò a riflettere su quello che stava facendo, come mai era lì e perché stesse facendo tutte quelle cose; le solite domande per lui irrisolvibili, insomma, come forse lo erano per molte persone.
Però il discorso di Jao sulla predizione alla sua nascita gli aveva rammentato il fatto di non sapere quasi nulla dei suoi genitori. Si chiese come mai lo lasciarono a suo zio e se ne andarono, perché fosse stato obbligato a fare determinate cose con quel vecchio, per poi mandare tutto all'aria. Anni di impegno, dedizione e sangue per niente, ormai era solo.
Provò ad immaginarsi due volti che avrebbero potuto rappresentare i suoi genitori, ma tutto quello che riusciva a vedere erano due volti senza bocca, occhi, capelli; non riusciva ad immaginare niente. Si disse che la sua immaginazione forse faceva pena, avrebbe dovuto migliorarla di più. Chiuse gli occhi e continuò a pensare, a pensare e a pensare, con tutto il suo impegno. Forse era meglio concentrarsi su di un genitore alla volta. Allora, che aspetto poteva avere sua madre?
Era sicuramente una bella donna, non poteva non esserlo. Forse aveva i capelli lunghi come quelli di Lia; probabilmente erano anche neri come li aveva lui, dopotutto era suo figlio. Un bel viso liscio e delicato, la pelle chiara, gli occhi scuri; la vedeva molto simile a se stesso. Però lei aveva la capacità di sorridere dolcemente…
Qualcosa situato nella parte inconscia della sua mente andò a liberarsi, e questa si aprì come un piccolo porta gioie. Cominciava a ricordarsi di un viso, non più ad immaginarlo. Nella sua mente cominciò a vagare una strana melodia, calma e dolce, quella di un flauto. Era un ricordo lontanissimo, forse addirittura di un’altra vita. Gli sembrava di ascoltare quel suono per la prima volta, ma allo stesso tempo era come se lo conoscesse già. Se la stava immaginando o era davvero una specie di ricordo? Dove l'aveva già sentita? Come mai era comparsa nella sua mente solo ora, all’improvviso?
E aveva la sensazione che quello fosse solo l’inizio di una serie di ricordi sopiti che si potevano risvegliare.
La melodia lo cullò e risuonò tra i suoi pensieri, e si sentì a casa. Non quella in cui aveva sempre vissuto, qualcosa di diverso e piacevole. Varie luci gli passarono come davanti agli occhi, bianche sullo sfondo nero che sembrava averlo avvolto. Dopo un po’ a quella melodia indefinita si aggiunse un’ombra, forse un volto nuovo, che suonava quella musica per ipnotizzarlo. O forse era un richiamo a gran voce.
"Cosa mi sta succedendo?" si chiese Lenn.
S’aggiunse una sensazione di calore, non però sulla sua pelle, ne aveva il ricordo. Quando mai c'era stato calore nella sua vita? In quel limbo che si era andato a formare, Lenn si sentì tranquillo e al sicuro. Inconsciamente, sorrise, immerso in quelle improvvise rimembranze.
Una voce da lontano lo stava chiamando per nome. Era la voce di Jao. E non era un ricordo, di sicuro.
Scocciato, riaprì gli occhi, cercando però di tenere ben stretto quel barlume di calore e la melodia misteriosa.
Sobbalzò. Sospesa sul suo petto, piccola e flebile, si era formata un piccolo globo di luce, di colore azzurro pallido, però. Mai vista un roba del genere.
Jao stava fissando l’incantesimo come Lenn, che per la sorpresa lasciò inavvertitamente la presa immaginaria sui ricordi di poco prima, che svanirono all'istante e tornarono nella parte inconscia di se stesso. Il ragazzo pensò l’imprecazione più colorita che riuscì a formulare in quel momento.
Nello stesso momento, la luce azzurra svanì, come risucchiata dal luogo da cui proveniva.
Jao sembrava basito. Strano.
- C-come hai fatto? - domandò.
- Uhm, non ne ho idea. E’ grave? – Lenn si rimise in fretta a sedere.
Provò ad aprire la mano e a farvi comparire una luce, ma un globo nero si andò a formare, come tutte le altre volte. Niente magia di colore azzurro. Guardò Jao, che adesso sembrava allarmato.
- Quella aveva l’aria di essere una magia primaria. Ma diciamolo, non aveva il chiarore della Luce né le sfumature nere e violacee tipiche dell’Oscurità. ‘Cazzo era?! - fece il ragazzo, forse un po’ troppo irrequieto.
Lenn annuì. – Mai vista una roba simile. Non so neanche come ho fatto ad evocarla, stavo pensando agli affaracci miei. – si discolpò Lenn, ripresa la calma.
In quel momento entrarono nella grotta Chad e Harù, seguiti da Rizo, senza dare loro il tempo di aggiungere altro.
- Abbiamo trovato qualche ramoscello. Incredibile che ci siano delle piante che sopravvivono a climi del genere. Non so a che servano loro, ma sono piene di spine, e almeno la metà ce le ho conficcate nelle mani. - disse Chad. – Ma almeno accenderemo un fuoco in più. -
- Però niente cibo. - disse tristemente Harù. - Mamma mia, quanto ho fame. -
- E voi due vi siete goduti il fuocherello? I servi hanno fatto un buon lavoro? - domandò Rizo a Lenn e Jao, mentre buttava i rami nuovi per terra.
- Smettila Rizo, sei inopportuno. - commentò Jao - Non l’ho fatto mica apposta a ferirmi, sarei venuto con voi se avessi potuto. -
- Già... - disse Lenn. - La colpa è mia. -
- Bravo bambino, vedo che hai capito. - disse Rizo - E domani ci andrai tu in giro a cercare come un cane da tartufi la legna, capita l’antifona? Io la mia parte l'ho fatta. -
- Non ti preoccupare, lo farò. - ribatté il ragazzo più giovane. - Per me non è un peso aiutare gli amici. -
Rizo, che si stava già dirigendo verso Harù, si bloccò, colpito dalla frecciatina. Chad e Harù invece lo fissarono, stupiti. Aveva davvero detto la parola “amici”? Aveva la febbre?
Sicuramente no, ma Rizo non si aspettava da parte sua una risposta del genere, e ne rimase sorpreso e allo stesso tempo irritato, mettendo in evidenza il fatto, per lui non giusto, di non voler dare una mano ai suoi compagni perché troppo egoista.
Lenn sorrise soddisfatto, poi guardò Jao. Il ragazzo stava sorridendo, felice di aver sentito quella frase detta da lui. Evidentemente non aveva capito che l’aveva detta esclusivamente per infastidire Rizo. Forse anche per guadagnare qualche punto a suo favore, però.
Il biondo lo fulminò con gli occhi, sapendo che aveva fatto una brutta figura per colpa sua. - Tu, brutto...! - sibilò fra i denti, in modo che nessuno lo potesse sentire a parte Lenn.
- C'è qualcosa che non va, Rizo? - domandò lui con falsa innocenza.
- Niente, è tutto a posto. - disse il biondo, girando i tacchi e mettendosi a sedere il più lontano possibile da lui. Non voleva rimarcare la cosa, giacché in pochi avevano afferrato il messaggio bene quanto lui.
Chad e Harù tornarono a farsi gli affari loro, però sorridendo.
Jao si scostò dalle coperte e si avvicinò a tentoni a Lenn. - L'hai detto apposta o ne eri convinto? - chiese a bassa voce.
Lenn lo scrutò impassibile. – Non lo so, ti lascio col dubbio. – disse con una punta di orgoglio.
Jao gli sorrise, poi gli porse una mano. - Amici? -
Lenn fissò quella mano per qualche secondo, decidendo cosa fare. Quel ragazzo era suo amico? Si poteva fidare di lui? Non era come Rizo, si sentiva meglio quando gli parlava assieme, come con Harù e Chad. O forse con loro un po’ meno.
Distolse lo sguardo, decise di ignorare la stretta, era qualcosa di troppo impegnativa e infantile, una cosa del genere.
– Forse. – si limitò a dire.
Jao ritrasse la mano, ma ridacchiò divertito. Aveva recepito il messaggio.

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Capitolo 15
*** Capitolo 4 - L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l'Oracolo (Parte III) ***


Capitolo 4
L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l’Oracolo
Parte III




Il sole splendeva alto nel cielo terso, sopra le loro teste, ma il freddo persisteva. Dopo essere arrivati sulla cima della montagna, cosa che aveva richiesto almeno quattro giorni senza contare le pause e gli incidenti, i ragazzi avevano cominciato subito la discesa, evitando di sostare in quel luogo quasi privo di ossigeno. La marcia era lenta, poiché avevano difficoltà a trasportare la barella che in precedenza avevano usato per Lenn, ma adesso la occupava Jao, ferito e troppo debole per camminare con le sue sole forze. Ai piedi della montagna e anche più avanti, Lenn poteva scorgere una grandissima foresta, ettari ed ettari di natura incontaminata. Gli alberi, verde smeraldo, catturavano ogni singolo raggio di sole per sopravvivere e crescere, divenendo poi dei giganti. Solo quelli più vicini ai Monti erano deboli e annichiliti dal freddo, alcuni sembravano degli alberi di neve tanto erano ricoperti.
Da qualche giorno a quella parte, Lenn era tornato quasi muto, aveva di nuovo smesso di parlare con gli altri. Nella sua mente vorticavano pensieri, riflessioni, teorie e tanti dubbi da fargli venire il mal di testa. Da quella sera in cui era riuscito ad evocare una magia diversa da quella Oscura, Jao lo guardava dal basso della sua barella con sospetto e con un’aria pensosa, la sua mente di sicuro lavorava al massimo delle sue capacità; a volte gli parve di notare nel suo sguardo anche una leggera ombra di timore. Non si erano più parlati, e per Lenn questo era stato un bene. Non aveva niente di cui discutere, voleva tenere tutti suoi pensieri per sé, almeno per un po’.
Si continuava a domandare cosa fosse quella sensazione che aveva sentito proprio quando aveva messo in atto quella magia, ma non se ne ricordava abbastanza. Ormai quello che aveva a disposizione era solo qualche brandello di consapevolezza di quello che era successo, non aveva ricordi chiari, quelli erano riusciti a sfuggirgli. Aveva tentato altre volte di rifare la stessa cosa, ma i suoi compagni chiassosi ed impiccioni e la solita magia nera non lo lasciavano mai.
Mentre scendeva giù tra le rocce, Lenn non si dava tregua. Avrebbe voluto che sua sorella fosse con lui, in quel momento; forse lei sarebbe riuscita a capire qualcosa. Spesso la giovane donna aveva dimostrato di capirlo meglio di quanto lui capisse se stesso. Lenn era consapevole che la sua visione del mondo fosse distorta, ma non voleva confidarsi con i suoi “amici”.
Da quando si erano incontrati, erano rimasti sempre assieme in quel breve lasso di tempo della sua vita, lo avevano aiutato, ma c'era qualcosa che lo tratteneva, qualcosa che gli diceva di mantenere una certa distanza da loro. Potevano stare uniti quanto volevano, ma lui si sentiva irrimediabilmente diverso da tutti loro, e soprattutto pensava che poco sarebbe potuto cambiare.
E poi si sentiva molto a disagio e ancora più estraneo perché la magia che aveva usato sembrava elementare quanto la Luce, ma non era come quella di cui sentiva circondati i suoi compagni. Era diversa, e anche il pallido colore azzurro era anormale. Era anche vero, però, che lui di normale aveva ben poco, e quelle differenze risaltavano molto di più quando era vicino a Jao. I due ragazzi non sembravano avere assolutamente niente in comune.
Ad un tratto, troppo preso dai suoi lambiccamenti, mise male un piede, che non trovò alcun appoggio su cui sistemarsi. Si riscosse, e si aggrappò fulmineo ad un masso lì vicino, evitando di cadere nel vuoto. Guardò in basso; delle rocce appuntite gli stavano sotto, e se fosse precipitato avrebbe fatto una brutta fine.
Quel lato dei Monti Bezor era decisamente più ripido di quello affrontato nella scalata, e spesso erano tutti costretti a scendere delle pareti ripidissime e quasi completamente lisce, come ora.
Chad, poco distante da Lenn, cercava di non guardar giù e di continuare a scendere, con molta calma e molta attenzione. Rizo e Harù, i più robusti, scendevano tenendosi aggrappati con entrambe le mani, e alla vita avevano stretta una corda che li legava alla barella di Jao, che penzolava poco più in basso. Dovevano procedere con cautela, altrimenti sarebbero caduti tutti e tre giù.
Lenn, più agile di loro, si era offerto di prendere il posto di uno dei due, ma Rizo di tutta risposta gli aveva detto che era troppo magro per riuscire sostenere un certo peso, e aggiunse palesemente che non si fidava affatto. Il ragazzo dagli occhi scuri era rimasto zitto, ma avrebbe voluto ribattere molto volentieri con qualcosa di sgradevole. I muscoli li aveva, ed era di sicuro più forte di lui, il suo unico problema era che fosse leggero e slanciato di costituzione, l'apparenza ingannava gli occhi degli altri.
Scese ancora più in basso, finché non fu quasi vicino alla barella di Jao, che tranquillo stava disteso e osservava il cielo sopra di lui. D’altronde, dalla posizione in cui si trovava, non avrebbe potuto fare molto altro.
Al suo arrivo, si girò verso di lui e salutò. – Ciao. -
- Ciao. - borbottò di risposta Lenn.
- Che fai di bello? - chiese Jao sorridendo.
- Secondo te? - ribatté lui con aria seccata. – Sto preparando il tè, non vedi? -
- Io sto osservando il cielo azzurro, e penso. - disse il compagno, ignorando palesemente il sarcasmo dell’altro.
I due fecero silenzio per qualche secondo, poi Lenn domandò: - Quanta strada c'è ancora da fare per arrivare a ‘sto Torneo? Io un’altra catena montuosa non la scalo. -
- Credo ci sia ancora questa foresta e poi il deserto. - rispose Jao indicando l'orizzonte.
Lenn guardò in quella direzione, ma non vide nemmeno la fine della foresta. - Quale deserto? - chiese.
Jao rise. - E' ancora distante, ma si dice che il luogo da raggiungere sia proprio lì. Ma ti avverto, quel posto è enorme e non sarà facile arrivare a destinazione. Specialmente se incontrassimo di nuovo l'Ordine dei Castigatori o qualche altro Stregone piantagrane. –
Lenn chinò il capo, sconsolato. S’era già stancato di quel viaggio per luoghi in cui vivere era quasi impossibile, e davanti aveva ancora un’enorme foresta e un deserto aridissimo. Ma ci sarebbe arrivato intero al luogo in cui si svolgeva il fantomatico Torneo?
Jao intanto continuò ad osservare per un po’ Lenn mentre scendeva giù tra le rocce e il ghiaccio.
- Perché non parli più? Lo fai apposta? Ogni volta che fai un passo avanti ne fai altri dieci indietro. - sbottò poi, evidentemente turbato dal suo silenzio.
- Non mi va di parlare, punto. - rispose a tono Lenn. – Se senti il bisogno di banfare come tuo solito, parla da solo. –
Probabilmente Jao si offese. I due infatti non si parlarono più per tutta l'ora a seguire, mentre il sole cominciava a tramontare. Lenn scendeva silenzioso la parete, Jao fissava il cielo con le braccia conserte e il broncio.
Stanchi, l’intero gruppo andava giù sempre più lentamente, ma non potevano nemmeno fermarsi: non riuscivano a trovare un buon posto dove sostare tutti assieme e riposare.
Chad praticamente dormiva, solo la paura di cadere lo teneva sveglio. Ma, avendo gli occhi che gli si chiudevano ogni tre secondi, accadde l'inevitabile. Il ragazzo di colore mise male un piede, ma dato che non aveva gli stessi riflessi di Lenn non riuscì a trovare in tempo un appiglio e scivolò giù, mollò la presa sulla roccia e cadde. Harù e Rizo non riuscirono a fare niente, occupati com'erano. Lenn era troppo in basso, e Chad cadeva troppo velocemente. Se lo vide sfrecciare davanti prima ancora di rendersi conto di quello che era successo.
Il ragazzo precipitò nel vuoto, gridando. Jao si sporse per guardare. Lenn fece lo stesso, quasi preso dal panico. Un suo compagno stava cadendo, e lui non poteva fare niente.
Il tempo sembrò rallentare intorno a lui, i suoi pensieri gli comparivano in maniera confusa davanti agli occhi. Ricordi, esperienze, tutto quello che aveva fatto. Si chiese se fosse quello il momento di pensare a certe cose. Non sapeva nemmeno come usare le sue conoscenze in quella situazione.
Poi, come se l'adrenalina e la tensione avessero fatto da spinta motivazionale, Lenn riuscì improvvisamente a ricordare tutte le sensazioni e i ricordi recuperati qualche giorno prima nella grotta assieme a Jao. Piombarono tutti nella sua coscienza molto velocemente, più della prima volta; fiumi di sensazioni scorsero nel suo corpo. Fu quasi tentato di mollare anche lui la presa, quell'energia estranea che si diffondeva nella sua anima lo sopraffaceva. Guardò ancora Chad, poi chiuse gli occhi. Doveva riuscire a liberarsi di quella sensazione spiacevole. Doveva anche fare qualcosa per l’amico. Riaprì gli occhi.
L'amico in caduta libera fu improvvisamente circondato da scintille azzurre, poi da un leggero velo; ne venne avvolto, e subito la sua caduta rallentò, per poi arrestarsi completamente. Rimase sospeso nell’aria per qualche secondo, nello stupore di tutti gli astanti. Poi fu trasportato dal globo fino alla parete rocciosa. Chad, terrorizzato, si aggrappò alla fredda roccia e non si mosse più. La luce anomala sparì l'istante dopo.
Il luogo da cui era scaturita la magia e la conoscenza, quella specie di scatola nella sua mente che faceva parte del suo inconscio, perfidamente, si richiuse, precludendolo di nuovo in quello stato di ignoranza e amnesia. Il ragazzo rimase solo con le sue forze, che si sentiva prosciugare di più ogni istante che passava. L’incantesimo era stato fuori dalla sua portata, quella magia elementare portava via più energie delle Tenebre.
Gli girava la testa, non era semplicemente scosso come l'ultima volta. Non sentiva più le braccia, né le gambe; sentiva il sangue ghiacciarsi nelle vene e la sensazione di solitudine pesare ancora di più sul suo animo. La gola si seccò, era bisognoso d’acqua, come se avesse appena fatto una lunghissima corsa. Cominciò a respirare in modo sempre più affannato, i denti cominciarono a battere. Pian piano, sentì il panico pervaderlo, incapace di ribellarsi e di reagire a quella situazione pericolosa.
Jao si spaventò e si mise in ginocchio sulla barella, rischiando non poco di cadere. Non sentì le lamentele di Harù e Rizo, che da più su gridavano. Si sporse nel vuoto e afferrò Lenn per un braccio; quest’ultimo lasciò la presa quasi subito, poi lo trascinò sul lettino, che ondeggiava e scricchiolava sotto il carico più pesante.
Dall'iniziale freddo, Lenn cominciò a sentire le proprie viscere bruciare, fino a farlo sentire malissimo, quasi incapace di respirare aria fresca. Sentì che Jao gli stava posando qualcosa di freddo sulla fronte, probabilmente neve. Poi sentì qualcosa scuoterlo dall'interno, qualcosa che sembrava volersi liberare dalla prigione che era il suo corpo; aveva la sensazione che qualcuno stesse conficcandogli dei paletti nel petto. Gemette dal dolore, poi la vista gli si annebbiò, dei puntini luminosi gli si palesavano di fronte. Infine perse i sensi, sfinito.


Quando Lenn riaprì gli occhi, era ormai notte fonda, si trovava all'aria aperta, sotto le stelle, su di una sporgenza abbastanza grande da contenere tutti i suoi compagni, anche se molto stretti. Però nessuno di loro dormiva, erano tutti vicini a lui e lo fissavano, sollevati vedendolo finalmente sveglio.
Lenn provò ad alzarsi sollevandosi sui gomiti, ma sentì tutti i muscoli protestare, indolenziti e stanchi. Si portò una mano alla testa, che gli girava ancora un po’.
- C-cosa è successo? - domandò.
Jao chinò la testa di lato e lo squadrò. - Ti sei sentito male all’improvviso. Hai cominciato a respirare male e ti vedevo propenso a mollare la presa sulla roccia, così ti ho trascinato sulla barella. Sembrava avessi la febbre, poi sono cominciate le convulsioni. -
- Convulsioni? -
- Sì, appena sono cominciate hai perso i sensi, per fortuna; almeno non hai sentito molto. Sussultavi in modo pericoloso. - finì di spiegare il ragazzo.
Lenn sbuffò, stanco. “Ci mancavano solo le convulsioni per finire la giornata in bellezza, eh.” pensò.
- E Chad? - chiese poi.
- Presente! – esclamò il diretto interessato, salutando. - Grazie a te, sono salvo. - aggiunse.
- Grazie a me? - farfugliò Lenn. Era frastornato, non ricordava ancora tutto chiaramente.
- Jao ci ha detto quello che è successo qualche sera fa. - spiegò Harù. - Ha detto che la magia che ha salvato Chad dal finire sfrittellato al suolo è dello stesso tipo che hai evocato alla grotta. -
- Ma come hai fatto? - domandò Rizo.
- N-non lo so... - tentò di spiegare Lenn, mentre tornava a girargli la testa in modo più doloroso di prima.
- State calmi, non lo riempite di domande. Deve riposare. - disse Jao.
Gli altri, con rispettoso silenzio, obbedirono alla richiesta. Rizo storse la bocca, seccato di dover stare zitto.
- Per quanto tempo sono rimasto incosciente? - chiese Lenn.
- Per qualche ora, non so. Ma credo che ritornerai a dormire presto, stai già perdendo di nuovo i sensi. - disse Jao, stranamente di buon umore.
- No, non è vero che… - non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che il buio e la stanchezza lo riavvolsero, per poi farlo riaddormentare. Sprofondò in un sonno senza sogni.

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Capitolo 16
*** Capitolo 4 - L'Ordine dei Castigatori, ascesa e discesa, l'Oracolo (Parte IV) ***


Capitolo 4
L'Ordine dei Castigatori , ascesa e discesa, l'Oracolo
Parte IV




Era ormai fine Aprile, gli alberi erano rigogliosi e pieni di foglie, il sole splendeva in un cielo privo di nuvole, un leggero vento che arrivava dai Monti Bezor ormai lasciati alle spalle scompigliava i capelli di Lenn, appollaiato sulla cima di una quercia per ammirare il panorama circostante.
Davanti a lui, un immenso mare verde; ma non fatto d'erba come l'ultima volta, bensì costituito da alberi di tutti i tipi. Abeti, betulle, querce, castani, ontani, pioppi, sequoie e un’infinità di altri giganti immobili che infondevano tranquillità e pace con la loro presenza.
Dopo l'estenuante discesa dai monti Bezor, finalmente lui ed i suoi amici erano arrivati ai primi margini della foresta, pronti per inoltrarvisi dentro e continuare il loro viaggio.
L'aria pulita gli riempiva i polmoni, rilassandolo come non era riuscito a farlo in molti giorni. Gli faceva bene. Non si era ancora del tutto ripreso da quell’incidente in cui aveva salvato Chad, si sentiva indebolito e ancora soggetto a forti emicranie. Non era nemmeno più riuscito ad utilizzare quel tipo di magia, ma non gli importava più molto di farcela; se avesse dovuto pagare quelle conseguenze ogni volta dopo averla invocata, allora non ci avrebbe neanche più pensato.
I suoi compagni si erano accampati poco distante da dove si trovava lui, vicino ad un enorme fiume, costituito dal ghiaccio fuso proveniente dalle montagne poco distanti. La notte, proprio a causa della loro vicinanza ai Monti, era ancora abbastanza fredda; ma ormai Lenn poteva andare in giro e dormire senza usufruire di tutte le coperte come prima, e finalmente tutti dormivano sonni tranquilli.
Tutto sommato, non si sentiva poi tanto male, e la vista di tutti quegli alberi lo faceva sentire a suo agio. In quel luogo verdeggiante e rigoglioso riconosceva una casa e un luogo a cui sentiva di appartenere nel profondo di sé.
Ad interrompere i suoi pensieri furono dei colpi scagliati sul tronco della quercia, vicino alla base, per richiamare la sua attenzione. Si sporse per vedere chi fosse.
Jao brandiva un ramo che usava per battere contro il tronco, guardava all’insù e lo chiamava. – Lenn, Lenn! Mentre noi montiamo la tenda potresti provare a cercare del cibo? Harù comincia a dare i numeri e non lo sopportiamo più! -
Lenn fece roteare gli occhi. – Arrivo. - rispose, - Possibile che quel ragazzo non riesca a resistere con lo stomaco vuoto per più di mezz’ora? – aggiunse poi a bassa voce.
Dopodiché, Lenn con qualche abile salto scese fino ai primi rami, quelli più grandi e robusti, finché non atterrò sull'erba con la velocità e l’agilità di un gatto.
- Che volete per cena? – domandò rialzandosi da terra e spolverandosi i pantaloni. Si passò una mano sulla schiena dolorante per lo sforzo appena compiuto.
- Mah, quello che riesci a trovare... Basta che sia commestibile. - disse Jao alzando le spalle.
- Va bene. -
Lenn si mise a camminare lentamente assieme a Jao verso l’accampamento, poi deviò in direzione del fiume poco distante e si divise dall’amico. Fin da subito aveva pensato che avrebbe potuto catturare qualche pesce, avrebbe solo dovuto trovare un ramo appuntito che potesse sostituire una lancia vera e propria.
Rovistando tra gli alberi nei paraggi, ne trovò presto uno abbastanza lungo e robusto, ma poco appuntito. Scocciato, sbuffò.
Si girò verso gli amici e gridò al compagno distante: - Harù, mi presti uno dei tuoi coltelli? -
- E a che ti serve? - domandò questo di rimando.
- Vuoi mangiare sì o no?! - sbottò Lenn.
- Certo che sì! -
- Allora dammi un coltello e basta. -
Harù a quel punto scrollò le spalle, sfilò dalla cintura uno dei suoi coltelli che usava solitamente per combattere e prese la mira, poi lo lanciò nella direzione dell'amico. Nonostante roteasse a gran velocità e fosse partito da una grande distanza, Lenn lo prese al volo per il manico, senza esitazione. Cominciò subito a passare il coltello su un'estremità del bastone e a lisciarlo, per fargli la punta.
- Un "grazie" sarebbe anche gradito, eh! - sentì gridare ancora, ma Lenn lo ignorò e continuò il suo lavoro.
In meno di dieci minuti aveva già finito, e si avvicinava ad un rivolo più tranquillo del fiume, pronto a procurarsi un po’ di pesce. Sapeva di trovarne abbastanza, lì. Sapeva che nelle acque più calme il cibo si sarebbe depositato da solo sul fondo e avrebbe invitato più pesci a lasciare la corrente impetuosa della parte principale del fiume.
Arrivato sulla riva, però, si bloccò. Davanti a lui, sulla superficie cristallina e limpida dell'acqua, vide il suo riflesso. Non si era mai guardato ad uno specchio, non aveva idea di come apparisse all’esterno. Davanti a lui si presentò la figura di un ragazzo molto alto e piuttosto esile, lo dovette osservare, ma che di sicuro era comunque forte, pensò tra sé e sé. Era vestito completamente di nero, i suoi corti capelli corvini e gli occhi neri come la notte non sminuivano il suo aspetto già abbastanza intimorente, anche se aveva dei tratti molto delicati, più o meno come quelli di Jao.
Il riflesso però non era poi tanto preciso, dato che l'acqua scorreva veloce e modificava alcuni particolari. Almeno, pensò, si era fatto una piccola idea di come gli altri lo vedessero. Per osservarsi meglio avrebbe dovuto avere uno specchio, che purtroppo non sapeva dove procurarsi.
Si riscosse al rumore provocato da un pesce saltato fuori dall'acqua per qualche secondo.
Aggrottò la fronte, infastidito. Non doveva distrarsi, altrimenti niente cena per tutti. Si inginocchiò a terra, il più vicino possibile all’argine; alzò la lancia fin sopra la sua testa, poi rimase immobile: avrebbe dovuto aspettare il momento giusto per piombare su di una preda senza lasciargli il tempo di guizzare via.
Si concentrò sul movimento dei pesci che passavano di lì a piluccare il cibo sul fondo, alcuni si avvicinavano alla riva per trovarne altro. Dopo qualche minuto tutti i rumori circostanti, compreso il continuo rombare del fiume più grande che stava poco distante, si affievolirono fino a svanire. Indirizzò tutta la sua attenzione su di una trota particolarmente grossa, e notò che quando si avvicinava alla riva e mangiava si distraeva per qualche attimo, momento in cui avrebbe colpito. La vide mangiare e distrarsi una volta, poi due, e poi tre; finché alla quarta volta fece cadere il braccio in quel punto, colpì con la punta della lancia qualcosa e poi la risollevò. Fece cadere il pesce a terra, vicino a lui, mentre questo si dimenava, deciso a non arrendersi alla morte. Ma Lenn gli diede un deciso colpo in testa con il bastone e lo uccise senza farlo soffrire troppo.
- Fuori uno. – disse soddisfatto.
Si rimise subito nella posizione di poco fa, pronto a prendere un altro pesce, ma sentì un urlo che gli fece distogliere l'attenzione dall'acqua. Si voltò in direzione del campo.
Rizo, che si era avventurato poco prima nel bosco, stava correndo verso di loro e agitava le braccia. - Laggiù c'è una cerva, possiamo catturarla e mangiarcela! -
Lenn si incamminò verso di lui. – Tsk, con tutto questo urlare l'avrai già fatta scappare. -
- E invece no! E’ ancora lì quella scema, ci sta osservando immobile. - ribatté il biondo, che subito dopo indicò con l'indice una specifica direzione, al margine della foresta.
Lenn aguzzò la vista, poi scorse una cerva tra gli alberi, che effettivamente stava fissando il gruppo di ragazzi con insistenza, ma non accennava a muoversi.
Harù gli si affiancò. - Andiamo io e Lenn a prenderla. – disse. Poi si voltò verso l’amico. – Per te va bene? -
Lenn annuì deciso, lasciò a terra la sua lancia. Poi i due si misero a correre in quella direzione. L'animale, vedendoli avvicinarsi improvvisamente a quella velocità, drizzò le orecchie e si girò, dopodiché cominciò a saltare lontano tra gli alberi, inoltrandosi nella boscaglia.
- Non perdiamola di vista. - disse Harù mentre si addentrava tra gli alberi assieme a Lenn.
Il ragazzo dagli occhi azzurri però incontrò subito qualche difficoltà a muoversi tra i cespugli e i rami, così dovette rallentare. I cespugli nascondevano alla vista le radici, e le radici minaccivano sempre di far inciampare i malcapitati. Lenn però sembrava comunque correre come il vento, agile e sicuro tra gli alberi. La cerva era davanti a lui, e scappava sempre di più nel folto della foresta. Harù cadde a terra ma si rialzò, poi inciampò di nuovo e andò a sbattere contro un albero, infine ritrovò davanti a sé un tronco caduto pronto a sbarrargli la strada; fu costretto a fermarsi, soprattutto perché s’era già stancato, e aveva perso di vista l’amico.
Lenn invece correva, saltava le radici e i cespugli con agilità e slancio; quando atterrava poggiava i piedi sulla base di un albero, poi su un’altra, mentre ad ogni balzo s’appoggiava sempre di più ai tronchi e sembrava correre orizzontalmente su di essi, zigzagando sempre più vicino alla cerva. S’aggrappò ad un ramo basso e robusto al volo, vi si sollevò e vi andò sopra; cominciò a saltare da un albero all’altro, viaggiando a qualche metro da terra, ma senza rallentare mai.
Ormai i due erano soli e distanti dall’accampamento, nessuno era lì presente e nessuno poteva vederli.
Solo in quel momento Lenn notò che nei movimenti dell'animale non c'era paura né tensione, però correva fortissimo e con sicurezza, come se sapesse già dove arrivare.
Dopo vari minuti di corsa il ragazzo fu costretto a scendere e tornare a terra, cominciava a sentire dei forti dolori alla schiena a causa dello sforzo, ma l’animale non sembrava essere stanco. Continuarono a correre sempre più in là, sempre più fuori dal mondo, sembrò a Lenn.
Poi, senza alcun preavviso, la cerva eseguì un lungo salto, atterrò molto più avanti e si rigirò in modo da avere Lenn davanti a sé. Il ragazzo fermò la corsa e si tenne a distanza di qualche metro da lei, per osservarla. Questa s'impennò e scalciò con le zampe anteriori, poi cominciò brillare di luce propria, con grande stupore del ragazzo. Venne avvolta da un lungo velo di luce bianca e candida, fino a nasconderla alla vista; dopo qualche secondo il velo si tolse e rivelò la figura di una donna che pareva fatta solo di luce, questa risplendeva di vita davanti a lui.
Lenn era rimasto a bocca aperta, sorpreso e ammaliato da quella visione. La donna davanti a lui era vestita solamente con una toga, aveva dei capelli lunghissimi e tanto luminosi da sembrare raggi di sole e gli occhi erano bianchi, senza iride o pupille, però si poteva capire che lo stava osservando intensamente.
- Ciao, Lenn. - salutò con la sua dolce voce, simile ad un'eco.
Il ragazzo si riscosse e chiuse la bocca. - Che cazz… Come sai il mio nome? - chiese diffidente.
- So molte cose su di te, Drago. - rispose questa, avvicinandosi a lui, fluttuando sull'erba e il terriccio.
A quell'affermazione, Lenn capì cha aveva a che fare con qualcuno estremamente legato a sé, dato che la donna luminosa era a conoscenza del suo Clan di appartenenza; nessuno sapeva neppure che lui esistesse, a parte i suoi compagni di viaggio. Si chiese chi fosse e chi le avesse detto della sua esistenza.
- Chi sei? Cosa vuoi da me? – domandò, arretrando.
- Io sono un Oracolo, Lenn. Il tuo Oracolo. -
- Il m-mio Oracolo? - balbettò il ragazzo, sorpreso. Aveva letto che gli Oracoli venivano evocati solo dagli Stregoni più potenti per poter confidare o affidare loro qualche predizione o qualche oggetto importante; possessori di grandi segreti, insomma. Erano esseri rari, puri, avevano origine dagli Spiriti degli Stregoni deceduti che avevano avuto una personalità e un’emotività fuori dal comune, forti nelle azioni e nei pensieri. Se quello che aveva di fronte era davvero il “suo” Oracolo allora aveva qualcosa da consegnargli o da dirgli.
- Il mio nome è Silla. – si presentò la donna di Luce. - E sono stata evocata molti anni fa da due persone, per affidarmi una vita, affinché avessi potuto proteggerla, nonché grandi segreti da custodire che la riguardano. –
Lenn la guardò con fare sospetto, anche se era già incuriosito da quelle parole. – E che vita sarebbe, quella affidatati? –
- Ma la tua, che domande! – rispose Silla. – Perché sarei qui, altrimenti? -
Lenn la fissò a lungo, poi domandò: - E quali sarebbero i segreti di cui parli? Chi te li ha rivelati? -
- Ahimè, non posso dirtelo. O almeno, non ancora. - rispose questa, e parve sinceramente dispiaciuta.
- E perché no? - chiese il ragazzo, visibilmente scocciato.
- Perché non sei ancora pronto per venire a conoscenza di certe cose, la tua vita è appena iniziata, non sei ancora ciò che necessiti di essere. - rispose lei.
- E allora, perdona la schiettezza, ma che cacchio mi hai attirato fin qui a fare? L’hai fatto solo per mettermi curiosità e poi andartene? - sbottò Lenn.
A quell'ultima frase, la donna sorrise dolcemente, guardando quel ragazzo sempre incupito di cui gli avevano parlato tanto tempo prima, di cui sapeva già parte del futuro.
- Hai bisogno di fare progressi. E adesso sono sicura che qualcuno ne hai fatto. – disse. - La curiosità è una delle tue caratteristiche principali, è un bene che sei riuscito a ritrovarla. -
Lenn la guardò stranito, e ormai non capiva quasi più niente di quello che stesse succedendo. "Ma cosa diamine sta blaterando?" si chiese. “Non può semplicemente dirmi con chiarezza quello che ha da dire e basta?
- Non posso accompagnarti ed indicarti il cammino che devi cominciare, ma ora posso indicarti la strada di uno dei tanti bivi che incontrerai in futuro, per non farti sbagliare, soprattutto adesso che sei ancora inesperto. - continuò la donna imperterrita. Poi alzò delicatamente e con grazia un braccio; indicò una direzione tra la boscaglia, come se ci fosse qualcosa di diverso oltre che agli alberi.
- Chiama i tuoi amici e poi torna qui, dove siamo adesso; da questo punto, dirigiti verso Nord-Est, lì troverai una casa particolare. - l'Oracolo si girò di nuovo per guardarlo. - A volte la strada ti sembrerà sbagliata, pericolosa o difficile, ma non esitare mai, và dove ti dirà il tuo cuore di dirigerti, la cosa più importante è che tu ti fidi di lui. -
Lenn si portò istintivamente una mano al petto. - Il mio cuore? -
La donna annuì. - Sì, Lenn. –
- E perché proprio il cuore? Perché non la testa o lo stomaco? - domandò con una punta di sarcasmo, che usava per nascondere la sua incertezza.
La donna non afferrò o ignorò il tono usato dal ragazzo e si limitò a rispondere. - E' lì che si cela tutto il tuo potere, tutto ciò che provi, tutto ciò che ami e che più avanti ti porterà ovunque tu voglia andare, poiché nessun ostacolo sarà mai abbastanza grande per fermarlo. - l'Oracolo gli si avvicinò e gli carezzò la testa con fare materno, un gesto che fatto da lei sembrava molto innaturale. - Lì c'è la tua Luce, non perderla. -
Lenn si sottrasse alla manifestazione non richiesta di affetto e sorrise amaramente all'ultima affermazione dell’essere di Luce. - Sono uno Stregone Oscuro, io. In me non c’è alcuna Luce, vedi? –
Detto questo, aprì la mano davanti a lei ed invocò un globo di Tenebre.
La donna gli si allontanò immediatamente, quasi intimorita. Ma il suo viso lasciava trasparire davvero poco le sue emozioni, forse perché aveva solo l’aspetto di un’umana.
Lenn richiuse la mano e fece sparire la sfera, poi camminò verso di lei. - Se è Luce che cerchi, allora credo che tu abbia sbagliato persona. -
La donna lo guardò con fare comprensivo. - Prima o poi capirai il senso delle mie parole, proprio come io sto cominciando solo adesso a capire il senso di alcune che mi sono state riferite. -
- Ma riferite da chi, accidenti! - esclamò il ragazzo.
- Non te lo posso ancora rivelare, te l'ho già detto. La pazienza è la più grande delle virtù. - disse questa tranquilla.
Lenn sbuffò contrariato, poggiò le mani sui fianchi e cominciò a camminare in tondo. - Come faccio a fidarmi di te e dirigermi dove mi hai detto di andare? Potrebbe essere tutto falso. – disse, anche se sapeva che un Oracolo non è capace di mentire.
- Non ti ho chiesto di fidarti. Sta a te decidere. - rispose la donna.
Il ragazzo rifletté, ma perché non avrebbe dovuto ascoltarla? Tanto i suoi compagni non avevano una direzione precisa da seguire, pensava che avrebbero anche potuto seguirlo. Dopotutto, la direzione da lui indicata non sarebbe stata molto diversa da quella che avrebbero preso.
- Adesso devo andare. – disse improvvisamente la donna.
Questa cominciò a sparire e dissolversi subito dopo.
- Aspetta! - gridò Lenn, correndole vicino. - Ci rivedremo? - chiese.
La donna di Luce sorrise dolcemente. – Certo. Quando sarai pronto per il nostro prossimo incontro. -
- E quando lo sarò? - domandò ancora Lenn. Improvvisamente ne sentiva già la mancanza e voleva che l’essere rimanesse ancora con lui e riempirlo della sua presenza, che in un certo senso lo faceva sentire più leggero.
- Questo non lo so, dipende tutto da ciò che farai. - disse enigmatica lei, che poi, pian piano, divenne quasi completamente trasparente.
- Arrivederci, allora. - salutò Lenn, serio. Cercò di ricomporsi immediatamente.
- Arrivederci. - disse questa, che infine si dissolse nel nulla.
Dell'Oracolo rimase solo qualche scintilla luminosa, che svanì nell'aria e si unì ai normali raggi del sole pochi secondi dopo.
Lenn rimase qualche minuto nel silenzio più assoluto, poi guardò nella direzione indicatagli poco prima. Si rigirò e cominciò a correre sui suoi passi, dove era situato il campo con i suoi compagni.
"Devo andare ad avvisarli.", pensò. "Spero solo di fare la cosa giusta, fidandomi."
Mentre correva la sua mente si affollava di nuove domande ed altri enigmi, ma la cosa che più gli martellava la testa era una sola domanda: chi aveva inviato quell'Oracolo?
Nessuno sapeva della sua esistenza, a parte i suoi amici e suo zio. E anche Lia. Scartò subito le opzioni, perché l'Oracolo era stato evocato tempo fa, come aveva detto, e i suoi amici lo conoscevano da molto meno tempo; suo zio invece non pensava che avesse così tanti preziosi segreti da affidarli ad una creatura simile, per di più fatta di sola Luce.
Lia invece non era nemmeno una Stregona, non sarebbe nemmeno riuscita a concepire una cosa del genere.
Ma allora chi poteva essere stato? Nessuno era così potente da evocarne uno, e le formule per farlo erano state perse da molte famiglie, solo le più antiche le conoscevano.
Forse la risposta la conosceva, in fondo. Ma non gli piaceva chi e cosa essa implicasse.
Non sapeva cosa sarebbe successo se avesse seguito l'indicazione dell'Oracolo, ma non aveva molte altre scelte, e pensò che in fondo tentar non nuoce. Si chiese chissà quali cose avrebbe trovato nel posto in cui sarebbe arrivato.
Una cosa era certa però: quello che sarebbe successo non se lo sarebbe mai potuto aspettare.

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Capitolo 17
*** Capitolo 5 - Nella villa (Parte I) ***


Capitolo 5
Nella villa
Parte I




Lenn camminava deciso tra gli alberi, puntando su di una precisa direzione, mentre i suoi amici faticavano a stargli dietro e a non perderlo di vista. Dopo due giorni di discussioni, era finalmente riuscito a convincerli a far fare loro quella piccola deviazione del cammino. All'inizio, quando aveva nominato l'Oracolo, nessuno gli aveva creduto, dicendo che probabilmente aveva sbagliato persona a cui rivolgersi, anche se sapevano che gli Oracoli non sbagliano mai. E non mentono mai.
Tutti si chiedevano come mai avrebbero dovuto dirigersi in una casa nel cuore di una foresta immensa e solitamente priva di vita umana; non avevano la più pallida idea di cosa avrebbero trovato una volta arrivati lì. Qualcosa d’importante, pensava Lenn, che non riusciva a pensare a qualcuno che avesse potuto evocare l'Oracolo per lui senza esserne profondamente turbato.
In un'ora riuscirono a raggiungere una radura in mezzo alla boscaglia, dove finalmente videro la fantomatica casa che stavano cercando. In verità più che una casa sembrava una villa, e anche bella grande; però era anche vecchia e malandata, sui muri erano cresciute delle piante rampicanti, sul tetto c'era del muschio, e il piccolo giardino era pieno di rovi. Quel poco che si poteva vedere del muro aveva tutta la vernice scrostata, mancavano dei mattoni, delle assi, e delle tegole per il tetto. Era a tre piani compreso il sottotetto fornito di finestra ovoidale; il camino era caduto e i suoi pezzi erano sparpagliati sull’erba appena vicino.
In generale non era proprio un granché, e tutti ne rimasero delusi.
- Abbiamo deviato il nostro percorso per questo schifo?. - domandò Rizo.
Jao si affiancò a Lenn e gli lanciò un’occhiata eloquente. - Sei sicuro che sia questo il posto giusto? -
- Sicurissimo. - rispose il ragazzo. - Credo che dovremmo entrare, però. -
- Sembra una di quelle case infestate dai fantasmi. – osservò Chad, gemendo. - Meno male che non è notte. -
- Smettila di fare il codardo. - lo ammonì Harù, che poi si rivolse a Lenn. - A me basta che torniamo fuori per l'ora di cena, va bene? -
- Sai una cosa? Tu dovresti smetterla di fare l'ingordo. - disse acido Chad, indispettito dall’ammonizione precedente dell’amico. - Pensi sempre e solo a riempirti lo stomaco. -
- Non è colpa mia se mi piace mangiare! - ribatté Harù. – E’ una cosa automatica, mica la posso controllare! -
- E allora non è nemmeno colpa mia se ho paura! – rispose a tono il nero. – Pure la paura non si controlla facilmente, che ti credi? Bah, a volte te ne esci con certe frasi che mi fanno domandare se c’hai la testa per pensare… -
Jao si mise fra i due prima che Harù potesse rispondere ancora.- Avanti, non litigate. – disse. - Andiamo dentro e basta, non ci staremo a lungo e ne usciremo di sicuro per l'ora di cena e prima che faccia troppo buio, d'accordo? -
I due non risposero, ma si poteva capire dalle loro espressioni che il loro silenzio era di assenso.
- Andiamo, allora. - disse Lenn, che senza aspettare gli altri si incamminò verso l'entrata della villa.
I suoi compagni non poterono fare altro che seguirlo.


La porta, dopo vari colpi, si aprì con un inquietante cigolio e rivelò l'interno della grande villa. Lenn fu il primo ad entrare, era l'unico che riuscisse a vedere nel buio senza problemi. Notò che l’abitazione non aveva alcun arredo all'interno, era tutto spoglio, sporco e malinconicamente abbandonato, il buio conferiva un'aria sinistra al luogo. I muri era scrostati come all’esterno, ma un tempo dovevano essere stati viola, da quel poco che si poteva vedere.
Lenn avanzò ancora un po’, battendo dei colpi sul pavimento con i talloni per verificare che il legno non fosse marcito da cedere sotto il loro peso; poi fece cenno ai suoi compagni di raggiungerlo tranquillamente, vista la sicurezza almeno del suolo. Si affrettarono tutti per accendere le loro armi con la Luce e illuminare l'area attorno a loro, Lenn fu l'unico a non farlo. Aprì il palmo della mano destra ed invocò il Fuoco, e un globo iniziò a levitare tra le sue dita. Dopo qualche secondo lo spense, dato che all’illuminazione adeguata c’avevano già pensato i compagni e lui non aveva intenzione di affaticarsi più del necessario.
Stranamente, all'interno della struttura faceva molto freddo, molto di più della temperatura primaverile di quel periodo, o di quella che c’era all’esterno, poco prima di varcare la soglia.
- Bene, abbiamo dato un'occhiata, adesso possiamo anche andarcene. - disse all'improvviso Rizo, che girò i tacchi e fece per uscire.
Harù lo afferrò per il colletto della camicia e lo tirò indietro. – Fermo, dove credi di andare? Ce ne andremo solo quando Lenn sarà soddisfatto di quello che ha visto. -
- E ovviamente non sei ancora soddisfatto, vero Lenn? - domandò sarcastico Rizo. – Mi chiedo cosa tu voglia trovare in una zozzeria del gener.. -
- Shhh! Sta zitto! - sbottò il diretto interessato, guardandolo male. Si girò verso l'atrio che aveva ora di fronte, dal quale partiva una grande scalinata che conduceva al piano superiore; si concentrò su di una porta semichiusa. - Sentite anche voi questo suono? - domandò all’improvviso.
- Quale suono? Io non sento niente. - disse Jao, tornando al suo fianco.
- Ma come, non sentite anche voi? - chiese stupito Lenn.
- No. - rispose Harù.
Il ragazzo dagli occhi scuri si voltò verso la scalinata, poi di nuovo verso la porta socchiusa. Poteva sentire, leggera e distante, quasi morente, una piccola e lenta melodia. La riconobbe come il suono che riecheggiava dentro la sua mente da giorni, la musica del flauto. Man mano che se ne ricordava gli sembrava di sentirla meglio, con più chiarezza.
Si voltò di nuovo verso Jao, in cerca di sostegno. Com’era possibile che nessuno sentisse quella musica?
Il castano aveva gli occhi serrati, stava immobile e con i pugni chiusi, sembrava estremamente concentrato.
- E’… è un flauto, per caso? – esordì poi, gemendo. Sembrava avesse fatto un grande sforzo fisico.
Lenn lo fissò, sorpreso. – Sì! E’ un proprio un flauto, ora lo senti? –
- Beh, più o meno… Però sembra lontanissimo, lo sento appena. -
L’altro ragazzo storse il naso. – Io lo sento benissimo, invece. –
Jao si voltò verso gli altri. – Ragazzi, voi non sentite ancora niente? –
I tre sollevarono le spalle all’unisono, con la medesima espressione confusa. Che i loro due amici fossero impazziti?, pensavano.
- Oh, avanti! – sbottò Lenn, seccato. Possibile che proprio non ce la facessero? Avevano le orecchie otturate o cosa?
- Proviene da lassù, andiamo a vedere. – disse poi, stranamente carico di energia.
- Aspetta Lenn! - provò a fermarlo Chad, impaurito, ma l'amico era già volato alla scalinata, e aveva già superato vari gradini a grandi balzi.
Quando il giovane arrivò in cima, si fermò. Il suono era un po’ più debole, ma sembrava comunque chiamarlo a gran voce. Corse verso la porta socchiusa poco più avanti, e una volta arrivato lì davanti la aprì.
La stanza era buia e malandata come tutte le altre, enorme e spettrale; al centro di questa, però, stava sospesa una piccola luce, che da bianca diventava arancione, poi rossa e infine verde; cambiava colore in modo lento e continuo, e la melodia sembrava provenire proprio da essa. Lenn si avvicinò alla sfera lentamente ma con costanza, ormai ipnotizzato dalla ripetitiva e dolce nenia. I suoi compagni non capivano cosa stesse succedendo; al centro della stanza potevano vedere anche loro la sfera, ma il silenzio era dei più totali, non riuscivano a sentire il suono che Lenn aveva sentito poco prima.
A differenza dell’amico, Jao lo sentiva più forte, ora, ma ne era turbato, non ammaliato. Gli si contorceva lo stomaco. Tutt’a un tratto lo pervase la sensazione tipica di chi ha dimenticato qualcosa di molto importante, e non gli piaceva neanche un po’.
- Non mi piace questo posto, e nemmeno quella luce... Andiamo via. - disse Chad.
- Non piace neanche a me. - affermò Jao. – Lenn, andiamo, dai. - disse poi al ragazzo poco distante da loro. Questo però non rispose e continuò ad avanzare.
- Lenn? - chiamò ancora il castano. - Lenn! -
Ma il ragazzo dagli occhi neri non lo ascoltò, o non lo sentì affatto, e una volta tesa la mano verso la luce, la toccò. In quel momento essa sparì nel nulla, facendo ripiombare la stanza nel buio e facendo sparire la melodia nel giro di qualche istante; un vento gelido cominciò a soffiare, anche se non sembravano essere spifferi o finestre.
Chad gridò per lo spavento, gli altri frapposero le loro armi al vuoto istintivamente, Lenn uscì dalla sua trance temporanea e si accorse di ciò che stava accadendo.
Il vento lo spinse indietro, la porta dietro di loro si richiuse, e al posto della precedente luce si andò a formare un globo Oscuro che dalle dimensioni di un pugno diventava sempre più grande. Stava sospeso in aria, ma si andò ad adagiare al terreno quasi subito; scomparve quando diventò a misura d'uomo, rivelando una figura che stava celata al suo interno.
Si sentì una risata forte e fragorosa, poi l’individuo si rivelò e mostrò il suo viso. Si trattava di uno Stregone, perché appena l’incantesimo si annullò avvertirono la presenza di un’aura e di uno Spirito più potente e scindibile del normale. L’uomo era vestito completamente di nero e portava un lungo mantello che lo avvolgeva completamente; aveva un viso dalla carnagione olivastra e molto smunto, era munito di sottili baffetti. Degli occhiali da vista stavano poggiati sul lungo naso aquilino. Dato che era completamente nascosto dal suo mantello, non poterono registrare altri particolari, a parte il fatto che era molto alto e magro.
Lo sconosciuto riprese a ridere, e Lenn sfoderò la katana dal suo fodero, evocando poi la sua magia Oscura senza pensarci due volte.
- Chi sei tu? - domandò.
- Benvenuti nella mia umile dimora, viaggiatori. - disse questo con disinvoltura. Non sembrava intimorito dalle armi puntate contro dei ragazzi. Lenn constatò che la sua voce era stridula e davvero sgradevole.
- Io sono Maimed, uno dei tanti Stregoni Oscuri esiliati in passato. - si presentò. Sembrava esserne piuttosto fiero.
Chad, nascosto dietro ad Harù, emise un gemito strozzato dalla stessa paura. Sentendo la parola “Oscuro” si era fatto prendere dal panico.
- Io però non so chi siete voi. - disse Maimed. – O forse sì. Siete degli incoscienti che hanno osato entrare qui per ficcare il naso in affari misteriosi, siete dei giovani Stregoni vogliosi di farsi prendere a calci dalla potenza di un Oscuro. Oppure dei poveri idioti caduti nel mio incantesimo Esca. -
- Ma come ti permetti, chi ti credi d’essere! - sbottò Rizo. - Siamo di sicuro più potenti di te, non provare ad insultarci in questo modo, vecchio! -
Lo Stregone Oscuro ghignò. - Allora è proprio lo scontro che siete venuti a cercare? Non me lo sarei aspettato, non viene molta gente intelligente, qui. Solo chi si perde nel bosco. –
Questa volta fu Lenn ad irritarsi. – Non sono venuto qui per farmi prendere per il culo da uno come te! Togliti di mezzo, ho altro da fare. –
Maimed non sembrò toccato molto dalle parole del giovane. Si limitò a dire: – I giovani d’oggi, tutti sgarbati! –
Avanzò di qualche passo verso il gruppo.
Lenn gli puntò la spada contro con fare più minaccioso che poté. – Non t’avvicinare. –
- Tsk, dovete imparare la buona educazione. Rispettare uno Stregone potente come me! – continuò questo. – E farmi passare il tempo. Anni di esilio ti mettono una voglia di uccidere incredibile, non credete? Sono anni che non attiro delle persone fin qui… -
L'uomo sollevò la mano in aria e fece comparire una sfera nera, poi la innalzò fino al soffitto con qualche veloce formula. - Io ti evoco, Arshkad. Demone! - gridò.
La sfera si contorse davanti allo stupore di tutti, poi andò a formare un essere che poteva essere vivente; le prime cosa che poterono riconoscere nell’ammasso di membra che si muovevano e contorcevano per dar forma al loro proprietario furono la pelle tirata e nera come la pece, una testa inumana e quasi squamosa, fornita di orribili occhi rossi. Il demone scese a terra e si affiancò allo Stregone Oscuro, reggendosi sulle zampe posteriori. Sembrava un rospo. L’anfibio più brutto e minaccioso che avessero mai visto.
- Giovani Stregoni. - esordì quest'ultimo. - Vi presento il mio compagno di esilio Arshkad, potente Demone nero… Voi sapete cosa fanno, i Demoni? - chiese poi rivolto al gruppo di ragazzi.
Chad parlò, tremante. - I-i Demoni posseggono le persone. -
- Non proprio. - lo corresse Maimed. - I Demoni si addentrano negli animi e negli Spiriti dei malcapitati e ne prendono possesso, governandoli e soggiogandoli con i loro poteri, intaccano le fondamenta della ragione, è diverso. Dopodiché cominciano a divorare e dilaniare la loro anima, fino a che non sparisce del tutto; infine abbandonano il corpo ed entrano dentro ad un altro, pronti per mangiare di nuovo e diventare più potenti. Di te rimane solo un corpo che ha la sensibilità di un sacco vuoto. -
Rizo perse l'autocontrollo. - Non ci faremo mai possedere da quell’affare, se è questo che intendi fare! - sbottò, per poi lanciare uno dei suoi fulmini sullo Stregone nero.
Questo parò l’attacco e lo annullò quando andò a colpire una barriera invisibile posta a pochi centimetri dal suo corpo. Sorrise. - I giovani hanno delle anime forti ma inesperte, sarà facile e delizioso per Arshkad uccidervi. -
Con un impercettibile cenno della mano, Maimed diede l'ordine al Demone al suo fianco di attaccare i ragazzi.
L’essere balzò in avanti e puntò senza esitazione su Harù, caricandolo come un cinghiale imbestialito.
Il ragazzo, spaventato, prese i suoi coltelli e li lanciò contro il mostro, che sorprendentemente divise il suo corpo a metà e fece passare le lame oltre. Si ricompose un secondo dopo e si schiantò sul ragazzo.
- Aiuto! – gridò quest’ultimo, sentendosi agguantare la gola da degli artigli.
Nessuno osò attaccare per paura di colpire anche l’amico.
Il Demone, una volta assicuratosi che nessuno di loro sarebbe riuscito a reagire, chiuse gli occhi. Nel giro di pochi istanti diventò inconsistente, quasi fatto di fumo, ed entrò nel corpo di Harù come quando i fantasmi trapassano i muri. Il ragazzo spalancò gli occhi azzurri, spaventato, poi fu circondato da un’aura ben visibile e impregnata di magia Oscura; cadde a terra e non si mosse più.
Il silenzio regnò sovrano per qualche secondo, poi il ragazzo si rialzò in piedi, con un ghigno malefico sul volto e gli occhi completamente neri, vuoti. Prese dalla cintura tre suoi coltelli e vi diffuse la magia, che aveva assunto un colore violaceo.
Aprì la bocca e parlò, ma la sua voce era distorta, inumana. Non vi era presente nemmeno il tono di quella di Harù. - Chi vuole essere il prossimo? -

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Capitolo 18
*** Capitolo 5 - Nella villa (Parte II) ***


Capitolo 5
Nella villa
Parte II




Lenn e gli altri indietreggiarono, sbigottiti. Mai avevano visto una cosa tanto inquietante e allo stesso tempo potente; il loro amico era appena stato catturato da un Demone, e tutte le conoscenze che ne avevano al riguardo confermavano che non sarebbe mai riuscito a salvarsi.
Arshkad, nel corpo di Harù, lanciò tre coltelli contro di loro, tanto per intimorirli. Lenn schivò la lama per un soffio, evitando che gli colpisse la testa, Jao e gli altri innalzarono degli scudi.
Dietro di loro, Maimed rideva di gusto. - Allora, ragazzini, che aspettate ad eliminare il Demone? Non volevate lottare? -
Lenn cercò di reprimere al suo meglio la rabbia, poi indirizzò uno sguardo interrogativo a Jao; non potevano attaccare il Demone, visto che il corpo da lui utilizzato era quello di un loro amico, ma non potevano nemmeno restare lì a far niente, poiché al suo interno vi stava un essere Oscuro pronto ad ucciderli. Mentre il tempo passava, l'anima di Harù andava sgretolandosi sempre di più e sempre più velocemente, sottomessa e attaccata dal nemico.
Il ragazzo posseduto ghignò, dopodiché saltò verso di loro, brandendo un altro coltello richiamato a sé con la magia. Jao gli andò incontro e parò il suo attacco con la spada, ma non osò attaccare quando l'avversario esitò. Rizo sollevò lo scettro ed evocò qualche fulmine, ma non sortirono un grande effetto sul Demone, perché non aveva voluto usare incantesimi molto potenti. Chad non aveva impugnato neanche la fionda, non sarebbe mai riuscito ad attaccare un amico come Harù.
Lenn invece corse contro il Demone brandendo la katana, scagliò un potente fendente sul nemico e lo spedì a terra con un colpo al fianco, non gli aveva lasciato il minimo tempo per reagire. I suoi amici sbiancarono; aveva colpito un loro compagno senza mostrare esitazioni, si erano quasi dimenticati del fatto che lui fosse stato addestrato per diventare un assassino.
Harù rimase a terra per qualche secondo, poi si rimise in piedi, sorridendo beffardo. La giacca si era strappata con la lama della katana, provocandogli anche un taglio sul ventre; aveva già cominciato a sanguinare, ma il Demone non sembrava curarsene.
- Uccidete il vostro amico, avanti! Un fendente dato di piatto non può fare molto. Tanto morirà comunque, gli risparmiereste solo atroci sofferenze. - disse il ragazzo con la voce della creatura maligna.
Jao non sembrava convinto, come gli altri, mentre Lenn era impassibile e fissava il Demone; il giovane Stregone stava cercando di mantenere il maggiore autocontrollo possibile e pensare lucidamente.
- Ha un'anima piena di Luce, questo ragazzo. Ottimo cibo per me. Sono già a metà dell'opera, chi potrebbe mai fermarmi? Non voi di sicuro. - continuò Harù.
- Vuoi scommettere? – disse in modo beffardo Lenn, tutto d’un tratto.
Il Demone emise una fragorosa risata. - Vorresti uccidermi? L'unico modo per farlo è sconfiggermi dall'interno del corpo della persona che ho catturato, e questo ragazzo ha solo tanta paura, ciò rende ancora più veloce il processo di eliminazione della sua anima, non ha più alcun controllo di sé. -
- Io potrei sconfiggerti. - insistette Lenn. - Ma forse non vuoi rischiare... Forse sei soltanto un codardo. -
L'espressione sul viso di Harù diventò quasi indecifrabile, piena di odio, i suoi occhi di un anormale colore nero presero una sfumatura rossa. - Non mi sfidare, bambino. -
- E io invece lo faccio. Voglio proprio vedere quanto sei forte. Secondo me non sei in grado di tener testa ad un avversario potente quanto me. - disse Lenn in tono di sfida.
Come il ragazzo aveva previsto, il Demone perse le staffe, e partì alla carica privo di armi, pronto a schiantarsi contro di lui. Lenn rimase impassibile mentre il mostro travestito da uomo gli correva incontro, non molto preoccupato delle conseguenze delle sue azioni. A lui interessava solo liberare Harù prima che fosse troppo tardi.
Jao e gli altri spalancarono la bocca vedendo il coraggio, o la pazzia, del loro compagno. Andava incontro al pericolo e faceva lo stesso gioco dell’essere Oscuro, istigandolo e facendogli perdere la concentrazione.
Purtroppo, però, Lenn non aveva compreso nei suoi calcoli la possibile reazione di Jao a quello stato delle cose; era sempre pronto ad aiutare gli amici, altruista in modo disinteressato e coraggioso. Oltre che demente in modo inguaribile, avrebbe aggiunto Lenn come caratteristica.
Quando Harù fu a pochi metri da lui, gli si parò davanti il ragazzo castano, tenendo la sua spada in orizzontale, brandendola per l'elsa e il piatto; riuscì a bloccare la carica e far battere la testa al ragazzo posseduto.
I nervi di Lenn scoppiarono all'improvviso. - Che cazzo stai facendo?! Chi ti ha chiesto di intervenire? - sbraitò.
- Non posso permettere che tu faccia una sciocchezza simile. - rispose Jao, sicuro.
- Levati da lì se ci tieni alla vita! - ribatté Lenn.
Jao scosse la testa e si avventò su Harù, colpendolo sempre con il piatto della spada su tutte le parti del corpo che gli capitavano a tiro. Purtroppo quegli attacchi non avrebbero mai procurato molti danni all'avversario, semmai qualche livido, ma era già stato tanto trovare il coraggio di affrontarlo.
Harù riprese un altro coltello e cominciò a parare i colpi di Jao solo con l'ausilio di esso, tentando anche di colpirne un fianco o qualche punto scoperto.
- Tu non t'impicciare, devo dare una lezione a quel bastardello del tuo amico! - esclamò il Demone.
L'attimo dopo l’essere afferrò il polso di Jao e cominciò a trasferire la sua energia vitale nel suo corpo. In pochi secondi, sotto gli occhi di tutti, l'aura Oscura che si era formata attorno ad Harù andò ad affievolirsi, e si trasferì al corpo di Jao. Gli occhi del ragazzo diventarono da color nocciola a neri, quelli di Harù cominciarono a riprendere la familiare tinta azzurra.
Jao gridò dal dolore, subito dopo il ragazzo accanto a lui cadde a terra esanime, finalmente tornato normale.
Lenn inorridì più degli altri assistendo alla scena; il Demone si era trasferito da un corpo all'altro senza difficoltà, sottomettendo la forte forza di volontà di Jao. Sul volto dell'amico si dipinse un sorriso sadico che mai avrebbe pensato di vedergli assumere, in una sua mano si andò a formare un globo Oscuro.
- Sei ancora ansioso di sfidarmi? - domandò il Demone, utilizzando la bocca di Jao.
Lenn deglutì, ma non ebbe il tempo di rispondere. L’amico gli si era fiondato di nuovo contro, brandendo la sua spada con una mano, poi con l'altra lanciò il globo Oscuro di prima; Lenn usò uno scudo nero e annullò l’attacco magico, poi riuscì a fermare il colpo seguente della spada. Sentì tutta la sua forza, la sua rabbia, e per un attimo ebbe timore per le sorti del corpo della persona che gli stava di fronte; non gli piaceva affatto l’idea di attaccare Jao.
Poi pensò a Silla e alle sue parole. Forse l'Oracolo lo aveva mandato lì proprio per scontrarsi con quell'avversario, forse per sconfiggerlo. Se la ragione era davvero quella, non aveva altra scelta; doveva farsi catturare dal Demone, così avrebbe anche salvato la vita del suo amico.
Mentre parava i colpi scagliati dal castano, riuscì a rompere per un attimo le sue difese abbassandosi e buttandosi a terra, colpendolo ad una gamba con il piatto della katana. Al colpo il Demone sussultò; lo inchiodò con lo sguardo tanto era truce. Poi Lenn, ancora a terra, gli afferrò la caviglia e gliela strinse. - Quando vuoi, brutto bastardo! - gridò.
Il Demone sorrise nonostante l'insulto appena ricevuto. - Ti accontento subito. -
Come era successo prima con Harù, la magia si trasferì dal corpo di Jao a quello di Lenn, che cominciò subito a sentire l'energia negativa aggrapparsi al suo animo. A differenza degli altri, però, quel tipo di energia non era nuovo per lui, era la stessa essenza Oscura che risiedeva nel suo cuore; era stato quel fatto a convincerlo che avrebbe potuto vincere lo scontro: conosceva già quel potere, sapeva quali potevano essere i suoi punti deboli.
Si sentì scosso da varie convulsioni, stava già cercando di opporre resistenza al Demone. Ancora conscio, si rialzò e si mise in piedi, mentre la sua vista cominciava ad annebbiare.
Vide Chad e Rizo, basiti e seduti vicino ad Harù, che tentavano di rianimare. Poi osservò il corpo di Jao steso a terra, svenuto.
Sentì d’improvviso un dolore lancinante alla testa, come se gli avessero piantato una freccia all'interno; le orecchie cominciarono a fischiargli tanto forte che si portò istintivamente le mani a coprirle nel tentativo di far cessare quel suono assordante; sentì le budella contorcersi e un forte dolore al cuore; infine non vide quasi più niente, solo qualche sagoma dell'ambiente che lo circondava.
Nella sua mente sentì rimbombare la voce di Arshkad. - Non opporre resistenza, è tutto inutile... – disse. - A proposito, come mi hai chiamato prima, piccolo insolente? -
Seguite quelle parole Lenn sentì come una morsa di freddo ferro stringergli il petto, togliendogli il respiro per qualche secondo.
- M-merda, smettila! – disse il ragazzo istintivamente.
Il Demone non si curò della sua richiesta, e cambiò discorso. - La tua anima è nera quanto la mia, ma non potrai mai oppormi resistenza. - disse.
Ci fu un attimo di pausa, poi sogghignò: - Nella tua mente ci sono molte cose interessanti, vedo che sei stato addestrato per diventare un assassino… La tua anima invece è molto più tormentata, potrei osar dire che in te c'è già passato un Demone prima di me, o qualche atra creatura delle tenebre. Di solito prendo i ricordi e i sentimenti più belli della gente e li distorco per far soffrire le mie vittime, ma tu sei un caso particolare... Dovrò scavare a fondo nei tuoi ricordi. -
Lenn sentì la sua mente aprirsi come uno scrigno, ma in modo molto doloroso. Stava tentando di opporre resistenza, ma sembrava tutto inutile. Davanti agli occhi gli balenavano tutti i ricordi della sua vita, e sapeva che anche Arshkad stava guardando. Riapparivano fatti che avrebbe voluto dimenticare, venivano a galla cose che aveva fatto, parole che aveva pronunciato, e non ce n’era una di cui non si vergognasse amaramente. Era imprigionato nei ricordi della sua stessa vita, e non sembrava che ne sarebbe uscito tanto presto.
Nel frattempo Chad e Rizo ignoravano la sua ardua battaglia interiore, vedendo solo ciò che stava succedendo all'esterno. Vedevano Lenn barcollare e camminare a destra e a sinistra, senza una meta, mentre si stringeva le testa tra le mani e teneva gli occhi serrati; emetteva sporadici gemiti di dolore, facendo preoccupare i suoi compagni.
Maimed assisteva alla scena tranquillo come se niente fosse, ignorando palesemente gli altri ragazzi; sembrava concentrato solo su di Lenn, anche se appariva annoiato.
Improvvisamente Lenn sbarrò gli occhi, con un'espressione sorpresa sul volto, i suoi occhi erano cambiati radicalmente; da nero pece avevano assunto un colore stranamente dorato, le pupille si erano assottigliate in una maniera tanto estrema da farle sembrare quelle di un serpente, delle fessure inquietanti.
Il ragazzo aveva aperto di colpo gli occhi per la sorpresa che avevano provato sia lui che il Demone. Quest'ultimo aveva finalmente trovato dei ricordi piacevoli nella mente del ragazzo, e si era quasi impaurito. Lenn avvertì una scossa lungo tutto il corpo, poi sentì la voce di Arshkad ruggire rabbiosa nel suo cervello. – Perché sei qui, bastardo? Chi ti ha mandato?! -
- Cosa vuoi da me? Adesso non ho fatto niente...! - domandò debolmente Lenn.
- Non fare il finto tonto con me, so chi sei! I tuoi ricordi non possono mentire! - insistette il Demone.
- N-non so di cosa tu stia parlando! - ribatté il ragazzo.
Lenn sentì il Demone aggirarsi nella sua mente, il dolore aumentava nel punto in cui si trovava. Intanto dilaniava il suo spirito e la sua coscienza; lo sentì dirigersi sempre più in profondità, finché non raggiunse la sua parte inconscia. Lì trovò la parte di sensazione e ricordi sopiti che lo stesso ragazzo aveva scoperto poco tempo prima, e non poté non stupirsi.
Arshkad si avventò su quella parte di memoria con tutta la sua forza, tentando di forzare il sigillo magico che la chiudeva.
- Ehi, non toccare quella roba! - gridò improvvisamente Lenn, e fu udito anche dai suoi amici all'esterno. Non aveva idea da dove provenisse quell’incantesimo di occlusione di cui non era mai stato a conoscenza, ma di sicuro non doveva essere nemmeno sfiorato da quel sudicio essere!
Ma era tutto inutile, il Demone non sembrava riuscire a distruggerlo, nemmeno con tutta la sua forza di volontà. - E' questo il tuo punto vitale, maledizione! – imprecò. - Vorrà dire che lo lascerò per ultimo… Prima voglio eliminare il resto di te, a partire dalla tua forza di volontà. Mi sembra troppo forte. -
Lenn si sentì attaccare nuovamente, provò una nuova stretta al petto, e per poco le sue gambe non cedettero. Sentì l'Oscurità travolgerlo come un'onda enorme, per poi infrangersi addosso a lui e buttandolo sul fondo del mare. Nonostante quella fosse la sua stessa magia elementare, se ne sentiva sopraffatto.
Temeva che non sarebbe mai più riuscito a riprendersi, a vivere. L’autocontrollo gli era sfuggito dalle mani, non riusciva a pensare con la giusta calma; non trovava soluzione a quella situazione spinosa in cui si era cacciato da solo.
Ma almeno Jao e Harù non devono sopportare una cosa simile.” pensò il ragazzo. Per loro sarebbe stato di gran lunga peggio. Sempre se Harù era ancora vivo. Il castano era rimasto per poco tempo posseduto e stava sicuramente bene, ma l’altro compagno…?
Gridò per la frustrazione.
Era già difficilissimo non lasciare che Arshkad prendesse il controllo del suo corpo, non riusciva ad impedire anche il resto! Man mano che la sua anima veniva attaccata gli girava sempre di più la testa e si sentiva sempre più confuso.
E la cosa peggiore era che si sentiva morire; era da tanto che non provava la paura di soccombere.

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Capitolo 19
*** Capitolo 5 - Nella villa (Parte III) ***


Capitolo 5
Nella villa
Parte III



Maimed, mentre guardava il combattimento di Lenn dall'esterno, si era seduto a terra, a gambe incrociate, sicuro che Arshkad avrebbe alla fine vinto lo scontro; anche se quel singolare ragazzo stesse dimostrando di avere una grande forza d'animo.
Chad e Rizo osservavano la scena quasi impietriti, vedendo il loro amico che sembrava lottare con se stesso, gemendo e gridando dal dolore; ora era avvolto da un alone spettrale di magia, i suoi occhi continuavano a brillare di luce dorata.
Entrambi si riscossero vedendo la sagoma prima immobile di Harù sollevarsi leggermente da terra. Il ragazzo si portò una mano alla tempia; notarono che respirava con fatica.
Nonostante il Demone avesse quasi distrutto la sua anima, sembrava stare abbastanza bene, tutto sommato. - Che mal di testa... - si lamentò.
Chad afferrò la testa dell’amico e gli si piazzò davanti, agitatissimo. - Harù! Amico! Stai bene? Quante sono queste? - continuava a ripetere, sventolandogli le dita davanti agli occhi.
- Ehi, datti una calmata. - disse Rizo.
- Come mi chiamo io? E ti ricordi come ti chiami tu? Hai qualcosa di rotto? Hai la nausea? Rispondimi ti prego! –
A quel punto Rizo tirò un ceffone a Chad per farlo stare zitto.
- Augh! Ma che ho fatto?! -
E ci riuscì, perché non proferì più parola.
- Piantala di fare il cretino! E' vivo, vedi? Credo che questo sia già una cosa positiva! -
- …Cosa è successo? - chiese Harù, che era perlopiù molto confuso.
- Bah, niente di speciale, sei stato solo posseduto da un Demone che ti ha quasi ucciso... - rispose Rizo, ironico.
- P-posseduto?! Io non mi ricordo niente… Ho fatto del male a qualcuno? - domandò allarmato il ragazzo.
- Non proprio. - disse Rizo, che poi volse lo sguardo verso Jao, a terra e ancora privo di sensi.
Harù, quando lo vide, sbiancò. - E... dov’è Lenn? Non lo vedo. - aggiunse dopo.
Alla sua domanda arrivò in risposta un altro grido straziato di quest’ultimo, che continuava a barcollare avanti e indietro, stringendosi la testa fra le mani. Tremava dalla testa ai piedi, ora; gli occhi luminescenti erano ricolmi di lacrime.
- Oh, miei Dei… - sussurrò il ragazzo dalle iridi azzurre.


Un'altra fitta di dolore gli trapassò il cranio, questa volta gli mancò il respiro. Lenn ormai si sentiva allo stremo delle forze, stava quasi per arrendersi; forse avrebbe dovuto lasciarsi possedere come i suoi compagni, tanto sarebbe morto ugualmente. Davanti agli occhi continuavano a scorrere vari momenti della sua vita, uno più triste dell'altro. Il Demone, non essendo riuscito a trovare ricordi piacevoli nella sua mente e non avendo trovato il modo di forzare la parte inconscia della sua mente, aveva optato per una nuova strategia: usare ogni momento doloroso della vita del ragazzo, e mostrarglieli così com'erano, né più né meno; erano già abbastanza terribili, non c’era bisogno di distorcerli.
Lenn gemette come un cane bastonato rivedendo la frusta insanguinata davanti a sé, vedendo i ferri incandescenti vicino alla sua pelle, risentendo i pugni ai fianchi e quella sensazione di freddo che lo aveva pervaso per tanto tempo. I ricordi erano intensi, spesso ancora recenti, e gli facevano rivivere anche tutte le sensazioni ed il malessere fisico che aveva già provato.
Solo dopo aver provato la tranquillità e la pace del mondo esterno si era reso conto di quanto fosse stata orribile la vita che viveva prima, e rivedendola si sentiva sempre peggio. C’erano tantissime cose che aveva fatto che all’epoca gli sembravano di poca rilevanza, ma che ora acquistavano un peso enorme; molti di quei ricordi, poi, erano legati alla sua povera sorellastra: si sentiva un verme ogni volta che riviveva certi momenti, si vergognava profondamente.
Attorno a lui c'era solo il buio, raramente riusciva a rinsavire e aprire gli occhi, vedendo ancora la villa in cui era cominciato tutto; ogni volta che lo faceva, però, sentiva gli occhi pungergli, come se ci fosse stato qualcosa dietro ad essi che continuava a colpirli.
Avvertì altri colpi che gli scossero in malo modo il corpo, facendolo sussultare. Il petto gli doleva così tanto da non farlo respirare; poteva quasi sentire la sua anima straziata tentare di uscire dal suo corpo, troppo distrutta per resistere ancora dentro di lui e ansiosa di cercare una via per la salvezza.
Per gli Stregoni come lui l’anima è qualcosa di decisamente più materiale e controllabile rispetto a come lo è per le persone normali; avvertiva chiaramente la presenza del suo spirito racchiuso nel petto. Quel dolore era insopportabile sia per lui che per la sua anima.
Si sentiva scosso da varie convulsioni, ogni momento che passava sentiva la spiacevole voglia di vomitare, di liberarsi in un qualsiasi modo. Un ultimo attacco gli mozzò il fiato e lo colpì come un pugno nello stomaco, e non poté evitarsi di piangere.
Riuscì ad aprire gli occhi, ma il poco che vide era offuscato dalle calde lacrime di dolore che non riusciva a trattenere; molte di esse erano quelle represse in tanti anni che avevano finalmente trovato un modo per uscire.
- Arrenditi. L'unico modo che hai per sconfiggermi è avere un'anima forte e con un minimo di Luce, tu invece sei un essere Oscuro quanto lo sono io, non puoi battermi usando la stessa magia di cui è impregnata la mia essenza. - disse Arshkad sogghignando, la sua voce rimbombò in tutto il corpo del ragazzo.
- T-ti sbagli... C'è un altro modo per ucciderti. - rispose Lenn.
- E quale sarebbe, sentiamo. - lo sfidò l’essere Oscuro.
Lenn, con un grande sforzo, cercò di trovare nel buio il suo fianco sinistro, e tastando trovò il fodero della katana; appena trovò l'elsa, la afferrò ed estrasse la spada fino a portarla davanti a sé, in posizione di guardia. Lentamente girò la lama della spada verso l’interno, se la puntò addosso, tenendo l'elsa con entrambe le mani e la lama poggiata sul suo ventre.
- Cos'hai intenzione di fare? - domandò leggermente allarmato il Demone.
- Mai sentito parlare di “suicidio”? - disse Lenn, premendo la lama un po’ di più sulla pancia.
A quella frase, Arshkad scoppiò a ridere. - Vuoi ucciderti? Fa pure, io ti ho già detto che posso essere sconfitto solo dalla forza interiore della persona che ho catturato, non c'è altro modo. -
- Come fai a dirlo? Qualcuno si è già ucciso prima di me? - domandò il ragazzo.
- No, sono tutti morti prima. A pensarci bene, tu sei l'unico che ha opposto così tanta resistenza, sei così attaccato alla vita! E’ anche per questo che so che non ti ucciderai mai. - ribatté l’essere.
- Se è davvero come dici tu, allora potresti morire insieme a me. Se proprio devo tirare le cuoia, voglio avere almeno la speranza di portarti con me negli Inferi! - disse deciso Lenn.
Non c’è luogo diverso dalle fiamme del sottosuolo, per un peccatore come me.
Il Demone stava cominciando ad esitare, vedendo la disperazione del giovane aveva capito che avrebbe potuto suicidarsi senza problemi, e non sapeva se sarebbe sopravvissuto; doveva cercare di convincerlo ad arrendersi senza però portarlo al suicidio con lui ancora legato al suo Spirito.
- Uccidendoti non salverai nessuno... Tanti Demoni sono sopravvissuti anche dopo la morte dell'uomo da loro posseduto, io ne conosco molti. –, mentì, - Vorresti davvero morire per niente, senza neanche salutare i tuoi amichetti? Dopo di te verranno loro, e tu non potrai proteggerli perché ti sei stupidamente fatto fuori da solo. -
Lenn cercò di reprimere le lacrime che ora scorrevano copiose sulle sue guance, ma non ci riuscì; aumentò la presa sula katana, che cominciò con la punta a tagliare la sua pelle.
Pensò a quello che gli aveva appena detto il Demone. Non era utile né da morto né tantomeno da vivo.
- I miei amici... -
Pensando a loro, per un attimo i suoi ricordi passati persero consistenza e potenza, e riuscì a visualizzare i loro visi. Non erano il massimo come combriccola, ma non aveva altro, esisteva solo per loro.
- Sì, bravo, pensa ai tuoi amici… come ultimo ricordo. - sussurrò Arshkad, che stava provando di nuovo a forzare l’incantesimo luminoso che sigillava l’inconscio di Lenn, ultima luce che stava tendendo in vita il ragazzo. Riuscì infine a scalfire leggermente il lucchetto.
Il buio cominciò a farsi consistente attorno al ragazzo, avvolgendolo lentamente e in modo incessante.
Immerso in tutto quel buio, Lenn vide una piccola luce in lontananza, come se si fosse trovato in un tunnel. Stava morendo, questo lo sapeva. Stanco e sconfitto, cominciò a lasciarsi andare, la katana gli scivolò di mano e non se ne accorse neanche.
Arshkad, soddisfatto, riuscì a riaprire la parte inconscia di Lenn, quella che lo teneva ancora in vita, e una lieve melodia suonata da un flauto aleggiò nella mente del ragazzo, una piccola sensazione di calore lo avvolse nel freddo più intenso. Il chiarore davanti a lui cominciò ad intensificarsi, come se gli si stesse avvicinando.
In quel momento, una parola s'insinuò nella sua bocca, una parola che non aveva mai pronunciato, e che lui non conosceva. Sentiva che avrebbe dovuto dirla, che in qualche modo fosse collegata a quella sensazione di calore e a quella musica, ma non sapeva neanche bene cosa significasse.
I volti dei suoi amici lo abbandonarono, per far spazio ad una voce che non ricordava d'aver mai sentito, ma che gli suonò famigliare; una voce di donna.
- Lenn! Ascoltami! I tuoi amici sono tutto quello che hai, non rinunciarci. Loro sono la tua Luce! -
- Chi sei? - chiese il ragazzo. Il dolore e la sofferenza sembravano spariti, e non percepiva quasi più la presenza del Demone dentro di sé, era più un lontano e spiacevole ricordo, proprio come quelli che aveva rivissuto prima.
- L'importante non è chi io sia. L'importante è che tu sappia chi sei veramente. - rispose dolcemente la voce.
- Io sono Lenn. Un tempo appartenevo al Clan del Drago. -
La voce rise dolcemente. - Tu sei molto più di questo. Devi ancora scoprirlo, però. -
Quelle parole gli ricordavano molto quelle che Silla gli aveva riferito pochi giorni prima. O erano passati anni dal loro incontro? Non si ricordava più quando fossero esattamente accadute certe cose, si sentiva confuso; evidentemente Arshkad aveva scompigliato molto i pensieri nella sua memoria.
- Scoprirlo? E come posso fare? -
- I tuoi amici ti aiuteranno, ma solo se adesso non morirai. Troppe persone hanno fatto sacrifici per portarti fin qui, non rendere le loro azioni vane. Questo non è ciò che ho pensato per te. - rispose la donna misteriosa.
- Non posso sconfiggere quel Demone. - disse Lenn.
- Io dico di sì. La Luce per batterlo è dentro di te, devi solo scoprirla. -
- Sei tu la mia Luce? - domandò il ragazzo.
- No, però ti aiuterò nella tua ricerca. Ti aiuterò più che posso, non ti preoccupare. - disse gentilmente la donna. - Ora và, e fatti valere. -
In quel momento Lenn sentì un leggero tocco sulla sua fronte, come un leggero bacio, poi la luce e il calore scomparvero, e ritornò alla realtà. Arshkad era ancora lì, dentro di lui, ma ci sarebbe rimasto per poco.
- Ho capito cosa devo fare. – disse fermamente. Anche se non ne era poi tanto sicuro.
- Ma davvero? - lo sfotté la creatura.
Lenn lo ignorò. - Devo continuare il mio viaggio, devo stare con i miei compagni. Non posso permettermi di morire in un luogo schifoso come questo. -
Nella sua mente si materializzarono di nuovo i suoi ricordi più recenti, quelli più piacevoli, quelli dei momenti passati con le uniche persone al mondo che lo avevano accolto tra loro.
Aprì gli occhi, e fece di tutto per lasciarli aperti. Scrutò la villa in cui si trovava, poi i suoi amici poco distante che lo osservavano.
Jao stava riprendendo i sensi. Lenn quasi sorrise divertito, appena lo vide; la prima cosa che il castano fece fu dirigere lo sguardo verso di lui, senza curarsi di se stesso. “Quello scemo non cambierà mai.”, pensò.
- Ho un viaggio da continuare. E non sarai tu a fermarmi! - gridò.
Aveva finalmente acquistato la carica e la forza di andare avanti; si chinò e prese in mano la katana, che era caduta a terra prima. Raccolse tutta la sua energia vitale, senza risparmiarsi, e la trasferì completamente nella sua anima. La inglobò, sommergendo il Demone e racchiudendola a stento nel suo petto. La trattenne il più a lungo possibile, poi sorrise soddisfatto.
- Cosa vuoi fare? Fermo! - gridò Arshkad, ormai inglobato in quell’incantesimo.
Da nera come l'Oscurità, la magia si andò a schiarire fino a diventare bianca, fatta di Luce; non era pura, ma era un buon risultato.
La voce della donna che lo aveva aiutato poco prima gli giunse come un sussurro alle orecchie. - Adesso, Lenn, adesso! Ti aiuterò io a controllarti. -
Una magia di color azzurro chiaro avvolse la sfera di Luce di Lenn. L’aura di quell’energia si diffuse lungo il suo corpo, scacciando le Tenebre di Arshkad. Il ragazzo aveva già usato quella magia inconsciamente nella grotta nei Monti Bezor, e una seconda volta per salvare la vita a Chad. Non sarebbe mai riuscito a controllarla in un’altra situazione; adesso aveva la sensazione di conoscere bene quella magia elementale, una nuova conoscenza gli arricchiva l’intelletto.
Inspirò ed espirò profondamente. Poi rilasciò l’incantesimo, lasciò andare quella forza.
Tutte le energie inglobate esplosero, scaturendo dal suo corpo; poi, come una vera esplosione, si propagò in tutta la stanza, sommergendo i presenti senza eccezioni.
Il frastuono lo assordava, ma poté ugualmente sentire le urla di Arshkad mentre si dissolveva e periva.
Passarono eterni secondi, poi la Luce si dissolse, compresa la magia azzurra. Tutto tornò a tacere.
Stremato, Lenn fece cadere la katana nuovamente a terra, poi le gambe gli cedettero e si accasciò sul freddo pavimento; non perse però i sensi. Voleva gustare a pieno la vittoria, e soprattutto aveva una gran voglia di rimaner cosciente, di vivere ogni istante appieno.
Asciugandosi le lacrime vide i suoi amici avvicinarsi a lui sorpresi e sollevati, Jao in testa.
In lontananza, invece, scorse la faccia incredula di Maimed.

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Capitolo 20
*** Capitolo 5 - Nella villa (Parte IV) ***


Capitolo 5
La villa
Parte IV





- Ehi, ce l'hai fatta, amico! Complimenti! - esclamò Harù dando qualche sonora pacca sulla spalla a Lenn.
- C-credo di sì... - ansimò quest’ultimo, ancora stordito per il grande sforzo appena compiuto.
- Avevamo il timore che ci lasciassi le penne per davvero, questa volta! – lo ammonì Jao, che lo ispezionava da capo a piedi, quasi volesse assicurarsi che non si fosse ferito.
- E invece te la sei scampata pure stavolta… - aggiunse Rizo con uno strano tono.
- Ma non ingaggiare più lotta con un Demone, è una cosa spaventosa, capito? – disse tutto d’un fiato Chad.
- Certo… -
Lenn non capiva molto di cosa gli altri gli stessero effettivamente dicendo, dopo un’esperienza del genere la sua anima era provata, quindi i suoi pensieri erano rivolti altrove, faceva fatica a elaborare le informazioni.
Mentre i ragazzi parlavano fra loro, intanto, Maimed cominciò lentamente ad allontanarsi, dirigendosi verso la porta della sala che conduceva all’uscita e cercando di non fare il minimo rumore. Quando fu sul punto di uscire e scappare via, uno scettro lo colpì dietro la schiena e lo fece cadere a terra.
- Dove credi di andare, codardo? - domandò Rizo.
- E a te che importa? - ribatté questo stizzito, rialzandosi.
Una lama affilata raggiunse la gola dello Stregone Oscuro, che si fermò proprio vicina al pomo d'Adamo, minacciosa e pericolosa.
- Ci hai quasi fatti ammazzare... Credo che tu debba pagare per questo. - sibilò Jao.
- Non sfidate uno Stregone Oscuro, potreste pentirvene amaramente. - disse l'uomo. - Siete anche indeboliti, oltretutto! Cosa vorreste farmi, il solletico? - aggiunse poi beffardo, anche se un tono del genere non gli conveniva per la posizione in cui era.
Si mise a ridere, ma interruppe subito la risata quando una seconda lama gli si avvicinò al collo, e questa andò a premere sulla carne finché non ne scorse un piccolo rivolo di sangue come avvertimento.
- Te la stavi dando a gambe levate, cosa potremmo mai aspettarci di così grandioso da te? - disse sprezzante Lenn, stringendo la katana. Stava cominciando a riprendere lucidità, abbastanza da capire che quell’uomo doveva soffrire. Sorprendendo tutti, si era rialzato e aveva impugnato di nuovo la spada; sembrava pronto a combattere ancora.
- Io non ho problemi a disintegrarvi tutti. - ribatté Maimed.
- Perfetto. - fece Lenn, - Allora io ti sfido a duello. -
I suoi compagni, compreso Maimed, a quel punto sobbalzarono, sorpresi da quell'affermazione.
- Lenn, tu sei matto! - sbottò Rizo.
- Ti sei quasi fatto ammazzare, sei debole, non vinceresti mai. - disse Jao, cercando di farlo ragionare.
- Ormai ho lanciato la mia sfida, sta a Maimed decidere se combattere o no. - disse Lenn sicuro. - Allora, qual'è la tua risposta? - domandò poi all'uomo.
Maimed sorrise in modo perfido. – Io accetto, ragazzo. –
Lenn sorrise soddisfatto.
Jao invece, al suo fianco, fremette. Dopodiché rinfoderò in fretta la sua spada e afferrò l’amico per un braccio. – Devo dirti due paroline. –
Lenn si lasciò trascinare un po’ più lontano rispetto agli altri senza dire niente, ma diede a vedere il suo disappunto lanciandogli un’occhiata più che irritata. Gli altri non li seguirono, rimasero a sorvegliare Maimed.
- Cosa c’è adesso? – domandò il ragazzo dagli occhi scuri una volta che Jao si fu fermato a qualche metro di distanza dai compagni.
- C’è che sei un idiota! –
- Ehi, come ti permetti?! –
- Non ti sei mai scontrato decentemente con qualcun altro da quando ti sei ferito alla schiena! Questo è il tuo primo incontro e non sappiamo ancora se sei in grado di fronteggiare un avversario qualunque, figuriamoci uno Stregone Oscuro capace di evocare un Demone! –
- So quello che faccio! –
- No, ti sembra di saperlo. Ma dico, non ce l’hai un po’ d’istinto che ti richiama a salvarti la pellaccia? –
- Posso farcela, quello è solo un montato. Hai visto che ha fatto ad Harù il suo Demone, no? Deve pagare! –
- Non mettere in ballo ‘sta scusa, ché con me non attacca! Vuoi solo metterti in mostra, ma non hai cura di te stesso. -
- Oh, ma che t’importa? Tanto ormai il tizio ha accettato la sfida, c’è ben poco da fare; sarei un codardo se mi ritirassi, più di quanto lo è lui! –
- Lascia da parte il tuo orgoglio e la codardia non metterla nemmeno in ballo, t’ho detto che non ci casco. Non puoi metterti in pericolo per una cosa del genere! Non posso permetterlo! –
- E chi sei tu, la mia balia?! Io mi sento pronto per combattere, quindi lo affronterò. –
Questa volta Jao afferrò Lenn per la giubba, visibilmente arrabbiato. – Senti, brutto incosciente, vuoi rendere vani i sacrifici che tua sorella ha fatto per anni proteggendoti?! Lo sai che se muori qui renderai inutili gli sforzi di quella povera ragazza, vero? –
Lenn ammutolì.
- Io non ho intenzione di farti morire qui, né da altre parti, ma tu mi devi dare una mano, per gli Dèi! Non puoi gettarti così tra le fiamme senza pensare anche agli altri: sono finiti i giorni in cui eri solo e non rispondevi di nessuno, Lenn! -
Detto questo, il castano liberò dalla sua morsa l’altro. – C’è gente che non vuole vederti rischiare la pelle così. Tra cui io. –
Lenn scosse la testa, di nuovo confuso. Riaprì la bocca per prendere fiato e ribattere, ma venne interrotto dal richiamo di una voce sgradevole.
- Avanti, giovane! Sto aspettando solo te! -
Maimed si stava allontanando dal gruppo di altri ragazzi e si avvicinava baldanzoso a loro due.
- Sì, arrivo, vecchio! – ribatté in tono aspro Lenn. Poi rivolse lo sguardo a Jao, guardandolo dritto negli occhi.
- Non ti preoccupare. – disse. Si voltò e cominciò a seguire Maimed. – Non morirò. -


Come da tradizione e normale regolamento, i due sfidanti si disposero l'uno di fronte all'altro, a circa venti passi di distanza. Jao e gli altri si erano ritirati in un angolo della grande stanza per assistere allo scontro, più preoccupati che mai. Per loro quella era solo un'azione avventata da parte dell'amico per dimostrare a tutti che fosse forte, ma Lenn aveva tutt'altro in testa. Voleva combattere ancora nella speranza di rincontrare la donna che gli era apparsa durante lo scontro con Arshkad, aveva voglia di sentire di nuovo la sua dolce voce, poter parlarle una seconda volta e porle le mille domande che gli vorticavano per la testa. Non aveva voluto accennarlo a Jao, anche se gli era sembrato molto risentito e preoccupato.
Avrebbe dato tutto se stesso, non si sarebbe risparmiato, a avrebbe vinto contro quello Stregone. Come aveva detto all’amico, era anche una questione di principio, ormai.
Portò davanti a sé la katana, lanciando occhiate di fuoco a Maimed; quest'ultimo distese le braccia e aprì le mani, scoprendo le palme, e da esse si sprigionarono dei globi Oscuri e minacciosi.
- Possiamo cominciare. - disse l'uomo, sogghignando.
A quelle parole, Lenn partì alla carica senza esitare nemmeno per un secondo, correndo come un missile verso l'avversario; dopodiché, quando fu a distanza ravvicinata, gli sferrò un montante quasi micidiale diretto ad una parte non precisata del corpo, senza prendere la mira.
Maimed fu colpito ad una spalla, ma rispose subito all'attacco di Lenn lanciandogli contro una delle sue sfere; il ragazzo riuscì a fermarla utilizzando le mani, così prese possesso del dardo che prima doveva essere un colpo per indebolirlo; non indugiò a rilanciarlo, caricandolo di altra magia Oscura per renderlo più potente.
L'uomo baffuto schivò il colpo, che si andò a schiantare contro la parete alle su spalle, e indietreggiò di qualche passo.
- Spada Nera! – gridò, e tra le sue mani comparve l'elsa di una spada, poi il resto della lama, colorata di un nero violaceo.
Con la sua nuova arma andò ad attaccare Lenn con una serie di fendenti velocissimi, ma che il ragazzo riuscì a parare con estrema agilità. Nonostante fosse stanco, l’adrenalina dell’incontro gli permetteva di andare avanti senza troppe difficoltà. Ogni volta che il ragazzo si vedeva arrivare contro la lama dell’avversario, vi frapponeva con estrema agilità quella della sua katana.
Poi Lenn si stufò di continuare a stare sulla difensiva e fece uno sgambetto all'avversario, facendogli perdere per qualche istante l'equilibrio; ne approfittò per sgusciare alle sue spalle e colpirlo con la katana dritto sulla schiena, stracciandogli gli abiti e facendolo cadere definitivamente a terra. Non era riuscito a colpirlo bene perché l’avversario si era sbilanciato anche troppo, riuscendo a procurargli solo un taglio. Ma non diede a vedere il suo disappunto.
- Tutto qui quello che sai fare? - sbottò allora il ragazzo, non soddisfatto della veloce vincita.
Maimed si rialzò da terra. - Adesso mi hai fatto davvero arrabbiare, ragazzino. - sibilò a denti stretti.
Si girò di scatto verso Lenn. - Ho giocato un po’, ma adesso basta! - disse, e con un agile balzo gli fu alle spalle.
Lenn si girò per riaverlo di fronte, ma non fece in tempo che sentì gridare: - Hira Domhaiden! Tempesta Oscura! -
In quel momento si sentì mozzare il fiato.
Un fortissimo vento impregnato di Oscurità sembrò fuoriuscire da subito dietro alle spalle di Maimed, e furioso si diresse su di Lenn con una forza inaudita. Il ragazzo fu preso in pieno, ma tentò di fare resistenza e di non essere trascinato via dall'aria: impuntò i piedi, chinò la testa in avanti e piantò la katana nel pavimento, trasformandola in un'ancora di fortuna. Chiuse gli occhi e tentò di resistere a quel vento che gli graffiava malevolo la pelle, strinse i denti. Rimase più di un minuto lì ad aspettare che l'attacco dell'avversario terminasse, ma questo non accadde. Aprì gli occhi a fatica, e davanti a sé vide Maimed ancora nella stessa posizione di prima, l'Oscurità che sprigionava sembrava non finire mai. Doveva aspettarselo un attacco così prolungato, lui aveva ancora tutta la sua energia vitale e l’anima integra, quindi sfruttava al massimo questo suo vantaggio.
Raccolse le forze, dopodiché estrasse la katana dal pavimento e cominciò ad avanzare. Ogni passo era lento e difficile da fare, l'Oscurità si schiantava su di lui come la sabbia del mare nei giorni ventosi, e continuava a pizzicargli e bruciargli la pelle. Ogni volta che guadagnava un passo, si aiutava piantando la katana nel pavimento per non perderne nemmeno uno, avanzando verso il suo obiettivo.
Maimed aveva gli occhi chiusi nella concentrazione, così non vide e non sentì Lenn avvicinarsi passo dopo passo a lui, percorrendo vari metri di strada. Arrivato a pochi passi dall'avversario, Lenn alzò la katana sopra la sua testa, poi vi incanalò le sue energie; cercò di ricreare la magia bianca, che in un momento del genere l’avrebbe aiutato non poco, ma quello che ottenne fu la solita Oscurità percorsa da qualche scintilla di colore azzurro ogni tanto, che faceva brillare la spada nel buio. Cercò di contrastare il vento al suo meglio, e portò tutta la forza delle braccia nella lama, che fece calare su Maimed. L'uomo aveva sollevato attorno a sé un debole scudo invisibile che andò in frantumi e che fu colpito in pieno; l’uomo fu costretto ad interrompere il suo attacco e ad indietreggiare.
Guardò stupito Lenn, che cominciava ad ansimare pesantemente, e non poté evitare di pensare che quel ragazzo fosse determinato e potente quanto insolente e cocciuto. Ciononostante, rievocò la sua spada e si mise a correre verso nemico. Lenn fece lo stesso e ritornò a far scorrere la magia nella lama della sua arma. Gridarono quasi all'unisono i loro attacchi.
- Kya Domhaiden! Raggio di Tenebra! – gridò Maimed.
- Kya Haraizen! Luce! - evocò invece il ragazzo.
Le lame delle due spade si illuminarono di due energie diverse; quella di Maimed della solita materia Oscura, quella di Lenn risplendette di un bianco stranamente puro.
Primo fra tutti Lenn rimase stupito per quel fatto; aveva evocato quella magia senza neppure pensarci, e adesso stava usando della Luce senza alcun problema. Lo sbalordimento però durò poco, perché qualche istante dopo sentì l'impatto con la magia nera, improvvisamente estranea alla sua usuale magia offensiva; ma la trovò improvvisamente più facile da contrastare.
Ci mise tutte le energie, ma sentì l'Oscurità dell'avversario penetrare le sue difese e insinuarsi nel suo corpo. Era lo stesso troppo debole.
Non sapeva che la sua magia stava avendo lo stesso effetto su Maimed, così cominciò a preoccuparsi. Sentendo la magia nera insinuarsi nel suo corpo, si domandò se avesse fatto la scelta giusta sfidando un avversario così potente, mentre era già indebolito per lo scontro con Arshkad. Ma la sua curiosità e la sua voglia di rivedere la donna apparsa davanti a lui nel momento di difficoltà lo aveva spinto a combattere di nuovo, rischiando la vita. Si diede dello stupido quando si sentì indebolire sempre di più senza vedere la donna o sentire la melodia del flauto che risiedeva nella sua mente e udiva da lì a un po’ di tempo.
Si rifugiò in se stesso, in una parte non ancora raggiunta dall'Oscurità dell'avversario, temporaneamente al sicuro. Si sentiva sempre più debole, le energie lo abbandonavano sia per l'attacco subìto sia per lo sforzo che stava facendo per rilasciare l'attacco.
Fu circondato nuovamente nell'Oscurità, ma dentro di lui c'era una buona parte della sua anima ancora lacerata e sofferente che non aveva intenzione di arrendersi, dalla presenza forte e materiale quanto lo era la sua, che dimostrò la sua determinazione con un potente ruggito.
A quel suono Lenn sentì le energie ritornargli e dargli una nuova spinta. La sua anima emise un altro ruggito, qualcosa dentro il suo petto si stava muovendo. Le pareti del suo corpo sussultarono, ma altre energie fluirono a lui e si inglobarono nel fulcro della sua anima. Appagato, cercò questa volta di far emettere a forza al suo spirito un ruggito, che sembrava richiamare ogni volta la magia: e ci riuscì; ormai si sentiva quasi del tutto rigenerato.
Preso dalla foga e dall'eccitazione per la nuova scoperta, spalancò istintivamente la bocca, e, sorprendentemente, ruggì davvero, la terra attorno a lui tremò. Stupito, sentì il suo corpo scuotersi, poi sentì il bisogno di ruggire di nuovo, e lo fece. Spalancò gli occhi, e sentì le retine pizzicare, la gola bruciare, e il suo corpo ribellarsi al suo volere. Poi avvertì gran parte delle energie abbandonare definitivamente il suo corpo. Richiuse gli occhi, spaventato. Sentì l'attacco di Maimed diventare sempre più debole, per poi svanire; infine poté percepire un’ultima scossa nel pavimento. Improvvisamente tutto si placò e rimase solo il silenzio.
Lenn riaprì piano gli occhi, e scoprì di vederci molto meglio di quanto ricordasse; il buio del posto sembrava quasi non esistere, riusciva a vedere quasi come se fosse stato pieno giorno. Davanti a lui, Maimed tremava come una foglia, o tentava di nasconderlo senza riuscirci.
Il ragazzo allora si girò verso i suoi compagni poco distanti, e lo guardavano anche loro sbalorditi.
"Cosa diamine ho fatto adesso?" si domandò, non potendo trattenere uno sbuffo.
Insieme a lui, però, sentì qualcun'altro sbuffare, ed era proprio dietro di lui, il suo respiro gli era arrivato caldo sulle spalle. Ci rifletté un attimo, e constatò che nessuna persona avrebbe potuto sbuffare a quel modo, scompigliandogli i capelli e scaldandogli la schiena. Fece un passo in avanti, e dietro di sé udì un grande tonfo, come il passo di un gigante. Azzardò un altro passo, e risentì il rumore che scosse il pavimento.
Per un istante si fece prendere dal panico, poi raccolse il coraggio e si girò per vedere cosa ci fosse dietro di lui.
Con sua grande sorpresa vide un enorme Drago ergersi in tutta la sua magnificenza dietro di lui. Era completamente nero, le scaglie splendevano di luce propria; i suoi enormi occhi gialli e dalle pupille a fessura lo scrutavano nella stessa maniera in cui Lenn lo stava guardando. Non era ben definito, assomigliava di più ad una nube di fumo a forma di Drago, ma pian piano i suoi tratti diventavano sempre più chiari, mettendo in evidenza le ali spalancate in modo intimidatorio e il collo inarcato e possente proteso verso il ragazzo.
Lenn capì che quell’essere apparso dal nulla era opera della sua magia per via dell'alone leggero ma visibile che circondava entrambi, e che li collegava direttamente, come attaccati ad un cordone ombelicale.
Il giovane Stregone si rigirò verso Maimed, più sicuro di prima, e fece qualche passo in avanti, con il Drago al seguito che ripeteva le sue stesse mosse.
Maimed si riscosse all'improvviso. - E così sei riuscito ad evocare lo spirito del tuo Clan? Complimenti, è molto ammirevole. – disse, cercando di ignorare cosa significasse un’evocazione del genere. - Ma adesso ti faccio vedere un trucchetto. -
Era visibilmente stanco, ma ciononostante riuscì ad evocare altra magia Oscura che raggruppò in un unico punto, formando un'enorme sfera nera sospesa davanti a sé. Quest’ultima si alzò in aria e prese lentamente la forma di un ovale, dopodiché si fermò quando arrivò al soffitto, smettendo poi di crescere. Dall'uovo che si era formato, si dischiuse un volatile, che enorme si liberò e occupò una buona parte della stanza non ancora occupata dal Drago di Lenn. Una maestosa aquila nera fornita di occhi rossi si rivelò e volò sopra al suo padrone, pronta a ricevere dei comandi.
- Te la senti di continuare, ragazzo? - domandò Maimed.
- Certo. - affermò Lenn sicuro.
Il ragazzo scosse le spalle e si mise in posizione di guardia, e con il leggero movimento delle scapole fece sbattere le ali pipistrellate del mostro. Si voltò verso l’evocazione e la guardò con stupore, poi provò un movimento dei fianchi; quest’ultimo gesto fece schioccare la coda del Drago nero; sembrava eseguire fedelmente i suoi movimenti, quasi come fosse stato uno specchio o un mimo.
Maimed si mise a correre verso Lenn, emettendo un forte grido, la spada in pugno e seguito dalla sua aquila.
Lenn fece altrettanto sguainando ancora una volta la katana e correndo, la bestia alle sue spalle mostrò i denti e partì alla carica come lui.
Il ragazzo infine, prima di scontrarsi, gridò furioso, ma nessuno lo sentì; la sua voce era stata eclissata dal potente ruggito del suo Drago.

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Capitolo 21
*** Capitolo 5 - Nella villa (Parte V) ***


Capitolo 5
Nella villa
Parte V




L'impatto fra il Drago nero e l'aquila di Tenebra fu esplosivo; il potente mostro squamoso affondò i denti acuminati nel collo del volatile, dopo avergli bloccato le ali con le zampe anteriori.
Mentre i due giganti combattevano, i loro proprietari continuavano a scontrarsi con le loro spade, e Lenn riuscì a procurare un taglio a Maimed sul collo, ma poco profondo. Il ragazzo si sentiva di nuovo sicuro sentendo ad ogni suo passo il rimbombo delle zampe del suo Drago, che imitava ogni sua azione.
Indietreggiò, e così fece anche lo Spirito, poi cercò di elaborare un piano per vincere sconfiggendo sia l'aquila che il suo padrone. I due infatti non erano collegati l'uno all'altro, cosa che valeva per Lenn la sua evocazione; quel suo pennuto era stato plasmato dalla magia nera, lui invece era collegato spiritualmente alla bestia sputa fuoco, quindi i danni subiti da uno dei due si sarebbero ripercossi anche sull'altro. Potevano attaccare da due punti diversi e con nuova forza, ma dovevano condividere il dolore e le energie.
Maimed lo tirò fuori dai suoi pensieri saltandogli addosso e sferrandogli un calcio che lo spedì a terra. Al Drago cedettero le gambe e cadde insieme a lui ansimante, come se avesse ricevuto anche lui un colpo in pieno petto tanto forte da stordirlo.
Senza esitare Lenn si rialzò, poi decise di rinfoderare la spada. Maimed si stupì vedendo la sua mossa inaspettata. Non sapeva che aveva dato l'idea al ragazzo di usare il corpo invece della lama della sua katana, così i suoi attacchi lo avrebbero esposto a vari pericoli, ma avrebbero agevolato il lavoro dello Spirito e il suo corpo a corpo.
Lenn scrollò le spalle, e il lucertolone fece lo stesso, sbattendo anche le ali; poi si mise a correre verso Maimed, deciso. Il nemico antepose la spada davanti a sé; Lenn, una volta arrivato abbastanza vicino a lui ma fuori dalla portata della lama, balzò in alto e atterrò dietro di lui dopo aver eseguito un'acrobatica capriola in volo; senza dargli il tempo di reagire gli sferrò un pugno dritto alla nuca per stordirlo e poi un calcio dietro la schiena, che lo spedì a terra.
La mossa del Drago, che aveva eseguito le sue stesse mosse in contemporanea, era stata spettacolare; la bestia era partita alla carica, aveva chinato la testa in avanti mostrando le corna e poi aveva eseguito un salto altissimo, che quasi portò via il soffitto, e con l'aiuto delle ali aveva fatto una giravolta in aria; era atterrato dietro l'aquila, l'aveva colpita alla testa piumata con una zampata, e infine l'aveva scaraventata lontano con una decisa incornata. Il volatile si schiantò vicino a Maimed, che pian piano si stava rialzando.
- Non sarai tu a battermi, nemmeno se sei riuscito ad evocare lo spirito del tuo Clan! - esclamò l'uomo, richiamando la spada fra le sue mani.
- Fatti sotto. - lo incitò Lenn, sicuro più che mai. La comparsa dello Spirito aveva fatto ribaltare la situazione, fornendogli anche sicurezza e decisione.
Con un gesto della mano, Lenn gli fece cenno di attaccare, mentre lui era già in posizione di guardia e pronto a sferrare qualche altro colpo di arti marziali.
Maimed si scagliò furioso sul ragazzo, seguito a ruota dalla sua aquila, e una volta arrivato davanti a lui non esitò a far calare la lama indirizzandola al suo viso. Lenn la schivò velocissimo, ma non ebbe il tempo di reagire che vide di nuovo la spada avventarsi su di lui; non avendo scelta, si parò la faccia con il braccio, e per fortuna riuscì a deviare l'attacco colpendola sul piatto. Intanto il Drago schivava gli affondi del becco affilato del rapace Oscuro.
Lenn decise di osare e cominciò a deviare e bloccare gli attacchi di Maimed utilizzando le sole braccia. Con la sua nuova vista molto più acuta riusciva a vedere la lama calare e capire la sua posizione proprio l'attimo prima che lo colpisse, riuscendo così a parare gli affondi con le braccia. Si procurò qualche lieve taglietto, ma erano danni irrilevanti di fronte alla possibilità di venire tagliati a fette da una spada incantata.
Improvvisamente Maimed indirizzò la spada al ventre del ragazzo, evitando il viso; Lenn vide arrivare il colpo e riuscì a deviarlo, ma distratto dalla lama lasciò via libera all’avversario di colpirlo il pieno volto con un pugno ben assestato. Lenn cadde a terra col viso schiacciato sul pavimento.
Maimed gli si avvicinò e gli tirò un calcio malevolo alla schiena. Al ragazzo mancò il respiro, sentendo il dolore allucinante che gli percorreva tutta la parte del corpo ancora ricoperta dalle cicatrici appena rimarginate e molto sensibili, ma non osò far uscire un suono dalla bocca. Rimase a terra.
- Avanti, rialzati! Sei già stanco?! –
A quelle parole, Maimed assestò un altro calcio al punto debole del giovane Stregone.
Questa volta Lenn si lasciò scappare qualche gemito, inarcando la schiena.
Dannate ferite… Cazzo.
Maimed se ne accorse immediatamente, e tirò il terzo calcio.
Si sentì da lontano una voce gridare: - Smettila! –
Lo Stregone Oscuro alzò lo sguardo, guardando immediatamente il gruppo di ragazzi poco distanti; Jao lo fissava con rabbia.
- Non provare ad intrometterti, se stai pensando di farlo! Questo scontro è nostro! -
Appena finita la frase, Maimed si ritrovò la katana di Lenn a pochi millimetri dal viso. Il ragazzo aveva approfittato del suo attimo di distrazione per estrarre in maniera automatica la sua arma e puntargliela al collo; ora il ragazzo lo fissava con sguardo truce, anche se mal mascherava la sua sofferenza.
Maimed balzò immediatamente indietro, sottraendosi alla lama che probabilmente era solo un monito, ma appena distanziato impugnò di nuovo la sua spada con entrambe le mani e partì alla carica.
Lenn si rimise in piedi con un salto, seguito dal tremore provocato dalle zampe del suo Drago che atterravano di nuovo sul pavimento. Il ragazzo parò il seguente attacco di Maimed mettendo la spada di traverso, e lo scontro ricominciò.
Seguirono minuti interminabili che avevano come sottofondo il cozzare e il sibilo delle due lame, anche se Lenn stavolta era percorso dai dolori alla schiena, che non poteva fare a meno di tenere inarcata; non riusciva più a stare bene in posizione eretta, i muscoli lesi non gli consentivano di farlo.
Poi, inaspettatamente, Maimed smise di usare la spada e allungò una gamba verso di Lenn, e gli fece uno sgambetto. Lenn cadde di nuovo a terra e il Drago momentaneamente azzoppato lo seguì, schiacciandolo però con la sua enorme e pesante coda, senza lasciargli possibilità di muoversi in fretta. Nel giro di pochi secondi era rimasto intrappolato dalla sua stessa magia.
Lo Stregone avversario gli si avvicinò, e allora il ragazzo fece di tutto per risollevarsi, si dimenò come un forsennato per scivolare da sotto il grande peso della bestia incantata; ci riuscì appena in tempo per parare un altro affondo di Maimed, ma era troppo instabile sulle gambe per resistere a lungo. Parò ancora qualche attacco, poi perse nuovamente l'equilibrio, anche se solo per unattimo, e atterrò sulle ginocchia; purtroppo quell'istante bastò. Maimed fece calare per l'ultima volta la sua spada e colpì Lenn dritto al viso.
In quel momento il ragazzo sentì la testa come esplodergli dal dolore e dal bruciore, in pochi secondi ebbe il gusto del sangue in bocca, provò un dolore spaventoso all'occhio destro. Gridò dal dolore, portandosi le mani al viso. Il suo Drago gli si accovacciò a fianco e cominciò a gemere e sputare fiamme, come se fosse stato colpito anche lui da una spada e ne fosse furioso.
Devo continuare a combattere!” pensò Lenn, che non poteva perdere a quel punto, non voleva!
Provò ad aprire l'occhio sinistro, e ce la fece, potendo così vedere Maimed che gli stava ora a pochi metri di distanza; provò poi ad aprire il destro, ma un forte dolore che gli risalì il cervello non glielo permise. Anche l’intera guancia destra gli doleva; provò a toccarsi con una mano in quel punto: quando la ritrasse e la osservò vide le sue mani sporche di sangue.
Da lontano sentì le voci dei suoi amici gridare: - Lenn! Torna qui, ritirati! Sei ferito gravemente! -
Nonostante la preoccupazione nella loro voce, Lenn non li ascoltò e si rialzò in piedi, con un occhio aperto e l'altro chiuso, senza sapere cosa gli fosse successo al viso.
- Ascolta per una volta i tuoi compagni e arrenditi, ragazzo. - disse tranquillo Maimed - Non potrai fare molto in quelle condizioni. Si vede lontano un miglio che sei quasi ala frutta. -
- Tu dici? - domandò Lenn.
Ormai le sue forze erano agli sgoccioli, e decise di giocare il tutto per tutto; chiuse gli occhi, si rilassò ed ignorò le parole di Maimed, che continuavano a scivolargli addosso.
L'Oscurità era ancora viva dentro di lui, e richiamò tutta quella che aveva ancora in corpo, la sua ultima magia; cercò di nuovo di trasformarla in Luce come aveva fatto prima, ma non ci provò più di tanto e pensò solo al fatto che le avrebbe dovute usare al meglio.
Mentre dentro di lui si andava a formare un altro globo di energia, all'esterno i suoi amici poterono vedere un'aura viola e attorniata da qualche scintilla dai riflessi azzurri circondarlo quasi completamente. Anche sotto il sangue, si poteva vedere la sua espressione seria e decisa. Strinse i pugni, e l'Oscurità vi si raggruppò attorno; poi sollevò le braccia in direzione di Maimed, che aveva nel frattempo alzato uno Scudo protettivo per ogni evenienza.
Infine Lenn spalancò entrambi gli occhi, anche quello ferito, deciso a vedere appieno il momento della sua vittoria contro lo Stregone Oscuro: le sue iridi erano gialle e le pupille ristrette come quelle del suo Drago, incutevano timore e trasudavano rabbia.
- Ricorda, Maimed. - gridò Lenn. – Non sottovalutare mai più un membro del Clan del Drago! -
Con un ultimo grido rilasciò le sue ultime energie e la materia Oscura, che dalle sue braccia si scagliò contro l'uomo dinnanzi ad esse. Il Drago ruggì nello stesso momento, e con il corpo pieno di calore sputò una fortissima fiammata sull'aquila creata dallo Stregone, che sparì pochi secondi dopo, svanendo, disintegrata.
Lo Scudo di Maimed cedette l'istante dopo il contatto con la magia di Lenn, perché anche lui era ormai debole e non si aspettava un attacco del genere. Si lasciò colpire dall'ondata Oscura, e sentì le ultime energie abbandonarlo.
Passarono secondi interminabili; poi quando tutto tornò normale e la furia di Lenn si fu placata, dopo che il ragazzo ebbe prosciugato tutte le sue forze, Maimed cadde in ginocchio, accasciandosi a terra. Lenn gli si avvicinò barcollante, ormai sfinito e provato, sul punto di perdere i sensi, e lo guardò dall'alto verso il basso; il suo respiro era affannoso, e la testa gli pulsava in modo incredibile.
Maimed pronunciò le parole tanto attese, pure lui sfinito. - Mi arrendo... – mormorò. - Sei un bravo combattente... -
Lenn sorrise soddisfatto. – Lo so. -, disse usando il poco fiato che gli rimaneva a disposizione.
Infine, il ragazzo si allontanò di qualche passo da lui, poi le gambe gli cedettero e si inginocchiò per l’ennesima volta; però non trovò la forza di rimettersi in piedi.
Il Drago circondato dalle Tenebre sempre più deboli si avvicinò a lui e gli si accovacciò al fianco come per sostenerlo.
Lenn si limitò a girarsi e guardare il suo Spirito, accucciato lì vicino, che ricambiava il suo sguardo soddisfatto ma anche stanco. - Grazie… -, sussurrò sorridendo il ragazzo.
Il Drago fece un cenno solenne con il capo per congedarsi, poi ruggì. Il pavimento scricchiolò e le pareti si scossero un'ultima volta, dopodiché la bestia cominciò a dissolversi in mille guizzi di luce nera e bianca.
Quando svanì del tutto, Lenn non trovò più neanche le forze per reggersi sulle ginocchia, e si lasciò semplicemente cadere a terra. Erano successe un'infinità di cose quel giorno, ed era provato come non lo era mai stato; non sentì neanche più il dolore alla parte destra del viso, talmente era a pezzi.
L'ultima cosa che vide furono i visi preoccupati dei suoi amici, sentì le loro voci chiamarlo per nome, ma gli sembrarono echi distanti e quasi inesistenti.
Infine sentì una forte sensazione di calore interno, e vi si abbandonò, facendogli perdere finalmente i sensi e cullandolo in un dolce stato di sonno senza sogni.

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Capitolo 22
*** Capitolo 6 - Il primo giglio (Parte I) ***


Capitolo 6
Il primo giglio
Parte I




Si sollevò e si mise a sedere, la testa gli doleva come se glielo stessero martellando con forza, intento a procurargli un orribile mal di testa. Istintivamente aprì gli occhi, ma dovette richiuderli subito. Sentiva qualcosa di strano sull'occhio destro, un dolore acuto; si portò una mano al volto e poté tastare delle soffici bende che gli fasciavano almeno metà viso, sistemate alla bell'e meglio.
Jao gli si avvicinò sorridente e gaio, come sempre, e gli si sedette vicino. – Buongiorno, Lenn. come va l'occhio? -
Lenn non rispose, non sapeva neanche cosa gli fosse accaduto di preciso. - Cosa mi è successo? - domandò infatti.
- Dopo lo scontro con Maimed sei svenuto, così ti abbiamo riportato fuori dalla villa e ti abbiamo curato l'occhio destro. - spiegò l'amico. – Lo Stregone nel frattempo se l’è svignata. -
Lenn a quel punto si diede uno schiaffo sulla fronte, come ad ammonirsi. S’era dimenticato dello scontro con lo Stregone, chissà come, ma ora i ricordi riprendevano a fluire davanti a lui, mostrandogli la scena. La cosa stranissima era che si ricordava tutto in terza persona, si vedeva combattere contro Maimed come se fosse stato uno spettatore particolarmente vicino; vedeva tutto dall’alto, di ricordi in prima persona non ne riusciva a trovare.
Forse ho battuto la testa un po’ troppo forte”, pensò allora.
Poi si decise a guardarsi attorno; notò che si trovavano tra gli alberi, nella foresta in cui erano arrivati, e il ricordo della villa tornò a farsi più lontano. Poco distante da lui vide i resti di un fuoco e i sacchi a pelo dei suoi amici, ma non c'era nessuno a parte lui e Jao.
- Dove sono gli altri? - domandò.
- Stanno cercando qualcosa da mangiare, Harù non ce la faceva più a stare a stomaco vuoto. - rispose Jao.
Lenn si riportò la mano all'occhio bendato, timoroso per le sue condizioni. Jao probabilmente lesse la preoccupazione sul suo viso e lo tranquillizzò. - Maimed ti ha tagliato dal sopracciglio destro fino a metà guancia, ma per miracolo ha solo sfiorato la palpebra e non è arrivato alla retina dell'occhio. Tornerai a vedere, anche se ti rimarrà lo sfregio, penso. -
Il ragazzo dagli occhi scuri tirò un sospiro di sollievo. - Non mi interessa più di tanto la cicatrice, avevo paura di aver perso la vista... Sarebbe stata la fine della mia carriera come Stregone. –
Lenn ormai si preoccupava solo di quello, del suo futuro da combattente. Non sapeva fare altro e non aveva posto dove andare, cominciava ad essere ossessionato dal fatto che sarebbe diventato inutile se non fosse più stato in grado di brandire una spada, quindi non era disposto a dare peso a molte cose, l’importante era non perdere le membra per strada. Avrebbe combattuto finché qualcuno o qualcosa non glielo avrebbe impedito. Per fortuna non aveva perso la vista, altrimenti che avrebbe fatto durante tutto il resto della sua vita?
Quando sollevò lo sguardo e tornò a guardare Jao notò che il castano lo fissava a sua volta con un’espressione decisamente seria e accusatrice. Era incredibile, poteva cambiare umore da un secondo all’altro e non sembrare lunatico. Lenn sapeva che quello sguardo se lo meritava.
- Sai già che ti voglio dire, no? – disse Jao.
- Uhm, forse… - rispose Lenn con fare vago. Decise di dedicare la sua attenzione ad un albero all sua destra.
- Sei stato un incosciente! Hai rischiato moltissimo con Maimed. Potevi perdere l’occhio, ti rendi conto del culo che hai avuto? –
- Ah, non cominciare! – sbuffò Lenn. – Era tutto sotto controllo, è stata solo una svista perché quello stronzo m’ha fatto lo sgambetto… Se non avessi schivato l’avrei perso davvero, l’occhio! Non è stato culo, è stata bravura. –
- Tsk, che modestia! E la parte in cui ti ha inchiodato al terreno non te la ricordi? –
Lenn si sentì punto sul vivo. Non rispose e distolse di nuovo lo sguardo.
- Io ti avevo avvisato. – continuò imperterrito il castano. – Ti avevo detto di stare attento alla schiena. Non sei ancora nel pieno delle forze, e questa ne è la dimostrazione! Avrebbe potuto finirti sul posto, è bastato qualche calcio nel punto giusto per metterti fuori combattimento. -
- Lo so, cosa credi?! – sbottò a quel punto Lenn. – Non ho bisogno che tu me lo ricordi! –
- E allora perché hai combattuto lo stesso? Cazzo, facessi una cosa logica nella tua vita! –
Jao si passò una mano sul viso e sospirò.
- Lo volevo fare e basta. Non puoi negarmi di combattere, sono nato per questo! -
- Non rifilarmi certe cazzate! E’ sempre il tuo orgoglio che ti spinge a fare stronzate simili, ti conosco troppo bene. –
- Non è l’orgoglio! Sentivo di potercela fare, e ce lo fatta!, che vuoi di più? –
Jao tornò calmo all’improvviso. Fece silenzio per qualche secondo.
- Non ti facevo un tipo così terra-terra. Speravo in qualcosa di più. -
- Beh, che ti aspetti da uno come me? Lasciami in pace, è meglio. –
Lenn si alzò in piedi e andò ad appoggiarsi ad un albero vicino, decise di dare le spalle a Jao.
Perfetto, ora mi fa anche male la testa”, pensò, e si portò una mano alle tempie con fare stanco.
Seguirono minuti colmi di silenzio; Jao nel frattempo si alzò anche lui da terra e tornò ad armeggiare con le tende nel tentativo di metterle un po’ più dritte, Lenn non si mosse di un millimetro dalla sua posizione.
Qualche minuto dopo, a smuovere la situazione, giunse Chad, carico di grandi fasci di rami per il fuoco. - Ehi, dove metto questi cosi? Pesano! - esclamò da dietro la catasta che sorreggeva.
- Mettili vicino ai resti del vecchio fuoco, laggiù. - disse Jao con estrema tranquillità nella voce, indicandogli un punto preciso dell’accampamento, vicino ai sacchi a pelo. Non sembrava innervosito come lo era stato pochi minuti prima con Lenn. O era un tipo davvero lunatico o sapeva gestire benissimo le emozioni, lo Stregone non sapeva quale fosse la risposta giusta.
Chad si avviò barcollante al suo posto, poi posò la legna e si stiracchiò, visibilmente provato per lo sforzo.
- Dove sono Harù e Rizo? - domandò Lenn, cercando anche lui di dissimulare il suo disagio.
- Qui. - rispose la voce di Harù, che sembrò sbucare da dietro ad un albero tanto era arrivato silenziosamente. - Abbiamo preso un uccello del posto, non sappiamo cosa sia, ma di sicuro è commestibile. -, disse tutto contento.
Rizo comparve dietro di lui stringendo in una mano un volatile morto e bello grasso, lo spuntino migliroe che si potevano permettere per il momento. - Ehi, Lenny! Finalmente hai smesso di ronfare. - constatò il biondo.
Lenn strinse i pugni, irritato. - Come mi hai chiamato? -
- Lenny. - scandì l’altro. – E’ il tuo nuovo nomignolo. Per caso non ti piace? Io dico che ti sta bene. -
- Prova a ripeterlo e ti ammazzo. - ribatté il ragazzo. Aveva ancora un orgoglio da difendere, e aveva già abbastanza i nervi a fior di pelle per sentirsi sfottere da quel tipo.
Rizo posò tranquillamente la preda vicino alla legna, poi lasciò cadere a terra lo zaino che portava sulle spalle. - E va bene, non lo dirò più, Lenny. -
- Grr, adesso muori! - sbottò Lenn. Si mosse e avanzò minaccioso verso il biondo.
- Ehi, stai calmo, stai calmo! – provò ad ammansirlo Rizo, anche se nel frattempo stava già afferrando lo scettro vicino al suo sacco a pelo.
Lenn barcollò un po’ mentre camminava, essendo ancora spossato per il combattimento, ma estrasse ugualmente la katana e la sollevò oltre la testa. - Vieni qui, ti faccio a fette! -
- Aiuto! - gridò il biondo, che si mise a correre tra gli alberi. Forse aveva finalmente capito che Lenn faceva sul serio.
- Dove scappi?! Se ti prendo...! -
Jao, Chad e Harù rimasero a guardare i due inseguirsi nella boscaglia urlando. Non poterono trattenere le risate, tanto erano comici. Rizo stillava e si muoveva come un tasso dalla coda in fiamme, Lenn poco dietro di lui agitava la katana come un pazzo, imbufalito. Deviava tutti gli incantesimi che il biondo gli lanciava.
- Che dici, li fermiamo? – domandò Harù a Jao.
Quest’ultimo scrollò le spalle. – Na. Stanno bene così. A Lenn piace, si diverte. Non vedo perché farlo smettere. -
I due si rincorsero per un'ora. Dopo essersi stancati per bene, Lenn e Rizo si andarono a sedere davanti al fuoco, mentre il biondo ridacchiava divertito. L’altro ragazzo invece era soddisfatto di essere riuscito a muoversi un po’ fin da subito, gli faceva bene. Così poteva anche dimostrare a Jao di essere in grado di poter fare certe cose. Non poté fare a meno di sentirsi turbato per tutto il resto della giornata, non rivolse parola a Jao.


Il gruppo passò tutto il giorno praticamente ad oziare, fino a che arrivò la sera e si rianimarono, pronti a trangugiare anche la cena e ristabilire completamente le forze. Erano stati per la maggior parte del tempo in silenzio, ma probabilmente le stelle o la cena li avevano messi di buon umore e in vena di conversazione.
- Domani dovremo essere già tutti svegli e pimpanti per l'alba, capito? - disse Jao.
- Abbiamo perso solo tempo qui. - constatò Rizo.
- Alla fine è stata tutta colpa di quell'Oracolo. - continuò Harù.
- Non abbiamo ottenuto niente, e per poco non ci lasciavamo le penne! - esclamò Chad.
- E' strano però, a me all'inizio ispirava fiducia. - disse Lenn.
- E' stata una fregatura, chissà chi l'ha mandato da te. - disse Harù mentre mangiava la sua razione di carne arrosto.
Nessuno seppe cosa dire, l'apparizione dell'Oracolo era stata un mistero.
- Forse ha detto a Lenn di andare alla villa perché succedessero determinate cose. - azzardò Jao.
- E cosa? Farci morire? - sbottò Rizo.
- Beh, siamo ancora vivi, mi pare... E ciò che non ti uccide ti fortifica, e così il detto, no? - ribatté Jao.
- Hai rischiato la vita pure tu, come puoi sostenere una cosa simile? - insistette il biondo.
- E io? Non credo che mi dovrei fidare più di quell'Oracolo se lo vedessi, ci ho quasi rimesso un occhio. - disse Lenn, indicando con l'indice le bende che gli avvolgevano il viso. Ammettendolo, non osò guardare in viso Jao. - E mi sta pure venendo mal di testa a furia di vedere tutto con un solo occhio, vedo tutto piatto. Non so se resisterò a lungo. - aggiunse poi.
Harù accennò ad un sì con la testa. - Già, non credo che un Oracolo compaia al suo padrone per indicargli la via per il macello. -
- Forse era un falso Oracolo! – la sparò Chad, come se quella fosse la soluzione a tutti i dubbi della vita, ma non ne fosse sicuro.
Jao scosse la testa contrariato. - Possibile che solo io penso al fatto che queste potrebbero essere solo le prime linee di un disegno più grande? –
- Sì. -
- Parli come se fossi un Veggente. - disse Rizo. - Ma non lo sei. Chi ti dice che sia così? Magari era un nuovo modo degli Elfi per sbarazzarsi di qualche Umano. -
- E gli sfortunati siamo stati noi. - affermò Harù.
- Queste filosofie e queste idee sono come fumo ai giorni d'oggi, Jao -, disse Chad, - Come possiamo pensare che siano avvenimenti decisi dal destino o qualsiasi altra persona? Mica ti riferisci agli Dei? E' questo che intendi, no? Che ci sia di mezzo qualcosa di grosso. -
- Io penso che le cose potrebbero accadere non a caso, sì. Ma questo non vale solo per Lenn, eh, penso che tutto accade per un motivo. - affermò Jao.
- E quale cosa importante accadrà grazie al mio sfregio? - domandò sarcastico Lenn, decidendosi a rivolgergli di nuovo la parola.
- Probabilmente niente, forse era un modo per farti crescere e insegnarti qualcosa. - disse Jao con una punta di freddezza nella voce. Poi continuò con un altro tono: - O forse non dovresti guardare le conseguenze materiali di ciò che è accaduto, forse dovresti tener conto di quello che è successo dentro di te. -
Lenn lo guardò irritato, ma anche era sorpreso; Jao, in qualche modo, riusciva sempre ad afferrare il punto della situazione con una semplicità pazzesca, non perdendo mai quel tono da bambino ingenuo, che lo rendeva però poco credibile. Forse era davvero a quello che era servito l’incontro con Maimed nella villa: era cresciuto con quell’esperienza? Cos’era cambiato in lui?
Di sicuro qualcosa era andato fuori posto, ma al momento non riusciva a definirlo bene.
Jao non era sicuramente uno sprovveduto, spesso aveva ragione in modo irritante, ed era decisamente troppo buono; la cosa che trovava divertente era che quest’ultimo molto probabilmente non si rendesse neanche conto di essere così.
Ciononostante, quella sera Lenn era deciso a finirla col rancore nei suoi confronti, non voleva dargliela vinta.
- Pensala come vuoi. - disse infine Rizo, alzando le spalle.
- Oh, cambiamo argomento. Parliamo di qualcos’altro. - propose Chad. - Ad esempio: secondo voi come sarà il posto in cui si svolgerà il Torneo? – domandò per la milionesima volta.
Questa volta, i suoi compagni si decisero a rispondergli senza un “Te lo dirò quando ci arriveremo” definitivo.
- Credo che sia molto grande, dovrà ospitare centinaia, migliaia di Stregoni di tutte e due le razze: Umani ed Elfi. Poi chissà, ce ne saranno anche altre. - disse Harù.
- Vivremo a stretto contatto con loro? - domandò Rizo, tra il turbato e lo schifato. - Ma che bello... -
- Dovremo imparare un po’ di Elfico, allora. - disse Jao, pratico. - Conosciamo solo a memoria le formule per gli incantesimi, altro Elfico non ne mastichiamo, dovremmo imparare la lingua vera e propria, nel frattempo. -
- Certo, e dove lo troviamo un Umano che sappia bene l'Elfico e che ce lo insegni? Non possiamo neanche fermarci da qualche vecchio bacucco per imparare la lingua, dobbiamo andare avanti. - disse Harù.
- Io conosco l'Elfico. - se ne uscì Lenn con estrema tranquillità.
Gli altri lo guardarono straniti. - Davvero? - domandarono poi, quasi all'unisono.
- Sì... - affermò, un po’ meno sicuro. - Che c'è di strano? -
- Chi te l'ha insegnato? - chiese Jao.
- E' stato mio zio, parlo l'Elfico come se fossi madrelingua... -
- Che figo! Problema risolto. - disse Chad divertito.
- Ehi, non correte troppo, io non so insegnare. - si difese il ragazzo.
- Però potresti provare! Ci serve sapere quella lingua, anche perché se arriveremo nel deserto sarà molto facile incontrare altri Stregoni. Se fossero Elfi dovremo saper tutti comunicare almeno un po’ - cercò di convincerlo Jao.
Lenn sbuffò contrariato, poi lo guardò di sottecchi.
- Per favore Lenn, sii il nostro maestro. - insistette il ragazzo dagli occhi nocciola. Probabilmente quella richiesta era anche un modo che stava utilizzando per fare pace con l’amico.
Lenn lo fissò negli occhi, e l'amico sostenne il suo sguardo senza esitare. Il castano si fece serio, a confermare la sua ipotesi.
- E va bene... - disse infine.
- Grazie! - esclamò Jao raggiante.
- Sarà un’esperienza interessante. - commentò Harù.
- Certo... una cosa bellissima e interessantissima... - disse Rizo, palesemente privo di interesse. - Io odio la scuola, ci mancava solo il corso accelerato di Elfico... - borbottò alla fine.
Lenn si lasciò scappare un sorriso compiaciuto. Aveva trovato un modo per rendersi utile e per rilassarsi, perché niente lo faceva sentire più a suo agio come parlare l'Elfico. Era una lingua fluida e che gli riusciva facile parlare, lo faceva sentire distaccato da ciò che era, appartenendo a tutt’altra razza e cultura; dato che a lui non piaceva la sua persona, era sempre felice di poterne impersonare un’altra per un po’. Finalmente avrebbe fatto sfoggio delle sue capacità e si sarebbe divertito a dare ripetizioni ai suoi amici, anche se sarebbe stato un faticoso lavoro fargli imparare qualcosa. Quelle loro zucche a volta sapevano essere impermeabili al sapere, soprattutto quando si parlava di Elfi.
Finirono tutti in fretta di mangiare e andarono a dormire, anche se erano già riposati. Il giorno dopo avrebbero dovuto mettersi di nuovo in cammino, a si sarebbero dovuti godere appieno quei giorni tra gli alberi e al fresco, perché una volta usciti dalla foresta non li avrebbero più rivisti per tantissimo tempo.

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Capitolo 23
*** Capitolo 6 - Il primo giglio (Parte II) ***


[NdA: Breve. Desolatamente breve. Presto posterò la prossima parte.]


Capitolo 6
Il primo giglio
Parte II




Dopo essersi svegliati a mezzogiorno inoltrato, il gruppo di ragazzi si preparò il più in fretta possibile per ripartire e continuare il loro tragitto, poiché avrebbero dovuto alzarsi tutti all'alba. Chad, che doveva fare l'ultimo turno di guardia e poi svegliare gli altri, si era addormentato come un sasso, e quindi avevano tutti passato la mattinata a dormire; erano così stanchi che nemmeno la luce del sole li aveva disturbati a tal punto da svegliarli.
Mentre gli altri inciampavano sui loro stessi piedi per il sonno, Lenn si arrampicava su di un albero, già sveglio e pronto a marciare. A lui bastava poco per raccapezzarsi e prepararsi.
Il ragazzo raggiunse in pochissimo tempo i rami più alti della quercia da lui scalata, e riuscì a vedere la foresta in tutta la sua grandezza. Ne avevano lasciata alle spalle solo una piccola parte, ma già aguzzando la vista riuscì a intravedere qualcosa simile a sabbia, sul bordo dell'orizzonte. Ci sarebbero volute un paio di settimane, e rabbrividì al pensiero di dover traversare il deserto in piena estate. I monti Bezor li avevano scalati in molto meno tempo del previsto, giusto perché la sorte voleva ucciderli per il caldo anziché per il freddo.
Qualche minuto dopo, provenire da metri più in basso, sentì la voce di Jao chiamarlo. - Andiamo Lenn, noi siamo pronti. -
- Voi andate avanti. - disse Lenn di rimando. - Io vi seguo sugli alberi. -
Non sapeva perché, ma quel giorno aveva voglia di arrampicarsi, di stare in mezzo alle foglie verdi, non lo invitava l'idea di camminare all'ombra dei fitti rami, senza vedere alcun raggio di sole.
- Non puoi. - gli rispose Jao.
- E perchè? -
- Se tu stai lì in cima, come farai a darci lezioni di Elfico? -


Lenn camminava e camminava, pestando con rumore le foglie cadute a terra e parte del sottobosco ad ogni passo, scocciato. Si era dimenticato del discorso della sera prima. Perché non era stato zitto, invece di andare a dire a tutti di sapere l’Elfico?
A lui piaceva quella lingua, ma non era affatto facile far entrare nella testa dei suoi amici certe cose. Erano un tantino limitati e refrattari, quando si parlava di lingue straniere nel modo più generale.
Jao sembrava l’unico a provare un sincero interesse per la sua nuova materia di studio, anche se continuava a fargli domande su domande, martellando la testa a Lenn. Il castano era molto bravo, come Stregone aveva una buona pronuncia, quasi lo sapesse già, l’Elfico, o ce l’avesse nel sangue; se non fosse stato anche assillante, Lenn lo avrebbe volentieri classificato l’allievo modello, così da farlo felice e spronarlo a smettere quella tortura che era l’insegnamento.
Chad invece si era completamente perso nei meandri della grammatica più di un'ora prima, Harù ripassava diligentemente le parole e le imparava a memoria, Rizo invece sfoggiava tutto il suo solito menefreghismo.
- Siete i peggiori alunni che un maestro possa avere, mi state facendo impazzire! - si lamentò finalmente il ragazzo, a pomeriggio inoltrato. La testa gli faceva male, molto male. Magari fossero stati tutti muti!
- E pensa che è solo il primo giorno! - disse Rizo, ridacchiando.
- Scusa, Lenn. – lo disturbò Jao, pronto a fare l'ennesima domanda. - Se Luce in Elfico si dice “Haraizen”, perché Oscurità si dice “Domhaiden”? Non capisco come mai sono così simili, uno potrebbe fare confusione... Voglio dire, finiscono tutt’e due per “en” e c’è quell’ “ai” in mezzo, è pieno di altre parole simili! -
Lenn alzò le braccia al cielo, disperato. – Ma che domanda è?! Si dice così e basta, come posso sapere perché sono così simili? L’Elfico discende direttamente dal Draconico, e di quella roba non so molto. Non saprei dire se hanno tutte la stessa origine, capito? -
Jao annuì, sorridendo. - Sì, certo. -
Lenn sospirò. - Bene... -
Qualche secondo dopo, il ragazzo dai capelli neri saltò in avanti; staccò un ramo basso e che sporgeva dall’albero più vicino, quindi rimase ad osservarlo per un po’, riflettendo. - Vediamo... Chad come si dice ramo? - domandò.
Il nero si spremette le meningi, Lenn lo capì dall’espressione affaticata che gli si dipinse subito in viso, tuttavia non cavò un ragno dal buco. - Posso avere un piccolo suggerimento? -
- No. -
- Piccolo piccolo? -
- No! -
Chad allora incrociò le braccia e si ammutolì, non riuscendo a ricordare niente.
- Si dice “rath”, vero? - disse Harù.
- Giusto! - affermò Lenn, soddisfatto del fatto che almeno uno dei suoi neo alunni si ricordasse qualcosa.
- Non ti mettere a fare il secchione, però. - disse Chad.
Rizo intervenne, uscendo dal suo mutismo: - Scusatemi tanto, ma non credo che sapere queste parole ci aiuterà a comunicare molto con gli Elfi, non sarebbe meglio sapere come ci si presenta, come fare certe domande... cose così? -
Lenn sorrise. - Incredibile ma vero, hai detto una cosa giusta, Rizo. Ti faccio i miei complimenti. -
Il biondo si limitò a storcere la bocca irritato, senza rispondere.
Il ragazzo dagli occhi scuri però non sapeva bene da dove cominciare. Si mise a camminare davanti a loro e smise di dare le spalle, camminando al contrario; anche se apparentemente non poteva vedere dove andava, si muoveva con molta sicurezza.
- Facciamo così, chiedetemi voi delle cose che vorreste sapere. -
Jao alzò immediatamente la mano per chiedere la parola con fare entusiasta. - Io, io, io! -
- Parla pure... - acconsentì Lenn, anche se a malincuore.
- Come si dice “ciao”? - domandò l'alunno. – Sai quando si imparano gli incantesimi a memoria, è difficile che ti capiti di incontrare certe parole. -
- Non ti preoccupare. Comunque è facile. - disse Lenn. - Si dice “hai”, ma solo tra amici. Nella lingua Elfica ci saranno almeno una decina di modi per salutarsi, a seconda della persona che si ha di fronte. -
- E dovremo impararli tutti? - mugugnò Chad.
- Certo che no, non credo che vi servirà mai sapere come si saluta un re. - lo rassicurò Lenn. - La cosa però che dovrete anche imparare è che nei saluti bisogna comprendere anche una serie di gesti con le mani, non ci si limita alla parte parlata. -
- Non so perché, ma l'Elfico mi sta antipatico... - disse Rizo.
- Oh, non è molto difficile, dopotutto. Al massimo può spaventare l’idea di conoscere tutto a memoria, ma io l’Elfico sono riuscito ad impararlo e a parlarlo come madrelingua, perché voi non dovreste riuscirci? -
- Aspetta, ho un' altra domanda! - esclamò Jao, alzando di nuovo la mano per parlare.
Lenn accennò il permesso per parlare con il capo.
- Quando si dice hai, che gesti bisogna usare? -
- Agli umani è consentito non fare alcun gesto, ma solo usare la parola, ma è uno dei pochi casi... - spiegò Lenn.
- E se incontriamo uno sconosciuto? - insistette Jao.
- Se incontrate un Elfo che non conoscete, allora dovrete chinare leggermente il capo in avanti senza fissarlo, e poi dire “Ita, hai” - disse il neo maestro. - Ita significa “persona”. Ma non è la parola che si usa comunemente, ita sta ad indicare l’essenza di qualcuno, per loro è una forma di rispetto rivolgersi all’anima di chi ti sta davanti invece di chi ti trovi di fronte materialmente. -
Prima che gli altri potessero registrare le informazioni, Jao aveva nuovamente la mano alzata.
Lenn sorrise nel vederlo così interessato e voglioso di imparare, ma aveva paura che continuando così l'amico non gli avrebbe mai lasciato un attimo di respiro. Era una spugna.
- Come si dice “come ti chiami”? - gli domandò.
- Tra Elfi di stesso grado sociale si dice: “Ita, namii’e?”. E' anche il modo con cui fanno comunemente conoscenza i bambini. -
- Cha lingua contorta! - esclamò Chad, affondando le mani tra i capelli ricci.
- E siamo appena alle basi. - disse Lenn.
La giornata proseguì lenta, tra domande, imprecazioni da parte di Chad e sbuffi di Rizo. Jao era rimasto per tutto il giorno il più attento, e aveva una voglia irrefrenabile di imparare. Non sembrava però sapere che anche il suo nome era una parola Elfica, e questo gli sembrava strano. Come mai non se n’era mai andato a farsi un’informazione a proposito? Non glielo chiese perché non voleva tirarne fuori una discussione di qualsiasi tipo.
Anzi, Lenn a sera lo dovette supplicare perché la smettesse di assillarlo, ma dopo un po’ si arrese. Circa qualche minuto dopo la cena però il castano smise di fare domande, troppo stanco per la lunga camminata di quel giorno. Lenn ringraziò silenziosamente gli Dei per aver inventato la fatica.


La notte arrivò in un soffio, Lenn come al solito non riuscì però a prendere sonno. Decise allora di salire sulla cima di un albero e di rimanere ad osservare il cielo stellato, che tanto lo affascinava e lo rilassava. Ogni volta che le guardava si chiedeva cosa fossero in realtà, come mai brillassero in quel modo; una volta gli era addirittura passata per la mente la pazza idea che forse ci sarebbe potuto vivere qualcuno su di esse, e che il luogo in cui lui viveva non fosse altro che una di quelle tante stelle.
Non c'erano nuvole in cielo, la luna splendeva alta e luminosa, irradiando i suoi raggi sulla terra per consentirne la vista ai viaggiatori notturni. Quella notte gli parve che fosse più bella del solito, con il suo pallido viso e la sua chioma blu scuro tutt'attorno, il cielo, e con vari diamanti splendenti fra i capelli. L'infinita volta celeste sembrava osservarlo e avere solo occhi per lui, come se non fosse mai esistita persona più importante a cui prestare attenzione. Ogni volta che Lenn aveva quella sensazione, si sentiva unico.
Cullato dal leggero vento che soffiava a quell'altezza da terra, il ragazzo chiuse gli occhi e si rilassò. Per un attimo provò dispiacere per il fatto che nessuno potesse assistere a quella dolce meraviglia assieme a lui, eppure non gli passò neanche per un attimo per la mente l'idea di chiamare uno dei suoi amici.
Dopo tanti giorni di viaggio con loro, nella sua unicità di quella notte, si sentì veramente solo.
Riaprì gli occhi e contemplò per l'ennesima volta il cielo, ma questa volta provò un grande senso di malinconia dentro di sé. Mosse leggermente la mano destra verso l'esterno, istintivamente, come per cercare il contatto con la pelle di qualcun altro, magari un’altra mano, da stringere e da non lasciare più. Sentì il bisogno di tenere qualcuno fra le braccia, qualcuno bisognoso di lui o del suo conforto, qualcuno che soffrisse più di quanto lo stesse facendo lui; ma non per cattiveria, solo per poter sussurrare parole confortanti all'orecchio di quella persona, solo per poter avere la sensazione di proteggere qualcuno. Tanti avevano fatto molte cose per lui, ma nell’animo sentiva che ciò di cui aveva veramente bisogno era difendere gli altri e fare qualcosa per ricambiare l’aiuto.
Aveva degli amici, adesso, ma si sentiva ugualmente solo. Non bastavano per colmare il suo vuoto, il suo bisogno.
Lenn si accorse che stava iniziando a piangere solo dopo che le lacrime dell'occhio bendato passarono sulla ferita ancora aperta, facendogli sentire un forte pizzicore in quel punto.
Si asciugò le lacrime, senza capire come mai lo avesse preso quel forte senso di malinconia e di improvvisa solitudine. Aveva sempre vissuto per i fatti suoi, quasi abbandonato al suo destino, ma mai il suo cuore gli aveva battuto così forte nel petto, mai aveva sofferto tanto.
Sentì un improvviso formicolio alle mani, poi dalle dita scaturirono delle lingue di luce azzurrina. Scomparvero pochi secondi dopo, ma non poterono non destare in Lenn ulteriore inquietudine. Non era riuscito a fermare l'afflusso di quell’energia che neanche conosceva, fu preso dalla paura che fosse qualcosa di pericoloso per se stesso e per gli altri. Anche se quella magia l’aveva usata anche per salvare la vita a Chad, pur essendo stato inconsciamente.
E addio sonno...", pensò sbuffando.
Sapeva già che non sarebbe più riuscito ad addormentarsi, così rimase a guardare il cielo senza nascondere sul suo viso una leggera preoccupazione, finché la luna non lasciò il posto allo splendente sole che sorgeva e ai suoi raggi rossi come il fuoco.
Sospirò, poi il vento spirò più forte, scompigliandogli i capelli e obbligandolo a chiudere l'occhio scoperto. Quando il soffio di Eolo finì di smuovere le foglie e creare quel forte e armonioso rumore di rami smossi, Lenn sentì qualcosa poggiarglisi in grembo dolcemente. Riaprì l'occhio, e non poté evitare di sorridere, anche sapendo di non avere un buon motivo per farlo. Con una mano sollevò l'oggetto che gli era stato portato dal vento, e lo rimirò in tutta la sua bellezza: un magnifico giglio bianco, dal gambo reciso. Un dono dalla luna, il messaggio in esso contenuto gli sembrò chiaro e semplice da intuire, e si sentì sollevato per essere stato ascoltato nelle sue mute preghiere. Tu non sei solo.

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Capitolo 24
*** Capitolo 6 - Il primo giglio (Parte III) ***


Capitolo 6
Il primo giglio
Parte III




Le settimane scorrevano tranquille per i cinque ragazzi, che ormai si erano ambientati alla calma ed al silenzio della foresta. Purtroppo, però, quella frescura e quella pace sarebbero finiti presto. Il deserto si faceva giorno dopo giorno sempre più vicino, il calore andava ad aumentare lievemente, e la primavera aveva lasciato posto all'estate. Dopo tutto quel tempo passato da soli, estraniati dalla civiltà, i ragazzi si erano stupiti all’avvistamento di un piccolo villaggio nel bel mezzo della foresta. Il villaggio in questione era un semplice insieme di casette, poche e grottesche, costruite utilizzando direttamente il legno degli alberi lì attorno. C’era anche un pozzo: da lì attinsero nuova acqua per riempire le borracce. Avevano fatto sosta in quel luogo per tre giorni, passando il tempo a chiacchierare con gli abitanti e e facendo loro il favore di comprare tutta la merce di cui disponevano, che non era comunque molta. Ciononostante, qualsiasi cosa nel deserto si sarebbe trasformata in viveri preziosi.
Ora i ragazzi erano accampati sulla riva dello stesso fiume che avevano incontrato e per un tratto costeggiato in precedenza, ma in quel punto il suo letto era molto più vasto e sbarrava loro la strada. Lo avrebbero guadato il giorno successivo. Intanto si sarebbero preparati psicologicamente e gustati per l'ultima volta la cacciagione. La frescura delle fronde degli alberi circostanti sarebbe stata la cosa di cui avrebbero sentito di più la mancanza, però.
Lenn era seduto su di un tronco d’albero caduto appena vicino all’accampamento, rimirava il suo giglio, che aveva sistemato in un piccolo vasetto di legno intagliato da lui stesso.
Il fiore era rigoglioso come sempre.
La notte in cui l’aveva trovato, aveva immediatamente capito che non si trattava di un giglio normale, bensì di una pianta stregata. Dopo averlo rimirato per un po’, infatti, lo stelo reciso del fiore si era messo a crescere e da esso ne erano spuntate nuove ed esili radici, che si erano andate ad avvolgere intorno al polso del ragazzo. Lenn le recise di nuovo per liberarsene. Poi aveva cercato subito di rimediargli un posto dove ripiantare le radici; così, alla bell’e meglio, aveva intagliato nel legno un piccolo vaso e l’aveva riempito di terra. Appena il fiore s’era avvicinato al terriccio, se ne era ancorato facendo crescere in pochi secondi nuove radici.
A Lenn già piaceva l’idea di portare il fiore con sé. Il ragazzo non poteva farci niente, era sinceramente affascinato dalla bellezza e dalla strana resistenza di quel fiore. A dir la verità era la prima volta che provava un interesse particolare per qualcosa. Quel fiore incantato emanava un’energia che lo attraeva e lui non poteva resistergli.
Purtroppo sapeva che la piantina non sarebbe mai resistita al calore del torrido deserto, e ne era dispiaciuto.
Ad interrompere i suoi pensieri arrivò Jao, che gli si parò davanti e gli fece cenno di alzarsi. Lenn obbedì senza pensarci troppo, dopo aver posato il suo fiore a terra. Gli rivolse però uno sguardo interrogativo.
- Il tuo occhio. - disse semplicemente, accennando alle fasciature dell’amico. - E' ora di togliere queste scomode bende, non credi? Così potrai rivedere come prima... spero. -
Lenn annuì, e lasciò che Jao cominciasse a sciogliergli le bende e le garze che gli circondavano metà viso. Finalmente avrebbe provato ad aprire l'occhio ferito, sperando di vederci come prima.
Lenn non sapeva veramente in che condizioni fosse il suo occhio, non aveva mai osato aprirlo quando Jao gli cambiava premurosamente le medicazioni. Non avrebbe mai sopportato il fatto d’aver perso in parte la vista, sarebbe stata la fine per lui. La vista, in quanto Stregone guerriero, era la cosa più importante che possedeva.
Ci volle poco più di un minuto per liberarlo da bende sopportate per settimane.
- Finito! - esclamò Jao, facendo qualche passo indietro per squadrare meglio il suo amico. – Non mi sembra messo male. Prova ad aprirlo. -
Lenn non se lo fece ripetere due volte, e con decisione cominciò ad aprire l’occhio. All’inizio sentì la pelle tirare, la palpebra era pesante e sembrava voler rimanere chiusa. Quando finalmente vide Jao con entrambi gli occhi, si portò istintivamente una mano sulla guancia destra. Poteva sentire un leggero solco, sulla pelle morbida e liscia; seguì la cicatrice fino all'occhio, sulla palpebra, e infine sul sopracciglio.
Sospirò, e non seppe nemmeno lui se per il sollievo o per l'afflizione. Grazie al cielo poteva ancora vederci. Tuttavia, sapeva che l’entità della cicatrice era significativa, e sarebbe stata sempre lì, evidente sul suo viso delicato, un segnale a tutti i suoi avversari: aveva fallito nella lotta, qualcuno era riuscito a ferirlo durante uno scontro; per lui che aveva vissuto la lotta, quella era una vera e propria onta.
Dovrò stare più attento, la prossima volta” si disse. Odiava ammettere a se stesso che quella cicatrice era il simbolo della sua manchevolezza.
- Dai, non stai male con quella cicatrice. - tentò di consolarlo Jao, dandogli una pacca sulla spalla. Aveva immediatamente individuato il malumore del ragazzo. - Ti dà un'aria da duro. -
- Sinceramente, non me ne importa proprio niente di apparire come un duro. – rispose incupito l’altro.
- Su con la vita, l'importante e che tu ci veda ancora. –
Su questo, Lenn non ebbe da ribattere.
Quest’ultimo raccolse il vasetto con il giglio da terra, poi si avviò con Jao all’accampamento dove stavano gli altri, che oziavano sotto l'ombra delle querce.
- Meno male che ci vedi di nuovo, Lenn. - disse Harù vedendolo arrivare a volto scoperto. - Altrimenti avremmo continuato a digiunare. Qui abbiamo un cacciatore che non saprebbe scovare nemmeno il suo naso. -
- Ehi, non è facile prendere quegli uccellacci, e dei cervi non se ne parla neanche, ne ho rincorsi a vuoto così tanti che non li voglio nemmeno più vedere attraversarmi la strada. - sbottò Rizo indignato. - Fallo tu, visto che sei tanto bravo. –
- Io non lo faccio perché ammetto di non sapere nemmeno da dove cominciare, non come qualcuno che prima si vanta e si propone e poi si lamenta e incolpa gli altri. -
- Non litigate di nuovo su queste cose, su. - disse Jao sedendosi sul tronco d’albero da cui si era appena allontanato. Per quanto paziente fosse, nemmeno il castano riusciva più a sopportare i battibecchi degli altri.
Lenn si sedette accanto a lui, sempre con il giglio fra le mani. Jao tentò di distrarsi ed osservò il fiore per qualche secondo; poi sorrise. - Mi ricorda tanto una persona, quel fiore. – disse. Ma Lenn non capì se l’altro stava parlando con lui o pensava ad alta voce.
- Davvero? E chi? - chiese comunque, incuriosito.
- Una persona che abitava vicino a casa mia... Ma non è importante. - tagliò corto l'amico.
Lenn odiava come il castano slittava su tutto ciò che lo riguardava personalmente e invece non passasse sopra a niente di quello che lui diceva, lo faceva imbestialire. Tuttavia non disse nulla.
- Piuttosto, come mai ti piace tanto? – continuò Jao.
Il ragazzo dagli occhi scuri sollevò le spalle, lanciò un'altra occhiata al giglio. - Non lo so di preciso, però guardandolo mi sento più tranquillo. – disse. - Trovo anche strano che non sia ancora appassito. -
- Già, è strano... - s'intromise Chad, avvicinandosi a loro. Evidentemente aveva origliato, per potersene uscire così. - Che sia opera di qualche magia? -
- E a quale scopo far trasportare dal vento un giglio incantato? E’ questo che non capisco. Prima sprechi energie per incantesimi del genere, e poi lo butti via? - domandò Lenn a nessuno in particolare. Non voleva sbilanciarsi troppo e dire le sue teorie agli altri, non ancora. E non voleva confermare loro che il fiore era effettivamente sotto l’effetto della magia.
- Voi cercate troppi grattacapi in tutto. - disse Jao. - E' solo un bel giglio che resiste facilmente a certi climi, ma arrivato nel deserto appassirà di sicuro. -
- E' un peccato però... - disse Lenn.
La discussione finì lì. Del resto non aveva ragione di continuare, si trattava solo di un fiore.
Jao si stese sul tronco e si mise a sonnecchiare, Chad andò a sciacquarsi il viso al fiume.
Lenn invece continuò a contemplare il fiore, di cui non era mai stanco. Era fermamente convinto che il ritrovamento della pianta per lui avesse qualche significato. Durante le sue solite meditazioni, un po’ di tempo prima, aveva concluso che niente era casuale nella sua vita, aveva cominciato a capirlo dal giorno in cui erano usciti dalla villa indicatagli dall'Oracolo. Purtroppo non riusciva a cavare un ragno dal buco con le poche cose che sapeva. Lui non sapeva mai niente, e questo lo demoralizzava.
Come qualche giorno prima. I suoi amici avevano cominciato a parlare della loro casa e dei loro genitori, fratelli e altri parenti. Di quanto mancavano loro, quanto fossero simpatici alcuni, odiosi altri, di quanto fosse importante uno, come si amasse l’altro. Lui non aveva potuto dire molto al riguardo, neanche lui conosceva la vera identità dei suoi genitori, sapeva soltanto che lo avevano abbandonato davanti alla casa dello zio quando aveva un anno, insieme a sua sorella Lia. E queste, comunque, erano cose che era venuto a sapere dallo zio, e Lenn aveva deciso che non avrebbe più creduto a nulla di ciò che l’uomo gli aveva detto, quindi non era nemmeno più sicuro che le cose fossero andate così.
Gli si strinse il cuore quando ripensò allo zio, e che Lia probabilmente era ancora con lui. Ecco, la sorella era l’unica famiglia che gli era rimasta. Non aveva nessun altro a parte lei, eppure erano così distanti l’uno dall’altro, e così sconosciuti. Le voleva bene incondizionatamente, anche se non sapeva molto di lei. Sperava che non le fosse successo nulla di male. Si sentiva così in colpa, non riusciva a non pensare che fosse colpa sua, se la sorella era rimasta in quel luogo infernale, per garantire la sua protezione. Dopo la sofferenza condivisa in tutti quegli anni, dopo il sostegno che lei gli aveva dato, l’aveva lasciata là. Non aveva potuto fare niente. Quello era di sicuro stato il suo più grande fallimento.
Lì, davanti al fuoco, vicino ai ragazzi, si era sentito solo e al freddo.
Mentre i suoi amici parlavano, si era chiesto che fine avessero mai fatto suo padre e sua madre, pensando ai vari motivi per cui lo avrebbero dovuto lasciare e poi scappare via, sparendo per sempre. Perché gli avevano fatto un torto simile? Non volevano bene nemmeno a Lia?
Si chiese se loro sapevano che lo zio era un uomo così disumano, e se avessero qualche rimorso, dopo averli abbandonati davanti alla porta di quella casa.
Lia, non gli aveva mai raccontato niente su quell'argomento, non poteva. Se accennava in qualsiasi modo al padre e alla madre, quel mostro la picchiava.
Povera Lia, povera Lia
Non aveva potuto fare a meno di pensarlo, e nemmeno adesso.
Lenn si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, sollevò lo sguardo.
Poco distante poteva scorgere la fine della foresta, gli alberi che diminuivano e andavano ad insecchirsi, poi l'erba che diventava sempre più rada, fino a diventare terra dura e piena di crepe tanto era asciutta, quella del deserto davanti a loro.
Il deserto.
Un posto isolato quanto il suo animo.
Pensò che, forse, il deserto era proprio il luogo che faceva per lui. Lì non c’era niente. E quindi niente poteva farlo soffrire.
Strinse il vaso contenente il giglio bianco, e si sentì meglio. Si domandò per un'ultima volta che connessione avesse quel fiore con lui. Ma niente. Tutto rimaneva mistero.


- Eccoci davanti al luogo più caldo, torrido e infernale del nostro tragitto, ragazzi. - annunciò Jao, sorridendo senza motivo. - Il deserto di Gauth. –
Il gruppo di ragazzi s’era lasciato alle spalle gli alberi da qualche chilometro, e il deserto era alle porte. Davanti a loro si vedeva terra piatta e piena di crepe ovunque, nient’altro.
- Urca, che nome suggestivo. - disse sarcastico Rizo.
- Lenn, è per caso un nome da Elfo pure questo? - chiese Harù.
- No, non lo è. Deve essere una parola in qualche altra lingua che non conosco. - rispose il ragazzo.
- Ah, meno male. Ci mancava solo che dovevo attraversare uno schifosissimo deserto che portava pure il nome di un odiosissimo Elfo. – si lamentò Rizo, come suo solito.
- Non pensiamo a queste scemate. -, disse Chad. - Pensiamo piuttosto che siamo in estate e non dovremmo proprio trovarci qui. Potremmo morire, in mezzo a questa terra arida! –
- Non ci sta nemmeno l’ombra di un cactus… -
- Oh, piantatela! – disse Lenn, aprendo con un gesto nervoso la mappa che aveva estratto dalla tasca. – Se seguiamo il percorso che ho tracciato, dovremmo sempre trovare un pozzo a cui attingere acqua, quindi non moriremo disidratati. Forse. –
- Argh, non voglio morire qui! – disse Chad, che sembrava essere già preso dal panico.
- Ma non potevamo costeggiare il mare ed aggirare il deserto, invece che passarci in mezzo? –
- No, ci avremmo impiegato troppo. Ci vorrebbe troppo tempo per arrivare solo alla costa, l’unico modo per arrivare in tempo al Torneo è andare sempre dritti e deviare il meno possibile. – spiegò Lenn.
- Sarà una traversata lunghissima. - mormorò Harù sconsolato.
- La più lunga di tutte, ci metteremo un bel po’. - affermò Jao. Non era poi tanto capace di consolare la gente. - Su con la vita, sarà bello festeggiare il Capo dell'Anno nelle fredde notti desertiche. -
- Dimmi che eri ironico, ti prego. - disse Rizo.
Jao si limitò a sorridere, poi cominciò a camminare sull'arido terreno. Gli altri lo seguirono senza protestare più, tanto non serviva a niente.
Lenn si voltò un'ultima volta verso il verde della foresta; sentì la malinconia invadergli l'animo, come se in quel luogo lussureggiante avesse trovato una parte di sé e in quel momento la stesse lasciando per sempre. Sottobraccio reggeva il giglio che aveva trovato proprio lì, e some al solito si sentì rincuorato dalla sua presenza. Sapeva che il fiore incantato sarebbe potuto appassire, ma tentò di non pensarci. Scosse la borraccia che gli pendeva dalla cintura, e sentì il fresco rumore dell'acqua, che sarebbe diventata la cosa più preziosa durante la traversata di quel luogo desolato. Si legò attorno alla testa un fazzoletto bianco a mo’ di turbante, per proteggersi dai raggi del sole.
Guardò l'orizzonte, e non vide altro che terra secca e bollente. I suoi amici camminavano davanti a lui, sicuri di loro stessi e pronti ad affrontare anche quella sfida. Chissà come facevano a trovare tutta quella voglia. E tutto per un Torneo; per diventare re, poi. Una cosa che difficilmente sarebbe diventata realtà per loro. Bah.
Si incamminò a sua volta e li raggiunse, già accaldato e desideroso di tornare tra gli alberi.
Ma, suo malgrado, si concesse un sorriso. Anche se la strada si prospettava faticosa, non la temeva così tanto; era in buona compagnia, era tra amici. A lui in fin dei conti importava solo quello.

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Capitolo 25
*** Capitolo 7 - Una notte movimentata, Vicino e Lontano (Parte I) ***


Capitolo 7
Una notte movimentata, Vicino e Lontano
Parte I




Chad cadde a terra per la quinta volta in quella giornata, lasciatosi spesso prendere dalla stanchezza e dal caldo. Dava quasi l’impressione che le sue gambe non lo sostenessero più, perché s’erano sciolte con il calore del sol leone. - Basta, voglio tornare a casa... - mugugnò con il viso rivolto a terra.
Lenn, che nonostante il caldo si teneva ben stretto la camicia e si circondava il capo e metà viso con un turbante, lo afferrò per la giubba e lo tirò su con forza. - Alzati, dobbiamo proseguire. E mettiti qualcosa in testa, che rischi un’insolazione! –
- No, credo che dovremmo fermarci. – lo contraddisse Jao, - Tra poco il sole non darà abbastanza luce per vedere dove andiamo, e ci serve del tempo per accamparci bene prima che faccia troppo buio e troppo freddo. -
- Ma oggi siamo andati poco avanti, e le scorte di acqua non dureranno a lungo! - ribatté Lenn. - Dobbiamo sbrigarci a trovare un'oasi o a raggiungere il prossimo pozzo sul tragitto, altrimenti moriremo di sete. –
Lenn sapeva che con certe frasi poteva sembrare troppo disfattista, ma ricordare agli amici che il caldo era pericoloso sembrava l’unico modo per farsi ascoltare, per far salire loro qualche dubbio. Ma Jao lo guardò senza lasciar trasparire l’intenzione di voler continuare a camminare.
- Scusate, ma quante borracce piene abbiamo ancora? - chiese Harù, con l’aria di chi voleva essere ben informato prima di prendere decisioni.
- Due a testa, ed è pure calda, ti fa passare la voglia di berla. - disse Rizo.
Chad slacciò dalla cintura la borraccia, la scosse e poi ne aprì il tappo, guardandone all’interno. – Io non ce l’ho nemmeno, due borracce. Questa è vuota. –
- Visto? – insistette Lenn.
- Chad, te ne darò volentieri un po’ della mia, se ne avrai bisogno. Tanto non ho mai bisogno di molta acqua. – disse il castano scrollando le spalle, come per volersi lasciar scivolare di dosso la discussione. – E per quanto riguarda il fatto che è calda, pazientate, tanto si rinfrescherà durante la notte. –
Lenn rimaneva contrariato.
- Moriremo tutti! - concluse drasticamente Chad.
Harù fulminò il nero con lo sguardo. – E non portare sfiga, gufo! –
- Non credo proprio che moriremo, però dobbiamo stare attenti con le razioni. - disse Jao sorridendo.
Lenn gli voltò le spalle, poi si sedette a terra. – Tsk, perché dovremmo stare attenti con le razioni e sacrificarci se possiamo velocizzare il passo e arrivare prima al pozzo? –
Jao, mentre cominciava a frugare nello zaino più grande che di solito portava Rizo, rispose: - Se non ti sta bene puoi benissimo prendere e andartene. Noi siamo stanchi. –
Poi il castano tornò tranquillo e sorridente, per lui la questione era chiusa. - E ora, chi mi aiuta a preparare il campo? -


La notte scorreva tranquilla, silenziosa, come tutte le altre notti passate all’addiaccio in quel luogo. Erano state due settimane durissime, quelle appena trascorse, e il deserto di Gauth non sembrava avere fine. Era un mare di terra arida e costellata di crepe e caldo soffocante, non una nuvola passava sulle loro teste per ripararli dai raggi del sole, durante le giornate. Ma la notte era bellissima. Faceva freddo, molto freddo, e Lenn doveva sempre chiudersi nel sacco a pelo per mantenere stabile la temperatura corporea, nonostante fosse estate. Ma la pace che si respirava era innaturale quanto unica, e lo spettacolo sulle loro teste era raro. Lenn non aveva mai visto tante stelle in vita sua. Era capitato che qualche notte la spendesse quasi interamente a guardare la volta celeste, con il collo dolorante per il troppo tempo passato a guardare in su. Quel cielo era sereno e pacifico, ma dava un senso di inferiorità enorme a chi lo osservava; era un gigante, era infinito, era ovunque, sembrava fissarti coi suoi occhi di stella con fare interessato e maestoso.
Secondo Lenn, valeva la pena stancarsi sotto al sole bruciante per poter arrivare a notte fonda e ammirare uno spettacolo del genere. Gli piaceva molto, contemplare certi spettacoli.
In quella notte, però, si sentiva più inquieto del solito; era sdraiato su di un fianco e si reggeva la testa con un braccio, continuava a fissare il suo giglio, quell'enigmatico fiore che non appassiva mai, che era sempre bello e fiorente, sempre vivo nonostante il caldo e le poche gocce d'acqua che Lenn poteva permettersi di concedergli. Un bel fiore incantato che non aveva nulla da invidiare alle stelle. Si domandava ancora se quello fosse un altro messaggio mandato dal suo Oracolo, il quale non gli era più apparso dopo l'episodio della villa abbandonata. Era quasi morto, quella volta, e continuava a domandarsi come mai lo Spirito lucente lo avesse condotto in quel luogo.
Non aveva altro da fare, e quindi pensava e pensava, senza trovare mai una sola risposta.
Poi, un rumore improvviso e innaturale lo mise in allerta; sembrò squarciare il silenzio, interrotto solo dai gemiti di Harù nel sonno; il ragazzo aveva quasi sempre gli incubi da quando il Demone Arshkad si era impossessato di lui tempo prima.
Lenn si sollevò lentamente, guardingo. Senza emettere alcun suono si mise in piedi, lasciando il calore del suo sacco a pelo e immergendosi nel freddo della notte. Vedeva molto bene anche al buio, proprio perché per quasi tutta la vita non era mai uscito dalle celle di casa sua o dalle stanze che avevano sempre le finestre sbarrate. Ormai c’aveva fatto l’abitudine.
Ciononostante, non riusciva a vedere niente, a parte le tenebre. Dopo vari secondi di immobilità, si convinse che quel suono magari era stato prodotto involontariamente da uno dei suoi amici. Non lo aveva indentificato bene, e forse gli era sembrato più forte del normale perché era tutto silenzioso. Tirò un sospiro di sollievo.
Ma in quel preciso momento sentì una grande pressione esercitarsi sulle sue braccia, come una morsa di ferro. Non ebbe il tempo di aprire bocca e dare l'allarme, che qualcosa gliela sigillò coprendola con forza. Subito dopo sentì altri rumori, come di pezzi di ferro che si muovevano, passi e mormorii. Lenn decise repentinamente di evocare una fiamma Oscura tra le mani; la fece rimbalzare con un colpo della mano e questa andò a colpire l'individuo dietro di lui. Forse era riuscito a colpirlo al viso.
- Ahi, mi ha bruciato! - urlò questo, mollando la presa e lasciando Lenn libero.
- Sono Stregoni, attenti! - gridò un'altra voce.
Lenn poté chiaramente vedere Jao alzarsi in pochi secondi e sfoderare il suo spadone, la cui guaina teneva sempre accanto e sé; poi vide anche i suoi compagni venire alle armi, tutti assonnati.
- Chi siete?! - sbottò Rizo.
Dagli sconosciuti non arrivò risposta. Tutto tacque improvvisamente.
Jao allora mollò la presa sul manico della spada e se la mise sotto l’ascella per sorreggerla; batté le mani con forza, emettendo varie scintille che poi formarono un globo di chiara luce, il quale illuminò a giorno vari metri di terreno prima nascosti nelle tenebre. Chad e Harù lo imitarono, mentre Lenn gli si affiancava e sguainava la katana; a differenza degli altri, lui con la sua arma ci dormiva. Precauzioni che non guastavano mai.
La luce rivelò l'identità dei loro assalitori: erano quattro cavalieri, brandivano le loro armi pronti ad attaccare; tutti quanti portavano l'elmo per nascondere il volto.
- Ancora voi! - sbottò irritato uno dei cavalieri. - Brutto schifoso, mi hai bruciato la barba! - sbraitò poi rivolgendosi a Lenn. Evidentemente gli elmi erano stati messi dopo dai guerrieri, proprio a scopo di celare il viso ai ragazzi.
- E tu mi hai attaccato alle spalle come un codardo! - ribatté secco Lenn.
- Codardo a me? Ma tu… -
- Su Raphael, contieniti. - disse uno degli uomini corazzati, quello che brandiva una sola spada. Prese l’uomo di nome Raphael per una spalla e lo tirò a se, come per allontanarlo dall’oggetto della sua ira.
- Noi siamo L'Ordine dei Castigatori. - disse il cavaliere munito dello scudo enorme. - Ci conoscete già. E spesso si ha memoria di noi. -
- Cazzo, ma perché attaccate le persone nel cuore della notte? Siete ladri, assassini o cosa? – domandò Rizo a denti stretti.
- Certo che no. - rispose il tipo che sorreggeva una balestra all’apparenza molto pesante. - Però vogliamo già cominciare ad eliminare la concorrenza, sappiamo che al Torneo ci saranno centinaia di partecipanti. –
- Appena abbiamo sentito la presenza magica che aleggiava in questa zona, ci siamo messi a cercare la fonte. Ci aspettavamo di trovare qualche Stregone, anche se non eravamo sicuri. Ma poi perché abbiamo dovuto trovare proprio voi, siete sempre in mezzo! – disse Raphael.
- E noi cosa dovremmo dire? Siamo forse felici di rivedervi? – sbuffò Harù, con i coltelli pronti per essere lanciati.
- Boh, tutti non lo so, ma ce n’è uno che… Ah, sì, era il castano! – disse con tono divertito quello con la balestra. – Non eri tu quello che ero riuscito ad infilzare? Scommetto che hai sentito la mancanza delle mie frecce. –
Jao digrignò i denti, irritato; tuttavia non disse niente.
Lenn invece era sempre più innervosito dal loro modo di fare. – Piantala di fare lo stronzo, o ti infilzo io, stavolta. –
Il cavaliere ridacchiò, poi rivolse al ragazzo un saluto con il dito medio della mano sinistra. – Fatevi avanti. –
Poi, quello che stringeva la sua unica spada con sicurezza, disse: - Il nostro scopo, come abbiamo detto, è eliminarvi dalla concorrenza. Basta chiacchiere. –
- Sappiate che non ci eliminerete tanto facilmente. - disse Lenn.
- Ben detto. - disse Jao. Il suo sguardo era duro e irato. Il giovane si avvicinò deciso al cavaliere con la balestra, fino ad arrivare a pochi metri di distanza da lui. Il castano era nettamente più basso e più gracile di quell'avversario. - Senti un po’, gigante. - disse impertinente, sollevandosi un lembo della camicia. – E’ vero, tu m’hai fatto questa… - indicò la cicatrice che aveva sul fianco lasciata da una freccia. – Ma adesso te la faccio pagare, e ti becchi gli interessi. –
Il ragazzo sembrava più guerrigliero del solito, Lenn ne era sorpreso. Ma forse sopportare una ferita del genere senza tanti problemi e sbollire il senso di vendetta era troppo pure per lui.
- Stai attento scricciolo, non si gioca con il fuoco. - ribatté l’avversario, stringendo la sua balestra ancora più forte.
Jao digrignò i denti, innervosito, e passò subito all’attacco scagliando con tutto il suo peso lo spadone sul nemico. Il cavaliere indietreggiò istantaneamente con un salto all’indietro; la lama gli sfiorò soltanto il collo e gli ammaccò un po’ l'elmo nella parte inferiore. L’uomo se lo sfilò per togliersi quell'impiccio e rivelò per la prima volta il suo volto. Aveva dei corti capelli ramati e gli occhi erano verdi, il suo sguardo incuteva timore, proprio come la sua stazza.
- Adesso mi hai fatto arrabbiare. - disse.
Balzò ancora più indietro con uno scatto felino, innaturale per la sua mole, ma lui lo eseguì con gran facilità. Puntò velocemente la balestra su Jao e prese la mira, poi scagliò uno dei sui dardi.
Jao, mentre il cavaliere prendeva ancora la mira, si era guardato attorno in cerca di un riparo, ma presto trasse la conclusione che in mezzo al deserto non vi erano posti dove nascondersi o rifugiarsi, nemmeno un avanzo di masso; il rumore della freccia scoccata, poi, arrivò ancora prima del previsto e non fece in tempo a muovere un muscolo. La freccia emise un sibilo acuto mentre fendeva l’aria.
Fortunatamente Lenn fu ancora più veloce dell’avversario, così tanto da riuscire a balzare in avanti, proteggere l'amico frapponendosi fra lui e il dardo e deviarlo mettendo la katana di traverso all’altezza del viso; come era arrivata, la freccia colpì la lama e cambiò direzione nel rimbalzo altrettanto velocemente; si piantò a terra a meno di un metro di distanza dai due ragazzi. I membri di entrambe le fazioni rimasero a bocca aperta per il fulmineo intervento del ragazzo, anche se i cavalieri erano più sorpresi degli altri, che erano abituati ai gesti avventati, pericolosi e soprattutto imprevedibili di Lenn. O forse fu la sua anormale velocità a sbalordirli.
Intorno a Lenn guizzavano delle scintille azzurrine, che lui stesso emanava; la magia anomala e incontrollabile che tanto preoccupava i ragazzi sembrava esser tornata disponibile e utilizzabile giusto in tempo per soccorrerli. Stranamente, Lenn si lasciò sfuggire un’espressione soddisfatta e perfino un po’ stupita, quasi non si fosse aspettato di riuscire nel suo intento.
- Ehi, nessuno prima d'ora era riuscito a deviare un colpo di Dawn. - commentò il cavaliere con lo scudo, Ciel, rompendo finalmente il silenzio. Il diretto interessato digrignò i denti, sentendo girare il coltello nella piaga.
- Forza, andiamocene via. - disse uno dei cavalieri, che si voltò e fece per uscire dall'area illuminata. Sembrava aver cambiato completamente idea rispetto a prima.
- Aspetta Air, io voglio ancora combattere! - disse Raphael.
- Io ci sto. - assentì Rizo.
Lenn in quel momento volse lo sguardo al biondo.
- Però se vinciamo noi ci dovrete lasciar stare fino all'arrivo al Torneo, d'accordo? -
- Va bene. - disse Air. - Ma se i vincitori saremo noi allora porteremo il vostro amico nel nostro viaggio. - aggiunse indicando Lenn, ancora attorniato da qualche scintilla azzurra. - Sembra un tipo interessante. -
Jao e gli altri erano sorpresi, non avrebbero mai immaginato una possibilità del genere. Volsero un fugace sguardo a Lenn, il diretto interessato di quell'offerta. Volevano sapere che ne pensava lui. Quando videro il suo sorriso capirono immediatamente che come al solito non si sarebbe tirato indietro e avrebbe accettato la sfida. - Beh, mi sembra un buon affare. Voi che dite? - domandò agli amici.
- Sei tu che devi decidere, se perdiamo sarai solo tu a dover andare con loro. - disse Jao.
- Anche se, con una condizione del genere, mi verrebbe quasi voglia di perdere… -
- Rizo! –
- Scusate, dicevo solo per dire. -
- Non ti preoccupare, non andrò proprio da nessuna parte. – disse Lenn, rivolgendosi all’amico che era sinceramente preoccupato per lui.
Poi il castano rivolse all’amico uno sguardo a dir poco apprensivo. Probabilmente pensava ancora alla schiena di Lenn, il suo eterno punto debole in battaglia. Sembrava voler ricordare al ragazzo che non era un qualcosa di sottovalutabile.
- Cosa vuoi dire, che rifiuti le nostre condizioni? - domandò Raphael.
Il ragazzo dagli occhi neri sorrise divertito. Aspettava una frase del genere solo per poter ribattere: - No, voglio dire che vi schiacceremo come formiche. –
- Avete sentito lo sbruffone? Tu non sai con chi stai parlando. - disse Ciel.
- Noi siamo l'Ordine dei Castigatori, siamo i quattro Stregoni più potenti delle città capitali, coloro che sono stati nominati dal popolo migliori guerrieri delle regioni più importanti di Argeth, nonché quelli che vinceranno il Torneo a detta di tutti. - continuò Dawn, affiancandosi ai compagni.
- Bla, bla, bla… Avete finito? - li sfidò Lenn. – Invece di recitare a memoria la tiritera, perché non venite a farmi rimangiare quello che ho detto? -
- Ah! Con piacere! - esclamò Raphael, che brandì le sue due spade e si avventò su di Lenn, dando inizio allo scontro.
Chad fu il secondo a reagire; raccolse un sasso da terra e lo caricò nella fionda, poi poco prima di rilasciarla evocò un elemento. Si diede subito da fare scagliando quanti più dardi infuocati riusciva a lanciare con la sua fionda.
Harù estrasse i coltelli dalla cintura e li lanciò contro di Air, il quale ne deviò la maggior parte utilizzando solo il piatto della sua spada.
Rizo cominciò ad evocare le fiamme che guidava con il suo scettro in modo che lo avvolgessero completamente; ora era pronto per attaccare e difendersi.
Infine Jao si avventò su Ciel e il suo invalicabile scudo, che era grande quasi quanto il suo proprietario.
Si alzò un grande polverone, le urla laceravano il silenzio della notte, la terra tremava; l'Ordine non avrebbe mai mollato tanto facilmente, e Lenn lo sapeva. Per questo ebbe il timore di dover andare con loro, anche se solo per un attimo. Erano davvero degli ottimi guerrieri e soprattutto possedevano delle tattiche ben unite fra loro, che formavano una difesa e un attacco ben calibrati. Per questo, già sentiva di dover loro rispetto. Lui e i suoi amici non reggevano il confronto; attaccavano più che potevano e alla rinfusa quando non erano occupati a schivare. Il loro vantaggio però era proprio la velocità, superiore a quella degli avversari anche grazie al fatto che non avevano delle pesanti armature addosso. Di sicuro era quello il fattore che avrebbero dovuto sfruttare.
Nessuno sembrava voler mollare, la battaglia era appena cominciata ma si stava già dimostrando aspra; peccato che non ci fosse nessuno ad assistere ad una dimostrazione di forza simile.
Lenn, mentre schivava di un pelo la lama della spada di Raphael, pensava che avrebbe dovuto dare il massimo per battersi. Con loro non ci voleva proprio andare.

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Capitolo 26
*** Capitolo 7 - Una notte movimentata, Vicino e Lontano (Parte II) ***


Capitolo 7
Una notte movimentata, Vicino e Lontano
Parte II




Alle prime luci dell'alba, nessuno si era ancora arreso. Gli Stregoni combattevano con tenacia e forza di volontà. La notte era stata però lunga e comunque difficile da superare fino a quel momento, mentre il sole sorgeva e riscaldava l’aria, ponendo una fine al freddo vento notturno. Se non fossero stati così presi dalla battaglia, i ragazzi si sarebbero accorti che ogni loro respiro si trasformava in nuvolette calde quando andava a contatto con l'aria fredda, e che tutto il sudore gli si stava congelando addosso; senza saperlo stavano rischiando di giocarsi la salute in mezzo al nulla e senza alcuna cura, pur di vincere quello scontro.
Il più energico e deciso era sempre Lenn, che non aveva la minima intenzione di aggregarsi all'Ordine dei Castigatori. Perseverava e parava tutti i colpi di Raphael, il suo attuale avversario, ma non riusciva a creare dei varchi o far abbassare la guardia all’avversario per contrattaccare. Ciononostante a volte riusciva ad usare la katana per ammaccargli la lucente e robusta armatura; non sapeva di che materiale fossero le loro corazze, ma era dannatamente ostico da tagliare.
Chad e Dawn invece giravano attorno ai compagni che combattevano nella polvere e cercavano di colpire da distante i rispettivi nemici, tentando anche di nascondersi o muoversi in continuazione per non diventare loro stessi dei possibili bersagli. Non avendo armi a corta gittata, il loro contributo nello scontro poteva essere dato solo da lontano. Non mancavano i tentativi di infilzarsi a vicenda, arrivando a puntarsi contemporaneamente in una vera sfida a chi scoccava prima il dardo; ogni volta riuscivano a schivare o deviare il colpo per un soffio.
Harù invece sembrava indemoniato, cercava con furia di aprire una breccia nell'enorme e robusto scudo di Ciel, ma i risultati erano scarsi. L’avversario era riuscito a fargli saltare i nervi parandogli qualunque lancio. Ogni volta che il ragazzo faceva levitare attorno a sé le lame per poi scagliarle contro il cavaliere, questo riusciva a pararle e farle riassorbire dalla superficie del suo scudo, per poi rilanciargliele. La scena si ripeteva più e più volte in modo inesorabile.
Rizo continuava a lanciare magie agli avversari e ad aiutare i compagni in difficoltà. Grazie al suo scettro dotato di lama sul fondo poteva attaccare usandolo come una lancia, e allo stesso tempo poteva decidere di allontanarsi abbastanza per farlo roteare ed evocare un nuovo incantesimo con una certa velocità.
Jao infine usava tutte le sue energie per combattere contro Air, che sembrava imbattibile; schivava ogni magia, parava tutti i fendenti e i tondi. Non solo, sembrava vedere anche le scoccate da lontano e spostarsi appena in tempo per salvarsi la pelle.
Il castano, come tutti gli altri, non aveva dormito, però sembrava accusare di più la stanchezza, tanto da riuscire appena a schivare e caricare un attacco abbastanza potente con la forza delle braccia. Nonostante fosse molto bravo nello scontro con la spada, sembrava veramente in difficoltà.
Lenn vide Jao da lontanto e notò questo sua difficoltà improvvisa, così decise che doveva assolutamente soccorrerlo.
Ma prima avrebbe dovuto mettere fuori combattimento Raphael, il quale sembrava testardo e deciso quanto lui. L'unico modo che aveva per disfarsi dell'avversario era giocare sporco, anche se l'idea non gli andva molto a genio; se non l'avesse fatto, però, nessun altro sarebbe riuscito ad aiutare Jao, gli altri erano già abbastanza occupati nei loro incontri impari. Decise di agire.
- Ti devo fare i miei complimenti, sei un ottimo spadaccino. - disse il ragazzo a Raphael. C’aggiunse pure un tono di affettata ammirazione.
- Modestamente, pochi riescono a combattere con due spade, a meno che non si siano allenati per anni. - rispose il cavaliere, vibrando un colpo alle gambe di Lenn.
Il ragazzo schivò l’attacco con un salto. - Però non è una tecnica invincibile... C'è un punto debole, secondo me. - disse.
- Davvero? E come potrebbe fare una persona a fermare un avversario tenendo d'occhio ben due lame contemporaneamente? –
In quel momento partì una sforbiciata; Raphael tese le spade verso l’interno, poi allargò le braccia di scatto e provò a tagliare di netto la testa di Lenn, che schivò tirando indietro completamente il capo.
- E’ facile. Così. -
Lenn distanziò una delle due spade di Raphael colpendo la lama con il pugno della mano libera, così da far vibrare all’indietro la spada nella sorpresa del proprietario, a cui sfuggì poi di mano; poi nella stessa mano evocò una sfera di fuoco Oscuro. Finito lo slancio del pugno di prima, fece ripercorrere la stessa traiettoria del pugno di prima alla mano, la dischiuse e lanciò il globo di magia contro il viso dell'avversario, accecandolo per qualche istante; quel tempo bastò perché Lenn potesse levargli definitivamente l’altra spada dalla mano destra colpendola leggermente. Fece una ruota a terra e si piazzò dietro di lui, gli diede un potente calcio alla schiena e lo fece cadere a terra. Infine poggiò un piede su di una sua spalla e lo immobilizzò, puntandogli la katana al collo scoperto.
- Allora? Ti è piaciuta la dimostrazione? - domandò beffardo.
Raphael non spiccicò parola, ma gli lanciò un'occhiata di fuoco.
Tenendo sempre la katana puntata al collo dell'avversario, Lenn raccolse una delle due spade cadute lì vicino, poi la utilizzò per trapassare l'armatura vicino ad una sua spalla, bloccandolo al terreno. Provò piacere nel constatare che almno una spada era in grado di trapassare quelle dannate armature.
Raphael provò a liberarsi, ma la sua stessa spada si dimostrava troppo resistente e ben piantata al terreno per lasciarlo libero.
Lenn lo lasciò lì e raccolse la seconda spada di Raphael, quella scagliata più distante, e la osservò. Era una spada molto pregiata, la lama era lucente e leggera, vari filamenti d'oro ricoprivano l'elsa, formando varie parole che però non riuscì a leggere perché troppo consumate.
- Questa mi serve. – disse. - Ma non ti preoccupare, te la restituirò appena possibile. - poi corse ad aiutare Jao.
Sfruttando l'elemento sorpresa, Lenn corse silenziosamente verso Air, che gli dava le spalle, stringendo entrambe le spade con forza. Appena gli fu dietro, saltò più in alto che poté, sollevò le braccia e le spade oltre la testa, poi le scagliò con tutte le sue forze sulle spalle di Air, cercando però di prendere anche la testa.
Il cavaliere gridò di dolore, la sua impenetrabile corazza era rimasta ammaccata dalla parte della katana e trapassata dalla parte della spada di Raphael, e la potenza del colpo vi era penetrata con forza. Lenn estrasse la spada che aveva preso dalla corazza, però non la trovò intinta di sangue. Atterrò al fianco di Air, poi con pochi agili balzi gli si piazzò davanti, vicino a Jao.
- Grazie per l'aiuto. - disse sorridendo il castano.
- Ma figurati! - rispose Lenn, tenendo gli occhi puntati su Air.
Si sentì la voce di Chad gridare. - Attento! -
Lenn si voltò istintivamente, e in una frazione di secondo vide dirigersi verso di lui una freccia infuocata. Nessuno avrebbe potuto deviare quel colpo, neanche Jao che gli stava affianco. Lenn spalancò gli occhi per la sorpresa, le fiamme del dardo si rispecchiarono nelle sue pupille nere. Inerme, chiuse gli occhi. Si costrinse a riaprirli, e nell'istante dopo un fulmine azzurro si scagliò sulla freccia, carbonizzandola. Lenn saltò indietro, spaventato per il fulmine che lo aveva quasi sfiorato.
- Uao, è il secondo colpo che ti annulla, Dawn. Non dovresti allenarti di più? - domandò Ciel da dietro il suo scudo.
- Taci! - esclamò il cavaliere con la balestra, innervosito.
Lenn si osservò, e vide che ancora una volta era ricoperto di scintille azzurre e veloci, che gli volavano attorno ed entravano e uscivano dall’aura emanata dal suo corpo. Il combattimento attorno a lui cessò, mentre tutti si concentravano silenziosamente su di lui, come a voler approfittare di un’occasione simile per una tregua.
- Io ho già visto magie del genere... Ma come fai ad utilizzarle? - gli domandò Air mentre si portava una mano alla spalla dolorante.
I cavalieri si fecero più vicini mentre ad affiancarli stavano gli altri ragazzi. Lenn indietreggiò istintivamente di qualche passo.
- Io non lo so. Mi capita. Di solito quando ricevo qualche stimolo emotivo abbastanza forte. - rispose Lenn.
- Come questo? -
Lenn sentì improvvisamente una mano fredda serrargli la gola, qualcuno lo aveva preso alla sprovvista avvicinandoglisi da dietro e sembrava proprio volerlo strangolare. Le scintille intorno a lui aumentarono quando sentì il panico e la rabbia montargli dentro. Preso alle spalle! Sentì la fredda punta di una lama appoggiarsi sulla sua dolorante schiena, il suo punto debole.
In quel momento cominciò a sentire il petto esplodere. Il suo corpo cominciò a reagire come a chiedergli altre energie per difendersi dall'attacco, ma ormai era stanco dopo l'intera nottata e la forza di volontà non bastava.
- Lascialo andare! - esclamò Jao, che si avventò sull'aggressore di Lenn.
Il castano venne però spinto da costui e per poco non cadde, per mantenere l'equilibrio dovette reggersi a Lenn, subito vicino a lui. La magia nel corpo del ragazzo dagli occhi neri sembrò quasi accorgersi che c'era stato un contatto con l’altra fonte di energie utilizzabili; come una sanguisuga e contro la sua volontà Lenn assimilò la magia a disposizione di Jao usando il suo braccio come ponte da un corpo all’altro, lasciandolo privo di tutte le energie. Lenn non fece niente di tutto questo volontariamente, però si sentì di nuovo al pieno delle forze nel giro di pochi secondi. Jao invece cadde a terra stremato.
La magia azzurra, che ora risplendeva più di prima, cominciò ad attaccare la mano dell'aggressore avvolgendola, e con grande facilità penetrò nell'armatura e ne assorbì altre energie. Questa volta però Lenn non sarebbe stato in grado di contenerla tutta nel suo corpo. Il ragazzo capì che quell’incantesimo che sembrava agire per ordine del suo corpo e non della sua mente lo aveva fatto caricare di forza vitale di proposito. Sentì l’animo al suo interno implodere per la magia in eccesso. Si scatenò un'onda, che potente uscì dal suo petto e travolse gli altri. La Luce che riuscì ad emettere durò poco, per far poi spazio all'Oscurità e infine alla magia misteriosa e color acquamarina. Sentì la presa al collo allentarsi velocemente, per poi lasciarlo andare del tutto. Cadde a terra, sfinito, quando l'onda di magia non era nemmeno ancora finita. Chiuse gli occhi.


Qualche secondo dopo e Lenn li riaprì. Vide il sole albeggiare sull'orizzonte. Attorno a lui vi erano i suoi amici e l'Ordine, tutti a terra, incoscienti. Ebbe le forze per sollevarsi su con le braccia, ma non riuscì a mettersi in piedi. Vicino a lui stava Jao, svenuto come tutti gli altri, e dietro di lui Ciel, il suo assalitore. Respirava a fatica, sentiva ancora il dolore della stretta ferrea del cavaliere sul collo. La sua carica e l'esplosione erano durate pochi secondi, ma gli effetti lo lasciarono stupito e anche spaventato. Si rialzò in piedi a fatica, deciso a soccorrere i suoi amici. Alla sua sinistra vide Air muoversi, mentre si riprendeva. I due si fissarono, quando il cavaliere sollevò la testa. Lenn gli sorrise beffardo nonostante la stanchezza, poi si chinò e cercò di esaminare le condizioni di Jao. L'amico sembrava non avere ferite gravi, e l'esplosione doveva avergli solo fatto perdere i sensi per il colpo.
- Sei molto più pericoloso di quanto credi. - disse Air.
Lenn fece finta di non ascoltarlo, e si rialzò per andare a controllare anche lo stato di Harù.
- Saresti un degno membro dell'Ordine dei Castigatori, noi saremmo capaci di sfruttare i tuoi poteri e aiutarti a controllarli. So che la tua non è stata una magia volontaria. - continuò il cavaliere.
- Abbiamo vinto noi. Sono l'unico ancora in piedi. Non potete portarmi con voi. - rispose freddo Lenn.
- Lo so... – disse ancora Air. - Infatti non ti sto obbligando, la mia è un’offerta. -
- La risposta è no. -
- Ne sei sicuro? -
Lenn volse lo sguardo sul cavaliere, poi gli si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi. - Voglio stare con i miei amici, nient’altro. Non ho bisogno del vostro aiuto. –
- Come vuoi tu. - disse il cavaliere.
- Appena vi riprenderete, andatevene via e lasciateci in pace, come avevamo pattuito. - aggiunse Lenn.
- Certo. - disse Air, guardando l'orizzonte - E' stata una bella battaglia, avete fatto progressi dal nostro primo incontro. -
- Grazie. - rispose Lenn.
La discussione finì lì, senza aggiungere altre parole che sarebbero state inopportune o inutili.
Dopo un po’ tutti quanti si ripresero e tornarono in piedi, anche se sfiniti. I due gruppi rimasero assieme per tutta la giornata, senza però scambiarsi alcuna parola e con le armi nei loro foderi, senza alcun timore di venir aggrediti un’altra volta. Al tramonto infine l'Ordine dei Castigatori ripartì e prese un'altra direzione. Non ci furono né addii né arrivederci, tutto si svolse nel silenzio e nella tranquillità generali.
Lenn non parlò nemmeno con i suoi amici, però. Rimase a pensare tutta la notte; alla sua magia, all'Ordine, ai suoi amici, a casa sua. Tutto quanto gli affollava la mente e lo rendeva confuso, non sapendo più come collegare tutte quelle cose ed emozioni diverse. Tutto però tornò calmo e tranquillo nel suo animo quando osservò nel buio il suo giglio e quando strinse il suo piccolo vaso di legno intagliato al petto. Si addormentò dolcemente con il suo bel fiore accanto, finché non sorse di nuovo il sole per svegliarlo.
Guardando l'alba, si sentì come rinato. Volse uno sguardo al deserto non ancora bollente, e sperò che un giorno sarebbe riuscito a capire cosa fosse quella magia anomala, quella cosa che lo rendeva così potente e devastante, quasi un mostro. Quella forza che continuava a spaventarlo di volta in volta per le sue conseguenze pericolose. La melodia del flauto che aveva sentito nella villa tempo addietro allora si ripresentò nella sua mente ancora una volta, e lo accompagnò per il resto della giornata, mentre cercava di canticchiarla e ricordarsi dove l’aveva già sentita. Perché era sicuro che quella melodia la conosceva già, ma non si ricordava chi gliela suonò.

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Capitolo 27
*** Capitolo 7 - Una notte movimentata, Vicino e Lontano (Parte III) ***


(NdA: Lettori, questo è l'ultimo capitolo che posto prima delle mie vacanze... Mi prendo una pausa e mi allontano dal pc per un po', ma spero di ritrovarvi a Settembre! Buone vacanze a tutti! ^_^)
(NdA2: Scusate se il dialogo nella parte finale sembrerà un po' surreale... Ma avevo materiale di base scarso e ho semplicemente migliorato alcune cosine quando l'ho riscritto; gli darò una migliore sistemata in futuro. Credo di essere l'unico autore che fa andare i propri personaggi OOC. Sono un genio.)



Capitolo 7
Una notte movimentata, Vicino e Lontano
Parte III





Il sole, come da ormai tanti giorni, non lasciava un attimo di tregua ai viaggiatori sotto di lui, cercando di ucciderli con i raggi più caldi che aveva conservato per la fine di Agosto. Davvero crudele, il sole.
Inoltre, da due giorni l'acqua era finita, ne rimaneva solo qualche sorso bollente. Tra tutti i cinque ragazzi Lenn era quello che soffriva di meno, perché durante il suo addestramento era rimasto più di una volta senza cibo né acqua per giorni come punizione o per rinforzarlo. Ma i suoi amici non avevano subìto lo stesso trattamento, e ad ogni passo sembravano sul punto di perdere i sensi. Lenn ce l’aveva soprattutto con Jao, la causa principale di quella loro situazione. Era stato lui ad insistere tanto perché si fermassero più spesso per riposare, e lì per lì tutti gli avevano dato retta. Ma il loro sollievo era stato nient’altro che effimero, dato che ora si trovavano indietro con la tabella di marcia e assetati, nonché in pericolo di vita.
Ma i problemi all’ordine del giorno erano tanti, una lista.
Da quando i ragazzi si erano divisi dall'Ordine dei Castigatori, nessuno aveva osato avvicinarsi a Lenn, che era rimasto carico di magia anomala per un bel po’ di tempo, tranne Rizo; il biondo si divertiva ad infastidirlo e ad afferrarlo per il collo nel gesto di strangolarlo, nel dispettoso tentativo di farlo di nuovo sovraccaricare come l'ultima volta, o rammentargli come si era fatto prendere alla sprovvista. Ormai Lenn era diventato l’oggetto del suo divertimento. Le lezioni di Elfico iniziate settimane addietro erano scemate e poi andate a farsi benedire, perché il ragazzo ormai s’era ridotto a fare lezione a pessimi alunni che il caldo rendeva ancora meno concentrati del solito; ma non poteva biasimarli per questo.
In materia di disgrazie, Jao era proprio quello messo peggio. Negli ultimi giorni il castano si era indebolito più degli altri, e ogni notte la febbre lo sorprendeva e lo tormentava. Era arrivata così, dal nulla; forse gli sbalzi di temperatura continui avevano giocato un brutto scherzo al suo fisico tutt’altro che robusto. Lenn avrebbe voluto curarlo, ma non aveva niente con sé che potesse aiutarlo, non avrebbe neppure saputo dove cercare le piante mediche necessarie per le tisane, in mezzo a quel dannato deserto.
Ridotti in questo stato, giorno dopo giorno i ragazzi avevano marciato senza quasi mai sostare. Dopo le solite ore passate senza trovare nulla di edibile o bevibile, stavano per gettare la spugna.
Fu così fino a quando, ad un certo punto, Chad scorse qualcosa di verde all'orizzonte, che cangiava al confronto del colore secco e sbiadito della terra desertica.
- Laggiù ci sono degli alberi! - esclamò.
- Davvero? - domandò Harù aguzzando la vista, meno acuta del compagno.
Lenn strizzò gli occhi e guardò insistentemente la linea dell’orizzonte. - Sì, li vedo anch'io. Sembrerebbe che ci siano degli alberi, laggiù. Anche se non vorrei essere affrettato, eh. -, disse poi, sollevato. – Potrebbe essere il nostro colpo di fortuna. Di solito, dove ci sono alberi, c'è anche acqua. –
- Acqua! Vi prego, non ditemi che è un miraggio! - supplicò Chad.
- Non credo, lo vediamo tutti. - rispose Rizo.
Lenn, a quel punto, prese in mano la situazione. - Muoviamoci, forse troveremo una pozza o una falda sotterranea riemersa per abbeverarci. – disse. Dopodiché cominciò a camminare spedito. Anche lui aveva molta sete.


Arrivati a quella che in effetti era un'oasi rigogliosa in mezzo al torrido deserto, gli uccelli lì vicino vennero disturbati dalle urla di esultanza degli Stregoni viaggiatori. Come tutti avevano sperato, tra le palme, i cespugli e altre piante enormi ed ombrose, trovarono un laghetto alimentato da una falda acquifera abbastanza grande da poter soddisfare anche un branco di Draghi assetati.
Lenn corse sino alla sponda più vicina e immerse le mani nell'acqua pura e limpida, e cominciò a bere avidamente, soddisfacendo finalmente la sua sete; Jao gli si affiancò.
Invece Rizo, Chad e Harù buttarono a terra tutti i loro bagagli, presero la rincorsa e si tuffarono a palla di cannone in acqua, completamente vestiti, alzando un'onda che investì in pieno i due.
Lenn si asciugò il viso, irritato. - Uscite subito da lì, intorpidite l'acqua! –
- Ma si sta così bene... - disse Chad, immergendosi poi del tutto nell'acqua fresca.
- Lasciali stare Lenn, sono stanchi. - affermò Jao, dandogli una pacca sulla spalla.
- Anzi, sai che faccio? - aggiunse sorridendo. In pochi secondi si tolse la camicia, rimanendo a torso nudo, sfilò i sandali, e si tuffò anche lui in acqua per far compagnia agli altri.
Lenn sbuffò, sempre più irritato. Ormai era l’unico rimasto fuori e non aveva nemmeno intenzione di tuffarsi. Non in quel momento, almeno.
- Dai, l'acqua è freschissima, tuffati anche tu. - gli gridò Harù dalla sponda opposta.
Tutti i ragazzi si tolsero i pesanti indumenti bagnati, li poggiarono sulla riva e cominciarono a nuotare.
- Spogliati e vieni pure tu, avanti. - insisté Chad nuotandogli accanto.
Lenn incrociò le braccia, mettendo quasi il broncio. - Io non mi spoglio. - affermò.
- Uh, Lenny si vergogna! - lo canzonò Rizo.
Il diretto interessato si sentì ferito nell'orgoglio, ma non rispose; si limitò a lanciargli un sasso che per suo dispiacere non lo colpì in testa.
Jao sorrise guardando i due, poi si avvicinò alla riva e uscì fuori dall'acqua. Lenn lo osservò mentre gli girava intorno apparentemente tranquillo. Poi sentì una spinta inaspettata e decisa, che lo fece cadere direttamente in acqua. Non ebbe nemmeno il tempo di darsi a qualche esclamazione colorita.
Ma quando riemerse riuscì ad imprecare, scostandosi i capelli che ormai erano troppo lunghi dal viso. Si alzò un coro di risate, ma non derisorie. Bella figura dello scemo, pensò lì per lì.
Poi il ragazzo li osservò, e si lasciò scappare un mezzo sorriso. Non poté evitare di immaginarsi mentre cadeva come un sacco di patate in acqua, e condivise l’ilarità degli altri. In effetti, faceva ridere. E così, rise. Non si rese nemmeno conto che era la prima volta che lo faceva.
Gli altri, infatti, al sentire la sua risata per la prima volta da quando lo avevano conosciuto, si zittirono per ascoltare. La sua risata, che somigliava un po’ ad un singhiozzare, era calda e sincera; non poterono fare a meno sorridere a loro volta, udendola.
Lenn, dopo essersi accorto degli sguardi puntati su di lui, smise subito, imbarazzato.
I cinque si osservarono per qualche secondo, silenziosi, infine risero di nuovo.
L'acqua aveva riportato loro il buon umore, e nei minuti seguenti anche la febbre di Jao parve sparire. Si schizzavano a vicenda, si tuffavano, bevevano come non lo facevano da tempo.
Finito il bagno ristoratore misero ad asciugare i loro vestiti e rimasero a sonnecchiare sotto le fronde delle palme lì vicino.
Ma purtroppo il sollievo e la quiete durarono poco; durante quella notte, le condizioni di Jao peggiorarono.
- Che facciamo? Non possiamo proseguire se Jao è in quelle condizioni. - disse Chad.
- Dovremo rimanere qui finché non sarà guarito, è chiaro. Non è in grado di uscire da qui senza rischiare grosso. - affermò Harù.
- Beh, qui almeno abbiamo tanta acqua a disposizione e i frutti degli alberi da mangiare. - disse Rizo.
- E meno male! - aggiunse Harù.
- Abbiamo avuto molta fortuna nel trovare questo posto. -
Mentre gli altri discutevano accanto al falò, Lenn era rimasto accanto a Jao. Il castano si era sistemato sotto una spelonca, avvolto nel suo sacco a pelo; gli occhi serrati e i fremiti lasciavano trasparire che soffriva e sentiva freddo, ma s’era rifiutato di mettersi accanto al fuoco perché aveva detto che lì avrebbe sentito troppo caldo, invece. Non voleva nemmeno la compagni di qualcuno, quasi come se la stanchezza e la sofferenza fossero le uniche cose su cui si riuscisse a concentrare.
Solo Lenn era riuscito ad avvicinarglisi, cose che gli diede la possibilità di vigilare su di lui.
Il ragazzo si avvicinò al malato e posò la fronte sulla sua per provare a farsi un’idea sul suo stato. Scosse la testa, preoccupato. Peggiorava sempre di più, da quello che poteva vedere; anche se Jao insisteva, nonostante tutto, nel dire che sarebbe stato presto meglio e che non dovevano interrompere il cammino per lui. Lenn però lo aveva semplicemente ignorato, pensando invece ad un modo per curarlo, o farlo stare meglio.
Pensò che, tra tutte quelle piante, probabilmente qualche fiore o felce adatto allo scopo poteva esserci; di piante curative, come quelle velenose, ne conosceva molte.
Andò da Harù, vicino al fuoco.
- Mi serve il tuo aiuto. – disse. Si rivolse a lui perché lo riteneva il più sveglio.
Il ragazzo sembrò trasalire per essersi visto sbucare Lenn dalle spalle. – C-che dovrei fare? – gli chiese questo, disponibile come al solito.
- Seguimi. -
Detto questo, si fece reinghiottire dal buio. Harù lo seguì senza fare storie, cose che invece Rizo o Chad avrebbero fatto. Si affiancò all’amico.
- Jao non può migliorare in fretta se non riceve le giuste cure, anche per una comune febbre. – disse Lenn. – E se c’è qualcosa che ci manca, è proprio il tempo. –
- E quindi a cosa hai pensato? –
- C’è una vegetazione abbastanza varia, qui. Mi devi aiutare a cercare delle erbe che possano essere d’aiuto. -
- Dimmi che faccia hanno, e te le trovo. –
Lenn sorrise compiaciuto. Magari tutti i suoi compagni fossero stati così; sarebbe stato tutto più facile. Nei due minuti seguenti si mise a descrivere alcune piante tipicamente desertiche che potevano fare al caso loro, mentre già rovistava tra i cespugli e setacciava il terreno.
- Ci vedi al buio? – gli chiese.
- Non molto. – rispose Harù.
- Allora usa il tatto. Appena senti pungere e sei sicuro che non sia un cactus, chiamami. –
I due si misero a cercare. Lenn, per fortuna, trovò presto una delle piante che gli interessavano e la mostrò ad Harù. Dopo un po’ gli disse di continuare senza di lui.
A quel punto, Lenn si procurò una piccola pentola di rame, la riempì d’acqua nel laghetto e ritornò al falò, mettendo poi a bollire l'acqua sul fuoco acceso da lui stesso. Le fiamme erano normali, anche se a volte si scurivano e diventavano in parte Oscure, una sua firma. Stava migliorando, ma la padronanza della Luce era ancora un’arte lungi dall'appartenere a lui.
- Che fate? – gli chiese Chad.
- Troviamo una soluzione al problema. –
- Grazie, ma secondo me sei stato troppo esplicativo. – disse ironico il nero.
Lenn ringhiò sommessamente. – Preparo un infuso per Jao e Harù mi aiuta a cercare l’occorrente. Ti va bene così? –
Chad non rispose, fece finta di interessarsi all’acqua che bolliva.
Si sentì la voce di Harù provenire dal buio. - Ecco Lenn, le ho trovate! –
Nella foga di raggiungerlo non vide un sasso ed inciampò. Gli cadde addosso per sbaglio e lo spinse in avanti.
Per la seconda volta in quella giornata, Lenn cadde senza aspettarselo, ma davanti a lui c'erano le fiamme e non un fresco specchio d'acqua. Mise istintivamente le mani in avanti e chiuse gli occhi. Sentì la mano destra attutire la caduta e toccare il terreno morbido, la sinistra invece toccò qualcosa di duro, che però si frantumò e diventò polvere sotto il suo peso. Quando aprì gli occhi vide che quelli che aveva sentito disfarsi sotto il suo peso erano i pezzi di legno carbonizzati e le braci che alimentavano il fuoco.
Sorpreso, rimase a fissare la mano incolume tra le fiamme, senza avvertire alcun dolore. Con circospezione ritirò la mano, e si rialzò. Gli altri lo guardavano sorpresi mentre le scintille azzurre gli guizzavano attorno alla mancina come per proteggerla. Lenn tentò di riavvicinarsi alle fiamme, ma si scottò leggermente un dito.
Sempre più confuso, ritirò un’ultima volta la mano. Accadeva di nuovo l’impossibile e lui non sapeva nemmeno come aveva fatto. Sollevò lo sguardo. – Che avete da fissare? – disse, irritato.
Sia Chad che Harù distolsero lo sguardo in silenzio. Rizo s’era addormentato, quindi non s’accorse di nulla.
Lenn odiava certi sguardi: lo facevano sentire un fenomeno da baraccone, come stava cominciando a pensare lui stesso. “C’è davvero qualcosa che non va, in me.” si disse. In quel momento pensò a suo zio. Era da tanto che il vecchio non gli tornava più alla mente. Mentre lo torturava, gli aveva detto qualcosa sul fatto che lui fosse diverso… o pericoloso, o sbagliato, non ricordava bene.
Harù lo riscosse posandogli una mano sulla spalla e porgendogli con l’altra le erbe che gli aveva chiesto. – Tieni, fa guarire Jao. –
Lenn le prese, rivolgendogli uno sguardo di ringraziamento, soprattutto perché fece finta di niente su quello appena accaduto.
- Credo che dovremmo andare tutti a dormire, è stata una giornata bella piena. – aggiunse poi il ragazzo dagli occhi azzurri.
Chad diede ancora una fugace occhiata alla mano di Lenn per assicurarsi che fosse ancora integra dopo un bagno nelle braci, poi disse: - Sì, credo che dovremmo riposarci. –
- Voi dormite pure, io preparo l'infuso per Jao. Poi magari vi raggiungo. - disse Lenn.
- Va bene, buonanotte. - disse Harù, avviandosi alla tenda che avevano montato qualche ora prima. Chad lo seguì a ruota.
Lenn si riaccovacciò vicino alle fiamme e si domandò cosa fosse successo, mentre le erbe rimanevano immerse nell'acqua bollente del pentolino.
La prima volta la sua mano era uscita intatta dalle fiamme, la seconda invece si era scottato, com'era giusto che sarebbe dovuto accadere. Quella notte però era troppo stanco per farsi ulteriori domande complicate.
Quando la tisana fu pronta, versò il liquido bollente in una ciotola e la portò a Jao.
- Fa schifo. – disse il castano dopo averla assaggiata.
- Bevila comunque. –
Lenn si accucciò accanto a lui, a fissare il buio.
- Non devi pensare male di te stesso. – aggiunse inaspettatamente Jao.
- In che senso? – gli domandò Lenn.
- Non pensare negativamente ai tuoi poteri. Secondo me sono una cosa nuova che ti rendono speciale. –
- Magari. Hai visto che è successo con il Team Speed, no? Non so usare questa magia, potrei fare seriamente del male a qualcuno. Voi ci siete di mezzo. –
- Prima o poi capirai come gestirla, ne sono sicuro. Tu vorresti farlo, no? –
- Beh, certo. –
- Possiamo stare tranquilli. Quando sei deciso a fare una cosa, la fai e basta. –
Lenn sorrise. – Hai ragione. –
Jao accennò un sorriso stanco, poggiando la ciotola a terra. - Grazie per la tisana, speriamo che faccia presto effetto. –
- Ah, ne dovrai bere ancora un bel po’. Comunque, prego. –
Jao assunse un’espressione schifata, ma non si rimangiò quello che aveva detto. Si distese e si chiuse ancora di più nel sacco a pelo.
- Io dormo, tu che fai? –
- Ti seguo volentieri. –
Detto questo Lenn si distese su di un fianco, senza allontanarsi da Jao; aveva intenzione di tenerlo d’occhio durante la notte.
Dopo poco si addormentarono entrambi, stanchi. Così stanchi che Lenn si dimenticò di formulare l’incantesimo che ogni notte lanciava sulla sua stessa mente, per evitare di sognare. La sua mente così vagò libera e incontrollata, ma soprattutto vulnerabile.


"Lenn.", lo chiamò una voce nel buio. "Rispondi alla chiamata."
Lenn aprì gli occhi, e notò che era circondato dalle tenebre, sospeso nel vuoto; l’oasi in cui stava dormendo era svanita. Si diede immediatamente dello stupido, capendo solo dopo che quella era una comunicazione telepatica. Qualcuno stava cercando di comunicare con lui con la forza di volontà, l’anima e quel po’ di magia necessaria; e la magia che sentiva non era gradita.
Alzò lo sguardo, vide davanti a lui l'uomo che da tempo detestava, il suo Maestro, suo zio. Anche lui avvolto dalle tenebre, una presenza eterea.
"Che cosa vuoi?" disse senza nascondere la sua irritazione.
"Dopo giorni di tentativi sono riuscito a penetrare nella tua mente, Lenn. Ti sei ripreso appieno dal nostro ultimo incontro.” disse con fare tranquillo. Quel suo modo di fare lo disturbava ancora di più.
Odio ripetermi. Ma cosa vuoi?
Dicendolo cercò di dominare anche lui i suoi sentimenti sopra ogni cosa.
Volevo solo dirti addio." rispose lo zio.
Stronzate!” sbottò a quel punto il ragazzo. Solo dopo cercò di controllarsi: "Addio? Solo questo?" disse allora. "Sento puzza di bruciato."
"No, devi credermi. Volevo solo salutare il mio nipote che, dopotutto, possiede comunque una parte del mio sangue nelle sue vene. Mi sembrava tristo lasciare tutto in sospeso e non poter salutarti come meriti.” A quel punto, fece una pausa. “Un guerriero caduto ha sempre bisogno di essere salutato come si deve.
Caduto ‘sto cazzo! Lo sapevo dove volevi andare a parare.” rispose Lenn, arrabbiato. “Io non ho fatto altro che liberarmi! Che uomo è colui che è schiavo?!
Ormai sei libero e la tua mente è stata corrotta da quei ragazzetti che tu chiami amici, e purtroppo non ci sarà modo per cambiare le tue idee, non mi servi più. Non sei più l'assassino che avevo addestrato, sei un ragazzo qualsiasi. E soprattutto, debole. Per me, è come se tu fossi morto " spiegò lo zio. “Infatti non sono qui per fare ciò che credi, tanto morirai comunque molto presto. Un solo saluto, è quello che voglio farti.
Lenn non era convinto delle sue intenzioni, senza considerare il fatto che continuava a parlare in modo sgradevolissimo. C’era qualcosa che non quadrava. "Tsk, una saluto… E come posso fidarmi di te e crederti? Non mi hai raccontato altro che bugie per una vita." rispose Lenn.
"Non ti disturberò più perché ti conosco fin troppo bene Lenn. Sei identico a quello scapestrato di tuo padre. Che gli Dei ti perdonino per questo."
Sentendo nominare per la prima volta il padre dallo zio, Lenn si stupì leggermente: ma poi la sorpresa lasciò il posto all'ira. Ecco dove voleva andare a parare; ma cosa intendeva dirgli con quell’allusione a suo padre?
"Mi chiedo cosa diavolo passasse per la mente dei miei genitori quando mi lasciarono davanti a casa tua.", disse, mettendo in ballo un argomento che lo interessava da vicino. "Mi hanno condannato ad una vita orribile, e me ne sono reso conto fin troppo tardi."
"Tuo padre...", mormorò irritato lo zio, "Lui era la pecora nera della famiglia, e tu sei identico. Forse sei un po’ più spinoso e introverso, ma avete gli stessi modi di pensare. Si era rifiutato di diventare un assassino e non aveva seguito la tradizione della nostra famiglia, pensava che gli amici fossero la cosa più importante, o la giustizia, o l'onestà, o l’amore!" sbottò l'uomo, preso da un moto di collera. “Era un debole, come le idee con cui si costruiva gli ideali!
Detto questo, prese un bel respiro. Entrambi facevano fatica a contenersi. L’odio tra nipote e zio era qualcosa di molto profondo; se in quel momento fossero stati faccia a faccia, si sarebbe di sicuro passati dalle parole ai fatti. Ma per fortuna c’erano centinaia di miglia a dividerli.
"Ho fatto di tutto per crescerti diverso da lui, ma appena ti ho lasciato andare è riemerso il suo dannato carattere."
Lenn strinse i pugni, ma non fiatò. Si limitò ad ascoltare.
"L’ho sempre odiato: era stato scelto come erede, eppure era così ostinato nel voler andare contro corrente! Un giorno è partito dicendoci che non avrebbe continuato la tradizione di famiglia, che avrebbe vissuto in pace e lontano da noi. Cercai di convincerlo a ripercorrere i suoi passi, ma lo persi del tutto quando scoprii che nel frattempo aveva conosciuto a nostra insaputa una donna, e che voleva fuggire con lei..." lo zio scrutò Lenn dall’alto in basso. Poi concluse: "Scappò con quella che poi divenne tua madre."
Lenn si sentì turbato dal sentir parlare il vecchio di sua madre, specialmente con quel tono.
"Hai i suoi stessi occhi e il suo stesso sguardo. Era bellissima...Tuo padre se ne innamorò perdutamente, e non gli avevo nemmeno dato torto. Decise di andare con lei verso l’ignoto e si nascose da noi."
"Ma perché mi hanno lasciato con te? Perché non mi volevano?" domandò Lenn, che non capiva molto in quella storia. Per lui era tutto molto confuso, e si sentiva emozionato sentendo parlare dei suoi genitori, anche se suo zio gli aveva insegnato ad odiarli proprio perché lo avevano spregevolmente abbandonato. Tuttavia, ora non si fidava nemmeno tanto di quello che il vecchio poteva dirgli, quindi doveva soppesare tutte le informazioni con attenzione.
L'uomo sorrise. Poi si mise a ridere. "Sapessi, Lenn... sapessi..." disse. Continuò a manifestare la sua ilarità, senza accennare a proseguire.
"Sei un bastardo, dimmelo!" insistette il ragazzo.
"Non ti scaldare, Drago..." disse lo zio, calmandosi. "Anzi, tu non sei più uno di noi" si corresse, deciso ad infierire.
Lenn fremette per la rabbia, ma cercò di mantenere l'autocontrollo. Per fortuna, almeno nei sogni non c’era il persistente dolore alla schiena a rincarare la dose di rabbia che di solito nutriva nei confronti di quell’uomo. Meglio mostrarsi lucido e pensare a ciò che contava veramente. "Come sta Lia?" chiese quindi.
"Non lo so e non m’importa. Per me potrebbe essere anche morta, non farebbe differenza." rispose l'uomo.
Lenn rimase interdetto. Come mai il Maestro non era a conoscenza delle condizioni di Lia? Forse stava mentendo?
Se le hai fatto del male giuro che vengo a cercarti e ti ammazzo!” intimò allora.
Tsk, dopo il tuo misero fallimento nella tua prima missione, dubito che ce la potresti fare.
Ti lascerò l’onore di essere il mio primo omicidio.
L’uomo ridacchiò. “Oh, allora ti aspetterò, Lenn. Se riesci a trovarmi, avrai tutto il diritto di fare di me ciò che vuoi. Lo giuro sul mio Clan.
I tuoi giuramenti non valgono un cazzo!
Ma almeno io ho un Clan su cui giurare, no?
Lenn non rispose. Odiava quell’uomo più di qualsiasi altra cosa al mondo!
"Ma dimmi, come stai tu?" domandò lo zio, come se nulla fosse.
"Che ti frega?"
"Non ti è capitato niente di strano in questo periodo? Magia incontrollata, sbalzi d'umore, stanchezza?" indagò l'ex maestro.
Lenn lo guardò sospettoso. "Cosa ne sai tu della mia magia incontrollata?"
"Oh, allora ho fatto centro..." affermò compiaciuto l'uomo.
Lenn gli rivolse uno sguardo irato, gli stava sfuggendo qualcosa. "Ho detto: cosa ne sai tu della mia magia incontrollata?" insistette.
"Assolutamente niente, ma lo immaginavo..." disse pensieroso lo zio.
Dopo qualche secondo di silenzio pieno di tensione, il vecchio riprese a parlare "Manca sempre meno al tuo diciassettesimo compleanno, eh?" disse sorridente.
"E questo cosa c'entra?" domandò perplesso il ragazzo.
Tra poco sarai un uomo. Ma io mi chiedo: che razza di uomo può essere una persona come te?
Migliore di te sicuramente, bastardo!
"Tsk, non credo. Ma spero che riuscirai a sorprendermi se mai ci rivedremo. " rispose lo zio.
Subito dopo, la figura dell'uomo cominciò a svanire come fumo davanti a Lenn; l’unione telepatica stava svanendo. "Aspetta!" gridò il ragazzo. "Dimmi dove sono i miei genitori!"
Lo zio lo guardò con severità e quasi disprezzo, poi si voltò. "Scoprilo. Addio, Lenn."
"No!"
Lenn tentò di mantenere il contatto, ma la sua mente era troppo debole, troppo impreparata; così, quando chiuse gli occhi e li riaprì si ritrovò di nuovo nell'oasi, vicino a Jao.
Era notte fonda, le stelle brillavano sulla sua testa. Si portò una mano al viso e si accorse di essere sudato.
Aveva il fiatone, e il cuore gli martellava forte nel petto. Trovò solo le forze per mormorare: - Io ti troverò, zio... -

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Capitolo 28
*** Capitolo 7 - Una notte movimentata, Vicino e Lontano (Parte IV) ***


[NdA: Ecco l'ultima parte del capitolo 7! Era ora, direi! Passate belle vacanze? Io sì, anche se sono stata oberata di lavoro, tra compiti e altra roba riguardo a questa storia che mi sono autoimposta di fare. Ma parliamo di questa parte! Allora, ci sarebbe da dire che questo pezzo di storia praticamente l'ho dovuto riscrivere da cima a ciondo perché faceva schifo. Tipo che sembrava il riassunto di quello che vi accingete a leggere. Questo capitolo, il 7 tutto intero, è in sé un capitolo abbastanza importante, perché è pieno di indizi e altri accenni che mi aiuteranno a stendere le basi degli eventi futuri, anche se non vale proprio il premio Strega. Perché, forse non si sa, ma io sono una persona estremamente pignola e minuziosa; quindi al momento lo stile non è perfetto, però ha già tutti gli elementi per creare la trama complessa che ho in testa, e non ho omesso nulla. Quindi, almeno su questo punto di vista, non dovrò tornare a correggere errori di coerenza o cose simili. La storia è bell'e questa, anche se ancora immatura. Dovrò far fuori tutte le ripetizioni e le frasi dolorosamente contorte; non so perché, ma a volte mi escono fuori delle cose così strane che risultano incomprensibili in modo imbarazzante.
Penso che terrò la finestrella dei miei commenti noiosi a inizio capitolo, mi piace parlare a vanvera. Buona lettura!]



Capitolo 7
Una notte movimentata, Vicino e Lontano
Parte IV





Dopo quattro giorni di sosta forzata nell'oasi, la noia regnava sovrana. Tutti e cinque i viaggiatori stavano stravaccati sotto le palme per usufruire di tutta l’ombra possibile.
Chad era riuscito addirittura ad addormentarsi poco dopo essersi seduto sotto ad un albero; Harù s’era scelto un punto vicino all’acqua e non si era più schiodato, guardava davanti a sé, pensoso; Rizo giocava con un mazzo di carte che aveva rubato in una tavola calda un po’ di tempo addietro. Lenn invece, che mal sopportava il caldo, cercava di fare il meno possibile per non sudare troppo. Regnava il silenzio, tanto che l’oasi sarebbe anche potuta essere disabitata.
Quella loro sosta prolungata era causata da Jao, il quale guariva molto lentamente nonostante le cure e gli infusi che Lenn gli preparava. Durante la sua vita in reclusione, quest’ultimo aveva imparato ad usare le piante mediche e quelle velenose; in principio avrebbe dovuto usare quell'abilità per far bene il suo lavoro di assassino, come rendere avvelenate le medicine e i cibi aggiungendo pochi e apparentemente irrilevanti elementi, in modo da far secca al primo colpo la vittima. La sua istruzione gli tornava sempre utile, in un modo o nell’altro, che gli piacesse o no. Non sopportava il fatto di dovere il recupero della salute di Jao agli insegnamenti di un uomo come suo zio. Non sembrava riuscire a togliersi dalla testa i pensieri che riguardavano il suo vecchio mentore.
In quei giorni aveva parlato meno del solito, non se la sentiva; era rimasto turbato dalle parole dette dallo zio qualche notte prima, e continuava a farsi centinaia di domande che purtroppo non parevano avere risposta. Da quando aveva lasciato casa sua non aveva più certezze, solo domande. Ma quella più martellante e per lui di maggiore rilevanza in quel momento era una sola: dov'erano i suoi genitori?
Poi venivano le domande: chi erano?, com'erano?, si erano dimenticati di lui e Lia, i loro figli?
Spesso sentiva i suoi amici parlare delle loro famiglie con malinconia, perché non erano con loro; e tutte quelle storie, quegli aneddoti, quelle parole affettuose o divertite che dicevano… Erano ciò di cui era più invidioso. Parlavano di una vita che lui non aveva mai avuto, ma che doveva essere molto piacevole. Lui invece non sapeva nemmeno che fine avevano fatto, i suoi genitori. Gli sarebbe piaciuto almeno vederli, sapere com’erano; Lia gliene aveva parlato spesso, ma non si ricordava nulla, non aveva prestato molta attenzione alle frasi che parlavano di ombre che nella sua vita non c’erano mai state. Aveva tanti rimorsi, anche riguardanti Lia; finché era con lei, avrebbe dovuto proteggerla, ascoltarla, pensare al suo bene. Ma era troppo accecato da quel maledetto maestro per poter concentrarsi sulle cose importanti. Odiava avere rimorsi.
Si piegò in avanti e si mise la testa fra le mani, dandosi dello stupido.
Si accorse solo dopo che Jao era sbucato da chissà dove per poi andarsi a sedere a gambe incrociate al suo fianco. Jao, per consolarlo, diceva sempre che non doveva guardare troppo al passato, perché ormai non ci poteva fare più niente, ma che doveva tentare di dare il meglio di sé per il futuro. Il futuro però non appariva tanto pieno di salute, per lui. Lo guardò e ricambiò il suo sguardo. Il viso del castano era pallido nonostante il sole abbronzante, munito di borse sotto gli occhi; respirava lentamente e deglutiva con cautela, probabilmente gli bruciava la gola; ma quello era un effetto collaterale delle erbe che prendeva.
Nonostante tutto ciò, avrebbe potuto affrontare il viaggio, perché lui lo voleva, ma nessuno aveva intenzione di rischiare e farlo di nuovo peggiorare, perché poi non sarebbero stati tanto fortunati da trovare un'altra oasi.
Il ragazzo stringeva tra le mani un piccolo calamaio pieno di inchiostro nero. Tolse il tappo, vi intinse il dito e poi, lasciando a terra il calamaio e prendendo un grande sasso, cominciò a disegnarci sopra. Sotto il suo dito presero forma animali e parole magiche di tutti i tipi. Su di un sasso disegnò una sottospecie di giraffa, ma era terribile; sul retro scrisse: “A iko talun, kaelo taire canthare.
- Un collo lungo per sbirciare nel cielo più alto. – disse tutto contento. – Era la frase di una vecchia filastrocca che cantavamo noi bambini. –
Il ragazzo poi gli sorrise, per quel tanto che riuscì senza far trasparire il fatto che non si sentiva bene. Si rimise a disegnare su di un altro sasso. Lenn lo osservò mentre quello che prendeva forme nell’inchiostro tracciato era un serpente, poi una lucertola, ma con l’aggiunta delle ali diventò un Drago. Girò il sasso e scrisse una frase. Poi la lesse ad alta voce.
- A ry-yzard, aimar khar ii-ithare.
Lenn tradusse: - Delle ali potenti, per volare dalle persone che amiamo. –
Jao gli rivolse un sorriso. – Esatto. – disse. – Lo conosci davvero molto bene, l’Elfico. –
Poi gli porse il sasso. – Tieni, regalo di compleanno. –
Lenn ridacchiò. – Ma non è il mio compleanno. –
- E quand’è che compi gli anni allora? –
- A Gennaio. Mancano ancora un po’ di mesi. –
Jao allora scosse le spalle. – Tienilo lo stesso. Nel caso non riuscissi a trovarti un regalo per quella data. –
Lenn annuì, poi si mise il sasso vicino.
Jao tornò a dipingere raccogliendo un altro sasso da terra. Lenn rimase a guardare ancora per un po’, poi posò lo sguardo sul calamaio in cui l’amico intingeva il dito.
- Senti… - esordì, - Cosa pensavi di farci con un calamaio, quando hai fatto lo zaino per il viaggio? –
Jao sembrò riflettere. - Mah… Forse pensavo che avrei potuto scrivere una lettera ai miei genitori, ma l’idea mi piace meno ogni volta che ci penso… Potrei utilizzarlo per un incantesimo, chi lo sa. –
Lenn fece mente locale per ricordare tutti gli incantesimi che conosceva in cui si usavano le rune, ma s’accorse che non erano poi tanti, e in più erano complessi. Le formule degli incantesimi scritti con l’inchiostro erano chiamate le Eterne, per il semplice fatto che una volta recitate e portata a termine la magia non potevano più essere modificate, ed esistevano finché non finiva la loro utilità. L’inchiostro diventava incancellabile dal tempo o da altre fatture, ed esistevano disegni diversi per ogni tipo di magia. Gli incantesimi per le Eterne erano poco conosciuti e custoditi gelosamente dai Clan più antichi. Il Clan della Tigre era di sicuro una di quelle famiglie, ma trovava difficile immaginare Jao come uno Stregone abbastanza potente da poter padroneggiare quel tipo di magia. Lui stesso non conosceva tutti gli incantesimi, perché erano fuori dalla sua portata.
- E quali incantesimi conosci? - chiese.
Jao sorrise. Sembrava proprio che avesse ripreso il buonumore. – Non te lo dico. –
Lenn gli diede una pacca sulla spalla. – E dai, non fare lo stronzo… Lo sai che sono curioso! –
L’amico continuò a ridacchiare. – Lo so. –
Lenn sbuffò.
- Mi dispiace, ma è un segreto di famiglia. Già i miei genitori non si fidano di me, figuriamoci se mi lascio scappare certe cose. Vorrei che continuassero almeno a chiamarmi figlio, sai… -
Lenn capì che era meglio non insistere, e annuì. Non voleva di certo essere lui a peggiorare i rapporti di Jao con la sua famiglia, sembrava che provasse già abbastanza astio nei loro confronti.
La loro breve conversazione terminò lì, e il castano tornò a dedicarsi al suo nuovo passatempo. Lenn invece rimase ad osservare per un po’ il suo giglio sempre vivo e fiorente, che combatteva il deserto; poi andò a prendere dalla sua sacca il coltello che Harù gli aveva regalato. Raccolse un pezzo di legno tra la legna da ardere che avevano raccolto e poi si risedette al fianco dell’amico. Si mise tranquillamente ad intagliare, non sapendo bene cos’avrebbe fatto con quel particolare pezzo.
Nei giorni seguenti continuò il suo lavoro e ne venne fuori un bel flauto. Forse un giorno, quando sarebbe stato di buon umore, l’avrebbe suonato.


Dopo un'altra settimana, il gruppo si rimise finalmente in marcia, dopo che Jao ebbe insistito tanto per ripartire che era diventato insopportabile. Dopo un po’ di resistenza causata dalla preoccupazione per la salute dell’amico, cedettero e decisero di partire, perché avevano perso fin troppo tempo.
Avevano tutti le borracce piene di acqua fresca, e si erano portati anche qualche frutto succoso da mangiare nei primi giorni di viaggio, nel tentativo di usufruire un po’ meno dell'acqua.
Camminarono a lungo, per giorni e giorni, e quando arrivò Ottobre si stupirono per quanto scorresse veloce il tempo. Avevano solo più cinque mesi di tempo per arrivare nel luogo dove si sarebbe tenuto il Torneo, e davanti a loro riuscivano a vedere solo deserto, sole cocente e cactus. Poi un giorno, mentre viaggiavano verso nord e le notti si facevano sempre più fredde, a est scorsero un'enorme crepa nel terreno, che pian piano si diramava e proseguiva nella loro stessa direzione. Era segnata sulla mappa, e si estendeva per miglia e miglia; tracciava proprio un percorso naturale da seguire dritto verso la loro meta, o quasi. Avrebbero potuto seguire la diramazione principale senza più scervellarsi davanti alla mappa per rimettere a posto la loro direzione.
Quando decisero di avvicinarglisi per dare un'occhiata, scoprirono che quella spaccatura era un canyon vero e proprio, che prendeva almeno mezzo miglio in larghezza. Era molto profondo, e sul fondo c'erano rocce enormi che viste dall’alto erano molto appuntite, ma anche i segni di uno straccio di sentiero; molto tempo prima le carovane dovevano averlo usato per percorrere grandi distanze senza essere molestati troppo dai raggi del sole.
- Allora, l'abbiamo visto da vicino, che facciamo adesso? - domandò Harù dopo aver dato uno sguardo all'enorme breccia nel terreno.
- Io propongo di calarci fino al fondo. - disse Lenn. - Così avremo più riparo dal sole e dal vento gelido della notte. -
- A me sembra una buona idea, non ce la faccio più a dormire con tutto quel maledetto vento. - disse Chad.
- Ma perché dobbiamo proprio calarci? - chiese Rizo, che sembrava riluttante. – Mi infastidisce l’idea di mettermi in trappola da solo. Lì in fondo sembreremo solamente topi imbucati in un vicolo cieco, pronti a ricevere il gatto che arriva. –
- Rizo, siamo nel deserto, eh. – disse Chad dandogli una pacca sulla spalla. – Non credo che ci sia molta gente, nei dintorni. –
- E che mi dici dell'Ordine de Castigatori? Quelli sì che erano nei dintorni! –
- Loro non sono più un problema. – disse Lenn. – Hanno pattuito con noi una tregua. Se la violano troveranno solo pane per i loro denti. A parte loro, non credo nemmeno io che ci sia molta gente disposta ad attraversare un deserto. –
Jao annuì. – Io sono d’accordo. Mal che vada, arriveremo ad un altro scontro, che ci possiamo fare? Intanto abbiamo un posto più riparato in cui viaggiare. –
Rizo non sembrava convinto, e in fondo aveva ragione ad essere così stranamente prudente. Tuttavia anche lui, come tutti, sapeva che tortura fosse dormire con il vento freddo che ti sferza il viso in continuazione, e la speranza di evitare un patimento del genere era allettante.
- Beh… E allora, come ci arriviamo sul fondo? -
- Semplice, useremo le corde che abbiamo usato anche sui monti Bezor, per calarci. - affermò Jao.
Rizo si sporse sul ciglio del canyon e guardò il fondo, poi deglutì. – E se ci attaccassero dall’alto? In quel caso non potremmo difenderci. –
- Rilassati! E non portare rogna, non ne abbiamo proprio bisogno adesso. – gli disse Harù.
Rizo non era ancora convinto, ma la maggioranza ormai aveva votato per la discesa fino al fondo del crepaccio, e così dovette assentire per non essere lasciato solo.
I compagni si legarono ben stretta la corda, a mo’ di cintura, finché non furono tutti ben saldati tra di loro e uniti. Chad non voleva di sicuro rischiare di rivivere l’esperienza della discesa dai Bezor, così si mise tra Lenn e Harù, i due migliori scalatori.
Decisero di avanzare lenti per evitare incidenti di alcun tipo e dedicare tutto il tempo che serviva alla discesa nel crepaccio.
Pochi minuti dopo regnava il silenzio tra i ragazzi concentrati sul loro compito, tranne che su uno. Il silenzio del deserto era rotto solamente dalla voce di Jao, resa ancora più insopportabile dall’eco. Si era offerto di essere il primo della catena proprio per stare vicino a Lenn, che era il secondo, e parlargli liberamente. Dopo di Lenn c’erano Chad, Harù e Rizo a chiudere la fila. Con una corda erano tutti legati fra loro, e con l’altra corda attentamente fissata per un’estremità ad un masso vicino al ciglio del canyon si aiutavano a scendere, anche se non utilizzavano molto quest’ultima perché non erano sicuri di quanto fosse piantato nel terreno il macigno.
Jao intanto continuava imperterrito a parlare.
- Prima di partire, non avrei mai detto che mi sarei messo a scalare tutte queste pareti. Se solo i miei genitori mi vedessero! – diceva all’amico, - Probabilmente stenterebbero lo stesso a crederlo… -
Non era molto bravo a scalare, e faceva fatica a raggiungere ogni nuovo appiglio mentre scendeva; o ne sceglieva uno troppo vicino, oppure uno troppo lontano, scendendo così in modo incostante e frenando la discesa di Lenn, oppure accelerandola, facendolo quasi cadere.
- Parla di meno e scendi di più, per favore! - esclamò Lenn. Non riusciva a concentrarsi con la voce squillante dell'amico che gli parlava.
- Ma sai di cosa sarebbero anche stupiti? – continuò invece il castano, senza ascoltare l’amico.
- Non lo voglio sapere. –
- Che riesco a parlare l’Elfico! – disse divertito Jao. – Loro non hanno mai voluto insegnarmelo perché pensavano fosse solo uno spreco di tempo per me che sono una testa dura, e invece sono abbastanza bravo! –
- Sono felice per te, ora vai giù! – quasi sibilò Lenn, che era bloccato a causa di Jao, che non accennava a scendere.
- Ma io sono più comodo a parlare da fermo. – disse.
- Adesso non devi parlare, devi scendere. –
Arrivò dalle loro spalle la voce di Harù: - Muovetevi! -
- Che noioso! –
Detto questo, Jao tornò a scendere appoggiando il piede ad una nuova sporgenza.
- Lenn, ma come mai hai smesso di insegnarci l’Elfico? – riprese dopo poco il ragazzo.
- Perché mi fate venire il mal di testa, ecco perché. Metti il piede lì. – suggerì poi all’amico per velocizzare la discesa.
Jao obbedì e poi disse: - Tu lo sai parlare davvero bene. E’ utile? –
- No. –
- I tuoi genitori lo sapevano? –
- Ma che domande mi fai? Lo sai che non lo so! – rispose Lenn, irritato.
- Ah già, è vero… -
- Non vorrei ripetermi, ma devi muoverti. –
Jao ubbidì ancora. Fece silenzio per addirittura un paio di minuti, a pensare. Poi riprese: - Lenn, il tuo nome però non è della nostra lingua… vorrà dire qualcosa in Elfico? –
- Sì, significa “vicino”. –
- Quindi tu ti chiami Vicino? Che razza di nome è? – disse ridacchiando il castano.
- E che ne so! Chissà che passava per la testa dei miei genitori… Bah. –
- Oh, e Harù significa qualcosa in Elfico? – continuò tutto divertito Jao.
- No. –
- E Chad? –
- No. –
- E Rizo? –
- No! –
- E il mio nome? Significa qualcosa? –
- Beh… No, niente. –
- Eh, no! T’ho visto! –
Lenn s’avvide di distogliere lo sguardo e guardare quanto fosse bello il muro di pietra che aveva davanti. – Visto che? Piantala e scendi. –
- Ho visto che ci pensavi! Dai, dimmi che vuol dire! –
- Ma niente, su. Scendi. –
Jao si fermò e si piazzò sotto di Lenn. – No, di qui non passi. –
- Sei una spina nel fianco! –
- Non è vero! Su, non sarà mica una parolaccia o roba del genere? -
Dall’alto arrivò di nuovo la voce di Harù. – Per l’amor del cielo, Lenn, digli che vuol dire il suo nome! Voglio scendere da qui! –
Lenn sbuffò, innervosito. Odiava fare qualcosa quando non voleva farla. Prevedeva solo scocciature in più, ormai conosceva Jao.
Intanto quest’ultimo lo guardava con una faccia da cane bastonato. – Giuro che dopo sto zitto! –
- Uff, ma niente… Jao significa solo “lontano”. –
Jao assimilò l’informazione. – Lontano… -
Dopo qualche secondo, fece la connessione che Lenn temeva.
- Hai capito che roba! Siamo tutti e due delle distanze! Io sono Lontano e tu sei Vicino! – disse, con un sorriso che gli illuminò il volto.
Len si passò una mano sul viso. “Oh, che gli Dei abbiano pietà di me.
- E’ un caso molto curioso, sembra quasi che si siano messi d’accordo! Certo, sono nomi strani, ma è un’altra cosa che… -
- Avevi detto che scendevi, ora scendi! –
- Ah! Sì, giusto. –
Detto questo, Jao si mise a scendere con il doppio della velocità rispetto a prima, saltando direttamente da un appiglio all’altro.
- Dicevo: è un’altra cosa che… -
- Non scendere così, però! Potresti cadere. –
- Ma no, non ti preoccu… Eeeek! -
Jao, scivolato sulla roccia per aver appoggiato male il piede, fu afferrato appena in tempo per la camicia da Lenn, che si era mezzo buttato giù con la corda per prenderlo al volo.
- Cazzo, Jao! –
L’eco si diffuse in lungo e in largo.
- Scusa! –
Jao, appeso per la camicia come un gatto per la collottola, stava con i piedi penzolanti nel vuoto. Guardò la parete e rabbrividì al pensiero di cadere e battere contro la roccia dura e appuntita, prima che la corda finisse per arrestare da sola la caduta.
- Ehi, grazie amico. Meno male che m’hai preso al volo. –
- Grazie un corno, ci fai ammazzare! –
- Ma io… -
- Attaccati alla parete! – sbottò Lenn allora, che non ce la faceva più a tenere con un solo braccio l’amico, nonostante fosse un peso piuma.
- Va bene, va bene. -
Jao si affrettò ad assicurarsi alla parete, così Lenn poté mollarlo.
- Ora stai zitto e scala, eh! -
Jao annuì, anche se Lenn da sopra non lo poteva vedere. – Va bene, Vicino. –
Lenn si lasciò scappare un ringhio, ma preferì lasciar correre, per il bene di tutti. “Che pazienza…


- Solo io trovo divertente questa cosa? – chiese Jao.
- Sì. – rispose Rizo.
Era notte, e i ragazzi avevano appena finito di mangiare la loro frugale cena. Erano tutti seduti intorno al fuoco, già avvolti dalle coperte. Aspettavano di digerire, e intanto parlavano. Anche se pochi ne avevano voglia, dato che erano tutti stanchi per la discesa dalla parete di quel maledetto canyon. Speravano tutti che ne fosse valsa la pena.
- Lenn. – chiamò Jao, per svegliare l’amico sonnolento. – Ma quindi davvero non sai perché t’hanno chiamato così? –
- No. Quante volte te lo devo dire? –
- Beh, non si sa mai. – disse Jao, alzando le spalle. - Io trovo interessante il fatto di avere un nome Elfico! Al mio ritorno devo chiedere a mio padre perché me l’ha dato. –
- Mah, secondo me non lo sanno nemmeno… te l’avranno messo perché suonava bene. E ora basta, cambiamo argomento. –
- Ma chissà quanti altri miei amici hanno nomi Elfici e nemmeno lo sanno! Vuoi che te ne dica alcuni? –
- No. –
- Perché? –
- Perché no. Ne ho abbastanza. –
- Pure noi. – intervenne Rizo.
Tutti annuirono.
Lenn riprese in mano il flauto che stava intagliando e il coltello, e riprese il suo lavoro. – E’ solo un nome. I nomi non sono importanti. –
Poi si mise a fare dei disegni e dei ghirigori per decorarlo, tanto per personalizzarlo un po’ e nascondere le parti poco levigate. Gli piaceva intagliare il legno, lo rilassava; era un deterrente efficace anche contro Jao, a volte. Aveva già cominciato ad intagliare qualcosa di nuovo, ma non aveva ancora deciso bene che fare dei pezzi portati dall’oasi.
- Senti, ne parliamo domani, quanto vuoi. Ora però lasciami riposare. –
Jao lo osservò. Poi sorrise, sfoggiando tutta la dentatura. – Va bene. -
Lenn tirò un sospiro di sollievo, quasi non ci credeva. A volte Jao sembrava infantile e gioviale; altre, sembrava tranquillo e comprensivo. Forse in quel momento, vedendo la sua faccia sfinita e assonnata, aveva capito di smetterla e aveva cambiato personalità, diventando quello premuroso nei suoi confronti. Faceva ancora fatica a capire certi suoi comportamenti.
- Ma domani chiacchieriamo ancora un po’? Mi diverte parlare di cose strane di questo tipo. -
Lenn sorrise leggermente. – Tutto quello che vuoi, purché sia domani. -
Jao ridacchiò. – Uomo avvisato, mezzo salvato. –
Detto questo, non ne parlarono più davvero. I ragazzi si scambiarono tra di loro ancora qualche opinione, poi decisero di andare a riposare. Il giorno dopo sarebbero di nuovo dovuti partire e mettersi in marcia. Non c’era tempo da perdere.

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Capitolo 29
*** Capitolo 8 - Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell'Anno (Parte I) ***


[Ben ritrovati, lettori! Ecco qui il nuovo capitolo promesso, e ha un titolo allettante, uuuuh! X3
Devo ammettere che questo capitolo in generale mi piace, penso mi sia riuscito bene, anche se continuo a pensare che devo migliorare ancora molto nella descrizione degli scontri. Una cosa è documentarsi, un'altra è far venire fuori delle cose esteticamente decenti! Spero che gradirete comunque i colpi di scena e la descrizione degli avvenimenti, che sono molto importanti sia dal punto di vista della trama sia dal punto di vista dello sviluppo psicologico dei personaggi!
Buona lettura!]



Capitolo 8
Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell’Anno
Parte I




Lenn camminava al fianco di Harù, discutendo sul da farsi.
- Quanta acqua rimane a te? – domandò quest’ultimo.
- Ancora due borracce, sono a posto. –
- Anch’io ne ho ancora due, anche se la seconda è solo mezza piena… -
- Tanto fra un paio di giorni di cammino dovremmo arrivare ad un nuovo pozzo. –
- Mi fai vedere la mappa? –
Lenn annuì, poi si sfilò lo zaino, lo aprì e, continuando a camminare, vi rovistò dentro. – To’. -
Harù prese la mappa che l’amico gli porgeva e la aprì. Diede uno sguardo all’intero deserto riassunto su quel pezzo di carta e disse: - Hai ragione, un paio di giorni. Ma se ci sbrighiamo, anche meno. –
- Non c’è fretta… Una volta tanto. – disse il ragazzo più alto alzando le spalle. – Ah, a proposito di acqua! – aggiunse poi, ricordandosi qualcosa.
Lenn slacciò la borraccia dalla cintura, poi girando il braccio all’indietro recuperò un vasetto contenuto in una tasca laterale dello zaino. Il giglio nel vaso fu imbevuto d’acqua dalla dubbia freschezza, dopo che Lenn ebbe svitato il tappo della borraccia coi denti.
Harù lo guardò, perplesso come ogni volta che vedeva quella scenetta che ormai era una specie di rito. – Perché lo fai? – domandò allora.
- Fare cosa? -
- Privarti dell’acqua per un fiore. Non capisco. Non è nemmeno da te. –
- E’ che ci tengo… - disse Lenn, mettendo la borraccia dove doveva stare il fiore e tenendo quest’ultimo in mano. – E poi, è un fiore incantato. Mi piacerebbe scoprire la natura della fattura che gli hanno fatto. –
- Ma non avevi detto che non appassiva mai? –
- Sì. Ma non credo che sia l’unico incantesimo che hanno usato per questo fiore, altrimenti non emanerebbe questa… aura. –
Harù sembrava continuare a non capire. – Ma allora perché lo innaffi? –
- Non si sa mai. Non vorrei che appassisse. –
I due rimasero in silenzio per qualche secondo, e Harù continuò ad osservare il giglio tra le mani di Lenn. Era davvero un fiore molto bello, ma non aveva mai avuto l’occasione di esaminarlo da vicino.
- Lo posso prendere in mano per un attimo? - domandò il ragazzo dagli occhi azzurri.
Lenn lo guardò con aria interrogativa; non aveva mai fatto toccare il suo giglio a nessuno, solo guardarlo dalle sue mani. Forse aveva esagerato, anche se a nessuno era pesata questa cosa. Pensò che non c’era nulla di male; così annuì e glielo porse.
Harù lo prese in mano, ma la pianta cominciò ad appassire a grande velocità davanti a lui. I petali bianchi si raggrinzirono e diventarono grigi, poi marroni; le foglie si avvizzirono e divennero color terra, così come lo stelo, che si piegò a metà.
Lenn e gli altri rimasero stupiti quando videro il povero fiore morire nel giro di pochi secondi, dopo tutto quel tempo in cui era rimasto fiorito. A Lenn parve cadergli un masso in testa, tanto ci era rimasto male per la morte improvvisa del giglio.
- Merda. – disse Harù, che pensò fosse stato lui la causa di quella reazione da parte del fiore.
Rizo glielo tolse dalle mani e lo guardò. – Beh, doveva appassire, prima o poi. Però è strano che l'abbia fatto così improvvisamente. –
Jao guardò la carcassa del fiore. – Oh, poverino. – disse dispiaciuto.
- Dammelo. – disse allora Lenn, tendendo una mano verso il biondo. Non nascondeva il fatto che fosse seccato.
Rizo glielo porse con noncuranza, e Lenn se ne riappropriò. E lo stelo del fiore tornò verde chiaro e turgido, attraversato nuovamente dalla linfa vitale; le foglie si ricolorarono e tornarono sane, così come i petali, che tornarono nuovamente ad essere bianco panna. Il fiore era tornato alla vita nel giro di pochi secondi, appena Lenn lo aveva di nuovo preso in mano.
- Che figata! - esclamò Chad.
- Com’è possibile? – esclamò Harù.
- Fa’ vedere, voglio provare a fare una cosa! - disse Jao.
Lenn porse il vaso contenente il fiore all'amico. Jao quasi s’aspettava che il fiore riappassisse, e rimase un po’ deluso quando invece rimase bello come sempre. – Ehi, non è giusto! –
- Da’ qua! – disse Chad, che glielo tolse dalle mani. E si ripeté la stessa cosa che era successa ad Harù: la pianta appassì.
- Piantatela, che me lo rovinate. – disse a quel punto Lenn, che se ne riappropriò. Il fiore tornò rigoglioso.
- Che accidenti di fiore è quello? – si chiese Rizo.
Lenn aggrottò le sopracciglia, non lo sapeva. Un altro odioso grattacapo.
"Ma perché queste cose succedono soltanto a me?" si domandò, lasciandosi scappare uno sbuffo.
I cinque intanto, senza neanche accorgersene subito, arrivarono ad un bivio. Il canyon si diramava in due direzioni; uno si dirigeva a est e l'altro ad ovest, anche se il secondo, dopo una curva brusca, tornava a prendere la stessa direzione, verso nord, dov'erano diretti.
- Avanti, andiamo a sinistra. - disse Jao senza esitazione, incamminandosi in quella direzione, in testa al gruppo.
Non fece in tempo a fare dieci passi che un raggio di luce blu gli tagliò la strada e si schiantò poco davanti a lui. Spaventato, fece un salto all’indietro.
- Fermi dove siete! - gridò una voce proveniente dall'alto.
I ragazzi volsero lo sguardo al cielo, poi videro che sul ciglio del burrone, alla loro destra, stava rannicchiata una persona, ma non poterono vederne bene il viso perché era controluce.
- Ehi, tu! Chi sei?! - gridò Harù al nuovo arrivato.
- Il mio nome è Kyra. - disse la figura, che poi saltò nel vuoto.
Sorprendentemente atterrò sana e salva, senza graffi e senza perdere l'equilibrio. I ragazzi rimasero a bocca aperta, ma non per il salto già di per sé incredibile, ma per l'aspetto dell’estraneo. O dell’estranea, per meglio dire.
Kyra si rialzò in piedi, facendo muovere i suoi lunghi capelli rossi e ricci, lucenti come rame, contro i raggi del sole. Portava abiti tipicamente maschili di colore verde, calzoni e una giubba in cuoio.
I ragazzi, un ammasso di uomini magri e abbastanza indeboliti dalle intemperie, rimasero basiti vedendo quell'avvenente donna dopo mesi passati in completo isolamento. I loro occhi caddero automaticamente sulle sue sinuose curve, per niente sminuite dagli abiti poco consoni ad una donna, e al suo seno prosperoso. Occhi famelici, tranne quelli di Lenn. Lui era occupato a scrutare gli occhi della giovane e i suoi capelli; non aveva visto molte donne da vicino, i suoi rapporti col gentil sesso erano sempre stati racchiusi in una cerchia abbastanza ristretta, ma quella donna gli sembrava diversa dalle altre, forse perché troppo bella per essere umana o perché il suo sguardo aveva un non so che di diverso dal solito.
- Cosa c'è, non avete mai visto una donna? - domandò, quasi divertita.
Poi si scostò una ciocca di capelli, e scoprì le orecchie. Erano a punta. Lenn vide per la prima volta un essere di razza Elfica, e che bell'esemplare, pensò.
Gli altri, vedendo le sue orecchie, distolsero subito lo sguardo, quasi irritati, compreso Rizo. Quella donna, per quanto bella, apparteneva ad un'altra razza, e non l'avrebbero mai toccata. La loro avversione verso quella specie superava qualsiasi desiderio.
Kyra si lasciò scappare una risatina che faceva trasparire un po’ di compiacimento. - Invece di posare l'occhio dove non dovreste guardare, rispondete a questa domanda: siete Stregoni? -
Harù, Chad, Rizo e Jao annuirono, distratti. Lenn invece rimase a fissare quell'Elfa, che non lo convinceva per niente. Qualcosa gli diceva di non fidarsi di lei; la sua domanda lasciava trasparire troppe cose.
- Ah, bene. Altri concorrenti da far fuori prima del Torneo. - disse la donna. Sorrise di nuovo.
Lenn invece vide realizzare i suoi sospetti. Se c’era qualcosa che proprio non ci voleva, quello era uno scontro di magia. Erano tutti deboli, di sicuro di più dell’Elfa, che apparteneva a una razza più resistente della loro.
A distogliere Lenn dalle sue elucubrazioni, fu un forte fischio emesso da Kyra.
Che fa, chiama qualcuno?” si chiese il ragazzo.
Quel giorno sembrava che tutto ciò che pensava si avverasse. Dall'alto spuntarono altre tre figure, di cui due erano chiaramente femminili; la terza appariva più piccola e gracile, quasi quella di un ragazzino. I tre individui effettuarono un salto eccezionale come quello di Kyra poco prima, e atterrarono accanto alla rossa. L’aura di magia davanti ai ragazzi si intensificò notevolmente, non era una bella sensazione.
- Sorelle, abbiamo trovato altri maghetti da strapazzo da eliminare, dopo tanto tempo. - disse l'Elfa.
Le due donne chiamate in causa le si affiancarono, anche loro molto atletiche e di bell'aspetto. La più alta aveva forme meno tonde e sensuali, ed era molto magra; aveva dei lunghi e lisci capelli neri con riflessi verdi, e una frangia che le copriva la fronte e parte degli occhi. Le orecchie a punta fuoriuscivano dai capelli e rimanevano in bella vista. La seconda aveva dei capelli biondi leggermente mossi e gli occhi verdi, era l'unica che portava la gonna.
- Loro sono Mira e Taca, le mie sorelline. - le presentò Kyra, - Lui invece è il nostro fratello minore Neruo. - continuò, indicando il ragazzino tremante poco più indietro rispetto a loro.
Era di certo più giovane di Harù e Rizo, ma sembrava avere quasi la stessa età di Lenn, Chad e Jao. Era un ragazzo dai capelli a caschetto color nero pece e gli occhi azzurri, aveva delle orecchie particolarmente lunghe e a punta, così arcuate che le punte quasi arrivavano a toccarsi dietro la testa; tremava dalla testa ai piedi, anche se non era ben chiara la ragione. Ogni tanto sobbalzava e il suo corpo veniva scosso da brividi e guizzi di magia vitale, di colore blu, come se avesse un forte singhiozzo. Ai ragazzi sembrò alquanto patetico.
Taca, la bionda, prese la parola. - Da gentildonne quali siamo, abbiamo fatto le presentazioni. Spero che ricorderete i nostri nomi, quando spiegherete alle vostre mamme chi vi ha rimandato a casa con la coda tra le gambe. -
- Ehi! - sbottò offeso Lenn.
- Noi non ci scontriamo contro delle ragazze. - disse Rizo, incurante dell'insulto appena lanciato dall’Elfa. - Se volete però potremmo far combattere uno di noi contro quel vostro fratello. -
Detto questo, gli occhi di tutti si posarono sul giovane Neruo, perennemente scosso dai brividi e indifeso. Il ragazzino sembrò spaventarsi sentendosi tutti quegli sguardi addosso.
- Non se ne parla, Neruo è in Sovraccarico, e lo sarà finché non diventerà adulto, a diciassette anni. - disse seria Kyra.
- Cosa c'è, siete troppo pappe molli per combattere contro delle donne? - domandò acida Mira, uscendo dal suo apparentemente timido silenzio. – Così non potrete mai partecipare al Torneo, che vi credete? Ci saranno donne anche lì! Infatti noi saremo le future regine di Argeth. -
Lenn poteva sopportare tutto, ma il suo orgoglio non gli permetteva di ignorare una persona che gli dava della schiappa, e in pubblico, per giunta. Estrasse fulmineo la katana e la puntò dinnanzi a sé.
- Loro hanno problemi in queste stronzate, non io. – disse poi, accennando col capo ai suoi compagni. - Fatevi sotto. -
- Allora gli Umani un briciolo di onore lo hanno..." disse Taca, sorridendo perfidamente.
- E sono anche carini, dai. - aggiunse Mira. Aveva gli occhi incollati su di Lenn, sembrava mangiarselo con lo sguardo.
La ragazza dai capelli neri ricevette nell'istante dopo un calcio negli stinchi da parte di Kyra. - Sono Umani, stupida. - le sussurrò adirata. – Pensa al fatto che dobbiamo eliminarli, concentrati! –
- Va bene… -
- Avanti, un po’ di combattimento non ci farà male. - disse Jao. Sembrava abbastanza convinto di ciò che diceva.
Lenn aveva seri dubbi su questo, ma non fiatò. Dopotutto era stato lui il primo a disporsi per lo scontro.
- Però state attente, non ci andremo leggeri solo perché siete femmine. - aggiunse Rizo, sfoderando il suo scettro.
- Bene, perché noi abbiamo intenzione di eliminarvi e vogliamo un minimo di resistenza, per divertirci. - ribatté l’Elfa dai capelli rossi.
Senza aggiungere altro, i due gruppi si lanciarono l'uno contro l'altro, dando inizio allo scontro, Lenn in testa. Tra le mani delle Elfe comparvero delle leggere e lucenti spade, eleganti e maneggevoli quanto micidiali. Il fratello minore, Neruo, si allontanò dalla mischia tra i vari sussulti, cercando un posto al sicuro e appartato dove sarebbe potuto stare tranquillo e rigettare la magia che aveva in eccesso in disparte.
Nonostante i ragazzi fossero superiori in numero delle Elfe, erano molto più stanchi e fuori allenamento, così non bastava uno solo di loro per fronteggiare una delle avversarie.
Jao e Chad si misero al lavoro per combattere Kyra, Harù e Rizo invece decisero di occuparsi di Taca. Lenn rimase sfortunatamente da solo, contro l’Elfa dai capelli con riflessi verdi, Mira.
La katana si scontrò e parò un fendente della spada dell'Elfa, incontrando una forza inaspettata.
- Sei carino, per essere un Umano. - disse questa, quasi sussurrando, - Ma non per questo ti lascerò vivere. -
Mira lo spinse in avanti esercitando più forza sulla spada, poi indietreggiò ed effettuò un agile e veloce salto fino ad arrivargli alle spalle. Lenn, anche se stupito da quella velocità, non si fece cogliere impreparato ed evocò uno scudo Oscuro, per proteggersi dall'immediato affondo che l'avversaria gli scagliò contro. Lo scudo parò il colpo, ma si infranse. La ragazza era rimasta sorpresa per la sua fulminea azione difensiva, ma non si perse d'animo e gli lanciò contro una sfera di fiamme.
Lenn si buttò a terra e con una capriola le arrivò di fianco, si rialzò in piedi utilizzando lo slancio e tentò di colpirla con un tondo all’altezza delle spalle.
L'Elfa però si allontanò con un'agile schivata, subito dopo sparì. Era diventata invisibile, e Lenn fu quasi colto alla sprovvista da quella mossa. Però sapeva cosa fare. Raccolse la sabbia da terra e la gettò dinnanzi a sé, ma non sembrò colpire nulla. Ripeté immediatamente il gesto, però alle sue spalle, ma la sabbia non colpì nulla lo stesso.
Probabilmente si è resa anche temporaneamente inconsistente. Bella mossa.
Lenn allora chiuse gli occhi e tentò, nel mezzo della battaglia, di udire i passi leggeri e veloci dell'Elfa mingherlina. Quelli più vicini e meno rumorosi. Ci mise un po’ ad individuarla nel caos, ma la poté percepire quando si mise a correre nella sua direzione, provocando anche uno spostamento d'aria.
Riaprì gli occhi e mise la katana dietro la schiena, in orizzontale. Riuscì a parare all'ultimo secondo il colpo di Mira, che per lo stupore si deconcentrò e ridivenne visibile a tutti. Lenn sorrise soddisfatto vedendo la sua espressione piena di stupore; le lezioni che lo zio gli aveva dato ormai si facevano sempre più utili, suo malgrado. Poi Lenn batté il piede a terra; allontanò l’Elfa da sé con un’onda d’urto amplificata a sproposito da un incantesimo che evocò senza proferir parola. Lo scontro non era ancora finito.
Mentre Lenn sembrava cavarsela bene, Chad e Jao erano in tutt'altra situazione. Kyra aveva usato la stessa magia adottata dalla sorella ed era diventata invisibile, ma il castano e il ragazzo di colore non avevano gli stessi sensi allenati di Lenn. Jao aveva già ricevuto un paio di pugni nello stomaco, mentre Chad non sapeva dove lanciare i suoi dardi, non avendo un bersaglio a cui puntarli.
Kyra aveva deciso di non usare la spada e di divertirsi un po’ contro i due malcapitati, facendogli degli sgambetti o spingendoli a terra.
- Basta, mi sono stufato di prenderle! - esclamò Jao dopo vari calci nel sedere. – A mali estremi, estremi rimedi. -
Il castano portò la sua grande spada fin sopra alla testa. - Chad, buttati a terra! - gridò.
L'amico eseguì, evitando contemporaneamente anche un colpo negli stinchi da parte dall'Elfa invisibile.
Jao cominciò a far roteare come un'elica il suo spadone, facendo un ottimo e veloce lavoro di polsi, poi cominciò a recitare una formula. La spada in breve si illuminò di una pallida e pura luce bianca, che emanava uno strano calore.
- Curo y Fir. Har! - gridò infine, e subito dopo abbassò la spada e cominciò a girare su sé stesso, prendendo velocità con lo slancio. Dalla lama fuoriuscirono delle lunghe lingue di fuoco, che andarono a colpire Kyra, ormai poco distante dal ragazzo e che non aveva avuto il tempo di allontanarsi. Con il colpo, perse il controllo della magia e tornò visibile.
Harù e Rizo se la stavano cavando egregiamente. Il biondo aveva circondato Taca in un cerchio di fiamme, mentre Harù le girava intorno lanciando di tanto in tanto i suoi coltelli verso il centro, dove sarebbe dovuta stare L'Elfa. La bionda infatti era molto in difficoltà, e non riusciva a vedere l'avversario che lanciava coltelli oltre le fiamme, non sapeva mai dove scostarsi per evitare le lame affilate.
Poi decise che ne aveva abbastanza, effettivamente. Senza alcun preavviso, si sollevò da terra, quasi volando. Non era un vero e proprio volo, perché stava levitando, ma riuscì a sollevarsi abbastanza in alto per poter oltrepassare il cerchio di fuoco. Ma fu colpita immediatamente da un fulmine scagliato da Rizo, che la rispedì a terra, facendole battere la testa contro il duro terreno. Non svenne, ma rimase stordita per il forte colpo.
Il tempo però passò, e i ragazzi cominciarono lentamente ad avere la peggio su tutte le Elfe. Lenn era da solo e sempre più stanco, difficilmente riusciva a mantenere la calma per individuare Mira, che continuava a diventare invisibile e a tendergli agguati. Era troppo teso per concentrarsi.
Ad ogni affondo indietreggiava sempre di più, dirigendosi verso Chad e Jao. Alternava le schivate alle parate, incapace di attaccare. L'Elfa all'inizio era rimasta sorpresa dalla velocità del ragazzo, ma adesso era lento ed impacciato come tutti i suoi compagni.
Lenn, che fortunatamente era ambidestro, faceva scorrere la katana dalla mano destra a quella sinistra con agilità nella speranza di confondere l'avversaria, anche se principalmente voleva cercare di riposare le braccia e i polsi ormai stanchi.
Anche Harù e Rizo avevano perso il controllo della situazione, e venivano lentamente spinti verso il centro della gola, tra i due bivi, proprio dove stavano Kyra e gli altri.
In un paio di minuti tutti e cinque i compagni erano spalla contro spalla, accerchiati dalle tre potenti donne Elfiche. Erano in trappola come i topi.
Lenn aveva Chad alla sua sinistra e Harù alla sua destra, dava le spalle a Jao e Rizo. Quest’ultimo non la finiva più d’imprecare, probabilmente pensava che i suoi presentimenti s’erano avverati, e la cosa non gli piaceva affatto. Jao, Harù e Lenn tentavano di non perdere l’autocontrollo e rimanevano con gli occhi incollati alle Elfe; Chad invece mancava poco che se la facesse addosso, constatava Lenn.
Giravano in tondo, spostandosi lentamente. Appena le ragazze si fiondavano su di loro, facevano del loro meglio per parare i fendenti e proteggersi a vicenda, ogni tentativo di attacco non andava a buon fine. Harù e Chad provavano a lanciare sassi infuocati e coltelli contro le Elfe, ma anche la loro mira cominciava a fare cilecca, erano stanchi.
Poi, il viso di Jao si illuminò. - Lenn, mi serve la tua katana. - disse.
- Ma sei matto?! E io come combatto dopo che te l’ho data? - sbottò Lenn.
- Non ti preoccupare, Rizo ti proteggerà. Ho un'idea per toglierle di mezzo, ma mi servono due spade. - lo rassicurò l'amico.
Rizo automaticamente si cambiò di posto con Harù, piazzandosi alla destra del ragazzo più alto. Nel mentre lanciò una magia contro Mira, che stava davanti a loro con la spada sguainata. L’Elfa parò il colpo con la spada e lo deviò, facendo schiantare il colpo contro una delle pareti dl canyon.
- E su, Lenn! Ti proteggerà mentre sarai senza armi, io ci metterò pochi secondi. - insistette il castano.
Lenn era molto insicuro e dubbioso, specialmente perché non si fidava di Rizo. Senza contare che per lui non c’era sensazione peggiore del ritrovarsi nel bel mezzo di uno scontro completamente disarmato. Ma non c’erano molte altre opzioni che gli piacessero particolarmente per risolvere quella situazione, né gli veniva in mente qualcosa di utile da fare. Girò lo sguardo e squadrò Rizo da capo a piedi con fare circospetto. Di lui non si fidava, ma di Jao?
Sì, abbastanza da compensare la sua sfiducia nel biondo. Imprecò, e infine annuì. – Spero che funzioni, altrimenti siamo veramente fottuti. -
Jao annuì sfoggiando una nuova sicurezza. - Bene, lanciami la spada al mio segnale. –
Le tre Elfe scrutavano le loro prede con fare sospettoso, mentre tentavano di capire cosa si bisbigliassero i ragazzi e che intenzioni avessero.
Jao osservò Kyra, poi le sorrise beffardo. Il suo spadone si illuminò di magia nuova, accecante. Poi, con tutte le forze che aveva nel braccio, le lanciò l'arma contro, che la colpì in pieno con il piatto, buttandola a terra; la spada, continuando a girare su se stessa, si accinse a fare un intero giro intorno al gruppo di ragazzi, imitando un boomerang, e colpì anche Taca.
- Lenn, ora! - gli gridò Jao.
L’amico in un lampo gli lanciò la katana; la lama fece qualche capriola sulle loro teste, tracciando un arco. Poi il castano la prese al volo, la piantò a terra e vi immise la sua magia all'interno. Come previsto, l'incantesimo si espanse anche nel terreno circostante: delle brecce si aprirono lungo tutto il terreno intorno a loro, la Luce ne fuoriuscì e accecò tutti, comprese le Elfe.
L'ultima cosa che Lenn vide prima del bagliore fu Mira che salta e schivava la spada-boomerang di Jao, e che poi si fiondava in avanti, contro di lui e Rizo.
Accecato, chiuse gli occhi. Subito dopo sentì un forte dolore al fianco sinistro. Inconfondibile era la presenza di una lama che gli lacerava parte del ventre.
Quando, pochi secondi dopo, la Luce sparì, Lenn riaprì gli occhi e sentì il dolore pervaderlo nelle viscere in modo ancora più violento. Rizo era a terra, stordito con un colpo alla testa; non era svenuto, ma di sicuro non stava bene. L’Elfa dai capelli neri, invece, era davanti a lui, con la spada conficcata nel suo fianco.
Mira sembrava sfinita anche lei dallo scontro, ma quando vide che era riuscita a colpire il ragazzo disarmato, girò il polso con violenza e la lama della spada lacerò l'intero fianco del ragazzo. Lenn urlò di dolore. Quando la ragazza estrasse la spada, lui cadde a terra.
Il sangue cominciò a scorrere veloce fuori dalla ferita, tingendo il terreno di rosso tutt'intorno a lui.
- LENN! –
Gli amici inorridirono. Prestarono poca attenzione alle loro avversarie sfinite, di cui due a terra semisvenute. Si fiondarono tutti attorno a lui, primo fra tutti Jao. Dire che quest’ultimo sembrava affranto era dire poco; era bianco come un lenzuolo. In mano stringeva ancora la katana, sbiancandosi le nocche. Lenn vedeva tutte le facce degli amici che svettavano su di sé, e non gli piaceva la loro espressione.
Le altre due Elfe erano ancora a terra, messe al tappeto dal colpo violento ricevuto, e Mira le andò a soccorrere senza guardare la pietosa scena che gli si presentava davanti agli occhi.
- Lenn, è tutta colpa mia! - disse Jao. Detto questo, le lacrime cominciarono a rigargli il volto. La vista di Lenn impallidirsi così velocemente, con i vestiti strappati e insanguinati e un buco nel fianco, lo fecero sentire una vera merda. Era accaduto tutto in una manciata di secondi, sembrava impossibile.
Lenn sentì che la sensibilità nel fianco sinistro andava a scemare, anche se il dolore che sentiva era allucinante. Non osava nemmeno muovere le gambe. Sentiva che le forze lo abbandonavano come il sangue abbandonava il suo corpo. La chiazza alla sua sinistra sembrava continuare ad espandersi, tanto che ormai aveva quasi tutta la parte sinistra sporca. Muoveva la mano e sentiva solo il sangue bagnargli le dita. Poi, anche respirare cominciò a procurargli dolore. Si sentì i polmoni pesanti, e tossì. Dalla bocca gli uscì del sangue. Probabilmente si era giocato l’intestino, e chissà, anche lo stomaco. La spada gli era stata girata nel fianco con così tanta forza che poteva aver reciso più di un organo.
Sentì ancora la voce di Jao. - E’ tutta colpa mia, Lenn… Perdonami. -
A quelle parole, davanti agli occhi di Lenn passò l’immagine di sua sorella Lia. Tanto dolce, tanto premurosa… E che si era sempre data la colpa di qualcosa, ripetendolo fino quasi alla pazzia. Anche il giorno in cui lo zio lo aveva torturato, privandolo del suo tatuaggio, la ragazza non aveva fatto altro che ripetere quella frase. Non aveva mai capito di cosa si incolpasse, ma a lui non importava. L’aveva amato così tanto che sicuramente era riuscita ad espiare quella colpa.
- Non… è colpa tua... - disse con fatica. Non seppe a chi fosse indirizzata quella frase, se all’amico che gli stava a fianco o alla sorella, ma quella frase era sincera. Non era colpa loro, se era accaduto tutto ciò. Gli si rigarono le guance al pensiero che non avrebbe potuto dire ciò anche a Lia. Per dirle di essere serena. Per dirle che non aveva nulla di cui preoccuparsi. La vedeva difficile sopravvivere in quella situazione. Sentì il sapore del sangue pervadergli la bocca.
La vista gli si appannò, le orecchie cominciarono a fischiargli. Perché tutta quella fatica a fare anche un solo respiro?
- Lenn, resisti! –
Lenn non seppe se ebbe la forza di lasciarsi scappare un sorriso amaro, ma immaginò di farlo. “Vorrei. Ma sai, è difficile resistere a certe cose. Non sono ancora così bravo…” pensò.
- Non chiudere gli occhi! -
Dopo quella frase, vide solamente le bocche degli amici aprirsi e chiudersi, ma non udì alcuna parola, solo suoni ovattati. Avvertì però Harù toccargli il polso. Non sembrava rasserenato. Poi, Lenn disobbedì a ciò che gli era stato detto e chiuse gli occhi, per sentire il battito del proprio cuore. Voleva rilassarsi e sentirlo andare sempre più lento. Tossì ancora, violentemente, vomitando sangue. I battiti diminuivano, scandendo i suoi ultimi secondi. Sentiva una strana sensazione, quasi soporifera; si sentì proprio come quando la notte sentiva che si stava per addormentare. Anche se il dolore era molto forte.
"E' così che muoio? E’ quasi da cane… Forse mio zio aveva ragione su certe cose...." pensò con amarezza.
Poi il suo pensiero andò a chi stava vicino a lui in quel momento. “Beh, non sono solo… Forse da qualcuno verrò ricordato. Vorrei solo aver avuto più tempo!
Udì un sussurro. E l’istante dopo, il dolore svanì completamente. Aprì gli occhi istintivamente per vedere che succedeva, ma davanti a lui non vide più i volti dei suoi amici, bensì una luce. Davanti a sé aveva solo una bianca e calda luce, ma che non lo accecava.
Poi davanti a lui comparve un volto, ma non era molto visibile a causa del bagliore sempre più intenso. Si sentì pervadere da un leggero calore, e fu stranamente felice e sereno.
"Chi sei?" domandò alla figura.
Questa non rispose, ma gli sorrise. Lenn ricambiò, e dentro di sé sentì di conoscerla. "Peccato che non mi ricordo il tuo nome..." aggiunse poi, rivolgendosi alla figura che pareva sempre di più quella di una donna.
Vieni con me e lo scoprirai.
Lenn si fece avvolgere dal suo abbraccio, morbido e caldo, qualcosa che non aveva mai sentito. “Ti ho aspettato così a lungo…
Forse gli altri sentiranno la mia mancanza…” disse però.
Non c’è nessun altro, oltre a noi due…
Lenn si sentì contraddetto, e si fermò a pensare. Si stupì, non trovando il volto di nessuno nella sua memoria. La donna aveva ragione, non c'era mai stato nessun altro. Altrimenti se ne sarebbe ricordato. Sapeva solo di aver camminato per tanto, tanto tempo, quasi infinitamente. E che poi il suo viaggio era finito.
Non sapeva nemmeno quando il suo cuore avesse smesso di battere. Non se ne era accorto. O forse batteva ancora. Non lo sapeva.
Decise allora di lasciarsi andare all’abbraccio della donna fatta di luce.
Allora, andiamo?” domandò la donna con fare quasi gioioso.
Lenn annuì. “Sì.
Poi ci fu solo il buio.

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Capitolo 30
*** Capitolo 8 - Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell'Anno (Parte II) ***


[Allora: prima di tutto, mi scuso per il ritardo. E' che ho problemi col computer, quindi faccio fatica a connettermi, men che meno a scrivere. Spero però che questa nuova parte sia accattivante, e mi scuso per gli eventuali errori di battitura che incontrerete. Parlo al plurale ma non so nemmeno se c'è ancora qualcuno disposto a leggere, lol. Il capitolo in sé mi piace come è venuto fuori, però l'ultima parte è un po' troppo sbrigativa, soprattutto perché non l'ho praticamente modificata da quando l'ho scritta la prima volta. Non so perché l'ho lasciata così, boh. E tutto troppo sbrigativo. Sarà da rivedere. Mannaggia ai miei attacchi di inspiegata prigrizia. òçò]

Capitolo 8
Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell’Anno
Parte II



Lenn era morto. Se ne era andato e non sarebbe più tornato, pochi lo avrebbero ricordato; le uniche persone che lo conoscevano erano sedute accanto a lui, quattro trasandati ragazzi, i suoi amici.
Jao piangeva lacrime amare prima ancora che il ragazzo spirasse. Anche Chad e Harù furono presi dallo sconforto, e piansero anche loro. Rizo fissava il corpo di Lenn, inespressivo.
Jao era scosso da forti singhiozzi. Avrebbe voluto darsi un contegno, ma non ci riusciva. Pensava solamente al corpo che aveva davanti, il cui calore non avrebbe fatto altro che scemare; e anche quando chiudeva gli occhi per non guardare, si ritrovava impressa nella mente quell’immagine. Il senso di colpa lo stava già assalendo: Lenn era disarmato, nel momento in cui era stato colpito. Ed era stato lui a chiedergli di lasciargli la katana, perché aveva un piano, un’idea per fuggire da quella situazione spinosa. Lenn aveva creduto alle sue parole, aveva avuto fiducia in lui; fiducia, la cosa che Jao aveva sempre sperato che il ragazzo gli desse, perché era ciò che secondo lui contava di più, quando si era amici. Però ora il suo amico era morto.
Il castano mosse la mano e andò a stringere il polso destro di Lenn, che non dava segni di vita. Strinse ancora di più, per la rabbia.
- Cazzo… Dei, cos’ho fatto… -
Era confuso, non sapeva nemmeno cosa dire.
A quel punto, Harù si spostò affianco al ragazzo e gli poggiò una mano sulla spalla, per consolarlo. Anche lui era addolorato, ma sapeva già cosa passasse per la testa dell’amico. – Calmati, adesso. Non è colpa tua se… -
- Non mi toccare! – gli ringhiò Jao di rimando.
Harù rimase di stucco per la risposta aggressiva e si zittì.
Kyra e le sue sorelle, intanto, si stavano riprendendo. Le due sorelle cadute a terra si rialzarono, seppur doloranti, aiutate da Mira, l’Elfa che aveva appena ucciso Lenn. Non sembrava particolarmente sconvolta da quello che aveva fatto; probabilmente per lei non c’era differenza se ci stava un Umano in più o in meno su Argeth. Come dal nulla, sbucò anche il fratello delle tre Elfe, che si era allontanato di molto per non essere immischiato nello scontro. Anche lui, tranquillamente, si riunì alle sorelle.
I quattro poi osservarono la penosa scena che si presentava loro davanti, dedicarono finalmente un po’ d’attenzione ai loro avversari sconfitti. Taca si spolverò i vestiti e si voltò.
- Andiamo, sorelle. Non credo che questi qui potranno nuocere ulteriormente. Ikkah!-
- Va bene. - assentirono le altre due.
E così, s’incamminarono. Le tre Elfe si voltarono un'ultima volta verso il gruppetto di ragazzi, e rimasero ad osservare il corpo di Lenn. – Oggi un guerriero è caduto. Stanotte pregheremo gli Dei di avere pietà della sua anima. –
Senza aggiungere altro, proseguirono; arrivate davanti alla diramazione del canyon, presero la strada che andava verso est, a destra.
Jao e gli altri non se ne accorsero neppure della loro partenza, né importava loro più di tanto.
Tutti i loro pensieri vorticavano intorno ad una sola cosa.
- E' morto... - disse Chad in un sussurro. Non riusciva a non tenere gli occhi sbarrati e sconvolti da ciò che aveva davanti. Non aveva mai visto qualcuno di così vicino a lui morire, tantomeno davanti ai suoi occhi.
- Cosa facciamo adesso? - chiese Rizo.
Non arrivò subito risposta.
Jao, che di solito era quello che prendeva le decisioni più importanti, non si decideva a staccare gli occhi da Lenn.
Harù lo guardò con tutta l’angoscia e la compassione che aveva, e pazientemente lo chiamò di nuovo. – Jao… -
Questa volta, il ragazzo si girò verso di lui e lo guardò come se si fosse appena svegliato da uno stato di trance. Si voltò e guardò il viso di Lenn, che sembrava dormisse; questa volta, però, assunse un’espressione risoluta.
- Bisogna riprendersi! – disse ad alta voce, anche se chiaramente stava parlando unicamente a se stesso.
Rizo, vedendo il suo cambiamento improvviso, ripeté: - Allora, cosa facciamo? –
Jao lo guardò con poca espressività, finché non gli si disegnò in volto addirittura un sorriso abbastanza sicuro.
- Sta a guardare! – fu la sua unica risposta.
Detto questo, il castano si rialzò in piedi e, traballando, corse a riprendere il suo zaino, che aveva abbandonato a terra prima che lo scontro con le Elfe iniziasse. I ragazzi non si mossero, si limitarono ad osservarlo mentre frugava freneticamente tra le tasche. Quando sembrò trovare ciò che cercava, ritornò a passo svelto dai suoi amici, e si inginocchiò di nuovo di fianco al corpo esanime di Lenn.
- Cos’hai intenzione di fare? – domandò Harù.
Jao gli rivolse uno sguardo vittorioso e mostrò ai suoi amici ciò che aveva in mano: un calamaio quasi completamente pieno di inchiostro nero.
- Non permetterò che Lenn muoia così! – disse.
Harù, come gli altri, rimase a bocca aperta da quella affermazione. Essendo Stregoni anche loro, capirono al volo cosa aveva intenzione di fare.
- Ti prego, non mi dire che vuoi usare un’Eterna. - lo ammonì Harù.
- Allora non te lo dico. Però lo faccio. –
- E’ un incantesimo troppo superiore a noi! Potresti rischiare la pelle! -
- E poi ormai è morto, non sprecare una magia così. - disse Rizo.
- Puoi usare il Sigillo solo una volta, per una sola persona, lo sai? - aggiunse Chad.
- Certo che lo so. - rispose Jao.
- E dev’essere anche viva! Hai bisogno della tua energia vitale, ma anche della sua. Non è mica un Elfo, un Drago o chissà che! – aggiunse Rizo. – Dovevi farlo mentre stava tirando le cuoia, ma ha fatto troppo in fretta. Noi la magia la utilizziamo e la invochiamo, non ce l’abbiamo nelle viscere come altre creature. Se moriamo, è finita! –
Harù cercò di portare alla ragione l’amico in un modo meno duro. – Jao, usando questo incantesimo verresti marchiato nell’anima, per sempre. So che vorresti fare qualcosa per Lenn; credimi, anch’io. Ma ormai, come tutti noi Umani quando moriamo, non ha più magia dentro di sé. Non fare gesti avventati di cui potresti pentirti. -
Jao gli rivolse uno sguardo di ghiaccio. – Io non cambio idea. – disse, e non sembrò voler sentire repliche. – Io ho fatto una promessa. Ho dato la mia parola alla sorella di Lenn che non avrei mai permesso che succedesse qualcosa al fratello. Ho promesso che l’avrei protetto! E ora lui è morto solo per colpa mia… -
Fece una pausa, e guardò i suoi amici negli occhi, uno per uno. – E’ una questione di coscienza e onestà. Io non voglio vivere con il pensiero che avrei potuto fare una cosa del genere, salvarlo con un incantesimo, e non averci nemmeno provato. Anche se sembra impossibile riuscire a rimediare. E ora provate a fermarmi mentre cerco di fare il possibile, non ci riuscirete. –
Nessuno se la sentì di contraddire Jao. Ci fu un attimo di silenzio, poi Harù disse: - Fai quello che puoi. –
Jao annuì. Poi si inginocchiò davanti a Lenn. – Prestatemi un coltello, per favore. –
Harù annuì e ne prese uno tra quelli che aveva ancora legati alla cintura. Lo porse all’amico. Jao lo prese e se lo girò più volte tra le mani, osservandolo. Poi strinse l’arma con la mano destra, così forte da sbiancarsi le nocche; poggiò la lama al polso della sinistra.
Oddio…
Solo il pensiero di quello che stava per fare lo faceva soffrire; non si era mai ferito da solo. Però era meglio essere decisi e non esitare, altrimenti avrebbe rischiato di farsi male e basta, senza ottenere ciò che voleva. Così chiuse gli occhi. Poi premette la lama sull’esile polso. Incise.
Non poté fare a meno di farsi scappare un urlo, tuttavia non si stava pentendo e non invocò alcuna magia curativa. Quando riaprì gli occhi vide il sangue scorrere velocemente dalla ferita, ma senza esitare recuperò il calamaio, lo aprì, e lo fece colare dentro. L’inchiostro assunse uno strano colore che ricordava la terra. Intinse le dita.
Si accorse solo in quel momento che aveva sentito più dolore di quanto non pensasse, perché le lacrime avevano già cominciato a rigargli il volto.
- Toglietegli la giacca. – disse, ostentando sicurezza.
Chad si affrettò ad eseguire; si chinò sul corpo di Lenn e gli sfilò la giubba di cuoio nero che indossava, gliela poggiò accanto. Poi si discostò e tornò al suo posto, ad osservare la scena.
Jao poggiò l’indice e il medio bagnati d’inchiostro e sangue al centro del petto, all’altezza dello sterno.
Dopodiché emise un suono con la bocca che parve un gemito, e invece doveva essere qualche parola in Elfico. In quel momento l’inchiostro sembrò brillare di luce propria, nera e spettrale, ma solo per qualche istante. Probabilmente fu in quel momento che iniziò per Jao lo stato di trance.
Subito dopo, infatti, partendo da quel punto, tracciò un cerchio che occupò tutta la parte destra del petto di Lenn. Sollevò le dita e tracciò un secondo cerchio, tangente al primo, che occupò invece la parte sinistra. I due cerchi erano di una precisione straordinaria, di sicuro erano opera dell’incantesimo appena evocato dal ragazzo. Il terzo cerchio invece lo tracciò appena sotto agli altri due, leggermente più piccolo. Tracciò tre linee che racchiusero i cerchi in un triangolo. A quel punto l’inchiostro che già era sul petto di Lenn brillò di nuovo, emettendo quella strana luce, e quando tornò normale sembrò essersi asciugato. Ormai i segni erano indelebili.
- Ich, kylara Sygil hatarem irù… -
Dopo aver parlato in Elfico, Jao intinse di nuovo le dita nel calamaio, incurante del polso sinistro che intanto continuava a sanguinare.
Harù si sporse in avanti, e sembrò riconoscere le parole che si mise a scrivere lungo il perimetro del triangolo, e cioè quelle che aveva appena pronunciato in Elfico. Guardò il castano negli occhi, e non vi riconobbe alcuna espressione tipicamente sua, forse nemmeno umana.
Intanto, Jao seguitava nel suo rito. Appena ebbe finito di scrivere la formula, le scritte brillarono di luce propria, per poi tornare alla normalità, asciutte impresse nella pelle del morto.
Il castano intinse di nuovo le dita nel calamaio. All’interno di ciascuno dei tre cerchi disegnò un ulteriore cerchio; nello spazio tra un cerchio e l’altro, aggiunse altre scritte. A quel punto cominciò a ripetere le formule che scriveva a bassa voce, come una nenia. Più scriveva, più la sua lingua sembrava sul punto di attorcigliarsi, tanto diventava complicata la pronuncia delle parole. I suoi amici faticarono a capirne il significato o anche solo riconoscere le parole.
Infine, perfettamente concentrici rispetto agli altri cerchi, ne disegnò degli altri, che poi circondò di altre parole e simboli. Appena finì, l’intero tatuaggio cominciò di nuovo a brillare, ma questa volta in modo continuo.
Jao sollevò il capo, posò a terra il calamaio e poi tornò a fissare il vuoto, davanti a sé. Rimase qualche manciata di secondi in quello stato, tanto che i suoi amici si domandarono se fosse il caso di provare a svegliarlo. Quasi si spaventarono quando si rimise a parlare, ma questa volta nella loro lingua.
- Infinita è la forza degli esseri viventi. –, esordì. La sua voce era di un tono più bassa, inquietante. – Tuttavia, la Vita e la Morte non possono essere aggirate in eterno. –
A quel punto, gli occhi di Jao cominciarono a cambiare colore, davanti allo stupore di tutti; da color nocciola, le sue iridi divennero azzurre e fredde come il ghiaccio. La sua aura di magia divenne visibile ad occhio nudo, palpabile: una forte luce bianca in netta contrapposizione con quella spettrale che sovrastava il corpo di Lenn.
- Se un individuo pretende la vita di un altro, il patto di sangue viene interrotto. L’anima trova posto tra le fila della nostra Madre. –
Lo sguardo impassibile di Jao mutò per qualche secondo, i suoi occhi furono attraversati da un guizzo di consapevolezza e uno sprazzo di nocciola gli colorò le iridi; il ragazzo volse un fugace sguardo verso il polso sanguinante, ma poi tornò in trance.
- Impossibile è opporsi al volere degli Dei... – poi volse lo sguardo verso il corpo di Lenn. – Ma la supplica viene accolta. –
Dette quelle parole, l’aura attorno a Jao svanì, velocemente quanto il ritorno alla normalità dei suoi occhi. Il ragazzo venne scosso da un ultimo fremito, poi rimase con la schiena piegata in avanti e la testa a ciondoloni, come se fosse stato un sacco vuoto.
Seguì un silenzio totale, con il petto di Lenn che continuava a sprizzare energia da tutti i pori.
Harù fu il primo a provare ad avvicinarsi, cauto. Gli poggiò una mano sulla spalla. – Jao…? –
Il ragazzo dagli occhi azzurri quasi non s’aspettava una reazione dell’amico, dopo ciò che aveva visto. E invece Jao rispose al richiamo sollevando la testa. Si girò e lo guardò. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò. Fu scosso da un altro brivido. Assunse di nuovo un’espressione sofferente, emise un gemito di dolore. Dal suo petto fuoriuscirono violentemente dei raggi di luce, dei filamenti che gli percorsero il braccio sinistro e oltre il polso sanguinante, poi proseguirono e avvolsero Lenn. La luce tetra sul petto di quest’ultimo svanì per lasciare spazio a quella di Jao; dei guizzi azzurri fuoriuscirono dal corpo del morto e si unirono alla Luce. Lenn fu completamente avvolto. Infine, la magia entrò nel petto del ragazzo.
Nessuno si mosse, per paura di rovinare ciò che era stato fatto, di spezzare l’incantesimo e distruggere quell’atmosfera surreale. Fissarono il corpo di Lenn e attesero.


Il buio circondava la coscienza di Lenn, che ovunque guardasse non vedeva altro che tenebre. Il senso di leggerezza che aveva provato qualche attimo prima era svanito, ma in compenso provava un forte senso di vuoto nella mente. Non ricordava assolutamente nulla, nemmeno il suo nome. Però sapeva che era morto. Era stato vivo, una volta, ma non ricordava come fosse esserlo. C’era una donna assieme a lui, ma era sparita quasi senza motivo.
- C’è nessuno? – domandò ad alta voce, ingenuamente. Non arrivò riposta.
Ma dal nulla, in quell’istante, apparve una luce. Era lontana, aveva la luminosità di una stella, ma sembrava uno squarcio miracoloso, in quel nulla desolante.
- Ehi, laggiù, mi sentite? –
Ancora niente. Questa volta, dopo la sua domanda, non accadde nemmeno nulla d’interessante.
Un terribile senso d’impotenza lo colse. E di mancanza. Sentiva di aver perso qualcosa d’importante che non riusciva a ricordare. Non voleva rimanere in quel posto.
- Fatemi uscire di qui! – gridò.
Come se la sua esclamazione fosse finalmente stata udita da qualcuno, avvertì una luce provenire proprio dal punto in cui si trovava. Si chinò e vide un corpo che dedusse fosse il suo; era evanescente e sembrava ricomparire e materializzarsi con la stessa consistenza di un sogno. La luce andava ad intensificarsi sempre di più. Di sottofondo, cominciò a udire una voce, una serie di parole veloci e incomprensibili di cui non colse il significato. La voce era maschile e gli sembrava familiare, solo che non riusciva a capire di chi fosse. La prima parola che riaffiorò nella sua mente fu suscitata da quella voce, e seppe che apparteneva ai suoi ricordi smarriti; anche se non capiva che connessione avesse con quella nuova presenza: - Lontano… - mormorò.
Subito dopo, sentì una morsa afferrargli lo stomaco prepotentemente. La prima impressione fu quella di essere preso da un arpione; poi si sentì anche trascinare in avanti, proprio verso lo squarcio di luce davanti a lui. Si sentì soffocare, come se i polmoni facessero fatica a prendere aria.
All’improvviso la sua essenza svanì, e in quel luogo non ci fu più. Stava tornando da dove era venuto.


Dopo interminabili secondi di attesa, il corpo di Lenn non accennava a muoversi. La Luce era sparita, e con lei ogni speranza che l’incantesimo avesse funzionato. La ferita sul corpo di Lenn non c’era più, ma il ragazzo non dava segni di vita. Jao fu il primo a muoversi, portando lo sguardo al polso ferito. Harù finalmente si decise ad avvicinarsi per prendersi cura di lui.
- Fa vedere… - disse.
Jao porse il braccio con noncuranza, lo sguardo rivolto al terreno. Possibile che non avesse funzionato? Ci aveva sperato con tutta l’anima. Le lacrime, questa volta più silenziose, tornarono a rigargli il volto. - Lenn… -
- Lenn! – esclamò un’altra voce, quella di Chad. Harù e Chad sollevarono lo sguardo, esibendo un’espressione più che confusa davanti al ragazzo di colore. Quest’ultimo indicò il ragazzo morto e gli si avvicinò.
Jao guardò in quella direzione, e vide che il corpo era scosso dai brividi. Noncurante della sua ferita e di Harù che provava a fermare l’emorragia con un incantesimo, si sporse in avanti per osservare meglio il ragazzo steso a terra.
Improvvisamente le scosse finirono e le dita delle mani si mossero, piantando le unghie nel terreno, quasi a volersi aggrappare per non cadere; contemporaneamente il petto si sollevò in un forte respiro avido d’aria e gli occhi neri si spalancarono, tornando a diventare specchi del cielo.
Seguirono vari gemiti strozzati e un attacco di tosse, Lenn si muoveva in maniera confusa, come lo era la sua espressione.
- Lenn! – fu la prima cosa che il ragazzo udì. – Oh, Dei, sei vivo! –
Poi sentì qualcuno che lo sollevava leggermente da terra. Lo guardò, e vide il sorriso di Jao, in netto contrasto con il viso ancora rigato dalle lacrime.
- E’ un miracolo! – esultò Chad.
Harù e Rizo erano troppo occupati a rimanere a bocca aperta per dire qualcosa.
Jao osservò l’espressione scombussolata di Lenn. – Ehi, come ti senti? E’ tutto a posto? –
Lenn rimase un attimo in silenzio, faceva fatica ad elaborare quello che stava succedendo. – Ho un mal di testa incredibile… E per gli Dei, odio gli Elfi! –
Jao lo abbracciò, ridacchiando. – Grazie al cielo sei vivo! E’ questo che conta! –
- Non ho ben chiaro che è successo… Sono svenuto? Pensavo di essere spacciato, con quella ferita…-
- Te lo spieghiamo dopo! Adesso riprenditi. – disse Harù dandogli una leggera pacca sulla spalla.
- Avanti, qui ci vuole un abbraccio di gruppo per Lenn! – esclamò Jao, improvvisamente divertito.
- No, vi prego. Tutto, ma gli abbracci no! –
I suoi amici lo ignorarono, e si strinsero tutti su di lui, mentre Rizo gli scompigliava i capelli.
- Ragazzi, io avrei anche un briciolo di dignità da salvaguardare, eh! – disse Lenn, fingendosi scocciato.
- Ma va là, la dignità l’hai persa facendoti ammazzare da una ragazza! –
Lenn sbuffò, trovando la battuta di cattivo gusto. Ma decise di non dire nulla. Voleva capire cosa fosse successo, ma prima ancora voleva riposarsi. Avrebbe pensato a qualsiasi altra cosa dopo.
Guardò il cielo. Sentì che quell’azzurro era la cosa più bella che avesse visto in tutta quella giornata. Aveva avuto paura di non vederlo mai più. Decise che ogni giorno della sua vita avrebbe alzato almeno una volta gli occhi al cielo unicamente per contemplare quello spettacolo. E, più avanti, si sarebbe ricordato che, quando si era sentito rinato, la cosa più strabiliante era stata proprio quel cielo e la gioia di avere i suoi amici vicino.

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Capitolo 31
*** Capitolo 8 - Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell'Anno (Parte III) ***


[Dovrei scrivermi degli appunti quando finisco di scrivere un capitolo, perché poi quando arriva il momento di scrivere qualcosa prima di postare è difficile decidere cosa dire... E' passato troppo tempo daq quando ho scritto questa parte! Oh beh, comincerò a scrivere appunti da adesso. Su questa parte non c'è molto da dire, a parte che è un po' breve, mea culpa, e che come al solito ha molti indizi su eventi futuri. Ah, e in questa terza parte in particolare, sto trollando alla grande. Quindi, anche se sembra insignificante, ricordatevi questo capitolo in futuro, quando scoprirete determinate cose. E intendo cose che non verranno rivelate nei prossimi capitoli, ma molto più avanti. Come sono malvagiaH. *sfrega le mani compiaciuta*]



Capitolo 8
Morte dal cielo, il Sigillo, Capo dell’Anno
Parte III




Era calata la notte e i ragazzi, che erano di nuovo cinque, stavano seduti attorno al fuoco da loro acceso a discutere. A quell’ora della notte il freddo si faceva sempre più pungente, così erano tutti avvolti da delle calde coperte.
Lenn, pensieroso, osservava le fiamme guizzare davanti a lui. I suoi amici gli avevano appena detto che, effettivamente, era morto. Inspiegabilmente, però, era tornato in vita. Non si aspettava di sentirsi dire una cosa del genere, lui non ricordava assolutamente nulla. L’ultima cosa che ricordava era il dolore lancinante al fianco provocato dalla spada di una delle loro avversarie, poi la sua memoria si dissipava pian piano, non gli rimaneva più niente in testa. Lo turbava moltissimo il fatto di essere morto in modo così improvviso; senza l’intervento dei suoi amici lui a quell’ora sarebbe rimasto ancora un corpo freddo e immobile. Per lui non ci sarebbe più stato nulla, eppure aveva ancora così tante cose da fare… Tra le quali essere ricordato. Si era reso conto di essere quasi solo al mondo. Morto lui, finiva la sua storia, e con il tempo sarebbe stato come se non fosse mai esistito. Il pensiero, non sapeva bene perché, lo terrorizzava; non voleva che accadesse nulla del genere.
Una voce lo chiamò. - Lenn…? -
Era Harù, che lo scosse leggermente con una mano sulla spalla.
Lenn lo guardò e gli sorrise debolmente, facendogli capire che ora era sceso dalle nuvole.
- Sei pallido, amico. Dovresti riposare un po’. E’ stata una giornata dura. –
Il ragazzo dagli occhi azzurri sembrava sinceramente preoccupato per la sua salute, ma soprattutto sembrava voler verificare che Lenn avesse reagito emotivamente bene alla notizia della sua morte temporanea.
- In effetti, sono un po’ stanco… - disse quest’ultimo, sospirando.
Lenn alzò lo sguardo e lo puntò su Jao, che stava davanti a lui, dall’altra parte del fuoco. Anche il castano era pallido e aveva un’espressione stanca, anche se sembrava sereno. Teneva in grembo il braccio ferito che gli faceva ancora male, con il polso fasciato a dovere. Doveva aver perso molto sangue. In più, passata l’euforia iniziale in seguito al risveglio di Lenn, si era ammutolito e aveva comunicato semplicemente con dei sorrisi cordiali indirizzati a chi cercava assenso da parte sua.
Lenn si alzò in piedi, barcollò leggermente, ma si raddrizzò e camminò verso l’amico con tranquillità. Arrivato davanti a lui, si mise di nuovo per terra, sulle ginocchia, e poi piegò la schiena in avanti fino a toccare il terreno con la fronte, in una prostrazione totale.
- Sei uno stupido. Hai evocato un incantesimo potente e unico per salvarmi la vita, quando avresti potuto usarlo per te stesso. – disse il Drago. Seguì una breve pausa. Quando parlò di nuovo, gli tremava la voce: - Ma ti sono eternamente grato per averlo fatto. –
Quando Lenn sollevò il capo, gli sguardi dei due ragazzi si incontrarono. Gli altri ebbero l’impressione, in quel momento, che i due ragazzi fossero uguali, sembravano quasi fratelli. I loro sguardi seri e le labbra contratte nel tentativo di trattenere l’emozione, li rendevano molto più simili di quanto non fossero agli occhi di tutti. Forse anche loro se ne accorsero, ed ebbero un leggero sussulto.
- Grazie. – disse Lenn infine.
Jao gli sorrise con la sua solita tranquillità, poi tirò un sospiro stanco. – Avrei fatto questo ed altro, se necessario. -
Dopo un breve silenzio, Harù si sedette accanto a loro due. – Penso che potrai tornare in vita altre due volte. – disse, rivolto a Lenn.
Quest’ultimo annuì.
- L’Eterna funziona così, penso. Vero, Jao? – continuò poi.
- Sì, certo. – rispose il ragazzo più mingherlino, sfoderando l’ennesimo sorriso placido. – Ma solo se il percorso naturale di Lenn viene interrotto. In pratica, il Sigillo lo può riportare tra noi solo se viene ucciso. –
Lenn annuì. - Ciascun cerchio che compone il mio tatuaggio racchiude energia vitale, che verrà rilasciata solo quando morirò, come dicono le rune che Jao vi ha inciso. Posso tornare tre volte, in tutto. Una possibilità, ovviamente, l’ho già bruciata. –
Il ragazzo si era sbottonato la camicia per mostrare ad Harù i disegni sul suo petto e illustrargli i simboli che appartenevano all’Elfico antico.
Poi, Lenn rivolse lo sguardo verso Jao. I due si scrutarono un’ultima volta, quasi come se volessero capire cosa passasse per la testa all’altro. Poi distolsero lo sguardo, e parvero improvvisamente entrambi più tranquilli e in pace con se stessi.
Lenn si ripromise di usare anche lui il Sigillo, ma su di Jao, se mai se ne fosse presentata la necessità.
Per qualche secondo, l’aria s’impregnò di silenzio.
- Ciò che però non capisco, - esordì poi Rizo - E' il perché Lenn sia tornato tra noi nonostante fosse morto. Il Sigillo normalmente sugli Umani funziona solo se lo si disegna prima della morte. -
- Già, questo è strano... - affermò Chad pensieroso.
- …Forse non era davvero morto. - dedusse Jao.
- Ma il cuore aveva smesso di battere, non respirava ed era freddo, com'è possibile che non fosse morto? - domandò Rizo.
- Solo Lenn potrebbe dirci che cosa è successo esattamente. – affermò Harù.
Tutti si girarono verso il ragazzo interessato, e Lenn si sentì in soggezione.
- L’ho già detto, non ricordo nulla. – disse evitando lo sguardo di tutti. – Se non mi aveste detto voi che ero morto, avrei pensato ad uno svenimento. –
Detto questo, si portò una mano al fianco sinistro, sotto la camicia. Sentì la pelle liscia e sensibile, dove prima era stato ferito. Adesso aveva solo una vistosa cicatrice. Difficile sopravvivere ad un colpo di spada tanto letale. Però lui era ancora lì. Rabbrividì leggermente.
- Ricordo solo il momento in cui sono stato trafitto, poi è tutto confuso o non ho proprio ricordo di ciò che è successo. –
- Oh, beh, non è che ti sei perso molto. – rispose Rizo con leggerezza. – Una caduta a terra e qualche rantolo, nulla di più. –
Lenn si sentì turbato da quell’affermazione e dal suo tono di voce, ma ancora di più dall’immagine che gli si formò nella mente, di lui accasciato a terra che tirava le cuoia. Gli ringhiò contro, ma non ribatté.
Jao poi gli mise una mano sulla spalla. – Poco importa cosa effettivamente è successo, l’importante è che sei ancora qui. –
Lenn rispose con un sorriso incerto.
Dopo qualche altro minuto di conversazione, i ragazzi decisero che il freddo stava cominciando a diventare insopportabile e che quindi sarebbe stato meglio mettersi subito a dormire, prima di non essere più in grado di riuscirci. Decisamente più sereni, si chiusero tutti nei sacchi a pelo e s’addormentarono come sassi. Tutti, tranne Lenn e Jao.
I due dormivano sempre vicini, quindi dai sacchi a pelo facevano uscire la testa e si fissavano a vicenda, seri in volto.
Dopo vari minuti passati in quel modo, Lenn ruppe il silenzio con la sua voce stanca: - Hai qualcosa da dirmi? –
- Perché me lo chiedi? –
- Non me la conti giusta. – rispose semplicemente Lenn.
Jao abbassò lo sguardo, andando a rimirare il terreno. Era la prima volta che Lenn lo vedeva così remissivo. – Vorrei che tu mi perdonassi. –
- E per cosa? –
Jao stette in silenzio.
- Non mi sembra che tu abbia fatto nulla di male. Anzi, oggi mi hai salvato la vita e… –
- Ho solo rimediato al danno che avevo fatto. – disse Jao bruscamente.
Questa volta fu Lenn a non parlare, e gli lanciò un’occhiata interrogativa.
Jao sospirò. – Tu eri più in gamba di quell’Elfa… eri l’unico ad avere un po’ di vantaggio sull’avversario, a dir la verità. –
Lenn intervenne, con una punta d’ironia: - Beh, più o meno. –
- …Lei è riuscita a colpirti solamente perché eri disarmato. E a disarmarti sono stato io. –
L’altro ragazzo non disse nulla.
- Ho avuto l’ardire di fare quella mossa avventata perché ero troppo sicuro di me, e ho messo in pericolo anche la tua vita. – disse Jao, - Il fatto di essere riuscito a riportarti in vita è stato un colpo di fortuna. Altrimenti a quest’ora saresti ancora morto. E a causa mia. -
Lenn rimase ancora in silenzio, a fissare il suo amico che tutt’a un tratto non aveva più il coraggio di incrociare il suo sguardo. Si sentì irritato, non poteva abbattersi in quel modo.
Allora si alzò e si mise a sedere, poi si sporse verso di lui e gli diede un forte pugno sulla spalla. Jao protestò con un’esclamazione colorita.
- Non provare mai più a caricarti di tutte queste cazzate! – esclamò, tentando di bisbigliare per non svegliare gli altri. – Io ho fatto una scelta. Non mi hai obbligato a seguire il tuo piano. E io sono l’unico responsabile delle mie scelte, va bene? –
Jao gli sorrise esitante.
- Non ti incolperei mai per ciò che è successo. Quindi non accetto la tua richiesta di perdono. –
Detto questo, il Drago si reimmerse tra le piume del sacco a pelo con fare fintamente imbronciato e tacque.
Jao non rispose, e rimasero in silenzio per un tempo indefinito, che però a loro parve molto lungo.
- Sono fortunato ad avere un amico come te. – disse infine la Tigre.
Lenn, che si stava già addormentando, rispose con la voce impastata: - …Lo stesso per me. –
Jao ridacchiò. – ‘Notte, fratello. –
- Buona… Notte…. -


I cinque viaggiatori proseguirono subito il loro cammino, alle prime luci dell’alba, come al solito.
Giorno dopo giorno pativano sempre di più la fame, e quindi giorno dopo giorno si facevano forza a vicenda, rafforzando il loro legame di amicizia. Tutto il gruppo si adoperava per tirar fuori più acqua possibile dai cactus o per catturare i serpenti e le lucertole del deserto, il massimo del loro sostentamento.
Vivevano una vita di stenti, eppure riuscivano a mantenere il buon umore. Jao e Lenn primi fra tutti.
I due parlavano tra loro, ridevano, si tendevano scherzi, ma rendevano partecipi anche gli altri. A tutti piacque il cambiamento in positivo di Lenn: era molto meno ombroso e malinconico del solito; forse il fatto di avere una seconda occasione per vivere gli aveva dato uno stimolo ad essere più solare e godersi la compagnia del prossimo.
Ma passarono le settimane, e circa a metà Dicembre cominciarono le stranezze.
Lenn cominciò a cambiare umore più veloce di una tempesta di sabbia; a volte era sereno, altre aveva una ricaduta e tornava a infondere energia negativa agli altri. Jao sembrava quello più influenzabile di tutti, cambiava umore di pari passo con l’amico.
Gli altri ragazzi pensarono che fosse solo una fase, ma poi gli sbalzi d’umore divennero sempre più frequenti; anche se la costante ora era un perenne nervosismo o un particolare acume dei sensi che facevano sobbalzare Lenn per il minimo rumore oppure tenere gli occhi bendati per la troppa sensibilità alla luce del sole.
Lenn odiava l’incoerenza, eppure si ritrovava a cambiare umore e contraddirsi nel giro di pochissimo tempo, sembrava impossibile riuscire a parlare tranquillamente con lui.
Jao continuava a essere incostante come Lenn, ma in maniera meno grave.
Poi capirono che forse il nervosismo del ragazzo dai capelli neri era causato dalla sua magia anomala. Sempre più spesso veniva attorniato da un’aura d’energia negativa visibilissima o sprizzava magia da tutti i pori; col tempo, arrivò a emettere quasi ininterrottamente una tenue aura di luce azzurra. Lenn non aveva mai avuto l’occasione di fermarsi a capire cosa fosse quella magia, tanto meno a controllarla. Quasi ogni volta che si sentiva disturbato il flusso di magia aumentava, e quindi evocava incantesimi senza nemmeno volerlo, talvolta anche pericolosi.
Una notte arrivò a togliere il sonno a tutti perché con la sua magia era riuscito a farli levitare e sollevare da terra, senza sapere come controllarsi per rimetterli giù.
A volte l’aria attorno a lui si gelava, e gli amici gli si avvicinavano per godere di un po’ di frescura, altre volte ancora diventava bollente ed era impossibile stargli a meno di due metri di distanza. Quasi ogni volta che gli altri lo toccavano si prendevano una forte scossa; Jao aveva ancora i segni di una leggera ustione sul braccio destro.
Il picco di rilascio di magia avvenne quando, durante una giornata come tante, Lenn starnutì e scomparve nel nulla; i suoi amici s’erano presi un colpo, ma poi il Drago aveva spiegato loro che era solo diventato invisibile. Poterono tornare a vederlo solo il giorno dopo, quando il flusso di magia diminuì di nuovo.
Lenn odiava il pensiero di essere la causa di tutto quel caos. Non gli importava se con un solo gesto riusciva a usare incantesimi che normalmente avevano bisogno di intere formule per essere eseguiti, voleva solo starsene in pace e non creare problemi agli altri. Ma non riusciva proprio a controllarsi. Il fatto di non riuscire mai a rilassarsi e controllare la magia lo facevano sentire frustrato; in più era molto stanco e le energie che gli rimanevano fluivano in continuazione fuori dal suo corpo, per essere utilizzate negli incantesimi involontari.
I suoi amici, preoccupati, pensarono che quei comportamenti fossero le conseguenze per aver riportato in vita Lenn con il Sigillo, nonostante fosse già morto. Poteva essere un’ipotesi, ma il fenomeno rimaneva comunque fuori dalla portata delle loro conoscenze.


Poi arrivò la notte del Capo dell’Anno. Erano tutti assieme, attorno al fuoco, pronti a brindare con la birra a basso prezzo che erano riusciti a comprare nel villaggio in cui erano arrivati dopo giorni di cammino estenuanti. Però erano distanti dal piccolo centro abitato; non erano più abituati ad avere altra gente intorno e volevano festeggiare per conto loro.
Lenn era stranamente tranquillo, quella notte. Le scintille azzurre, però, lo circondavano sempre. Jao era seduto al suo fianco. Il castano sembrava essere l’unico in grado di sopportare l’aura particolare di Lenn, quindi stava spesso insieme a lui per fargli compagnia; era tranquillo anche lui, quindi si prospettava una nottata di sonno assicurato.
Tra le risate parlarono di tutto ciò che era successo durante quell’anno passato interamente a viaggiare e dei loro propositi per l’Anno nuovo. Erano successe davvero tante cose: avevano incontrato Lenn, avevano scalato i Monti Bezor, avevano combattuto contro uno Stregone Oscuro e il suo Demone, avevano fronteggiato vari nemici, e adesso viaggiavano nell’inclemente deserto di Gauth. Dopo tutto quel tempo passato a viaggiare e vivere in solitudine, si sentivano quasi disturbati dalla presenza del villaggio alle loro spalle, abbastanza lontano da non disturbarli con i suoi rumori di gente che festeggia, canta e balla.
Oltre ad essere diventati asociali, però, erano anche cresciuti, durante quel periodo di tempo: Harù in quel Novembre aveva compiuto diciotto anni, Chad ad Aprile ne aveva compiuti diciassette e con sua somma gioia era diventato un uomo adulto a tutti gli effetti, Rizo era arrivato a ventidue anni durante Maggio. Jao invece ne avrebbe compiuti diciassette durante il Febbraio dell'anno nuovo, inutile dire che non vedeva l’ora di raggiungere i suoi compagni.
Ma quella sera stavano tutti aspettando la crescita di Lenn. Il Drago, infatti, era nato il primo di Gennaio, e di lì a pochi minuti avrebbe avuto il doppio dei motivi per festeggiare quell’avvenimento. Finalmente sarebbe diventato anche lui maggiorenne, compiendo i fatidici diciassette anni. Aveva aspettato quel giorno con ancora più trepidazione, dopo essere tornato in vita il mese prima.
Lenn sorrise con una punta d’amarezza: sapeva di essere nato il primo giorno dell’anno solo grazie a Lia. Aveva chiesto molte volte alla sorella di raccontargli il giorno della sua nascita, ma lei era sempre stata vaga, diceva che era passato troppo tempo per poter ricordare tutti i particolari; però gli aveva detto che quando era nato albeggiava, il sole colorava il cielo completamente di rosso.
Il ragazzo sorseggiò un bicchiere di vino caldo; la birra era buona, ma il prezzo ne sottolineava la qualità; per una volta, preferiva la scelta che aveva fatto Rizo, che aveva “preso in prestito” una bottiglia di buon vino rosso. Si sentì riscaldare le viscere e la testa si fece leggera.
Le sensazioni che il vino gli donava lo distraevano dalla sua spossatezza, dovuto al continuo rilascio di energia che doveva sostenere, tutto per colpa della solita magia incontrollata.
Poi, dopo l'ennesimo schiamazzo di Chad, già un po’ brillo, i cinque udirono delle grida di festa provenire dal villaggio, e poi il primo numero del conto alla rovescia.
- Dieci! -
- Venite ragazzi, tutti vicini! E' quasi ora! - esclamò Jao.
Lenn si alzò da terra per unirsi agli altri, e venne percorso da un brivido diverso dagli altri.
Che succede?
- Nove! -
I ragazzi si affiancarono e si strinsero amichevolmente.
- Otto! -
Le grida distanti si facevano sempre più forti. Incredibile come una festa potesse esaltare tanto la gente.
- Sette! –
Lenn si sentiva più disturbato, che esaltato. Il vino all’improvviso non riusciva più a inibire la stanchezza; aveva i brividi e sentiva come un peso premergli il petto.
- Sei! -
Il ragazzo cominciò a tremare. Jao, vicino a lui, notò il suo disagio improvviso e gli rivolse un’espressione preoccupata.
- Cinque! -
Harù si mise a ridere sguaiatamente, senza motivo.
- Quattro! -
Jao prese Lenn per una spalla, e sentì una forte energia diffondersi anche nel suo corpo. – Ehi, va tutto bene? –
Lenn scosse la testa, stringendo i denti. Aveva il presentimento che non sarebbe riuscito a controllare il flusso di magia azzurra che si sarebbe manifestato di lì a poco.
- Tre! -
Al ragazzo dai capelli corvini mancò per un attimo il respiro. Le scintille che lo attorniarono divennero presto un'intera e grande aura celeste, i suoi amici indietreggiarono, tra lo sbalordito e l'affascinato. Jao rimase il più vicino possibile a lui.
- Due! –
Lenn trovò terribile il senso di impotenza che provò quando l’energia vitale cominciò a lasciare il suo corpo con violenza. L’anima e la forza di volontà opponevano resistenza, ma a vuoto.
- Uno! -
Mancava un secondo a mezzanotte, e Lenn si sentì bene e malissimo allo stesso tempo, sopraffatto da se stesso. Stava per liberarsi di tutte le sensazioni represse, ma in un modo che avrebbe preferito evitare.
Quando le grida del villaggio scandirono un sincero e clamoroso - Buon anno! -, il Drago si sentì avvampare, e non riuscì più a contenere quelle energie, così le lasciò andare e scorrere via. Anzi, se non avesse voluto liberarsene, sicuramente la magia avrebbe prepotentemente trovato la sua strada fuori dal corpo.
In quello stesso istante perse i sensi. Non si accorse perciò dell’esplosione di luce che provocò, del fatto che illuminò l’area circostante a giorno, e che l’onda d’urto che seguì ciò prese in pieno i suoi amici.
I fuochi d’artificio partirono dal villaggio, ma non li vide nessuno. Per interi secondi il cielo fu solamente azzurro, le stelle nel cielo non si vedevano più.
Lenn aveva appena dischiuso il suo potere, ma ancora non lo sapeva.

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Capitolo 32
*** Capitolo 9 - La verità, il secondo Giglio (Parte I) ***


[Ed eccomi di ritorno con un nuovo capitolo, il mitico numero nove! Yay! In questo capitolo accadono tante cose interessanti, e questa prima parte contiene già succulenti elementi che creeranno nuove situazioni nella trama, che diciamocelo, fin'ora è stata abbastanza lineare. Comunque! Nel titolo di questo capitolo si menziona un secondo Giglio, qualcuno si ricorda ancora quale fosse il primo? Se la risposta è negativa, andate subito a dare una scorsa al capitolo che menziona questo fantomatico primo Giglio!
Ah, e in questa parte troverete anche l'essenza trash che c'è in me, incarnata in un tentativo di introdurre il Taoismo nell'universo della mia fic. Becero, e in più accentua quel senso di Bromance che ormai mi da un bel po' fastidio. E il Taoismo è pure anacronistico, diciamocelo. Penso che verrà spazzato via alla prossima stesura, sì sì.
Al momento non ho nient'altro da dire. Quindi ciao e alla prossima! Enjoy your reading!]



Capitolo 9
La verità, il secondo Giglio
Parte I




Quando Lenn si risvegliò, albeggiava. In un primo momento vide solo delle sagome davanti a lui, poi distinse i volti dei suoi amici, quello di Jao era come al solito sorridente, felice di rivederlo sveglio. Era la seconda volta nell’arco di poco tempo che si svegliava con tutti i suoi amici attorno e non ricordava un accidenti di quello che era successo. A dir poco frustrante.
Si rimise in fretta a sedere, sostenendo la testa improvvisamente pesante con la mano destra. Dato che continuava ad avere ricordi ben poco precisi, si accinse a chiedere spiegazioni: - Che mal di testa... Ma che diavolo è successo, di nuovo? -
- Non ne abbiamo una precisa idea, però dobbiamo ammettere che hai fatto scintille! - affermò scherzosamente Chad.
- Eri invidioso dei fuochi d'artificio, per caso? - domandò Harù.
Lenn li guardò, stranito. - …’Cazzo state dicendo? –
- Non sei di nuovo morto, stai tranquillo. – lo rassicurò poi Jao, posandogli una mano sulla spalla.
Il Drago tirò un sospiro di sollievo. – Meno male… -
In effetti, non si sentiva acciaccato come quando era tornato dal mondo dei morti. Anzi, si sentiva molto più leggero e riposato di quanto non lo fosse stato negli ultimi giorni.
- Ma allora che è successo? –
Jao, come suo solito, si mise a gesticolare assumendo l’espressione di chi ci ha capito ben poco. – Boh, sei come esploso. Hai investito tutti con un'ondata di magia, quella azzurra che hai solo tu, sai. Proprio allo scoccare della mezzanotte! A noi non è successo niente, però tu hai perso i sensi. –
Lenn si spremette le meningi. Forse riusciva a ricordare qualcosa. E in effetti, dopo qualche secondo, riuscì a ricordarsi il momento in cui stavano facendo il conto alla rovescia, tutti stretti vicini; poi gli tornò alla memoria l’immagine di Jao che gli rivolgeva un’occhiata preoccupata e forse gli diceva qualcosa, ma da lì in poi non ricordava davvero nulla, solo un senso di pesantezza al petto.
- Per quanto sono stato incosciente? – chiese poi.
- Qualche ora, forse cinque, dato che sta sorgendo il sole. - rispose Rizo, che stava in piedi, sovrastando tutti gli altri, che invece stavano accucciati a terra.
Lenn si rimise in piedi, nonostante il mal di testa lo deconcentrasse su qualsiasi azione da fare. Nonostante quel continuo pulsare, però, si sentiva relativamente bene.
- Quindi oggi è ancora il primo di Gennaio? – chiese, spolverandosi i pantaloni.
- Esattamente. Quanto sei perspicace... - disse Rizo sarcastico.
A Lenn venne una voglia matta di far fuori il biondo, ma rimandò a causa del mal di testa.
- Rizo, si è appena ripreso. Pochi minuti fa era ancora svenuto, dagli il tempo di farlo svegliare bene! Non vedi che è ancora mezzo addormentato? - lo rimbeccò Harù.
Rizo rispose con un sbuffo, poi si girò e si allontanò per fare due passi.
Lenn si passò una mano sul viso, come per svegliarsi meglio. Aveva tante cose per la testa, troppe. Però si ripromise che avrebbe scoperto che cosa gli era accaduto di preciso.
Rimasero ancora una buona mezz’ora fermi in quel punto, per lasciare un po’ di respiro a Lenn. Poi, dopo aver controllato di essersi riforniti bene al villaggio vicino e di avere tutto il necessario, partirono.
Dopo circa un chilometro di strada, Jao si affiancò al Drago, che era rimasto indietro. Gli rivolse un sorriso strano.
Lenn s’insospettì subito. – Che cosa vuoi? –
Jao non rispose subito, ma si mise a rovistare nel nuovo borsello che s’era comprato. Ne estrasse una piccola scatola di legno. La porse all’amico, che la prese con esitazione.
- E’ il tuo compleanno, no? –
Lenn abbozzò un sorriso imbarazzato. – Jao, ma che t’è passato per la testa? Non dovevi nemmeno pensarci… -
- E invece, ho pensato che in tutti questi anni, forse, non avevi mai ricevuto un regalo per festeggiare. –
- Beh, in effetti, è così… -
Il ragazzo allora gli diede una pacca sulla spalla. – Su, non hai nemmeno guardato cos’è! E se fosse qualcosa per cui mi potrei meritare una scarpata in faccia? –
Lenn rise. – Spera che non lo sia, perché te la tirerei davvero, adesso. –
Detto questo, il ragazzo dai capelli corvini aprì la scatoletta, curiosissimo di vederne il contenuto.
- Sei un deficiente… - disse poi, ma non in modo sgarbato. Jao ridacchiò quando sentì nella sua voce una punta di commozione.
Nella scatola c’era una collanina in cuoio, con appeso un ciondolo di legno che sembrava molto elaborato. Quest’ultimo raffigurava un Drago nero, in rilievo su di una superficie liscia, con una forma che ricordava quella di una goccia.
- Dove l’hai trovata? –
- Nel villaggio in cui ci eravamo fermati ieri. – disse semplicemente Jao. – Mentre facevo la raccolta dei viveri, ho scoperto che nel deserto la gente segue una religione diversa dalla nostra, si chiama Taoismo. Non sapevo che ci fosse, ma sembra essere molto diffusa qui e in alcune isole lontane da Argeth. Non è poi molto diversa da quella che si segue qui, ma l’ho trovata curiosa perché crede nel Tao, un credo che non ti sto qui a spiegare… Fatto sta che questo Tao viene rappresentato da un cerchio diviso in due parti: una nera, con una minima parte bianca, e l’altra metà completamente bianca, ma con una piccola parte di nero. –
Lenn ascoltò attentamente la spiegazione dell’amico, e in effetti notò che, al centro della goccia nera contenente il Drago, si poteva vedere un pallino bianco. – Ma cosa c’entra il Drago? – chiese.
- Adesso ci arrivo. Queste due parti simboleggiano tutto ciò che è opposto: la Luce e le Tenebre, il giorno e la notte, la vita e la morte, eccetera. Ma con quella minima parte dell’elemento opposto, dicono anche che in ogni cosa c’è un pezzetto di ciò che gli sta avverso, e che non possono coesistere l’una senza l’altra. Il Drago rappresenta le Tenebre che celano in fondo al cuore un po’ di Luce. –
Lenn gli sorrise. – Ah, ora ho capito. –
- E indovina che animale rappresenta la Luce? –
Lenn sollevò le spalle per dirgli che non lo sapeva, mentre Jao gli rispose con un sorriso a trentadue denti. Poi il castano frugò nella tasca dei pantaloni, ne estrasse anche lui una collanina e se la mise al collo.
Lenn guardò il ciondolo. – Una tigre bianca? –
- Esatto! – disse Jao. Sembrava orgoglioso della sua pensata. – Figo, eh? Ho pensato subito a noi due. –
Lenn tolse dalla scatola il regalo e lo mise anche lui al collo.
Rimasero in silenzio per qualche secondo. Lenn non sapeva che dire. Non s’aspettava un regalo, nessuno gliene aveva mai fatto uno, né pensava di meritarlo. Però gli fece piacere che Jao, guardando quel Drago, avesse pensato a lui, al legame di amicizia che li univa. Per lui quel gesto significava molto.
- Grazie. – fu l’unica parola che riuscì a dire.
- Buon compleanno. -


Dopo soli due giorni di cammino, i ragazzi si lasciarono largamente alle spalle il villaggio dove si erano fermati per festeggiare il Capo dell’Anno e percorsero con un buon passo il crepaccio in cui erano bloccati da tempo. Presto si accorsero che le pareti andavano lentamente e gradualmente ad abbassarsi, cosicché dopo una settimana di marcia continua arrivarono alla fine del canyon. Il terreno su cui scarpinavano, però, rimaneva sempre il solito mucchio di terra arida e polvere, con qualche cactus sparso qua e là. Il paesaggio era inesorabilmente sempre lo stesso. Lenn si cominciò a chiedere se avrebbe mai rivisto un albero vero, magari una foresta, o un fiume. Tutte quelle cose gli sembravano solo lontani ricordi che facevano parte di un passato lontano. Odiava i deserti.
Jao affermava che mancava sempre meno alla destinazione, la città di Sailam, anche detta “Città dell'acqua”. A quanto pareva era chiamata così perché le case, le strade, le piazze e quant’altro erano circondati da ruscelli artificiali di acqua cristallina, proveniente dalla terra. Harù diceva che fosse uno spettacolo magnifico, non descrivibile con le sole parole, e Lenn gli credeva. Se c’era acqua in abbondanza, doveva essere per forza un paradiso.
Dal canto suo, il Drago non vedeva l'ora di finire quel viaggio, anche se dal giorno del suo compleanno erano cambiate molte cose. La magia anomala non si manifestava più, se non nei rari casi in cui Lenn stesso tentava di usarla di sua spontanea volontà. Con grande gioia, scoprì presto che ne aveva un controllo assolutamente maggiore, e non provava nemmeno molta stanchezza nell’invocarla. Inoltre non era più assalito dalle emicranie e non soffriva più di sbalzi d'umore; i suoi amici potevano finalmente dormire a terra, senza fluttuare nell'aria come nuvole senza peso.
Era finalmente sereno e rilassato. Ma non sarebbe durato a lungo.
Un giorno, come un sogno o un incubo, nella testa di Lenn si ripresentò la melodia di un flauto, che non udiva più da mesi. Era un ricordo che lo riportava immediatamente al giorno in cui aveva combattuto contro il Demone e lo Stregone Oscuro alla vecchia villa, mesi prima. Ma aveva la sensazione che quella melodia lo dovesse portare ancora più lontano nel tempo.
Spesso sentiva quella dolce nenia durante la notte, un suono continuo, misterioso e distante; sembrava udirla solo lui. Jao, una notte, rimase sveglio assieme a lui per vedere se riusciva a sentire il flauto, ma dopo un’ora di insuccessi c’avevano rinunciato.
La ricomparsa di quella melodia lo fece dubitare addirittura della sua sanità mentale, ma poi si ricordò che nella villa anche Jao aveva udito quella musica, gli unici a non sentire nulla erano stati Chad, Harù e Rizo. Dunque non era pazzo, si disse. La notte ascoltava con attenzione le note, di giorno provava a replicarle con il suo flauto, uno che aveva intagliato con le sue stesse mani. Non sapeva perché, ma sentiva fosse importante imparare quella musica.
In una bella giornata di sole e serenità, i cinque ragazzi scorsero una pozza d’acqua molto grande, abbastanza per dissetare e far lavare tutti nelle sue acque chiare. Probabilmente aveva piovuto, dato che avevano già notato il giorno prima un terreno più umido; ciò significava che ogni tanto si raggruppava qualche nuvola, che le nuvole erano abbastanza cariche di acqua evaporata, e che l’acqua allora doveva essere presente in grande quantità, da qualche parte. Si stavano avvicinando a Sailam.
Durante il pomeriggio, mentre chiacchieravano vicino all'acqua, Lenn notò qualcosa brillarvi all'interno. Si sporse verso la pozza, allarmato, e vide solo il suo riflesso nell'acqua. Subito dopo, però, questa cominciò a ribollire: meno male che non si trovava là dentro. L'intero laghetto risplendette di una luce bianca e pura. Pareva un varco per un’altra dimensione.
I ragazzi si allontanarono all'istante quando videro emergere dai flutti, magicamente, la sagoma di una donna. Anche lei era fatta di Luce, il suo viso era conosciuto a Lenn, ma non agli altri.
Infatti il ragazzo dai capelli corvini trasalì - Silla! -
L'Oracolo sorrise dolcemente al suo giovane padrone, mentre gli altri la fissavano meravigliati.
- Ciao, Lenn. - esordì, con la sua voce vellutata e tranquilla. Anche se poteva essere semplicemente impossibile, la sua voce risuonò come se ci fosse l’eco.
Lenn non le rispose subito, perché molte scene del passato gli si ripresentarono davanti agli occhi: la comparsa dell'Oracolo nel bosco, la villa abbandonata che esso gli aveva indicato, Arshkad e Maimed, il Drago nero che si era manifestato in veste di Spirito, la cicatrice sull'occhio destro. Il rancore per un attimo lo assalì.
- Tu! -, sbottò, - Mi hai quasi portato al macello, l'ultima volta che ci siamo visti! -
Silla assunse un’espressione mortificata. - Non era mia intenzione, Lenn… Ma ho dovuto farlo. -
Lenn rimase basito, ma la rabbia gli fece tornare la voce per replicare: - E perché diamine avresti dovuto farlo? Non dirmi che te l’hanno chiesto i miei genitori! -
- Se non ti avessi indicato quella strada, adesso non saresti qui. -
Gli altri quattro ragazzi seguivano allibiti la scena, non osando interrompere il silenzio teso che si era andato a formare.
- …Vuoi sapere che cosa sarebbe successo? –
- Sì, per favore. – rispose Lenn, seccato.
- Bene. –
L’Oracolo eseguì il volere del suo padrone, distese le braccia in avanti e poi, allargandole, fece comparire davanti al ragazzo quello che parve a tutti uno specchio. Ma prima che Lenn potesse vedervi la sua immagine riflessa, la superficie brillò di luce propria, poi andò ad attenuarsi. Infine, andò a mostrare loro un’immagine.
Era la foresta in cui avevano sostato dopo la scalata dei monti Bezor; più precisamente stavano vedendo la radura in cui si erano accampati. La riconobbero appena, però, perché era completamente ricoperta di massi grossi come case, terra, e alberi sradicati.
- Vedi, Lenn… - esordì Silla, - Noi Oracoli possiamo vedere ciò che è accaduto nel passato, ciò che accade in qualsiasi posto nel presente, e prevedere il futuro. Io sono uno di quelli che sa vedere anche nel futuro. –
Lenn aveva un brutto presentimento, ma non osò pronunciarsi a riguardo. Invece domandò: - Cosa significa tutto ciò? –
L’Oracolo lo guardò con un’espressione severa e solenne. – Se non fossi intervenuta, se non avessi preso le sembianze di una cerva, attirando le vostre attenzioni, avreste sostato in quella tranquilla radura per tre giorni… -
I ragazzi la osservarono mentre sospirava con fare triste.
- Solo che, il terzo giorno, una parete dei grandi Monti Bezor avrebbe ceduto a causa dell’erosione, provocando una frana di enormi proporzioni. Voi, situati proprio là sotto, sareste stati travolti da essa, senza via di fuga. –
I ragazzi continuarono a rimanere in silenzio, ma questa volta perché erano atterriti.
- Il mio compito era, ed è, preservare la tua vita, Lenn. – continuò la donna di Luce, che improvvisamente aveva ben poco di umano, nello sguardo. – Ho valutato tutte le opzioni, e nonostante fosse la più difficile, decisi di mandarti dentro a quella villa. Sapevo che in questo modo saresti sopravvissuto e saresti anche cresciuto. –
Detto questo, con un solo gesto l’Oracolo fece svanire lo specchio luminoso, lasciando i ragazzi sconvolti.
Il primo a riprendersi fu Rizo: - E chi ci dice che non stai solo inventando sul momento per spaventarci? –
Gli altri si sentirono profondamente turbati da quell’affermazione, e si ritrovarono tutti in disaccordo con il biondo.
Lenn si mosse improvvisamente e tirò un pugno proprio a Rizo, irritato dalla sua affermazione stupida e fuori luogo. Lo spedì a terra.
Poi si rivolse a Silla. – Anche se non sapessi che gli Oracoli sono obbligati a dire la verità, ti crederei. –
La donna gli rivolse un sorriso molto cordiale. Fece un gesto e la magia avvolse il rabbioso Rizo, che si stava rialzando per ricambiare il pugno a Lenn. Il biondo fu avvolto dalla Luce e ogni segno di ferita svanì dal suo viso, e in più sembrò calmarsi. Quando si alzò completamente da terra, sembrava così placido che non sembrava nemmeno ricordarsi cosa fosse successo.
- Perché mi fissate? – chiese l’uomo.
- Niente, niente. – disse Jao, che si affiancò a Lenn.
Quest’ultimo si rivolse di nuovo all’Oracolo. – Quindi, come mai sei riapparsa? Siamo di nuovo in pericolo di morte? –
- No. –
- E allora? –
- Sono qui per eseguire alcune istruzioni che i tuoi genitori mi diedero quando mi invocarono. –
- E cioè? –
- Devo farti il più grande dono che qualcuno possa mai darti. La conoscenza. –
Lenn rifletté su quell’informazione. – Cos’è che dovrei conoscere? –
- I tuoi genitori mi dissero che dovevo darti la possibilità di farti fare una domanda, e mostrarti un evento che appartiene al tuo passato. Al vostro passato. – rispose prontamente Silla.
- Un evento del nostro passato… -
Lenn rifletté a lungo. Davvero esisteva un passato che appartenesse a tutti loro? Era vissuto così poco con i suoi genitori, che non lo riteneva nemmeno possibile. Poi, però, gli sorse un dubbio. Qualcosa non quadrava.
- Aspetta… Ti hanno incaricato di vegliare su di me, rivelarmi certe cose… Quindi loro sapevano già che non sarebbero stati con me, giusto? – chiese.
La donna annuì. – E’ esatto. Videro il loro Destino attraverso di me. –
Perché mi hanno abbandonato?” era la domanda che continuava ad assillare Lenn da sempre. E adesso aveva l’opportunità di sapere cosa successe.
- Voglio vedere quando se ne sono andati. – disse con fermezza. – Mostrami il giorno in cui finii sotto la custodia di mio zio, per favore. -
L’Oracolo sorrise. Era proprio ciò che lei e un tempo i genitori del ragazzo avevano immaginato potesse chiedere. – Come desideri. -
La donna fatta di Luce si allontanò, sempre circondata dalla magia, e si fermò al centro della pozza. Fece cenno a Lenn di avvicinarci alla riva. – Guarda. -, disse indicando l’acqua.
Il ragazzo obbedì e si mise in ginocchio sul bordo del laghetto; con una mano disse silenziosamente ai suoi amici di avvicinarsi insieme a lui. Quando i cinque furono vicini, nell'acqua cominciarono a comparire delle immagini, mentre l’acqua s’increspava leggermente.
Le proiezioni del passato parvero sempre più nitide e precise, finché l'ambiente che si presentò loro davanti agli occhi non parve reale e palpabile. I colori erano leggermente grigi, quasi come se si fossero rovinati a causa del tempo.
Lenn vide una camera da letto, di una casa a lui conosciuta. Era quella dove aveva sempre vissuto, quella dello zio, l’avrebbe riconosciuta tra mille. Ma era più luminosa, pulita e confortevole. Alle finestre non c’erano sbarre, ma leggere tende color lilla. Non aveva mai visto quella stanza di persona; sicuramente era quella che era rimasta chiusa da sempre; suo zio non l’aveva mai fatto entrare, lì. Ciò non lo aveva mai disturbato molto, dato che una volta aveva spiato dal buco della serratura e aveva visto solo tanti oggetti ammassati uno sull’altro e strati su strati di polvere. Riconobbe il letto a due piazze che stava al centro di quella bella camera da letto, che era proprio uno di quegli oggetti e mobili ammassati che aveva intravisto da piccolo.
Vicino al grande letto stava una culla. Lenn non s’accorse che, per un istante, aveva trattenuto il respiro quando aveva visto nel lettino, agitandosi nelle coperte, un piccolo bambino di appena un anno, dai capelli e gli occhi neri come la pece.
- Ehi, quello lì sei tu! - disse Jao, allegro.
Lenn non gli rispose, attirato da un altro movimento. Nella stanza era entrata una donna. Lenn fremette quando vide il suo viso, riconoscendolo. Dall’istante in cui l’aveva vista, seppe che quella era sua madre. Aveva dei lunghissimi capelli neri, che alla luce del sole emanavano riflessi stranamente violacei, i suoi occhi erano delle scure e lucide pietre di ossidiana.
La donna si avvicinò alla culla e prese amorevolmente tra le sue braccia il piccolo, che con una certa tranquillità si poteva presumere che fosse Lenn. Il bimbo sorrise felice alla sola vista della mamma. Nel viso sorridente della bellissima donna, Lenn vide una parte di sé; le somigliava molto, come aveva detto suo zio, ed il suo viso era lo stesso che aveva visto spesso nei suoi sogni, quando era stato posseduto dal Demone Arshkad. I loro occhi avevano un taglio molto simile, ed erano grandi e neri; il suo viso affilato ma anche delicato e morbido era quasi uguale a quello del giovane Drago, nei lineamenti. Lenn si portò istintivamente una mano al viso, come per accertarsi della loro somiglianza con mano. Anche la loro corporatura era simile, esile e slanciata.
Per la prima volta, Lenn si riconosceva in qualcuno.
- Mamma… - mormorò, quasi con le lacrime agli occhi per l'emozione. Neanche lui si sarebbe aspettato una reazione così da parte sua. Infatti cercò di darsi un contegno, stupendosi di se stesso. Osservò in modo più oggettivo la donna, che in verità sembrava molto giovane, quasi una ragazza. Nella bellezza di sua madre trovò qualcosa di strano; aveva già visto quel tipo di bellezza da qualche altra parte; era così bella che di sicuro, se si fosse trovato davanti a lei, si sarebbe sentito in soggezione. Eppure aveva qualcosa di innaturale che non lo convinceva.
Nella stanza irruppe una bambina, che corse velocemente verso la donna.
- Mamma, mamma! Fammi tenere in braccio Lenn, per favore! - disse la piccola.
Lenn sorrise, riconoscendola. Un misto di divertimento e malinconia.
Lunghi capelli neri, doveva essere intorno agli otto anni, e aveva dei bellissimi occhi verdi: quella era di sicuro sua sorella Lia. Quando Lenn pensò che quella graziosa creatura, che pareva così serena e spensierata, ormai era una donna che aveva subìto tutti i generi di soprusi e violenze, gli si strinse il cuore.
- E va bene, ma solo per un po’. - disse la madre, in risposta alla richiesta. Poi le porse il piccolo bambino.
Lia lo prese in braccio e gli baciò la fronte, il piccolo Lenn sorrise e cominciò a giocare con i lunghi capelli della sorellastra.
In quel momento si udirono altri passi, e nella già affollata camera da letto entrò un uomo alto, avvenente. Aveva una foltissima selva di capelli neri e ribelli che attiravano quasi di più dei suoi occhi azzurri. Lenn notò che era leggermente più basso della sua compagna, e lei non indossava nemmeno delle scarpe fornite di tacco.
- Ciao amore. - la donna salutò il nuovo arrivato.
- Buongiorno, Eloin. -
I due si baciarono teneramente.
La piccola Lia assunse un'espressione contrariata e stizzita vedendo i genitori baciarsi, ma non disse nulla. Ormai era abituata a quelle smancerie da adulti.
Lenn invece non riusciva a capire come una famiglia così bella e apparentemente felice avesse potuto lasciare il loro figlio ad un uomo come suo zio. Sembravano volergli bene. E dire che quello doveva essere lo stesso giorno in cui l’avrebbero lasciato, insieme a Lia, nelle grinfie di quel mostro.
Poi, accadde la cosa che lo sconvolse come se gli avessero dato un pugno fortissimo nello stomaco.
Suo padre scostò i lunghi e violacei capelli di Eloin, mettendo a nudo la sua vera natura. Le orecchie di sua madre erano lunghe e a punta. La realtà e la consapevolezza lo travolsero. Sua madre, a differenza di suo padre, era un'Elfa. Nessun'altra creatura possedeva quelle orecchie a punta, riconoscibili a metri di distanza. Capì anche il perché del particolare magnetismo che trovava nell’aspetto della ragazza.
Cominciò a tremare leggermente, ma strinse le nocche e si sforzò di apparire impassibile. Avvertì però lo stupore e il turbamento dei suoi compagni, ormai palpabile nell'aria, che come lui avevano notato quel particolare.
E le sorprese scioccanti non erano ancora finite.
Dopo qualche minuto di serena conversazione, che Lenn nel suo sconvolgimento non udì, qualcosa fece sobbalzare l'intera famigliola. Un improvviso rumore proveniente dall'entrata. Ma non un rumore simile a quello del gatto del vicino che ti frantuma per la terza volta di fila i vasi del giardino. A Lenn sembrò addirittura il rumore di un muro o una porta sfondati. Marito e moglie si scambiarono un’occhiata eloquente e improvvisamente seria, come se avessero saputo già di che si fosse trattato quel rumore. Guardarono i due figli, poi si alzarono in piedi.
Suo padre, di cui non sapeva neppure il nome, disse: - E’ ora. -
Detto questo s’inginocchiò davanti a Lia, che teneva ancora in braccio Lenn, e li abbracciò. La bambina rivolse al padre adottivo uno sguardo interrogativo. - Che c’è? -
L’uomo, anche lui all’apparenza giovanissimo, non rispose alla domanda. Disse solo: - Vi voglio bene. -
Diede un bacio sulla fronte a entrambi, poi si rimise in piedi.
Eloin intanto stava armeggiando febbrilmente con alcuni oggetti sulla scrivania vicino alla porta. Lenn la vide prendere in mano una specie di diario spesso e sgualcito, che strinse a sé come se si fosse trattato di un altro figlio, e riporlo in una scatola di legno, che sembrava già piena di altri oggetti. Prese in mano la scatola e poi sollevò un’asse mobile del pavimento, svelando un buco; la ragazza mise la scatola lì dentro e poi rimise tutto a posto, avendo cura che non si vedesse nulla.
I due innamorati, poi, si abbracciarono di nuovo. I rumori nella stanza vicino aumentavano, si sentiva il chiasso causato da vetri rotti, mobili rovesciati e altro. Sembrava ci fosse un tornado, in quella casa.
- Ti amo. - disse lui.
La voce di Eloin sembrò rotta dall’emozione quando rispose: - Ti amo anch’io. -
Si baciarono. Poi il padre di Lenn si separò dalla sua amata e andò a recuperare una katana infoderata, poggiata in un angolo della stanza. Lenn riconobbe il fodero, e con stupore si accorse che la sua spada e quella che l’uomo stava per impugnare erano la stessa.
Infine, suo padre uscì deciso, già circondato da un'aura di magia Oscura. Eloin corse dal piccolo Lenn e da Lia, e si strinse a loro con fare protettivo.
- Lia, qualunque cosa succeda, non lasciare mai Lenn. - disse in tono grave.
La bambina non capì il motivo di quella richiesta, ma annuì.
Pochi secondi dopo si udirono altri rumori, grida, schianti, rabbia. Da sotto la porta si potevano scorgere delle scintille colorate, nere e bianche, segno di uno scontro in atto. Il baccano durò un’infinità di tempo, ma Lenn non si stancò affatto. Cercava di capire dai suoni che cosa stesse avvenendo. Esattamente come sua madre in quel lontano passato, che rimaneva seria e impassibile, cercando di mantenere il controllo. Attendeva di vedere chi sarebbe stato a varcare quella soglia, segnando il loro destino.
Lia era spaventata, si stringeva alla gonna dell’Elfa insieme al fratellino.
Poi, all'improvviso, la porta della camera da letto si spalancò, e irruppe una grande figura ammantata di nero. In mano stringeva un'alabarda ricoperta di sangue. Non vedendo tornare il marito, la donna immaginò che non aveva prevalso.
Senza dire niente o esitare, l'uomo grande come un armadio fece partire un guizzo di magia Oscura sulla giovane Elfa, che non ebbe il tempo di reagire con un attacco; riuscì solo a muovere un passo di lato per proteggere i figli con il suo stesso corpo. Non emise alcun suono, nemmeno un gemito. Dopo un intero minuto le tenebre si dileguarono, ed Eloin si accasciò al suolo, fredda e immobile.
Lenn guardava la scena con gli occhi sbarrati, ormai non aveva più la forza per provare qualcosa, era letteralmente scioccato. Si sentiva in balia degli eventi quasi come fosse lì.
L'uomo calò il cappuccio del suo mantello, scoprendo il viso. Aveva una grande e possente mascella, occhi e capelli neri e leggermente brizzolati, uno sguardo pieno di odio e orribile gusto, dopo aver visto l'Elfa morta e i due bambini davanti a lui spaventati e tremanti.
Nonostante avesse sedici anni in meno, Lenn riconobbe il viso crudele di suo zio. E aveva appena ucciso sua madre; a giudicare dalla sua alabarda insanguinata suo padre non aveva avuto un destino diverso. E in quel momento capì. I suoi genitori, uno Umano e l'altra Elfa, erano morti per un motivo molto semplice. Appartenevano a razze diverse e avevano una relazione, questo non poteva essere tollerato. Nessuno avrebbe mai potuto farlo.
Vide lo zio avvicinarsi minaccioso ai due sopravvissuti. Se quel bambino piccolo non fosse stato lui, Lenn avrebbe pensato che sarebbe finita male per entrambi i bambini.
Suo zio con uno schiaffo fece cadere Lia a terra, lontana da Lenn, che era rimasto seduto sul pavimento. Era troppo piccolo per capire cosa stesse succedendo, ma si mise a piangere silenziosamente. Suo zio, per nulla addolcito, gli puntò contro il guan-dao; poggiò la lama sul suo petto scoperto.
- Addio, bastardello. - mormorò.
- No! - gridò Lia tra i singhiozzi.
La piccola, senza paura, si frappose fra la lama e il fratello, fermando l'assassino. Rimase per un attimo senza fiato, non s’aspettava che l’uomo si sarebbe fermato.
- Levati dai piedi, piccola, o faccio fuori anche te. -
Lia rabbrividì, tuttavia non si mosse.
- Levati di mezzo, ho detto! Io voglio lui! - intimò di nuovo l’uomo.
La bambina però sembrava inamovibile.
L’uomo allora sollevò l’alabarda; la scaraventò con violenza sui due bambini.
Rimase a bocca aperta quando, tra la lama della sua arma e il petto di Lia, si formò una barriera bianca di magia. Lenn, dietro alla bimba, aveva il visino paffuto contratto in un’espressione quasi di dolore, ed era particolarmente concentrato. Un’aura di magia azzurra lo attorniava e gli dava un aspetto etereo.
Lia si affrettò a piazzarglisi meglio davanti nel disperato tentativo di non fare vedere allo zio mentre usava la magia, ma i suoi sforzi erano ingenui quanto vani.
- Strabiliante… - osservò l’assassino. - Usare la magia a quest’età… E’ una cosa unica! -
Dopodiché rimase qualche secondo in silenzio, a riflettere. Tanto Lia non aveva il coraggio di muovere un muscolo e scappare.
Poi, con uno scatto inatteso, lo zio avanzò e con un passo sovrastò i due bambini, poi afferrò per un braccio il piccolo Lenn e se lo mise sottobraccio.
- No! - strillo di nuovo la piccola bambina. - Cosa gli fai! -
- Ho intenzione di farlo vivere, zitta! - tuonò, sferrandole un calcio.
Lia cadde a terra, si rialzò piangendo.
- Tuo fratello diventerà l’abile assassino che tuo padre non è mai stato. - annunciò con fare serio.
Lia si mise a piange rumorosamente, non riusciva a fare altro che disperarsi e annuire a tutto ciò che l’uomo diceva.
Lo zio la guardò con disprezzo. - Tu puoi vivere. - disse dopo qualche secondo. - Mi aiuterai nell’addestramento. Ma sappi che se parlerai a questo bambino dei vostri genitori, ucciderò tutti e due. -
Lia perseverava nel suo pianto.
- HAI CAPITO?! - tuonò.
- Sì, sì, ho capito! - gridò la bambina, sempre più terrorizzata. Sotto di lei si formò una piccola pozzanghera di pipì, che le colava da una gamba.
- Andiamo. - la esortò poi lo zio, ignorando lo stato di shock della bambina. - Per prima cosa, dobbiamo trovare un posto dove rinchiuderlo. -
Detto questo, il futuro Maestro uscì dalla stanza, con Lenn ancora sottobraccio, Lia lo seguì correndo per vedere cosa ne faceva del fratello. Lenn seppe che si stavano dirigendo alle segrete, che allora erano solo delle vecchie cantine. Il ragazzò contemplò la figura della madre, morta.
Infine, la scena si dissolse lentamente, i rumori sparirono, e l'acqua tornò immobile e trasparente com’era sempre stata, portandosi via lo strazio e la paura di quella giornata, senza lasciare alcuna traccia. Ormai erano passati sedici anni, da allora. Non erano altro che ricordi. Eppure facevano male in maniera indicibile.
Le acque della pozza si incresparono di nuovo quando le calde lacrime di Lenn scivolarono dalle sue guance, mentre tremava per la rabbia, lo sgomento e la paura.

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Capitolo 33
*** Capitolo 9 - La verità, il secondo Giglio (Parte II) ***


[Ed ecco servito un altro po' di angst, che però viene accompagnato da quel bromance che sto odiando ogni capitolo di più. Mamma mia!
E tra un po' verrete serviti con il nostro secondo Giglio, che è una di quelle cose che nella vita reale ti farebbe piangere sangue, per vari motivi. Però come mi diverto a scrivere le parti in cui c'è questo fantomatico Giglio! Il prossimo, poi, sarà carinissimo!
Vi lascio alla vostra lettura e alle seghe mentali del nostro protagonista neo-mezzelfo.]



Capitolo 9
La verità, il secondo Giglio
Parte II




Per secondi che parvero durare anni, nessuno osò muoversi, né parlare.
Lenn, scosso dai brividi, decise di smettere di fissare quello specchio d’acqua che ormai non aveva nulla da dirgli; meglio allontanarsi un po’ da tutti gli sguardi che si sentiva addosso.
Si alzò in piedi, e in quel momento si accorse che le gambe gli tremavano. In più aveva la nausea.
Sentì una mano stringergli amichevolmente il braccio. – Non toccarmi. – disse in un sibilo.
Non sapeva nemmeno chi dei suoi amici avesse provato ad approcciarglisi, era troppo occupato a fissare il terreno e a sentirsi sconvolto.
Fece qualche passo malfermo per allontanarsi, ma trovava difficile perfino camminare. Poi, una volta distanziatosi di qualche metro, decise di lasciarsi andare. Le gambe cedettero e si accasciò a terra; poi sentì la nausea aumentare e vomitò. Fu grato ai suoi amici, perché nessuno intervenne, ma si vergognò perché la scena che offriva non doveva essere delle migliori.
Si sentiva improvvisamente debole, distrutto, disperato. Le lacrime gli rigavano le guance, scendevano copiosamente, non riusciva a darsi freno e piangeva come un bambino. Non aveva mai pianto così tanto in vita sua.
Provò di nuovo ad alzarsi in piedi, preferiva allontanarsi dal terreno impiastrato della cena del giorno prima. Percorse solo un paio di metri in una maniera che era una via di mezzo tra il camminare e il trascinarsi a stento. Poi si inginocchiò a terra, si mise la testa fra le mani e non si mosse più.
Lenn aveva sopportato tante cose, in vita sua, ma aveva deciso che ciò che aveva visto era troppo. Il suo cuore non ce la faceva. Aveva sofferto così tanto, e dopo aver sperimentato una vita tranquilla s’era dovuto ricordare che alla sofferenza non c’era mai fine.
Se c’era qualcosa che gli faceva più male di una frustata sulla schiena, quello era il senso di solitudine e smarrimento che sentiva adesso, quello che gli stava facendo girare la testa e perdere l’equilibrio. Non c’era nessuno, per lui. I suoi genitori erano morti, era solo. Non sapeva nemmeno se Lia stava bene o fosse ancora viva.
Lia, una bambina innocente a cui la vita aveva tolto tutto. Era stata picchiata, seviziata, stuprata, umiliata e derisa. Dallo stesso uomo che aveva distrutto la famiglia sua e di Lenn. Questo lo faceva incazzare in una maniera inaudita.
In quel momento, Lenn sentiva che la parola più adatta per definirlo fosse “mostro”.
Era un mostro perché lui stesso aveva fatto del male a Lia, anche se all’epoca non capiva.
Era un mostro perché per anni era stato come suo zio, né più né meno, e lo aveva anche ammirato.
Ed era un mostro perché non era un essere umano.
Si guardò le mani, e stentò a credere che la sua natura fosse diversa da quella che aveva sempre creduto fosse. Non era né Umano né Elfo. Era una via di mezzo, qualcosa di non precisato, qualcosa di abietto.
Nessuno lo avrebbe mai accettato, nemmeno lui riusciva a farlo. Pensò alle persone a cui stava dando le spalle; si era completamente dimenticato di loro, ma di sicuro lo stavano già odiando. Non li poteva biasimare.
Lenn era solo. Lo era sempre stato, ma ora il senso di solitudine si stava acuendo. Nessuno era come lui. Lui era diverso. Forse anche uno sbaglio.
I suoi genitori non avrebbero mai dovuto farlo nascere, così avrebbero di sicuro salvato le loro vite. Chissà se le loro anime avevano sofferto anche dopo la morte: vedere i loro figli schiavizzati e manipolati dal loro carnefice non doveva essere un gran bello spettacolo.
Lenn odiò ancora più profondamente suo zio; per anni lo aveva ingannato su tutti i fronti, ormai ne era certo. Si sentiva uno stupido, anzi, uno stupido mostro.
Forse sarebbe stato meglio morire.
Con tutti quei pensieri che si affollavano nella sua testa, pianse e pianse ancora. Scoprì che il modo migliore per sconfiggere il dolore non era reprimere tutte le emozioni dentro di sé, ma piangere fino a far esaurire le proprie forze. Sputò ancora un po’ della bile che si sentiva in bocca, tutte quelle sensazioni gli avevano messo lo stomaco a soqquadro.
Non udì il rumore dei passi che gli si avvicinavano, e così si spaventò quando sentì una mano poggiarglisi sulla spalla. Quel gesto lo riportò al passato, quando lo zio gli poggiava una mano sulla spalla quando falliva in qualcosa e gliela stringeva fino a sbiancarsi le nocche.
Ma quando voltò la testa non vide suo zio e si sentì un po’ meno oppresso dai ricordi dolorosi di ciò che era stato. Al suo fianco c’era il presente.
Jao gli si sedette accanto senza dire nulla.
Lenn non sapeva cosa dire, e invece da parte dell’amico si aspettava solo cattiverie. Jao era il suo migliore amico, ma non sapeva se avesse preso bene la storia che lui era solo un meticcio, un bastardo.
Dall’altra parte, però, sperava con tutto se stesso che continuasse a non dirgli nulla, a non pronunciare quelle parole di disprezzo, perché in quel momento non sarebbe stato in grado di reggere anche quei colpi. Davvero, era meglio morire.
Smettendo di rimanere immerso nei suoi pensieri, udì ciò che gli stava accadendo intorno.
Chad sbraitava come un matto contro l'Oracolo e lo ricopriva di insulti vari e frasi ingiuriose.
- Possibile che ogni volta che ti incontriamo fai solo danni?! - gridava.
Silla lo ascoltava, senza però far trasparire molte emozioni o reagire, infatti non la sentì proferire parola.
Harù tentava in tutti i modi di tappare la bocca all'amico, per paura che la donna potesse reagire di scatto ai suoi insulti. Mai forzare la pazienza di certi esseri sovrannaturali.
Nemmeno Rizo sembrava voler dire qualcosa. Lenn gli dava le spalle, quindi non sapeva che il biondo se ne stava in piedi a braccia conserte senza fare niente; si limitava a fissarlo da lontano. Con una punta d'odio e di disprezzo maggiori rispetto alle altre volte, pareva.
Il mezzelfo si asciugò le lacrime e si impose di chetarsi, non voleva continuare a dare quell’immagine di sé a Jao, che ogni tanto gli lanciava qualche sguardo comprensivo. Continuava a non parlare, sapeva che gli poteva dare conforto anche con la sua presenza.
Poi Lenn gli rivolse uno sguardo disperato, e il castano si sentì spiazzato dai suoi occhi arrossati e stanchi.
Si impose di parlare. Doveva dire qualcosa, Lenn stava venendo schiacciato dagli eventi. Forse non era pronto a certe cose come Silla aveva sostenuto.
- Lenn, io so a cosa stai pensando. – disse.
Lenn tirò su col naso. – No, non lo sai. –
- Stai pensando che adesso io ti odio. – continuò imperterrito il ragazzo.
Lenn scosse la testa in segno di diniego. Pensava a tante cose, ben più dolorose, ma comunque Jao aveva fatto centro; non pensava di meritarsi la sua comprensione, non più. Era il prodotto finale di un’unione tra due razze diverse che da secoli si odiavano e si combattevano, era di sicuro l’elemento più odiato della società. Non poteva biasimare l’amico se adesso lo vedeva con occhi diversi.
- Io non vedo motivi, per odiarti. –
Lenn sollevò il capo e sostenne lo sguardo della Tigre. – Sono mezzo Umano e mezzo Elfo, Jao. –
- E l’ho capito! Ma sai cosa ti dico? Non me ne frega niente. –
Il mezzelfo rimase in silenzio per qualche secondo, poi chiese: – Perché? –
Jao sbuffò e lo guardò con aria severa. – Perché tu sei sempre tu! Sei il mio amico Lenn… Il sangue che ti scorre nelle vene non ha mai fatto la differenza, tra noi due, perché dovrebbe farla adesso? –
Lenn si sentì grato per quelle parole. Si rimise a piangere silenziosamente, non si sentiva all’altezza di tutta quella comprensione. Mentre i suoi occhi erano tristi, però, accennò un sorriso a Jao, nel tentativo di ringraziarlo. L’amico gli restituì il sorriso, di quelli che faceva solo lui, calmi e saggi.
- Avevo paura che mi odiassi, perché sono diverso da te… perché ho sangue di Elfo nelle vene. –
- Tsk, non pensavo che potessi pensare cazzate simili! – gli rispose con fare leggero Jao. Lenn capì che l’amico aveva deciso di rimettergli il buon umore.
Lo vide portarsi una mano al collo e afferrare qualcosa che stava sotto la sua camicia: il ciondolo della collana che ormai portava sempre addosso, quello che simboleggiava lo Yang.
- Io e te siamo gli opposti che si attraggono, ricordi? –
Lenn lo imitò e strinse nella mano il ciondolo raffigurante il Drago che simboleggiava lo Yin.
- Ti ricordi quando ti dissi che l’anziana del mio villaggio fece una predizione su di me? -
Lenn annuì. – Sì, me lo ricordo. Eravamo sui Bezor. –
- Beh, mi disse che ero incompleto. Mi mancava qualcuno con cui confrontarmi e risultare la metà perfetta, qualcuno con cui mi sarei scontrato e perfezionato. Qualcuno senza il quale non potevo essere una persona completa. – continuò la Tigre. Poi rivolse uno sguardo pieno di gratitudine a Lenn, e lui non capì subito. Poi l’amico continuò: - All’inizio pensai a qualcosa come all’anima gemella, una compagna. Adesso invece penso che quella donna parlasse di te, Lenn. –
Il Drago continuava a non sapere cosa dire. Però di sicuro si sentiva un po’ meglio.
- Tu mi hai dato molto di più di quello che pensi. Tu mi hai dato la possibilità di comprendere e di riflettere, oggi più che mai. Ti voglio bene come un fratello, Lenn. E non m’importa se sei un mezzelfo. –
Lenn a quel punto stupì perfino se stesso. Si alzò e andò ad abbracciare Jao. Non si era mai lasciato andare ai sentimentalismi, né gli piaceva un eccessivo contatto fisico, era la sua natura; però in quel momento sentì che la cosa più naturale da fare fosse quella. Anche lui voleva molto bene a Jao, gli doveva tutto. Se non fosse stato per lui, forse sarebbe morto in più occasioni, molto prima di trovare la liberazione dalle catene dello zio. Forse molto prima di conoscere gente buona come lui.
Jao rimase sorpreso, non si aspettava una reazione del genere.
Poi, dopo qualche secondo, Lenn lo lasciò andare. Si risedette e gli rivolse un sorriso imbarazzato, ma durò poco. Nel silenzio che seguì, si poteva benissimo percepire il legame che li univa, l’energia che scorreva da un corpo all’altro. Sarebbe sempre stato così, da quel momento in poi.
- L’unica cosa che mi fa incazzare, è che mio zio mi ha fatto credere per anni che i miei genitori mi odiassero e mi avessero abbandonato. E invece li ha uccisi con le sue mani. – disse poi Lenn, ma senza rancore nella voce. Aveva un’espressione stanca, si sentiva a pezzi.
- Tuo zio non ha fatto altro che mentirti, dovevi aspettarti una cosa del genere. – gli rispose Jao.
- Lo so… Il fatto è che non volevo crederli morti. Speravo di incontrarli, un giorno. – poi Lenn tirò un sospiro pieno di tristezza. – Io non avevo praticamente mai conosciuto un’altra vita, stavo bene, in fondo. Lia invece ha sofferto così tanto… -
Al solo pensiero gli occhi gli si riempirono nuovamente di lacrime. – Li chiamava nel sonno, li chiamava durante il giorno mentre piangeva disperata… E nonostante soffrisse così tanto, ogni volta che nostro zio mi picchiava o mi torturava, si dava sempre la colpa di tutto. –
Jao rimase in silenzio. Ascoltava con rispetto quello sfogo.
- Io non la capivo. Ma ora che so queste cose, immagino che s’incolpasse di non essere stata capace di proteggermi come aveva sperato nostra madre. –
Lenn si portò le mani alla testa e si afferrò con forza i capelli lunghi e mossi, sopraffatto dai ricordi. – Jao, tu nemmeno t’immagini cosa le ha fatto quell’uomo. Cosa le ho fatto io… -
Il castano, notando che Lenn si stava rimettendo a piangere, gli posò nuovamente una mano sulla spalla per dargli conforto. Non voleva nemmeno immaginarsi cosa potesse essere successo a quella povera ragazza. – Lenn, ormai questo fa parte del passato. Non puoi più farci niente. Sono sicuro che Lia sta bene, la rivedrai. E lei ti perdonerà di ogni cosa. –
- Non penso. Sono un mostro, per lei. Aveva una fottuta paura di me, quando me ne sono andato da quella casa. Non mi perdonerebbe mai. –
- Lenn, io l’ho vista, quando ti abbiamo portato via. Ti amava con tutta se stessa, si sarebbe gettata tra le fiamme, per te. Quando svenisti, a casa tua, tentammo di prenderti per scappare il prima possibile; lei, non conoscendoci, ci si parò davanti per proteggerti. Non dimenticherei mai i suoi occhi pieni di speranza. Prima di andarcene, mi fece promettere di guardarti le spalle. Se ti avesse odiato non avrebbe fatto nulla di tutto ciò. –
Lenn si passò la mano sulle guance per asciugarsele. – Spero che sia così… La devo ritrovare. –
- Io ti aiuterò a farlo. – affermò allora Jao, senza esitazione. – Adesso finiamo quello che abbiamo cominciato e arriviamo a questo fottuto Torneo, manca poco. Poi girerò mari e monti al tuo fianco per aiutarti nella ricerca. Te lo giuro. -
Lenn era sempre più grato a quel ragazzo, e non sapeva proprio come ricambiarlo. Gli sorrise, questo gli sembrò il minimo. – Grazie. –
- E di che? E’ a questo che servono gli amici. –
Lenn annuì, poi si girò per la prima volta a guardare indietro e osservò gli altri ragazzi. Chad si era calmato, stava seduto assieme ad Harù e Rizo ad osservarli da lontano. Silla era esattamente dove l’aveva lasciata, anche lei attendeva il ritorno di Lenn.
- Secondo te cosa diranno gli altri? – chiese il Drago.
- Non ti preoccupare, la pensano come me. – disse Jao con fare rassicurante.
Lenn nutriva seri dubbi a proposito, ma non disse nulla. Si alzò in piedi, ancora un po’ malfermo. Jao fece per aiutarlo, ma Lenn con un’occhiata gli fece capire che voleva fare da solo.
Poi, i due si avviarono e tornarono dagli altri.
Lenn si avvicinò alla pozza, poi si rivolse a Silla: - Grazie per avermi mostrato tutto questo. - disse, improvvisamente calmo e tranquillo.
L'Oracolo chinò leggermente la testa in avanti, per rispondere al suo ringraziamento. – Dovere. -
- Mi hai aperto gli occhi, e adesso capisco molte cose. - continuò il ragazzo, - Sarà dura convivere con alcune certezze, ma preferisco esserne a conoscenza invece di rimanere nell'ignoranza. –
Intanto Jao, al suo fianco, sorrise e si sentì orgoglioso del suo amico.
- Sapevo che avresti capito. Hai percorso la strada giusta, e sento che continuerai a seguirla. Eri pronto a conoscere queste cose. Ma ricorda: essere pronti non significa che sei abbastanza forte per farti carico di ogni cosa da solo, significa che hai tutto il sostegno che ti serve per riuscire ad andare avanti. - disse la donna.
- Però non mi sembra tanto facile come strada, eh! – s’intromise Chad, ancora contrariato. Ce l’aveva con Silla e nulla gli avrebbe fatto cambiare idea.
- Non si può arrivare né alla conoscenza né al potere, senza sacrificio. - rispose gentilmente l'Oracolo, come se non si ricordasse già più degli insulti che aveva ricevuto da parte del ragazzo di colore.
- Ma la mia vita sarà sempre così? - domandò Lenn.
- Caro mio, un giorno riceverai le ricompense per ogni tua sofferenza subita e superata, ma a seconda di come percorrerai la tua strada potranno cambiare, arrivare presto o tardi. -
- Ma cos'è tutta questa strada da percorrere? - chiese ancora il ragazzo.
- E' la vita, Lenn. O il Destino, come lo chiamano alcuni. -
- Vuoi dire che la mia vita è già stata scritta? -
- No, nessuno può sapere il futuro di una persona. - affermò la donna. - Il Destino e la tua vita cambieranno ogni volta che compirai una scelta. Ogni azione ti porterà ad una conseguenza diversa, il cui futuro sarà preciso solo fino al momento in cui ne compirai un’altra, e il corso degli eventi cambierà. Tieniti stretto le persone buone che ti stanno accanto, potrebbero aiutarti a prendere la via più felice per te. –
- Come i miei genitori? - domandò Lenn.
- Sì, come loro. Ti hanno amato e hanno fatto tutto il possibile per darti un futuro migliore di quello che hanno incontrato. - affermò la donna luminosa, sorridendo. - Ma ricorda che anche i tuoi amici e le persone a te care sapranno come darti una mano. –
Lenn cercò di ricambiare l’espressione serena dell’Oracolo, ma non gli sembrò riuscire molto nell’intento. – I miei genitori avranno fatto tutto il possibile, ma quindici anni con lo zio li ho passati comunque. –
Silla gli rivolse un sorriso compassionevole, forse perché lei sapeva qualcosa di cui lui non era a conoscenza. Questo creò in Lenn un leggero disappunto. – Però sei vivo. – disse.
- Sì, ma… -
- E ora sei lontano da lui, con i tuoi amici. –
Lenn decise di stare zitto.
- Credimi, i tuoi genitori c’entrano molto più di quanto pensi, in tutto ciò. –
- Dimmelo, allora. Io voglio sapere. – disse il mezzelfo, deciso.
L’Oracolo scosse la testa. – Non posso. I tuoi genitori mi hanno imposto di non dirti tutto subito. A tempo debito, saprai ogni cosa. –
- Nemmeno un indizio? –
- E’ un incantesimo, ciò che mi impedisce di parlare. –
Lenn annuì e decise di non insistere. Se Silla diceva di avere le mani legate, allora le credeva. Doveva solo essere paziente.
Poi, tra i suoi pensieri, emerse una cosa che aveva intenzione di chiedere all’Oracolo già da tempo. Andò a raccogliere uno degli zaini e estrasse da una delle tasche laterali il vaso con il suo giglio immortale. Tornò da Silla e glielo porse. – Questo fiore è incantato, sembra non appassire mai, in mia presenza. E’ opera tua? –
Silla sorrise. – Forse. –
- Come sarebbe a dire “forse”? –
- Che quel fiore può avere mille significati, come non ne può avere nessuno. Dipende tutto da te, non da me. Ci sono così tanti oggetti che subiscono l’influenza magica di un Oracolo, quando ci manifestiamo…! –
- Ma non capisco! Ehi, aspetta, dove vai? – esclamò poi Lenn, vedendo che l’Oracolo stava dissolvendosi. Piano piano intorno a Silla si forò una leggera nebbiolina.
- Per me è ora di andare. Ma ci rincontreremo. Forse potrò risponderti con più chiarezza la prossima volta. –
- E quando sarà, la prossima volta? –
- Quando sarai di nuovo pronto. –
Con quell'ultima frase, Silla si fece avvolgere dalle luminose acque, poi con un forte bagliore che accecò tutti svanì, senza lasciare traccia.
Lenn ci rimase male, ma si ricompose subito. Tirò un sospiro stanco. Ora veniva la parte difficile. Si voltò verso i suoi amici, e li scrutò per qualche secondo. Sembravano tranquilli.
- Chi ha un problema con me parli ora o taccia per sempre. Mi chiamo Lenn del Clan di Nessuno, sono uno Stregone Oscuro e sono un mezzelfo. E sono fiero di essere tutto questo. –
I suoi amici si guardarono a vicenda, ma poi i loro sguardi ricaddero tutti su Rizo. Lui si limitò a grugnire: - Sì, sì… Alla fine, è il solito… -
- Beh, di certo incarni tutto ciò che la società aborra. – commentò Chad. – Una persona responsabile e che non vuole guai ti starebbe alla larga di sicuro. –
Lenn non parlò.
- Ma tutti qui sappiamo che io non sono una persona che ha proprio la testa sulle spalle! –
Jao ridacchiò e gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
- Io invece qui sono il più responsabile di tutti. – disse Harù, e tutti annuirono perché sapevano che era vero. – Però, cazzo, sono tuo amico. Sei sempre lo stesso Lenn che conoscevo stamattina, ieri e l’altro ieri. Quindi non è che ora deve cambiare tutto. –
Lenn sorrise loro, sollevato di essere stato accettato comunque. Gli si era tolto un peso dal cuore.
- Sentiti onorato, hai fatto pure dire una parolaccia ad Harù! – ridacchiò Jao.
Lenn annuì, poi disse: - Però voglio che queste cose rimangano fra noi. Nessuno deve sapere. –
Gli altri convennero con lui.
- Già. La Guerra delle Cento Spade è ancora fresca, e la situazione è tesa a causa del Torneo. Meglio tenere le bocche cucite. – disse Harù.
- Ci dirai tu quando riterrai opportuno rivelare certe cose, va bene? – stabilì Jao.
Lenn annuì. – Va bene. Siamo d’accordo, allora. –
- Ma… se qualcuno si accorgesse che Lenn è un mezzelfo? – chiese Chad.
Avevano tutti un’espressione stranita, per loro non era molto familiare la parola “mezzelfo”. Era strano pronunciarla e altrettanto strano era il fatto che si riferisse a Lenn.
Jao osservò il Drago a lungo, si vedeva che stava cercando nel suo aspetto qualcosa che inducesse a pensare alla sua natura ibrida.
- Naaa, a me non sembra che qualcuno si possa accorgere che è un mezzelfo. E poi, siamo stati in alcuni villaggi e nessuno ha detto niente. –
- Sì, ma era un ammasso di zotici, su! – disse Rizo. – La città in cui stiamo andando è molto più grande e ci sono molti più occhi ad osservare, occhi esperti. E nelle città ci sono più voci che diffondono le notizie. –
- Hai ragione. – disse Harù.
- Però dai, non ha nemmeno le orecchie a punta! –, insistette Jao. – E’ solo un essere umano altissimo. –
- Non vedo cosa ci sia di male a essere alti. – disse Chad. – Secondo me ci preoccupiamo troppo, andrà tutto bene. –
Lenn fece una smorfia, ma doveva avere fiducia. Dopotutto, non si sarebbe mai posto il problema se avesse continuato a non sapere nulla, e tutto sarebbe filato liscio. Doveva rilassarsi. Ma non ci riusciva del tutto. – Speriamo in bene. -


- Ragazzi, quello laggiù è l'ultimo paese prima di Sailam! Facciamo rifornimento e poi partiamo, ormai manca poco! - esclamò Jao.
Nonostante fosse mattina presto, i cinque ragazzi marciavano già da ore, anche se assonnati. Le grida dell'amico li fecero sobbalzare tutti, come se fosse stato il suono di un gong nel silenzio più pesante.
- Finalmente! - esclamò Harù, che da giorni era tormentato dalla fame.
Dopo una settimana dalla ricomparsa dell'Oracolo, Lenn era molto cambiato.
Era tranquillo e serio, in pace con se stesso, molto meditabondo. Però scherzava anche con gli altri, molto serenamente, e nessuno sembrava turbato dal fatto che lui fosse un mezzelfo, esattamente come avevano dichiarato sette giorni prima. Solo Rizo era un po’ più ostile, ma Lenn non ci fece molto caso; l'antipatia era sempre stata reciproca nonostante fosse passato quasi un intero anno dal giorno in cui si erano incontrati per la prima volta.
Era metà Gennaio, il sole che era stato per alcuni mesi clemente sarebbe tornato a scottare nel giro di poco tempo. Ma di lì a poco sarebbero finalmente arrivati alla città dell'acqua, e nessuno vi avrebbe più badato.
Arrivati nel paese, furono accolti con sguardi incuriositi. Nessuno aveva mai visto ragazzi come loro, dalla pelle e i caratteri somatici così diversi l'uno dall'altro, anche se in quel periodo passavano di lì molti stranieri. I cinque viaggiatori provenivano tutti da regioni differenti di Argeth, quindi era normale che avessero poco in comune.
In più, non si guardavano allo specchio da tantissimo tempo. Non potevano sapere bene quanto fossero sporchi di terra e malandati. I vestiti erano rattoppati e sporchi, poco lavati. Erano anche magrissimi, si potevano benissimo vedere le ossa sotto la pelle; a Jao, che aveva la camicia aperta, si potevano contare benissimo le costole. L’unica cosa in comune tra i ragazzi e la gente del paese era che tutti quanti erano abbronzati. Lenn aveva comunque la pelle più chiara; gli Elfi non si abbronzavano e quindi avevano la pelle sempre pallida. Essendo lui un ibrido, poteva sfoggiare una leggera tintarella. Jao era il secondo più chiaro di carnagione.
La loro stanchezza era evidente a tutti, così tanto che un uomo molto gentile gli si avvicinò e indicò loro la strada per la locanda più vicina, che era anche l’unica, dove mettevano anche in affitto delle stanze per i viaggiatori. Loro ringraziarono e si avviarono, ignorando gli sguardi di tutti.
Lenn si sentiva sempre più in imbarazzo e aveva la perenne sensazione di essere un tantino fuori posto in quel luogo. Non solo per il fatto di essere un mezzelfo in mezzo a tanti Umani, ma anche perché non era abituato alla folla, e quel paese non era il solito villaggio di quattro case che incontravano spesso nel loro cammino. Si sentiva dannatamente osservato. Molti lo indicavano di nascosto, bisbigliando con i compagni. Tentò di tranquillizzarsi dicendosi che magari le persone erano interessate all’intero gruppo, non solo a lui. Purtroppo non sapeva che crescendo era diventato molto simile ad un Elfo adulto, magro e slanciato, molto alto e con gli occhi grandi, dal taglio orientaleggiante. Probabilmente tutti pensavano che fosse un Elfo, poi vedevano il suo corpo comunque troppo robusto e muscoloso e le sue orecchie normali, e si ricredevano. I suoi amici non potevano notare quei particolari nel suo aspetto, poiché lo vedevano tutti i giorni e non erano in grado di notare i suoi cambiamenti.
Anche gli altri però erano diversi dal giorno in cui il Drago li aveva incontrati, ma lui non si era reso conto dei particolari diversi.
Jao era diventato poco più basso di Lenn e non se n’era nemmeno accorto. Aveva i capelli molto più lunghi perché aveva smesso di tagliarseli da un po’; diceva che gli piacevano i suoi capelli ribelli, anche perché a casa sua gli imponevano di tenerli sempre corti e puliti e questo non gli piaceva affatto; a lui bastava tenerli legati per sentirsi più che ordinato e dignitoso.
Harù si era irrobustito ed era molto muscoloso, nonostante fosse denutrito come tutti; sembrava più adulto dei suoi amici, soprattutto di Lenn e Jao, nonostante avessero un solo anno in meno di lui. Aveva una folta barba che la Tigre gli invidiava in continuazione.
Rizo si era fatto crescere un leggero pizzetto, era sempre alto allo stesso modo, infatti Lenn lo aveva superato. Era notevolmente dimagrito, senza sembrare più un ragazzo ricco e viziato.
Chad era quello meno cambiato, i suoi capelli erano sempre una selva di riccioli neri impercorribile che ondeggiava al vento.
La cose che avevano in comune erano il fatto di essere a pezzi e aver bisogno di fare un bagno al più presto.
Dopo una decina di minuti i cinque viaggiatori arrivarono alla locanda dal paesano indicatogli, ed entrarono. In pochi secondi tutti gli sguardi dei presenti furono su di loro, tanto per cambiare, ma non ci fecero caso.
Jao si avvicinò al bancone e parlò all'oste che vi stava dietro. - Vorremmo cinque camere con il letto per sostare un paio di giorni, ne avete? - domandò.
L'uomo osservò il gruppo di scapestrati, poi sorrise. - Ma certo, signori. Desiderate anche mangiare qui? - rispose cordialmente.
- Sì, certo! - esclamò Harù.
L’oste paffuto e nerboruto si sfregò le mani, compiaciuto. - Bene, benissimo. – disse. Poi recuperò sotto il bancone cinque chiavi diverse.
Jao fece per afferrarle, ma l’oste ritrasse la mano. – Una Stage d’argento a notte. E a testa. –
- Ma è un furto! – protestò Lenn.
L’oste gli rivolse uno sguardo di sufficienza. - O è così o girate i tacchi. –
I ragazzi si scambiarono un paio di sguardi. Poi, all’unisono, Lenn e Jao estrassero le spade, Rizo lo scettro, Harù i coltelli. Chad tenne la fionda nel fodero perché non lo reputò un oggetto abbastanza minaccioso.
- Che ne dice di essere generoso e farci il favore di spendere solo una Stage di bronzo a notte? – suggerì il mezzelfo. – Siamo solo degli stanchi viaggiatori che desiderano far riposare le ossa. E vogliamo contrattare un po’. –
L’uomo dietro al bancone sbiancò. Probabilmente non era abituato a quel genere di minacce, vivendo in mezzo ad un deserto sperduto e pieno di disperati.
Quindi cedette velocemente. – M-ma sì, certo, vi capisco! Ma io sono un uomo di buon cuore. Anch’io ho viaggiato molto, so cosa si prova! Una Stage di bronzo a notte per ognuno, sì! –
Jao gli sorrise cordialmente. – Lei è un tipo simpatico, sa? –
Detto questo, i ragazzi rimisero a posto le armi, soddisfatti. Ognuno di loro frugò nel proprio borsello e tirarono fuori le monete, che poi porsero a Jao. Lenn era l’unico che per tutto il viaggio non aveva speso nemmeno un soldo, semplicemente perché non ne aveva. Non aveva avuto l’occasione di cercare dei soldi in casa sua, prima di fuggire. Fece il suo solito sorriso imbarazzato in direzione di Jao. La Tigre gli rivolse un sorriso comprensivo e disse: - Non ti preoccupare, pago io la tua parte. –
Come al solito.” pensò Lenn. Si ripromise di restituire tutti i soldi che Jao gli aveva prestato appena fosse stato possibile.
L’oste prese i soldi e recuperò una pergamena dove stavano scritti alcuni elenchi. – I vostri Clan? –
- Tigre, Orso, Coccodrillo, Pino e Drago. – recitò Jao.
L’uomo si fermò per un istante, quando udì l’ultimo Clan, ma poi scosse la testa e riprese a scrivere.
- …Tanto per curiosità, chi di voi è il Drago? – chiese poi l’oste, una volta riposto l’elenco.
- Io. – disse Lenn, portando una mano all’elsa della katana. – La cosa le crea problemi, per caso? –
- No no, per carità! – s’affrettò a dire il signore. – Ah, ecco a voi le chiavi. Le stanze sono al piano di sopra. –
Jao finalmente prese in consegna le chiavi e le distribuì ai suoi amici.
- Se posso chiedere, quanto desiderano restare, i signori? – chiese ancora l’oste. Lenn stava iniziando ad odiarlo, per il tono in cui diceva le cose.
- Non lo sappiamo. Qualche notte, forse. Pagheremo di volta in volta. – rispose con fin troppa cortesia Jao.
Lenn avrebbe preferito rispondere con un “quanto cazzo ci pare”, tuttavia non disse nulla.
I ragazzi si trascinarono fino alle scale, poi però sentirono di nuovo l’uomo chiamarli. – Scusate, mi stavo dimenticando di una cosa importante! Chi di voi è la Tigre? –
Jao sbuffò, voleva andare ad usare un bagno vero. Si girò verso l’oste e questa volta non nascose il suo disappunto. – Io, perché? –
L’uomo s’affrettò a rispondere e frugò sotto il bancone, alla ricerca di qualcosa. Dopo qualche secondo riemerse con una pergamena in mano. – Qualche settimana fa è arrivata qui una missiva. E’ destinata a Jao, del Clan della Tigre. Me l’hanno consegnata perché la mia è l’unica osteria del paese e hanno ben pensato che avreste sostato qui. Si tratta di voi, no? –
Jao storse la bocca, notando che l’oste era passato dal dargli del lei al più pomposo “voi”. Di sicuro conosceva la ricchezza della sua famiglia ed era passato al lecchinaggio bello e buono. – Sì, sì, si tratta di me. –
Detto questo tornò al bancone e prese svogliatamente la pergamena. Riconobbe immediatamente i due sigilli di cera che tenevano chiusa la lettera: il primo raffigurava lo stemma del Clan della Tigre. Chissà cos’avessero da dire i suoi genitori di così importante da arrivare ad intercettarlo lungo il tragitto. Non si aspettava buone nuove, né frasi amorevoli per confortarlo e dirgli che l’amato figlio era sempre nei loro pensieri.
Il secondo sigillo lo riconobbe altrettanto velocemente: raffigurava un fiore; conosceva quel Clan, e la presenza di quel marchio lo faceva insospettire ancora di più.
Lenn e gli altri si assieparono lì intorno, mentre il ragazzo apriva la lettera e leggeva velocemente quelle righe. Erano scritte con una calligrafia veloce ma precisa e leggera. Lenn non ebbe il tempo di leggerle perché Jao richiuse la pergamena.
- Embè? Non la leggi tutta? – domandò Chad.
- Non serve, ho afferrato il senso del messaggio. – rispose Jao. Non sembrava proprio di buon umore.
- Oh, passa! – gli disse Lenn, facendogli un gesto con la mano.
- E’ tutta tua. – Jao gli lanciò il foglio arrotolato con noncuranza.
Il mezzelfo lo scrutò, perplesso. Poi srotolò la lettera e lesse ad alta voce:

Carissimo Jao,
Al momento, è passato un anno preciso dalla tua partenza, ma suppongo che leggerai questa missiva almeno con cinque mesi di ritardo.
I nostri genitori mi hanno personalmente incaricata di supervisionare il tuo stato di salute e controllare che tutto sia a posto, poiché sono molto preoccupati. Si stupiscono del fatto che tu non abbia mandato loro nemmeno una lettera per dare tue notizie. Sospettano che la partenza per raggiungere il Torneo indetto dai Re Kaloshi e Fanir sia stata solo un espediente per darti alla macchia e rimandare il matrimonio.
Con la conoscenza del tragitto che avresti fatto e con un accurato studio delle carte abbiamo previsto che per forza di cose ti troverai costretto a fermarti nel paese in cui invieremo la lettera. Io partirò a giorni, per raggiungerti.
Ti prego di aspettarmi lì, così soddisferò il volere dei Padri e delle Madri, tenendo un occhio vigile sulle tue mosse. Ti seguirò per il resto del viaggio.
Sono sicura che entrambi vorremmo evitare una situazione simile, ma ho le mani legate.
Quindi a presto.
Annah.


Una volta finito di leggere, Lenn richiuse la pergamena, accigliato. – Chi è questa Annah? – domandò.
Jao scosse le spalle, con l’intenzione di voler liquidare la faccenda. – Nessuno, una ragazza molto sgradevole. –
- A quanto dice questa lettera, - ribatté Lenn, - dovremo scarrozzarcela per il resto del viaggio. Quindi vorrei sapere di chi si tratta, è il minimo. –
Gli altri ragazzi annuirono. Jao sbuffò.
- E’ figa questa Annah? – domandò Rizo.
Jao sembrava avere l’intenzione di rimanere vago, nascondeva qualcosa. – Mah, sì, è carina… Ma non è questo il punto! –
- Infatti. – disse Lenn. Poi indicò una riga precisa della lettera. – Il punto è capire chi è. Di che matrimonio parla? –
Quando Jao assunse un’espressione sofferente, il mezzelfo capì di aver colto nel segno.
- Oh, e va bene! – sbottò Jao, mai stato così contrariato. Sembrava si stesse cavando le parole di bocca. – Annah è una ragazza che conosco dall’infanzia, un’amica. Ma tre anni fa, i nostri genitori decisero che i nostri Clan ricchi, antichi e potenti dovevano unirsi. E così hanno combinato il nostro matrimonio. A me l’idea di sposarla faceva schifo e così mi sono defilato con la scusa del Torneo. –
Gli altri rimasero a bocca aperta.
Jao allora si sentì in dovere di aggiungere: - Per carità, io era da molto prima che volevo partecipare al Torneo. Anzi, se vinco spero di ottenere il potere di annullare i matrimoni combinati, togliere la possibilità di organizzarli. A casa mia è pieno di amici ricchi che si sono trovati incatenati ad una vita programmata appena diventati maggiorenni. Non volevo quella vita, va bene? –
Il silenziò regnò sovrano per ancora qualche secondo, finché Lenn non si riprese. – E ci hai tenuto nascosto questa cosa importantissima per tutto questo tempo? –
Jao storse la bocca. – Non mi sembrava poi tanto importante… -
- Eccome se lo è! – aggiunse Harù. – Insomma, sei maritato! –
Quasi maritato. – gli ringhiò Jao.
Chad fece roteare gli occhi. - Vabbè, è la tua promessa sposa, però! –
- Da che famiglia proviene? – gli chiese Rizo. – E’ carina e ricca, a quanto ho capito. Se ti fa schifo me la prendo volentieri io. –
Jao ridacchiò. Ma la sua sembrava più una risatina nervosa. – Credimi, non sei il suo tipo. Quelli come te li impalerebbe volentieri, dopo avergli staccato la testa a morsi. –
Harù sbiancò. Lenn invece assunse un’espressione scettica. – Che esagerato che sei! –
- Non esagero, credimi. Ha un caratteraccio. – ribatté il castano.
- Non importa se i tipi come lui li odia, prima o poi tutte le donne cadono sotto il fascino di Rizo! – affermò il biondo, parlando di sé in terza persona. – Allora, qual è il Clan? –
- Clan del Giglio… E ora , posso andare a farmi un bagno in santa pace? –
Evidentemente Jao non sembrava turbato quando pronunciava quel nome altisonante. Harù, Chad e Rizo sapevano che quello del Giglio era uno dei Clan più antichi di Argeth, formato da cavalieri che erano sempre stati al fianco dei re del passato. In più, i Gigli erano stati coloro che avevano combattuto con più asprezza il Credo e la violenza del Clan del Drago. Lenn li aveva sentiti nominare un paio di volte dallo zio quando gli leggeva i libri di Storia, ma non sapeva molto su di loro. Sarebbe stato meglio informarsi.
I ragazzi rimasero per qualche secondo a guardare Jao che non aveva aspettato risposta e si era diretto a grandi falcate alle scale che portavano al primo piano, dove si trovavano le stanze che avevano appena affittato. Si riscossero tutti presto e decisero di imitarlo, desiderosi anche loro di un bagno caldo, cibo in abbondanza, letto comodo.
Lenn seguì gli altri e camminando non poté fare a meno di immaginarsi questa Annah. Era curioso di conoscerla, anche se Jao non ne aveva parlato molto bene.
Com’era fatta? Era alta, bassa, magra o grassa? Poteva avere i capelli biondi, mori o rossi, chissà. Era molto curioso, era nella sua natura e non ci poteva fare nulla. Il suo amico aveva detto che era munita di un bel caratteraccio, chissà se era vero o ingigantiva la cosa.
Scacciò quei pensieri, mise da parte la curiosità e si concentrò sul fatto che doveva farsi un bagno. Girò la chiave ed entrò nella sua stanza. Non le diede nemmeno uno sguardo, si diresse a grandi falcate verso la porta del bagno. Quando vide una stanza pulita, una vasca e dei secchi pieni di acqua fresca, si sentì subito meglio. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato così contento alla sola vista di un bagno. – Dei, grazie. -

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Capitolo 34
*** Capitolo 9 - La verità, il secondo Giglio (Parte III) ***


[Ed ecco qui la terza parte (di 4, devo dirlo) di questo bellissimissimo capitolo. Qui fa finalmente la sua comparsa un nuovo personaggio, che è la simpatia fatta persona. Un saluto ad Annah, l'unico protagonista donna fin'ora! Questi poveri ragazzi devono aver avuto gli ormoni in subbuglio e confusi per molto tempo; basti pensare che le ultime donne che hanno incontrato gliele hanno date di santa ragione, e Lenn c'è pure rimasto secco. Come andranno le cose con questa nuova e dolcissima ragazza? Meglio?, Peggio?
Spero che questo capitolo vi piaccia. Buona lettura.]


Capitolo 9
La verità, il secondo Giglio
Parte III




Lenn si sciacquò il viso con l'acqua di una bacinella, poggiata sopra ad un comò della sua camera. Si sentiva fresco e rilassato dopo quel bel bagno, forse il primo decente che avesse mai fatto. Era rimasto per una buona mezz'ora immerso nella vasca, nell'acqua calda e profumata, godendosi ogni istante di tranquillità. Da tempo non si era più sentito tanto bene. I bagni che aveva fatto i giorni a seguire erano stati rilassanti, ma mai come quel primo, lungo oziare nella vasca. A casa sua non avevano vasche, suo zio si limitava a sbucare ogni tanto dalla porta della sua cella, stringendo tra le mani il solito secchio, per poi svuotarglielo addosso, facendogli una veloce doccia. Ecco cos’erano stati i bagni, per lui, per tanti anni. Ma finalmente si sentiva pulito e rilassato.
Ora camminava a torso nudo per la stanza, a grandi passi, come se volesse misurarne il diametro.
Il sole entrava nella stanza attraverso una finestra fornita di davanzale, sul quale era poggiato il giglio del mezzelfo, più bello e rigoglioso dei giorni precedenti.
Lenn rifletteva e ricordava il suo passato. Approfittando di quel breve momento in cui poteva rimanere solo con se stesso. Viaggiare era bello, tuttavia riduceva lo spazio personale ad un livello quasi pari al nulla. Gli mancava il suono del suo cervello che rimuginava indisturbato.
Pensava che la buona cena che aveva consumato la sera precedente e il bagno caldo lo avrebbero potuto aiutare a pensare a certe cose senza innervosirsi troppo. Come nei giorni precedenti, pensava ai suoi genitori, e al fatto di essere mezzo Umano e mezzo Elfo.
Stranamente, era stato pervaso da un magnifico senso di accettazione. Il turbamento provocato dalla scoperta di essere qualcosa completamente diverso da tutto ciò che conosceva era scemato di giorno in giorno, rinfrancato dalla quotidianità dei gesti condivisi con gli amici durante il viaggio; niente era cambiato, nei loro comportamenti, e questo lo aveva aiutato molto ad accettarsi per quello che era. Si guardava le mani, e credeva quasi impossibile che fossero le stesse che aveva utilizzato e osservato quando credeva ancora di essere un essere umano; tutto era cambiato, eppure lui era sempre lo stesso.
Adesso che la verità era venuta a galla, riusciva a capire tutti i comportamenti che lo zio aveva avuto con lui, mentre prima erano rimasti senza motivo. Lo odiava, lo disprezzava, non l’avrebbe mai perdonato per quello che gli aveva fatto; tuttavia non erano gli stessi sentimenti acuiti che provava prima. Si sentiva in pace, niente più. Non era più sicuro di sapere come avrebbe reagito, se l’avesse avuto di nuovo davanti.
Cacciò dalla mente quei pensieri, e tornò a darsi dello stupido. Suo zio non gli aveva mai detto niente della sua natura ibrida, però ci sarebbe potuto arrivare benissimo da solo: gli indizi erano stati tanti. Ma sarebbe stato come andare da un pesce e dirgli che no, aveva sbagliato, lui non era un pesce, ma un cane. Quando credi di essere qualcosa, è difficile sospettare di poter nascondere una natura diversa.
Lenn non aveva colto al volo le frasi di odio che suo zio gli aveva rivolto nelle segrete; aveva detto che lui, quello sporco ragazzino, era l’errore più grande che camminasse sulla terra, un mostro. Ma come avrebbe potuto sospettare di essere un mezzelfo?
Però, mesi prima del suo diciassettesimo compleanno, avrebbe potuto farci un pensierino. Com’era potuto essere così ottuso? Erano stati dei veri e propri campanelli d’allarme.
Essendo una parte di lui Elfica, prima di compiere diciassette anni e diventare adulto, era andato in Sovraccarico. Tutti gli Elfi, maschi e femmine, in procinto di diventare adulti andavano in Sovraccarico.
Gli Elfi, prima dei diciassette anni, in fatto di abilità magiche sono più o meno allo stesso livello degli Umani. Perché riescono ad evocare la magia solo con le formule, usufruendo dell’incrocio tra anima, lingua antica, energia vitale e una grande richiesta agli Dei di rendere possibile invocare il fuoco, il ghiaccio, il potere del vento. Vanno in Sovraccarico perché la loro energia vitale è tanta, più di quella Umana. E’ così abbondante e prorompente che arrivata una certa età diventa incontenibile, stanca di essere repressa dentro ad un semplice corpo fatto di carne e ossa. Arrivata la maggiore età, avviene un rilascio di energia vitale, che è comunque diversa dalla magia elementare, quella che si utilizza per dar forma agli incantesimi. L’energia vitale non è come la Luce o le Tenebre, è neutra, pura, è l’essenza di una persona e ciò che la mantiene in vita.
Dopo il rilascio di energia in eccesso, l’Elfo è padrone di usarla come vuole, dato che nella sua mente viene registrato in modo naturale come controllarla; è una cosa istintiva e antica come il bisogno di cacciare per il predatore.
L’energia vitale degli Elfi era di colore blu. Loro erano superiori nelle arti magiche rispetto agli Umani, proprio grazie a questa capacità di usare direttamente l’energia vitale, invece che poterne usufruire solo insieme alla magia elementare e l’anima che sostengano e minimizzino la perdita di forza. Con quella magia di colore blu potevano evitare di invocare gli elementi e realizzare direttamente quel che volevano; non dovevano invocare il vento se speravano di staccare i piedi dal suolo, potevano giocare con la luce per rendersi invisibili, inesplicabilmente sapevano anche diventare inconsistenti o cambiare i propri tratti somatici.
La magia di Lenn era di colore azzurro, non blu, ma immaginava che si trattasse comunque dello stesso tipo di energia; forse il colore più tenue era una conseguenza alla sua natura ibrida; probabilmente era anche più debole di un Elfo e non aveva le stesse possibilità di riuscire a invocare alcuni incantesimi.
Dischiuse una mano e vi fece comparire una sfera di energia azzurra. Rimase a contemplarla per qualche secondo. Avrebbe comunque fatto qualche prova per verificare le sue possibilità.
La sua paura di quella magia incontrollabile era ora svanita, per lasciar spazio ad un senso di contentezza e soddisfazione. Non ci avrebbe mai sperato. Né si era mai insospettito. I suoi dubbi sarebbero stati vanificati anche dal fatto che, durante il periodo di Sovraccarico, anche Jao aveva manifestato parte dei suoi sintomi. Il problema era che non l’aveva mai visto circondato di una particolare magia, era stato strano solo nei comportamenti.
Scrollò le spalle. Probabilmente Jao gli si era accodato in quanto a stranezze a causa della sua estrema empatia; si era lasciato così coinvolgere da Lenn da soccombere contro la sua influenza magica, cosa del tutto comprensibile.
Lenn si affacciò alla finestra, non avendo altri posti a cui rivolgere lo sguardo. Peccato che nella semplice camera non ci fosse anche uno specchio. Si continuava a chiedere se assomigliasse ad un Elfo oppure no. Forse un po’. Questo avrebbe spiegato il perché Mira, l’Elfa che mesi prima lo aveva ucciso, avesse manifestato un certo interesse nei suoi confronti. Fino a quando non l’aveva infilzato con la spada, ovvio. Probabilmente era rimasta inconsciamente attratta dalla sua metà Elfica. Rabbrividì. No, non gli interessava risultare attraente per nessun Elfo femmina, che se ne stessero pure alla larga.
Tirò un sospiro stanco, poi si passò una mano tra i capelli di nuovo corti. Harù lo aveva aiutato a tagliarseli di nuovo come piacevano a lui. A differenza di Jao, odiava i suoi ondulati capelli ribelli.
Lenn si girò a guardare il letto in cui aveva dormito la notte precedente, il suo primo vero letto; non aveva mai dormito in posti comodi, solo in sacchi a pelo, giacigli di paglia o il duro terreno.
Sopra di esso aveva poggiato tutti i suoi averi. Cioè pochissimi oggetti: i suoi abiti da viaggio ripuliti e rammendati, il coltello che usava per intagliare il legno che infine Harù gli aveva regalato, il flauto di legno e la trottola di sua creazione, un sasso con delle iscrizioni che Jao gli aveva regalato, e la katana che era appartenuta a suo padre, infoderata e finalmente lucidata dopo tanto tempo senza averlo mai fatto. Erano pochi ed essenziali oggetti che raccontavano la sua vita. Si portò una mano al collo per cercare il ciondolo che Jao gli aveva regalato per il suo compleanno. L’unica cosa che lo facevano esistere erano i legami stretti con i suoi amici. Quegli oggetti disposti in fila sulla coperta potevano appartenere a chiunque.
Si diresse verso la sedia poco distante e recuperò i suoi abiti nuovi, che aveva comperato insieme agli altri un paio di giorni prima. Faceva molto caldo quella mattina, così decise di tenersi i pantaloni a sbuffo più leggeri e la sua nuova camicia bianca, giusto per riparare il corpo dai raggi del sole e non mostrare a tutti i passanti le cicatrici delle frustate sulla schiena e il tatuaggio sul petto. La gente lo guardava già abbastanza male alla sola vista dello sfregio che aveva sull'occhio destro, poteva bastare.
Insolitamente tranquillo, uscì fuori dalla sua camera e la chiuse a chiave, poi percorse il corridoio e scese le scale, ritrovando i suoi compagni di viaggio seduti ad un tavolo, intenti a consumare la loro colazione. Dopo qualche breve saluto si sedette vicino a loro e mangiò, dopodiché uscì fuori dalla locanda, in strada.
Più il tempo passava, più Jao si preoccupava per l'imminente arrivo della sua promessa sposa, e diventava sempre più nervoso. Doveva avere una specie di rapporto conflittuale col passato pure lui, vedendolo così di malumore al pensiero dei suoi genitori e teso nell’attesa dell’arrivo della sua promessa sposa. Una sua amica d’infanzia, aveva detto. Chissà che tipo di rapporto si era andato a formare, tra di loro. C’era più di quello che Jao volesse far intendere, ma non in positivo.
Lenn, quando gli fu accanto, gli diede un'amichevole pacca sulla spalla. - Su Jao, non ti devi preoccupare! Di sicuro appena ti vedrà dopo tanto tempo ti salterà al collo per abbracciarti. - gli disse.
- Oh, che mi salti al collo non ho dubbi, ma non credo che lo farebbe per abbracciarmi. - rispose scettico Jao.
- Dai, mica morde! –
- Io non ne sarei tanto sicuro. -
Chad, vicino a loro, si fece scappare una risatina.
- Tu non la conosci. - si limitò ad aggiungere il castano, senza rivolgersi a qualcuno in particolare. Distolse lo sguardo e lo posò distrattamente sulle bancarelle che sostavano per la grande strada in cui si trovavano.
Da giorni si ripeteva quel rito: si svegliavano, facevano colazione e poi scendevano in strada, dove stavano per tutto il giorno; di solito si esplorava il mercato e si chiedevano informazioni su di un eventuale tragitto più breve per arrivare a Sailam, Jao invece passava la maggior parte del tempo a scrutare il cielo terso. Sembrava aspettare con impazienza il momento in cui avrebbe scorto in lontananza la sua consorte e il suo seguito solo per togliersi il peso dell’attesa, che lo rendeva innaturalmente nervoso. Anche Lenn sperava che questa Annah arrivasse presto, non sopportava vedere Jao in quello stato.
E dopo giorni di attesa, accadde l’evento tanto atteso. Qualche minuto dopo essere usciti, giusto il tempo di arrivare in piazza, la gente cominciò ad alzare lo sguardo al cielo. Delle grida di stupore si levarono tra i bambini e i giovani.
Lenn alzò lo sguardo con loro. Non fu difficile trovare l’oggetto di tanta attenzione, dato che tutti avevano le mani alzate a puntare le dita contro di esso.
Nel cielo azzurro e terso scorse tre figure scure librarsi tra le correnti d'aria, come grandi e maestosi uccelli. Mentre si avvicinavano al paese con estrema velocità, notò che puntavano proprio sulla strada principale dove si trovava lui, probabilmente il posto più spazioso per l’atterraggio dei grandi volatili. Perché si trattava di volatili, Lenn ne era certo, anche se erano decisamente fuori misura; non ne aveva mai visti di dimensioni simili.
Poi, accanto a lui, Jao attirò la sua attenzione estraendo il suo spadone dal fodero. Il castano lo sollevò oltre la testa e fece illuminare l’arma di una sfavillante luce bianca. Poi si mise a farla oscillare per farsi notare ancora di più.
- Arriva. - disse.
Il trio di uccelli sembrò avvistare la luce dell'arma di Jao, e cominciò a scendere gradualmente verso il suolo, proprio verso di lui.
Quando le bestie atterrarono tra la folla, Lenn poté constatare che quelli non erano veri e propri uccelli, ma Grifoni. Belli e maestosi. Avevano la parte posteriore del corpo simile a quella di un leone, mentre le zampe anteriori erano costituite da artigli e piume, ricordando quelle di un'aquila; anche la testa piumata apparteneva a quella del medesimo rapace, con un grande becco ricurvo. Le piume erano un gioco di neri e marroni che erano lucidissimi alla luce del sole. Erano anche muniti di possenti ali che da aperte avrebbero potuto coprire tutti e cinque i ragazzi per proteggerli da un acquazzone. Tenevano le orecchie piumate ritte e attente a qualsiasi rumore sospetto. Anche se non erano muniti di zanne, il loro becco non lasciava dubitare della loro ferocia e della capacità di dilaniare chiunque avesse provato ad attaccare i suoi padroni.
Due Grifoni, però, erano più piccoli e meno belli di quello che stava a pochi passi da Lenn. I due più piccoli portavano sulla sella due guardie del corpo, armate e pronti a difendere la loro signora. Il Grifone più grande era cavalcato da una donna completamente vestita di bianco, il suo volto era coperto da un leggero velo.
Le guardie del corpo smontarono dalle selle e fecero per aiutare la ragazza a scendere, ma questa rifiutò con il gesto di una mano il loro aiuto e scese da sola con un agile balzo.
Lenn pensò che un viaggio a bordo di tre Grifoni, che erano animali rarissimi, fosse una cosa insolita quanto costosa; se nessuno arrivava lì cavalcando quelle enormi bestie, ci doveva essere un motivo. Questa Annah doveva essere davvero ricca, se era lei la donna appena scesa dal semi volatile.
Jao, con un sorriso affettato, rinfoderò la spada e uscì dalla folla. Si avvicinò alla ragazza, poi chinò il capo in segno di saluto. - E' un piacere rivedere la tua splendida persona, Annah. -
La ragazza da sotto il velo lo guardò con sufficienza, aggrottò le fini sopracciglia e poi lo riconobbe. - Jao, sei davvero tu? - domandò con la sua voce melodiosa ma anche sorprendentemente fredda.
- Sì, perché? Sono tanto cambiato? - rispose il ragazzo.
Annah sollevò il velo e lo portò indietro, sembrando una sposa, per vedere meglio il suo fidanzato.
Il cuore di Lenn smise di battere per qualche secondo, quando la vide. Il suo viso era leggermente pallido, probabilmente perché era un po’ provata dal lungo viaggio, ma lasciava intendere che la morbidezza e la perfezione della sua pelle erano sempre quelli, anche quando era riposata. Comunque, l’abbronzatura non era molto marcata; doveva aver passato davvero poco tempo nel deserto. I suoi grandi occhi neri sembravano un abisso infinito in cui chiunque si sarebbe perso. Le sue labbra erano sottili e rosee, probabilmente non utilizzate molto per sorridere. Il suo delicato viso era incorniciato da dei corti capelli color oro, non arrivavano nemmeno a toccare le esili e lisce spalle; probabilmente li aveva tagliati per resistere al caldo di quel luogo arido durante il suo viaggio.
Lenn pensò che sarebbe stata ancora più bella se solo avesse sorriso, ma la sua espressione era fredda come il ghiaccio, di quelle che nemmeno il sole del deserto sembrava essere in grado di sciogliere. Non lasciava trasparire molte emozioni.
Le guardie del corpo, a quel punto, si misero a parlare con la folla: - Circolare, non c’è niente da vedere! –
Nel giro di pochi secondi le persone che avevano fatto resistenza tornarono ai loro affari; ma c’era sempre qualcuno che rimaneva fermo a rimirare i Grifoni, o la ricca straniera bianca, o il ragazzo cencioso che le stava davanti. Anche Lenn e gli altri dovettero indietreggiare, tuttavia rimasero a pochi metri di distanza per guardare la scena.
- Ma guarda come ti sei ridotto! - esclamò la ragazza rivolgendosi a Jao, con un tono scocciato più che preoccupato.
Annah si avvicinò decisa al suo ragazzo. Poi, sorprendendo tutti, lo prese per le orecchie.
- Ti lascio da solo per un po’ di tempo e tu cosa mi combini? Ma ti sei visto allo specchio? - lo sgridò, come fosse stato un bambino. - Guarda i tuoi capelli, sono un disastro! E quanto sei dimagrito? Eri già magro prima, e adesso sei un uno spillo. Ti vuoi decidere a mangiare di più? Ma cosa ti sei messo addosso? Non saranno mica i vestiti che ti abbiamo dato, sono tutti rattoppati e malconci! -
Jao sembrò aspettarsi una reazione del genere, dunque parve calmo e tranquillo. Anche se si dimenava per liberare l’orecchio dalle dita della ragazza. – Annah, ci terrei a dire che non sono più un bambino, e tu non sei mia madre. Ti sembra questo il modo di salutarmi dopo tutto questo tempo? –
- Io ti sgrido quanto voglio, perché adesso comando io. I nostri genitori mi hanno mandata in questo posto schifoso apposta! –
- Ah, per farmi spiare! – esclamò allora Jao, ma non sembrava sorpreso.
- Certo, anche per quello, li conosci, no? –
- Potremmo parlare senza che tu mi tenga attanagliato l’orecchio, per favore? –
Annah gli rivolse un’occhiata indecifrabile, poi lo mollò.
Jao si rimise con la schiena dritta, massaggiandosi l’orecchio arrossato.
- Perché sei qui? – chiese poi il castano.
- I tuoi genitori pensano che tu voglia solo scappare dal nostro matrimonio. Hai letto la lettera, no? –
- Sì. Ma non mi sembra un buon motivo per spedirti in mezzo al deserto. C’è dell’altro. –
- Infatti. – disse la bionda. – Sei proprio sveglio! –
- Piantala di prendermi per il culo e dimmi tutto. –
- Oh, io non prendo ordini da te! Te ne parlo se ho voglia. –
Jao incrociò le braccia e si mise a fissarla, aspettando.
Dopo circa un minuto, la ragazza parlò: - Pensano che durante tutto questo tempo, tu ti sia trovato una nuova compagna. Io gliel’ho detto che è impossibile, ma hanno voluto comunque che venissi fin qui per controllare. –
Jao rise, ma amaramente. – Peccato che non sanno che anche a te non frega nulla del matrimonio. –
- Infatti. Non prendere alcuna posizione a riguardo mi ha portato dei vantaggi. Io in effetti speravo che ti fossi trovato una ragazza, tanto a loro avrei detto che andava tutto bene. –
Jao sorrise. – Siamo entrambi liberi, allora. –
Annah annuì, ma non ricambiò il sorriso. – Siamo entrambi liberi. –
Passò qualche secondo di silenzio, giusto interrotto dalla ragazza che sbottò: - Però in compenso mi ritrovo sperduta in questo deserto del cazzo insieme a te! –
Jao storse la bocca. – Non essere scurrile, non ti si addice. –
- Ora che i nostri genitori non ci sono, ho intenzione di fare quello che voglio. Prova ad impedirmelo. –
Jao fece roteare gli occhi. - Fai quello che vuoi, è meglio. -
Detto questo, Annah diede le spalle al suo promesso sposo e si rivolse alle due guardie che l’avevano seguita e ora stavano fermi impalati in attesa di ordini. – Da qui in poi ci pensa Jao. Potete andare. E dite ai nostri genitori che ora la situazione è sotto controllo. E che lui non ha nessuna ragazza. –
Poi la bionda si girò verso Jao, fulminandolo con lo sguardo. – Non hai un’altra ragazza, vero? –
Jao fece ciondolare le spalle. – No. –
- Lo sospettavo. –
Il castano sbuffò.
- Su, andate, via dalle palle! Non voglio più vedere quegli uccellacci puzzolenti in vita mia! – disse la ragazza rivolta ai due uomini, ma poi storse la bocca. – Non sono adatta al turpiloquio. –, ammise.
La gente guardava la scena con un misto di stupore e divertimento.
I due soldati, loro malgrado, s’inchinarono alla loro padrona, poi rimontarono in sella. Jao li vide trarre un sospiro di sollievo. Poverini, chissà che mesi d’inferno erano stati, quelli passati assieme ad Annah.
I tre Grifoni si librarono in aria con un balzo, quello rimasto senza cavaliere seguì senza alcun ordine gli altri.
Quando furono distanti, Annah tornò a rivolgersi al suo compagno: - Allora, dove alloggi? –
- Dove alloggiamo. – La corresse Jao.
- Per il momento ci alloggi tu. Se il posto è una bettola che rispecchia il tuo attuale aspetto, io mi cerco un altro posto. –
Jao ridacchiò. – C’è solo una locanda, in tutto il paese, ed è quella in cui sto. O ti va bene, o te la fai andare bene per forza. Ma comunque, non mi riferivo soltanto a noi due. –
Annah alzò un delicato sopracciglio e guardò Jao con un’espressione interrogativa.
- Per strada mi sono fatto degli amici, sai? – disse il ragazzo.
Annah sbuffò e fece roteare gli occhi. – Oh, Dei! Jao, quante volte ti ho detto che non devi far amicizia con i barboni? –
- Non sono barboni, signorina Annah! – rispose l’altro in tono spazientito. Lenn avrebbe poi saputo che Jao, ogni volta che si spazientiva con lei, la chiamava “signorina”; di sicuro per canzonare la pazienza con cui spesso le rispondevano i servitori, che di sicuro non la sopportavano più da anni.
- Si tratta di persone a posto e vorrei che tu le rispettassi. –
- E dove sarebbero, queste persone? – disse in tono scettico Annah.
Solo in quel momento la ragazza distolse lo sguardo dal suo povero promesso per guardarsi veramente attorno. Il luogo non era di sicuro di suo gradimento, notando la sua faccia che da impassibile si apriva in un’espressione schifata. Guardò poco più in là, oltre la spalla di Jao. Notò che la gente intorno a loro ormai si faceva i suoi affari, mentre quattro ragazzi poco distanti continuavano a fissarli. Li squadrò con disinvolta superficialità, ma in realtà li stava analizzando uno ad uno. Non le piacevano molto. Ce n’era uno biondo che la fissava e le faceva l’occhiolino, e già per questo lo odiava; quello con gli occhi azzurri era massiccio e con un’espressione burbera stampata sul viso, sembrava un orso silenzioso; poi c’era quello dalla pelle nera che era alto e dinoccolato, con una massa di capelli che le ricordò la criniera di un leone.
L’ultimo, il più alto di tutti, cercò immediatamente il suo sguardo, rimasero a fissarsi a lungo; il suo sguardo era intenso e di sicuro era il più bello in mezzo a quella combriccola che era il simbolo di quanto siano beceri gli esseri muniti di testosterone. Ma almeno non sembravano puzzare, erano puliti.
- Sono loro? – domandò al fidanzato.
- Sì. –
- Ma da dove li hai presi? –
- Vengono dai quattro angoli di Argeth. –
- Hai fatto tanta strada. –
- Sì, in effetti… -
Poi, Jao la superò e la prese per mano. Annah la ritrasse subito e lo fulminò di nuovo con lo sguardo.
- Vieni, te li presento. – disse poi il castano, che non c’era rimasto male per il gesto schivo della ragazza.
I due si avvicinarono al gruppo, e i ragazzi rivolsero all’unisono un grande sorriso a trentadue denti per salutare la nuova arrivata.
Jao si affiancò al ragazzo di colore. – Annah, lui è Chad. Fa parte del Clan del Coccodrillo. –
- S-salve. – disse Chad. La ragazza lo faceva sentire in soggezione, lo guardava come se lo volesse strangolare. Lui invece era un tipo pacifico e pacifista.
Annah lo salutò con un leggero movimento del capo, sfoggiando improvvisamente una grande grazia da nobile.
- Lui invece è Harù, Clan dell’Orso. – disse il castano, dando una pacca sulla spalla all’amico.
Annah si disse che c’aveva azzeccato, a pensare che il tipo sembrava un orso; anche il suo nome confermava la sua teoria. Ironico.
- E' un piacere conoscerla, signorina. - salutò Harù, chinando il capo.
Annah fece un piccolo sorriso di approvazione. Le piaceva come il ragazzo le aveva rivolto la parola, con quella gentilezza naturale.
Poi, Jao si avvicinò a Rizo. - Questo è Rizo, Clan del Pino. -
Il biondo ammiccò un sorriso impertinente ad Annah, poi le prese la mano e la baciò. - Piacere di conoscerla, bellissima signora. - disse. – Non so se avete sentito parlare di me, sono l’erede di un famosissimo e ricchissimo Clan che produce la migliore birra di Argeth da secoli e… -
Annah ritrasse in fretta la mano, irritata. – No, non ho mai sentito nominare il tuo Clan. – disse. Odiava gli spacconi che provavano a conquistarla mettendo in evidenza la loro ricchezza, ne conosceva troppi di quei palloni gonfiati. – E comunque, il piacere è tutto tuo. - sussurrò, stando attenta a non farsi sentire da nessun altro a parte lui. Poi sostituì la sua espressione con un falso sorriso cortese. Rizo assunse un’espressione corrucciata, tuttavia non disse altro.
Jao, quando si affiancò a Lenn, sospirò stancamente pensando alla scenata ormai prossima che la sua ragazza avrebbe fatto subito dopo aver sentito il nome del Clan da cui proveniva. Non poteva dirle che tanto lui non ne faceva più parte, sarebbe stato ancora peggio.
Anche Lenn temeva una reazione negativa da parte della ragazza. Nessuno reagiva bene quando sentiva nominare il nome della sua famiglia.
- E infine… lui è Lenn. - disse il castano.
Annah, nel silenzio che seguì, rimase a contemplare il viso particolare del ragazzo. Non aveva mai visto nulla di simile. Era ombroso, forse sarebbe potuto essere l’unico a piacerle almeno un po’. Non sapeva bene perché, ma le ispirava fiducia.
- Beh, e qual è il suo Clan? – domandò poi, accorgendosi che Jao non aveva finito la presentazione.
Jao si schiarì un po’ la gola, rivolgendo a Lenn uno sguardo che lo supplicava di aiutarlo.
Il mezzelfo allora decise di prendere l’iniziativa e disse a quella ragazza che trovava bellissima: - Appartengo al Clan del Drago. -
Annah, che era rimasta sino a quel momento tranquilla e sicura di sé, sobbalzò.
- Ha detto proprio “Clan del Drago”? - disse con voce strozzata.
Jao tentò di calmarla. - Sì, ma non essere precipitosa, lui è… -
Non ebbe il tempo di finire la frase, che Annah alzò di scatto la mano e diede un sonoro schiaffo a Lenn, che subì il colpo senza reagire. Poi riservò lo stesso trattamento per il fidanzato.
- Ma dico, sei matto?! Ti porti appresso un Drago? Hai presente a che Clan appartengo, io? –
Jao si passò una mano sulla guancia appena colpita. – Sì, lo so! Ma fammi spiegare! –
- Che c’è da spiegare?! Viaggi con un assassino! –
Lenn, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, mise da parte l’orgoglio ferito dallo schiaffo e disse: - Ehi, modera i termini, per favore. Non sono un assassino. –
Cercò di apparire più tranquillo e gentile che poteva, non voleva far aggravare la situazione e far passare delle grane a Jao.
Annah però lo trapassò comunque con il suo sguardo adirato. Quando Lenn lo vide, capì che sarebbe stato tutto inutile; aveva di sicuro la stessa espressione che aveva lui quando suo zio poteva ancora contare sul lavaggio del cervello che gli permetteva di controllarlo. I due ragazzi non si conoscevano, eppure l’odio ereditato dalle famiglie li divideva.
- Quelli come te dovrebbero essere tutti morti. – disse la ragazza.
Lenn si sentì ferito da quelle parole, più di quanto avesse potuto aspettarsi; quella ragazza era così bella, ma sputava veleno come una vipera.
- Annah, Lenn è mio amico! Se gli manchi di rispetto, manchi di rispetto pure a me! – disse a quel punto Jao.
La bionda si girò verso la Tigre. – Come puoi dire questo! Ti ha fatto il lavaggio del cervello. Non so se hai presente che discende da un’intera famiglia di assassini! Mio bisnonno ci ha lottato contro, sai? Prima che sparissero e scappassero come conigli. –
- Con chi ha lottato? Chi di loro? – chiese a quel punto Lenn.
- E che t’importa? –
- Mi importa molto, invece. –
Lenn sperava di raccogliere informazioni utili sulla sua famiglia. Forse il nonno di Annah aveva incontrato i suoi genitori, oppure aveva combattuto contro suo zio, o forse con qualche altro membro della sua famiglia di cui non conosceva l’esistenza.
- Perché non lo vai a chiedere ai tuoi genitori assassini? Magari ti rispondono. –
- Ehi, vacci piano con le parole! Non ti permetto di dare degli assassini ai miei genitori. –
Bellissima e perfida.
Jao s’intromise, si piazzò in mezzo ai due ragazzi, che si guardavano in cagnesco. – Calmatevi adesso, è tutto un malinteso. Lenn non è un assassino. –
- Ma di sicuro è stato addestrato per esserlo! Non è vero? – sbottò allora Annah. Poi guardò Lenn, in attesa di risposta.
Il mezzelfo non disse niente.
- Chi tace acconsente. Vedi? Sei alla mercé di un uomo pericoloso. I suoi genitori gli hanno ficcato in testa come ucciderti nel giro di due secondi. –
- Smettila di parlare a sproposito dei miei genitori! – sbottò allora Lenn, digrignando i denti. Non poteva accettare quelle accuse dette a caso.
- Io parlo quanto mi pare e piace! – ribatté la ragazza. Poi si rivolse al fidanzato. – Tu non sai che storie mi hanno raccontato i miei genitori!
- Annah… -
- Si parla di intere famiglie sterminate. Persone impalate, bambini a cui davano fuoco come torce, gente che ti strisciava dentro casa senza manco accorgertene o che t’avvelenava il cibo! –
- Annah…! –
- E’ pericoloso. Suo padre potrebbe avergli… -
- Annah, Lenn è orfano! Non ce li ha i genitori, non gli hanno insegnato un bel niente! E adesso vuoi piantarla, per favore? –
Jao, detto questo, la fissò dritta negli occhi, imperturbabile. Lenn si sentiva turbato. Era stato necessario sbandierare ai quattro venti il fatto che i suoi genitori fossero morti, ma ciò non gli rendeva più dolce la pillola. Non era nemmeno del tutto vero, quello che aveva detto. Nonostante la mancanza dei suoi genitori, lui era comunque un potenziale assassino, grazie a suo zio. Ma questo era meglio se Annah non lo veniva a sapere.
Il bel Giglio rimase in silenzio, interdetto. La ragazza era palesemente arrabbiata per essere stata messa con le spalle al muro, ma non sembrava volerla dare vinta a nessuno.
Lenn le si avvicinò con fare calmo e composto. Sperava di trasmettere lo stesso stato d’animo a lei, per farla calmare almeno un po’. – Sai… Tu non hai scelto di essere un Giglio. Sei nata in quella famiglia e basta. Beh, nemmeno io ho scelto di essere un Drago. – disse. La guardò negli occhi, quei bellissimi occhi scuri in cui non c’era pace. – Io non sono come i miei antenati. E loro ormai sono morti, non possono farti più nulla. Ti dirò, io non sono mai stato un grande ammiratore del passato; mi piace guardare al futuro. Non ho interesse nel seguire le loro orme. -
Annah rimase a guardarlo, impassibile. Lenn capì che lei non aveva più intenzione di dire nulla, i suoi pensieri li aveva già espressi largamente.
Lei volse lo sguardo verso i ragazzi che ormai assistevano alla scena in preda ad un pesante mutismo, non volevano interferire in quella storia. Poi Annah guardò Jao, e sembrava decisamente più calma.
- Portami alla locanda in cui alloggi. – disse in un filo di voce.
Jao annuì, prese sottobraccio l’amica e s’incamminarono. Jao, prima di andarsene, rivolse a Lenn uno sguardo rammaricato, come se volesse scusarsi per il comportamento di Annah.
Lenn accennò un debole sorriso per tranquillizzarlo. Era tutto a posto. Capiva.
Non si possono cancellare anni di insegnamenti da una mente chiusa, specialmente con qualche semplice frase.” pensò a quel punto il mezzelfo. “Jao non sarebbe mai riuscito ad insegnarmi niente, se non avessi prima accettato la mia situazione di ignoranza e mi fossi aperto a nuovi insegnamenti.
Pensò che per Annah la situazione era simile alla sua di quasi un anno prima. Chissà se avrebbe accettato Lenn per quello che era, e non per quello che le avevano insegnato doveva essere. Forse no. Aveva davvero un caratteraccio. Sembrava impulsiva, viziata, poco umile, eccentrica e stoica. Sembrava. Lenn era convinto che un essere così bello e aggraziato non sarebbe mai potuto essere così spietato. Di sicuro Annah del Clan del Giglio era solo una ragazza con la mente chiusa, ma intelligente; insicura, ma forte; bella, ma fatale.
Doveva conoscerla meglio. Conoscerla quel tanto per fare in modo che non lo odiasse più, per strapparle il sorriso che l’avrebbe fatta sembrare troppo bella per essere una ragazza qualunque.
A strapparlo ai suoi pensieri fu Chad, che mettendogli una mano sulla spalla disse: - Amico mio, lasciatelo dire: Umane o Elfe, tu con le donne non ci vai proprio d'accordo. –
Lenn non rise alla battuta. Tuttavia, rivolse all’amico un sorriso cortese.
Dopodiché si diresse anche lui alla loro locanda; voleva bere qualcosa. Nel suo petto si era creato un vuoto, oppure non aveva mai scoperto di averlo. Aveva attorno i suoi amici, pronti ad aiutarlo, eppure si sentiva infinitamente solo.

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Capitolo 35
*** Capitolo 9 - La verità, il secondo Giglio (Parte IV) ***


[L'ultima parte del capitolo 9 è qui! In cui si evolvono le relazioni tra alcuni personaggi. Lenn continua con le sue perenni seghe mentali, Annah dà vita al festival della simpatia! Purtroppo succede ben poco, qui... E l'ultimo paragrafo di questa parte la aggiunsi a posteriori, in teoria in questa ultima parte di capitolo avveniva poco o niente! Allora c'ho messo un po' di interazione tra Lenn, che sonda il terreno su cui agire, e Annah, che prepara i cannoni per dar guerra al mezzelfo. Il prossimo aggiornamento sarà la prima parte del capitolo 10, un capitolo molto interessante, che darà una svolta alla vicenda!
Nel frattempo, buona lettura.]


Capitolo 9
La verità, il secondo Giglio
Parte IV




Il sole era appena sorto quando Lenn uscì dalla sua camera con una sacca in spalla, contenente tutti i suoi effetti. Sarebbero dovuti ripartire per la città dell'acqua di lì a un’ora, quindi era leggermente in anticipo; ma non era riuscito a dormire molto, e così aveva deciso di alzarsi, mettere a posto la stanza e fare i bagagli, invece di stare lì a rigirarsi nel letto. Si era messo i suoi vestiti nuovi comprati lì in paese, alla vita portava stretto un pezzo di stoffa a mo’ di cintura, che poi avrebbe sciolto e usato come turbante una volta partiti.
Scese e scale senza fare rumore, sapendo che era presto e molta gente dormiva ancora.
Seduto al loro tavolo, quello in cui durante quei giorni di sosta avevano pranzato e cenato, c'era Harù. Lenn non si sarebbe mai aspettato di vedere l’amico già in sveglio a quell’ora; e infatti, a dimostrare il contrario, quando gli si avvicinò si accorse che stava ronfando. Quella sera si erano tutti lasciati un po’ andare e avevano bevuto, soprattutto per festeggiare la fine ormai vicina del loro stancante viaggio. Non vedevano l’ora che fosse finita.
Mentre Jao era andato al tappeto dopo solo un boccale di birra, Lenn aveva bevuto tutti gli alcolici di cui disponevano nella locanda. Non sapeva nemmeno più cos’avesse ingurgitato, ma forse si ricordava di una strana bevanda del posto a base di cactus e alcol puro, o qualcosa del genere… Tutti consigliati da Rizo, tra l’altro, che si era dimostrato un esperto in materia. Fatto sta che dopo qualche ora erano tutti fuori gioco.
Lenn però aveva bevuto volentieri per scacciare il malumore che lo accompagnava da qualche giorno. L'incontro con Annah lo aveva turbato non poco, soprattutto perché ora si era fatto un'idea di come avrebbero potuto reagire le altre persone se avessero scoperto il nome del suo Clan, o peggio, scoprire la sua natura di mezzelfo. Meno gente sapeva, meglio era.
Dopo essersi guardato attorno, il Drago notò un'altra figura nella locanda semideserta, seduta più distante da Harù, vicino ad una finestra. Guardava il cielo mentre andava a schiarirsi con la luce del sole.
Lenn non poteva negarlo, Annah era una ragazza bellissima. Peccato che il suo carattere non fosse piacevole come il suo aspetto. Anche in quel momento, così com’era, aveva una grazia che forse solo le principesse possedevano, e la giovinezza era dalla sua parte, ad avvalorare la sua pelle liscia e perfetta. La giovane era vestita completamente di bianco, come suo solito, quasi a sottolineare in qualsiasi aspetto la sua purezza. Portava un braccio in grembo e l'altro a sorreggere la testa, in una posa tanto naturale quanto maestosa, che ricordava la statua di qualche ninfa. Sul suo volto era disegnato un rarissimo quanto sereno sorriso, mentre la sua mente vagava per vari ricordi lontani, quasi come se solo il passato potesse darle gioia e serenità, mentre il presente non avesse nulla di bello da offrirle.
Lenn non si era mai soffermato a guardare una persona così a lungo, e si stupì della sua capacità di osservazione improvvisamente così acuta. Poggiò la sua sacca vicino alla sedia di Harù, poi si diresse verso la ragazza con passi lenti e leggeri. Annah non gli andava proprio a genio. Da quello che era riuscito a capire, avevano punti di vista molto diversi; ma c'era qualcosa nel suo viso, nei suoi occhi, che non gli facevano capire più niente, che lo facevano sentire strano. Non aveva voglia di parlarle, ma allo stesso tempo gli sarebbe piaciuto scambiare qualche parola con lei.
Guardò ancora il suo sorriso rilassato, e per un momento desiderò ardentemente che fosse diretto a lui, desiderò avere la possibilità di conquistare un sorriso tanto sincero, anche a costo di fare l'impossibile. Il sorriso di una donna gli era estraneo, non ne aveva mai avuti per sé.
Quando la ragazza si accorse della sua presenza, Lenn ormai era a pochi metri da lei. L'espressione naturale svanì di colpo dal viso della bionda e si trasformò nella solita maschera di gelida serietà che non risparmiava a nessuno.
- Ciao. - salutò Lenn, con una voce che nemmeno lui riconobbe come sua, tanto era esitante.
- E' ancora presto per partire, cosa ci fai in piedi a quest'ora? - gli domandò lei, senza ricambiare il saluto.
A Lenn non piacque affatto la reazione scortese della ragazza, ma tentò di non far notare il suo disappunto. - Potrei farti la stessa domanda. – disse, ma senza ripicca.
Annah alzò le spalle e se le coprì meglio con il leggero scialle che aveva indosso; faceva ancora freddo, nonostante il sole forse sorto da un po’ nel deserto. Lenn colse un leggero fremito dell'apparentemente debole corpo della ragazza.
- Non dormo mai più di qualche ora, non ci riesco. - rispose tranquilla. - Ma perché sto pure qui a darti spiegazioni? -
Detto questo, Annah accennò un brusco cenno con la testa per congedarsi, si alzò e fece qualche passo lontano da Lenn, ma questa volta il mezzelfo la vide rabbrividire di più.
Velocemente, si tolse il mantello e le si avvicinò. - Hai freddo? - le chiese gentilmente.
Il Giglio lo scrutò con i suoi grandi occhi neri e un'espressione indecifrabile disegnata sul volto.
- No. - rispose poi.
- Sicura? -
- Sicurissima. -
Detto questo, Annah lo lasciò lì e a passi veloci si andò a sedere al tavolo dove Harù era ancora immerso nel mondo dei sogni.
Lenn si lasciò scappare un sorriso compassionevole; nel freddo distacco che Annah usava, in quella diffidenza verso di lui e gli altri, riconobbe il vecchio se stesso. Era così, dunque, che era apparso agli occhi dei suoi amici quando l'avevano conosciuto: in lotta con il mondo, brusco e distaccato, e forse lo era ancora. Solo Jao aveva riservato per lui uno scrutamento diverso; l'amico era miracolosamente riuscito a fargli tirar fuori il meglio di sé, senza pensare al fatto che fosse una persona potenzialmente pericolosa o instabile. Si chiese se dopo tutto Jao fosse un tipo molto coraggioso, troppo ingenuo o irrimediabilmente matto.
Forse avrebbe dovuto tentare di usare lo stesso approccio con lei, per quanto sarebbe potuto essere utile.
Le si avvicinò di nuovo, e prima che la ragazza potesse protestare o insultarlo in qualche modo le poggiò il suo grande mantello sulle piccole e magre spalle. Annah gli rivolse uno sguardo truce.
- Per chi mi hai presa? Non sono una bambina. - protestò.
- Lo so, ma si può aver freddo a tutte le età. Qui nel deserto la temperatura può scendere molto, durante la notte. - le rispose Lenn, sedendosi dall'altra parte del tavolo per non turbarla ulteriormente.
La ragazza continuò a guardarlo male, borbottando qualcosa, ma si tenne ben stretta al mantello.
Lenn la conosceva da pochi giorni, ma già non sopportava più quello sguardo. Gli dava fastidio il pregiudizio che aveva nei suoi confronti.
- Senti, so di non starti molto simpatico. Anzi, mi staccheresti la testa solo per il fatto che sono un Drago. – disse il ragazzo, - Ma non potresti almeno evitare di guardarmi così? -
Annah non gli rispose e continuò imperterrita a scrutarlo con occhi clinici, finché non cominciò a fissare insistentemente la katana che il mezzelfo portava al fianco. Lenn seguì il suo sguardo ed osservò pure lui il fodero dell'arma. Poi, velocemente, lo slegò dalla cintura e lo prese in mano.
A quel punto la bionda si irrigidì. Lenn la guardò, stupito. Possibile che la ragazza potesse davvero pensare che lui le avrebbe fatto del male? Evidentemente sì, ma lui non riusciva a capacitarsi del perché la mente di Annah fosse così chiusa, sospettosa, piena di pregiudizi. Il mezzelfo non riusciva nemmeno ad immaginarsi mentre faceva del male ad un innocente, tantomeno a lei.
Lenn allora le rivolse un sorriso, poi poggiò la katana ancora infoderata sul tavolo, successivamente si alzò e fece qualche passo indietro.
- Non ti farò del male, se è questo che pensi. Puoi fidarti. - disse, questa volta con tutta la serietà che possedeva.
Annah stava osservando attentamente la spada, forse stava riflettendo sulle parole del ragazzo, ma poi i suoi pensieri vennero interrotti da un rumore improvviso che fece sobbalzare entrambi i giovani.
Fortunatamente era solo Jao che scendeva con difficoltà le scale, con espressione di dolore annessa. - Ragazzi, che mal di testa... - borbottò.
- Buongiorno, Jao. - lo salutò Lenn.
- Ciao, Lenny. - rispose il castano, sbadigliando.
Lenn sbuffò quando sentì quel maledetto nomignolo. Odiava che gli si storpiasse il nome. Ma lasciò correre solo perché l'amico era frastornato.
- Ciao. Ma ti sei guardato allo specchio? Hai un aspetto orribile! – disse Annah.
Jao ignorò la domanda e si avvicinò alla ragazza. Disse: - Oh, buongiorno, mia bella consorte. – e poi la abbracciò.
La ragazza tentò di scollarselo di dosso, infastidita dal contatto fisico. - Jao, un po’ di contegno, per favore! -
- Aspetta, ti aiuto io. – disse Lenn ridacchiando.
Detto questo, s’avvicinò ai due e poi agguantò Jao per le spalle, facendolo allontanare da Annah senza troppa fatica; subito dopo lo fece sedere su di una sedia lì vicino. Lo guardò in viso, e l’amico non gli sembrò ancora completamente presente.
- Sei sicuro di voler partire stamattina? - gli domandò pazientemente.
- Certo! Ma che domanda è? Prima arriviamo a Sailam e meglio sarà. - rispose Jao. Poi la Tigre si stropicciò gli occhi, si diede qualche schiaffo, e allora sembrò riprendersi.
Lenn annuì. - Allora non ci resta che aspettare gli altri. –
Detto questo, il mezzelfo si mise di nuovo a sedere.
Pochi minuti dopo, Harù riemerse dal suo letargo e Chad e Rizo li raggiunsero, pronti a partire.


Erano passati solo un paio di giorni, ma le comodità della locanda mancarono subito a tutti, lì nel deserto.
Lenn arrancava assieme agli altri tra la polvere e i sassi. Solo il pensiero che la meta fosse vicina li faceva andare avanti. Mentre il mezzelfo era in fondo al gruppo, Annah e Rizo erano in testa, ognuno per motivi diversi.
Annah stringeva la mappa e guidava gli altri ragazzi, ormai convinta di essere lei il capo; Rizo invece tentava di corteggiarla come faceva con le altre ragazze, ma il Giglio lo guardava soltanto per lanciargli occhiate di fuoco quando si spingeva troppo in là con le parole.
Lenn osservava l’unica ragazza del gruppo da lontano, malinconico. Annah con gli altri aveva già cominciato a parlare e a fare conoscenza, invece lui era palesemente ignorato. Dall’ultimo giorno passato alla locanda lei non lo aveva degnato nemmeno di uno sguardo, e spesso faceva addirittura finta che non esistesse quando il mezzelfo tentava di rivolgerle la parola. A lei sembrava venire così naturale girarsi dall’altra parte e non pensare di apparire scortese nei suoi confronti.
- Vedrai che un giorno parlerà anche con te. Deve solo imparare a fidarsi. - tentò di consolarlo Jao, vedendo la sua espressione.
- Mah, sinceramente a me non interessa il fatto che mi rivolga la parola o no. - mentì il mezzelfo.
Lenn era combattuto. Non gli piaceva affatto l'atteggiamento della ragazza, anzi, non trovava alcuna compatibilità fra di loro. Però gli sarebbe comunque piaciuto parlarle o scambiare qualche parola, sentire anche attorno a lei il clima di rilassatezza del gruppo. Invece, quando era accanto a alla ragazza, si sentiva teso e a disagio. Forse a suscitargli quei sentimenti era il suo sguardo inquisitorio, ma Lenn non avrebbe mai pensato che lo sguardo di qualcuno avrebbe potuto fargli un effetto simile.
Però si sentiva ancora ferito nell’orgoglio dallo schiaffo che la ragazza gli aveva rifilato qualche giorno prima, quindi non si decideva a prendere in mano la situazione.
- Sai come si dice: “E’ la prima impressione quella che conta”. Beh, ogni volta che la guardo da quando la conosco sento solo una parola riecheggiare nella mia testa: vipera, vipera, vipera. – continuò il mezzelfo in tono risentito. – Quindi è meglio lasciar perdere. –
Jao scosse la testa. – Quanto sei pessimista. Sai che si suole anche dire che a volte l’apparenza inganna, no? Magari ti sbagli e un giorno scoprirai che Annah non è proprio una vipera. –
Lenn sbuffò. - Non credo proprio… -
La Tigre a quel punto accennò uno strano sorrisetto, non proprio uno dei suoi solito sorrisi, e disse: - Sai, Lenn, secondo me dovresti avere più fiducia nel prossimo… Insomma, la cosa che l’apparenza inganna penso sia abbastanza vera, me la sono ripetuta tante di quelle volte, quando ti ho conosciuto. –
Lenn a quel punto si sentì punto sul vivo e non rispose in alcun modo.
Ma Jao, come ogni volta in cui aveva ragione, non aveva intenzione di smettere di parlare. – Quando tutti gli altri mi dicevano di lasciarti perdere, che eri un caso irrecuperabile, mi sono sempre detto: “Ma non è umanamente possibile che una persona possa essere così, ci dev’essere dell’altro”. L’ho pensato anche quando hai riprovato a farmi fuori. Se non avessi creduto in quel che pensavo ma in quel che vedevo, dove saresti adesso, tu? –
Lenn non rispose subito. Stava riflettendo. Odiava quando l’amico aveva ragione e diceva le cose con quel tono; era sempre un modo di parlare calmo e gentile, che esponeva semplicemente i fatti per quello che erano. Odiava quando usava quel tono perché non gli dava nemmeno la possibilità di arrabbiarsi e rispondergli a tono.
- Sinceramente, non so dove potrei essere, se le cose fossero andate diversamente… - disse dopo un po’. – Forse sarei morto, chissà. –
Jao a quel punto assunse un’espressione dispiaciuta e scosse di nuovo la testa. – Sappi che con questo non volevo dire che io sono il tuo benefattore, tu il graziato, eccetera. Non mi permetterei mai… Volevo solo farti capire che il tuo mi sembrava un modo un po’ superficiale e affrettato di giudicare le persone, e io non voglio che tu abbia questo modo di pensare, è sbagliato. –
Lenn annuì. – Sì, ho capito. –
Il castano a quel punto sembrò più sollevato.
Passarono alcuni minuti in silenzio, tempo in cui l’unico suono udibile fu quello dei passi dei sei ragazzi. Lenn e Jao camminavano fianco a fianco, leggermente staccati dal gruppo.
Ad un certo punto, il Drago domandò all’amico, tenendo però lo sguardo fisso sulla poco distante Annah: - Ma senti, da quant’è che la conosci? –
Jao sorrise leggermente, forse era sollevato perché finalmente si cambiava discorso. – Da sempre. Siamo cresciuti insieme, praticamente. Nei miei ricordi più vecchi lei c’è sempre, ad esempio quando giocavamo insieme da bambini. –
- Insomma, è da sempre che i vostri genitori pianificano di farvi sposare. – disse allora Lenn.
- Sì. – rispose Jao. – Ma ce l’hanno comunicato esplicitamente solo poco più di tre anni fa. Mi ricordo quel giorno, è stata una mazzata. –
- Perché? –
La Tigre scrollò le spalle. – Beh, perché avevamo sempre sperato che ci ripensassero, che notassero quanto ci consideravamo fratello e sorella. Noi avevamo altri sogni, altre aspirazioni, futuri diversi da realizzare. Sposarci era il miglior modo per tenerci piantonati in quel posto e vivere per sempre insieme, in modo da raggruppare i patrimoni di entrambe le famiglie. –
- Terribile, mi vengono i brividi solo a pensarci. Vivere con quella ragazza non deve essere una gran bella prospettiva, no? -
Jao ridacchiò. – No, per niente. Ma non per i motivi che pensi tu. Annah può sembrare una persona un po’ difficile da gestire per via del suo carattere, ma sa essere una persona gentile, una buona amica. –
- Quella lì? – domandò Lenn in tono scettico, indicando Annah con un gesto del capo. – Stento a crederlo. –
- Eppure è così, amico mio. – rispose Jao. – E secondo me, un giorno lo capirai anche tu. –
- Ne dubito. –
- Devi solo far passare un po’ di tempo. – disse il castano, che a quel punto gli rivolse uno strano sorriso. – Se vuoi ti potrei dare una mano ad avvicinarti a lei. Che ne sai, magari potrebbe nascere qualcosa di speciale tra di voi. –
Lenn sentì accapponarsi la pelle. – Non scherzare! –
Ma Jao continuò a ridacchiare. – Hai la faccia rossa come un pomodoro. –
- E’ perché le tue trovate sono imbarazzanti! Te la puoi tenere, la tua promessa sposa sputa veleno. –
A quel punto Annah, da lontano, si girò di scatto e lanciò un’occhiata ai due ragazzi in fondo al gruppo. I due si ricomposero subito e sfoggiarono il più bel sorriso affettato che avessero. Dopodiché la ragazza tornò con gli occhi sulla mappa.
- Mi sa che ti ha sentito… - bisbigliò Jao.
- E chi se ne frega. –
- Forse ci vorrà più tempo del previsto per avvicinarvi… -
- Ho tutto il tempo del mondo, io. –
- Però abbiamo ancora un leggero vantaggio. -
- E cioè? –
- Annah non sa che sei un mezzelfo. –
Lenn rifletté su quella affermazione. Annah aveva reagito malissimo alla notizia che lui faceva parte del Clan del Drago, un disastro. Forse sarebbe stata la reazione di molte altre persone. Se la ragazza avesse scoperto la sua natura di mezzelfo, sarebbe stata la fine. Un mezzo Elfo in un mondo circondato da Umani. Non sarebbe stato bene accetto.
- Già. Hai ragione… Meno male che non lo sa. – disse allora. Si sentì improvvisamente col morale a terra.


La notte era nera e il buio profondo, come sempre. E come sempre il fuoco dell’accampamento era l’unica fonte di luce che illuminava quel posto ingoiato dalle tenebre, l’unica stella della terra desertica.
Lenn non riusciva a dormire, ma non era una novità neanche quella. Durante le pochissime ore di sonno aveva fatto un sogno che era ancora vivido nella sua mente, non riusciva a cacciarne le fastidiose immagini.
Nel sogno si trovava ancora nella valle in cui stava la sua vecchia casa, quella nascosta tra le colline agli occhi dei curiosi che abitavano più sotto. Il posto gli era sembrato così reale che per un momento gli era sembrato di essere di nuovo lì per davvero. Però non era tutto uguale come lo ricordava: l’erba davanti alla casa era tinta di sangue.
Si era spaventato alla vista del prato scarlatto, e così aveva chiamato sua madre, ma non era venuta a tranquillizzarlo. Allora aveva provato a chiamare suo padre, sua sorella, perfino il fratello che era convinto di avere nel sogno. Però nessuno rispondeva ai suoi richiami, solo l’eco.
Solo dopo aver guardato l’erba una seconda volta si era accorto che il sangue a terra proveniva da dei corpi ammassati poco più avanti. E lì, sentendosi gelare il sangue, aveva riconosciuto i cadaveri della sua famiglia. Non si capiva da dove provenisse il sangue, i morti non avevano ferite; non sembravano nemmeno aver sofferto, le loro espressioni erano rilassate quanto quelle di chi muore nel sonno.
A quel punto si era grattato la punta del naso, mentre cercava di riflettere e immaginare cosa fosse successo. Poi il suo sguardo era caduto sulla mano che aveva vicino al viso.
Si era svegliato di soprassalto con l’ultima immagine delle sue mani ricoperte dallo stesso sangue che stava a terra.
Impossibile dormire.” pensò Lenn mentre si alzava in piedi. Appena uscito fuori dal sacco a pelo era stato investito da una corrente di vento gelido, così corse alla sua sacca, ne estrasse il mantello e vi si avvolse. Se c’erano state speranze che si potesse riassopire, quelle erano svanite con la folata fredda che gli aveva completamente svegliato i sensi.
Sapeva che come azione era un po’ sconsiderata, ma lì per lì decise di allontanarsi dal fuoco e immergersi nel buio assoluto; portò la sua sacca con sé perché voleva tutte le sue cose accanto, doveva rassicurarsi in qualche modo.
Gli incubi non erano una novità, affollavano i suoi sogni da sempre, eppure quello lì l’aveva sconvolto particolarmente per quanto fosse sembrato vero, tangibile.
Lenn poteva facilmente tradurre il messaggio di quel sogno, che era solamente la trasposizione di ciò che pensava spesso tra sé, nei momenti in cui si sentiva particolarmente abbattuto. Ormai si era quasi convinto che il vero assassino dei suoi genitori fosse lui. Un pensiero molto semplice, a dir la verità. Spesso credeva che se non fosse mai esistito, i suoi genitori non avrebbero avuto il suo peso sulle spalle, sarebbero potuti fuggire con più facilità, perché non dovevano preoccuparsi di un bambino piccolo e fragile che avrebbe patito il viaggio. Forse sapevano che quella casa sarebbe diventata la loro tomba, era solo questione di tempo. E’ più facile essere trovati se si sta nascosti sempre nello stesso posto.
Ma Lia? C’era anche lei nel sogno, morta. Che potesse essere un presagio? Non credeva in quel genere di cose, eppure aveva paura che quel sogno fosse un segno. Gli venivano i brividi al solo pensiero che fosse successo qualcosa di brutto alla sorella. Non passava giorno in cui non si chiedesse dove poteva essere finita quella ragazza, e pregava gli Dei che la proteggessero. Lui non credeva nemmeno nell’esistenza degli Dèi, a dir la verità, ma sperava che essi passassero sopra quel piccolo particolare per difendere qualcun altro che invece credeva in loro e che meritava un po’ di protezione.
Distanziatosi di qualche metro dall’accampamento, Lenn si sedette a terra e cominciò a contemplare il buio. Sperava che il nulla di quel posto entrasse per osmosi anche nella sua testa, per poter tornare tranquillo.
Dopo un po’ cominciò a canticchiare a bocca chiusa una melodia che aveva in testa. In verità, era l’unica che conosceva, non aveva mai sentito molta musica, in vita sua. Aveva solo sentito Lia che, qualche volta, gli aveva suonato qualcosa col suo flauto, le poche volte in cui era abbastanza di buon umore per intrattenerlo. Aveva imparato da lei a suonare quello strumento.
La musica che in quel momento Lenn ricordava era la stessa che aveva udito mesi e mesi prima alla villa abbandonata, quella che lo aveva attirato in trappola, tra le grinfie del Demone e dello Stregone Oscuro… Solo lui e Jao avevano potuto udire quelle note. Gli era sempre sembrata familiare, eppure non l’aveva mai sentita prima, in vita sua.
Doveva riascoltarla. Forse così sarebbe riuscito a ricordare dove l’aveva sentita la prima volta.
Tese le mani nel buio, alla ricerca della sua sacca, e vi frugò dentro finché non riconobbe la forma del suo flauto di legno e lo afferrò.
Un momento dopo aveva già inspirato e iniziato a soffiare dentro allo strumento. Conosceva già le note, gli venne facile riprodurre la musica che aveva riascoltato nella sua testa decine di volte in quegli ultimi tempi. Come la prima volta che la udì, gli sembrò un canto triste e malinconico, dalle note lunghe e basse, ma che infondeva anche un senso di tranquillità. Lenn pensò che quel suono si confaceva alla sua stessa natura, in qualche modo.
Era immerso nei suoi pensieri e si stava facendo trasportare dalla corrente delle note, per questo non udì subito una voce che cantava.
E la lepre corse e si perse nel vento, e il mondo fece girar… -
Lenn ebbe un sussulto e quasi si fermò, ma dato che la voce continuava a intonare quel bel canto decise di andare avanti. Cercò di capire da dove provenissero quelle parole, e capì che arrivavano dalle sue spalle. Si alzò in piedi, ma non smise di suonare, e cominciò il ritornello.
La voce continuava a cantare, con la leggerezza e la melodiosità che solo una donna può dare alla musica.
- Non so chi sei, né so qual è la tua terra; ma ti farò conoscere la Vita, e la Morte che essa afferra… -
La canzone aveva un tema non troppo felice, a quanto pareva, proprio come Lenn aveva immaginato. Il mezzelfo non dovette arrivare vicino all’accampamento per raggiungere la fonte di quel canto, che assieme alla musica produceva un effetto a dir poco ipnotico. Anche la ragazza di era allontanata dal gruppo per non disturbare gli altri, e ora stava immobile nel buio assoluto di quella notte. Lenn si fermò al suo fianco, e smise di suonare. Anche la voce si spense, e per qualche secondo il silenzio tornò a regnare sovrano nel deserto.
- Come fai a conoscere questa canzone? – domandò poi Annah.
Lenn scrollò le spalle, anche se sapeva che la ragazza non avrebbe potuto vedere quel gesto. – L’ho sentita una volta… - rispose allora, mantenendosi vago. – Non sapevo nemmeno che avesse delle parole. –
Seguì un attimo di silenzio, Annah non disse nient’altro.
- E tu come fai a conoscerla? – chiese allora Lenn. Forse sarebbe riuscito almeno a sapere cos’era quella musica che gli rimbombava a volte per la testa.
- Me la cantava mia madre da piccola. –
- Davvero? –
Annah annuì. Lenn la vide compiere quel gesto solamente perché la sua vista era più abituata al buio rispetto a quella di un normale essere umano.
- Come mai mi sembri sorpresa che io la conosca? –
Annah, siccome non poteva vedere nulla, guardava davanti a sé, nel vuoto, come se fosse stata cieca. Era anche voltata dalla parte opposta di Lenn, ma sempre al suo fianco. Probabilmente sapeva di essere in quella posizione e voleva essere il meno vicina possibile al Drago.
- Questa canzone si sente solo dalle mie parti. Mia madre me la cantava sempre prima di andare a dormire, quando ero piccola. – disse.
Lenn la guardò. Gli sembrava strano che lei gli parlasse di sé con tanta facilità, era la prima volta. – Forse la cantava anche mia madre… Forse è per questo che mi sembra di averla già sentita. – pensò il ragazzo ad alta voce.
- Da dove proveniva tua madre? –
- Non ne ho idea. –
Il silenzio che seguì era diverso da quello di prima, aveva un non so che di interdetto.
- Purtroppo non l’ho potuta conoscere, così come mio padre. –
Ma la ragazza sembrava aver perso la voglia di parlare.
- Di che parla, la canzone? – chiese allora Lenn, per toglierla dall’imbarazzo.
Annah sembrò esitare, poi parlò. – Di un ragazzo che arriva da un luogo lontano da Argeth e al quale la Dea Altarìa racconta la storia di come sono stati creati il mondo e il nostro continente. –
- Hm, sembra bella. Me la ricanteresti? –
- No. –
- Perché? –
- Perché no. –
Detto ciò, Annah si mosse e s’incamminò verso l’accampamento.
Lenn ebbe l’impeto di protendersi verso di lei e afferrarle un braccio. – Aspetta. –
La ragazza rimase immobile, s’irrigidì di colpo. – Gradirei che non mi toccassi… - disse freddamente.
Lenn obbedì subito e la lasciò andare, ma si rimise al suo fianco. – Perché non ti piaccio, Annah? –
- Credo di averlo già reso palese in più di un occasione. – rispose questa.
- Perché io sono un Drago e tu un Giglio? Ma andiamo! –
- Abbassa la voce. –
- No. Non ci conosciamo nemmeno e tu mi odi in modo gratuito solo perché appartengo ad un determinato Clan? Non lo sopporto, mi fa venire i nervi. –
- Non mi interessa cosa ti fa venire i nervi. Io faccio quello che voglio. –
- Sei una ragazzina viziata. –
- Non ti permettere! –
- Mi permetto, invece. Tu ti sei permessa di trattarmi come una merda, fino ad adesso: il minimo che posso fare è dirti quello che penso di te. –
- Beh, devo dire che è stato illuminante. –
- Potresti evitare il sarcasmo? –
- No. Addio. –
Detto questo, Annah girò i tacchi e tornò all’accampamento. Lenn la seguì.
- Pensavo che volessi parlare in modo civile. –
- Cosa te lo ha fatto pensare? –
- Il fatto che ti sei messa a cantare per attirare la mia attenzione. –
- Io non mi sono messa a cantare per questo. –
- Non prendermi in giro. –
Annah arrivò in vicinanza del fuoco, si fermò nuovamente e si girò verso di Lenn, in modo da stare faccia a faccia. Sembrava un po’ seccata. – Ma cosa credi, che tutto il mondo giri attorno a te? –
- No, quello lo pensi tu. Perché allora hai cantato? –
Annah sbuffò, stava perdendo l’autocontrollo. – E’ una bella canzone, e quando l’ho sentita, l’ho cantata. E’ molto semplice, può arrivarci perfino un tipo ottuso come te. –
- Tu dai a me dell’ottuso? – rispose Lenn, accennando una risata sgradevole.
- Sì. E non voglio parlarti mai più. –
A Lenn quell’ultima affermazione diede fastidio. Però disse: - Benissimo! Ho vissuto tutta la vita senza sentire la tua voce, penso che sopravvivrò abbastanza bene anche da ora in poi. –
Annah lanciò un ultimo sguardo glaciale al mezzelfo, poi arrancò fino al suo sacco a pelo e vi s’infilò di tutta fretta, senza dire niente.
Lenn non la degnò di uno sguardo e si diresse al suo sacco a pelo, e la imitò nell’infilarvisi dentro con fare infastidito. Seguirono vari minuti di silenzio assoluto, tempo che Lenn passò disteso a pancia in su a fissare le stelle, cercando di farsi sbollire la rabbia.
Sentì il Giglio borbottare, e nemmeno tanto a bassa voce. - Ma tu guarda che cafone mi doveva capitare tra i piedi! –
Lenn sbuffò. In quel momento nemmeno il pensiero che Annah fosse la ragazza più bella che avesse mai visto gli faceva passare l’astio che nutriva in quel momento nei suoi confronti. – Vipera. –
Appena finito di parlare, il ragazzo si vide arrivare un sandalo dritto in testa.
Respira Lenn, mantieni la calma…
Non reagì. Sapeva che se lo avesse fatto sarebbero capitate solo cose spiacevoli, quindi era meglio rimanere lì a sbuffare e borbottare.
Anche Annah cercava di non perdere le staffe più del dovuto. “Mostrati superiore alla cosa, non scendere ai suoi livelli… E’ un uomo, cosa ti aspetti da loro? Ed è pure un Drago!” pensava.
Non ci parlerò più con lei. Meglio perderla che trovarla.
E’ meglio non parlargli più. Si crede figo solo perché ha qualche cicatrice in più rispetto ai suoi amichetti.
Crede di essere superiore solo perché è un Giglio. Ecco, mi ha fatto incazzare… Addio sonno.
Questa litigata non ci voleva proprio, sono nervosa. Oh, se solo potessi usare i miei poteri su me stessa! Addio, sonno.
I due, qualche ora dopo, videro il sole sorgere senza aver chiuso occhio per tutto il tempo.

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Capitolo 36
*** Capitolo 10 - Sailam, la Mangiasogni, la Prova (Parte I) ***


[Ed eccoci qui con l'agognato capitolo 10, in cui succedono tante belle cosette, dopo la calma piatta delle ultime due parti del capitolo 9. Come si può dedurre dal titolo, i nostri amici arrivano finalmente a 'sta benedetta Sailam. Non so se può fare piacere, ma il nostro capitolo 10 segna la svolta decisiva della storia, ma purtroppo/fortunatamente non ne segna nemmeno la metà. C'è ancora molto di cui leggere, tanta bella roba. Seguiranno capitoli decisivi per la trama, che rimescoleranno le carte disposte così faticosamente nei precedenti capitoli. Introdurrò anche altri nuovi argomenti e nuovi personaggi.
In questo capitolo vediamo Saliam e si affrontano tanti bei problemi adolescenziali. Buona lettura.]



Capitolo 10
Sailam, la Mangiasogni, la Prova
Parte I




Chad si lasciò cadere in ginocchio, sollevando la polvere da terra. – Oddei, ditemi che non è un miraggio. –
Ad Harù quasi vennero le lacrime agli occhi. – No, non lo è! –
- Cominciavo quasi a dubitare che esistesse. – disse Rizo.
Lenn aguzzò la vista e scrutò quell’interminabile striscia di case che ricoprivano il terreno all’orizzonte. – Quella è…? –
- …Sailam! Siamo arrivati, ragazzi! – esultò Jao.
- Non ci posso credere! –
- Finalmente! –
I ragazzi sollevarono delle grida di gioia ed esultanza, saltando di qua e di là come bambini. Ridevano e si sentivano felici come non mai.
Chad prese Jao per le spalle e lo scosse, poi gli passò una mano fra i capelli lunghi. – Stasera il tuo compleanno lo festeggiamo ad una tavola imbandita! Sei contento? –
Il castano annuì, ridendo. – Sì, ma penso che lo sia più tu. -
- Oh, finalmente avremo i pasti assicurati ogni giorno! – disse Harù.
- E l’acqua! – aggiunse Rizo.
Lenn in quel tripudio di grida non aveva sentito alcuna voce femminile, e così si voltò verso Annah, che stava in disparte. Per un attimo le sembrò che le dispiacesse che gli altri non la rendessero partecipe dei festeggiamenti con naturalezza. Gli sguardi del mezzelfo e della ragazza si incrociarono. Non si erano ancora parlati dall’ultima discussione intrapresa qualche notte prima. Lenn aprì la bocca per dire qualcosa, ma si trattenne e distolse lo sguardo.
Per fortuna si fece sentire la voce di Jao, appena alle spalle del mezzelfo. – Annah, tu non dici niente? –
La bionda, sentendosi finalmente nominare, sbuffò irritata. O forse stava solo fingendo irritazione. – E’ presto per festeggiare. – disse in modo lapidario.
Jao allora si voltò per osservare la striscia di alte case che svettavano sul piatto deserto, quelle case che avevano tanto sperato di vedere, completamente costruite in pietra calcarea bianca che scintillava al sole, la quale dava loro un aspetto particolarmente magico.
- Beh, è già all’orizzonte, è pur sempre qualcosa. –
- Quanto impiegheremo per raggiungerla? – domando allora Harù.
- Come minimo tre ore, se camminiamo spediti. – rispose Annah.
A quell’affermazione tornò a calare il silenzio. Tutti sembravano prepararsi psicologicamente per la traversata dell’ultimo pezzo di strada da lasciarsi alle spalle.
Lenn diede una leggera gomitata a Jao per attirare la sua attenzione. – E se corressimo? –
Jao gli rispose con un sorriso divertito.
- Di sicuro impiegheremmo molto, molto meno tempo. – constatò Harù.
Seguirono altri secondi silenziosi, poi Lenn esclamò: - Chi arriva ultimo paga la cena! –
Detto questo, il mezzelfo scattò in avanti e cominciò a correre verso la città.
- Ehi, aspetta, non eravamo pronti! – gli gridò dietro Jao. Poi la Tigre accelerò il passo e poi corse.
- Io non posso permettermi di pagare! – esclamò allora Harù.
- Neanche io. –
- Io neppure, non ho più soldi! –
Allora gli altri tre ragazzi cercarono di guadagnare almeno un pezzo di strada che li divideva dagli altri.
Annah fu l’unica ad esitare; invece di correre, rimase per un attimo lì, ferma, leggermente interdetta. Solo quando vide che i ragazzi si stavano allontanando molto si decise a manifestare il suo disappunto. – Fermi dove siete! Non credo sia il caso di darsi ad azioni sconsiderate! Fa caldo, vi beccherete un’insolazione! Se sudate troppo finirete per disidratarvi! –
Ma nessuno le rispose, perché erano già tutti lontani.
- Certo che potrebbero almeno aspettarmi! Bestie!-
La bionda si sistemò la sacca a tracolla, si tolse la polvere dal vestito, si ravviò i capelli e controllò che i sandali fossero ben allacciati.
- Vediamo di percorrere queste ultime miglia in modo dignitoso. Tanto non possono correre in eterno, prima o poi li raggiungo. -


A Lenn era sembrata molto più piccola, la città dell’acqua. Ma da lontano tutto sembra un po’ più piccolo.
Dopo un anno passato solamente a viaggiare, a combattere, a tentare di sopravvivere, quella città sembrava più bella di qualsiasi miraggio che avrebbe mai potuto vedere.
Ma c’era, in effetti, una cosa più bella di quel gruppo di case: l’acqua. Fresca, limpida, pura, davanti a loro e ovunque.
Appena arrivati al confine di Sailam, la prima cosa che i ragazzi avevano fatto era stata buttarsi nel canale d’acqua che circondava e delimitava il perimetro dell’intera città. Ovviamente le guardie del posto avevano provveduto a ripescarli afferrandoli per i vestiti con delle aste munite di ganci, per poi dare loro un avvertimento molto convincente di non farsi mai più beccare a fare una cosa del genere.
Ma a parte quel piccolo disguido, la loro entrata nei confini di Sailam era stata come quella di tutti gli altri viaggiatori che arrivavano a fiotti da ogni dove, attraversando gli enormi ponti di pietra che conducevano da una sponda del canale all’altra.
Già i ponti erano uno spettacolo non da poco: a parte la loro grandezza ed estensione, avevano il pavimento completamente lastricato di pietre dipinte una ad una, ognuna con un disegno diverso sopra e munite di colori che mandavano bagliori argentei e dorati. I ragazzi avevano passato un buon quarto d’ora ad aggirarsi per il loro ponte, volendo ammirare più simboli e disegni possibili.
Una volta superato il canale, poterono definitivamente affermare di essere arrivati a destinazione.
Lenn non aveva mai visto un posto uguale a Sailam, e se ne sentì un po’ intimorito. Ogni casa aveva come minimo due piani, quindi erano alte il doppio di quelle che il mezzelfo aveva visto fino a quel momento. Tutte alte, tutte fatte di pietra calcarea liscia, bianca, quasi accecanti tanto brillavano alla luce del sole. Molte di esse, inoltre, erano completamente ricoperte di graffiti e dipinti di tutti i colori; alcuni erano rappresentazioni puramente astratte, altri erano raffigurazioni ed effigi degli Dei nelle loro forme di animali.
La pavimentazione rispecchiava le tinte vivaci delle case. Dove le vie si allargavano, si aprivano delle piccole piazze che mostravano altre tre o quattro vie da poter prendere, un vero labirinto. La pavimentazione di ogni piazza era diversa, e il pavimento con le mattonelle veniva sostituito da delle pietre multicolore che formavano dei murales.
In quella città c’era di tutto: bagni pubblici, fontane fatte apposta per spruzzare acqua sui passanti, locande, giardini pieni di piante esotiche, saune, bancarelle, macellerie e tanto altro. Il mezzelfo non sapeva più dove posare gli occhi. Era tutto completamente diverso da come se l’era immaginato, tutto differente rispetto ai paesini che avevano attraversato nel loro viaggio; ci sarebbero voluti giorni per attraversare tutta la città.
Ma innumerevoli quanto le case erano le persone: Lenn non aveva mai visto nemmeno un tale numero di gente ammassata in un solo posto, e in più così diversa.
Il ragazzo dai capelli corvini s’era aspettato di trovare molti Umani, che aveva sempre visto popolare il deserto, e qualche Elfo qui e là. E invece si era di nuovo sbagliato: lì c’era di tutto, tanto che non riconobbe nemmeno alcune razze tanto fossero strane o bizzarre. Lo rincuorò il fatto che anche i suoi amici apparivano un tantino spaesati, loro che il mondo lo avevano visto di sicuro più di lui.
Si erano tutti stupiti quando avevano visto farsi largo tra la folla un uomo in groppa ad un ippopotamo, ma si convinsero che tutto poteva accadere quando videro un carretto trainato da due cavalli che trasportava un’enorme vasca di cristallo contenente due sirene che chiacchieravano amabilmente come se niente fosse. Una di loro ogni tanto lanciava qualche sorrisetto e salutava le persone che osservavano meravigliati quelle donne prive di gambe e con le code di pesce ricoperte di scaglie gialle tigrate.
Per sua sfortuna, Lenn notò che di Elfi ne era pieno zeppo. Tutti alti, alcuni superavano i due metri d’altezza, e tutti belli, la maggior parte di loro fornita di occhi chiari e capelli lunghi. Il mezzelfo aveva paura di identificarvisi, o di assomigliare così tanto a loro da dare nell’occhio. L’ultima cosa che voleva era che si scoprisse la sua vera natura.
Distratto, urtò un Elfo che camminava nella calca, il quale era accompagnato da un bracchetto e da un pappagallo variopinto appollaiato sulla spalla.
– Oh, scusi. – disse Lenn.
- Non si preoccupi. – disse l’altro, che scomparve nella folla nel giro di qualche secondo, senza occuparsi troppo di lui.
Lenn ebbe appena il tempo di notare che il tizio indossava un’uniforme verde, con al petto qualche ricamo dorato. Ne aveva visti altri, in giro. Sembravano guardie, ma non erano vestite come quelle che li avevano ripescati dal canale della città. “Chissà che ruolo hanno in questo posto…
Non si chiese altro, perché la sua attenzione fu attirata da una donna che portava al guinzaglio due lucertole giganti dall’aria minacciosa.
Si spaventò per il grido acuto che lanciò un piccolo ippogrifo appollaiato sul tetto di una casa.
Oltrepassata una piazza, Lenn scorse ai lati della via che stava percorrendo altri viottoli più piccoli, che la gente percorreva meno; in uno di essi vi scorse due donne bellissime, dalla pelle chiara tendente al verde e dai capelli lunghi fin quasi a terra: avevano anche un paio d’ali venose e semitrasparenti che muovevano con piccoli scatti nervosi, ed erano tutte mezze svestite, munite delle gonne più corte che Lenn avesse mai visto indossare.
- Oh, guarda, delle vere Fate. – disse a quel punto Rizo, guardando nella stessa direzione del mezzelfo. – Ho sentito dire che ti fanno sognare, a letto. Chissà quanto vogliono. –
- A questo ci penserai dopo, Rizo. – gli rispose Harù mentre continuava a farsi strada tra la gente.
Stavano cercando da tempo una locanda in cui fermarsi che non avesse finito tutti i posti, ma sembrava un’impresa impossibile. Sailam era piena. Avevano chiesto indicazioni ad un Centauro e questo aveva indicato loro una via non molto distante che non era ancora stata troppo presa di mira dai viaggiatori, ma raggiungerla era un’impresa, dato che le strade erano sovraffollate.
Spesso capitava che dovessero fermarsi a riprendere fiato e a liberare le menti. Quasi tutti gli abitanti di Sailam erano Stregoni, viaggiatori venuti da ogni parte del mondo per partecipare al Torneo; ogni Stregone possedeva un’aura di magia propria. Se gli Stregoni erano un piccolo gruppo come il loro, le aure erano poco percepibili, ma se erano centinaia, il flusso di magia che scorreva tra un corpo e l’altro era maggiore. A quel punto era come se ad ogni passo si entrasse in conflitto con la forza interiore di qualcuno, i ragazzi sentivano i loro petti venir schiacciati da quella massa di energia e non potevano farci niente, perché le aure non erano una manifestazione voluta del potere magico.
I ragazzi decisero così di lasciare la strada principale e di intrufolarsi in una delle vie secondarie per riposare, e scelsero la meno affollata.
- Cosa facciamo adesso? – domandò Chad, con il fiatone.
- Non lo so. – rispose Harù.
Lenn si appoggiò al muro di una casa. – Io sono stanco. – disse.
- Anche io, ho bisogno di una pausa. – continuò Rizo.
Annah era l’unica a non sembrare affaticata, semplicemente perché non aveva controllo cosciente sulla propria anima, e quindi non poteva nemmeno percepire le aure. La ragazza era ancora offesa per essere stata lasciata indietro durante l’ultima corsa verso la città. Però era riuscita a raggiungerli poco dopo all’entrata di Sailam, perché alla lunga i ragazzi avevano rallentato il passo per non farsi perdere di vista da lei e per non farsi mancare completamente il fiato.
Il Giglio li scrutò uno ad uno con occhio clinico e severo, poi sbuffò. – Oh, voi uomini siete tutti uguali! Mostrate i muscoli quando si tratta di attività fisica, ma appena bisogna usare la testa vi impantanate subito! –
- Ci scusi, signorina Annah. – le rispose Jao, in tono ironico.
- Cosa ci proponi di fare? – domandò Harù.
- Andrò io avanti e cercherò con più calma la locanda che ci hanno indicato. Quando la trovo torno qui e vi guido per la strada più breve e con meno gente, va bene? –
Tutti gli altri annuirono.
- Bene! Lasciate fare a me. –
Detto questo, la bionda tornò nella via principale e si immerse nella folla.
- Beh, per una volta posso pensare: meno male che c’è lei! – disse Lenn a quel punto.
- Piantala di fare lo sgradevole. – gli rispose Jao.
- E’ più forte di me, mi fa nascere l’astio dalle viscere. –
- Rinnovo la mia proposta: se a voi fa schifo, me la posso prendere benissimo io. – s’intromise Rizo.
- La risposta è sempre la stessa: no, non te la puoi prendere, è la mia promessa sposa. –
- Sicuro? –
- Sicurissimo. Almeno fino a che non trovo un modo per annullare il fidanzamento. –
- Beh, però penso che dovremmo tutti ringraziarla quando torna, come minimo. Sta andando a trovare la locanda per aiutare noi. – disse a quel punto Harù.
- A me sta bene. – rispose Chad, che non aveva proprio nulla contro Annah.
- Sì, sì. – risposero gli altri tre, quasi in coro.
Dopo qualche minuto il Giglio ritornò e fece strada ai ragazzi per condurli a destinazione attraverso le vie più appartate e più strette, che erano comunque percorse da gente. I ragazzi la seguirono buoni come agnellini, stanchi e desiderosi di coricarsi su qualche letto e dormire.


I sei ragazzi erano tutti seduti allo stesso tavolo, discutevano mentre si gustavano la loro agognata cena.
Annah, dopo essersi seduta a tavola assieme agli altri, aveva rivelato di possedere delle interessanti notizie riguardo il Torneo e l’iscrizione; mentre percorreva da sola la strada per raggiungere la locanda, aveva sentito dei viaggiatori discutere su quell’argomento, ma tutto era vago perché anche questi ultimi parlavano solamente di voci sentite in giro. Era tutto un po’ incerto, ma certe informazioni potevano rivelarsi utili.
- Siamo tutt’orecchi. – disse Jao alla sua fidanzata.
- Allora… - cominciò Annah, - Da quel che ho capito, il Torneo non si disputerà qui a Sailam, ma in un altro posto. –
- Cosa? – fece Chad.
- Ma no, dopo tutta questa strada?! – sbuffò Rizo.
- Cazzo… -
- Calmatevi. – intervenne Jao, calmo. Poi si rivolse alla bionda: - E sei riuscita a capire dov’è esattamente questo posto? –
- No. A quanto pare, il luogo scelto per gli incontri è segreto. –
- E come facciamo a raggiungere questo posto se nessuno sa dov’è? – domandò Lenn, non staccando lo sguardo dal suo piatto; aveva buttato la domanda senza rivolgerla a qualcuno in particolare, non aveva ancora intenzione di parlare con Annah. Anche se cominciava a pensare che gli sarebbe piaciuto…
Annah lo imitò e non rivolse la sua risposta a qualcuno in particolare, guardandosi bene dal girare lo sguardo verso il mezzelfo. – Dall’altra parte della città c’è un lago. Sì, un lago in pieno deserto, ma ormai comincio a pensare che questo posto sia fuori dal mondo, la nostra mappa non è nemmeno molto precisa… Da qui questo lago non si vede perché le case lo coprono, ma da lì dovrebbe partire un traghetto per trasportare la gente nel luogo giusto. -
- E quindi arriveremo a destinazione percorrendo il lago? – domandò Harù.
- Sai, non ne sono tanto sicura… -
Jao lanciò uno sguardo poco convinto ad Annah. - Perché? Non vedo cosa possa fare un traghetto, oltre che a portarti dall’altra parte di un lago… Chad, mi passi le locuste? Grazie. –
- La gente è molto confusa a riguardo. Ho sentito persone parlare di traghetti, altre di gente ingoiata dalle acque, altre ancora di animali che ti portano sul fondo del lago a nuoto… Non saprei come interpretare tutto ciò. –
- Vedremo d’informarci meglio nei giorni a seguire, è importante. C’è altro? – disse Jao.
- Per poter salire sul traghetto bisogna prima scrivere il proprio nome su di un registro, poi le guardie ti assegnano un giorno ed un’ora precisi in cui dovrai presentarti e farti portare al luogo del Torneo. Una delle persone che ho udito non si è presentata all’ora prestabilita e non l’hanno più fatta partire. –
- Perché? –
- A quanto pare la gente è molta, arriva a frotte, si sono organizzati in modo molto minuzioso per gestire la cosa al meglio e senza creare confusione. Probabilmente le cose vengono decise molto prima di essere messe in atto ed è difficile modificare tutto se qualcuno non si presenta: sembra che contino anche il numero di persone, la pesantezza del carico… E poi vogliono eliminare un po’ di gente in più, per sfoltire già da subito. Chi ha il proprio nome sul registro e si presenta dopo l’ora e il giorno prestabiliti per la partenza, viene beccato e fermato. –
- Puntigliosi fino all’infamia. Secondo me tutta questa precisione e mania del controllo non porterà a nulla di buono. – commentò Rizo.
- Ho anch’io questa sensazione. – convenne Chad.
Jao annuì, pensieroso. - Ci resta solo che sperare che non sarà sempre così, forse è solo un modo un po’ rigido per togliere di mezzo qualcuno prima ancora della competizione… -
- E tu che ne pensi, Lenn? …Lenn! – chiamò Harù.
Il mezzelfo si riscosse; si era distratto e si era fermato a fissare le labbra di Annah mentre parlava, e per questo di sentì in colpa, come se fosse stato sorpreso con le mani nella marmellata. – Hm? Che c’è? – disse, sentendosi a disagio, anche se nessuno sembrava aver colto la direzione del suo sguardo.
- Buona notte! Ma dove hai la testa? –
- Stavo pensando ad altro… -
- E ce ne siamo accorti. Non ti puoi distrarre mentre si parla di una cosa così importante! –
- Mi fai un riassunto? –
- Dopo. Adesso mangia, ché si raffredda. –
Lenn fissò per un attimo il piatto davanti s sé, poi si rivolse all’amico. - Chi sei, mia madre? –
- Ovviamente no. –
- Allora vorrei fissare il vuoto e mangiare cibo freddo senza che qualcuno mi riprenda, grazie. -
Jao s’intromise: - Piantala, Lenn. Harù vuole solo scherzare. –
- Ah, ecco, sei tu mia madre, scusa. Ma qui non si può dire e fare nulla che non vi piaccia? -
- Oh, finalmente non sono l’unico a dirlo! – esultò Rizo, al suono di quelle parole.
- Ma che ti prende? – domandò Jao al mezzelfo.
- Niente. E’ che m’innervosisce il vostro modo di fare. –
- Sei nervoso di tuo. –
- No, siete voi che diventate insopportabili appena qualcuno si fa gli affari propri. E che cazzo, mi sembra di stare in gabbia! –
Detto questo, il mezzelfo si alzò da tavola scostando rumorosamente la sedia, poi si diresse verso le scale che portavano al piano di sopra.
Gli altri lo fissarono, stupiti. – E ora dove vai? – domandò Jao.
- A farmi i cazzi miei. –
Lenn sparì alla vista dopo aver salito le scale. Non si sentì il rumore della porta della sua camera sbattere perché il vociare dell’altra gente attorno al loro tavolo era troppo forte.
Si scambiarono tutti un paio d’occhiate, stupiti.
- Ma che gli è preso? – chiese Chad.
- Boh. –
- Che sia impazzito del tutto? – si domandò Rizo.
- Non dire così. E’ nervoso. –
Jao fece per alzarsi. – Vado a parlargli. –
Harù però afferrò un braccio della Tigre e lo fermò. – No, stai qui. Ha appena finito di dire che siamo apprensivi, non esserlo davvero seguendolo. Evidentemente vuole stare un po’ da solo. –
Jao annuì e si risedette. – Non è normale che faccia così, però. –
- Lenn non è come noi, Jao. Diciamolo, nulla è normale, quando si tratta di lui. – disse Harù, e non si capì se stesse scherzando o fosse serio. – Devi anche pensare che ha vissuto tutta la vita da solo, forse trova fastidioso sentirsi oggetto di troppe attenzioni, lo fanno sentire col fiato sul collo e si innervosisce… Chissà poi a cosa stava pensando! Potrebbe aver avuto in testa qualcosa che lo ha incupito, non possiamo saperlo. –
- Ma fa spesso così? – domandò allora Annah, con un sopracciglio biondo sollevato per mostrare la sua perplessità.
- No, in verità non lo fa mai. – rispose Jao, tra un sorso e l’altro di zuppa. – Ci dev’essere qualcosa che lo turba particolarmente. –
- Io questa volta non ho detto niente, eh! – affermò allora Rizo, sollevando le mani come in segno di resa.
- Sì, hai ragione. – convenne Chad.
- Infatti quando non stuzzichi Lenn sei una persona piacevole, Rizo. – disse Harù.
Annah intervenne, non ancora convinta su qualche punto. – Ma siamo sicuri che non sia pericoloso? – domandò, accennando con il capo alle scale che Lenn aveva salito.
Jao rispose, tranquillo: - Lenn non farebbe del male ad una mosca. Più o meno… -
- Mio caro, con tutta la gente che c’è su Argeth, proprio con un Drago dovevi fraternizzare? –
- Sì. Mi stava simpatico e c’ho fatto amicizia. Basta con questi commenti razzisti. –
- Scusate, che ne dite di tornare a parlare dell’argomento principale, il Torneo? – propose all’improvviso Harù, che non voleva più discutere sulla condotta del mezzelfo.
- Ma c’è altro da dire? – chiese Chad ad Annah.
La ragazza si mise a braccia incrociate e cominciò a rivangare nella memoria, guardando all’insù. – Uhm… Cos’hanno detto d’altro…? –
Seguirono un paio di secondi di silenzio, interrotti proprio dalla ragazza. – Sì, ora ricordo. Ma si tratta sempre e solo di voci, sembra che in questa città ce ne sia davvero poca di gente ben informata… -
- Dunque? Di che si tratta? – incalzò Rizo.
- Ho sentito parlare di una prova. –
- Che genere di prova? – chiese Chad.
- Una prova da superare dopo essere giunti al luogo del Torneo. –
- Pure?! –
- Sì. Non si sa in che cosa consista, ma alcuni ne hanno parlato, quelli che non l’avevano superata. Nessuno ha rivelato niente di concreto perché hanno giurato di non dire niente a nessuno a proposito, o roba del genere… Fatto sta che chi non supera la prova non viene ammesso al Torneo. –
- Ma dai, che fregatura! –
- E’ incredibile che dopo tutta la strada che abbiamo fatto rischiamo ancora di non riuscire a partecipare perché c’è anche una stupida prova! – sbuffò Rizo.
- Speriamo che non si debba fare di conto, io non sono bravo in matematica. – si lamentò Chad.
- Calmatevi, ragazzi. – intervenne Harù. – Si tratta pur sempre di voci, gli Dei solo sanno chi le ha messe in giro. Non dobbiamo prendere tutto per oro colato, quindi mi sembra insensato disperarsi già da adesso. –
Gli altri annuirono.
- …E allora adesso cosa facciamo? – domandò Chad.
Jao sollevò lo sguardo e disse la sua: - Io propongo di finire di mangiare e andare a dormire, dobbiamo riposarci. Poi domani cercheremo il lago e andremo a scrivere i nostri nomi su quella lista per salire sul traghetto. Prima ci togliamo questo peso di dosso, meglio è. –
Come spesso accadeva, tutti furono d’accordo con le parole del castano. Finirono tutti di cenare e poi s’alzarono, salirono le scale e arrivarono alle loro stanze. Jao si fermò a fissare la porta della camera di Lenn, poi disse agli altri, che erano ancora nel corridoio: - Chi gli va a fare un riassunto di quello che s’è detto? –
- Scommetto che Annah vorrebbe farlo. – disse Rizo.
- Neanche per scherzo. Io con quello non ci parlo. -
- Lo farò io domani, adesso è meglio lasciarlo stare. – si propose Harù.
- Va bene. –
Detto questo si augurarono tutti una buona notte ed entrarono nelle loro rispettive stanze.


Lenn stava seduto a terra, con la schiena poggiata alla porta della sua stanza. Ascoltava quello che avevano da dire i suoi amici, poi udì solo il rumore delle porte che si chiudevano e delle serrature che giravano.
Ora che non era più nervoso pensava di aver avuto uno scoppio d’ira eccessivo, a cena, ma era stato più forte di lui. Si era sentito improvvisamente soffocare, aveva avuto la sensazione di aver puntati tutti gli sguardi degli altri addosso, proprio nel momento in cui avrebbe preferito passare inosservato. Per fortuna nessuno aveva notato dove stesse cadendo il suo sguardo, ma si era sentito comunque in imbarazzo e voleva trovare una scusa per allontanarsi dagli amici e stare solo, possibilmente in fretta.
Sentiva che era arrivato il momento di essere sincero almeno con se stesso e ammettere che trovava Annah una vipera capace solo di sputare veleno, ma allo stesso tempo pensava che fosse irrimediabilmente attraente.
Gli piaceva tutto di lei: i capelli corti color paglia, gli occhi profondi e neri, la pelle chiara e liscia, il naso piccolo e a punta; ma anche la camminata aggraziata, il suono della sua voce, per non parlare del suo corpo di donna. Gli piaceva il suo corpo, ma non l’avrebbe ammesso mai a nessuno, nemmeno sotto tortura; trovava la sua attrazione per la ragazza fin troppo sconveniente. Lei era un Giglio e lui un Drago, anzi, nemmeno, lui non apparteneva a nessun Clan, e questo già creava delle distanze profonde tra loro due; lei era Umana, lui un mezzelfo; lei era nobile e ricca, lui non aveva un soldo. In più, lei era fidanzata. Ovviamente, non aveva preso in conto anche il fatto che lei lo odiava. Anche solo il fatto che qualcuno potesse venire a sapere di quell’attrazione unilaterale avrebbe potuto creare un certo scompiglio, quindi era meglio tenere la bocca cucita. O meglio, sarebbe stato preferibile farsi passare quella cotta il più presto possibile e andare avanti. Non c’era persona più sbagliata di cui potesse invaghirsi.
Per farmi perdere interesse, potrei ripetere a mente tutti gli insulti di cui mi ha ricoperto in queste ultime settimane, magari imparo ad odiarla come si deve…
Come ragionamento non era brillante, ma Lenn pensò che magari avrebbe potuto funzionare.
Il mezzelfo si alzò in piedi e si diresse verso il bagno, luogo ormai sacro per i suoi amici, che ormai apprezzavano qualunque comodità, dopo aver sperimentato la vita da pellegrini. Il pensiero di essere arrivati a destinazione aveva avuto un effetto davvero benefico per i nervi di tutti.
Quindi Lenn entrò per la prima volta nel bagno della sua camera e vide che appeso al muro stava uno specchio. Si sciacquò il viso con l’acqua di un secchio che stava lì e poi andò a specchiarvisi.
Al principio rimase un po’ interdetto, vedendo il ragazzo davanti a sé, che lo fissava. Lenn non si era mai specchiato davvero; non aveva specchi a casa sua, non avevano alcun motivo d’esserci, e i suoi amici non ne portavano mai dietro, chissà perché. L’unica immagine che aveva avuto di se stesso era stata quella restituita dal riflesso dell’acqua, e non era mai stata molto precisa.
Quindi il mezzelfo stentava a riconoscersi in quell’immagine chiara e precisa, non si immaginava così.
Si passò una mano tra i capelli corti e tagliati male, neri come il carbone. Si fissò a lungo dritto negli occhi, neri anch’essi e grandi, più di quelli degli esseri Umani. Aveva i tratti del viso delicati, la pelle leggermente abbronzata; il suo corpo ormai era asciutto, anzi, forse un po’ deperito, tanto che sollevando la camicia poteva vedere bene le costole e il ventre più che piatto. Così decise che appena si fosse messo in sesto avrebbe ricominciato a fare allenamenti seri, doveva recuperare la sua forma o sarebbe stato troppo debole per lottare.
Si scrutò ancora un po’ il viso con fare critico. “Somiglio ad un fottutissimo Elfo più di quanto pensassi. Ma perché gli altri non me l’hanno detto?”.
Però poi pensò anche che forse i suoi amici non gli avevano mai detto nulla per non farlo preoccupare più del necessario; che avrebbe potuto fare per evitare di farsi vedere? Andare in giro per sempre a viso coperto? Tagliarsi parte delle gambe per diventare di un’altezza accettabile? Oppure invocare un incantesimo per farsi venire le orecchie a punta e diventare un Elfo una volta per tutte?
Ecco, l’ultima idea non era male. Però un incantesimo permanente per modificare il suo aspetto non c’era, doveva invocare la magia e spendere energie continuamente per non far sparire gli effetti della fattura; non era così potente, non aveva tutte quelle energie da spendere.
Probabilmente si sarebbe dovuto affidare solo alla fortuna.
Avendo risolto in questo modo il problema, si sbottonò completamente la camicia per vedere ciò che smaniava da tempo di guardare, anche se forse non era pronto a farlo.
Diede poca attenzione al vistoso tatuaggio che aveva sul petto, il Sigillo. Si voltò e girò la testa più che poté per guardarsi dietro la schiena. Ed eccola lì la sua condanna, la sua ossessione, la maledizione. Il dono che lo zio aveva dato a Lenn era più che vistoso, ma aveva ben poco di onorevole.
A Lenn si strinse il cuore e lo percorse un brivido di terrore quando vide le cicatrici che gli ricoprivano la schiena; il ricordo delle torture di quell’uomo erano più vividi e dolorosi di quanto avesse potuto pensare, anche se ormai era passato quasi un anno da quel giorno infausto. Lì dove prima stava il suo tatuaggio, che attestava la sua appartenenza al Clan del Drago, ora si trovavano solo strisce di pelle bianca e tesa, piccoli solchi o tratti in cui sotto la pelle andavano a mancare piccoli pezzi di muscolo, e questi erano facili da notare anche dall’esterno.
Respirando lentamente contò almeno una ventina di cicatrici tra quelle che non si confondevano troppo con le altre, poi smise perché costringersi a guardare quella sua parte del corpo era ancora troppo, per lui. Aveva bisogno di tempo.
Con l’umore ancora più nero di prima, si rimise la camicia e decise di andare a letto così com’era, era troppo stanco. Decise anche che avrebbe rimandato al giorno dopo qualsiasi cosa dovesse fare, non aveva intenzione di muovere un muscolo in più.
Poco dopo essersi coricato, il suo corpo stanco cedette e si arrese al sonno, sentendo gravare su di sé tutta la stanchezza accumulata durante quell’interminabile anno di viaggio.
Sailam, la sua destinazione, lo circondava e vegliava su di lui, cullando il mezzelfo e tutti gli altri abitanti con il dolce rumore dell’acqua che scorre. Il suo vagare per il mondo era finito, cominciava la vera lotta.

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Capitolo 37
*** Capitolo 10 - Sailam, la Mangiasogni, la Prova (Parte II) ***


[NdA: Nuovo capitolo pieno di backstory! Su Annah, tra l'altro. Haters gonna hate. Nel caso vi piacciano gli approfondimenti psicologici, questo capitolo fa per voi. Sembra che tutti i personaggi di questa storia abbiano avuto un'infanzia più che infelice, ohibò! D:
E intanto ne approfitto per introdurre una nuova "classe" che sta nel mondo da me creato, e cioè i Mangiasogni (come si può dedurre dal titolo). I Mangiasogni sono una delle tre categorie in cui si divide la maggior parte della popolazione di Argeth; le altre due sarebbero gli Stregoni e i Guerrieri (a quest'ultimi però non ho ancora dato molto spazio, a parte qualche accenno in alcune frasi). E' evidente che rappresentino la triade Anima, Corpo e Mente. Una volta arrivati al Torneo potrò finalmente parlare largamente di questi argomenti, e mi divertirò un mondo! Ma per il momento, godetevi questo piccolo exploit sui Mangiasogni.
Ah, e godetevi anche le rimuginazioni infinite di Lenn. Dèi, a volte penso che se fosse vissuto nella nostra epoca, sarebbe stato un Emo coi controfiocchi!
Buona lettura!]



Capitolo 10
Sailam, la Mangiasogni, la Prova
Parte II




Lenn non se lo sarebbe mai aspettato, ma era riuscito a dormire tutta la notte senza troppi disturbi, e soprattutto senza i suoi soliti incubi. Perciò era di buon umore quando aveva salutato i suoi amici, che non avevano accennato alla scenata della sera prima. Subito dopo aver fatto colazione si erano tutti incamminati per cercare il lago, il luogo da cui sarebbero dovuti partire dopo essersi inseriti nella lista da compilare. Sorprendentemente, in appena mezza giornata erano riusciti a fare tutto: trovare il lago, iscriversi inserendo il loro nome nell’elenco delle persone che dovevano prendere il traghetto, tornare alla locanda. Avevano scoperto che girovagando senza sosta per trovare la locanda, il giorno prima, si erano avvicinati molto al lago, perciò non avevano dovuto fare molta strada per raggiungerlo; erano stati ben lieti di non impiegare giorni per attraversare l’intera città.
Una guardia aveva detto loro che secondo le condizioni prestabilite per la partenza, si sarebbero tutti dovuti ripresentare due giorni dopo, a mezzogiorno. Dunque avevano un po’ di tempo per rilassarsi ancora e preparare le loro cose prima del loro ultimo viaggio.
Lenn non poteva evitare di ammettere almeno a se stesso che si sentiva teso: ormai aveva percorso tutta la strada che c’era tra lui e la città, era lontanissimo da casa, e ora aveva timore di fare l’ultimo passo, perché finire quel viaggio significava cambiare l’unica realtà in cui aveva vissuto nel mondo esterno, e non sapeva proprio cosa aspettarsi. Il cambiamento e l’ignoto lo spaventavano, ma non aveva il coraggio di parlarne con gli altri, non voleva apparire ai loro occhi come l’anello debole del gruppo, quello che non sapeva nemmeno come si fa a vivere. Già solo il pensiero di stare fermo quei pochi giorni a Sailam lo metteva a disagio: lui sentiva il bisogno di camminare e camminare, continuare la sua strada e allontanarsi sempre di più dal passato. Sentiva che il cordone che lo teneva legato alla sua vita passata si era assottigliato, ma faceva fatica a svanire del tutto; non sapeva, però, in che altro modo avrebbe potuto spezzare quel legame oscuro, oltre che mettendo altre miglia tra sé e la prigione in cui aveva vissuto tutta la vita. Aveva bisogno che qualcuno lo aiutasse senza commiserarlo, ma al momento non riusciva a pensare a nessuno.
Era pomeriggio inoltrato quando decise di uscire dalla sua camera e approfittare dell’aria fresca che accompagnava il tramonto per allenarsi un po’. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva fatto i suoi esercizi, soprattutto perché le lunghe camminate lo sfinivano troppo o il calore del sole era insopportabile e non invitava a faticare più del dovuto. Ma ora che si era riposato e l’aria si andava sempre più raffreddando, decise di fare qualcosa per non far irrigidire i muscoli della schiena, che spesso gli dolevano a causa della poca attività.
Sapeva che la locanda aveva un retro abbastanza ampio, così decise che si sarebbe sfogato lì, indisturbato. Scese le scale e camminò fino al fondo della locanda, dietro al bancone, e vi trovò una porta semiaperta. La aprì e uscì all’aperto.
Il retro di quella piccola locanda era altrettanto modesto, con uno steccato che ne delimitava grossomodo i confini; ammassati ai lati vi erano varie cianfrusaglie e casse di vino, bottiglie vuote e anche delle ruote di carro poggiate al muro dello stabile. Il suolo non era piastrellato come le strade della città, ma solo sterrato.
Oltre alla merce però c’era anche qualcun altro, che forse aveva avuto la sua stessa pensata.
Jao, a spada sguainata, piroettava sul posto e menava fendenti all’aria, provando nuove mosse; il vento del deserto si lasciava lacerare senza alcuna opposizione, infatti lo scontro era piuttosto impari.
La Tigre era così presa dalla sua battaglia col nulla che non si accorse subito dell’arrivo del mezzelfo.
Lenn andò a sedersi su di un barile e rimase a guardare.
Poi Jao si voltò di scatto e fece un affondo proprio in direzione dell’amico, così si fermò. Lenn batté piano le mani.
– Sei appena arrivato, vero? –
- Sì. –
- Oh… Non ti ho proprio visto uscire. -
- Me ne sono accorto. –
Per qualche secondo seguì un silenzio imbarazzato. I due si studiarono per un po’, cercando di capire cosa ci fosse di non detto, in quel momento.
Poi Lenn parlò per rompere il ghiaccio. – Sei arrugginito. –
- Come prego? –
- Sei fuori forma. Sembravi uno spaventapasseri, più che un vero guerriero. –
- E’ da un po’ che non combattiamo, sono fuori forma. E’ per questo che sono venuto qui sul retro. Tu invece perché sei qui? –
Lenn sospirò e scese dalla botte. - Per il tuo stesso motivo. E poi è da un po’ che non faccio i miei esercizi, mi fa male la schiena. Sai, devo muovermi un po’. –
Detto questo, il mezzelfo portò la mano al fianco ed estrasse la katana dal fodero, poi si mise in posizione di guardia. – Non è un vero allenamento, se non hai un avversario con cui misurarti. Sono tutti buoni a menare fendenti nel vuoto. –
Jao accennò un sorriso ed imitò l’amico, portando la spada davanti a sé, impugnata con due mani. – Secondo me tu sei più arrugginito di me. –
- Stiamo a vedere. -
Detto questo, Lenn balzò in avanti e, alzando la spada fin sopra la testa, prese lo slancio per il colpo che scaricò con forza su Jao. Il castano però lo stava aspettando con la spada messa di traverso, e parò con facilità.
La Tigre fece un lungo balzo all’indietro, per mantenere le distanze, e poi impugnando lo spadone a due mani cominciò a roteare su se stesso, dirigendosi contro l’avversario.
Lenn indietreggiò di molto per evitare di essere sventrato. – Questa non è proprio una tecnica che dovrebbero usare quelli che sanno davvero combattere… -
Jao a quel punto si fermò e cercò di riprendere l’equilibrio. – Lo so, però almeno ti sei allontanato. –
Il mezzelfo non aggiunse altro e tornò all’attacco. Con lo slancio della rincorsa si accinse a dare un colpo di taglio verso sinistra, ma all’ultimo momento cambiò mano e colpì Jao al fianco scoperto con il piatto della spada. Jao fu spinto dal colpo e fece qualche passo di lato per non perdere l’equilibrio. Lenn tornò da lui attaccando da dietro, ma di nuovo Jao si girò bruscamente e questa volta colpì il mezzelfo centrandolo in pieno. Il ragazzo cadde a terra, tanto il colpo era stato forte.
La Tigre ne approfittò ma riuscì solo a piantare la spada nel terreno vuoto, perché Lenn da terra era prontamente rotolato lontano. Il ragazzo dai capelli corvini si rimise in piedi con una capriola e si mise in posizione di guardia.
Jao pronunciò allora una parola magica e la spada cominciò a emanare una luce violacea. La sollevò con molta agilità, come se all’improvviso fosse più leggera e con un gesto veloce la lanciò contro il suo avversario. L’arma durante il lancio girò più volte su se stessa e andò incontro a Lenn, che schivò appena in tempo per non essere preso in fronte. Lo spadone continuò la sua traiettoria e andò a piantarsi oltre lo steccato, sulla strada.
Lenn si girò e rimase a guardare la spada, seccato. – Interruzione. –
- No, non ti preoccupare. –
La spada continuava a emanare luce viola, inoffensiva, ma ad un certo punto uscì da sola dal terreno e fluttuò nell’aria, poi tornò indietro a grande velocità, roteando esattamente come prima. Lenn se la vide passare a pochi centimetri di distanza, si voltò e guardò mentre l’arma tornava mansueta alla mano destra del suo padrone. L’aura infine svanì.
Il mezzelfo emise un fischio di approvazione. – Niente male. –
- Grazie. –
- Però potevi dirmelo che si può usare anche la magia! –
A quel punto Lenn fece comparire sul palmo della sua mano una sfera di fuoco e la lanciò contro Jao. La Tigre portò la spada al viso e parò il colpo, rispose con un una lingua di fuoco che scaturì dal polso. Lenn schivò di nuovo ma venne sfiorato dalle fiamme, e si ustionò una spalla. Veloci, dei filamenti di magia azzurra scorsero lungo il braccio del mezzelfo e curarono la leggera ferita in pochi secondi, facendo tornare la pelle come prima.
Senza perdere tempo, Lenn innalzò attorno a sé uno scudo di energia luminosa, aspettando il prossimo attacco di Jao.
Ma questo non arrivò, perché in quel momento sopraggiunse il suono di un applauso che li interruppe. Si voltarono all’unisono in direzione del rumore, per capire da dove provenisse.
A pochi metri da loro, poggiati sullo steccato, stavano due giovani, uno biondo e uno dai capelli castani, che sorridevano divertiti. Lenn e Jao non li riconobbero subito, perché invece di indossare le solite armature i due portavano indumenti comuni e leggeri, più adatti al clima desertico.
- Bravi, bravissimi. Siete migliorati, adesso siete addirittura all’altezza di un bambino di dieci anni. – disse il castano, che era il più basso dei due.
Lenn si sentì in dovere di rispondere con altrettanta ironia. – Jao, tu lo conosci questo omuncolo? Non sarà mica quello dell'Ordine dei Castigatori, il toccato di mente? -
- Ehi, vacci piano! – ringhiò in risposta il giovane, già pronto a scavalcare la staccionata per raggiungere il mezzelfo. Ma il suo amico lo trattenne per la giacca e lo tirò di nuovo al suo posto. – Non ti scaldare, Raphael. Ti ricordi il patto che abbiamo fatto con loro? Non possiamo ancora toccarli. –
- Ma Ciel, quel bastardello mi ha insultato! – protestò Raphael.
- Sei tu che hai cominciato. – ribadì Lenn.
- Un equivoco, veramente. – disse Ciel. – Veniamo in pace. Passavamo di qui e vi abbiamo riconosciuti, tutto qua. –
Jao a quel punto si avvicinò allo steccato per parlare meglio con i due cavalieri. – Siete arrivati qui molto tempo fa? Quando prenderete il traghetto? –
- Siamo qui da un paio di settimane, ce la siamo presi comoda e abbiamo fatto un po’ di sosta qui a Sailam. – rispose il biondo, - E stiamo andando proprio ora ad imbarcarci, mentre i nostri due compagni sono già partiti ieri. Presto sapremo cosa c’è oltre il lago. –
- Stavamo andando al lago tutti tranquilli quando, mentre camminavamo, vi abbiamo visti combattere e ci siamo chiesti se ci fosse posto anche per noi nella zuffa. – aggiunse l’altro cavaliere.
Jao scosse la testa, divertito. – No, nessuna zuffa, mi dispiace. Ci stavamo solo allenando. –
- Oh, peccato… - borbottò allora Raphael.
Ciel scosse un po’ la testa, poi si rivolse cordialmente ai due ragazzi dall’altra parte dello steccato: - Scusate se ce ne andiamo così di fretta, ma non vorremmo arrivare tardi e perdere il traghetto. –
- Andate pure. – disse Jao. – Tanto ci rivedremo di sicuro dall’altra parte. –
- Anche se saremo di nuovo nemici. – aggiunse Lenn, lapidario.
- Già. Ma d’altra parte, io odio le smancerie, quindi tutto sommato non è un male come cosa. – disse Raphael.
- Bene, allora ci si vede. Cammina. – salutò Ciel, per poi spingere Raphael lontano, in direzione del lago.
Jao li guardò mentre i due cavalieri s’allontanavano, poi sospirò e rinfoderò la spada. – Credo sia abbastanza, per oggi. Andiamo a vedere cosa fanno gli altri. –
Lenn annuì e rimise la sua katana nella guaina, dirigendosi verso la porta da cui era uscito poco prima.
In quel momento, con l’esuberanza di un tornado, Chad sbatté la porta, uscì nel cortile e per poco non andò addosso al mezzelfo, che aveva indietreggiato con un salto. Poi il nero, con un sorriso a trentadue denti sul volto, sollevò un oggetto e lo sventolò davanti agli occhi dei due amici.
- Guardate cos’ho trovato oggi al mercato! – esclamò.
Jao guardò l’oggetto, curioso di sapere di che si trattasse, ma ne rimase un po’ deluso. – Ma è… uno specchio? –
Lenn osservò meglio quello specchio dall’aspetto comune: era piccolo, con la cornice e il manico in bronzo, decorati con una serie di spirali molto semplici. Non diceva molto altro, aveva un aspetto insignificante.
- Cosa c’è di così esaltante in uno specchio? – domandò il mezzelfo. Evitò di specchiarvisi, non era ancora abituato a vedere la sua immagine riflessa.
- Questo non è uno specchio come gli altri. – disse solennemente il ragazzo di colore. – Qui dentro c’è un Oracolo vero. –
- Un Oracolo? –
Lenn assunse un’espressione scettica. – Mi sa che ti hanno fregato. –
- Ma no, no! C’è davvero! Però è un Oracolo piccolo. –
- Non sapevo che si potessero chiudere gli Oracoli dentro a degli oggetti. – disse Chad.
- La signora che me lo ha venduto ha detto che è pratica comune, tra i popoli del deserto. –
- E perché? – chiese Lenn.
- Perché se vengono chiusi dentro a degli specchi e poi li invochi, loro ti mostrano la persona che vuoi vedere. Chi vive nel deserto spesso è sempre in viaggio, serve per guardare come sta la gente che non vedi da tempo. –
Lenn incrociò le braccia e rifletté, poi disse: - Continuo a pensare che sia difficile. Insomma, pensavo che gli Oracoli fossero spiriti potenti, non alla portata di tutti. –
- Il tuo lo è. Ma te l’ho detto, questo è un Oracolo minore, non gli fa nemmeno il solletico a Silla. –
- Non l’hai comprato credendole sulla parola, vero? – domandò allora Jao.
- Ma certo che no! – rispose Chad, corrugando la fronte. – Mi hai preso per uno sprovveduto? Funziona! –
Lenn s’avvicinò all’amico e indicò lo specchio. – Allora facci vedere. – disse, dato che era curioso.
- Va bene. – assentì Chad.
Jao e Lenn si misero al suo fianco, mentre il nero sollevava lo specchio davanti a sé e fissava il suo riflesso.
- Uhm, com’è che si chiamava? – pensò ad alta voce il Coccodrillo. – Asd… Azdrami… Azdrakiraki? –
Appena pronunciato l’insolito nome, la superficie dello specchio cominciò a splendere di luce propria, e quando questa tornò normale al posto del riflesso dei ragazzi stava l’immagine luminescente di un serpente a sonagli. La serpe puntò lo sguardo su Chad. – Azi può bastare. Cosa desideri, padrone? –
Jao e Lenn sobbalzarono. La voce proveniva effettivamente dallo specchio, tuttavia il serpente non aveva mosso la bocca, si limitava a tirare fuori la lingua biforcuta a intervalli regolari.
- Azi. – cominciò allora Chad, senza battere ciglio, - Mostrami Annah. –
Il serpente chinò il capo. – Subito. –
Detto ciò il serpente scomparve e lo specchio tornò a brillare, poi la luce svanì e al suo posto comparve l’immagine di Annah, seduta su di una sedia, che guardava fuori dalla finestra.
- Incredibile! – esclamò Jao.
Lenn avvampò alla vista della ragazza. – Mai visto nulla di simile. –
- Che vi dicevo? – fece Chad con tono trionfante.
- Ma… è quello che sta facendo adesso? – domandò la Tigre, avvicinandosi all’immagine di Annah che respirava tranquilla mentre osservava il paesaggio.
- Sì, ed è così da mezz’ora. – rispose Chad. – Ma era proprio di questo che volevo parlarti: vedi i suoi occhi? –
Jao aguzzò la vista e cercò di osservare bene gli occhi di Annah. Lenn lo imitò e avvicinò il viso allo specchio. Ciò che gli occhi di Annah avevano di strano era il colore delle iridi: non erano più nere come al solito, ma avevano la stessa tinta di un grigio fumoso, e lo sguardo era completamente assente. Non l’aveva mai vista in quello stato.
Jao, dopo aver visto ciò che aveva notato anche Lenn, sollevò il capo e disse: - E’ normale per lei che succeda. A volte le capita di rimanere incantata così. Va in apnea. –
Lenn arricciò il naso, sentendo quell’affermazione. – Non è proprio una cosa che capita tutti i giorni. Spiegati. –
Il castano scrollò le spalle. – Come tutti quelli come lei, a volte si ritrova la testa piena di troppi pensieri, e a volte non sono nemmeno suoi. Allora si chiude in se stessa e lascia il mondo fuori, e fa un po’ di pulizia, libera la mente e si rilassa. Adesso potresti andare da lei e sventolarle una mano davanti, non ti vedrebbe nemmeno. –
- No, aspetta, devo essermi perso un passaggio. – disse Lenn, scuotendo leggermente la testa. – Chi sono tutti quelli come lei? –
- I Mangiasogni. – rispose semplicemente Jao. – Annah è una Mangiasogni. Non ve l’ha detto? -
- Per gli Dèi, no. Che è un Mangiasogni? – rispose il mezzelfo, preoccupato.
- Non l’ha detto nemmeno a me, dicci un po’. – aggiunse Chad.
- Beh, non è complicato. – disse allora Jao. – I Mangiasogni sono quelle persone che hanno il pieno controllo della loro mente. Per farti capire: come noi Stregoni percepiamo in modo materiale la nostra anima, loro riescono a sentire la loro mente e i loro pensieri come oggetti separabili dalla loro coscienza. Principalmente sanno manipolare i sogni altrui, controllare il dolore attraverso l’esercizio della mente, i più potenti arrivano a leggere i pensieri degli altri. –
- Bello. – commentò Chad.
Lenn rabbrividì quando Jao disse loro l’ultima abilità che caratterizzava i Mangiasogni. – E Annah è potente? Insomma, percepisce i pensieri di quelli che le stano attorno? –
Jao ci pensò un po’ su, poi rispose: - Credo di no. O almeno, quando sono partito da casa lei non era nemmeno vicina a quel livello di abilità. Non penso che possa leggere nel pensiero nemmeno adesso. –
Il mezzelfo a quell’affermazione si permise di tirare un sospiro di sollievo. L’ultima cosa che voleva era che Annah andasse a frugare nella sua testa senza che lui se ne accorgesse; avrebbe di sicuro scoperto i suoi segreti, ma soprattutto sarebbe venuta a sapere che cosa provava per lei, tutti i pensieri rivolti a lei, tutti i modi pensati per mettersi in luce e farsi bello ai suoi occhi. Sarebbe stato a dir poco imbarazzante.
- E dire che le ho detto mille volte di non andare in apnea in luoghi che non conosce. – borbottò ad un certo punto Jao, tirando fuori Lenn dalle sue elucubrazioni.
- Perché non dovrebbe farlo? – domandò Chad.
- Ma non vedi in che stato è? In quelle condizioni non si accorge di ciò che le accade attorno, è troppo esposta. Chiunque potrebbe farle del male. Le dico sempre di chiudersi in una stanza e poi fare quello che deve fare, ma ha la testa più dura di un mulo. –
Chad, vedendo crescere l’ansia nell’amico, decise di rassicurarlo. – Non ti preoccupare capo, la terrò d’occhio io con l’Oracolo. –
- Senti… - disse a quel punto Lenn, - Non è che quando hai finito di tenere d’occhio Annah puoi prestarmi lo specchio? Mi piacerebbe esaminarlo da vicino. -
- Certo. – rispose il ragazzo di colore, - Appena esce dal suo stato di coma te lo presto volentieri. –
- Grazie, allora. – dissero contemporaneamente Jao e il mezzelfo.
Chad rise. – Ma figuratevi, che volete che sia? Oggi sono magnanimo e concedo favori a tutti. -
Detto questo, il Coccodrillo fece dietro-front e tornò dentro alla locanda. Sparì là dentro sghignazzando: - Rizo, ho trovato una cosa fortissima! Ti va di vedere Harù alle prese con la cena piccante di ieri sera?! -


Era notte fonda, ormai, ma Lenn non riusciva a dormire. Come al solito, troppi pensieri affollavano la sua testa, e la notte ormai era il momento in cui tutti i ricordi, le impressioni avute durante la giornata e l’immaginazione avevano il sopravvento e lo invitavano a pensare, rimuginare, riflettere.
Era seduto a gambe incrociate sul suo letto sfatto, immerso nel buio e nell’aria fredda che entrava dalla finestra. In mano stringeva lo specchio di Chad, il quale emanava una luce bianca che gli illuminò il viso per qualche istante. Cessato il riverbero, sul vetro si disegnarono delle linee confuse, il cui moto ricordava le increspature nell’acqua quando un oggetto vi cadeva dentro. Poi le linee iniziarono a formare dei contorni, poi degli oggetti, e lo specchio mostrò gli stessi colori bluastri e neri che caratterizzavano la camera del mezzelfo. Però la stanza a cui appartenevano era quella di Annah.
La ragazza riflessa nello specchio sembrava dormire, ma quando Lenn la vide muovere bruscamente un braccio verso una sedia su cui aveva poggiato un bicchiere d’acqua capì che anche lei faceva fatica a prendere sonno, quella notte. Dopo essersi dissetata, la bionda tornò a distendersi sul letto, su di un fianco, con i capelli dorati che ricadevano sul cuscino; fissava il vuoto, esattamente come l’aveva vista la prima volta attraverso lo specchio, eppure il suo sguardo adesso comunicava presenza e coscienza.
Tutti i pensieri del mezzelfo quella notte erano dedicati a lei, per un motivo o per l’altro.
La osservava attentamente mentre cercava di regolare il respiro e rilassarsi, nel vano tentativo di prendere sonno.
Lui non poteva fare altro che guardarla senza malizia, limitandosi ad ammirare i suoi capelli, che dovevano certamente odorare di fiori, la sua pelle, che doveva essere liscia e perfetta come quella di una statua, ma che emanava il tepore del fuoco. Più la guardava e più il suo orgoglio trovava difficile negare che si stava lentamente innamorando di quella ragazza che ormai trovava bellissima. A volte quasi si dimenticava del suo caratteraccio e la immaginava completamente diversa, gentile nei suoi confronti e fragile. E un po’ fragile sembrava, gracile com’era; il suo stare rannicchiata fra le coperte faceva pensare che avesse freddo, e Lenn avrebbe dato qualunque cosa per essere la persona a cui lei avrebbe potuto chiedere calore.
Ma ormai, quando la vedeva, il mezzelfo non poteva fare a meno di pensare anche ad un’altra cosa: Annah era una Mangiasogni.
Ci aveva pensato a lungo, ed era arrivato alla conclusione che lei poteva aiutarlo. Jao aveva detto che la ragazza, se avesse voluto, sarebbe stata in grado di modificare i sogni altrui e manipolare i ricordi; Lenn aveva pensato che lei avrebbe potuto dargli una mano a gestire meglio la sua mente. Troppi erano i ricordi nella sua testa, e tutti uno più smanioso di ricevere attenzioni dell’altro, tanto che il ragazzo ormai aveva seri problemi a rimanere tranquillo per più di cinque minuti. Forse lei gli avrebbe potuto insegnare qualche tecnica per rilassarsi, o avere più controllo sulla sua mente.
Oltre a ciò, aveva anche un altro pensiero: gli sarebbe piaciuto poter evocare le immagini dei suoi genitori, quando erano ancora in vita. Però aveva meno di un anno quando aveva vissuto con loro, era impossibile ricordare immagini così vecchie, anche con tutta la buona volontà di cui era capace. Però Annah poteva essere in grado di farlo. Gli sarebbe piaciuto almeno chiederglielo.
Ma non poteva farle una richiesta del genere di giorno, davanti a tutti. Anche se avesse voluto accettare, avrebbe rifiutato; non si sarebbe mai contraddetta davanti agli altri, dunque non avrebbe mai rivolto la parola al mezzelfo né lo avrebbe aiutato, dato che ormai aveva reso di dominio pubblico che lo disprezzava e non lo sopportava.
Avrebbe dovuto chiederglielo di notte. Quella stessa notte, magari.
Sapeva di rischiare grosso: vedere un uomo che entra nella stanza di una donna, per di più promessa in sposa ad un altro, era una cosa sconveniente che avrebbe solo creato problemi, quindi doveva essere discreto. D’altro canto, non poteva agire in modo diverso: se avesse aspettato di trovarsi in un luogo più isolato e con meno gente in giro, l’unica occasione sarebbe stata durante una notte di viaggio, accampato con tutto il resto della banda. I problemi in quel caso sarebbero diventati due: il loro viaggio in teoria era finito, quindi niente più accampamenti; secondo, all’aperto e senza le stanze che li dividevano era più facile che qualcuno di loro si svegliasse e sentisse quello che aveva da dire alla ragazza.
Quella notte Annah era sveglia, lo vedeva chiaramente. Se l’Oracolo dello specchio non raccontava frottole, quello che vedeva era esattamente ciò che il Giglio stava facendo in quel momento, come se tra di loro ci fosse un varco da cui lui poteva sbirciare e vedere tutto dall’alto.
Decise di andare da lei.
Si alzò dal letto, rimise la camicia per coprire la schiena e uscì, lasciando lo specchio nella camera.
Il corridoio era buio, ma dalle scale che portavano al piano di sotto arrivava un po’ di luce, flebile e calda; c’era ancora qualcuno che si attardava e chiacchierava del più e del meno, ma nessuno sembrava intenzionato a porre fine alla conversazione e salire.
Lenn si mosse comunque con circospezione, cercando di non far scricchiolare le assi di legno. Continuò a guardarsi attorno fino a che non arrivò davanti alla porta della camera di Annah, all’altro capo del corridoio.
Fissò per qualche istante la porta. “E ora come entro?” si chiese il mezzelfo. “Busso?
Ma bussare non sembrava l’opzione migliore. A parte il fatto che sarebbe stato troppo rumoroso, sapeva già che la ragazza non lo avrebbe mai fatto entrare di sua spontanea volontà.
Il ragazzo si appoggiò alla porta con delicatezza e rimase a pensare. “Oh, se solo potessi passare attraverso i muri! Sarebbe tutto più semplice…
Non ebbe nemmeno il tempo di finire il pensiero, che improvvisamente si sentì cadere all’indietro; perse l’equilibrio e cadde a terra, mentre veniva circondato da un alone di luce azzurra.
- Ahia! –
Il mezzelfo si portò una mano al sedere dolorante, poi aprì gli occhi e si guardò attorno: il corridoio era sparito, ora si trovava dentro ad una stanza.
- Come sei entrato? –, lo sorprese una voce femminile alle sue spalle.
Lenn si voltò e guardò Annah, in piedi accanto al suo letto sfatto, che lo fissava con fare inquisitorio.
- Bella domanda… - rispose il mezzelfo, rimettendosi in piedi. Alzò lo sguardo, e il Giglio lo stava ancora fissando.
- Sei sbucato fuori dal nulla. – disse lei, e sembrò insicura.
Lenn si girò e portò una mano alla porta della stanza e la tastò, ma sembrava fatta di legno spesso e resistente, non era nemmeno aperta; impenetrabile, se non aperta con la chiave. - …Credo di essere passato attraverso la porta. – disse, sorpreso di quel fatto.
- Bene. –, disse Annah, - Allora puoi anche ripassarci e uscire dalla mia camera, grazie. –
Lenn in circostanze normali avrebbe volentieri messo la coda tra le gambe e se ne sarebbe uscito, ma quella notte aveva deciso di fare una cosa e non aveva intenzione di non sfruttare l’occasione al meglio. Si girò e la guardò, poi fece qualche passo verso di lei. – Ti devo parlare. –, disse.
Annah indietreggiò sistematicamente e arrivò ad appoggiare le spalle contro il muro. – Beh, io invece non ho niente da dirti, quindi puoi uscire. -
Era la prima volta che la ragazza gli rivolgeva la parola dopo la loro ultima litigata, nel deserto, ma non sembrava desiderosa di continuare la conversazione.
Come Lenn la guardò il sangue gli colorò le guance di rosso; la luce della luna che penetrava dalla finestra era sufficiente per fare luce su Annah e illuminare il suo corpo coperto soltanto da una leggera sottoveste. Si chiese nuovamente se fosse innamorato di lei e se il suo animo malato potesse veramente concepire amore, o fosse solamente attratto dalla sua bellezza, ma era troppo confuso per darsi una risposta.
- Ti prego, lasciami parlare… -
- Perché dovrei? – ribatté il Giglio gelidamente.
Il mezzelfo rimase in silenzio, non sapendo cosa dire. Sentiva che il suo orgoglio era ferito, non aveva motivazioni per poter stare allo stesso livello di Annah, gli si chiedeva di chinare la testa. Ma quella sera aveva bisogno di lei.
- Esci. – disse ancora la ragazza, dopo il silenzio del mezzelfo.
Lenn allora ritrovò la voce. – Ho bisogno del tuo aiuto.-, disse.
Annah si staccò dal muro e camminò leggiadra verso la porta. – Io non aiuto nessuno. –
Il ragazzo si mosse e la affiancò, poi le si parò davanti.
Annah si fermò e non mosse un muscolo, rimase con lo sguardo fisso davanti a sé, a fissare il petto di Lenn. – Giuro che se provi soltanto a toccarmi, mi metto a urlare con quanto fiato ho in gola e sveglio tutti. –
- Non ti sfiorerò nemmeno. – rispose subito il mezzelfo.
Annah a quel punto sbuffò, inspirò con forza e poi disse: - Parla allora. Sii breve e coinciso. –
Lenn impiegò qualche secondo a capire il senso delle sue parole, ma poi si riprese. – Ho bisogno del tuo aiuto. –
- Questo l’hai già detto. Prosegui. –
- So che sei una Mangiasogni. –
Silenzio. Annah s’irrigidì, poi fece un passo indietro per guardare Lenn dritto negli occhi. – E tu come lo sai? –
Il ragazzo esitò. – Me lo ha accennato Jao. Ma non dare la colpa a lui, sono io che ho chiesto informazioni! –, si affrettò a dire alla fine, - Oggi ti ho vista mentre avevi lo sguardo perso nel vuoto. -
Annah si morse il labbro inferiore, e sembrò insicura e indifesa. Poi, con una nuova espressione piena di cipiglio, si allontanò definitivamente dal mezzelfo, imprecando sotto voce. Andò alla finestra, la aprì e inspirò a pieni polmoni l’aria fredda della notte. Si girò nuovamente verso il ragazzo. – Fammi indovinare: vorresti che io pilotassi i tuoi sogni. Oppure desideri dimenticare qualche momento spiacevole della tua vita? Una batosta amorosa, un evento traumatico? Vuoi ricordare una persona a te cara? –
- Una cosa del genere… - rispose Lenn, esitante. – Ma perché, te l’hanno già chiesto più di una volta? -
Annah a quel punto si fece triste, le si disegnò in volto un sorriso amaro e malinconico. – Me l’hanno chiesto così tante volte che ormai ho perso il conto… -
La ragazza si sedette sul suo letto, guardò Lenn e lo scrutò dalla testa ai piedi, poi diede qualche colpetto con la mano vicino a dove era seduta, invitando il ragazzo a raggiungerla. Lenn colse l’occasione al volo e obbedì, mansueto. Si sedette accanto al bel Giglio e aspettò che dicesse qualcos’altro.
E infatti dopo un po’ la ragazza si schiarì la voce, come se avesse un groppo in gola, e parlò. – Sai, nel paese in cui vivevo da piccola, ero l’unica Mangiasogni nel raggio di miglia. Tutti mi conoscevano. –
Lenn rimase in silenzio, ad ascoltare.
- La mia casa era diventata una specie di luogo di pellegrinaggio, venivano da ogni dove per… Farsi cambiare i sogni e i ricordi da me. –
- E non era una cosa buona? – azzardò Lenn.
Lei lo fulminò con lo sguardo, ma sembrava fin troppo malinconica per arrabbiarsi veramente. – No che non lo era. Io ero solo una bambina, e dovevo avventurarmi tra gli incubi spaventosi degli adulti e modificarli; i miei genitori dicevano che con la mia purezza di bambina le cose sarebbero riuscite anche meglio… -
- Ah… E ai tuoi genitori andava bene? –
La bionda alzò le spalle. – Sì, loro non possono capire cosa prova un Mangiasogni, nessuno può. E’ una cosa particolare. –
- Beh, ora che me lo hai spiegato, mi sembra chiaro che ciò non sia una cosa bella. I tuoi non lo capivano? –
- In verità non gliene ho parlato mai molto, ero così felice che loro fossero fieri di me… - disse allora Annah accennando un sorriso pieno di rimpianto. Poi, però, si riprese: forse si era accorta che stava parlando troppo di sé. Si mise a testa alta come faceva sempre e poi si alzò in piedi, prendendo le distanze da Lenn.
Si voltò verso il ragazzo e disse: - E non credere di potermi commiserare, non osare nemmeno. –
Lenn alzò le mani in segno di pace. – Non lo farei mai. –
Il Giglio si ravviò i capelli. – E comunque, non ho intenzione di usare i miei poteri su di te. Non voglio frugare nei ricordi traumatici di nessuno, men che meno in quelli di un assassino. –
- Non sono un assassino. –
- Non importa, il concetto è quello. –
Lenn si alzò in piedi e si avvicinò di nuovo ad Annah, cercando il suo sguardo. – Non voglio che frughi nei miei ricordi brutti, sono così tanti che non chiederei a nessuno di farlo. – le disse, cercando di tenere un tono di voce dolce. Voleva ingraziarsela a tutti i costi. – Vorrei chiederti di far riaffiorare nella mia memoria un ricordo bello, ma perduto. Sei in grado di farlo? –
Annah incrociò le braccia e lo guardò di sbieco. – Io sono in grado di fare quello che mi pare. –
Il ragazzo allora rabbrividì al solo pensiero che la ragazza potesse leggere anche i suoi attuali pensieri. Confidò nel buio, che non avrebbe lasciato trasparire la sua espressione timorosa. Cercò di assumere un tono neutro e domandò: - Sai leggere anche nei pensieri? –
Annah arricciò il naso. – No. -, rispose. – Ma tanto non è che abbia voglia di farlo. –
Lenn trattenne a stento un sospiro di sollievo. - Oh.. –
Seguirono alcuni secondi di silenzio imbarazzante. Il mezzelfo però non voleva lasciare momenti morti, non ora che gli sembrava che Annah stesse cedendo, così disse: - Allora puoi cercare questo ricordo? Non penso che sia una cosa difficile da fare, almeno per te. –
La bionda sorrise un poco, compiaciuta, e Lenn vide chiaramente quel sorriso, grazie alla sua vista più sviluppata di quella umana. Adularla funzionava.
- Di che si tratta? – domandò.
- Ehm… E’ necessario che tu lo sappia? –
- Ovviamente. Come faccio altrimenti a cercare qualcosa, se non so nemmeno di che si tratta? La testa è caotica, ma i Mangiasogni devono avere le idee ben chiare. –
Il ragazzo trovava inutile nascondere il suo imbarazzo, perciò non lo dissimulò quando parlò. – Io… Vorrei vedere i miei genitori. –
Annah inarcò un sopracciglio, perplessa. – I tuoi genitori? –
- Sì. – rispose Lenn, - Sai, non li ho mai conosciuti. Jao te lo ha detto che sono orfano. –
Questa volta fu la bionda a far trasparire il suo imbarazzo nella voce, e Lenn la immaginò mentre arrossiva. – Pensavo stesse bluffando per farmi stare zitta, quella volta… -
- Beh, non è così. –
Il silenzio che seguì fu interrotto solamente da Annah, mentre si schiariva la voce e poi parlava: - E come faccio a rievocare ricordi che non hai? Li hai mai visti? –
- Sì, certo. Quando ero piccolo. Molto piccolo. Sono morti quando io avevo un anno. –
- Ah… -
- Puoi evocare un ricordo così vecchio? –
- Certo. Per noi il tempo dei ricordi non ha importanza, sono tutti mischiati nella mente della gente allo stesso modo, bisogna solo saperli cercare. –
- Allora lo farai? –
Annah rimase per un po’ in silenzio, a riflettere. Poi disse: - Sì. –
- Grazie. –
- Ma ad una condizione. – si affrettò ad aggiungere la ragazza.
Lenn storse il naso, temendo una fregatura. – Parla. –
- Voglio che la smetti di importunarmi. Io voglio vivere la mia vita tranquillamente, e per farlo tu mi devi stare alla larga, perché mi metti ansia. Non sei desiderato. Va bene? –
Lenn ci rimase male. Sperava di aver ispirato almeno un po’ di fiducia nella ragazza, ma dalle sue parole non sembrava che ci fosse riuscito. La guardò, e nonostante le sue parole la trovò bellissima. Non sapeva se provava amore, non pensava che la sua anima fosse in grado di concepirne, non ne aveva mai provato per nessuno. Ma sentiva che ciò che provava era differente da qualsiasi altra cosa avesse mai sentito per qualcuno.
Voleva avvicinarsi a lei, ma se voleva rivedere i suoi genitori perduti doveva accettare di mantenere le distanze da quell’aggraziata creatura. Allo stesso tempo, voleva rispettare la sua persona e il senso del dovere gli imponeva di stare alla larga da Annah, o le avrebbe creato solo problemi. Così acconsentì. – Va bene. -, disse a malincuore.
- Perfetto. – disse allora la ragazza, con una soddisfazione tale che al mezzelfo sembrò gli fosse stata tirata una stilettata nel cuore.
La bionda si sedette a terra a gambe incrociate. Indicò con una mano il posto davanti a sé. – Vieni, siediti qui. –
Lenn obbedì e si sedette anche lui a gambe incrociate, piazzandosi davanti al Giglio. – Cos’hai intenzione di fare? –
- Adesso ti devi rilassare assieme a me. La mente dev’essere meno confusa possibile, per rendermi le cose più facili. –
- Come si fa a rilassarsi? –
- Ma come, non riesci? –
- E’ un periodo che ho la testa talmente piena di pensieri che mi è difficile anche concentrarmi, figuriamoci rilassarmi. –
Annah sbuffò. – Allora canteremo qualcosa assieme. Cantare distrae. Che canzoni conosci? –
Lenn fece finta di pensarci un po’ su, poi rispose: - Non ne conosco nessuna. –
- Impossibile. –
- A casa mia la musica non era considerata importante. –
- Ma come, non ne hai mai sentita? Nemmeno per caso, magari a scuola? –
- Io non sono mai andato a scuola. – disse allora il mezzelfo. Non voleva sembrare pedante, né voleva far spazientire la ragazza, tuttavia non poteva che rispondere sinceramente, per giustificare il fatto che non conoscesse alcuna canzone. – Imparavo tutto a casa. – aggiunse.
Annah fece trasudare il suo disappunto in ogni singola parola che pronunciò. – Ma dove hai vissuto tutti questi anni? Tappato in casa? –
Lenn si sentì a disagio, e ammutolì.
Il Giglio ignorò il suo silenzio, non sapendo di aver toccato un tasto dolente, e continuò a parlare. – Ti ricordi la canzone che ho cantato un po’ di tempo fa, mentre tu suonavi il flauto? –
- Sì. –
- Potremmo cantare quella. –
- Ma io non so le parole. –
- Non importa, io la canto e tu puoi intonare a bocca chiusa la melodia. –
Lenn esitò, ma quello era l’unico modo per farsi aiutare nel suo intento. – Va bene. –
- Vedi che siamo riusciti a trovare una soluzione? –
Lenn annuì, imbarazzato dal tono di voce calmo della ragazza. Probabilmente l’addolcirsi della sua voce era solo un metodo per indurlo a rilassarsi.
Annah portò le mani al viso del mezzelfo, e lui all’inizio si scansò per riflesso, non amando particolarmente il contatto fisico.
- Calmati, è tutto a posto. Ricordati che devi rilassarti. –
La voce della ragazza aveva assunto un che di ipnotico e accomodante. Avvicinò nuovamente le mani al viso di Lenn per trascinarlo verso di sé, e questa volta il ragazzo non oppose resistenza.
Annah poggiò la fronte a quella di Lenn, lui fremette, ma lei lo tenne saldamente attaccato a sé e cominciò ad abbassare il tono della voce fino a ridurla ad un sussurro. – Chiudi gli occhi. Ora canteremo qualcosa insieme. Tu seguimi. –
Lenn annuì, mentre sentiva dentro di sé il torpore che si diffondeva, e sapeva che quest’ultimo era indotto dalla mente della ragazza, che già stava usando i suoi poteri.
Ebbe appena la forza di alzare il braccio e afferrarle il polso e parlarle, anche se la voce venne fuori in un sussurro: - Sei la prima persona che lascio entrare nella mia testa. Ti sto affidando la mia vita. –
Non seppe dire se la ragazza capì le sue parole, perché probabilmente stava cadendo in trance anche lei, e infatti subito dopo iniziò a cantare.
Altarìa ascoltami… Insegnami… Cos’è questo Amore… -
La voce di Annah era dolcissima, si insinuava nella sua anima e nella sua mente come se sapesse già la strada giusta.
Kiralere ichta ymae… -
Nasce dall’ardore che provo per lei, la vita che sento? -
Yzard no ka hira ymae. -
Nessuno dei due si rese conto che ad ogni frase di lei, lui rispondeva con il verso successivo parlando in Elfico, anche se all’inizio il mezzelfo avrebbe sicuramente sostenuto e creduto che non ne conoscesse le parole.
Alla fine piombarono entrambi in uno strano sonno semi-cosciente e le parole morirono sulle loro bocche dopo poco tempo.
Annah, per un attimo, si era addormentata, ma quando riprese i sensi avvertì immediatamente la sensazione di essere entrata nella mente di Lenn. Percepiva i pensieri del ragazzo che vorticavano attorno a lei. Quando aprì gli occhi, seppe che quello che avrebbe visto non sarebbe stato il buio della sua camera da letto, ma ciò che popolava la testa di Lenn. E così fu.
Si guardò attorno, e ciò che le si presentò davanti era completamente diverso dalla realtà che aveva lasciato alle sue spalle: la stanza attorno a lei era sparita, e con essa anche il Drago; lei non era nemmeno seduta per terra. A circondarla c’era solo acqua, tanta acqua. Si trovava in un oceano.
Quello non era altro che l’ordine che la ragazza amava dare ai pensieri della gente che ipnotizzava. La mente era caos puro, sarebbe stato impossibile avventurarvisi senza usare i propri poteri per dargli un’organizzazione migliore. E così, invece di presentarsi come un insieme di sensazioni, pensieri e ricordi, Annah usava i suoi poteri per riordinare il tutto e dargli una dimensione a lei familiare, per poter esplorare il luogo con tranquillità.
Lei organizzava spesso la mente degli altri dandole l’aspetto di un immenso oceano in cui nuotare.
Altri Mangiasogni spesso usavano l’illusione di una stanza piena di oggetti che simboleggiavano i ricordi della persona a cui appartenevano; se toccati, essi sprigionavano il loro vero potere e mostravano la loro natura. Per uscire dall’illusione, bastava attraversare una porta e uscire dalla stanza.
Ad Annah, invece, per uscire dai ricordi bastava nuotare verso la superficie del suo oceano.
Per fortuna laggiù riusciva a respirare normalmente, altrimenti sarebbe dovuta emergere troppe volte.
Il Giglio si guardò attorno ed individuò subito i ricordi più recenti di Lenn: dei pesciolini che nuotavano appena sotto la superficie dell’acqua, il che significava che erano sensazioni provate di recente. I pesci in questione erano azzurri e verdi, due colori che stavano a significare che quei ricordi erano di momenti rilassanti e piacevoli.
La ragazza s’incuriosì quando, poco più in basso, scorse un piccolo banco di pesci dalle squame completamente rosa. Di solito, nelle sue ricostruzioni, i pesci di quel colore simboleggiavano un sentimento di tenerezza, dei ricordi piacevoli dedicati ad una persona particolare. Non si sarebbe mai aspettata di trovare sentimenti simili nella mente di Lenn, e moriva dalla voglia di darci una sbirciata, ma sapeva che il Drago, anche se non era materialmente vicino a lei, poteva vedere ciò che vedeva lei. Dopotutto, era pur sempre nella sua mente, anche se non sembrava.
Così la bionda decise di non perdere ulteriore tempo e di cominciare a nuotare per cercare ciò per cui si trovava lì.
Lenn voleva rievocare i ricordi in cui erano presenti i suoi genitori. Si trattava di eventi vecchissimi, quindi doveva dirigersi verso il fondo dell’oceano.
Cominciò a nuotare verso il basso, oltrepassando i pesci rosa. Man mano che scendeva, vide che i pesci azzurri e verdi assumevano tonalità più grigie. Lì in mezzo ne trovò uno addirittura nero che perdeva sangue dalle branchie; su di esso era dipinto uno strano simbolo composto da cerchi e rune, e non capì di che si trattasse. Però il colore delle scaglie non annunciava nulla di buono, perciò proseguì senza soffermarcisi troppo.
Nuotando sempre più giù, arrivò in un punto in cui l’acqua divenne di colpo nera, perdendo ogni sfumatura di blu. “Possibile che sia arrivata già al fondo?” si chiese la ragazza.
Poi un movimento brusco alla sua sinistra la fece spaventare. Si girò ed intravide un pesce nero grande quanto un cane che poi si confuse col nero dell’acqua, sparendo.
Solo in quel momento Annah si accorse che non era l’acqua ad essere nera, ma i banchi di pesci che la circondavano, che nuotavano nervosi attorno a lei e che erano presenti ovunque la ragazza si girasse. Sopraggiunse poi il gusto metallico del sangue sulla sua lingua, trasportato dall’acqua. Quasi tutte le figure grame perdevano sangue dalle branchie.
Annah impallidì e si sentì smarrita in quel vortice di incubi e ricordi dolorosi. Non ne aveva mai visti così tanti tutti insieme in vita sua.
Dovevo rifiutare, guarda dove mi sono andata a cacciare…
Incerta, cominciò a nuotare lentamente per non dare nell’occhio e per riuscire a vedere bene i pesci che si trovava davanti; non aveva nemmeno l’intenzione di sfiorarli. Non ci teneva a vedere quei ricordi, specialmente perché erano di un assassino, il che non prometteva nulla di buono.
Appena superato il banco dei macabri pesci, che le sembrò infinito, si ritrovò vicino al tanto agognato fondo oceanico. Lì trovò nuovamente degli esseri umanamente immaginabili, di nuovo caratterizzati da colori tenui oppure vivaci, tipici dei bambini. Ne scelse uno giallo chiaro che poteva fare al caso suo.
Si avvicinò al pesciolino, lo chiuse fra le sue mani e questo cominciò ad emettere una luce tutta sua che illuminò l’intero fondale.
Davanti agli occhi di Annah si materializzarono delle immagini, scene che erano state registrate anni prima dagli occhi di Lenn. La ragazza sapeva che nello stesso momento il Drago stava vedendo quelle figure, quei fantasmi che lui chiamava genitori.
Quello era un normale ritaglio di vita quotidiana: tutti seduti a tavola, con che Lenn guardava i suoi genitori e scrutava ogni loro mossa. Nella stanza era presente anche una bambina che doveva avere all’incirca sette anni, dai capelli lunghi e neri. Forse la sorella del Drago? Ma se i suoi genitori erano morti, che fine aveva potuto fare quella bambina a cui Lenn non aveva accennato?
I genitori erano proprio quelli del ragazzo: la madre, una donna dalla bellezza particolare, aveva fatto ereditare a suo figlio gli stessi tratti regolari del viso, la forma degli occhi, il colore della pelle; il padre di Lenn, invece, non aveva molti tratti in comune con il ragazzo che Annah conosceva, però quel viso le sembrava di averlo già visto da qualche parte…
Annah rimase impassibile a guardare quella scena per far sì che la vedesse pure il Drago, finché non notò le orecchie della madre di Lenn. Un Elfo. Sbiancò nuovamente, e questa volta perse il controllo sulla sua parte razionale, interrompendo la visione del ricordo.
Si trovava nella mente di un Drago mezzelfo con la testa piena di ricordi violenti, non poteva esserci di peggio.
La Mangiasogni si girò e cominciò a nuotare verso l’alto più veloce che poteva, voleva uscire da quella testa.
Per la fretta, però, urtò uno dei pesci neri e sanguinolenti che nel percorso d’andata s’era lasciata alle spalle con tanta cautela. L’animale s’illuminò e sprigionò il ricordo che simboleggiava, catapultando Annah in un luogo tetro, buio, una cella. Potendo vedere solo quello che aveva visto Lenn, si ritrovò a fissare un soffitto di pietra pieno di muffa, mentre una forza opprimente le stringeva il collo e la faceva soffocare.
Interrompendo il flusso del ricordo, la ragazza tornò in sé, ma appena mosse un braccio toccò un altro pesce nero, finendo in un ricordo in cui Lenn si era trovato per qualche motivo appeso a testa in giù.
Si liberò anche di quelle immagini, ma ormai ogni volta che si muoveva e guadagnava un po’ di strada, urtava qualcosa ed era sopraffatta dalle visioni e dalle sensazioni che aveva provato il Drago in passato. L’ultimo ricordo terribile che le attraversò la mente fu quello di una frusta che si scagliava sulla sua schiena e le strappava via le carni.
La superficie dell’oceano arrivò come una benedizione. Quando uscì fuori dall’acqua riuscì a interrompere anche il suo collegamento con la mente del ragazzo.
Rinvenne improvvisamente, e si sentiva sudata, spaventata, col fiatone. Guardò Lenn mentre anche lui riprendeva coscienza, poi si alzò solamente per allontanarsi il più possibile da lui.
Il mezzelfo scosse la testa, e guardò Annah allontanarsi incespicando, per poi accucciarsi lontana da lui, in un angolo.
La ragazza era atterrita, con gli occhi umidi di lacrime e lo sguardo puntato su di lui.
Lenn si alzò da terra e mosse un paio di passi verso di lei.
- Non avvicinarti. – comunicò lei perentoria.
Il ragazzo ubbidì e si fermò. Si diede dello stupido. Non aveva pensato che Annah avrebbe potuto vedere i suoi ricordi assieme a lui e vedere che i suoi genitori appartenevano a due razze differenti. E per colpa sua, la ragazza aveva dovuto anche subire la visione dei suoi ricordi più dolorosi, affrontando improvvisamente tutti i suoi pensieri e le sue sensazioni. – Annah, io… -
- Zitto. Non voglio più avere niente a che fare con te. –
- Mi dispiace per quello che hai visto. Nessuno dovrebbe patire certe cose all’infuori di me. –
- Hai promesso che mi saresti stato alla larga. Vattene. –
Lenn si sentì addolorato trovandosi davanti quel muro di ostinazione e dolore. – Ti prego, fammi spiegare. –
- No. –
Seguì un lungo silenzio. Fuori e dentro la stanza non si udiva alcun rumore.
- Vai via. Voglio stare da sola. –
E con quella frase, la ragazza fu perentoria. Le sue parole avevano trasudato disprezzo e rabbia, senza riserve. Lenn non poté fare altro che mettere la coda fra le gambe e obbedirle nuovamente. Non aprì nemmeno la porta, le passò attraverso senza esitare. Finì nel corridoio completamente buio e si fermò lì, a fissare il buio. Si sentiva stupido. Aveva sprecato l’unica possibilità che Annah gli aveva dato, e ora lei sapeva che lui era un mezzelfo senza Clan. Per la prima volta dopo settimane, si vergognò di quello che era.
- Merda. -

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Capitolo 38
*** Capitolo 10 - Sailam, la Mangiasogni, la Prova (Parte III) ***


[NdA: Questo capitolo mi piace molto. E i dialoghi sono venuti bene, secondo me. :D
In questa parte avremo uno scorcio dei lambiccamenti di Annah, con alcuni eventi interessanti a seguito che la riguardano da vicino. Più in generale, molto approfondimento psicologico per alcuni personaggi, nel caso non fosse bastato nei capitoli precedenti! E come al solito, spero che il capitolo piaccia! Buona lettura!]



Capitolo 10
Sailam, la Mangiasogni, la Prova
Parte III





Annah camminava irrequieta per le strade di Sailam. Cercava di camminare in mezzo a tutta quella gente che spingeva e s’affrettava, ma era difficile stare al passo con tutte quelle persone senza inciampare sui piedi di un altro. Infatti dopo un po’, visto l’andazzo, andò ad infilarsi in una via secondaria, in modo da avere abbastanza spazio per respirare e poter passeggiare tranquillamente.
Non aveva nulla d’importante da fare, voleva solo riflettere senza avere gente che conosceva attorno. Una volta immersa nei suoi pensieri, quasi non le sembrava più di essere circondata da tutta quella gente. Spesso si sentiva sola, nella folla. Essere a stretto contatto con tante persone, e allo stesso tempo essere così distanti e disinteressate a loro, le faceva capire quanto si possa essere soli nella vita; una delle tante gocce in un mare infinito.
Avrebbe voluto usare i suoi poteri per escludersi dal resto del mondo e non percepire le sensazioni e gli sprazzi di pensiero di chi le stava vicino. Voleva concentrarsi solo sui suoi problemi, al momento.
Uno di essi, ora diventato il più rilevante, era la presenza di Lenn nella sua vita.
La notte prima, quando il ragazzo le aveva fatto visita sbucando nella sua camera all’improvviso, l’aveva lasciata scossa. Aveva visto cose che non avrebbe mai vovuto vedere. Sapeva che avrebbe dovuto rifiutare.
Si ricordava bene ciò che aveva visto, infatti non poteva fare a meno di riveder passare davanti agli occhi i frammenti di immagini e sensazioni che aveva vissuto nei ricordi del mezzelfo. Aveva ancora la tremenda sensazione che una frusta le calasse sulla schiena per strapparle la pelle, tant’è che ogni tanto si passava una mano lungo la spina dorsale per sentire se aveva qualche vecchia cicatrice. Le era sembrato tutto così reale. In effetti, per Lenn lo era stato.
Non avrebbe mai pensato che il ragazzo non fosse più un Drago. Ciò lo rendeva un’indesiderabile, e si chiese se Jao e gli altri fossero al corrente del suo grado sociale. Il pensiero che qualcuno avesse potuto scoprire ciò mentre lei viaggiava ancora in compagnia del mezzelfo, la terrorizzava. La società era poco clemente nei confronti dei Senza Clan e di coloro che li frequentavano.
Senza contare il fatto che Lenn era anche per metà Elfo. Quel ragazzo era una spiacevole sorpresa dietro l’altra.
A lei era sembrato normale, eppure nel sangue gli scorrevano i geni degli Elfi, quella razza tanto diversa dagli Umani, così animalesca. Gli Elfi si ritenevano più vicini agli animali che agli Umani, e come evoluzione delle bestie, rivendicavano il predominio sulla natura da cui secondo loro discendevano in modo più diretto.
Non le sembrava di aver visto nulla si animalesco, in Lenn. Forse qualcosa di asociale e scontroso, ma niente di Elfico. O forse si sbagliava.
Provava una sorta di paura nei suoi confronti, ora. Non poteva fare a meno di pensare che avrebbe potuto usare qualcuno dei suoi poteri superiori su di lei o su Jao, manipolarli, o fare loro del male. Non riusciva a togliersi dalla testa il fatto che fosse stato addestrato per diventare un assassino. Sapeva anche che Jao era troppo fiducioso nel prossimo, quindi avrebbe potuto fare amicizia anche con persone pericolose.
Ma Jao potrebbe fare amicizia anche con un sasso” pensò. Lei era sempre stata quella poco fiduciosa nella bontà delle persone, mentre Jao era quello che faceva colpo su tutti; sembrava quasi che inducesse la gente a volergli bene, con qualche strana influenza psichica.
Erano anni che non si sentiva così a disagio. Non sapeva se affidarsi al suo caro amico, e quindi non temere Lenn, oppure ascoltare ciò che i suoi genitori le avevano sempre insegnato, e cioè tenersi a debita distanza dai Draghi.
Il suo rimuginare, intanto, l’aveva condotta in una via deserta, una rarità lì a Sailam. Un vicolo stretto, sporco, non si capiva nemmeno cosa fossero gli scarti che tappezzavano i lati della strada.
Mentre si guardava ancora attorno, sentì una stretta ferrea stringersi attorno al suo collo.
Tentò di cacciare un urlo, ma una mano grande e callosa le coprì la bocca.
- Non fiatare, o fai una brutta fine. – le intimò la voce rauca a cui apparteneva la mano.
Subito dopo Annah sentì la presa sul collo allentarsi e poi sparire, e subito dopo apparve un minaccioso coltello, puntato sul suo ventre.
La ragazza non si mosse, e l’uomo che l’aveva catturata la trascinò di peso verso il fondo del vicolo.
Il Giglio fu sbattuto contro il muro di una casa, e poté vedere in faccia chi la stava aggredendo. La prima cosa che le saltò all’occhio fu la stazza dell’uomo: un armadio di quasi due metri. Le altre caratteristiche non contavano molto, al momento.
Lo sconosciuto le puntò il coltello alla gola. – Dammi i tuoi gioielli. – disse.
Annah sollevò cautamente i polsi e alzò la testa per mostrare bene il collo. – Non ne porto. –
Il ladro si lasciò scappare un grugnito di disapprovazione. – Fammi vedere. Se ne trovo qualcuno, sei morta. –
Annah iniziò a tremare di paura, anche se era sicura di non avere nulla di valore addosso. Si sentì indifesa e degradata mentre sentiva la mano libera dell’uomo palpeggiarla con la scusa di doverla perquisire. Era evidente che non avesse nulla addosso, indossava solo una toga bianca priva di tasche.
Si divincolò quando quel rozzo individuo le infilò una mano tra le cosce, ma lui rispose con un sonoro schiaffo che le fece vedere le stelle. – Ferma, puttanella squattrinata! –
La bionda raccolse tutta l’aria che aveva nei polmoni è gridò: - Aiuto! –
Le arrivò istantaneamente una altro manrovescio.
- Ho anche detto che devi stare zitta! – sbraitò l’uomo.
Annah non fiatò più, ma si sentì inondare gli occhi di lacrime, mentre lo sconosciuto ricominciò a palpeggiarla. Non dimenticava mai di tenere ben premuto il coltello sulla sua gola, mentre le passava una mano avida sui seni.
- Che tette piccole che hai. Oggi ho proprio sbagliato. –
- M-mi lasci andare… - scongiurò allora la ragazza, come se quella fosse un’eccellente scusa per lasciarla perdere.
- Zitta! – intimò nuovamente il gigante. – Non ho intenzione di lasciarti andare da nessuna parte. Non hai denaro, ma dovrai pagare qualcosa per rendermi soddisfatto… -
Mentre premeva il coltello ancora di più sul collo di Annah, tanto da farne uscire un rivolo di sangue, con un impeto inaspettato infilò l’altra mano sotto alla toga e andò a passare le dita sul sesso di lei.
Annah ormai piangeva terrorizzata.
- Scommetto che sei vergine, scopriamolo un po’! –
La ragazza chiuse gli occhi e riempì di nuovo i polmoni per darsi ad un altro urlo disperato; aprì la bocca per emettere un suono, ma l’urlo che seguì subito dopo non fu il suo. Il coltello che fino a quel momento aveva minacciato il suo collo cadde a terra con un innocuo tintinnio.
Riaprì gli occhi e vide la faccia del violentatore assumere un’espressione di dolore e paura. Aveva la schiena inarcata all’indietro: qualcuno lo stava tirando verso il basso.
Questa volta era lui quello minacciato, perché la lama di una katana riluceva alla luce del sole e stava premuta contro il suo pomo d’Adamo. Le mani del proprietario dell’arma stringevano una l’elsa, l’altra l’estremità opposta della spada, dalla parte della lama.
- Toccala un’altra volta, e ti taglio quella lurida testa che ti ritrovi, e poi ti taglio anche l’uccello, giusto per infilartelo in bocca una volta morto. –
Annah riconobbe la voce e fu felice come non mai di sentirla; contemporaneamente, il ladro sbiancò e rimase rigido in quella posizione.
Lenn, poco più basso di lui, gli stava alle spalle e lo guardava con un’espressione disgustata e furiosa allo stesso tempo. Annah lo guardò mentre digrignava i denti e mostrava i canini appuntiti, che non aveva mai notato prima. Sembrava una belva.
- C-che devo fare? – domandò il ladro, che ora aveva un aspetto miserevole tanto aveva paura.
- Non fare domande idiote, o ti sgozzo comunque. – rispose Lenn. Il mezzelfo premette ancora più forte la catana contro il collo del gigante. – Come ci si sente quando non si ha il coltello dalla parte del manico? Male, vero? –
Il ladro annuì e deglutì con difficoltà.
Lenn a quel punto si sporse verso l’orecchio dell’uomo e sibilò: - Non voglio mai più vederti a meno di un miglio di distanza da questa donna. Chiaro? –
Il ladro annuì di nuovo.
Il mezzelfo allora approfittò della vicinanza alla sua vittima e le morse l’orecchio. L’energumeno gridò di dolore come Annah non aveva mai sentito gridare nessuno; solo nei ricordi di Lenn aveva sentito un verso simile.
Il ragazzo alla fine si staccò da lui e lo spinse verso l’uscita del vicolo, facendolo quasi cadere a terra. Lenn sputò un grumo di sangue nella sua direzione, mentre quello si dava alla fuga. Sulla schiena il fuggiasco aveva un vistoso taglio che sanguinava, la spada aveva ridotto ad uno straccio la sua camicia; probabilmente era quello il motivo per cui l’uomo aveva urlato all’inizio.
Annah non poté credere a suoi occhi quando guardò il terreno e vide che il mezzelfo aveva appena sputato a terra un pezzo d’orecchio.
Girò lo sguardo e tornò a fissare Lenn che assumeva un’espressione ripugnata e continuava a sputare a terra il sangue rimastogli in bocca. – Che schifo. –, diceva.
Si tastò i denti con cura, si massaggiò il collo, poi rinfoderò la katana come se nulla fosse.
La ragazza rimase a fissarlo finché quest’ultimo non le si avvicinò con tutt’altra espressione in viso e le poggiò una mano sulla spalla. – Sei al sicuro, adesso. Ti ha fatto molto male? – domandò preoccupato.
Annah si lasciò andare ad un ultimo brivido, poi mormorò: - Non starmi addosso. –
- Oh, scusa. – Lenn le si allontanò subito.
La ragazza si lasciò scivolare a terra, aveva un mancamento. Nascose il viso fra le mani. Voleva sparire.
Lenn si accucciò davanti a lei. – E’ tutto a posto. –, disse. Poi sputò di nuovo per terra, aveva ancora del sangue in bocca. – Vuoi dell’acqua? – domandò, come se nulla fosse.
Il Giglio annuì.
La magia allora avvolse il braccio di Lenn: tanti guizzi di luce azzurra che raggiungevano veloci il palmo della sua mano, girato verso l’alto. Porse la mano alla ragazza, e sopra di essa si materializzò una sfera d’acqua. – Metti le mani a coppa. –
Annah obbedì e il ragazzo spostò l’acqua tra le mani di lei. La bionda bevve senza dire nulla. Lenn continuava a guardarla con fare preoccupato, la scrutava in viso e cercava di capire cosa lei provasse in quel momento.
Annah alzò il capo, ed ebbe la solita sensazione che lui potesse capire esattamente cosa lei stesse pensando e provando in quel momento, anche se non possedeva poteri come quelli dei Mangiasogni. I loro sguardi s’incontrarono, o meglio, collisero. Gli occhi del mezzelfo erano come un pozzo senza fondo, o il portale oscuro che conduceva in mille mondi; ci vedeva di tutto, dentro. Comunicava così tanto, solamente con lo sguardo, che non poteva non sentirsene sopraffatta, lo trovava indecifrabile. Le sarebbe tanto piaciuto poter essere già in grado di leggere nella mente; sapere cosa passasse per la sua testa sarebbe stato più rasserenante.
Il ragazzo, senza avvertire, si avvicinò a lei, ma per metterle un braccio dietro la schiena e uno a cingerle in ventre. – T’aiuto ad alzarti. –
Annah accolse con imbarazzo l’aiuto e grazie a lui riuscì a rimettersi in piedi, tuttavia preferì rimanere ancora appoggiata alla parete.
Lenn le toccò con l’indice e il medio il labbro inferiore. Sembrava più sfrontato del solito, si dava la libertà di lanciarle certe occhiate e sfiorarla in certi modi che non si era mai permesso di fare prima. – Quel figlio di puttana t’ha rotto il labbro. – constatò, infastidito.
E tu gli hai staccato un pezzo d’orecchio a morsi” pensò in risposta il Giglio, tuttavia non disse nulla.
Subito dopo apparirono tra le dita di Lenn dei nuovi guizzi di luce azzurra. Questi chiusero la ferita e guarirono completamente la bocca della ragazza. Annah lo capì perché il dolore era sparito completamente. Poi il mezzelfo guarì anche il piccolo taglio che le era rimasto sulla gola, e tutto fu di nuovo come se nulla fosse successo.
Solo in quel momento la bionda s’accorse di avere ancora le guance umide per le lacrime, e si passò una mano sul viso per asciugarlo un po’. In questo modo sentì di aver riacquistato un po’ di dignità.
Lenn a quel punto si permise di rivolgerle un sorriso accennato. – Stai meglio, adesso? –
- Sì… -
- Meno male che ero nei paraggi. Non voglio immaginare che cosa sarebbe successo, se non fossi intervenuto. –
Nemmeno io…
Però lei continuava a vedere davanti a sé quell’energumeno che la palpava con foga. Si sentiva violata come non era mai successo prima. Cercava di sostenere lo sguardo di Lenn, ma continuava a essere lei quella che abbassava lo gli occhi per prima.
Lenn le rivolse lo sguardo più rassicurante che riuscì a fare. – E’ stato un brutto momento, ma è passato. –
Annah continuava a non dire nulla.
- Hai avuto paura. –
La ragazza annuì. Rivolse lo sguardo verso la parte del vicolo che portava alle strade più frequentate. Le persone non erano molte, ma camminavano serene e tranquille come se nulla fosse; niente di pericoloso, nelle loro vite, al momento.
Le mani di Lenn intanto esitavano, bloccate a mezz’aria. Lui avrebbe voluto abbracciarla per darle conforto, si vedeva che lei non avrebbe chiesto altro, in quel momento. Ma non a lui, sicuramente. Non potevano permettersi certi contatti troppo ravvicinati, sarebbe stato inappropriato, anche se in quel momento sembrava la cosa giusta da fare.
Annah a quel punto si staccò dalla parete e mosse qualche passo verso l’uscita del vicolo, le braccia incrociate come per proteggersi.
- Non dirlo a Jao. –
Lenn fu colto di sorpresa. – Cosa? –
- Non dirgli cosa è successo. Non mi farebbe più uscire da sola in vita mia, e io non voglio nessuno tra i piedi. –
Lenn non s’aspettava che la sua prima preoccupazione sarebbe stata quella, quindi ci mise un po’ a rispondere. - …Va bene, se è questo che vuoi. –
S’avvicinò a lei. – Però devi stare più attenta quando vaghi per strada. Rimani vigile. Cammina in posti frequentati. -
- E’ una parola, hai visto quanta gente c’è per strada? Non si riesce a camminare. –
- Lo so, dà fastidio anche a me. Dovresti viaggiare armata, però. Anche solo uno stiletto, o un coltello. Potrei insegnarti io come maneggiarlo, e… -
- Non ti allargare. –
Lenn per un attimo tacque. – Scusa. –
Seguirono alcuni secondi di silenzio imbarazzante, poi Annah disse: - Quello che è successo oggi deve rimanere un segreto. In cambio, io manterrò il tuo. –
- Di quale segreto parli? –
- Del fatto che non sei come noi. – disse discretamente lei, perché il messaggio non arrivasse a orecchie indiscrete. – Non lo dirò a Jao e agli altri. –
Lenn scrollò le spalle. – Oh, loro lo sanno già. –
Questa volta Annah fece trasparire un sincero stupore nella sua voce. – Davvero? –
Lenn annuì. – Sanno tutto. -
- Non hanno mai dato segno di esserne al corrente. Né mi sembrano turbati da ciò. –
Il ragazzo scrollò nuovamente le spalle. – Sai, loro mi hanno sempre visto come Umano, quindi penso che abbiano imparato ad apprezzarmi prima, senza pregiudizi. Adesso, anche se sanno molte più cose rispetto a quando li ho conosciuti, mi vedono come la solita persona che ha vissuto al loro fianco nell’ultimo anno. –
Annah annuì, interessata.
- Perfino io non sapevo di esserlo, sai? L’ho scoperto dopo un po’. –
Annah gli rivolse uno sguardo stupito, inarcando un sopracciglio. – E come sei venuto a saperlo? –
Questa volta fu Lenn a distogliere lo sguardo. Guardò la folla poco distante da loro. – Non mi va di parlarne… -
La ragazza annuì. Poi disse: - Quindi, per farti mantenere tutto segreto… -
- Non c’è bisogno che tu abbia qualcosa con cui ricambiare il mio silenzio. – la interruppe allora il mezzelfo. – Se è quello che vuoi, manterrò il segreto. Non voglio niente da te. Nemmeno per averti salvata, era ciò che andava fatto. –
Detto questo, il ragazzo fece per andarsene.
- Lenn… -
Al richiamo, si arrestò e si voltò. Suonava strano, il suo nome, quando usciva dalle labbra della ragazza. Era un evento così raro…
Il Giglio appariva esitante, sembrava non sapere bene cosa dire. Alla fine si optò per qualcosa di semplice. - Grazie. –
Lenn le mandò un sorriso come risposta. – Dovere. –
Un secondo dopo sopraggiunse una terza voce, lontana, e chiamava qualcuno: - Annah, Annah! –
Entrambi i ragazzi capirono subito chi fosse a chiamare la ragazza, lo riconobbero dalla voce.
Lenn si rivolse ad Annah. – Ti lascio in buone mani. Guardati le spalle, quando sei sola. –
Detto questo, il mezzelfo prese la rincorsa, saltò su di un cumulo di detriti e si diede la spinta per raggiungere il tetto della casa che avevano vicino, a cui si aggrappò con una mano. Poi si sollevò fino a salire sul tetto, e sparì nella sua corsa tra le tegole.
Annah non batté ciglio, ormai si aspettava di tutto da quel ragazzo.
Corse anche lei verso l’uscita dal vicolo e cominciò a chiamare: - Jao, Jao! Dove sei? -


- Rizo, Rizo! Dove sei? – gridò Chad.
Harù sospirò. – Sono ore che lo cerchiamo, dove si sarà cacciato? –
- Una cosa è sicura: se non lo troviamo entro mezz’ora, perderemo il traghetto e tanti cari saluti al Torneo. – disse Jao.
- Quel buono a nulla! – sbuffò Lenn.
Da almeno due ore i cinque ragazzi vagavano per Sailam in cerca di Rizo. Quella mattina si erano tutti svegliati presto e avevano fatto i bagagli, pronti per raggiungere il lago e salire sul traghetto all’ora stabilita. L’unico problema che era sopraggiunto al momento della partenza, era che Rizo mancava all’appello. Avevano controllato la sua stanza, e le sue cose erano scomparse.
- Forse è già al lago. -, aveva ipotizzato Jao.
Ma una volta arrivati lì, non lo avevano trovato da nessuna parte. Da quel momento in poi era iniziata la loro spedizione per ritrovare l’amico scomparso.
Lenn ora camminava con la sacca a tracolla, il fodero della spada fissato alla cintura e un’espressione torva che solo Rizo riusciva a suscitargli.
- Rizooo! – continuava a sgolarsi Harù.
Jao si voltò verso Chad, che gli stava al fianco. – Ancora nulla? – chiese.
Il ragazzo di colore scosse la testa. – Controllo. -
Il Coccodrillo stringeva tra le mani il suo specchio magico, quello con l’Oracolo rinchiuso. Il ragazzo, rivolto a lui, chiamò: - Azi! –
Rispondendo al richiamo, la superficie dello specchio s’illuminò e irradiò luce fino a che non comparve la figura luminescente di un serpente. L’animale rimase a fissarlo con l’inespressività tipica degli Oracoli.
- L’hai trovato? –
Il serpente scosse la testa squamosa. – Non ancora, padrone. Sono al massimo della distanza raggiungibile, ma non avverto nemmeno la sua presenza. –
Lenn, sentendo la notizia, imprecò.
Chad sospirò, preoccupato. – Continua a cercare. –
- Come desiderate, padrone. – disse Azdrakiraki.
Così com’era comparso, l’Oracolo svanì dopo un bagliore di luce, e lo specchio tornò a sembrare un semplice e comunissimo specchio.
Seguirono alcuni secondi di silenzio, a cui Lenn pose fine. – Dovevi immaginartelo che ci stava la fregatura, ad un prezzo così basso. – disse il mezzelfo all’amico con lo specchio.
- A me sembrava un buon affare, cosa ne sapevo che gli Oracoli hanno dei limiti nel raggio di ricerca? – rispose il nero per difendersi.
- Avresti potuto chiedere. –
- Non ci ho pensato, scusa eh! –
Lenn si lasciò andare a un ringhio. – Ma pensa te se dovevamo prendere proprio l’Oracolo che non riesce a trovare la gente oltre un miglio di distanza! – borbottò, neanche troppo a bassa voce.
- Avanti Lenn, non è colpa di Chad… - disse Jao.
- Infatti. – rispose il mezzelfo. – E’ colpa di Rizo. Come cazzo gli è venuto in mente di sparire proprio il giorno della partenza? Fino a ieri è rimasto tutto il tempo a dormire in camera sua, non poteva starci ancora un po’? –
Jao si limitò a scuotere la stessa e a non aggiungere nulla. Questa volta non aveva niente da controbattere. Poi la Tigre si voltò a guardare Annah, che camminava al suo fianco. La ragazza non aveva ancora proferito parola, sembrava quasi che non ci fosse. Era dal giorno prima che parlava poco e teneva il capo chino, cosa che non era assolutamente da lei. Di norma si sarebbe unita alle proteste di Lenn e avrebbe insultato Rizo fino a sera, e invece rimaneva passiva a ciò che le accadeva attorno. Non era da lei, e si chiese se si sentisse bene. Tuttavia, se Jao glielo avesse chiesto in quel momento, lei non avrebbe mai risposto con la verità, perché c’erano gli altri. Avrebbe dovuto chiederle spiegazioni una volta soli, durante l’unico momento in cui lei era incline a parlare liberamente, e anche in quel caso sarebbe stato difficile cavarle qualcosa di bocca.
Jao si voltò di nuovo, questa volta rivolgendosi a Chad. – Senti, e se… -
Non terminò la frase, perché in quel momento la superficie dello specchio tornò a emanare luce e poi mostrare l’immagine serpentesca di Azi.
- Padrone, lo percepisco, l’ho trovato! – annunciò l’Oracolo.
- Davvero?- fece Chad, incredulo.
- Sì! Vi mostro la strada. –
Detto questo, i ragazzi si misero a correre e seguirono le indicazioni di Azi alla lettera. Presto si inoltrarono in un parte di città con le strade larghe meno della metà rispetto a quelle che avevano percorso sinora, e ringraziarono gli Dèi di essere muniti di una valida guida.
Dopo qualche minuto si fermarono a riprendere fiato.
Jao fu il primo a ricominciare ad avanzare, ma questa volta camminando. – Avanti ragazzi, non abbiamo tempo da perdere… Poi dovremo anche tornare indietro per raggiungere il lago! –
Harù, piegato in due, disse: - Quando… lo becco… gliene dirò di tutti i colori... –
Lenn seguì Jao e riprese a camminare. – Avanti, andiamo… Sbrighiamoci. -
Poi, i cinque ragazzi udirono grida e schiamazzi provenire da poco lontano, davanti a loro.
Azdrakiraki ricomparve nello specchio e si rivolse a Chad. – Padrone, perché vi fermate? –
- Sai, siamo Umani, noi… Dopo un po’ ci manca il fiato. –
- Non potete fermarvi adesso, siete vicini! Seguite il baccano! –
Jao si ricompose. – Ti riferisci alle urla? –chiese ad Azi.
- Sì, ma affrettatevi! –
I ragazzi, anche se straniti, obbedirono e cominciarono ad orientarsi grazie all’udito. Le grida erano di una donna, le distinguevano chiaramente; ma non erano impaurite, bensì infuriate.
Bastò poco per arrivare a destinazione, in una via un po’ più grande delle altre ma anche gremita di gente. Le persone erano tutte affollate davanti all’entrata di una casa, assistevano a quella che pareva una scenata tra una donna e qualcun altro.
Gli Stregoni si avvicinarono e si fecero largo tra la folla per piazzarsi in prima fila e vedere se Rizo era lì.
Lenn avrebbe preferito non esserci, in quel luogo. La situazione era imbarazzante.
Una donna gridava come un’ossessa dall’interno dell’abitazione, contemporaneamente lanciava fuori dalla soglia di casa sacche, vestiti, scarpe, uno zaino, borracce. E dopo tutto il vestiario e il suo equipaggiamento fu buttato fuori pure Rizo, nudo come un verme.
- Non ti voglio rivedere mai più! Sparisci! – gridò ancora la donna. Questa uscì di casa armata di mestolo.
Il Pino si coprì le pudenda con le mani e raccolse i calzoni da terra, e appena vide la ragazza avvicinarsi così minacciosamente a lui armata indietreggiò. – Calma, calma, parliamone! –
- Sei un porco! – gli gridò quella di tutta risposta.
Lenn si passò una mano sul viso, seccato. Poi decise che era meglio coprirsi gli occhi per evitare di vedere la scena. – Che figura di merda… -
La folla intorno ai due protagonisti della scenata, intanto, rideva a crepapelle.
La cosa, per fortuna, durò ancora poco. Dopo qualche soddisfacente colpo di mestolo, la donna si ritenne soddisfatta del lavoro fatto e tornò dentro casa sua, dove vi si chiuse.
Le persone cominciarono immediatamente ad andarsene a finire le loro commissioni, mentre Jao e gli altri raggiunsero l’amico nudo.
Rizo li vide solo in quel momento. Sfoderò il sorriso migliore che potesse sfoggiare al momento. – Ehilà, ragazzi! Come va la giornata? –
- Di merda, grazie a te. – gli rispose Lenn, che però continuava a guardare altrove per pudore. – Per l’amore degli Dèi, mettiti qualcosa addosso! –
- Rizo, ma proprio oggi dovevi sparire? Sono ore che ti cerchiamo! – disse Jao, porgendogli la camicia che aveva raccolto.
- Ehi, è stata quella pazza a farmi perdere tempo! Pretendeva che rimanessi ancora lì con lei. Non aveva capito che io volevo solo una cosa. –
- Fai schifo! – esclamò allora la voce di Annah, che non si era ancora fatta adeguatamente sentire. La ragazza, come Lenn, volgeva lo sguardo da un’altra parte; le sue guance erano arrossate da un casto imbarazzo. – Vestiti, ti prego! –
Rizo non poté evitare di punzecchiarla anche in quella situazione. – Sei proprio sicura di volermi vedere vestito? –
Di sicuro il biondo non s’aspettò di ricevere il pugno che, subito dopo, gli colpì la mascella e lo fece cadere a terra. Si ritrovò di nuovo sulla strada sterrata, con Lenn che svettava su di lui e lo guardava in cagnesco, il pugno ancora alzato dopo aver colpito. – Non ti permettere più! -, disse semplicemente.
Si calmò subito dopo, tuttavia non staccò lo sguardo da Rizo. Harù lo prese per un braccio e lo allontanò da Rizo, Chad aiutò l’altro amico ad alzarsi e Jao si mise a raccogliere frettolosamente gli oggetti che c’erano a terra.
Il mezzelfo cercò lo sguardo di Annah. La ragazza lo guardò, insicura, poi si voltò per guardare la gente che passava lì vicino e accelerava il passo vedendo lo strano gruppo con l’uomo nudo.
Lenn non l’aveva mai vista tanto remissiva, quasi sperò che tornasse quella di prima, almeno sarebbe stato certo che stava bene. La vicenda del giorno prima l’aveva impaurita più di quanto avesse immaginato, e non poteva fare altro che osservarla da lontano e continuare semplicemente a recitare la parte della comparsa presente nella sua vita.
Sapeva che Rizo aveva toccato un tasto dolente, per questo gli aveva dato il pugno; non voleva che arrivasse a dire altre oscenità.
Quando il ragazzo tornò con lo sguardo sui suoi amici, Rizo si stava già infilando i calzoni e Harù gli abbottonava la camicia. – Su, sbrighiamoci, abbiamo poco tempo! – diceva l’Orso.
Sollecitati dal tempo che continuava inesorabilmente a scorrere, i ragazzi si affrettarono e in appena un minuto erano pronti a ripartire.
Camminarono a passo spedito e cercarono le vie meno affollate per evitare la calca ed essere rallentati ulteriormente.
Arrivarono al lago a soli cinque minuti dalla partenza, precipitandosi a controfirmare un registro per testimoniare che si erano presentati in tempo.
Il lago era appena fuori dalla città. Era l’unico lago che Lenn avesse mai visto in vita sua, quindi lo trovò grande, ma non sapeva dire se anche gli altri laghi del mondo fossero come quello. Tutt’attorno c’era una rigogliosa vegetazione, ma questa diminuiva sul terreno più distante dall’acqua. Si riusciva a vedere la sponda opposta, e non c’era nulla, quindi il mezzelfo non seppe proprio dire dove si sarebbero dovuti dirigere una volta arrivati a destinazione.
Si guardò attorno per cercare qualche indizio, e la prima cosa che gli saltò all’occhio fu che in un punto preciso del lago, sulla riva, si stava formando una fila di persone pronte per partire. Le Guardie stavano accanto a loro e sembravano aspettare l’arrivo di qualcosa.
Solo qualche secondo dopo Lenn vide che vicino alla riva l’acqua sembrava ribollire, risaliva una grande quantità di bolle d’aria. Annunciati da quello zampillio, dei cavalli tirarono fuori la testa, nitrendo e scalciando.
Il mezzelfo rimase di stucco, non aveva mai visto nulla di simile. Le bestie erano sbucate dall’acqua con naturalezza e ora guadagnavano la riva. Gli animali erano imbrigliati e trascinavano qualcosa. Dietro di loro emerse una sfera dall’aspetto pesante, forse metallica, grande abbastanza per poter contenere una ventina di persone o poco più.
A quel punto Lenn s’aspettò di vedere i cavalli uscire completamente dall’acqua e trascinare quella grande sfera sulla terraferma, ma non fu così. Le bestie si fermarono nei pressi della riva e cominciarono a eccitarsi e nitrire più forte quando videro una guardia avvicinarsi a loro con dei sacchi. L’uomo ne aprì uno e ne tirò fuori il corpo di un uccello spennato, forse una gallina, e lo lanciò ai destrieri. Questi spiccarono all’unisono un salto che li portò quasi completamente fuori dall’acqua, e Lenn poté notare che la parte inferiore del loro corpo aveva le sembianze di quella di un pesce, come per le Sirene.
Brutale fu il modo in cui i cavalli acquatici sbranarono e dilaniarono le carni della carcassa a loro tirata.
Lenn dovette assumere un’espressione disgustata o sorpresa, perché in quel momento Chad gli si affiancò e disse: - Impressionante, eh? –
Il mezzelfo annuì, senza staccare lo sguardo dai cavalli. – Cosa sono? – chiese poi.
- Kelpie. –
Lenn continuò a guardare gli animali mentre venivano sfamati. Avevano i denti aguzzi.
- Non ne avevi mai sentito parlare? – gli domandò Chad.
- No. – rispose il ragazzo dagli occhi neri. – E tu come fai a conoscerli? –
- Oh, dalle mie parti ne è pieno. –
Lenn lo guardò, stupito. - Davvero? –
- Oh, sì. Vivono nei fiumi. Si acquattano tra i canneti e aspettano che uno sprovveduto vada a farsi un bagno o a dissetarsi, e poi lo sbranano. – disse il nero, parlando con la voce dell’abitudine. – Hai presente i coccodrilli? –
Il mezzelfo annuì.
- Beh, loro scappano quando avvertono la presenza di un Kelpie nelle vicinanze. -
Lenn riportò lo sguardo sui Kelpie. Deglutì.
- Però non sbranano chiunque. – aggiunse poi Chad. – Risparmiano i ragazzi e le fanciulle vergini. –
- Sul serio? – domandò Lenn. – Non mi stai prendendo in giro, vero? –
- Certo che no! – rispose il Coccodrillo. – Cos’è, hai paura dei Kelpie? Non ti maciullano mica se sei vergine. Non sei vergine, Lenn? –
Il ragazzo cominciò a ridacchiare e a emettere dei ringhi, imitando una belva feroce.
Lenn emise un brontolio gutturale e guardò altrove, infastidito.
Chad venne interrotto nella sua imitazione da uno scappellotto di Harù. – Piantala con questi versacci, c’è gente. –
Chad si massaggiò la nuca. – Stavo solo dando dimostrazione di che versi emettono i Kelpie mentre dilaniano la loro vittima, e mi venivano pure bene. –
- Piuttosto, che roba è quella? – domandò a quel punto Jao, affiancandosi a Lenn. La Tigre indicò la sfera di metallo che era stata agganciata a delle corde e ora veniva trascinata verso la riva da alcuni soldati.
- Boh. – rispose Harù.
I ragazzi rimasero a guardare in silenzio il lavoro delle guardie, finché non li videro aprire una porta che non avevano notato prima sulla superficie della grande palla. Dentro era completamente cava.
Rimasero interdetti quando videro che le persone che facevano la coda si diressero verso la sfera aperta e vi entravano senza esitazione.
Lenn vide con la coda dell’occhio Jao mentre impallidiva. – Noi dovremmo entrare lì dentro? – domandò quest’ultimo.
- Credo proprio di sì. – gli rispose il mezzelfo, lanciandogli un’occhiata perplessa. – La cosa ti turba? –
Jao scrollò le spalle. – Mica tanto, però… Gli spazi chiusi mi fanno venire l’ansia. –
- Non lo sapevo. Quanta ansia, di preciso? –
- Mentirei se non ti dicessi che sono claustrofobico fatto e finito. – ammise alla fine la Tigre.
- Davvero? –
Jao annuì.
Lenn aggrottò la fronte, cominciò a riflettere su alcuni punti, a ricordare momenti in cui si erano trovati in luoghi particolarmente angusti. – Dèi, - disse, - ma allora come accidenti hai fatto a scendere nei sotterranei di casa mia? –
Jao sorrise, anche se era visibilmente nervoso. – Ero molto motivato. –
Il mezzelfo fece per dire qualcosa, ma poi chiuse la bocca e decise di non aggiungere nulla. Non se la sentiva. Continuava a scoprire di non essere mai abbastanza grato a quel ragazzo, e si chiedeva se sarebbe stato capace di ripagarlo di tutto, un giorno.
Harù s’avvicinò a Jao e gli diede qualche energica pacca sulla spalla che lo scossero da capo a piedi. – Non ti preoccupare, ci saremo noi a incoraggiarti continuamente. Anche perché, se non entri, ti sarai fatto tutta questa strada inutilmente. E io ti voglio a bordo di quella sottospecie di palla di metallo. –
- Anch’io. – disse Chad.
- Anch’io. – aggiunse Annah, portandosi accanto al promesso sposo. – Avanti, salame, ho fatto un sacco di strada in groppa a quei puzzolenti di Grifoni per raggiungerti. Sai, tanto per ricordartelo. Non voglio averti seguito in questa follia a vuoto. –
- Grazie, signorina Annah, voi sì che sapete come consolarmi e incoraggiarmi. –
- Prego, mio caro. – rispose la ragazza con un sorriso affabile.
Lenn, nell’ilarità generale, indirizzò il suo sorriso migliore al Giglio, ma la ragazza lo ricambiò con un cenno del capo imbarazzato, per poi rivolgere lo sguardo altrove e ignorarlo.
Jao sembrava poco convinto.
- Avanti, procediamo. – incoraggiò Harù, prendendo le briglie della situazione.
Tutti lo seguirono. La Tigre era l’ultima della fila. Lenn se ne accorse e rallentò il passo, per affiancarlo.
Jao, osservò il suo sorriso, e ricambiò con una smorfia.
- Non ti preoccupare, quella roba di metallo non ti mangerà mica. – gli disse in modo allegro. Si stava sforzando di apparire scherzoso, nonostante non gli venisse bene. Si convinse che forse prendeva certe cose troppo seriamente, e che avrebbe dovuto lasciarsi andare un po’ di più; forse allora sarebbe sembrato più convincente in situazioni simili a quella.
- Lo so che non mi mangerà, le pareti non mi schiacceranno, l’aria lì dentro continuerà ad esserci, eccetera... Ma a me i posti chiusi mi fanno sentire in trappola. Riesco a dominare la cosa piuttosto bene, di solito, ma oggi quell’affare mi fa venire l’ansia. –
- Credo di capire. –
- Sì? -
- Non so, credo. –
Jao rimase in silenzio.
- Io invece sono abituato agli spazi angusti, c’ho vissuto tutta la vita. –
Jao annuì.
- Ma proprio perché ho sempre vissuto in posti chiusi, ho altri tipi di paure. – continuò il mezzelfo.
La Tigre gli lanciò un’occhiata interrogativa. – Cosa vuoi dire? –
Lenn sorrise, si chinò all’altezza dell’amico e bisbigliò: - Gli spazi aperti mi fanno un po’ paura. Ma non lo dire a nessuno. –
Jao gli rivolse un’occhiata piena di stupore. Poi aggrottò la fronte, rifletté, disse: - Ma per gli Dèi, fin’ora abbiamo viaggiato in un deserto. Più aperto di così si muore. –
Lenn annuì, poi tornò a fissare lo sguardo sul lago.
- Come hai fatto a passare tutto questo tempo nel deserto senza farti prendere dal panico? –
Il mezzelfo accennò di nuovo un sorriso, ma continuò a guardare in avanti. – Ero molto motivato. –
Nessuno dei due se la sentì di aggiungere altro.


Dopo essersi messi in fila, i ragazzi avevano assistito ad altri due carichi di persone. Gli Stregoni entravano uno alla volta in quella enorme sfera galleggiante, che vista da vicino sembrava più un ammasso di tasselli sottilissimi saldati fra loro in modo da formare una palla; poi la porticina venne chiusa da una delle guardie e la gente entrata lì dentro si ritrovò sigillata. Lenn percepiva che Jao era inquieto.
Non poté biasimarlo quando i Kelpie furono spronati e, attaccati alla sfera da delle briglie, si immersero nelle profondità del lago assieme al loro carico umano, ingoiati dalle acque.
Presto arrivò il loro turno. Una guardia sfogliò un registro relativo al giorno in cui avevano dichiarato di essersi iscritti, trovò le loro firme e chiese loro di controfirmare. Quando l’uomo diede il via libera, Lenn e gli altri si diressero verso la riva. Immersero i piedi nell’acqua, camminarono fino alla sfera di metallo. Lì qualcun altro aprì loro la porta.
Il mezzelfo spinse Jao verso l’apertura, e quest’ultimo oppose resistenza puntellando i piedi nella fanghiglia.
- Avanti Jao, aspettano solo noi, sali! – incitò Harù, entrando nell’insolita imbarcazione.
- Fatti forza! – continuò Lenn, spingendo la Tigre, - Dicono che la cura a questo genere di cose è affrontare le proprie paure, quindi entra! –
Jao avanzò e si fermò sulla soglia, aggrappandosi allo stipite della porta. – E’ una trappola subacquea! –
- E tu chiudi gli occhi e fai finta di essere a casa tua. – propose Lenn.
L’amico gemette. – Oh, sarebbe di male in peggio. –
- Entra, Jao! –
Un’ultima spinta più decisa delle precedenti, e Lenn riuscì finalmente a far entrare Jao dentro la sfera, anzi, ce lo fece quasi cadere dentro.
Anche il mezzelfo era irrequieto, l’idea di essere intrappolato in una sfera, sott’acqua e con i Kelpie così vicini non lo entusiasmava affatto; avrebbe preferito qualsiasi altra cosa a quel viaggio. Tuttavia entrò dentro e si affiancò all’amico claustrofobico, poi entrarono Chad e Rizo, e infine lo sportello venne chiuso, lasciandoli al buio.
- Annah? Dove sei? – chiamò la Tigre. Lenn lo poteva vedere abbastanza bene anche nell’oscurità, e aveva un’espressione preoccupata, angosciata.
- Sono qui, Jao. – rispose la bionda, con un tono di voce più comprensivo del solito.
Jao distese le braccia in direzione della voce, e presto le sue dita incontrarono il viso della ragazza.
- Puoi stare qui? –
- Certo. –
A quel punto, la sfera cominciò a muoversi, si sentirono i cavalli nitrire, e la gente immancabilmente perse l’equilibrio a causa dell’improvviso movimento. Anche Lenn si ritrovò a terra, dopo esser stato schiacciato dal peso di Harù. Si sollevarono grida di protesta e bestemmie. Poi tutti quanti tornarono lentamente in piedi, questa volta appoggiandosi alle pareti.
- State bene? – domandò la voce di Chad.
- Sì. – risposero più o meno tutti.
Lenn tastò la parete, in cerca di qualche appiglio, ma non trovò nulla, solo una superficie desolatamente liscia.
- Che merda di situazione. – disse.
- Io già lo sto odiando, questo Torneo. – aggiunse Rizo.
- Comincia a mancarmi l’aria. – dichiarò tutt’a un tratto Jao.
- E’ una tua impressione, rilassati. – rispose Lenn.
Però, se il tragitto sarà troppo lungo, l’aria comincerà davvero a mancare, qui dentro…” pensò il mezzelfo in aggiunta.
In quel momento si sentì un rumore tetro provenire dall’esterno, come un brontolio proveniente dal ventre di qualche bestia enorme. Nella sfera calò il silenzio.
Poi si avvertì un colpo sordo e delle grida di sorpresa. – C’è una falla! – esclamò qualcuno.
Neanche il tempo di aggiungere altro, e scoppiò il panico.
- Aiuto! –
- Affogheremo! –
- L’acqua sale! –
Lenn udì un altro suono, ma non riuscì a capire di che si trattasse, c’era troppo chiasso. Poggiò una mano sulla parete, e la sentì bagnarsi completamente. C’erano altre falle. Non poté fare a meno di sbiancare e pensare al peggio.
- L’acqua arriva alle caviglie! – gridò una donna.
Il rumore dell'acqua che scorreva dentro si fece più forte, e presto le persone ritrovarono bagnati fino alle ginocchia.
Lenn si voltò a guardare i suoi amici. Harù, Chad e Rizo si guardavano attorno spaesati, non sapevano che fare. Non vedevano altro che il buio, qualche sagoma al massimo, e si spostavano a tentoni per non finire addosso alle altre persone.
Jao e Annah non facevano più niente, stavano immobili vicini alla parete, abbracciati. Il Giglio sembrava tranquillo, Jao si guardava attorno; aveva l'espressione di un che vede, e Lenn trovò strano che l'amico, essendo solo un Umano, potesse distinguere qualcosa in quel buio totale. Era serio, fissava la porta della loro prigione subacquea.
Il mezzelfo in quel momento sentì vibrare i pannelli di metallo sotto le dita, e capì cosa sarebbe successo di lì a poco.
Corse da Jao ed Annah, si strinse a loro, poi gridò a pieni polmoni: - Trattenete il respiro! –
Una paio di secondi, e i contorni della porta della sfera s’illuminarono; poi lo sportello si staccò completamente e l’acqua entrò dentro la loro prigione di ferro con una forza inaudita.
Lenn non poté far altro che inspirare e farsi travolgere.
La presa sui suoi due amici si allentò, poi l’acqua glieli portò via con forza.
Aprì gli occhi per vedere se poteva uscire dalla sfera, se c’era ancora speranza.
Ma tutto ciò che vide fu solamente una distesa bianco latte. Il mondo non c’era più.
Un pensiero lo fulminò: “Sono di nuovo morto?

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Capitolo 39
*** Capitolo 10 - Sailam, la Mangiasogni, la Prova (Parte IV) ***


[NdA: Ciao! Ecco qui una nuova e luuuuuuuunga parte di capitolo, l'ultima del 10, a esser precisi. Ma sembra un papiro solo perché è piena di dialogo, scorre abbastanza in fretta, mi dicono. Un po' di approfondimento sui pensieri di Lenn, nel caso non se ne avesse avuto abbastanza, e il passaggio a una nuova parte della storia. In generale, penso alla storia come due grandi blocchi divisi da questo capitolo 10, che fa da intermediario. Quindi dopo questa parte inizierà il capitolo che aprirà la seconda parte della storia. Mentre nella prima parte accadevano poche cose ma il paesaggio e le avventure erano varie, che cambiavano a seconda delle ambientazioni, nella seconda parte l'ambientazione è stazionaria ma accadono molti eventi tutti concatenati tra loro. Lenn, finora, da emo kid sociopatico e misantropo è riuscito a evolversi in qualcosa di più socialmente tollerabile e ha dimostrato di voler intessere delle relazioni con le persone che gli stanno vicino e a cui ora tiene (evidente anche nella parte che segue!), ma la sua trasformazione da qui in poi sarà non meno faticosa, anche se più radicale. Se in positivo o in negativo è tutto da vedere. E ci saranno interessanti risvolti anche per quanto riguarda gli altri personaggi, nessuno escluso! (E magari ci sarà qualche nuova entrata nel cast... Ma acqua in bocca.)
Ma basta con i preamboli e buona lettura! :D]


Capitolo 10
Sailam, la Mangiasogni, la Prova
Parte IV




Lenn smise di trattenere il respiro e lasciò rifluire l’aria dentro ai polmoni. Poteva respirare.
L’acqua era completamente sparita. I resti della sfera di metallo non c’erano più. I suoi amici si erano dissolti nel nulla. Tutto il mondo sembrava essersi fuso per poi regredire e raggiungere l’annullamento definitivo.
Il mezzelfo sbatté ripetutamente le palpebre, ma non riusciva a vedere altro che quella distesa bianca che non aveva forma, non aveva limiti, forse non era nemmeno.
Ad un certo punto, Lenn pensò di essere diventato cieco. Ma esisteva una cecità bianca? Si sentiva quasi risucchiato da quel candore che cercava di annullarlo come era successo al resto del mondo, ma poté ritrovare un filo di coscienza quando abbassò lo sguardo e vide il suo corpo.
Dunque non era cieco. Poteva vedere distintamente le sue mani, la sua camicia, i piedi e tutto ciò che faceva parte di lui. Ma dov’era il resto?
Sono morto?” si chiese ancora il ragazzo, ma non riuscì a darsi risposta. La morte consisteva nell’esistere in un universo completamente bianco?
Lenn si guardò ancora attorno, ma cominciava già a perdere il senso dell’orientamento, non riusciva a capire se in effetti si stava girando oppure no.
E’ questo il regno dei morti?
Decise di fare qualche tentativo per verificare se le cose stavano così.
- Mamma! – chiamò.
Ma non arrivò risposta. Non ci fu nemmeno un rimbombo, o un’eco, il suono della sua voce non sembrò nemmeno propagarsi nell’aria, assorbito da quella massa bianca consistente e inconsistente allo stesso tempo.
- Papà! –
Niente.
Lenn scrollò le spalle. “Beh, almeno mi sono tolto la soddisfazione di chiamare i miei genitori senza sembrare uno scemo
Subito dopo aver formulato quel pensiero, sulla linea dell’orizzonte, perché ora c’era un orizzonte, apparve una massa verde che si dirigeva a gran velocità verso il mezzelfo. Qualche secondo dopo la massa verde passò sotto i piedi del ragazzo, che ritrovò finalmente un suolo su cui appoggiarsi.
Lenn si chinò sulla distesa verde e con mano la tastò, poi strappò alcuni fili d’erba; si alzò in piedi e se li passò fra le dita, esaminandoli.
Con la coda dell’occhio vide al di sopra di sé estendersi una chiazza di colore azzurro che si espanse lungo tutto lo spazio bianco restante, e divenne cielo. Apparve anche il sole e qualche nuvola bianca, che si muovevano lentamente.
Una folata di vento investì il mezzelfo e gli scompigliò i capelli.
Che razza di posto è questo?” si chiese, anche se non poté fare a meno di sentirsi incuriosito e affascinato da ciò che gli accadeva attorno.
Realizzò soltanto in un secondo momento di trovarsi in una pianura completamente deserta e senza ripari.
Lenn si sentì improvvisamente a disagio e si accucciò a terra, poi piegò la schiena in avanti per assottigliarsi lungo il terreno. Si sentiva troppo allo scoperto; oltre all’erba non c’era nulla, nessun riparo da possibili pericoli.
Si sentì rizzare i capelli in testa, i muscoli irrigidirsi. Si guardò attorno, ma non c’erano segni di vita, non c’era nulla. Ed era proprio quella mancanza di un’entità definita da cui guardarsi le spalle che lo innervosiva, non aveva riferimenti. Sentirsi catapultato senza preavviso in uno spazio così aperto lo aveva portato a perdere il solito autocontrollo a cui aveva ricorso così spesso durante il suo viaggio nel deserto.
Rimase paralizzato per secondi interminabili, col viso rasente al terreno, pronto a percepire qualunque rumore o movimento che si sarebbe potuto manifestare. Ora si ricordava cosa si provava di fronte a qualcosa che fa paura in modo irrazionale, e gli sembrò di sentire a pelle il terrore che aveva percepito in Jao nel momento in cui era dovuto entrare a forza nella sfera di metallo. Ma ora dov’era finito il suo amico claustrofobico?
- Jao! – chiamò il mezzelfo, a pieni polmoni.
Si guardò ancora attorno, ma sapeva che non sarebbe comparso nessuno.
- Harù! Chad! –
Non potevano essere spariti tutti; anche solo il fatto che lui si trovasse in quel posto era privo di ogni senso.
- Annah…? –
Nemmeno l’esile figura del Giglio sembrava comparire all’orizzonte.
- Perché gridi, mezzelfo? –
Lenn si bloccò appena sentì la nuova voce. Si guardò attorno, ma non vide nessuno; non era nemmeno sicuro di aver capito da che direzione fossero provenute quelle parole.
- Chi va là? –
Nessuna risposta.
Allora a quel punto il mezzelfo si fece coraggio e si alzò in piedi, estrasse la katana che teneva infoderata al fianco, e si mise in posizione d’attacco.
- Sono armato. Fatti vedere, o… -
- …”O” che cosa? – lo interruppe la voce. – Menerai fendenti all’aria fino allo sfinimento? –
Lenn aggrottò la fronte, turbato.
- Metti via la spada, mezzelfo, qui non ti servirà a nulla. –
Di tutta risposta, il ragazzo strinse ancora più forte l’elsa della katana. – “Qui” dove? Dove mi trovo? –
- In un posto che dovresti conoscere molto bene… – gli rispose la calda voce, quasi in tono divertito.
Detto questo, davanti a Lenn l’aria sembrò ribollire, e pian piano si andarono a formare i contorni del viso di una persona, poi il resto del corpo; all’inizio il nuovo arrivato era quasi trasparente, ma dopo poco ottenne consistenza e prese definitivamente la forma di un Elfo, con tanto di orecchie lunghissime e ingioiellate a dovere.
Lenn non si scompose e rimase con la katana sguainata, in attesa.
L’Elfo gli rivolse un sorriso. Quel viso dall’età indecifrabile non gli piaceva. Il mezzelfo lo trovò inquietante; aveva i capelli biondi, come molti Elfi, ma il colore dei suoi occhi era nero, colore per niente comune tra gli individui di quella razza, a quanto Lenn ne sapeva. L’abbinamento del biondo e del nero gli ricordò Annah. Trovò fuori luogo pensare a lei in una situazione del genere, così scacciò quel pensiero.
- Allora? Che razza di posto è questo? – insistette.
- E’ la tua mente, sciocco. -
Lenn non si aspettava una risposta del genere. Abbassò la spada e diede ancora un’occhiata in giro. – Com’è possibile? – si domandò ad alta voce. Poi si rivolse all’Elfo: - Sei un Mangiasogni. –
- Perché fai domande a cui ti rispondi da solo? –
Lenn scrollò le spalle. – Mi hai ricordato una persona. –
Questa volta fu l’Elfo a sembrare stupito. – Conosci altri come me? –
- Sì, una ragazza. – rispose il mezzelfo. – Ma quando lei è entrata nella mia mente, era tutto un po’ diverso… Io e lei avevamo lo stesso corpo. -
- Questo perché quella era di sicuro una dilettante, capace di fare ben poco. – rispose in modo sarcastico lo sconosciuto.
In quel momento, Lenn decise che quel tipo non gli piaceva neanche un po’. Il solo fatto che avesse parlato in quel modo di Annah lo aveva profondamente turbato. Ciò lo fece mettere sulla difensiva. – Insomma, chi sei? –
L’Elfo ridacchiò, poi staccò magicamente i piedi da terra e iniziò a fluttuare nell’aria. – Mi chiamo Fanir. – disse, e accennò un inchino. – Umilissimo Re degli Elfi. –
Lenn rimase sorpreso da quella rivelazione, tuttavia decise di non mostrare il suo vacillamento e mantenne la stessa espressione arcigna.
Fanir interpretò male il suo silenzio. – Che c’è? Non ti fidi? – domandò, con un sorriso strafottente sulle labbra. – Vuoi che ti faccia vedere il mio tatuaggio? –
Lenn s’affrettò a scuotere la testa. – No, grazie. Vi credo. –
Il re ridacchiò. – Oh, adesso mi dai addirittura del Voi? –
Lenn ricambiò con una smorfia. – Pensavo si dovesse usare il Voi per chi sta più in alto nella casta. Ma se proprio volete, posso darvi della Merda. –
L’Elfo di tutta risposta rise di gusto, e questo Lenn non se lo aspettava. – Impudente fino al midollo, incredibile! Ringrazia che non sono Kaloshi, altrimenti te la saresti vista brutta. Sei un disastro ambulante, mezzelfo. –
Ma lo Stregone non trovava nulla di divertente in tutto ciò. – Smettetela di chiamarmi così. –
- Così come? –
- Mezzelfo. –
- Perché? – domandò allora l’Elfo, smettendo di ridere. – E’ quello che sei. O preferiresti essere chiamato “mezzumano”? Lasciami dire che suona malissimo. Ma mai quanto “mezzuomo”! Sembra addirittura debilitante! –
Lenn digrignò i denti, infastidito da quel tono canzonatorio.
- E’ inutile che provi a nascondere ciò che sei, io so tutto di te dal momento stesso in cui sono entrato nella tua mente. –
- Non mi piace l’idea che mi si frughi nella testa senza il mio consenso. –
- Non importa, l’ho fatto comunque. –
- A che pro? Vi piacciono le storie truculente? –
- Proprio no. Però devo ammettere che hai tanti scheletri nell’armadio interessanti, mezzelfo… -
- Smettetela di chiamarmi mezzelfo. Vi prego. – continuò Lenn, a denti stretti. Stava cominciando a perdere la pazienza, con quello lì.
- E come dovrei chiamarti? Quale nome posso utilizzare? –
- Lenn. –
- Solo Lenn? –
- Così mi piace essere chiamato. –
- Perché? –
- Perché ho chiuso col passato. Punto. -
L’Elfo si distese nell’aria, come se fosse sdraiato su qualcosa, e fece spallucce. – Contento tu… -
Il ragazzo sospirò di sollievo. Poi decise di ripartire alla carica. – Ma non perdiamo il filo del discorso: perché vi trovate nella mia testa? –
Questa volta fu il turno di Fanir per sospirare. – E’ complicato… E’ più una faccenda burocratica, comunque. –
Lenn incrociò le braccia. - Spiegatevi meglio. Ho tutto il tempo del mondo. –
Fanir fece roteare gli occhi, evidentemente in disappunto. – Uff, facciamola breve… Io, siccome sono l’unico dei due re di Argeth ad essere un Mangiasogni, ho l’incarico di entrare nella mente degli aspiranti concorrenti del Torneo per rovistare nelle loro teste. Guardare tutte le loro vite serve a capire chi sia più idoneo a diventare re. Chi non lo è lo mandiamo a casa. –
Lenn trovò un che d’inquietante in quella faccenda. Non si era nemmeno accorto che l’Elfo gli era entrato nella testa, quindi doveva essere un Mangiasogni davvero potente. – E dunque, tagliamo corto. Sono idoneo o no? –
Fanir ridacchiò. – Ovviamente no. –
- Perché sono un mezzelfo? –
- No. –
- Perché non ho un Clan? –
- Nemmeno. –
- E allora perché? – sbottò Lenn. Non lo sopportava più, poco importava se quello era il re che poteva decidere le sue sorti.
- Semplicemente, non saresti mai in grado di avere una carica del genere. – disse Fanir, alzando le mani in segno di resa.
- Io sono convinto del contrario. –
- Beh, è normale. Ma tu non ti sai nemmeno gestire da solo, e il popolo in questo momento è in una posizione instabile e piena di tensione. Gli serve un capo che lo sappia governare; il problema della razza, io e Kaloshi lo abbiamo detto spesso in passato, non ha più importanza. Per questo abbiamo indetto il Torneo. –
Lenn si sentì punto sul vivo. Forse non era ancora pronto per diventare re, questo era vero, ma sapeva di avere le carte in regola per diventarlo, e confidava nelle sue abilità magiche per sbaragliare gli altri avversari. Non disse nulla di tutto ciò, e si limitò a tastare il terreno su cui stava giocando. – Ho fatto tanta strada per arrivare fin qui, troppa. Non posso tornare indietro così, senza aver nemmeno provato. E anche se dovessi accettare di lasciar perdere, non vedo alcun vantaggio per me. Ci ho messo più di un anno per arrivare a destinazione, ho versato sudore e sangue; non voglio andarmene a mani vuote. –
- Ed ecco dove volevo che arrivassi! – disse a quel punto l’Elfo, facendo una piroetta nell’aria. – Questa è la proposta che facciamo a tutti quelli a cui chiediamo di tornare indietro: tu vai, noi esaudiamo un tuo desiderio. –
Lenn inarcò un sopracciglio, perplesso. – Un desiderio? –
- Esattamente! Tu chiedi, e avrai. –
Il ragazzo rimase in silenzio per qualche secondo, a riflettere. - …Che genere di desiderio? Proprio tutto ciò che voglio? –
- Uhm, beh, più o meno. – rispose il re, storcendo la bocca.
- Ah, ecco, c’è la fregatura. –
- Più che altro, si tratta di restrizioni… -
- Ad esempio? –
L’Elfo sbuffò. – Sei tra le persone più noiose che abbia mai conosciuto. Gli altri, alla notizia che avrebbero potuto esprimere un desiderio, avevano fatto i salti di gioia… -
- Non sono proprio quel tipo di persona, mi dispiace. Cos’è che non potete fare? –
Fanir rifletté un poco, poi disse: - Beh, ad esempio, non possiamo far tornare in vita le persone morte. Ovviamente. E non tirare fuori la storia dei Sigilli o altri sortilegi, non ho la minima intenzione di legare la mia anima ad uno sconosciuto. -
- Che peccato. A me avrebbe fatto proprio comodo, mi sarei levato dai piedi immediatamente. – rispose in tono ironico il mezzelfo.
- Eh, lo immaginavo… - rispose con lo stesso tono il re. – Ma suvvia, fai una richiesta! Ti dirò io se è fattibile o no. E prendi la cosa seriamente. –
A Lenn diede fastidio essere redarguito in quel modo, tuttavia non rispose. Decise di mettersi a riflettere in modo serio. Non aveva la minima intenzione di mollare, però tanto valeva provare a pensare a cosa gli sarebbe piaciuto avere e fare contento il re.
Cos’avrebbe voluto di più al mondo? Non è mai facile individuare una cosa per la quale rinunceresti tutto, e pure in così poco tempo a disposizione.
Cosa lo avrebbe potuto convincere a ripercorrere i suoi passi?
Lenn sentiva di non volere alcun bene materiale. Non aveva mai posseduto nulla, in vita sua, e aveva imparato a vivere con poco, a farsi bastare il minimo indispensabile. Sapeva che se la sarebbe cavata anche senza l’aiuto di Fanir.
Quindi ora la domanda che si faceva cambiava formula, e da cosa diventava chi.
Di chi avrebbe potuto aver bisogno? Chi avrebbe voluto rivedere?
I suoi genitori purtroppo erano morti, e quindi l’Elfo non avrebbe potuto farci niente. Ma tanto non era neanche sicuro di averli voluti conoscere veramente; una volta avuti davanti, che cosa avrebbe potuto dire loro? Non li conosceva; era triste dirlo, ma per lui erano come degli estranei. Si sarebbe sentito solamente in imbarazzo davanti al padre e alla madre, conscio di avere in comune con loro solamente il sangue che gli scorreva nelle vene. Erano stati dei genitori solamente per Lia.
Lia…
Quel nome gli rimbombò nella testa. La sua sorellastra era l’unica persona che lui volesse veramente rivedere. Voleva sapere come stava, dov’era, se era ancora viva. Nessuno era più importante di lei, in quel momento. Tuttavia, provava un forte senso di paura, al pensiero della verità. Temeva di scoprire solo cose dolorose, cose che non avrebbe potuto sostenere.
Aveva avuto l’opportunità di sapere dove la ragazza si trovasse quando Chad aveva comprato lo specchio con chiuso dentro Azdrakiraki. Era rimasto a fissare il suo riflesso a lungo, non trovando il coraggio di evocare l’Oracolo e chiedergli di mostrargli dove fosse sua sorella.
E se fosse morta?” si era chiesto per ore. Non aveva mai avuto tanta paura quanto in quei momenti interminabili.
E se fosse viva? Non potrei nemmeno andare ad aiutarla, sono in mezzo al nulla e non conosco Argeth abbastanza bene…
Ogni opzione sembrava potesse solamente portarlo a vivere un senso di impotenza che odiava.
Così, non essendo abbastanza pronto a delle verità del genere, aveva deciso di lasciar perdere e rimandare la domanda fatidica all’Oracolo. Il giorno dopo, però, aveva scoperto che Azi non era in grado di sapere dove si trovassero le persone distanti oltre un miglio di distanza dallo specchio in cui era chiuso. In un solo momento erano sfumate paure e speranze. Si ritrovava punto e a capo.
Però ora gli veniva offerta l’occasione di poter esprimere un desiderio e forse vederlo esaudito. Non voleva altro che ricongiungersi con la sua sorellastra. Avrebbe rinunciato a diventare re. Forse non avrebbe più visto Jao. Però sapeva che l’amico l’avrebbe perdonato.
Il mezzelfo decise che non se la sentiva di mollare per nessun altro motivo. Così disse: - Vorrei rivedere mia sorella, Lia. –
Il re vestito di stracci lo osservò a lungo, serio. Aveva smesso di volteggiare nell’aria, rimaneva in quella strana posizione prona che gli dava un’aria poco carismatica. Ma in generale, quel tizio aveva ben poche caratteristiche tipiche delle persone di alto lignaggio.
- Come mai vuoi rivederla? – chiese tutt’a un tratto.
Lenn aggrottò la fronte. – Ma che domanda è? –
L’Elfo alzò le spalle. – Una come tante. Perché la rivuoi, dopo tutto quello che è successo? –
Il mezzelfo si sentì turbato dal fatto che il re potesse sapere tutto della sua storia passata, semplicemente perché si trovava lì, a contatto con la sua mente. C’erano ricordi che avrebbe preferito non fossero visti da nessuno. - Con tutto il rispetto, non sono affari vostri. –, rispose.
- Non mi va di entrare ancora più a fondo nella tua testa. –
- E a me non va di dirvi tutto ciò che penso. –
L’Elfo distolse lo sguardo, pensando a chissà cosa. – Uhm… -
Si mise in posizione seduta, poi cominciò a scendere fino a toccare il terreno, smettendo di fluttuare. Senza alcun gesto, alle sue spalle si materializzò un albero in fiore, una piccola quercia. Senza battere ciglio vi poggiò la schiena contro.
- Allora? – incalzò Lenn.
Fanir si stiracchiò per bene; poi, quando si ritenne soddisfatto, disse: - Beh, dimmi dove si trova adesso la ragazza, e te la farò portare. O porterò te da lei, è uguale. –
Lenn per un attimo non credette alle parole che aveva appena sentito. Rimase ammutolito per qualche secondo, ma poi si riprese. – Io non ho la più pallida idea di dove sia! –
L’Elfo lo guardò, accigliato. – Non sai dov’è? E io come faccio, per gli Dèi, a sapere al posto tuo dove si trova tua sorella? –
Lo Stregone cominciò a sentir montare il disappunto, che di lì a poco sarebbe diventato rabbia. – Pensavo poteste farlo, io cosa ne so? Voi avete detto chiedi, e io ho chiesto! –
Ci fu una breve pausa, dopo la quale Fanir disse: - Uhm, penso tu abbia ragione. –
Lenn non si sentì affatto sollevato da quell’informazione.
- Una tra le altre cose che non posso fare, è portare le persone dai cari di cui non sanno la posizione. Insomma, Lenn, io non ti conoscevo fino a pochi minuti fa! Tutto ciò che so di te è ciò che ho letto nella tua mente, posso basarmi solo sui tuoi ricordi. Non posso portarti da tua sorella se non sai dov’è. –
Lenn digrignò i denti, frustrato. – Ma allora che desideri esaudite? Chi vi chiederebbe mai di essere portato da qualcuno che sa già dov’è? -
- Molta gente. – rispose l’Elfo. – Non hai idea di quante persone siano già arrivate fin qui dopo un lungo viaggio, come te, e che alla prima occasione hanno chiesto di riavere al loro fianco i parenti o gli amici. Giocandosi la possibilità di partecipare al Torneo, ovviamente. –
- Non vedo il senso in tutto ciò. – rispose il ragazzo.
- Non ci dev’essere per forza un senso. Rimugini troppo sulle cose, quando le persone invece sono per natura istintive e imperfette. -
- Vorrei capire, ma non ci riesco. – ammise Lenn.
- Non posso stare qui a farti lezioni di vita, ho altro da fare. – disse a quel punto il re. - Il punto è che anche tu avresti rinunciato a tutto pur di rivedere tua sorella. L’unica cosa che ti ha impedito di mandare tutto in malora è il fatto che non ti è possibile raggiungerla. –
- Non è la stessa cosa. – rispose il mezzelfo in tono offeso. – Io Lia non ho idea di dove sia, né se sia viva o morta. E quando me ne sono andato lei non era proprio in una bella situazione. –
- E’ un problema tuo, se ci tenevi non te ne andavi. –
Lenn si zittì. Non disse che non se n’era andato di sua spontanea volontà, ma era stato portato via quando era svenuto. Se fosse stato per lui, avrebbe combattuto fino alla morte contro suo zio. Era quello che gli era stato insegnato, non riusciva a tirarsi indietro, di fronte ai fatti. Però, a causa della schiena, non era stato in grado di tornare indietro in tempo, e quando aveva raggiunto la forma fisica per poter tornare a casa, ormai aveva oltrepassato i Monti Bezor; aveva dovuto ammettere che non sarebbe mai stato in grado di sopravvivere ad un’altra traversata delle montagne, da solo.
Invece di esporre tutto ciò, ricacciò il groppo in gola che gli era venuto e disse: - Allora, se non mi potete offrire nemmeno ciò, io non ho altro da chiedervi. Voglio proseguire, voglio partecipare al Torneo, è un mio diritto. –
Fanir ridacchiò. – I Senza Clan non hanno diritti. –
- Allora perché continuate a prendervi gioco di me? – rispose il mezzelfo, nel modo più garbato che gli venne in mente. Avrebbe voluto impalarlo a quell’albero all’istante; peccato però che fossero solo in una specie di sogno, e quindi non avrebbe potuto uccidere l’Elfo.
- Non mi prendo gioco di te. Io voglio davvero farti partecipare al Torneo, ma prima devo provare a convincerti a farti ritirare dai giochi, perché saresti dannoso all’interno del sistema. –
- Questo mi lusinga. –
- Non fare il sarcastico e portami rispetto. –
Lenn accettò l’imposizione e cambiò argomento. – Io lo ripeto: non voglio altro. Non potete esaudire desideri che non ho. –
- Oh, su, non prendiamoci in giro. – disse allora Fanir, risollevandosi da terra con un volteggio. Sembrava divertirsi, mentre fluttuava. – Ogni uomo ha un desiderio. A volte non sa nemmeno di averlo, ma ce l’ha. Tu non sei d’eccezione. –
- Io non credo di volere chissà quale desiderio irrinunciabile. –
Il re ridacchiò. – Vorrà dire che dovrò sbattertelo in faccia io stesso. –
Detto questo l’Elfo, con un gesto della mano, fece sparire la piccola quercia dal prato, e di essa non rimase più nulla.
Dopodiché Fanir volteggiò e inscrisse dei cerchi nell’aria, raggiungendo un’altezza sempre più maggiore. Quando si trovò largamente al di sopra di dove arrivasse la testa di Lenn, protese una mano in avanti e la scrollò. Da essa partì un raggio luminoso che andò a toccare la terra sottostante; questo raggio si divise in due, acquistando la forma di un ovale.
Doveva essere un varco, perché nello spazio tra i due fasci di Luce non si vedeva il paesaggio, ma uno spazio completamente bianco.
Poi quel biancore ultraterreno svanì, e al suo posto comparve all’interno del varco una superficie riflettente.
Lenn si ritrovò a fissare la sua immagine, che gli restituiva un’occhiata stranita. Dopo poco distolse lo sguardo, ancora turbato dal vedere la figura di una persona completamente diversa da come se l’era immaginata. Si chiese se mai ci avrebbe fatto l’abitudine, al suo aspetto.
- Non riesci nemmeno a guardarti in faccia e accettarti, figuriamoci se sai davvero guardarti dentro e sapere cosa desideri di più. – commentò freddamente l’Elfo.
Lenn non rispose.
Fanir a quel punto scosse la mano che teneva ancora levata sul varco, e questo fece svanire l’immagine riflessa del mezzelfo, per lasciare spazio ad un paesaggio.
- Dai un’occhiata. – disse il re.
Lenn obbedì, sollevando la testa. Oltre il varco vide una collina verdeggiante, alta e ripida. Nascosta alla vista di sguardi indesiderati, tra le rocce, c’era anche un’abitazione la cui sola vista fece accapponare la pelle al ragazzo. Non rivedeva la sua vecchia casa da più di un anno, ormai. Quel posto per lui non ricordava altro che episodi spiacevoli.
- Di solito proponiamo ai pretendenti di riportarli a casa dai propri cari, in cambio della loro resa. – disse il re. – Ma questo non penso che sia il tuo caso… -
- Un momento… - disse il mezzelfo, dopo aver scacciato i brutti ricordi, - Mi puoi mostrare la mia schifosissima casa, e non puoi nemmeno farmi vedere Lia per sapere almeno se sta bene? –
Fanir storse la bocca, forse infastidito dal dover dare al mezzelfo così tante spiegazioni. – Posso mostrarti solo ciò che hai nella testa, non mi contraddico. Questa è un’immagine residua del luogo in cui vivevi, un ricordo. –
Lenn non poté fare a meno di sentirsi deluso.
- Ma non è questo il punto! – aggiunse improvvisamente l’Elfo.
Con un altro gesto della mano, il re fluttuante chiuse il varco, facendo sparire anche l’immagine della casa di Lenn. Poi i fasci di Luce si divisero di nuovo, per mostrare un nuovo paesaggio. Si trattava sempre di una collina, ma d’oro; una enorme quantità di monete e gioielli accatastati uno sull’altro fino a formare una piccola montagna.
- E se ti proponessi le ricchezze degne di uno come me? – propose la voce sibillina di Fanir.
Lenn aggrottò la fronte, e lasciò trasparire un’espressione più che schifata. – Non me ne faccio niente di quella roba lì. – rispose, rivolgendo lo sguardo al suo interlocutore.
- Tutti gli uomini del mondo aspirano a una vita ricca. –
- Io no. –
- E come mai? –
Lenn scrollò le spalle. – Non ho mai posseduto denaro e ho vissuto benissimo comunque. Non saprei nemmeno come spenderlo, mi basta poco per sopravvivere. –
- E non ti piacerebbe smettere di sopravvivere e incominciare a vivere? –
Il ragazzo rimase turbato da quella domanda. – Al momento non posso oziare e occuparmi di cose che mi servono poco, voglio concentrarmi sulle cose più importanti. Come continuare a sopravvivere, e di conseguenza combattere al Torneo. Tieniti il tuo denaro e fammi partecipare. –
Fanir fletté le lunghe orecchie all’indietro, infastidito. – Non è facile comprarti. –
- Il mio libero arbitrio non ha prezzo. –
- Ma se ti sto proponendo di scegliere quello che vuoi avere! –
- Voi mi state imponendo di rinunciare al Torneo. –
L’Elfo fece roteare gli occhi, infastidito. – Te lo concedo. –
Soddisfatto di quella piccola vittoria verbale, Lenn osservò mentre il re degli Elfi chiudeva e riapriva il varco su di un nuovo paesaggio.
Lo Stregone guardò cosa fosse apparso di nuovo, e vide un posto identico a quello in cui si trovava in quel momento: un infinito prato verde sovrastato da un cielo terso. Vide se stesso, in piedi davanti a lui, nella medesima posizione; l’unica differenza tra i due mezzelfi era che quello oltre il varco aveva le orecchie allungate come quelle degli Elfi.
Lenn rimase interdetto e storse il naso alla vista di quelle indesiderate suppellettili. Seguendo il suo umore, le orecchie del ragazzo oltre il varco si piegarono all’indietro, come se fossero appartenute ad un animale.
Il mezzelfo, vedendo quello scatto, portò istintivamente le mani alle orecchie per tastarle. Ma era tutto a posto, non era diventato un Elfo; le orecchie lunghe le aveva solo il riflesso.
- Allora? Ti piaci con le orecchie da Elfo? – domandò improvvisamente Fanir. Sembrava curioso di sapere la risposta del mezzelfo.
- No. –
- Perché? –
Lenn si squadrò ancora una volta, sentendosi ridicolo. – Sembro uno scemo, con queste cose lunghe e ridicole. Senza offesa. –
- Oh, figurati. – rispose l’Elfo, facendo un cenno col capo. – Ma prova a pensare ai vantaggi che potrebbero avere delle orecchie così. Insomma, non posso renderti completamente Elfo o completamente Umano, ma di sicuro quelle cose lunghe e ridicole renderebbero il tuo aspetto un po’ meno… ambiguo. –
- Ambiguo? –
- Sì, ambiguo è la parola giusta. –
- Perché? –
Il re fece schioccare la lingua. – Beh, avrai di sicuro notato che assomigli molto ad uno della mia razza. A furia di fissarti, forse un giorno qualcuno tra la folla farà due più due e penserà che non esistono Umani che assomigliano in modo così palese agli Elfi, non per caso, almeno. –
- Finora nessuno ci ha mai fatto caso. –
- Finora hai frequentato posti pieni di ignoranti pellegrini analfabeti. Chi lo sa che uno più sveglio un giorno non t’accusi di essere un mezzelfo? –
Lenn sbuffò. – State cercando di vendermi le orecchie? –, disse, indicandole con le dita.
- Non vendertele, regalartele. –
- In cambio di rinunciare al Torneo? –
- Uhm… Sì. –
- E allora è una vendita bella e buona, anche se sotto forma di scambio. –
- Quanto sei noioso! –
- Non voglio che mi si prenda in giro. –
Fanir sbuffò. – Allora le orecchie lunghe le vuoi o no? –
- No. –
- Sei uno stupido, mezzelfo! Ti scopriranno e ti linceranno! –
- Non m’importa. Voglio solo partecipare al Torneo. –
Re Fanir a quel punto chiuse improvvisamente il varco, infastidito, e il mezzelfo dalle orecchie a punta cessò di esistere. – Ti pensavo più furbo. –
- Vi siete fatto un’idea troppo positiva di me. –
- No, è che ormai non accetteresti nessuna offerta, per principio! Un mulo sarebbe più accomodante di te. –
Lenn scrollò le spalle.
- Ma tanto lo so che ora cederai. – disse allora l’Elfo, d’un tratto più rilassato.
Il mezzelfo sollevò un sopracciglio, perplesso. – Perché dovrei? –
- Ho lasciato la chicca per ultima. – ridacchiò il re, e in quel momento Lenn cominciò ad aspettarsi il peggio.
Tuttavia il ragazzo cercò di continuare a sembrare sicuro di sé. – Dubito che funzionerà più delle orecchie. – disse in tono di scherno.
Fanir gli rivolse un sorriso obliquo. – Giudica tu stesso. –
Detto questo il re, che fluttuava ancora nell’aria, schioccò le dita e fece riaprire per l’ultima volta il varco. Da esso scaturì una luce intensa, accecante, e Lenn dovette farsi schermo con le mani per non chiudere completamente gli occhi a quella vista.
- Lenn del Clan di Nessuno, ti presento il tuo vero desiderio. –
Il ragazzo non seppe perché, ma gli venne la pelle d’oca, a sentire quell’affermazione.
La luce si attenuò pian piano, fino a rendere visibile una sagoma che avanzava verso di lui. La figura sinuosa oltrepassò il varco con una lentezza poco naturale, e poi camminò alla stessa andatura verso di Lenn. Infine, il varco si richiuse, rivelando l’identità di chi ora stava a pochi passi dal mezzelfo.
Lenn non poté far altro che deglutire, e non fu nemmeno sicuro se gli si stessero imporporando le guance o se il viso stesse perdendo velocemente colore. Si sentiva imbarazzato; provava vergogna perché il re Fanir era entrato così a fondo nei suoi pensieri da poter scoprire i suoi desideri più intimi, quelli che avrebbe preferito non rivelare a nessuno. Si sentiva anche sorpreso; nella sua ingenuità, non aveva mai veramente considerato un desiderio ciò che aveva davanti, almeno fino a quel momento.
- Ciao. – gli disse la persona che ora aveva davanti.
- Ehm… Ciao…? – rispose lui, esitante.
Poi calò un silenzio tombale. Lenn si perse nella contemplazione dei capelli corti e dorati, gli occhi neri e magnetici, la pelle chiara e liscia, il corpo snello e aggraziato di Annah. Vederla in quel posto e in quella situazione gli suscitò un profondo senso di amarezza. La verità lo feriva con più crudeltà della lama di una spada.
Sospirò e rivolse lo sguardo altrove.
Fanir invece sembrava di buonumore, volò vicino a lui e fluttuò al suo fianco. – Beh? Non dici più niente? –
Seguirono alcuni secondi silenziosi, poi Lenn si decise a parlare. Alzò la testa e fissò il re negli occhi. – Perché ora mi torturate? –
L’Elfo rimase a contemplare l’espressione dello Stregone. – Non ti torturerei mai. Questo è solo ciò che desideri di più, e io te lo mostro. –
Lenn portò di nuovo lo sguardo sulla ragazza, e lei ricambiò la sua occhiata con un tenero sorriso. Annah non gli aveva mai rivolto un’espressione così dolce, prima dall’ora. Si sentì messo con le spalle al muro quando si sorprese a pensare che quel fatto lo rendeva contento, o meglio, felice.
Il Giglio gli diede il colpo di grazia quando portò la mano al suo viso e gli donò una carezza.
Lenn gemette dal dolore, poggiando la sua mano su quella della ragazza.
La Mangiasogni disse, preoccupata: - Ti vedo triste, Lenn. C’è qualcosa che non va? -
Il mezzelfo non le rispose, ma si voltò a guardare Fanir. – Chi è lei? –
L’Elfo s’accigliò. – Ma come chi è? E’ Annah! –
Lenn scrutò la ragazza a fondo, lei gli rivolse uno sguardo interrogativo, desiderosa di comprendere cosa stesse succedendo.
- No, non lo è. –
Fanir sbuffò per l’ennesima volta. – Beh, certo che non lo è, è un’immagine che ho estrapolato dalla tua mente, però è sempre Annah. –
Lenn annuì, pensoso. In effetti, i vestiti della ragazza non erano quelli che aveva indossato quel giorno; era coperta solamente da una vestaglia da notte, quella che portava quando Lenn era entrato in camera sua, giorni prima. Probabilmente Fanir aveva preso il ricordo di quella notte come riferimento.
- Lei non è così. –
- Così come? –
Così. - ripeté il ragazzo, rimarcando la parola. – Annah mi rivolge appena la parola, di solito. Questa qui sembra addirittura preoccupata per me. –
- Ma io sono preoccupata per te. –, rispose la ragazza. Poi fece un passo in avanti e cercò il contatto fisico con il mezzelfo. Portò entrambe le mani al suo petto e lo carezzò ancora. – Dimmi cosa ti fa soffrire, amore mio. –
Lenn, a quelle parole, s’irrigidì. Fece un passo indietro e si sottrasse a quel contatto fisico con la ragazza.
Lei ci rimase male e ritrasse le mani, tuttavia rimase ferma dove stava.
Fanir finalmente si decise a scendere a terra e si avvicinò al ragazzo, sfoggiando un sorriso affettato. – In verità, lei non è l’Annah che è, ma quella che potrebbe essere. –
Lenn non nascose il suo turbamento nel tono della voce, quando parlò. – In che senso? –
- Questa, - disse l’Elfo, indicando la Mangiasogni, - è il tipo di persona che potrebbe diventare, se tu mi lasciassi realizzare il tuo desiderio. –
- Io non desidero che lei cambi. – rispose il ragazzo.
- No, però desideri che lei ti ami. –
Lenn si passò una mano sul viso. Si sentiva teso, e la situazione non gli piaceva. – Io non voglio che lei mi ami. – affermò, ma non si sentì molto convinto.
- Ah no? –
- No. –
- E allora perché la corteggi? –
- Io non la corteggio! – esclamò il ragazzo, arrossendo.
Fanir, di tutta risposta, si mise a ridere. – Oh, ragazzo, non pensavo che fossi così debole su questo punto. Ma guardati, non sembri nemmeno la stessa persona di un paio di minuti fa. Che fine hanno fatto il tuo sarcasmo e il tuo stoicismo? –
Lenn si sentì offeso. – Se siete qui per prendervi gioco di me, permettetemi di andare via! Non voglio più stare in questo cazzo di posto in mezzo al nulla. Sono stanco, e non ho più voglia di sentirmi preso in giro. –
Il re si zittì. Tornò serio e gli si allontanò di qualche passo. – E allora, se vuoi andartene, accetta la mia offerta. Perché hai paura di essere amato? Tu la desideri, no? –
- Certo che la desidero! – sbottò allora Lenn, facendo uno sforzo immane ad ammetterlo.
- E allora accetta! –
- No! –
- Perché? –
- Perché lei non è Annah! – insistette il mezzelfo.
Il Giglio assisteva alla scena tranquilla, senza battere ciglio.
- Ma se ti ho detto che è lei, zuccone! –
- Non lo è! –
Fanir digrignò i denti, visibilmente seccato. Incrociò le braccia e parlò: - Per quale motivo non sarebbe lei, sentiamo. –
- Tanto per cominciare, lei non mi ama. – affermò il ragazzo, e si sentì quasi rassicurato nel dirlo.
- Ma questa è la Annah che potrebbe amarti! –
- Una Annah che mi ama non sarebbe la ragazza di cui mi sono innamorato. –
Calò il silenzio. Lenn poteva percepire il suo cuore mentre batteva più forte, si sentiva strano; non aveva mai ammesso nemmeno a se stesso ciò che provava veramente per lei.
Fanir sembrava interdetto. Però dava l’impressione d’essersi calmato.
- Spiegati meglio. – disse.
Il mezzelfo inspirò ed espirò pesantemente. – Io non mi sono innamorato di Annah solamente perché è una bella ragazza. –
- Ah no? –
- No. – rispose il ragazzo, infastidito. – A me piace anche il suo carattere. Sembrerà strano, perché è una ragazza che di primo acchito sembra un po’ troppo viziata, superficiale, scontrosa, ma secondo me non lo è. E’ testarda, sì, ma ha un carattere forte, è intelligente, non ha peli sulla lingua e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. E’ una persona decisa e che sa il fatto suo. Io la ammiro, per questo. Quello che voglio è solamente che lei mi apprezzi. –
- Ma io posso anche fare in modo che lei ti apprezzi. – lo interruppe l’Elfo.
- E con che trucco di magia? Io voglio conquistarmela, la sua fiducia. Se non è lei stessa a cambiare idea, allora non gliela farà cambiare mai nessuno; o almeno, non in modo naturale. E una Annah privata della sua natura non è la ragazza di cui mi sono innamorato. –
Poi Lenn rivolse uno sguardo sofferto verso la ragazza che aveva vicino. Lei gli rivolse un altro sorriso dolce, ma questa volta non fece altro che convincere ancora di più il ragazzo che la sua posizione era quella giusta.
- Non potrei mai cambiarla solo perché sarebbe mio interesse farlo. Non vorrei. –
Detto ciò, il mezzelfo tacque. Non aveva nient’altro da dire.
Fanir rimase ad osservarlo a braccia conserte, chissà a cosa stava pensando.
Lenn gli rivolse lo sguardo più deciso e convincente che riuscì a fare, non aveva intenzione di ritornare sull’argomento.
Poi il re si passò una mano fra i capelli biondi e disse: - Sai, Lenn, ti ammiro. –
Il ragazzo non spiccicò parola, ma gli rivolse un’occhiata interrogativa.
L’Elfo schioccò le dita. La ragazza al fianco dello Stregone si dissolse all’istante, come fumo.
- Ci dovrebbero essere più persone come te, a questo mondo. Di sicuro si vivrebbe in pace. –
Un altro schiocco di dita, e il portale di Luce poco distante scomparve.
- Ti terrò d’occhio. Non fare stupidaggini, una volta là fuori. Il nostro è un mondo in cui il pesce grande sbrana senza pietà il pesce piccolo. O peggio, il pesce diverso. –
Lenn deglutì. Ora non sapeva che dire. – Io… -
Non ebbe nemmeno il tempo di aggiungere altro, che il re si dissolse esattamente come Annah, e senza preavviso.
- Ehi! –
- Prova superata, ragazzo. Buona fortuna per il Torneo. –
Lenn non poteva credere alle sue orecchie. Si guardò attorno, spaesato, ma non riusciva a capire da dove stesse provenendo la voce di Fanir.
- Aspettate! E adesso che faccio? – domandò il ragazzo.
La risata cristallina dell’Elfo risuonò tutt’attorno al ragazzo. – Beh, a meno che tu non abbia le branchie, dovresti trattenere il fiato. –
Mentre la risata si spegneva, riecheggiò e vibrò nell’aria un forte rombo, come quello di una cascata. Lenn si guardò attorno, ma poteva sentire solo il rumore dell’acqua.
Poi, ad un certo punto, sulla linea dell’orizzonte apparve un’enorme onda che si avvicinava in modo veloce e costante.
- Oh, merda. –
Lo Stregone si voltò e corse nella direzione opposta, ma si fermò quando vide che anche da quel lato stava avanzando un’enorme massa d’acqua.
Si disse che l’impatto con quei muri azzurri era inevitabile, così rimase immobile e aspettò. L’attesa non fu lunga; pochi secondi dopo entrambe le onde erano a pochi passi da lui, pronte ad infrangersi.
Il mezzelfo le osservò ed ebbe il tempo di sentirsi insignificante, poi trattenne il respiro e fu sommerso.
L’impatto con l’acqua fu uno schiaffo doloroso che lo risvegliò dal suo stato di trance.
Lenn aprì gli occhi, ma non servì a molto, perché tutt’intorno a lui c’era solo il buio di un fondale lacustre; al nero si alternavano dei riflessi verdi.
Alzò il capo e riconobbe la superficie, una luce infiochita dai metri d’acqua che si frapponevano tra il ragazzo e il mondo di fuori.
Lenn non ci pensò due volte e nuotò in quella direzione, senza farsi domande, senza guardarsi attorno un secondo di più. Doveva sbrigarsi, non aveva aspirato abbastanza aria per rimanere sott’acqua a lungo.
Si sentiva stanco, le bracciate erano faticose e inutili per raggiungere la meta, tuttavia dopo interminabili secondi riuscì a far riaffiorare un braccio, che fu sferzato dall’aria fresca del mondo di sopra.
Si diede un’ultima spinta e tirò fuori la testa, spalancò la bocca e diede aria ai polmoni. Ansimando, si guardò attorno per capire dove si trovasse.
Delle persone emergevano esattamente come lui dall’acqua; avevano tutte l’aria spossata e spaesata. Altri camminavano già verso la riva, arrancando. Perché una riva c’era, dopotutto, ed era reale.
Lenn non si trovava più nella prateria che Fanir aveva creato nella sua mente, il luogo era diverso: l’erba che ricopriva le sponde del lago erano di un colore verde spento, un po’ avvizzite, non avevano la bellezza che caratterizzava i sogni; poco distanti dallo specchio d’acqua, stavano persino degli alberi, oltre i quali non si poteva scorgere niente. Il mezzelfo si guardò alle sue spalle e vide che il lago in realtà era un laghetto, non era lo stesso posto in cui s’era immerso; l’acqua infatti terminava poco dietro di lui, contro una parete di roccia liscia, quasi levigata. Non ebbe il tempo di sollevare lo sguardo per vedere dove la parete finisse, che sentì chiamare il suo nome.
- Lenn! –
Il mezzelfo si voltò verso la voce, e vide Jao sulla riva, fradicio, che sventolava la mano e gli faceva cenno di avvicinarsi. Accanto a lui c’erano già tutti gli altri, bagnati dalla testa ai piedi, mentre Annah stava camminando verso di loro e tentava di salvare il suo vestito dalla fanghiglia.
Lenn diede qualche bracciata e in poco tempo poté toccare il fondo e camminare in direzione dei propri amici.
- Non vi vedevamo emergere, ci stavamo preoccupando. – disse a quel punto la Tigre, aiutando Annah a uscire dal fango.
Lenn provò a dire qualcosa, ma riuscì solo a tossire e sputare acqua.
Harù gli si affiancò e gli diede qualche pacca sulla schiena. – Tranquillo, pensa a respirare. Dopo ci dirai tutto. –
- Vado a prenderti il mantello. – si propose Chad, e corse verso un punto alle spalle del gruppo.
Il mezzelfo lo seguì con lo sguardo e vide che, poco distante, sotto un albero, erano deposti tutti i loro oggetti: zaini, sacche, effetti personali, armi. Tutto il loro equipaggiamento era lì, asciutto, che li aspettava. Lì in mezzo, Lenn riconobbe anche la sua katana; trovò strano che si trovasse lì: al momento della partenza, avrebbe giurato che aveva la guaina assicurata alla cintura.
Chad frugò nella sua sacca, cosa che gli diede fastidio ma che lasciò correre, e ne estrasse il suo mantello da viaggio nuovo di zecca. Il nero tornò indietro e glielo porse. – Tieni. –
Lenn scosse la testa, prese il mantello e lo aprì, ma soltanto per metterlo sulle spalle di Annah, che stava vicina a lui.
Il mezzelfo tossì ancora, ma trovò l’aria sufficiente per parlare. – Va meglio? – domandò alla ragazza.
Il Giglio gli rivolse uno sguardo perplesso, ma poi si decise a rispondere: - Sì. –
- Bene. –
Jao si avvicinò ai due amici e incalzò. – Allora? Vi è accaduta la stessa cosa che è successa a noi? –
Lenn si passò una mano tra i capelli bagnati e li strizzò per cercare di togliersi più acqua possibile di dosso. – Non so, a voi cosa è accaduto? –
- Ci siamo ritrovati faccia a faccia col re Fanir! – esclamò Harù.
- E che incontro è stato! – aggiunse Rizo, con una punta di sarcasmo.
- Anch’io l'ho incontrato. – confermò Lenn. – Intrappolato nella mia testa, assieme a quell’Elfo sciroccato. –
- Esattamente! – disse Chad.
- E’ un tipo un po’ strano, vero? – chiese Harù.
- Sì, lo penso anch’io. –
- Mica tutto finito! –
Annah si strinse nel mantello di Lenn. – Un Mangiasogni. –
I ragazzi annuirono, tranne Rizo, che sbottò: - Davvero era un Mangiasogni? Ecco perché era entrato con così tanta facilità nella mia mente! –
- Ma perché, prima non ti sei nemmeno chiesto cosa ci facesse lui lì e come ci fosse arrivato? – gli domandò Jao.
- Beh, no! Abbiate pazienza, Rizo non si chiede le cose, né se le spiega, le vive e basta! – rispose il biondo.
Lenn scosse la testa. Non c’era nulla da fare, niente di Rizo gli piaceva, né riusciva a farselo piacere. Dal modo in cui parlava, al modo in cui agiva, tutto in lui era irritante. Ma decise di scacciare quei pensieri, perché non voleva dedicarvi nemmeno un secondo.
- E quindi, - disse il mezzelfo, - l’abbiamo incontrato tutti, in simultanea, dopo che ci siamo ritrovati immersi nell’acqua? –
Gli altri annuirono.
- Pare di sì. – affermò Jao.
- Quindi anche voi eravate nella prateria assieme a lui. –
- No, niente prateria. – disse Harù. – L’abbiamo già notato prima che arrivaste tu e Annah, ognuno l’ha incontrato in un luogo diverso. Io ero in una villa che era del tutto simile a quella in cui eravamo stati qualche mese fa. Sai, quella in cui c’erano lo Stregone Oscuro e il Demone. –
- Io ero con l’acqua alle caviglie, in un ruscello simile a uno che sta accanto a casa mia. – affermò Chad.
- Io ero in una spiaggia che era quasi uguale a una in cui ero stato qualche anno fa. – disse Rizo.
- …Io mi trovavo dentro a un pozzo. – disse poi Jao, serio.
Annah a quel punto si avvicinò al suo fidanzato, senza dire nulla, e lo prese per mano, rivolgendogli un’occhiata preoccupata. Il tutto però con una discrezione massima, tant’è che nessuno ci fece troppo caso a parte Lenn, che stava osservando la ragazza già da prima.
- E tu, a quanto pare, eri in una prateria? – domandò Chad al mezzelfo.
- Sì. –, confermò il ragazzo, - Una prateria che mi ha ricordato quella che abbiamo attraversato dopo aver superato le colline in cui si trovava casa mia. –
Chad a quel punto si mise a braccia conserte, rimuginando. – Uhm… Chissà come mai eravamo in posti così diversi tra loro… -
- Io so solo che non è stata un’esperienza piacevole. –, affermò Harù. – Mi ha ricordato fin troppo bene l’incontro ravvicinato che ho avuto con quel Demone di merda. –
- Oh, non me ne parlare! – disse Chad. – Io ho avuto un’esperienza, in un fiume, in cui un coccodrillo per poco non mi mangiava il piede! –
- Insomma, esperienze spiacevoli. – soggiunse Jao. – Sono pronto a scommettere che chiunque tra di noi s’è ritrovato in un posto che gliene ricordava uno veramente esistente, in cui ha fatto una brutta esperienza. –
Rizo rivolse lo sguardo verso l’alto, pensoso. – In effetti… -
Jao si rivolse ad Annah, ancora al suo fianco. – E tu? Anche tu hai incontrato Fanir? –
La ragazza rimase qualche secondo in silenzio, poi rivolse alla comitiva un sorriso affettato. – Oh, io no. – disse, - Io non partecipo attivamente al Torneo. Nessuna prova da superare, per me. –
- Ah, a proposito, la prova! – s’accese improvvisamente Harù. – Era la stessa per tutti? –
- Forse. – disse Lenn. – A me Fanir ha proposto di realizzare un mio desiderio, in cambio di rinunciare al Torneo. –
Il mezzelfo decise di ignorare di proposito il fatto che Annah avesse accennato alla prova prima di tutti, quando lei stessa aveva affermato di non aver nemmeno incontrato il re Elfo. Se aveva deciso di non parlarne a nessuno, o solo ad alcuni, di sicuro voleva rispettare la sua decisione senza sbugiardarla davanti a tutti.
Il Giglio era bello come sempre o anche di più, dato che ora Lenn ne apprezzava più aspetti, dopo la significativa chiacchierata con Fanir. L’unica cosa che lo turbava era che la ragazza teneva stretta la mano di Jao e non la sua, come sarebbe potuto accadere se solo il ragazzo avesse accettato l’offerta propostagli dall’Elfo.
- Stessa cosa per me. – disse Jao, rivolto a lui. Lenn tornò al presente e cercò di non pensare più al re e alle sue proposte. Ormai era tutto passato.
- Quindi anche tutti noi, penso. – affermò Harù, rivolgendo uno sguardo d’intesa a Chad e Rizo, che ricambiarono.
- Però ora sono curioso di sapere una cosa… – disse Lenn a quel punto, - Rizo, perché non hai accettato le offerte? Insomma, lo sanno tutti che tu vorresti soldi o donne, e di sicuro Fanir te li ha proposti! –
Il Pino sfoderò il migliore dei suoi sorrisi sornioni, e disse: - Mio caro Draguccio, ne hai di cose da imparare! Donne e soldi vanno bene, ma un uomo con donne e soldi non è come uno che è anche re. –
- Che vuoi dire? –
- Voglio dire che a me interessano tutti gli aspetti di essere re, non quelli di un uomo ricco e basta. A me è la carica che interessa, i soldi e le donne posso trovarmeli in qualunque momento. –
Lenn tirò fuori la lingua, schifato. – Mi disgusti. –
- Lo so e non m’interessa. Io penso a quello che voglio, e non me ne frega se i miei non sono desideri nobili come i tuoi. –
- A proposito! – s’intromise Jao, cercando di interrompere la serie di sguardi infuocati che si lanciavano i due Stregoni. – A te cos’ha proposto il re, Lenn? Di sicuro non di tornare a casa! –
Lenn, a quelle parole, accennò un passo indietro, come per prendere le distanze da chi gli aveva fatto la domanda imbarazzante. – No, non ci penso proprio a tornare a casa, figurati se me l’ha chiesto! – rispose, senza dare una vera risposta.
- E allora cosa t’ha offerto? – ribadì Jao, che a volte non riusciva proprio a capire quando non era il momento di dire certe cose.
- Già, sentiamo! – esclamò Rizo.
Lenn si sentì messo alle strette, ma decise di mantenersi vago. – Niente di che, roba a cui ho potuto rinunciare… E comunque, sarebbero affari miei. –
- Oh, facile rispondere così! – sbottò Rizo, che con un gesto delle mani mandò a farsi fottere il mezzelfo. Poi il Pino si voltò e andò a recuperare il suo zaino.
Il ragazzo dai capelli neri incrociò le braccia. – Si tratta di cose che non vi riguardano, vorrei tenerle per me. –
- Certo, certo. Perché lui ha avuto un’infanzia difficile! – si lamentò Rizo, mentre metteva a posto le sue cose. – Noi invece abbiamo avuto sempre le cose servite su di un piatto d’argento! –
Jao allora guardò il biondo e sollevò un sopracciglio, perplesso. – Ma Rizo, tu hai avuto sempre le cose servite su di un piatto d’argento. –
L’uomo a quel punto si riavvicinò con lo zaino in spalla e scosse le spalle. – Particolari. Ma comunque, non è questo il punto. –
- Il punto è che devi cucirti la bocca, così evitiamo ulteriori discussioni. – disse perentoria la Tigre. – Faremmo meglio a muoverci, non risolviamo niente se stiamo qui a chiacchierare. –
Tutti i ragazzi reputarono valida la proposta di Jao, e in poco tempo raccolsero tutti i loro averi ammassati sotto un albero e si prepararono a partire.
- Avanti. – esortò Harù. – Dobbiamo scoprire quant’è grande questa specie di grotta. –
- Grotta? – fece Lenn.
- Sì. – rispose l’Orso. – Guarda in su. –
Il mezzelfo obbedì e finalmente notò che la parete di roccia che aveva visto una volta emerso dall’acqua continuava fino ad un’altezza spropositata, per poi fare da muro portante di un vero e proprio soffitto di roccia. Si trovavano dentro ad una grotta dalle dimensioni spropositate?
- Non può essere una grotta. – affermò lo Stregone Oscuro.
- E perché no? – domandò Chad.
- Perché è giorno e quella che vediamo è la luce del sole. Le semplici torce non possono illuminare così bene un posto così grande e la Luce evocabile con la magia ha un altro colore. –
- Dici? –
- Dico. –
I ragazzi si guardarono ancora attorno, poi Harù disse: - Beh, sarà meglio muoversi, così scopriremo la verità. Prima usciamo da questo boschetto; questi alberi sono troppo alti e non si vede quello che c’è oltre. –
Anche in questo caso furono tutti d’accordo.
- Va bene, andiamo. –
Lenn e gli altri si incamminarono lungo un sentiero incerto che sbucava dalla selva, percorso da tutte le persone che erano a bordo con loro nel momento in cui la sfera di metallo s’era aperta sott’acqua. O forse erano di meno? A Lenn era sembrato che ci fosse un numero maggiore di persone in quel posto angusto, stando più attento al numero effettivo di persone che vedeva e aveva visto. Forse alcuni non avevano superato la prova ed erano stati rispediti al mittente.
- Lenn! –
Il ragazzo si voltò in direzione della voce che lo chiamava.
Jao era poco più avanti e indicava entusiasta un cartello a qualche passo dal sentiero.
- Probabilmente questo è il nome della nostra nuova casa! –
Lenn si avvicinò e lesse la parola scritta a caratteri cubitali sul pezzo di legno.
“Malias”
E, in un piccolo cartello poco più sotto, “La Città di Pietra”.
Prima la Città dell’Acqua, ora la Città di Pietra… Vediamo com’è questo posto
Il mezzelfo raggiunse i suoi amici a si avviò verso il suo futuro più prossimo.

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Capitolo 40
*** Capitolo 11 - Pietra e Sabbia (Parte I) ***


[NdA: Ciao, ecco qui la prima parte del tanto atteso (almeno da me) capitolo 11! Finalmente si cambia scenario, inizia una nuova parte della storia, ambientata nell'incantevole Malias, la Città di Pietra (da me amorevolmente soprannominata anche "la Città Lager" ^-^).
Questa parte di capitolo è anche l'ultima della serie "preconfezionata", e cioè che avevo rivisto e corretto prima del mio blocco dello scrittore durato mesi e mesi. Ma adesso ho ripreso a scrivere, quindi forse la parte 2 non tarderà poi tanto ad arrivare! Nel frattempo spero che ciò scritto qui sotto piaccia e incuriosisca, per quanto riguarda la nuova ambientazione e tutto ciò che ne conseguirà.
Al prossimo aggiornamento. :D]


Capitolo 11
Pietra e Sabbia
Parte I





Lenn non faceva altro che guardarsi attorno. Era arrivato a destinazione dopo aver superato mille prove e ancora non poteva crederci. Guardava gli alberi attorno a lui, pini per lo più, e si chiese cosa avrebbe trovato dopo averli lasciati alle sue spalle.
Malias… La Città di Pietra.” continuava a ripetersi come avesse voluto assimilare bene quel nome che aveva letto sul cartello poco prima.
Aveva paura. Ne aveva avuta anche quando era arrivato a Sailam, ma dopo essersi acquietata era tornata a farsi sentire. Aveva paura di smettere di viaggiare e finire di seminare il suo passato alle spalle mentre procedeva; aveva paura di trovarsi a vivere il momento in cui avrebbe dovuto gettare le fondamenta di un presente e cominciare a pensare ad un futuro. Sarebbe stato in grado di fare ciò? Avrebbe trovato la forza per lottare con le persone vere e non con gli impalpabili fantasmi del passato?
Ripensò con sconforto alle parole di Fanir. Gli aveva detto che sarebbe stato bello incominciare a vivere invece che continuare a sopravvivere. Ora, fradicio dalla testa ai piedi, catapultato nel presente, capiva a cosa si riferisse il re.
Lui era stato addestrato a uccidere e a sopravvivere con le poche cose che aveva solo perché non poteva essere contemplato un futuro per un ragazzo destinato a essere un assassino. Ma lui non aveva mai ucciso nessuno. Perciò aveva scelto un’altra strada, una lunga via da percorrere in cui si era spogliato di tutto ciò che era stato, ritornando ad impersonare un essere neutro. E, come essere neutro, adesso doveva partire da zero e decidere un’altra strada da prendere. Ma quale, se non aveva idea di chi fosse e dove volesse andare? Il presente era la scelta di una nuova strada, un percorso che lo avrebbe portato ad un futuro ignoto, che non era stato scritto, pieno di ostacoli che in principio non avrebbe saputo scavalcare perché non era stato addestrato a farlo. Doveva continuare a sopravvivere come aveva sempre fatto, ma non aveva armi con sé. Era tutto più difficile. Vivere era molto più difficile. Forse l’aiuto dell’Elfo gli avrebbe fatto comodo, ora.
Il mezzelfo smise di guardarsi attorno e puntò lo sguardo sui suoi amici, uno per uno. Loro vivevano tutti i giorni e non sembravano avere troppe difficoltà, e se le avevano le mascheravano benissimo. Ma come facevano? Qual era il loro trucco?
Decise che li avrebbe osservati per bene e avrebbe provato ad imitarli. Forse avrebbe imparato.
Meditabondo, abbassò lo sguardo e cominciò a camminare in avanti tenendo lo sguardo fisso sui suoi piedi che procedevano tra l’erba.
Non si accorse dell’approssimarsi di Annah, e quando lei esordì con un – Stai bene? – lui ebbe un fremito e alzò la testa di scatto.
Lenn guardò per qualche secondo la Mangiasogni. Nella sua mente aveva immediatamente fatto capolino la ragazza che poco prima, in sogno, gli aveva chiesto premurosamente se stesse bene. Il suo sguardo era dolce ma privo del fuoco della vita; la Annah che aveva ora davanti non appariva gentile e disponibile come l’altra, ma il suo spirito ardeva dietro i suoi occhi neri e si percepiva come un’entità a sé stante.
Si decise a rispondere: - Sì. Perché? –
La ragazza aggrottò la fronte, poi scrollò le spalle. – Mi sembri strano. Più del solito. –
- Non è niente, è che ho battuto forte la testa. –
Annah spostò lo sguardo in avanti. Non sembrava affatto soddisfatta delle risposta, ma evidentemente aveva deciso di farsela bastare. Lenn vide le sue mani muoversi nervosamente mentre stringevano il mantello che il mezzelfo le aveva offerto, e il ragazzo capì subito cosa lei volesse fare. Annah non accettava niente di niente se non aveva qualcosa da dare subito in cambio, e la domanda di prima era stata solo un banale modo per iniziare una conversazione non troppo desiderata.
- Tienilo il mantello, almeno per il momento. Non vorrei che ti prendessi un malanno. –
Annah arricciò in naso. – Non lo voglio. Solo perché sono magra, non vuol dire che sono anche di salute cagionevole. –
Detto questo, la ragazza aprì con cipiglio il mantello, se lo sfilò e lo porse al mezzelfo.
Lenn percepì in modo definito il sangue imporporargli le guance quando buttò l’occhio sulla ragazza ancora fradicia.
Il Giglio seguì il suo sguardo imbarazzato e si osservò il seno. – Oh, cazzo. –
La ragazza si affrettò a riaprire il mantello di Lenn e rimetterselo per coprirsi il corpo. L’acqua aveva reso trasparente il vestito e quindi reso visibile la sua biancheria intima.
Dopo essersi coperta la ragazza si coprì il viso con una mano, imbarazzata.
Lenn distolse lo sguardo, anche se serviva a poco. Il mezzelfo ne approfittò per scrutare le persone presenti. I due erano rimasti indietro, e gli altri procedevano tra gli alberi con lo sguardo puntato verso lo stramaledetto futuro.
- Nessuno ti ha vista. – disse.
- Oh, sì, certo. – rispose Annah con sarcasmo. Si voltò verso il gruppo di persone davanti a loro e si incamminò a testa alta, senza incrociare lo sguardo del mezzelfo.
Lenn esitò per un attimo, poi la seguì. – Aspettami. –
La ragazza si voltò verso di lui e lo fulminò con lo sguardo, poi riprese a camminare.
- Dai, non l’ho fatto apposta! Che devo fare, autopunirmi? Sei tu che ti sei spogliata! –
Quando il mezzelfo la raggiunse lei gli tirò uno schiaffo sul braccio. – E non gridare! –
Lenn sbuffò. – Non ne faccio mai una giusta con te. –
- Infatti. Quindi evita di rivolgermi proprio la parola. –
Il ragazzo aprì la bocca per ribattere, ma fu interrotto dall’onnipresente richiamo di Jao che sopraggiungeva ogni volta che rimaneva indietro per qualsiasi motivo. Si sentiva apostrofare e richiamare come fosse un cane, e la cosa gli fava fastidio.
- Lenn! Che fai là indietro? –
- Cerco il mio osso, che domande! Sai mica dov’è finito? – gli gridò di rimando.
- Eh? –
- Lascia stare. –
Questa volta fu Annah a cercare lo sguardo di Lenn, mentre il ragazzo camminava a passo svelto verso la voce dell’amico. Il mezzelfo non osò ricambiare e si limitò ad immaginare l’espressione della Mangiasogni, di sicuro piena di commiserazione; un’espressione che non voleva vedere indirizzata verso di sé.
Quando i due scorsero la sagoma di Jao, videro anche la fine del boschetto.
La Tigre si girò e i suoi occhi puntarono subito loro, come se avesse percepito e riconosciuto il rumore dei loro passi in mezzo a tutti quelli degli altri.
- La città! – disse con zelo.
Lenn bruciò in una breve corsa i passi che gli mancavano per raggiungere l’amico e guardò nella sua direzione. Ma in verità, non c’era una vera direzione da seguire con gli occhi. Tutto ciò che c’era da vedere era lì davanti a lui, grande, che riempiva la vista. Malias.
- Ecco perché è la Città di Pietra… - commentò Harù, da qualche parte a pochi passi da loro. Lenn non sapeva più dove soffermarsi con lo sguardo. Tante informazioni da analizzare in poco tempo.
I ragazzi erano ai margini del boschetto, che finiva in cima ad una piccola collina abbastanza alta da fornire una visuale completa di Malias. A colpo d’occhio, la città non era molto grande, e le case erano disposte in punti specifici, con confini precisi, ed insieme davano una forma ovoidale all’intera figura della serie di case. A proposito delle case c’era da dire che erano piccole, uguali, dei blocchi di roccia impersonali e freddi. Solo le abitazioni vicino al centro della città erano di color marrone e non grigio, solo perché erano di legno. Probabilmente l’idea iniziale era stata di costruire tutte le case utilizzando i tronchi d’albero, ma poi la cosa si era fatta troppo laboriosa e costosa e avevano rinunciato, optando per creare le altre ricavandole direttamente dalla roccia della grotta. Perché si trovavano in una grotta, ormai Lenn ne aveva la conferma.
Al limitare della città, pochi piedi dopo, iniziavano le pareti di roccia che avevano generato quasi tutte le case di quel posto. Quelle pareti si estendevano per centinaia di piedi sopra le loro teste e man mano che salivano si piegavano verso l’interno, fino quasi ad incontrarsi e inghiottire nelle viscere della terra chiunque fosse sotto di loro. L’unica fonte di luce era quella del sole, che passava attraverso un foro nel terreno che mostrava il cielo terso, un lucernario di dimensioni impressionanti che doveva far cambiare l’aria in quantità abbastanza elevate da non far morire soffocate le persone, manco fossero topi in trappola.
Lenn ritornò con lo sguardo sull’insieme delle costruzioni, e notò solo in quel momento che alcune vie erano più grandi delle altre e dividevano i blocchi di case come fossero delle sezioni; le vie principali formavano una croce che divideva in quattro parti l’intero complesso di abitazioni. Quella suddivisione era casuale o significava qualcosa?
Il mezzelfo si sentì a disagio, non vedendo quasi nessuna macchia verde in mezzo a quel grigiore. Sembrava che ogni cosa fosse desolatamente morta e triste, di alberi ce n’erano pochi ed erano tutti un po’ avvizziti; la maggior parte di loro era radunata al centro della città, vicino ad una grande fontana che era grande quasi il doppio delle case circostanti.
Jao gli scosse il braccio. – Guarda là. -, disse.
Lenn seguì la sua indicazione e rivolse lo sguardo ai piedi della collina, vicino alle prime case di pietra della città. Lì era stato allestito un palco, sopra il quale c’erano alcune persone che guardavano la gente scendere verso di loro. Accanto al palco vi erano due banconi davanti ai quali si stavano formando delle lunghe file di persone.
- Credo che dovremmo dirigerci lì, lo stanno facendo tutti. – intervenne Chad, avvicinandosi a loro.
Jao scosse le spalle. – Beh, io non ho idea di dove dobbiamo andare. Mi sembra saggio provare a seguire la corrente. –
Gli altri furono d’accordo e cominciarono la loro discesa.
- Comunque, questo posto mi fa schifo. – commentò Lenn, di malumore più che mai.
- A chi lo dici. – rispose Harù, - Ma mi sa che dovremo farcelo andar bene per un po’ di tempo. -
Nessuno disse più nulla fino a che non raggiunsero le pendici della collina. Lì incontrarono due Elfi e un Umano vestiti con una divisa verde e armati di bastoni che dirigevano le persone verso il palco che avevano visto poco prima dall’alto. Lenn riconobbe le giacche verdi perché ne aveva vista una uguale a Sailam; si era scontrato con uno di loro mentre era alla Città dell’Acqua e si era chiesto perché quell’Elfo non avesse i vestiti blu come le altre guardie di lì sopra. Probabilmente non era ancora sceso a raggiungere i suoi compagni tra le viscere della terra. Beato lui.
- Circolare, tutti verso il palco, veloci! – comandavano in modo irritato le tre guardie.
Un Elfo stava per toccare Lenn alle gambe con il suo bastone per farlo rientrare nel gruppo, ma il mezzelfo lo fece indietreggiare ringhiandogli contro.
- Stiamo uniti, Lenn. – gli disse Jao, afferrandolo per una spalla e trascinandoselo via prima che facesse gesti inconsulti.
Il gruppo di sfollati si fermò una volta arrivato dinnanzi al palco, dove stavano altri due Elfi, seduti su degli sgabelli; sembravano aspettare che tutti si mettessero a posto e facessero silenzio. Ci vollero un paio di minuti per fare ciò.
Poi, i due Elfi si decisero ad alzarsi in piedi, squadrando tutti dall’alto verso il basso. Uno dei due reggeva una grande pergamena ancora arrotolata.
Iniziò a parlare l’Elfo senza pergamena, alto e coi capelli biondi legati a coda di cavallo. Sembrava avere sedici anni, ma probabilmente non era così. - A nome dei Re Kaloshi e Fanir, vi do il più sincero e cordiale Benvenuto, nuovi cittadini. – esordì in tono gioiosamente affettato.
- Se il loro benvenuto è così, non oso immaginare il resto… - borbottò Lenn, ma nessuno parve sentirlo.
- Io sono Mirvell, e il mio compagno si chiama Uskind. Insieme vi illustreremo le regole e le leggi stipulate personalmente dal Consiglio dei Re che vigeranno su Malias fino alla fine dei suoi giorni, e cioè a Torneo concluso. –
Mirvell fece un cenno della mano e il suo amico di scorribande Uskind srotolò la pergamena con fare annoiato. Il foglio di carta toccò il terreno tanto era lungo.
- Una copia della Regola è affissa lungo tutte le pareti delle case che si affacciano su ognuna delle quattro Vie Cardinali della città, tuttavia vi chiediamo di ascoltare con la massima attenzione affinché sappiate già come comportarvi qui a Malias fin dall’inizio. Inoltre, io vi fornirò una spiegazione e motivazione dettagliata di ogni regola. –
Detto questo, Mirvell fece un altro cenno con la mano e Uskind partì a leggere, senza ulteriori preamboli.
- Questa è la Regola Ufficiale della Città di Pietra. Chiunque violerà le seguenti leggi in qualunque modo verrà punito secondo coscienza di Terzi a seconda della gravità della trasgressione. La pena massima risulterà essere l’espulsione a vita da Malias. –
Uskind fece una pausa a effetto che lasciò spazio ad un silenzio pesante. Dopo qualche secondo iniziò ad annunciare la prima delle tante regole della città: - Regola prima: “E’ severamente vietato l’accesso e la permanenza nell’area intera della Città alle persone di qualsiasi razza che non abbiano ancora compiuto i dieci anni di età.” –
Ci furono vari mormorii, ma vennero tutti zittiti con qualche colpo di bastone dato a terra delle tre guardie di prima.
- Forse non sembrerà una regola difficile da ricordare, ma è di sicuro una delle più importanti, tant’è che è la prima. – disse Mirvell. – Voi avete idea del perché? – domandò poi alla folla.
Nessuno rispose.
L’Elfo biondo si schiarì la gola. – Come tutti sapete, o almeno spero la maggior parte di voi sappia, a dieci anni avviene la cerimonia dell’Esorcismo. Chi ha le potenzialità di Stregone comincia quindi ad imparare l’arte magica a quell’età, e avviene una cosa analoga anche per i Mangiasogni e i Guerrieri. Quindi, essendo questo un posto destinato a persone che dovranno scontrarsi con le loro arti, reputiamo più sicuro che, in caso di incidenti, qui vi siano solo persone in grado di difendersi con le stesse armi degli altri. -
Lenn si guardò attorno. Nel suo gruppo non sembrava esserci nessuno che avesse meno di dieci anni.
- Questo significa anche che è vietato a tutte le donne di portare avanti una gravidanza che abbia termine prima della sua uscita dalla città. Sarebbe troppo rischioso per un neonato vivere qui e Malias non ha intenzione di prendersi responsabilità o provvedere a sfamare bocche in più. Siamo già in troppi. –
Quell’ultima affermazione vagamente cinica suscitò il discontento tra la folla. La gente cominciò a parlottare e dimostrare a parole il loro disappunto. Lenn sapeva che non gli si sarebbe mai presentato quel tipo di problema, quindi non aveva niente di cui lamentarsi troppo. Anzi, si sentì sollevato da quella limitazione; l’idea che un bambino innocente potesse farsi male in un mondo pieno di adulti uno contro l’altro che potevano usare la magia non gli piaceva affatto, ma sembrava l’unico a pensarla così. Alla sua sinistra notò un ragazzo e una ragazza mentre si scambiavano occhiate preoccupate. Forse sarebbero dovuti uscire da Malias prima del previsto.
- Calmatevi, provate a venirci incontro. Dobbiamo mantenere il controllo e garantire a tutti la massima sicurezza durante la nostra convivenza. E riguarda proprio la sicurezza la prossima regola della città. –
Detto questo, Mirvell fece il suo solito cenno della mano e Uskind si risvegliò dal suo torpore. – Regola seconda: “E’ severamente vietato usare la magia a scopo offensivo al di fuori delle competizioni riguardanti il Torneo. Chi verrà sorpreso a formulare incantesimi pericolosi verrà immediatamente arrestato.” –
Mirvell sorrise. – Credo che tutto ciò si spieghi da solo. Non vi chiediamo di rinunciare alla magia, ovviamente, ma vi sconsigliamo di usarla a scopi distruttivi, contro gli oggetti e contro le altre persone, altrimenti saremo costretti a mettervi agli arresti. –
Questa volta Uskind partì a leggere senza aspettare il consenso dell’Elfo biondo. – Regola terza: “In ogni abitazione dovranno risiedere un minimo di due persone e un massimo di otto. Per tenere il conto della popolazione della Città ognuno verrà registrato e assegnato ad una casa. Nel caso si volesse cambiare abitazione, si avrà l’obbligo di dirigersi al Quartiere Generale delle Guardie e formalizzare il proprio trasloco.” –
- Inoltre, - disse Mirvell, - c’è da dire che, se in una casa verranno trovate più o meno persone rispetto al numero dichiarato al momento della registrazione, queste ultime verranno sequestrate, portate al QG, riconosciute e poi punite secondo coscienza, come si è già detto prima. –
Altri mormorii di disapprovazione.
- Non posso nemmeno vivere dove mi pare, per gli Dèi. – disse un uomo a voce alta ma non troppo, giusto per far sentire tutto il suo disappunto agli astanti.
- E’ sempre per mantenere l’ordine e la vostra sicurezza. – disse Mirvell, che lo aveva sentito. – Non vorremmo che qualche intruso metta a rischio l’equilibrio della città. Ci vuole un’organizzazione impeccabile. Ma proseguirei con il prossimo punto. –
L’Elfo dai capelli lunghi fece un cenno, e Uskind tornò in vita. – Regola… Uhm… Ah sì, quarta: “Ogni maschio in buona salute ha l’obbligo di possedere un ruolo attivo nella società mettendo in atto un lavoro assegnatogli dalle autorità. Poche eccezioni lo solleveranno dai suoi compiti: preparazione di tre giorni prima di una disputa inerente il Torneo; assenza grave di salute; altri motivi speciali decretati caso per caso dalle Guardie. Alle donne è vietato lavorare per evitare disagi durante l’esercizio delle professioni degli uomini. Quindi è obbligatorio che in ogni casa vi sia almeno un uomo capace di percepire un reddito in grado di sostenere le persone che dipendono da lui.” –
Le donne presenti nel gruppo, a quel punto, si sentirono ancora più indignate di prima.
Anche Annah, in piedi fra Jao e Lenn, storse il naso con disappunto. – Bella schifezza maschilista. –
- In una nota, appena dopo questa regola, si dice anche che a seconda delle condizioni fisiche di un concorrente dopo aver disputato un incontro si potranno lasciare dei giorni in più per riposare e rimettersi completamente. – disse Mirvell tutto contento. – E ognuno di voi avrà un lavoro dignitoso e su misura con il quale poter garantire una vita più che dignitosa ai suoi cari. Tutto ciò di cui avrete bisogno lo potrete trovare nei mercati che affollano Malias. Proviene tutto dalla superficie. –
Seguirono vari secondi di silenzio.
Uskind tossicchiò e si rivolse al compagno Elfo. – Ehm… Continuo? –
- No, guarda, rimaniamo qui fino a sera a guardarci negli occhi. – gli rispose l’altro, irritato.
La sua risposta non fece guadagnare punti alla sua credibilità, e la gente si sentì a disagio.
- Calmati. – gli sussurrò l’amico. – La giornata è ancora lunga. –
Mirvell sbuffò, poi provò a riassumere il sorriso finto di prima, ma non gli riuscì molto bene.
- Regola quinta. – esordì Uskind, innervosito anche lui. – “Non è obbligatorio essere dei concorrenti per poter soggiornare a Malias. Coloro che non si sono iscritti, però, avranno bisogno di un concorrente che li accompagni e garantisca per loro per tutto l’arco di tempo in cui vivranno nella Città.” –
Uskind guardò Mirvell, ma questo non diede segno di voler iniziare a parlare.
Così l’altro Elfo scrollò le spalle e continuò a leggere.
- Regola sesta: “E’ severamente vietato lasciare la Città di propria iniziativa. La partenza dovrà essere segnalata e approvata al Quartier Generale delle Guardie. I partecipanti potranno lasciare il luogo solamente dopo essere stati espulsi dal Torneo tramite sconfitta. Una volta usciti dalla Città sarà impossibile rientrarvi, in quanto l’ubicazione di questo luogo è e deve rimanere segreta.” –
Alla fine di quella dettatura, Mirvell si riprese e disse: - Queste sono le regole principali. Ovviamente la Regola è più lunga, ma le leggi seguenti riguardano i particolari della vita di ognuno a Malias. Ad esempio, dice che ogni partecipante registrato verrà estratto a sorte in ogni turno e verrà assegnato ad un avversario altrettanto sorteggiato. Altre regole le troverete anche appese alle porte delle case cui verrete assegnati e riguarderanno i problemi della vita quotidiana. Concludiamo leggendovi l’ultima regola dell’elenco. –
Mirvell si voltò verso il compagno, e questo si affrettò a scorrere la pergamena e arrivare subito all’ultimo punto. – Regola quindicesima: “Il tempo per le iscrizioni terminerà il primo giorno di Aprile, mettendo fine ai due anni di tempo dati dai Re Kaloshi e Fanir per raggiungere la Città di Pietra. Chi si presenterà dopo quella data non verrà ammesso”. –
- Quindi, - concluse l’Elfo biondo, - sperate che i vostri conoscenti, se non sono già qui con voi, riescano ad arrivare entro Aprile, altrimenti non li rivedrete più finché non verrete espulsi o vi ritirerete. –
Detto questo, Uskind cominciò a riarrotolare la pergamena. Guardò in alto, verso la collina. Lenn seguì il suo sguardo e notò che c’era un nuovo gruppo di persone che stava arrivando.
- Domande? – incalzò Mirvell.
Lenn guardò i suoi amici, e questi ultimi alzarono le spalle. Nessuno sembrava aver qualcosa da chiedere. Forse erano tutti troppo di malumore per farlo.
- Bene. – disse allora l’Elfo. Poi indicò due banconi posti poco distante, a cui erano sedute due persone. – Dirigetevi laggiù e disponetevi in fila indiana. Lì ci saranno due addetti che compileranno i vostri attestati di iscrizione. Se li perderete non potrete avere altre copie e verrete espulsi. Ora le regole le sapete: se avete ancora intenzione di partecipare, procedete; in caso contrario, vi invito ad andarvene col traghetto di stasera. –
Detto questo, i due Elfi tornarono a sedersi sui loro sgabelli e si misero ad aspettare il gruppo seguente a cui propinare la loro arringa.
Le Guardie armate di bastoni di prima si avvicinarono di nuovo al gruppo di Lenn e cominciarono a dirigere le persone verso i banconi senza più nessuno davanti.
Un uomo di mezz’età si beccò una bastonata sul sedere e questo lo fece andare su tutte le furie. – Basta! Sono appena arrivato e non ne posso già più! Mi vogliono rinchiudere sottoterra e lasciarmici sotto, e mi prendono anche a bastonate! Alla mia età non sono più disposto a subire certi affronti! –
Una giovane ragazza dal capo velato prese l’uomo per un braccio, preoccupata. – Padre, calmati. –
- No, non mi calmo! Io qui non ci metto piede! Partecipa tu, se vuoi, ma io non ti accompagno, figlia! -
L’uomo a quel punto fu afferrato per un braccio da una delle Guardie, un Elfo alto quasi il doppio di lui, e lo trascinò in disparte, senza però essere troppo violento.
Jao si voltò verso di Lenn. – Allora, tu che fai, partecipi? –
Lenn soffermò lo sguardo per ancora qualche secondo sull’uomo e sua figlia, poi guardò Jao. – Sì. –
La Tigre si voltò verso gli altri. – E voi? –
- Certo che partecipiamo. – disse Chad.
- Non abbiamo fatto tutta questa strada per tirarci indietro davanti a qualche regola severa. Siamo sopravvissuti a ben altro. – affermò Harù.
Rizo e Annah si limitarono ad annuire.
- Va bene, allora procediamo. –
Detto questo, Chad si mise in fila, primo fra tutti, davanti al banco della Guardia Elfo. Gli altri lo seguirono e gli si piazzarono dietro, Lenn ultimo del gruppo.
L’Elfo davanti a Jao cominciò senza troppo entusiasmo a chiedergli le sue generalità: nome, data di nascita, razza, nome del Clan. Il tutto durò un paio di minuti. Poi l’Elfo iniziò ad armeggiare con qualcosa, ma Lenn aveva i suoi amici davanti che gli bloccavano la vista non vide di cosa si trattava, però udì benissimo la domanda che poi l’Elfo fece alla Tigre.
- Mi può far vedere il tatuaggio di famiglia? Devo confermare che almeno una delle sue affermazioni è vera. Poi potrò convalidare il modulo. –
Lenn percepì la voce di Jao esitare, tuttavia non aveva niente da nascondere. – S-sì, certo… -
Probabilmente i pensieri dell’amico erano volati a lui, che era sprovvisto ormai da tempo di tatuaggio. Senza quest’ultimo non si poteva fare nulla, non si poteva agire in società, tuttavia Lenn se l’era sempre cavata perché nel suo viaggio non aveva mai affrontato situazioni burocratiche di quel tipo.
Cazzo… E ora come faccio?” si chiese il mezzelfo. La semplice risposta a quella domanda si formò in fretta nella sua mente: “Semplice: non ti iscrivi. Non combatti.
Lenn strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Lui però voleva lottare. Non aveva fatto tutta quella strada invano. Perché la sua appartenenza ad un Clan doveva per forza influenzare la sua vita?
Jao mostrò senza problemi il disegno stilizzato di una tigre che aveva inciso nella pelle della schiena. L’Elfo approvò e scrisse ancora qualcosa sul foglio, poi lo diede al ragazzo.
- Buona fortuna. – gli disse. – Il prossimo. –
Jao uscì dalla fila, passò accanto a Lenn rivolgendogli uno sguardo preoccupato, poi disse: - Ti aspetto. Vedi di iscriverti. –
Lenn annuì, serio, ma dentro di sé gridò: “Sì, ma come?!
Fu il turno di Harù, poi di Annah; e Harù, un iscritto approvato dalle Guardie, garantì per lei, dato che sarebbe stata una residente non partecipante. Poi toccò a Rizo e infine a Chad. Passarono tutti, iscritti e dal futuro sicuro. Lenn era fermo nel presente, bloccato prima ancora di poter cominciare.
Quando udì l’Elfo ripetere: - Il prossimo. – gli si gelò il sangue nelle vene, tuttavia avanzò di un passo e lo fronteggiò con lo sguardo più deciso che riuscì a mettere su.
L’Elfo aveva un’aria triste e annoiata, gli rivolse uno sguardo appena accennato, senza quasi tirare su la testa dalle pergamene che aveva davanti. Ne aveva prese due da una pila davanti a lui, ancora da compilare, pronte per Lenn.
Il mezzelfo lo osservò, sorpreso dall’aspetto di quell’esemplare che si trovava davanti. Un Elfo dai capelli biondi, come tanti altri, ma invece che sfoggiare con orgoglio una chioma lunga e fluente aveva i capelli tagliati più corti di quelli di Lenn, una zazzera mal tenuta. Gli occhi verdi erano tristi e le orecchie leggermente abbassate.
- Nome? – esordì la Guardia Elfica, poggiando il mento sul dorso della mano con fare annoiato.
Lenn esitò, poi si diede un pizzicotto per riprendersi in fretta dal suo rimuginare. – Lenn. -, disse.
Le orecchie dell’Elfo fremettero, il mezzelfo le vide benissimo, e la Guardia alzò subito lo sguardo verso di lui. Adesso sembrava perlomeno sveglio.
- Secondo nome? – domandò ancora.
- Non ce l’ho. – rispose Lenn. – E’ grave? –
- No, non ti preoccupare. – rispose cortesemente l’Elfo. Si chinò e scrisse il nome di Lenn sopra i due fogli che aveva davanti per compilarli.
- Razza? –
- … -
- Non mi sembra una domanda difficile, ragazzo. –
Lenn si diede dello stupido per aver esitato. – Umano, ovviamente. –
- Ovviamente… -
L’Elfo scrisse pure quel dato.
- Clan? –
A quella domanda l’Elfo sollevò la testa e sembrò veramente curioso.
Lenn sapeva che il nome del suo Clan non era ben visto, anzi, negli anni era diventato addirittura un tabù, ma nonostante non avesse un tatuaggio ad attestare l’appartenenza a quella o altre famiglie, decise di dare comunque il nome giusto e continuare quella piccola tragedia.
Decise di non usare un tono di voce troppo alto, per non farsi sentire dalla Guardia seduta all’altro banco o dagli altri civili.
- …Drago. -
A quel nome le orecchie dell’Elfo si rizzarono completamente, quasi fossero incredule per quello che avevano sentito. La Guardia alzò lo sguardo e Lenn rimase sorpreso dalla sua espressione sorpresa, quasi scioccata. Gli occhi un po’ a mandorla gli si spalancarono e per un attimo rimase quasi a bocca aperta mentre lo scrutava da capo a piedi.
Lenn non avrebbe mai pensato che il nome del suo Clan avrebbe potuto suscitare simili reazioni.
- Davvero? – domandò l’Elfo.
Lenn sollevò un sopracciglio, stranito, ma poi rispose. – Sì. –
L’Elfo scosse la testa come per scacciare alcuni pensieri e si ricompose. Scrisse il nome del suo Clan su entrambi i fogli.
- Uhm, mi serve la tua data di nascita. –
- Primo Gennaio, anno 3423, Era degli Umani. –
L’Elfo annuì e trascrisse. Lenn rimase turbato dalla risatina nervosa che esalò nel frattempo.
La Guardia sembrò accorgersi che era suonato strano e sorrise in modo incerto a Lenn. – Scusa, è che tutt’a un tratto sento il bisogno di una pausa. La gente arriva qui anche di notte.
Lenn si limitò ad annuire, non sapendo che altro dire.
- A che classe appartieni? –
- Stregoni. –
- Lo sai che la tua casa è la numero 365? Un ragazzo del Clan della Tigre mi ha detto di piazzarti in quell’abitazione insieme ad altri, mi ha detto che siete insieme. Confermi? –
- Sì. –
Lenn si sentì sorpreso e sollevato al sentire quell’affermazione. Nonostante il suo gruppo si fosse formato per caso, tutti avevano accettato di prolungare la loro convivenza, anche se oramai erano arrivati a destinazione e non c’era più motivo di rimanere uniti. A lui non dispiaceva continuare a stare con i suoi amici, si era abituato alla loro presenza.
– Bene… - L’Elfo scrisse. – Ora annoterò giusto qualche cosa sul tuo aspetto fisico e abbiamo finito. -
Lenn annuì di nuovo, nervoso. La sua capacità di eloquenza era peggiorata precipitosamente a causa della tensione.
Quando ebbe finito, l’Elfo prese in mano due sigilli. Poi afferrò un tocco di ceralacca e, pronunciando un incantesimo, fece apparire una fiamma sotto il pezzo di cera rosso. Mentre cominciava a fondersi, la Guardia piazzò i due sigilli appena sotto per raccogliere la ceralacca.
- Devo mettere questi due sigilli e siamo a posto, diventerai un concorrente ufficiale. Mentre li preparo, per favore, fammi vedere il tatuaggio, così dò la conferma. –
Lenn deglutì. Si voltò e guardò alla sua sinistra. Lì c’erano i suoi amici che non gli distoglievano gli occhi di dosso, preoccupati. Poi guardò alla sua destra: c’era il palco con sopra i due Elfi che parlavano ad un altro gruppo di potenziali partecipanti. Con un’ombra di panico che però non diede a vedere, cominciò a sbottonarsi la camicia.
Però continuò a fissare il palco. Lo guardò e notò che era di legno, malmesso, si chiese come facesse a reggere i due Elfi antipatici. Quasi contemporaneamente pensò che gli serviva un diversivo per evitare il momento della dura verità. I due pensieri allora si accavallarono tra loro, si unirono, cercarono di trovare un armonia.
Gettò uno sguardo all’Elfo seduto davanti a lui. Il fuoco lambiva il suo tocco di ceralacca, che cominciava a colorare i sigilli di rosso. Il fuoco la consumava.
Tornò a guardare il palco. Non poté fare a meno di immaginarlo lambito dalle fiamme. Il fuoco che faceva colare la ceralacca, il fuoco che sentiva nelle vene.
Il fuoco.
E se il palco prendesse fuoco?
Appena finito di pronunciare il pensiero, sentì una scossa che gli percorse tutto il corpo; contemporaneamente, una scintilla di magia azzurra comparve alla base del palco e appiccò un incendio.
Le fiamme all’inizio erano piccole, ma stimolate dalla magia divennero subito alte vari piedi.
Si sollevarono alcune grida.
- Fuoco! Al fuoco! –
- Il palco brucia! –
Lenn sapeva che era stato lui ad appiccare l’incendio. Era conscio di saper formulare incantesimi senza aprire bocca. Semplicemente, basta che pensasse a qualcosa e quella accadeva. Dopo avergli sottratto una certa quantità di energia vitale, ovvio.
Si sentì, immediatamente più debole, ma sapeva che doveva mettere in ballo tutte le sue forze perché avrebbero provato a spegnere il fuoco, e invece lui doveva propagarlo.
Sentì l’Elfo seduto davanti a lui imprecare. – Merda. –
Poi lo vide alzarsi con la coda dell’occhio e poi correre verso il palco.
Lenn volse lo sguardo sul banco, e vide i due sigilli ricoperti di ceralacca ancora bollente abbandonati vicino ai fogli.
“Ora o mai più” pensò, e subito si chinò sui fogli, li rigirò, afferrò i sigilli e li compresse negli spazi appositi.
Una copia la lasciò lì dopo averla messa in mezzo alla risma di fogli compilati, l’altra se la tenne e si diresse verso il gruppo dei suoi amici, lesto.
Jao lo accolse a braccia aperte. – Hai appiccato tu l’incendio? –
Lenn annuì, teso. Sentiva quasi le gambe tremare. – Allontaniamoci, presto. –
I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte e si allontanarono, poi entrarono nella città e si inoltrarono utilizzando le vie più strette.
Si fermarono solo dopo qualche minuto di marcia continua. Si voltarono e videro la colonna di fumo causata dal fuoco, tuttavia sembrava già in via di spegnimento.
- Cazzo, è stato rischioso. – disse Harù.
- Sì, lo so. – rispose Lenn. – Ma non avevo altra scelta. Mi avrebbe fatto buttare fuori subito, se avesse saputo la mia condizione. –
- Speriamo che non ci vengano a cercare. – disse Rizo. – Io non voglio essere buttato fuori per colpa tua, sia chiaro. –
Lenn gli lanciò un’occhiata infastidita, però non si sentì di biasimarlo. Guardò Annah, ma lei non sembrava interessata alla conversazione. Scrutava in modo altero tutti quanti con le braccia incrociate.
- Su, andiamo. Meglio non farci trovare, per ora. – disse Jao. – Dobbiamo cercare la casa 365. –
I ragazzi, senza indugiare oltre, si misero in marcia. Al momento si trovavano in un’area dove le abitazioni erano solo in pietra, grandi blocchi di roccia di forma rettangolare con dei piccoli fori quadrati che facevano da finestre. Erano basse e buie all’interno. Alcune dovevano essere già abitate, perché il terreno era sporco di cibo che andava a marcire e alcuni stracci malconci erano stati gettati agli angoli delle vie.
Il posto non augurava nulla di buono, più che altro perché era triste e desolato. Non c’era quasi nessuno per strada. Che le persone fossero tutte rintanate in casa in cerca di un po’ di frescura? Quel giorno faceva molto caldo, nonostante il sole non picchiasse direttamente sulle loro teste grazie al soffitto di pietra della grotta.
Lenn guardò i numeri incisi vicino alle porte delle case: la prima alla sua destra era la 622. Ne dedusse che la direzione giusta fosse quella che si inoltrava nel cuore della città. I numeri decrescevano man mano che avanzavano.
Poi, appena sbucati in una via più larga delle altre, notarono una lastra piantata nel terreno con fissata sopra una mappa. Si avvicinarono, e videro che era un disegno stilizzato della città.
- Uhm, allora… - cominciò Chad, con gli occhi fissi sulla cartina. – Noi, probabilmente, siamo in quest’area. – disse, puntando il dito sulla parte inferiore della città. Nella cartina, quel punto corrispondeva al Distretto Sud. I distretti erano quattro, delimitati dalle Vie Cardinali, due grandi rette che si incrociavano e dividevano in quattro aree la città a forma di uovo poggiato su un lato.
- Qui ci sono le case che stanno tra il cinquecento e il seicento, quelle col numero di targa dal trecento in su devono essere più verso il centro. La nostra potrebbe essere una delle case in legno! –
- Oh, magari! – sospirò Annah. – Da lontano sembravano molto più grandi e belle di queste grotte. –
Dopo un paio di minuti di pausa per riposarsi i ragazzi continuarono a camminare finché, consultando un’altra mappa trovata più avanti, arrivarono al Distretto Est.
L’atmosfera da un Distretto a un altro cambiava completamente. Superate le prime case, tutti notarono che quelle che avevano davanti erano più grandi, alcune anche a due piani. E man mano che entravano nel cuore del Distretto, si fece viva anche la gente.
C’erano alcuni bambini, rigorosamente al di sopra dei dieci anni, che giocavano a palla. Alcune donne, velate e canterine, portavano delle grandi ceste con dei panni da asciugare. I panni evidentemente finivano stesi su un filo legato a due rami trovati chissà dove e poi piantati per terra, oppure, come notarono mentre esploravano, venivano stesi non per strada, davanti alle abitazioni, ma sui tetti. Molte persone si erano procurate delle scale da poggiare o fissare ai muri per poter salire sui tetti dalle superfici piatte e lisce.
Lì il terreno non era sporco e maltenuto, e i ragazzi furono rinfrancati da ciò; non avrebbero vissuto con la spazzatura che arrivava loro fino alle orecchie.
Chissà come mai, in quel Distretto si respirava un’aria più dignitosa, e la gente suo malgrado sorrideva e chiacchierava. D’un tratto Malias non appariva solamente una prigione triste e grigia, bensì un luogo di ritrovo tutto da personalizzare.
Molte persone sulla soglia di casa avevano posto dei vasi pieni di fiori e piante di ogni genere, altri avevano appeso alla parte superiore delle loro porte delle ghirlande di fiori, dei tessuti colorati, delle conchiglie o dei campanellini che tintinnavano quando si aprivano le porte.
Dopo qualche altro minuto, il gruppo arrivò in una via secondaria particolare. Quella via divideva l’area delle case di legno, tutte alte come minimo due piani, da quella delle case di pietra, che erano al massimo alte due piani.
Lenn guardò le case costruite con dei tronchi, alla sua sinistra, e il primo numero di targa che gli saltò agli occhi fu il 287. Poi si voltò a destra, verso le case di pietra, e il primo numero da quella parte fu il 369. Fece scorrere lo sguardo poco più in là e scorse la casa con inciso vicino alla porta il numero 365.
Jao doveva aver fatto lo stesso, perché disse: - Casa di pietra. Mi dispiace Annah, ma ti becchi la grotta. –
Detto questo, la Tigre si diresse verso l’abitazione, e gli altri lo seguirono.
Annah emise un sonoro sbuffo. – Oltre al danno, la beffa! Ogni giorno dovrò uscire di casa e trovarmi ogni volta queste bellezze costruite decentemente davanti agli occhi! –
- Ci poteva andare peggio, signorina Annah. Potevamo beccarci il Distretto Sud. Questo qui mi sembra migliore. – replicò pazientemente Jao.
Arrivati davanti all’abitazione, più grande delle altre che aveva affianco, Chad fu il primo a piazzarsi davanti alla porta. Prima di aprirla si bloccò, interdetto, e rimase a fissare la pergamena che era stata inchiodata al legno.
I ragazzi la guardarono per qualche secondo, perplessi, finché Harù non intervenne. – Devono essere le altre regole a cui l’Elfo sul palco aveva accennato, ma che non ha letto. –
- Ah già, io me l’ero già dimenticate. – disse Chad.
Rizo sbuffò. – E’ troppo lunga, non ho voglia di leggerla. –
- La leggerò io per tutti. – s’offerse Jao.
Il ragazzo rivolse lo sguardo al foglio e iniziò a leggere: - “Si ripete che il numero minimo di persone presenti in ogni abitazione è due e il massimo è otto. Chi trasgredirà a questa regola verrà espulso da Malias”. –
- E questo già si sapeva, continua. – incalzò Rizo.
- “Ogni casa è fornita di un bagno, tuttavia i bisogni di ognuno dovranno essere espletati nei bagni pubblici. Si prega di rispettare questa semplice norma d’igiene e convivenza pubblica”… Dovremo farci la passeggiata ogni volta. “I servizi sono tutti indicati sulle mappe posizionate nelle vie secondarie della Città”. –
- Dice altro? – domandò Annah.
- Sì. – rispose Jao, - “Quando un concorrente verrà estratto per partecipare a un determinato turno del Torneo, si dovrà dirigere all’ora prestabilita alla fontana posta al centro della Città. Lì un passaggio sotterraneo lo porterà direttamente all’arena dove disputerà l’incontro”. –
- E lì sotto che c’è scritto? – ,domandò Chad.
- “Ogni uomo, a distanza di poco tempo dal suo arrivo alla Città, riceverà un messaggio che riferirà la mansione a cui dovrà adempiere e il luogo in cui presentarsi. Per i suoi servigi verrà retribuito come merita”. E poi dice: “Le autorità indiscusse sono le Guardie, le uniche persone munite di divisa verde e armi”. –
- “Vi auguriamo una lunga e pacifica permanenza a Malias”. Tsk. Già mi sento in gabbia. – finì di leggere Lenn, commentando. – Questo posto è strano, la gente che lo dirige è strana, e mi dà i brividi. –
- Basta, mi sono rotto le palle di queste regole, entriamo! – tagliò corto Rizo.
Tutti furono silenziosamente d’accordo con il biondo. Jao strappò la pergamena dalle assi di legno e la gettò a terra, poi aprì la porta.
I ragazzi, vedendo l’interno grigio, freddo e spoglio, rimasero un po’ delusi, ma sapevano che non potevano aspettarsi molto.
Si trovarono davanti a quella che era la prima stanza della loro nuova casa. Sulla parete alla loro sinistra aveva installato un camino con già qualche ceppo di legna pronto per essere arso.
A parte quello, la stanza era vuota. Non c’era nulla, a parte la roccia levigata alla bell’e meglio.
Annah entrò a passo deciso e si diresse come prima cosa alla finestra appena accanto alla porta. Spostò le tendine che separavano il mondo esterno da quel piccolo posto e fece entrare un po’ di luce. Soddisfatta, si mise al centro della piccola stanza e si guardò attorno, fregandosi le mani.
- Qui ci sarà il tavolo. Ho deciso. – disse, e in quel momento tutti seppero che quello era un dato ormai inequivocabile. Poi la ragazza indicò la parte di parete non occupata dal camino. – Lì invece ci metterò l’angolo cottura. Sì, ci starebbe benissimo. Sarà così. –
Detto questo, il Giglio si mosse e senza aspettare gli altri si diresse verso la parete alla destra dei ragazzi, ancora fermi imbambolati sulla soglia. Da quella parete si apriva una specie di varco. Perché l’intenzione iniziale doveva essere stata di fare un foro rassomigliante la sagoma di una porta, ma poi era venuta fuori una specie di varco grottesco.
Quell’ingresso portava a una piccolo corridoio con due porte ai fianchi, una a destra e una sinistra, e una in fondo. Annah aprì la stanza alla sua destra, e questa volta i ragazzi la seguirono per vedere se almeno lì dentro c’era qualcosa.
Rimasero sollevati quando videro tre letti. Ma ad essere precisi, non erano proprio dei veri letti, ma un insieme di assi fissate tra loro alla bell’e meglio che poi sarebbero dovute essere ricoperte da un materasso, delle coperte e magari un cuscino. Ma ne sarebbe venuto fuori di più un giaciglio ben poco sollevato da terra.
La cosa che catturò la loro attenzione fu un’asta di ferro piantata alla parete destra della stanza che terminava piantandosi nella parete opposta. Forse era lì per tenere più salde le pareti, ma non ne erano sicuri. Lenn vi si avvicinò e nonostante l’altezza dell’asta il mezzelfo riuscì a saltare e aggrapparcisi senza troppo impegno. Afferrata la sbarra, si sollevò con la forza delle braccia finché non riuscì a sedervisi sopra. Il soffitto però non era abbastanza alto da permettergli di stare seduto con la schiena dritta.
- Penso che mi tornerà utile per i miei allenamenti. – disse il ragazzo. – Io dormirò qui, se non vi dispiace. –
- Mettiti dove vuoi, non devi chiedere. – concesse Harù.
Lenn sorrise soddisfatto, poi si lasciò scivolare sotto la sbarra, tenendosi solo con le mani. Iniziò a fare qualche esercizio ginnico, mentre i muscoli sotto la camicia sudata e aderente si contraevano e davano bella mostra di sé.
- Mh. Che esibizionista. – borbottò Annah, come se si fosse sentita in dovere di disdegnare quel gesto apparentemente diretto a lei.
Lenn si risollevò e si rimise a sedere sulla sbarra, e non poté fare a meno di arrossire, imbarazzato. Non aveva pensato minimamente di poter apparire inopportuno.
Si schiarì la voce e cercò di apparire il più serio possibile. – Meglio andare a vedere cosa c’è nelle altre camere. –
Passò oltre i suoi compagni senza incrociare il loro sguardo e tornò nel corridoio, poi puntò alla porta che portava alla stanza opposta alla camera da letto. Anche lì trovò degli pseudo letti dall’aspetto poco confortevole. Non c’era nessuna sbarra a sorreggere le due pareti di quella stanza.
Entrarono anche gli altri; Annah, dopo una rapida occhiata, scosse la testa, corrucciata. – Sia chiaro, - disse, - Io non condividerò mai la camera con due di voi. Ho già dovuto sopportare questo ultimo mese e mezzo nel deserto, e ho bisogno di riavere un mio spazio personale. –
Jao le poggiò una mano sulla spalla, mostrandosi in difficoltà. – Annah, i letti sono già messi così. Cosa dovremmo fare, spostarli? –
La bionda lo squadrò per qualche secondo, poi rispose con ripicca: - Certo. Perché no? –
- Ma perché è una cosa irragionevole ed è un lavoro immane! –
- Mh, piantala di lamentarti. Lenn ha i muscoli, come ci ha appena mostrato, e già è un primo candidato. Voi altri non è che siete da meno, anzi, Harù è il più grosso di tutti. Se collaborate, in una mezz’ora avrete già finito. –
Lenn non poté fare a meno di arrossire di nuovo, mentre se ne stava in disparte.
- Annah, siamo stanchi! – protestò Chad.
- Io ho bisogno di farmi un bagno. – si aggiunse Harù.
- Un bagno per poi faticare e sudare di nuovo? Tanto vale fare un ultimo sforzo e poi rilassarsi, no? – insisté la ragazza.
Rizo si lasciò scappare un ringhio sommesso. Poi sbottò: - Rimbocchiamoci le mani, allora. Tanto non cambierà mai idea. –
Annah sorrise, compiaciuta. Incrociò le braccia e si appoggiò al muro di pietra. – Prima si comincia, prima si finisce! –
Jao sbuffò, poi fece un cenno agli altri per dire loro di darsi una mossa. – Lenn, Harù, voi sollevate un letto. Io, Rizo e Chad ci diamo da fare col secondo. –
Annah, come per girare il dito nella piaga, alzò la mano e disse: - Io vado a vedere cosa c’è nell’ultima stanza, in fondo. Probabilmente ci sarà il bagno, e in quel caso non disturbate, ci starò per un po’. –
Detto questo, la ragazza si staccò dalla parete e camminò a passi leggeri e allegri fino in fondo al disimpegno, lasciando i ragazzi al loro lavoro ingrato.
Il Giglio aprì l’ultima porta e scoprì che effettivamente l’ultima piccola stanza era proprio il bagno. Ovviamente, non era come quello che aveva avuto a casa sua, ma era già tanto che ci fosse.
Era una piccola stanza quadrata, con una finestrella minuscola in cima alla parete destra. Di fronte alla porta, fissato al muro opposto, era fissato uno specchio sporco.
A sinistra c’era una piccola vasca, con vicino tre secchi da riempire. Forse, almeno di quelli, se ne sarebbe dovuta occupare lei.

Dopo un’estenuante ora passata a smontare e rimontare i due letti per farli passare per le porte e metterli tutti nella stanza con la sbarra, i ragazzi erano sfiniti. Si stesero a terra, stremati, in cerca della frescura del pavimento in pietra.
Nel frattempo, si era fatto buio. Lenn pensò che era ancora presto per il tramonto, ma poi pensò che lì la luce veniva a mancare prima perché il sole era troppo basso all’orizzonte per far passare tutti i suoi raggi per il lucernario di Malias.
Annah entrò nella stanza, allegra, fresca e profumata e con un vestito pulito addosso.
- Non dovrebbe essere ora di cena? E’ presto per dormire. – ridacchiò.
- Vaffanculo. – fece Lenn di tutta risposta. Quello che era troppo era troppo, perfino se si trattava di Annah.
Chad e Rizo esalarono qualche mugolio a comunicare che le braccia e la schiena facevano troppo male per far fare loro qualcos’altro.
- Io passo. – disse Jao, più pacificamente.
Annah sollevò le spalle, poco interessata al loro grado di stanchezza. – Va bene. Buonanotte. Io vado a rovistare nei vostri zaini per trovare qualcosa da mettere sotto i denti, d'accordo? –
Senza attendere risposta, il Giglio tolse il disturbo e poco dopo si sentì il rumore di lei che rimestava tra le cose dei ragazzi.
Mentre le mangiava, Lenn e gli altri si addormentarono sul serio.

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Capitolo 41
*** Capitolo 11 - Pietra e Sabbia (Parte II) ***


[Eccomi qua, mi scuso per il ritardo, ma per colpa della scuola non sono più riuscita a scrivere. Invece, adesso che è finita, potrò dedicarmi un po' di più alla scrittura, si spera! Nel frattempo, ecco la seconda parte del capitolo 11! Finalmente c'è di nuovo un po' di azione e incontri magici, cosa che mancava da svariati capitoli!
Spero che il capitolo piaccia e non si noti tanto il fatto che sono un po' arrugginita.
Buona lettura!]

Capitolo 11
Pietra e sabbia
Parte II





Una, due, tre picconate. Pausa. E ancora una, due, tre picconate. Spostamento dei detriti con un calcio. E di nuovo una, due, tre picconate.
Quel ritmo era deleterio e ripetitivo. Da quant'era che era lì a spezzarsi la schiena? Otto, nove ore?
Non sentiva più battere il sole sulla schiena, quindi doveva mancare poco al tramonto. Ormai il tempo non aveva più importanza, aveva acquistato una certa relatività, quindi quello era l'unico modo per poter farsi un'idea e capire quanto tempo mancava alla fine di quello strazio.
Il mezzelfo, all'ennesima terna di picconate, si mise ritto con la schiena e si guardò attorno.
L'ambiente non era dei più felici. I suoi compagni di lavoro, subito accanto a lui, erano semi-sconosciuti che però avevano le braccia e il viso sporchi di polvere come lui, graffiati da capo a piedi dalle scaglie di pietra che schizzavano ad ogni picconata data con troppa forza, o con troppa rabbia e frustrazione.
Davanti a ognuno stava una pila di rocce e detriti che si accumulavano di minuto in minuto, mentre i blocchi di pietra che avevano davanti prendevano sempre più la forma di un blocco cubico di pietra che sarebbe diventato poi una nuova abitazione.
Il ragazzo accanto a Lenn che stava spalando i detriti fuori dalla sua postazione incontrò lo sguardo del mezzelfo e disse: - Torna a lavorare, Lenn. Altrimenti ti detraggono di nuovo i soldi dalla paga come l'altro ieri. -
Lenn a quelle parole storse la bocca, ripensando all'episodio di appena due giorni prima. - Pff, che lo facciano! Non sono lo schiavo di nessuno, io. -
- Non vuoi riportare a casa la pagnotta? -
- Siamo in cinque a lavorare a casa mia. Me lo posso permettere, no? -
Il ragazzo accanto a Lenn a quel punto scosse la testa per togliersi il ciuffo di capelli castani sporchi e impolverati dal viso, poi sbuffò. - Fai come ti pare. - disse.
- Certo che lo farò. Mi rimetterò a lavorare quando ne avrò voglia. - ribatté il mezzelfo.
Detto questo, Lenn si voltò e rivolse lo sguardo verso l'alto, a guardare il lucernario che stava sopra le teste di tutti. Da lì non poteva più vedere il sole, anzi, il cielo sembrava che si stesse colorando di rosa. Il tramonto era davvero vicino, come aveva pensato.
Si diede ancora un'occhiata attorno. Nessuna Guardia in giro. Solo tanti poveretti che andavano giù di piccone senza sosta. Un uomo di mezz'età spingeva a fatica un carretto pieno di pietre e detriti ormai inservibili.
- Tsk, estensione della città. - borbottò il mezzelfo. Riprese il piccone che aveva abbandonato momentaneamente per terra, impugnò l'attrezzo con entrambe le mani, tirò indietro le braccia per darsi la spinta e infine fece calare il suo colpo sul blocco di pietra che stava scavando.
Al colpo, una scaglia di pietra rimbalzò per terra e colpì Lenn dritto sotto l'occhio sinistro.
- Merda. - sibilò il ragazzo.
Doveva stare più attento o c'era il rischio di perdere un occhio. Era già stato fortunato quella volta che gli era calata la spada di Maimed dritta in viso, era meglio non forzare la fortuna più del dovuto.
- Dèi, mi sto incazzando davvero. Aiutatemi voi o qui faccio un macello. -
Il mezzelfo sbuffò, ma questa volta lo fece per trarre poi un respiro profondo e tornare a lavorare. Questa volta il piccone scese con decisione, ma con meno forza.
Ormai sapeva come lavorare bene, doveva solo dosare le forze. Dopotutto, non era così duro di comprendonio; un mese gli era bastato e avanzato per capire come usare un piccone o un badile senza cavare un occhio a qualcuno.
Un rivolo di magia azzurra andò a guarire il taglio sotto l'occhio del ragazzo.
Odio questo lavoro.” pensò per la milionesima volta.
Non era mai stato quel tipo di persona che si lamentava ogni minuto per qualcosa, ma quel compito ingrato che le Guardie chiamavano estensione della città non gli andava giù nemmeno di traverso. Quando aveva ricevuto la lettera di reclutamento, un mese prima, non si sarebbe mai aspettato di finire a fare lo schiavo ai margini del Distretto Est. Oltre che a lavorare dall'alba fino al tramonto, era sorvegliato costantemente dalla Guardia di turno, e le pause concessegli erano davvero poche.
Ogni Guardia, poi, era della razza opposta ai suoi sorvegliati, cosicché ci sarebbero stati meno sconti per tutti, senza favoreggiamento di razza.
Lenn si voltò e andò a cercare con lo sguardo la Guardia elfica che era stata assegnata a lui e ai suoi dieci compagni Umani.
L'Elfo dai capelli rossi e ricci li osservava con astio, ma solo quando non gli calava la palpebra per la stanchezza. A quell'ora diventava impossibile lavorare per tutti, Uomini e Elfi, Guardie e picconatori.
Ma quando suona 'sta campana?!", pensò il mezzelfo, sempre più irritato.
Il tempo di pensarlo, e nell'aria si diffuse finalmente il rintoccare di una campanella, poco distante da lì.
Tutt'attorno s'alzò un collettivo gemito di sollievo.
Lenn buttò il piccone a terra con disprezzo e si guardò le mani. Odiava le vesciche. Usò la magia per guarirle, tuttavia si tenne i calli; non voleva tornare a lavorare con le mani illese e sentire di nuovo dolore, come se non fossero mai state abituate a quel tipo di sforzo.
Si spolverò i pantaloni, per quel poco che potesse servire, e si incamminò verso il bancone dei pagamenti.
- Lenn! - lo chiamò una voce.
Lenn si voltò alla sua destra, e tra la folla di uomini stanchi e sporchi, simili a spettri, sbucò Harù, che gli veniva incontro.
- Ah, sei riuscito a finire in tempo? - domandò il mezzelfo.
- Sì, un quarto d'ora fa. Non mi hanno fatto fare un altro viaggio perché non ce ne sarebbe stato il tempo. -
- Meno male, ci mancava solo quello! -
- E a te com'è andata? Ti vedo tranquillo. -
- Beh, non sono stato richiamato. Però ammetto che mi stavano per saltare i nervi, la campana non suonava mai. -
- In questo periodo il sole tramonta sempre più tardi. Ti saltano i nervi perché effettivamente stai lavorando più del dovuto! -
Lenn storse la bocca, poco rinfrancato dal fatto di aver ragione. - E tu come stai? -
Harù scrollò le spalle. - Come al solito. I detriti sono sempre tanti e i carretti sono sempre pesanti da spingere. Oggi però la Guardia mi ha detto che mi sarebbe stata data una Stage in più, perché ho fatto quasi il doppio dei viaggi rispetto agli altri. -
- Sei una montagna, amico. Non ti smuove nessuno e sei perenne. - disse Lenn, dando una pacca sulla spalla all'Orso.
- Ehi, grazie. - rispose lui, quasi imbarazzato.
Lenn rispose con un sorriso. Non dispensava complimenti a chiunque, ma Harù era un compagno degno di rispetto e non esitava a mostrargli quanto lo ammirasse. Ormai si sentiva in grado di dimostrare la sua stima con una certa naturalezza, stava lavorando molto sul mostrare e esplicitare a parole ciò che pensava della gente.
Arrivati alla fine della recinzione che separava la zona degli scavi dal Distretto Est, i dure ragazzi si misero a fare la fila per raggiungere il bancone vicino all'uscita.
Una volta arrivati lì, Harù salutò l'Elfo seduto al bancone, ma quest'ultimo ricambiò solo con un nervoso cenno del capo.
- Orso, mi è arrivata un messaggio dal lago. Mi hanno detto che oggi hai lavorato bene e hanno chiesto di darti una Stage di bronzo in più. -
- In effetti sì, mi avevano detto che l'avrebbero fatto. -
L'Elfo annuì, porgendo al ragazzo un pugno di monete. - Tieni, te lo sei meritato. A dopodomani. -
- A dopodomani. - rispose il moro, e poi uscì dal cancello, fermandosi appena fuori per aspettare Lenn.
Arrivato il turno del mezzelfo, l'Elfo fece roteare gli occhi color miele, infastidito. - Lenn. Per te due Stagi di bronzo in meno, oggi. -
Lenn inarcò un sopracciglio, incredulo, per poi sbottare: - Cosa? Perché?! -
- Oh, cosa importa, ne fai sempre una! Stamattina Zedou mi ha detto che sei arrivato con un'ora di ritardo. -
- Cosa?! Non è vero! Sono arrivato qui con Harù, e siamo stati puntuali! -
L'Elfo sospirò. - Non so cosa dirti. Lui mi ha riferito così. -
- Zedou ce l'ha con me e lo sai! Dai, almeno oggi dammi la mia paga normale. -
- Zedou non lo posso contestare, è di grado superiore al mio. -
Lenn digrignò i denti e si lasciò scappare un ringhio.
- Dai, andrà meglio la prossima settimana. Intanto riposati stasera e domani. -
Detto questo, l'Elfo scrisse qualcosa sulla pergamena che aveva davanti, poi porse le Stagi a Lenn.
Lenn raccolse dal bancone le monete. Le esaminò dal palmo della sua mano, poi corrugò la fronte e guardò l'Elfo. - Fritz, sai che ti dico? Vaffanculo, a te e a Zedou. -
L'Elfo si limitò a sospirare di nuovo, mentre il mezzelfo passava oltre e usciva dal cancello. - A dopodomani, allora! - disse, ma Lenn non si degnò di rispondergli.
Harù tentò di placare il fastidio dell'amico con un sorriso, ma non ci riuscì poi tanto. - Dai, andrà meglio la prossima volta. Puoi sempre richiedere di cambiare area, se quel Zedou ti ha preso di mira. Potresti andare nel Distretto Sud. -
- No, lì non ci vado, è una merda. - rispose il mezzelfo. Se fosse stato un gatto, in quel momento avrebbe avuto tutto il pelo ritto. - Ma poi non voglio farmi cambiare area, sul serio. Sono adulto, ce la faccio a sopportare un bulletto come quello. Però mi infastidisce. -
- Beh, però lo incontri sei giorni su sette. Forse è un po' troppo, potresti farti allontanare per un po'. - suggerì l'Orso.
- No. Sono stato assegnato a quest'area e qui rimango. E poi chissà, uno di questi giorni quel maledetto Elfo potrebbe avere un incidente. Io non vorrei perdermelo. -
- Lenn, perfavore, niente violenza. Non farti espellere per una cazzata simile. -
Lenn sbuffò. - Non mi faccio espellere, non ti preoccupare. Ho troppe cose importanti da fare, tipo partecipare a questo fottuto Torneo che non comincia mai! -
- E' perché la gente continua ad arrivare. Ma di qui a un mese chiuderanno le iscrizioni, e forse finalmente cominceranno anche a estrarre la gente per i primi turni. Anzi, potrebbero anche cominciare prima. Questo mese, durante tutti i viaggi che ho fatto da qui fino al lago, ho visto sempre meno gente arrivare con i Kelpie. Noi facevamo parte dell'ultima vera ondata di gente. -
Lenn annuì. Sbuffò ancora un paio di volte mentre camminava per le strade del Distretto, però non si lamentò più.
Le strade si facevano sempre meno affollate, seguendo il ritmo lento del sole che continuava a calare. Questo distendeva un po' i nervi del mezzelfo. La calca continuava a metterlo a disagio come sempre.
I bambini venivano richiamati dai genitori perché era ora di cena, e di fronte all'autorità delle mamme erano tutti costretti a mettere via i palloni e le pietre colorate.
Mentre la luce esterna diminuiva si accendevano i fuochi dei camini, e il riverbero delle fiamme fuoriusciva dalle finestre prive di tende o persiane a illuminare la strada.
- E' quasi ora di cena! - disse Harù allegramente. - Chissà cos'avrà cucinato Annah stasera. -
Lenn sorrise. - Qualcosa di buono, di sicuro. Detesta fare la casalinga, però è brava a far tutto. -
- Convengo! Dài, siamo quasi a casa. -
Lenn aguzzò la vista e riconobbe la loro casa, appena visibile mentre percorrevano quella via leggermente ricurva. Le abitazioni di legno alla loro sinistra erano alte e oscuravano le piccole case di pietra alla destra della strada, infatti quest'ultime irradiavano già dalle finestre la luce dei camini e di tutte le lampade ad olio disponibili, per non finire completamente al buio.
Il mezzelfo ormai si era abituato a percorrere quella via avanti e indietro, sei giorni su sette, per andare e tornare dal lavoro, ma trovava ancora strano avere una dimora fissa.
Aveva passato così tanto tempo a fare il pellegrino che si sentiva quasi a disagio nel poltrire in un unico posto. Allo stesso tempo, però, se ne sentiva confortato; l'idea di avere una casa a cui tornare sempre e comunque gli dava un forte senso di sicurezza, quella che non aveva avuto per un anno intero passato a viaggiare senza sosta. A dir la verità, quel senso di calore che provava ogni volta che pensava al blocco 365 non l'aveva provato nemmeno prima del suo viaggio, quando viveva con lo zio. Forse perché non era l'idea delle quattro mura a scaldargli il cuore, ma il confortevole affetto che vi ci poteva trovare all'interno. Ogni sera poteva ritrovarsi e stare tranquillamente con le persone che gli volevano bene, e a cui lui ne voleva. Quella certezza, anche se semplice e modesta, lo faceva stare bene. Forse era quella, la felicità.
Arrivati davanti alla casa, Harù bussò alla porta. Qualcuno dall'interno aprì e l'Orso entrò.
- Ciao! - disse il ragazzo dagli occhi azzurri.
Lenn lo seguì dicendo: - Ci siete già tutti? -
Il mezzelfo sbatté un paio di volte le palpebre per abituarsi alla luce confortevole di quel posto. L'aria era pregna di odori invitanti, spezie e carne arrosto, e il calore dell'ambiente scioglieva i muscoli irrigiditi dal freddo della sera.
Lenn si guardò attorno e vide che la tavola al centro della stanza era già apparecchiata. Il cibo non c'era ancora, ma Annah sembrava aver quasi finito di cuocere la carne, dal modo in cui armeggiava intorno alla pentola sospesa sul fuoco del camino. Là, nel suo angolo cottura, andava avanti e indietro tra il camino e i ripiani con le spezie. Aveva le guance e la fronte arrossate dal calore e un po' sudaticce, ma per Lenn era bella come sempre.
Mentre Rizo era già seduto a tavola ad aspettare che la cena fosse pronta, Chad era spaparanzato sulla sua poltrona di vimini, alla destra della porta d'ingresso, in fondo alla stanza.
Jao venne incontro al mezzelfo. - Sì, ci siamo già tutti. - disse sorridente.
- Com'è andata al lavoro? - domandò Chad dall'altra parte della stanza.
- Oh, benissimo! - rispose Harù, - Oggi mi hanno perfino dato una Stage di bronzo in più! -
- Di sicuro te la sei meritata! - rispose Jao. - E tu, Lenn? Cifra intera? -
Il mezzelfo sbuffò. - No. - rispose, imbronciato. - Tre Stagi d'argento e solo tre di bronzo. -
Jao scosse la testa. - Non è giusto che ti decurtino lo stipendio tutte queste volte. -
- E' quello che dico anch'io! Se solo quello...! -
- Lo sappiamo, Lenn! Stai tranquillo e goditi la serata, domani Zedou non lo vedi nemmeno. - intervenne Harù.
Lenn ricacciò indietro gli insulti che stava per sputare. - Va bene. Sono calmo. -
Harù sorrise gentilmente. - Bene. - disse, per poi andarsi a sedere anche lui a tavola.
- Ah, Lenn! - esclamò tutt'a un tratto Jao, come se si fosse appena svegliato di colpo da un sonnellino. - Ho una cosa per te. -
Detto questo, la Tigre andò verso il tavolo e prese una lettera sigillata che era appoggiata lì. La porse al mezzelfo.
- Oggi, al lavoro, mentre consegnavo le missive m'è capitata anche questa tra le mani. E' indirizzata a te. -
Lenn gli rivolse un'occhiata interrogativa, ma il castano non aggiunse altro. Prese dalle sue mani la lettera sigillata e la esaminò da vicino. Non era una lettera dai suoi cari fuori Malias, non ne aveva di persone che potessero scrivergli. Infatti il sigillo rosso di ceralacca aveva il marchio ormai ben conosciuto della Città di Pietra, la spada che trafiggeva il sole.
Forse sapeva perché gli avevano inviato quel messaggio, tuttavia non espresse giudizi ad alta voce e si limitò a rompere il sigillo e srotolare la pergamena.
Poche righe da leggere velocemente, ma tante ne bastavano.
Il suo viso s'accese con un sorriso soddisfatto. - Finalmente! - esclamò.
Jao gli si appese alla spalla e sbirciò il foglio, curioso. - E' quello che penso che sia? -
- E' la lettera? - domandò Annah, lasciando perdere per un attimo l'arrosto.
Lenn la guardò e annuì. - Sì. Sono stato estratto per il primo turno del Torneo! -
- Hanno già iniziato gli incontri? - domandò stupito Chad.
- A quanto pare sì... Io e Lenn ne parlavamo giusto oggi. Si vede che ormai c'è poca gente che arriva in città e hanno deciso di portarsi avanti col lavoro facendo già disputare gli incontri del primo turno. Ci sono così tanti partecipanti che la sfoltita era d'obbligo e da fare il più presto possibile. - disse Harù.
- E fra quanto dovresti presentarti? - domandò Rizo al mezzelfo.
- Fra tre giorni. - rispose Lenn. - E da adesso fino al giorno dell'incontro posso riposare e allenarmi, evitando di andare al lavoro. Devo solo portare questa lettera come prova alla Guardia a capo della mia area di scavo. -
- Posso portarla io al posto tuo, quando torno al lavoro. Tu stai qui e riposati, va bene? - s'offrì Harù.
- Grazie. - rispose il mezzelfo. La giornata non era stata delle migliori, ma ora si era un po' risollevata. E la prospettiva dei tre giorni di riposo lo rinfrancava, finalmente avrebbe potuto far riposare un po' la schiena e si sarebbe potuto allenare in modo decente per non arrivare al giorno dell'incontro completamente fuori forma.
- Ragazzi, la cena sarebbe pronta e si starebbe freddando, eh. - intervenne ad un certo punto Annah, richiamando la loro attenzione.
- Hai ragione Annah, scusa. - disse Lenn. Ripiegò la pergamena e si andò a sedere a tavola.
- Si mangia! - esclamò entusiasta Harù.
Si sedettero uno ad uno a tavola, ai loro soliti posti. Annah posò al centro della tavola la carne e ognuno si servì. La luce delle lanterne, il calore del fuoco nel caminetto, l'odore del cibo appena cotto, la presenza dei suoi amici. Lenn si sentiva tranquillo e sereno, e presto sarebbe tornato a fare ciò che gli veniva meglio: combattere. Se lo ripeté con ancora più convinzione: forse era quella, la felicità.


Lenn era avvolto dall'oscurità, in attesa. Qualcuno avrebbe potuto dire il contrario, ma non era teso. Il buio lo rasserenava più di ogni altra cosa, gli dava un senso di quiete che ormai non provava quasi mai.
Mentre il suo sguardo vagava a vuoto in quella notte artificiale, non poteva fare a meno di pensare a milioni di cose tutte assieme.
Tanto per cominciare, non si capacitava di come alcune persone temessero il buio. Ci stava pensando perché quando le porte dietro di lui si erano chiuse aveva provato pace, mentre i suoi amici l'avevano salutato e gli avevano augurato buona fortuna di fretta, per poi brancolare per qualche secondo nel buio, inciampando sui loro stessi piedi, e salire le scale che portavano gli spalti, ritrovandosi di nuovo avvolti dalla luce.
Non c'era bisogno di avere paura del buio. Era da lì che tutti provenivano, no? E' lo stato primordiale di ogni essere vivente, galleggiare in un caldo liquido per alcuni mesi, con gli occhi chiusi ma già sognanti, in un piccolo universo che di luce non ne ha. Siamo tutti figli del buio. E poi veniamo catapultati in un nuovo mondo, dove invece la luce è ovunque ed è irradiata da ogni cosa. Un posto in cui tutto è chiaro, ed è facile individuare le minacce anche se sono alle nostre spalle, perché ne vediamo l'ombra con la coda dell'occhio. L'ombra che è presagio di un buio diverso da quello da cui siamo venuti, ma a cui tutti arriveremo, un giorno. Ma dopo aver provato il gusto della Luce, nessuno vuole tornare sui suoi passi.
Perché?” si chiese il mezzelfo. Non capiva. A lui piaceva il buio, perché agli altri no? Perché nel buio non si vede nulla? Perché ricorda troppo la morte?
Forse lui non temeva niente di tutto ciò perché non era nato come tutti gli altri. Lui, appena dopo essere venuto al mondo, era stato relegato tra le tenebre. Aveva avuto un assaggio della luce del sole, ma poi ne era stato allontanato per così tanto tempo che non aveva avuto problemi a dimenticarla. E così era stato un po' come se non fosse mai nato fino ad un anno a quella parte. E non temeva la morte perché, come un bambino piccolo, non si rendeva ancora conto di quanto fosse grande, minacciosa e incombente sulla sua testa.
Si sforzava, ma non ce la faceva ad averne paura. Ecco, lo spaventavano molto di più le persone sedute sugli spalti, a pochi metri da dove si trovava lui, nel mondo esterno. Erano tante, erano urlanti, e non erano come lui. Loro erano tutte figlie della luce, mentre lui proveniva da un altro mondo. Aspettavano che uscisse dal suo rifugio e si facesse vedere, per poi combattere fino allo stremo delle forze con uno sconosciuto per vincere e avere una possibilità in più per diventare re.
Quello lo sapeva fare: combattere con tutte le sue forse, fino a morire.
Al momento era quello che il mondo gli chiedeva di fare, e quello per fortuna o per destino era proprio ciò che lui aveva da offrire; il suo corpo, la sua anima la sua mente, tutte concentrate su un unico fine: combattere o morire.
Lui provava a mostrare lati diversi di sé al mondo, ma alla fine quest'ultimo continuava a chiedergli sempre e solo una cosa. Sembrava che la luce volesse evitare di illuminare il suo corpo vivo a tutti i costi, perché continuava a chiedergli sangue. Sangue e sacrifici.
Aveva già dato tanto, quanto ancora gli sarebbe stato chiesto? A cos'altro avrebbe dovuto rinunciare? Morto lo era già stato, cosa doveva fare di più?
Non lo sapeva. Non sapeva un accidente. Però in quel momento doveva combattere, e l'avrebbe fatto con tutte le sue forze, perché era ciò per cui era nato.
Le porte davanti a lui si dischiuderono, e fremette. Portò la mano all'elsa della katana per tranquillizzarsi. Quasi gli sembrava di nascere di nuovo.
La fessura di luce davanti a lui diventò sempre più grande, finché le porte non si spalancarono e lasciarono spazio ad un muro luminoso, che colpì violentemente gli occhi del mezzelfo.
La folla emise un boato spaventoso, e investì lo Stregone con tutta la sua forza.
Calmati” si disse il ragazzo, “Fai finta che non ci siano. Niente attacchi di panico.
Respirò a fondo. Dopodiché si mise la maschera che aveva stretto in modo compulsivo fino ad allora. Si mosse e uscì nella luce.
Lenn del Clan di Nessuno rinasceva ancora una volta.


Colori, tanti colori. Troppi. Voci, centinaia di voci. Assordanti.
Lenn si guardò attorno, la mano sinistra stretta alla katana.
L'arena in cui si trovava era più grande di quanto aveva immaginato, sterrata, piatta, senza alcun luogo in cui ripararsi. Dei muri di pietra dividevano l'area della lotta e gli spalti, sui cui era seduta la folla urlante. Sedute sugli scalini o in piedi, le persone applaudivano e acclamavano il nuovo arrivato, forse il futuro re di Argeth.
Il mezzelfo era circondato, dato che l'arena era circolare. Invece di sentirsi lusingato da tutto quell'entusiasmo, lui si sentiva solo minacciato da quelle urla e da quel battere i piedi a terra che faceva tanto chiasso. Dov'era il suo avversario? Preferiva affrontare la lama di una spada piuttosto che l'attenzione di tutte quelle persone. Per fortuna aveva la maschera che lo difendeva, ma non per molto.
Il suo sguardo corse a cercare i visi conosciuti dei suoi amici, ma ovviamente non li trovò. Sapeva che erano lì, ma questo non bastava a rinfrancarlo.
Invece individuò immediatamente i re. C'erano anche loro ad assistere, ovviamente, e stavano seduti sui loro scranni dorati, proprio di fronte a lui, appena sopra la porta dello spogliatoio da cui sarebbe presto uscito il suo avversario.
Lenn riconobbe Fanir, che era identico a come l'aveva visto nella sua mente, durante la Prova: biondo, occhi neri, orecchie lunghe e ingioiellate; solo i suoi vestiti erano diversi, infatti indossava una tunica dai bordi dorati e la corona a forma di serpente che si morde la coda, simbolo del suo Clan.
Al suo fianco era seduto un uomo che Lenn non conosceva, ma che doveva essere per forza Kaloshi, data la corona che portava anche lui in testa. Non riusciva a capire cosa rappresentasse la corona, probabilmente era un qualche tipo di pianta.
Il re degli umani era l'opposto di quello degli Elfi: massiccio, dalle spalle larghe e le braccia pelose; aveva una lunga barba rosso scuro e delle folte sopracciglia dello stesso colore; gli occhi marroni si confondevano e spuntavano appena da quella selva di peli folti ma ben curati.
Entrambi i re avevano gli occhi puntati su di lui, loro unico oggetto di curiosità, per il momento.
Lenn non ce la faceva più a sopportare tutta quella pressione. Che fine aveva fatto il suo avversario?
Ma per fortuna, appena finito di pensarlo, la porta sotto gli scranni si aprì lentamente, e un nuovo boato assordò il povero mezzelfo.
Dall'ombra emerse una nuova figura, quella del suo sfidante, finalmente.
Lenn ebbe subito la spiacevole sorpresa di capire che il suo nemico era un Elfo. Nonostante la maschera rossa che gli copriva il viso, le orecchie a punta spiccavano come non mai ed erano talmente lunghe e arcuate che le punte arrivavano fin dietro la testa e quasi si toccavano. Un avversario di quella razza era sicuramente più temibile di un Umano; Lenn era in svantaggio, perché era come se fosse stato un Elfo, ma con qualcosa di meno. Non era in svantaggio come un Umano per intero, ma non poteva nemmeno usare la sua magia Celeste da mezzelfo, altrimenti sarebbe stato scoperto. Nessuno doveva venire a sapere che era un ibrido, altrimenti i suoi guai sarebbero triplicati.
L'Elfo camminò con passo fiero e deciso verso il centro dell'arena, e Lenn decise di fare lo stesso, con la sola differenza che il mezzelfo avanzava con la katana sempre a portata di mano, guardandosi di continuo attorno, soppesando ogni passo che compiva in direzione del nemico. Era così teso e pronto ad ogni reazione pericolosa che poteva apparire quasi impaurito, anche se lui continuava solamente a ripetersi di rimanere il più cauto possibile.
L'Elfo si fermò a pochi metri di distanza da lui, e Lenn lo imitò. Il ragazzo non capiva come mai il suo avversario sembrasse sapere già cosa fare. Possibile che gli avessero dato prima qualche informazione che a Lenn non era stata riferita?
Lenn digrignò i denti in segno di minaccia, senza pensarci. La persona davanti a lui non notò quel segno perché le maschere continuavano a coprire il volto di entrambi, rendendoli irriconoscibili.
Oltre alla maschera rossa, l'Elfo aveva anche il corpetto, gli spallacci e gli schinieri in cuoio dello stesso colore, esattamente come l'equipaggiamento di Lenn, che però era tinto di blu. Tutto per renderli riconoscibili l'uno dall'altro anche da lontano, per gli spettatori sulla sommità degli spalti.
Il suono di una campana risuonò nell'aria per una decina di volte, finché tutti non la udirono e, sentendola, si zittirono. L'arena crollò in un silenzio di tomba.
Oh, Dèi, grazie.” pensò Lenn, le cui orecchie finalmente avevano tregua.
Poi, sempre dalla porta da cui era uscito l'Elfo in blu, sbucò un uomo grassottello, abbronzato e vestito di bianco, con un turbante giallo in testa a ripararlo dai raggi del sole del deserto.
L'uomo corse frettoloso verso il centro dell'arena, e si fermò quando raggiunse Lenn e il suo sfidante. Dopodiché alzò le braccia al cielo e, rivolgendosi al pubblico, gridò: - Malias! -
Il popolo rispose con un urlo di esultanza.
Quando le grida scemarono poco dopo, l'uomo riprese: - Oggi inauguriamo l'arena e disputiamo il primo incontro del Torneo che ci rivelerà il nome del nostro futuro re! -
Altre grida, altro silenzio.
- Gli sfidanti di oggi sono ragazzi forti e vigorosi che nonostante la loro giovane età, poco più che uomini, aspirano alla corona. Uno di loro è anche discendente di un Clan conosciuto in tutto il mondo che mai avreste immaginato di vedere ancora tra noi! Speriamo che porti con sé speranza e pace per Argeth. -
Lenn storse il naso, infastidito. “Cazzo, questo parla di me. Pace e speranza. Non come i miei antenati, che hanno portato solo morte. Ora la mette come se ricadesse tutto su di me, hm? Non sa che io con quelle persone non ho avuto mai nulla a che fare, e non sono qui per chiedere la redenzione di nessuno.
Ma l'annunciatore non poteva sentire la risposta del mezzelfo, e così continuava con la sua arringa per esaltare la folla, come se non lo fosse già stata prima. - L'altro, invece, è uno dei padroni del deserto. La sua famiglia incarna la forza della natura, e speriamo che questa forza la donerà anche ad Argeth, per risollevarla dalla sua crisi profonda. -
Lenn fremette. Non ce la faceva più, l'attesa lo stava snervando, doveva distruggere qualcosa. Possibilmente colui che gli stava davanti e lo osservava dalle fessure della maschera.
La folla continuava a gridare. Lenn cominciava a provare astio anche per loro. Era stato chiamato per combattere, non per perdersi in inutili ciance. La vera lotta non era quello che stavano presentando.
L'annunciatore disse ancora qualcosa, tuttavia il mezzelfo non lo udì perché era troppo impegnato a ringhiare. Ad un certo punto l'Umano col turbante doveva averlo sentito, perché si era girato con aria preoccupata verso di lui.
Tagliò corto e si rivolse ai due ragazzi. - Mi raccomando, mantenete lo scontro più pulito possibile. L'incontro finisce quando uno di voi due non è più in grado di alzarsi da terra e combattere o quando dichiara la resa. -
Finito di dire quella frase, guardò in cagnesco entrambi, ma sembrò soffermarsi più a lungo su Lenn. - E' severamente vietato uccidere il proprio avversario. Pena, l'espulsione dal Torneo, più qualche cosetta decisa direttamente dai re a seconda dei casi. Buona fortuna. -
L'uomo col turbante batté le mani un paio di volte, poi gridò di nuovo verso gli spalti: - Che vinca il futuro re! Via le maschere! -
Detto questo, l'annunciatore corse di nuovo via, veloce come era venuto, e si rifugiò nello spogliatoio dalle porte rosse, chiudendosi là dentro.
Poi, quasi come davanti ad uno specchio, il mezzelfo e l'Elfo si tirarono via le maschere allo stesso tempo, gettandole a terra. E, proprio come di fronte ad uno specchio, sbarrarono gli occhi quando si riconobbero.
Porca puttana troia” pensò Lenn. Gli si accapponò la pelle. L'Elfo che aveva davanti lo aveva già visto, e non in un'occasione felice. Alto più o meno quanto lui, magro, dai capelli a caschetto nerissimi, colore raro in uno della sua razza, occhi azzurri e pelle bianca come l'avorio.
Prima che uno dei due potesse proferire parola, sopraggiunse imponente la voce del re Kaloshi, che si era alzato dal suo scranno.
- I due pretendenti al trono sono Lenn del Clan del Drago e Neruo Karim del Clan della Sabbia! - tuonò il re Umano. - Entrambi godono della nostra benedizione. Che l'incontro abbia dunque inizio! -
Il re non aggiunse altro, e si tornò a sedere.
Lenn portò di nuovo lo sguardo sull'Elfo, che estrasse la spada dal fodero e fece un salto indietro per prendere le distanze. Lenn sguainò la katana e indietreggiò di qualche passo.
- T-tu! - sibilò Neruo, gli occhi sbarrati o per paura o per sorpresa. Sembrava avesse appena visto un fantasma. - Tu dovresti essere morto! -
Lenn, interdetto, rimase per qualche momento in silenzio, prima di replicare: - E tu? Tu eri in Sovraccarico! Come fai ad essere già in grado di combattere? -
- Lo Stato di Sovraccarico finisce, e io non ho avuto ripercussioni dopo esser diventato adulto. La morte invece non è uno stato da cui si guarisce, come sei sopravvissuto? Ti ho visto spirare con i miei occhi in quella gola, eri in un lago di sangue! -
Lenn ringhiò. - Sta' zitto, animale! Non me lo ricordare! Sono sopravvissuto giusto per vendicarmi su tua sorella. -
l'Elfo a quel punto fece esattamente quello che Lenn aveva sperato, perché il suo sguardo corse velocemente in un punto preciso degli spalti, alla destra del mezzelfo. Seguì la traccia e si girò, individuando tra la folla le tre Elfe che aveva incontrato nel deserto.
Poi si voltò di nuovo verso l'Elfo. - Ringrazia che oggi ci sei tu nell'arena, e non lei. -
Neruo a quelle parole piegò indietro le orecchie e cominciò a soffiare come un gatto, digrignò i denti e mise in mostra i canini affilati.
Lenn gli rispose allo stesso modo, seppur in modo meno minaccioso perché non aveva tutte le caratteristiche ferine dell'Elfo completo.
Il mezzelfo non aveva davvero la sete di vendetta che aveva dichiarato, anzi, aveva sempre sperato di non incontrare più quei fratelli per evitare scontri inutili, ma voleva spaventare l'avversario e apparire il più minaccioso e incazzato possibile.
Gli sembrò di riuscire nel suo intento, perché alla sua reazione Neruo piegò ancora più indietro le orecchie, ma questa volta perché era stato assalito dall'insicurezza.
Lenn approfittò dell'esitazione dell'avversario e fece la prima mossa: impugnò la spada con entrambe le mani e la fece calare davanti a sé, sulla testa dell'Elfo.
Ekyarista! -
Il mezzelfo sentì la spada vibrare e rimbalzare dopo aver colpito uno scudo di magia blu.
Lenn sibilò. “Merda, questo ricorre alla magia fin da subito. Non devo dargli il tempo di formulare gli incantesimi.
Neruo ringhiò qualcosa di indecifrabile e poi si gettò a spada sguainata contro il mezzelfo. Lenn si fece scivolare a terra sulla schiena; appena l'Elfo gli fu sopra piegò le gambe e diede un calcio deciso con entrambi i piedi allo stomaco che l'avversario aveva lasciato scoperto durante il salto in avanti.
Neruo, preso in pieno, tossì e si schiantò oltre la testa del mezzelfo, con la spada atterrata a un metro da lui. Si portò le mani allo stomaco dolorante.
Lenn si rimise in piedi con un salto e, senza distogliere lo sguardo dall'avversario, si avvicinò alla spada caduta per darle un calcio e spedirla ancora più lontano. Non avrebbe mai impugnato l'arma di un avversario indifeso, sarebbe stato troppo meschino per lui.
- Sei più scarso delle tue sorelle. - disse il mezzelfo. Voleva continuare a istigarlo per fargli montare la rabbia e renderlo meno concentrato.
Neruo a quelle parole gli s'accesero e vibrarono come se fossero percorsi da fiamme. - Stà zitto! -
L'Elfo si rimise in piedi con un balzo e gridò: - Ora ti faccio vedere io, ekyarista! -
Una nuova barriera di luce blu attorniò il ragazzo.
Lenn non esitò e schiantò la spada contro lo scudo, ma questa volta infuse nella spada una forte energia luminosa.
Quando la lama incontrò la magia vitale dell'Elfo, lo scudo si crepò.
- Questa volta muori sul serio. Tora haien mer! -
A quelle parole la terra sotto i piedi di Lenn sollevò di scatto, andando a formare delle spine di roccia grandi quanto un bambino. Una fece in tempo a graffiargli un braccio sinistro, poi fu salvato dallo scudo di Luce che innalzò subito dopo.
Lenn si coprì il braccio con la mano libera per nascondere i rivoli di magia azzurra che andavano a curargli la ferita.
Nonostante fosse stato appena ferito, il mezzelfo aveva deciso di continuare a mantenere il suo atteggiamento sprezzante. - Tutto qui? -
Una volta guarito completamente usò la mano libera per lanciare contro Neruo una sfera di Luce. Il globo palpitante si schiantò contro lo scudo e lo frantumò definitivamente.
Lenn fece una smorfia scontenta. Riusciva a distruggere le difese nemiche, ma non con la facilità che avrebbe desiderato. Non poteva usare la sua magia da mezzelfo per nessun motivo al mondo, altrimenti sarebbero stati guai, ma non poteva usare nemmeno quella Oscura, altrimenti avrebbe rivelato a tutti di essere uno Stregone Oscuro. Ma si sentiva debilitato, con la Luce non riusciva a infondere nemmeno la metà della forza che incanalava negli incantesimi usando l'Oscurità. Era come usare le stampelle quando invece si era in grado di camminare perfettamente.
Il mezzelfo fece roteare la spada un paio di volte, poi partì alla carica verso l'avversario. Evocò il fuoco, il più puro che riuscì a tirar fuori dalla sua anima Oscura, e lo infuse nella katana.
Cercò di colpire di piatto l'Elfo, ma questo evocò il ghiaccio attorno al suo braccio e parò l'attacco senza scottarsi.
Farim! -
Lenn si sentì percorrere il corpo da una scarica elettrica che partiva dal terreno e gli percorreva le gambe, il torso, le braccia, la testa. Per un attimo gli parve di sentire il suo cuore paralizzarsi. Perse per un istante il controllo dei muscoli e mollò la presa sulla spada.
Finita la scarica, cadde a terra, intontito, con i capelli che gli fumavano e la vista annebbiata da una serie di lucine colorate che continuavano a lampeggiargli davanti.
Per la prima volta Lenn si deconcentrò e fece caso a ciò che gli stava attorno, le grida del pubblico. Si era alzato un boato di sorpresa. Alcuni esultavano alla vista del Drago steso a terra, altri insultavano Neruo per il suo colpo particolarmente pericoloso.
Neruo d'altra parte sembrava infischiarsene altamente, infatti si limitò a ridacchiare. - Sei spavaldo, ma anche irrimediabilmente stupido, Drago. Ora ti mostro qualcosa che eguaglierai a fatica. -
Detto questo, l'Elfo sollevò le braccia al cielo. I suoi occhi si accesero di una luce inquietante, per poi diventar color marrone chiaro.
Sira kye tam faraiendra der... -
Neruo cominciò a cantare una litania che sembrava infinita.
Lenn, intanto, si era messo a sedere. La testa gli girava vorticosamente, e se la scuoteva ritornava a vedere i puntini viola e dorati davanti agli occhi. Alzò lo sguardo e vide che attorno all'Elfo si stava alzando un vento vorticoso che gli faceva fluttuare le vesti.
Si rimise in piedi a fatica, e in quel momento volò su di lui un'enorme ombra che oscurò tutto il terreno vicino a lui. La gente sugli spalti cominciò a gridare. Lenn, percependo la paura nelle loro voci, sollevò la testa e vide cosa gli stava accadendo attorno.
Il sole era stato completamente oscurato da un'onda di sabbia grande quanto quelle che aveva visto nella sua mente assieme a Fanir. Il vento continuava a far sollevare i granelli del deserto appena fuori dallo stadio, formando quella massa enorme di terra.
L'onda poi si inarcò e si riversò nell'arena. Il vento e la sabbia sollevati ulteriormente dallo schianto del fiume di sabbia andarono a investire anche Lenn, che alzò uno scudo appena in tempo per non essere spazzato via da tutta quella terra in movimento.
Neruo continuava a ridere in modo inquietante, mentre la sabbia gli girava attorno senza sfiorarlo mai.
Dalla parete luminosa del suo scudo di Luce, Lenn vide la sabbia addensarsi e prendere una forma distinta, vagamente umana.
- Questo è lo Spirito del Clan della Sabbia! - gridò l'Elfo, per farsi sentire nonostante il boato del vento.
Perfetto.” pensò Lenn. Davanti a sé aveva appena preso vita un Troll di sabbia alto almeno dieci metri. Gli si accapponò la pelle quando la testa dell'essere di sabbia si girò verso di lui e i suoi occhi cavi riverberarono di una sinistra luce marrone-dorata.
Il piccolo fulmine che gli aveva percorso il corpo lo aveva stordito ben bene, il mezzelfo non riusciva a pensare a nulla di intelligente da fare contro quel mostro di sabbia.
Fece la prima cosa che gli venne in mente, non molto logica, e pensò intensamente all'acqua. Questa gli si materializzò intorno alle braccia e poi indirizzò i getti contro il gigante.
Il mostro di tutta risposta si aprì un varco nello stomaco e lasciò che l'acqua vi passasse attraverso come nulla fosse.
Lenn digrignò i denti. Continuava a sentirsi castigato dal non poter usare i suoi poteri al meglio.
Decise di esporsi un po' per mettersi in una posizione che non fosse almeno di svantaggio.
Usò la sua magia Celeste in una maniera che non poteva destare molti sospetti: la usò su di sé per farsi levitare e sollevare da terra, a livello del mostro. Non aveva mai provato quella tecnica, era insolita per un Umano in grado solo di usare magia elementale, quindi cercò di cammuffarla facendo alzare un poì il vento attorno a sé e suggerire a chi lo stava guardando che era riuscito a sollevarsi da terra solo grazie alla magia usata per dominare il vento.
Il mezzelfo andò a osservare il suo avversario, e Neruo pareva sinceramente stupito del suo livello di abilità magica. Forse cominciava a pensare che fosse stato sconfitto dalla sorella per un colpo di sfortuna, più che dalla sua inettitudine combattiva.
L'Elfo però non perse ulteriore tempo e corse verso il mezzelfo, seppur li separassero metri e metri di distanza.
Lenn lo osservò solo per qualche secondo, perché poi sentì di fronte a sé il rumore dei passi del Troll di sabbia che si schiantavano uno dopo l'altro più vicini a lui. Il Troll, come tutti gli Spiriti che aveva visto prima di allora, imitava fedelmente i movimenti del suo Stregone, ma li decuplicava.
Infatti quando Neruo evocò la sua magia vitale blu e distese le braccia verso il vuoto, il gigante di sabbia distese le braccia e investì Lenn con un getto della sabbia di cui era composto.
Il mezzelfo tentò di volare via, ma l'energia blu dell'Elfo gli andò a legare le caviglie e ancorarlo al terreno. Un istante prima di essere investito dalla sabbia Lenn invocò un altro scudo di Luce, che però si frantumò pochi attimi dopo. Lo scudo che aveva usato prima per proteggersi dalla sabbia era stato colpito da un'ondata incontrollata e meno potente rispetto a un attacco diretto, le cui energie erano state concentrate appositamente per l'atto di ferire, e quindi aveva retto, mentre la barriera che aveva appena invocato non aveva accusato il colpo e si era sbriciolata miseramente.
Lenn chiuse gli occhi e si coprì il viso con le mani per proteggersi dalla sabbia sferzante e dai detriti più grossi dei granelli che continuavano a graffiargli il le orecchie e a ferirgli le mani.
Provò a prendere una boccata d'aria, ma ingoiò solamente terra. Tossì violentemente e si sentì mancare il respiro. Ancora pochi secondi dentro a quella tempesta e sarebbe morto asfissiato.
Aveva anche perso il senso dell'orientamento, non avrebbe saputo dire quale fosse il sopra e quale il sotto, perché continuava a venir sballottato del vento e con gli occhi chiusi non poteva ovviamente vedere dose stesse andando, quindi non poteva nemmeno volare via.
Decise di usare una magia più seria e potente, anche se si sarebbe esposto molto. Ma non importava. Questa volta ne andava della sua vita.
Pensò intensamente al fuoco, come aveva fatto quando aveva incendiato il palco appena arrivato a Malias, però trasferì quell'immagine delle fiamme su di sé.
Pregò gli Dèi che non lo facessero finire abbrustolito.
Poi liberò parte dell'energia che sentiva racchiusa nel petto e la usò per dar vita all'incantesimo.
In un istante il suo corpo venne circondato da capo a piedi da scintille azzurre e poi dalle fiamme, che però non gli bruciavano la pelle, perché parte di lui.
Il vento vorticoso non fece altro che alimentare la sfiammata del suo corpo e la sabbia attorno a lui si surriscaldò a tal punto da divenire vetro, che si schiantò pesantemente a terra.
Lenn fu finalmente libero dalla gabbia di terra e sabbia; il vento furioso smise di tenerlo sospeso in aria e cadde con poca eleganza a terra. Si mise a carponi, tremante, e prese una boccata d'aria come non ne aveva mai prese prima di allora. Respirava e sputava terra in contemporanea.
Neruo intanto lo osservava, interdetto. Probabilmente non si era aspettato che l'avversario fosse così forte da invocare tutte quelle fiamme in un colpo solo senza perdere troppe energie.
Lenn sputò un altro grumo di terra e saliva. - Sei proprio un Elfo di merda...! -
Neruo ringhiò. - Hai ancora il fiato per parlare? Allora non ci sono andato giù abbastanza forte! -
Detto questo, l'Elfo diede un calcio all'aria. Lenn si alzò in piedi ma non fece in tempo a pensare al calcio che gli avrebbe sferrato lo Spirito di sabbia. Infatti fu investito da un muro di sabbia e terra che lo fece letteralmente volare a vari metri di distanza.
Lenn digrignò i denti, frustrato. Non riusciva a reagire come voleva, e la presenza dello Spirito di Neruo rendeva l'incontro irrimediabilmente impari. Se solo avesse saputo evocare a comando il suo Spirito come aveva fatto l'Elfo! Ma non conosceva la formula.
Neruo intanto lo aveva raggiunto camminando tranquillamente. - Non fai più il gradasso, eh? -
Lenn sollevò lo sguardo e fissò l'Elfo con disprezzo. Raggruppò quel poco di saliva che gli era rimasta nella bocca secca e sputò contro lo Stregone avversario.
Gli occhi color miele di Neruo si infiammarono e il suo viso si distorse dalla rabbia. - Ti arrendi?! -
Lenn non ricambiò lo sguardo infuriato, ma lo fisso con tutta la serietà e la superiorità che sentiva di avere dentro. - Piuttosto muoio. -
L'Elfo allora con uno scatto possibile solo da uno della sua razza sollevò la sua spada, che aveva recuperato chissà quando, e la conficcò nel braccio sinistro di Lenn. La lama trapassò i muscoli e si andò a piantare a terra.
Il mezzelfo gridò di rabbia e dolore.
- E allora muori. -
Lenn si sentì di nuovo investire dalla terra e dalla sabbia, che gli coprirono tutto il corpo, meno che la testa. Il Troll di sabbia si era ridimensionato, anche se continuava ad essere un colosso, e teneva il mezzelfo fissato al terreno con la forza di una sola mano.
Questa volta non arrivò la sabbia a sferzargli il viso, perché c'era già la forza del mostro di sabbia che lo stava soffocando. Lenn non riusciva a muovere un muscolo, e perfino sollevare il petto quel tanto che bastava per respirare stava diventando sempre più difficile.
Gli mancava il respiro, la spada che gli trafiggeva il braccio gli provocava un dolore insopportabile, non riusciva a ragionare con lucidità.
Sentiva solo due emozioni: dolore e rabbia.
Sentì la rabbia, in particolare, scorrergli tra le vene; gli rendeva il sangue di fuoco e faceva pulsare le vene che aveva sul collo.
Poi arrivò la frustrazione, il senso di impotenza che provava nel non potersi muovere, nell'essere troppo poco lucido per poter usare un incantesimo intelligente, nel non poter usare l'Oscurità per cavarsi via da quel guaio. Se avesse usato la magia nera, sarebbe stato espulso dal Torneo perché Stregone Oscuro, se lo sentiva; e cosa ci sarebbe stato dopo? Nessuno scopo da raggiungere nella sua misera vita; tanto valeva morire, allora.
La sua immensa furia traboccò dal suo piccolo corpo con le lacrime, che però si addensavano e diventavano sabbia bagnata appena gli uscivano dagli occhi.
Allora gridò. Cominciò a gridare perché altrimenti la testa gli sarebbe esplosa, lo sapeva.
Neruo, accanto al mezzelfo, doveva aver pensato che quelle grida fossero di dolore, perché si mise a ridacchiare compiaciuto. Non sembrava realizzare che di quelle grida doveva solo avere paura.
Lenn gridò ancora, e nel mentre cominciò a raccogliere tutte le forze che gli rimanevano nel petto, finché aveva ancora aria per respirare.
Sentiva il cuore battere all'impazzata.
Poi l'energia accumulata dentro al petto cominciò ad assumere un calore vero e tangibile, e Lenn si sentì invadere le viscere di un fuoco che sembrava sempre di più lava bollente.
Sentì gli occhi pungergli un po', come se qualcuno stesse pungolandoglieli dall'interno.
Gridò ancora, e ancora.
Poi la forza che aveva trattenuto nel petto si sprigionò.
Il suo ultimo grido divenne un ruggito.

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Capitolo 42
*** Capitolo 11 - Pietra e Sabbia (Parte III) ***


[Ecco la terza e penultima parte del capitolo 11! Finalmente si scopre cosa combineranno Lenn e Neruo durante il loro incontro! Non ho molto da dire su questa parte, oltre al fatto che spero sia scritta bene e l'incontro sia abbastanza accattivante; ho ancora serie difficoltà a descrivere le scene di lotta. Ma ehi!, le scrivo proprio per fare pratica e migliorare! 
Detto questo, buona lettura! =D]


Capitolo 11
Pietra e Sabbia
Parte III

 



Lenn sbatté le palpebre un paio di volte, intontito. Le lacrime gli avevano reso difficile vedere cosa stesse succedendo.
Si rese però conto di sentirsi vuoto e carico allo stesso tempo.
Nel momento in cui sentiva di aver dato tutto, ecco che arrivava nuova energia nel suo petto, pronta per essere utilizzata. Capitava in modo così improvviso che sembrava quasi un sogno, uno di quelli in cui compi un'azione irrealizzabile, ma ti sembra comunque naturale che sia successo.
Ora non gridava più; non ce n'era più bisogno, d'altra parte.
Il calore che aveva racchiuso nel suo petto fino ad un istante prima era esploso e aveva abbandonato il suo corpo, per raggiungere chissà quale nuova casa. Si sentiva come rinato; senza esperienza, ma pieno di energie.
Non sapeva come, ma il peso opprimente della sabbia sul torace era addirittura sparito. Stava davvero sognando?
Sentiva ancora la pressione della lama della spada conficcata nel braccio, però. Tenendo gli occhi chiusi perché troppo impiastricciati nella sabbia e nelle lacrime, andò a tastare il braccio sinistro inchiodato a terra, circospetto. La spada trapassava da parte a parte il braccio, ma la perdita di sangue era minima, non sentiva i contorni della ferita troppo appiccicosi. Se ne sarebbe pentito e lo sapeva, ma non volle esitare oltre e, afferrando la spada dalla parte della lama perché l'elsa era troppo in alto, sfilò via l'arma dal terreno e poi dal suo braccio. Non un sibilo gli uscì dalla bocca, non aveva più voce. Finalmente fu libero, e sentì la magia Celeste percorrergli il braccio, tempestiva, mentre andava a curare la ferita. Ne prese il controllo e fece chiudere solo la pelle, non i tessuti lacerati; per quel tipo di magia di ricovero ci sarebbe voluto troppo tempo ed energia, cosa che al momento non poteva permettersi di perdere.
Poi, ancora disteso a terra, si portò le mani al viso e si strofinò gli occhi. Sentiva i granelli di sabbia sfregare contro le palpebre e le guance, e cercò di spazzarli via più che poté.
Quando riuscì finalmente a liberare gli occhi e vedere cosa stesse succedendo, notò come prima cosa che le sue mani erano dorate; ma non perché brillavano di un qualche strano incantesimo, bensì perché le lacrime che aveva pianto erano color dell'oro.
Che è 'sta roba? Che succede?” si chiese il mezzelfo.
Prima che potesse formulare una qualsiasi ipotesi, sentì la voce gracchiante di Neruo gridare: - Come cazzo hai fatto?! -
Lenn sollevò il capo e vide l'Elfo pochi metri di fronte a sé, il quale però non fissava il mezzelfo, ma un punto qualche metro sopra di lui. La sua faccia era una maschera di rabbia.
- Nessuna fottuta formula... Tu non sei normale! -
Lenn gli ringhiò contro, infastidito dal suo tono di voce. Gli si rizzarono però i capelli quando sentì un ringhio molto più profondo e minaccioso provenirgli da qualche metro sopra le spalle.
Il mezzelfo allora si voltò, e sentì di aver vissuto quella situazione già una volta.
Si sentì confortato e allo stesso tempo intimorito dallo sguardo dorato che ricambiò il suo, esattamente come la prima volta che in uno scontro disperato si era voltato e aveva visto la sua immagine riflessa negli occhi acquosi ed espressivi del suo Spirito.
Lenn deglutì, sorpreso. Non sapeva nemmeno lui come aveva fatto, ma era riuscito a invocare di nuovo lo Spirito del Clan del Drago al suo cospetto, per combattere.
Esattamente come quando si era materializzato alle sue spalle nella casa abbandonata in cui aveva incontrato Maimed, il poderoso Drago nero lo fissava e aspettava suoi ordini.
La creatura era possente, dalle zampe larghe e resistenti come querce, gli artigli candidi come la neve a forma di sciabola, pronti a dilaniare il proprio avversario; la testa massiccia e quadrata era contornata da una corona di corna che si apriva a ventaglio, la quale sembrava in grado di poter scorticare qualunque avversario con una sola testata.
Le scaglie nere che lo ricoprivano da capo a coda sembravano assorbire tutta la luce circostante, e il Drago in mezzo a tutta quella sabbia bianca spiccava non poco; dava l'effetto di una macchia d'inchiostro caduta per sbaglio su di una pergamena pulita.
Le ali membranose spiegate lo rendevano ancora più maestoso e lo facevano sembrare grande quasi quanto lo Spirito di sabbia di Neruo.
La folla strepitava e acclamava l'arrivo in campo dello Spirito del Clan del Drago, pronto per rendere la battaglia impari di Lenn e dell'Elfo un po' più entusiasmante.
Il Drago nero ruggì, e dalla sua bocca colarono rivoli di sabbia.
Lenn si voltò e vide il gigante di sabbia di Neruo con un braccio monco, che però si stava lentamente riformando in un vortice di detriti e sabbia. Lo Spirito di Lenn, appena evocato, doveva aver morso e staccato la mano che teneva il suo padrone inchiodato al terreno prima di qualunque altra cosa, cavandolo fuori dai guai.
Lenn si alzò da terra, ancora incerto sulle gambe, aiutandosi col braccio destro, quello buono. Una volta in piedi esaminò il sinistro, notando che la pelle si era facilmente cicatrizzata, ma nel punto in cui c'era stato lo squarcio si stava formando un vistoso ematoma, segno che il sanguinamento non s'era interrotto.
Il mezzelfo tornò finalmente a rivolgere le sue attenzioni a Neruo, a cui mancava solo il fumo che usciva dalle orecchie per esprimere la sua rabbia e il suo disappunto.
- Che gli Dèi ti fulminino, questa è Stregoneria maligna! Non si può evocare uno Spirito senza usare le formule! -
Lenn si concesse un sorriso beffardo. Si schiarì la gola. - Sai, Neruo... - incominciò, camminando tranquillo verso la katana caduta poco distante da lui. Raccolse l'arma. – Solo perché tu non sei capace, questo non significa che sia impossibile. -
Neruo ringhiò ancora. - E hai ancora il fiato per fare il gradasso! Ma io ti uccido sul serio! -
Lenn ignorò le minacce dell'Elfo e fece correre lo sguardo verso la sua katana, ancora a terra a pochi piedi di distanza; intatta, anche se quasi poco utile in uno scontro magico. - Se me la graffiavi, te la vedevi brutta. -
- Oh, basta così! Kya Haraizen! -
Neruo sollevò un braccio e da esso scaturì un raggio di Luce che colpì un punto vicino alle caviglie del mezzelfo. L'Elfo si stava visibilmente spazientendo e voleva riprendere la lotta.
- Ora siamo ad armi pari, vieni e prova a battermi! Anche così, non ci riuscirai! -
Lenn si limitò a storcere la bocca, infastidito. Il suo fastidio, però, non era provocato dalle grida poco dignitose dell'Elfo, quanto dal pensiero di quello che stava per fare.
Non erano ad armi pari.
Lenn ora aveva il suo Spirito al fianco, ma non avrebbe mai vinto se avesse continuato a usare la Luce contro l'avversario, magia primaria che invece Neruo padroneggiava con naturalezza.
Odiava ammetterlo, ma la sua forza era più che dimezzata, senza poter usare l'Oscurità; dopotutto, la Luce l'aveva cominciata ad usare da nemmeno un anno a quella parte, mentre le Tenebre facevano parte di lui da sempre.
Non poteva nemmeno permettersi l'umiliazione di perdere al primo incontro con la consapevolezza di non aver dato tutto. Quindi la decisione che aveva appena preso era del tutto sensata, per come la vedeva lui.
Lenn portò in avanti il braccio sinistro, cercando di non far trasparire il dolore che quel gesto provocò. Senza bisogno di alcuna formula, fece apparire un globo di luce bianca sul palmo della sua mano, mostrandolo all'avversario.
- Hai ragione. - disse, - Così non sarò mai in grado di batterti. -
Neruo corrugò la fronte, evidentemente cercava di capire dove il mezzelfo volesse andare a parare.
Lenn si compiacque dell'espressione dell'avversario. Amava esibire la sua superiorità come pochi, quando poteva.
A quel punto schioccò le dita per dare un po' di drammaticità in più, e la Luce sul palmo della sua mano si trasformò in un globo pulsante nero e viola. - Così, però, sarà una passeggiata. -
Sentì il pubblico raggelarsi.
Neruo rimase a bocca aperta per qualche secondo. Poi si schiarì la voce e cominciò: - Tu sei uno...! -
Ma fu interrotto da un raggio di Tenebre che lo colpì dritto al petto e lo fece schiantare al suolo.
- Sì, sì, sono uno Stregone Oscuro, come tutti gli stramaledetti Draghi, tagliamo corto. Volevi combattere, no? -
Neruo si rialzò in piedi, ferito più nell'orgoglio che dal colpo di Lenn. Tutto a un tratto appariva molto meno spavaldo, con le orecchie piegate all'indietro.
- Schifoso, schifoso Umano! Gli Stregoni Oscuri e la loro sporca magia sono perseguitati qui ad Argeth! Meriteresti di essere arrestato! -
Lenn sbuffò. Era già stato difficile decidere di scoprirsi in quel modo, non voleva che l'Elfo girasse troppo il coltello nella piaga e lo facesse pentire della sua scelta.
Voleva fare quello che gli riusciva meglio e goderselo, finché poteva. Voleva combattere.
Il mezzelfo evocò un nuovo globo di Tenebra sul palmo della sua mano. - E a chi lascerai l'onore di cacciarmi da qui a pedate, alle Guardie? -
Neruo corrugò la fronte.
- Non preferiresti sbarazzarti di me combattendomi? Pensa alla gloria che potrebbe spettarti in quanto castigatore di uno schifoso Stregone Oscuro! -
L'Elfo a quel punto rizzò di nuovo le orecchie e sorrise compiaciuto. Forse si stava immaginando qualcosa di glorioso che lo aspettava alla fine dell'incontro.
E' stato in Sovraccarico, quindi in teoria è un adulto,” pensò Lenn guardandolo “ma ad ogni minuto che passa mi sembra sempre di più di avere davanti un bambino nervoso e viziato.
Neruo non gli andava a genio, nemmeno nel rispetto che si deve all'avversario. Quando lo guardava gli sembrava sempre di vedere un asino imbizzarrito, ridicolo con le sue lunghe orecchie e il suo inutile scalciare.
Fu in quel momento che Lenn fece caso alle urla della folla. Le persone sugli spalti gridavano e incitavano Neruo, di colpo volevano tutti vedere l'erede del Clan del Drago abbattuto.
Strillavano così tanto che anche loro dettero a Lenn l'impressione di essere un mare di animali. Gli Elfi erano asini, gli Umani li sostituì con dei cavalli che nitrivano senza sosta. Ce l'avevano tutti con lui, il povero mulo.
Riemerse dai suoi pensieri quando con la coda dell'occhio vide avvicinarsi una sfera di fuoco alla sua testa. Senza proferir parola né muovere un muscolo, il mezzelfo evocò uno scudo Oscuro. Il globo colpì la barriera e si dissolse senza scalfire la sua difesa.
Lenn si voltò e guardò Neruo in cagnesco. - Non si colpisce un avversario distratto o disarmato. Tu oggi hai fatto entrambe le cose. Mi fai innervosire. -
Lo Stregone avversario, a quelle parole, mimò un affettato inchino. - Oh scusatemi, signore, se colgo le opportunità invece che rimanere imbambolato a fissare il vuoto. -
Lenn arricciò il naso, infastidito. - Finiamola qui, stiamo sfiorando il ridicolo. -
Detto questo, il mezzelfo fece una piroetta sul posto.
Neruo inarcò un sopracciglio, interdetto. - Ma che ca... -
Ma non finì la frase, perché all'improvviso si vide arrivare contro un tronco nero all'altezza della testa. Si fece cadere a terra e evitò il colpo, ma quel corpo velocissimo prese in pieno il Troll di sabbia di Neruo, rimasto immobile fino a quel momento, privo di ordini.
Lenn vide che l'Elfo era sbiancato, mentre sollevava la testa e capiva che il tronco che si era visto sfrecciare contro era in realtà la coda dello Spirito del Clan del Drago.
Il gigante di sabbia, però, non era stato altrettanto veloce, ed era stato colpito alle gambe dal Drago nero.
Lo Spirito sabbioso, senza più un sostegno, rovinò in avanti, sollevando un grande polverone, per poi andare a riprendere vita e ricomporsi, di nuovo in piedi e con entrambi gli arti inferiori.
Lenn non attese un secondo di più e si gettò in corsa contro l'Elfo. Il Drago nero, imitando le mosse del padrone a cui era legato, caricò il Troll.
Ekyarista! - squittì Neruo.
Lenn si fece circondare dalla magia Oscura e, senza battere ciglio, andò a colpire con una spallata la barriera appena innalzata dall'Elfo. Subito dopo si sentì un forte rumore simile a quello del vetro infranto.
Il mezzelfo non tentò di frenare lo slancio e si volse in modo da avere l'avversario di fronte, piazzando il braccio destro in orizzontale, a livello del viso.
Lenn cadde di peso sull'Elfo e lo buttò a terra, facendo pressione sul suo collo col braccio. Neruo tossì a causa della polvere sollevatasi e dallo strozzamento, poi cominciò a dimenarsi. Alzò le braccia e tentò di infilare i pollici nelle orbite di Lenn, ma quest'ultimo fu più veloce e col sinistro riportò il braccio dell'Elfo a terra, mentre l'altra mano dell'avversario la sistemò con un repentino morso.
Una scena analoga accadeva tra il Drago nero e lo Spirito della sabbia, col Troll che veniva sovrastato dalla bestia alata e veniva smembrato con un paio di morsi, per tornare però a rigenerarsi con altri detriti.
Neruo invece cominciò a sanguinare dalla mano morsa, e non andò a curarsi con un incantesimo. Si limitò a soffiare come un gatto infuriato contro il mezzelfo.
Lenn notò quel particolare. “Che sia già arrivato al punto di voler conservare le energie solo per l'attacco?
Decise di attaccare ancora, finché aveva l'Elfo sotto controllo.
Inspirò profondamente e chiuse gli occhi, poi si circondò nuovamente di un'aura nera e viola, che andò ad avvilupparsi anche attorno a Neruo. Quando tornò a guardare l'Elfo, gli rivolse il sorriso meno piacevole che riuscì ad assumere, mettendo in mostra i canini appuntiti, seppur non quanto quelli dell'avversario.
I suoi occhi giallo-dorati brillarono e illuminarono la superficie di quelli color miele di Neruo, che cominciavano ad avere qualche screzio blu nell'iride, come il loro colore originale. Stava venendo attaccato sia fisicamente che attraverso il suo Spirito, cominciava a perdere il controllo del legame magico stabilito fino ad allora.
Lenn si chinò in avanti fino ad arrivare all'orecchio vibrante dell'Elfo.
- In kwaza rey nastyn. Adesso saremo davvero pari. -, mormorò.
Neruo deglutì.
Farim, Neruo. Farim. -
Una forte scarica di energia emerse dal terreno e investì sia l'Elfo che l'autore dell'incantesimo. Un fulmine nero di tenebra avvolse entrambi i contendenti. Lenn se ne sentì caricato, un formicolio che lo attraversava da capo a piedi e lo faceva sentire più vivo che mai. Neruo invece subiva l'attacco e veniva scosso dalle scariche; la forza Oscura gli trapassava il petto con facilità, scuotendo il suo corpo come fosse stato colpito ripetutamente da decine di pugnali.
L'energia Oscura in eccesso salì al cielo e raggiunse le nuvole, per poi svanire completamente.
Si sentì uno scoppio. Lenn, ora a cavalcioni su Neruo, si voltò per guardarsi le spalle, da dove era provenuto il suono. Il Drago nero stava sputando saette Oscure dalle fauci e le vomitava sul Troll; ad ogni sferzata ricevuta, il mostro di sabbia si sgretolava e scivolava a terra.
Quando lo Spirito del mezzelfo chiuse la bocca, del Troll era rimasto solo un mucchio di sabbia inanimata.
Il mezzelfo e il suo Drago rimasero qualche secondo a fissare il cumulo di sabbia.
Lenn stava per emettere un sospiro di sollievo, quando due sfere luminose riapparvero in mezzo alla sabbia, che riprese a muoversi e elevarsi per metri e metri.
In pochi secondi il gigante sabbioso era di nuovo in piedi.
Distratto, Lenn fu colpito da un pugno che gli prese in pieno il mento e lo fece cadere all'indietro. Sentì Neruo che scivolava via e liberava le gambe da sotto il suo corpo.
Lenn si rialzò in fretta con un salto, giusto in tempo per vedere anche l'avversario rimettersi in piedi, ma con più fatica.
Erano entrambi stanchi, ma Neruo aveva il fiatone e sudava freddo. Continuava a fissare il mezzelfo con sguardo truce, mentre nelle sue iridi ogni tanto balenava un lampo di azzurro a sferzare il marrone-dorato, manifestazione della sua sempre più debole invocazione.
E' fatta”, pensò Lenn, “Non ha più molto da dare”.
Ma l'Elfo del Clan della Sabbia non sembrava essere arrivato alle stesse conclusioni. Infatti con una parola sollevò attorno a sé l'ennesimo scudo di magia, anche se più sottile dei precedenti. Subito dopo cominciò a sputare parole così velocemente che perfino a Lenn risultarono incomprensibili.
Però il mezzelfo sapeva che un Elfo lasciato a compiere il suo bell'incantesimo, anche se ormai debole, era da evitare. Così riprese a corrergli incontro, inteso a buttarsi un'altra volta a peso morto su di lui e atterrarlo una volta per tutte, ma a interrompere la sua carica ci pensò un masso delle dimensioni di un'anguria che gli si schiantò contro il fianco destro. Lenn cadde a terra con un grugnito. Si portò una mano al fianco dolorante. Quando alzò lo sguardo Neruo aveva preso di nuovo le distanze da lui e aveva pure finito di formulare il suo incantesimo.
Intorno a lui stavano volteggiando dei massi di varie dimensioni, di cui alcuni erano anche più grandi di quello che aveva colpito Lenn. Vorticavano sempre più veloci, e intanto il vento cominciava a soffiare più forte e a sollevare la polvere dal terreno.
Lenn si accorse appena in tempo di un altro sasso che gli stava arrivando a colpire l'occhio destro e si abbassò, testa a terra. Notò così che tutti i ciottoli e le rocce che ricoprivano il campo di battaglia stavano una ad una cominciando a levitare e aggiungersi al vortice di pietre attorno a Neruo, che in pochi secondi era già raddoppiato di dimensioni.
Il mezzelfo sentì poi un ruggito alle sue spalle e quando si voltò vide che i sassi stavano colpendo anche il suo Drago, che agitava il muso e ripiegava le ali, infastidito. In quel momento avvertì il disagio e la confusione del suo Spirito come fossero suoi.
Intanto lo Spirito del Clan della Sabbia stava andando a dissiparsi e fondersi con il vento sempre più forte. Il gigante si sgretolava come brace calpestata.
Lenn evocò uno scudo di magia violaceo e si alzò in piedi, cauto. Le pietre cozzavano contro la parete magica con un tud tud sempre più frequente.
Il mezzelfo aguzzò la vista e cercò di individuare tra i detriti gli occhi di Neruo. Vedeva l'Elfo, ma non il brillare dei suoi occhi; probabilmente aveva spezzato l'incantesimo per controllare il suo Spirito in modo da usare le sue ultime energie in quell'incantesimo.
Decise di verificare e corse di nuovo verso l'Elfo, mentre il suo Drago lo imitava in tutto e per tutto e correva anche lui verso quell'obiettivo, facendo vibrare il terreno con i suoi passi.
Lenn creò una sfera di magia Oscura nel palmo della sua mano, poi la scagliò contro il fragile scudo di Neruo. Nello stesso momento il Drago alle spalle di Lenn sputò una palla di fuoco che andò anch'essa a segno.
Lo scudo si infranse con un nuovo suono di vetri rotti, ma l'Elfo fu lesto a innalzarne un altro più resistente, dato che ora non era occupato a formulare e mettere energie in un altro incantesimo.
Lenn intanto ormai era abbastanza vicino da poter vedere bene gli occhi di Neruo, che a conferma dei suoi pensieri erano ritornati azzurri, senza riverbero.
A quel punto Lenn percepì un forte dolore alla coscia destra, ma non era stato colpito in nessun modo. Si accorse invece che a essere stato ferito era il suo Spirito, colpito da un masso pericolosamente grande, quasi quanto una persona.
Ma da dove viene una rocca del genere?” si chiese il mezzelfo, non avendo visto massi di quel tipi nell'arena.
La risposta arrivò tempestiva. Le persone suglia spalti, che cominciavano a essere raggiunte e travolte dalla tempesta, iniziarono a gridare, terrorizzate. Seppur fossero tutti Stregoni, nessuno degli spettatori poteva difendersi: a inibire la potenza magica e la loro capacità di interferire in un incontro, infatti, ci pensavano i denti di Arcano legati al polso di ognuno, tenuti fissi con un semplice incantesimo ma indistricabili per chi la magia non la poteva usare.
Quindi erano tutti in balìa della tempesta, nessuno era in grado di proteggersi dalla pioggia di pietre, nemmeno gli Stregoni più potenti. Gli unici al sicuro erano i due re, protetti da una campana di magia bianca, composti come lo erano prima della tempesta e attenti alle azioni dei due contendenti.
Le pietre sempre più grandi si riversavano nel vortice provenendo dall'esterno, direttamente dal deserto, dove di colossi di pietra ce n'erano a monti.
Lenn si voltò verso Neruo, infuriato. Cercò di gridare più forte che poteva per sovrastare il rumore del vento e dello schianto delle rocce.
- Sei impazzito?! Finirai per uccidere qualcuno! Verrai espulso! -
Neruo aggrottò la fronte e fece vibrare le orecchie, infastidito. Gridò di rimando. - Non me ne frega niente! Io voglio solo vederti schiacciato da un masso al più presto! -
Lenn digrignò i denti. - Dèi, quanto mi stai sul cazzo. - disse, ma non abbastanza forte da farsi sentire.
Lo sguardo di Neruo era sempre di sfida, ma il suo viso diventava sempre più pallido, segno che ormai era agli sgoccioli. Ma quanto sarebbe potuto andare avanti ancora? Un paio di minuti o più? Lenn sapeva che non importava quanto tempo l'Elfo avrebbe resistito ancora, perché ogni secondo che passava era un pericolo evitato per qualcuno o un sasso dritto in testa per un altro. E lì, tra la folla, c'erano anche i suoi amici. Senza difese.
Delle Guardie di Malias già presenti sul posto stavano disponendosi lungo il perimetro interno degli spalti e stavano innalzando degli scudi, quanto più grandi possibile. La gente si spingeva e s'accalcava verso gli scudi per trovare riparo, ma in quel modo nemmeno un quarto delle persone in tutto lo stadio avrebbe trovato rifugio.
Lenn sapeva che lì in mezzo c'erano persone importanti per lui. Non poteva aspettare un secondo di più, non sopportava l'idea che loro fossero lì. E soprattutto, che anche Annah fosse in pericolo. Se le fosse accaduto qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.
Guardò ancora una volta Neruo, sempre più debole ma imperterrito nel mantenere alto e resistente lo scudo che lo proteggeva.
Lenn prese una decisione.
- Ehi, Drago! - chiamò il mezzelfo, sopra la tempesta.
Il Drago nero non sembrò udirlo, ma poi si mosse e camminò verso di lui, mentre continuava a guardarsi attorno, confuso e indeciso sul come agire proprio come il suo padrone.
Lenn guardò negli occhi la creatura. - Tu vai dagli altri! Cercali e verifica che stiano bene! -, disse, dando per scontato che il se stesso in forma di rettile sapesse già chi fossero “gli altri”. - Io mi occupo di Neruo! -
Il Drago annuì con occhi pieni di coscienza. Quella comunicazione ben riuscita compiacque molto Lenn, che non aveva mai rivolto la parola al suo Spirito.
Dopodiché la bestia alata si voltò e cominciò a correre in una direzione specifica, alle spalle di Lenn. Il mezzelfo fu preso da una voglia quasi spasmodica di imitare i movimenti del suo Spirito e corse pure lui, ma in direzione di Neruo. Si fece nuovamente avvolgere dalla magia Oscura e si schiantò contro la parete luminosa. L'Elfo teneva poggiate le mani alla superficie interna della sua cupola e vi faceva direttamente affluire la sua energia vitale, senza formule.
- Vaffanculo! - gli gridò Neruo dall'interno.
Lenn innalzò uno scudo più potente attorno a sé, ma che lasciasse scoperta la parte in cui voleva colpire lo scudo. Lenn avvolse i pugni stretti in un'aura Oscura e cominciò a tirare pugni allo scudo avversario. Dopo un paio di colpi ben assestati, si formò una vistosa crepa lungo la cupola luminescente di Neruo.
Pronto a dare il colpo di grazia, Lenn caricò un altro pugno, facendosi avvolgere però l'intero braccio di magia nera. Con tutta la forza della spalla andò a scagliarsi su Neruo, ma prima che potesse colpire lo scudo, sentì un forte rumore di vetri rotti, seguito dall'arrivo di un masso roteante dritto alla spalla sinistra. Lenn cadde a terra e la magia attorno al suo braccio si spezzò. Prima di venir investito da altre pietre, evocò un nuovo scudo. Ma, meravigliandosi, si rese conto che quella semplice magia lo indebolì più del dovuto, e i sassi che colpivano la nuova parete incantata incrinavano a ogni colpo la sua difesa, che doveva venir ricostituita con altra energia ad ogni colpo. Tutto ciò non era normale, si trattava solo di uno scudo.
- Ma che cazz...? - Lenn non se ne capacitava.
- Mi vergogno di essere sconfitto da uno come te! - gridò a quel punto Neruo. - Non lo sai che se ti allontani troppo dal tuo Spirito le tue energie finiscono tutte nel mantenere il legame che vi unisce? Ignorante! -
Lenn si sentì colpito nell'orgoglio da quell'informazione. Doveva riconoscere di non avere esperienza con gli Spiriti, il suo l'aveva evocato solo un paio di volte e senza nemmeno volerlo davvero. Si guardò attorno, per cercare il Drago nero, e lo vide dalla parte opposta dell'arena, arrampicato sugli spalti e con le ali spalancate. Le persone si accalcavano per godere della protezione delle sue grandi ali. Lenn avvertì un forte senso di pesantezza sulla spalle, ed ebbe la sorpresa di notare che i punti in cui cominciava a sentire dei forti dolori erano gli stessi del Drago che stavano venendo colpiti dalle rocce.
Devo fare qualcosa, e in fretta”, si disse il mezzelfo. Ma il tempo era poco, quindi non aveva avuto modo di riflettere molto quando pensò: “Ci vuole la magia da mezzelfo”.
Usò la sua magia vitale. Andando oltre la padronanza degli elementi naturali, lasciò che dei rigagnoli di energia azzurra scendessero dal suo braccio e corressero liberi nell'aria. Nascose il braccio in questione dietro la schiena per non far vedere troppo bene all'avversario cosa stesse facendo. Il mezzelfo pensò intensamente alla sua katana, l'arma appartenuta a suo padre. Pochi secondi dopo, sollevò l'altra mano libera in alto, col palmo aperto, e la sua spada precedentemente smarrita volò direttamente a lui. Senza esitare oltre la infuse di magia Oscura, poi la diresse contro la barriera. Più efficace di qualsiasi pugno, la lama della katana trapassò lo scudo di Neruo come burro, e quando Lenn diede un giro di polso la spada roteò e crepò l'intera cupola, che poi si frantumò. Si avvicinò a passo svelto e fu subito di fronte all'Elfo. Neruo, ormai debole, non reagì a nessuno di quegli eventi; allora gli diede un colpo appena sopra l'orecchio con l'elsa e lo spinse all'indietro. L'Elfo cadde a terra e Lenn gli si mise per una seconda volta a cavalcioni, ma questa volta minacciandolo con la lama della spada appoggiata alla gola.
Neruo lo guardava negli occhi, arrabbiato, ma con i denti che battevano tanto era stremato.
Lenn fece una leggera pressione con la katana, aprendo una piccola ferita sul collo dell'avversario.
- Hai già fatto abbastanza danni per oggi, finiscila qui, se hai un minimo di dignità. Ti arrendi? -
Neruo rimase un attimo in silenzio. Sospirò, poi pronunciò le fatidiche parole. - Mi arrendo. -
Nel momento in qui finì di parlare, il vento magico che aveva spirato in modo perenne durante quell'incontro si fermò e svanì. I sassi trasportati da quel vento si fermarono e precipitarono lungo tutto il campo di battaglia e sugli spalti.
Lenn e Neruo furono illuminati dal sole che fino a quel momento per loro era stato nascosto dalla sabbia.
Lenn si alzò da terra e rinfoderò la spada con un gesto stanco.
Sentì qualcuno correre alle sue spalle, e quando si girò vide l'uomo col turbante giallo che aveva annunciato l'inizio dell'incontro, accompagnato da cinque Guardie. Queste ultime sorpassarono Lenn e si gettarono su Neruo, rimasto a terra, e lo sollevarono di peso, fino a metterlo in piedi.
L'uomo col turbante si avvicinò a Lenn, e gridò: - Si aggiudica la vittoria di questo incontro Lenn del Clan del Drago! -
Lenn non s'era aspettato che l'ometto si sarebbe messo a strepitare in quella maniera, e il suono gracchiante della sua voce lo fece sussultare.
L'uomo continuò: - Neruo del Clan della Sabbia è invece colpevole di aver messo in pericolo la vita dei suoi concittadini. Verrà giudicato specificamente dai sovrani e conseguentemente punito. -
La gente tutt'attorno che si rialzava faticosamente in piedi non sembrava interessata ai discorsi di quel piccolo uomo, ma evidentemente quella era la prassi e l'annuncio pubblico andava fatto.
Finito di parlare, infatti, il signore col turbante e le guardie girarono i tacchi e scortarono Neruo fuori dall'arena, sparendo oltre la porta dello spogliatoio da cui era originariamente uscito per combattere.
I re, seduti sugli scranni posizionati poco sopra quella stessa porta, stavano parlottando fra di loro. Forse stavano già decidendo come punire Neruo. Però Lenn notò che ogni tanto Fanir gli lanciava delle strane occhiate, e questo gli diede fastidio, perché forse stavano parlando proprio di lui.
- Lenn! -
Al richiamo, il mezzelfo si voltò.
Il Drago nero avanzava fiero e tranquillo, con la sua camminata solenne, verso il proprio padrone. Lenn notò il suo sguardo, che sotto alle scaglie sembrava particolarmente orgoglioso. Aveva le ali semispiegate, posizionate orizzontalmente, e da sotto di esse sbucò Jao, ricoperto di polvere e sabbia, ma apparentemente illeso. L'amico gli venne incontro e lo abbracciò, dandogli anche qualche pacca sulla spalla.
- Gran bel lavoro, amico! Sei stato grande! -
Lenn, a disagio come sempre per quello che trovava un inutile stritolamento, si divincolò amichevolmente dalla stretta della Tigre. - Grazie... Anche se penso di aver fatto un gran pastrocchio, perlopiù. Non è stato uno dei miei incontri meglio affrontati. Ma tu e gli altri come state? Siete feriti? -
Da sotto le ali del Drago uscirono anche gli altri suoi amici, uno dopo l'altro.
Il primo fu Chad, che disse: - Vuoi scherzare? Appena è iniziata la tempesta è arrivato quella figata di Spirito che ti ritrovi ed è piombato sopra di noi. Con gli artigli s'è ancorato agli spalti, che tra l'altro ha disintegrato, e ha aperto le ali, coprendo noi e altri poveracci che ci stavano vicino! -
- Per fortuna le rocce non hanno fatto in tempo a colpirci. Nessuno di noi. - aggiunse Harù.
- Caspita, ci sono stati dei momenti in cui ho pensato che i massi l'avrebbero fatto dissolvere nel nulla, e invece il tuo Spirito è stato così cazzuto da resistere fino alla fine! - continuò Chad. Era a dir poco euforico.
- Bene, sono contento. - disse Lenn.
Poi il mezzelfo si girò a guardare Rizo e Annah rimasti in silenzio fino a quel momento. Del biondo non poteva fregargliene di meno, però volle assicurarsi che la ragazza stesse bene. - Tutto a posto, Annah? Niente di rotto? -
Annah gli rivolse uno sguardo indecifrabile. Fece una smorfia che doveva essere un sorriso. - Sana come un pesce. -
Lenn annuì, rasserenato, ma ebbe l'impressione che il Giglio, anche se illeso, fosse profondamente turbato da qualcosa. Decise che avrebbe indagato in modo discreto più avanti.
- Uoah, Lenn, e questo? - fece a un certo punto Jao.
Lenn sentì un forte bruciore, infatti l'amico gli stava tastando il livido al braccio sinistro, dove Neruo gli aveva conficcato la spada. - Non toccarlo. - disse di riflesso.
Quando guardò il punto in cui la spada l'aveva trapassato, vide che il sangue era continuato a uscire dalla ferita, anche se Lenn aveva temporaneamente guarito la pelle appena sopra; tutto il sangue s'era raggrumato ed era andato a diffondersi sotto lo strato cutaneo, allargandosi e facendo sembrare dall'esterno che Lenn avesse un enorme livido rosso e blu che gli ricopriva quasi tutto l'avambraccio. Non l'aveva ancora notato, e se ne preoccupò.
- Harù, passami il coltello, presto. - disse all'amico.
L'Orso obbedì e gli passò un coltello dei tanti che portava sempre alla cintura, a mo' di mazzo di chiavi. - Che vuoi fare? -
- La ferita è da riaprire. - rispose lapidario il mezzelfo.
- Sì, devi far uscire tutto il sangue in eccesso prima che si raggrumi, altrimenti sono cazzi. - convenne Jao.
Con tutto il sangue freddo di cui disponeva, Lenn andò a incidere con la punta la pelle in cui c'era stato lo squarcio, premendo con decisione la punta del coltello e facendola scorrere lungo il braccio. Una volta fatto il taglio, il sangue denso e rosso cominciò lentamente a sgorgare dal buco; poi Lenn fece la stessa cosa con la parte inferiore del braccio, da cui la spada era uscita, e anche da lì il sangue riprese a sgorgare.
- E adesso? - domandò Chad.
- E adesso aspettiamo che esca abbastanza sangue e poi chiamiamo uno Stregone medico che mi ricucia il muscolo diviso in due, almeno per riunire le due parti. Il resto lo posso fare io a casa, con un po' di riposo e la mia magia. -
-Allora cominciamo a cercare, su. Ne stanno accorrendo molti a soccorrere le persone meno fortunate di noi che sono rimaste ferite, di sicuro daranno una aggiustata anche a te. - disse Jao.
Lenn annuì. - Andiamo. -
I ragazzi si mossero e si diressero verso lo spogliatoio di Lenn.
Il mezzelfo però si fermò un attimo e si accostò al suo Spirito. Gli si mise di fronte, e appoggiò il palmo della mano sul suo petto ricoperto di scaglie nere. Attraverso di esse poteva percepire il calore pulsante della bestia.
- Ehi, gran bel lavoro. - disse il mezzelfo alla parte di sé che si concedeva di lodare. - Sono tutti salvi grazie a te. -
Il Drago chinò il capo e si abbassò per andare a sfregare leggermente il muso contro la guancia di Lenn. Poi la bestia muta alzò di nuovo la testa e ruggì. Il mezzelfo ebbe l'impressione che quel boato fosse di contentezza.
Lenn si concesse un sorriso e una risatina divertita.
- Ci rivediamo, va bene? -
Con quella promessa, Lenn chiuse gli occhi e pensò all'energia che gli si trovava davanti, quella del Drago, e s'immaginò quell'energia che rientrava nel suo corpo. Quando li riaprì il suo Drago era diventato trasparente, e la magia Oscura gli fluttuava attorno dopo essersi staccata dal suo corpo per andare ad avvolgere il braccio di Lenn, ripercorrerlo e tornargli nel petto.
Mezzelfo e Spirito si scambiarono ancora uno sguardo dorato d'intesa, e poi la bestia si dissolse, finché non ne rimase nemmeno l'aura.
Lenn si sentì di nuovo energico, con quella parte di sé di nuovo riunita.
Quando si guardò le mani, però, notò che gli si stavano formando dei lividi sopra. Si guardò le braccia, e anche lì comparvero delle abrasioni e degli altri segni viola.
- Abbiamo entrambi avuto la nostra parte, oggi. - mormorò il mezzelfo, osservando le ferite del suo Drago che comparivano sul suo corpo. Cominciò anche a sentirsi la schiena indolenzita; probabilmente gli stavano comparendo dei lividi pure lì. “Stanotte vedrò le stelle.
- Lenn, va tutto bene? - gli domandò Jao, che gli stava di nuovo venendo incontro. Gli altri erano già arrivati allo spogliatoio.
Il mezzelfo emise un sospiro stanco. - Sì, sì... Sono solo un po' stanco. Voglio riposare la schiena. -
- Allora su, cammina, ché andiamo dritti a casa! Ti meriti un po' di riposo. Quell'Elfo era un osso duro. -
Lenn fece una smorfia. - Hm, neanche tanto. Era ostinato, quello sì. Ma ho dovuto usare la magia Oscura per batterlo. Io ci ho provato a usare la Luce, davvero, ma mi debilita troppo. Oggi, pur di non usarla, mi sono spinto a un limite che non dovrei mai raggiungere, è troppo pericoloso. Spero solo che non ci siano delle conseguenze spiacevoli, tipo “a morte lo Stregone Oscuro”, o roba del genere. -
- Nah, non credo. - rispose la Tigre. - Se i re sono stati i primi a non dire niente a riguardo, la gente ci passerà sopra. E poi oggi hai contribuito a salvare i loro culi dalla tempesta, come minimo se ne dovranno stare zitti. -
Lenn provò a sorridere, ma gli venne fuori qualcosa di sghembo. - Speriamo... -
Concluse così il discorso. Non ne voleva più parlare, non prima di aver avuto un intenso e lungo incontro col suo letto, una volta arrivato a casa. Ma anche se il corpo era stanco, la sua mente galoppava e lavorava veloce, mentre pensava a nuove tecniche che avrebbe potuto usare contro i futuri avversari. La sua nuova parola d'ordine era: niente rischi.
Sperava solo che sarebbe stato in grado di esserne fedele. Almeno per un po'.

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Capitolo 43
*** Capitolo 11 - Pietra e Sabbia (Parte IV) ***


[NdA: Ecco l'ultima parte del capitolo 11! Yay! =D
Dopo le botte, ci sta un po' di pseudo-romanticume... Oddio, se questo è romantico! Un po' di cosette tra Lenn e Annah, un'evoluzione del loro rapporto. Ma tanto le botte da orbi arriveranno eventualmente, no worries. xD
Però il prossimo capitolo arriverà a Settembre. Eh sì, parto per le vacanze al mare e non mi porterò il pc dietro, ergo non scriverò niente, né potrò connettermi a internet facilmente (giusto un po' col cellulare).
Quindi buone vacanze a chi legge e buona lettura! Ci vediamo!]



Capitolo 11
Pietra e Sabbia
Parte IV





Come c'è finita quella macchia di sugo là sopra?
Lenn continuava a fissare il soffitto, mentre riposava nel suo letto, e non poteva fare a meno di porsi quella domanda. Forse era stato Harù a portare del cibo in camera da letto, anche se gli si era chiesto di evitare di farlo. Poi, forse, Rizo aveva iniziato a fargli i dispetti, come al solito, e avrebbero iniziato una battaglia, dandosele a suon di mestolate. Annah doveva essersi arrabbiata per la confusione e la sporcizia, come al solito, e si era messa a pulire la stanza; però, una volta vista la macchia sul soffitto, doveva essersi arresa e averla lasciata lì, perché non aveva proprio voglia di trovare un modo per arrivare fin lassù. O forse quella macchia non l'aveva neanche notata. Ma era strano che Annah non notasse quel genere di cose, era ossessionata dalla pulizia.
Lenn schioccò la lingua, pensoso. Se davvero aveva abbastanza tempo per permettersi di fissare il soffitto e fantasticare su di una macchia di sugo, allora c'era qualcosa che non andava, quel giorno.
Devo trovarmi qualcosa da fare.” si disse il mezzelfo.
Odiava stare con le mani in mano. Probabilmente quello era l'unico vero giorno della sua vita in cui non stava facendo proprio nulla di utile, e non lo sopportava.
Gli avevano insegnato che chi non s'impegna, non merita nulla e non risolve niente. Quindi era meglio darsi una mossa. Magari avrebbe potuto rimuovere dal soffitto quella fastidiosissima macchia, che ormai non poteva evitare di tornare a fissare ogni qualvolta distogliesse lo sguardo.
Il mezzelfo si tirò su a sedere. Nel farlo, però, sentì un forte dolore al braccio sinistro. La ferita infertagli da Neruo, nonostante stesse guarendo in fretta grazie alla magia, continuava a restituirgli un senso di bruciore e indolenzimento. I medici all'arena gli avevano riunito il muscolo tagliato a metà dalla spada, ma il resto avrebbe dovuto curarlo lui con le sue energie. Per questo gli avevano concesso di rimanere un giorno a casa, per poter usare le proprie forze unicamente alla cura della ferita. I lividi erano stati poca cosa, li aveva guariti subito, seppur numerosi.
- La prossima volta devo stare più attento... Ne ho già abbastanza di vecchie ferite che mi danno i reumatismi. - pensò ad alta voce.
Come se avesse chiamato in causa l'indolenzimento, quando si alzò completamente dal letto sentì l'esigenza di stiracchiarsi. Man mano che si allungava sentiva i muscoli della schiena tirare e protestare, mentre avrebbero preferito restare immobili, nelle posizioni in cui le ferite malamente cicatrizzate li avevano bloccati.
Stamattina avrei dovuto fare i miei esercizi di riscaldamento... Ma ero troppo stanco. Lo sono ancora.” pensò, mentre il dolore gli stava già dando sui nervi. Odiava sentirsi debole, e la schiena continuava a ricordargli che aveva dei limiti ben definiti che non poteva superare, almeno non facilmente.
S'incamminò verso la porta della camera da letto, per poi uscire e trovarsi nel corridoio. Si guardò attorno, ma non vide nessuno, né sentì rumori provenire dall'altra camera da letto o dal bagno. Gli altri se ne erano già andati al lavoro da qualche ora e nella casa regnava il silenzio.
Per un attimo pensò di essere rimasto davvero solo, ma dalla porta al fondo del corridoio sbucò Annah che, appoggiandosi al muro, si mise a fissarlo con un sorriso divertito. Era la prima volta che gli sorrideva.
- Che fai lì imbambolato? -
Lenn rimase zitto per qualche secondo, e quando aprì la bocca gli uscì solo un poco intelligente: - Eh... -
Annah si lasciò scappare una risatina. Quel giorno doveva essere di buon umore.
- Dai, vieni, ti ho preparato il pranzo. -
Detto questo, la ragazza tornò nel suo angolo cucina, intenta a tagliare le verdure.
Dèi, quanto devo sembrarle stupido!” Lenn si passò una mano sulla faccia. “Svegliati!
Poi il mezzelfo seguì la ragazza, entrando in quella parte della casa che faceva da sala da pranzo e cucina assieme; senza contare che a pochi metri dal tavolo c'era già la porta per uscire di casa.
Lenn gettò lo sguardo sul tavolo e vide che a capotavola era poggiato un piatto pieno di verdure e fiori. “Ancora insalata? Dèi, cosa darei per una bistecca!
Ovviamente non osò dare voce al suo pensiero per non venir mangiato vivo da Annah, ma in quel momento avrebbe volentieri mangiato qualcosa di più sostanzioso per rimettersi in forze.
Si sedette a tavola e, dopo aver fissato per un po' il piatto, afferrò le posate e iniziò a mangiare, in silenzio. C'era qualcosa in quell'insalata che dava un retrogusto amaro a ogni boccone, ma era comunque commestibile, quindi non si lamentò.
Annah gli si sedette accanto, poggiando sul tavolo un barattolo di miele, un bicchiere vuoto e una caraffa piena di latte.
- E' buona? -
Lenn emise un grugnito e annuì, continuando a mangiare.
Annah sorrise, poi poggiò un dito sul barattolo che aveva davanti e disse: - Guarda che ci devi mettere il miele, dentro a quell'insalata. Come fai a mangiarla senza? Dev'essere amarissima. -
Lenn, colto sul fatto, deglutì. - In effetti... Passa un po'. -
La ragazza porse il barattolo al mezzelfo, con un malcelato divertimento. - Saprai anche evocare Spiriti e sconfiggere Elfi, ma a volte sei così apertamente goffo... -
Lenn aggrottò la fronte, mentre versava mezzo barattolo di miele in quello che era rimasto dell'insalata. - Sono le relazioni interpersonali che mi fregano. - ammise.
Annah rispose con un – Hm. - e non aggiunse altro.
Passarono alcuni momenti di imbarazzante silenzio, poi Lenn decise di intavolare la conversazione che Annah, stranamente, sembrava voler intraprendere. La Mangiasogni continuava a guardare il vuoto e ad attorcigliarsi alle dita i capelli corti e biondi, come se stesse pensando a qualcosa che le metteva ansia, o a un problema su cui non riusciva a porre rimedio.
- Allora... Come mai questo pranzo? Pensavo che non ti saresti mai scomodata a prepararmi da mangiare. Mi ero alzato con l'idea di dovermi procacciare il cibo da solo, fino a stasera. -
Annah smise di giocare con i capelli e poggiò entrambe le mani al tavolo. - In verità, mi ero completamente dimenticata che oggi fossi rimasto a casa, sono troppo abituata a rimanere sola, durante la giornata. Me l'ha ricordato Jao poco fa, quando l'ho incrociato per strada. -
- Ah. -
- Ho messo insieme quello che era rimasto nella credenza. Siamo rimasti a corto di tutto, infatti oggi dovrò andare al mercato a fare compere. -
Gli occhi di Lenn si illuminarono a quell'affermazione. - Oh, posso venire con te? Ti do una mano. -
Annah rimase in silenzio qualche momento e guardò un punto indeterminato del muro di fronte a sé, pensierosa. Assottigliò gli occhi, come se dovesse prendere minuziosamente in esame la proposta del mezzelfo.
- Uhm... Certo, perché no. -
Lenn rimase un attimo interdetto. - Davvero? -
Annah annuì.
Lenn si sentì soddisfatto. Non si aspettava una risposta del genere. “Bene! No, aspetta... E' troppo bello per essere vero. Non mi vorrebbe mai attorno se non volesse qualcosa in cambio.
Si vide bene però dall'esprimere il suo dubbio, a lui bastava avere l'opportunità di stare con lei.
Il mezzelfo finì di mangiare e poi bevve quasi l'intera caraffa di latte.
Quando ebbe finito, Annah prese gli avanzi e le stoviglie e li mise in un secchio in fondo alla stanza.
- Non c'è bisogno che sparecchi... Vuoi che ti dia una mano? -
- Non osare. -
Lenn accennò un sorriso; aveva chiesto per cortesia, ma si era aspettato una risposta del genere. Chiedere ad Annah se aveva bisogno di aiuto era come chiedere a un maiale se aveva piacere di finire allo spiedo. La risposta sarebbe stata sempre e solo un perentorio No.
Detto questo, la ragazza tornò nel suo amato angolo cucina, a pulire i ripiani con uno straccio.
Lenn rimase seduto al tavolo. Non aveva niente di meglio da fare, così rimase a fissarsi i palmi delle mani, facendo finta di trovare interessanti le linee che li ricoprivano. Sentiva l'imbarazzo pesargli greve sulle spalle, era come un blocco di marmo invisibile che riempiva lo spazio tra lui, seduto sulla sedia, e lei, in piedi davanti al bancone.
- Sai... Non sapevo che fossi in grado di evocare uno Spirito. - disse Annah a un certo punto.
- Nemmeno io! - rispose il mezzelfo.
Annah smise di fingere di fare cose importanti e andò a sedersi sul tavolo, alla destra di Lenn. Il ragazzo non poté evitare di guardarle il sedere mentre lo faceva, ma tirò immediatamente gli occhi su, per andare a fissarla negli occhi.
- Cosa vuoi dire? - chiese la Mangiasogni, perplessa.
Lenn scosse le spalle. - Non ho la minima idea di come si evochi uno Spirito. Quando mio zio ha visto che ero in grado di usare la magia senza usare formule, s'è ben visto dall'insegnarmene almeno qualcuna. -
Non sapeva perché, ma Lenn sentì che la sua voce, nel formulare quella frase, gli era sembrata un po' stonata, con un suono differente da quello solito. Forse perché era strano parlare di suo zio con Annah, dato che non l'aveva mai fatto, oppure perché era davvero da tanto tempo che nemmeno lui stesso lo nominava, né gli dedicava alcun pensiero. Perfino nel pensare alla schiena ferita, non gli tornava mai alla mente lo zio, piuttosto ciò che ricordava meglio erano i giorni di convalescenza immediatamente seguenti la sua fuga da casa.
Quella conversazione non era iniziata nel migliore dei modi.
Il Giglio gli indirizzò un'occhiata molto meno divertita delle precedenti. - Quindi tu vuoi farmi credere che hai evocato uno Spirito per pura fortuna? Senza volerlo? -
Lenn scrollò di nuovo le spalle. - Oddèi, per volerlo, lo volevo eccome! Sapevo che mi avrebbe salvato la vita. Però non avevo la minima idea di come si facesse, come non ce l'ho nemmeno ora. E' stato principalmente culo, sì. -
Annah aggrottò la fronte. - Che razza di Stregone sei, tu? -
- Uno molto particolare, direi. Tu hai dei suggerimenti su come evocare uno Spirito? -
- Beh, non proprio, ma io sono giustificata! Sono una Mangiasogni! -
Lenn allungò le gambe e scivolò fino ad appoggiare la testa alla schiena della sedia, e riprese a guardarsi le mani. - Credo che dovrò aspettare il prossimo incontro e sperare che riaccada, farò caso a cosa mi succede mentre evoco il Drago... Non riesco a pensare a niente di meglio, al momento. -
Detto questo, il mezzelfo tornò a rivolgere lo sguardo ad Annah, che si stava mordendo il labbro inferiore. Lo guardava come se avesse quasi il timore di parlargli troppo, come se stesse cercando di capire se interrompere lì la conversazione o continuare a parlare, a suo rischio e pericolo. Ma a rischio o pericolo di cosa, in verità?
- ...Io non so molto su quest'argomento. - iniziò poi Annah, con l'aria di una che aveva fatto uno sforzo immane a tirar fuori quelle parole. - Però so che è molto importante sapere il nome del proprio Spirito. Credo si butti in mezzo anche quello, nella formula di evocazione. -
Lenn inarcò le sopracciglia, stupito. - Davvero? -
Annah annuì. - Sì, davvero. Anzi, ne sono sicura, ora che mi ci fai pensare. E' per questo che molti Stregoni hanno un secondo nome. Mio padre lo è e si chiama Sur Jihad. Jihad dev'essere il nome del suo Spirito, anche se non gliel'ho mai visto evocare. -
Lenn annuì a sua volta, pensieroso. Ma ciò che lo rendeva più perplesso non era tutta la faccenda degli Spiriti che Annah gli stava raccontando, quanto piuttosto l'accenno della ragazza a suo padre. Si era appena reso conto che non sapeva niente di lei; non aveva mai nemmeno pensato che lei ce l'avesse, un padre, perché non ne parlava mai. Non parlava mai di nulla che riguardasse la sua vita prima del viaggio per Malias, esattamente come Jao.
- Io non ho mai pensato di dare un nome al mio Spirito... -
- Beh, invece avresti dovuto. Sarebbe stato tutto molto più semplice. -
Lenn sbuffò. - Chissà se anche lo Spirito di quel Neruo aveva un nome. -
- Sicuramente. Sei tu lo strano della situazione. Magari l'ha pronunciato in mezzo alla formula che ha usato per evocarlo, ci hai fatto caso? -
- Aspetta, fammici pensare. -
Il ragazzo si mise a braccia incrociate, la fronte aggrottata e lo sguardo fisso su di un punto indefinito oltre le spalle di Annah. I ricordi dell'incontro con Neruo erano tanti e si mischiavano tutti, in continuazione, scivolavano come sabbia.
Dopo qualche altro secondo passato a cercare di acchiappare il ricordo giusto, quello della formula di Neruo, decise di arrendersi. - Niente da fare. Mi ricordo il momento in cui ha cominciato l'evocazione, ma non ricordo le parole... -
Annah sbuffò. - Che seccatura. Però un secondo nome ce l'aveva, no? -
- Sì, quello sì. L'hanno annunciato prima dell'inizio dell'incontro... Kassim, Karim, una roba del genere... - disse il mezzelfo, per poi aggiungere: - Sarebbe molto più facile se entrassi nella mia testa, per rinfrescarmi la memoria. Che ne diresti? -
Il Giglio, a quelle parole, sgranò gli occhi e lo fulminò con lo sguardo. - Lenn! NO! -
Indignata, la ragazza si alzò dal tavolo e andò verso il corridoio a passo svelto.
Sono un genio.
- Dai Annah, scherzavo! - Lenn si alzò in piedi a sua volta e la seguì.
La ragazza però sembrava non volerne sapere nulla, infatti non si voltò nemmeno, né diede segni di aver sentito cosa le aveva detto. Il mezzelfo così fu costretto ad afferrarla per un braccio prima che lei entrasse in camera sua e lo lasciasse solo.
Annah si voltò e lo guardò dritto negli occhi. Lenn sapeva che era infuriata, anche se il suo viso non lo dava a vedere. La sua manifestazione della rabbia era una sola rughetta in mezzo alle sopracciglia nemmeno tanto aggrottate, ma il ragazzo sapeva che quanto quella ruga faceva la sua comparsa non c'era niente di buono da aspettarsi.
Lenn continuava a stringerle il braccio, per paura che scappasse via, anche se non stava nemmeno provando a sciogliersi dalla presa.
- Senti, scusami. Non volevo davvero che usassi i tuoi poteri su di me, stavo scherzando! Non te lo chiederei mai seriamente, dopo quello che è accaduto la prima volta, lo sai. -
Annah rimase in silenzio, continuando a torturarlo col suo sguardo inquisitore. La ragazza diede uno strattone e si liberò il braccio, Lenn non fece alcuna resistenza.
La frase che il Giglio pronunciò subito dopo, però, lo sorprese e lo colpì come un pugno nello stomaco: - Perché devi rovinare sempre tutto? -
Il mezzelfo rimase in silenzio. Il suo cervello si spense di colpo, non dava più segnali alla bocca per replicare, al resto della testa per pensare, o alle braccia per non farle irrigidire. Non riusciva a fare altro oltre che a pensare insistentemente: “Rovino sempre tutto”.
Durò solo qualche istante, però. Il secondo pensiero che formulò subito dopo aver ripreso a respirare fu: “Ma tutto cosa?
- Io ci sto provando, davvero. - disse Annah, - Jao mi ha chiesto di essere carina con te. Io voglio essere carina con te, non sono mica una maleducata! Mi sforzo e ci provo tantissimo a essere gentile, ma ogni volta devi rovinare tutto e farmi venire i nervi! -
Lenn non capiva il senso di quel discorso. - Cosa...? -
- Ogni volta che parlo con te, alla fine, devi sempre fare il cretino! -
- Ehi! Ma io... -
- Lenn! Chiudi quella bocca e non interrompermi! -
Il mezzelfo rimase con la mascella penzolante per qualche secondo, ma ce la fece a ritirarla su e eseguire l'ordine della ragazza. Rimase a fissarla, in attesa.
- A me non sembra che le cose stessero andando male. - riprese la ragazza. La ruga sulla fronte s'era fatta meno evidente. - E' sempre così. Si parla come due persone civili, e poi tu decidi di dire qualcosa di stupido e insensibile, rovinando tutto! -
Lenn rimase ancora per qualche secondo zitto, in attesa che la ragazza finisse. Quando vide che lo stava solo uccidendo con lo sguardo e non sembrava voler aprire di nuovo bocca, iniziò lui. - Io... -
- Zitto, non ho finito! -
Lenn sbuffò e tornò muto.
- Anche l'altro giorno è andata così. E anche tutte le volte prima. Lo sai benissimo che non voglio più parlare di quella sera in cui ti ho letto il pensiero. Io, quella sera, ho sofferto. Esattamente come tutte le altre volte in cui sono andata a rivangare nei ricordi di qualcuno. Io quella volta ho fatto un'eccezione alla mia regola di non farlo più. E tu non hai idea di quante volte quelle immagini mi fanno di nuovo capolino nella testa, quasi ogni volta che ti vedo! Vorrei almeno che tu non me le ricordassi così apertamente! -
Lenn stava a capo chino, e si prendeva la strigliata. Adesso capiva di più le ragioni della sua improvvisa sfuriata. -Annah, io... Mi dispiace. Non ci ho pensato. -
Annah incrociò le braccia. - Infatti, non ci hai pensato. Devi imparare a pensare di più al prossimo, Lenn. Non sei l'unico che soffre. -
Il mezzelfo chinò di nuovo la testa e annuì.
- Come ti sentiresti se ti chiedessi di prendermi qualcosa caduto a terra? Io so cos'hai alla schiena, quindi non te lo chiederei mai. Ho un dono che si chiama tatto. -
- Sì... Ho capito. -
Lenn, in quel momento, si sentiva un idiota. Meritava quella ramanzina. Ma più di tutto, meritava quel retrogusto amaro che cominciava a sentire in bocca.
Era vero, stava rovinando tutto. Annah era la persona che voleva avvicinare di più a sé, ma per farlo, fino a quel momento, aveva cercato di recitare la parte di quello sicuro di se stesso, cercando di sembrare affabile e spiritoso nelle battute. Ma lui non era né affabile, né tanto meno spiritoso. Con gli altri riusciva a recitare la parte, perché tutti i suoi amici sapevano com'era difficile per lui dimostrare la sua empatia, mostrare agli altri cosa provava; quindi, se diceva uno strafalcione, risultava fuori luogo o non usava il tono di voce giusto, veniva perdonato. Ma non da Annah. Lei non concedeva perdono a nessuno, così come non lo cercava per sé.
Il fatto che col suo modo di fare la stesse solo allontanando, poi, lo faceva stare ancora più male. Lui non voleva altro che lei si aprisse di più, che gli parlasse di più, ma poi mandava tutto in malora come in quel momento; e come avrebbe potuto mai avvicinarla se faceva delle figure del genere?
- Io non so cosa dire... -
- Beh, sforzati. Per dire cose intelligenti, bisogna sforzarsi. -
- Non sono bravo con le parole. -
- Però sei bravo a trovare scuse, vedo. -
Lenn a quel punto si lasciò andare a un ringhio di frustrazione. Non riusciva a trovare le parole giuste, quelle che avrebbero potuto far calmare la ragazza.
- Facciamo che ti lascio qui a pensare. Torno quando avrai le idee più chiare. - disse all'improvviso la ragazza, e fece per girare i tacchi e entrare nella sua stanza.
- No, aspetta! -
Non voleva che se ne andasse. Voleva risolvere subito il problema. Doveva conquistarsi la sua fiducia.
La afferrò per il polso e la tirò a sé. Affondò il pollice nel palmo della sua mano, accennando a una goffa carezza. Sentì il sangue salirgli alle guance, ma decise di ignorarlo.
- Senti, io... Ho sbagliato, e l'ho capito. Capisco anche che non ti sei arrabbiata solo per la mia battuta di adesso, ma anche per tutto il resto. - le disse. Adorava la sensazione della sua pelle morbida sotto i polpastrelli, e le strinse ancora più forte il polso. - Voglio essere sincero con te. Io non sono quello per cui mi mostro. Ho un certo atteggiamento perché il vero Lenn è una persona taciturna e poco abile con le parole, buono solo ad arrabbiarsi in fretta; fosse per me, me ne starei sempre zitto, ma sto cercando di fare il socievole. Però, nonostante i miei numerosi difetti, non ti farei mai soffrire, almeno non di proposito. Tu hai visto il mio Spirito, quindi hai visto il vero me. Lo sai come sono fatto io. E sai che posso sbagliare, come chiunque altro, come puoi commettere errori anche tu. -
Le si avvicinò ancora di più e la guardò negli occhi. Lei, a differenza di tutte le altre volte, non indietreggiò, ma pensò solamente a sostenere lo sguardo del mezzelfo.
- Non ti chiedo più di scusarmi, perché non lo farai. Ti chiedo di capirmi. E ti prometto qualsiasi cosa tu voglia. Se vorrai, potrai anche chiedermi di non rivolgerti mai più la parola, e io ti ubbidirò. Se c'è qualcosa che non sopporto, è vedere una persona che soffre, a causa mia. E per un motivo così stupido. -
A quel punto, Lenn sentì opportuno lasciar andare il polso della ragazza, per evitare di prolungare quell'inopportuno contatto fisico. La vedeva pensare, dietro la maschera di serietà, ma non riusciva a capire cosa le passasse per la mente.
Lenn deglutì, ansioso, e non lo nascose.
- Ho deciso. - disse poi il Giglio, annuendo, come se dovesse rimarcare di essere sicura della sua scelta.
- Dimmi. -
- Io voglio che tu mi faccia scegliere il nome del tuo Spirito. -
Lenn rimase impietrito per qualche istante. - ...Cosa? Perché? -
- Hai detto che ho visto il tuo Spirito, ed è così. Ho visto anche quello che ha fatto ieri. Io non pretendo di conoscerti bene, perché ci siamo sempre parlati così poco... Però so che non sei una cattiva persona, e il tuo Spirito l'ha dimostrato egregiamente, proteggendo e salvando la vita a tutta quella gente. So anche che è stato pericoloso per te, ma l'hai fatto comunque, perché quando l'hai richiamato a te ti sei ricoperto di lividi, i colpi che il tuo Drago aveva subito a causa della raffica di rocce. -
A quel punto la ragazza accennò un sorriso, avendo notato che Lenn s'era morso il labbro.
- Non sei stato abbastanza veloce a guarirli, quei segni. Almeno, io sono riuscita a vederli. Però rimanere feriti più del previsto in una lotta non è un segno di debolezza, né un disonore. - gli assicurò a quel punto.
- Va bene, ma non ho capito perché vuoi darmi tu il secondo nome. - rispose Lenn, scrollando le spalle.
- Mi hai detto che avresti esaudito un qualsiasi mio desiderio. E il mio desiderio è che tu sia come quel Drago. Ovvero voglio che tu sia te stesso. E, come promemoria, ti darò un nome che ti rappresenti nel momento in cui io penso che tu abbia dato il meglio di te. -
Lenn non poteva credere alle sue orecchie. Quella discussione stava davvero avvenendo?
Annah lo aveva sgridato per bene, ma continuava anche a dire cose gentili su di lui. Non avrebbe mai pensato che sarebbe successo, un giorno. Quella probabilmente era anche la conversazione più lunga che avevano mai avuto da quando si conoscevano.
Non sapeva cosa provare, in quel momento.
- Va bene. - le disse, - Ti ho dato la mia parola. Decidi tu. Spero solo che non sia qualcosa come Faccia da culo o Stronzo, a questo punto. -
Annah tirò di nuovo fuori un mite sorriso, decisamente più tranquilla di prima. - No, non ti preoccupare. Niente di simile. -
- Posso almeno aiutarti a decidere? -
- Oh, io ho già deciso. -
- Davvero? -
- Sì. -
Rimasero per qualche istante in silenzio. Lenn cominciava a innervosirsi per l'attesa. - E quindi? -
- Aspetta. - disse la ragazza, poggiando una mano sul petto di lui. - Prima ci vuole la formula. -
- Formula? Quale formula? -
- Quella che renderà permanente il tutto. E' un rito. -
- Sul serio c'è un rito? - rispose Lenn, perplesso. - Ehi. Come fai a sapere tutte queste cose all'improvviso? Pensavo non ne sapessi nulla di Stregoneria. -
- Infatti. Ma quando ho notato che nessuno ti chiamava con un altro nome seppur avessi già evocato il tuo Spirito, ho sospettato che non fossi proprio a conoscenza del nome da dargli. Così ho fatto una ricerca. -
- Te ne sei preoccupata? - domandò il mezzelfo, sempre più incredulo.
Annah scrollò le spalle e rivolse lo sguardo altrove. Sembrava imbarazzata. - Mi sei sembrato in grave difficoltà ieri... - disse con un tono di voce più basso.
Lenn storse il naso. Odiava che qualcuno avesse avuto quell'impressione sulla sua prestazione del giorno prima.
- Saper evocare il proprio Spirito a comando è importante, Lenn. - riprese la ragazza, mentre tornava a guardarlo negli occhi. - Neruo lo sapeva fare, infatti ti avrebbe sconfitto, se non fossi riuscito anche tu a evocare il tuo Drago. -
Lenn si sentiva compiaciuto del tono di voce di Annah, di nuovo calmo e controllato, ma allo stesso tempo ne era confuso. Stavano accadendo troppe cose strane tutte insieme. In quel momento, il Giglio suonava addirittura preoccupato.
- Jao, io e gli altri, mentre ti guardavamo sugli spalti, eravamo seriamente preoccupati che non ce l'avresti fatta. Evocare il tuo Spirito quando vuoi può salvarti la vita. -
Lenn portò la mano a quella di Annah, ancora appoggiata sul suo petto. La spostò un po' più in basso; aveva paura che, con il palmo poggiato così vicino al suo cuore, avrebbe potuto sentirne i battiti accelerare. La voce della ragazza si faceva sempre più calda e dolce, un tono che le aveva sentito usare solo nella sua immaginazione, durante la Prova che aveva superato col re Fanir. Sentiva che si stava innamorando ancora di più di lei, e questo lo faceva sentire bene e male allo stesso tempo.
- Avevo deciso di aiutarti. Siccome gli altri non hanno ancora evocato per la prima volta il loro Spirito, non si sono ancora degnati di andarsi a studiare la formula per rifarlo in seguito. Così sono andata a informarmi io, in biblioteca, stamattina. -
- Annah, io... -
- Tutto quello che voglio, è ripagarti di quello che hai fatto per me. Forse non sembra, ma non ho dimenticato il giorno in cui mi hai salvato da quello stupratore a Sailam. -
La ragazza a quel punto storse la bocca al ricordo. Aveva pronunciato con particolare disgusto la parola “stupratore”. - Io non amo avere debiti. Per questo ho agito così. -
Lenn fu contento del fatto che Annah si fosse preoccupata di lui, tuttavia per un momento si era illuso che la sua preoccupazione fosse derivata da un sentimento un po' più profondo, e allora quella contentezza aveva delle sfumature di delusione.
- Annah, io quella volta ho fatto ciò che era giusto fare. Non devi ripagarmi. -
- Era ciò che era giusto fare, sì. Ma non tutti l'avrebbero comunque fatto. - rispose la ragazza di ripicca. - Io... ho visto delle brutte cose accadere nella mia vita, anche se non sono le stesse che hai dovuto soffrire tu. E volevo fare qualcosa che ti facesse capire quanto è stato importante, quel gesto, per me. Anche se non te l'ho mai dimostrato. -
- Io... Non so cosa dire. -
- Non devi dire niente di importante, adesso. Devi solo tradurre in Elfico quello che ora ti dirò. -
Detto questo, Annah riposizionò la mano al centro del petto del mezzelfo, che questa volta la lasciò fare.
- Metti la tua mano sulla mia. - ordinò la ragazza.
Lenn eseguì, mansueto.
- Va bene, dimmi tutto. -
Annah annuì. Tirò un forte sospiro. - Ripeti ad alta voce. Io sono Lenn del Clan del Drago. -
Ich Lenn dur Man dur Dacor. - ripeté il ragazzo, anche se gli sembrò un po' una bugia.
- E il mio Spirito viene a me in forma di Drago. - continuò imperterrita Annah.
- I mar Raeylyn taethì es Dacor. -
- Io giuro... -
Lenn storse la bocca. Odiava i giuramenti. - Ich erelyn. -
Il Giglio lo guardò per un attimo negli occhi e sembrò notare la sua esitazione iniziale, tuttavia non commentò.- Io giuro di vivere come tale, onorando il nome del mio Clan e dei miei alleati. -
Ich erelyn kar lyrai curayen, mi Man et mi thyenann. -
- Per loro combatterò finché non vincerò o morirò. -
Kadhyn tiré ich staréh ur iduréh. -
- Dèi, datemi la forza. Ryzard sarà con me. -
Lenn, a sentire quell'ultima frase, quel nome, sentì un brivido ripercorrergli la spina dorsale. La mano di Annah cominciò a bruciare sul suo petto. Abbassò lo sguardo e vide che delle scintille blu stavano cominciando ad avvolgere le mani di entrambi.
La ragazza a quel punto gli afferrò il mento e gli fece sollevare lo sguardo. Lo guardò negli occhi. - Avanti, finisci il giuramento. -
- Eh... -
Lenn cominciava ad accusare una certa stanchezza. Quell'incantesimo gli stava succhiando tutte le energie rimaste e il braccio in guarigione stava riprendendo a fargli male.
Il nome che Annah aveva scelto per lui continuava a rimbombargli nella testa. “Ryzard... Ry-yzard. Ali e protezione. Le ali che proteggono.
Annah voleva che lui facesse sapere al mondo chi era. Non era uno storpio; non era un maledetto Stregone Oscuro; non era un indesiderato mezzelfo. Lui era una persona compassionevole e che proteggeva chi non meritava di soffrire quanto lui. Aveva protetto Annah dallo stupratore, aveva protetto i suoi amici e altri innocenti dalla furia senza senso di Neruo. E il Giglio sembrava sicuro che avrebbe protetto anche altre persone, in futuro.
Però il fatto che proprio Annah, la persona che lo aveva trattato in maniera più distaccata di tutti, fosse stata in grado di vedere così a fondo in lui, lo sorprendeva e lo spaventava oltremodo.
- Dustanaety vir...Et Ryzard esra mi. -
Appena finita la frase, Lenn sentì gli occhi pizzicare, mentre Annah apriva la bocca dallo stupore. Lenn poté scorgere negli occhi neri della ragazza il riflesso dei suoi, gialli e luminescenti. Ma fu un attimo. In un battito di ciglia, gli occhi del mezzelfo tornarono normali e una scarica di energia lo percorse dalla testa ai piedi, facendogli annebbiare la vista. Vedeva un sacco di puntini colorati formarglisi davanti agli occhi.
Si accorse che stava per svenire.
Appena sentì le gambe cedere si appoggiò al muro e scivolò piano a terra. Annah gli tolse la mano dal petto e si piegò, seguendo la discesa del mezzelfo verso il pavimento. La ragazza gli si accucciò accanto e gli prese il viso tra le mani.
- Ah... -
Quando i puntini cominciarono a smettere di comparirgli davanti agli occhi, il mezzelfo sentì un'ultima scarica di energia percorrergli il corpo; ma questa volta non gli raggiunse la testa, ma si fermò in mezzo alle spalle, dopo avergli dato una forte fitta alla schiena. Sentiva ogni singolo muscolo contrarsi. Si portò una mano alla schiena, come per scacciare via il dolore.
Annah notò quel gesto e si mosse per andare a mettersi dietro di lui. - Aspetta, fammi vedere cos'hai. -
- NO! - gli ringhiò Lenn di rimando. Non le avrebbe mai permesso di guardargli la schiena.
Annah sobbalzò al brusco richiamo, e rimase immobile con le mani bene alzate, per fargli vedere che non stava facendo niente.
- Merda... -
Le fitte cominciarono finalmente a diminuire di intensità, sostituite da un mite senso di calore che non dava troppo fastidio.
Lenn si passò una mano sulla fronte e notò che stava sudando freddo.
- Lenn, come stai? - gli domandò Annah. - Non pensavo che un paio di parole in Elfico avrebbero avuto certe conseguenze... -
- E' quello che passano tutti gli Stregoni, non ti preoccupare... - si sforzò di dire il mezzelfo, per rassicurare la ragazza. - Credo però che mi abbia fatto così male perché non ho il tatuaggio... Spero solo che abbia fatto comunque effetto. -
- C'è un modo per verificarlo. - disse la ragazza. - Dovrebbe esserti apparso una specie di marchio sulla schiena, in mezzo alle spalle... Posso controllare? -
Lenn grugnì, ma non aveva ancora la forza per alzarsi in piedi e fare la strada fino allo specchio in bagno. Sentiva ogni singolo muscolo irrigidito. - Va bene... Ma non togliermi la camicia. Tira giù il colletto quel che basta. -
Annah annuì, poi gattonò fino ad arrivare dietro al mezzelfo. Fece come le era stato detto, e Lenn sentì la camicia che gli veniva tirata all'indietro.
- Allora? Il segno c'è? -
- S-sì... - rispose Annah. - E' un cerchio con delle scritte all'interno. Probabilmente è Ryzard scritto in Elfico. -
Lenn a quel punto si rilassò e tirò fuori un enorme sospiro di sollievo. Annah tornò ad accovacciarsi davanti a lui. - Mi dispiace che ti abbia fatto così male. -
Il mezzelfo accennò un sorriso stanco. - Non ti preoccupare... Ora sto già meglio. E Ryzard è un nome bellissimo. -
Annah ricambiò il sorriso.
- Cercherò di essergli fedele. -
La ragazza a quel punto si alzò in piedi. - Ti prendo un bicchier d'acqua. -
- Grazie... -
Lenn non si alzò da terra, e rimase ad aspettare il ritorno della ragazza con il suo bicchiere.
Si sentiva sfatto, come se gli avessero staccato tutti gli arti e glieli avessero riattaccati così, tanto per gioco.
Chiuse gli occhi e strinse i denti. Nella testa continuava a riecheggiargli il suo nuovo nome.
Lenn Ryzard, Lenn Ryzard.
Non si accorse nemmeno del momento in cui si addormentò.


Un'ora dopo, Lenn era di nuovo in piedi, di nuovo capace di camminare e tutto il resto.
Stava seduto al tavolo, con Annah accanto. Si era completamente ripreso, ma era taciturno. Non avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe vissuto un'esperienza così strana. Erano accadute tante cose e non riusciva a elaborarle tutte.
Annah ogni tanto incrociava il suo sguardo e gli rivolgeva un sorriso che oscillava tra il timido e l'imbarazzato. Fra di loro era successo qualcosa di intimo che non erano per niente pronti ad affrontare. Si rivolgevano appena la parola, e avevano appena compiuto una cerimonia come quella del nome Spirituale; non sarebbe dovuto accadere in quel modo, non in quel momento.
Lenn non sapeva cosa la ragazza provasse a riguardo, ma lui non poteva fare a meno di provare un sentimento ancora più violento e intenso per lei. Quello che avevano appena condiviso, secondo lui, era qualcosa di particolare e unico, anche se un po' fuori luogo.
Continuava a lanciarle qualche occhiata e lei ogni tanto incrociava il suo sguardo; nessuno dei due parlava, le parole del resto sembravano esaurite.
Lenn, dal canto suo, si guardava bene dal prendere per primo la parola; sapeva che se l'avesse fatto, non avrebbe avuto la forza di trattenere un “ti amo” così genuino e irresponsabile che non avrebbe fatto altro che complicare le cose.
Annah era proprio come l'aveva vista nel sogno assieme a Fanir, ma con la dignità ancora integra, indistruttibile.
Portava un marchio con su scritto un nome scelto da lei stessa, e questo lo faceva sentire ancora più vicino a lei e ancora più innamorato.
Ma Annah era la più risoluta dei due, in quel momento. Si alzò in piedi e annunciò: - Devo andare a fare compere. - disse. Il suo sembrava quasi un tono di scuse.
Lenn si alzò in piedi a sua volta, senza mai toglierle gli occhi di dosso. - Vengo anch'io. Voglio darti una mano. -
Annah non oppose resistenza, si limitò ad annuire. - Saresti in grado di aiutarmi a portare la spesa? -
- Certo. Vengo apposta per quello. - rispose orgoglioso il mezzelfo.
- Non sei stanco? -
- Affatto. -
Lenn era deciso a rimanere attaccato ad Annah ancora per un po'. Non voleva porre fine a quella strana intesa, non era ancora pronto.
- Bene. - disse semplicemente la ragazza. Andò a estrarre da un cassetto del suo angolo cucina un paio di sacche di tela, poi prese da una mensola un vaso, da cui estrasse un sacchetto di stoffa tintinnante. - Allora andiamo. E non lamentarti se le sacche pesano. -
- Nossignora, non lo farò. -
Detto questo, Annah si incamminò verso la porta e uscì sulla strada. Fece un cenno col capo a Lenn, incoraggiandolo a seguirla.
Il mezzelfo, mansueto, percorse i suoi passi e uscì in strada assieme a lei. Chiuse la porta di casa dietro di sé.


- Vieni, sediamoci qui. - disse Annah, indicando una panchina di roccia posta sotto una quercia. La ragazza vi si sedette sopra e posò le sacche di tela piene di frutta e ortaggi a terra.
Lenn la seguì e poggiò le cassette piene di cibo ai piedi della ragazza, poi si sedette vicino a lei. Il mezzelfo emise un sospiro di sollievo e si stiracchiò, con la schiena che emise un qualche scricchiolio.
- Le cassette sono troppo pesanti? Posso mettere ancora qualcosa nelle borse e alleggerirle un po'. - propose il Giglio.
- No no, non ti preoccupare, ce la faccio. - rispose il ragazzo, massaggiandosi il collo. - Però questa pausa ci voleva... -
Detto questo, Lenn si guardò attorno, e poi chiese: - Che posto è questo? Non ero ancora stato nel Distretto Nord, prima d'ora. -
- E' il parco. - rispose semplicemente Annah.
Lenn osservò gli alberi vicini a loro, piantati alla rinfusa, e le strade ciottolate piene di curve e che seguivano la conformazione del terreno e deviavano a seconda di dove incontravano radici; il mezzelfo ebbe l'impressione di trovarsi in un lussureggiante boschetto. Non vedeva così tanti alberi tutti assieme da mesi, e si rese conto che la vista delle fronde e la presenza di quella strana quiete lo facevano stare un po' meglio, come se avesse ritrovato una parte di sé, quella che aveva lasciato ai margini del deserto mesi prima.
Il parco era molto popolato, ma rimaneva silenzioso; c'era una panchina sotto quasi ad ogni albero e ognuna di esse era occupata da qualcuno, ma molti erano troppo immersi nella lettura di un libro per parlare, mentre quelli che chiacchieravano lo facevano sottovoce.
C'erano dei ragazzi che giocavano con le biglie e le facevano rotolare lungo le stradine, mentre da qualche parte qualcuno stava suonando un flauto, ma Lenn non era in grado di vedere chi fosse, da dove era seduto.
- E' un bel posto. Tu ci vieni spesso? - chiese il mezzelfo.
Annah annuì. - Non è che faccio le faccende di casa tutte le ore della mia vita. Ogni tanto, quando mi voglio rilassare, vengo qui. -
- Dovrei venirci anch'io. Anche se ho il lavoro, a cui pensare. - disse Lenn. Gli tornò in mente l'ingrato compito che gli era stato affibbiato alla cava, e il suo imminente incontro, il giorno dopo, col suo piccone e la Guardia Elfica che lo aspettava di sicuro, pronto a togliergli qualcosa dalla paga. Storse la bocca e scosse la testa per cacciare quei pensieri. In quel momento era con Annah e voleva godersi la sua compagnia ancora per un po'.
- A cosa stai pensando? - domandò la ragazza.
- A niente di importante. - rispose il mezzelfo. Si girò verso di lei e le sorrise.
Annah sollevò un po' i lati della bocca di rimando e tornò a guardarsi attorno. Sembrava imbarazzata.
- Forse... - cominciò il Giglio, - sono stata un po' troppo dura con te, oggi. Ho avuto una reazione un po' esagerata. -
Lenn annuì. - Forse. Però avevi i tuoi motivi. -
Annah si morse leggermente il labbro. - E' che... volevo che le cose fossero chiare fra noi. Una volta per tutte. Volevo farti capire come mi sentivo. E così ho atteso il tuo primo strafalcione per poter attaccarti. -
- Hm. -
- Però mi sono fatta prendere un po' troppo dalla foga. -
Lenn scrollò le spalle. - Non ti preoccupare, è acqua passata. Anzi, sono contento che ti sia espressa. Sei stata molto più convincente di quanto pensi. -
Annah rimase per qualche attimo in silenzio, pensosa. - Però non avrei pensato che la giornata avrebbe preso una piega del genere. -
- Ah, nemmeno io. - ammise Lenn con un sorriso.
Annah gli lanciò un'occhiata poco convinta. - Non mi sembri particolarmente scioccato. -
- Perché non lo sono. - rispose lui, - Probabilmente sei tu quella che ha più bisogno di elaborare. -
Annah rivolse lo sguardo di fronte a sé e annuì. Mosse la bocca ma non emise suono, forse si stava dicendo qualcosa da sola. Lenn distolse lo sguardo, non voleva leggerle le labbra.
I due stettero zitti ancora per un po', ad ammirare gli alberi, finché Lenn non si alzò in piedi.
- Dove vai? - chiese Annah, facendo per alzarsi. - Vuoi andare via? Sei già riposato? -
- No, siedi. - disse il ragazzo. - Faccio una cosa veloce. -
Annah gli rivolse un'occhiata interrogativa, tuttavia si rimise comoda e annuì.
Lenn le rivolse un sorriso, questa volta più convinto, e si allontanò dalla panchina, percorrendo il sentiero più vicino.
In lontananza aveva visto un piccolo giardino tra gli alberi, pieno di fiori. Dopo qualche minuto arrivò all'aiuola che aveva visto. Un piccolo steccato divideva i cespugli fioriti dalla strada. Lì vicino c'era un cartello con su scritto “Vietato cogliere i fiori”.
Lenn però decise che l'avrebbe ignorato e scrollò le spalle.
Guardò i fiori, posò lo sguardo su tutti; erano di tutti i colori e di vari tipi, ma lui non ne conosceva nemmeno uno. Però riconobbe i rovi e i petali delle rose, e quello gli bastò. Si avvicinò alla pianta e afferrò un fiore rosso per il gambo. Facendo una piccola pressione con le unghie recise il fiore. Poi riportò la mano al cespuglio dal gambo mozzato e trasmise un po' di energia vitale ad esso; il gambo si allungò e diede vita a un bocciolo, che poi si schiuse a vista d'occhio, dando vita a una nuova rosa.
Così non se ne sarebbe accorto nessuno, che ne aveva presa una in prestito.
Girò i tacchi e ripercorse in fretta i suoi passi. Nel giro di un paio di minuti riuscì di nuovo a scorgere la panchina su cui Annah era ancora seduta. La ragazza continuava a guardarsi attorno, la schiena leggermente curva e le mani strette fra le cosce. Sembrava triste. Lenn fu contento di aver avuto quell'idea e di aver preso un fiore per lei.
Guardandola, però, si rese conto di quanto sarebbe stato ardito, quel gesto. Donare un fiore a una donna poteva implicare molte cose. Però gli era sembrata la cosa più carina da fare.
Si accorse di avere le mani sudate. Non gli era mai successo prima.
Avanti Lenn, non fare lo stupido.” si disse per farsi coraggio.
Avanzò ancora e arrivò alla destra della panchina, a pochi alberi di distanza. Ebbe ancora un attimo di esitazione, ma poi riprese a camminare e raggiunse la ragazza.
Annah stava rivolgendo lo sguardo dalla parte opposta. Il mezzelfo si chiarì la gola per avvisarla del suo ritorno.
Il Giglio si voltò verso di lui, sorridendogli. Ma il sorriso sparì quando la ragazza posò lo sguardo sul fiore, e la bocca si mosse per formare un'incredula O. Annah si portò le mani alla bocca per nascondere la sua espressione.
- Lenn, cosa fai? -
Lenn sentì che le guance gli stavano arrossendo. Forse aveva osato un po' troppo. Ciononostante cercò di apparire più sicuro di sé possibile.
- Fiore... a fiore. - le disse, porgendole la rosa.
Annah esitò un attimo, poi allungò una mano e la prese, stando attenta a non pungersi con le spine.
Lenn le si sedette accanto, non staccandole gli occhi di dosso. - Ho pensato che, dopotutto, ho passato un giornata piacevole con te... Ed è finita bene. - disse il ragazzo, - Volevo ringraziarti, in qualche modo. -
Annah rimirò ancora per un attimo il fiore, poi rivolse lo sguardo al mezzelfo. - Lenn, è bellissima. Però non è così che si ringrazia una ragazza, così... -
Si interruppe, e lo guardò dritto negli occhi. Lenn ricambiò il suo sguardo e trattenne il respiro, senza accorgersene.
Lei si morse di nuovo il labbro, e lui s'immaginò di baciarlo come prima cosa, per poi baciarle le guance, la punta del naso, la fronte, i capelli. La luce arancione del sole che cominciava a tramontare le illuminava gli occhi e sembrava farli ardere; Lenn se ne sentì scaldato.
Avrebbe fatto l'amore con lei in quello stesso momento, se solo avesse potuto.
In quel fiore ci aveva messo parte del suo cuore, e non avrebbe sopportato che lei lo rifiutasse. Nello sguardo che le rivolse cercò di farle capire quanto quella giornata fosse stata importante per lui, quanto fosse stato importante avvicinarsi di più a lei. Si era nuovamente innamorato, e questa volta aveva la passione che bruciava nel petto, il desiderio che anche lei, un giorno, avrebbe condiviso quel sentimento con lui.
Annah arrossì leggermente, il corpo le si era irrigidito, ma gli sembrò meno imbarazzata di prima.
La ragazza gli sorrise e disse: - …Grazie. Anch'io sono contenta di come sia andata questa giornata. -
Il Giglio si portò la rosa al petto e la strinse a sé. - Penso che da oggi in poi ricominceremo da capo, vero? -
Lenn annuì. - Spero di sì. Io farò del mio meglio per essere me stesso, con te attorno. -
Annah si mise più comoda a sedere e si voltò completamente verso il mezzelfo. Gli porse la mano in segno di amicizia. - Ciao. Io sono Annah. -
Lenn fissò la mano della ragazza per qualche secondo, poi le sorrise e gliela strinse. - Lenn Ryzard. Incantato. -
Detto questo, il mezzelfo si chinò sulla mano della ragazza e gliela baciò.
- Non esagerare. -
- A quel viscido di Rizo gliel'hai lasciato fare, a me invece m'hai schiaffeggiato! -
- Ah già, è vero. - ammise Annah. - Allora va bene. -
I due poi sciolsero la stretta di mano.
Lenn tornò a guardarsi attorno e rimirare gli alberi, mentre Annah rimase con lo sguardo fisso sulla rosa, mentre la rigirava tra le mani.
Rimasero così ancora per un po', finché il Giglio non si alzò in piedi e annunciò: - Si sta facendo tardi, sarà meglio tornare a casa. -
Lenn annuì, riprese le cassette che aveva appoggiato a terra e, con un grugnito, riprese a camminare. Annah lo seguì con le sue sacche.
- Non vorrei mai che Harù arrivasse a casa senza trovare il cibo in tavola. Sarebbe una tragedia, per lui. - aggiunse poi la ragazza.
- Neanch'io ci tengo molto a vedere quello spettacolo. - ammise il mezzelfo ridacchiando.
In quel momento una nuova musica cominciò a vibrare nell'aria. Erano dei cori che provenivano dalla città. Curioso, Lenn accelerò il passo e Annah gli venne dietro.
Arrivati alla fine del parco, i due ragazzi poterono vedere chi fosse la gente che cantava. Sembrava una processione. Un gruppo di persone camminava per la strada principale, dove i mercanti cominciavano a ritirare la merce, e cantava canzoni che avevano note così acute da rendere incomprensibili le parole. In mezzo a quella folla c'era però un varco in cui camminava una vecchia signora piena di rughe, gobbuta e dai capelli bianchi lunghi quasi fino a terra. La veneranda donna si sosteneva con uno scettro di legno intagliato e dalle decorazioni dorate, alto quasi il doppio di lei. Non cantava, ma masticava qualcosa e muoveva la testa a ritmo di musica.
Lenn si voltò verso di Annah e le chiese: - Cosa fanno tutte queste persone? Sai chi è quella? -
- Quella signora è Madre Baba. - rispose la bionda.
- Baba? Mai sentita nominare. -
- Dovresti. - disse la ragazza, - E' la Stregona Umana più vecchia del mondo. Ha più di cento anni ed è la guida spirituale di molti. Si dice che sia la più potente Stregona vivente, e anche una grande Mangiasogni. -
Lenn emise un fischio di ammirazione. - E cosa ci farà mai tra noi disperati? -
- Se è nel Distretto Nord, probabilmente avrà udienza con i re. -
- I re? Addirittura? -
- Certo. E' una donna saggia. Forse vogliono che lei dia loro qualche consiglio, o vogliono porle una domanda. -
Lenn annuì. - Sticazzi. -
Annah gli diede un leggero schiaffo sul braccio. - Lenn! -
- Che c'è? E' ammirevole. -
Annah scosse la testa, ma non poté fare a meno di sorridere. - Su, aggiriamo questa folla e torniamo a casa. Si fa sempre più tardi. -
- Sì, giusto. -
Lenn si sistemò meglio le cassette sulle braccia, in modo da essere più comodo, e poi tornò a seguire la ragazza. Le si mise affianco e camminarono senza fare pause fino alla casa 365, quando il sole cominciava a scomparire definitivamente dall'orizzonte e i suoi raggi non passavano più attraverso il lucernario che sovrastava la città.
Di lì a poco sarebbero rincasati anche gli altri, e la giornata solo assieme ad Annah sarebbe terminata. Ma Lenn poteva dirsi più che soddisfatto.

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Capitolo 44
*** Capitolo 12 - Cuore di Drago (Parte I) ***


[NdA: Rieccomi, dopo la pausa estiva! Dovevo postare per settembre, ma ci sono andata vicina, su! :D
Ecco il nuovo capitolo, con un titolo a doppio senso che verrà chiarito più avanti.
Ancora un po' di approfondimento psicologico, qualche evento interessante, ma ci avviciniamo sempre di più agli eventi-svolta nella trama. Sinceramente, non vedo l'ora.
Cercherò di postare un capitolo al mese; siccome quest'anno ho la maturità, non so quanto potrò dedicarmi alla scrittura, ma spero di ritagliarmi qualche ritaglio di tempo durante la sera. Questo capitolo vale ancora come post di settembre, quindi fra qualche settimana potrebbe arrivare il prossimo.
Nel frattempo, buona lettura! :D]



Capitolo 12
Cuore di Drago
Parte I





Lenn starnutì e poi si grattò il naso, irritato.
La città brulicava di polline e fiori da giorni.
In quell'Aprile la primavera s'era fatta viva pian piano, un po' in sordina. Ma ora che i fiori dentro e fuori le serre erano sbocciati, i mercanti si erano dati alla pazza gioia procurandosi quante più piante colorate e bizzarre potessero trovare a buon mercato, per poi rivenderle a prezzi piuttosto alti ai poveri abitanti di Malias, che vivevano nel grigiore. I cesti carichi di fiori scendevano lungo resistenti carrucole dal lucernario della città fino a terra, per poi risalire, vuoti e pronti per essere di nuovo riempiti.
Com'era tradizione, per festeggiare la fine del lungo inverno ogni essere vivente e non veniva ricoperto di fiori, rendendo omaggio al Dio della primavera Muò-Reh-Tai, il toro che rendeva feconda la terra degli uomini buoni.
Le case erano ricoperte di festoni. I tetti erano dei veri e propri giardini sopraelevati, pieni di germogli di alberi del pane e fichi, oppure cespugli di more e lamponi, più esotici per quella zona di Argeth; le porte e le finestre erano adornate da enormi ghirlande di allamande, bignonie e fiori d'acacia, tanto grandi da rendere difficoltoso entrare in casa o sporgersi a guardare la strada, costringendo tutti a piegarsi, anche i più bassi.
Gli uomini e i ragazzini avevano appuntati al petto un fiore a piacere, mentre le donne avevano le piante attorcigliate ai capelli, dall'edera che cresceva a tappeto alle margherite che creavano l'illusione di un prato semovente; le ragazzine più giovani si divertivano ad andare in giro con in testa veli di fiori, foglie giganti o rafflesie rosse e vistose quanto puzzolenti. Lenn li detestava sopra ogni cosa, quei dannati fiori giganti che si piazzavano sulla testa; ogni volta che giocavano ad acchiapparella e gli correvano vicino lasciavano una scia di puzza putrescente, e lui non capiva come le fanciulle potessero sopportare un odore del genere solo per apparire più stravaganti agli occhi dei coetanei.
La cosa più fastidiosa, comunque, erano le coppie di fidanzati. Come futuri mariti e mogli, nonché futuri perpetuatori della vita grazie a una augurata numerosa progenie, erano festeggiati e guardati con rispetto, e la primavera li rappresentava in ogni fiore che sbocciava dopo ogni inverno. Era la vita che prevaleva sulla morte.
E durante quella stagione le effusioni in pubblico erano tollerate se non proprio incoraggiate da tutti; ragazzi non ancora sposati potevano prendersi per mano, baciarsi di fronte a tutti o esibirsi in atti romantici e teatrali, a volte ricevendo anche qualche applauso ammirato o qualche complimento.
Lenn non poteva fare a meno di trovare quei comportamenti immaturi e poco sensati. A lui non interessava vedere due sconosciuti palparsi in pubblico né aveva intenzione di lodarli per questo; avrebbe girato lo sguardo per non guardare, ma ovunque si girasse c'erano due innamorati che gli facevano provare l'imbarazzo che loro apparentemente non provavano. Più di una volta era arrossito e aveva nascosto il viso dietro a una mano; non avrebbe mai detto che certe cose si potessero fare al di fuori di una stanza con tanta naturalezza, davanti a centinaia di sconosciuti. Lui li aveva sempre considerati momenti speciali, intimi, privati. Eppure il pudore sembrava sparire, in primavera.
Alla sua destra, in fondo alla via, una Guardia stava randellando la schiena di un giovane che stava andando un po' troppo oltre. Lenn voltò di nuovo la testa e si mise a fissare la porta di casa sua, alla sua sinistra. Sobria e spoglia in confronto alle altre in quel Distretto, l'unico ornamento era un piccolo filare di campanule appeso allo stipite e il giglio incantato sul davanzale della finestra appena accanto.
Fu fortunato, perché finalmente la porta si aprì e ne uscì Annah. Era vestita di un sari blu cobalto dai bordi e i disegni floreali d'oro. La ragazza quando lo vide gli rivolse un leggero sorriso e si poggiò lo scialle sul capo. Non gli rivolse la parola, come al solito, e si limitò ad affiancarlo, in attesa. Nella vicinanza, il mezzelfo percepì il profumo di lavanda emanato dalla sua pelle, più leggero e più delicato di qualsiasi fiore vistoso attorno a loro. Di tutte quante, lei era la più bella e la più aggraziata. Almeno per Lenn.
Ma il suo silenzio, come quello di una pianta, lo faceva sentire frustrato. Era passato almeno un mese dalla loro ultima conversazione; nel resto del tempo s'erano limitati a salutarsi in modo timido, qualche parola di circostanza, e poi qualche sorriso esitante quando s'incrociavano per strada o si trovavano l'uno di fronte all'altra nella loro piccola e stretta casa.
Tutto ciò da quando lui e Annah avevano condiviso il momento della cerimonia del nome Spirituale. Lenn sapeva che quell'evento avrebbe smosso qualcosa tra di loro; li aveva avvicinati pericolosamente, perché ogni volta che la guardava negli occhi sapeva che lo sguardo del Giglio era molto più morbido rispetto a prima; eppure c'era stato pure il tempo di incrinare i loro rapporti, come se dopo quel contatto inaspettato avessero bisogno di prendersi una pausa, come quando si rischia di affogare e una volta usciti si ha bisogno di riprendere fiato, prendendosi un momento lontani dall'acqua, a riflettere su quanto accaduto.
Ciononostante, per Lenn, Annah rimaneva il fiore di primavera più bello del cesto, nonché il più desiderato. Però non era semplice afferrarlo, come aveva colto la rosa che poi aveva regalato alla ragazza, appena un mese prima. A proposito di quel particolare dono, non l'aveva più rivisto in giro. Annah l'aveva cortesemente preso dalle sue mani e poi l'aveva ringraziato in modo altrettanto cortese; eppure la rosa per la fine della giornata era sparita nel nulla. Che la ragazza l'avesse buttata appena tornata a casa? Il pensiero lo addolorava, ma non le avrebbe chiesto nulla a riguardo, mai.
A salvarlo dal momento imbarazzante accanto ad Annah arrivò Jao, vestito di bianco, con i capelli mezzi sciolti e con una grande margherita afflosciata appuntata al petto. Era un nobile, eppure non aveva nulla di regale nel portamento o nell'aspetto, a differenza della sua migliore amica.
- Harù è pronto? - chiese alla Tigre.
- Sì, arriva subito. -
Annah si diresse verso il suo fidanzato, lo prese per le spalle e lo fece voltare a forza. Gli passò una mano tra i capelli castani, infastidita, per poi sfilare il laccio che li teneva fermi alla bell'e meglio e scioglierglieli. - Jao, se vuoi i capelli lunghi, li devi lavare più spesso. - gli disse – Non scherzavo quando la prima volta che ti ho rivisto ti ho detto che sembravi un barbone. Se non li tieni in modo decente, te li taglio mentre dormi. -
La ragazza gli lisciò i capelli con fare materno e glieli legò stretti, in modo che non scappassero a destra e a sinistra. Con i capelli legati a quel modo sembrava aver riacquistato l'aspetto che aveva quando Lenn l'aveva conosciuto, coi capelli ancora corti e ordinati.
Jao sbuffò con fare divertito, poi tirò indietro il laccio dei capelli per renderlo più molle e lasciare libera la chioma, e la Tigre tornò a sfoggiare la solita semovente criniera da leone.
Annah tentò ti riagguantarlo ma lui si svincolò e con un'altra risatina se ne tornò in casa. La ragazza si mise a braccia incrociate e sbuffò pure lei, solo che sembrava infastidita. Ma dopo aver conosciuto una parte più umana di Annah, Lenn cominciava a pensare che quel suo modo di fare scocciato, ansioso e maniacale fosse solo una facciata per tenere lontani gli altri, anzi, ne era sempre più convinto. Era una sorta di recita che mandava avanti da anni e di cui Jao era a conoscenza, per questo era più paziente con lei e non aveva remore nel farle i dispetti di tanto in tanto. Ma Lenn non poteva saperlo con certezza, forse era tutto nella sua testa, cercava di vedere la ragazza in modo più dolce solo perché provava attrazione per lei.
Jao uscì di nuovo fuori che trascinava Harù per una manica. L'Orso era nervoso e si vedeva, digrignava i denti ed era leggermente sudato.
- Se non ti muovi faremo tardi. - diceva la Tigre, - E tu non vuoi fare tardi, vero? -
- N-no, certo... - rispose l'amico, anche se non sembrava molto sicuro.
Lenn gli si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla. Gli tenne il braccio attorno alle spalle e lo condusse lungo la strada, mentre Chad e Rizo uscivano a loro volta di casa e li raggiungevano.
- Andrà tutto bene, Harù. Di che hai paura? Non ti ho mai visto spaventato. - disse il mezzelfo.
Harù gli rivolse un sorriso stentoreo. - Non lo so... Ansia da prestazione? -
Lenn sorrise a sua volta e cercò di ridere in modo affabile. Chissà se c'era riuscito. - Andiamo, è solo il primo turno del Torneo. Se quel casinista di Chad ce l'ha fatta, perché tu non dovresti passare? -
- Infatti! - disse il nero, per niente infastidito dall'affermazione di Lenn. - Hai visto che macello ho fatto la settimana scorsa. E Jao e Rizo hanno trovato avversari deboli, è andato tutto liscio. Te la caverai benissimo, sei troppo bravo. -
Harù annuì, ma non sembrava ancora convinto. - E se mi capitasse un Elfo come avversario? A voi non è successo. Ma io non voglio che mi capiti subito un avversario come Neruo. -
Lenn scosse la testa. - E' questo il problema? -
Harù annuì.
- Beh, Neruo non era un avversario poi molto forte. - disse, - Più che altro aveva dalla sua la testardaggine. Lui e le sue sorelle avevano un precedente con me, era una cosa personale. Non mi stupisce che si sia dato anima e corpo per battermi. Ma senza quel tipo di motivazione... Non so, a meno che non ti capiti un fanatico, dubito che troverai un avversario molto potente, almeno a questo punto della competizione. -
- Ascolta Lenn, c'ha ragione! E poi, se ti fai prendere dal panico, commetterai di sicuro degli errori, quindi rilassati. - aggiunse Chad.
Harù rimase in silenzio. I ragazzi continuavano ad avanzare e dirigersi verso il centro di Malias, alla fontana sotto cui c'era il passaggio per accedere all'arena. Conoscevano il percorso, perché l'avevano affrontato assieme già quattro volte, una per ogni incontro disputato fino ad allora. Ogni volta che percorrevano quella strada, però, le emozioni che li pervadevano erano differenti; Lenn ricordava l'esaltazione di Jao all'idea del suo primo incontro, la sicurezza di Rizo, che aveva vinto immediatamente, la voglia di mettersi alla prova di Chad. Ma il nervosismo di Harù, l'Orso placido, era stato del tutto inaspettato.
Il Coccodrillo diede una pacca sulla spalla al ragazzo dagli occhi azzurri, poi cercò lo sguardo di Lenn da dietro le spalle. Con il labiale disse qualcosa tipo: “lasciami parlare da solo con lui”, e il mezzelfo si affrettò a congedarsi con qualche parola e un sorriso, poi si staccò dai due e rallentò il passo per lasciarli andare più avanti.
Rallentò sempre di più, fino quasi a fermarsi, e gli passò accanto Rizo, che non lo degnò di uno sguardo, e poi Annah, che lo superò in fretta, per poi girarsi un istante a guardare cosa faceva. Jao lo sorpassò per prendere a braccetto la fidanzata e non lasciarla da sola con Rizo, cosa che lei odiava.
Così Lenn rimase a chiudere il gruppo, a qualche metro di distanza dagli altri, come al solito. A lui andava bene, trovava istintivo mettersi nella posizione di poter tenere sott'occhio tutti e non sentire gli occhi di nessuno puntati addosso. Gli dava sicurezza. E gli dava l'opportunità di osservare i comportamenti dei suoi amici quando non gli stavano attorno.
Notava la complicità che c'era tra Harù e Chad, che gli ricordava un po' la relazione che lui stesso aveva con Jao, anche se non confabulavano quanto loro. Vedeva Rizo nella sua baldanzosa camminata solitaria, indipendente e sicuro di sé, a suo agio nella solitudine esattamente come Lenn; almeno avevano qualcosa in comune. Non poteva fare a meno, inoltre, di invidiare Jao e la sua confidenza con Annah; i due chiacchieravano in modo fitto, con i visi vicini e un'aria d'intesa di cui lui non aveva mai avuto esperienza. Si volevano bene e si vedeva, e Annah con lui era completamente a suo agio, pareva serena come pochi quando pensava che nessuno la stesse osservando. Però Lenn la osservava, non poteva farne a meno. E immaginava gli sguardi di lei rivolti a sé, in un attimo di confidenza che non sarebbe mai appartenuto loro. Cominciava a invidiare Jao, perché lui godeva di quella compagnia che a lui veniva continuamente negata. Più il tempo passava, più non riusciva a sopportare quello stato delle cose.
Immerso in quei pensieri, non gli piacque affatto quando la Tigre si girò all'improvviso verso di lui, gli sorrise e si staccò da Annah per venirgli incontro. Cercò di scoraggiarlo con uno dei suoi sguardi più truci, ma l'amico gli si mise accanto imperterrito, con il suo solito sorriso divertito.
- Che hai? - esordì Jao.
- Niente. Perché? -
- Sei strano. Più del solito, voglio dire. -
Lenn scrollò le spalle e non rispose.
- Sei molto silenzioso, di recente. -
- Lo sai che lo sono sempre. -
- Sì, però avevo notato un certo miglioramento, ultimamente. Ti vedevo un po' più loquace. -
Lenn rivolse all'amico uno sguardo triste, ma non disse nulla.
Jao si fece più serio, e lo fissò col suo solito sguardo rassicurante, quello che rivolgeva ogni volta che doveva comunicare di aver capito l'antifona. - Hai rinunciato, insomma. -
Lenn annuì. Poi scrollò di nuovo le spalle. - Non ce la faccio. -
Il mezzelfo riusciva a percepire gli occhi di Jao puntati su di lui anche se non lo guardava, poteva percepire il movimento delle sue pupille mentre lo squadravano da capo a piedi nel tentativo di carpire qualche messaggio dalla sua postura, dalla sua espressione, oppure dalla camminata. Però Lenn lo ignorava e fissava un punto davanti a sé che poi scivolò pian piano verso destra, fino a incontrare la schiena di Annah. La ragazza camminava a passo tranquillo vicino ad Harù e Chad, ignara del desiderio che bruciava nel petto del ragazzo a pochi passi dietro di lei.
- Non capisco... Mi sembrava che stessi imparando ad aprirti. Ti vedevo più tranquillo, chiacchieravi di più. -
- Beh, era una finta. - gli rispose in modo brusco Lenn. Scosse la testa. Non aveva voluto suonare tanto aspro.
Jao rimase in silenzio per qualche secondo, forse stava rielaborando alcune informazioni. - ...Che intendi dire? -
Lenn digrignò i denti. - Quello non ero io, Jao. - gli rispose, sempre senza guardarlo. La sua voce suonò meno arrabbiata, come aveva voluto, e gli tornarono alla mente i momenti passati con Annah appena un mese prima, quelli in cui lei le diceva di volerlo vedere per quello che era, che doveva essere se stesso. Doveva essere Lenn Ryzard, nessun altro. E Lenn Ryzard non ce la faceva a sostenere una conversazione per più di cinque minuti senza sentirsi a disagio, non ancora.
- Io... Io... -
Non era facile tirare fuori le parole giuste. Jao era bravo a capire i suoi silenzi, ma non ancora così tanto da poter evitare completamente le parole. Di tutte le persone che aveva conosciuto, solo Lia era riuscita a capirlo così bene da non dover quasi mai parlargli per capire come si sentisse. L'assenza di quel tipo di tacita comunicazione e intesa lo frustrava molto più in quel periodo che in passato, ora che aveva capito cosa voleva dire legarsi a una persona e aver bisogno di essere veramente compreso da essa.
- Io ho provato a imitarvi. A essere gentile, a sorridere, a dare qualche pacca sulla spalla. Ma non mi viene naturale. Ogni singola parola, ogni gesto o reazione è calcolato. Devo fermarmi a pensare cosa sia conveniente e cosa non lo potrebbe essere. Ma io non ce la faccio più. E' faticoso, e non sono io. -
Jao rimase in silenzio. Si limitò a distanziarsi leggermente da lui, come per dargli più spazio, più respiro. Lenn apprezzò quel gesto.
- Mi sento stupido. - continuò il mezzelfo, - E mi sento frustrato. Perché io ce la metto tutta, ma gli altri non sembrano voler più venirmi incontro. Credono che io sia cambiato, ma non capiscono che non è vero. E io odio dover esplicitare ogni mio singolo pensiero per poter comunicare con loro, odio rendere tutto così palese. Mi fa sembrare stupido ed elementare tutto ciò che provo. Le parole sono così riduttive. -
A quel punto Lenn si voltò verso la Tigre e vide che il suo amico era diventato la maschera della serietà.
- Loro non sono come te, Jao. - disse. - Tu capisci cosa provo, vero? -
Jao chiuse gli occhi per un attimo, sospirò e poi tornò a guardarlo. - Credo di capire, sì. -
- Tu sei venuto qui sapendo già che qualcosa non andava. Chad e Harù non lo pensano nemmeno. -
Jao annuì.
Lenn si sentì un po' più sollevato. Sospirò. C'erano cose che davvero andavano dette, per sentirsi meglio.
- Ho cominciato a nutrire qualche sospetto quando sei tornato a rispondermi con dei “hm-mh” per dire sì e dei grugniti per dire no. - disse la Tigre, sogghignando.
Lenn accennò un sorriso. Il momento di tensione stava già scemando.
- Sai essere un brontolone dei più pesanti, quando ti ci metti. -
- Grazie, ce la metto tutta. -
Ci fu una breve pausa. Lenn camminava in mezzo a tante persone dai corpi e le voci vibranti, ma sentiva solo silenzio.
- Comunque, non vorrei prendere tutta la gloria per me: non sono l'unico che ha notato il tuo cambiamento. - riprese Jao, in tono decisamente più leggero.
Lenn gli rivolse uno sguardo perplesso. - No? E chi altri? -
Jao gli rivolse uno strano sorriso e indicò un punto davanti a sé con l'indice. - Quella ragazza laggiù. -
Il mezzelfo non ebbe nemmeno bisogno di voltare la testa per seguire il dito, perché il suo sguardo s'era posato di nuovo su di Annah da molto prima che Jao la indicasse.
- Lei mi ha fatto notare che ti sei rabbuiato poco dopo la cerimonia del tuo nome Spirituale. - disse la Tigre.
Ovvio. Era stata Annah stessa a suggerirgli di cambiare comportamento, per seguire al meglio la sua natura e smetterla di fare il ragazzo affabile, che tanto non gli riusciva per niente.
- E' successo qualcosa, quel giorno. -
Lenn s'irrigidì. Quella di Jao non era nemmeno una domanda. Era un'affermazione, e di quelle convinte, per giunta.
- Cosa te lo fa pensare? - domandò con tutta la calma che riuscì a simulare.
Jao sbuffò, tra il divertito e l'impaziente. - Il fatto che i miei due amici, di cui una conosco come le mie tasche, dal mal sopportarsi sono passati a un cortese distacco. E questa non è per forza una cosa buona. -
- E che cos'è, secondo te? -
Jao spalancò le braccia. - Vorrei proprio farmi un'idea, ma non ci riesco bene. E' come se adesso tu non le stessi più sulle palle; infatti con te è cortese come lo è con gli altri, più o meno. Solo che non ti parla, e questo è strano. Ci vorrei capire qualcosa, perché a vostro modo siete entrambi strani, in questo periodo. Lei però non mi dice niente. E tu, hai qualcosa da dirmi? -
Lenn gli sorrise, suo malgrado. - No, niente di niente. -
- Oh, andiamo! - fece Jao, - Non è che state tramando qualcosa, voi due? -
- Ma che dici? - rispose Lenn, e sentì il viso scaldarsi, forse non così tanto da arrossire. - Credimi, non è niente di particolarmente catastrofico. E' solo che... -
Lenn si interruppe un momento, a riflettere. Come rispondere in modo che Jao sentisse la sua curiosità placata, senza finire la conversazione con una tragica quanto patetica confessione d'amore per sé nei confronti di Annah? Quel giorno sentiva di averla amata come mai prima d'allora, e in cuor suo sperava che anche lei provasse la stessa cosa, anche se non era probabile. Però non voleva mentire al suo amico. Odiava mentire, farlo non portava mai a cose buone.
Decise di portarsi teatralmente una mano dietro la schiena, appena sotto al collo, e i polpastrelli trovarono subito il rilievo sulla sua pelle che formava il cerchio in cui erano racchiusi i caratteri che formavano la parola “Ryzard” in Elfico.
- ...Lei è un po' come te. - disse alla fine.
Jao per un attimo sembrò non capire. Aggrottò la fronte e arricciò il naso, concentrato, forse intento ad afferrare una particolare intuizione. Poi sembrò arrivare a una conclusione, e la sua bocca formò una “O” quasi perfetta.
Lo Stregone gli si avvicinò il più possibile. La voce gli uscì fuori dalla bocca in un sussurro: - E quindi è stata lei a...? -
Lenn lo guardò negli occhi per qualche istante, poi si decise ad annuire.
- E come mai hai accettato? -
Il mezzelfo scrollò le spalle per l'ennesima volta. - Mi aveva capito. -
Jao gli si allontanò di nuovo, questa volta con un sorriso compiaciuto disegnato in faccia. - Ora capisco un paio di cosette... Un po' estremi, voi due, eh? Ci sono così tanti modi per fare amicizia! Si coltivano le stesse passioni, si dice qualche battuta, si fa qualche passeggiata... -
- Ci si prende a schiaffi, si tenta di piantare una spada nel cranio dell'altro... Gli Dèi si divertono a farmi conoscere le persone in modo strambo e poi me le fanno diventare amiche, ma ci sto facendo l'abitudine. - ribatté il mezzelfo, divertito.
Jao si strinse nelle spalle e tirò fuori un sorriso incerto, forse ricordando il giorno in cui si erano conosciuti. Poi scosse la testa, come per cacciare via i ricordi.
- Comunque... - riprese con cipiglio la Tigre, - Tu e Annah non avete la minima idea di come relazionarvi con le persone. Siete davvero scarsi, sotto quel punto di vista. Infatti avete bruciato così tante tappe che ora vi comportate in modo stupido tra di voi. -
- Ehi. -
- Non negarlo. - rispose Jao, tranquillo.
Lenn aggrottò la fronte, infastidito. - Lei non si fa avvicinare. -
- Nemmeno tu. -
Lenn tacque.
- Sul serio, dovreste vedervi per capire davvero cosa sta succedendo. Si vede che tuo malgrado le vuoi parlare. E io lei la conosco benissimo, c'è qualcosa che la turba. In generale, è strana più di te. Trovo insolito il fatto che... Insomma, abbia voluto fare assieme a te la cerimonia Spirituale. Io sono il suo migliore amico, e se le chiedessi di fare la stessa cosa per me, rifiuterebbe di sicuro. -
Il mezzelfo, suo malgrado, rimase in silenzio. Un silenzio che poteva benissimo essere male interpretato, ma non sapeva cosa dire.
- Che io sappia, Annah è disposta a fare qualunque cosa solo per un motivo: saldare un debito. Lei odia visceralmente dovere qualcosa a qualcuno. -
Lenn questa volta annuì. - Me ne sono accorto. -
Jao lo scrutò a lungo. Quella conversazione non era casuale; l'amico era venuto con l'intenzione di indagare su un paio di cose, e non lo nascondeva.
- Mi hai detto che non sapevi le formule per evocare uno Spirito e te le sei andate a cercare in biblioteca. Io penso che sia stata lei a dirtele. E' così? -
Lenn rifletté per un istante. Ci pensò su, ma non trovò motivi per mentire. Non ancora. - Sì, è vero. Io non avevo la minima idea che si dovesse fare un rito del genere, figurati. Non me l'aveva mai detto nessuno. -
- Io davo per scontato che sapessi del secondo nome. Tutti gli Stregoni lo sanno. - rispose Jao, questa volta in un tono che sembrava un po' di scuse.
Lenn gli sorrise in modo rassicurante. - E' normale che tu l'abbia pensato. -
Seguirono altri momenti di silenzio. Jao sembrava attendere che Lenn aggiungesse qualcosa, ma il mezzelfo aveva deciso di rimanere muto come una tomba. Non avrebbe detto nulla di più di quello che l'amico gli avrebbe chiesto.
- E quindi? Aveva un debito nei tuoi confronti? - insisté l'amico.
Lenn emise un gemito infastidito.
- Ah, ho azzeccato. Embè, che tipo di debito era? -
Il mezzelfo emise un altro gemito. Rivide davanti a sé Annah, gli sembrò di percepire di nuovo la sua mano poggiata sul petto. Ricordava il discorso che gli aveva fatto, che si sentiva ancora in debito con lui per averla salvata dallo stupratore. Così gli tornò in mente quel giorno spiacevole. Per lui era una mattinata come tutte le altre, anche se era turbato dalla notte prima, in cui aveva rivelato per sbaglio alla ragazza la sua natura da mezzelfo. Però aveva deciso di non pensarci su, e aveva passato la mattina ad auto disciplinarsi, una cosa di cui sentiva l'impellente bisogno, di tanto in tanto. Girava per i tetti delle case e cercava di saltare da un edificio all'altro, spingendosi sempre più lontano e andando sempre più veloce. Poi si era messo ad addestrarsi nel gestire l'attenzione: sceglieva l'aura di un passante e cercava di starle dietro senza confondere la persona con le altre che affollavano la strada, per poi provare a percepire aure sempre più deboli e difficili da seguire.
Lo Stregone che stava pedinando in quel momento passò vicino all'imboccatura del vicolo in cui Annah era stata trascinata da quell'energumeno di cui non ricordava il volto, ma che avrebbe saputo riconoscere subito a causa della mancanza di un pezzo dell'orecchio sinistro, di cui si era sbarazzato personalmente.
Non ci aveva visto più. La visione di quell'uomo grande e grosso che attaccava una donna lo avrebbe fatto arrabbiare già di per sé, ma se quella donna era Annah, allora doveva pagarla cara. Il pensiero di un secondo fine nel suo salvataggio non l'aveva nemmeno sfiorato, non voleva apparire migliore agli occhi di lei, né entrare nelle sue grazie. Aveva semplicemente avuto l'impulso di agire nel modo più violento possibile quando lo sconosciuto aveva incominciato a palpeggiarla e umiliarla. L'avrebbe anche ucciso, ma era riuscito a ricordarsi la promessa che aveva fatto a se stesso, di usare la sua spada per far fermare il cuore di un solo uomo al mondo, e non era quello lì.
Aveva detto ad Annah di non volere nulla in cambio di quel gesto, ma a quanto pare lei non sopportava l'idea di sentirsi debitrice.
- Ho fatto qualcosa per lei, una volta. - disse finalmente, rimanendo vago.
- E cosa? - incalzò Jao, che sembrava sentirsi vittorioso per aver di nuovo avuto la deduzione giusta.
Lenn scosse la testa. - Non te lo posso dire. -
L'amico sembrò rimanerci male. - Perché? -
Il mezzelfo ricordò la ragazza appena tratta in salvo mentre tremava dalla testa ai piedi, poggiata al muro sudicio di quel vicolo. Si ricordò di quando gli aveva intimato di non fare parola con Jao dell'accaduto, altrimenti non sarebbe stata più libera di fare niente, cosa che probabilmente le era accaduto spesso. Non l'avrebbe mai tradita. Se lei voleva così, lui non avrebbe detto niente di niente.
- Le ho promesso di non aprire bocca. -
- Addirittura? -
Lenn annuì.
Jao rimase un attimo in silenzio, poi disse: - Credo di essermi perso qualcosa di importante. -
- Abbastanza. -
- Ma dov'ero io? -
- Non lo so. Di sicuro non con noi. -
- Mi chiedo cosa sia mai successo di così segreto, e che poi abbia portato a un regolamento di conti così particolare. - sembrò rimuginare, - Non mi dai nemmeno un indizio? -
Lenn scosse la testa più volte. - No. Io non ho intenzione di dire niente che lei non voglia far sapere. Semmai chiedilo a lei. Ma fai finta di intuire la cosa sul momento, altrimenti capirà che sono stato io a metterti la pulce nell'orecchio. -
Jao annuì. - E' strano, però. Non vi facevo così intimi. -
- Infatti non lo siamo. - ci tenne a specificare Lenn, infastidito. - E' stato uno scambio d'aiuto, niente di più. -
E solo gli Dèi sapevano quanto lui desiderasse che in realtà le cose non stessero così.
- E, come vedi, adesso che siamo pari non abbiamo più niente da dirci. - aggiunse, questa volta con una punta d'amarezza.
Detto questo, i due non parlarono più. Del resto, Lenn non avrebbe detto più niente. Non gli piaceva quella conversazione e aveva già parlato troppo.
Jao affrettò il passo, lo superò e prima di andarsene si voltò e gli disse: - Indagherò più avanti. Intanto cerca di non fare troppo il musone. -
Lenn si sforzò di sorridere. - Va bene. -
Soddisfatto, la Tigre si voltò e raggiunse di nuovo Annah, che lo accolse con un sorriso e una domanda che Lenn non sentì.
Da parte sua, il mezzelfo si tenne ancora più a distanza. Quando raggiunse la fontana al centro di Malias, spostata e con il passaggio sotterraneo in bella vista, i suoi amici erano lì ad aspettarlo, ma passò loro accanto come se non ci fossero stati.


Una volta augurata buona fortuna ad Harù, i ragazzi erano usciti dallo spogliatoio e si erano diretti verso gli spalti. Chad aveva corso per arrivare ad occupare i posti in prima fila, appena dietro il parapetto che divideva il pubblico dall'arena. Era uno dei posti più pericolosi, però era anche il più ambito. Niente appagava gli spettatori più della visione del sangue che schizzava dalle ferite a distanza così ravvicinata, o l'odore del sudore e della terra che arrivavano a zaffate inebrianti.
I ragazzi però avevano voluto mettersi proprio lì per poter essere abbastanza vicini ad Harù e potergli gridare dei consigli durante lo scontro e avere la speranza di essere uditi. Non era contro le regole; l'unica cosa severamente vietata era scavalcare il parapetto ed entrare in campo, pena l'espulsione dell'intruso, più qualche botta da parte delle Guardie, ed erano quelle che bisognava davvero temere.
Per la possibilità che qualcuno potesse intervenire con la magia durante l'incontro non c'era alcun rischio, dato che chiunque volesse entrare nell'arena doveva obbligatoriamente farsi mettere al polso il bracciale inibitorio. Braccialetti ai quali erano legati zanne o artigli di Arcano, poi sigillati con un nodo incantato da una semplicissima magia di frizione che stringeva i legacci così forte da non poter essere sciolti dalla sola forza fisica. L'aura emanata dai monili era fastidiosa e refrattaria a qualunque tipo di forza, spirituale, mentale o fisica che fosse. Solo chi non indossava i bracciali era in grado di rimuoverli, perché non a stretto contatto con le zanne Arcane.
Ogni volta che glielo mettevano, Lenn cominciava a tirarlo dal nervoso, finché l'incontro non finiva e poteva andare a liberarsene. Un artiglio di Arcano bastava a bloccare i poteri, e ne fu grato, perché un completo corredo di denti in un solo bracciale sarebbe stato quasi fatale, avrebbe respinto i suoi poteri con molta più intensità, facendo disperdere tutta la sua energia vitale fuori dal corpo.
Era rimasto di nuovo indietro, troppo intento a maledire il polso legato e che prudeva sempre di più.
Chad fu il primo a prendere posto, seguito da Rizo, che gli si sedette a fianco. Jao fu il terzo. La Tigre si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso dispettoso. Era la prima volta che si sedeva in modo da avere un posto a lato occupato da qualcuno che non fosse Annah o il mezzelfo.
Così il Giglio non batté ciglio e si sedette nell'unico posto libero accanto al fidanzato. Lenn rimase in piedi, esitante, guardando con astio il posto disponibile di fianco alla ragazza.
Jao di solito lasciava che i suoi due amici si mettessero al suo fianco, pur di stare assieme a lui e allo stesso tempo separati tra loro. Oggi invece lo Stregone aveva deciso di fargli dispetto e obbligarlo a mettersi vicino ad Annah.
Lenn lo guardò e gli mandò un messaggio muto, ma dal labiale ben chiaro: - Bastardo. -
La Tigre ridacchiò, soddisfatta.
Il mezzelfo a quel punto tirò un sospiro rassegnato e si sedette nell'unico posto libero che rimaneva. Ci mancava solo che qualcuno avesse fatto una corsa per infilarsi lì prima di lui, lasciandolo in piedi.
Non si accomodò, rimase con la schiena rigida mentre si voltava verso la ragazza. Lei incontrò il suo sguardo e gli rivolse un sorriso di circostanza, poi tornò a voltarsi verso l'area adibita al combattimento.
Lenn poggiò le mani sulle ginocchia in modo da non rischiare di sfiorarla con le braccia. Non si sentiva in vena di alcun contatto fisico, si sarebbe sentito solo più infastidito e a disagio, e l'aura pulsante irradiata dal bracciale stava già provvedendo abbastanza bene ad ampliare le sue percezioni negative.
Il suono del corno che annunciava l'entrata degli sfidanti e dell'arbitro in campo lo salvò, invitandolo a spostare la sua attenzione altrove.
Alla sua sinistra c'era Harù che avanzava verso il centro del campo, munito di paramenti color blu e maschera, com'era stato per Lenn per il suo primo incontro; la camminata era molto rigida e lo faceva sembrare ancora più goffo di quanto la sua stazza lo facesse sembrare. Lenn pensò che non avrebbe mai avuto paura di un avversario che gli si fosse presentato in quella maniera prima di un incontro.
Il mezzelfo spostò lo sguardo sull'altro uomo in campo oltre all'amico e all'arbitro, lo Stregone in rosso. Non era molto alto, aveva braccia e gambe sottilissime e di corporatura in generale era esile. Harù avrebbe potuto stritolarlo, se solo fosse stato consapevole della sua forza e si fosse deciso a mollare i suoi dannati coltelli. Aveva una gran mira, ma avrebbe gestito la situazione molto più facilmente se si fosse procurato un mazzafrusto o roba del genere e avesse imparato ad usarlo come si doveva. Ce lo vedeva bene anche con un paio di tirapugni, spesso usati dai Guerrieri.
I due Stregoni avanzarono fino a fronteggiarsi, poi l'arbitro cominciò il suo sproloquio sui Clan di appartenenza degli sfidanti. Uno portava nel sangue la forza di uno degli animali più potenti delle foreste, l'altro a quanto pareva era in grado di far librare in alto il proprio Spirito come l'animale che rappresentava il suo Clan.
Lenn cercò una posizione più comoda, invano. Odiava quei giri di parole.
Ma finalmente arrivò il momento di togliere le maschere. L'arbitro se la svignò e lo Stregone sconosciuto mostrò il suo volto.
All'inizio quella faccia non gli disse niente. L'aveva già vista, ma era piuttosto anonima. Gli unici particolari rilevanti che poté notare da quella distanza furono il colore della pelle olivastra e i sottili baffi adesi alle labbra, quasi disegnaticisi sopra. Che fosse Umano non v'erano dubbi, infatti aveva le orecchie tonde e non poteva essere scambiato per un Elfo nemmeno per sbaglio; forse per un eunuco, quello sì.
Il suo interiore campanello d'allarme suonò quando vide la reazione di Harù. L'Orso era sbiancato e fissava in modo insistente il nemico; quest'ultimo sembrava non riuscire a decifrare la reazione del ragazzo, così come non ci riusciva Lenn.
Fu in quel momento che sentì la voce di Jao chiamarlo, e sembrava preoccupato. - Lenn, hai visto...? -
- Malias! - esordì la voce profonda del re Kaloshi, - I pretendenti al trono che si scontreranno oggi sono Harù del Clan dell'Orso e Maimed del Clan dell'Aquila! -
Lenn sentì il nome e il suo cervello cominciò a lavorare. “Maimed, Maimed... L'Aquila. L'ho già vista un'aquila... Dove?
Jao si sporse verso di lui e gli poggiò una mano sul ginocchio. - Lenn, lo Stregone Oscuro! -
- Oh cazzo, è vero! -
Finalmente ricordava, e si diede dello stupido per non aver riconosciuto subito lo Stregone che aveva incontrato nella foresta appena un anno prima.
Si era completamente dimenticato di lui perché quel giorno aveva lasciato più il segno l'incontro avuto col suo amico Demone, di cui ricordava ancora il nome: Arshkad. E anche Harù di sicuro non l'aveva affatto dimenticato. Non con la reazione che aveva avuto.
- Di tutti quelli che potevano capitare, proprio lui! - commentò Chad poco distante.
Lenn vide Annah sbattere più volte le palpebre e aggrottare la fronte. - Di che parlate? Potrei esserne messa a parte? -
Il mezzelfo rivolse la parola alla ragazza con improvviso trasporto: - Circa un anno fa, cademmo in una trappola messa su da quel tizio. Combattemmo contro di lui e il suo schifoso Demone per liberarci. -
- Per liberarci! - sbottò Jao, - Potevamo già svignarcela una volta abbattuto il Demone. Se ora quello Stregone è incazzato è perché c'hai tanto tenuto a sfidarlo e umiliarlo. -
Annah, che ora ruotava la testa in continuazione per passare da un ragazzo all'altro, sembrava sempre più confusa. - Hai sfidato uno Stregone Oscuro?! - chiese a Lenn, stupita.
Il ragazzo fece un sorriso poco convinto, poi scrollò le spalle. - Mah, non è stato difficile. Ti ricordo che lo sono anche io. -
- Bla bla bla, arie. - commentò Jao. - Ancora un po' e diventavi cieco. Non ti sopravvalutare, stiamo parlando pur sempre di magia nera. Quella logora l'anima di chiunque. -
Annah guardò Lenn, con un acceso interesse che raramente rivolgeva a lui. - Di che parla? -
Il mezzelfo si limitò a toccarsi la guancia destra, dove c'era il suo vecchio sfregio.
- Mi sono visto arrivare la sua spada dritto in faccia e per poco non mi ha cavato via l'occhio. -
- Ma come fai a dimenticarti la faccia di chi ti ha fatto una cosa del genere? - domandò Annah, sempre più accigliata. Era raro vederla così confusa, tanto da tenere la bocca semichiusa, nel tentativo di trattenere un'espressione di genuino stupore.
- Sono accadute cose peggiori, quel giorno. Altro che sfregi. -
- Oh cazzo, è iniziato! - esclamò a un certo punto Jao.
Lenn spostò l'attenzione subito sull'arena. Vide Harù saltare all'indietro e prendere distanza dall'avversario; l'Orso armeggiava in modo frenetico coi coltelli, preparandoli al lancio.
Maimed aveva già sguainato la sua spada e l'aveva illuminata con la luce nera e violacea della magia Oscura.
Il primo ad attaccare fu Harù, che lanciò due dei suoi coltelli, caricandoli di magia bianca.
Fu una mossa fiacca e prevedibile, che venne resa vacua da uno scudo nero invocato dallo Stregone avversario.
L'Orso fece in gesto con la mano accompagnato da una formula, e le sue armi tornarono indietro in volo; lui le afferrò mentre roteavano senza esitare. Lenn riconobbe quella mossa, perché aveva vista usarla anche da Jao, e probabilmente era stata proprio la Tigre a insegnargliela.
- Avanti Harù, sei più forte di lui! - sbraitò Chad dal suo posto. Ma la sua voce si confondeva con quelle di tutti gli altri tifosi e di sicuro il combattente non la udì.
Maimed corse verso Harù e appena gli fu a pochi passi di distanza tentò un affondo. L'Orso schivò con un salto all'indietro e rispose lanciando un altro coltello diretto alla testa.
Maimed evocò un altro scudo che poi fece scomparire per poter avanzare e tornare a colpire con la spada.
Harù evocò uno scudo a sua volta, ma lo Stregone Oscuro non se ne preoccupò; sollevò la lama oltre la testa e la calò con forza sulla cupola magica, che continuava ad apparire intatta. Lo Stregone sollevò di nuovo la spada per poi farla calare ancora e ancora; ogni tanto qualche guizzo di magia si staccava dalla parete incantata e andava a volatilizzarsi nell'aria, ma erano perdite minime.
Intanto l'Orso s'era ripreso e, mentre l'avversario scaricava quella che sembrava ira repressa, sembrava essersi deciso a svegliarsi e passare all'azione. La sua bocca si muoveva velocemente mentre formulava un nuovo incantesimo.
Saper farsi venire in mente una buona strategia di battaglia e poi ricordarsi le parole giuste per metterla in atto con la magia doveva essere un processo lungo e frustrante, pensò Lenn. Lui non sarebbe mai riuscito a sopportare una cosa del genere.
Ma Harù aveva dentro sé un nuovo contegno e una nuova decisione e quindi il mezzelfo non si stupì quando fece svanire senza esitazione lo scudo e i suoi coltelli cominciarono a volteggiare nell'aria. Maimed indietreggiò per non venir ferito dalle lame. Prima che potesse fare alcun che i coltelli rotearono in modo da formare una forma ovale che si piazzò proprio davanti all'Aquila, per poi emettere una luce propria che invase la forma che inscrivevano ad alta velocità. La luce si trasformò in acqua e fuoriuscì dalla propria cornice per investire il nemico. Il getto d'acqua si rivelò più potente di quanto si potesse immaginare, e Maimed fu scagliato a vari metri di distanza, vicino al parapetto da cui Lenn e gli altri si sporgevano per gridare incitazioni e insulti.
Bagnato fradicio, Maimed si rimise in piedi, più stordito che altro, a giudicare da come barcollava.
Nel rialzarsi però aveva dimostrato una precisione disarmante quando aveva puntato lo sguardo direttamente sul loro gruppo.
Lenn gli restituì un'espressione arcigna.
- Oh, - fece lo Stregone Oscuro. - Siete tutti qui. -
Si ricordava di loro.
Per un attimo tra di loro scorse una strana energia ostile.
Poi Maimed fu buttato a terra di faccia da Harù, dopo averlo caricato come un toro imbufalito.
Lo Stregone nero si afflosciò sotto il suo peso, e l'Orso gli si mise cavalcioni. Dopodiché lo afferrò per le spalle e lo fece roteare su se stesso con la facilità con cui si gira una bambola. Orso e Aquila incrociarono lo sguardo.
Poi Harù tirò un manrovescio che gli fece schizzare il sangue dal naso, che andò a colorare di rosso la sabbia.
- Questo, brutta merda, è per avermi scagliato contro quel Demone di merda! - gridò l'Orso.
Non gli diede nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, perché fece calare l'altro pugno e si sentì il sonoro scricchiolio delle nocche contro la mascella.
- Questo è per Lenn, ché l'hai quasi ucciso! -
Il mezzelfo a quelle parole s'irrigidì sul posto e Annah gli rivolse una delle sue occhiate. La ragazza tornò a guardare il pestaggio quando sentì il suono del terzo pugno.
- E questo è per tutti noi e per i poveracci che hai dato in pasto a quel mostro! -
Le facce di entrambi erano completamente rosse, chi per i pugni, chi per la rabbia.
Lenn non aveva mai visto Harù così arrabbiato. I suoi occhi erano due pezzi di ghiaccio fissi sull'avversario. Non sembrava più temere chi gli stava davanti, forse perché i ricordi dell'incontro con Arshkad erano distanti quanto intensi, più di qualsiasi altra emozione avrebbe forse mai provato. Lenn sapeva di che si trattava, ne aveva avuto esperienza. Sentirsi l'anima violata, rimescolata e rivoltata era la sensazione peggiore che uno Stregone potesse provare, soprattutto quel momento in cui percepisci la tua essenza mentre viene tirata così tanto da rischiare di essere strappata.
Con la differenza che Lenn aveva sperimentato tipi di tortura simili in precedenza, Harù no. Essere posseduto da Arshkad lo aveva segnato a vita, e i suoi lamenti nel sonno non erano altro che la parte che traspariva agli occhi degli altri, i segni minori del disagio.
Finiti i motivi per vendicarsi, Harù smise di gridare e si limitò a riempire di pugni l'uomo che gli stava sotto.
Ogni rumore di ossa fratturate, schizzi di sangue o lamento emesso da Maimed era chiaramente udibile. L'intero stadio s'era chetato e rimaneva attonito di fronte a quello sfoggio di violenza ben poco teatrale. Non si divertiva più nessuno. Il disagio aleggiava tutt'attorno ai combattenti.
Fu Chad a porre fine a quelle sevizie. - Harù! - esclamò.
L'Orso, come comandato da una forza misteriosa, s'interruppe appena udì la voce dell'amico. Alzò lo sguardo e lo guardò, sorpreso per essere stato interrotto e ancora intontito per essere uscito improvvisamente dal suo stato di grande concentrazione.
- Amico, lo stai uccidendo! - disse il nero.
- Eh? -
Harù lo fissò ancora per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo. Emise un gemito di sorpresa e spavento quando vide il volto tumefatto e si rese conto di cosa stesse facendo davvero.
L'Orso sollevò le mani insanguinate e lese, nel gesto di allontanarle il più possibile da Maimed.
- C-che devo fare? - domandò, nella voce una punta di panico.
Chad si alzò dal suo posto e si poggiò alla balaustra. - Chiedigli se si arrende. E' il minimo. -
Harù fece una smorfia, come se fosse stato facile per Maimed dare una risposta, ridotto com'era.
Lo guardò con sguardo colpevole. - Ti... Ti... Ti arrendi? -
A quel punto lo Stregone aprì la bocca e mosse le labbra a una velocità tale che rese incomprensibile decifrare alcun che, e la voce era un sussurro. Quando però la frase sembrò tirare troppo per le lunghe per essere una semplice dichiarazione di resa, tutti i ragazzi sollevarono lo sguardo dal suo viso e si guardarono attorno.
Jao fu il primo a capire. - Harù, attento! -
Un sibilo riempì l'aria, poi il rumore improvviso e strascicato, che aveva la consistenza dell'acqua quando viene colpita da un oggetto. Solo che non si vide una goccia d'acqua schiantarsi da nessuna parte. Il parapetto venne colorato da uno spruzzo rosso.
Un attimo, e dallo stomaco di Harù uscì la punta di una lama, la spada di Maimed. La giubba e la camicia di flanella sotto si tinsero di rosso a vista d'occhio.
Qualcuno gridò.
L'Orso rimase immobile per qualche istante, gli occhi spalancati. Poi il ragazzo s'afflosciò e cadde steso su di un fianco.
- Harù! - Lenn si alzò in piedi e fece per scavalcare il parapetto, ma sentì una stretta al braccio che lo fece esitare.
Era Annah, e gli stringeva il braccio fino a farglielo sbiancare. Lo trapassò con uno sguardo freddo e severo.
- Fermo. - gli disse, - Sono entrambi a terra, ma nessuno ha dichiarato la resa. Se entri nell'arena, verrai espulso. -
Detto questo, la ragazza mollò la presa, e il mezzelfo non mosse un muscolo. Puntò lo sguardo su Harù e lo vide contorcersi e piangere per il dolore causato dalla spada. Sentì l'anima rattrappirsi a quella visione.
Maimed intanto sghignazzava nonostante le labbra spaccate e le guance gonfie. Suonava soddisfatto del risultato ottenuto. Fu solo dopo l'ultima gorgogliante risata che sibilò: - Stupidi ragazzini. -
A quel punto giunse anche l'arbitro e il suo turbante colorato, annunciato dallo scalpicciare dei suoi piccoli e veloci passi.
Lo Stregone Oscuro emise un lamento, poi finalmente disse: - Mi arrendo. -
Lenn si voltò a guardarlo, ma solo per rivolgergli uno sguardo truce.
L'arbitro sollevò entrambe le braccia. - L'incontro è finito! Vince Harù del Clan dell'Orso! -
Si alzò il boato di rito della folla che accompagnava sempre la fine di un incontro, anche se le grida erano meno esaltate del solito.
Lenn non aspettò un secondo di più e scavalcò il muretto assieme agli altri. In un momento furono attorno al loro amico ferito.
Il povero Harù appariva pallido come un cencio e soprattutto era spaventato. Gli si leggeva in volto che era terrorizzato per essere stato ferito così gravemente. Non gli era mai capitato.
- Bisogna estrarre la spada da lì! - disse il mezzelfo perentorio.
Questa volta fu Jao a bloccarlo prima che le sue mani potessero afferrare la lama. - Fermo. - disse la Tigre, enfatizzando il gesto, - Se la estrai il sangue uscirà a fiotti, e gli Stregoni guaritori non sono ancora arrivati. -
- Me ne frego delle Sanguisughe, lo voglio guarire io. -
Jao storse il naso. - Non è il tuo compito. -
- Forse non lo è, ma saprei cavarmela meglio. - rispose con ripicca. Poi gli fece un cenno con la testa. - Guarda se arrivano. -
Jao lo assecondò e si mise in piedi per guardarsi attorno. Due uomini avanzavano svelti, ma senza troppo allarme, nella loro direzione.
- Ci sono. - disse.
- E sono Umani? -
Jao esitò un momento, ma non perché non riusciva a vedere le orecchie degli estranei. - Sì. - confermò.
- E allora vaffanculo, non riusciranno mai a gestire abbastanza energia per guarirlo come si deve. E' un bello squarcio, questo. Roba da Elfi. E gli Elfi non guariscono gli Umani. -
La Tigre si riaccucciò al suo fianco. - E allora? Vuoi prodigarti? Nemmeno tu se un Elfo. -
A Lenn diede fastidio quella puntualizzazione. Ma con aria di sfida non staccò lo sguardo da Jao; si limitò a pensare alla spada che si muoveva, e alla sua sinistra avvertì i gemiti di Harù mentre la lama lo trapassava in senso inverso per poi scivolare fuori dal suo corpo.
A quel punto il mezzelfo rivolse completamente la sua attenzione sul ferito e gli poggiò le mani sullo stomaco. Emise un sospiro e poi fece fluire l'energia vitale da un corpo all'altro.
- Gli Umani hanno bisogno di formulare incantesimi complicati per poter trarre dai loro corpi l'energia vitale, e spesso non basta. Io ne ho pieno controllo e ne posso far defluire quanta ne voglio, senza vincoli. Le parole non esprimono le cose bene come le intendiamo. -
Jao non protestò e gli si mise accanto, poi gli posò una mano sulla spalla. - Non fare tutto di testa tua. Se hai bisogno di più forze, prendile da me. -, e da quel momento il ragazzo rimase immobile, in attesa.
Lenn cominciò a far defluire le sue energie dal suo corpo a quello di Harù, e dei flussi di luce azzurra gli avvolsero le braccia, per poi scendere e entrare nel corpo dell'Orso.
Rizo a quel punto si alzò in piedi. - Vado a placcare le Sanguisughe. Li convincerò che Maimed è messo peggio. -
Detto questo, il biondo si alzò in piedi e si diresse verso i medici con fare baldanzoso.
- Chad, copri Lenn. Non devono vedere. - disse Jao.
Il nero eseguì, annuendo. Aveva il viso contratto dall'ansia.
Lenn cominciò ad avvertire un forte senso di torpore, mentre continuava a cedere le sue forze ad Harù. La ferita andava guarendo e chiudendosi a una velocità singolare, ma solamente perché stava dando fondo a tutte le sue energie. Per orgoglio non avrebbe mai desistito, avrebbe piuttosto prosciugato ogni ombra di energia vitale nel suo corpo, e non ne avrebbe attinta nemmeno una goccia da Jao. Scosse la testa e strinse i denti.
- Quegli Stregoni non userebbero mai tutta la loro energia, anche se potessero... Non gliene frega niente di Harù. - disse, nel caso qualcuno avesse ancora dubbi sulla sua efficienza riguardo le guarigioni.
Intanto Rizo parlava a vanvera e conduceva gli Stregoni guaritori verso Maimed.
- Come va, Harù? - domandò Jao.
Il ragazzo annuì. - Bene. Lenn, ce la fai? -
- Certo che ce la faccio! - sbottò il mezzelfo.
Nessuno proferì più parola. Lenn, da parte sua, non fermò l'affluire di energia finché non sentì le braccia intorpidirsi e vide la pelle di Harù finalmente arrivare a richiudersi.
Emise un gemito e trovò appena la forza di recidere l'affluire di magia per non perdere i sensi. Cominciava a vedere dei puntini davanti agli occhi, il che non era mai un buon segno.
Però si sentì soddisfatto nel constatare che la ferita era quasi completamente guarita, cosa che non sarebbe riuscito a realizzare appena qualche mese prima. Gli allenamenti e la meditazione davano i loro frutti.
Ma ora era sfinito. Si sedette a terra di peso e si puntellò con le braccia all'indietro per sorreggersi.
Si rese conto di essere più debole del previsto quando Jao gli diede uno schiaffo sulla nuca, che fece roteare il mondo all'improvviso. Non reagì nemmeno.
- Sei un deficiente. T'avevo detto di usare anche la mia energia. -
Detto questo, il castano s'avvicinò all'Orso, che si stava mettendo seduto più comodo. La pelle e i suoi vestiti erano ricoperti di sangue, ma la ferita si era quasi ridotta a un taglio abbastanza profondo in via di cicatrizzazione.
- Tutto bene amico? -
Harù annuì.
Il ragazzo adesso sorrideva e aveva in corpo la forza che fino a poco prima aveva avuto Lenn. I suoi occhi azzurri guizzavano a destra e a sinistra, mentre il suo corpo e i suoi muscoli si contraevano in piccoli movimenti che lo facevano sembrare scattante e pronto a tutto.
Lenn rimaneva immobile nella stessa posizione che aveva nel momento in cui aveva finito la Trasfusione, gli occhi semichiusi e vitrei. Faceva fatica persino a elaborare pensieri sensati.
Harù gli venne vicino e mettendogli una mano sulla spalla lo ringraziò. O almeno, fu quella l'impressione. In quel momento avvertì solamente la pressione delle dita dell'Orso mentre si serravano attorno alla sua spalla, che quasi cedette al suo peso, abbassandosi e trascinandolo verso il basso.
A quel punto i suoi amici parvero accorgersi che qualcosa non andava. Gli rivolsero degli sguardi preoccupati, poi si alzarono tutti in piedi, si spolverarono i vestiti e gli si avvicinarono.
Il mezzelfo intuì le loro intenzioni, e pur di scampare a qualsiasi aiuto si diede una spinta e si mosse in avanti, nel tentativo di mettersi in ginocchio. Ci riuscì, ma mentre compì quell'azione si rese conto di essere lento in modo imbarazzante. Ogni movimento era rallentato come se si fosse trovato sott'acqua, o a mollo nel miele. Tutto era offuscato e i rumori erano distanti.
Emise un lungo gemito pieno di disappunto quando sentì una mano afferrarlo per il colletto della camicia e sollevarlo, per poi afferrarlo per le braccia e metterlo in piedi.
Le cose smisero di girare quando sentì un grumo formarglisi nel petto; poi fu abbastanza cosciente da capire che era stato Jao a trasmettergli un po' di forza.
- Andiamo a casa. - disse a quel punto Rizo, ritornato accanto a loro. - Non voglio che quei guaritori da quattro soldi ci fermino per chiederci informazioni sull'improvvisa guarigione di Harù. -
I ragazzi annuirono, poi Jao, che stava alla destra di Lenn e lo sorreggeva ancora, gli disse: - Ce la fai da solo? Fino a casa, poi ti potrai riposare. -
Lenn annuì.
Jao gli rivolse un sorriso storto. - Non so se posso fidarmi. -
A quel punto il mezzelfo dimenò il braccio per liberarsi dalla presa. - Ce la faccio, ce la faccio... - biascicò.
- Ehi, bastardelli! - gridò una voce alle loro spalle.
I ragazzi si voltarono e videro Maimed che si avvicinava pericolosamente, la faccia ancora mezza tumefatta e un dito puntato nella loro direzione. Al fianco aveva due Stregoni guaritori che estraevano con parsimonia l'energia vitale da delle gemme che portavano al collo, facendo guarire lentamente le ferite e ridurre gli ematomi.
- Non crediate di averla vinta con me, ve la farò pagare come si deve per quello che avete fatto ad Arshkad! E ora aggiungerò anche quest'ultimo episodio alla lista! -
Lo Stregone Oscuro non sembrava voler smettere di avanzare, ma a fermarlo ci pensarono le Sanguisughe al suo fianco.
- L'incontro è finito, amico. - disse uno di loro.
- Lo so che l'incontro è finito, stupido verme! - sbraitò Maimed, per poi tornare a rivolgere l'attenzione sui giovani Stregoni – Aspettatevi le peggio cose, e quando meno ve lo aspettate. Specialmente voi due, Orso e Drago! Mi ricorderò le vostre facce e i vostri nomi, e li riferirò a chi vi vuole male. -
- Basta, Stregone. - disse Jao in tono perentorio, - Non ci interessa cosa avrai da riservarci. Ma ricorda che ci hai sottovalutato due volte. Non lo fare una terza. Potremmo arrabbiarci sul serio. -
Detto questo, la Tigre si voltò e se ne andò senza ascoltare le proteste dell'uomo.
- Andiamo, ragazzi. -
Gli altri si scambiarono qualche occhiata, poi tornarono a guardare Maimed, e infine si decisero a muoversi e seguire l'amico.
Lenn fece qualche passo, poi sentì di nuovo la testa girare. Si fermò qualche istante per concentrarsi e chiuse gli occhi. Sentì un leggero tocco al braccio destro, e li riaprì soltanto per incontrare lo sguardo di Annah e notare le sue sottili dita a contatto con la sua pelle.
- Quegli stupidi lì davanti non sono affatto dei galantuomini. - disse con la disinvoltura di chi affermava qualcosa che non era affatto fuori contesto. - Non sanno che non si lascia mai camminare una signorina da sola. -
Detto questo, con un gesto disinvolto avvolse il piccolo braccio attorno a quello del mezzelfo. - Per questa volta sarai tu il mio accompagnatore. Non ho la minima voglia di correre loro dietro. -
Lenn era confuso. Rimase in silenzio solamente per non dover aprir bocca e sputare qualcosa di insensato.
- Andiamo. - incitò la ragazza. Detto questo, lei si mise a camminare lentamente e lui le venne dietro, mansueto.
- Ah, un'altra cosa... - aggiunse poi la ragazza, stringendo di più la presa, - Nel caso ne avessi bisogno, puoi appoggiarti a me. -
Il mezzelfo le rivolse uno sguardo stranito, lei aveva un'espressione quasi divertita. - Possiamo anche camminare più piano, se ti va. Lo so che saresti in grado di andare più veloce, ma forse in questo momento avrai voglia di ammirare il paesaggio. -
Lenn fece una smorfia. - Malias non è un gran bel posto da ammirare. Tuttavia, penso che accetterò la tua offerta. Ora che ci penso, ho davvero tanta voglia di prendermela con calma. -
E Lenn a quel punto ripose tutto l'orgoglio che aveva soltanto per passare un po' di tempo in più con Annah. La ragazza gli aveva offerto il suo aiuto e non avrebbe mai rifiutato, a differenza che con tutti gli altri. Lei da sola non sarebbe mai riuscita a sostenerlo completamente, ma a quanto pareva aveva deciso di dargli una mano.
Così si appoggiò più pesantemente a quella ragazza che gli arrivava appena alla spalla e cominciò a camminare, senza fretta.
- Riesci a tenermi? - le chiese con gentilezza.
- Certo. Per chi mi hai presa? -
Il mezzelfo sentì la pressione sul suo braccio aumentare e percepì un sostegno più solido sotto di sé. Dovette riconoscere che lei ce la stava mettendo davvero tutta ad apparire all'altezza della situazione.
L'orgoglio di entrambi li aveva portati lì, a vivere quella situazione bizzarra.
A Lenn venne da sorridere ma non disse più niente. Si limitò a camminare per raggiungere casa il prima possibile. Avere Annah accanto era piacevole, ma la prospettiva di un letto comodo, quel giorno, lo era di più.

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Capitolo 45
*** Capitolo 12 - Cuore di Drago (Parte II) ***


[NdA: Ciao! Ne è passato di tempo! :3
Avevo promesso un capitolo al mese, tra cui quello di ottobre, ma mi sono persa per strada. XD
Ho avuto qualche convegno di troppo, troppe relazioni, e alla fine ho scritto in modo costante, ma a rilento. Molto a rilento. Però sono comunque soddisfatta perché l'anno scorso sono riuscita a scrivere solo due capitoli e mezzo in un anno intero, mentre quest'anno ne ho scritti cinque o sei, e sono ancora più positiva per l'anno prossimo.
Comunque: questo capitolo c'ha messo tanto a vedere la luce, ma l'attesa verrà premiata con una lunghezza extra! Avevo uno scheletro del capitolo molto più sintetico, ma poi man mano che scrivevo è venuta fuori una roba lunghissima che non mi andava di dividere in due parti. Oh beh, spero non sia molto pesante. In futuro magari gli darò una spuntatina, ma al momento mi piace così com'è. Spero che piaccia tutta questo angst emotivo da parte di Lenn. xD
Buona lettura!]


Capitolo 12
Cuore di Drago
Parte II




Non mi serve a niente, questa roba”, pensò Lenn.
Sfogliava pigramente le pagine di un libro di incantesimi. Stava semidisteso sul suo letto col cuscino dietro alla schiena e una decina di volumi foderati in pelle sfrangiata, contenenti pagine puzzolenti e ingiallite. Aveva deciso di costruirsi una buona cultura di base, ma non ricordava che tentare di studiare fosse così noioso e inutile.
Ad ogni pagina che sfogliava gli saliva davanti agli occhi uno sbuffo di polvere. Su ciascun foglio era scritta una formula, seguita da una miniatura che illustrava la manifestazione dell'incantesimo. Ma quelle informazioni non valevano nemmeno la metà degli attacchi di tosse provocati dalla dannata polvere.
Molte di quelle magie le conosceva già, le altre erano troppo al di fuori della sua portata; alcune formule erano lunghe mezza dozzina di pagine.
A lui non servivano tutte quelle frasi da imparare a memoria, cercava solamente un po' d'ispirazione per nuove tecniche da usare in combattimento, ma invano.
- Non ci posso credere, sei ancora lì che leggi? - disse una voce poco oltre i piedi del letto.
Lenn alzò lo sguardo dal libro tenendo un sopracciglio inarcato. - Sì. E allora? -
- E allora? Sono stato fuori per due ore! -
- Jao, libri del genere non s'imparano in dieci minuti. -
- Lo so ma... Oggi è festa, hai davvero intenzione di startene tutto il giorno piantato lì? -
Seguì una breve pausa di silenzio.
- ...Credo proprio di sì. -
Jao sbuffò.
- Se è così importante stare fuori a divertirti, perché perdi tempo qui? -
Jao rimase ancora qualche momento in silenzio, interrotto soltanto per dire: - Sei proprio noioso, tu. -
Lenn scrollò le spalle. - Me ne farò una ragione. E poi fuori fa caldo. -
- E' normale, siamo a Maggio! -
- Qui in casa si sta meglio. -
Detto questo, il mezzelfo tornò a immergere il naso nel libro.
Sentì Jao sbuffare di nuovo e dirigersi nella sua direzione. Quando gli fu accanto alzò lo sguardo verso di lui e lo fulminò mentre spostava con poca grazia i libri che gli stavano accanto. Appena fatto abbastanza spazio, gli si sedette vicino.
- Che leggi? -
Questa volta fu Lenn a sbuffare. - Sei molesto. -
- E' che mi annoio! -
- E devi venire proprio da me?! -
- Darti fastidio è divertente. -
Lenn decise di ignorare quell'ultima frase e si sedette dritto. Mostrò le pagine aperte all'amico.
- Studio qualche nuovo incantesimo. -
Jao aggrottò la fronte e chinò la testa nel decifrare l'Elfico. - Ma a te non serve 'sta roba. -
- Infatti. -
- E allora perché ci muori sopra? -
- Eh... Speravo che ci avrei ricavato qualcosa di più utile. Ma qui ci sono solo formule per mocciosi o teorie senza fine sull'eticità dell'uso delle magie curative in combattimento... -
- Palloso, eh? -
Lenn fece roteare gli occhi. - Da morire. -
- Pensa che a me a scuola facevano studiare decine di libri del genere. Tu che puoi farne a meno, dagli fuoco! -
- Beh, questo mi sembra un po' estremo. -
- A proposito, dove li hai presi tutti 'sti tomi? - Jao fece un gesto ampio con la mano per indicare tutto l'insieme di libri e pergamene sparsi sul letto.
- Dalla biblioteca nel Distretto Nord, me l'ha mostrata Annah. -
- Ah, ecco... Non ci vado mai al Distretto Nord. Ci girano troppi ricchi con la puzza sotto il naso. -
- Ma sei un messaggero, non dovresti consegnare lettere per tutta Malias? -
- Dèi, certo che no! - esclamò la Tigre – Hai idea di quanto mi ci vorrebbe per andare da un capo all'altro della città ogni volta? -
Il ragazzo si mise più comodo sul letto, stendendosi e dando qualche colpo al fianco di Lenn per farsi fare spazio. - Io sono stato assegnato al Distretto Ovest. -
- Ah, ecco... Effettivamente, ho fatto una domanda stupida. -
Ci fu qualche secondo di silenzio in cui Lenn provò a tornare a rivolgere l'attenzione sul testo, ma ormai s'era distratto e non aveva più voglia di perdere tempo con quel volume. Chiuse il libro con un altro sbuffo di polvere e lo lanciò ai suoi piedi.
- Sono tutti libri di magia? - domandò poi Jao.
- No. C'è un po' di tutto. -
- Uh, e questo cos'è? -
La Tigre si rimise a sedere e si sporse per prendere un piccolo volume foderato in pelle nera su cui si era appena schiantato il vecchio libro di magia. Lo afferrò e osservò con interesse la copertina, su cui era incisa la sagoma dorata di un Drago.
- E' quello che penso che sia? -
Lenn annuì. - Lo è. Vita, morte e miracoli dei membri del Clan del Drago. -
- Beh, il capitolo sui miracoli sarà molto breve, immagino. -
Detto questo, Jao aprì il libro a una pagina a caso e cominciò a sfogliarlo con diffuso interesse.
- Cos'è che cercavi esattamente? -
- Non lo so nemmeno io... Forse qualche notizia sui miei genitori. O su mio zio. Ma il dannato albero genealogico si interrompe bruscamente con quello che potrebbe essere il mio bisnonno o roba del genere. -
Lenn vide l'amico andare avanti con le pagine fino alla fine della genealogia. C'era il ritratto incolore di un uomo anziano, la cui data di morte corrispondeva a circa un centinaio di anni prima. Di lui si diceva poco, oltre al nome, la regione d'origine e qualche insignificante episodio della sua vita.
Il Clan del Drago pareva essersi spento lentamente nei secoli, per poi morire all'improvviso con quel vecchio. Si diceva che avesse avuto un figlio, ma non se ne avevano notizie.
- Mio nonno, i miei genitori e il sottoscritto non esistiamo, a quanto dicono tutti i libri. E questa è la biografia più accurata che ho trovato. - disse il mezzelfo scuotendo la testa. - Il Clan del Drago è estinto. -
Jao a quell'affermazione fece una strana smorfia, poi disse: - Non dire così. Ci sei tu. -
Lenn incrociò le braccia. - No. Io non sono più un Drago. E' rimasto solo mio zio, e gli Dèi solo sanno quanto mi piacerebbe morisse colpito da un fulmine. -
- Ma il tuo Spirito ha conservato la forma di un Drago nonostante tutto, vorrà pur dire qualcosa. - rispose Jao con un sospiro. Poi il castano riprese a sfogliare le pagine e guardare le illustrazioni. - Sei molto più Drago tu di quanto io sia una Tigre, credimi. -
- E questa da dove ti esce? - domandò Lenn. Jao non sembrava divertito mentre leggeva velocemente le frasi delle pagine di quella biografia. Da parte sua non ottenne risposta, solo una scrollata di spalle e uno sbuffo per scostare i capelli dal viso.
- Ehi, questo è il fondatore del Clan? - domandò la Tigre sporgendosi verso di lui con una delle prime pagine aperta.
Lenn ci buttò l'occhio, annuì subito. Conosceva quel volto, dai capelli lunghi e gli occhi neri; suo zio gliel'aveva già mostrato. - Sì. Leandro Aziz Ryastravel, primo membro del Clan del Drago. Prescelto da Draco Magnus stesso, a quanto si dice. -
- Pensa te... Dal Dio della Tenebra in persona. Non saprei dire se sia stata una grazia o l'inizio di una tragedia. -
- La seconda, probabilmente. - rispose il mezzelfo, che prese il libro dalle mani dell'amico, lo chiuse e lo gettò al fondo del letto assieme alle altre letture inutili. - Basta così. Non mi piace parlarne. -
Jao annuì senza farsi problemi e tornò a scrutare i libri sul letto. - C'è qualcos'altro di interessante, hm? Oh, e questo cos'è? -
La Tigre afferrò un altro volume foderato in pelle scura e ricoperto da caratteri argentati in Elfico e in Umano.
- Mah, un'altra roba noiosa. Lascia perdere. -
L'amico lo ignorò e si portò il libro in grembo, aprendolo ad una pagina a caso. Rimase immobile in intensa concentrazione per un lungo tempo, mentre leggeva.
- Cosa te ne fai di un libro che parla dello stile di vita degli Elfi? -, chiese poi.
Lenn gli si accostò e cercò di prendergli di mano il libro, ma Jao mantenne la presa. Il mezzelfo se ne tornò al suo posto lanciandogli un'occhiata infastidita. - Ti ricordo che io sono in parte Elfo. -
- Lo so, lo so, non fai che ricordarmelo. E allora? -
- Allora vienimi incontro. Sto cercando di capire che tipi sono, imparare le usanze. Dopotutto, mia madre era una di loro. -
- E questo a cosa ti servirebbe? -
Lenn scrollò le spalle. - A integrarmi meglio, che ne so! Mi sono accorto che non so niente di niente del mondo là fuori, e mi dà alla testa! -
Detto questo, il mezzelfo si distese completamente sul letto e si mise a braccia conserte. S'era innervosito.
Jao lo scrutò per qualche secondo, poi fece schioccare la lingua. - Bah. -
Quando si parlava di libri, Jao diventava intrattabile. Respingeva qualsiasi cosa fosse messo per iscritto come fosse un'allergia. - Sai come la penso su questo genere di cose... E' meglio uscire di casa e farle, le esperienze, non leggerle. -
- Preferisco i libri. -
- Non ti possono preparare in tutto. -
Lenn sbuffò. - Lo so. Ma là fuori ci sono le persone. Gente con cui dovrei interagire? -
La Tigre rise. - Esattamente. - disse, dandogli una pacca sulla gamba. - Brutto brontolone. -
Detto questo, il castano se ne tornò a sfogliare il libro. - Vediamo un po'. Tradizioni, festività, pure un elenco di gesti per salutarsi!, le superstizioni... Ma un bel capitolo sul sesso e anche bene illustrato no, eh? -
- Dammi 'sto coso! -
Lenn si tirò su e cercò di nuovo di sfilare il libro a Jao, ma questi riuscì di nuovo ad allontanarsi in tempo. - Vuoi vedere pure tu se c'è? -
- Ma ti pare che ci siano cose del genere su di un libro preso dalla biblioteca, a disposizione di tutti? E poi, chi se ne frega? -
- Non te la prendere, è pura curiosità. - rispose la Tigre, continuando a sfogliare. - Dicono tanto di essere diversi da noi, ma secondo me certe cose le fanno tali e quali. -
Lenn si sentì infastidito, ma non capiva bene il perché. - Perché ridi? Non c'è niente da ridere. -
- Mamma mia, oggi sei proprio antipatico. Oh, magari questo è interessante. 'Sto capitolo s'intitola Vita di coppia. Vediamo se ci sono le istruzioni per trovarti una bell'Elfetta. -
- Dubito. - fu l'unico commento da parte di Lenn. Però ciò non lo distolse dal farsi più vicino per sbirciare a leggere.
- Oh, che carini. - disse dopo un po' Jao.
- Cosa? -
- Qui dice che gli Elfi di solito si trovano un'unica compagna per tutta la vita. Tipo quei pappagallini che piacciono tanto alle ragazze... -
Il mezzelfo assunse un sorriso mal trattenuto. - Paragonati a dei pappagalli, non so quanto potrebbe far loro piacere. Comunque, secondo me è una cretinata. -
- Uhm, secondo me invece potrebbe essere vero. -
- E cosa te lo fa dire? - domandò Lenn, perplesso.
- Quello che è successo al re Fanir, per esempio. Era sposato, ma ha perso sua moglie nella Guerra delle Cento Spade, una ventina d'anni fa. S'è rifiutato di risposarsi, quindi niente eredi consanguinei. Per questo ha deciso di nominare terzi al trono; avrebbe comunque dovuto farlo, un giorno, quindi perché non con un torneo? -
- Oh. Questo non lo sapevo. -
- Ci sono tante cose che non sai. E vedi che i libri non te l'hanno potuto dire. Possono fornirti informazioni su ciò che cerchi, non su ciò che non hai idea che esista. -
- Non cominciare a farmi la predica, non attacca. Dice altro? -
Jao ritornò con lo sguardo sul libro, gli occhi si spostavano da destra a sinistra in continuazione. -
Uhm... Dice che c'è una fregatura. In pratica, gli Elfi di solito sono così freddi e antipatici perché sono addestrati a gestire le emozioni. A quanto pare sono in grado di mostrare affetto disinteressato per una persona soltanto, una di cui si fidano, e che poi scelgono come compagno o compagna per la vita. In pratica, si innamorano solo una volta, poi basta, nessuno è più degno della loro completa fiducia. Un po' rigidini, direi. -
- Beh, è sempre stata quella l'impressione che ho avuto di loro. Chissà se anche mia madre era così. -
- Può darsi. Tu lo sei di sicuro. -
- Di sicuro come? -
- Rigido. Testardo, più che altro. -
- Non è vero. -
Jao ridacchiò. - Poverella, quella di cui ti innamori. Le resterai appiccicato tutta la vita. Oppure, se di un'Elfa si tratterà, sarà lei a non mollarti più. -
Lenn non sapeva come reagire. Optò per mostrare una smorfia indecifrabile. - Non so se ridere o piangere. - ammise.
- Io riderei. E' così surreale che è divertente. -
- Uhm, se tu ridi, allora sarà meglio che io cominci a disperarmi. Sono fregato. -
Il mezzelfo non poté fare a meno di pensare immediatamente ad Annah, e forse a turbarlo fu proprio il fatto che lei, in una circostanza del genere, fosse la prima a comparire fra i suoi pensieri.
Lui si sentiva innamorato di lei. Ma se fosse stato capace di amare una sola persona come facevano gli Elfi, cosa sarebbe successo? Non sarebbe stato più in grado di amare nessun'altra? Avrebbe passato il resto della vita a rimpiangere quel sentimento non corrisposto, mentre i figli di lei e Jao scorrazzavano per il cortile di casa?
Sarebbe rimasto solo. A lui non piaceva affatto l'idea di rimanere solo. Gli piaceva rimanere in disparte, solo coi suoi pensieri, ma da quando era fuggito di casa odiava visceralmente l'idea di tornare alla desolazione che aveva vissuto prima, senza qualcuno al proprio fianco, a consigliarlo nelle difficoltà. Per il momento c'era Jao. Ma un giorno se ne sarebbe andato via pure lui. Doveva vivere la sua vita. E anche Annah se ne sarebbe andata; con Jao, possibilmente. L'idea, tutt'a un tratto, gli sembrava minacciosa e vicina.
Non riuscì a guardare di nuovo allo stesso modo il suo amico, mentre scherzava su quelle cose.
Si sentì bussare alla porta della camera.
- Si può? -
Una voce femminile, l'unica che poteva essere presente nella casa.
- Sì, sì, entra! - rispose Jao con un ampio gesto della mano.
La Mangiasogni entrò nella stanza con discrezione, e con passo leggero si mosse fino ad arrivare ai piedi del letto su cui stavano i due ragazzi. Incrociò le braccia e disse con tono solenne: - Sono venuta per avvisarti che il tuo incontro inizia fra un'ora, Jao. Tanto per ricordarti che tu ci devi essere e non puoi permetterti di fare tardi. -
Suonò più perentoria del solito, e forse se ne accorse, perché poi sfoggiò il sorriso più amabile che aveva in repertorio.
- Sì, sono pronto. E' ancora presto. - rispose il fidanzato.
- Jao del Clan della Tigre, se arrivi tardi e danno la vittoria al bifolco che ti ritroverai come avversario, ti faccio a fettine. -
- Non ti preoccupare, è tutto sotto controllo. Cinque minuti e ci avviamo. -
Annah sbuffò. - Non mi fido. -
- Fai bene. - rispose Lenn.
- Ehi! -
- Penso che rimarrò qui a trascorrerli con voi, questi cinque minuti. Non si sa mai. - disse allora la ragazza. Sempre a braccia conserte, si chinò per leggere il titolo del libro che Jao stringeva tra le mani, ma sembrava non riuscire a decifrare le scritte. - Cosa leggete? -, chiese allora.
- Niente. -
- Una roba sugli Elfi noiosissima che Lenn ha preso dalla biblioteca. - rispose Jao. - Cerchiamo indizi che potrebbero dirci come la vita amorosa di Lenn potrebbe finire. Al momento i pronostici non sono molto buoni. -
- Ah no? -
Annah si mosse e camminò con passo leggero attorno al letto, per poi fermarsi accanto al mezzelfo. Per un attimo lui si chiese cosa lei volesse, quando gli puntò gli occhi addosso. Dal suo corpo vicino emanava un leggero profumo di lavanda.
- Su, fa' spazio. Voglio sedermi anch'io. -
Lenn non fece nemmeno in tempo ad aprir bocca che Jao intervenne: - Siamo troppo stretti. -
Annah a quelle parole sbuffò di nuovo, poi rifece il giro del letto, pestando i piedi per terra. Arrivò vicino a Jao e gli si sedette su una coscia, per poi togliergli il libro dalle mani e passarlo a Lenn; avendo più spazio, si mise più comoda sedendosi su entrambe le gambe del fidanzato, per poi passargli le braccia intorno al collo per tenersi su. Il tutto con un'espressione in volto sorprendentemente tranquilla.
- Su, leggiamo. - disse, e sembrava non voler ammettere obiezioni.
Lenn si girò a guardarla, ma incontrò solo la nuca piena di capelli biondi. Erano così vicini, ma in quella posizione la ragazza gli offriva la schiena e niente più. Si sentì un po' eclissato da ciò.
Jao rise divertito. - Va bene, vediamo se troviamo qualcosa da prendere in giro... Però cambiamo capitolo, ché il romanticume non mi piace. Che ne dici, Lenn? -
- ...Sì. - rispose il mezzelfo, ma non era più interessato al volume.
Lenn si mise dritto a sedere e poi si spostò in avanti, seduto a gambe incrociate, in modo da avere di nuovo le facce dei due amici bene in vista. Jao faceva scorrere lo sguardo con fare meno annoiato di prima e girava velocemente le pagine. Annah gli restava abbracciata come se niente fosse, le guance che si toccavano e i capelli biondi e crespi di lei che si intrecciavano con quelli lisci e castani del suo fidanzato.
La ragazza si dovette sentire osservata e sollevò lo sguardo verso il mezzelfo, fulminandolo coi suoi freddi occhi neri, che però andarono a raddolcirsi mentre gli rivolgeva un tranquillo sorriso.
Normalmente, Lenn avrebbe ricevuto quel sorriso con gioia, tanto era raro l'evento, però questa volta c'era qualcosa che non andava, e se ne sentì solamente turbato. Era Jao a non andare bene. Lui era lì, con una creatura bellissima e promessagli in sposa che gli stava abbracciata, e non pareva curarsene. Lenn lo trovava così fortunato e allo stesso tempo disinteressato che non poteva evitare di pensare che in fondo non si dovesse meritare tutto ciò. Avere Annah tra le braccia e godere del suo affetto per il mezzelfo era una fantasticheria irraggiungibile, mentre per Jao era normalità da dare per scontata.
Non amava lamentarsi della propria condizione, non l'aveva mai fatto in vita sua; ma che dopo tutte le angherie che aveva subito e le botte che aveva preso, non si potesse nemmeno concedere il privilegio di poter stare con una persona per cui provava qualcosa, era una cosa da pazzi. Era da pazzi e non era giusto. E ora che c'era persino la possibilità che Annah potesse potenzialmente diventare la sua ossessione mai risolta, l'unica donna amata ma mai avuta, non poteva fare a meno di sentirsi umiliato. Non gli era concesso nulla e gli veniva tolto tutto, e ormai sembrava la regola. Sembrava che qualcuno stesse giocando con lui, il gatto con il topo, e non sapeva nemmeno capire a chi dare la colpa di tutto ciò.
Jao fu sfortunato a trovarglisi davanti in quel particolare momento, e a Lenn sembrò il perfetto capro espiatorio. Gli divenne fastidioso guardarlo nella sua rilassatezza.
- Lenn, che hai? - gli domandò la voce di Annah.
Il mezzelfo rinsavì, e si accorse di aver cominciato ad aggrottare la fronte, mentre era immerso nei suoi pensieri.
Incontrò di nuovo gli occhi di Annah, e questa volta erano in perfetta sintonia con quelli di Jao, che ora non guardavano più il libro.
- Niente. - rispose in modo brusco.
Detto questo, si alzò dal letto il più velocemente possibile e si passò una mano fra i capelli mossi.
- Avevi ragione, Jao. - continuò poi, - Forse dovrei uscire un po' di casa. Prendermi una boccata d'aria fresca. Ho letto troppo e ora ho mal di testa. -
Jao gli rivolse uno sguardo interrogativo. - Eh, va bene. Ma aspetta un attimo, adesso tanto mi alzo e andiamo all'arena assieme per l'incontro. -
- No. -
Il mezzelfo si girò senza guardare nessuno dei due e s'avviò verso la porta. - Ci vediamo lì. -
Detto questo aprì la porta della camera da letto e li lasciò, chiudendosela alle spalle.
Una volta posto un muro fra sé e quegli sguardi, Lenn si sentì molto meglio. Si concesse pure un sospiro di sollievo.
Il disagio era stato improvviso ma pungente; si sentiva ferito da una spada che non poteva vedere, e sanguinava da una ferita che non poteva guarire con la magia. Di cicatrici sul corpo ne aveva così tante che una più o in meno non faceva differenza, ma non sapeva come avrebbe affrontato un colpo del genere, se sarebbe riuscito a non morirne.
Tutto ciò che desiderava era oltre a un muro sottilissimo, letteralmente. Era a portata di mano, ma lo sentiva irraggiungibile.
Riprese a camminare e uscì di casa. Il cielo dal lucernario rivelava che mancava poco al tramonto. Si mischiò alla gente nella via con l'intenzione di allontanarsi il più possibile da quel luogo familiare, in cui ogni cosa gli ricordava Annah.
Lui non era un Elfo, lo era solo a metà. Forse la distanza lo avrebbe aiutato a dimenticare.


Elfi e Umani arrivavano a fiotti e scendevano nel passaggio sotterraneo al di sotto della fontana della Piazza Centrale di Malias, ingoiati tutti allo stesso modo, senza distinzione di razza; ma non si scorgeva nessun mezzelfo, tra di loro.
Lenn non era lì, di sicuro. Se ci fosse stato, sarebbe spiccato in mezzo agli Umani per la sua altezza o tra gli Elfi per i capelli poco curati e neri come il carbone.
- Ancora niente? - chiese Annah, in equilibrio sulle punte dei piedi e col collo proteso, nella speranza di scorgere il ragazzo.
Jao scosse la testa, sospirando. - No. Non lo vedo. -
Seguirono alcuni momenti di silenzio, sovrastati solo dal vociare delle persone che si dirigevano verso l'arena, mentre si chiedevano chi sarebbero stati i due contendenti che avrebbero aperto il secondo turno del Torneo. Nessuno sapeva che fra pochi minuti l'incontro sarebbe iniziato e uno dei due Stregoni direttamente interessati era ancora in mezzo a loro invece che negli spogliatoi, a temporeggiare.
- Sei sicuro che non sia già entrato ma non l'hai visto? - domandò Annah.
- Per la centesima volta: sì, sono sicuro. E non è entrato prima che arrivassimo, Chad ha controllato e l'arena era praticamente vuota, quando è arrivato. -
La Tigre rivolse lo sguardo verso la sua fidanzata, che lo guardava con degli occhi che parevano addirittura velati di tristezza. Il sole stava calando e cominciava a far freddo; lei si sfregava le braccia scoperte, ma ormai aveva smesso di lamentarsi del fatto di aver dimenticato a casa lo scialle come una stupida, presa dalla fretta.
Il Giglio aveva lo sguardo di quando aveva qualcosa da confidare al fidanzato, ma non osava parlarne di sua spontanea volontà.
- Che hai? - le chiese così Jao.
Annah scrollò le spalle e guardò altrove, tra la folla. - A volte ho l'impressione che mi odi. -
- Chi? -
La ragazza fece un gesto col capo e indicò la moltitudine di sconosciuti. - Lenn. -
Jao aggrottò la fronte. - Perché dici questo? -
- Non lo so... Mi evita. E forse penso che sia perché mi odia. -
- Lenn non odia nessuno. Anche Rizo: gli sta sul cazzo ma non lo odia mica. Perché dovrebbe odiarti? -
- Non lo so, Jao! -, rispose la ragazza. - E' un'impressione. Ma non ho potuto fare a meno di notare delle piccolezze che me l'hanno fatto pensare, soprattutto in queste ultime settimane. -
- Tipo? -
Annah gettò un'ultima volta lo sguardo sui volti delle persone che le stavano attorno, ma non sembrò trovare nulla d'interessante in loro. - Guarda solo quello che ha fatto oggi: sono entrata nella vostra camera da letto mentre leggevate, e gli Dèi solo sanno da quanto lui era lì che studiava; poi tutt'a un tratto ha mal di testa e ha bisogno di una boccata d'aria. Guardacaso proprio due minuti dopo che sono arrivata io. Non mi dire che ti aveva già detto di voler uscirsene a fare una passeggiata, perché non ti credo. -
- Eh... -
Jao non sapeva cosa dire. Lenn era sempre stato un po' difficile da prendere per il verso giusto, ma non era lunatico. Se agiva in un certo modo aveva le sue ragioni. Anche lui s'era accorto che il mezzelfo evitava Annah, ma credeva di aver messo tutto a posto un mese prima, e si era lasciato il problema alle spalle. Ma a quanto pareva Lenn non voleva stare nei pressi della ragazza, e non si capiva il perché.
- Continua a parlarti poco? - le chiese.
- Non mi parla proprio. -
- Non è che gli hai detto qualcosa che lo ha fatto risentire? -
- No, per gli Dèi, a me non è sembrato! Senti, io ho provato ad avvicinarmi a lui, farci amicizia, per farti contento e perché ho visto che ci tenevi. Ma per me è inavvicinabile. E' selvatico. -
Jao scrollò le spalle. - Avresti dovuto vederlo quando l'ho conosciuto. Aveva un Demone in corpo, te lo dico io. -
- Non importa, io non so mai come comportarmi con lui attorno. Io non ho intenzione di corrergli dietro. -
La Tigre si passò una mano fra i capelli. - Hai ragione... Pensavo che a questo punto avrei avuto la situazione sotto controllo, e invece... -
- E invece cosa, Jao? -
Annah si fece più vicina, fino ad arrivargli davanti e fissarlo negli occhi, tremenda come lo era con pochi. - Ho detto che è selvatico, ma non che per questo dovresti essere tu ad ammaestrarlo. -
La ragazza gli puntò l'indice contro il petto.
- Ma cosa stai dicendo? -
- Sto dicendo che non è un animaletto da compagnia, non è da tenere sotto controllo, come dici tu. Se non ritorna a casa, saprà cavarsela da solo e tornerà appena se la sentirà. E ho freddo, quindi muoviamoci, disputa questo maledetto incontro e poi torniamocene a casa, al caldo. -
Jao tacque. Sentiva che Annah non capiva. Non capiva quanto Lenn fosse importante per lui e quanto ci tenesse, quanto fosse preoccupato in quel momento. Era stato un po' apprensivo recentemente, era vero, però Annah non era in grado di capire la situazione, non vedeva il quadro completo. Non poteva sapere cosa lui e Lenn avevano passato durante il loro viaggio, non poteva sapere cosa c'era dietro a tutto ciò: al fatto che lo avesse preso con sé, tanto per dirne una.
Si era rimproverato di non averglielo mai spiegato, ma era qualcosa di troppo complicato, e nemmeno lui stesso possedeva tutte le risposte agli interrogativi che lei avrebbe potuto porgli.
Si guardò attorno, ma Lenn continuava a non apparire. Annah rimaneva di fronte a lui, stoica e intirizzita.
Sentiva che stava trascurando entrambi i suoi migliori amici, ma non capiva dove stesse sbagliando, e cosa dovesse fare per rimediare, per non perderli. Al momento sembrava che stare con Annah equivalesse all'evitare Lenn, e viceversa. Non poteva esserci un'intesa fra tutti e tre. Aveva chiesto alla sua cara amica di sforzarsi e provare a fare amicizia col mezzelfo, ma i loro incontri erano sempre stati distruttivi.
Era turbato, ma in quel momento era abbastanza lucido da capire che quello era il momento di occuparsi di Annah.
Sospirò, rassegnato. - Vieni. - le disse. La prese prese per i polsi con delicatezza e la condusse verso le scale vicino alla fontana. - Andiamo. -
Annah si strinse a lui, in cerca di calore. Lui le passò il braccio attorno alle spalle, e insieme scesero per il passaggio, affrettando un po' il passo.


Il pubblico strepitava come al solito, ma Jao non sentiva. Jao non vedeva nemmeno cosa gli stesse accadendo attorno, perché camminava verso il centro dell'arena, ma era immerso nei suoi pensieri. Ma anche se avesse voluto vedere alcun che, non ci sarebbe riuscito: le fessure per gli occhi della sua maschera rossa erano degli spiragli che lasciavano passare ben poca luce, e le ciglia continuavano a battere contro il legno. Fu proprio quel fastidio a svegliarlo abbastanza da fargli realizzare di avere già l'avversario di fronte. Anzi: l'avversaria.
I paramenti blu non erano in grado di coprire i lineamenti femminili che stavano appena sotto, e così la sfidante di Jao si presentava come una ragazza minuta, dai fianchi morbidi e i capelli castano scuro lunghissimi. Non riusciva a catturare il suo sguardo attraverso i fori per gli occhi della maschera.
Ci fu un qualche tipo di segnale per cui la ragazza si sfilò la maschera, e Jao, distratto, si limitò a imitarla e buttò a terra la sua.
Lei scosse la testa e scostò i capelli vaporosi dal viso, rivelando le orecchie tonde. Non era un'Elfa, ma non c'erano stati dubbi a riguardo.
I suoi occhi erano azzurri e lo guardarono con divertita curiosità.
Jao, da parte sua, non aveva intenzione di partecipare a quella disputa psicologica spiccia, aveva altro per la testa. Invece di intimidirla in qualche modo, come di solito si faceva prima dell'inizio di un incontro, tornò con lo sguardo verso gli spalti, incontrando Annah, appollaiata tra i posti più lontani dall'arena. Dopo essersi attardati non avevano trovato più posti vicino al campo, né erano riusciti a ritrovare gli altri loro amici nella confusione, e così Jao l'aveva lasciata da sola, tra i posti meno desiderabili. C'era da dire che, nonostante nessuno potesse guardarle le spalle, era in un'area dove c'erano molte donne e ragazzini, quindi in teoria nessuno avrebbe potuto farle del male. Inutile dire che avrebbe preferito che ci fosse stato Lenn lì con lei; ma il mezzelfo era sparito nel nulla.
Appena torna a casa, ho da dirgli due paroline...” pensò la Tigre.
Sentì la ragazza davanti a sé schiarirsi la gola, e questo lo riportò al presente. Gli puntava contro un bastone di legno, infastidita. Il bastone doveva essere la sua arma; sulla cima aveva dei rami a cui erano attaccate delle foglioline verde pallido che facevano pensare che quel pezzo di legno fosse ancora vivo; ai rami erano appesi vari ninnoli, di cui uno era un amuleto, data l'aura che irradiava.
- Non mi trovi degna della tua attenzione, Tigre? - domandò la sfidante.
Per un attimo, Jao si chiese come quella sconosciuta facesse a sapere il nome del suo Clan, poi gli venne in mente che forse l'arbitro li aveva annunciati entrambi e lui non vi aveva prestato attenzione.
- Il mio Clan è troppo inferiore al tuo per concedermi perfino il rispetto che si dà a un avversario? - continuò lei, ma senza suonare troppo astiosa.
- ...No, affatto. Guarda, è solo che oggi è una brutta giornata e sono un po' sovrappensiero. Scusa. - rispose tranquillo Jao, passandosi una mano fra i capelli semisciolti.
La ragazza abbassò il bastone. - Oh. -
Jao le rivolse un sorriso di scuse, poi estrasse la spada dal fodero. - Ehm... Non credo di aver afferrato il tuo nome. -
La ragazza si ravviò i capelli e poi gli rivolse un sorriso imbarazzato. Forse trovava strano il suo nuovo avversario dal nome nobile, l'aria trasandata e lo sguardo vitreo. - Lara. Del Clan dell'Allodola. -
- Ah... -
Seguì qualche istante di silenzio.
- Ma quindi... L'incontro è iniziato? -
Lara annuì. - In teoria, sì. -
- Bene. -
La ragazza non disse più niente, e indietreggiò di qualche passo, il bastone puntato verso Jao. Nonostante tutto, sembrava voler prendere quell'incontro seriamente. Jao invece non aveva voglia di muovere un muscolo.
Lo Stregone esaminò l'aura della sua avversaria, che per lui era ben visibile. Era una cosa che gli veniva fin da quando era diventato Stregone a undici anni: con uno sforzo minimo riusciva a percepire l'energia vitale di chiunque, anche quelli che non erano Stregoni, e i più potenti emettevano addirittura una luce di un particolare colore, non si trattava più di una sensazione o una vibrazione dell'aria. Agli altri ci voleva una grande capacità di meditazione, a lui no.
La sua sfidante, Lara, emanava una forza davvero irrisoria, in confronto alla sua. Però aveva gli occhi che ardevano dalla voglia di colpire qualcosa e sfogarsi un po'. Era solo una ragazzina.
Lui, d'altra parte, non aveva voglia di combattere.
Forse poteva accontentare entrambi, senza dover scendere a misure estreme come farsi sconfiggere.
Così, la Tigre si allontanò ancora di più dall'avversaria con qualche passo circospetto. Fece roteare la spada davanti a sé con un colpo di polso, mentre Lara lo osservava attenta, e poi andò a rinfilare la spada nel fodero al suo fianco. Fatto questo, si sedette a terra indisturbato e si mise a gambe incrociate per mettersi comodo. Scacciò con una manata la polvere che si sollevò durante quel gesto.
Sollevò una mano in modo solenne e pronunciò: - Ekyarista. -, e sarebbe stata la sua prima e ultima formula.
Attorno a Jao si andò a formare un cerchio che lo racchiuse interamente, per poi innalzarsi e diventare una cupola di magia bianca e semitrasparente.
Sorrise, poi rivolse a Lara un gesto con la mano per dirle di avvicinarsi.
Stranita, la ragazza gli venne incontro, bastone sempre sollevato.
- Beh? - sbottò questa. Diede qualche colpetto alla parete magica con la punta del bastone, ma ciò non sortì alcun effetto. - Cosa mi significa 'sta cosa? -
Jao le donò uno dei suoi soliti sorrisi sornioni, poi puntò lo scudo con l'indice. - Se riesci a distruggerlo, - le disse, - io dichiaro la resa. -
- Cosa?! -
Le persone ai bordi dell'arena dovevano aver sentito il breve scambio di parole, perché in pochi secondi in tutta l'arena si diffuse un brusio di proporzioni mai udite.
Lara sembrava insoddisfatta. - Che fai, mi prendi in giro? -
Jao si strinse nelle spalle. - Non è una presa in giro. E' che sono un po' stanco e non me la sento di combattere. Allo stesso tempo, non voglio perdere. Però se riesci a buttar giù il mio scudo, è giusto che tu abbia la vittoria. -
Lara rimase in silenzio per qualche istante, con la fronte aggrottata e il labbro inferiore sporgente, a pensare chissà cosa. Poi disse: - Va bene. Ma cazzo, se riesco sul serio a buttare giù il tuo maledetto scudo tu devi arrenderti e basta! -
Jao ridacchiò. Trovava quella ragazza particolarmente sgraziata, in quanto a modi di fare. Annuì, con il sorriso ancora sulla bocca. - Hai la mia parola di Tigre. -
Detto questo, Lara fece un passo indietro e puntò il bastone contro lo scudo. - Sta bene. Mi divertirò un mondo a incenerirti, ah! Fir! -
Dalla punta del bastone scaturì una luce bianca, che poi si trasformò in una lingua di fuoco che avvolse completamente la cupola. Jao guardava lo spettacolo dal suo interno, affascinato. Era circondato dalle fiamme ma non ne avvertiva nemmeno il calore. I rivoli viola, gialli e arancioni non erano minacciosi e sembravano inscrivere dei disegni pieni di ghirigori che duravano solo alcuni attimi.
Quando la sfiammata finì, sentì Lara gridare di nuovo. - Gallad! -
Alla formula seguì una raffica di schegge lunghe quanto un avambraccio ma sottili come un ago, che si andarono a schiantare all'unisono contro la parte di scudo che gli proteggeva il viso. Il ghiaccio esploso si incrostò sulla parete.
Lara probabilmente conosceva pochi incantesimi, dato che non aveva altro da sfoderare che le formule di base, quelle costituite da una sola parola. Forse conosceva formule di due o tre parole, ma non erano gran cosa. La ragazza le faceva quasi tenerezza. Di sicuro poteva essere una bella persona, ma oggettivamente si presentava una Stregona poco abile che aveva avuto fortuna quando aveva superato il primo turno.
Farìm! -
A quella parola dei rivoli di elettricità partirono dal terreno e strisciarono come serpentelli lungo tutta la superficie della cupola, veloci e leggeri.
Era incredibile come la potenza di uno Stregone influisse così tanto anche sugli incantesimi più semplici. Guardando le scariche elettriche, gli tornò in mente l'incontro tra Lenn e Neruo. Il suo amico aveva usato la stessa formula, una sola parola:fulmine, farìm. Eppure si ricordava che quella semplice parola aveva sortito tutt'altro effetto; ricordava il fulmine a ciel sereno che aveva unito terra e cielo proprio nel punto in cui erano stesi lui e l'Elfo, a combattere. Ricordava quella luce nera che aveva accecato tutti per vari istanti.
Le scosse di Lara a confronto facevano il solletico.
La Tigre rivolse lo sguardo di nuovo verso gli spalti, fino a che trovò Annah, vestita di bianco come al solito e quindi individuabile a colpo d'occhio. Teneva le gambe accavallate e le braccia incrociate, ed era sola. Di Lenn non c'era traccia.
Mannaggia a quel disgraziato, mi fa stare solo in pensiero...
Un tonfo improvviso fece sobbalzare la Tigre.
Lara era a pochi passi da lui, infastidita, e stringeva con entrambe le mani il suo bastone, ora avvolto da un'eterea luce bianca.
- Esci da lì, così non è divertente! - protestò la ragazza.
Jao scosse la testa. - No. Non mi muovo finché non sfondi la barriera o ti arrendi, Occhidolci. -
Lara grugnì, poi riprese: - Come mi hai chiamata? -
- Occhidolci. Hai dei bei occhi. Allora, ti arrendi? -
- Per gli Dèi, no! Devo ancora impegnarmi come si deve! E Occhidolci ci chiami tua sorella! -
La Stregona cominciò a prendere a bastonate la barriera. La magia elementare bianca si distaccava dal ramo ad ogni colpo e si diffondeva lungo la superficie della barriera magica, ma si dissolveva senza essere riuscita nemmeno a scalfirla.
- Tiè! Prenditi questo! E quest'altro! -
Jao ridacchiò di nuovo. Era divertito dal suo modo di fare. Non erano risa derisorie.
Lara continuava imperterrita a buttar giù colpi su colpi.
Man mano che andava avanti con gli attacchi, il rumore provocato dallo scettro e la barriera che cozzavano fra di loro diventava sempre più monotono, quasi un battere di tamburo.
Jao rimase a fissare un punto indefinito che veniva colpito di tanto in tanto, e sprofondò di nuovo nei suoi pensieri.
Se fossi un mezzelfo turbato da qualcosa, dove andrei a cacciarmi?
Un lampo di luce lo accecò, tuttavia non se ne preoccupò più dopo aver sbattuto un paio di volte le palpebre ed essersi riabituato alla luce. Non aveva idea di cosa gli stesse succedendo attorno e non gli importava.
Probabilmente punterei sull'ultimo posto in cui si aspetterebbero di vedermi, uno che non frequento mai. Ma quale?
Ci fu un boato, poi la barriera fu colpita da qualcosa di grosso. Jao lo capì senza guardare davvero di che si trattasse perché percepì l'energia lasciare il proprio corpo, mentre andava a rafforzare la barriera.
Sollevò lo sguardo e vide Lara con il bastone sempre puntato su di lui. Era crucciata e aveva la fronte imperlata di sudore. La ragazza aprì la bocca e pronunciò una nuova formula: - Vyerdestar dum Haraizen, Fir! -
A quel punto il talismano a forma di gemma appeso all'estremità del suo bastone s'illuminò, e da esso scaturì la sagoma di un uccello dalla forma indefinita, grande quanto un cane e fatto di fiamme. Il volatile magico portò in avanti le zampe artigliate e andò ad attaccare lo scudo di Jao, afferrandone la superficie quasi come fosse stato un tessuto. Poi tirò e tirò, la superficie magica della barriera fu percorsa da vari sfrigolii e alcuni punti mandarono scintille, ma il tessuto magico non si strappava.
Dopo vani tentativi, l'uccello si arrese e lasciò la presa sullo scudo, poi diede una sfiammata e si spense a mezz'aria.
Si sentì un suono di vetri rotti, e Jao vide che l'amuleto a forma di cristallo rosso si era frantumato e i pezzi si erano sparpagliati sul terreno.
Lara si lasciò cadere sulle ginocchia, sollevando un polverone. Adagiò il bastone per terra, creando una sinfonia di tintinnii. Aveva un po' di fiatone, ma più che stanca dava l'impressione di essere scocciata.
- Uff, è inutile... Non ne vale la pena. -
A quelle parole, Jao drizzò la schiena e poi si alzò finalmente in piedi, squadrando la ragazza dall'alto in basso.
- Allora ti arrendi? -
Lara gli lanciò un'occhiata rancorosa, ma poi il suo viso si distese e parve di nuovo tranquilla. Annuì.
- Sei troppo forte per me, ma è già un miracolo che sono riuscita a passare il primo turno. Mi arrendo. -
Quelle erano le parole che Jao voleva sentire, le uniche che lo avrebbero potuto liberare. Nel giro di un istante la cupola cominciò a sparire dalla cima fino ad arrivare alla base, e la Tigre fu libera di avanzare fino a fronteggiare la sua avversaria.
Le si inginocchiò davanti e le sorrise. - Scusami per questo incontro un po' particolare. - disse, - Ma volevo darti una possibilità di vincere. Non avresti retto uno scontro diretto e non volevo farti male... E poi avevo bisogno di un po' di tempo per pensare. -
Lara si scostò con un gesto della mano i capelli, liberando il viso sudaticcio e impolverato. I suoi occhi azzurri erano luminosi e sembravano risplendere di luce diffusa, tanto da far sembrare le pupille tinte di blu scuro.
La ragazza si strinse nelle spalle e accennò un sorriso cortese. - Non importa. Tanto non è che pensavo di arrivare fino in fondo alla gara. Ed è meglio perdere con uno gentile come te che con qualcun altro. -
Jao si alzò di nuovo in piedi, spolverandosi i pantaloni.
- Non direi proprio gentile, ti ho fatto faticare per niente. - rispose la Tigre, porgendo le mani alla ragazza.
Lara accolse il suo aiuto e Jao la tirò su. La ragazza si spolverò i pantaloni. - Non importa. - rispose, - Non sono una grande Stregona ma non sono nemmeno una femminuccia. Io lavoro i campi, sgobbo. -
A quel punto la voce dell'arbitro trillò e interruppe la loro conversazione, annunciando che Jao era il vincitore e sarebbe passato al terzo turno. Jao fece caso per la prima volta al pubblico e sentì che molti, nel brusio, mandavano fischi di protesta per lo spettacolo davvero poco entusiasmante che avevano messo su.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli e scorse Annah mentre scendeva le scale degli spalti per raggiungere il campo sterrato in cui si trovava. Camminava veloce, forse presa dalla stessa urgenza che Jao sentiva.
La Tigre si passò di nuovo una mano fra i capelli, tormentandoseli, e tornò a rivolgersi a Lara. - Scusa ancora per il disagio. C'è qualcosa che posso fare per te? -
Aveva fretta, ma non voleva apparire più maleducato di quanto aveva dato già a vedere.
L'Allodola si aggiustò i capelli di riflesso, pensosa. - Uhm... A cosa pensavi di così importante sotto quella cupola? -
- Un mio amico è scomparso. Cioè, non è scomparso, ma l'ultima volta che l'ho visto era molto turbato e ha mancato di venire a quest'incontro. Devo andarlo a cercare. -
A quel punto Annah li raggiunse, ancora col fiatone. - Che fai ancora qui, andiamo. Se proprio lo vuoi cercare, approfittiamo degli ultimi attimi di luce. Dopo il tramonto sarà più difficile trovarlo. -
Jao annuì. - Hai ragione. Dove sono Harù e gli altri? -
- Ho detto loro di andare al Distretto Sud a cercare, se avevano voglia. Rizo ovviamente s'è rifiutato. -
- Immaginavo. -
- Scusate... - esordì Lara, schiarendosi la gola.
Jao e Annah si voltarono a la degnarono di nuovo di attenzione. Annah la squadrò col solito occhio clinico che riservava agli sconosciuti.
- ...Questo vostro amico, che aspetto ha? -
- Che t'importa? - rispose Annah.
Jao le rifilò una leggera gomitata. - Annah, ti prego! -, poi si rivolse alla bruna: - Come mai lo vuoi sapere? -
Lara scrollò le spalle. - Potrei aiutarvi a cercarlo, se è così importante. Io tanto non ho niente da fare. -
- Non sai nemmeno com'è fatto, come potresti... -
- Annah! - sbottò Jao. - Possiamo descriverglielo. Quanto vuoi che sia difficile riconoscerlo con la faccia che si ritrova? -
Poi la Tigre si rivolse alla Stregona. - Ogni aiuto è ben accetto. Sei sicura di voler aiutarci? -
A quel punto il viso della ragazza sembrò illuminarsi. - Certo! Sempre meglio che tornarmene a casa da quell'antipatico del mio coinquilino. -
- Ah, bene. -
Annah le rivolse un'ulteriore occhiata, diffidente. - Bah. Andiamo. -
Detto questo, la bionda si voltò e si diresse decisa verso gli spogliatoi.
Jao rivolse un sorriso imbarazzato alla mora. - Scusala. Fa' così solo con le persone che non conosce. -
Lara si strinse nella spalle. - Non fa niente. -
- Bene. - rispose la Tigre, per poi tirare verso di sé la ragazza e iniziare a camminare verso gli spogliatoi. - Vieni con me. Ti descrivo il mio amico mentre usciamo. -
Lara annuì di nuovo, mentre si passava la manica della camicia sul viso e si puliva dalla sporcizia.
Jao si sentiva a disagio, assieme a quella ragazza appena conosciuta, ma non se l'era nemmeno sentita di apparire ancora più scortese di quanto lo fosse già stato, declinando la sua proposta. Sentiva quasi di doverglielo, dopo averla stracciata nell'incontro. Però era anche vero che in quei minuti era riuscito a prendersi un momento per pensare e contemporaneamente fare qualcosa che, con un avversario più forte, non gli sarebbe stato possibile fare: vincere.
In più, ora aveva in mente un paio di posti da andare a visitare, per trovare il suo amico.


Il sole doveva essere ormai tramontato da tempo, ma Lenn non avrebbe saputo stabilire da quanto con precisione. Aveva completamente perso la cognizione del tempo. Potevano essere passati pochi minuti da quando s'era stabilito lì, come anche molte ore. , perché il nome di quel posto non gli piaceva affatto.  si sentiva completamente snaturato.
- Desideri qualcos'altro da bere? - gli chiese una voce femminile.
Lenn si passò una mano fra i capelli. - Sì. - disse, - Sì. Un'altra birra, grazie. -
La donna che aveva parlato, al suo fianco, ridacchiò. - Che carino che sei. Qui nessuno dice mai “perfavore” e “grazie”. -
Detto questo, lei si alzò in piedi e si diresse fino a un tavolino di legno intagliato poco distante, su cui erano poggiate varie caraffe e alcuni bicchieri.
Lenn si mise più comodo sul cuscino gigante su cui era semidisteso. Da quando l'avevano fatto sedere lì, non aveva mai smesso di passare nervosamente le dita avanti e indietro lungo la superficie di seta liscia che lo circondava. Gli occhi invece continuavano a fissarsi su di un angolo vuoto della stanza, vicino alla porta che aveva varcato poco prima. L'aria era pregna dei fumi dell'incenso, e di sicuro quell'odore si stava attaccando a qualsiasi oggetto nella stanza, anche su di lui, marchiandolo e dando prova che lui era stato .
La ragazza tornò ad inginocchiarsi per terra, vicino a lui, e gli porse il bicchiere pieno di birra. Niente schiuma, così non sarebbe finita subito.
Lenn prese il bicchiere. - Grazie. - disse suo malgrado.
La ragazza ridacchiò di nuovo. Era bella, dagli occhi cerchiati pesantemente di nero dal trucco e le labbra pitturate di rosso; la pelle era scura, da mulatta; i capelli erano rasati, tranne per un punto dietro la nuca, da cui partivano i suoi lunghi capelli neri e lisci raccolti in una coda di cavallo adornata di ninnoli luccicanti e di poco valore. A parte il reggiseno e il perizoma rossi di velluto, non aveva niente addosso, se non si contavano le collane, gli orecchini, i bracciali e le cavigliere. Ad ogni movimento traspirava odore d'incenso e produceva un piacevole tintinnio.
- Come hai detto che ti chiami? - domandò la ragazza.
- Non l'ho detto. - rispose Lenn, e diede una sorsata alla sua birra.
La ragazza si portò le mani alla bocca per nascondere l'ennesimo sorriso. Evidentemente trovava il mezzelfo divertente.
- Allora me lo dici adesso? -
Lenn le accennò un sorriso poco convinto. - Leandro. -
- Leandro? Ma è un nome bellissimo! -
Questa volta fu il turno di Lenn per sorridere divertito. Si spostò per poggiare il bicchiere di birra a terra. - Bellissimo. A quanti l'hai già detta 'sta cosa? -
Lei sorrise. - Un po' a tutti. Ma agli uomini piace sentirsi adulati. E a me piace adulare gli uomini, se pagano. -
Detto questo, la ragazza fece un gesto con la mano. Lenn sentì un fruscio provenire da dietro di lui, si voltò istintivamente per vedere di cosa si trattasse. C'era un'altra ragazza nella stanza. Era vestita tale e quale a quella che stava accanto a lui, solo che il tessuto delle vesti era turchese. La pelle era bianco latte e i capelli rasati circondavano una lunga treccia, non una coda di cavallo.
- Lei è stata sempre qui? - domandò Lenn.
- Sì. - rispose la ragazza in rosso.
- Non l'avevo notata. -
Quando si voltò di nuovo verso la sua vicina, lei scrollò le spalle. - E' normale. Demetra non viene mai notata. -
- Ah, si chiama Demetra? -
- Sì. E' la massaggiatrice. E' muta. -
- Oh. -
Demetra si inginocchiò sul cuscino di Lenn, sempre rimanendo alle sue spalle. Il mezzelfo percepì le sue mani poggiarsi sulle sue spalle, delicate ma dalla presa salda. Si sentiva più ghermito che rilassato, comunque.
- Ti vedo un po' teso. Demetra fa al caso tuo. -
Detto questo, la ragazza con la coda di cavallo schioccò le dita. La ragazza con la treccia scivolò di fianco a Lenn e puntò direttamente ai bottoni della sua camicia, che cominciò ad aprire con tranquillità e sicurezza.
Lenn cercava di non pensare al contatto di quelle mani che lo infastidiva e basta.
- E tu... E tu come ti chiami? - domandò alla ragazza in rosso, per distrarsi.
- Io sono Riika. Piacere. -
- Piacere... -
Senza aggiungere altro, Riika gli si mise cavalcioni e gli poggiò le mani sul petto, mentre pian piano veniva spogliato da Demetra. I suoi polpastrelli passavano sul vistoso tatuaggio che aveva sul petto man mano che lo scopriva, ripassando sui ghirigori della scrittura elfica e i bordi dei cerchi in cui erano inscritti. Quando Demetra ebbe finito, Riika gli aprì bene la camicia e gli osservò il petto, gli addominali, fino al bordo dei pantaloni, che lo coprivano appena sotto l'ombelico.
- Dimmi Leandro... A che Clan appartieni? -
Lenn scrollò le spalle. - Uno qualsiasi. -
La ragazza a quel punto tirò in fuori il labbro inferiore in un delizioso broncio. - Ma come posso continuare ad adularti se non mi dici il tuo Clan? -
- Non le voglio, le adulazioni. Se vuoi mi riprendo una Stage per sollevarti dall'incarico di farmele. -
Riika ridacchiò di nuovo. - Non ce ne sarà bisogno. -
La ragazza si distrasse subito e non chiese altro sul Clan di appartenenza di Lenn, e gliene fu silenziosamente grato.
Intanto Demetra, tornata alle sue spalle, cominciò a sfilargli la camicia da dietro. Lenn si divincolò d'istinto e si riportò la camicia contro la pelle. - Questa la vorrei tenere addosso. -
Cercò di suonare gentile, ma non poté non fulminare con lo sguardo la ragazza con la treccia. Questa rivolse uno sguardo confuso verso Riika.
- E' tutto a posto, Demetra. - la rassicurò. - Il nostro cliente non vuole farci sapere qual è il suo Clan. La camicia tienigliela, abbassala soltanto. -
Lenn tirò un sospiro di sollievo e si rilassò. La ragazza alle sue spalle gli levò la camicia dalle spalle, abbassandogliela fin sotto il marchio su cui era scritto il suo nome Spirituale, che di sicuro non era capace di decifrare. Da lì forse si poteva scorgere comunque qualche cicatrice, ma niente di che, e quindi la lasciò fare. La schiena indolenzita gli inviò dei segni di riconoscenza quando la ragazza cominciò a massaggiarlo coi palmi delle mani, sentendo i muscoli rigidi rilassarsi quasi subito. Cominciava a pensare di aver investito bene i suoi soldi.
- Bello, vero? - domandò Riika.
Lenn annuì, compiaciuto.
La ragazza in rosso riprese ad accarezzargli il petto e la pancia. Lenn la vedeva mentre passava le dita sulle cicatrici che aveva sui fianchi e sul bacino, seguendone i percorsi bianchi e lucidi. La pelle in quei punti era più vulnerabile o quasi deltutto insensibile, a seconda del tipo di ferita, e Lenn aveva così l'impressione che le sue dita scomparissero e ricomparissero in continuazione e da una parte all'altra del suo corpo, in modo imprevedibile. Se chiudeva gli occhi riceveva sensazioni sempre diverse.
- Dì un po'... Come te le sei fatte tutte queste cicatrici? - domandò Riika.
Lenn riaprì gli occhi per guardarla. - Combattimenti. Sono uno Stregone. -
Riika annuì e cominciò a tirare giù i lembi dei suoi pantaloni, lentamente, fino a scoprirgli l'inguine. La ragazza lo osservò a lungo.
- Anche qui hai cicatrici. Gli Stregoni si colpiscono così in basso? -
Lenn, come risposta, si strinse nelle spalle. Di quei segni non avrebbe mai parlato.
Capì però che l'interrogatorio era giunto al termine, perché sul giovane viso di Riika si disegnò un nuovo sorriso, di tipo malizioso.
- Che ne dici se adesso facciamo amicizia, io e il tuo amichetto? -
Lenn si strinse di nuovo nelle spalle. Non si sentiva particolarmente compiaciuto da quella domanda, il che gli sembrava strano. Continuava a chiedersi che gusto ci fosse nell'andare ai bordelli, pagare per fare sesso con una sconosciuta e andarsene. Stava cercando di immedesimarsi nell'atmosfera, ma non riusciva a trovare niente di particolarmente eccitante in quella situazione. Né riusciva a trovare conforto. Quindi la domanda di Riika non lo smosse dalla sua indifferenza.
- Fa' come vuoi. Ti ho dato carta bianca. - le rispose.
Riika annuì e gli si tolse di dosso. Si andò invece a distendere al suo fianco. Poggiò la testa sulla sua spalla, con una confidenza che infastidì non poco il mezzelfo, e poi fece scorrere la mano sinistra lungo tutto il torso malandato, per finire dentro i pantaloni e infine il perizoma. Il disagio di Lenn non fece altro che aumentare.
Riika invece era tranquilla e rilassata, e tentò di sciogliergli i nervi a fior di pelle sporgendosi in avanti per baciarlo sul collo, mordicchiandogli il lobo dell'orecchio. Andò avanti così per un po', finché lei non prese più confidenza.
- E' la prima volta che vieni qui? - gli domandò tutt'a un tratto la ragazza.
Lenn, che si era di nuovo imbambolato a fissare l'angolo della camera vicino alla porta d'ingresso, si riscosse e annuì.
- Si vede. Come mai questa visita improvvisa? -
Lenn sospirò, ma non rispose.
Il viso di Annah era tornato a presentarglisi davanti agli occhi, rinnovando il dolore. Non ce la faceva più a pensare a lei e sapere di non poterla mai avere. Non riusciva più a guardarla intrecciare le dita nei capelli di Jao, vederla abbracciarlo, vederla sorridergli. Non sopportava più il profumo di lavanda che lei si portava dietro ad ogni passo, riempiendo casa loro della sua essenza. Ogni volta che la vedeva non desiderava altro che essere accettato e poterle mostrare apertamente i suoi sentimenti, ma non poteva. E il pensiero che quei sentimenti non corrisposti non sarebbero mai svaniti, non avrebbero mai fatto spazio all'amore per un'altra ragazza, lo tormentava di continuo. Trovava conferma di ciò mentre osservava il corpo scuro e ricoperto d'olio di Riika e non provava niente, mentre lei provava a baciarlo in bocca e lui si ritraeva, mentre la ragazza cercava di procurargli piacere, ma non otteneva buoni risultati.
Nemmeno in quella situazione riusciva di togliersi dalla testa la Mangiasogni. Lui voleva soltanto lei. Le altre non contavano.
- Oh, conosco quello sguardo. - continuò la ragazza in rosso, con una risata che sembrò un gorgheggio.
Riika gli poggiò la mano libera sulla guancia, in una leggera carezza. Quello fu il primo contatto fisico della serata che non gli diede fastidio.
- I tuoi sono gli occhi di un uomo innamorato. Un uomo innamorato e triste. -
Lenn non riuscì a dire niente a sua difesa. Dalle labbra gli uscì solo un gemito addolorato.
- Qual è il problema, piccolo? Ti ha tradito? -
Lenn scosse la testa, sospirando ancora. Aveva un macigno sul petto, e aveva bisogno di dividere il peso con qualcuno, finalmente. Che fosse con una puttana non gli importava affatto.
- No, lei è... Eh, è la fidanzata del mio migliore amico. -
Ogni parola era un pezzo di pietra.
Riika gli rivolse un sorriso dolce e comprensivo. - E' bella? -
- E' bellissima. - le rispose il mezzelfo, convinto. - E' la donna più bella che abbia mai visto in vita mia. Senza offesa, eh... -
La ragazza con la coda di cavallo ridacchiò. - Non ti preoccupare. Ogni donna è bella per il suo innamorato. Ma come mai non potete mettervi assieme? Non può rompere il fidanzamento? -
Lenn scosse la testa. - No, finirebbe diseredata. Ma non è quello il problema. Il problema è che non le piaccio. -
- Alle donne piacciono gli uomini coi soldi. -
- Eh, ma io sono un poveraccio, mentre lei è ricca. -
Riika rimase un attimo in silenzio.
E sono anche un cazzo di mezzelfo, chi mi vorrebbe tra i piedi? Un mezzelfo povero e senza Clan. Che merda.
- Non ho uno straccio di possibilità. -
Riika a quel punto scosse la testa e fece scivolare la sua mano sinistra fuori dal perizoma del mezzelfo, sospirando.
- E' tutto inutile. - disse la ragazza, e gli puntò l'indice contro il petto. - Se hai una ragazza qui... -, poi spostò il dito sulla sua fronte - ...E qui... - aggiunse, con voce tenera, - ...non riuscirò mai a fare molto, per te. Infatti, il tuo amichetto mi sembra abbastanza inerte. -
Lenn tentò di sorridere, suo malgrado. - E' morto. -
Riika annuì. - Molto morto. -
La ragazza gli si sedette di nuovo a cavalcioni, fronteggiandolo. - Senti! Se non le piaci, è perché non hai provato a conquistarla con abbastanza insistenza. -
- Ma io non voglio esserle molesto. -
- Essere romanticamente insistente ed essere molesto sono due cose diverse. Credici, se te lo dice una donna. -
Lenn sospirò. “Perfetto, ora prendo consigli da una puttana.
- E cosa dovrei fare? - le domandò, rassegnato.
Riika guardò all'insù, pensierosa. - Beh... Potresti farle tanti piccoli favori, per farle piacere... O regalarle dei fiori! Hai provato? -
Lenn le rivolse un sorriso amaro. - Già fatto. Le ho regalato una rosa, e penso che se ne sia sbarazzata quasi subito, perché non l'ho più vista in giro. -
La ragazza storse la bocca, in disappunto. - Bah, una ragazza a cui non piacciono i fiori, che strano... Hai provato col cibo? -
- Cibo? -
- Sì, quelle cose afrodisiache, per esempio... -
La voce della prostituta fu coperta da un forte cigolio. Lei si interruppe, e anche Demetra dietro di Lenn interruppe il massaggio. Qualcuno aveva aperto la porta della stanza ed era entrato, ma il mezzelfo non lo vedeva perché Riika gli copriva la vista.
La ragazza con la coda di cavallo si voltò con espressione truce e gridò: - Fuori di qui, è vietato entrare nei cubicoli mentre la porta è chiusa! -
- Scusami, davvero. - rispose la voce della persona sulla soglia. - Recupero quel disgraziato del mio amico e me ne vado. -
Lenn si rimise a sedere e scostò Riika, togliendosela da sopra le gambe. - Che cazzo ci fai qui, Jao? -
La Tigre, ancora sull'uscio, gli scoccò un'occhiata severa. Aveva le borse sotto gli occhi e i capelli quasi completamente sciolti. - Cosa ci fai tu qui? -
Il mezzelfo si alzò in piedi e si risistemò sulle spalle la camicia, percorrendo la distanza che li divideva con delle decise falcate. - Secondo te?! -
Jao se lo vide arrivare di fronte come un animale imbufalito, ma nonostante la sua statura inferiore e il fisico gracile gli restituì uno sguardo fermo e deciso che da solo riuscì a placare parzialmente il moto d'ira del mezzelfo. Lenn gli si piazzò davanti al naso, con le spalle larghe, nel tentativo di intimidirlo.
- Ehi, ehi! Niente botte! Se cominciate a picchiarvi, chiamo la matrona! - disse perentoria Riika, alle spalle del mezzelfo.
- Niente botte. - ripeté Lenn per rassicurarla. - Voglio solo capire da dove cazzo spunti. - aggiunse poi, rivolgendosi a Jao.
- Non usare quel tono con me, dovrei essere io quello incazzato! - rispose la Tigre. - E' tutta la notte che giro come un cretino per Malias, a cercarti! -
- Perché cercarmi? - ringhiò Lenn. - Con te è sempre la stessa storia, non posso avere mai un momento per starmene in pace. Appena mi allontano ti ritrovo sempre alle calcagna. -
- Alle calcagna? - fece Jao, accigliato. - Tu puoi andare dove ti pare, amico mio. Ma non puoi sparire nel nulla così, senza dire niente! -
- Io non devo rendere conto a te di quello che faccio. -
A quel punto gli occhi di Jao si ridussero a due fessure, inchiodando il mezzelfo, assieme all'avambraccio che gli portò al collo. Lenn sentì la gola chiudersi e indietreggiò per liberarsi dal fastidio, ma Jao ne approfittò per spingerlo contro la parete alla sua sinistra, e lo fece con una forza inaspettata.
Lenn si ritrovò con le spalle al muro. Soffiò come un gatto, ma non reagì.
- Ho detto non vi picchiate! - strillò Riika.
- Sta tranquilla, non lo picchio! - le rispose Jao, non degnandola di uno sguardo. Aveva occhi solo per Lenn, e il mezzelfo non se ne sentì lusingato.
- Te lo dico per l'ultima volta, e vedi di fartelo entrare bene in testa. - gli disse la Tigre, - Tu non sei più solo. Vivi con delle persone, hai una casa a cui tornare. Le persone con cui vivi, se non ti vedono tornare a casa, si preoccupano! E gli viene la paura che ti sia successo qualcosa! Quindi poi quelle persone stanno fuori per strada tutta la notte a cercarti. Perché, anche se ti può sembrare strano che la gente si possa affezionare a un testone come te, è successo! -
A quelle parole, Lenn sentì che la spinta sul suo collo si allentava, tuttavia non si mosse. Stava troppo male per fare alcun che. Ogni suo tentativo di trovare pace falliva.
- Quelle persone a cui piaci saremmo noi, i poveracci con cui vivi. Siccome alla fine ti vogliamo bene, ti rispettiamo, e se ogni tanto hai voglia di andartene al bordello del Distretto, com'è giusto che sia, a noi va benissimo. Ma cazzo, se tu hai un minimo di rispetto per noi, prima ci avvisi, e poi sparisci! -
Lenn rimase in silenzio. Lanciò un'occhiata truce al suo amico, mentre mollava completamente la presa su di lui e si portava la mani ai fianchi.
- Allora? Non parli più? -
- Cosa vuoi che ti dica? -
- Tanto per cominciare, mi piacerebbe sapere perché sei scappato. Insomma, a me sembrava non stesse succedendo nulla di che. -
- Beh, ti sbagli. - gli rispose Lenn, con il furore che montava di nuovo nel petto.
- E allora? Cosa è successo? Perché, davvero, io lo voglio capire. -
Lenn notò che la voce di Jao s'era ammorbidita.
In quel momento, per il mezzelfo sarebbe stato troppo bello potersi arrendere e vuotare il sacco, come aveva fatto con la prostituta poco prima. Aveva provato un sollievo così forte nell'ammettere ad alta voce ciò che provava, che trovava irresistibile l'idea di poterlo fare di nuovo con Jao. Però la prima volta aveva parlato con una sconosciuta, una che Annah non l'aveva mai nemmeno vista. Jao invece la conosceva eccome, e di conseguenza poteva giudicarlo. La vergogna di dover ammettere al fidanzato di lei di essersi innamorato quasi senza motivo, completamente e follemente, di essere caduto nella trappola psicologica che lo avrebbe legato ad Annah soltanto, come fosse stato uno stupido Elfo, era doloroso e vergognoso. Si sarebbe sentito vulnerabile nei confronti dell'amico, che chissà cosa avrebbe pensato di lui. Conoscendolo, forse avrebbe insistito nel riferire tutto alla diretta interessata, o per gioco o per pura trasparenza di rapporti. A quel punto sarebbe davvero morto dalla vergogna. Annah non lo avrebbe mai accettato. Sapeva che lei non lo amava, e si sarebbe risolto tutto in un doloroso e freddo rigetto.
Stava provando a togliersela dalla testa, come aveva fatto quella notte stessa, ma non c'era riuscito. E Jao non sembrava voler capire; anzi, continuava a girare il coltello nella piaga.
Lenn s'incupiva di più ad ogni secondo che passava, e Jao notò la ricaduta. Le rughe sulla sua fronte si rilassarono e tornò ad assumere la sua solita espressione, quella dell'amico pronto ad ascoltare.
- Se hai un problema, puoi parlarmene. Sono sicuro che troveremmo una soluzione. -
Lenn scosse la testa, un po' per contraddire Jao, un po' per scacciare dalla testa il pensiero di Annah. - No. -
Jao lo fissò per qualche istante, accigliato. - “No” cosa? -
- Ho un problema, ho mille problemi. Ma a questo qui in particolare non c'è soluzione. -
- Non è vero. C'è sempre una soluzione. -
- No Jao, non c'è! - rispose a quel punto Lenn, coi nervi a fior di pelle. - Questa volta no. Devi capire che non sei in grado di risolvere sempre tutto, anche se ti piacerebbe. -
Jao parve davvero turbato da quell'affermazione. Ritornò ad aggrottare la fronte, deciso. - Ma almeno parliamone! Parlarne fa bene. Non puoi fare nemmeno quello? -
- No. -
- E perché no? -
- Perché fa male, Jao. Molto male. E a me non va di dirti tutto quello che mi passa per la testa. Questa è una questione che voglio risolvere da solo. -
- Oh beh, fin'ora hai fatto un ottimo lavoro. Sei scappato di casa e hai tenuto svegli tutti, poi ti sei rintanato in un bordello a ubriacarti. E' così che si risolvono i problemi! -
Lenn gli indirizzò un ringhio pieno di rabbia.
- Devi imparare a gestirti, Lenn. Non puoi andare avanti così. Dovremmo metterci seduti da una parte e metterci a capire bene cosa ti passa per la testa, perché mi sembri molto confuso! -
- Io so quello che faccio! - sibilò il mezzelfo, - Siete voi che non mi lasciate in pace a riflettere. E ora lasciami andare. -
Detto questo, il mezzelfo scivolò di lato e si levò dalla traiettoria dello sguardo di Jao. Si riabbottonò la camicia e si ravviò i capelli, ritti dal nervoso.
Jao non si mosse, rimase a guardarlo.
Lenn lo ignorò e si rivolse a Riika, in piedi dal lato opposto della stanza. - I soldi te li ho già dati. Tienili pure, non m'importa. -
La ragazza si mosse verso di lui con grande confidenza, come se non fosse accaduto niente, e andò ad aggiustare il colletto della camicia del mezzelfo. - Anche se siamo stati interrotti, è stato un piacere chiacchierare con te. Torna quando vuoi, ciccino, e ti riserverò un trattamento coi fiocchi, e gratuito. -
Detto questo, la ragazza si sollevò sulle punte dei piedi e diede un bacio sul naso di Lenn. Questo fece sbollire il mezzelfo, anche se il suo astio nei confronti della Tigre era ancora vivo.
- Addio. - le disse, e poi si voltò verso l'uscita.
Scoccò un'ultima occhiata a Jao, e disse: - Adesso esco. Sparirò per un po', te lo dico subito. Ho bisogno di svuotare la testa. E questa volta non ti scomodare a cercarmi, tornerò quando me la sentirò. -
Poi il mezzelfo si voltò, mentre si sentiva gli occhi tristi di Jao addosso. Li ignorò e uscì dalla stanza. Camminò lungo il corridoio, in mezzo alle pareti di pietra, attraverso le quali si riuscivano a sentire i gemiti delle persone che ne stavano aldilà. Dozzine di corpi ammassati tutti in quell'edificio, che scaldavano l'ambiente e rendevano l'aria viziata coi loro respiri affannosi. Non si sentiva altro. I bordelli, alla fin fine, non erano posto per lui.
Dato che si trovava al primo piano, raggiunse le scale alla fine del corridoio e raggiunse il piano terra, per poi percorrere un altro corridoio e tornare all'entrata principale. Uscì senza che nessuno gli dicesse niente.
Appena fuori fu investito da uno schiaffo di aria fresca e profumata. L'odore di sudore e incenso da cui era stato avvolto si dissolse e lasciò il posto a un dolce profumo di lavanda. Aveva imparato ad amare quell'essenza. Respirò a pieni polmoni e, voltandosi, notò che alla sua destra, sottovento, c'era Annah.
Il suo viso era avvolto dalla penombra dell'alba, ma la riconobbe subito. Accanto a lei però c'era una ragazza che non aveva mai visto, bassa e dai capelli scuri e lunghi.
La bionda teneva le spalle strette e le braccia conserte, infreddolita. Gli rivolse un sguardo interrogativo, schiudendo leggermente le labbra e inarcando le sopracciglia bionde.
Lei era l'unica persona che Lenn avrebbe voluto vedere e con cui avrebbe voluto parlare, ma c'era qualcun altro con lei, sentiva di non potersi fidare di quel momento. La osservò a lungo, anche se sapeva che non avrebbe dovuto farlo. Ogni volta che incrociava il suo sguardo sentiva i brividi salirgli lungo la spina dorsale.
Il Giglio gli si avvicinò di qualche passo. - Lenn... -
Ma il mezzelfo si scostò da lei e rivolse lo sguardo davanti a sé. - Assicurati che Jao non mi cerchi. Ho davvero un disperato bisogno di fare ordine tra i miei pensieri. -
- Perché? Lenn, senti, se io... -
- Ti prego, Annah. - la interruppe il mezzelfo, rivolgendole uno sguardo supplichevole. - Ho solo bisogno di stare un po' solo. Davvero. Tornerò più tardi. -
Non aspettò una risposta nemmeno da lei, e camminò a passo svelto verso le ombre delle case vicine. La notte moriva, senza avergli portato consiglio. Una volta allontanatosi abbastanza, si mise a correre.

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