Once Upon a Time in Storybrooke: Beauty and the Beast

di Beauty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Deal ***
Capitolo 2: *** First Day ***
Capitolo 3: *** Wrong Idea ***
Capitolo 4: *** In the Arms of the Enemy ***
Capitolo 5: *** Rumpelstiltskin ***
Capitolo 6: *** Merry Christmas! ***
Capitolo 7: *** A Christmas Carol for a Lonely Heart ***
Capitolo 8: *** Rain ***
Capitolo 9: *** The Meaning of a Flower ***
Capitolo 10: *** Only a True Love's Kiss ***
Capitolo 11: *** An Empty Heart and a Chipped Cup ***
Capitolo 12: *** Friendship ***
Capitolo 13: *** There's No Happy Ending ***
Capitolo 14: *** Revenge ***
Capitolo 15: *** Do the Brave Thing ***
Capitolo 16: *** Missing ***
Capitolo 17: *** The Moment of Truth ***
Capitolo 18: *** I'm With You ***
Capitolo 19: *** Here On This Night ***
Capitolo 20: *** Because I Love Him ***
Capitolo 21: *** 'Cause I Can't Believe This is How the Story Ends... ***
Capitolo 22: *** The Library ***



Capitolo 1
*** The Deal ***


 

The Deal

 

Belle French finì di sciacquare l’ultimo piatto, quindi chiuse l’acqua del rubinetto per poter sentire meglio. Non che ci fossero dei problemi, in tal senso, quando suo padre era ubriaco non si preoccupava certo di fare il minor rumore possibile per nasconderlo, ma quel giorno il silenzio era innaturale. Sapeva che Maurice era sbronzo, lo aveva sentito entrare in casa un’ora prima inciampando nei mobili e imprecando contro tutto ciò che si poneva sul suo cammino con una voce talmente impastata e strascicata da lasciare poco o niente al dubbio.

Era sempre stato così, da quanto si ricordava. Belle avrebbe potuto contare sulle dita della mano le volte in cui aveva visto suo padre sobrio, o perlomeno non troppo alticcio. Aveva sempre bevuto, ma da quando la moglie era morta le cose erano peggiorate. Belle aveva perso sua madre a sei anni, uccisa da un cancro dopo una vita schifosa insieme ad un uomo che l’aveva sempre umiliata e maltrattata. Spesso si chiedeva perché l’avesse sposato, se dopo il matrimonio non aveva fatto altro che prendere botte; ma quello che la lasciava più interdetta era il fatto che Maurice amasse veramente la moglie, nonostante si divertisse a riempirla di lividi, tanto da affogare ancora di più nell’alcool il dolore per averla persa.

Ma era inutile rimuginare su ciò che poteva o non poteva essere. Il problema restava: suo padre era perennemente attaccato alla bottiglia, e questo aveva conseguenze devastanti su tutto. Non soltanto sulla salute di Maurice o su quella della stessa Belle, quando non aveva il buon senso di tacere e stare alla larga da lui, ma anche sugli oggetti. In genere, quand’era ubriaco non perdeva occasione di sfasciare tutto ciò che gli capitava a tiro, non importava che fossero stoviglie, posacenere o mobili, lui distruggeva tutto quello che lo infastidiva, e il fracasso che ne conseguiva era a dir poco assordante.

Invece, quel giorno, tutto taceva. Maurice si era chiuso in camera sua da più di un’ora, e non ne era ancora uscito. Per un po’ si erano sentiti mugolii indistinti intervallati di tanto in tanto con qualche bestemmia o maledizione ad alta voce, ma da circa mezz’ora regnava il silenzio.

Belle era sempre più preoccupata; quella situazione non era normale, stava cominciando a chiedersi, con ansia crescente, se suo padre, la mente annebbiata dall’alcool, non avesse compiuto qualche stupidaggine senza che lei se ne accorgesse…

La ragazza si tolse il grembiule, facendosi coraggio, e uscì dalla cucina. Nei suoi diciotto anni di vita, aveva imparato che non era saggio avvicinarsi a Maurice quand’era ubriaco, ma quello strano silenzio la inquietava. Salì in fretta le scale che portavano al piano superiore, attraversando il corridoio non molto lungo, fino a ritrovarsi di fronte alla stanza di suo padre. Accostò il volto al legno, rimanendo in ascolto: niente.

Prese un bel respiro, e si decise a bussare.

- Papà?- chiamò.

Nessuna risposta.

- Papà, ti senti bene?- chiese, a voce più alta, ma anche stavolta non ottenne risposta.

Senza attendere oltre, Belle spalancò la porta, entrando a passo svelto, ma si bloccò quasi sulla soglia.

Suo padre stava bene. Maurice era seduto sul letto, la camicia macchiata sbottonata sul petto, madido di sudore. Teneva in mano una bottiglia di birra già mezza vuota, e lo sguardo era fisso contro la parete.

Ci volle qualche istante, prima che si accorgesse di Belle.

- Che cazzo vuoi?- biascicò senza guardarla, buttando giù un sorso di birra.

- Io…mi spiace, ho bussato, ma…- provò a giustificarsi la ragazza, ma l’uomo le rivolse uno sguardo furibondo con gli occhi arrossati.

- E ti ho dato forse il permesso di entrare, sgualdrina?- urlò.

Belle serrò le labbra e chiuse gli occhi, ignorando l’insulto. Era abituata a venire insultata da suo padre, ormai non ci faceva più neanche caso. Anzi, non ricordava neppure che Maurice l’avesse mai chiamata per nome…

- Io…volevo solo sapere se stavi bene…- mormorò, già pronta a girare i tacchi, ma suo padre non glielo permise. Maurice si alzò di scatto, andandole in contro con passo pesante ma deciso.

- Volevi sapere se sto bene?- abbaiò, arrivandole a due centimetri dal naso, tanto che Belle si ritrovò paralizzata dalla paura.- Volevi sapere se sto bene? No che non sto bene, brutta stupida che non sei altro! Non sto bene per niente, testa di cazzo! Come accidenti pretendi che io stia bene, quando devo un mucchio di soldi ad un maledetto bastardo che si approfitta delle mie disgrazie, me lo spieghi?

Belle deglutì; il suo istinto di sopravvivenza le urlava di non dire nulla e di uscire immediatamente da lì, ma le parole soldi e maledetto bastardo avevano insinuato in lei un presentimento a dir poco terrificante.

- Che…che cosa?- balbettò, andando contro ad ogni forma di buon senso.- A chi devi dei soldi?

- Ad uno stronzo a cui ho chiesto un prestito - biascicò Maurice, allontanandosi da lei e dandole le spalle.

- Un prestito?

All’improvviso, Belle capì: suo padre si era di nuovo cacciato nei guai. Non era la prima volta. Il suo smisurato amore per l’alcool lo aveva spesso spinto a compiere sciocchezze, ad indebitarsi fino al collo. Più di una volta si erano ritrovati senza luce o riscaldamento perché lui non era riuscito a pagare le bollette, spesso erano stati sfrattati per l’affitto in arretrato, ormai la ragazza aveva perso il conto di quante volte gente sconosciuta con cui Maurice si era indebitato aveva fatto irruzione in casa loro e li aveva minacciati. Erano sempre riusciti a cavarsela, in qualche modo, ma Belle sentiva di avere come un cappio legato intorno al collo che veniva stretto di più ogni giorno che passava.

Lei e suo padre non avevano nulla, più nulla da dare. L’unica cosa che rimaneva loro era il piccolo negozio di fiori in cui anche Belle, non appena aveva preso il diploma, aveva iniziato a lavorare. Anzi, a dire il vero, ormai era solo lei che portava avanti la baracca, perché suo padre era troppo impegnato a buttare via lo stipendio al bar con i suoi amici di sbornia. Spesso la ragazza aveva avuto la tentazione di andarsene, aveva progettato di scappare lontano da quella vita che non le aveva riservato nient’altro che delusioni e umiliazioni, ma non l’aveva mai fatto. In parte perché, nonostante tutto, voleva bene a suo padre, e non osava pensare a cosa sarebbe potuto succedergli, se l’avesse abbandonato; in parte, perché lasciare quella vita e il negozio di fiori sarebbe stato come un tradimento nei confronti di sua madre. Sua madre adorava i fiori, diceva sempre che ogni fiore ha il suo significato e che erano il dono più bello e più significativo che una persona potesse ricevere.

Il negozio di fiori era ciò che la faceva sentire più vicina a sua madre, ma anche la loro unica fonte di sostentamento. Se l’avessero perso, allora non avrebbero davvero più saputo come fare.

- Sì, un prestito, sei sorda, per caso?- mugugnò Maurice.

- E a chi?

- Ma non sei capace a farti gli affari tuoi?!- tuonò Maurice, guardandola con rabbia.

- Questi sono affari miei!- ribatté Belle, con forza, non sapendo nemmeno lei da dove avesse preso tutto quel coraggio. Mai prima si era ribellata così a suo padre.- Anche se tendi a dimenticartelo, faccio anch’io parte di questa famiglia, che ti piaccia o no! E se tu hai dei debiti, automaticamente anch’io sono nei guai insieme a te! Come pensi di risolvere la questione?

Prima che la ragazza potesse accorgersene, Maurice le volò addosso, afferrandola per il bavero della t-shirt e sbattendola contro il muro. Avvicinò il suo volto a quello della figlia, e Belle dovette trattenere un conato di vomito nel sentire il fiato pesante di suo padre investirla con una nauseabonda puzza di birra.

- Non lo so come risolverò la situazione, troia!- sibilò Maurice.- Non lo so, so solo che quel porco viene qui fra un’ora, e dovrò fare del mio meglio per tenerlo a bada, quindi non mi scocciare con le tue lagne, hai capito? E ora, fila via, finisci di pulire!

Senza attendere risposta, la spintonò malamente fuori dalla stanza, per poi chiudere sbattendo la porta alle sue spalle.

La ragazza ansimò, cercando di riprendere fiato ed insieme di ragionare. Aveva detto che quell’uomo a cui doveva dei soldi, chiunque fosse, sarebbe venuto lì in meno di un’ora. Suo padre era ubriaco fradicio, come poteva pensare di poter risolvere la questione?! Dannazione, sarebbero finiti in mezzo ad una strada, lo sentiva, avrebbero perso tutto quanto…Ma lei non poteva permetterlo. Doveva trovare un modo per sistemare tutto quanto, doveva…

Belle sentì il cuore balzarle fino alla gola, quando udì improvvisamente suonare il campanello.

E’ lui!

Si precipitò giù per le scale, correndo ad aprire. Il suo cervello aveva iniziato a lavorare a tutta velocità: che avrebbe fatto? Non poteva permettere che quell’uomo incontrasse suo padre in simili condizioni, sarebbe stato un disastro. Si sarebbe inventata qualcosa, avrebbe raccontato una bugia. Avrebbe detto che suo padre non si sentiva bene, che non era in casa, oppure che…

Aprì la porta. Belle non avrebbe saputo dire se sentirsi sollevata o disperata.

Sollevata perché chi aveva bussato di certo non poteva avere in alcun modo a che fare con suo padre e i suoi debiti; disperata perché ciò non voleva dire che non si trattasse di una piaga altrettanto temibile.

La persona che aveva bussato e che ora se ne stava di fronte a lei con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, appoggiato contro lo stipite della porta come se quella fosse casa sua, era un giovanotto sui venticinque anni, alto e muscoloso, con un mento molto pronunciato e i capelli castano scuro tagliati corti.

- Ehilà, Belle!- salutò, con fare spavaldo.

- Ciao, Gaston…- fece la ragazza, sforzandosi di sorridere.

Gaston era uno dei giocatori di football della squadra di Storybrooke, la cittadina in cui Belle viveva. La ragazza lo conosceva da una vita, ma non le era mai stato troppo simpatico. Gaston era uno di quei tipi, come avrebbe detto la sua amica Mary Margaret Blanchard, tutto muscoli e niente cervello.

- Come…come mai sei qui?- chiese, sperando che suo padre se ne restasse dov’era e non lo vedesse. Sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.

- Ero venuto per farti una proposta indecente - ghignò il giovane.

Belle si maledisse, sentendosi arrossire.

- C-come hai detto, scusa?- balbettò, incredula.

- Ehi, calma, calma, stavo solo scherzando!- rise il ragazzo.- Intendevo dire che volevo farti una proposta di appuntamento indecente.

Belle sollevò un sopracciglio.

- Credo di non capire…- disse, ma in realtà aveva capito benissimo dove voleva andare a parare quella specie di scimmione scappato dallo zoo.

- Immagina la scena: tu ed io a cena in un ristorantino di lusso, tanto ho la carta di credito di mio padre…Così possiamo conoscerci meglio e tu puoi accettare il mio invito a vedere un film a casa mia, che ne dici?- ammiccò Gaston, sfoderando un sorriso da fare invidia a qualsiasi pubblicità di dentifricio.

Dico che puoi scordartelo!, urlò una voce nella sua testa, ma Belle s’impose di mantenere un’aria cordiale. Tralasciando il fatto che la parte dell’andare a casa sua non la convinceva per niente, quel gorilla imbellettato le aveva chiesto di uscire sicuro che lei avrebbe accettato senza battere ciglio. Cielo, quanto detestava le persone come lui, arroganti e sicure di sé anche quando avrebbero fatto meglio a fare dietrofront e andarsi a nascondere in un buco. Ma non gli erano bastati tutti i no categorici delle altre volte?

- Grazie, Gaston, ma proprio non posso. Ciao - disse, tentando nel contempo di chiudere la porta. Tentativo vano, perché Gaston, con uno scatto fulmineo, frappose il piede fra lo stipite e il bordo della porta.

- Senti, se stasera non puoi, facciamo domani, o dopodomani…- disse, cercando di riaprire la porta, e Belle ebbe un bel da fare per impedirglielo. Dimenticava sempre di aver a che fare con un giocatore di football!

- No, davvero, Gaston…

- Allora, forse sabato…

- Sul serio, Gaston, mi dispiace ma è veramente un brutto periodo…

- Ma…

- Ciao!

Con uno sforzo immane, Belle riuscì a richiudere la porta. Vi si appoggiò contro con le spalle, sospirando di sollievo. Anche quella volta era riuscita a liberarsene, ma cominciava a non poterne davvero più di lui.

Gaston le faceva la corte da quando lei aveva quindici anni. All’inizio, Belle, da adolescente immatura e sognatrice che era stata, si era anche sentita lusingata dalle sue attenzioni, ma col tempo aveva capito che non era affatto l’uomo per lei. Certo, non si poteva negare che Gaston fosse un bel ragazzo, galante, atletico, ma dietro l’apparenza si celava ben poco. Non era colto né particolarmente intelligente, si dava arie solo perché il padre era ricco e, Belle sospettava, più che a lei come persona era interessato soltanto a portarsela a letto. E se anche così non fosse stato, la ragazza sentiva di non avere niente da condividere con lui. Gaston era un tipo esuberante ed impulsivo, pensava solo allo sport e a divertirsi con gli amici; lei, invece, si era sempre considerata una persona riflessiva, amava leggere e aveva poche amiche, ma fidate.

Insomma, loro erano come l’oceano e il deserto. Ma Gaston questo non sembrava volerlo capire, e non perdeva occasione per invitarla ad uscire, incassando ogni volta un sonoro no.

Sentì il campanello suonare di nuovo, e la rabbia iniziò a montarle dentro.

Si voltò di scatto, aprendo la porta con furia.

- Senti, Gaston, ho detto che…- cominciò a dire, ma le parole le morirono sulle labbra non appena vide chi le stava di fronte. Non era Gaston; era molto peggio.

A Belle bastò una sola occhiata per capire che era lui l’uomo che suo padre stava aspettando, l’uomo con cui aveva contratto un debito; un solo sguardo, per comprendere che per loro, ormai, non c’era più alcuna speranza.

L’uomo alla porta era Mr. Gold. Belle non ci aveva mai parlato, né l’aveva mai incontrato personalmente, ma ne conosceva benissimo la fama. Mr. Gold era un uomo sui quarant’anni, alto e magro, e ora le stava sorridendo con quel sorriso simile ad un ghigno che era divenuto famoso in tutta Storybrooke. Esattamente come le rare volte in cui lo intravedeva per le strade della città, era elegantissimo nel suo solito abito nero come la morte. Zoppicava leggermente, e portava un bastone nero con il manico d’argento per sostenersi.

Mr. Gold era l’uomo che chiunque avrebbe voluto evitare, l’ultima persona con cui un essere umano sano di mente avrebbe voluto avere a che fare. La sua amica Ruby scherzava sempre dicendo che lui spaventava i bambini, che per loro era peggio dell’Uomo Nero e, ahimé, non era troppo lontana dal vero. Mr. Gold era colui che teneva in pugno la città di Storybrooke. Così di primo acchito poteva apparire come un santo, sempre disposto ad aiutare la gente, ma alla fine si rivelava essere nulla più che un usuraio. Belle non conosceva nessuno che non avesse avuto a che fare con lui, con i suoi patti e i suoi accordi che, se non riuscivi a rispettare, non ti regalavano certo un lieto fine.

E ora, aveva stretto un patto con suo padre.

- Buongiorno - salutò Mr. Gold, con voce incolore.

- B-buongiorno…- mormorò Belle, cercando di non incontrare il suo sguardo.

- Questa è la casa di Maurice French, se non sbaglio…

- S-sì. E’ questa.

Mr. Gold le lanciò un’occhiata in tralice.

- E lui dov’è?

- Lui…

- Oh, Mr. Gold!- fece una voce impastata alle sue spalle, e Belle sentì il sangue gelarsi nelle vene. Si voltò di scatto, solo per vedere suo padre, ubriaco, scendere le scale barcollando con un sorriso sulle labbra talmente affabile che sarebbe risultato falso persino ad un criceto.- Benvenuto, la stavo aspettando…

- Lo so - ghignò l’uomo. - La signorina me lo stava giusto confermando…

- Signorina? Questo sgorbio?- Maurice rise sguaiatamente, spingendo di lato Belle che, pallidissima, non la smetteva di far dardeggiare lo sguardo dall’uno all’altro.- Non la importunerà più, è una promessa…Io sono un uomo di parola, sa?

- Lo spero…- rispose Mr. Gold, e Belle non poté fare a meno di notare una nota minacciosa nella sua voce.

- Ma certo. Venga, andiamo in salotto, lì potremo parlare con calma. Tu!- ululò quindi rivolto alla ragazza.- Tu, piuttosto, invece di stare lì a fissarci come una scema, vai in cucina e preparaci…ehm…Chiedo scusa, Mr. Gold, lei beve?

- No, se posso evitarlo - rispose l’uomo, secco.

- Oh, bel in tal caso…Preparaci due caffè. E vedi di darti una mossa!

Bastò quest’ultima minaccia per farla filare dritta in cucina. Belle iniziò ad armeggiare con tazze e piattini, mentre sentiva i passi dei due uomini avviarsi verso il salotto e chiudere la porta. Avrebbe dato qualunque cosa per sapere cosa si stessero dicendo, anche se, viste le condizioni in cui versavano suo padre e il loro conto in banca, c’era ben poco da immaginare.

Rovesciò il caffè sul pavimento e fece cadere i cucchiaini un migliaio di volte a causa delle mani che le tremavano. Quando finalmente ebbe ripulito tutto, prese il vassoio ed entrò in salotto.

Quello che vide non le piacque per niente.

Mr. Gold aveva un’aria soddisfatta, troppo soddisfatta; quanto a suo padre, sembrava quasi sobrio, tanto era preoccupato e disperato.

- Mi dia solo un altro po’ di tempo!- stava implorando in quel momento Maurice.

- Ha avuto una quantità disgustosamente abbondante di tempo, Mr. French - fece Mr. Gold, sempre con voce incolore. Belle si chinò a posare il vassoio sul tavolino. Mr. Gold si sporse verso Maurice. - A differenza sua, io rispetto i patti. Se lei non ha il denaro, Mr. French, allora vorrà dire che prenderò il suo negozio.

- No!- implorò Maurice.

- No!- non poté impedirsi di esclamare Belle.

Mr. Gold la guardò.

- La prego, il negozio no…- supplicò l’uomo. - E’ tutto quello che abbiamo…finiremo in mezzo ad una strada…

Mr. Gold sembrava non prestargli più attenzione, continuando a tenere lo sguardo fisso su Belle. Diede una breve occhiata al vassoio, quindi tornò a guardare prima la ragazza poi suo padre.

- Sua figlia è una ragazza laboriosa…- commentò.

Maurice rimase interdetto.

- Ho un’altra proposta da farle - continuò Mr. Gold.- Lascerò perdere il vostro negozio…

- Oh, grazie!- esclamò Maurice.- Grazie, io…

- Per un prezzo - concluse l’uomo, secco.

Maurice deglutì, sentendosi la gola secca.

- Che prezzo?- gracchiò.

- Il mio prezzo…è lei - Mr. Gold ghignò, indicando la ragazza.

Belle sgranò gli occhi dallo stupore. Maurice scattò in piedi, rabbioso.

- Porco schifoso!- urlò. - Cosa credi, di portarti a letto mia figlia?!

Mr. Gold non si scompose, né perse quel suo ghigno.

- Non ho mai detto di volerla “portare a letto”, come dice lei. Non sto cercando…amore - fece, con una smorfia beffarda.- Io sto cercando un’assistente. L’accordo è questo: sua figlia lavorerà nel mio negozio per un anno, senza compenso, ripagando i suoi debiti, Mr. French. In cambio, io non pretenderò alcun diritto sul suo denaro o la sua attività. Mi sembra ragionevole, non trova?

Maurice divenne rosso in volto; Belle non avrebbe saputo dire se per l’effetto dell’alcool o per la rabbia.

- Fuori!- tuonò, indicando la porta.- Fuori di qui, adesso!

Mr. Gold si alzò dal divano, calmo.

- Come desidera…- fece, avviandosi verso la porta.

- No, aspetti!- gridò Belle all’improvviso, quasi involontariamente.

Mr. Gold si voltò, lentamente; non aveva ancora smesso quel ghigno. Sotto lo sguardo furibondo di Maurice, la ragazza si avvicinò a lui.

- Se lavorerò per lei…- mormorò.- Il negozio di fiori sarà salvo?

- Hai la mia parola - ghignò Mr. Gold.

Belle inspirò profondamente.

- E lei ha la mia.

- Te lo proibisco!- tuonò Maurice.

La ragazza gli rivolse uno sguardo deciso, misto ad una sfida velata.

- Nessuno decide il mio destino tranne me - replicò. Tornò a guardare l’uomo che le stava di fronte.- Lavorerò per lei.

Mr. Gold la guardò, ghignando soddisfatto.

- Affare fatto.

 

Angolo Autrice: Ciao a tutti! J. Beh, che dire, non so da dove mi sia venuta fuori quest’idea, ma…ecco qui! XD. Questa è la storia di Rumpel e Belle come sarebbe stata (secondo me) se si fossero incontrati a Storybrooke, in un mondo dove la magia non esiste…da persone “normali”, insomma. Cercherò di attenermi il più possibile alla serie, ma inserirò alcune varianti, alcune delle quali (ma su questo non garantisco niente), saranno prese dalla Disney…che poi, le citazioni in Once Upon a Time sono prese da lì, quindi…

Spero che l’uso di qualche parolaccia non abbia infastidito nessuno, non ce ne saranno così tante in seguito, se a qualcuno ha dato fastidio, ditelo J.

Mi farebbe piacere se mi lasciaste un commento, anche negativo…J.

Al prossimo capitolo, ciao!

Dora93

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Capitolo 2
*** First Day ***


 

First Day

 

- Ma sei impazzita?!

All’esclamazione di Ruby, tutti nel locale si voltarono a guardare in direzione del loro tavolo.

- Shhht!- fece Mary Margaret, secca, mentre Belle, rossa in viso, si stringeva nelle spalle.

Di tanto in tanto, le tre amiche si ritrovavano la mattina presto, prima di andare al lavoro, per fare colazione insieme. Quel giorno, Belle sentiva di avere particolarmente bisogno di quel rito: era il suo primo giorno di lavoro al negozio di quell’avvoltoio, e doveva ammettere di sentirsi un tantino agitata.

Inutile dire che, quando aveva raccontato a Ruby e a Mary Margaret di quel che era successo e del suo accordo con Mr. Gold, queste erano andate fuori di testa.

- Preferirei che la cosa non divenisse di dominio pubblico, Ruby…- sussurrò, gettando delle occhiate tutt’intorno.

- Tanto in questo buco di città i pettegolezzi volano come il vento, presto lo saprà tutta Storybrooke…- commentò Ruby.

- Beh, allora diciamo che preferirei non divenisse di dominio pubblico troppo presto

Ashley Boyd, con le forme ancora leggermente arrotondate dalla gravidanza appena passata, si avvicinò al tavolo con aria affaccendata.

- Che vi porto, ragazze?- chiese, scribacchiando qualcosa sul taccuino.

- Per me un caffè con panna e brioche, grazie…- fece Mary Margaret.

- Un caffè anche per me, e aggiungici anche un succo di frutta con un toast…- disse Ruby.

- Per me, solo un cappuccino, per favore…- mormorò Belle.

- Ehi, sei a dieta?- fece Ashley.

- No, è che oggi non ho molta fame…- disse Belle; era vero, sentiva come una morsa che le chiudeva lo stomaco.

- Sono io che dovrei mettermi a dieta, guarda che roba…- borbottò Ashley, indicando le sue forme rotonde.- Sono diventata una balena, credevo che dopo il parto avrei smesso di somigliare ad una mongolfiera, e invece…

- Ma dai, stai benissimo…- sorrise Belle.

- Sì, e poi a Sean piacciono le donne rotondette, se non ricordo male…- ghignò Ruby.

Ashley sbuffò, poco convinta.

- Vedrai che tornerai presto come prima…- cercò di rassicurarla Mary Margaret.

- Grazie, lo spero davvero…

- Come sta la piccola Alexandra?- chiese Belle.

- Oh, beh, lei sta benissimo, dorme e mangia che è un piacere…- sorrise Ashley. Poi, di nuovo seria:- Tu piuttosto…- disse, guardando Belle.- Sicura di sentirti bene? Sei pallidissima…Non è che hai la febbre?

- Io…no, io…- balbettò la ragazza, presa in contropiede.

- Lasciala stare, Ashley - fece Ruby. - Oggi non è giornata…

- Perché? Che è successo?

- Tranquilla, presto lo verrai a sapere anche tu…- sospirò Mary Margaret.

- Uhm…okay…vi porto la vostra roba…

- Grazie, Ashley.

Non appena la cameriera si fu allontanata, al tavolo dove sedevano le tre ragazze piombò il silenzio. Belle iniziò a giocherellare nervosamente con un tovagliolino di carta, evitando di guardare in faccia Ruby e Mary Margaret.

- Ma allora…- bisbigliò quest’ultima dopo un po’, sporgendosi verso di lei.- Ci vuoi spiegare come diavolo hai fatto a finire a lavorare gratuitamente per Mr. Gold?

- Ve l’ho detto, mio padre non è in grado di saldare dei debiti con lui, e allora io mi sono offerta come sua assistente per un anno…- mormorò Belle.

- Dio, un anno intero in quel posto buio e polveroso in compagnia di quell’individuo spregevole…- Ruby fece una smorfia.- Credo che impazzirei…O mi butterei sotto un treno prima…

- Ci ho pensato, ma sdraiarmi sulle rotaie non avrebbe salvato il negozio…- ridacchiò nervosamente Belle.

- Ma possibile che non ci fosse altra soluzione?- chiese Mary Margaret.- Tuo padre che ha detto?

- Niente, è da una settimana che non mi rivolge la parola…- ammise Belle; dopo che Gold se n’era andato, Maurice era scoppiato in un attacco d’ira furibondo, urlandole contro di essere una traditrice, di fare il gioco di quell’usuraio. A nulla erano valse le proteste della ragazza, Maurice l’aveva riempita di schiaffi e se n’era tornato al bar, rincasando solo a notte fonda, più ubriaco di prima.

- Seriamente, Belle, sei sicura di quello che stai facendo?- Ruby si sporse verso di lei.- Insomma, tutti in città conosciamo Mr. Gold, non è da lui accontentarsi di un semplice aiuto in negozio…Quell’uomo sarebbe capace di tutto, sei sicura che non miri a portarti a letto?

- E’ la stessa cosa che abbiamo pensato io e mio padre, quando ha preteso l’accordo, ma lui ci ha assicurato che non cercava amore, così ha detto…E ha dato la sua parola che, se avessi lavorato per lui, il negozio di fiori sarebbe stato salvo…- spiegò la ragazza.

- Mai fidarsi delle promesse degli uomini…- borbottò Mary Margaret, rabbuiandosi. Le altre due amiche si scambiarono un’occhiata, quindi Belle posò la propria mano sulla sua.

- Che c’è, ancora quel David Nolan?- chiese.

Mary Margaret annuì a denti stretti, senza guardarla.

- Continua rimandare…- sibilò, fissando il tavolo.- Vuole che ci vediamo di nascosto, continua a dire di amarmi, ma non ha il coraggio di lasciare la moglie…

- Sono sicura che prima o poi troverà il coraggio di lasciare Kathryn, sta’ tranquilla…- cercò di rassicurarla Belle. Ashley tornò al tavolo e vi poggiò sopra quello che le ragazze avevano ordinato; Ruby si avventò famelicamente sul suo toast.

- Concordo, mai fidarsi delle promesse di un uomo…- disse, a bocca piena.- Soprattutto se l’uomo in questione è Mr. Gold…

- E dai, ragazze, smettetela…- mugolò Belle, abbandonandosi contro lo schienale della sedia.

- Siamo solo obiettive...- fece Mary Margaret, mescolando lo zucchero nel caffè.- Anche tu conosci Mr. Gold, Belle. Sai che è un uomo privo di scrupoli, quando si tratta di affari non guarda in faccia a nessuno, non ha pietà se in ballo c’è un accordo da rispettare…

- Per me Mr. Gold non è neanche umano…- disse Ruby.

- Che intendi dire?

- Secondo me è un lupo mannaro!- ghignò la ragazza.

Mary Margaret sospirò nuovamente.

- Con questa hai veramente toccato il fondo, Ruby…

- E va bene, forse un lupo mannaro no, ma un serial killer sì - ghignò l’amica.- Beh, un lato positivo c’è…- guardò Belle.- Quando scomparirai misteriosamente, il povero Sceriffo Graham non dovrà penare troppo per trovare il tuo cadavere fatto a pezzi…

- Ruby, per favore, smettila con queste stupidaggini!- sbottò Belle.- Sono già agitata per conto mio, va bene? Non mi serve che tu…- Belle gettò un’occhiata all’orologio.

- OH, MIO DIO!

Sotto lo sguardo attonito delle amiche, la ragazza scattò in piedi, iniziando a frugare nella borsa.

- Maledizione, sono in ritardo!

- Ahi…cominciamo male…- fece Ruby.

- Scusate, ragazze, ma devo scappare…Ashley, quanto ti devo?

- Lascia stare, Belle, pago io per te…- disse Mary Margaret.

- Grazie, domani ti restituisco tutto, promesso…Ora scusate, ma devo andare! Ciao!- Belle indossò in fretta la giacca e corse in direzione della porta.

- Mi raccomando, facci sapere com’è andata!- gridò Mary Margaret, agitando una mano in segno di saluto.

- E se vedi che gli spuntano le zanne e comincia a ululare, scappa!- le urlò Ruby.

 

***

 

Belle attraversò mezza Storybrooke di corsa, maledicendo se stessa per non aver fatto attenzione all’ora e il negozio di Mr. Gold per trovarsi tanto lontano da dove lavorava Ashley. Rischiò più volte d’inciampare e finire distesa sul duro marciapiede e, quando si ritrovò di fronte ad un semaforo rosso, non ci badò e attraversò ugualmente la strada. Un’auto frenò all’improvviso a due centimetri da lei, e il conducente iniziò a suonare il clacson, furibondo.

- Scusi!- gridò Belle, riprendendo a correre.

Il conducente abbassò il finestrino pronto ad urlarle contro, ma si bloccò non appena riconobbe chi era quella sconosciuta. Belle, dal canto suo, era talmente presa dalla corsa che non si accorse di chi aveva appena rischiato di investirla: Gaston.

La ragazza, alla fine, giunse trafelata al negozio di Mr. Gold. Aprì la porta e si precipitò dentro, mentre il campanello tintinnava annunciando il suo arrivo. Belle si fermò sulla soglia, cercando di riprendere fiato.

Proprio come temeva, il proprietario del negozio era già lì. Mr. Gold era voltato di spalle, ma si girò lentamente non appena sentì la porta aprirsi. Belle si sentì improvvisamente inerme, non appena lo sguardo freddo dell’uomo si posò su di lei con una luce severa che lasciava ben poco al dubbio.

- Mi spiace…- pigolò Belle.- Ho fatto tardi…

- Lo vedo - rispose Mr. Gold, secco, guardando prima l’orologio e poi lei.

Belle abbassò lo sguardo, rimanendo in piedi sulla soglia della porta.

- Cosa fai lì? Vieni dentro, sei qui per lavorare, non per perdere tempo che, peraltro, hai già sprecato abbastanza…

- Mi scusi…- sussurrò la ragazza, entrando timorosamente.

Ancora una volta, Ruby aveva avuto ragione: il negozio di Mr. Gold era davvero un posto buio e polveroso, reso ancora più piccolo dalla quantità di cianfrusaglie che erano sistemate in ogni angolo. Belle si guardò intorno, cercando di ricordare se avesse visto qualcuno di quegli oggetti in casa di un amico o di un parente. Mr. Gold teneva davvero in pugno tutta Storybrooke: quanti disperati avevano lasciato lì i loro averi per pochi soldi!

Era tanto impegnata a guardarsi intorno che quasi non si accorse che Mr. Gold le aveva appena rifilato in mano una scopa e uno straccio. Belle guardò quegli oggetti con aria attonita, per poi spostare lo sguardo interrogativo su Gold.

- Che cos’è questo?- chiese.

- Semplicemente quello che ti servirà d’ora in avanti per lavorare, tesoro…- rispose l’uomo, con un ghigno. Solo a quel punto Belle realizzò completamente in cosa consisteva l’accordo. E lei che aveva pensato di svolgere il ruolo di commessa, o qualcosa del genere. Quello che l’aspettava si stava rivelando ancora più umiliante: sarebbe stata costretta ad essere la domestica di quell’uomo spregevole!

- Non erano questi i patti!- protestò.- Lei aveva detto che le occorreva un’assistente…

- E’ così, infatti - rispose Mr. Gold, calmo.- Mi occorre un’assistente in negozio. E sai che cosa fa un’assistente, tesoro?- ghignò di nuovo, divertendosi della sua espressione incredula e furiosa insieme.- Lavora tutto il giorno eseguendo quello che il suo datore di lavoro le ordina di fare. Quindi, forza, mia cara, comincia pure…

- Ma…- balbettò Belle.- Io…io credevo che…che le servisse una commessa, o…

Gold non la lasciò terminare, scoppiando in una risatina che alla ragazza, complice anche quel ghigno che aveva al posto del sorriso, suonò stranamente inquietante.

- So gestire da solo i miei clienti, grazie - fece Mr. Gold.- Non ho bisogno di mettere una ragazzina dietro al bancone per portare avanti gli affari…Se non hai altre domande, direi che puoi iniziare il tuo lavoro…

Le fece un gesto con la mano che voleva dire al contempo datti una mossa e togliti dai piedi.

Belle digrignò i denti, iniziando a lavare il pavimento. Sentiva di essere stata ingannata, provava l’impulso fortissimo di andarsene via sbattendo la porta, ma dopo poco la rabbia lasciò il posto al suo buon senso. C’era un motivo per cui era lì, si disse. Ed era per questo che doveva stringere i denti e tirare avanti.

Terminato di pulire il pavimento, Gold riprese a darle ordini su quello che doveva fare. Belle si rese presto conto che, esattamente come sospettava, il suo datore di lavoro era un uomo di poche parole, che parlava solo se strettamente necessario. Poche frasi asciutte per dirle che cosa doveva fare, e poi nel negozio ripiombava il silenzio, interrotto solo dal rumore degli oggetti spostati dalla ragazza e dai passi del proprietario. Belle non lo vide quasi mai per tutto il giorno, spesso Mr. Gold si eclissava nel retro del negozio, e lei udiva solo lo strascicare del suo bastone sulle assi di legno del pavimento. Ci furono pochi clienti, quel giorno, ma di questo la ragazza non fu particolarmente dispiaciuta. Quasi tutte le persone che entravano nel negozio se ne andavano piangendo, lasciandovi magari un oggetto caro o un ricordo affettivo, oppure sentiva, dal magazzino in cui si nascondeva, le loro suppliche al proprietario con cui, immaginava, dovevano aver stretto qualche accordo che non potevano rispettare.

Ma quello che la turbava e irritava di più era l’atteggiamento di Mr. Gold. Non solo quell’uomo se ne restava impassibile di fronte al dolore della gente, ma sembrava quasi goderne, pareva quasi che non aspettasse altro se non far cadere le persone nella propria rete.

Belle si fece forza, e continuò a lavorare senza fiatare. Fu solo verso la fine della giornata che Mr. Gold si degnò di rivolgerle qualche parola.

- Credo tu abbia compreso che cosa dovrai fare, da qui in avanti…- le disse, mentre lei stava riponendo in una scatola impolverata foderata di velluto rosso un intero servizio da thé in porcellana.

Belle annuì, senza alzare lo sguardo.

- Devi tenere tutto quanto pulito e in ordine, e devi riporre ogni cosa nel posto stabilito…

- Va bene…

- Se arriva un cliente, e io non ci sono – anche se dubito che accadrà mai – non prendere nessuna iniziativa, prima devi chiamarmi…

- Ho capito…

- Devi fare attenzione a tutto quello che fai e che tocchi, la maggior parte di queste cose è roba di valore. Devi maneggiarla con cura e non lasciarla impolverare…

La ragazza annuì nuovamente.

- Ah, e dovrai anche scuoiare i bambini che ho rapito e che tengo prigionieri in cantina…

CRASH!

Belle si lasciò sfuggire la tazzina che teneva in mano, puntando lo sguardo scioccato su Mr. Gold.

- Era uno scherzo - ghignò questi, ridendo della sua aria sconvolta.- Non ero serio.

Belle sospirò di sollievo, abbozzando un sorriso. Incredibile, avrebbe dovuto intuire al volo che si trattava di uno scherzo – per quanto di cattivo gusto – ma quell’uomo riusciva a metterle una tale soggezione da farle credere persino che…

La ragazza interruppe il flusso dei suoi pensieri, abbassando lentamente lo sguardo ai suoi pieni, ora consapevole di quello che aveva combinato. La tazzina che le era caduta di mano fortunatamente non era andata in mille pezzi come aveva temuto, ma il bordo era sbeccato.

Si chinò a raccoglierla, trattenendo un gemito. Che stupida che era stata, ora l’avrebbe sbattuta fuori e addio negozio di fiori!

- Io…mi dispiace…sono mortificata…- mormorò, mostrando la tazza a Mr. Gold, il quale sembrava essere rimasto impassibile alla cosa. - Si è scheggiata…si vede appena…- soffiò, pronta a venire sbattuta fuori.

Mr. Gold non disse né fece niente. Si limitò a guardarla per un istante, impassibile. Poi, squadrandola come se avesse di fronte una perfetta idiota, disse, con voce incolore:

- E’ solo una tazza.

Belle tirò un altro sospiro di sollievo, rialzandosi dal pavimento e riponendo la tazza nella scatola.

 

***

 

A fine giornata, Belle indossò la giacca e uscì dal negozio, pronunciando un a domani! in segno di saluto, che non ottenne mai risposta.

Non appena mise piede in strada, la ragazza si sentì improvvisamente il cuore più leggero. Sì, senza Mr. Gold intorno si stava decisamente meglio. Belle si beò un attimo della lieve brezza serale, quindi si decise a tornare a casa.

Si avviò lungo il marciapiede, svoltando a destra e lasciandosi il negozio di Mr. Gold alle spalle.

D’un tratto, si sentì afferrare per un braccio. Fece per urlare, ma il grido le si smorzò in gola non appena vide chi è che la stava strattonando.

- Gaston…!- boccheggiò.

Si liberò dalla stretta del ragazzo.

- Mi hai spaventata…- mormorò.

- Allora è vero!- fece Gaston, come se non avesse sentito una parola.- E’ vero quello che dicono in città. Lavori davvero per Mr. Gold!

Belle si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. Proprio come avevano previsto Ruby e Mary Margaret, la notizia si era già diffusa in tutta Storybrooke. Gaston l’afferrò nuovamente per un braccio, strattonandola.

- Ma cosa ti è saltato in mente?! Sei impazzita, per caso?!- urlò.

La ragazza lo guardò, furiosa, quindi si liberò nuovamente dalla stretta con un movimento deciso.

- No, Gaston, non sono impazzita e, a dire il vero, quello non tanto a posto mi sembri tu - Belle fece una smorfia.- Sì, è vero, lavoro per Mr. Gold, e allora?

- Allora?!- urlò Gaston, fuori di sé. - Ti rendi conto di chi è quell’uomo? Lo sai che cosa fa? Ti rovinerà, Belle, ti allontanerà da tutti quelli che ti vogliono bene, ti farà diventare perfida e cinica come lui! Ti rovinerà, Belle!- ripeté.

La ragazza gli scoccò un’occhiataccia, quindi indietreggiò di un passo.

- Direi che questi non sono affari tuoi, Gaston - lo liquidò.- Sì, so chi è Mr. Gold, ma questo non ha niente a che fare col fatto che io lavoro per lui. Abbiamo solo stretto un semplice accordo, se proprio ci tieni a saperlo. E, in ogni caso, questa è la mia vita, e se lui me la rovinerà, beh, in tal caso saranno solo problemi miei. Quindi non ti permettere mai più di aggredirmi e di strattonarmi in questo modo, hai capito?- ringhiò.

Senza attendere risposta, Belle si voltò e prese a correre, allontanandosi il più possibile da uno stupefatto ed incredulo Gaston. Quando fu certa di aver messo sufficiente distanza fra lei e il gorilla tirato a lucido, la ragazza rallentò il passo, avviandosi stancamente verso casa.

Prima era arrivata in ritardo, poi aveva scoperto di essere stata ridotta al ruolo di lava-pavimenti, era cascata in uno stupido scherzo e aveva quasi rotto una tazza, rischiando di venire licenziata, e infine aveva incontrato Gaston che le aveva fatto una scenata da soap opera.

No, quella non era decisamente la sua giornata.

 

Angolo Autrice: Rieccomi qui di nuovo con il secondo capitolo! J.

Dunque, come avrete capito, sto cercando di seguire il filo della storia nel mondo delle favole, ma inserirò anche alcune varianti…

Che altro dire? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, come sempre, un invito a recensire J.

Ringrazio tutti coloro che leggono e in particolare x­_LucyLilSlytherin per aver aggiunto questa storia alle seguite e per la sua recensione, e Sylphs per averla aggiunta alle preferite e per aver recensito.

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Bacio,

Dora93

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Capitolo 3
*** Wrong Idea ***


 

Wrong Idea

 

Regina Mills si era sempre considerata una donna di grande acume e perspicacia. Era ben consapevole delle sue capacità, della sua intelligenza e del suo carisma che, fin da piccola, aveva utilizzato per ottenere tutto ciò che voleva. Molti l’avrebbero considerata una persona cattiva; Regina, invece, amava definirsi soltanto ambiziosa.

Regina ripose distrattamente alcune pratiche nel cassetto della scrivania, e nel farlo lo sguardo le cadde su una delle fotografie incorniciate che le sorridevano dalla sinistra del computer. La foto era un ritratto di famiglia risalente a molti, molti anni prima, in cui lei, all’epoca un’inesperta e solare ventenne, sorrideva in mezzo ai suoi genitori, Henry e Cora Mills. Regina si soffermò sul volto di sua madre: Cora aveva sempre avuto un’espressione dura e severa, perfino quando sorrideva. Se solo avesse potuto vederla, si disse, sua madre sarebbe stata orgogliosa di lei. Non appena si era diplomata, Regina aveva fatto di tutto pur di non rimanere una sconosciuta e anonima ragazzina di provincia. Aveva lavorato e pazientato, era scesa ad ogni compromesso e aveva macchinato silenziosamente, per riuscire ad emanciparsi, a raggiungere una posizione, a divenire qualcuno. Era stata l’ambizione a condurla dov’era adesso, a farla diventare la persona più importante della città.

Ora, a quasi quarant’anni, Regina Mills era il sindaco di Storybrooke.

Una carica guadagnata attraverso una vita di lavoro e sacrifici, in cui la donna aveva messo da parte tutto e tutti – perfino l’amore.

Regina Mills non era sposata; non lo era mai stata, né era mai andata vicina ad esserlo. Aveva rinunciato all’amore vent’anni prima, quando il suo fidanzato, Daniel – un giovane operaio che sua madre non aveva mai potuto soffrire, in quanto appartenente ad una classe sociale di gran lunga inferiore alla borghesia agiata da cui proveniva Regina –, l’unico uomo che avesse mai amato, era morto tragicamente in un incidente sul lavoro. Da quel giorno, Regina aveva giurato a se stessa che mai avrebbe tradito la memoria di Daniel, che mai avrebbe permesso ad un altro uomo di entrare nella sua vita, mai avrebbe amato qualcun altro – e così era stato.

Il sindaco aveva messo di fronte a tutto e a tutti la sua carriera, fino a giungere alla carica più importante di Storybrooke. Ma alla fine la solitudine aveva avuto la meglio. Dopo la morte di sua madre, seguita a pochi anni di distanza da quella di suo padre, Regina aveva iniziato a sentirsi sempre più sola, ad avvertire un vuoto dentro di sé che appariva incolmabile. Era stato per questo, immaginava, che aveva deciso di adottare un bambino.

Regina non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui, dieci anni prima, era uscita dall’orfanotrofio reggendo in braccio un fagottino così fragile e delicato da farle temere persino di sfiorarlo. Tenendo fra le sue braccia quel bambino, si era chiesta che cosa avesse fatto di tanto buono, nella vita, per meritarsi una simile meraviglia.

Aveva chiamato suo figlio Henry, lo stesso nome di suo padre.

Ora, Regina poteva finalmente dire di avere tutto, dalla vita. Un lavoro stabile, una carica importante e un figlio che adorava. Una vita costruita con sangue e sudore, all’apparenza così perfetta e sicura…ma in realtà molto fragile ed effimera.

Nella sua posizione, le sarebbe bastato molto poco, un piccolo errore, un passo falso, per precipitare nel baratro.

Regina Mills digrignò i denti, puntando i duri occhi neri sulle pratiche sparse disordinatamente sulla scrivania. Un solo passo falso, per rovinarsi la vita. E ora, lei quel passo falso l’aveva compiuto.

Per un solo, singolo sbaglio, stava per perdere tutto ciò che aveva. Eppure, pensò con una punta di amara ironia, quello sembrava essere un affare perfetto. Mesi prima, aveva ricevuto la notizia – più o meno attendibile – di un giacimento di petrolio poco lontano dalla periferia di Storybrooke che, se adeguatamente sfruttato, avrebbe potuto procurare non pochi guadagni a lei stessa e alla città, assicurandole inoltre la sicura rielezione allo scadere del suo mandato. Tuttavia, non tutti i cittadini erano disposti a sborsare del denaro di tasca propria per un’impresa di dubbio successo, e la ditta allora proprietaria del giacimento chiedeva un prezzo che neanche le finanze della donna erano in grado di sostenere. Così, Regina si era rivolta all’unico uomo in Storybrooke abbastanza ricco da potersi permettere un simile affare: Mr. Gold.

Mr. Gold era l’unica persona di sua conoscenza a potersi permettere di investire una cifra del genere, e Regina era stata costretta a scendere a patti con lui. Inizialmente, la donna aveva avuto non pochi dubbi su questa faccenda. La fama di Mr. Gold lo precedeva di un quarto d’ora dovunque andasse, e di certo non godeva di una buona reputazione. Regina sapeva che era ricco, ma non poteva non dar retta a tutte le dicerie su di lui, ai pettegolezzi – i più dei quali si erano rivelati fondati – che vedevano la sua ricchezza come un guadagno sporco costruito attraverso patti e accordi più o meno leciti che avevano gettato nella miseria un sacco di persone. Ma, benché la reputazione di usuraio di cui l’uomo godeva la spaventassero non poco, alla fine il sindaco si era decisa. Come usava sempre fare prima di concludere un affare, aveva calcolato attentamente tutti i pro e i contro della questione, e infine aveva accettato l’accordo che Mr. Gold le aveva proposto: un prestito in denaro in cambio del venticinque per cento del guadagno che l’impresa avrebbe fruttato, o in alternativa la restituzione dell’intera somma, compresi gli interessi.

Regina aveva esitato, ma alla fine aveva accettato l’accordo; in fondo, aveva calcolato tutto alla perfezione, non aveva dubbi che l’impresa sarebbe riuscita, e in poco tempo avrebbe potuto restituire il denaro a quella sanguisuga.

Ma stavolta aveva fatto male i suoi conti.

Il proprietario del giacimento di petrolio si era rivelato essere nulla più che un ciarlatano, e l’affare si era rivelato un buco nell’acqua. Regina aveva tentato di nascondere il fallimento alla città, e in parte c’era riuscita: nessun altro, a Storybrooke, sapeva quel che era successo. Nessuno, tranne lei e Mr. Gold.

Nonostante tutti gli sforzi del sindaco, alla fine quel verme s’era fatto vivo. Aveva sentito dire che c’erano stati dei problemi con l’impresa, aveva detto, con quella sua solita, snervante, aria noncurante. Avevano ragione quelli che dicevano che Mr. Gold non aveva pietà: non gliene era importato nulla né delle suppliche di Regina né delle promesse di un rimborso futuro. Aveva preteso indietro il suo denaro, e subito.

E Regina gliel’aveva restituito; ma per farlo, aveva dovuto impiegare dei soldi destinati al fondo pubblico.

Ora, la donna sapeva di essere veramente rovinata: presto l’intera faccenda sarebbe venuta a galla, e lei sarebbe finita in carcere. Avrebbe perso tutto quello che aveva costruito con così tanta fatica e sacrificio, tutto, la sua vita, la sua casa, il suo lavoro…suo figlio.

Già, le avrebbero sicuramente portato via Henry, pensò, sentendosi salire le lacrime agli occhi. Quella Emma Swann l’avrebbe avuta vinta, e lei non avrebbe mai più rivisto il suo bambino. Da quando la madre naturale di Henry si era rifatta viva, Regina non aveva più avuto pace. Viveva nel terrore che Emma Swann, ora nuovo Sceriffo di Storybrooke, riuscisse a trovare un pretesto, una scusa qualsiasi che le permettesse di riprendersi suo figlio.

Se l’intera faccenda fosse venuta allo scoperto, la Swann sarebbe stata la prima a saperlo, e si sarebbe immediatamente ripresa Henry.

- Mamma?- fece una voce infantile.

Regina Mills alzò lo sguardo dalle pratiche, asciugandosi velocemente gli occhi. Suo figlio era in piedi sulla soglia del suo ufficio. Gli aveva detto tante volte di non disturbarla mentre era al lavoro, e in un’altra occasione lo avrebbe rimproverato, ma in quel momento provava solo una gran voglia di prenderlo in braccio e coccolarlo.

- Henry… - disse la donna, cercando di mantenere la voce ferma.- Henry, tesoro, come mai sei qui?

Il bambino fece spallucce.

- Avevo voglia di vederti, tutto qui…- ammise.- Perché piangi?- chiese un attimo dopo.

- Che? Oh no, io…non sto piangendo, amore…- fece Regina, asciugandosi nervosamente gli occhi con un fazzoletto.- Ho solo un po’ di raffreddore, tutto qui…

Henry non rispose, continuando a guardarla. Regina si sforzò di sorridergli.

- Che cos’hai in mano?- chiese.

- Un libro di fiabe - disse il bambino, mostrandole un libro molto spesso.- L’ho preso in biblioteca poco fa…Ti va di vederlo?

Regina annuì, ed Henry sorrise, andandole incontro. La donna lo prese in braccio, stringendolo a sé, mentre il bambino apriva il libro.

- Sai, ho trovato una fiaba che non avevo mai sentito prima…S’intitola La Bella e la Bestia

- Uhm…sembra interessante…- fece Regina, dandogli un bacio sui capelli castani.- Che ne dici, magari stasera la leggiamo e vediamo com’è, va bene?

Henry annuì, entusiasta, continuando a sfogliare il libro di fiabe. Regina lo strinse ancora di più a sé, mentre sentiva le lacrime salirle di nuovo agli occhi. No, non poteva perdere Henry. Non era giusto che solo per uno stupido, singolo errore, dovesse perdere suo figlio e tutto quello che aveva costruito in tanti anni di lavoro.

Doveva trovare una soluzione. Doveva sistemare quello che aveva fatto, e al contempo moriva dalla voglia di vendicarsi di Mr. Gold. Era colpa sua se la sua vita era rovinata, solo colpa sua! Doveva trovare una soluzione…doveva…

Regina ebbe un’improvvisa illuminazione.

Se Mr. Gold aveva avuto il denaro sufficiente per investire in un’impresa petrolifera, allora sicuramente ce l’avrebbe avuto anche per sanare la falla che si era aperta nelle finanze di Storybrooke. Forse, la soluzione ai suoi problemi poteva giungere insieme alla sua vendetta…

Ecco cosa doveva fare: doveva rimanere in silenzio e attendere. Mr. Gold godeva della fama di uomo duro e inflessibile, ma chiunque aveva delle debolezze…e lei non doveva fare altro che scoprire quali erano le sue. Una volta venuta a conoscenza dei suoi segreti, avrebbe potuto usarli contro di lui, a proprio vantaggio.

Avrebbe salvato se stessa e suo figlio, e avrebbe avuto la sua vendetta.

 

***

 

Quando Belle aveva fatto il resoconto della sua prima giornata lavorativa, Ruby era scoppiata in una sonora e sgangherata risata che aveva impiegato diversi minuti prima di estinguersi quasi definitivamente.

- Allora è vero che stare vicino a Mr. Gold porta sfiga!- aveva ghignato.

Granny aveva lanciato un’occhiataccia di rimprovero a sua nipote, ma era servito a ben poco. Belle non aveva risposto, e aveva mantenuto un’aria affranta e sconsolata per tutta la colazione. Alla fine Mary Margaret, da sempre più sensibile di Ruby, le aveva posato una mano sulla spalla.

- E dai, non te la prendere!- le aveva detto, con un sorriso rassicurante.- E’ normale che il primo giorno non sia dei migliori, succede…Vedrai che in futuro andrà meglio…

Belle aveva replicato soltanto con un sorriso di gratitudine, ma in cuor suo sperava veramente che la sua amica avesse ragione. Non avrebbe resistito un anno intero in quelle condizioni.

Purtroppo, però, Mary Margaret si sbagliava.

Le cose, se possibile, andarono ogni giorno peggio. Per quanto si sforzasse di essere puntuale, quasi tutte le mattine Belle arrivava in ritardo. I primi tempi aveva provato a dare delle spiegazioni a Mr. Gold, ma queste erano sempre molto vaghe, e in genere si riducevano ad un mi scusi, ho fatto tardi balbettato alla bell’e meglio. Belle non poteva certo dirgli che non aveva sentito la sveglia perché la notte prima l’aveva trascorsa in bianco seduta in cucina in attesa che suo padre tornasse a casa da una delle sue serate di baldoria, o che aveva dovuto girare tutta Storybrooke al buio per andare a recuperare Maurice, sbronzo e barcollante, in qualche bar malfamato di periferia. Sicuramente Mr. Gold era consapevole di aver assunto la figlia dell’ubriacone della città, ma lei non si sentiva di raccontargli i dettagli dell’alcolismo di suo padre. E, se anche così non fosse stato, Belle aveva presto imparato che con lui ogni tipo di giustificazione era inutile. Se aveva fatto tardi, allora non c’era scusa che tenesse, e lei non poteva fare altro se non incassare la solita occhiataccia silenziosa, per poi mettersi immediatamente, rossa di vergogna, al lavoro.

Il lavoro al negozio si era fatto via via sempre più umiliante, e spesso alla ragazza veniva da piangere al pensiero che avrebbe dovuto continuare così per un anno intero. Si era convinta di essere una perfetta incapace, dal momento che, per quanto impegno ci mettesse, non faceva mai nulla decentemente e nemmeno accennava ad alcun tipo di miglioramento. Mr. Gold trovava sempre qualcosa di mal fatto, e in ogni caso, ogni volta c’era una piccolezza, un dettaglio apparentemente insignificante, o che Belle addirittura non aveva nemmeno notato, che non lo soddisfaceva. Non c’era macchiolina sul pavimento, granello di polvere su soprammobile, o piega su una tenda che lui non le facesse notare. Mr. Gold non si arrabbiava mai, non le urlava mai contro come invece avrebbe fatto suo padre, ma Belle aveva imparato a capire quando c’era qualcosa che lo infastidiva. Non appena notava una nota stonata in quello che lei avrebbe dovuto tenere in ordine, iniziava a squadrare con aria irritata ora l’oggetto del malaugurio ora lei, finché Belle non si decideva a rimediare alla sua mancanza.

Era come avere un’ombra silenziosa che ti segue dovunque tu vada, e ti controlla in ogni momento.

Belle iniziava la mattina presto con il cuore colmo di paura e malumore, e finiva la sera tardi stanca morta e più sconsolata di prima. Mr. Gold non parlava mai, salvo quando non poteva proprio farne a meno, ma la ragazza sentiva il suo sguardo di fastidio e rimprovero addosso ogni qualvolta combinava qualche pasticcio.

Stava veramente cominciando a pensare che Ruby possedesse dei poteri da veggente: ogni volta che si trovava vicino a Mr. Gold, immancabilmente Belle faceva qualche disastro. Prendeva un soprammobile da un ripiano alto, e subito uno sbuffo di polvere le cadeva sulla testa; tentava di lavare il pavimento, e finiva riversa a terra perché era inciampata nel tappeto; trasportava un secchio pesantissimo pieno di acqua e sapone, e questo le sfuggiva di mano allagando l’intero negozio. Il tutto sotto lo sguardo sempre presente del suo datore di lavoro, che la squadrava come un assassino squadra la sua vittima. Insomma, una maledizione!

Belle pensava che Mr. Gold dovesse essere veramente disperato, se si ostinava a tenere una domestica così incapace e imbranata come lei, per di più senza fiatare in proposito ai suoi pasticci.

La ragazza pensava che le cose sarebbero continuate in quel modo per un anno intero, ma così non fu.

Un giorno, verso la fine della giornata, Belle stava spostando alcuni vasi di porcellana cinese da uno scaffale. Si era imposta di prestare la massima attenzione, quando uno strano carillon esposto sul lato opposto del negozio attirò la sua attenzione. Belle ricordò – o almeno, le parve di ricordare – di averlo visto da piccola, un giorno che era andata a far merenda a casa di Ruby; che fosse di Granny, quel carillon?

Mentre cercava di ricordare se l’avesse visto da qualche parte in casa di Granny o no, il vaso cinese le sfuggì di mano. Belle lanciò un gridolino, riprendendolo al volo un attimo prima che toccasse terra. Se lo strinse istintivamente al petto, riprendendo fiato.

Mr. Gold alzò gli occhi al cielo.

Belle si voltò lentamente nella sua direzione.

- Tutto a posto…- mormorò, sforzandosi di sorridere e rimettendo il vaso al suo posto.- Non è successo niente…

- Ne sono lieto…- fece Mr. Gold, con una smorfia.- Avresti dovuto lavorare come minimo altri dieci giorni, per ripagarmelo…

Belle gli regalò un’occhiata confusa e stralunata.

- D-dieci giorni?

- Sarebbe stato il minimo, non trovi?- ghignò Mr. Gold.- Non so se hai idea di quanto valgano quelle porcellane, tesoro, ma ti posso assicurare che graverebbero pesantemente sul debito che stai ripagando…

- Cioè…lei mi sta dicendo…mi sta dicendo che tutte le volte che rompo qualcosa, aumentano i giorni in cui dovrò lavorare qui?- fece Belle, senza trattenere una nota d’indignazione.

Mr. Gold ghignò nuovamente, senza toglierle gli occhi di dosso.

- E’ così che funziona nel mondo del lavoro, tesoro. Chi rompe, paga…hai mai sentito dire questa frase?

- Quindi…quindi anche la tazza…?- balbettò Belle.

- No, quello è stato un incidente avvenuto per colpa mia. Ma tutto quello che romperai, d’ora in avanti, si aggiungerà al debito di tuo padre.

Belle distolse lo sguardo, digrignando i denti per la rabbia. Era già abbastanza umiliante dover lavorare senza un compenso per quell’usuraio che si stava approfittando delle disgrazie di suo padre, ma che oltre a questo ogni minima mancanza le venisse segnata sul conto, era una vera ingiustizia!

- Qualcosa non va, tesoro?

Belle gli scoccò un’occhiata piena di odio.

- Lei è…lei è un essere riprovevole!- sputò fuori, rendendosi subito conto della banalità e poca efficacia dell’insulto. Mr. Gold, infatti, non si scompose.

- Lo so, mi hanno detto anche di peggio, mia cara…

- Lei…lei non ha alcuno scrupolo!- gridò Belle, fuori di sé dalla rabbia.- E’ così attaccato al denaro da avere il coraggio di ricattarmi, di tenermi qui a lavorare in questo maledetto posto, dopo essersi già approfittato di me!

- Se non ricordo male, tesoro, sei stata tu ad offrirti volontaria per lavorare qui…- ribatté Mr. Gold, senza scomporsi.

- Solo perché lei ha minacciato mio padre!- gridò Belle.- Solo perché ci avrebbe portato via il negozio! Era tutto quello che ci rimaneva, tutto quello che restava di mia madre! Ma lei lo sa cosa vuol dire provare affetto o amore per qualcuno? Lo sa cosa vuol dire? No, no che non lo sa, perché lei è un uomo senza cuore e senza anima, solo un essere senza scrupoli attaccato al denaro, lei è una bestia!

Belle ansimò; Mr. Gold continuava a rimanere impassibile. Forse stavolta aveva parlato troppo, ma la ragazza non se ne curò. Erano due settimane che si teneva dentro quelle frasi e ora, insieme alla rabbia, provava un senso di liberazione. Sentì l’orologio del negozio suonare le otto: l’orario di chiusura. Per giorni quel rintocco era stato la sua unica consolazione, e mai più che in quel momento desiderava udirlo.

- Io per oggi ho finito!- ringhiò, afferrando la giacca e avviandosi verso l’uscita. La ragazza uscì senza dire una parola, sbattendo la porta.

Mr. Gold sospirò, abbassando lo sguardo e scorgendo la borsa di Belle abbandonata su una sedia. Alzò nuovamente gli occhi al cielo. Quella ragazzina era talmente arrabbiata da essersi dimenticata perfino la borsa con dentro soldi e documenti, incredibile!

Di nuovo alzò gli occhi al cielo, maledicendosi mentalmente, quindi afferrò la borsa e uscì dal negozio.

Forse era ancora in tempo per raggiungerla…

 

***

 

Belle procedeva a passo svelto e sostenuto, lottando contro il vento autunnale che le scompigliava i lunghi capelli castani e le intirizziva le gambe attraverso i vecchi jeans strappati. Si sistemò il bavero della giacca, cercando di far sbollire la rabbia. Non vedeva l’ora di tornarsene a casa e di farsi una bella doccia, forse questo l’avrebbe aiutata a calmarsi.

Svoltò l’angolo, ritrovandosi in un vicolo lungo e stretto, ai cui lati giacevano bidoni e sacchi della spazzatura. Erano le otto di sera passate, e fuori era già buio, tanto che l’unico lampione acceso che illuminava la strada era insufficiente per fare abbastanza luce.

Belle gettò un’occhiata tutt’intorno, quindi accelerò il passo. Non le piaceva quel posto.

Raggiunse quasi di corsa la pozza di luce emanata dal lampione; si guardò intorno, quindi fece per proseguire, quando si sentì afferrare per le spalle e scuotere con violenza. La ragazza gridò, quando lo sconosciuto la sbatté violentemente contro il muro, e la fioca luce illuminò il suo volto.

- Gaston!- esclamò Belle, con una punta di irritazione nella voce. Era la seconda volta che il ragazzo la coglieva di sorpresa in quel modo, facendola spaventare a morte. Nelle ultime settimane si era presentato a casa sua almeno dieci volte – facendo andare su tutte le furie Maurice – e le aveva riempito il cellulare di SMS e la segreteria telefonica di messaggi. Ormai il suo non era più un corteggiamento, si stava trasformando in del vero e proprio stalking!

E ora aveva anche preso ad aspettarla all’uscita dal lavoro. Peccato che lei quella sera non fosse affatto in vena di fare la carina e la gentile.

Lo allontanò da sé con uno spintone.

- Si può sapere cosa diavolo vuoi?- ringhiò, al che il ragazzo rimase interdetto.

- Scusami, io…volevo solo parlarti…

- Esistono altri modi per parlare ad una persona, non serve strattonarla e sbatterla contro una parete!

Gaston conservò ancora per qualche attimo un’espressione interdetta, quindi il suo volto assunse una smorfia irritata.

- Perché non hai risposto ai miei messaggi?- abbaiò.

- E cosa vuoi che risponda ad uno che ti scrive soltanto ti amo, senza aggiungere altro?

- Mah, non lo so…- la beffeggiò Gaston, fingendo di pensarci tu. - Speravo che tu avessi abbastanza intelligenza da rispondermi che anche tu mi ami!

- No, se questo non è vero!- ribatté Belle.

Gaston non rispose, spalancando gli occhi per la sorpresa. Quindi, sul suo volto tornò repentinamente la stessa smorfia di rabbia, e strinse nuovamente le spalle della ragazza, sbattendola contro il muro.

- Gaston, ma che stai…?

- Quando ti deciderai a capirlo?!- ululò il ragazzo.- Quando ti deciderai a capire che io ti amo?!

- Gaston, lasciami!- Belle cercò di divincolarsi.- Gaston! Lasciami! Mi fai male! Lasciami!

La ragazza continuava a dimenarsi, ma era tutto inutile. Aveva a che fare con un giocatore di football tre volte più grande di lei, era impossibile opporsi. Con un ruggito sommesso, Gaston la scaraventò a terra, e Belle finì riversa su un mucchio di sacchi d’immondizia, fra lattine e cocci di vetri. La ragazza emise un gemito quando si ferì la mano con una bottiglia rotta. Belle cercò di rialzarsi e di scappare, ma Gaston fu più veloce di lei, e afferratala per un braccio la scaraventò nuovamente contro il muro. La ragazza tossì, cadendo sul marciapiede come un sacco vuoto. Belle sollevò lo sguardo, fissando con orrore Gaston mentre iniziava ad armeggiare con la cintura dei pantaloni.

- Ti insegno io a portarmi rispetto, putta…

La frase s’interruppe a metà; Gaston strabuzzò gli occhi, quindi cadde riverso a faccia in giù sull’asfalto. Alle sue spalle, Mr. Gold stava riabbassando lentamente il suo bastone dall’impugnatura d’argento.

L’uomo guardò prima Gaston poi Belle, la quale non riusciva a fare altro se non ansimare e guardare il corpo del ragazzo con orrore. Mr. Gold si chinò, afferrandola per un braccio e tirandola in piedi.

- Ti sei fatta male?- chiese. Belle non rispose. Mr. Gold notò con la coda dell’occhio che la mano della ragazza sanguinava.

- Vieni…- disse, tirandola per un braccio. Belle mosse qualche passo, senza staccare gli occhi da Gaston.- Che stai facendo? Quell’energumeno senza cervello sta benissimo, domani al massimo avrà un po’ di mal di testa. Andiamo, avanti!

Belle si decise a seguirlo, in silenzio.

 

***

 

Con grande sorpresa di Belle, Mr. Gold la riportò al negozio. La ragazza si sarebbe aspettata che la lasciasse in strada, o che al massimo la portasse al Pronto Soccorso, ma alla fine decise che era meglio che non l’avesse fatto. Sconvolta com’era, avrebbe avuto troppa paura per restare da sola in mezzo ad una strada buia e deserta, e non avrebbe saputo inventare una bugia decente da raccontare ai medici per dare una spiegazione della sua ferita.

Ferita che, si rese conto, doveva essere anche abbastanza profonda.

Mr. Gold la guidò in silenzio sul retro del negozio, dove c’era un lavello. Senza dire una parola né tantomeno chiedere il permesso, il proprietario rimboccò una manica della giacca indossata dalla ragazza, in modo che la ferita fosse ben visibile. Belle vide che il taglio si estendeva dal palmo della mano fino a qualche centimetro al di sopra del polso.

Mr. Gold aprì il rubinetto, e fece scorrere l’acqua sulla mano della ragazza. Belle emise un gemito di dolore causato dall’acqua fredda sulla ferita che bruciava, e fece per ritrarsi, ma Gold le trattenne fermamente il polso.

- Bisogna lavare via il sangue…- disse, a mezza voce.

Belle non replicò e chiuse gli occhi, cercando di non pensare al bruciore. Dopo un paio di minuti, Mr. Gold chiuse il rubinetto, e un pezzo di carta asciugò la mano di Belle. Sempre senza dire una parola, sotto lo sguardo confuso e sconvolto della ragazza, aprì uno sportello al di sotto del lavandino, estraendone una boccetta di plastica, del cotone e delle bende. Tolse il tappo alla boccetta.

- Tranquilla, è disinfettante…- disse, notando l’espressione interrogativa e vagamente diffidente della ragazza.- Si può sapere chi era quello?- si decise poi a chiedere, versando un po’ di disinfettante sul cotone e premendolo sulla ferita della ragazza.

- Gaston…- soffiò la ragazza, con una smorfia di dolore. Cavoli se bruciava!

- Scusa, tesoro, ma questo nome non mi dice nulla…- ghignò Mr. Gold.- E’ il tuo fidanzato?

- No…è proprio questo il problema…- mormorò Belle, mentre Gold iniziava a fasciarle la mano.- E’ uno che non accetta i no

- Credo di aver capito…

Mr. Gold terminò di fasciarle la mano, quindi le fece cenno di seguirlo.

- Stasera ho tenuto aperto fin troppo…

Uscirono in strada. Belle attese che il suo datore di lavoro chiudesse a chiave la porta del negozio, quindi fece per andarsene. Gold la trattenne.

- Ti riaccompagno a casa…- disse, senza guardarla.- Non vorrei che incontrassi qualcun altro che non accetta i no.

Belle annuì, in cuor suo piuttosto sollevata. Benché Mr. Gold non fosse esattamente la migliore compagnia che potesse sperare, era contenta di poter fare la strada con qualcuno, quella notte. Camminarono fianco a fianco in silenzio per tutto il tragitto, senza quasi neanche guardarsi; Belle si accorse che Mr. Gold faticava a camminare velocemente per via del suo bastone, quindi rallentò il passo, adeguandosi al suo.

Fu solo quando furono giunti di fronte alla casa della ragazza che Belle ebbe il coraggio di spiccicare parola.

- Grazie…- riuscì a mormorare.

Mr. Gold, per tutta risposta, lanciò un’occhiata alla sua mano.

- Domattina disinfetta di nuovo e cambiati le bende. Ci vediamo lunedì.

Senza aggiungere altro, Gold si voltò e in un attimo sparì dietro l’angolo. Belle rimase un attimo pensierosa, immobile sulla soglia della porta, quindi entrò.

Si fece una doccia calda, rimanendo a lungo sotto l’acqua nel tentativo di riordinare le idee. Che avrebbe fatto con Gaston? L’avrebbe denunciato? Non voleva pensarci, non ora. Si sentiva troppo stanca…

Si asciugò velocemente e indossò la camicia da notte. Avrebbe voluto chiamare Ruby o Mary Margaret, ma il rumore della porta che sbatteva, seguito da passi barcollanti e imprecazioni oscene le comunicò che suo padre era tornato, sbronzo come al solito, e che quindi non era il caso di farlo imbestialire con telefonate notturne.

Belle si chiuse in camera per non doverlo incontrare; non aveva voglia di discutere anche con lui. S’infilò sotto le coperte e spense la lampada, cercando di prendere un po’ di sonno, ma, benché stanchissima, proprio non riusciva a dormire.

Continuava a pensare a Gaston, all’aggressione…a Mr. Gold…

Dopo quel che era successo con il gorilla, il salvataggio di Mr. Gold e la sua gentilezza nel medicarle la ferita e riaccompagnarla a casa erano stati i fatti più sconvolgenti della serata. Belle non si sarebbe mai aspettata un simile comportamento da lui, soprattutto dopo che lei lo aveva insultato. Improvvisamente, si sentì un verme per avergli urlato contro.

Guardò alla debole luce lunare la sua mano fasciata, ripensando a Gold che la disinfettava e la bendava.

Forse, si disse, si era fatta un’idea sbagliata, su di lui…

 

Angolo Autrice: Okay, questo è ufficialmente uno dei capitoli peggiori che io abbia mai sfornato. E non lo dico per falsa modestia, sul serio, non ne sono per niente soddisfatta.

Come vi avevo detto, questa è una delle modifiche che ho apportato alla storia originale, e in questo caso ringrazio Sylphs, lei sa perché…

Ho deciso di dare più importanza al personaggio di Gaston in questa ff, perché nella serie aveva un ruolo marginale e, a mio parere, anche abbastanza ridicolo…

Nel prossimo capitolo, comunque, tornerò sulla retta via, tranquilli XD.

Dunque, ringrazio kagura ed emily silente per aver aggiunto questa ff alle seguite, Nimel17 per averla aggiunta alle seguite e per aver recensito, ANIMAPERSA e Samirina per averla aggiunta alle preferite e x_LucyLilSlyherin e Sylphs per aver recensito.

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Bacio,

Dora93

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Capitolo 4
*** In the Arms of the Enemy ***


 

In the Arms of the Enemy

 

L’orologio appeso alla parete del Pronto Soccorso segnava le quattro del mattino. Gaston grugnì, riabbassando il capo e premendosi la borsa del ghiaccio contro la nuca.

Il corridoio dell’ospedale era deserto, salvo per qualche infermiera che di tanto in tanto gli passava accanto con aria affaccendata. Nessuno del personale si era stupito più di tanto di vederlo lì, più volte era finito al Pronto Soccorso per qualche rissa o per un incidente d’auto causato dalla guida spericolata sotto l’effetto dell’alcool. Era arrivato lì con ferite ben più gravi di un semplice bernoccolo, e ne era uscito molto più ammaccato di com’era adesso.

Tuttavia, mai un occhio nero o una contusione gli avevano fatto male come quel colpo ricevuto poche ore prima.

I medici gli avevano diagnosticato una commozione cerebrale. Quel vecchio pazzo per poco non gli spaccava la testa!

Gaston si portò una mano alla fronte fasciata, sentendo le tempie pulsare furiosamente. Gold gli aveva quasi sfondato il cranio, e tutto per salvare quella puttanella! Avevano una relazione, per caso? Allora quella troia non lavorava gratis, no, lui la ripagava a suon di scopate, altroché!

Belle gli aveva preferito quel ladro, aveva preferito essere la sgualdrina dell’uomo che aveva rovinato metà delle persone che conosceva, piuttosto che essere la sua ragazza!

E va bene, che se lo tenesse pure, il suo usuraio! A lui non fregava niente. Ma Gold non l’avrebbe passata liscia. Oh no, gli avrebbe fatto vedere chi era lui, gli avrebbe mostrato cosa succede a mettersi contro Gaston Prince!

Gliel’avrebbe fatta pagare!

 

***

 

Quella domenica sembrava non finire mai. Belle trascorse tutta la notte in bianco, rigirandosi fra le lenzuola senza riuscire a trovare sonno, addormentandosi soltanto quando l’alba cominciava a spuntare all’orizzonte, e svegliandosi solo in tarda mattinata. Stranamente, suo padre non era venuto a tirarla fuori dalle coperte per i capelli, come faceva sempre quando la ragazza si concedeva il lusso di dormire più del dovuto. Per un attimo, Belle si domandò se sapesse quel che le era successo, ma subito si rispose che era impossibile. Non c’era nessuno, in quel vicolo, a parte lei e i due uomini, e sicuramente Gaston non era così stupido da raccontare quel che era successo in giro. Era domenica, il negozio di fiori era chiuso, molto probabilmente suo padre era a rovinarsi il fegato in qualche bar, concluse.

Belle non uscì quasi mai dalla sua stanza, rimanendo seduta sul letto a riflettere sul da farsi. Che doveva fare con Gaston? Denunciarlo? Sarebbe stata la cosa migliore da fare, ma il suo conto in banca la pensava diversamente. Se avesse sporto denuncia, si sarebbe certamente finiti in tribunale, e Gaston e suo padre, il senatore Prince, avrebbero certamente sborsato fior di quattrini per pagarsi i migliori avvocati sul mercato. E lei?

Visto e considerato il suo budget, avrebbe potuto ritenersi fortunata se le avessero concesso un avvocato d’ufficio. Avrebbe perso la causa, Gaston sarebbe uscito illeso da tutta la faccenda, e lei si sarebbe trovata nella stessa situazione di prima, solo con più debiti. E, se anche così non fosse stato, suo padre non avrebbe mai accettato di gettare via dei soldi per una questione simile. Belle decise che non avrebbe raccontato nulla a Maurice su quanto era successo. Tralasciando il fatto che il carattere collerico di suo padre e la sua malsana passione per rum e tequila avevano sempre reso impossibile qualunque forma di conversazione civile, sicuramente Maurice avrebbe scaricato la colpa di tutto interamente sulla figlia. Belle ricordava fin troppo bene quella sera in cui, alle due di notte passate, non vedendolo rientrare, era uscita a cercarlo. Allora lei aveva solo sedici anni, e aveva girato mezza Storybrooke al buio alla ricerca di suo padre, solo per trovarlo in una bettola di periferia, talmente sbronzo da non riuscire neanche a reggersi in piedi. Aveva cercato di trascinarlo via ma, vedendola, gli altri clienti del locale, ubriachi almeno quanto lui, avevano iniziato a sbeffeggiarla, a prenderla in giro e a farle dei complimenti osceni. Uno di loro – un omaccione grane e grosso che Belle non aveva mai visto prima, ma che in seguito aveva scoperto essere uno dei più fedeli compagni di baldoria di suo padre – l’aveva apostrofata con appellativi e insulti più volgari e offensivi degli altri, e aveva tentato di palparle il fondoschiena. A quel punto, Belle non ci aveva visto più. Si era voltata di scatto e gli aveva assestato un pugno sul grugno degno di un pugile professionista, rompendogli il setto nasale e facendolo sanguinare dalla bocca. Aveva afferrato suo padre per un braccio e l’aveva trascinato via prima che a quell’energumeno venisse in mente di reagire, ma quello aveva comunque urlato a Maurice che, per colpa di quella puttana di sua figlia, poteva anche scordarsi i cento dollari di pagamento per una scommessa al biliardo. Una volta a casa, suo padre aveva dato sfogo a tutta la sua rabbia, tanto da procurarle un occhio nero. Le aveva urlato contro di essere una stupida che non aveva alcun rispetto per i soldi, e che se quell’uomo aveva cercato di metterle le mani addosso, se l’era solo meritato, l’aveva provocato apposta.

Per quanto le bruciasse l’idea che Gaston restasse impunito, non poteva permettersi di fargliela pagare. Ancora una volta, sarebbe stata costretta a chinare il capo e tacere. Era sempre stato così nella sua vita. Era sempre stata una perdente.

Ma, oltre a Gaston, c’era qualcos’altro che le impediva di godersi quella domenica: Mr. Gold.

Finché suo padre se ne rimaneva fuori casa, Belle aveva tutto il tempo a disposizione per riflettere con calma, e Mr. Gold era al centro dei suoi pensieri. Ancora non riusciva a capacitarsi di quel che aveva fatto, del perché l’avesse fatto. Se si fosse trattato di qualcun altro, di chiunque altro, allora non ci sarebbe stato nulla di strano: sarebbe solo stata una persona che ne aveva aiutata un’altra in difficoltà. Ma era di Mr. Gold che si stava parlando, cavoli! Belle era ormai abbastanza cresciuta per saper prendere con le pinze tutto ciò che si diceva in merito ad incomprensioni, infanzie difficili, e chi più ne ha più ne metta. Era inutile farsi illusioni, tutti a Storybrooke conoscevano Mr. Gold, tutti sapevano che genere di uomo fosse e di come non agisse mai per niente. Ma che altro avrebbe potuto pretendere? Teneva già in pugno sia lei sia suo padre, che cos’altro avrebbe potuto volere, che non avesse già ottenuto?

Belle aveva una gran voglia di parlare con qualcuno, di sfogarsi, di chiedere consiglio, ma non poteva farlo. Ashley aveva già abbastanza guai per conto proprio – diciannove anni, un lavoro precario, una bambina piccola da accudire e un fidanzato povero in canna quanto lei –, e raccontare una cosa simile a Ruby e Mary Margaret era impensabile. Sapeva già che cosa le avrebbero detto, le avrebbero consigliato di stare attenta, di non fidarsi, e non si poteva dire che avessero poi tutti i torti. Tralasciando i licantropi e i serial killer di quella pazza scatenata di Ruby, lei e Mary Margaret avevano sempre avuto ragione sul suo datore di lavoro. Mr. Gold non era il genere di persona che amava aiutare il prossimo. Era il tipo che, quando un cane attraversa la strada, accelera e lo tira sotto. Era il tipo che, quando vede un uomo a terra, lo prende a calci, anziché aiutarlo a rialzarsi. Non s’era mai sentito che facesse qualcosa senza un doppio fine. Ogni suo gesto era accuratamente calcolato, ogni sua azione finalizzata ad un tornaconto personale.

Mr. Gold era Mr. Gold, niente di più e niente di meno. Ma allora, perché l’aveva salvata?

Belle, per la prima volta, non vedeva l’ora che quella domenica finisse e arrivasse lunedì. Dopo quel che era successo, Mr. Gold non poteva non dire nemmeno una parola a riguardo, no? Anche se, conoscendo il soggetto, non c’era da esserne tanto sicuri…

In ogni caso, quel che aveva fatto restava: Mr. Gold l’aveva salvata dalle grinfie di Gaston, e di questo lei non poteva che essergliene grata. Forse, pensò, lei e le sue amiche si erano sbagliate, sul suo conto…Forse, l’intera Storybrooke si era sbagliata…Forse, Mr. Gold non era poi così cattivo come voleva apparire…

Belle fece una smorfia.

Forse c’erano un po’ troppi forse nel suo ragionamento.

 

***

 

Belle, quella mattina, aveva puntato la sveglia due ore prima del solito, pur di riuscire ad arrivare puntuale. Se non ce la faceva quella volta, beh, allora aveva la certezza di essere un caso senza speranza…

Invece, sorprendentemente, quella mattina arrivò puntuale al negozio. Belle non poté trattenere un sorriso di soddisfazione nel vedere l’espressione incredula negli occhi di Mr. Gold mentre guardava prima lei poi l’orologio.

- Che piacevole sorpresa, Miss French…- commentò, con la sua solita ostentata noncuranza.- Ormai cominciavo a disperare di vederla comparire in orario…

- Mai dire mai, Mr. Gold - rispose Belle, allegra.

Mr. Gold non rispose, limitandosi a darle le spalle mentre lei posava la borsa e si toglieva di dosso la giacca. Belle notò che sul pavimento erano posati diversi scatoloni sigillati con del nastro adesivo; dovevano essere arrivati prima che il negozio aprisse, pensò.

- Sono arrivati alcuni libri stamattina…- disse d’un tratto Mr. Gold, facendola sobbalzare.

La ragazza tornò a fissare gli scatoloni.

- Immagino che non ci sia bisogno che ti dica cosa devi fare…- ghignò Mr. Gold indicando uno scaffale rimasto semi vuoto contro una parete del negozio. Belle si chinò su uno degli scatoloni, iniziando ad armeggiare con il nastro adesivo. La ragazza gettò un’occhiata allo scaffale: gli unici ripiani rimasti vuoti erano proprio quelli in cima.

- Credo che mi occorrerà una scala…- mormorò, guardando il proprietario.

- La trovi sul retro, tesoro - rispose Mr. Gold, senza alzare lo sguardo dal bancone su cui erano poste alcune scatole.

Belle si alzò, dirigendosi verso il magazzino. C’era una scala a pioli, di quelle scorrevoli che si usavano nelle biblioteche, di legno ma così pesante che la ragazza ebbe un bel da fare a spostarla. Belle la trascinò in negozio con cautela, sperando di non fracassare accidentalmente qualche antico e fragile oggetto urtandolo con uno dei montanti. La ragazza posò la scala contro la parete, tirando un sospiro. Raccolse una pila di libri dallo scatolone e iniziò a salire attentamente i gradini, reggendosi con una mano sola. Gettò un’occhiata a Mr. Gold: aveva appena aperto una scatola foderata in velluto rosso, in cui era riposto un servizio da thé in porcellana. Belle vide il proprietario estrarne una tazzina dal bordo scheggiato e riporla in una vetrinetta alle sue spalle.

- Credevo l’avesse gettata via…- mormorò, riconoscendo la tazza che lei aveva rotto.

Mr. Gold la guardò.

- E perché avrei dovuto farlo?

- Beh, è scheggiata…

- L’hai detto anche tu, mia cara, si vede appena. E io non sono il tipo di uomo che spreca le cose. Al peggio, la venderò a qualche anziana signora che la userà per dare da bere al gatto…

Belle ridacchiò brevemente, quindi riprese a salire la scala. I montanti erano mezzi tarlati, e traballavano. Un movimento un po’ troppo brusco della ragazza fece ballare la scala, e Belle, in cima ai gradini, dovette aggrapparsi con una mano alla libreria.

Mr. Gold le si avvicinò, lentamente, squadrandola mentre lei riprendeva a riporre i libri sullo scaffale. La scala traballò ancora, e Belle s’immobilizzò.

- Devo aspettarmi che tu cada fra le mie braccia?- ironizzò Mr. Gold, non appena la ragazza riprese a muoversi. Non parve accorgersi di quanto equivoca potesse suonare la domanda.

- Questo aggeggio non è per niente sicuro!- protestò Belle, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi.- Quando è stata utilizzata l’ultima volta, durante la guerra di Secessione?

- Sì.

Belle lo guardò, sorridendo brevemente per l’ironia. Aveva ancora un libro fra le mani; si sporse dalla scala nel tentativo di riporre il volume nell’unico spazio rimasto libero. Belle annaspò, allungando il braccio. La scala traballò nuovamente. La ragazza perse l’equilibrio, cercò di aggrapparsi allo scaffale, ma fu tutto inutile. La scala scivolò sul pavimento e Belle cadde.

La ragazza chiuse gli occhi, pronta ad un impatto col suolo che non arrivò mai. Belle sentì la propria caduta arrestarsi all’improvviso prima che lei toccasse il pavimento. Tenne gli occhi serrati mentre sentiva il fracasso della scala e di alcuni libri caduti sul terreno, e solo allora si decise a riaprirli, incrociando quelli di Mr. Gold.

Il proprietario guardò prima lei poi la scala. Belle era incredula. Mr. Gold l’aveva…presa in braccio! L’aveva presa in braccio per evitare che cadesse!

Belle rimase per un attimo interdetta; i suoi occhi tornarono ad incrociare quelli di Mr. Gold. In un attimo, la ragazza si riscosse, posando velocemente i piedi a terra.

Mr. Gold si allontanò da lei, lisciandosi la giacca.

- Grazie…- soffiò la ragazza, senza guardarlo.

Mr. Gold le scoccò una breve occhiata, abbozzando un sorriso.

- Di niente…- rispose, allontanandosi in direzione del bancone.

Belle guardò i libri sparsi sul pavimento e la scala abbandonata ai suoi piedi.

- Penso…penso che sia il caso che rimetta in ordine qui…- mormorò, con un sorriso di scuse.

Mr. Gold si voltò a guardarla.

- Non ce n’è bisogno. I libri possono aspettare anche domani - disse; si schiarì la voce. - Hai…hai ragione, quella scala non è sicura. Non voglio che tu ti faccia male…

Si voltò senza aggiungere altro, tornando al bancone.

Belle sorrise timidamente, chinandosi a raccogliere i volumi da terra. Mr. Gold aveva ragione. Era caduta letteralmente fra le sue braccia.

 

***

 

Quella sera, Gold seguì Belle un attimo dopo che lei uscisse dal negozio. La ragazza rimase a guardarlo mentre chiudeva a chiave la porta.

- Ti accompagno a casa - disse, con un tono così fermo da non ammettere replica.

Belle rimase interdetta.

- Perché?

- Beh, perché è pieno di individui che non accettano i no - ghignò Mr. Gold, camminandole a fianco.

Belle non rispose, e continuò a procedere lentamente, adeguandosi al passo claudicante dell’uomo, a capo chino.

- Ti fa ancora male?- chiese ad un tratto Mr. Gold, accennando alla mano fasciata della ragazza. Belle scosse silenziosamente il capo.

- E quell’idiota dell’altra sera? Che intendi fare con lui?

- Gaston non mi darà più fastidio…- mormorò Belle, cercando di apparire convinta.

- Come fai ad esserne certa?

- Perché v’interessa tanto?- domandò; nonostante tutto, non si fidava ancora di Mr. Gold.

- Beh, diciamo che di questi tempi è difficile trovare un’assistente come si deve, tutto qui…- ghignò.

Belle sorrise; malgrado tutto, quell’umorismo un po’ nero non le dispiaceva.

La ragazza aprì la bocca per parlare, quando uno strano brusio attirò la loro attenzione. Si trovavano all’angolo di una via, e Belle si sporse a guardare nel vicolo.

Era in corso una lite fra un gruppo di ubriachi. Quattro o cinque uomini si stavano insultando sonoramente, e non c’era dubbio che presto sarebbero arrivati alle mani, se un uomo sulla trentina, piuttosto alto e dai capelli scuri e brizzolati, apparentemente sobrio, non si fosse posto in mezzo a tentare di dividerli.

Belle riconobbe con orrore che uno dei rissosi era suo padre.

- Oh, no…- mormorò, correndogli incontro. Il giovane dai capelli brizzolati fermò appena in tempo un pugno di Maurice prima che questo colpisse un altro degli ubriaconi.

- Va’ a farti fottere, Jefferson!- biascicò Maurice, ingurgitando un sorso di vino bevendo a canna dalla bottiglia. Belle gli si avvicinò, toccandogli un braccio.

- Papà, che stai…

- Tu!- mugugnò Maurice, squadrandola con rabbia.- Che ci fai qui, tu? Perché non sei a casa a pulire, stupida ragazzina inutile che non sei altro!

- Lo porti a casa, signorina…- fece Jefferson, gettando a French un’occhiata truce.- Ha già combinato abbastanza casini, per stasera…

Belle fece per tirare via suo padre, ma Maurice si voltò di scatto verso di lei, assestandole un sonoro schiaffo su una guancia.

- E lasciami in pace, rompicoglioni! So cavarmela da solo…

- Papà, basta, sei ubriaco…

- Ho detto di levarti dalle…- Maurice fece per allungarle un’altra sberla, ma qualcuno fermò il suo braccio. French alzò lo sguardo, incontrando gli occhi neri di Mr. Gold.

Maurice si divincolò.

- Che cosa vuole lei? Non s’immischi!- abbaiò.- Non ti è bastato avermi succhiato via il sangue, porco viscido bastardo che non sei altro!

- M’immischio quanto mi pare, quando vedo certe ingiustizie…- disse Mr. Gold, calmo, accennando a Belle, la quale si accorse di avere ancora la mano premuta sulla guancia offesa.

- Questi sono affari di famiglia, non la riguardano!- biascicò Maurice.

- Mi riguardano, invece, se un ubriacone mette le mani addosso ad una ragazza che cerca di aiutarlo, solo per il gusto di farlo!- ringhiò Mr. Gold.

Belle rimase interdetta. Maurice aprì di nuovo la bocca per replicare, quando Jefferson intervenne nuovamente.

- Se non se ne va immediatamente da qui, chiamo la polizia!- minacciò.

Maurice non rispose, ma si allontanò ancora di qualche passo, lanciando a Gold un’occhiata truce.

- Non provare mai più a metterti in mezzo, bastardo! E sta’ lontano da mia figlia!- biascicò, buttando giù un altro sorso di alcool. Si volse verso la figlia, afferrandole una spalla e spingendola in avanti.- Forza, muoviti! A casa, fila!

Belle ubbidì, tenendo lo sguardo fisso sul marciapiede e iniziando ad incamminarsi verso casa, seguita da Maurice che borbottava insulti e maledizioni a mezza voce. La ragazza si voltò a guardare indietro solo un istante, rivolgendo uno sguardo di scuse a Mr. Gold, il quale le rispose con un sorriso molto simile ad un ghigno, ma che a Belle parve la cosa più rassicurante del mondo.

 

Angolo Autrice: Hello everyone!

Dunque, come penso abbiate capito, sto cercando di mantenere un equilibrio tra originalità e “tradizione”, nel senso che sto cercando di raccontare la loro storia basandomi sui fatti della serie ma anche aggiungendo qualcosa di mio…l’unica cosa che spero è di non combinare un casino! XD.

Allooora, per quanto riguarda il cognome di Gaston…so che potrebbe suscitare qualche perplessità, ma ho optato per Prince (principe) essenzialmente per due motivi: 1. si presume che sia ricco, e quindi il cognome va da sé 2. anche nel film La Bella e la Bestia, lui era supposto un po’ come il Principe Azzurro…

Per quanto riguarda Maurice: ho scritto diverse storie sul tema della Belle e la Bestia, ma questa è la prima volta che mi cimento col modello “padre stronzo”, come direbbe Sylphs, e spero di non aver esagerato…voi che dite?

Bene, non mi resta che ringraziare tutti coloro che leggono questa ff, in particolare NevilleLuna per averla aggiunta alle seguite, e Nimel17 e Sylphs per aver recensito.

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Bacio,

Dora93

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Capitolo 5
*** Rumpelstiltskin ***


 

Rumpelstiltskin

 

La campanella suonò, ponendo fine ad un’altra giornata contrassegnata dalla peggiore tortura che da secoli affliggeva crudelmente tutti i bambini dai sei ai dieci anni: la scuola.

Henry non poté non tirare un sospiro di sollievo, mentre tutti gli altri suoi compagni balzavano in piedi rovesciando libri, sedie e anche un paio di banchi. Miss Blanchard batteva le mani nel tentativo di riportare un po’ d’ordine, ma anche lei sorrideva dell’allegria dei bambini. Era una brava maestra, Miss Mary Margaret Blanchard: una ragazza di appena vent’anni, intelligente, solare e sempre sorridente. Henry pensava sempre di essere stato fortunato ad avere lei, come maestra, anziché una di quelle altre streghe vecchie, brutte e cattive delle altre insegnanti, ma nonostante Miss Blachard fosse un tesoro, era comprensibile che tutti i bambini fossero contenti di tornarsene a casa, quel giorno: era l’inizio delle vacanze di Natale.

- Arrivederci, Miss Blanchard!

- Buon Natale, Miss Blanchard!

- Buon Natale, ragazzi, ci vediamo dopo le vacanze!

Tutti i suoi compagni trotterellavano e correvano allegramente fuori dall’aula, ma Henry uscì con calma, senza fretta. Non era mai stato un bambino pestifero o scalmanato – come sospiravano sempre piene d’invidia le amiche di sua madre –, e poi, aveva qualcosa di molto interessante da fare, ora che non c’era lezione.

Henry uscì nel cortile della scuola con il libro di fiabe aperto sotto il naso, avviandosi in direzione del parco senza smettere di leggere. Era dicembre, ma stranamente quell’anno la neve non era ancora caduta e, nonostante il vento freddo e pizzicante che soffiava, la giornata poteva ancora permettergli di sedersi per un po’ su una panchina all’aperto, a leggere. Henry notò che quasi tutti i suoi compagni erano al parco a giocare, ma decise di non unirsi a loro. Si sedette, riprendendo a leggere: quel libro di fiabe gli piaceva proprio. Era diverso da tutti gli altri, non c’erano solo le solite favole come Biancaneve, Cenerentola o Cappuccetto Rosso, ma anche tante storie che Henry non aveva mai letto prima di allora, come Pinocchio, Il Gatto con gli StivaliLa Bella e la Bestia

Già, La Bella e la Bestia era la favola che più lo incuriosiva. Aveva chiesto a sua madre di leggergliene qualche riga la sera precedente, prima di andare a letto, ma non aveva voluto che la terminasse. A Henry piaceva così: anziché leggere una storia tutta d’un fiato, preferiva farlo un poco alla volta, riga per riga, pagina per pagina, godendo di ogni momento di suspence e chiedendosi con trepidazione come andasse avanti.

- Ehilà, Mills!- esclamò una voce squillante, facendolo sobbalzare.

Henry sollevò di scatto il naso dal libro, incontrando un paio di occhioni azzurri e un sorriso smagliante su un visetto ovale incorniciato da dei capelli biondi legati in due trecce.

- Ciao, Paige…- soffiò il bambino.

Paige Jefferson era una sua compagna di classe, ma lei e Henry non erano mai stati molto amici. Non è che Paige fosse antipatica oppure stupida, ma era una femmina. E maschi e femmine, pensava Henry, dovevano restarsene ben lontani, se non si voleva finire in una zuffa.

- Che fai qui da solo?- trillò la bambina.

Henry fece spallucce.

- Che stai facendo?- Paige si sporse in avanti, sbirciando sulle pagine del libro. Henry lo ritrasse, stringendoselo al petto.

- Niente. Leggevo.

- Posso vedere?- senza aspettare risposta, Paige si sedette con un balzo sulla panchina, avvicinandosi a Henry. Il bambino avrebbe di gran lunga preferito continuare a leggere da solo, ma gli sembrava scortese mandare via Paige.

- Che cos’è? Un libro di favole?

Henry annuì.

- E che favola stai leggendo?

- La Bella e la Bestia.

- La Bella e la Bestia?- ripeté Paige, guardando Henry come se fosse stato un marziano.- E che roba è?

- Non lo so, ma per ora sembra interessante…

- Di che parla?

- Beh, non l’ho ancora finita tutta. Inizia con un mercante molto povero, che deve badare a sei figli, tre maschi e tre femmine. A un certo punto, parte per cercare fortuna, e capita in un castello incantato, dove ruba una rosa…

- Una rosa?- fece Paige, scettica.- Perché avrebbe dovuto rubare una rosa? Mia nonna ne ha il giardino pieno, a che gli serve una rosa?

- La voleva regalare alla sua figlia più piccola.

- Boh, strano…E poi che succede?

- Succede che il castello è abitato da una bestia, che si arrabbia per il furto, e dice al mercante che, se vuole avere salva la vita, allora deve mandare al suo posto una delle sue figlie…

- E lui che cosa fa?

- Beh, accetta, mi pare di aver capito. Sono arrivato solo fino a qui. Manda dalla bestia la figlia più piccola, che è anche la più bella e la più buona.

- Era quella che voleva la rosa, giusto?

- Sì.

- Ora capisco cos’è saltato in mente a Moe French…- fece Paige, pensierosa.

Henry la guardò, stralunato.

- Moe French?

- Non lo sapevi? Lo dicono tutti, qui in città…- Paige gli si avvicinò, sussurrandogli in un orecchio.- Ha venduto sua figlia a Mr. Gold.

Henry rimase interdetto. Tutti in città, conoscevano Moe French e Mr. Gold. Il primo era un fioraio, anche se si diceva che trascorresse più tempo al bar, che al negozio. Sua madre – e anche Emma – gli avevano detto spesso di stare lontano da lui, che era un ubriacone, e che era meglio non fidarsi. La stessa cosa valeva per Mr. Gold, anche se per altri motivi. Henry sapeva molto poco di lui, solo che vestiva sempre di nero e che era un uomo molto, molto cattivo che si divertiva a far soffrire le persone. Quanto alla figlia di Moe French, non aveva neanche idea di come si chiamasse, ma qualche volta l’aveva vista passeggiare chiacchierando insieme a Miss Blanchard, e gli era sembrata una ragazza molto dolce e molto bella, con quei suoi lunghi capelli castani e gli occhi azzurri.

E ora Moe French l’aveva venduta – proprio così, venduta a Mr. Gold, aveva detto Paige. Ma no, lo stava sicuramente prendendo in giro! Henry non sapeva che cosa fosse saltato in mente a Paige, ma era più che sicuro che non si potessero vendere e comprare le persone, era impossibile! Sì, sicuramente quell’oca voleva fargli uno scherzo.

Il bambino la guardò, serio.

- E’ una bugia - disse.

- Non è una bugia!- Paige scattò in piedi, indignata.- Lo dicono tutti, in città, e ieri sera il mio papà li ha visti insieme, Mr. Gold e la figlia di Moe French! E il mio papà non dice mai bugie!

Henry la fissò ad occhi sgranati. Non aveva mai visto Paige arrabbiata. Faceva anche un po’ paura. Non quanto sua madre o Emma quando si arrabbiavano, ma certo non scherzava. Perché se la sarebbe presa tanto, allora? Henry conosceva di vista il padre di Paige, e una volta lei gli aveva detto che lavorava all’ospedale di Storybrooke come infermiere. Jefferson era una brava persona, in effetti, perché avrebbe dovuto mentire?

Paige era paonazza di rabbia. Prima che Henry potesse reagire, lei lo afferrò per un braccio, tirandolo in piedi e cominciando a correre fuori dal parco.

- Vieni a vedere, se non ci credi!

 

***

 

Belle era certa che, un giorno di questi, suo padre l’avrebbe fatta morire di vergogna. Era una cosa orribile da pensare, ma era così. Con Ruby, Mary Margaret e Ashley, non c’era bisogno di parole, loro sapevano come stavano le cose e non la commiseravano falsamente come invece faceva chiunque altro. Da anni, Belle aveva imparato ad intercettare le occhiate cariche di pietà e disprezzo che le scoccavano i passanti per strada, allorché la riconoscevano come la figlia di quell’ubriacone di Maurice French. Quella era la reazione che si sarebbe aspettata da chiunque, eccetto che da Mr. Gold. Belle non sapeva come avrebbe reagito il suo datore di lavoro, che avrebbe detto in merito a ciò che era successo la sera precedente. Suo padre l’aveva aggredito senza un motivo, solo perché lui aveva cercato di difenderla, era già tanto che non l’avesse licenziata seduta stante. Ma, pensò Belle, probabilmente Mr. Gold non avrebbe sprecato la sua intelligenza in inutili manifestazioni di dispiacere per la sua sfortunata esistenza. Era più il tipo che ti fissava con un sorrisetto sprezzante senza curarsi di nascondere il disgusto che gli ispiravi. Oppure, si sarebbe risparmiato anche questo e una volta giunta alla porta le avrebbe detto di tornarsene a casa e di non farsi più vedere.

Sì, c’era da aspettarselo.

Belle quella mattina percorse tutto il tragitto che separava casa sua dal negozio di Mr. Gold con il cuore in gola, tanto che quando aprì la porta d’ingresso si sentì quasi sollevata, al pensiero che la tortura sarebbe finita presto.

Mr. Gold, con sua grande sorpresa, non le disse nulla in merito all’accaduto. Si limitò a salutarla freddamente come al solito, quindi le indicò i libri che erano rimasti sparsi sul pavimento dal giorno prima.

- Ho fatto in modo di procurarmi una scala decente - spiegò, con voce incolore.- Quindi, non c’è più alcun motivo per cui quei libri debbano rimanere abbandonati a terra ancora a lungo…

Non c’era bisogno della sfera di cristallo per capire cosa c’era scritto fra le righe: metti a posto e datti una mossa!

Mr. Gold si eclissò come al suo solito nel retrobottega, e Belle si mise al lavoro. Il giorno prima era troppo impegnata a mantenersi in equilibrio sulla scala traballante per prestare attenzione a qualunque altra cosa, ma ora che era sola poteva permettersi il lusso di sbirciare di che genere di libri si trattasse. Belle adorava leggere, fin da quando era piccola. Era un’altra delle cose che aveva ereditato da sua madre, l’amore per i libri e la lettura. Le piaceva immergersi fra le righe di un romanzo, che magari parlava di posti lontani o amori impossibili, e l’aiutava, almeno per un poco, a dimenticare tutti i suoi guai. Suo padre aveva sempre giudicato i libri un’inutile perdita di tempo, ed era ben raro che tollerasse di vedere la figlia mentre si perdeva in stupidi passatempi, motivo per cui Belle trovava sempre qualche scusa per rifugiarsi in biblioteca, a volte anche per delle ore. Quando aveva un libro fra le mani, non riusciva a trattenersi dall’aprirlo.

Quelli che Mr. Gold le aveva affidato erano libri antichi – c’era da aspettarselo, vista la quantità di pezzi d’antiquariato che si trovava lì dentro – alcuni vecchi più di cinquant’anni. Le copertine marroni erano rigide e le pagine ingiallite, ma i testi erano ancora perfettamente leggibili. C’era di tutto, romanzi, enciclopedie, vocabolari…e un libro di favole.

Non appena Belle se lo ritrovò fra le mani, non poté fare a meno di aprirlo. C’era qualunque tipo di favola, notò immediatamente, da quelle romane, alle filastrocche per bambini, a quelle più classiche di Perrault e dei fratelli Grimm. A questo proposito, Belle trovò una versione molto interessante della fiaba di Hansel e Gretel, in cui la storia che tutti conoscevano era lì invece presentata nella forma originaria, ovvero un racconto che, per certi aspetti, rasentava l’horror.

Belle iniziò a leggere ancora appollaiata sulla scala a pioli e, come spesso le succedeva, il tempo e lo spazio iniziarono a non esistere più.

- Non sei qui per leggere, dearie…

Belle sobbalzò all’improvviso, e quasi fu sul punto di cadere di nuovo.

- …e sto cominciando a pensare che tu e le scale non andiate affatto d’accordo - concluse Mr. Gold, con un sospiro rassegnato.- Non pretenderai che ti prenda in braccio ogni volta che perdi l’equilibrio, vero?

- Mi scusi…- soffiò la ragazza, rossa in volto, rimettendo il libro a posto.

Mr. Gold ghignò, tendendo una mano aperta verso di lei.

- Posso avere l’onore di sapere che cosa di così interessante ti ha distratta dal lavoro?

Belle esitò un attimo, quindi gli porse il libro, piena di vergogna. Mr. Gold lo sfogliò distrattamente, mentre lei ritornava, in teoria e in pratica, con i piedi per terra. L’uomo le restituì il libro con il suo solito ghigno beffardo.

- Non mi sarei potuto aspettare nulla di diverso da te, in effetti…- fece per andarsene.

- Che intende dire?- domandò Belle, corrucciata. Aveva la strana sensazione di sapere a cosa alludesse Mr. Gold.

- Ti piacciono le favole, vedo.

- Ero solo curiosa…

Mr. Gold sorrise fra sé.

- Curiosità e gatti. Una combinazione pericolosa.

- Che intendeva dire con “mi sarei potuto aspettare nulla di diverso da te”?- insistette Belle.

- Intendevo dire che sei esattamente il tipo da favole, dearie…

- E che c’è di male?- fece Belle.- Mi piacciono le favole, è vero…

- Buon per te, dearie.

- A lei no?

Mr. Gold le scoccò un’occhiata.

- Preferisco qualcosa di più concreto, grazie.

- Per esempio?- incalzò la ragazza; non l’avrebbe mai ammesso neanche a se stessa, ma quell’uomo in fondo la incuriosiva.

- Per esempio qualunque cosa sia diverso da improbabili magie e sciocche principesse, dearie - rispose Mr. Gold, evasivo.

- Non tutte le favole sono così.

- Perdonami, dearie, ma stento a cogliere il significato di questa conversazione.

- E’ una conversazione come un’altra, tutto qui. Lei parla solo se costretto…- aggiunse Belle, a mezza voce, distogliendo per un attimo lo sguardo.

- E’ un modo come un altro per risparmiare fiato e tempo - ghignò Mr. Gold.

- Ma così non ha alcun senso!

- Così come non ha senso questa specie di ping pong verbale che, vedo, ha preso una direzione completamente diversa da quella iniziale…

- E’ il bello delle chiacchierate, no?- Belle sorrise, sedendosi su di uno sgabello.- Non si sa mai dove portano…

- Motivo per il quale tendo a parlare il meno possibile.

- Parlare non è uno spreco di tempo. Anzi, è un modo perfetto per impiegarlo.

- E per quale motivo, se posso chiedere?

- Parlare può aiutare a conoscere le persone.

- Forse a me questo non interessa, dearie - ghignò Mr. Gold.

- Ma a qualcun altro potrebbe interessare conoscere lei.

- Ne dubito fortemente.

- Come fa a esserne certo?

- Ti stai forse proponendo come candidata, dearie?

- Forse.

- Perché ci tieni tanto a parlare con me?- Mr. Gold sembrò rabbuiarsi, ma Belle non ci badò.

- Diciamo che trascorrere le mie giornate qui in silenzio religioso ha cominciato a stancarmi…

- E parlare di storie per bambini aiuterebbe, dici?

- Beh, credo che sarebbe una maniera per iniziare. Qual è la sua favola preferita?- domandò.

Mr. Gold le lanciò un’occhiata scettica.

- Hai la testa dura, eh?

- Le ho solo fatto una domanda.

- Mi pareva di aver messo in chiaro che non m’interessano certe sciocchezze.

- Ma dovrà pur conoscerne qualcuna!- esclamò Belle.

Mr. Gold la guardò per un attimo, quindi le sorrise.

- Non la conosci.

- Mi metta alla prova.

- Non è come le altre stupide favole per bambini, scommetto che non l’hai mai sentita nominare in vita tua…

- Tentar non nuoce.

- E’ Rumpelstiltskin - ammise Mr. Gold.

Belle non rispose, rimanendo a guardarlo per qualche istante. Mr. Gold si aprì in un altro dei suoi sorrisi beffardi.

- Che ti avevo detto, dearie?

- Non ho detto di non conoscerla - disse la ragazza, calma.- Mi stavo solo chiedendo come possa piacerle una favola così cupa.

- Cupa, hai detto?

Belle annuì.

- Un folletto maligno che vuole strappare ad una madre il proprio figlio. Che se ne fa, poi, di quel bambino…La conosco, la favola di Rumpelstiltskin, e non mi è mai piaciuta, nonostante avesse un lieto fine…

- Per quanto mi riguarda, credo che sia stato proprio il lieto fine a stonare…

- Avreste preferito che Rumpelstiltskin prendesse il bambino?

- Avrebbe semplicemente ottenuto ciò che era suo - ghignò Mr. Gold.- I patti si rispettano, dearie, quali che siano.

La ragazza lo guardò, esterrefatta.

- Che c’è? Ti sembro cinico, forse?

- A dire il vero, sì - rispose Belle.

- E’ solo una favola, dearie.

- Ma le favole, a volte, rispecchiano come siamo - la ragazza lo guardò negli occhi.- E lei e Rumpelstiltskin siete della stessa pasta…

Mr. Gold la guardò per un lungo istante, sorridendo. Belle ebbe l’impressione che si stesse burlando di lei e della sua ingenuità.

- Io sono un uomo pratico, dearie, te l’ho già detto - disse Mr. Gold.- Io pretendo sempre quello che mi spetta, e non mi lascio mai commuovere da false moine, tutto qui. Tu, invece, sei evidentemente di un altro parere - ghignò nuovamente.- Allora, sentiamo, dearie: qual è la tua favola preferita?

Belle boccheggiò, cercando una risposta. Solo in quel momento si rendeva conto di non avere una favola preferita. Eppure, pensò, tutti, che le diano importanza o no, ne hanno una. Mary Margaret adorava la favola di Biancaneve, Ashley amava alla follia Cenerentola e Ruby andava pazza per Cappuccetto Rosso. Perfino Mr. Gold ne aveva una. E lei?

Era una cosa senza importanza, era inutile stare lì a prendersela tanto, questo lo sapeva bene. Ma aveva iniziato lei quel discorso, dopotutto, e ora non poteva non rispondere.

 

***

 

- Ripetimi un po’ perché siamo in mezzo all’immondizia?!- sbuffò Henry, arrancando in mezzo alla spazzatura nel tentativo di salire su un cassonetto posto proprio sotto la finestra del negozio di Mr. Gold.

- Perché almeno potremo vedere che sta facendo Mr. Gold a quella poveretta!- lo rimbeccò Paige.- Dai, aiutami a salire!

Henry sbuffò nuovamente, quindi afferrò Paige per le caviglie. La bambina si aggrappò al coperchio del cassonetto, mentre il suo compagno tentava di issarvela sopra. Paige scivolò, e il suo fondoschiena finì dritto contro le spalle di Henry, il quale annaspò.

- Ma quanto mangi?!

- Zitto e tirami su!

Henry fece forza sulle proprie ginocchia, spingendo Paige sopra al cassonetto. La bambina si aggrappò al coperchio, riuscendo infine a salire. Tese le mani ad Henry e lo tirò su.

- Se Mr. Gold ci becca è la volta che finiamo allo spiedo…!- bisbigliò.

- Fa’ silenzio e sta’ a vedere!- sussurrò Paige.

Entrambi si sollevarono sulle punte, sbirciando dalla finestra all’interno del negozio. Mr. Gold era in piedi, con il suo solito ghigno disegnato sulle labbra, gli abiti neri e il bastone con il manico d’argento, e stava parlando con una ragazza seduta di spalle. La figlia di Moe French, pensò Henry. La ragazza, però, non appariva tanto come una prigioniera o una che è stata venduta dal padre; i due bambini non riuscivano a vederla bene in faccia, ma sembrava quasi allegra, stava sorridendo.

- Ehm…Paige, sei sicura che Moe French l’abbia venduta?- fece Henry. Ora neanche Paige sembrava più tanto convinta.

- Non può essere altrimenti…- disse infine.- Chi starebbe insieme a Mr. Gold, se non fosse costretto?

- Sì, ma non sembra che le stia facendo del mal…

Henry sentì le suole delle scarpe scivolare lungo il coperchio del cassonetto; gettò un grido, afferrando Paige per il cappottino blu e trascinandola giù con sé. I due bambini caddero nella spazzatura con un gran tonfo.

 

***

 

Belle udì dei rumori provenienti dall’esterno, e si voltò di scatto in direzione della porta.

- Cos’è stato?

La ragazza capì dall’espressione di Mr. Gold che anche lui aveva sentito. L’uomo si diresse velocemente verso la porta, seguito da Belle. Non appena uscirono, si ritrovarono di fronte alla scena di due bambini, un maschio e una femmina, che bisticciavano furiosamente distesi in mezzo ad un cumulo di spazzatura. Il bambino aveva i capelli scompigliati e una buccia di banana sulla spalla, mentre la bambina era distesa su di lui di traverso, a pancia in sotto, e tentava disperatamente di rialzarsi.

Entrambi smisero di dimenarsi e di litigare non appena si resero conto di essere osservati.

Mr. Gold fece una smorfia, mentre i due si rialzavano, rossi in volto per la vergogna.

- Henry Mills e Paige Jefferson…- mormorò l’uomo. - Non dovreste essere a casa, voi due?

Nessuno rispose.

- Che ci facevate qui? Perché stavate spiando?- insistette Mr. Gold; Bello lo guardò, sconcertata. Non era così che lei si sarebbe rivolta a dei bambini, ma non poteva dire che Mr. Gold fosse stato duro o eccessivamente severo, nel parlare con loro. Anzi, pensò la ragazza, non sembrava neanche tanto arrabbiato.

- Non…non stavamo spiando…- fece Henry timidamente.

- Ah, no?

Tutti e due scossero vigorosamente il capo. Mr. Gold fece segno loro di avvicinarsi.

Belle lo osservò esterrefatta mentre sistemava velocemente il cappottino di Paige e scompigliava i capelli a Henry per rimetterglieli in ordine.

- Andate a casa. Forza, avete sentito!- fece, con più forza, dato che i due non accennavano a muoversi. Paige e Henry si voltarono, girando velocemente l’angolo.

Belle osservò il volto di Mr. Gold, accorgendosi che stava trattenendo a stento un sorriso.

 

***

 

Non appena furono fuori dalla visuale di Mr. Gold, Henry tirò un sospiro di sollievo.

- Credevo che ci avrebbe scuoiato vivi…- soffiò.- Invece, non mi è sembrato tanto arrabbiato…

- No, neanche a me…- Paige scosse il capo. - Eppure, tutti dicono che è un uomo cattivo…

- Già, anche mia mamma ed Emma lo pensano…Invece, non ci ha fatto niente. E nemmeno alla figlia di Moe French, a quanto pare…

- Io, però, sono sempre dell’opinione che Moe French gliel’abbia venduta…

- Forse.

- Henry?

- Uhm?

- Senti, domani ti…ti andrebbe se continuassimo a leggere ancora un po’ di quella storia?- propose Paige.- Sai, vorrei vedere come va a finire…

- Okay, basta che ad ogni riga non trovi un pretesto per portarmi da Mr. Gold.

- No, sta’ tranquillo - rise Paige.

 

***

 

Contro ogni previsione, quella sera, all’ora di chiusura, Belle vide Mr. Gold affiancarsi a lei senza dire una parola e riaccompagnarla a casa.

- Pensavo…pensavo che non mi avrebbe più voluto accompagnare…dopo quello che è successo ieri sera…- non poté trattenersi dal dire, dopo diversi minuti di silenzio.

- Non sono il tipo da lasciarsi spaventare per così poco, dearie.

- Mi dispiace, per mio padre - disse la ragazza, guardandolo negli occhi.- Mi rendo conto che il suo comportamento è stato…- Belle si bloccò, non trovando le parole. Forse, non c’era nemmeno un modo per descrivere la condotta di Maurice.- Grazie per avermi difesa…- mormorò alla fine.

Gold sollevò un angolo della bocca, una specie di sorriso sghembo.

- Dovere. Lo fa spesso?- aggiunse, dopo poco.- Ti picchia spesso?

La ragazza si strinse nelle spalle.

- Solo quando non so stargli alla larga.

- Non è una scusa. Non dovrebbe farlo.

Belle non seppe che rispondere, e si limitò a chinare il capo.

- Mr. Gold?- fece dopo qualche minuto, quando ormai erano vicini a casa sua.- Mr. Gold, lei dove vive?

- Perché lo vuoi sapere, dearie?

- Beh, è che lei mi accompagna a casa tutte le sere, e…

- Non è un problema, te lo posso assicurare.

- Ma dove vive?- ripeté Belle.

Si fermarono di fronte alla porta di casa sua. Mr. Gold non le aveva risposto, e la ragazza si rese conto che non l’avrebbe mai fatto. Quell’atteggiamento la esasperò.

- Devo trascorrere un anno intero, in sua compagnia - disse.- Posso almeno conoscerla?

Gold, per tutta risposta, si aprì nel suo sorriso simile ad un ghigno.

- A tuo rischio e pericolo. Buona notte, Belle.

- Buona notte.

Gold si allontanò, e Belle entrò in casa.

Fu così che entrambi sparirono dalla visuale di Regina Mills.

Il sindaco aveva sentito i pettegolezzi cittadini in merito a loro due, e aveva deciso di verificare. Da settimane stava cercando il punto debole di Mr. Gold, e forse quella era l’occasione buona per scoprirlo. Quella sera era uscita prima dall’ufficio ed era salita in macchina, attendendo l’orario di chiusura del negozio. Da lontano, aveva scorto Gold uscire in compagnia di una ragazza sui diciotto anni, e accompagnarla fino a quella catapecchia che, Regina presumeva, doveva essere la sua casa.

All’inizio non aveva capito chi fosse la ragazza, ma poi, osservandola, l’aveva riconosciuta.

Era la figlia dell’ubriacone, Isabelle French.

 

Angolo Autrice: Okay, prima di iniziare con gli sproloqui, vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno incoraggiato lo scorso capitolo, siete stati gentilissimi :).

Passando al capitolo, non è uno dei miei parti migliori, lo ammetto, ma andava fatto, e la storia delle favole…beh, dai, una citazione non poteva mancare XD. Per quanto riguarda il nome della figlia di Jefferson, so che a Storybrooke non si chiama così, ma questo nome mi piaceva più dell’altro…e, tanto per assicurarvi che le mie già precarie condizioni mentali non siano degenerate irreversibilmente, Paige e Henry avranno un ruolo fondamentale, più avanti…

Non ho ancora scritto il nuovo capitolo, ma ho idea che ci sarà parecchio fluff, quindi, come sempre, un avvertimento a tutti coloro che hanno problemi con gli zuccheri XD.

Bene, ringrazio _Sybil per aver aggiunto questa storia alle seguite, Daniawen per averla aggiunta alle preferite e per aver recensito, e Sylphs, Samirina e Nimel17 per aver recensito.

Ciao a tutti, al prossimo capitolo :).

Bacio,

Dora93

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Capitolo 6
*** Merry Christmas! ***


 

Merry Christmas!

 

Jefferson non avrebbe mai immaginato che sua figlia fosse amica di Henry Mills. La sua faccia quando aveva aperto la porta di casa e se li era ritrovati entrambi sullo zerbino diceva tutto. Paige aveva sfoderato uno di quei suoi sorrisoni che lo mandavano regolarmente in pozza, e gli aveva chiesto se ti prego, ti prego, ti prego, papà, Henry può restare a cena?.

Dovevano finire di leggere una storia stranissima, aveva spiegato.

Ovviamente Jefferson non era stato psicologicamente ed emotivamente in grado di dirle di no – sua figlia aveva il potere di fargli perdere qualunque forma di autorità e buon senso, quando ci si metteva. E così, alle dieci passate di sera, non era ancora riuscito a liberarsi del piccolo Mills.

Non era la prima volta che Paige portava a casa degli amici, spesso anche senza preavviso, ma ciò che più sconvolgeva Jefferson era che l’amico in questione, quella sera, fosse Henry Mills. La sua bambina non gli aveva mai parlato di lui, o almeno non l’aveva mai fatto in modo da lasciar intendere che fosse più di un compagno di classe. Jefferson conosceva Henry di vista, anche se aveva sentito mormorare qualcosa sul suo conto. Il figlio del sindaco era descritto da tutti come un ragazzino dolce ed educato, ma anche molto timido e riservato, silenzioso e poco vivace; Paige, al contrario, era una bambina sì gentile e dolcissima, ma ciò non toglieva nulla al fatto che fosse un’adorabile terremoto e una chiacchierina di prima categoria. Insomma, Henry e sua figlia erano due poli opposti.

Tuttavia, nel corso di quel pomeriggio di giochi e di quella cena che sembravano non finire mai, Jefferson iniziò a credere sempre di più nella teoria dell’attrazione fra opposti. Henry era un bambino educatissimo e intelligente, e Paige sembrava divertirsi come non mai con lui. Tanto più che Jefferson si sentì sollevato quando vide che, a differenza degli altri amici di sua figlia, il ragazzino non aveva nessuna intenzione di iniziare con lei una battaglia di lancio di patatine fritte.

Henry aveva preferito divorarle tutte, le patatine fritte. Quand’era entrato in casa di Paige, era rimasto sconvolto dal caos che vi regnava. La casa di Jefferson e sua figlia era molto piccola, e al pianterreno atrio, cucina e salotto si confondevano l’uno con l’altro. Vestiti, cuscini, oggetti vari giacevano qua e là sparsi sul pavimento e sul sofà, mentre il ripiano della cucina era pressoché invisibile, sepolto da una quantità inverosimile di stracci e stoviglie, alcune pulite, altre meno. Sul tavolo erano sparse delle patatine il cui sacchetto aperto era abbandonato sul ripiano, e al piano superiore la cameretta di Paige era sommersa da giocattoli sparsi dovunque. Henry non era abituato a tutto questo: sua madre teneva molto all’ordine e alla pulizia, la sua grande casa era sempre lucida, così come la sua stanza, dal momento che la mamma era rigidissima e assai poco tollerante se si trattava di giocattoli sparsi a casaccio sul tappeto. Lo stesso valeva per la cena. Henry aveva gustato fino in fondo ogni portata, senza preoccuparsi di sembrare maleducato quando si trattava di chiedere il bis. Sua madre pretendeva sempre che lui mangiasse le verdure a pranzo e a cena, e il cibo era rigorosamente nutriente e a base di proteine e vitamine. Era ben raro che gli permettesse di assaggiare qualcosa di fritto o di poco salutare, e anche un semplice gelato richiedeva ore e ore di suppliche.

Invece, ora Henry cominciava a chiedersi dove una bambina smilza come Paige mettesse tutte quelle schifezze. A cena erano state servite patatine fritte con ketchup e maionese, hamburger, coca cola al posto dell’acqua, e per finire una torta di mele, il tutto corredato da merendine al cioccolato e caramelle varie che erano avanzate dalla merenda. Tutti cibi deliziosi, ma pronti. Henry non aveva detto nulla e si era limitato a mangiare, ma sapeva che, se Jefferson aveva cucinato in quel modo, non era certo perché aveva un ospite o perché quella sera non avesse voglia di mettersi ai fornelli. Semplicemente, aveva cucinato ciò di cui era capace.

Paige non aveva la mamma. O meglio, ce l’aveva, ma la moglie di Jefferson era morta in un incidente stradale molti anni prima, quando la bambina non aveva neanche due anni. Paige era sempre stata con il padre, e Jefferson adorava sua figlia, ma faceva quello che poteva. I doppi turni all’ospedale lo sfiancavano, ma quando tornava a casa era sempre allegro e affettuoso con lei, anche se non si poteva dire che fosse un casalingo modello. Non sapeva cucinare e bastava guardare in che condizioni versava la casa per capire che non metteva in ordine da settimane. Ma Paige non se n’era mai lamentata, anzi, Henry era convinto che fosse la bambina più felice e allegra che conoscesse.

Finalmente, terminata la cena – conclusasi alle dieci e mezza passate! –, Jefferson ebbe modo di capire a cosa fosse dovuta l’intrusione di Henry Mills. Si sarebbe aspettato che lui e Paige filassero di nuovo in camera della bambina e riprendessero a ridere e a giocare come avevano fatto per tutto il pomeriggio; invece, senza dire una parola, entrambi erano andati a sedersi sul divano, dove il ragazzino aveva aperto un grosso libro nel quale avevano immediatamente affondato i nasi. Dopo un po’ di tempo di assoluto silenzio – da quanto tempo non lo sentiva? Una decina d’anni? –, Jefferson si decise ad andare in salotto per vedere cosa quei due stessero leggendo di così interessante da farli stare buoni, zitti e fermi in quel modo.

- Che state leggendo?- chiese, senza tanti giri di parole.

- Una favola - rispose Paige, senza staccare gli occhi dal libro.

- Uhm…interessante…che favola?- insistette Jefferson.

- S’intitola La Bella e la Bestia - spiegò Henry.

- Oh!- fece Jefferson.- Sì, l’ho letta, una volta…una favola molto bella…

- Non dirci come va a finire!- si affrettò a dire Paige.- Vogliamo vedere cosa succede…

Jefferson rise.

- Non sia mai, lungi da me rovinarvi il divertimento!- ridacchiò.- E a che punto siete arrivati?

- A quando la Bella arriva al castello della Bestia…- rispose Henry, continuando a leggere.

- Sai, io credevo che se la volesse mangiare…- fece Paige.- Invece, è molto gentile…Le fa persino dei regali, e fa di tutto perché stia bene nel castello…

- Davvero?- sorrise Jefferson, divertito.

- Sì. Proprio come Mr. Gold e la figlia di Moe French.

All’ultima frase della figlia, Jefferson sgranò gli occhi.

- Come dici, Paige?

- Ancora con questa storia?!- Henry la guardò, esterrefatto.- Abbiamo già rischiato grosso, oggi…

- Rischiato grosso?

- Ma è vero, scusa!- protestò Paige, ignorando le domande del padre.- E’ uguale alla Bella e la Bestia. Anche Moe French ha venduto sua figlia a Mr. Gold, ma lui non le ha fatto del male. Hai visto, oggi? La stava trattando bene!

- Ma Mr. Gold non è una bestia!- fece Henry, con ovvietà.

- No, ma ieri Ava mi ha raccontato che Moe French è andato da suo padre e gli ha detto mia figlia ha accettato di lavorare per quella bestia!

- Fermi, fermi, aspettate un momento!- sbottò Jefferson, cercando di riacquistare un briciolo della propria autorità genitoriale.- Che state dicendo di Mr. Gold e Isabelle French?

Henry aprì la bocca per rispondere, ma il suono improvviso del campanello lo zittì. Lo scampanellio si ripeté due o tre volte di fila.

- Arrivo!- urlò Jefferson, avviandosi a grandi passi verso la porta.

Paige ne approfittò per scoccare a Henry un’occhiata trionfante.

- Hai sentito?- disse.- Isabelle French…Belle…che ti avevo detto?

Henry la guardò per un istante, quindi fissò le pagine del libro, riflettendo attentamente.

- Sai, sto cominciando a pensare che tu abbia ragione…

Il suono del campanello si fece più prolungato e insistente. Jefferson sbuffò.

- Arrivo, un attimo!- disse, e spalancò la porta.

- Buona sera, signor Jefferson…

Jefferson fissò l’uomo di fronte a sé, sorpreso.

- Sceriffo Graham?- fece.- Come mai qui?

Graham si passò una mano fra i capelli, evidentemente era preoccupato, pensò Jefferson. L’uomo notò con la coda dell’occhio che alle spalle dello Sceriffo, di fronte a casa sua, era parcheggiata un’auto della polizia, al cui interno una donna era seduta asciugandosi gli occhi con un fazzoletto: era il sindaco Mills!

- Mi scusi per l’ora tarda, signore - disse Graham.- Ma c’è un’emergenza. Il piccolo Henry Mills oggi non è tornato a casa, e sto perlustrando la zona chiedendo se per caso qualcuno…

Graham interruppe la frase a metà, sbirciando al di sopra della spalla di Jefferson.

- Beh, direi che abbiamo risolto il problema…- mormorò, notando Henry seduto sul divano accanto a Paige.

Anche Regina lo vide. In un attimo, i suoi occhi erano tornati asciutti, e il suo viso che sino a poco prima appariva disperato ritornò duro e severo. La donna spalancò la portiera dell’auto e si avviò a grandi passi verso la porta di casa. Nel vederla, Henry scattò istintivamente in piedi.

Come se quella non fosse stata la casa di un estraneo, Regina varcò la porta d’ingresso dando uno spintone a Graham e a Jefferson, e si avviò a grandi passi verso suo figlio.

- Ma che fine avevi fatto?!- disse, quasi gridando, chinandosi per poterlo guardare in faccia.- Mi hai fatto morire! Quando il dottor Hopper mi ha telefonato…hai saltato la seduta, sei sparito per ore, e ora ti ritrovo in questa…questa…questa catapecchia!- ringhiò, allargando le braccia esasperata indicando l’intero ambiente.- Ti aspetta un mese di punizione, ragazzino, e non credere di…

- E’ stata colpa mia, signora Mills!- scattò su Paige, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del sindaco.- Ho invitato io Henry…dovevamo…insomma, noi…- balbettò la bambina, inchiodata dagli occhi duri e neri della donna.

Regina Mills la guardò per un istante, in un’occhiata che comprendeva non solo il viso della bambina, ma anche la sua maglietta di seconda mano e i jeans strappati.

- Lo immaginavo…- disse infine, molto lentamente, sollevando appena un angolo delle labbra in un sorriso beffardo. Senza aggiungere altro, afferrò Henry per un braccio e lo trascinò fino alla porta.

- Vieni, andiamo a casa…- disse, ma poi si bloccò, come se avesse avuto un ripensamento. Guardò Graham.- Grazie di tutto, Sceriffo. Per favore, potrebbe aspettare con mio figlio in auto?- si volse verso Jefferson.- Io e il signor Jefferson dobbiamo fare quattro chiacchiere…

- Sì, certamente…Vieni, Henry…- Graham lanciò di sottecchi un’occhiata piena di compassione al bambino, quindi lo prese per mano, conducendolo verso la macchina. Henry si voltò un attimo, solo per vedere Paige fargli un cenno di saluto con la mano, l’aria infinitamente dispiaciuta.

Regina chiuse la porta con un colpo secco, quindi incrociò le braccia al petto, guardando Jefferson negli occhi.

- Io e lei dobbiamo parlare, signore - disse, con un tono che non ammetteva repliche.

- Sì…sì, certo…- mormorò Jefferson, imbarazzato. Si volse a guardare la figlia.- Paige, va’ in camera tua, per favore…

La bambina annuì, quindi salì velocemente le scale che portavano al piano superiore. Jefferson tornò a guardare Regina.

- Signor sindaco, mi rendo conto che quello che ha passato dev’essere stato…

- Lei non si rende conto di niente, signore!- sbottò Regina.- Ha idea di cosa significhi? Ha idea di cosa voglia dire credere che suo figlio sia da qualche parte, e poi ricevere una telefonata che le dice che non è affatto così? Ha idea di come ci si senta a non sapere dove si trovi, a girare tutta una città al buio chiedendo a chiunque se l’abbia visto, per poi ritrovarlo a mezzanotte passata a casa di un estraneo? Ha idea di cosa voglia dire?- ringhiò.

- Io…- provò a giustificarsi Jefferson.- Mi dispiace infinitamente, signora Mills. Non pensavo che Henry non le avesse detto nulla. Paige…mia figlia, lo ha invitato a cena, e io…

- Sua figlia…- Regina ghignò.- Sì, me l’ha detto, poco fa…

- Le assicuro che Paige non voleva…

- Il problema non è sua figlia, Jefferson - l’interruppe Regina.- Il problema è lei.

Jefferson rimase interdetto; la donna analizzò con una sola occhiata l’ambiente.

- E così…- disse, dopo qualche istante.- Lei mi sta dicendo che mio figlio ha passato tutto il pomeriggio e parte della sera qui, in questa casupola dove l’igiene è un optional e il cibo lascia più che a desiderare, in compagnia di una bambina di cui io non so nulla e che potrebbe anche essere…

- Si sciacqui la bocca, prima di parlare di Paige!- urlò Jefferson, furibondo, interrompendo a metà la frase della donna.- Un’altra parola, signora, e la denuncio per diffamazione!

Regina non si scompose, né distolse lo sguardo. Lentamente, sul suo volto si dipinse un sorriso maligno, mentre l’espressione della donna, da irritata, era diventata quella compiaciuta di un gatto che sa di aver messo in trappola il topo.

- Denunciarmi, dice?- fece, con voce piatta.- Lei vuole denunciare me? Il sindaco?- mosse qualche passo verso Jefferson, arrivandogli a due centimetri dal viso. - Non si metta contro di me, Jefferson- sibilò.- Non le conviene.

Jefferson non rispose; Regina lanciò un’altra occhiata all’ambiente.

- Sa, ho visto come versano le cose, qui dentro - ghignò.- Una casa piccola e mezza cadente, igiene scarso…E lei è un padre single, dico bene?- sorrise.- Dev’essere difficile, per lei, occuparsi di una bambina…

- Anche lei cresce suo figlio da sola, signor sindaco, e…

- Sì, ma io ho l’approvazione di un giudice - l’interruppe Regina. Jefferson sentì che le sue mani erano completamente sudate.- Ho dovuto sostenere diversi test, per adottare Henry. E il tribunale dei minori mi ha ritenuta idonea per fare la madre. Chi può dire, invece, se lei sia idoneo?

Jefferson non rispose, sentendosi impallidire. Il cuore saltò un battito, mentre la gola divenne improvvisamente secca.

- Lei è un padre solo, ha un lavoro a tempo pieno, ed è evidente che non riesce ad occuparsi di sua figlia nel modo in cui dovrebbe. Che direbbero gli assistenti sociali, se lo venissero a sapere?

Jefferson sentì il sangue gelarsi nelle vene; boccheggiò, cercando di mettere a fuoco le parole del sindaco.

- Lei…lei non oserebbe…- gracchiò.

- Oh, sì che oserei…- ghignò Regina.- Provi ad ostacolarmi, cerchi in alcun modo di mettermi i bastoni fra le ruote, o anche solo tenti di opporsi a me, e prenderò dei provvedimenti molto seri nei confronti suoi e di sua figlia.

Regina si voltò, aprendo la porta. Scoccò un’ultima occhiata a Jefferson.

- Buona notte, signore.

Uscì chiudendosi la porta alle spalle. Jefferson rimase per diversi minuti immobile a fissare la porta, respirando appena. Era madido di sudore, e ancora adesso non riusciva a credere a quello che aveva appena detto Regina. Ma aveva ragione. Da che sua moglie era morta, lui aveva fatto di tutto per far crescere Paige nel migliore dei modi e più serena possibile, anche se non sempre era un genitore modello. Era irrimediabilmente disordinato e non sapeva cucinare, questo era vero, ma lui voleva bene a sua figlia, dannazione! Lui amava più di chiunque altro Paige, e se lavorava fino a tardi era solo per lei. Non le aveva mai fatto del male, non l’aveva mai sgridata, non aveva mai alzato un dito su di lei! Non aveva fatto niente per meritarsi che quella strega gli portasse via Paige. Se l’avesse fatto, allora lui non avrebbe saputo come…

- Papà?- si sentì chiamare.

Jefferson si voltò; Paige era in piedi in cima alle scale, che lo guardava con occhi privi di espressione. Non era in camera sua come pensava. Jefferson si sentì gelare il sangue, al pensiero che sua figlia aveva sentito tutto.

- E’ vero quello che ha detto la mamma di Henry?- chiese la bambina, e a Jefferson parve che la sua voce fosse leggermente incrinata.- E’ vero che mi porteranno via da te?

Jefferson si riscosse, imponendosi di rimanere calmo. Si costrinse a sorridere, andandole incontro.

- Ma che dici?- disse.- Non hai capito…

- Ma la mamma di Henry ha detto che…

- Si dicono tante cose quando si è arrabbiati. Ma non è niente d’importante, vedrai.

Siccome Paige non mostrava di essere convinta, Jefferson le si avvicinò e la prese in braccio. La guardò negli occhi.

- Nessuno ti porterà via da me, stai tranquilla - sussurrò.- Sei la mia principessina, e non permetterò a nessuno di allontanarti da me. Sono troppo geloso - ridacchiò.

Anche Paige, finalmente, fece una mezza risata, quindi abbracciò suo padre. Jefferson la strinse a sé, chiudendo gli occhi perché lei non vedesse che stava piangendo.

 

***

 

Belle indossò il giubbotto e si calò sul capo una cuffia azzurra con pon pon, prima di uscire di casa. Fortunatamente aveva smesso di nevicare, ma le strade e i marciapiedi erano completamente ricoperti di neve. Belle si strinse al petto il pacchetto rosso che aveva confezionato la sera prima, iniziando ad avviarsi lungo il marciapiede, mentre gli stivali affondavano nella neve con un rumore ovattato.

Non c’era nessuno in giro, ma perché qualcuno avrebbe dovuto uscire il giorno di Natale?

Probabilmente, lei era l’unica in città ad essere fuori casa, quella mattina…se si faceva eccezione per suo padre, chiaro.

La mattina di Natale era la giornata più bella di tutte, per Belle. Maurice era ancora sobrio, quando lei si alzava, e a volte persino gentile. Una volta, ricordava, quando sua madre era ancora viva, lui aveva preparato loro la colazione, e un’altra, quando lei aveva quattordici anni, era venuto a svegliarla con un bacio. Belle pensava sempre che si sforzasse, che quello era un regalo che voleva farle, almeno una volta l’anno. Così, lei gli preparava il caffè e gli dava il suo regalo, ricevendo un grazie borbottato con imbarazzo – Maurice non aveva mai nulla, per lei –, ma presto tutto tornava come prima. Moe si scusava dicendo che doveva uscire, e Belle trascorreva l’intera giornata da sola, distesa sul letto o seduta accanto ad un albero di Natale quasi spoglio, per poi rivedere rincasare, come ogni comune sera, suo padre ubriaco fradicio.

Quella mattina, però, quando Maurice era uscito, lei ne aveva approfittato. Sapeva che non l’avrebbe rivisto per tutto il giorno, quindi non avrebbe avuto problemi a fare quello che si era proposta.

Tuttavia, man mano che avanzava verso la sua meta, cominciava a chiedersi se quello che stava facendo non fosse soltanto un grosso, enorme sbaglio. Il solo pensiero di sembrare ridicola e di farsi ridere in faccia la terrorizzava: non sarebbe stato impossibile, visto il soggetto.

Non era stato facile scoprire dove vivesse Mr. Gold. Tralasciando il fatto che tutti a Storybrooke tendevano a parlare di lui il meno possibile, Belle si era trovata oltremodo in imbarazzo nel fare delle domande. Non aveva avuto il coraggio di porre la sua richiesta in maniera esplicita, sarebbe risultato troppo sospetto. Si era limitata a buttare qualche frase allusiva qua e là con apparente noncuranza, e ad ascoltare alcuni discorsi di Granny e Ruby.

Alla fine, aveva scoperto quale fosse la casa di Mr. Gold.

E che casa!, pensò, non appena vi si ritrovò di fronte. Mr. Gold viveva alla periferia di Storybrooke, come c’era da aspettarsi, ma la sua casa non era affatto come le altre, semplici costruzioni su di un solo piano, piccole e con poche finestre.

L’abitazione di Mr. Gold era una villa a due piani, quasi un castello, se paragonata alla maggior parte degli edifici di Storybrooke. Solo quella del sindaco, forse, avrebbe potuto farle concorrenza. Il giardino era ampio e innevato, ma il vialetto era libero, e dava accesso ad una breve scalinata che terminava in una veranda coperta da un portico a colonne. Solo sulla facciata frontale ci saranno state almeno sette o otto finestre, alcune delle quali avevano i vetri colorati, come nelle cattedrali.

Belle esitò, aprendo lentamente il cancello. Forse non era stata una buona idea, venire lì. Mr. Gold le aveva concesso la Vigilia e il giorno di Natale liberi, l’avrebbe comunque rivisto il giorno seguente. E poi, chi le poteva assicurare che non fosse indesiderata? Magari, stava interrompendo una festa, o comunque stava disturbando il suo Natale.

Ma era più probabile che Mr. Gold semplicemente non la volesse fra i piedi. Anche se i rapporti fra di loro erano notevolmente migliorati, negli ultimi tempi, Belle non poteva ancora dire con certezza se lui l’avesse presa in simpatia o no. Anche se propendeva più per il no. Mr. Gold non aveva amici in città, che lei sapesse, e di certo non era un uomo benvoluto.

In ogni caso, ormai era lì. Sarebbe stato da vigliacchi tirarsi indietro proprio ora.

Prese un bel respiro, e percorse in fretta il vialetto. Salì velocemente i gradini, e nell’avvicinarsi alla porta, il suo sguardo si scontrò con la propria immagine riflessa nel vetro della finestra. Faccia tonda e infantile, capelli sciolti e la cuffia azzurra con il pon pon. Dio, sembrava una bambina di cinque anni! Si tolse in fretta la cuffia e se la ficcò in tasca, sistemandosi un attimo i capelli. Chiuse gli occhi, e suonò brevemente il campanello.

Mr. Gold non si fece attendere molto, ma i secondi che precedettero la sua comparsa furono carichi di tensione. Tensione che aumentò vertiginosamente non appena lui aprì la porta.

Era vestito di nero, come al solito. Belle si chiese se aspettasse visite, ma concluse subito di no.

Mr. Gold sembrò sorpreso di vederla.

- Belle…- disse, con un tono stupefatto che la ragazza non aveva mai sentito prima.- Cosa posso fare per te?

Belle si sentì infinitamente stupida. Non aveva preparato nulla, nessun discorso, niente di niente, non aveva la più pallida idea di come esordire. Beh, si disse, tanto valeva andare direttamente al punto.

Si schiarì la voce, costringendosi a guardarlo negli occhi, quindi gli porse il pacchetto.

- Buon Natale, Mr. Gold - disse.

Lui parve ancora più sorpreso. Belle stava pensando sempre di più di aver fatto una stupidaggine. Magari le sarebbe scoppiato a ridere in faccia e le avrebbe dato della stupida, chi poteva saperlo. Invece, Mr. Gold accettò il regalo senza dire nulla. Lo scartò di fronte ai suoi occhi: era una semplice camicia nera. Belle aveva scelto qualcosa di sicuro – il nero era il suo colore, nessun dubbio –, e anche che le permettesse di non dover dare troppe spiegazioni alle sue amiche. Era andata a far compere con loro il giorno prima, ma benché ce l’avesse messa tutta per non dare nell’occhio, l’acquisto non era sfuggito all’occhio di falco di Ruby. Belle aveva cercato di convincerla che fosse per suo padre, ma l’amica era rimasta dubbiosa per tutto il giorno: quella camicia secondo lei era troppo piccola per Moe, senza contare che non aveva mai visto French indossare il nero.

- Non sapevo cosa le piacesse…- mormorò Belle, visto che Gold continuava a rimanere in silenzio.- Non avevo idea di cosa prenderle, così ho pensato che questa…- non terminò la frase, cercando disperatamente qualcosa da dire che non fosse quell’inutile blaterare.

Mr. Gold sorrise e, benché sembrasse ancora vagamente un ghigno, la ragazza notò che il suo sorriso era molto meno beffardo del solito.

- Grazie. Mi dispiace, non mi aspettavo una cosa simile, non ho nulla per te, dearie…

- Non importa, io…

Mr. Gold si scostò, in modo da lasciarla entrare.

- Permettimi almeno di offrirti qualcosa.

Belle rimase esitante per un secondo, quindi si decise a entrare. Per natura, non avrebbe mai accettato di entrare in casa di un uomo che era pressoché un estraneo – poteva a malapena fidarsi di suo padre – ma in qualche modo sentiva che non sarebbe mai riuscita a negare nulla a Mr. Gold.

Il padrone di casa la fece accomodare in salotto; la prima cosa che notò Belle fu che l’interno della casa era molto buio, come se la luce che filtrava dai vetri fosse contata. Senza contare che non c’era l’ombra di una decorazione natalizia. A casa sua c’erano soltanto un alberello striminzito e una ghirlanda appesa alla porta, ma almeno era qualcosa. Invece, in quella casa sembrava fosse passato il Grinch in persona a fare razzia.

- Thé, dearie?- chiese d’un tratto Mr. Gold, posando sul tavolino un vassoio.

Belle si riscosse.

- Oh sì, grazie.

La ragazza, portandosi la tazzina alle labbra, si accorse che quello era lo stesso servizio da thé che aveva riposto nella scatola di velluto il primo giorno di lavoro. E che la tazza scelta da Mr. Gold era proprio quella che aveva scheggiato.

- Nessuno s’è più fatto vivo ed era un peccato sprecarlo - disse all’improvviso Mr. Gold, quasi intuendo i pensieri della ragazza. Belle si fece rossa in viso, quindi annuì con vigore, riprendendo a bere il thé.

- Mr. Gold, posso farle una domanda?- chiese dopo qualche istante.

- Dipende. Riguarda ancora le favole?- sogghignò l’uomo.

- No, a dire il vero riguarda casa sua.

- Uhm, interessante…e cos’hai notato riguardo a casa mia, dearie?

- Perché non ci sono decorazioni?- domandò Belle.- Lei non festeggia il Natale?

- Ci sono diversi modi per celebrare una ricorrenza, non è detto che si debba per forza torturare un povero abete che se ne sarebbe rimasto volentieri dove si trovava, piuttosto che venire sepolto da strani aggeggi che…

Belle ridacchiò. Gold inarcò un sopracciglio.

- Cosa ci trovi di tanto divertente in questo, dearie?

- Scusi, è che lei ne parla come se si trattasse di un’associazione ambientalista.

- Non faccio parte di quei fanatici, mi spiace deluderti.

- Nessuna delusione, lo immaginavo. Non ha l’aria di uno che s’incatena ad una quercia secolare perché non venga abbattuta - Belle rise di nuovo.- No, non riesco neanche a figurarmi la scena.

Gold sospirò.

- Sarà meglio che cambiamo argomento…

- Non mi ero resa conto che avessimo affrontato un argomento.

- Non è la prima volta che fai questo giochetto con me, dearie, ti pregherei di non essere ripetitiva.

- Scusi. Allora, mi diceva che lei non festeggia il Natale…

- Quale parte di ciò che ho detto prima ti è sfuggita?

- Mi sono persa alla storia dell’abete.

- Ripeto: ci sono altri modi per festeggiare, senza dover per forza riempire la casa di decorazioni improbabili.

- Lei trova? Io invece la penso diversamente.

- Chissà perché non ne sono sorpreso…

- Sono una Bastian Contrario, la mia amica Mary Margaret me lo dice sempre.

- Ed è solo per spirito di contraddizione che la pensi diversamente?

Belle ridacchiò nuovamente.

- No. E’ che penso che qualche decorazione renda il tutto più allegro - Belle soffiò sul thé caldo.- A casa mia c’è soltanto un alberello di plastica striminzito vecchio di cent’anni, ma secondo me il Natale va festeggiato anche con queste cose.

- E come festeggi tu, il Natale, dearie?

Belle non rispose, ma si sentì avvampare. Mr. Gold aveva toccato – involontariamente? – un tasto che definire dolente sarebbe stato un cortese eufemismo. La ragazza aveva smesso di festeggiare il Natale l’anno in cui sua madre era morta. Per il resto, nulla era diverso: suo padre era sbronzo anche quel giorno e lei era sola allo stesso modo.

Gold dovette accorgersi che qualcosa non andava. Si aprì nel suo solito ghigno.

- Chiedo scusa. Mi domandavo semplicemente come mai avessi deciso di trascorrere la mattinata nel nascondiglio di un vecchio mostro…

- Lei non è un mostro!- disse Belle; si stupì da sola. Non aveva detto quella frase per pura e semplice cortesia. Le era venuto spontaneo, quasi come se le parole fossero uscite da sole. Ed era quello che pensava veramente.

- Suppongo che a questo punto un grazie sia di dovere, anche se credo che tu sia l’unica a pensarlo, dearie…

- Beh, non è che lei faccia granché per dimostrare il contrario - borbottò Belle.- Anche quando le parlo, devo sempre cavarle fuori le cose con le pinze. Possibile che non ci sia nulla di cui le vada di parlare?

- So essere gradevole, se lo voglio, dearie.

- Lo so - Belle sorrise.- Nonostante tutto, mi diverto a parlare con lei.

- Lieto che ti faccia piacere, dearie.

- E non sia così scostante, era un complimento!- sbuffò Belle.

Mr. Gold sorrise del suo solito ghigno, guardandola negli occhi.

- Non hai risposto alla mia domanda - disse.- Perché sei venuta qui?

- Volevo darle il suo regalo.

- Solo questo?

- C’è bisogno di un’altra spiegazione?

- Stento un poco a crederci, dearie - sogghignò Gold.

Belle lo guardò negli occhi, seria.

- Pensa che io abbia un secondo fine?- chiese, con una punta di sfida.

- Nella tua situazione, non sarebbe da escludere.

- La mia…situazione?

Gold annuì.

- Sappiamo tutti e due come stanno le cose, dearie. Tu lavori per me per salvare tuo padre dalla rovina, di certo non devi adorarmi. Chi lo sa, magari sei qui per scoprire i punti deboli del mostro…

- Perché insiste tanto nel definirsi un mostro?- Belle si rabbuiò.- E comunque, le posso assicurare che non sono il tipo da fare questi giochetti subdoli. Ho scelto io di lavorare per lei…A proposito…- la ragazza tornò a guardarlo.- Perché ha voluto me?

- Come, prego?

- Voglio dire, perché ha voluto che io lavorassi per lei? Avrebbe semplicemente potuto prendersi il negozio, perché ha accettato questo accordo che, vista la mia totale incapacità, si è rivelato ben poco vantaggioso, per lei?

Mr. Gold ci pensò su, quindi tornò a sogghignare.

- Quel posto era pieno di sporcizia - dichiarò infine.

- Io penso che si sentisse solo - disse Belle, cauta.- Qualunque uomo lo sarebbe, nel suo caso…

Gold non rispose, limitandosi a fissarla per diversi istanti.

- Se volevo una seduta di psicanalisi, dearie, mi sarei rivolto al dottor Hopper.

Bella arrossì violentemente.

- Mi spiace, non intendevo offenderla…- pigolò.- E’ che…sto solo cercando di conoscerla meglio, tutto qui…

- Perché ci tieni tanto a conoscermi?- chiese Mr. Gold.- La maggior parte delle persone, qui, cambierebbe marciapiede, pur di non incontrarmi…

- Non ho mai dato troppa importanza ai pettegolezzi. E poi, abbiamo un anno intero da trascorrere insieme, tanto vale deporre l’ascia di guerra, no?

- E che cosa farai, una volta che l’anno sarà finito?

Belle sorrise.

- Potrò dire di conoscere il famigerato Mr. Gold - ghignò.

 

***

 

Belle uscì da casa di Mr. Gold che era quasi mezzogiorno, e non riuscì a smettere di sorridere per tutto il tragitto verso casa.

Maurice ovviamente non c’era, ma questo, pensò la ragazza, non era un gran male. Belle si tolse il giubbotto e gli stivali, ed entrò in camera sua. Si sedette alla scrivania e accese il computer: in genere riceveva sempre dei messaggi di auguri via mail, durante le feste.

Infatti, sul desktop apparve immediatamente l’icona della posta, con una vignetta recante la scritta HAI 2 NUOVI MESSAGGI!.

Bella aprì la casella postale. Il primo era di Mary Margaret.

 

Ciao, Belle!

Buon Natale! Spero tu stia passando bene le feste…Ieri sera da me è stato un pandemonio: Emma è saltata sul tavolo ubriaca e si è lanciata in una reinterpretazione di Jingle Bells a dir poco esilarante, se non fosse stato per la drammaticità della scena…David ha confuso i biglietti d’auguri: mi sono ritrovata in mano quello destinato a Kathryn! S’è scusato con tutto il cuore e mi ha dato quello giusto, ma che ci vuoi fare? La mia vita è così :(.

Comunque, non voglio lamentarmi. Volevo chiederti un favore: per l’Epifania i bambini a scuola fanno uno spettacolo, e mi hanno incaricata di occuparmi delle selezioni e dei costumi…solo che…ehm…ho fatto due conti e mi sono resa conto che è un lavoro troppo grande per una persona sola…Ergo: mi daresti una mano, per favore??? Scusami, so che quell’avvoltoio di Mr. Gold ti tiene occupata tutto il giorno, ma Ashley è troppo impegnata con la bambina, e se lo chiedessi a Ruby temo prenderebbe possesso del microfono e farebbe un remake dello spettacolo di Emma di ieri sera…Scusami tanto, comunque lavoreremo dalle otto e mezza alle dieci di sera, quindi il licantropo non dovrebbe darti problemi…Cominciamo dopodomani con le selezioni. Ah, dimenticavo: lo spettacolo è A Christmas Carol. Originale, vero? XD.

Grazie di tutto, e ancora buon Natale!

 

                Mary Margaret

 

Belle sorrise fra sé, quindi cliccò sulla pagina di risposta.

 

Ciao, MM, buon Natale anche a te!

Oddio, penso che non riuscirò mai più a guardare in faccia il Vicesceriffo Swann senza immaginarmela in versione Tina Turner…XD. Cavoli, ma davvero David ha fatto questo? E non l’hai preso a schiaffi? Io l’avrei fatto, giuro. Comunque non preoccuparti per lui, vedrai che presto le cose si sistemeranno. Non durerà molto con quella Kathryn, è evidente che è cotto di te, quando ti guarda somiglia a un cucciolo bisognoso d’affetto…Non abbatterti e stai serena, ok?

Per lo spettacolo, certo che ti aiuto, ma voglio un pacchetto di caramelle gratis, per compensare XD! Scherzo, ti darò una mano molto volentieri, e poi lo sai che adoro A Christmas Carol. Salutami Ruby, se la senti.

Ciao, ci sentiamo!

 

Belle

 

Belle inviò l’e-mail, quindi si abbandonò contro lo schienale della sedia. Lo spettacolo dell’Epifania dei bambini della scuola elementare era un evento molto sentito a Storybrooke. La loro era una cittadina tranquilla dove non succedeva mai nulla, e dove anche i divertimenti erano limitati, quindi a quella piccola recita partecipava più di mezza città. Belle si chiese se ci sarebbe stato anche Mr. Gold, ma subito concluse di no. Non era il tipo per certe cose.

Gettò un’occhiata allo schermo. La casella postale mostrava ancora una vignetta con un messaggio non letto. Belle mosse il mouse e cliccò sul desktop. Il messaggio si aprì.

 

Ti ho vista, stronzetta. Che cos’ha quel bastardo più di me? Lo fai per i soldi, o solo perché ti piace farti sbattere?

Quello stronzo mi ha quasi spaccato la testa, ma non la passerete liscia, né tu né lui.

 

Belle deglutì, sentendosi le mani sudate.

Non si era liberata di Gaston, se aveva creduto che quello che era successo con Mr. Gold fosse bastato per metterlo a tacere, si era sbagliata di grosso. Ma dove diavolo era? Non l’aveva visto, doveva essere rimasto parecchio indietro, o si era nascosto molto bene. L’aveva pedinata.

Belle non si era mai preoccupata troppo di lui, l’aveva sempre considerato uno stupido che si poteva tenere a bada con qualche risposta tagliente, ma quella mail diceva il contrario.

E ora come non mai, Belle cominciava ad essere spaventata.

 

Angolo Autrice: Finalmente riesco ad aggiornare! Chiedo scusa se vi ho fatto aspettare tanto, ma al lavoro mi stanno massacrando in questo periodo! Anyway, questo capitolo segue la scia della mia OS Christmas Wish, ma tranquilli, non m’è presa la flippa, è solo che ho rivisto da poco il sequel-prequel de La Bella e la Bestia ambientato in atmosfera natalizia, e ho voluto fare una citazione…

Altro da dire: Paige vive con Jefferson in quanto nella mia ff (scusate la poca originalità, ma tant’è…) la maledizione non esiste, ma i personaggi vivono delle vite normali. Lo Sceriffo Graham è miracolosamente resuscitato, mentre Emma Swann è Vicesceriffo…A dire il vero, Graham mi stava più simpatico in FTL come Cacciatore, ma quando è morto mi è dispiaciuto moltissimo per Emma, e così…

Dunque, Regina tiene in pugno anche Jefferson, e presto non esiterà utilizzarlo per i suoi fini…Che combinerà? E Gaston? Come si evolveranno le cose fra Belle e Gold? Intanto, le chiacchiere in città su loro due cominciano a farsi insistenti, che cosa farà Maurice quando lo verrà a sapere?

Ringrazio Avly, Dresda, emily silente, Himawari Chan, NicotrisAmaltea e Valentina_P per aver aggiunto questa storia alle seguite, Niniel Virgo e Yumerin per averla aggiunta alle preferite, e Valentina_P, Samirina, Daniawen e Sylphs per aver recensito.

Ciao, al prossimo capitolo!

Dora93

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Capitolo 7
*** A Christmas Carol for a Lonely Heart ***


 

A Christmas Carol for a Lonely Heart

 

- Ogni anno mi riprometto di non ridurmi così, e ogni anno mi ritrovo più incasinata di prima!- Mary Margaret sbuffò, appoggiando la fronte sul ripiano della cattedra. Ruby le diede delle pacche sulla spalla, mentre Belle non riusciva a spostare lo sguardo dalla scena di fronte a sé.

Si trovavano nella palestra della scuola elementare di Storybrooke, in cui era stato allestito un palco di legno in occasione dello spettacolo. Le audizioni erano appena terminate – con somma felicità dei timpani di Ruby – ma benché fossero ormai le dieci e mezza di sera, Belle disperava di poter finalmente raggiungere il suo letto in tempi brevi. Lo spettacolo sarebbe stato fra una settimana, e il palco era invaso da alberi di cartone mezzi scoloriti, polistirolo buttato qua e là a casaccio, mobili di fortuna rovesciati, il tutto condito da cocci di oggetti vari e improbabili coriandoli e stelle filanti che qualcuno dei bambini doveva aver sparso.

- Che macello…!- commentò Ruby.- Quasi peggio di Nicholas che cantava Total eclipse of the heart

- Povero piccolo, ha fatto del suo meglio…- tentò di giustificarlo Mary Margaret, nonostante avesse ancora nelle orecchie il suono ben poco piacevole della voce stridula e stonata del ragazzino.

- Non ne dubito, ma resta comunque il fatto che non lo selezionerei mai per America’s got talent.

Belle si alzò dalla seggiola.

- Mary Margaret, che ne facciamo di quel polistirolo?- chiese, indicando la finta neve. - Magari potremmo lasciarlo…

- Non credo, Belle…- mormorò Mary Margaret.- La prima scena è quella nello studio di Scrooge.

- In tal caso…- Ruby si alzò e recuperò tre scope dallo sgabuzzino dei bidelli, lanciandone due alle amiche.- Forza e coraggio, Cenerentole!- rise.

Le tre ragazze si misero al lavoro, in silenzio.

- Hai qualche idea su chi saranno i protagonisti, Mary Margaret?- domandò Belle a un certo punto, ripulendo il pavimento da alcune stelle filanti.

- Scelta ardua, data l’amenità delle voci dei pargoletti!- sbuffò Ruby.

- Penso che la parte di Scrooge andrà a Henry Mills - disse Mary Margaret.- E quella di Belle, la sua fidanzata, a Paige Jefferson. Ava invece potrebbe essere il fantasma del Natale passato, mentre quello del Natale presente forse…

- Henry Mills sarà Scrooge?- fece Ruby.- Che strano, ce lo vedevo più come il piccolo Tim. Sarà felice il sindaco…

- La madre non c’entra niente, lui e Paige sono quelli con la voce meno stridula…

- Comunque, carina l’idea di fare un musical, quest’anno…- commentò Belle.- La trovo originale, come idea. Sei stata tu a proporlo?

- A dire il vero, molti genitori lo speravano - rispose Mary Margaret.- Nessuno l’ha detto esplicitamente, ma le chiacchiere di corridoio si diffondono in fretta. D’altronde, lo spettacolo dei bambini della scuola elementare è l’evento più atteso dell’anno, qui…

- Altro particolare che ci ricorda in che triste buco viviamo…- commentò Ruby, rimettendo in piedi una sedia.- Dio, avete mai pensato a quanto sia patetico?

- A me piace - disse Belle.- I bambini ci mettono sempre tanto impegno, e poi le storie sono molto carine…

- Sì, ma è stucchevole!- esclamò Ruby.- Insomma, hai mai notato chi ci viene? Papà con le telecamere, mamme esultanti e nonnine con le lacrime agli occhi. Per non parlare delle coppiette.

- Le…coppiette?- fece Mary Margaret.

Ruby annuì.

- Sono sempre storie dolci e romantiche. L’ideale per due fidanzatini in vena di effusioni.

- Sei così acida solo perché l’anno scorso non ci sei venuta con nessuno!- ridacchiò Mary Margaret.

Ruby inarcò un sopracciglio.

- Sean invece ci ha portato Ashley, e guarda un po’ che casino è success…- s’interruppe improvvisamente, come ricordando qualcosa.- Che scema, non ve l’ho detto!- afferrò la sedia e ci si sedette a cavalcioni.- La sapete la notizia?

- Che notizia?- chiese Belle, interessata.

Mary Margaret si avvicinò.

- Il padre di Sean si è deciso a non rompere più le scatole!

- Che cosa?- incalzò Belle, sedendosi a sua volta.- Ashley ci aveva detto che l’aveva cacciato di casa…

- E’ così, infatti - disse Ruby. - Ma la settimana scorsa, magia, si è presentato a casa loro!

- E che è successo?- chiese Mary Margaret.

- Beh, a quanto ha detto Ashley, all’inizio ha fatto il sostenuto. Diceva che voleva solo vedere come se la cavava suo figlio, ma poi Alexandra si è messa a piangere. Lui si è avvicinato alla culla, l’ha presa in braccio, e…beh, si è ridotto a un brodo di giuggiole!- Ruby scoppiò a ridere.- A quanto pare s’è deciso a dargli una mano, per il bene della bambina, o almeno così ha detto. Pensate che si è perfino offerto di pagare il matrimonio! Ashley avrà un matrimonio da principessa, statene certe.

- Come sono contenta per lei!- Belle sorrise.- Dopo tutto quello che ha passato, se lo meritava.

- Come ho detto io! Cenerentola diventa regina!- rise Ruby.- Ehi, MM, e tu non dici niente?- incalzò, notando lo sguardo perso dell’amica. Mary Margaret si riscosse.

- Che? Come hai detto, scusa?

- Hai sentito una sola parola di quello che ho detto?

- Io…sì, certo che sì. E’ solo che…- Mary Margaret raddrizzò il capo, schiarendosi la voce. Belle notò che si tratteneva a stento dal sorridere.- Beh…anch’io ho una notizia da darvi…

- Che cosa?

Mary Margaret finalmente sorrise, guardandole entrambe.

- David ha lasciato la moglie!

La maestra non fece in tempo a rendersene conto che le due amiche le erano saltate addosso e le avevano gettato le braccia al collo.

- Era ora!- esclamò Ruby.

- Che farete adesso?- domandò Belle.- Andrete a vivere insieme? Vi sposerete?

- Beh, non credo, è ancora troppo presto, ma…Lui mi ha detto che ama me e che vuole stare con me. E’ un bel passo avanti, no?

- E così, stasera abbiamo non uno, ma ben due lieto fine!- esclamò Ruby, staccandosi da Mary Margaret. La maestra riprese fiato.

- E tu, Ruby, che ci racconti?- Belle assunse improvvisamente un’aria maliziosa. Lei e Mary Margaret si scambiarono un’occhiata complice. Ruby le guardò, perplessa.

- Io?

Le due ragazze annuirono.

- L’ultima volta che siamo state da Granny, io e Belle abbiamo notato che rivolgevi la tua attenzione a qualcosa di particolare…- ghignò Mary Margaret.

- Come dei capelli rossi…e un paio di occhiali…- ridacchiò Belle.

- Oh, e c’era anche un cane dalmata, se non sbaglio…

- Non starete insinuando che mi sono presa una cotta per il dottor Hopper?- sbottò Ruby, arrossendo vistosamente.

- Noi non stiamo insinuando, noi stiamo facendo delle accuse precise!- rise Belle.- E la quantità extra di cacao nel cappuccino del dottor Hopper è un fatto alquanto sospetto…

- E’ solo che ad Archie piace la cioccolata, e allora…

- Oh, è Archie, adesso?

- E dai, smettetela!- Ruby cercò di rimanere seria, ma era evidente che era imbarazzata.- E va bene, va bene, forse ho una cotta per Archie…

- E che c’è di male?- Belle si alzò e riprese la scopa, continuando a pulire.- Il dottor Hopper è una brava persona, e poi innamorarsi è naturale…è una cosa bella, insomma…

Ruby ghignò.

- Sembri molto sicura di quello che dici, Belle…

La ragazza si voltò a guardarla.

- Come?

- Dicevo che sembri molto a tuo agio nel parlare d’amore - Ruby si esaminò le unghie con apparente noncuranza.- Quasi come se ci fosse qualcuno nel tuo cuore, non è vero, Mary Margaret?

Belle avvampò, chiedendosi perché si sentisse improvvisamente tanto a disagio. Ruby stava solo scherzando, in fondo.

- No, Ruby, mi spiace ma sei proprio fuori strada.

Ruby sbuffò.

- E che cavolo, Belle, quando ti deciderai a innamorarti finalmente di qualcuno?- sbottò.- Non hai mai avuto un ragazzo in vita tua, hai quasi diciannove anni e sei ancora tristemente vergine, quando un tipo ti guarda per strada tu distogli lo sguardo, mi sembri una suora!

- Non posso amare qualcuno a comando, Ruby - disse, concentrandosi sul liberare il palco dal polistirolo.- Sto solo aspettando la persona giusta…

- Ma ci dev’essere qualcuno che t’interessi!- insistette Ruby. - Che ne so…come si chiamava quel tipo che ti faceva la corte…ah, sì, Gaston!

Belle sentì un tuffo al cuore.

- Ehm…no, lui non fa per me…

- Lo dicevo, io. Una suora!

- A parte questo, Belle, anch’io penso che dovresti uscire dal guscio - Mary Margaret, alzandosi dal pavimento e andandole incontro.- Che ne so, esci, vedi qualcuno…stai tutto il giorno chiusa in quel posto insieme al signor Gold. Che, diciamocelo, non è esattamente la migliore delle compagnie. Belle…io e Ruby stiamo veramente cominciando a preoccuparci, per te, lo sai?- Belle la guardò negli occhi.- Da quando lavori per quell’uomo…ecco, sei…come dire…diversa. Non vorrei che Gold stesse avendo delle cattive influenze su di te.

- No, lui…Mary Margaret, so che sembra assurdo, ma sto cominciando a pensare che il signor Gold non sia così…

Belle s’interruppe, notando con la coda dell’occhio l’espressione di Ruby. La ragazza s’era irrigidita, fissava un punto indistinto di fronte a sé e si mordeva il labbro inferiore.

- Ruby?- chiamò Belle.- Ruby, ti senti bene?

- Sì, io…sto bene, è solo che…non mi piace parlare del signor Gold - rispose Ruby, senza guardarla.- Io non so come tu faccia a sopportare la vicinanza con una persona del genere…

- Che intendi dire?

- Sono anni che si diverte a dissanguare me e mia nonna - il tono di voce di Ruby s’indurì ancora di più.- Il mese scorso è venuto da noi, e ci ha detto che l’affitto era raddoppiato. Il Bed & Breakfast è tutto quello che rimane dei miei genitori. Mia nonna mi ha cresciuta, ha tirato avanti quel posto da sola, e io la vedo ogni giorno più stanca e più preoccupata per colpa di quella serpe. Per favore, ragazze, non parlatemi del signor Gold. Non stasera.

Ruby si alzò e afferrò nuovamente la scopa, riprendendo a pulire. Le due ragazze fecero altrettanto.

Continuarono in silenzio fino a quasi mezzanotte. Uscirono insieme dalla palestra e si salutarono; Ruby era tornata sorridente, sembrava più serena di prima, quasi avesse dimenticato tutto ciò che aveva detto, ma Belle non poté fare a meno di pensarci durante tutto il tragitto di ritorno, entrando in casa e mettendosi a letto con le parole dell’amica che le frullavano in testa.

Si sentiva stranamente in colpa. Ma non sapeva perché.

 

***

 

Henry Mills uscì da casa trotterellando, avviandosi verso il parco giochi con il libro di favole sottobraccio. Jefferson faceva i turni extra all’ospedale nel week-end, e quindi, se non pioveva o non faceva troppo freddo, Paige in sua assenza andava a giocare al parco. Henry gettò un’occhiata al cielo: quel giorno era nuvoloso e c’era un vento leggero, ma la neve sulle strade si stava sciogliendo e con un po’ di fortuna non avrebbe piovuto. Sì, forse avrebbe trovato Paige.

Tuttavia, Henry non si sentì per niente sollevato quando la vide. Si sarebbe aspettato di trovarla in bicicletta con le sue due amiche del cuore, oppure sull’altalena, o a giocare a nascondino con Ava e Nicholas. Invece, Paige se ne stava da sola seduta su una panchina, i capelli biondi seminascosti dalla cuffia calata sul capo e infagottata nel suo solito cappottino blu un po’ stinto. Il kilt che indossava sopra il collant era troppo leggero per quella giornata, ma lei non sembrava soffrire il freddo, se ne restava immobile con le gambe penzoloni e lo sguardo fisso di fronte a sé.

Henry le si avvicinò, e vide che aveva gli occhi cerchiati, come se avesse pianto.

- Ehm…ciao…- disse, intuendo al volo che ci fosse qualcosa che non andava.

- Ciao - pigolò Paige, senza guardarlo.

- Io…ehm…come stai?

Paige fece spallucce, sempre con lo sguardo fisso di fronte a sé. Henry si sentì improvvisamente a disagio. Non gli era mai capitato di trovarsi di fronte a un atteggiamento del genere.

- Sai che hanno assegnato le parti per lo spettacolo dell’Epifania?- disse, tanto per dire qualcosa.- Io sarò Scrooge e tu Belle, la sua fidanzata…Hai capito? Belle. Proprio come la protagonista della favola - sollevò il libro per mostrarglielo, ma Paige non gli badò.

Henry si sentì ancora più a disagio.

- Pensavo…pensavo che potessimo continuare a leggere la storia…oppure giocare, se preferisci…

- Io non posso più giocare con te!- sbottò Paige, scoppiando in lacrime.

Henry arrossì. Non gli era mai successo di vedere una femmina piangere! Aiuto, che si faceva in quei casi?

Paige singhiozzò, asciugandosi le lacrime con la manica del cappotto.

- Io e te non possiamo più essere amici.

- Ma…ma perché?- riuscì a balbettare Henry.

Paige cercò di calmarsi.

- La tua mamma si è arrabbiata con il mio papà - disse.- Quella sera che sei venuto da me. Ha detto al mio papà che mi avrebbe portata via da lui.

- La mia mamma ha fatto questo?- Henry era incredulo.

Paige annuì.

- E’ per questo. Se sto con te, tua madre mi porterà via da mio padre.

Henry ammutolì. Non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere, anche se, pensandoci bene, non era del tutto improbabile. Lui voleva bene a sua madre – la sua madre adottiva –, ma sin da piccolo si era reso conto che c’era qualcosa che non andava in lei. Regina era severa, questo sì, ma c’era qualcosa di più. Sua madre aveva un carattere molto particolare, forte e deciso, ma a volte anche straordinariamente egocentrico e accentratore. Pretendeva che tutto le fosse dovuto, voleva tutte le attenzioni su di sé, e se non aveva ciò che desiderava, allora faceva di tutto per ottenerlo. E con di tutto intendeva proprio di tutto. Senza contare che, sebbene con lui il più delle volte fosse gentile e si dimostrasse affettuosa, di tanto in tanto, quand’era nervosa o c’era qualcosa che non andava al lavoro, rivelava un lato di lei che era stato sepolto con molta cura, una parte aggressiva e isterica, che non tardava a sfogare nei modi peggiori. Era stato anche per questo che Henry aveva cercato di rintracciare sua madre, la sua madre naturale. E da quando Emma Swann era arrivata a Storybrooke ed era diventata Vicesceriffo…

Un momento.

Henry ebbe un’improvvisa illuminazione. Si sedette sulla panchina accanto a Paige.

- Mia madre non ti porterà via da tuo padre - disse con sicurezza.- Se proverà a farlo, lo dirò alla mia altra mamma che la fermerà.

- Altra mamma?- fece Paige, stupita.

Henry annuì, sorridendo.

- Io ho due mamme. Una è il Vicesceriffo Swann. Lei è la giustizia, e se mia madre cercherà di portarti via, la fermerà.

- Ne…ne sei sicuro?

- Sicurissimo. Allora…- Henry esitò.- Amici?- le tese una mano.

Paige si asciugò gli occhi, quindi sorrise e gli strinse la mano.

- Amici.

La ragazzina si avvicinò di più a lui.

- Continuiamo a leggere la favola, vuoi?

Henry annuì, aprendo il libro. Paige si sporse per vedere meglio.

- Che cosa succede ora?

- La Bestia si è innamorata della Bella.

 

***

 

La palestra della scuola era gremita di persone, la maggior parte delle quali in piedi con la schiena appoggiata contro la parete o accovacciata sul pavimento. Solo pochi fortunati erano riusciti ad accaparrarsi una seggiola, e la gente non smetteva di entrare dalla porta. Tutte le luci erano spente, fatta eccezione per i riflettori puntati sul palcoscenico di legno, dove il fantasma del Natale passato stava mostrando al vecchio e avido Scrooge il suo primo incontro con la donna amata.

- Beh, direi che per ora non se la stanno cavando male…- bisbigliò Mary Margaret all’orecchio di Belle, mentre sul palcoscenico il coro dei bambini stava intonando una canzone che mischiava i testi di I’m wishing on a star da 10th Kingdom e Wishing you were somehow here again da Il Fantasma dell’Opéra.

- E tu che eri preoccupata!- ridacchiò Belle di rimando. Mary Margaret sorrise, decisamente rincuorata.

La canzone terminò. Ora veniva il momento del triste addio fra i due innamorati.

Belle si girò a guardare la folla alle sue spalle. Ruby e Mary Margaret avevano ragione, c’era mezza Storybrooke quella sera. Ovviamente Moe non c’era – anche se questo sotto sotto non era un male, pensò la ragazza –, e nemmeno Gaston. Belle aveva tremato al pensiero di poterselo ritrovare di fronte quella sera, ma fortunatamente il ragazzo non s’era fatto vedere. Il ricordo del messaggio che le aveva inviato il giorno di Natale la faceva ancora rabbrividire, benché fossero passate ormai due settimane senza che succedesse nulla. Comunque, Belle non si sentiva ancora abbastanza tranquilla da permettersi di abbassare le antenne.

La ragazza si girò nuovamente, senza sapere bene cosa stesse cercando. Individuò senza problemi volti noti – Ruby, Granny, Sean e Ashley, il dottor Hopper e il Vicesceriffo Swann, sicuramente venuta per assistere alla recita del figlio, Leroy e David Nolan –, ma presto la sua attenzione venne attirata da qualcuno che mai si sarebbe aspettata di vedere quella sera.

Belle si voltò di scatto, quindi si alzò dalla seggiola sotto lo sguardo interrogativo di Mary Margaret. La ragazza costeggiò il muro con discrezione, cercando di non farsi notare per non disturbare lo spettacolo, raggiungendo nella penombra l’uomo che se ne stava in disparte, in piedi in un angolo in fondo alla palestra.

- Buona sera, signor Gold!- bisbigliò, abbastanza forte per farsi notare dall’uomo.

- Buona sera, Belle…- rispose Gold, con una smorfia.

Belle sorrise, appoggiandosi al muro accanto a lui. Gold le lanciò un’occhiata in tralice.

- Non mi aspettavo di trovarti qui…

- Potrei dire lo stesso di lei…- sorrise Belle.- Le piace lo spettacolo?

- Non sono qui per lo spettacolo, dearie - rispose il signor Gold, secco.- Dovevo incontrare una persona, e lei mi ha dato appuntamento qui stasera.

Belle seguì lo sguardo del signor Gold, individuando fra le persone sedute il sindaco Mills. La donna sedeva rigida e non sembrava prestare troppa attenzione allo spettacolo. La sua espressione era più dura e impassibile del solito. Belle non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, ma era molto probabile che lei e il signor Gold avessero discusso di soldi. E che Regina Mills fosse uscita sconfitta dal diverbio.

- Però è rimasto - disse, un po’ per cambiare argomento e un po’ perché davvero era incuriosita.- Quindi le piace…

- Ammetto che sia sopportabile. E tu, che cosa ci fai qui? Apprezzi anche tu questo genere di sciocco intrattenimento?

- A dire il vero, ho aiutato la maestra Blanchard ad allestire lo spettacolo, ma comunque, sì. Apprezzo anch’io questo genere di sciocco intrattenimento.

- Lo immaginavo.

- Come sempre. Lei ha un grande intuito.

Gold non rispose, limitandosi all’ennesima smorfia. Rimasero in silenzio per tutto il resto della rappresentazione. Quando lo spettacolo finì e i bambini si fecero avanti per l’inchino, Belle batté le mani con entusiasmo, unendosi all’applauso generale. Il signor Gold alzò gli occhi al cielo.

- Si unisca a noi, se lo sono meritato!- esclamò Belle, ma Gold non si degnò di risponderle.

- Direi che la tortura è terminata - commentò l’uomo, afferrando il suo bastone.

Belle sbuffò. Gettò un’occhiata all’orologio.

- E’ ancora presto. Le va di fare un giro?- propose, chiedendosi immediatamente perché le fosse venuta un’idea simile. O meglio, perché l’avesse detta ad alta voce. L’idea in sé non le dispiaceva, in fondo.

- E dove, dearie?- Gold la squadrò inarcando un sopracciglio.

Belle fece spallucce.

- Da nessuna parte. Un giro e basta. Non l’ha mai fatto?

- No.

- Beh, è l’occasione buona per provare - Belle indossò il cappotto.- Andiamo! Solo cinque minuti! Se si annoia, può sempre piantarmi in mezzo alla strada e andarsene.

- Non lo farei mai - disse il signor Gold, uscendo insieme a lei.

- Lei è un vero gentiluomo!- rise Belle.

- Non è questo, è che reputo impossibile anche per me salvarmi dalle tue chiacchiere.

Belle rise nuovamente, camminandogli a fianco.

 

***

 

- Ma quella non è la figlia del fioraio?- bisbigliò Leroy, rivolto a Graham, indicando la ragazza che era appena uscita in compagnia del signor Gold.

- Parrebbe di sì - lo Sceriffo si passò una mano fra i capelli.- Mi pare che si chiami Annabelle, o Isobel…

- Isabelle - lo corresse Ruby, acida. Granny scoccò un’occhiata a sua nipote. La ragazza teneva le mascelle serrate, e i suoi occhi si erano ridotti a due fessure.

- Ho sentito dire che lavora per Gold - s’intromise Emma. - Moe French deve aver combinato qualche casino, povera ragazza…

- A me non sembrava tanto dispiaciuta - borbottò Leroy.- Da quando in qua esci con il tuo capo?

- Non sono usciti insieme!- protestò Ashley, leggermente sconcertata.

- Quante persone hai visto uscire da quella porta?

- Ma sono solo usciti insieme, non vuol dire che…

- …che sono usciti insieme?

- La volete piantare con questo stupido gioco di parole?!- sbottò Ruby, con le guance arrossate.

- Ti senti bene?- le domandò Granny.

- Sì. Sì, sto bene - rispose la ragazza, senza guardarla.- Lei…Belle non lo farebbe mai…

- Non farebbe mai, che cosa?- fece una voce alle loro spalle. Tutti si voltarono.

Regina se ne stava a braccia conserte, lo sguardo puntato sul gruppo.

- A me pare che le cose siano abbastanza chiare - aggiunse il sindaco.- L’avanzo di galera ha ragione: non ho mai visto una ragazza guardare in quel modo il proprio capo, né il signor Gold provare così tanto affetto per una persona…

- Avanzo di galera, a chi, strega?- ringhiò Leroy.

- Il signor Gold che prova affetto per qualcuno?- Sean scoppiò in una sonora risata.- Per carità, è inconcepibile anche solo da pensare!

- Questo è vero - ghignò David, stringendo a sé una perplessa Mary Margaret.- Ma è ancora più inconcepibile che qualcuno possa provare affetto per lui. Sarebbe come affezionarsi a un cobra!

Tutti scoppiarono in una risata liberatoria, ma il sorriso di Ashley era tirato almeno quanto la risata di Mary Margaret era forzata. Ruby non si unì all’ilarità – vera o falsa che fosse –, tenendo lo sguardo fisso sulla porta della palestra.

Regina seguì il suo sguardo, indispettita per non aver colpito nel segno. Ma, forse, si disse, era solo questione di tempo. David Nolan aveva buttato l’intera questione sul ridere, ma Storybrooke era una cittadina piccola, e i pettegolezzi non tardavano a divenire notizia di cronaca. Se le dicerie riguardanti il signor Gold e Isabelle French erano infondate, allora non la riguardava. Ma se invece quello che pensava era vero, allora la cosa si sarebbe potuta evolvere a proprio vantaggio.

Doveva solo scoprire se i suoi sospetti erano veri.

 

***

 

A Belle piaceva passeggiare lungo il molo. Le piaceva l’odore dell’acqua e il suono delle onde che s’infrangevano contro gli scogli. Anche al signor Gold piaceva, o almeno così le sembrava. Continuava a sbirciare la sua espressione per capire che cosa stesse pensando in quel momento, ma quell’uomo era come un libro sigillato.

- Hai detto di aver aiutato la signorina Blanchard ad allestire lo spettacolo - disse a un certo punto il libro sigillato.- Posso chiederti come mai?

Belle si strinse nelle spalle. Era la prima volta che il signor Gold attaccava discorso per primo; in genere era lei a farlo.

- Mary Margaret è un’amica, le ho fatto un favore. E poi, mi piaceva la storia - rispose.- Io adoro A Christmas Carol. Credo che sia una storia molto commovente.

- Ho letto il libro, una volta. Troppo sentimentale e buonista, per i miei gusti.

- Mai un’opinione positiva dalle sue labbra, eh?- rise Belle.

- Dico solo ciò che penso. E reputo impossibile che una persona cambi completamente carattere solo a seguito di un sogno, o un’improbabile visita dall’aldilà, o il ricordo di un amore.

- Si può imparare dai propri sbagli - disse Belle, distogliendo lo sguardo.- E non lo dico per fare la moralista. Scrooge era un uomo solo, in fondo, credo che si fosse pentito di aver respinto la donna che amava.

- L’ha fatto in nome di ciò che riteneva più importante - ghignò Gold.- E, personalmente, non mi sono mai pentito delle mie scelte.

- Oh!- esclamò Belle.- Quindi, lei ammette di sentirsi solo?

- Ci risiamo con la psicanalisi.

- Scusi.

- Ammetto di essere una specie di Scrooge - concesse il signor Gold. Guardò negli occhi la ragazza, con il suo solito ghigno sulle labbra.- Non sono un uomo buono, dearie, questo l’avrai compreso da te. E non mi lascio intenerire se di mezzo c’è un accordo da rispettare.

- Così non permette agli altri di vedere il buono in lei.

- Ti ho già detto che non c’è molta bontà in me. E sono un uomo difficile da amare.

- Questo è quello che pensa lei - borbottò Belle.- Io non credo sia così. Penso che sia lei che non permette agli altri di avvicinarsi.

- La maggior parte delle persone che fingono di volermi conoscere hanno un secondo fine. Conoscere i punti deboli della bestia e approfittarsene, il più delle volte. Non mi fido di nessuno, dearie.

- Nemmeno di me?

Gold non rispose, né la guardò. Belle si sentì infinitamente stupida per aver posto quella domanda.

Il signor Gold la riaccompagnò a casa come ogni sera.

- Te la senti di venire al lavoro, domani?- le chiese, non appena furono sulla porta di casa. - Hai lavorato anche per la signorina Blanchard, stasera, devi essere stanca…

La ragazza lo guardò, sorpresa. Era la prima volta che Gold s’interessava a come lei stesse. Si sentì arrossire, ma trovò la sensazione stranamente piacevole.

- Se vuoi, domani puoi riposarti…

- No!- si affrettò a dire Belle.- No, io…sto bene, grazie…

Il signor Gold ghignò.

- Spero tu sia sicura di quello che dici, non sperare che te lo chieda di nuovo.

- Non voglio che lo faccia. Verrò al lavoro volentieri - Belle aprì la porta.- Allora, buona notte…e…beh, grazie per…aver fatto un giro con me…

Gold sorrise.

- E’ stato un piacere, Belle.

La ragazza sorrise, ed entrò in casa.

Non appena mise piede dentro, Belle sentì dei rumori provenire dalla cucina, quindi dei passi strascicati coronati da vistose imprecazioni. Maurice fece capolino sulla porta, ubriaco come sempre.

- Dove cazzo sei stata tutto questo tempo, stronzetta?- biascicò.

Belle indietreggiò.

- Allo spettacolo di Mary Margaret - rispose, cauta.

- Quella merda è finita almeno un’ora fa. Con chi cazzo eri?

- Ho fatto una passeggiata.

- Stronzate!- urlò Maurice.- Con chi eri? Con quel coglione del figlio di Prince?

Nel sentire il nome di Gaston, la ragazza dimenticò per un attimo la sua paura.

- Per una volta hai ragione, papà. Gaston è un coglione.

Belle si voltò, prendendo a salire velocemente le scale. Maurice ringhiò, battendo un pugno sul muro così violento da far tremare la porta.

- Se ti becco a fare la puttana con chissà chi, parola mia che ti ammazzo, troia!- urlò.

Belle accelerò il passo, correndo lungo il corridoio fino a raggiungere la sua stanza. Vi scivolò dentro, quindi serrò la porta e la chiuse a chiave. Era un’abitudine che aveva preso fin da ragazzina, quando suo padre era più irritabile del solito.

Belle stette ad ascoltare le imprecazioni di suo padre, finché non lo sentì attraversare il corridoio incespicando nei mobili, fino a raggiungere la propria camera da letto, per poi entrarci sbattendo la porta. Solo quando i rumori furono cessati si concesse nuovamente il lusso di riprendere a respirare.

Belle si gettò sul letto, fissando il soffitto.

La maggior parte delle minacce di suo padre si erano sempre rivelate infondate, o comunque meno gravi di quanto decantato, ma la ragazza era sicura che, se avesse detto a Moe che per tutto quel tempo era stata in compagnia del signor Gold, allora l’avrebbe davvero ammazzata.

Belle si accorse che le sue guance avevano ancora un colorito roseo. L’interessamento di Gold per lei le aveva fatto piacere, era inutile negarlo. Così come le aveva fatto piacere la passeggiata in sua compagnia. E quando l’aveva chiamata per nome…La ragazza si era resa conto che il signor Gold, benché si ostinasse a volerla chiamare dearie, stava prendendo l’abitudine di chiamarla Belle. E questo non le dispiaceva affatto, anzi. Era stato bello, quella sera, quando l’aveva fatto.

Sarebbe stato tutto perfetto, se lei alla fine non se ne fosse uscita con quella frase idiota.

Grazie per aver fatto un giro con me.

Belle gemette, affondando il viso nel cuscino.

Isabelle French, tu sei una cretina!

 

Angolo Autrice: Ebbene sì, sono ancora viva XD. Magari qualche spiritosone, vedendo che non aggiornavo, avrà pensato “vabbé, è morta”. No, dolcezza, io vivo eccome XD. Questo per dirvi che mi dispiace per questo clamoroso ritardo, cercherò di essere puntuale, in futuro.

Dunque, chi ha visto il primo episodio della seconda stagione di OUAT? Chi non è svenuto nel vedere il bacio fra Belle e Rumpel, nonché tutte le scene fra di loro? Io ho gongolato per un’ora di fronte al pc, giuro…Eh, sì, pc…a questo proposito (e sono serissima), devo fare un appello: siccome quando sono nata qualche fata maligna deve avermi fatto un malocchio tecnologico, domenica scorsa ho combinato un casino con il digitale e mi sono persa la prima puntata, che ho visto in inglese su You Tube…quindi, per favore, qualche anima pia potrebbe dirmi se è effettivamente su ABC la domenica e a che ora inizia? E’ un appello serio, giuro, domenica scorsa ero disperata :’(.

Non mi resta che ringraziare a_lena, Lady Palma, LifeCristal, sosia, e Tinotina per aver aggiunto questa ff alle seguite, LadyAndromeda per averla aggiunta alle seguite e per la sua recensione, Chihiro, GaaRamaru e Rayne per averla aggiunta alle ricordate, elechan33, Naill, qwerty123, e Rachel_Star per averla aggiunta alle preferite e Valentina_P, Samirina, Daniawen, Niniel Virgo e Sylphs per aver recensito.

Ciao a tutti, ci vediamo al prossimo capitolo :).

Dora93

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Capitolo 8
*** Rain ***


 

Rain

 

Moe incespicò, urtando con una spallata la cancellata della villa.

- E guarda dove vai!- biascicò uno dei suoi cinque compari, al che gli altri scoppiarono in una risata sgangherata. Moe ghignò, tracannando un sorso di tequila direttamente dalla bottiglia.

- Ehi, ma che ore sono?- fece un altro.

- Boh, le due, le tre del mattino…Perché, hai qualcuno che ti aspetta?- rise Maurice.

Quello inarcò un sopracciglio.

- Certo che no, non sono io il paparino con una bimba apprensiva a cui badare…

- Pfff!- il fioraio buttò giù un altro sorso.- Quella spaccapalle starà già dormendo, altro che…

- E in dolce compagnia, magari!- tutti risero.

Maurice squadrò il compagno con aria truce.

- Che cazzo stai dicendo, figlio di puttana?

- Io? Niente. Solo che, ehi, è una bella figliola, non mi stupirei se qualcuno se la sbattesse…

- Se solo ci prova le spacco quella faccia da santarellina, parola mia!- urlò Moe, raccogliendo da terra una pietra.

- Io me la farei…- disse un altro.- Sul serio. Anche se credo che qualcuno ci stia già pensando…chi lo sa, magari proprio in questo momento…

- Senti, chiudi quella fogna di bocca, o te la chiudo io per sempre!- ululò Maurice.

- Ehi, calma, calma, sto solo riportando delle notizie. Non lo sai cosa si dice in città di tua figlia e di…

- Ho detto di chiudere la bocca, stronzo!- urlò Moe, la mente annebbiata dall’alcool, e scagliò la pietra in direzione del compare. Quello si scansò appena prima che lo colpisse, e il sasso attraversò la cancellata della villa, andando a schiantarsi contro il vetro di una finestra.

 

***

 

Regina si svegliò di soprassalto, disturbata da un rumore di vetri infranti. Ansimò, esitando solo qualche secondo, prima di scendere velocemente dal letto e indossare la vestaglia. Percorse in fretta il corridoio al buio, a piedi nudi, giungendo fino alla camera di Henry. Socchiuse piano la porta, sbirciando dentro. La lampada da notte di suo figlio proiettava sul muro ombre e figure gialle e rosse. Henry le dava le spalle, rannicchiato sotto le coperte. Non si era svegliato.

Regina tirò un sospiro di sollievo: suo figlio stava bene.

Per un attimo si domandò se non avesse semplicemente sognato, ma era certa di aver sentito un rumore. Richiuse piano la porta, attenta a non svegliare Henry. Si strinse ancora più nella vestaglia, scendendo al piano di sotto. Si affacciò alla cucina: niente. Volse allora la sua attenzione all’ampio salotto, entrandovi lentamente. Sembrava tutto in ordine, non pareva mancare nulla.

Fece per tornarsene a letto, quando sentì uno scricchiolio seguito subito dopo da un bruciore al piede destro. Regina fece una smorfia, abbassando lo sguardo: si era tagliata con dei vetri rotti.

Fece scorrere lo sguardo lungo la scia dei frammenti: il vetro rotto si estendeva in tanti pezzettini dalla finestra sino a quasi il divano. In salotto entrò uno spiffero gelido.

Regina mosse qualche passo, attenta a non tagliarsi di nuovo, e scorse qualcosa di grande e scuro giacere in mezzo al salotto. Si chinò per raccoglierlo: una pietra.

La donna ringhiò di rabbia, uscendo a grandi passi dal salotto. Spalancò la porta d’ingresso e si precipitò in veranda, pronta a rispedire il sasso direttamente al mittente, ma si rese conto di essere arrivata troppo tardi.

Chiunque fosse stato, aveva pensato bene di defilarsi in tutta fretta.

Regina serrò le mascelle, squadrando la pietra con rabbia. Ora chissà quanto tempo ci sarebbe voluto, prima che la polizia trovasse il colpevole, se mai l’avesse trovato, senza contare che il solo pensiero di dover parlare con Emma Swann le dava il voltastomaco, e…

Un altro spiffero gelido la fece stringere ancora di più nella vestaglia. Regina gettò un’ultima occhiata alla strada deserta, afferrando il pomello della porta, fino a quando il suo sguardo cadde su una piccola telecamera installata appena al di sotto del primo piano. Aveva fatto installare quel sistema di sicurezza circa quindici anni prima, spesso dandosi della stupida per aver buttato via così del denaro in una cittadina dove non succedeva mai nulla, ma forse ora poteva tornarle utile.

Qualunque cosa fosse successa, le telecamere l’avevano sicuramente registrata.

 

***

 

Belle e Mary Margaret gettarono all’unisono un’occhiata alla finestra, allorché udirono un tuono in lontananza. I bambini, sia che fossero pazienti del reparto di pediatria, sia che fossero i piccoli assistenti volontari della maestra Blanchard, rabbrividirono vistosamente.

- E dire che oggi doveva esserci il sole…- commentò Mary Margaret, posando un vaso di fiori sul comodino di una bimba con un braccio ingessato.

- Già. Io non ho neanche l’ombrello…- mormorò Belle, dando un bacio sulla fronte a un bimbo attaccato a un respiratore.

- Posso darti uno strappo, se vuoi…Sì, insomma, David viene a prendermi, ma se glielo chiedo…

- Tranquilla, goditi il tuo Principe Azzurro, non sarò certo io a fare da terzo incomodo - ridacchiò Belle. Notò che Mary Margaret aveva inarcato un sopracciglio. - Sul serio, farò una corsa…- rimarcò la ragazza.

Mary Margaret non pareva molto d’accordo, ma presto l’incombenza dei bambini infranse qualunque tentativo di replica.

- Forza, bambini! Mettete in ordine quei giocattoli!- ordinò a gran voce ai cinque alunni che avevano accettato di accompagnarla a fare volontariato. Immediatamente, i bambini iniziarono a raccogliere i giocattoli dal pavimento.

Era un progetto che portava avanti da anni, ormai. Mary Margaret impiegava tutta la domenica in attività di volontariato, sia che fosse al rifugio per animali di Storybrooke, sia all’istituto delle suore, sia, come quel giorno, in ospedale. Aveva iniziato al liceo, su proposta di un’insegnante, e da allora non aveva più smesso. Lo stesso valeva per Belle. Come Mary Margaret, adorava fare volontariato, le piaceva dare una mano a chi stava peggio di lei, la faceva sentire utile. E, all’incirca un anno prima, discutendo di questo progetto, era saltata fuori l’idea di estendere l’attività anche agli alunni della scuola elementare. Mary Margaret aveva proposto il progetto, che era stata accolta entusiasticamente dalla maggior parte dei suoi allievi, cinque dei quali erano diventati ormai delle presenze fisse la domenica in ospedale.

- Ma si sa chi è stato?- bisbigliò Paige, gettando alcuni cubi di legno in una scatola.

- No, non si sa - rispose Henry, chino accanto a lei.- Ma mamma ha detto che le telecamere l’hanno registrato, quindi penso si scoprirà presto…

- E tu non hai sentito niente?

- No.

- Proprio niente?

- No, ho dormito per tutta la notte.

- Mamma mia, che ghiro!

Belle terminò di riporre alcune bambole di pezza in una sacca, quindi si sfregò le mani con un sorriso soddisfatto. Mary Margaret le lanciò un’occhiata di sottecchi: era trascorsa una settimana dallo spettacolo dell’Epifania e dall’“incidente” che ne era seguito fra la sua amica e il signor Gold, e lei non aveva ancora trovato il coraggio di chiederle nulla in proposito. Belle, dal canto suo, non ne aveva fatto parola. La maestra aveva anche azzardato l’ipotesi che Leroy avesse esagerato con l’alcool, quella sera, e avesse sparato delle scemenze che non stavano né in cielo né in terra, ma da qualche tempo a quella parte la sua amica era strana. Non era cambiata, ma era in qualche modo…diversa, ecco. Il suo carattere allegro e solare si era accentuato, e aveva una strana luce negli occhi, la stessa luce che Ruby diceva avesse lei da quando aveva iniziato a vedersi con David, e la stessa che aveva Ashley da che lei e Sean si erano riconciliati.

Belle era innamorata. Mary Margaret non ci avrebbe trovato nulla di male, anzi, da una parte era anche felice per lei. Era il sospetto dell’identità dell’amato, che la sconcertava.

- Davvero, ragazze, non saprei proprio come ringraziarvi…- fece Sorella Astrid, avvicinandosi a loro. Le due amiche le sorrisero.

- Si figuri, per noi è un piacere…- disse Belle.- Adoriamo fare volontariato, vero, MM?

- Magari le persone fossero tutte come voi…- sospirò Sorella Astrid, abbassando lo sguardo.

Mary Margaret smise di sorridere, perplessa.

- Va tutto bene, Sorella Astrid?- chiese Belle.

- Beh, diciamo che potrebbe andare meglio…- la suora si strinse nelle spalle.- Prima Leroy, e ora…

- Leroy?- fece eco Mary Margaret.

Sorella Astrid arrossì vistosamente.

- Che? Cioè, volevo dire…è che…aspetto una persona…

- Qui?

- Sì…è che…vedete, lui non è molto bene accetto al convento, e…

- Non è né il primo né l’ultimo luogo, Sorella Astrid!

Le tre donne si voltarono all’unisono in direzione della porta. Henry e Paige smisero di mettere in ordine e sollevarono lo sguardo.

- I termini del contratto non stabilivano che io dovessi adeguarmi al suo umore e a quello delle sue sorelle - il signor Gold mosse qualche passo, entrando nella stanza.- Devo forse ricordarle che non c’è nulla che m’impedisca di raddoppiare l’affitto?

Sorella Astrid sgranò gli occhi, iniziando a rovistare nervosamente nelle tasche del pullover.

- Io…mi…mi scusi, è che…La Madre Superiora non si sente molto bene, e…

- Risparmi le sue scuse, Sorella, dire bugie non si addice a una suora - l’interruppe Gold, secco.

- Io…sì, certo - si arrese Sorella Astrid, rossa in viso, porgendogli una mazzetta di dollari.- Dovrebbe esserci tutto…

- Lo spero - Gold prese il denaro senza battere ciglio.

Belle si morse il labbro inferiore, mentre lei e Mary Margaret riprendevano a lavorare, cercando di ignorare la presenza del signor Gold. Questi si limitò a scoccare alcune occhiate ai bambini ricoverati, senza che sul suo volto passasse alcuna traccia di emozione. Belle si chiese che cosa facesse ancora lì; ora che aveva ritirato l’affitto, non c’era più nulla che lo trattenesse.

Una bambina sui sei anni, sdraiata sul lettino con una gamba ingessata, lasciò cadere sul pavimento la sua bambola. Belle fece per raccoglierla da terra, ma il signor Gold la precedette, chinandosi a riprendere il giocattolo. Lo porse alla bambina, la quale gli rivolse un timido sorriso; Belle spostò lo sguardo sul volto di Gold, ma non vi scorse alcun mutamento di espressione se non, alla ragazza parve di vedere, un leggero sorriso, appena percettibile, quasi se ne vergognasse.

Belle si sentì avvampare, quando Gold la guardò negli occhi.

- Buona giornata, Belle - disse, prima di uscire senza voltarsi.

La ragazza non fu mai tanto grata di aver terminato il proprio lavoro. In genere, quando il suo turno era finito, s’intratteneva ancora con i bambini, oppure chiacchierava con Sorella Astrid o faceva la strada di ritorno con Mary Margaret, ma quel giorno salutò i piccoli pazienti e indossò velocemente la felpa.

La maestra la guardò a occhi sgranati.

- Ci…ci vediamo domani a colazione, okay?- fece Belle, ignorando lo sguardo dell’amica.

- Belle…

- Magari ti chiamo stasera, va bene?

- Belle…

- Ciao!

Belle uscì dal reparto di corsa, guadagnandosi una sfilza di occhiatacce da parte di medici, infermieri, e anziane nonnine che più di una volta era stata sul punto di investire. Raggiunse il signor Gold appena in tempo prima che se ne andasse.

- Come mai tanto trafelata, dearie?- fece Gold.

- Io…- ansimò Belle.- Io…

Io, che cosa?

Perché gli era corsa appresso? Che aveva di così importante da dirgli? Perché ora se ne stava lì impalata come un baccalà chiedendosi perché fosse tanto stupida?

Ah, già…

Belle boccheggiò, chiedendosi se il modo migliore per suicidarsi fosse sbattere la testa contro il muro fino a rompersela in due oppure restare sotto la pioggia battente di quel momento in attesa di una più che meritata polmonite fulminante, mentre il signor Gold continuava a fissarla, apparentemente spazientito.

- Niente, volevo solo salutarla - concluse miseramente Belle.

Gold inarcò un sopracciglio.

- Hai travolto mezzo corridoio solo per questo?

- Oh, andiamo, non ho ucciso nessuno!- Belle scoppiò a ridere, sentendosi improvvisamente il cuore più leggero. Non aveva chiamato gli infermieri perché le mettessero la camicia di forza, beh, era già qualcosa.- Non è poco, per me.

Gold fece la sua solita smorfia.

- Non sapevo facessi…

Un rumore sordo seguito da un’imprecazione interruppe la sua frase. Belle si voltò, sentendo il cuore balzarle fino alla gola, non appena riconobbe la voce.

Gaston stava incespicando nella loro direzione, con un occhio nero, il labbro spaccato e un grosso cerotto bianco all’altezza del sopracciglio. Probabilmente, si disse Belle, doveva essere reduce da qualche rissa. Jefferson, al suo fianco, stava cercando di accompagnarlo a fatica fino all’uscita.

- Per favore, glielo chiedo un’ultima volta: esca da qui!- sbuffò Jefferson, spingendo Gaston verso la porta a vetri dell’ospedale.

- Io quello lo ammazzo!- urlò Gaston, attirando l’attenzione di tutti i presenti.- Altro che il braccio, io gli spezzo il collo!

- Con quello che avete combinato avrete tempo per discutere in tribunale!- Jefferson tentò di spingerlo fuori afferrandolo per un braccio, ma Gaston si divincolò.

- Toglimi le mani di dosso, brutto str…

Lo sguardo del ragazzo incontrò quello di Belle. La ragazza avvertì una strana sensazione, come se stesse cadendo.

- Oggi è il mio giorno fortunato!- grugnì Gaston, spingendo Jefferson di lato.

Belle indietreggiò di un passo.

- Vattene, Gaston!- disse, tentando di apparire decisa, ma più che una minaccia la frase le uscì come una supplica.

- E perché? Sono appena arrivato…- Gaston avanzò a grandi passi verso di lei. Barcollava, probabilmente doveva aver bevuto.- Non ti sei dimenticata di Natale, vero?

- Gaston, lasciami in pace…!

- Ma certo che ti lascio in pace! Ti lascerò in pace, come no, dopo averti spaccato quella faccia da sgualdrina…!

Gaston alzò un braccio per colpirla; Belle serrò gli occhi, ma prima che il ceffone la raggiungesse, il signor Gold aveva bloccato il ragazzo per un polso. Gaston digrignò i denti, tentando di reagire, ma prima che potesse farlo l’uomo lo colpì in pieno stomaco con il manico del bastone.

Gaston emise un gemito soffocato, finendo in ginocchio. Jefferson e gli altri infermieri accorsero, prendendolo per le spalle.

- Me la paghi, bastardo!- ringhiò Gaston.- Io sono Gaston Prince, e tu, bestia, mi hai portato via…

- Ne riparliamo da sobrio!- sibilò Gold, lasciandogli il braccio.

Jefferson e altri due inservienti afferrarono il ragazzo per le spalle, spingendolo fuori dalla porta.

Trascorsero forse trenta secondi, forse dei minuti interi, ma a Belle parvero durare anni.

Espirò impercettibilmente, mentre il sangue riprendeva a defluire. Tenne lo sguardo fisso sulla porta da cui Gaston era appena uscito, senza avere il coraggio di guardare altrove. A mano a mano che la paralisi da spavento passava, si accorgeva che tutti la stavano fissando, aveva su di sé lo sguardo di oltre trenta persone. Si sentì avvampare, sentiva il capo pesante, mentre tutt’intorno si levavano mormorii di curiosità e qualche risatina di scherno. In poche ore quello che era successo sarebbe divenuto di dominio pubblico, tutti a Storybrooke avrebbero saputo di quello che era successo fra il figlio del senatore e lei, la patetica figlia dell’ubriacone della città.

Belle si sentì salire le lacrime agli occhi, anche se non avrebbe saputo dire se per lo spavento o per l’umiliazione. Beh, non voleva saperlo. Non voleva sentire i commenti maligni di chi le stava intorno, né incontrare lo sguardo infastidito o – peggio ancora – sprezzante del signor Gold. Voleva solo correre a casa e nascondersi sotto le coperte, niente di più.

Ricacciò indietro le lacrime, correndo in direzione della porta. Sollevò il cappuccio della felpa sul capo, uscendo sotto la pioggia battente. Scese in fretta i gradini, ringraziando mentalmente che la fermata dell’autobus fosse vicina. Si appoggiò alla colonna sostenitrice del cartello, maledicendo di non aver portato l’ombrello. Non vedeva l’ora che l’autobus arrivasse.

- Cosa stai facendo?!

Belle non si voltò, riconoscendo al volo la voce, né lo fece quando il signor Gold le si avvicinò, abbastanza da poterla riparare con il suo ombrello nero. Non gli rispose; era una domanda retorica, sapeva benissimo che cosa stava facendo. Tenne lo sguardo puntato sulle proprie scarpe.

- L’autobus non arriverà prima di un’ora. Intendi davvero rimanere sotto la pioggia per tutto questo tempo?

- Non ho molta scelta…- mormorò Belle, sperando che non si accorgesse della sua voce incrinata.

Il signor Gold sospirò, forse chiedendosi perché gli fosse capitata proprio una piaga come lei.

- Ho la macchina qui vicino. Ti do un passaggio fino a casa.

Non era una domanda né un invito. Pareva di più un vero e proprio ordine. Belle lo guardò, alla ricerca di una replica gentile per rifiutare.

- Sappi che qualunque scusa accamperai sarà solo inutile e poco credibile, nonché oltremodo nocivo per la tua salute. Andiamo, non mi servi a niente se sei malata!

Ecco, come non detto.

Belle annuì, aggrappandosi al braccio dell’uomo. Andiamo, non mi servi a niente se sei malata!...era per questo che lo faceva? Perché lei gli occorreva al negozio? Probabile, d’altronde ogni sua assenza comportava un giorno in più di lavoro. Ma c’era di più.

Belle era quasi certa che lei fosse la prima persona da moltissimo tempo ad aver avuto l’onore di salire sulla Cadillac nera del signor Gold, nonché forse l’unica verso cui avesse mostrato…qualcosa di vagamente somigliante a gentilezza. Tuttavia, Belle aveva ancora paura a credere che lui la considerasse più di una semplice assistente provvisoria raccattata per pietà in una squallida catapecchia di periferia. Bastava soltanto pensare a come aveva trattato Sorella Astrid solo poco prima. Le suore erano benvolute da tutti, a Storybrooke, eppure il signor Gold non si sarebbe fatto alcuno scrupolo a cacciarle via dal convento solo per un ritardo dell’affitto. Belle sapeva come aveva fatto a costruire la sua fortuna, e di come mantenesse il suo potere in città, e questo la spaventava. Si rese conto che il signor Gold era così solo per scelta. Se manteneva sempre quella muraglia invisibile dietro cui nascondersi, era perché non voleva che nessuno si avvicinasse, che nessuno lo ostacolasse o lo distogliesse da quello che era il suo obiettivo principale. Il denaro. Il potere.

- Quando ti deciderai a denunciare quell’imbecille?- chiese all’improvviso il signor Gold, riportandola alla realtà. Belle non si era nemmeno accorta che aveva iniziato a guidare.

Proprio una bella domanda.

Belle non sapeva che rispondergli. Non sapeva come dirgli che non l’avrebbe denunciato, né ora né mai. Non sapeva come ammettere di essere una perdente. Lo era sempre stata, nella sua vita. Non aveva mai potuto fare niente, qualunque cosa le accadesse, non ne aveva mai potuto nulla. Non aveva potuto salvare il Game of Thorns senza cedere a dei ricatti. Non aveva potuto far sì che suo padre smettesse di bere. Non aveva potuto fermare Gaston. Non aveva potuto guarire la leucemia di sua madre. Non aveva mai potuto nulla.

Aveva ripreso a piangere. Si asciugò nervosamente le lacrime, maledicendosi con tutta se stessa.

Gold accostò l’auto, fermandosi di fronte a casa French. Belle si sentì infinitamente sollevata.

- Grazie…- mormorò, senza guardarlo, facendo per aprire la portiera. Gold la fermò toccandole piano un braccio.

- So di non essere la persona migliore a cui fare delle confidenze…- fece una smorfia.- Ma credevo che quell’idiota avesse imparato la lezione…

- A Natale mi ha inviato un messaggio - disse Belle.- Credevo fossero solo minacce, ma…

- Se ti da fastidio ancora, devi venire da me, intesi?

Belle rimase interdetta, ma annuì.

Il signor Gold le prese una mano.

- Non sono un uomo buono, ma avrai capito che su di me si può contare - ghignò come al suo solito.- Abbiamo un accordo?

Belle ridacchiò.

- Affare fatto - concesse.- Lei dice di non essere un uomo buono, ma ha fatto una bella cosa, oggi…- aggiunse poi.

- Una lezione agli imbecilli non fa mai male…

- Vero. Ma non mi riferivo solo a Gaston. Quella bimba le era molto grata, lo sa?

- Ho solo raccolto un giocattolo.

- Ma quando le ha sorriso, lei ha ricambiato. Impercettibilmente, ma l’ha fatto. L’ho vista, sa?- Belle sorrise.- Le piacciono i bambini?

Gold sospirò, prima di rispondere.

- Anche se potrò sembrare un pervertito, ammetto che i bambini mi stiano simpatici. Sono gli unici a non agire mai con un doppio fine, a differenza di tutte le altre persone…

- Pensa questo anche di me?

Gold la guardò, ma non rispose. Belle arrossì.

- Io…beh, grazie del passaggio…- mormorò, aprendo la portiera ed uscendo dalla macchina.

 

***

 

Il signor Gold passò al negozio, quella domenica, prima di tornare a casa. Lo faceva spesso, nei giorni in cui non lavorava, per assicurarsi che fosse tutto in ordine. Fece una smorfia non appena sentì la porta aprirsi.

- Siamo chiusi!- disse, senza voltarsi.

- Ma lei è qui - replicò una voce femminile, calma e impassibile.

Gold sogghignò, riconoscendo il tono deciso e perentorio del sindaco Mills. Si voltò; la donna sorrideva, come sempre apparentemente sicura di sé, ma lui sapeva che era disperata. Solo i disperati si rivolgevano a lui.

- Mi faccia indovinare - ghignò.- Lei è qui per chiedermi di nuovo di concederle un altro prestito, prestito che sa che non potrà ripagare, data la falla che ha già aperto nelle finanze della città. E temo proprio, dearie, che anche questa volta mi vedrò costretto a rifiutarle il mio aiuto.

Si sarebbe aspettato che il sorriso della donna le morisse sulle labbra; invece, Regina non si scompose, e avanzò verso il bancone. Si sporse verso di lui.

- Glielo chiedo un’ultima volta: mi conceda quel prestito.

Regina abbassò lo sguardo, scorgendo una tazzina bianca e blu poggiata sul bancone. Aveva il bordo scheggiato. Quasi senza pensarci, la prese in mano e iniziò a esaminarla.

Con sua grande sorpresa, Gold gliela strappò di mano.

- Altrimenti?

Regina sbatté le palpebre, frastornata, ma subito s’impose di riprendere il controllo. Tornò a sorridere.

- Non mi sottovaluti, Gold. Chiunque ha delle debolezze.

Il signor Gold ghignò nuovamente.

- Lei crede, dearie?

Regina non gli rispose, ma continuò a sorridere. Si avviò verso l’uscita, sentendo il ghigno dell’uomo ancora su di sé, ma s’impose di ignorarlo. Chiunque aveva delle debolezze, pensò. E lei credeva di essere molto vicina a scoprire quelle del signor Gold.

E queste erano in qualche modo collegate a quella tazzina sbeccata.

 

Angolo Autrice: Questo è un capitolo di mezzo, ma ha un suo perché. Diciamo che mi serviva dare un po’ di spazio ai cattivi, ovvero Regina – the master, diciamo XD –, Gaston (che tornerà a rompere, anche se verso la fine) e Moe. Ora, sarebbe stato inverosimile che tutta Storybrooke sapesse della storia fra Belle e Gold e Maurice facesse la figura del povero pirla che non si accorge di nulla mentre sua figlia gliela sta facendo sotto il naso. Qui ha avuto un mezzo sentore di ciò che sta accadendo, e quando verrà a sapere la verità saranno dolori. Ha un perché anche il fatto che abbia rotto la finestra di Regina e, alla pari di Rumpel, anche Gold ha l’ossessione del potere, anche se in maniera diversa…

Bene, detto ciò…The Crocodile mi ha fatto schizzare il livello di fluff alle stelle, quindi nel prossimo capitolo ci sarà un po’ di romanticismo…

Ringrazio Alessandrina95, areon, Deademia, Dresda, Drop_of_Moon, Eruanne, h o r o, jarmione, jenny95k, PiccolaSerpe, S n o w, Silvie de la nuit, strega_del_lago, tykisgirl, Valby e vultur per aver aggiunto questa ff alle seguite, momichina92 per aver aggiunto questa ff alle seguite e per aver recensito, Christine_Heart per averla aggiunta alle ricordate, ANIMAPERSA, B_SomebodyToldMe, Ele 95, MsBelle, StillAnotherBrokenDream per averla aggiunta alle preferite, Ginevra Gwen White per averla aggiunta alle preferite e per aver recensito, kagura, LadyPalma, Samirina, historygirl93, Valentina_P, Nimel17, LadyAndromeda e Sylphs per aver recensito.

Ciao, al prossimo capitolo!

Dora93

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Capitolo 9
*** The Meaning of a Flower ***


 

The Meaning of a Flower

 

Henry gettò un’occhiata al negozio, sulla cui porta era affissa un’insegna recante la scritta Game of Thorns, le cui lettere affusolate parevano rovi di spine e terminavano nell’immagine di un bocciolo di rosa, quindi spostò lo sguardo sul portafoglio che teneva fra le mani. Da quando aveva rubato la carta di credito alla maestra Blanchard per pagarsi il viaggio fino a Boston per trovare la sua vera mamma, sua madre – l’altra madre, quella che l’aveva cresciuto – si era fatta promettere che non avrebbe più preso del denaro senza permesso.

- Se proprio vuoi comprarti un gelato o fare una partita in sala giochi - aveva concluso, - vorrà dire che inizierò a darti una paghetta settimanale.

Henry era stato contento di questa prospettiva, anche se, alla fine, aveva scoperto che, in fondo, non sapeva che cosa fare di tutti quei soldi. Sua madre gli aveva categoricamente proibito di mangiare del gelato, non gli piacevano eccessivamente i videogame, e tutto quello che gli occorreva ci pensavano la mamma oppure Emma a procurarglielo. Così, il denaro si era accumulato, fino a quasi non starci più nel salvadanaio.

Salvadanaio che, quella mattina, aveva rotto, felice di essere riuscito a risparmiare tutti quei soldi.

Henry tornò a fissare la scritta Game of Thorns. Era domenica, eppure il negozio di fiori era aperto. Il ragazzino sperò vivamente che ci fosse Belle, e non Moe French. Il fioraio era un tipo scortese e scorbutico, molto incline a perdere velocemente la pazienza, e lui, quel giorno, aveva assolutamente bisogno di qualcuno che lo consigliasse. Belle avrebbe saputo farlo. Sì, ma Belle lavorava al negozio del signor Gold. Ma il negozio del signor Gold la domenica era chiuso, mentre il Game of Thorns, per ovvie ragioni, era aperto. Aveva buone speranze di trovare Belle dietro il bancone.

Era il giorno di San Valentino, in fondo.

Henry si fece coraggio ed entrò. Trovò padre e figlia dietro al bancone. Il ragazzino scoccò un’occhiata di sottecchi a Maurice: aveva le guance e la punta del naso arrossati, non era sobrio ma nemmeno troppo sbronzo, anche se non ci sarebbe voluto molto prima che lasciasse il negozio e se ne andasse al bar. Belle teneva il capo chino, concentrata su un mazzo di fiori di pesco che stava confezionando. Sollevò lo sguardo non appena udì il campanello tintinnare.

Moe squadrò il piccolo cliente con un cipiglio infastidito, quindi si volse verso sua figlia.

- Pensaci tu - grugnì, prima di avviarsi a passo pesante sul retro del negozio.

Belle spostò da parte il mazzo di fiori, sporgendosi sul bancone e sorridendogli.

- Cosa posso fare per te?

Henry si avvicinò, imbarazzato.

- Ehm…io devo regalare un fiore…

- Ottimo. Che fiore?

- Io…beh, è complicato…- Henry si passò una mano fra i capelli.- E’ che…insomma…

Belle inarcò un sopracciglio, sorridendo.

- C’è una ragazzina che ti piace?

- No!- si affrettò a dire Henry.- Cioè, volevo dire, sì…Insomma…lei mi piace, ma non in quel senso - spiegò il ragazzino.- Non voglio che sia la mia fidanzata…che orrore!…è che…insomma, San Valentino è anche la festa di chi si vuole bene, no?

- Immagino di sì…

- Ecco. E gli amici si vogliono bene, no?

- Certo - Belle trattenne una risata.

- Il punto è che…voglio dire…vorrei un fiore che significhi ti voglio bene…ma non nel senso che voglio che sia la mia fidanzata…un fiore che significhi ti voglio bene e basta.

Belle ridacchiò.

- Credo di aver capito…Aspetta…

Belle si voltò, iniziando ad esaminare i vasi di fiori posti sui ripiani alle sue spalle. Quando si voltò, Henry vide che teneva in mano un fiordaliso.

- Questo è un fiore che simboleggia l’amicizia - spiegò la ragazza.- Significa ti voglio bene e sono contento che tu sia mia amica. Che ne dici? Può andare?

Henry sorrise, annuendo soddisfatto, e iniziò a rovistare nel portafoglio. Si fermò di colpo, sollevando lo sguardo sul volto della ragazza.

- Avresti anche un biglietto, per favore?

 

***

 

- Allora, che ne dite? Blu o giallo?- Mary Margaret, in piedi al centro della stanza, mostrò prima l’uno poi l’altro abito alle amiche, tutte e quattro sedute sul letto di casa Blanchard. Belle aveva lasciato il negozio di suo padre nel mezzogiorno, su esplicita richiesta – anzi, urlata – di Maurice, il quale in quel momento – o almeno, così sperava stesse facendo – era in giro per Storybrooke con il suo furgone a consegnare i fiori. La ragazza si era offerta di accompagnarlo, dal momento che suo padre, benché non completamente sbronzo, era comunque piuttosto alticcio, ma Moe l’aveva freddata con uno scortese non ho bisogno di te!. Belle sapeva che suo padre non correva grandi rischi, al volante – c’erano i suoi assistenti con lui, in fondo –, e sperava solo che lo Sceriffo Graham non gli sequestrasse il furgone, ma alla fine si era resa conto che restarsene a casa alla finestra ad attendere chissà che cosa non avrebbe giovato a nulla. Così, aveva accettato l’invito di Mary Margaret ad andare a casa sua per decidere qual fosse il vestito migliore da indossare per una romantica serata di San Valentino.

Sin dal momento in cui aveva messo piede in casa e aveva trovato abiti sparsi dappertutto e Ruby con un boa di piume intorno al collo che imitava Lady Gaga, Belle aveva capito che le cose sarebbero andate per le lunghe.

Emma si sporse in avanti sul letto, esaminando i vestiti che la coinquilina stava provando con aria critica.

- A me sembrano uguali - dichiarò.- Magari quello giallo…

- Macché, il giallo la sbatte troppo!- esclamò Ruby. - Io metterei quello blu.

- Ha i capelli neri e le fai mettere un vestito blu? Ci vorrebbe qualcosa che staccasse - disse Ashley. Magari qualcosa di bianco…

- O di rosa - osservò Belle.

- Se continuiamo così dovrò dare buca a David!- gemette Mary Margaret.

- Ma di che ti preoccupi?- fece Emma. - Non è il primo San Valentino che passate insieme…

- No, ma è il primo che passiamo insieme senza che lui debba tornare a casa alle otto per cenare con sua moglie!- sbuffò Mary Margaret.- E dai, ragazze, datemi una mano!

- Io cambierei totalmente registro!- Ruby si alzò in piedi, superando Mary Margaret e dirigendosi con decisione verso l’armadio.- Vediamo che hai qui…

- No, Ruby, non aprire!- gridò Emma, ma ormai era troppo tardi. Una quantità inverosimile di vestiti, scarpe, biancheria intima e accessori vari finirono in massa sul pavimento non appena Ruby aprì le ante. Mary Margaret scoccò un’occhiataccia alla sua coinquilina.

- Sì, beh, ehm…è da un po’ che non metto in ordine…- Emma abbozzò un sorriso di scuse.

Tutte e cinque si misero all’opera per rimettere in ordine.

- Ehi, che ne dici di questo?- Ashley sollevò un tubino nero da terra.

- Non credo, l’ho già indossato il San Valentino scorso…

- E questo?- Belle mostrò a Mary Margaret un vestito appena al di sopra del ginocchio, viola scuro, senza spalline.- Con una collana e un paio di braccialetti ti starebbe una meraviglia…

Mary Margaret lo guardò, prendendolo in mano.

- Sì, forse hai ragione…- mormorò, premendoselo contro mentre si rimirava nello specchio.- Ma devo trovarci delle scarpe da abbinarci…

- Questo dove l’hai preso?- fece Emma, sollevando da terra un paio di mutandine di pizzo nero e squadrandole con occhi critici.- L’hai rubato in un sexy shop?

Mary Margaret gliele strappò di mano.

- Erano in saldo…

- Concordo con Belle, secondo me quello è perfetto…- sospirò Ashley, guardando l’abito di Mary Margaret con occhi sognanti.- Magari potessi indossarlo io…

La maestra si batté una mano sulla fronte.

- Che stupida! Scusate, penso solo a me e non mi preoccupo di voi…Che programmi avete per stasera?

- Nulla di speciale. Solo una cenetta a casa, solo io e Sean - disse Ashley.- Il mio quasi-suocero si è offerto di badare ad Alexandra, e poi, stiamo risparmiando per il matrimonio…

- E tu, Emma?

Il Vicesceriffo sbuffò.

- Niente, stasera sono in pattuglia con Graham.

Tutte e quattro si voltarono a guardarla.

- Come hai detto, Emma?- fece Ruby.

- Che?

- Ripeti quello che hai detto - ghignò Mary Margaret.

- Che non faccio niente, stasera.

- Dopo - incalzò Ashley.

- Che sono in pattuglia…

- Dopo ancora…- ridacchiò Belle.

- Che sono in pattuglia…con…Graham!- Emma si tappò la bocca con le mani. - No, ma che avete capito, io non…

Le quattro amiche scoppiarono a ridere.

- E brava la nostra Emma!- rise Mary Margaret.

- No, io volevo dire che…

- Mi sono sempre chiesta come fosse farlo sui sedili posteriori di un’auto della polizia…- sospirò Ruby.

Emma arrossì violentemente.

- Io…io…io credo che…vado a controllare se il caffè è pronto!- annunciò, scappando in cucina.

- Fa sempre l’indifferente, ma in fondo anche lei ha un cuore…- disse Mary Margaret, non appena le risate si furono estinte.- Aggiudicato, allora, mi metto l’abito viola…aiutatemi a trovare delle scarpe…

- Oddio, ma quanto sono carine!- esclamò Ruby, sventolando un paio di scarpe rosse con un tacco a spillo quindici.- MM, me le presti per stasera? Me le presti? Ti prego, solo per stasera! Ti prego, ti prego, ti prego…

- Io…

- E dai, MM! Farebbero un figurone con l’abito che indosserò!

- Esci con qualcuno, Ruby?- chiese Belle.

Ruby smise di saltellare, diventando del colore delle sue mèches.

- No…cioè, sì…a dire il vero esco con Archie…- ammise.

- Wow, allora è una cosa seria!- rise Ashley.

- No, no, non è un appuntamento!- si affrettò a dire Ruby. - Andiamo solo al cinema e beviamo qualcosa al pub…Da buoni amici, tutto qui…

- La sera di San Valentino?- fece Belle, scettica.

- E che c’è di male? San Valentino è la festa di chi si vuole bene, no?- Ruby si voltò di scatto, rimirandosi nello specchio di Mary Margaret.

- Va bene, vorrà dire che faremo finta di crederci!- rise Ashley.

- In bocca al lupo per il tuo appuntamento, Ruby!- augurò Belle.

- Non è un appuntamento!

- E tu, Belle?- chiese d’un tratto Mary Margaret, titubante. Belle non aveva spiccicato parola su quanto era successo la domenica precedente in ospedale, e questo non aveva fatto altro che avvalorare la sua ipotesi. La sera stessa, sconcertata, aveva chiamato Ashley per parlargliene, ma aveva trovato la stessa perplessità anche nell’amica. Belle non si era mai innamorata in vita sua, e il fatto che ora l’eventuale persona amata potesse essere il signor Gold…Mary Margaret non era solo perplessa, era anche un tantino preoccupata. La reputazione di…quell’individuo era la peggiore di cui un essere umano potesse godere, e se Belle non stava attenta rischiava di cadere e farsi molto, ma molto male. Inoltre, la maestra non era sicura di come sarebbero continuati i rapporti fra di loro. Tutte e quattro si conoscevano fin dalle elementari, e avevano affrontato gravidanze inaspettate, amanti sposati, ragazzi di buona famiglia succubi di genitori perbenisti, nonne apprensive al limite dello sfinimento, padri alcolizzati e conquiste occasionali, Mary Margaret non avrebbe avuto alcun problema ad accettare che una sua amica uscisse con…un poco di buono che a quanto pare era stato in grado di rubare il cuore a Belle, ma non poteva dire la stessa cosa di Ashley e Ruby.

Specialmente Ruby.

Mary Margaret non aveva potuto fare a meno di notare che, dalla sera dell’Epifania, Ruby aveva iniziato a irrigidirsi quando parlava con Belle. Era una freddezza sottile, di cui Belle, e forse nemmeno la stessa Ruby, si erano rese conto, ma la maestra l’aveva intercettata comunque. Ruby non era il tipo che perdonava facilmente un torto; lei e sua nonna erano nel mirino del signor Gold da anni e, se Belle si era innamorata di lui – anche se Mary Margaret sperava con tutto il cuore di aver preso un granchio pazzesco, su questo punto –, allora era certa che Ruby non gliel’avrebbe perdonato. L’avrebbe vissuto come un tradimento nei suoi confronti, e il loro rapporto ne avrebbe inevitabilmente risentito.

Lo sguardo le corse immediatamente all’amica. Ruby continuava a specchiarsi provandosi un vestito rosso, ma aveva smesso di sorridere, e attendeva la risposta di Belle.

- Io? Nulla, lo sapete che sono single - replicò la ragazza, con naturalezza. Mary Margaret tirò un sospiro di sollievo e il sorriso forzato di Ashley si fece più sincero; Ruby sembrò rilassarsi, ma continuò a guardare Belle dallo specchio.- Credo che me ne starò a casa e mi guarderò uno di quei film d’amore strappalacrime come una perfetta vecchia zitella inacidita!- rise.

- Ho deciso: se l’anno venturo sei ancora single, serata fra ragazze!- annunciò Ashley.- Mi sento un verme ad andare a divertirmi con il mio uomo e a lasciarti da sola ogni San Valentino…

- Non serve, ragazze, davvero. Vorrà dire che festeggerò domani: il quindici è la festa dei single, no?- ridacchiò Belle.

- Sempre che la vita non ti riserbi qualche sorpresa…- sussurrò Ruby.

Mary Margaret non disse nulla, sentendosi una grandissima ipocrita. Il resto del pomeriggio trascorse allegramente, fra vestiti, chiacchiere e pettegolezzi, ma la maestra sentiva continuamente un peso sul cuore che le impediva di rilassarsi completamente. Era incredibile: loro quattro si erano sempre dette tutto, fin da piccole, e ora Belle stava tenendo loro nascosto un segreto. Non che loro tre fossero poi tanto più sincere, dato che né lei né nessun’altra aveva il coraggio di guardare in faccia l’amica e di chiederle la verità. Sì, ma che le avrebbero detto?

Ciao, Belle! Senti, non è che per caso ti sei innamorata di quel bastardo che tiene tutta Storybrooke al guinzaglio e si diverte a dissanguarci con l’affitto ogni mese?

Oh, cielo…Mary Margaret cercava di convincersi che forse non era così, forse se Belle non diceva nulla era perché non c’era nulla da dire, forse erano solo loro tre che avevano sniffato qualcosa di pesante e ora vedevano cose che non esistevano da nessuna parte, che al massimo fra la sua amica e il perfido signor Gold c’era solo un cordiale rapporto datore-dipendente, ma i fatti dicevano il contrario.

Insomma, chi si sarebbe comportato come Belle nei confronti del proprio capo, soprattutto se il capo in questione era uno stronzo che pareva esistere con l’unico scopo di rovinare la vita alle persone?

Non poteva neppure adottare la logica del chissenefrega, in questo caso. Primo, perché Belle era sua amica e non avrebbe mai potuto lasciarla da sola in pasto al lupo cattivo; secondo, perché era vero che la ragazza era adulta e sapeva badare a sé stessa, ma era anche vero che c’erano molti pericoli da cui non avrebbe avuto scampo, se fosse rimasta sola ad affrontarli. E non si riferiva solo a Gold, la cui non-bastardaggine era un fatto ancora tutto scientificamente da dimostrare.

Mary Margaret tremava al pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere se la notizia – vera o falsa che fosse – di una tresca fra Belle e Gold fosse giunta all’orecchio di Moe French. Il fioraio era l’ubriacone della città, era un uomo aggressivo e violento, che in passato era stato capace di alzare le mani su sua figlia per molto meno. Mary Margaret sapeva che, se Maurice fosse venuto a sapere una cosa simile, allora Belle non l’avrebbe passata liscia. Oh, no. Chi poteva saperlo, magari suo padre sarebbe anche stato capace di...

Mary Margaret si riscosse, imponendosi di smetterla con quei pensieri paranoici. Nessuno le assicurava che le cose stessero davvero così e, in ogni caso, continuare a mugolarci sopra non avrebbe giovato a niente e a nessuno. S’impose quindi di rilassarsi e di pensare a godersi il San Valentino con David. Belle aveva detto che sarebbe rimasta a casa, suo padre era certamente in giro a distribuire mazzi di fiori – o a ubriacarsi –, e il signor Gold era molto probabilmente al suo negozio a provare qualche strumento di tortura medievale, quindi eventuali rischi erano più che scongiurati.

Sperava solo che Belle non facesse qualche stupidaggine…

 

***

 

Paige sollevò il naso dal libro di favole che Henry le aveva – a malincuore – prestato il giorno prima, per scusarsi di aver continuato a leggere la favola senza di lei e per darle il tempo di recuperare. Doveva solo spiegargli come mai aveva proseguito anche oltre la lettura stabilita, si disse, vedendo arrivare il ragazzino.

Paige saltò giù dalla panchina, andandogli incontro.

- Ciao, Henry!- salutò. Il ragazzino le sorrise, imbarazzato; Paige gli porse il libro.- Ho recuperato, grazie per avermelo prestato.

- Di niente…- borbottò il ragazzino, prendendolo fra le mani.

- A dire il vero…sono andata anche un po’ avanti…- ammise Paige, facendo dei cerchi in terra con lo stivaletto.

- Che?!

- Ma non l’ho finita!- si affrettò a dire la bambina.- E comunque, se vuoi te lo racconto: la Bestia è sempre più innamorata della Bella, e ogni sera le chiede di sposarlo…

- E lei?

- Rifiuta sempre. Ma secondo me anche lei è innamorata. Spero tanto che si sposino!- esclamò Paige, con aria sognante. Si fece d’un tratto seria, inclinando lievemente il capo di lato. - Henry, che cos’hai in mano?

Il bambino si fece rosso in volto, ma s’impose di restare calmo. Indietreggiò di un passo, quindi si schiarì la voce.

- Buon San Valentino, Paige!- disse, porgendole il fiordaliso e il biglietto.

La bambina li prese lentamente, seria, quindi lo guardò.

- Henry…lo sai che io da grande sposerò il mio papà, vero?

- Sì!- disse in fretta il ragazzino.- Sì, certo, ma…San Valentino è la festa di chi si vuol bene…quindi anche degli amici, no?

Paige sorrise; odorò il profumo del fiordaliso, quindi aprì il biglietto.

 

Per Paige:

Mi piace giocare con te e leggere le favole con te. Ti voglio bene e sono contento che tu sia mia amica.

Henry

 

Paige sorrise nuovamente, gettandogli le braccia al collo.

- Grazie, Henry!- disse, abbracciandolo.

Henry arrossì.

 

***

 

Regina teneva lo sguardo fisso sullo schermo, premendo il pulsante di stop per la decima volta non appena giungeva all’immagine che la interessava. Premette ripetutamente sullo zoom finché la scena sfocata non si fece più vicina e nitida.

Regina si sporse in avanti, esaminando per l’ennesima volta l’uomo che, stando a quello che le telecamere avevano registrato, doveva essere colui che aveva scagliato la pietra contro la sua finestra. La scena mostrava chiaramente un omaccione corpulento che scaraventava un grosso sasso oltre la cancellata della sua villa. Regina ormai non aveva più dubbi su chi fosse: quello era certamente il fioraio Maurice French.

Mi sono fatta spaccare i vetri dall’ubriacone della città!, pensò Regina, con una punta di fastidio e di esasperazione. La logica avrebbe voluto che lei corresse subito alla polizia per denunciarlo, ma il solo pensiero di essere costretta a ricorrere all’aiuto di Emma Swann le dava il voltastomaco. Senza contare che, in un modo o nell’altro, quel video poteva risultarle utile, realizzò improvvisamente.

Ormai tutta la città parlava di una tresca fra la figlia dell’ubriacone – come si chiamava? Ah, giusto, Isabelle! – e l’uomo che le aveva rovinato la vita. Ma era anche vero che si trattava solo di voci. Gli abitanti di Storybrooke parevano avere l’incessante bisogno di spettegolare su qualcuno, e Regina aveva bisogno di fatti. Gold le aveva rifiutato ancora un prestito, e non ci sarebbe voluto molto prima che la falla nelle finanze della città venisse allo scoperto. Le occorrevano quei soldi, e subito!

Doveva solo capire se le voci erano vere, dopodiché non sarebbe stato difficile…

Regina si riscosse, udendo l’orologio a pendolo nel corridoio suonare le nove di sera.

Meno di tre ore alla fine di San Valentino, pensò, con una punta di amarezza.

Da che l’aveva adottato, ogni sera metteva a letto suo figlio alle otto e mezzo precise, ma quella sera Regina avrebbe quasi voluto tenerlo sveglio per farle compagnia.

Odiava San Valentino.

Lo odiava e lo amava al tempo stesso. Lo odiava, perché non poteva fare a meno di associarlo a ciò che era accaduto appena una settimana dopo l’ultimo San Valentino che aveva festeggiato in vita sua.

C’è stata una fuga di gas, signorina.

Un incendio.

Almeno dieci morti, quasi trenta feriti.

L’hanno portato in terapia intensiva, signorina.

Ci sono poche speranze che si salvi, signorina.

Mi dispiace molto, signorina.

Non ce l’ha fatta.

Non l’aveva abbandonato, neanche un istante. Si rivedeva in lacrime, con la fronte appoggiata al vetro di una stanza dell’ospedale, la terapia intensiva, il suo volto coperto di piaghe, i medici che le dicevano che lui non ce l’aveva fatta…

Daniel era morto in ospedale, dopo quasi dodici ore di agonia.

Appena una settimana prima, avevano festeggiato San Valentino. Lo amava perché era l’ultimo ricordo che le rimaneva di lui. Daniel faceva la notte in fabbrica, aveva solo un’ora di pausa, gli dispiaceva, avrebbe voluto avere più tempo per stare con lei, ma a Regina non importava. Le andava bene così. Sapeva che Daniel lavorava sodo, per loro due, per il loro futuro, cosa che sua madre non aveva mai compreso. Quella sera le aveva raccontato che usciva con delle amiche per non dover affrontare l’ennesima, sfinente litigata su quanto quel morto di fame non fosse l’uomo giusto per lei. Si erano incontrati al parco, avevano fatto una passeggiata, si erano dati un bacio, e poi Daniel le aveva dato il suo regalo. Un anello. Una piccola fede, semplice, di stagno, ma che lei aveva adorato.

- Prometto che non appena avrò i soldi te ne regalerò una d’oro, Regina…Così ti abituerai a portarla per quando saremo sposati…

Una settimana dopo, c’era stato l’incidente.

Regina spostò lo sguardo dallo schermo alla propria mano sinistra. Portava ancora quell’anello. Non l’aveva mai tolto, né mai lo avrebbe fatto.

Pensò a suo figlio che dormiva serenamente al piano di sopra, e si sentì salire le lacrime agli occhi.

Gold le aveva rovinato la vita, e ora si rifiutava di concederle il prestito che avrebbe potuto salvare la sua posizione. Se non le avesse dato quei soldi, sarebbe finita in carcere, ed Emma Swann si sarebbe ripresa Henry.

Regina si alzò in piedi di scatto, indossando velocemente il cappotto e prendendo le chiavi della macchina.

No, non l’avrebbe permesso! Ora era quasi certa di conoscere il punto debole di Gold e, se non si sbagliava, quella sera avrebbe avuto le conferme di cui aveva bisogno.

Aveva già perso Daniel. Non avrebbe permesso che le portassero via anche suo figlio.

 

***

 

Belle si strinse nel giubbotto marrone stinto, percorrendo il marciapiede a testa china. Era febbraio, e benché il gelo dell’inverno cominciasse a scemare, faceva ancora abbastanza fresco, e la ragazza continuava a camminare essenzialmente per svagarsi.

Non aveva nulla da fare, né una meta precisa in cui dirigersi. Semplicemente, non ne poteva più di stare in casa, benché questa si rivelasse il posto migliore del mondo, quando suo padre non c’era. All’inizio aveva tentato davvero di fare come ogni San Valentino, non le era mai pesato, prima di allora. Ma quella sera, non sapeva neppure lei perché, non era riuscita a rimanersene da sola in casa. Aveva pulito tutto da cima a fondo, aveva indossato una tuta pesante e si era piazzata sul divano di fronte alla TV, ma dopo vari tentativi di rivedere film stucchevoli e lacrimosi come Pretty Woman e Via col vento, Belle si era sentita soffocare, e aveva deciso che aveva un gran bisogno d’aria.

Anche se non in senso letterale, pensò, quando una ventata di brezza gelida le fece quasi sollevare la gonna dell’abito. Capì solo in quel momento di essersi vestita in modo troppo leggero, maledicendo se stessa e quel vestito azzurro che le arrivava fino alle ginocchia, molto più adatto a una serata fra ragazze con le sue amiche che a una passeggiata in solitaria la sera di San Valentino.

Belle costeggiò il muro di un locale di lusso – ordinariamente vuoto a causa dei prezzi esorbitanti, ma quella sera pieno di coppiette in vena di effusioni, e al diavolo se alla fine della serata il portafoglio avrebbe implorato pietà – tenendo il capo chino. Cominciava a chiedersi perché diamine fosse uscita, scema che non era altro! Rischiava di morire congelata, forse sarebbe stato meglio che se ne tornasse a casa, si gettasse sul letto e iniziasse a ingozzarsi di cioccolato proprio come una depressa che…

Belle urtò inavvertitamente qualcuno nello svoltare l’angolo.

- Scusi!- bofonchiò, ancor prima di rendersi conto di chi aveva quasi travolto.

- Non ti hanno insegnato a guardare dove vai mentre cammini, dearie?

Okay.

Avrebbe riconosciuto quel dearie ovunque.

Belle abbozzò un sorriso di scuse, incontrando lo sguardo infastidito del signor Gold. Era vestito di nero come al solito – ma che aveva quell’uomo contro i colori? –, e non aveva perso il suo solito ghigno beffardo.

- Sembra che io e lei non possiamo fare a meno di incontrarci anche al di fuori del lavoro, vero?

- E’ una minaccia?

- Una semplice constatazione - ridacchiò la ragazza.- Come mai qui?

Gold inarcò un sopracciglio.

- Ho bisogno di un motivo per uscire la sera?

- No…è che…E’ San Valentino - concluse Belle.- Non credevo che lei lo festeggiasse…Ha appuntamento con qualcuno?

Gold ghignò con aria canzonatoria. Belle si rese conto di aver detto l’ennesima stupidaggine.

- Mi scusi…- sussurrò, chinando il capo.

- E’ da quando ti conosco che non fai altro che scusarti…- sospirò Gold, ma non sembrava arrabbiato.- Bene, ti lascio ad attendere il tuo innamorato, dearie…

- Non c’è nessun innamorato!- si affrettò a dire Belle; si chiese perché fosse arrossita.- Non aspetto nessuno…Non è l’unico, sa?

Gold sospirò, gettando un’occhiata al locale alla sua destra.

- Le va di bere qualcosa?- chiese la ragazza all’improvviso.

- Come, prego?

Belle si strinse nelle spalle.

- Lei non ha nulla da fare, io nemmeno…Solo un caffè, nulla di più…Se le va - precisò la ragazza.

- Supponiamo che ne abbia voglia: dove avresti intenzione di andare?- ghignò Gold.

Belle, fosse stato anche solo per semplice abitudine, stava per rispondere prontamente che le sarebbe piaciuto andare da Granny, ma si fermò appena in tempo. C’era troppa gente, in quel posto, metà della quale la conosceva da sempre. Non sarebbe stata una mossa intelligente farsi vedere insieme al signor Gold. Perché? Non lo sapeva – c’erano un po’ troppe cose che non sapeva spiegare, forse avrebbe dovuto rivolgersi al dottor Hopper, uno di questi giorni –, ma certo era che gli abitanti di Storybrooke amavano spettegolare malignamente su qualunque cosa, quindi meglio essere prudenti.

Gold ghignò nuovamente.

- Potrei proporre un’eventuale soluzione?- chiese; senza attendere risposta, le fece cenno di seguirlo.

Belle arretrò istintivamente di un passo, non appena mise piede nel locale di lusso che aveva sorpassato poco prima. Non era abituata a quel genere di cose: non era mai stata in un posto così elegante, il massimo che conosceva era appunto il Bed & Breakfast di Ruby e sua nonna, e forse si notava. Lo sguardo di alcuni clienti le si posò addosso, ma Belle non avrebbe saputo dire se per lei o se per il suo accompagnatore. Si limitò a chinare il capo e a stringersi di più nella giacca, seguendo il signor Gold e superando i tavoli del ristorante sforzandosi di non badare ai curiosi.

Si udiva della musica coperta in parte dal brusio dei clienti. Qua e là si vedeva qualche ragazzo con in mano un mazzo di rose che passava fra i tavoli chiedendo ai clienti se volessero acquistarne una. Erano quei venditori occasionali che facevano andare in bestia suo padre.

Belle vide che il locale era composto di tre parti: un ristorante, una veranda e un bar. Fu lì che si diressero. La ragazza vide che Gold diceva qualcosa sottovoce al cameriere, il quale dopo qualche istante appena adiacente alla veranda. Belle si sedette, titubante, vedendo che Gold aspettava lei prima di sedersi a sua volta. La ragazza pensò che Gaston non l’avrebbe mai fatto.

Al pensiero del ragazzo, Belle fu percorsa da un brivido, ma cercò di non darlo a vedere. Notò con sollievo che non c’era molta gente, in quella sala, fatta eccezione per un altro paio di coppie e un gruppetto di cinque o sei ragazzi. Belle vide che erano tutti abbastanza corpulenti, e che un paio di loro indossavano le giacche della squadra di football di Storybrooke.

Erano certamente figli di papà amici di Gaston…

Belle si torse nervosamente le mani, sollevata quando il cameriere domandò loro le ordinazioni. La ragazza ordinò quasi senza pensarci una coca cola, mentre Gold prese un caffè nero. Non appena il cameriere tornò con le ordinazioni, Belle si ritrovò a cercare disperatamente qualcosa da dire. Gettò delle occhiate tutt’intorno, alla ricerca di un commento intelligente.

- Sembri a disagio, dearie…

Belle tornò a guardare Gold negli occhi, arrossendo vistosamente.

- No, io…a dire il vero, un po’ lo sono…- ammise.- Non ero mai stata in un posto simile…

- Mi spiace. Non intendevo metterti in imbarazzo.

- Oh, no! Nessun imbarazzo, io…devo solo farci l’abitudine, tutto qui…ma mi piace - concluse con un sorriso. Bevve un piccolo sorso di coca cola, giusto per prendere tempo.

- Come va al negozio?- chiese.

Il signor Gold bevve un sorso di caffè prima di rispondere.

- Non apro mai la domenica, lo sai.

- Ah, giusto…oggi è il mio giorno libero…- mormorò Belle.

- Dato che dobbiamo impegnarci a tenere in piedi la conversazione, mi sembra d’obbligo chiederti come hai passato la giornata…- ghignò Gold.

Belle ridacchiò. Non ne era sicura, ma cominciava a pensare che quel fare scorbutico servisse solo a mascherare del vero interesse. In ogni caso, aveva ragione: anche lei voleva tenere in piedi la conversazione.

- Ho lavorato con mio padre al negozio. A San Valentino c’è sempre tanta gente, pensi che stamattina è entrato anche un ragazzino…- Belle sorrise al ricordo di Henry Mills.- Ha comprato un fiordaliso per una sua amica…Un gesto carino, a mio parere…Ah, e oggi pomeriggio sono stata a casa di Mary Margaret…

- La maestra Blanchard?

Belle annuì.

- Insieme a delle mie amiche. Stasera avevano tutte un appuntamento. Io ho provato a restare a casa e a guardare un film, ma mi annoiavo e così…eccomi qui!- concluse.- Direi che ormai la domenica è diventata un giorno di noia, per me…Ogni volta, non vedo l’ora che arrivi lunedì per tornare a lavorare al suo negozio…- ammise.

Il signor Gold la guardò, sorpreso.

- Credevo odiassi lavorare per me…

- Perché dice questo?

- Hai già dimenticato il nostro accordo? Non è stata una tua scelta…

- A dire il vero, lo è stata. All’inizio, detestavo lavorare da lei…- ammise Belle, distogliendo lo sguardo.- Ma poi…beh, diciamo che ci ho fatto l’abitudine…- concluse.- Non mi dispiace poi tanto…

Gold non rispose; bevve un altro sorso di caffè, quindi tornò a guardarla.

- Tu avevi una vita, Belle. Prima di…beh, di me e del nostro accordo - disse.- Una famiglia…degli amici…che cosa ti ha spinto ad accettare di lavorare per me?- chiese.

Belle non si aspettava la domanda. Ci pensò su qualche secondo, prima di rispondere.

- Ecco…il Game of Thorns era l’unica cosa che rimaneva di mia madre. Lei adorava i fiori. E’ morta quando avevo sei anni, e il pensiero di perdere anche ciò che restava di lei…Mio padre ha fatto una sciocchezza e non poteva rimediare al suo sbaglio. Volevo salvare il negozio, ecco tutto. E, a dire il vero…- Belle abbozzò un sorriso, lievemente imbarazzata.- L’ho fatto anche un po’ per me stessa. Per dimostrare a mio padre che anch’io valevo qualcosa. Mi ha sempre considerata una buona a nulla, e io volevo dimostrargli che si sbagliava, che avevo coraggio. Ho sempre desiderato essere coraggiosa…

- Ed è tutto ciò che hai sempre sperato?

Belle rise, rendendosi conto di come tutto ciò potesse suonare superficiale, detto in quel modo.

- A dire il vero, no. Quello che volevo veramente, era viaggiare. Vedere il mondo…Beh, finora questa parte non ha funzionato molto bene…- sorrise ironicamente.- Come vede, sono ancora a Storybrooke a vagare da sola per le strade la notte di San Valentino…

Il signor Gold fece il suo solito ghigno, ma a Belle parve molto più vicino ad un vero sorriso, questa volta.

- Mi ha stupito incontrarti, stanotte…Non hai un fidanzato?

Belle scosse il capo.

- No, nessuno. Se si esclude la relazione che Gaston Prince pensa che abbiamo…- aggiunse, amaramente.

- A proposito di lui…l’ho affrontato due volte, ma ancora non so perché sia divenuto così restio ad accettare i no

Belle inspirò profondamente, prima di rispondere.

- Mi dispiace di averla coinvolta in questa storia…Gaston mi fa la corte da quando avevo quindici anni…- spiegò, sentendosi il cuore più leggero. Era la prima volta che ne parlava con qualcuno e, benché il qualcuno in questione fosse il signor Gold, non si sentiva affatto a disagio. Tutt’altro.- Io gli ho sempre detto che non ero interessata, ma lui ha cominciato a farsi sempre più insistente, e…beh, il resto lo sa - concluse.- Sinceramente, non mi è mai importato molto di Gaston. Le mie amiche non sanno nulla. Dicono che sono matta a rifiutarlo, ma…anche se non avesse fatto ciò che ha fatto…non credo che potrei mai innamorarmi di qualcuno di così superficiale come lui…

Belle s’interruppe un attimo; Gold si era sporto verso di lei, le pareva che la stesse ascoltando con attenzione e interesse. Non ne era sicura, ma quel pensiero la lusingò.

- No…per me, l’amore è…l’amore ha molte facce - disse.- L’amore è…è un mistero da scoprire ogni giorno…

Si riscosse, rendendosi conto di essere andata un po’ troppo oltre la soglia prestabilita dai normali rapporti che un datore di lavoro e la sua dipendente avrebbero dovuto mantenere.

- Mi scusi!- disse in fretta.- Mi ha chiesto della mia giornata, e la sua come…

Belle interruppe la frase a metà, disturbata da delle risatine soffocate alle sue spalle. Gettò un’occhiata in direzione del rumore: i ragazzi che aveva visto prima stavano parlando sottovoce, indicandola e squadrandola di sottecchi. Probabilmente dovevano aver saputo di ciò che era successo con Gaston, oppure l’avevano riconosciuta come la figlia dell’ubriacone. Era chiaro che la stavano prendendo in giro. Belle si sentì sprofondare.

La ragazza sollevò lo sguardo sul signor Gold. L’uomo si era irrigidito, continuava a gettare delle occhiate al gruppetto di ragazzi, probabilmente doveva aver capito che cosa stava succedendo. Belle vide che sul suo volto era comparsa una smorfia di rabbia.

- Li conosci?- chiese.

Belle scosse il capo con vigore, sempre più imbarazzata.

- Che hanno da ridere?- sibilò.- Qualcuno dovrebbe insegnar loro a portare un po’ di rispetto…

Belle si spaventò; si sporse in avanti.

- Non fa niente…- disse, e la frase le uscì come una supplica.- Non importa…

- Importa - ribatté Gold, senza distogliere lo sguardo dal gruppetto.

- No!- implorò la ragazza. Doveva trovare un diversivo.- Senta…- mormorò.- Fa caldo, qui dentro…magari potremmo uscire un po’ in veranda…- propose.- Per favore…

Gold distolse lo sguardo dal gruppo, per puntarlo sulla ragazza. Annuì.

Belle si alzò dalla sedia seguita dall’uomo, affrettandosi a uscire in veranda. L’aria fresca della sera le fece un gran bene, e aiutò il colorito delle guance a diminuire un poco, ma Belle si sentiva comunque molto a disagio.

Si voltò verso il signor Gold, imbarazzata. Non ne faceva una giusta. Tutte le volte che le cose fra di loro sembravano andare bene, ci si metteva qualcuno, Gaston, suo padre, o degli sconosciuti, a rovinare tutto.

- Mi dispiace, io…

Venne interrotta nuovamente; si era avvicinato loro uno di quei ragazzi con le rose che aveva visto al ristorante. Il ragazzo mostrò loro il mazzo di fiori, senza dire nulla, ma il suo sguardo era un invito più che esplicito. Belle si sarebbe aspettata che Gold lo mandasse via; invece, l’uomo estrasse dalla tasca un dollaro e lo porse al ragazzo, ricevendone in cambio una rosa rossa.

Quando se ne fu andato, Gold gliela porse. Belle lo guardò, stupefatta.

- Perché?- mormorò, non sapendo se sentirsi imbarazzata o no.

- Perché quegli idioti là dentro ti hanno offesa, è almeno la millesima volta che ti scusi e hai l’espressione di qualcuno a cui è appena morto il gatto - rispose l’uomo, sbrigativo. Le porse nuovamente la rosa:- Prendila…

Belle sorrise, accettando il fiore.

- E’ bellissima, grazie - sorrise, facendo una riverenza per scherzo e ricevendo in risposta il solito ghigno. Belle guardò il fiore, pensierosa: sua madre le ripeteva sempre che ogni fiore aveva un suo significato, e le aveva insegnato a riconoscerli.

La rosa rossa era il simbolo della passione…dell’amore puro…

Isabelle French, finiscila immediatamente!

- Davvero, la ringrazio, io…

Fuori in veranda la musica del locale giungeva più debole, ma Belle riuscì comunque a sentire che la canzone in sottofondo era cambiata.

- Adoro questa canzone!- non poté impedirsi di esclamare, non appena sentì le prime note di I’m with you di Avril Lavigne.

Gold fece una smorfia.

- Non m’intendo molto di musica moderna, dearie, mi spiace…

- Beh, questa vale!- disse Belle. Poi, trovando un briciolo di coraggio da chissà dove:- Le andrebbe di ballare?- propose. Ormai di figuracce ne aveva fatte in abbondanza, quella sera, una più una meno non avrebbe fatto grande differenza. E poi, si sentiva abbastanza sicura e scanzonata, in quel momento, per permettersi una simile proposta.

Il signor Gold sospirò.

­- Temo che tra me e la danza ci sia un ginocchio malandato in mezzo, dearie…- accennò al suo bastone.

- Si può ballare anche da fermi…- mormorò Belle, avvicinandosi a lui.

Gold ghignò.

- Hai vinto, dearie.

Belle si avvicinò, circondandogli con cautela le spalle con le braccia. Gold le posò una mano sulla schiena. La ragazza iniziò a dondolarsi lentamente sul posto, senza staccarsi dalla posizione in cui erano, non curandosi di seguire il ritmo della musica.

- Visto? Semplice, no?- ridacchiò Belle.

- Sarebbe ancora più semplice se io non fossi rigido come un pezzo di legno, dearie…

- Oh, andiamo! Sta andando benissimo!

- Fingerò di crederti.

Belle rise, poggiando il capo contro la sua spalla e cercando di ignorare la voce della sua coscienza che in quel momento le stava urlando a pieni polmoni chiedendole cosa stesse facendo. Non lo sapeva cosa stava facendo, ma in cuor suo sapeva che non era qualcosa di giusto.

Il signor Gold era il suo capo, aveva oltre quindici anni in più di lei, ed era considerato la persona più malvagia di Storybrooke.

Era un uomo ossessionato dal potere.

 

***

 

Regina abbassò appena il finestrino dell’auto, in modo da poter vedere meglio ma al contempo di non venire scoperta. Erano quasi due ore che attendeva di fronte a casa French, e finalmente la sua attesa  era stata ripagata. Vide chiaramente due persone – il signor Gold e Isabelle French – avvicinarsi alla porta di casa. La ragazza strinse con vigore la mano dell’uomo, gli sorrise, disse qualcosa e rientrò in casa.

Regina attese che anche Gold se ne andasse, quindi mise in moto la macchina, soddisfatta. Quella sera – la sera di San Valentino – i suoi sospetti erano stati confermati. Ora non aveva più dubbi. Aveva in mano la prova della debolezza di Gold e un video che avrebbe potuto utilizzare a proprio vantaggio.

Avrebbe salvato se stessa e la sua famiglia, e si sarebbe vendicata.

 

Angolo Autrice: Vi starete chiedendo: è Halloween e questa pazza scrive su San Valentino? Chiedo scusa, stasera mi girava così XD. Anyway, questo è un tributo alla puntata Skin Deep.

Dunque, credo di dover chiarire alcune cose. Innanzitutto, Gold: spero non sia risultato troppo OOC, in questo capitolo, alcune lettrici mi hanno fatto i complimenti per come lo mantenevo sempre IC, spero di non aver deluso le loro aspettative. Secondo, la cosa del San Valentino come la festa di chi si vuol bene in generale rimanda a un ricordo che ho delle elementari in cui tutti si scambiavano i bigliettini perché si volevano bene. Boh, la mia infanzia non è stata delle più normali XD. Spero che lo scorcio sui pensieri di Mary Margaret non sia risultato troppo noioso; veniamo ora a Regina: ho cercato di mantenermi sulla scia della sua vita in FTL, solo che mi si è presentato un problema per quanto riguardava la morte di Daniel. Ora, essendo qui una Storybrooke senza maledizione in cui i personaggi sono persone “reali” non appartenenti al mondo delle favole, inserire una parte in cui Cora arriva con un pugnale in mano pronta a sventrare il fidanzato della figlia sarebbe stato assurdo. Qui la madre di Regina era solo fermamente contraria all’amore fra i due, e Daniel muore per un incidente nella fabbrica in cui lavora. La scena fra i due protagonisti vorrebbe ricalcare quella in Skin Deep appena prima che lui la lasci andare, mentre il ballo rimanda vagamente al film Disney della Bella e la Bestia.

Nel prossimo capitolo si comincerà ad intuire il casotto che verrà ;).

Ringrazio AniaS, ChibiRoby, Didyme, Gwendolyn Fabray, nari92, Raven_95, saku89, x_LucyLilSlytherin e _Sybil per aver aggiunto questa ff alle seguite, Lety Shine 92 per averla aggiunta alle seguite e per aver recensito, Rayne e theplatypus_ per averla aggiunta alle ricordate, Cris_98, LenieRR, MathesonSilente, Rachel_Star e TheAkaiBookFrog per averla aggiunta alle preferite, Evils_Revenge, Ginevra Gwen White e parveth89 per averla aggiunta alle preferite e per aver recensito, e jarmione, LenieRR, Eruanne, Avly, Samirina, LadyPalma, takara_comodino, Raven_95, historygirl93, LadyAndromeda, momichina92 e Sylphs per aver recensito :).

Ciao, al prossimo capitolo!

Dora93

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Capitolo 10
*** Only a True Love's Kiss ***


 

Only a True Love’s Kiss

 

Ne riparliamo da sobrio!

- Ancora guida in stato di ebbrezza, signor Prince?

Gaston grugnì, sollevando lo sguardo e incrociando quello tagliente del Vicesceriffo Swann, che gli sorrideva beffarda dall’altra parte delle sbarre.

- Quante volte le ho già ritirato la patente per questo? Un centinaio?

Gaston non si degnò di risponderle, concentrandosi nuovamente sul suo mal di testa. Odiava quella donna. Più di lei odiava solo Belle. E il signor Gold.

Ne riparliamo da sobrio!

E così, quella troia stava davvero con Gold. I suoi amici li avevano visti insieme la sera prima. La sera di San Valentino. Gliel’avevano raccontato ridendo sguaiatamente, mezzi ubriachi. Erano in un locale di lusso in atteggiamenti romantici, avevano riso.

Gaston strinse i pugni e digrignò i denti. Il solo pensiero di Belle con un altro l’aveva mandato così in bestia che aveva iniziato a scolarsi un bicchiere di vodka dopo l’altro nel tentativo di dimenticare, ma non era servito a nulla. Alla fine, si era messo in macchina e aveva cominciato a sfrecciare ai trecento all’ora per tutta la periferia di Storybrooke, finché non si era schiantato contro un cartello distruggendo l’auto. Aveva trascorso la notte in cella.

Ne riparliamo da sobrio!

Sentì il rumore delle sbarre della porta che si apriva.

- Suo padre ha pagato la cauzione, signor Prince. Stia lontano dai guai.

Gaston sorpassò Emma barcollando, senza degnarla di uno sguardo.

Ne riparliamo da sobrio!

Così aveva detto Gold.

E lui, adesso, si sentiva sobrio come mai in vita sua.

 

***

 

La notte precedente aveva piovuto per alcune ore, e il maltempo non si era ancora del tutto estinto. Il cielo era ricoperto di una spessa nuvolaglia grigia, e cadeva qualche sporadica goccia di pioggia.

Ruby sbatté un piatto sporco sul ripiano del bancone, prendendo a strofinarlo furiosamente.

Fa’ che sia meteoropatia!, implorò mentalmente Mary Margaret, di fronte a una tazza di cappuccino ormai freddo. Ashley mescolava il suo caffè da mezz’ora, ormai, mordendosi continuamente il labbro inferiore. La maestra ringraziò silenziosamente che ci fossero solo loro tre al locale.

Era la mattina seguente a San Valentino. Era bastata una nottata, perché la verità venisse a galla.

Belle e il signor Gold erano stati insieme. Più di una persona di loro conoscenza aveva detto di averli visti insieme in un ristorante di lusso. Dicevano anche qualcosa riguardo a una rosa rossa e a un ballo, ma poco importava. La sostanza del discorso rimaneva invariata.

Ashley e Mary Margaret non parlavano, ma continuavano a far dardeggiare gli sguardi dall’orologio a Ruby. La cameriera non aveva detto nulla, in merito, ma l’espressione del suo viso esprimeva tutto il suo stato d’animo. Belle sarebbe stata lì a minuti, per fare colazione insieme a loro.

Presto la bomba sarebbe esplosa.

Mary Margaret rischiò di rovesciare il cappuccino quando udì il campanello della porta suonare.

- Ciao a tutte!- salutò allegramente Belle, con addosso dei vecchi jeans, degli stivali e una felpa rossa con il cappuccio tirato sul capo per proteggersi dalla pioggia. Aveva i capelli scompigliati, e le guance arrossate, ma Mary Margaret dubitava che fosse perché aveva corso. Belle sembrava quasi incapace di smettere di sorridere.

- Ciao!- disse la maestra, sforzandosi di sembrare allegra.

- Ciao, Belle…- mormorò Ashley, sorridendo forzatamente.

Ruby grugnì in risposta, senza alzare lo sguardo, e prese a strofinare il piatto con più furia.

Ad Ashley parve quasi che la temperatura si fosse abbassata.

Belle le lanciò un’occhiata; doveva aver intuito che c’era qualcosa che non andava, ma preferì non dire niente. Si sedette al tavolino insieme ad Ashley e Mary Margaret.

- Allora, che mi dite?- s’informò allegramente.- Come sono andate le vostre serate?

- Bene, grazie…- soffiò Ashley, bevendo il disgustoso caffè freddo.

- Bene.

Belle rimase interdetta.

- Come? Tutto qui?

Mary Margaret si strinse nelle spalle.

- Che vuoi che ti dica, era solo una serata a casa…- mormorò Ashley, gentilmente.

La maestra si schiarì la voce.

- E tu, Belle?- azzardò.

Isabelle abbassò lo sguardo sulle proprie mani, torcendosi nervosamente le dita.

- Tutto bene, grazie.

Si sentì un colpo sordo. Le tre ragazze sollevarono lo sguardo di scatto.

Ruby aveva sferrato un calcio al bidone della spazzatura, ribaltandolo sul pavimento, e ora stava stringendo i pugni dalla rabbia.

- Ruby? Ma che hai?- fece Belle, alzandosi in piedi.

- Brutta stronza!- strillò la cameriera, andandole incontro a passo di carica.

- Ruby!- sbottò Ashley.

- Ruby, calmati…- implorò Mary Margaret.

- Col cazzo che mi calmo!

- Ruby, ma che ti prende?- gridò Belle, andandole incontro.

- Piantala di prendermi in giro!- Ruby le arrivò a pochi centimetri dal viso. - Finiscila di prendermi per scema, schifosa bugiarda che non sei altro!

- Ruby, ma che cazzo hai?- strillò Belle.

- E me lo chiedi anche?!- Ruby era arrabbiata, ma sembrava quasi sull’orlo delle lacrime.- Che ci facevi con quel bastardo?! Che cazzo facevi?!

- Ruby, calmati…- ripeté Mary Margaret.

- Oh, sta’ zitta!- gridò la cameriera, al che la maestra ammutolì. Tornò a rivolgersi a Belle.- Che stavi facendo insieme a Gold? Avevi detto che non saresti uscita con nessuno, che facevi con lui?!

- Ci siamo incontrati, e…

- Vai a raccontarlo a qualcun altro!- Ruby le diede una spinta, al che Belle barcollò, ma non si fece intimorire.

- Ti sto dicendo la verità, Ruby! Per favore, lascia che ti spieghi…

- Sai quanto me ne importa delle tue spiegazioni!- urlò Ruby. - Ti credevo amica mia, Belle! Lo sai che cosa ha fatto Gold a me e a mia nonna? Lo sai?!

- Ruby, ascoltami. Lo so che lui può sembrare il cattivo della situazione, e mi dispiace per quello che ti ha fatto, ma se solo…

- Zitta!- l’interruppe Ruby, fuori di sé. - Questo non me lo sarei mai aspettato, non da te! Ti sei messa dalla parte del nemico, vai a letto con un mostro!

- Io non vado a letto con nessuno, Ruby, e se posso dirtelo sei ridicola!- gridò Belle.- Io non ti ho fatto alcun torto, i problemi che hai con lui non mi riguardano!

- Ti sei schierata dalla sua parte! Sei innamorata di quella bestia!

- Lui non è una bestia, non mi sono schierata da nessuna parte, e se anche fossi innamorata di lui, questi non sono affari tuoi!- urlò la ragazza.- E’ la mia vita, hai capito? Non ti riguarda!

Ruby ammutolì, inspirando per riacquistare un po’ di autocontrollo, ma non distolse lo sguardo rabbioso da quello di Belle.

- Da questo momento, tu per me sei morta!- sibilò.- Tu con me hai chiuso. Non voglio vederti mai più!

- Sta bene!- Belle si voltò, uscendo dal Bed & Breakfast sbattendo la porta.

Uscì in strada di corsa, svoltando l’angolo a passo svelto. Belle si fermò, appoggiandosi contro il muro.

Chinò il capo, iniziando a singhiozzare.

 

***

 

- Che cavolo hai fatto?!- Mary Margaret saltò in piedi dalla sedia, guardando Ruby in cagnesco.

- Lo hai appena visto quello che ho fatto, quindi fammi il piacere di evitare domande idiote!- ringhiò Ruby.

- Ruby, sei impazzita, per caso?- Ashley si alzò in piedi a sua volta.- Ti rendi conto di quello che hai detto?

- Certo che me ne rendo conto, per chi mi hai preso, per una ritardata?- Ruby afferrò lo spazzolone, iniziando a lavare furiosamente il pavimento.

- Ruby!- Mary Margaret le si avvicinò, afferrandola per una spalla e costringendola a guardarla negli occhi.- Ruby, capisco che tu sia arrabbiata, ma quello che hai fatto non giustifica…

- Mi ha preso in giro!- gridò la cameriera.- Si è messa dalla parte di Gold!

- Si è innamorata, Ruby - disse Ashley.- Belle è innamorata. Ormai mi sembra che le cose siano abbastanza evidenti - continuò, pacata.- Belle è innamorata come io lo sono di Sean, Mary Margaret di David e tu del dottor Hopper.

- E’ diverso!- protestò la ragazza.- E’ di Gold che stiamo parlando!

- Non c’è nulla di diverso, Ruby, a parte il fatto che tu ti senta tradita - disse Mary Margaret.- E’ vero, Gold non piace neanche a me, ma questo non vuol dire che Belle non possa pensarla diversamente.

- Quell’uomo è un mostro!

- Non secondo Belle. Solo perché ti ha fatto del male, non significa che sia un mostro incapace di amare. O di essere amato - Mary Margaret si stupì da sola delle proprie parole; mai avrebbe pensato di pronunciarle proprio in difesa del signor Gold ma, in fondo, le pensava veramente. Era per Belle, che lo stava facendo.- Belle è innamorata di lui, non importa il perché. E tu non puoi voltarle la faccia solo per questo!

- Pensa a quando MM piangeva perché David stava con Kathryn, o quando io sono rimasta incinta e Sean non voleva il bambino - soggiunse Ashley.- Tu non ci hai mai mollate al nostro destino. Perché con Belle dovrebbe essere diverso, solo per una semplice ripicca?

- Non è una ripicca!- disse Ruby. - Voi sapete cosa mi ha fatto Gold, cosa fa a me e a mia nonna da anni! E Belle si rovinerà la vita, stando con lui!

- E’ una ragione in più per non lasciarla da sola!- fece Mary Margaret.- Ruby, prova a pensarci: il signor Gold è il signor Gold, questo tutti lo sappiamo. Compresa Belle. Se deciderà di stare con lui, allora andrà incontro a una serie di guai - la maestra sospirò.- Tu sai quanto può essere cattiva la gente, Ruby. E sai anche come è fatto French - la guardò negli occhi.- Non le perdonerà una cosa simile, Ruby. Belle si ritroverà senza casa, e probabilmente anche senza lavoro. Tu sei la sua migliore amica da sempre. Come credi che si sentirà, sapendo di aver perso anche te?- si bloccò, studiando l’espressione della cameriera. Ruby non aveva perso il barlume di rabbia che albergava nello sguardo, ma l’espressione del suo viso appariva concentrata sulle parole della maestra.- Se…se le cose andranno come penso…se degenereranno…Belle avrà bisogno del nostro aiuto.

Ruby ansimò, cercando di calmarsi.

Improvvisamente, si sentì come se un pezzo di sé le fosse stato tolto.

 

***

 

Isabelle giunse al negozio di Gold con mezz’ora di ritardo, aprendo piano la porta. Aveva gli occhi gonfi, ma cercò di non darlo a vedere.

- Sei in ritardo - fece Gold, con la voce piatta.

- Mi scusi…- soffiò Belle, tenendo il capo chino.

Non voleva che lui si accorgesse che aveva pianto, ma aveva dimenticato con chi aveva a che fare. Il signor Gold si voltò non appena udì la sua voce incrinata, limitandosi a guardarla per un lungo istante.

- Ti è morto il gatto oppure c’è qualcos’altro che vorresti dirmi?- chiese.

Belle abbozzò un sorriso.

- Non è nulla…sono solo un po’ triste…- mormorò.

- Triste?

La ragazza annuì, distogliendo lo sguardo. Gold sospirò, avvicinandosi a lei.

- So che non hai alcuna intenzione di spiegarmi il motivo di tanta malinconia, ma forse posso comunque rimediare - disse; Isabelle lo guardò, sorpresa.

Gold ghignò, ma non era il suo solito ghigno di beffa. A Belle parve quasi di scorgervi un’inclinazione amara.

- Riguardo al nostro accordo, dearie - esordì Gold.- Ho rivisto stamattina alcune carte. Credo che sarai lieta di sapere che il debito di tuo padre è stato cancellato.

Belle fece tanto d’occhi. Gold fece di nuovo quello strano ghigno amaro.

- Puoi ritenerti libera, se vuoi.

Isabelle tentò di realizzare ciò che l’uomo le aveva appena detto.

- Ma…ma perché?- riuscì a balbettare alla fine.

- Forse ti dispiace?

- No! No è che…mancano ancora sei mesi!- disse infine.- L’accordo prevedeva che io lavorassi per lei un anno!

- Ti sei giocata bene le tue carte, hai lavorato sodo e posso ritenermi soddisfatto. Quello che hai fatto è sufficiente. Non c’è più niente che ti leghi a me.

Belle distolse lo sguardo nell’udire quelle parole. Non c’è più niente che ti leghi a me. Era strano, sentirle pronunciare da lui. E non era sicura che fosse la verità. L’incidente con Ruby le aveva fatto dimenticare quanto si sentisse nervosa quella mattina prima di andare al lavoro. Dopo la sera di San Valentino, non poteva negare che fra lei e Gold ci fosse qualcosa di più. Amicizia, forse. Oppure…

Ma ora lui la stava licenziando. In maniera molto delicata – aveva cancellato il debito di suo padre, non c’era più ragione che lei si fermasse lì! –, ma la stava comunque mandando via. Lontana da lui.

Belle ripensò a come si era sentita i primi tempi, immaginando a come sarebbe stato quel giorno, sicura che avrebbe fatto i salti di gioia quando non avrebbe più dovuto lavorare per Gold. E invece, ora avvertiva solo una strana sensazione, la stessa triste sensazione che si avvertiva un attimo prima di scoppiare in lacrime.

Non c’è più niente che ti leghi a me.

Era vero. Ma allora perché sentiva che non ce l’avrebbe mai fatta a uscire da quella porta, sapendo che non l’avrebbe mai più varcata?

- Qualcosa non va, dearie?

Belle trovò il coraggio di guardarlo negli occhi nuovamente. Gold non aveva smesso di sorridere, ma la ragazza si chiese perché continuasse a vedere dell’amaro, in quel ghigno.

- E’ che…non me l’aspettavo, tutto qui…- mormorò Belle.- Signor Gold, io…la ringrazio, la ringrazio infinitamente, ma…

- Ma?

- Ma…non mi sembra giusto, tutto questo - Belle lo guardò.- Mi sento in colpa…sono trascorsi solo sei mesi, non…

- Credevo che non vedessi l’ora di andartene.

- All’inizio era così, ma poi…

Isabelle non sapeva come proseguire. Poi qualcosa era cambiato, certo. Lei era cambiata, i suoi sentimenti erano cambiati. Niente era più come prima.

- Credo di aver compreso - Gold sospirò, avvicinandosi di più a lei.- Ti propongo un accordo.

Belle non poté trattenere un sorrisetto ironico, e ascoltò. Gold estrasse dalla tasca della giacca un foglietto ripiegato e glielo porse.

- Ho bisogno di alcune cose. Sei la mia assistente, spetta a te procurarmele - la guardò.- Va’ in città…Quando tornerai, potremo discutere con calma, che ne pensi?

Belle annuì, guardando il foglietto.

- E’ stato molto gentile, signor Gold - disse.- Per quello che ha fatto. Mio padre e i suoi debiti, intendo. E io…vorrei ricambiare.

Gold sorrise, un sorriso privo di malizia, ma di nuovo amaro.

- Devo ammettere che sei diversa da tutte le altre persone che ho conosciuto, Belle. Un’altra ragazza, al tuo posto, avrebbe preso la porta e sarebbe scappata più veloce del vento. Tu no. Anche se non dubito che molto presto lo farai anche tu - Belle provò a obiettare, ma Gold glielo impedì.- Presto ti renderai conto di chi sono e di ciò che stai facendo, e te ne andrai. E sono sicuro che non ti rivedrò mai più.

Era una certezza che aveva da tempo, ma solo ora aveva deciso di darle fondo. Quella che stava offrendo a Belle era una possibilità. La possibilità di andarsene, di avere qualcosa di meglio di una vita buia accanto a un vecchio zoppo.

La possibilità di salvarsi.

 

***

 

- Ridammelo, Paige!

- No!

- E’ mio!

- Ancora qualche riga!

- Ho detto di no!

Henry sbuffò, gettandosi letteralmente su Paige. Le strappò di mano il libro di favole, nascondendolo sotto un cuscino del letto. Incrociò le braccia al petto, guardandola severo. La bambina fece lo stesso, ma prese a  fissarsi le ginocchia, imbronciata.

- Conosci i patti, Paige.

- Che stupidaggine!- borbottò la bambina.

- Avevamo deciso che avremmo letto solo una pagina per volta.

- Ma potevamo fare un’eccezione!- Paige saltò in ginocchio sul proprio letto, dov’era seduta insieme a Henry.- Insomma, la Bestia l’ha lasciata andare! E ha detto che morirà, se non torna! Per favore, Henry…

Il ragazzino scosse il capo, risoluto.

- No, Paige.

- Ma tu non sei curioso?

- Sì, ma i patti non erano questi. E non voglio rovinarmi tutto leggendo di fretta.

Paige tornò a incrociare le braccia al petto, sbuffando.

Henry non disse nulla, le gambe penzoloni al bordo del letto. Era la prima volta che rimetteva piede in casa della sua amica, da quando la mamma aveva minacciato Jefferson. Fortunatamente, sua madre quel giorno aveva detto che sarebbe stata fuori fino a sera, doveva solo stare attento a non farsi scoprire. Se fosse successo, allora la mamma avrebbe davvero portato via Paige da suo padre, lo sentiva. Henry aveva rassicurato la sua amica dicendole che la sua madre biologica l’avrebbe impedito, ma non era più tanto sicuro che Emma potesse fare qualcosa. Entrando, si era presto reso conto di particolari che all’inizio non aveva notato, e non si riferiva solo al disordine.

Paige era in casa da sola, e questo succedeva molto spesso, anche la notte, dal momento che Jefferson aveva dei turni improponibili in ospedale, e l’unica parente che gli era rimasta era la nonna di sua figlia, la madre della sua defunta moglie, che era un’anziana ottantenne un po’ arteriosclerotica, a cui non avrebbe potuto in alcun modo affidare la bambina. Paige gli aveva raccontato spesso di quante volte suo padre la mettesse a letto un attimo prima di uscire per andare al lavoro, o di tutti i pomeriggi che trascorreva al parco in attesa che lui tornasse a casa. Casa che, aveva notato Henry, non era solo piccola e disordinata, ma per certi versi anche poco sicura. La notte precedente aveva piovuto, e non appena erano entrati, Paige gli aveva chiesto di aiutarla a svuotare alcune pentole sistemate sul pavimento. Il tetto perdeva acqua, aveva spiegato la bambina. Salendo le scale che portavano in camera sua, Henry era inciampato in un gradino dal legno marcio, e la carta da parati in cucina era sporca e strappata. Per non parlare del caos, dei piatti sporchi, del cibo poco sano…

Ce n’era abbastanza perché sua madre avesse il pretesto per portare via Paige da suo padre.

Henry sapeva che ne sarebbe stata capace; sua madre era il sindaco, e le sarebbe bastato schioccare le dita per ottenere ciò che voleva. Anche se il ragazzino non capiva perché.

Non aveva mai avuto un papà ma, se mai ne avesse avuto uno, allora l’avrebbe voluto come Jefferson. Sì, era povero, faceva l’infermiere e non era bravo nei lavori domestici, ma avrebbe fatto di tutto per sua figlia. Anche se i soldi erano contati, bastava che Paige chiedesse, e lui le avrebbe regalato qualunque cosa. Preferiva andarsene in giro con gli abiti strappati, purché Paige stesse bene. Jefferson viveva per sua figlia.

Fortunatamente, la bambina non era capricciosa e spesso le bastava semplicemente stare con suo padre.

Henry pensava che Paige fosse la bambina più felice del mondo.

Molto più felice di quanto lui, pur con tutto ciò che aveva, lo era con sua madre.

- Spero davvero che torni…- mormorò Paige, già dimentica del suo broncio.- Sarebbe davvero triste, se la Bestia morisse…

- Sono sicuro che alla fine lei tornerà…

- E vivranno felici e contenti?

Henry si strinse nelle spalle.

- Henry?

- Uhm?

- Ricordi quello che dicevamo su Belle French e il signor Gold?

- Ancora?!- sbottò Henry, esasperato.

- No, no, stavolta è una cosa seria - Paige sghignazzò, avvicinando la bocca al suo orecchio.- Li hanno visti insieme, ieri sera. Credo che si siano innamorati…

Henry sbuffò.

- Ma non dire fesserie!- fece, scocciato.- Come fa una ragazza così bella innamorarsi del signor Gold?

- Come fa la Bella a innamorarsi della Bestia?

- La Bella non è innamorata della Bestia!

- Sì che lo è!

- E allora perché lo rifiuta sempre?

Paige non rispose, riflettendoci su.

- Forse è innamorata e non lo sa.

- Sarà. E comunque, Belle French non è la Bella…e soprattutto il signor Gold non è una bestia.

- Non è nemmeno il Principe Azzurro.

- Che c’entra adesso il Principe Azzurro?

- Secondo te, il signor Gold a chi assomiglia di più? Al Principe Azzurro o alla Bestia?

- Tu sei pazza.

- E tu sei scemo.

- Ehi!

- E dai, Henry! Pensa se fosse vero!- fece Paige.- Una favola nella realtà.

- Umpf!

- Va bene, non mi credere. Io spero comunque che la Bella e la Bestia vivano felici e contenti…

- Sì, lo spero anch’io…

- …e anche il signor Gold e Belle French.

- Paige!

La bambina rise, tirandogli un cuscino. Henry afferrò il missile al volo, rimandandolo alla mittente. Colpì Paige in pieno viso.

- Questo significa guerra, lo sai?- rise.

Si gettò sull’amico, iniziando a prenderlo a cuscinate. Henry rise, difendendosi con un altro cuscino.

- E guerra sia!

 

***

 

Belle camminava lentamente sul marciapiede pressoché deserto e ancora umido di pioggia. Non aveva fretta di tornare al negozio del signor Gold. Aveva bisogno di riflettere, di pensare a cosa stava succedendo. Di dare un senso alle parole dell’uomo, al suo gesto e a ciò che era diventato per lei negli ultimi mesi. Non avrebbe mai pensato che potesse accadere, non a lei e non con il signor Gold. Non quando aveva accettato di lavorare per lui, non quando lo intravedeva per le strade di Storybrooke giudicandolo un uomo cinico e insensibile.

E avido di potere.

Questo, forse, era ciò che la spaventava di più. Sapeva a cosa sarebbe andata incontro, se mai avesse deciso di…di stare con lui. In qualunque modo. Ne aveva già avuto la prova quella mattina con Ruby. Aveva perso una delle sue migliori amiche, per questo, e non avrebbe sopportato di perdere anche Ashley e Mary Margaret. Senza contare che non voleva in alcun modo pensare alla reazione di suo padre. Ma questo era niente, in confronto a ciò che la spaventava davvero.

Al signor Gold interessava il denaro, il potere che aveva su tutta Storybrooke. Questo Belle aveva avuto modo di comprenderlo in varie occasioni: il modo in cui aveva trattato Sorella Astrid, l’affitto raddoppiato al Bed & Breakfast di Ruby, quell’accenno la sera dell’Epifania all’incontro per affari con il sindaco, tutti quei disperati di cui si era approfittato…

Non avrebbe rinunciato molto facilmente al suo potere. Chissà fin dove avrebbe potuto spingersi, per ottenerlo e accrescerlo. Chissà cosa avrebbe potuto sacrificare. Chi avrebbe potuto sacrificare.

Belle si domandò se vi avrebbe mai rinunciato per stare con lei, se avesse posto lei prima del suo potere. Ne dubitava. Gold era stato per anni un uomo solo, aveva scelto di essere solo. Lui stesso le aveva detto di non fidarsi di nessuno.

Perché con lei avrebbe dovuto essere diverso?

Forse, si disse, doveva fare la cosa giusta per tutti e lasciare che tutto si sistemasse da sé. Non insistere, lasciare che tutto sparisse così com’era arrivato. Ringraziarlo di ciò che aveva fatto, e andarsene. Non tornare mai più in quel negozio, e cancellare Gold dalla sua vita.

Belle si riscosse non appena udì il suono di un motore. Si voltò, e un’auto nera la sorpassò passandole accanto di pochi centimetri, sollevando con le ruote un piccolo spruzzo d’acqua da una pozzanghera. Belle si scansò appena per lasciarla passare.

Inaspettatamente, l’auto accostò accanto al marciapiede a pochi metri di distanza da lei. Belle arrestò la sua camminata, mentre il finestrino si abbassava.

Il sindaco di Storybrooke, Regina Mills, si affacciò.

- Mi spiace!- disse ad alta voce. - Ti ho schizzata d’acqua?

La ragazza gettò una rapida occhiata ai propri jeans, quindi sorrise gentilmente e scosse il capo.

- No, non si preoccupi. E’ tutto a posto.

Regina sospirò, aprendo la portiera dell’auto.

- Meno male!- disse, smontando. Belle la osservò interdetta.- E’ pieno di pozzanghere, con questo tempo…Ha piovuto parecchio, la notte scorsa, vero?

Belle annuì, leggermente a disagio. Non aveva mai parlato con il sindaco Mills, e ora tutta quell’attenzione da parte della donna la sorprendeva non poco. Regina le si avvicinò.

- Sai, io odio la pioggia…ad essere precisi, la odio solo quando devo uscire…con questa umidità me ne sarei anche rimasta a casa, ma avevo delle commissioni da sbrigare…E tu? Come mai fuori con questo tempaccio?

- Anch’io dovevo sbrigare delle commissioni, signor sindaco…- mormorò Belle, imbarazzata.

- Oh, ti prego, chiamami Regina!- la donna le tese la mano, che la ragazza strinse titubante.- Ti ho già vista da qualche parte…vediamo…- aveva preso a camminare al suo fianco. Belle si sentiva sempre più a disagio.- Sei Isabelle French, non è vero?

- Sì.

- Molto lieta di conoscerti, Isabelle.

- Piacere mio.

- Dove sei diretta, se posso chiedere? Magari potremmo fare la strada insieme…- propose Regina.

- In centro. Devo…devo comprare delle cose…

- Sementi, terriccio, occorrente per il negozio, immagino…

- Più o meno.

- Che c’è? Ti metto in imbarazzo?- Regina la guardò, sorridendole rassicurante.- Credimi, non devi. Ho qualche annotto più di te, ma non c’è motivo per temermi…

- Io non ho paura di lei, signora Mills!- si affrettò a dire Belle, arrossendo vistosamente. Era vero, non aveva paura di lei, ma…non avrebbe saputo dire esattamente perché, ma quella donna le trasmetteva un senso di ansia e disagio.

- Oh, meno male! Spesso la gente tende a considerarmi la strega cattiva delle favole!- Regina rise.- E’ solo che…mi sembri preoccupata per qualcosa…

- Che?- Belle arrossì ancora di più.- No, sono solo…pensierosa…

Regina le sorrise, circondandole le spalle con un braccio.

- Isabelle, andiamo, potresti essere mia figlia. Ho un bambino di dieci anni, e certe cose le capisco. Hai l’aria di chi sta scappando da qualcuno…- rise nuovamente.- Per carità, nella vita l’abbiamo fatto tutti…un capo infame, un amante fedifrago…Qual è il tuo caso?- la donna la guardò.- Il capo o l’amante?

Belle distolse lo sguardo, desiderando solo di scappare. Regina sorrise, guardando di fronte a sé.

- Oh! Il capo e l’amante.

Regina la guardò, senza smettere di camminarle a fianco, e la prese sottobraccio.

- Ho sentito dire che lavori per il signor Gold…

- Signora Mills, io…

La donna le sorrise.

- Andiamo, Isabelle. So come stanno le cose.

- Che intende dire?

- Beh, girano parecchie chiacchiere, in città…

- Chiacchiere?

Regina annuì, fingendosi noncurante.

- Su di te e Gold. Cattiverie, a mio parere. E’ impensabile che una ragazza giovane e bella come te possa amare qualcuno con molti anni più di lei, per giunta il suo capo. Senza contare che Robert Gold non è esattamente un uomo amabile. Dico bene?

- Lui…è un uomo molto pratico…- balbettò Belle. Da una parte, quella donna non le piaceva, la sua curiosità e il suo atteggiamento benevolo avevano un che di strano, di poco sincero; dall’altra, sentiva il bisogno di confidarsi con qualcuno, di sfogarsi. Ruby l’aveva allontanata, e Isabelle sapeva di non poter correre a piangere fra le braccia di Mary Margaret o di Ashley.

Regina annuì con decisione.

- Già, questo non si può negare. Sai, ho avuto a che fare con lui, in passato, e anche di recente…beh, per farla breve, mi ha rifiutato un prestito - si fece seria.- Ti sarei grata se non raccontassi a nessuno ciò che ti ho detto, Isabelle. Sai, sono questioni private, delicate, e non vorrei che…

- Non si preoccupi, signora Mills. Può fidarsi di me - disse Belle, con un sorriso.

Regina sorrise a sua volta.

- Vedi, ho attraversato un periodo difficile, da quando Gold mi ha rifiutato quel prestito. Per fortuna, ora è passato.

- Ma gli ha spiegato le sue ragioni?- chiese Belle, sentendo una stretta al cuore.- Voglio dire, lei gli ha spiegato quanto fosse importante che lui le desse quel denaro?

- Certamente, mia cara. Ma non è bastato a convincerlo. Tu saprai sicuramente meglio di me com’è fatto. Un uomo avido, legato al potere e al denaro. Di certo non l’uomo che una ragazza come te potrebbe amare.

Belle arrossì; aveva voglia di piangere.

- Vede, signora Mills…io…- balbettò la ragazza.- E’ proprio questo il problema. Io potrei amarlo, ma…- s’interruppe, chiedendosi perché diamine stesse dicendo quelle cose.

Regina sorrise, avvicinandosi ancora di più a lei.

- Andiamo, dimmi cos’hai nel cuore - disse.- Io ti ho fatto una confidenza, mi sono fidata di te. Guardami, Isabelle: ti sembro forse una donna che ama raccontare in giro i fatti altrui?

Belle non rispose, riflettendo sulle parole della donna. Dio, aveva una gran voglia di sfogarsi. Che male ci sarebbe stato, in fondo? Il sindaco Mills aveva ragione: una confidenza per una confidenza. E la donna non aveva certo l’aria di una pettegola. Che cosa sarebbe potuto accadere?

Prese un bel respiro.

- Io potrei amarlo…- ripeté, lentamente.- Ma…come ha detto lei, c’è qualcosa in lui che mi spaventa. Ho visto cosa fa alla gente, e questa sua mania per il potere…ecco…credo che non potrei mai contare così tanto per lui quanto conta la sete di denaro…

- Già, è un bel problema. Gli uomini come lui sono rari, ma esistono, e sono difficili da amare. Spesso l’amore fa male, Isabelle. Io lo so molto bene - sulle labbra di Regina si dipinse una smorfia amara.- Hai ragione, è meglio lasciar perdere. D’altronde, stando a quello che ho sentito, ha preteso che lavorassi per lui perché cancellassi i debiti di tuo padre. Oh, perdonami, non intendevo essere indiscreta!- esclamò la donna, notando l’espressione della ragazza.- In ogni caso - proseguì.- Se lui ti ricambiasse, avrebbe cancellato il tuo debito e ti avrebbe lasciata libera.

Belle si arrestò di colpo, voltandosi a guardare la donna.

- Ma…ma l’ha fatto!- disse.- Lui ha cancellato il debito…ha detto che potevo ritenermi libera di fare ciò che volevo…

Regina sorrise, guardandola negli occhi.

- Allora, forse è il caso di fare un tentativo!- disse.- E’ come nelle favole, no? Il bacio d’amore - rise.- Scherzi a parte: se davvero lo ami, allora diglielo! Capirai subito se sceglierà te oppure se stesso.

- Lei…lei crede?

Regina annuì.

Belle ci rifletté per un attimo. Forse il sindaco aveva ragione. Il suo consiglio avrebbe certamente dato più risultati di quell’assurda impasse in cui era piombata.

Forse, valeva davvero la pena di tentare…

Regina sorrise, reprimendo la soddisfazione.

Aveva messo in tavola tutte le carte di cui disponeva, e la ragazza era caduta nella sua rete. Se le cose fossero andate come pensava, allora non ci sarebbe voluto molto prima che il suo piano prendesse avvio.

Stava funzionando.

 

Angolo Autrice: Questo non è il miglior capitolo che io abbia scritto, ma spero comunque che sia risultato gradevole. Sto seguendo la scia di Skin Deep, come sempre, ma tento di mantenere un equilibrio fra tradizione e originalità. Fatemi sapere se sto fallendo miseramente :).

Dunque, un paio di spiegazioni: per il nome di Gold, ho pensato di utilizzare quello dell’attore che lo interpreta, dato che nello show non viene mai menzionato e in seguito mi occorrerà. In risposta a una richiesta di Leti Shine 92: ho tutta l’intenzione di inserire delle parti dal punto di vista di Gold, ma spero non ti dispiacerà se lo farò gradualmente. Con lui sono in perenne rischio OOC, e quindi preferisco fare le cose con calma. Qui c’è stato un piccolo accenno ai suoi pensieri, ma avrà più spazio nel corso della storia. Spero che ti abbia fatto piacere :).

Ringrazio 1D_ream per aver aggiunto questa ff alle ricordate, Ginevra Gwen White per averla aggiunta alle ricordate, alle seguite e per aver recensito, 1252154, Alex_96, ElleH, Hiromi, MoonLove, nirtami, saku89, strega_del_lago, Terry17 e Vibral24 per averla aggiunta alle seguite, Luce Lawliet per averla aggiunta alle seguite e per aver recensito, Katharine per averla aggiunta alle seguite e alle preferite, Capinera, Ersilia, Geneve, licet, Lupa Malandrina, Predadeiventi e _Roxanne5 per averla aggiunta alle preferite, e Raven_95, LadyAndromeda, Evils_Revenge, MsBelle, jarmione, Eruanne, nari92, historygirl93, takara_comodino, momichina92, Valentina_P, Avly, Letu Shine 92, parveth89, Anne White e Sylphs per aver recensito.

Ciao, un bacio,

Dora93

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Capitolo 11
*** An Empty Heart and a Chipped Cup ***


 

An Empty Heart and a Chipped Cup

 

Il vecchio orologio a pendolo del negozio suonò le otto di sera. L’orario di chiusura.

Il signor Gold scostò appena le tendine della porta d’ingresso, sbirciando la strada. Storybrooke era deserta, non si vedeva nessuno camminare lungo il marciapiede alla luce dei lampioni. Tutto sembrava essersi fermato, anche il tempo.

Gold sospirò, richiudendo le tendine. Ormai era sicuro: non sarebbe tornata. In fondo sapeva che sarebbe successo, presto o tardi, ma ci aveva sperato. Sospirò nuovamente, tornando dietro al bancone e iniziando a sbrigare gli ultimi conti prima di chiudere il negozio e tornare a casa. D’altronde, avrebbe potuto essere diversamente? Una ragazza di diciannove anni, bella, intelligente, che sprecava il suo tempo con un vecchio zoppo? Le aveva offerto la possibilità di salvarsi prima che le cose degenerassero, e lei l’aveva colta. Non poteva darle torto e, in fondo, non ne era nemmeno pentito.

Belle meritava molto meglio.

 

***

 

Belle attraversò velocemente la strada deserta, balzando sul marciapiede opposto. L’orologio della torre di Storybrooke aveva appena battuto le otto, e lei sperava solo che il signor Gold, quella sera, avesse fatto uno strappo alla regola e avesse tenuto il negozio aperto anche solo dieci minuti in più. Non ce l’avrebbe fatta a resistere una notte intera.

Belle accelerò il passo, reggendo fra le mani i pacchetti contenti le cianfrusaglie che Gold le aveva commissionato. Si era quasi vergognata nel momento in cui aveva dovuto richiederle al commesso di questo o quest’altro negozio: era ovvio che si trattava di sciocchezze, cose senza importanza che Gold le aveva chiesto di procurargli solo per darle il tempo di riflettere sulla sua proposta. Belle sapeva che non gli occorrevano veramente, ma le aveva prese ugualmente per perseguire il fine che Gold stesso aveva stabilito per tali commissioni. Anche lei sentiva il bisogno di riflettere, ora più che mai.

La chiacchierata con il sindaco Mills aveva in qualche modo acceso una lampadina. Belle in cuor suo sapeva già da tempo quali erano i suoi sentimenti per il signor Gold, e Regina era stata in grado di cavarglieli fuori a parole. Insieme alle sue paure.

Belle sapeva a cosa stava andando incontro, ne aveva avuto un amaro assaggio con Ruby, e il peggio sarebbe ancora dovuto arrivare, ma ciò che la preoccupava di più era proprio il signor Gold. Quello che le aveva raccontato Regina, sul suo prestito negato e le difficoltà che ne erano seguite, l’aveva spaventata come non mai. Si chiedeva con ansia se non avesse preso un colossale abbaglio, se non avesse visto amore e tenerezza dove non c’erano. Se Gold tenesse davvero più al potere, che a lei.

Belle sussultò, non appena si accorse di essere giunta, quasi senza rendersene conto, di fronte alla porta del banco dei pegni. Le luci all’interno erano accese, segno che il proprietario non se n’era ancora andato. Belle indietreggiò di un passo, sentendosi le gambe molli. Per tutto il tragitto si era sentita carica e sicura di sé, ma ora che il momento cruciale era arrivato aveva una paura del diavolo.

Belle inspirò a fondo, afferrando la maniglia della porta.

Regina Mills aveva ragione: doveva fare un tentativo. Continuare a far finta di nulla sarebbe stato soltanto inutile e doloroso. Se a Gold non importava nulla di lei, allora l’avrebbe respinta, lei non si sarebbe più fatta vedere e aveva giurato a se stessa che non l’avrebbe cercato mai più.

Ma se invece…

Belle prese un altro bel respiro.

D’accordo, Isabelle. Ora o mai più.

Aprì la porta.

 

***

 

Regina riattaccò la cornetta del telefono, soddisfatta del silenzio inebetito che la sua chiamata anonima aveva procurato a Moe French. Isabelle si fidava di lei, quell’ubriacone di suo padre era praticamente nelle sue mani e presto Gold l’avrebbe pagata.

Tutto stava andando secondo i piani.

 

***

 

Il signor Gold si voltò non appena udì il suono del campanello alla porta.

- Mi spiace, siamo chiusi…

- Il cartello diceva il contrario…

Le pupille di Gold si dilatarono leggermente per lo stupore non appena si ritrovò di fronte Belle.

La ragazza si strinse lievemente nelle spalle, un po’ imbarazzata. Volse lo sguardo al bancone: sul ripiano c’era, in bella mostra, la tazzina dal bordo spezzato che lei aveva lasciato inavvertitamente cadere il suo primo giorno di lavoro lì, e sorrise lievemente. Il signor Gold se ne accorse, e spostò leggermente la tazza di lato. Si schiarì la voce, noncurante, distogliendo lo sguardo per un attimo.

Si spostò di fronte al bancone, tenendo ben saldo il bastone per sostenersi.

- Ormai ti davo per dispersa, dearie…- ghignò infine.

- Ho fatto un po’ tardi, lo so - Belle si avvicinò al bancone, posandovi sopra la mercanzia richiesta.- Beh, ma come si dice, meglio tardi che mai. Giusto?

- Già. In ogni caso, grazie.

Il signor Gold si voltò, esaminando la merce. Belle sorrise, guardandolo negli occhi.

- Mi pare che stasera abbia perso un po’ della sua verve, signor Gold - disse.- Mi aspettavo una risposta ironica e incisiva, e invece…

- Non prenderti troppa confidenza, dearie, il tuo imperdonabile ritardo mi ha scombinato parecchio i piani…- ribatté Gold con poca forza.

Belle ridacchiò.

- Andiamo! Confessi: è felice che io sia tornata.

Il signor Gold la guardò, il solito ghigno ritrovato.

- Non mi dispiace, lo ammetto.

Belle rise; ritornò improvvisamente seria, e mosse un piccolo passo verso di lui. Gli sfiorò piano un braccio.

- Noi…noi dovevamo terminare un discorso, se non ricordo male…- mormorò.

Gold parve sorpreso.

- Davvero?

Belle annuì.

- Riguardo al nostro accordo.

- Non mi pare che ci sia nulla da chiarire, Belle - disse Gold.- Il debito di tuo padre è stato saldato, e tu non sei più costretta a lavorare per me. Da domani in avanti sei libera. E’ tutto.

- No. No, non è tutto…- mormorò la ragazza. Gli venne ancora più vicina, consapevole di aver annullato ogni distanza, fisica o emotiva che fosse. Il signor Gold non si ritrasse, né parve che quell’insolita vicinanza lo infastidisse. Belle lo guardò negli occhi.- Il nostro accordo era chiaro. Un anno. Nulla di più, nulla di meno. Io…io la ringrazio infinitamente per aver cancellato il debito di mio padre, ma…ma lei non può rimangiarsi la parola da un giorno all’altro. Ho promesso che sarei rimasta qui per un anno, le ho dato la mia parola e intendo mantenerla. Lei non può mandarmi via - l’ultima frase le uscì quasi come una supplica. Belle si costrinse a mantenere la voce ferma.- Non importa quello che dice. Io resto.

Gold non rispose, ma distolse nuovamente lo sguardo. Non era da lui, pensò Belle.

- Ne…ne sei sicura?- chiese infine.

- Le pare che potrei cambiare idea?- la ragazza sorrise.- Se no, perché sarei qui?

Non certo perché vuoi davvero continuare a lavorare senza stipendio per il bastardo della città, pensò Gold. Sospirò, chiedendosi perché mai non riuscisse a sostenere lo sguardo della ragazza. Pensò di insistere nuovamente perché lei lasciasse perdere, ma subito si rispose che non sarebbe servito a nulla. Belle era testarda, e poi era chiaro che ormai aveva deciso.

Ma c’era ancora qualcosa che non si spiegava. Qualcosa che aveva bisogno di sapere.

La guardò negli occhi, avvicinando un poco il proprio volto al suo.

- Perché sei tornata da me?- sussurrò.

Belle sollevò un angolo della bocca in un timido sorriso.

- Io…ci ho pensato tanto…- mormorò.- Non sapevo che cosa fare, ero…ero confusa…Ma poi, beh…qualcosa mi ha fatto capire che il mio posto era qui.

Belle sentì che il cuore aveva preso a batterle a mille. Si avvicinò a Gold, lentamente, in modo che il proprio volto fosse a pochi centimetri dal suo. I battiti nel suo petto accelerarono. Belle schiuse appena le labbra prima di accostarle dolcemente a quelle dell’uomo.

La ragazza chiuse gli occhi, baciandolo piano. Sussultò quando si accorse che lui ricambiava il bacio. Gold premette dolcemente le labbra contro le sue, quasi la stesse accarezzando. Belle sorrise appena senza smettere di baciarlo, sentendo le dita dell’uomo giocherellare con una ciocca dei suoi capelli. Lo lasciò solo un attimo per respirare, quindi il bacio ricominciò, tenero ma più sicuro di prima, perché entrambi sapevano che l’altro non si sarebbe ritratto. Belle gli posò un ultimo lieve bacio sulle labbra, quasi una carezza, prima di sorridere contenta. Posò dolcemente il capo sulla spalla di Gold, sentendosi come mai si era sentita in vita sua, al caldo, al sicuro, fra braccia che l’avrebbero protetta. Sorrise contro la sua spalla quando lui l’abbracciò circondandole le spalle con un braccio e accostando il volto nell’incavo fra il collo e la clavicola della ragazza, la guancia contro i suoi capelli. A Belle parve di sentirlo sorridere contro i suoi riccioli castani.

- Devo dire che questa è una sorpresa molto gradevole, dearie…

- Avevo tanta paura…- sussurrò Belle.- Avevo paura di dirtelo, temevo che non mi avresti voluta…

- E perché non avrei dovuto volerti?

- Non…non importa adesso…- la ragazza ridacchiò, chiudendo gli occhi.- Sapevo che non t’interessava solo il potere…- sussurrò.

- Cosa?

Il tono della sua voce era cambiato. Secco, duro, sorpreso. Belle ne fu colpita.

- Nulla…

- Che significa?- insistette Gold.

Belle si rese conto che si era irrigidito. Si staccò da lui, sentendo che il sangue le si era gelato nelle vene. Lo guardò negli occhi: sembrava infastidito; no, di più, era irritato.

- Non ha importanza, non…

- E allora perché l’hai detto?- insistette, secco.

- I-io n-non…

- Cos’è questa storia del potere?

Belle si spaventò; tentò di mantenere la calma. Si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, nervosa.

- E’ che…oggi ho incontrato una persona…e…e mi ha detto che…

- Chi?

- Il sindaco. Il sindaco Mills. Mi ha detto che ti ha chiesto un prestito, e che tu non…

- Regina!- Gold scoppiò a ridere, ma era una risata finta, priva di allegria. A Belle suonò stranamente inquietante, come velata di malvagità.- Certo, ora mi è tutto chiaro. E dimmi un po’, che cosa ti ha promesso in cambio, se tu fossi riuscita a fregarmi?

- Che…che cosa?

- Ora capisco perché ti sei offerta volontaria tanto in fretta! Lavori per lei sin dall’inizio oppure l’hai contattata non appena hai capito che mi fidavo di te?

- Ma che stai dicendo, io non…

- Bugiarda!- ringhiò Gold.- Bugiarda! Sapevo che stavi facendo finta…sapevo che era tutto un trucco…Non te n’è mai importato niente di me…

- No, ascoltami, io…

- Dimmi, che cosa credevi di fare, dandomi quel bacio? Qual era il tuo obiettivo? Cosa speravate di ottenere, tu e la tua amica Regina? Il mio denaro?

- Perché non le hai concesso quel prestito?- gridò Belle; sentiva che era sull’orlo delle lacrime.- Era in difficoltà, e tu non hai voluto aiutarla! Per questo credevo t’importasse solo del denaro, ma…

Gold rise di nuovo, di nuovo quella risata senza allegria, fredda, cattiva, schernitrice.

- Allora è così che stanno le cose! Hai fatto finta di amarmi, così che Regina avesse i suoi maledetti soldi! E quanto ti ha promesso, dimmi. La metà? Oppure no. No, forse a te sarebbe bastato solo prendermi in giro, solo approfittarti di me per poi mostrare ai quattro venti le debolezze del mostro! Volevi rendermi debole, volevi solo far vedere a tutti che ti eri presa gioco di me, che avevi sconfitto la bestia!

- Io ero sincera!- gridò Belle, iniziando a singhiozzare.- Io sono sempre stata sincera, con te!

- Zitta!- ringhiò Gold.

- Ti ho dato quel bacio perché ti amo, io…

- Ho detto di stare zitta!- urlò l’uomo.

- Perché non mi vuoi credere?- singhiozzò Belle.

- Perché nessuno potrebbe mai amare me!- le diede una spinta tale da farla indietreggiare; la stava allontanando da sé.

Belle tremava; cercò di calmarsi, di riprendere fiato, di ragionare. Si asciugò maldestramente le lacrime, rendendosi conto solo in quel momento che nel negozio era piombato il silenzio, uno strano, pesante e assordante silenzio. Gold non la guardò, fissando il pavimento, le mascelle contratte, i pugni stretti l’uno intorno al bastone, l’altro abbandonato lungo il fianco. Alla ragazza parve per un attimo di non essere neppure lì, di assistere a una scena dall’esterno, come se si fosse appena svegliata da un sogno.

Fu la voce di Gold a riportarla alla realtà.

- Vattene!- ringhiò l’uomo.

A Belle ci vollero diversi secondi per metabolizzare il significato di quella parola.

- Mi hai sentito? Vattene!- ripeté Gold, rabbioso.- Non ti voglio più qui. Ho detto che il tuo debito è stato saldato e così è, niente repliche. E ora vattene, sparisci immediatamente da qui. Non voglio vederti mai più!

Belle sentì le lacrime di nuovo in agguato sull’orlo delle ciglia, ma le ricacciò indietro. Le ultime parole erano state come una pugnalata, ogni frase lo era stata. Per un attimo, le era sembrato tutto perfetto, aveva creduto che tutto sarebbe andato bene, che lui l’amasse, che non l’avrebbe lasciata sola…e invece, era stato tutto un sogno, e la realtà, la sua schifosa realtà era tornata più veloce che mai.

Belle s’impose di andarsene con dignità, se non altro, senza implorare o piagnucolare, ma non l’avrebbe fatto in silenzio. No, non stavolta. Era rimasta in silenzio per tutta la vita, ma stavolta no.

Perché quel bacio, in fondo, era vero. Lo era per entrambi.

Si avvicinò all’uomo con passo deciso, costringendolo a voltarsi. Belle fu colpita dallo sguardo duro e freddo con cui Gold la squadrava, ma s’impose di non cedere.

- Tu sei un vigliacco, Robert Gold - disse, con voce ferma.- Da quanto ci siamo conosciuti, non hai fatto altro che mantenere quella maschera, quella dannata maschera da cinico insensibile. Ma io non ci credo. Puoi ingannare chiunque, ma non me. Avresti potuto essere felice, se solo credessi che qualcuno possa amarti!- disse, quasi gridando.

Il volto di Gold venne solcato da un ghigno, quel suo ghigno che all’inizio tanto la inquietava.

- Temo che tu sia nel torto, dearie. Semplicemente, le tue supposizioni iniziali erano corrette: il denaro e il potere significano molto più di te. Ho avuto un attimo di debolezza, questo è vero, ma mi sono presto ricordato di ciò che veramente m’interessa. Sei stata una compagnia piacevole, ma ora non saprei veramente che farmene di te. Tutto ciò che mi serve, ce l’ho già. E non sei tu.

- No - stavolta la voce della ragazza era incrinata, ma Belle sostenne il suo sguardo.- No, non è vero. Tu semplicemente non credi che io possa amarti. Ti nascondi dietro alla brama di denaro solo perché hai paura di mostrarti debole. Comunque, io non posso impormi a te, e tu hai fatto la tua scelta. E la rimpiangerai. Per sempre - Belle pronunciava frasi brevi per non scoppiare a piangere.- Un giorno capirai che l’amore non è una debolezza. Ma sarà troppo tardi. Ti rimarranno solo un cuore vuoto…e una tazza dal bordo spezzato.

Belle s’interruppe; non ce l’avrebbe fatta a continuare. Senza aggiungere altro, si voltò, afferrò la borsa e uscì velocemente dal negozio, chiudendosi la porta alle spalle.

Il signor Gold rimase solo nel negozio, in silenzio, quasi senza muoversi, per un tempo che gli parve infinito. Le parole di Belle avevano avuto più effetto di quanto volesse ammettere; la voce della ragazza continuava a ricorrere nella sua mente, come una canzone triste e malinconica.

In un impeto di rabbia, Gold colpì gli oggetti disposti sul bancone, i quali finirono sul pavimento, andando in mille pezzi. La tazzina scheggiata cadde sul bancone, rotolando brevemente su se stessa. Gold la guardò, quindi l’afferrò con furia, pronto a scaraventarla sul pavimento, ma si bloccò con il braccio sollevato a mezz’aria. Rimase a guardare la tazza scheggiata per diversi istanti, prima di riporla sul ripiano del bancone, bruscamente, ma al contempo attento a non danneggiarla.

 

***

 

- Fammi capire: hai litigato con la tua migliore amica perché lei ama un uomo che non ti piace?- Archie porse a Ruby una tazza di thé fumante, prima di sedersi sulla poltrona di fronte a lei. Il dottor Hopper aveva cancellato alcuni appuntamenti, fortunatamente non molti, per ascoltare la ragazza. Ruby era entrata nel suo studio come una furia nel primo pomeriggio, appena terminato il suo turno al Bed & Breakfast, quasi in lacrime, parlando a raffica e pronunciando frasi talmente sconnesse che Archie aveva impiegato diverso tempo per riuscire a decifrare.

Alla fine, era riuscito a calmarla e a farla sedere sul divano. Non aveva mai visto Ruby così agitata, fuori di sé, e aveva subito compreso che il problema doveva essere grave. La ragazza si era passata una mano fra i capelli, cercando di tranquillizzarsi.

- Ce l’hai un attimo per me?- aveva chiesto infine, con un’aria così dolce e triste che Archie le avrebbe dedicato tutto il tempo del mondo anche se fosse stato sommerso di appuntamenti. E così, alle otto passate di sera, Ruby era ancora lì con lui.

- Detta così sembra il capriccio di una bambina viziata…- mormorò Ruby, soffiando sul thé caldo. Archie si tolse gli occhiali, imbarazzato.

- Scusami, io…non intendevo essere indelicato, non…

- E non lo sei stato, anzi, sono io a dovermi scusare. Quando sono nervosa divento peggio di mia nonna, il che è tutto dire…- Ruby ridacchiò, ma il suo volto pallido e stanco e le occhiaie lasciavano intendere ben poca allegria. Ad Archie si strinse il cuore, nel vederla così. Uscivano insieme da qualche settimana, non si poteva ancora dire che fossero fidanzati o che fra loro ci fosse qualcosa di più di un buon rapporto di amicizia, ma certo era che il dottor Hopper era sempre stato colpito dalla vitalità e dalla forza d’animo della ragazza. Era stato anche quello a farlo innamorare di lei. Ruby non era il tipo che si abbatteva per poco, e vederla in quello stato era una vera pena.

Era corsa da lui perché aveva bisogno di sfogarsi, ed era suo compito aiutarla.

- Non preoccuparti. Mi dicevi: hai litigato con Belle perché lei è…innamorata del signor Gold, giusto?

- Sì…

- E cos’è che ti da fastidio, in questo?

- Io…Non lo so, io…Vedi, Archie, io ho sempre voluto che Belle si trovasse qualcuno, ma mai avrei pensato a Gold!- sbottò Ruby. - Insomma, non lui! Non l’uomo che mi ha rovinato la vita!

- Rovinato la vita?- fece eco Archie.

- Sai che è il padrone della città, e il Bed & Breakfast della nonna non fa eccezione…

- Ti riferisci all’affitto?

Ruby annuì, bevendo un sorso di thé. Archie inarcò un sopracciglio.

- Non credi che fra pagare un affitto e rovinare la vita di qualcuno ci sia un po’ di differenza?

- Io…E’ che…Archie, io vedo mia nonna spaccarsi la schiena ogni giorno per pagare quel maledetto, e il fatto che Belle ora…Ecco, mi sento come se…mi avesse…tradita…- concluse Ruby, senza guardarlo. Era tutto il giorno che stava male, Granny aveva addirittura dovuto spedirla fuori dal locale prima del solito perché dimenticava le ordinazioni e aveva rovesciato tre tazze di caffè nel giro di un quarto d’ora. Aveva litigato con Belle solo quella mattina, e già le mancava come se fosse passata una settimana. Si sentiva in colpa; le parole di Ashley e Mary Margaret, per quanto si rifiutasse di ammetterlo, avevano avuto il loro effetto.

Ruby si riscosse non appena sentì che Archie le aveva preso una mano fra le sue. La ragazza sollevò lo sguardo, sorridendo debolmente.

- Ruby, amare non significa sentirsi traditi - disse Archie, pacato.- L’amore non si può comandare, Ruby. Belle non aveva certo intenzione di farti un torto, innamorandosi del signor Gold. Posso capire quale sia il tuo stato d’animo, lo comprendo, ma ora devo farti una domanda: sei contenta di come sono i rapporti fra te e Belle, ora?- domandò.- Prova a pensarci: preferisci vivere per sempre con questo rancore nei suoi confronti, oppure la tua amica ti manca?

- Mi manca…vorrei non aver detto quelle cose…- mormorò Ruby, con lo sguardo basso.

- Non è troppo tardi per rimediare…

- E’ che…

- Cosa?

- Che…non lo so…

Archie sorrise, stringendole la mano con più energia.

- Ruby, voler bene a qualcuno significa anche mettere da parte l’orgoglio…

La ragazza lo guardò, sorridendo. Volse lo sguardo fuori dalla finestra.

Si chiese cosa stesse facendo Belle in quel momento.

 

***

 

Il furgone recante la scritta Game of Thorns era parcheggiato nel cortile accanto all’auto di suo padre, quindi Moe doveva essere in casa.

Belle infilò la chiave nella serratura, asciugandosi i residui di lacrime. Non voleva che suo padre vedesse che aveva pianto; in genere, se e quando se ne accorgeva, faceva finta di nulla, ma la ragazza non voleva comunque che la vedesse.

Entrò in casa, trovandosi nell’atrio avvolto nell’oscurità. Accese la luce, solo per ritrovarsi di fronte a uno sfacelo: i mobili erano rovesciati e i soprammobili, se non rotti, sparpagliati sul pavimento. Belle sospirò, capendo che suo padre era ubriaco come al solito.

Salì in fretta le scale, pronta a chiudersi in camera sua per non incontrare Moe e gettarsi sul letto continuando a piangere tutte le sue lacrime, ma non appena ebbe mosso qualche passo nel corridoio urtò qualcosa con la punta della scarpa. Belle si chinò a raccogliere l’oggetto: era una cornice in cui era sistemata una fotografia che ritraeva un raro atteggiamento sorridente di Mary French, sua madre. La ragazza la prese in mano, gemendo: il vetro era rotto.

Non era mai successo; per quanto la mania di distruzione di suo padre fosse frequente ed estesa, Moe non aveva mai toccato nessun oggetto che ricordasse sua madre.

Doveva essere successo qualcosa di grave…

Belle fece appena in tempo a formulare questo pensiero che la porta della camera di suo padre si spalancò di colpo. La ragazza sussultò, alla vista di Moe, ubriaco, la camicia sporca e sbottonata che le si avvicinava barcollando. Le arrivò a pochi metri: Belle si rese conto per la prima volta di quanto la mole di suo padre fosse possente. Se le avesse avvolto una mano intorno alla gola, pensò, avrebbe anche potuto spezzarle l’osso del collo.

- Hai fatto tardi, stasera…- biascicò, insolitamente calmo.

- Lo so. Scusami - Belle tornò a guardare la foto.

- Che cos’hai in mano?

- La…la fotografia della mamma…- balbettò.- La…la cornice è rotta…

- Non l’ho vista.

- Domani…domani ne comprerò una nuova…

Belle ripose la foto su un cassettone, facendo per proseguire verso la sua stanza, ma suo padre le bloccò il passaggio ponendole di fronte un braccio. La spinse dove si trovava prima.

- Papà, che cosa c’è?- fece Belle, con voce flebile.

- Stasera ho ricevuto una telefonata - biascicò, mantenendo quell’insolita calma.- Non so chi fosse, non me l’ha detto. Ma mi ha detto una cosa molto interessante - Moe si avvicinò con il volto a sua figlia.- Quel mitomane sostiene che tu sia innamorata di quel porco bastardo che mi ha rovinato.

Il respiro le si mozzò in gola. Belle sentì le mani sudate, il sangue alle tempie.

- Io non ci credo. Non voglio crederci. Non voglio credere che mia figlia mi abbia tradito mettendosi a scopare con quella bestia. Ma voglio che tu me lo confermi - Moe si drizzò con la schiena, e la sua mole divenne ancora più inquietante.- Dimmelo. Dimmi che non scopi con Gold.

Belle abbassò lo sguardo, quindi scosse il capo.

- No, papà.

- E sei innamorata di lui?

Belle lo guardò.

- Ti ho detto che non ci vado a letto…

- Non ti ho chiesto questo, ti ho chiesto se sei innamorata di lui!- tuonò Maurice. Senza darle il tempo di rispondere, le sferrò un pugno su una tempia, e la testa della ragazza colpì il muro. - Sei innamorata di quel pezzo di merda?! Di quel fottuto bastardo che mi ha fregato tutti i soldi?!

- Papà, ha cancellato il tuo debito…

- Non me ne fotte un cazzo, puttana! Tu non metterai più piede in quel negozio, hai capito?!

Belle indietreggiò, ponendo le mani avanti come per difendersi.

- Papà, non sono una bambina…

- No, ma resti comunque una stracciacazzi! Tu non lo vedrai mai più, hai capito?

Belle fece per correre verso la sua stanza, ma Moe l’afferrò per un braccio e la scaraventò contro il muro, per poi assestarle uno schiaffo sulla guancia. Belle cercò di difendersi.

- Papà, per favore…

- Zitta, troia!

Maurice la buttò a terra con uno spintone, dandole un calcio contro un fianco. Belle si rialzò a fatica, tentando di raggiungere le scale, ma suo padre le fu subito addosso. L’afferrò per i capelli, riversandole addosso una scarica di schiaffi e pugni.

- Maledetta sgualdrina, questa me la paghi!- Moe la spintonò; Belle si ritrovò a pochi centimetri dalle scale.

- Papà, lascia che ti spieghi…

- Che cazzo vuoi spiegare, eh? Che ti sei messa dalla parte del nemico?

- Papà, io lo amo!- strillò Belle, al colmo della disperazione.

Moe si arrestò, incredulo. La ragazza si rese conto solo in quel momento di ciò che aveva detto.

L’uomo ringhiò; Belle fece per voltarsi e scappare giù dalle scale, ma Maurice fu più svelto. La colpì con un pugno in pieno viso.

Belle perse l’equilibrio. Tentò di aggrapparsi alla ringhiera, ma non servì a nulla.

La ragazza cadde giù per le scale come una bambola di pezza, raggiungendo la fine con un tonfo.

Non si mosse più.

Moe rimase immobile, madido di sudore. Vedeva doppio, annebbiato, i fumi dell’alcool lo confondevano. Stette a guardare la figura immobile di sua figlia: Belle era distesa a terra, su un fianco, i capelli che le ricoprivano completamente il viso.

Non si rialzava.

- Belle!- urlò Maurice, scendendo in fretta le scale.- Belle!

S’inginocchiò accanto a sua figlia, voltandola sulla schiena e scostandole i capelli dagli occhi. Belle teneva gli occhi chiusi, era pallida, e un rivolo di sangue le sfuggiva dalla bocca.

- Belle!- chiamò Maurice, scuotendola per le spalle. La ragazza non rispose, né si mosse.

- Oddio!- gemette l’uomo. - Belle! Belle! Su, avanti! Non fare così! Dai, non è niente, non è successo nulla!- le prese il volto fra le mani. - Belle! Belle, svegliati! Belle! Mi dispiace, Belle! Non lo faccio più, te lo giuro! Belle! Svegliati! Belle!

La ragazza non si mosse. Moe gemette, le lacrime agli occhi, mordendosi una mano.

Con fatica prese in braccio sua figlia, uscendo di casa.

Aprì il furgone che utilizzava per il lavoro, e distese Belle sul retro, fra i vasi e i fiori secchi.

Mise in moto, guidando come una furia.

Moe si asciugò il sudore dalla fronte; continuava a gettare occhiate alle sue spalle: Belle era lì, sempre nella stessa posizione, immobile.

Moe accostò di fronte all’ospedale di Storybrooke, ma non spense il motore.

Controllò che nessuno lo vedesse, quindi scese e aprì le porte sul retro, prendendo in braccio sua figlia. Moe depose Belle sull’asfalto del parcheggio dell’ospedale. La guardò un’ultima volta, prima di salire nuovamente sul furgone e ripartire.

Belle rimase immobile, al freddo, mentre alcuni infermieri correvano nella sua direzione.

 

Angolo Autrice: Volevo scrivere un bel capitolo per festeggiare quota 100 recensioni (grazie a tutti!), spero che non vi abbia deluso. Se sì, come sempre le critiche sono ben accette.

La parte su Ruby e Archie può sembrare inutile, ma avrà un suo perché. Per il resto, per Belle è stata una giornataccia: che succederà adesso? Belle si salverà? E Gold? E Regina, Moe, Gaston e tutti gli altri?

Per scoprirlo, non vi resta che sopportarmi ancora per un po’.

Ringrazio tutti quelli che leggono, che hanno aggiunto la storia alle seguite, alle ricordate e alle preferite, e x_LucyLilSlytherin, Lupa Malandrina, nari92, historygirl93, MsBelle, aurora faleni, LadyAndromeda, Evils_Revenge, Capinera, parveth89, jarmione, kagura, Lety Shine 92, Anne White, Eruanne, 1252154, Raven_95, Valentina_P, Ginevra Gwen White, Avly e Sylphs per aver recensito :).

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Un bacio,

Dora93

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Capitolo 12
*** Friendship ***


 

Friendship

 

- Ehi, te ne porto un’altra?- Ruby scoccò un’occhiata piena di disprezzo a Gaston Prince, seduto su uno sgabello con i gomiti poggiati pesantemente sul bancone, i capelli sporchi e appiccicati al cranio, sudato e con la vecchia giacca della squadra di football di Storybrooke macchiata. La cameriera aveva perso il conto dei boccali di birra che si era scolato da quando era arrivato, due ore e mezza prima.

Gaston la guardò stancamente, quindi le fece un cenno con una mano. Ruby gli voltò le spalle nascondendo una smorfia, quindi gli piazzò di fronte l’ennesima birra, che il ragazzo bevve fino a quasi metà bicchiere con un sorso solo.

Ruby sollevò lo sguardo sul piccolo televisore che la nonna teneva sempre acceso nel locale. Il telegiornale delle dieci e mezza di sera stava passando una notizia di cronaca. Un treno era deragliato al confine fra Storybrooke e…beh, il resto del mondo.

Tutti i pochi clienti parevano interessati alla notizia. Granny prese il telecomando, alzando il volume.

- Non sono ancora noti i numeri delle vittime e dei feriti, ma il personale medico di Boston ha richiesto l’assistenza volontaria da parte di tutti i medici e gli infermieri disponibili nelle vicinanze. L’incidente a quanto pare è stato causato da…

- Mamma mia, che disastro!- commentò Granny, guardando le immagini dei vagoni rovesciati alla TV.

Ruby non disse nulla, e scoccò un’altra occhiata a Gaston. Pareva essere l’unico non interessato alla notizia, tutto concentrato sul suo superalcolico, ma la ragazza non se la sentiva di biasimarlo. Certo, era una disgrazia e non era piacevole, ma in fondo a lei che importava? Si chiese se la sua amica Michelle Wood sarebbe andata a Boston come volontaria, ma subito quel pensiero venne sostituito da molti altri. Lei non era né un medico né un’infermiera, ma se lo fosse stata non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione e sarebbe filata a Boston. Non – o forse avrebbe dovuto dire non solo – perché Storybrooke ormai le stava sempre più stretta, ma anche perché ultimamente avrebbe fatto di tutto pur di sfuggire ai suoi pensieri. La lavata di capo da premio Oscar che le avevano fatto Ashley e Mary Margaret era già stata di per sé una mazzata, ma la chiacchierata con Archie, se possibile, era stata anche più chiarificatrice. Ruby aveva dato ascolto al dottor Hopper: avrebbe messo da parte l’orgoglio, e avrebbe tentato di farsi perdonare da Belle. Il signor Gold continuava a non piacerle, ed era certa che non l’avrebbe mai tollerato del tutto, ma Archie aveva ragione: Belle non intendeva farle un dispetto. Non si poteva amare a comando, e la sua reazione – benché Ruby non se ne fosse ancora completamente pentita – era forse stata esagerata. E poi, Belle le mancava. Erano amiche sin dai tempi della scuola, e la sua amica aveva sempre tollerato i suoi sbalzi d’umore, le sue mattane da adolescente ribelle e tutte le sue stranezze.

Sì, le avrebbe chiesto scusa. Doveva solo sperare che Belle…

Il telefono squillò all’improvviso. Ruby sobbalzò, rischiando di rovesciare il caffè.

- Vado io!- annunciò Granny, dirigendosi velocemente verso il telefono a muro.

Ruby posò il vassoio, prendendo a riordinare il bancone.

- Pronto, qui il Bed & Breakfast di Granny Lucas - sentì dire dalla nonna.- Oh, signorina Blanchard!

Nell’udire il cognome di Mary Margaret, Ruby drizzò le antenne.

- Buona sera, io…oh…ma…signorina, ma…si sente bene?...perché sta piangendo…?

Ruby lasciò perdere lo straccio, avvicinandosi a grandi passi al telefono.

- …certo, io…che?...Ruby?...sì, è qui…beh, non so se…

Ruby non attese oltre, e strappò il telefono di mano a sua nonna.

- Pronto, MM?- fece.- Che cos’hai, perché…?...Cosa?!...Oh, Dio…- Ruby si portò una mano alla bocca, sconvolta.- …ma come, non…come, in ospedale?!...Mary Margaret, calmati…Cos’è successo?!...Mary Margaret, dimmi che cosa è successo!...Va bene…Va bene, arrivo…

Ruby riattaccò il telefono, in lacrime, si tolse in fretta il grembiule e si precipitò fuori dal Bed & Breakfast sotto lo sguardo attonito di Granny.

Gaston gettò una pigra occhiata alla ragazza, quindi tornò a concentrarsi sulla sua birra.

Guardò la TV: il servizio sul deragliamento del treno era terminato.

- Passiamo ora a un’altra notizia - annunciò la giornalista.- Ieri sera, alla periferia di Boston, si è consumato un delitto passionale. Un corteggiatore respinto ha fatto irruzione nella casa di una donna e ne ha accoltellato a morte il fidanzato…

Gaston smise di bere. I suoi occhi ebbero uno scintillio.

 

***

 

- Incredibile!- Michelle Wood smise per un attimo di sistemare i medicinali sugli scaffali all’esclamazione di sua zia Faye. Si voltò: zia Faye aveva appena sollevato lo sguardo dal giornale aperto, mentre zia Sally si era appena sporta verso di esso, incuriosita.

- Che c’è, zia?- chiese Michelle, stancamente.

- E’ quell’incidente ferroviario. La situazione sembra più grave di quanto si pensasse…- zia Faye riprese a leggere.- Pare che uno dei vagoni sia finito proprio sul passaggio fra Storybrooke e le altre città…qui dice che sarà impossibile uscire dalla città finché non l’avranno rimosso…

- Beh, se anche fosse, qui a nessuno manca niente…- Michelle fece spallucce.

- E se a Florence servisse qualche assistenza?- insistette zia Faye.

Michelle trattenne a stento una risata.

- Dubito che l’ospedale di Boston saprà fornire delle cure migliori di quello di Storybrooke - disse.- Specie se si tratta solo di una caviglia slogata…

- Qui dice che cercando medici e infermieri - lesse zia Sally.- Tu non vai, Michelle?

- Le linee sono interrotte, zia. Ricordi? E poi, io sono una farmacista - Michelle riprese a riporre i medicinali sugli scaffali.- Senza contare che non vi mollerei mai qui a tirare avanti la baracca da sole, soprattutto con la zia in quelle condizioni…A proposito - Michelle gettò un’occhiata all’orologio.- Dovrebbe essere ora di visite…Rimanete voi in farmacia per un’oretta?- chiese, afferrando la borsa e il cappotto.

- Certo. Facci sapere come sta la zia…

 

***

 

Belle mugolò; la prima cosa che avvertì fu un insistente e irritante beep che non faceva altro che aumentare sempre di più il suo mal di testa. Gemette, tentando di aprire gli occhi, ma la luce troppo forte la costrinse a richiuderli. Il mal di testa era sempre più furioso, le tempie le pulsavano e sentiva che non ce l’avrebbe mai fatta a sollevare il capo. Udiva uno strano brusio, ma le pareva quasi di trovarsi sott’acqua, di essere in una bolla. Non riusciva a distinguere nessun suono che non fosse quel fastidioso beep. Lentamente, i suoi occhi si abituarono alla luce, e Belle riuscì a distinguere le sagome di fronte a lei.

Era distesa, si rese conto, distesa su di un letto, ma non era nella sua camera. Era un letto d’ospedale. Accanto a lei c’erano strani macchinari e un altro letto, su cui era distesa una signora sulla cinquantina che chiacchierava con una ragazza giovane seduta al suo fianco, bionda e molto graziosa.

Belle gettò un’occhiata a ciò che poteva vedere del proprio corpo, accorgendosi di essere coperta da un lenzuolo fino alla vita e di avere una flebo al braccio destro.

In piedi di fronte a lei c’erano un giovane uomo con indosso un camice bianco, certamente un medico e, accanto a lui, un po’ in disparte e con delle espressioni preoccupate, le sue amiche Ashley e Mary Margaret. Avevano pianto, realizzò Belle, vedendo i loro occhi arrossati.

- Signorina French?- una voce maschile risuonò ancora ovattata, ma chiara. Il giovane medico si chinò lievemente su di lei.- Signorina French, mi sente?

Belle mugolò nuovamente, annuendo.

- Sta bene, dottor Whale?- fece Mary Margaret, preoccupata.

- Lo vedremo subito…- Whale estrasse dalla tasca del camice una piccola torcia elettrica, puntandone la lucina prima in un occhio di Belle poi nell’altro. La osservò serio per qualche istante, quindi spense e ripose la torcia, sistemandosi lo stetoscopio nelle orecchie. Belle rabbrividì, sentendo il freddo strumento a contatto con il proprio petto.

- Uhm-mh…- fece Whale.- Qui sembra tutto a posto…Signorina, come si chiama?

Belle gemette.

- Isabelle…French…

- Quanti anni ha?

- Diciannove…

- Per favore, mi dica la sua data di nascita e in che anno siamo ora…

- Sono nata il tre giugno del novantatre - Belle ora iniziava a riacquistare un po’ di lucidità.- Siamo nel duemiladodici…

- Bene, non sembrano esserci danni permanenti - dichiarò Whale, riponendo lo stetoscopio. Si rivolse a Belle: - Signorina French, lei ha una commozione cerebrale. I nostri infermieri l’hanno ritrovata ieri sera nel parcheggio dell’ospedale, priva di sensi. Ricorda come è arrivata qui?

A Belle parve quasi di rivedere un film.

Ricordò improvvisamente la fotografia di sua madre, suo padre che le poneva delle domande, quindi la furia, le urla, una scarica di pugni…le scale…da qui, tutto diveniva confuso, mille immagini le sia accavallavano davanti agli occhi: gli schiaffi di suo padre, Gaston che tentava di metterle le mani addosso, la litigata con Ruby, Mary Margaret che provava un abito di fronte allo specchio, il sindaco Mills che scendeva dalla macchina…il bacio di Gold…

Belle scosse lentamente il capo, il mal di testa che impestava furiosamente. Non sapeva come fosse arrivata nel parcheggio dell’ospedale, ma poteva benissimo intuirlo. Ricordava perfettamente cosa le aveva fatto Moe, ma non aveva intenzione di dirlo, non al dottor Whale. Non in quel momento.

- Ricorda chi l’ha ridotta così?

- No…

Whale la guardò per un momento, quindi gettò un’occhiata alla flebo.

- Come le ho già detto, signorina French, lei ha una commozione cerebrale. Non dovrebbero esserci complicazioni, ma preferirei tenerla sotto controllo per qualche giorno…

- Va bene…

Whale gettò una breve occhiata alla paziente accanto a lei che si era assopita, quindi fece un cenno con il capo e uscì, raccomandandole di suonare il campanello accanto al letto se avesse avuto bisogno di qualcosa.

Il dottore non fece in tempo a uscire dalla porta che Ashley e Mary Margaret si fiondarono letteralmente su di lei.

- Non sai che spavento ci hai fatto prendere!- singhiozzò Mary Margaret, abbracciandola. Belle ricambiò l’abbraccio, con poco vigore; si sentiva ancora debole, ma sorrise.- Ero qui in ospedale a fare volontariato, e poi ti ho vista distesa su quella barella, e…

- Ma che cosa ti è successo? Chi è stato a farti questo?- fece Ashley; Mary Margaret si staccò da Belle, la quale non rispose, e distolse lo sguardo.

- E’ stato lui?- incalzò Mary Margaret, con una nota di rabbia nella voce. - E’ stato Gold?

- No!- rispose Belle, in fretta.- No, lui…Robert non c’entra niente…

- Robert?

Belle distolse nuovamente lo sguardo.

Mary Margaret e Ashley si scambiarono una rapida occhiata; la maestra prese dolcemente una mano di Belle.

- E’ stato tuo padre?

Belle si sentì salire le lacrime agli occhi; le sue amiche sapevano che Moe era un uomo violento, e avevano intuito che era stato lui a ridurla in quello stato, ma, maledizione!, si vergognava ad ammettere la verità. E poi, per quanto assurdo potesse sembrare, il solo pensiero la faceva star male.

- Scusate, ragazze, ma…ma non mi va di parlarne…scusate…- ripeté, sussurrando.

Ashley si portò una mano alle labbra, gli occhi di nuovo lucidi.

- Non preoccuparti, Belle - disse Mary Margaret.- L’importante ora è che tu ti riprenda, non devi pensare ad altro. Sta’ tranquilla, ci siamo noi - aggiunse.- Ti aiuteremo noi, Belle.

La ragazza sorrise, annuendo grata, ma subito una forte fitta alla testa la fece gemere e serrare gli occhi.

- Che cos’hai?- fece Ashley.

- Mal di testa…- sussurrò Belle.- Credo che mi occorra un’aspirina…

- Non puoi prendere un’aspirina!- esclamò d’un tratto la ragazza bionda seduta accanto all’altro letto, la quale aveva silenziosamente seguito la conversazione fino a quel momento.- Voglio dire, non puoi nelle tue condizioni…Prima devi chiedere al dottor Whale…

Le tre ragazze si voltarono a guardarla, sorprese. La bionda arrossì lievemente.

- Scusate, non volevo essere indiscreta. E’ solo che me ne intendo di medicinali e…

- Sei una dottoressa?- domandò Ashley.

- Una farmacista, a dire il vero. Michelle Wood, molto piacere di conoscervi - sorrise la ragazza.

- Ah, sì, mi ricordo di te!- esclamò Mary Margaret.- Sei la farmacista di Storybrooke, vero?

- Sì, proprio così. E voi siete…?

- Ashley Boyd.

- Mary Margaret Blanchard, piacere.

- Isabelle French, paziente lagnosa…- Belle sorrise ironicamente di se stessa.

Michelle ridacchiò.

- Perché non hai mai sentito mia zia…- indicò la donna addormentata nel letto.- Non fa altro che brontolare dalla mattina alla sera, anche se non è nulla di grave e presto tornerà a casa…

- Che cos’ha?- s’informò Mary Margaret.

- Nulla di che, solo una caviglia slogata…

La porta della camera si aprì, lasciando entrare un giovane uomo sui trentacinque anni, i capelli brizzolati e una divisa da infermiere addosso.

- Scusate, signorine, ma devo chiedervi di uscire…- disse gentilmente rivolto alle ragazze.- Il dottor Whale ha detto di controllare alcuni valori sanguigni alla signorina French…

- Certo, naturalmente - Mary Margaret si alzò dal bordo del letto, scostando delicatamente una ciocca di capelli dal viso di Belle.- Noi torniamo nel pomeriggio e ti portiamo qualche libro e un paio di riviste, così non ti annoi…Cerca di riposarti, okay?

Belle sorrise, un poco rasserenata, e annuì.

- Ciao, Belle…- salutò Ashley, prima di uscire al seguito di Mary Margaret.

 

***

 

Ruby se ne stava seduta su quella dannata seggiola di plastica nel corridoio dalla sera precedente. Aveva fatto nottata, da che aveva lasciato il Bed & Breakfast ed era arrivata all’ospedale non si era mossa da lì, attendendo che Belle si svegliasse, o che qualche bellimbusto convinto che un camice bianco gli consegnasse il mondo nelle mani si degnasse di informarla di come stesse la sua amica.

Aveva pianto, e il pesante ombretto scuro era colato, circondandole gli occhi. Ruby aveva tentato di darsi una sistemata, ma le lacrime avevano continuato a scendere sul mascara e ora aveva la stessa faccia di quando rientrava a casa ubriaca dopo un sabato sera sfrenato, con l’unica differenza che quella non era una festa.

Belle stava male. E lei era stata perfino troppo vigliacca per riuscire a entrare nella camera d’ospedale insieme ad Ashley e Mary Margaret.

Le sue amiche avevano atteso con lei che Belle riaprisse gli occhi, in silenzio, quasi senza guardarsi negli occhi. Senza guardare lei. Quello che aveva detto era ancora impresso nelle loro menti, e non l’avrebbero dimenticato tanto facilmente. Chissà, forse si erano addirittura domandate perché fosse lì, se aveva dichiarato di non voler più nemmeno vedere la sua amica di sempre.

Non si erano nemmeno stupite quando non aveva voluto seguirle all’interno della stanza.

Ma Ruby non era né arrabbiata né rancorosa. Era solo spaventata per la sua amica. E troppo vigliacca per confessarle la paura che le aveva fatto prendere.

Ruby sobbalzò non appena udì la porta spalancarsi; sollevò lo sguardo solo per incontrare gli occhi arrossati di Ashley e Mary Margaret.

- Allora?- incalzò.- Come sta?

Ashley non rispose, e prese a fissarsi le ballerine. Mary Margaret si strinse nelle spalle.

- Che avete, un attacco di mutismo? Come sta?- ripeté Ruby, controllando a stento la propria ansia.

- Perché non entri e non glielo chiedi di persona?- replicò Mary Margaret, con una punta di sfida e di stizza nella voce.

Ruby scattò in piedi, fissandola in cagnesco.

- Senti, MM, se hai deciso di fare la stronza, sappi che questo non è proprio il momento!- ringhiò.- Ti ho chiesto come sta Belle, quindi vedi di rispondermi!

Ashley indietreggiò istintivamente; Mary Margaret sospirò, chiudendo gli occhi e passandosi una mano sulla fronte.

- Punto primo, non ho deciso di fare la stronza - disse, calma.- Punto secondo, sei fortunata che sono troppo stanca per mandarti al diavolo; punto terzo, ero seria: dovresti entrare e chiedere a Belle come sta, invece di startene qui fuori a piangerti addosso e a cercare di estorcere informazioni a noi.

Ruby ansimò, cercando di recuperare la calma. Tornò a sedersi, torcendosi nervosamente le mani.

- Mi odia. Non vorrà più vedermi…- mormorò.

- Credo che tu ti stia confondendo con te stessa, Ruby…

La cameriera scoccò un’occhiataccia a Mary Margaret. Ashley s’intromise.

- Belle ha una commozione cerebrale - disse.- Non sembra che abbia riportato lesioni permanenti, ma il dottor Whale ha detto che preferisce tenerla in osservazione…

- Ma che cosa le è successo? Chi è stato?- incalzò Ruby, con rabbia.- Perché era svenuta nel parcheggio dell’ospedale? Chi cazzo ce l’ha portata?

- Non lo sappiamo - disse Mary Margaret.- Ma credo…credo che sia stato suo padre a farle questo…

- Moe French?!- fece Ruby. - Ma…ma…

- Belle non ha voluto dirci nient’altro, e non penso che sia il caso di insistere - Ashley si mordicchiò nervosamente le unghie di una mano. - Credo che abbia scoperto che Belle è innamorata del signor Gold…

- Brutto pezzo di merda, appena mi capita a tiro lo metto sotto con la macchina!- ringhiò Ruby.

- Chi? Gold o Moe?

- Moe, a Gold servirò del caffè corretto con dell’arsenico…A proposito, dove accidenti è quel bastardo? Se la ama, perché non è qui a vedere come sta, dopo averla messa nei casini, maledetto stronzo?!

Di nuovo, Ruby non ottenne risposta. La cameriera tornò a torcersi le mani; non sapeva se era più vogliosa di fare la pelle al fioraio, più arrabbiata con Gold o più preoccupata di affrontare la sua amica.

Forse, pensò, non era il caso. Forse Belle non doveva agitarsi, doveva lasciare che riposasse e si riprendesse…

- Devi entrare, Ruby - disse Mary Margaret.- Devi entrare. Belle potrebbe avere bisogno anche di te.

Ruby non rispose; moriva dalla voglia di entrare in quella fottutissima stanza e di gettare le braccia al collo di quell’adorabile cretina che aveva mandato all’inferno neanche quarantott’ore prima ma che già le mancava da morire.

Ripensò alle parole di Archie.

Sospirò.

E al diavolo anche l’orgoglio!

 

***

 

Belle stette a guardare l’infermiere mentre regolava il flusso della flebo. Notò con la coda dell’occhio che Michelle Wood lo stava osservando con un sorrisetto stampato sulle labbra.

L’infermiere le scoccò un’occhiata.

- Quando ho chiesto di uscire, il mio invito era rivolto a tutti - disse; si finse pensoso.- Oh, certo! Ho usato la parola signorine.

Michelle gli diede una gomitata.

- E non fare l’idiota, Jefferson! E fa’ silenzio, svegli mia zia!

Jefferson guardò la signora addormentata nel letto a fianco.

- A proposito…- fece Michelle.- Scusate ancora per la poca mancanza di discrezione, ma come mai una caviglia slogata e una commozione cerebrale stanno nella stessa stanza?

- In effetti, me lo sto chiedendo anch’io…- mormorò Belle.

- E’ per quel deragliamento - spiegò Jefferson.- Parecchi qui si sono offerti come volontari a Boston…come se i malati non ci fossero anche a Storybrooke…abbiamo dovuto accorpare alcuni reparti per facilitare il lavoro ai pochi rimasti…- Jefferson sorrise a Belle, e le tese la mano. - Credo che in questi giorni potrai considerarmi il tuo infermiere personale. Io sono Jefferson.

La ragazza sorrise, stringendogli la mano.

- Belle.

- Tu come mai non sei andato?- fece Michelle.

- Ho una bambina, ricordi? E poi, ormai mi sarebbe impossibile andarmene, dato che le vie d’uscita sono bloccate…

- Ma…ma cos’è successo?- fece Belle.

- Un treno è deragliato al confine con Storybrooke, e a quanto pare ha creato parecchi danni - spiegò Jefferson.- Finché non risolvono la situazione, nessuno può entrare o uscire da Storybrooke. Bene, diamo un po’ un’occhiata a questi valori…

Jefferson iniziò a studiare le cartelle cliniche.

Belle aprì la bocca per chiedere qualcosa a Michelle, ma subito il cigolio di una porta che si apriva l’interruppe. La ragazza si voltò.

- E’…è permesso?- fece timidamente una voce.

Il beep che segnava il ritmo del battito cardiaco di Belle aumentò furiosamente non appena la ragazza vide comparire Ruby Lucas sulla soglia. Belle la guardò: la cameriera era in uno stato disastroso, con il trucco sbavato e i capelli arruffati sciolti sulle spalle, e le occhiaie di chi non dorme da una notte intera.

Ruby era pallida, visibilmente in imbarazzo, e faticava a sostenere lo sguardo di Belle. Gettò una rapida occhiata alla farmacista.

- Ciao, Michelle…- mormorò.

Michelle le fece un cenno di saluto con la mano, capendo al volo che, qualunque cosa avesse Ruby, aveva a che fare con quella ragazza. E lei era solo il terzo incomodo. Lanciò un’occhiata eloquente a Jefferson, il quale ebbe la discrezione di voltarsi un poco e concentrarsi ancora di più sulle cartelle cliniche. Michelle uscì in fretta dalla stanza, salutando velocemente i tre.

Nella camera d’ospedale l’atmosfera si fece improvvisamente pesante.

Ruby trovò infine il coraggio di guardare Belle.

- Ciao…- mormorò.

- Ciao…- sussurrò Belle, apparentemente senza alcuna nota emotiva nella voce.

Ruby rimase qualche istante in piedi sulla soglia della porta, senza parlare; infine, si avvicinò lentamente al letto di Belle, spostando una seggiola.

- Posso?

Belle annuì. Ruby si sedette, rigida, guardandola a malapena.

- Ehm…Ashley e MM mi hanno detto che hai una commozione cerebrale…- disse dopo qualche istante.

- A quanto pare…

- Però sembri abbastanza in forma!- Ruby azzardò un debole sorriso.- Cioè, voglio dire…ti trovo bene, per essere una che ha una commozione cerebrale…

Belle fece un breve sorriso, senza che questo si estendesse agli occhi.

Di nuovo, il silenzio tornò a riempire l’atmosfera. Ruby si guardò intorno, giusto per tenersi impegnata; non si era ancora rilassata, sedeva sulla seggiola di plastica come se stesse per scattare in piedi da un momento all’altro. Si torse nervosamente le mani, concentrandosi sulle proprie unghie laccate di rosso.

- Come…come sta tua nonna?- fece Belle.

Ruby si riscosse.

- Ehm…bene, bene…sta bene, grazie…

- E il locale? Tutto okay?

- Sì, sì…tutto okay…anche se credo che mia nonna ce l’avrà con me, da ieri sera…- disse Ruby, tenendo lo sguardo fisso sul monitor di fronte a lei. Aveva una gran voglia di piangere.- Sai, sono…beh…sono praticamente scappata via, e…

- Scappata via?

Ruby annuì nervosamente.

- Ho saputo che stavi male…Ehm, volevo dire che mi hanno avvisato…Sai, Mary Margaret ha chiamato al lavoro, e io sono venuta qui…

- Sei…venuta…qui?- ripeté Belle, lentamente, senza smettere di guardarla.

- Sì…per non lasciare sola MM…beh, non era sola, certo, quando sono arrivata ho scoperto che c’era anche Ashley, ma sono rimasta lo stesso. Cioè, sono rimasta perché ho pensato che ormai ero lì, e poi, chi poteva saperlo, magari Ashley doveva correre a casa da Alexandra, e…

- Certo. Certo, capisco.

Ruby sussultò quando si sentì prendere una mano; spostò lo sguardo sul viso di Belle: la sua amica sorrideva, debolmente, ma sorrideva. Ruby tentò di ricambiare il sorriso, ma le sue labbra presero involontariamente un’inclinazione all’ingiù. La cameriera si morse il labbro inferiore, ma subito dopo cedette.

Prima che Belle potesse rendersene conto, si ritrovò con le braccia di Ruby intorno alle spalle, il viso della cameriera premuto contro la sua clavicola. Belle sussultò, ma subito sorrise e passò una mano sul dorso dell’amica.

Dopo diversi minuti, Ruby si staccò, asciugandosi gli occhi con le dita. La camicia di Belle era chiazzata di ombretto scuro.

- Che testa di cazzo che sono, l’ho macchiato…- tentò di ripulire la stoffa, e nel contempo di darsi un contegno.

- Tranquilla, non devo andare a nessun ballo al castello…- sorrise Belle.- E come sempre, complimenti per i francesismi, Ruby.

La cameriera sbuffò.

- C’era un motivo se al liceo ci chiamavano la suora e la sgualdrina, no?- sorrise, tornando a sedersi.- E comunque, in questo momento non trovo modo migliore per definirmi se non una gran testa di cazzo…Sono stata una stronza a trattarti in quel modo…- mormorò, abbassando lo sguardo.

Belle le prese nuovamente la mano, stringendogliela nella sua.

- Vogliamo fare il conto di quante volte io e te ci siamo mandate a quel paese per poi chiederci scusa due secondi dopo?

- Sì, ma non ci eravamo mai mandate a quel paese così seriamente…

- C’è una prima volta per tutto.

- Commozioni cerebrali e pillole di filosofia. Che le due cose siano collegate?

- Forse. Se inizio a farneticare qualcosa sulla pace nel mondo, chiama subito il dottor Whale.

- La situazione sarebbe già grave se decidessi di perdonarmi…

Belle ridacchiò.

- Acqua passata?- fece Ruby, accennando un sorriso.

- Acqua passata.

Ruby si sentì improvvisamente il cuore più leggero. Sorrise, guardando Belle, ma subito tornò seria. L’amica ricambiò lo sguardo, comprendendo tutto. Era arrivato il momento delle domande.

Belle sospirò, fissando l’ago della flebo conficcato nel suo braccio.

- E’ stato tuo padre?

Belle annuì, senza smettere di fissare l’ago.

- Ha saputo tutto…non so come abbia fatto, ma l’ha scoperto…

- Cos’è successo?

- Mi ha spinta, e io sono caduta. Non mi ricordo altro…

- Hai…hai bisogno di una casa, vero?

Belle la guardò; Ruby aveva ragione. Non ci aveva pensato, finora si era solo concentrata sul suo mal di testa…e su Gold. Al pensiero dell’uomo, al ricordo di ciò che era successo, Belle avvertì una stretta al cuore, ma non lo diede a vedere. Si concentrò sulle parole di Ruby: era vero, aveva bisogno di una casa. E di un lavoro. Dopo ciò che era accaduto, tornare da suo padre era impensabile, e Belle non l’avrebbe nemmeno voluto. Stesso discorso valeva per il lavoro. Belle aveva come la sensazione che non avrebbe più rimesso piede al Game of Thorns, almeno non in tempi immediatamente futuri. Quanto al suo impiego presso il banco dei pegni, non era stipendiato. E poi, Belle non ce l’avrebbe mai fatta a entrare in quel negozio. Non dopo quello che era successo, non dopo che Gold le aveva detto di non volerla vedere mai più. Ma non erano le minacce dell’uomo che la facevano desistere. Era solo che faceva ancora troppo male…

Belle sentì le lacrime salirle agli occhi. Ruby se ne accorse, ma cercò di sorriderle.

- Puoi venire a stare al Bed & Breakfast - disse.- E’ pieno di stanze vuote, troveremo quella che fa al caso tuo. Oppure, se preferisci, puoi sistemarti da me. A casa della nonna, intendo…- Ruby fece una smorfia.- So che non è il massimo della compagnia, ma in fondo non è così male. Sì, è un po’ fissata con la pulizia e di tanto in tanto ha qualche crisi isterica, specie quando ascolto la radio a tutto volume dopo le dieci di sera. Ma basta non toccarle il cestino da cucito, e non dovrebbe mordere…

- Non posso pagare, Ruby!

- E chi ha mai parlato di pagare?- Ruby si finse offesa.- Davvero mi credi così venale? Vedremo se la penserai ancora così, dopo che ti avrò trascinata a Boston e ti avrò obbligata a una giornata di shopping selvaggio. E’ quello che ti ci vuole, dopo questa brutta avventura…

- Ruby, per favore, sii seria - fece Belle.- Non ho più un lavoro!

- Pffft! Sai quante volte mi sono trovata in questa situazione, prima che mia nonna mi mostrasse un po’ di pietà e mi assumesse al locale?- Ruby la guardò.- A Storybrooke è pieno di gente che cerca una commessa, una cameriera, una segretaria, una spogliarellista…

- Ruby!

- Va bene, forse l’ultimo dovrebbe prenderlo in considerazione mia nonna. Il punto è: basta cercare, e un lavoro lo trovi…

- Vorrei fosse così semplice…

- Ma lo è! Allora: che cosa ti piacerebbe fare?

Belle ci pensò per un attimo, quindi si strinse nelle spalle.

- Ho venduto fiori da quando avevo sedici anni, prima solo nei pomeriggi dopo la scuola, e poi per due anni come lavoro…Non credo di saper fare altro…Però…- fece d’un tratto.- Beh, lo sai, a me piacciono i libri…anche se non penso che qui a Storybrooke…

- C’è la libreria!- esclamò Ruby, d’un tratto.- Sai, quell’edificio di fronte alla torre dell’orologio…

Belle la guardò.

- Sì, nessuno la usa più da anni, ma con una mano di vernice dovrebbe tornare come nuova. Posso aiutarti io, se vuoi, e sono sicura che anche Ashley e MM…

Ruby s’interruppe, incrociando lo sguardo di Belle. La ragazza non disse nulla, e riprese a fissare la flebo.

- Oh, dimenticavo…- fece Ruby. - E’ il signor Gold il proprietario…

Belle non rispose, ma sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

- Sono stata una stupida…- mormorò, con la voce incrinata.- Avevi ragione, Ruby.

- No, non dire così, non…

- Pensavo che…pensavo che lui fosse diverso…- le lacrime iniziarono a rigarle le guance.- Pensavo che provasse qualcosa per me, e invece…

- Mi spiace, Belle - sussurrò Ruby. - Davvero, mi spiace tanto…

- Mi ero sbagliata, Ruby. Mi ero sbagliata su di lui.

- Belle - Ruby avrebbe voluto dire qualcosa per consolarla, ma qualunque cosa le veniva in mente, realizzò, sarebbe stata solo stupida e inutile.- Mi dispiace, Belle.

 

***

 

- Hai visto? Non era poi così terribile!- fece Regina Mills, uscendo da una stanzetta dell’ospedale per mano a Henry. Il bambino annuì, vergognoso di aver fatto tutte quelle storie solo per una semplice vaccinazione. Si preparò psicologicamente alle frecciatine di Paige, che sicuramente gli avrebbe chiesto quante volte era svenuto alla vista dell’ago.

Regina percorse il corridoio, guardandosi distrattamente intorno. Il personale medico era notevolmente diminuito, a causa del deragliamento del treno, ma sembrava che tutto sommato se la stessero cavando bene. Cercò di ricordare dove esattamente avesse parcheggiato la macchina, quando si arrestò improvvisamente di fronte a una stanza. Guardò dentro: distesa su un letto, c’era Isabelle French.

Regina impallidì, capendo immediatamente cosa fosse successo: quando aveva telefonato a Moe French, rivelandogli della tresca di sua figlia con il signor Gold, non aveva fatto i conti con il caratteraccio dell’uomo e con la sua smisurata passione per l’alcool.

Il suo obiettivo era che French cacciasse di casa sua figlia, così che lei potesse offrirle il suo aiuto e manipolarla a suo piacimento per estorcere il denaro a Gold. Il piano aveva funzionato solo in parte: ora Isabelle era in un letto d’ospedale, e lei al punto di partenza.

Doveva inventarsi qualcos’altro, e alla svelta.

Regina fece vagare lo sguardo, finché questo non le cadde sull’infermiere che in quel momento stava scherzando con Isabelle e con un’altra ragazza voltata di spalle. Sorrise, riconoscendo Jefferson.

Si volse verso Henry.

- Aspetta qui un attimo, per favore - disse, allontanandosi da lui e dirigendosi a passo sicuro verso uno dei medici.

- Dottor Whale!- chiamò.- Dottor Whale, permette una parola?

 

Angolo Autrice: Questo capitolo è un po’ “di mezzo”, per così dire, ed è incentrato molto su Belle e Ruby. Beh, dovevo pur fargli fare pace, no?

La storia del treno deragliato avrà un suo perché, che verrà esplicitato nel prossimo capitolo. Per il personaggio di Michelle Wood, dovrò versare i diritti d’autore a parveth89, e mi rivolgo direttamente a lei: se pensi che abbia combinato un disastro di proporzioni colossali nel rendere questo personaggio, ti chiedo umilmente perdono, prometto che nei prossimi capitoli (perché non è un semplice cammeo, avrà un piccolo ruolo nella vicenda) cercherò di renderla meglio e che non replicherò a nessuno degli insulti che vorrai rivolgermi. Ho voluto inserirla nella mia storia 1 perché l’adoro come personaggio, 2 per sdebitarmi della stessa cortesia che mi ha riservato parveth89 nella sua storia Thanksgiving Day. Per chi non conoscesse Michelle Wood, preciso che la sua controparte in FTL è la Bella Addormentata, e per la sua storia completa rinvio a The Storybrooke’s chemist, sempre di parveth89. A proposito di storie e personaggi che s’incrociano, ringrazio anche LadyAndromeda per la sua AU The Lady and the Tramp in Storybrooke (e con questo non potrò mai più difendermi se qualcuno deciderà di accusarmi di pubblicità occulta XD! Scherzo, dai :).

Nel prossimo capitolo assisteremo alle grandi manovre di Regina…e a questo proposito, ricordate i suoi trascorsi con Jefferson e sua figlia? Ricordate il famoso video che mostra gli atti vandalici del caro Moe? Ricordate la tazzina scheggiata (okay, questa forse potevo anche risparmiarmela XD)?

Bene, non mi resta che ringraziare chi legge, chi ha aggiunto la storia alle seguite, alle ricordate e alle preferite e Capinera, parveth89, nari92, jarmione, Raven_95, Evils_Revenge, Valentina_P, LadyAndromeda, NevilleLuna, historygirl93, Lupa Malandrina, 1252154, Eruanne, MsBelle, Lety Shine 92, Anne White, Ginevra Gwen White, Samirina, Avly e Sylphs per aver recensito :).

Ciao, al prossimo capitolo!

Un bacio,

Dora93

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Capitolo 13
*** There's No Happy Ending ***


 

There’s No Happy Ending

 

La televisione mostrava l’ennesimo servizio sul treno deragliato al confine con Storybrooke. Jefferson incrociò le braccia al petto, lo sguardo puntato sullo schermo. In città non si parlava d’altro, ogni notizia o pettegolezzo erano stati accantonati per rivolgere l’attenzione al disastro ferroviario che aveva sconvolto gli equilibri della cittadina. La dinamica dell’incidente non era ancora stata chiarita, ma – stando a quello che stava dicendo la giornalista alla TV – il treno era deragliato intorno all’una della notte precedente, ma il vagone che si era staccato dal convoglio, andandosi a fracassare a nemmeno un chilometro da Storybrooke, era rotolato lungo la scarpata solo nel mezzogiorno.

Jefferson fece una smorfia, rendendosi conto di quanto la situazione fosse critica. I suoi colleghi che avevano deciso di rispondere all’appello che li chiamava a Boston avevano fatto in tempo a lasciare la città, ma finché quel vagone non fosse stato spostato – e ci sarebbe voluta almeno una settimana, come minimo – non avrebbero potuto ritornare a Storybrooke, così come né lui né nessun altro avrebbe potuto lasciarla. Un gran bel guaio, dal momento che i malati e i feriti, seppur in misura nettamente minore, c’erano anche lì, e lui e i suoi colleghi rimasti si stavano già massacrando a furia di tripli turni e maratone lungo le corsie dell’ospedale.

La voce della giornalista si fece d’un tratto più metallizzata e meno chiara, e le immagini alla TV cominciarono a scomparire e a riapparire a strisce ondulate. Jefferson sospirò d’esasperazione, avvicinandosi a grandi passi all’apparecchio.

Paige, seduta al tavolo della cucina, sollevò lo sguardo su di lui, senza smettere di bere la sua cioccolata calda, il libro di favole aperto sulle ginocchia. Jefferson colpì la televisione due o tre volte con delle violente manate, ma le immagini non migliorarono. Con l’ennesimo sospiro, afferrò il telecomando e premette il tasto di spegnimento.

- Non me ne frega niente di quello che dice il tecnico: quest’affare è rotto - dichiarò, passandosi una mano sulla fronte. Paige non rispose, e tornò a bere la cioccolata, concentrandosi sulle pagine del libro.

Jefferson le si avvicinò, chinandosi su di lei.

- Hai fatto i compiti?

Paige annuì, senza staccare gli occhi dal libro. Jefferson le posò un bacio su una tempia.

- Dev’essere davvero interessante questa storia, è tutto il pomeriggio che m’ignori…- ridacchiò.

- Scusa…- pigolò Paige.- E’ che Henry è andato avanti senza di me, e adesso devo recuperare…

- Uhm…E dove sei arrivata di preciso?

- La Bestia ha lasciato andare la Bella, e se lei non torna fra tre giorni, lui morirà - Paige lo guardò.- Ma credo che le sorelle cattive della Bella non vogliano farla tornare…

- Ahi, le sorelle cattive sono sempre un male…- Jefferson ridacchiò nuovamente.

Paige fece per rispondere, ma il suono improvviso del campanello glielo impedì. Padre e figlia sollevarono all’unisono lo sguardo in direzione della porta. Jefferson gettò un’occhiata all’orologio: erano le sette di sera.

- Chi è a quest’ora?- mormorò rivolto a se stesso, andando ad aprire.

Paige rimase a guardare suo padre mentre apriva la porta.

Jefferson impallidì non appena si ritrovò di fronte Regina Mills.

La donna sorrideva, quel suo sorriso smagliante ma freddo, stretta in un cappotto nero e con indosso scarpe di vernice e in mano una borsetta con il marchio di Gucci bene in vista.

- Buona sera, signor Hatter - salutò, senza smettere di sorridere.

- Signor sindaco…- gracchiò Jefferson, sentendosi le mani sudate.

- Posso entrare?- chiese Regina e, senza attendere risposta, si fece strada all’interno dell’abitazione. Jefferson chiuse la porta con una lentezza che a Paige parve snervante. Regina le rivolse un breve sorriso, che la bambina ricambiò con un timido cenno del capo; la donna prese a guardarsi intorno, il sorriso scomparso, ma che aveva lasciato il posto a una strana luce negli occhi.

Regina si voltò verso Jefferson, seria.

- Io e lei dobbiamo parlare, signor Hatter - dichiarò, categorica.

Jefferson deglutì, sentendosi la gola secca.

- Certo. Paige, va’ in camera tua, per favore.

La bambina annuì, scendendo dalla sedia con il libro di favole stretto al petto, e corse su per le scale diretta in camera sua. Non appena fu sicura di trovarsi fuori dalla visuale di suo padre e di Regina Mills, Paige si aggrappò alla ringhiera del piano superiore, accucciandosi in cima all’ultimo gradino e tendendo l’orecchio.

Al piano di sotto, Jefferson strinse i pugni e serrò le mascelle, guardando negli occhi la donna.

- Che cosa vuole?- sibilò.

Regina lo guardò, calma.

- Solo informarla del fatto che domattina stessa presenterò una denuncia ai servizi sociali.

Jefferson si sentì morire; s’irrigidì, stringendo i pugni così forte da conficcarsi le unghie nella carne. Mille immagini iniziarono a sfrecciargli di fronte agli occhi, il sorriso di Paige, il volto di sua moglie, la stanza di sua figlia vuota con i giocattoli abbandonati sul tappeto, mentre le parole del sindaco gli rimbombavano nelle orecchie.

In cima alle scale, il cuore di Paige perse un battito, mentre la bambina sgranava gli occhi.

- Lei…lei non può farlo…- gracchiò, con i sudori freddi.

- Ah, no?- fece Regina, il sorriso parzialmente ritrovato.- E perché? Chi me lo impedisce?

La donna prese a camminare intorno alla stanza, scrutando l’ambiente, mentre il rumore secco dei suoi tacchi sulle piastrelle si univa al rimbombo nelle orecchie di Jefferson.

- Ne ho il potere e il diritto. E, viste le condizioni decisamente precarie in cui questa bambina è costretta a vivere per colpa sua, lo ritengo anche un dovere - Regina smise di passeggiare, guardando Jefferson negli occhi.- Lo ammetta, signor Hatter: lei non è in grado di crescere sua figlia. Non è in grado di prendersi cura di lei, non è in grado di darle una vita dignitosa, e ho numerosi testimoni che possono confermarlo - Regina non distolse lo sguardo, mentre la voce si faceva più dura, secca e tagliente.- Sua figlia è sempre a casa da sola, mangia in modo malsano, i suoi abiti sono sempre strappati. Paige merita una vita che lei, signor Hatter, non può darle, né ora né mai. Merita una famiglia che si prenda cura di lei, e conosco un sacco di persone a Boston che sarebbero più che felici di…

La frase di Regina venne interrotta dal rumore sordo del pugno di Jefferson che si abbatteva sul ripiano del tavolo.

- Lei non può portarmi via mia figlia!- urlò l’uomo, con le lacrime agli occhi.- Non può farlo! Lei non può portarmi via Paige!- Jefferson ansimò; l’espressione di Regina rimase impassibile.- La prego…- implorò Jefferson.- La prego, non lo faccia. Cercherò…cercherò di stare più attento. Non la lascerò più da sola, e mi troverò una nuova casa. Farò del mio meglio, lo prometto.

- Oh, non ne dubito. Ma spesso il nostro meglio non è abbastanza, signor Hatter.

- Perché?- ansimò Jefferson.- Perché mi sta facendo questo? Cosa le ho fatto?

Regina non rispose subito; guardò Jefferson per diversi secondi, quindi le sue labbra s’incurvarono in un lieve sorriso, che si fece a poco a poco più sicuro e soddisfatto.

- Niente - rispose inaspettatamente, tanto che Jefferson si ritrovò a fissarla con aria stupefatta.- Lei non mi ha fatto niente, signor Hatter. Non ho alcun motivo per avercela con lei. Ma la questione non è cosa lei mi ha fatto - Regina riprese a passeggiare per la stanza.- La questione è cosa lei può fare per me.

Jefferson si passò una mano fra i capelli, madido di sudore, e puntò lo sguardo sulla donna.

- Cosa sta dicendo?- sibilò.- Cosa intende dire, con questo? Cosa vuole da me?

Regina si voltò a guardarlo, il sorriso non ancora scomparso.

- Ho saputo che ieri è stata ricoverata una ragazza in ospedale. Isabelle French, la figlia del fioraio.

Jefferson inspirò a fondo.

- Sì. E allora?

- Bene, ora le spiegherò cosa deve fare per me, signor Hatter - Regina si sporse sul tavolo, guardando Jefferson negli occhi.- Ho bisogno che Isabelle French sparisca per qualche tempo. Non deve avere nessun contatto con il resto della città, non deve vedere né parlare con nessuno. Nessuno. Se qualcuno, suo padre, i suoi amici, il suo innamorato, non importa chi, dovesse chiedere di lei, Isabelle non dovrà incontrarlo. Dovrà essere come se lei fosse morta.

- E…e cosa c’entro io?- gracchiò Jefferson, iniziando a capire cosa volesse Regina.

La donna ridacchiò brevemente.

- Tutto. Ora le spiegherò cosa deve fare - Regina lo guardò, compiaciuta nel vederlo pendere dalle sua labbra.- Domattina si presenti alla reception dell’ospedale; ho incaricato un’infermiera di consegnarle un mazzo di chiavi. Conduca la signorina French nei piani sotterranei dell’ospedale, dove sorgeva il manicomio negli anni Cinquanta, ricorda? Isabelle non deve sospettare niente, starà a lei inventare una scusa. Apra una delle stanze e la conduca dentro, ma ripeto: la signorina French non deve sospettare nulla di quanto sta succedendo, intesi? Questo è tutto. La contatterò al momento opportuno per ulteriori istruzioni. Faccia questo per me, e io le prometto che non infastidirò più né lei né sua figlia.

- E’ questo il suo prezzo?- Jefferson chiuse la destra a pugno.- Vuole che rinchiuda quella ragazza? Questo è un sequestro di persona, lo sa, signora Mills?! Cosa le ha fatto quella poveretta?

Regina rise.

- Mi spiace, signor Hatter, ma questo non è affar suo. Diciamo che lei mi serve per…beh, diciamo che è una specie di passepartout - Regina sorrise brevemente.- Ma, come le ho già detto, non è affar suo. E lei non è nelle condizioni di fare il moralista. C’è in gioco la vita di sua figlia, non se lo dimentichi.

- Cosa…cosa dirò a chi vorrà vederla?- gracchiò Jefferson.

- Lascio questo compito alla sua fantasia. S’inventi qualcosa, non dovrebbe essere difficile. Che ne so, che è stata trasferita in terapia intensiva, o…

Jefferson scosse il capo con forza.

- Non ci crederà nessuno. Non sono l’unico infermiere lì dentro, e…

- Questo è vero. Ma lei è l’unico ad aver visto e parlato con la signorina French - Regina l’interruppe.- Quel disastro ferroviario è capitato giusto a proposito. Il personale è stato notevolmente ridotto, il lavoro è in costante aumento e nessuno si accorgerà della mancanza di una paziente…

- Il dottor Whale l’ha visitata!- Jefferson quasi urlò. - Lui lo sa che è lì, lo verrà a sapere!

- Lo so, e ho già sistemato tutto anche con lui. Whale non sarà un problema. E di nuovo, signor Hatter, le ripeto che lei non è nella posizione né di fare il moralista né di negoziare - la voce di Regina s’indurì, ma il sorriso non scomparve.- Quello che le propongo è molto semplice. Isabelle French per sua figlia.

Jefferson ammutolì. Pensò al viso sorridente e un po’ infantile di quella ragazza, a quanto gli era sembrata fragile distesa in quel letto d’ospedale; ma subito dopo il viso di Paige tornò a balenargli di fronte agli occhi, e mise da parte ogni scrupolo morale. Regina era la donna più spregevole che avesse mai conosciuto, ma aveva ragione: c’era in mezzo sua figlia; se non avesse fatto ciò che diceva, il sindaco gliel’avrebbe portata via, e lui non poteva, non poteva!, vivere senza la sua bambina.

Lentamente, Jefferson annuì, segnando silenziosamente l’accordo.

 

***

 

Paige udì i tacchi del sindaco Mills uscire dalla porta sbattendola alle proprie spalle, e solo allora trovò il coraggio di sporgersi oltre il corrimano e sbirciare al piano di sotto. La bambina vide suo padre rimanere immobile a fissare la porta per diversi secondi, forse minuti interi. Infine, Jefferson si sedette al tavolo della cucina, poggiò le braccia contro il ripiano e vi nascose il volto, iniziando a singhiozzare.

A quella vista, Paige scattò indietro come per allontanarsi da un pericolo, finendo seduta sul pavimento, la schiena contro la parete. Non aveva mai visto suo padre piangere, né aveva sentito la minaccia di essere portata via da lui così vicina. Gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime. Paige fece vagare lo sguardo tutt’intorno, finché non scorse il vecchio cordless abbandonato sul ripiano di un cassettone.

La bambina gattonò velocemente fino ad esso, afferrando il telefono e digitando in fretta un numero. Si portò il cordless all’orecchio, le lacrime che avevano iniziato a rigarle le guance mentre udiva il ritmico tu-tuuu.

- Pronto?- fece d’un tratto la voce all’altro capo della cornetta.

- Henry!- singhiozzò Paige.- Henry, devi aiutarmi!

 

***

 

Mary French sorrideva da una fotografia attraverso un vetro rotto, stringendo a sé sua figlia. Moe non riusciva a ricordarsi quanti anni avesse Belle in quella foto: quattro, cinque…

Moe smise di pensarci, ingurgitando un sorso di vino rosso direttamente dal cartone. Erano le nove e mezza di sera, e il fioraio non dormiva dalla notte precedente. Dopo aver abbandonato sua figlia nel parcheggio dell’ospedale, priva di sensi, era tornato a casa e aveva svuotato il frigorifero di tutta la birra di cui era riempito, senza riuscire a prendere sonno nonostante l’ubriacatura.

Non era stata colpa sua, si ripeté. Non l’aveva fatto apposta. Non voleva fare del male a Belle. Voleva solo darle una lezione, voleva gonfiarle la faccia perché imparasse che con lui non si scherzava, voleva fargliela pagare per aver fatto la puttana con Gold.

Già, pensò Maurice, sua figlia era diventata la troia dell’usuraio della città.

Papà, io lo amo!

Così aveva detto. Era innamorata. Forse era stato questo a farlo veramente imbestialire. Se si fosse limitata solo ad andarci a letto, allora pazienza!, le avrebbe soltanto spaccato la faccia come aveva fatto tante volte con quella sgualdrina di sua madre, ma ora era diverso. Belle amava quel bastardo, amava l’uomo che lo aveva rovinato.

Non aveva davvero intenzione di spingerla giù dalle scale, e si era spaventato quando lei non aveva ripreso i sensi, ma non rimpiangeva di averla lasciata nel parcheggio dell’ospedale. D’altronde, si disse, chiunque lo avrebbe fatto. La legge di quel dannato paese lo accusava di essere colpevole di chissà quante cose, percosse, omissione di soccorso, e cazzate simili; e tutto questo perché? Perché era solo un padre che aveva dato una lezione alla propria figlia, che l’aveva punita per essere diventata la puttana di una bestia? Lui aveva solo cercato di salvarsi la pelle, tutto qui.

L’importante ora era che lui la scampasse; Belle si sarebbe ripresa, sicuramente, quella stronzetta era fatta della stessa pasta di sua madre: ci voleva più di una caduta per ammazzarla, ma sarebbe bastato un pugno per metterla a tacere. Non avrebbe raccontato nulla allo Sceriffo, era sempre stata una gran fifona.

Quanto al resto…se l’era solo meritato.

Moe fece per buttare giù un altro sorso di vino, quando il campanello suonò all’improvviso. L’uomo fece per ignorarlo, ma il suono si ripeté altre due o tre volte, insistente. Moe imprecò sottovoce, alzandosi a fatica dalla sedia della cucina e barcollando in direzione della porta.

Per un attimo, temette di ritrovarsi di fronte lo Sceriffo e la sua Vice, ma il timore svanì completamente per lasciare il posto allo stupore, allorché aprendo la porta si ritrovò di fronte il sindaco.

Moe boccheggiò, senza riuscire a staccare gli occhi dalla donna. Non aveva mai parlato con il sindaco, né aveva mai desiderato farlo – la considerava solo una delle tante sgualdrine che si credeva importante e onnipotente solo perché se ne stava seduta dietro a una scrivania –, ma il fatto che ora fosse venuta a bussare alla sua porta lo preoccupava. Cercò di ripercorrere mentalmente le sue azioni negli ultimi giorni, ma non gli pareva di aver fatto nulla di grave, anche se la sbornia non l’aiutava granché in termini di memoria.

Regina Mills si sforzò di sorridere, ma le uscì solo una smorfia di malcelato spregio.

- Buona sera, signor French…- salutò.

Maurice fece un veloce cenno con il capo.

- Avrei bisogno di scambiare due parole con lei. Posso entrare?- chiese Regina, anche se avrebbe di gran lunga preferito sbrigare la faccenda sulla porta. Moe annuì, scostandosi per lasciarla passare, quindi le fece cenno di seguirlo in salotto, l’unico ambiente della casa vagamente presentabile.

Regina trattenne a stento una smorfia di disgusto mentre si sedeva sul vecchio divano stranamente pulito, scrutando attentamente il resto della casa. Era quasi peggio dell’abitazione di Jefferson, dovette convenire con se stessa. Si chiese come diavolo avesse fatto quella povera ragazza a resistere per quasi vent’anni in tutto quello squallore, ma s’impose di non perdere di vista il proprio obiettivo non appena iniziò ad avvertire un senso di compassione.

Non che Isabelle avesse davvero bisogno di compassione. Anzi, Regina avrebbe quasi potuto nutrire ammirazione, nei suoi confronti. Guardò Moe French, seduto di fronte a lei con un’aria talmente preoccupata da risultare ancora più falso e spregevole di quanto già fosse, ubriaco, sudato e con gli abiti macchiati. Isabelle doveva essere rimasta vicino a lui più per sincera preoccupazione per lui, che per debolezza e fragilità, come molti credevano.

- Cosa…cosa posso fare per lei, signor sindaco?- biascicò Moe, la voce impastata.

Regina iniziò a rovistare nella borsa, pronta ad andare subito al sodo, ma si bloccò. Un’idea le era appena balenata nella mente; non che ne avesse davvero bisogno, quello che aveva a portata di mano sarebbe bastato e avanzato per ottenere ciò che voleva da quell’ubriacone, ma una garanzia non avrebbe fatto male.

Regina guardò Moe negli occhi, schiarendosi la voce.

- Ho saputo, signor French…- esordì, tentando di mostrarsi amabile.- Mi dispiace molto per sua figlia…

Moe prese a guardarsi freneticamente intorno, tentando di nascondere il proprio disagio.

- Grazie, signor sindaco…- borbottò.

- E come sta ora Isabelle?

- Lei…lei sta molto meglio, grazie…- Moe si sforzò di sorridere.- E’ ancora un po’ debole…Ma i medici hanno detto che si riprenderà presto…

Patetico!, pensò Regina, ma mantenne il sorriso.

- Sa, io e Isabelle ci eravamo incontrate la mattina prima che venisse ricoverata…Abbiamo scambiato quattro chiacchiere, una ragazza molto simpatica, devo dire. Come è successo, se posso chiedere?

- Lei è…caduta - mormorò Moe. Tentò di cambiare argomento.- Cosa era venuta a dirmi, signor sindaco?

Il sorriso di Regina scomparve all’istante, lasciando il posto a un’espressione fredda. Infilò una mano nella borsa, estraendone una confezione nera.

- Questo - rispose, secca, posando la videocassetta sul tavolino del salotto. Moe si sporse in avanti, l’espressione stupita e confusa.

- Non…non capisco…

Regina raccolse la videocassetta, sventolandola a pochi centimetri dal naso del fioraio.

- Sono venuta a chiederle delle spiegazioni - disse.- Questa registrazione mostra chiaramente lei che scaglia una pietra contro la finestra di casa mia. Cos’ha da dire, in proposito?

Moe arrossì violentemente, quindi impallidì di colpo. Boccheggiò, cercando di cogliere il senso delle parole della donna.

- Signor sindaco…ci dev’essere un errore…io non so di cosa sta parlando, davvero…

- Non cerchi di prendermi in giro, signor French: non servirebbe a nulla e la renderebbe solo più ridicolo!- Regina posò nuovamente la videocassetta sul tavolino.- Questo è un atto vandalico, signor French. Lo sa? Sa che cosa dovrei fare io, adesso?

- La prego, signor sindaco…

- Senza contare - l’interruppe bruscamente Regina.- Senza contare che potrei anche aggiungere qualcos’altro, alla mia denuncia allo Sceriffo…- la donna si sporse verso di lui, il sorriso nuovamente dipinto sulle labbra.- Temo che lei si sia tradito con le proprie mani, signor French. Cosa direbbero le autorità, se sapessero che cosa ha fatto a sua figlia?

- Mia…mia figlia?- boccheggiò Maurice, madido di sudore.- Cosa c’entra Belle?

- Sapeva che sua figlia era in ospedale, ma non ha accennato in alcun modo che l’hanno trovata priva di sensi all’entrata del parcheggio - Regina si sporse ancora di più.- Isabelle non è caduta, vero?- sibilò.

Moe arretrò sul sofà, respirando affannosamente, il volto pallido chiazzato qua e là di macchie rosse.

- Lei l’ha ridotta in quello stato!- disse Regina.- Se fosse veramente caduta, perché non ha chiamato un’ambulanza? Oppure, perché non l’ha accompagnata nemmeno dentro all’ospedale, invece di abbandonarla sulla strada?

- Lei non ha nessuna prova!- ringhiò French.

- Questo è vero - sogghignò Regina.- Ma non appena lo Sceriffo avrà questo video, sarà solo questione di tempo prima che tutti vengano a sapere cos’ha fatto a sua figlia…

- Signor sindaco…- boccheggiò Moe, in preda al panico. - La prego…la prego, non dica nulla…

Regina si alzò in piedi di colpo, riprendendo la videocassetta.

- E invece credo proprio che lo farò - dichiarò, iniziando ad avviarsi verso l’uscita.- E stia pur certo che un bel soggiorno al fresco non glielo risparmierà nessuno…

- No!- Moe scattò in avanti, afferrandole un lembo del tailleur.- La prego, signor sindaco…- implorò.- E’ stato un incidente! Io non volevo, non…Ero ubriaco!- sbottò infine.- Non sapevo che quella fosse casa sua…

- Questo non cancella ciò che ha fatto!- rispose Regina; stava solo aspettando che cedesse.- Lei ha danneggiato una proprietà privata, deve pagare per quello che ha fatto!

- Pagherò!- uggiolò Moe. - Mi dica quanto le devo…Non può essere molto, mi dica quanto…

- Non mi servono i suoi soldi.

- La prego!- supplicò Moe.- Ci dev’essere qualcosa…Farò tutto ciò che mi chiede, ma la prego, non…

Regina non replicò, voltandosi leggermente di lato per nascondere il sorriso trionfante; appena riacquistò il controllo di sé, tornò a guardare il fioraio.

- Tutto ciò che le chiedo, ha detto?- ripeté. French annuì.

Regina sorrise, tornando a sedersi sul sofà. Moe rimase a guardarla, inebetito. La donna accavallò le gambe, sedendosi più comodamente.

- In tal caso…ho una proposta da farle - Regina si sporse lievemente in avanti.- Ho sentito dire che lei, ultimamente, ha avuto qualche screzio con il signor Gold, o sbaglio?

Maurice annuì.

- Quel bastardo mi ha rovinato…e si è preso mia figlia - ringhiò.

- Capisco. Beh, forse le farà piacere sapere che non è l’unico ad avercela con lui - disse Regina.- Ho bisogno che faccia qualcosa per me. Può considerarla una specie di rivincita personale, se vuole…

- Cosa?

Regina sorrise.

- Ecco ciò che dovrà fare…

 

***

 

Non poche persone a Storybrooke si stupirono di trovare chiuso il negozio del signor Gold per ben due giorni di fila. Non era mai accaduto, salvo che per il giorno di Natale e la vigilia, e tutti sapevano che Gold non era tipo da perdere un giorno di lavoro. Tuttavia, una stranezza che in condizioni normali avrebbe fatto immediatamente notizia, venne perlopiù dimenticata in breve tempo, soppiantata ancora dal clamore che quel disastro ferroviario aveva suscitato.

Gold non uscì di casa per quasi due giorni. Dopo quello che era successo con Belle, non se la sentiva neppure di andare al lavoro, né di riscuotere gli affitti. Per quanto detestasse ammetterlo, aveva paura d’incontrarla. La ragazza aveva ragione: era un vigliacco.

E anche uno stolto. Il signor Gold lo sapeva, sapeva fin da subito che Belle stava fingendo…e come sarebbe potuto essere diversamente?

Aveva preteso che lavorasse per lui senza stipendio, ricattandola perché saldasse i debiti di suo padre. Lei era giovane, bella, solare e intelligente, e lui era un uomo di quarant’anni, un vecchio zoppo, da tutti considerato un mostro e un usuraio.

La Bella e la Bestia.

A quel pensiero, Gold rise, ma di un riso amaro, amaro quasi quanto era stato il suo sorriso quando l’aveva lasciata andare. Rideva di se stesso. Sapeva che Belle stava fingendo. In tutti quei mesi, mentre un sentimento nuovo e creduto scomparso da tempo cominciava a farsi strada nel suo cuore, si era ripetuto di non illudersi e soprattutto di non illudere lei, bastardo che non era altro!

Come poteva Belle amare lui?

Alla fine, quando aveva compreso che gli sarebbe stato impossibile soffocare il sentimento che provava per quella ragazza, si era imposto almeno di non darlo a vedere. Lei non lo avrebbe mai amato, ma almeno sarebbe rimasta vicino a lui ancora per quel poco tempo previsto dall’accordo, e sarebbe sempre stata spontanea, non imbarazzata e disgustata dal suo amore.

Poi, però, tutto si era fatto più difficile. Pian piano, il signor Gold aveva iniziato a sospettare che il suo sentimento, forse, non era non corrisposto. Quando il dubbio era divenuto certezza, dopo quella maledetta sera di San Valentino in cui aveva compiuto tutte quelle sciocchezze, una dietro l’altra, in cui si era esposto, troppo esposto, allora aveva preso una decisione. Belle meritava di meglio; si sarebbe presto resa conto del grossolano sbaglio che stava facendo, nel rimanergli vicino. Forse lo avrebbe preso in giro e ridicolizzato, una volta accortasene, ma a lui non importava. Quello che gl’interessava era che Belle fosse felice.

La libertà e la felicità della donna che amava al prezzo della propria disperazione. Come nel migliore degli accordi.

E Gold aveva stracciato il contratto che legava Belle a lui.

Ma ancora una volta, quella ragazza era stata in grado di sorprenderlo. Quando era tornata, allora Gold si era detto che forse era stato lui a sbagliare, forse insieme a Belle le cose sarebbero potute funzionare, forse…

Ma poi, la verità era venuta allo scoperto.

Regina!

Gold rise nuovamente, una risata volta solo a soffocare la rabbia. Regina Mills aveva rovinato tutto, era riuscita a corrompere anche Belle. Voleva renderlo debole; voleva prendersi gioco di lui, ingannarlo, ma nemmeno ora, ora che tutto era finito, il signor Gold riusciva ad essere arrabbiato con lei. Ce l’aveva con se stesso, per essere stato così stupido da credere che la Bella potesse davvero amare la Bestia, ma non riusciva a odiare Belle, né l’avrebbe mai odiata.

In lui c’era solo spazio per la solitudine e la disperazione.

Il signor Gold aprì il negozio solo nel tardo pomeriggio, ben sapendo che era inutile, dal momento che, a parte qualche disperato o qualche latore di un affitto trascinato fino all’ultimo minuto, ben poche persone entravano lì dentro, specie quando all’orizzonte il cominciava già a tramontare. Ma aveva bisogno di una distrazione, un pretesto per uscire da quella grande casa vuota.

Si diresse lentamente dietro al bancone, prendendo a sistemare alcuni oggetti nel tentativo di ignorare la sensazione di vuoto e solitudine che quel posto, in cui aveva lavorato per quasi vent’anni, aveva iniziato a trasmettergli da che Belle era uscita due sere prima, quando all’improvviso il campanello trillò.

Gold si voltò stancamente, pronto all’ennesima conversazione inutile, e avvertì un senso di fastidio ancora più acuto, quando vide entrare il sindaco Mills. Aveva una gran voglia di urlarle contro e scacciarla via a male parole, ma si limitò a sospirare.

- Signora Mills, se è venuta da per umiliarsi di nuovo, allora l’avverto che sta sprecando il suo tempo - le disse, secco.- Non ho nessuna intenzione di darle quel denaro, glielo ripeto per l’ultima volta.

Regina non smise né di sorridere né di guardarsi intorno. Si avvicinò ad alcuni cavalli di vetro appesi a dei fili, esaminandone uno azzurro.

- Che scortesia, signor Gold! - commentò.- A dire il vero, ero venuta per un acquisto.

- Dubito che qualcosa qui dentro possa interessarle, signora Mills.

Regina si finse offesa.

- Diamine, quanta maleducazione! Dovrebbe prendersi un po’ di riposo, signor Gold, dico davvero. La ragazza che lavorava qui non molto tempo fa non mi avrebbe mai risposto in quel modo.

Nell’udire l’accenno di Regina, Gold si voltò, fissando il bancone.

- Com’è che si chiamava, a proposito?- fece la donna.- Verna?...Marge?...

- Belle.

Regina sogghignò.

- Giusto. Beh, come dicevo, era una ragazza molto gentile. E’ un peccato, anche questa tragedia…

Qualcosa nel tono di voce della donna fece capire al signor Gold che non si stava riferendo all’incidente ferroviario.

- Quale…tragedia?- mormorò, tornando a guardarla.

- Non lo sa?- Regina si finse sorpresa. Mosse qualche passo in direzione del bancone.- Due sere fa è tornata a casa, e ha trovato suo padre ubriaco. Conosce French, sa che quando beve va fuori di testa…beh, quella poveretta deve aver detto o fatto qualcosa che l’ha fatto infuriare…

Gold strinse con forza il bordo del bancone, conficcando le unghie nel legno. Il sangue gli era salito alle tempie; Regina indugiava.

- Non so cosa sia successo…Ma certo non si è fatto scrupolo a punire quella ragazza…

- Quindi…ha bisogno…di una casa?- mormorò Gold, aggrappandosi a una speranza troppo flebile per essere vera; sapeva cos’era successo. Moe doveva aver scoperto, in qualche maniera, che lui e Belle…

L’aveva cacciata di casa, si disse; sì, doveva averla mandata via…non poteva aver fatto qualcosa di peggio, non…

Regina si sporse in avanti, nascondendo un sorriso.

- Una casa?- ripeté.- Magari! Dico io, molto meglio essere sbattute fuori che finire così…- esitò ancora un momento, mentre Gold, lo sentiva, era impallidito.- Suo padre ci è andato giù un po’ troppo pesante. Non ho idea di cosa sia successo esattamente, probabilmente deve averla schiaffeggiata, oppure l’ha spinta e lei è caduta…beh, a farla breve, la poveretta ha sbattuto la testa.

Gold inspirò a fondo; non riusciva a pensare. Ma non era finita, lo sentiva.

- Ovviamente l’hanno portata subito all’ospedale di Storybrooke. I medici hanno cercato di rianimarla, ma si sono subito resi conto che la situazione era più grave di quanto sembrasse. L’hanno immediatamente trasferita all’ospedale di Boston, fortunatamente le vie erano ancora libere…

- E…- Gold si sentiva la gola secca.- E…come sta adesso?

Regina fece spallucce.

- Di preciso non lo so. Sa, dopo che quel vagone ha bloccato la via d’uscita da Storybrooke anche le informazioni sono limitate, ma per caso ero all’ospedale con mio figlio, quella sera. Ho sentito mormorare qualcosa, su una specie di coma…coma irreversibile, a dire il vero…

Il signor Gold si sentì come cadere.

Belle…coma irreversibile…suo padre l’aveva picchiata…no…era colpa sua…non avrebbe dovuto lasciarla andare, avrebbe dovuto proteggerla…lei non…

- Quella poveretta è ormai un vegetale. E’ un peccato che nessuno possa andare a trovarla, in quello stato. Probabilmente morirà da sola, povera ragazza…

Gold conficcò ancora di più le unghie nel legno, fissando le proprie mani.

- Se non ha intenzione di comprare nulla, signora Mills, allora direi che abbiamo finito - sibilò.

- Certo, ha perfettamente ragione. Buona giornata, signor Gold - Regina si avviò lentamente verso l’uscita, osservando attentamente il negozio.- Uhm…questo posto è più sudicio di quanto ricordassi…dovrebbe assumere una nuova ragazza…

Gold non rispose, e attese di udire il suono del campanello seguito da quello della porta che si chiudeva. Ansimò, spostando lo sguardo dal bancone, facendo movimenti lenti, quasi temesse di infrangere quel silenzio assordante che si era creato. Voltò il capo in direzione della vetrinetta alle sue spalle; l’aprì, reggendo con attenzione un piccolo oggetto di porcellana.

Il signor Gold posò delicatamente sul bancone la tazza dal bordo spezzato; rimase a guardarla per diversi secondi, quindi chinò il capo, e pianse.

 

Angolo Autrice: Okay, tralasciando il fatto che in questo capitolo Regina è come il prezzemolo, credo di aver definitivamente distrutto Moe (se non rovinato completamente la storia…:(!). Nel prossimo capitolo assisteremo alla messa in atto del piano di Regina e alla vendetta di Gold.

Ringrazio chi legge, chi ha aggiunto la storia alle seguite, alle ricordate e alle preferite e parveth89, jarmione, Sylphs, LadyAndromeda, nari92, Samirina, historygirl93, NevilleLuna, Raven_95, kagura, Eruanne, Lety Shine 92, 1252154, MsBelle, Valentina_P e Avly per aver recensito.

Colgo l’occasione per scusarmi con tutti coloro che recensiscono, perché voi siete fantastici e io invece faccio schifo perché le mie risposte arrivano sempre con un ritardo spaventoso. Di nuovo, scusate se ci metto tanto, mi rendo conto che nell’ultimo periodo la mia lumacaggine acuta si è notevolmente aggravata, scusate ancora, cercherò di essere più svelta nelle risposte :).

Ciao, un bacio,

Dora93

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Capitolo 14
*** Revenge ***


 

Revenge

 

- Dove stiamo andando?- Belle si voltò per poter guardare Jefferson negli occhi. L’infermiere teneva lo sguardo fisso di fronte a sé, senza sbattere le palpebre, quasi fosse ipnotizzato. Belle vide che era pallido, aveva i capelli scompigliati e le occhiaie di chi ha passato l’intera nottata in preda all’insonnia. Jefferson spingeva risolutamente la sedia a rotelle quasi come se stesse compiendo un gesto meccanico. A Belle non piaceva spostarsi in sedia a rotelle: la faceva sentire come un’invalida, come se non avesse soltanto una commozione cerebrale ma gambe e braccia rotte e dovesse dipendere esclusivamente dagli altri. L’inabilità di essere padrona delle proprie azioni, fosse stata anche una cosa semplice come camminare, di non poter controllare dove si stesse dirigendo, le dava quasi un senso di malessere. Aveva protestato dicendo che era perfettamente in grado di camminare da sola, ma Jefferson aveva insistito replicando che nelle sue condizioni era meglio non si stancasse. Anche se Belle non aveva ancora avuto il piacere di conoscere quali fossero quelle che definiva le sue condizioni. Non aveva più visto nessun medico, a parte quell’unica visita del dottor Whale. L’unico personale sanitario con cui aveva avuto contatti era Jefferson.

- Dove stiamo andando?- ripeté dopo qualche secondo, accorgendosi che l’infermiere non l’aveva sentita. Belle vide Jefferson serrare le mascelle, ma senza spostare lo sguardo.

- Al piano di sotto - rispose l’uomo, con voce incolore. Belle voltò il capo, prendendo a fissarsi le mani abbandonate in grembo. Jefferson era strano, lo era da quella mattina. Il giorno prima era stato allegro e gentile con lei, e adesso la trattava con noncuranza, quasi con freddezza. Ma era il suo tono di voce che più la inquietava: piatto, monocorde, che unito a quello sguardo stanco e quasi spiritato e a quei movimenti lenti e meccanici lo faceva sembrare come…matto.

Belle scosse il capo, imponendosi di smetterla. Jefferson non era matto. Anzi, la pazza lì era lei, che vedeva le cose dove non c’erano. Probabilmente, Jefferson doveva essere semplicemente di malumore. Oppure preoccupato per qualcosa. Chissà, magari aveva avuto dei problemi in famiglia…

Belle si chiese se provare a parlargli e a domandargli qualcosa sarebbe risultato troppo invadente da parte sua, e subito si rispose affermativamente. Non conosceva ancora Jefferson così bene da potersi permettere di impicciarsi dei suoi affari.

La ragazza sussultò, non appena si accorse di essere giunta di fronte alla tromba di un ascensore, le cui porte si stavano aprendo proprio in quel momento. Belle strinse istintivamente i braccioli della sedia a rotelle non appena Jefferson la spinse nella stretta cabina in cui una luce soffusa trasmetteva un senso di smarrimento e claustrofobia. La ragazza vide Jefferson premere uno dei tasti, quindi l’ascensore iniziò a scendere.

- Perché stiamo andando di sotto?- chiese Belle.

- Ti hanno trasferita in un altro reparto.

Di nuovo quella voce piatta e monocorde, priva di inclinazione. Belle inspirò brevemente, gettando occhiate tutt’intorno. La luce che c’era in quell’ascensore non le piaceva, le pareva quasi di trovarsi in una camera mortuaria. Guardò Jefferson: l’infermiere non aveva smesso il suo pallore, e nella penombra le sue occhiaie parevano ancora più accentuate. Teneva le mascelle serrate; la ragazza si accorse che stringeva convulsivamente i manici della sedia.

Belle spostò velocemente lo sguardo sui numeri illuminati contro la parete alla sua destra: la luce verde smeraldo si spostava verticalmente dall’alto verso il basso, a una velocità da capogiro. La ragazza rimase come incantata a fissare quei numeri illuminati.

Stavano andando giù…giù…sempre più giù…

Infine, la luce superò lo zero che delimitava il piano terra, passando rapidamente all’ultimo pulsante un attimo prima che l’ascensore si arrestasse bruscamente e le porte si aprissero.

Erano sottoterra.

Belle sussultò quando Jefferson riprese a spingere la sedia a rotelle fuori dall’ascensore, conducendola lungo uno stretto corridoio, di cui Belle non riusciva a scorgere la fine. Là sotto, se possibile, la luce era ancora peggio: talmente flebile e incerta che pareva davvero di trovarsi in un obitorio. Ai lati del corridoio sorgevano alcune stanze, tutte chiuse a chiave.

Belle riconobbe il luogo: erano nel vecchio manicomio.

La ragazza aveva sentito alcune storie su quel posto: sorgeva nei sotterranei dell’ospedale di Storybrooke, e solo poche persone ne erano a conoscenza. Era stato aperto dall’inizio degli anni Venti fino alla metà degli anni Cinquanta, quando era stato chiuso. Belle non avrebbe mai immaginato che fosse ancora in funzione. Era un luogo dove venivano rinchiusi – letteralmente rinchiusi – individui con problemi mentali, schizofrenici, epilettici…un posto in cui le persone scaricavano parenti imbarazzanti affinché venissero “curati”.

Le cure in questione erano perlopiù torture. I malati venivano sottoposti a ogni genere di angherie: percosse, camicie di forza, elettroshock…Le storie che si raccontavano su quel posto erano state l’incubo suo e di tanti altri bambini. Belle ricordò che, quand’era piccola, suo padre la minacciava spesso di farla rinchiudere là dentro, se non avesse fatto quello che diceva lui, se non si fosse comportata bene, se non avesse fatto la brava bambina…

E ora, lei era lì.

Belle sentì il cuore balzarle fino alla gola quando Jefferson arrestò la sedia a rotelle di fronte a una delle porte e infilò una chiave nella serratura. La porta si aprì con uno strano cigolio.

- Cosa facciamo qui?- chiese Belle, cercando di nascondere una punta d’isteria, non appena Jefferson spinse la sedia a rotelle dentro la stanza. Il tono della sua voce parve riscuotere parzialmente l’uomo, che per la prima volta durante tutto il tragittò la guardò.

La stanza era piccola e angusta e, Belle rabbrividì, anche notevolmente buia e fredda. L’unico mobilio era costituito da un tavolino da notte e da un letto con materasso, cuscini e lenzuola. Non c’era traccia di monitor, flebo, o medicinali. Sulla parete, troppo in alto per poter essere raggiunta neppure issandosi in piedi sul letto, c’era una piccola finestrella.

Belle sentì Jefferson passarle una mano dietro le spalle e una sotto le ginocchia, quindi l’uomo la sollevò di peso, stendendola con attenzione sul letto.

- Non preoccuparti. E’ stato il dottor Whale a dirmi di condurti qui - Jefferson sorrise.- Vuole farti dei controlli. Nulla di cui allarmarsi, solo semplici esami di routine.

- Mi avevi detto che le mie condizioni erano migliorate…- obiettò Belle; il suo volto lasciava trasparire tutta la sua diffidenza.

- E’ così, infatti. Ma una commozione cerebrale non è roba su cui scherzare, meglio fare tutti i controlli necessari, non credi? E poi non dimenticare che ti abbiamo ritrovata priva di sensi in mezzo a una strada. Non sappiamo per quanto tempo tu sia rimasta lì, al freddo, e un virus influenzale nelle tue condizioni non è esattamente il massimo.

- Ma perché qui?- insistette Belle.- Perché nel seminterrato? Qui c’era il vecchio manicomio, vero?- si sentiva come una bambina di cinque anni, ma il solo pensiero di trovarsi in una stanza in cui sessant’anni prima si trovava chissà quale psicopatico le infondeva un senso di disagio.

- Sì, ma non farti spaventare da tutte le dicerie su questo posto - Jefferson si sforzò di apparire rassicurante.- La maggior parte sono tutte fesserie. Ti abbiamo trasferita qui a causa di quell’incidente del treno, ricordi? Noi qui ci stiamo ammazzando a furia di doppi turni e corse da un reparto all’altro, il dottor Whale ha detto di spostarti qui per poter agevolare nel nostro lavoro.

Belle annuì, cercando di sorridere, ma stringeva nervosamente le lenzuola del letto. Jefferson provò una pena infinita nel vederla così. Che diamine voleva Regina da quella ragazza? Cosa le aveva fatto? Cosa stava facendo lui?

Jefferson s’impose di non cedere ai sensi di colpa. Lo stava facendo per sua figlia. Regina aveva detto che Belle era solo un lasciapassare, e aveva parlato di tenerla rinchiusa solo per qualche tempo. Presto sarebbe stata libera. Belle sarebbe stata libera, e Regina avrebbe lasciato in pace lui e Paige. Non c’era motivo di preoccuparsi.

Jefferson schiuse le labbra come per parlare, quindi posò dolcemente una mano sul braccio di Belle.

- Andrà tutto bene - le sussurrò, guardandola negli occhi.- Non devi preoccuparti di nulla, presto sarai fuori di qui. Andrà tutto bene, vedrai…- ripeté.

Belle lo guardò negli occhi e annuì, e a Jefferson parve che il suo sorriso fosse più convinto, stavolta.

- Se Ruby, o Mary Margaret, o qualcun altro viene a trovarmi, puoi dirgli tu che sono qui?- chiese Belle.- Credo che avrebbero serie difficoltà ad arrivare quaggiù…Chissà che faccia farà MM quando saprà che mi avete messa in manicomio…- ridacchiò nervosamente.

Jefferson si sforzò nuovamente di sorridere, allontanandosi un poco da lei.

- Ma certo. Sta’ tranquilla, ti avviserò non appena riceverai visite…Ora cerca di riposarti un po’, va bene? Ci vediamo più tardi.

Jefferson le rivolse un ultimo sorriso tirato, avviandosi a grandi passi verso l’uscita. Gli pareva quasi che le pareti scottassero, sentiva il bisogno irrefrenabile di uscire da lì.

- A più tardi!- Jefferson udì le parole di Belle un attimo prima di chiudere la porta della stanza e girare le chiavi nella serratura. Andrà tutto bene, si ripeté. Sarebbe andato tutto bene. Regina avrebbe ottenuto quello che voleva, presto Belle sarebbe uscita da lì senza sospettare nulla, e lui e la sua bambina sarebbero stati felici.

Doveva solo resistere e non pensare a quegli occhi azzurri che si fidavano di lui…

 

***

 

Belle sussultò non appena Jefferson chiuse la porta, lasciandola sola in quella stanza spoglia e semibuia. Sentì un brivido correrle lungo la colonna vertebrale quando sentì la molla della serratura scattare con un colpo secco.

Strano. Molto strano.

Belle ebbe improvvisamente la sensazione che qualcosa non quadrasse. Jefferson le aveva spiegato come stavano le cose, erano delle spiegazioni coerenti e sensate, e lei si fidava di lui. Ma in quella stanza non c’erano macchinari, né medicine, né nulla che avesse lontanamente a che fare con delle attrezzature che normalmente si trovavano in ospedale. E poi, lei non poteva uscire da lì, realizzò.

Perché Jefferson aveva chiuso la porta a chiave?

 

***

 

Faceva freddo.

Henry si tirò su il bavero della giacca fino a coprirsi bocca e naso, continuando a camminare senza staccare gli occhi dal marciapiede. Paige, accanto a lui, non parlava. Non piangeva, ma i suoi occhi erano talmente rossi e cerchiati che Henry pensò che si fosse già prosciugata per poter piangere di nuovo.

- Sei sicura di quello che hai sentito?- le chiese per la centesima volta.

- Me l’hai già chiesto - pigolò Paige.

- Sì, ma sei sicura di non aver capito male?- insistette Henry. In cuor suo, sperava davvero che fosse così. Non poteva credere che sua madre avesse fatto una cosa del genere.

- Sì, certo - Paige si sfregò velocemente gli occhi.- Tua madre ha detto che mi porterà via da papà, se lui non rapisce Belle French.

- E lui ha accettato - non era una domanda, ma Henry vide che Paige annuiva comunque.

- Vuole che la tenga rinchiusa nel seminterrato dell’ospedale - spiegò Paige.- Dove mettevano i matti una volta. Henry, devi aiutarmi!- implorò.- Io non voglio andare a Boston! Io non voglio un’altra famiglia! Io voglio stare con il mio papà!

- Lo so, lo so…- Henry cercò di calmarla. Il suo cervello aveva iniziato a lavorare a tutta velocità.- Bisogna che mia madre non abbia più niente per ricattare tuo padre - pensò ad alta voce. - Ha detto che ti porterà via da lui se tuo padre non terrà rinchiusa Belle French. Se lei è libera, allora mia madre non ha più niente con cui possa ricattare Jefferson. Quindi, per prima cosa, bisogna liberare Belle.

Paige scosse tristemente il capo.

- Troverà sicuramente un’altra scusa…- mormorò.- E poi, come facciamo a liberare Belle French? Mio padre a quest’ora l’avrà già rinchiusa…

Henry ci rifletté; Paige aveva ragione, era più facile a dirsi che a farsi. Loro erano due ragazzini, e avevano due adulti contro, senza contare che non sapevano nemmeno dove si trovasse Belle con esattezza. E poi, cavolo, Paige aveva ragione anche sul primo punto: sua madre avrebbe trovato un’altra scusa per portarla via da Jefferson.

Serviva un aiuto, decise. L’aiuto di qualcuno che fosse disposto ad ascoltarli e avesse la capacità di intervenire.

- Perché non chiediamo alla tua altra mamma?- propose Paige, quasi gli avesse letto nel pensiero.- Il Vicesceriffo Swann…

Henry sospirò. Quella pareva essere la soluzione migliore. Ma non sarebbe mai voluto arrivare a quel punto.

Henry aveva trovato la sua madre biologica circa sei mesi prima, quand’era scappato da Storybrooke per andare da lei a Boston. L’aveva cercata essenzialmente per curiosità, voleva conoscere la donna che l’aveva messo al mondo e abbandonato, come nei libri di favole. E anche perché da tempo le cose fra lui e la sua madre adottiva non andavano molto bene. Henry sapeva che Regina gli voleva bene, ma aveva anche capito che era una donna molto narcisista e presa da sé, egoista e talvolta anche isterica. Aveva sperato che la sua vera mamma lo potesse aiutare a gestire una situazione divenuta insostenibile.

Sulle prime, Emma non si era mostrata troppo entusiasta di aver ritrovato suo figlio, e l’aveva riaccompagnato a Storybrooke con l’intenzione di consegnarlo nuovamente fra le grinfie di Regina e filarsela, ma aveva deciso di rimanere non appena anche lei aveva capito come stavano le cose.

Poi era diventata Vicesceriffo, e da allora si era aperta una guerra fredda fra lei e Regina. Henry sapeva che Emma aveva intenzione di riprenderlo con sé e che Regina gliel’avrebbe impedito con le unghie e con i denti, e che a entrambe sarebbe bastato un pretesto, il minimo sgarro da parte dell’altra per portarglielo via per sempre.

Quella sarebbe stata l’occasione buona, per Emma. Con quel che Regina aveva fatto, le sarebbe bastato schioccare le dita per sbatterla dietro le sbarre e ottenere il suo affido, ma Henry non era tanto sicuro di volere questo. Fosse dipeso da lui, sarebbe stato con entrambe senza alcun problema.

Inspirò a fondo. Si trattava di scegliere. O Emma o Regina.

Henry chinò il capo. Non avrebbe mai voluto scegliere, ma ora era inevitabile. La sua madre adottiva si era spinta troppo in là. Aveva minacciato il padre della sua amica, aveva rapito una ragazza, e chissà quali altre cose. Pareva essersi trasformata in una strega malefica. Le voleva bene, ma non poteva permettere che continuasse ad agire indisturbata. E poi, Emma era diversa da lei. Sì, era un maschiaccio di prima categoria, era già tanto se sapeva com’era fatto un bambino e a volte era parecchio maldestra, ma con un po’ di buona volontà sarebbe stata una brava madre. E poi, era comprensiva. Con un po’ di fortuna, pensò Henry, sarebbe riuscita a cavare Regina fuori dai pasticci, se lui gliel’avesse chiesto, e gli avrebbe permesso di continuare a vederla.

- Va bene - disse.- Andiamo a cercare Emma.

 

***

 

- Hai intenzione di dormirci, su quella scrivania?

Emma sollevò lo sguardo dai fascicoli non appena udì la voce di Graham. Lo Sceriffo se ne stava sulla soglia del suo ufficio, appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte al petto e un mezzo sorriso sulle labbra. Emma scoccò un’occhiata all’orologio: erano le sei meno un quarto. La donna sospirò, sfregandosi gli occhi e rialzandosi dalla posizione praticamente distesa che aveva preso sulla scrivania, seduta sul ripiano con un gomito per sostenersi e con le gambe penzoloni dal bordo.

- Scusami. Stavo finendo di controllare alcune carte…- mormorò, balzando in piedi e stiracchiandosi. Era dalle sei di quella mattina che stava in ufficio, non aveva pranzato e sentiva le ossa tutte indolenzite e la testa pesante.

- Su quale caso?- Graham le andò incontro, lentamente.- L’ultima bravata di Leroy? O il furtarello all’ennesima vecchietta affetta da Alzheimer?

Emma ridacchiò; a Graham non era mai parso pesare troppo il fatto che a Storybrooke l’attività principale del corpo di polizia fosse annoiarsi tutto il giorno in mezzo a vecchie scartoffie polverose.

Graham le si avvicinò, sedendosi sulla scrivania e guardandola negli occhi.

- Vediamo se indovino: stai cercando di nuovo di incastrare Regina, dico bene?

Emma non rispose, gettando il fascicoli sul ripiano di legno.

- Per quanto ancora intendi continuare questa guerra?- insistette Graham.

- Non è una guerra - borbottò Emma.

- E’ una guerra, Emma, e lo sai anche tu - Graham si alzò in piedi, costringendola a guardarlo negli occhi.- E’ una guerra la cui unica vittima sarà tuo figlio. Non hai pensato a Henry?

- Certo che ci ho pensato!- ringhiò Emma, innervosita.- Credi che la mia sia una battaglia personale? Se sto facendo tutto questo è solo per lui. Voglio solo evitare che soffra, tutto qui.

- Questo lo so. Penso solo che dovresti tentare qualche altra via per renderlo felice, invece di dichiarare battaglia alla sua madre adottiva - Graham si passò una mano fra i capelli. Solo pochi mesi prima non si sarebbe mai azzardato a contraddire Emma – quella donna quando si arrabbiava era peggio di un mastino, e il fatto che ora avesse in dotazione una pistola non era certo secondario –, ma il fatto che da un paio di mesi il loro rapporto non si esaurisse più a un semplice scambio di formalità fra colleghi – il letto perennemente sfatto di casa sua ne era un esempio – gli dava un certo coraggio.- Capisco che tu voglia riaverlo con te, ma Regina resta pur sempre la sua madre adottiva. E’ la donna che l’ha cresciuto, e Henry ci è affezionato. Non hai pensato che, forse, invece di continuare a cercare un modo per gettarle fango addosso, sarebbe il caso di trovare un accordo per il bene di Henry?

- Credi che non ci abbia provato?- sospirò Emma, iniziando a passeggiare su e giù per la stanza.- Le ho provate tutte. Ho cercato di fare la carina e la gentile, di non essere invadente, di presentarmi come una persona affidabile, ma mi sono sempre trovata di fronte a un muro. E’ lei che ha dichiarato guerra, non io. Insomma, Graham, tu la conosci: sai che tipo di donna è.

- E’ un po’ cinica, alle volte, ma…

- Cinica, egocentrica, arrivista e sociopatica.

- Sociopatica? Non ti sembra di esagerare?

- No, per niente.

- Okay. Mi arrendo.

Emma sbuffò, passandosi le mani fra i capelli.

- Scusami…E’ che questa faccenda si fa sempre più difficile ogni giorno che passa…- Emma tornò a sedersi pesantemente sulla scrivania.- Ho paura, Graham. Lei non aspetta altro che un pretesto per impedire a Henry di vedermi. E io devo precederla - affermò, con più decisione.- Il problema è che per ora sembra inattaccabile. Insomma, pensaci: qui a Storybrooke il ruolo del sindaco è quasi pari a quello di un monarca. Una donna così influente deve avere parecchi affari per le mani, e mi sembra inverosimile che una come lei non si sia mai fatta tentare da qualcosa che le avrebbe fruttato molti soldi. E credimi, so per certo che il denaro, specie se è tanto, difficilmente arriva da portafogli puliti…

- E ancora non hai trovato niente?

- Macché!- Emma sbuffò, riprendendo a sfogliare nervosamente i fascicoli.- Qui sembra tutto regolare, non un centesimo fuori posto. O Regina ha davvero le mani pulite o…

- …o è riuscita in qualche modo a far sparire i documenti compromettenti - concluse Graham.

Emma gli scoccò un’occhiata.

- Pensi davvero che io abbia ragione?

- Penso che la tua possa essere un’ipotesi plausibile. E poi, a essere sincero, Regina sta antipatica anche a me…- Graham sorrise, facendole l’occhiolino. Emma inarcò un sopracciglio.

- Non so quanto questo tuo atteggiamento possa essere professionalmente corrett…

Un acuto beep l’interruppe prima che potesse terminare la frase. Emma sobbalzò, estraendo il suo walkie-talkie dalla tasca dei jeans. Una piccola luce rossa lampeggiava ritmicamente.

- Che succede?- fece Graham.

- E’ uno dei sistemi d’allarme collegati ai localizzatori - mormorò Emma. - C’è stato uno scasso…

In quel momento, la porta dell’ufficio si spalancò di colpo. Graham ed Emma si voltarono all’unisono non appena udirono il rumore. Il Vicesceriffo sgranò gli occhi non appena vide entrare di corsa suo figlio Henry, seguito da una bambina all’incirca della sua stessa età con lunghi capelli biondi.

Emma balzò in piedi, indossando giubbotto e cuffia e iniziando ad armeggiare con il walkie-talkie.

- Emma!- esclamò Henry, trafelato.

- Ciao, Henry!- salutò velocemente la donna, calcandosi la cuffia sul capo. Non era la prima volta che Henry la veniva a trovare in ufficio, perciò non ne era troppo stupita.- Scusa, ma adesso non posso parlare…una chiamata di lavoro…

- Emma, per favore, dobbiamo parlarti…

- Non adesso, Henry, devo andare…Quando torno parliamo di tutto quello che vuoi, d’accordo?- Emma sorpassò velocemente i due ragazzini.- Ma tua madre lo sa che sei qui? E i genitori della tua amica? Restate qui con Graham, io faccio il più in fretta possibile…

- Emma, forse è meglio che io venga con te…- Graham scattò in piedi.- Potrebbe essere pericoloso…

- No, sta’ tranquillo, probabilmente è solo Leroy che ne ha combinata un’altra delle sue…Tu resta qui con la peste e la sua amica, non vorrei che si ammanettasse al termosifone come l’ultima volta…Se ci sono problemi, ti chiamo, okay? Ciao, Henry!- Emma uscì in fretta dall’ufficio.

Paige sbatté le palpebre, sconcertata.

- Quando fa così, mi fa sentire come un vaso di fiori…- Henry incrociò le braccia al petto, imbronciato.

- Non sei l’unico…- mormorò Graham, senza staccare gli occhi dalla porta.

Paige sbuffò.

- Avevi detto che ci avrebbe ascoltato!- borbottò, guardando Henry in cagnesco.

- Lo farà, te lo giuro. Ha detto che appena torna potremmo parlarle di tutto quello che vogliamo, no?- Henry sospirò, scuotendo il capo. - Te l’avevo detto che è un po’ fuori di testa…

- Ma non abbiamo tutto il giorno!- protestò Paige.

- Cos’è che dovete dire a Emma?- s’informò Graham, sporgendosi verso di loro. I due ragazzini si strinsero nelle spalle.

- Volete dirlo a me?

I due bambini si guardarono brevemente negli occhi, quindi Henry si schiarì la voce.

- Scusa, Graham, è che…Beh, abbiamo bisogno di dirlo a qualcuno di cui fidarci…- Henry si passò una mano fra i capelli.- Cioè, non voglio dire che di te non ci fidiamo, è che…Insomma, è una faccenda delicata…

- Va bene. La mia autostima ridotta a pezzi vi ringrazia…- scherzò lo Sceriffo.- Io torno a fare il cactus in ufficio…Volete una cioccolata calda?

Henry e Paige si scambiarono un’altra occhiata, quindi annuirono. Emma era andata via, e continuare a rimuginare non avrebbe né fermato Regina né salvato Jefferson e Belle. La cioccolata calda li avrebbe aiutati a calmarsi. E a ragionare.

 

***

 

- Pronto? MM?

Mary Margaret boccheggiò, cercando di rispondere all’altro capo del telefono.

- Sì, Ashley…Cosa c’è?

- Ciao! Ascolta, potresti dire a Ruby che oggi non posso venire a trovare Belle? Mi dispiace tantissimo, ma mio suocero vuole a tutti i costi che vada con lui e Sean e la bambina a completare gli ultimi preparativi per il matrimonio…

- Sì…certo…non preoccuparti…- Mary Margaret ebbe un singulto, e si premette una mano sulla bocca.

- Scusami, è che i rapporti ancora non sono del tutto sanati e ho una paura del diavolo a contraddirlo…Davvero, di’ a Belle che mi dispiace tanto, avrei preferito di gran lunga andare a trovarla, nelle sue condizioni…Cercherò di liberarmi per domani…

- Non…non preoccuparti…sono certa che capirà…

- Grazie. Ehi, MM…ti senti bene?

- Io…sì…sì, certo…sto bene…

- D’accordo. Ci sentiamo più tardi. Ciao!

- Ciao…

Mary Margaret riattaccò la cornetta, pallida come un cencio. Si alzò a fatica dal pavimento del bagno, barcollando in direzione della porta, ma un altro conato di vomito la colse, e corse nuovamente a inginocchiarsi di fronte alla tazza.

 

***

 

La porta era aperta.

Il signor Gold se n’era accorto solo quando era arrivato in cima ai pochi gradini che conducevano alla veranda di casa sua. Le ombre proiettate dal tramonto gli avevano impedito di vedere la linea scura che indicava che la porta era socchiusa. O forse erano stati solo i suoi pensieri a distrarlo.

Belle non c’era più. Era questa l’unica cosa che riusciva a pensare dal giorno prima, quando Regina gli aveva detto che cos’era successo. Belle non c’era più. Belle era a Boston, distesa su un letto d’ospedale con gli occhi chiusi, e non li avrebbe riaperti mai più.

E lui non poteva nemmeno vederla. Quel maledetto incidente gli aveva tolto anche l’ultima possibilità di vederla ancora una volta, di dirle addio. Non avrebbe più rivisto Belle. Lei non sarebbe più tornata da lui come quella sera in cui l’aveva vista ricomparire inaspettatamente sulla porta del suo negozio, bella e sorridente come sempre.

Belle sarebbe morta, senza nessuno accanto a lei. Ed era solo colpa sua.

Erano stati questi pensieri, gli unici rimasti a fargli compagnia, a impedirgli di vedere la porta semichiusa. Ma ora che si trovava lì di fronte non poteva sbagliare.

Gold si arrestò di fronte alla porta semichiusa, trattenendo il fiato per un breve istante. Non poteva essersi dimenticato la porta aperta; l’aveva chiusa a chiave quella mattina prima di uscire, ne era certo. Fece scorrere lo sguardo sul legno: all’altezza della serratura c’erano evidenti segni di scasso. Gold serrò le mascelle, spingendo lentamente la porta in modo che si aprisse.

L’atrio era buio.

Il signor Gold entrò con cautela, attento che il suo bastone non facesse rumore sulle piastrelle scure del pavimento. Si guardò intorno con circospezione, avvicinandosi a un cassettone piazzato in un angolo e aprendo un cassetto. Sospirò di sollievo quando vide che, chiunque fosse entrato in casa sua – perché là dentro doveva esserci stato, se non si trovava ancora lì, qualcuno, su questo non aveva dubbi – non aveva toccato la sua calibro 38. Gold estrasse la rivoltella dal cassetto, sollevandola con attenzione. Era carica, teneva sempre i proiettili pronti.

Senza fare rumore entrò nel salotto adiacente all’atrio. Tutto era a soqquadro: i mobili erano spostati e la maggior parte degli oggetti rovesciati. Gold si guardò brevemente intorno, cercando di fare un inventario mentale, ma gli sembrava solo che ci fosse del semplice caos, ma che non mancasse nulla. Molti degli oggetti erano di valore: chiunque fosse entrato in casa sua non aveva intenzione di rubare; ma questo non era necessariamente un fatto positivo, pensò. Chi era entrato, voleva certamente qualcosa. Tutto stava nel capire che cosa.

Gold mosse ancora qualche passo, tenendo la calibro 38 puntata di fronte a sé. Abbassò lo sguardo sul pavimento. La luce rossastra del tramonto gettava ombre scure, ma al signor Gold parve di scorgere una forma ben definita sul pavimento.

Si trattava di due impronte, il segno di due scarponi da montagna, oppure di stivali di gomma sporchi di fango. Gold s’inginocchiò per vedere meglio, ignorando il dolore che stata infliggendo alla sua gamba malandata. Non era fango, quello. Era terra. Terriccio, per la precisione. Lo stesso che si usa per riempire i vasi di fiori.

Gold serrò le mascelle, rialzandosi in fretta e incrociando con lo sguardo la vetrinetta posta contro la parete del salotto. Le ante erano aperte, ma dentro non mancava nulla.

Nulla, tranne un singolo oggetto.

Il signor Gold sentì dei passi alle sue spalle. Si voltò di scatto, puntando la rivoltella contro un’altra pistola la cui canna era diretta verso di lui.

Sospirò, incontrando lo sguardo del Vicesceriffo Swann.

- Vicesceriffo…- salutò, abbassando la rivoltella. La donna fece altrettanto.

- Signor Gold…- soffiò Emma. - Abbiamo ricevuto una segnalazione alla centrale…Qualcuno è entrato in casa sua…

- Sì, me ne sono accorto - rispose Gold, a denti stretti, accennando al salotto messo sottosopra.

Emma sospirò, passandosi una mano sulla fronte.

- E’ ferito?

- Le sembro ferito, Vicesceriffo?

- Cosa faceva con quella?- Emma accennò alla calibro 38 che Gold teneva ancora in mano. Lui la posò.

- Legittima difesa. Che altro, altrimenti?

- Non avrebbe dovuto entrare.

- E’ casa mia, Vicesceriffo, ne ho il diritto più di lei.

- La serratura presentava segni di scasso, signor Gold, il ladro avrebbe anche potuto essere ancora qui.

- Un motivo in più per fermarlo, no? E poi, Vicesceriffo, come fa a sapere che si trattava di un ladro?

- Chi altri potrebbe essere?- Emma si guardò intorno.- E’ già in grado di dirmi cosa manca?

- Apparentemente nulla, Vicesceriffo.

Emma inarcò un sopracciglio.

- Ne è sicuro?

- Certo. Questo spiega anche i miei dubbi sul fatto che si trattasse di un ladro.

- Quelle cosa sono?

Il signor Gold intercettò lo sguardo di Emma. La donna stava guardando al di sopra della sua spalla, lo sguardo puntato al pavimento. Anche lei aveva visto i segni degli scarponi.

Gold digrignò i denti.

- Impronte, a quanto pare.

- Dovrò analizzarle.

- Faccia pure, anche se non ne vedo l’utilità, dal momento che non manca nulla.

Emma incrociò le braccia al petto, guardandolo negli occhi.

- Signor Gold…Lei ha qualche nemico?

- Non ha una domanda di riserva, Vicesceriffo? Temo che se le elencassi tutti i miei nemici lei tornerebbe a casa solo domani mattina…

- Non faccia lo spiritoso, le riesce male. Quindi, deduco che lei non abbia idea di chi possa essere entrato qui…

- No. E non vedo il motivo di preoccuparsi. Come le ho già detto, non manca nulla.

Emma sospirò, rassegnata, riponendo la pistola nella fondina.

- Va bene…Ma abbiamo comunque una violazione di domicilio. Vuole sporgere denuncia?

- E chi dovrei denunciare?

Emma sospirò nuovamente, avviandosi verso la porta.

- Come vuole. Le farò sapere se ci saranno sviluppi. Troverò il colpevole, ne stia certo.

- Grazie. Buona serata, Vicesceriffo.

Il signor Gold attese fino a che i passi di Emma non si udirono più e la porta d’ingresso non si chiuse.

Troverò il colpevole, ne stia certo.

- Non se lo trovo prima io.

 

***

 

Lo studio del senatore Prince era deserto. Gaston non era mai stato così felice che suo padre trascorresse così tanto tempo fuori casa per lavoro. Si guardò intorno, scivolando nella stanza e chiudendo la porta prima che qualcuno del personale di servizio lo vedesse. Attraversò velocemente il tappeto persiano che ricopriva quasi per intero il pavimento, quindi si diresse alla vetrinetta dietro la scrivania di suo padre. Il senatore Prince la chiamava spesso la sua armeria personale.

Gaston aprì le ante, sorridendo soddisfatto alla vista dell’oggetto che, lo sapeva, avrebbe senz’altro fatto al caso suo.

 

***

 

Quella cascina isolata, lontana chilometri dalla Storybrooke abitata, era di sua proprietà da anni, ormai, ma era un vecchio rudere che, chissà per quale motivo, non si era mai deciso a vendere. Per molto tempo era stata soltanto un edificio dimenticato e disabitato che ricompariva talvolta su qualche vecchio documento ingiallito, ma quella notte si era rivelato molto utile.

Il signor Gold scese dal furgone, superando la scritta affusolata Game of Thorns che capeggiava dipinta su di esso e dirigendosi sul retro. Aveva pagato uno degli uomini che lavoravano per lui affinché facesse la parte sporca del lavoro, ma si era fatto consegnare le chiavi non appena questa era stata portata a termine. Togliere al fioraio la casa e il negozio sarebbe stato più facile, ma lui meritava molto peggio.

Gold spalancò le porte del furgone. Moe French era disteso sul retro fra alcune rose rosse, con del nastro adesivo intorno ai polsi e sulla bocca. Il signor Gold estrasse la calibro 38 dalla tasca del cappotto, puntandola alla fronte del fioraio.

- Fuori!- gli intimò.

Moe si rialzò con cautela, scendendo dal furgone. Gold lo spinse in avanti, tenendo la canna della rivoltella puntata in mezzo alle sue scapole. Il fioraio avanzò, il cuore che batteva nel petto a una tale velocità da fargli rimbombare il sangue nelle orecchie.

Gold lo spinse verso la porta della cascina, facendolo entrare. Lo seguì, senza abbassare la rivoltella.

Moe si girò cautamente a guardarlo.

- Devi sapere una cosa…- sibilò Gold, chiudendosi la porta alle spalle.- Nessuno può scappare da me…

Lo spinse con la pistola contro il muro, fino a costringerlo a mettersi disteso sul pavimento. Gold si avvicinò a lui, togliendogli il nastro adesivo dalla bocca con una tale forza e velocità da fargli male. Moe gemette, cercando di riprendere fiato.

Il signor Gold posò la pistola su un mobile poco distante, quindi prese una sedia e la posizionò di fronte al fioraio.

- La prego…- soffiò Moe.- La prego, mi lasci spiegare…

- Interessante - ghignò Gold, sedendosi di fronte a lui.- Hai voglia di parlare? Molto bene, allora.

Il signor Gold impugnò il suo bastone e lo puntò dritto contro French, premendo il manico d’argento contro la sua gola. Moe emise dei versi strozzati, cercando di respirare, ma Gold aumentò ancora di più la pressione.

- Stammi bene a sentire - sibilò.- Fra un attimo ti lascerò respirare, quindi tu mi dirai due frasi: la prima, sarà per dirmi dov’è; la seconda, per dirmi perché l’hai presa. Hai capito?

Gold allontanò il bastone dalla gola di Moe. Il fioraio respirò.

- Non…non volevo entrare in casa sua…

Gold rise, una risata beffarda e amara al tempo stesso.

- Non è quello che ti ho chiesto!- ringhiò, colpendo French con il bastone. Il fioraio gemette quando il manico d’argento si abbatté sulla sua spalla.

- Dove si trova?- urlò Gold, affondando un altro colpo.

- La prego…

- Dimmi dov’è!

Un altro colpo, stavolta seguito da un sonoro crack. Moe gemette, sul punto di mettersi a piangere.

- La prego, basta!

- Maledetto bastardo!

Altri colpi, sempre più forti. Il fioraio urlò di dolore.

- Io non volevo!- gridò infine. Gold respirò affannosamente, interrompendo la scarica dei colpi.- E’ stato un incidente!- singhiozzò Moe.

- Un…incidente?!- urlò Gold, colpendolo con più violenza. Si udì un altro crack, seguito dalle urla di dolore di French.- Un incidente?! L’hai ammazzata, maledetto!

- No…io non…

Un altro colpo.

- La prego!- implorò Moe.- Io non volevo! Lo giuro, non volevo! Io le volevo bene…

- Bugiardo!

- Non è stata colpa mia!

- Colpa mia?- ripeté Gold.- Come osi dire che non è stata colpa tua? Era tua figlia, bastardo! Era tua figlia. Lei ti voleva bene, lei ti è stata vicino per anni quando invece avresti solo meritato di morire! Ti voleva bene, e tu l’hai uccisa. Sei suo padre, e l’hai uccisa. L’hai picchiata per anni, e infine l’hai uccisa!- un altro colpo.- Lei se n’è andata!- urlò Gold, quasi piangendo.- Se n’è andata per sempre! Non tornerà più da me! Ed è solo colpa tua!- la scarica di bastonate riprese, più furiosamente.- E’ colpa tua! Non mia! E’ colpa tua!

Gold non seppe più fermarsi. Continuò a ripetere ossessivamente quelle parole, senza smettere di colpire il fioraio con il suo bastone. A mano a mano che i colpi aumentavano il volto di French cominciò a ricoprirsi di lividi, le labbra e le narici a spillare sangue, ma questo Gold non lo vedeva. Vedeva solo Belle. Belle che si premeva una mano sulla guancia dopo lo schiaffo di suo padre, Belle che piangeva seduta nella sua macchina, Belle che leggeva appollaiata sulla scala nel suo negozio, Belle che faceva volontariato, Belle che sorrideva, Belle che si scusava per aver scheggiato una tazzina bianca e blu, Belle che poggiava il capo contro il suo petto mentre ballava con lui, Belle che gli dava un bacio, Belle distesa in un letto d’ospedale, pallida e con gli occhi chiusi…

I colpi continuarono, fino a che Gold non sentì il suo braccio venire bloccato da una presa forte e decisa.

- Basta!- ordinò una voce femminile, perentoria e sicura di sé. Il signor Gold si voltò, e la prima cosa che pensò fu che la voce ferma e decisa del Vicesceriffo Swann non avrebbe mai potuto nascondere il suo sguardo inorridito.

 

***

 

- Sai che quella ragazza non è più in camera con me?- fece zia Florence dopo mezz’ora di chiacchiere a ruota libera.

- Sì, ho visto, zia…- rispose Michelle, accennando al letto vuoto.- L’avranno mandata a casa, oppure è stata trasferita in un altro reparto…

- Non credo. Lei sembrava non saperne nulla…- mormorò zia Florence.- Quel tuo amico infermiere, quel Jefferson Hatter, l’ha portata via in fretta e furia senza dire niente a nessuno, senza uno straccio di spiegazione…Quella poveretta era più sorpresa di me…

Michelle si voltò, udendo la porta aprirsi.

- Ciao, Michelle!- salutò Ruby allegramente. La cameriera vide il letto vuoto, e il sorriso scomparve dal suo volto.- Dov’è Belle?

 

***

 

- E’ fortunato che il signor French non abbia riportato lesioni permanenti…- Emma gettò un’occhiata alla barella su cui Moe veniva trasportato verso l’ambulanza.- Davvero credeva che non ci sarei arrivata?- tornò a rivolgersi a Gold. - Quello sul pavimento di casa sua era terriccio, di quel tipo che si usa per i fiori. Gli scarponi di French ne erano ricoperti. Resta solo da capire perché ha fatto questo…e perché lei l’ha ridotto in questo stato.

Gold distolse un attimo lo sguardo, quindi tornò a guardare Emma negli occhi.

- Stava parlando di una donna - disse Emma. - L’ho sentita chiaramente. Chi è la lei di cui stava parlando?

- Questo non è affar suo, Vicesceriffo Swann - ringhiò Gold.

Emma sospirò, estraendo le manette dalla tasca del giubbotto.

- Come vuole - disse, ammanettando i polsi di Gold.- Avremo tutto il tempo per discuterne, in centrale…

Gold non disse nulla, e si lasciò ammanettare, salendo in auto insieme a Emma. Non gliene importava nulla. Non più.

 

Angolo Autrice: Ehm…lo so, sono in ritardo pauroso e questo capitolo è chilometrico, quindi se ce l’avete fatta ad arrivare fin qui…Beh, siete grandi!

Prometto solennemente che non scriverò mai più un capitolo così lungo, ma non potevo dividerlo perché altrimenti non avrebbe avuto alcun senso…Dunque, questo capitolo è molto sulla scia di Skin Deep, ma sarà anche l’ultimo di questo genere, a parte una piccola parte nel prossimo d’ora in poi seguirà una scia propria…

Anyway, so che alcune parti potranno sembrare senza senso o inutili, ma avranno un loro perché…

Nel prossimo capitolo, vedremo cosa faranno i nostri eroi per trovare Belle…che, a proposito, so che qui s’è fatta infinocchiare non poco, ma non è stupida, e presto si renderà conto di cosa le stanno facendo, senza contare che Jefferson non potrà sfuggire a un esamino di coscienza…e Michelle gli darà una mano, in questo…

Ringrazio chi legge, chi ha inserito la storia nelle seguite, nelle preferite e nelle ricordate e kagura, mischiri, Valentina_P, Avly, Sylphs, 1252154, NevilleLuna, LadyAndromeda, Lety Shine 92, jarmione, historygirl93, nari92, Capinera, oOBlackRavenOo e parveth89 per aver recensito!

Ciao e buon 2013 a tutti!

Dora93

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Capitolo 15
*** Do the Brave Thing ***


 

Do the Brave Thing

 

Henry stava iniziando a pensare che fosse tutto un grosso sbaglio. Scoccò un’occhiata all’orologio: erano quasi le nove. Aveva saltato la seduta con il dottor Hopper, ma Archie era abituato al fatto che lui gli desse buca senza preavviso, non era di lui che doveva preoccuparsi. Piuttosto, doveva sperare che sua madre non lo venisse a sapere: sarebbero stati dolori.

Henry sbuffò, guardando di nuovo l’orologio. La seduta in genere terminava alle nove, più il tempo necessario per tornare a casa…Avrebbe potuto raccontare a sua madre che aveva perso la cognizione del tempo e aveva gironzolato un po’ per le strade della città; questo gli avrebbe fatto guadagnare un po’ di tempo, ma non poteva ritardare oltre le nove e mezza, altrimenti Regina avrebbe certamente capito che qualcosa non andava.

Dannazione, ma che fine aveva fatto Emma?!

Henry gettò il capo all’indietro sulla sedia, sbuffando. Sì, quella era stata decisamente una cattiva idea, e aveva la sensazione che lui e Paige si stessero inguaiando ancora di più.

Il ragazzino balzò giù dalla sedia, sgranchendosi le ossa. Gettò uno sguardo a Paige, che in quel momento stava rovistando nei cassetti della scrivania di Emma.

- Cosa stai cercando?- chiese Henry, sbadigliando.

- Non lo so, qualcosa che ci aiuti…- mormorò Paige, estraendo una quantità impressionante di fascicoli da uno dei cassetti. Henry le si avvicinò, sbirciando i titoli delle cartelle. La bambina iniziò a farle passare una per una, le sopracciglia aggrottate.

- Guarda qui!- esclamò a un certo punto; Henry si sporse per vedere meglio.

Il fascicolo che Paige gli stava mostrando era datato due o tre giorni prima, quindi Henry dedusse che il suo contenuto doveva essere piuttosto recente; il ragazzino spostò lo sguardo sulla linguetta pinzata al bordo della cartelletta. Sgranò gli occhi dallo stupore non appena lesse cosa c’era scritto.

 

Caso ospedale, Storybrooke 15 febbraio 2012

French, Isabelle Charlotte

 

- Dai, vediamo che dice!- senza attendere risposta, Paige aprì il fascicolo.

Henry si aggrappò al bordo della scrivania, facendosi più vicino alla bambina per poter leggere meglio. Emma dunque stava indagando su Belle French. Il ragazzino si chiese se la sua mamma biologica sapesse già di tutta la faccenda, ma subito concluse di no. Il fascicolo non trattava di un caso di rapimento o di una scomparsa. A quanto pareva, Belle French era stata trovata priva di sensi in mezzo a una strada, e quando era stata trasportata in ospedale le era stata diagnosticata una commozione cerebrale, più lividi ed escoriazioni su tutto il corpo. Non si diceva nulla a proposito del fatto che fosse scomparsa.

Henry si morse il labbro inferiore, pensieroso. Qualcosa non quadrava. Non sapeva nulla del fatto che Belle French fosse stata ritrovata priva di sensi in mezzo a una strada, prima di giungere all’ospedale di Storybrooke, ma quello che lo insospettiva di più era che nel fascicolo non venisse menzionata nessuna scomparsa. Henry si domandò se Jefferson non avesse ancora eseguito gli ordini di Regina – quanto avrebbe voluto aggrapparsi a questa speranza! – ma subito concluse che non era possibile. Il padre di Paige, stando a quello che gli aveva raccontato la sua amica, aveva un terrore reverenziale di ciò che sua madre avrebbe potuto fargli, era molto più probabile che si fosse affrettato a ubbidirle e a rinchiudere Isabelle.

Possibile che Emma non ne sapesse nulla? Henry stentava a crederci, eppure le cose parevano essere abbastanza chiare.

Nessuno si era ancora accorto che Belle French era sparita.

Henry si allontanò, grattandosi il mento. Paige gli rivolse uno sguardo interrogativo.

- Nessuno ne sa niente…- sospirò infine la bambina. Henry non rispose, tornando a sedersi. Guardò per la terza volta l’orologio. Erano le nove esatte.

- Fra poco devo andare…- mormorò il bambino.

Paige lo guardò, a metà fra lo stupito e il deluso.

- Avevi detto che mi avresti aiutato…

- Sì, certo, certo che ti aiuto…Ma se non sono a casa per le nove e mezza mia madre mi scuoia vivo, senza contare che potrebbe anche insospettirsi…

Paige annuì tristemente, senza guardarlo, tormentandosi una ciocca di capelli. Henry la guardò; ancora una volta, pensò che quello che stavano facendo fosse completamente sbagliato. All’inizio, andare da Emma gli era sembrata la soluzione migliore: la sua mamma biologica avrebbe salvato Belle French, avrebbe tolto Jefferson dai pasticci e avrebbe anche fatto in modo che Regina non pagasse una pena troppo dura per ciò che aveva fatto.

Si rendeva conto solo in quel momento che il suo piano presentava delle falle.

Tanto per cominciare, avevano a che fare con un rapimento. Henry non si era posto nessuna domanda sul perché sua madre volesse tenere nascosta quella poveretta, ma di certo un motivo ci doveva essere. Regina non era il tipo di donna che faceva qualcosa per niente, sicuramente doveva esserci qualcosa dietro al sequestro di Belle French, qualcosa che sua madre doveva nascondere, oppure che voleva ottenere. E, se si era ridotta a rapire una ragazza per ottenerlo, allora quasi sicuramente doveva essere qualcosa di illegale. Henry non aveva idea di cosa fosse, ma di certo si sarebbe andato ad aggiungere alla quantità di accuse che sarebbero state mosse a Regina, qualora fosse stata scoperta. Ed Emma sarà anche stata il Vicesceriffo, ma non poteva fare magie. Salvare la sua madre adottiva le sarebbe risultato ancora più difficile.

E poi c’era Jefferson. Henry aveva sentito qualcosa riguardo ai rapimenti al telegiornale e alle serie alla TV, e pensava di saperne abbastanza, in merito. Regina era la mandante del sequestro di Belle French…ma Jefferson era l’esecutore materiale. Costretto o no, aveva ubbidito agli ordini di sua madre e aveva rapito quella ragazza. Per quanto lo si potesse comprendere e giustificare, agli occhi della legge lui restava sempre un complice. C’erano buone probabilità che anche lui finisse dietro le sbarre.

Paige sarebbe rimasta sola, realizzò Henry. Se avessero raccontato tutto a Emma, lei avrebbe sicuramente arrestato non solo Regina, ma anche Jefferson. Il tentativo di salvare il padre della sua amica si sarebbe rivoltato contro di loro. Se Jefferson fosse stato arrestato, allora avrebbe sicuramente perso sua figlia.

Lui aveva pur sempre Emma su cui contare…ma Paige non aveva nessun altro, a parte suo padre. Molto probabilmente non l’avrebbe rivisto mai più. Sarebbe finita in un istituto. Sarebbe rimasta sola.

- Che state facendo?

Henry e Paige sollevarono repentinamente lo sguardo nell’udire la voce dello Sceriffo. Graham se ne stava appoggiato contro lo stipite della porta, lo sguardo puntato sul fascicolo che Paige teneva fra le mani. La bambina deglutì, imbarazzata.

- Niente…- mormorò.

- Non dovete toccare queste cose - disse Graham, togliendole gentilmente la cartelletta di mano. - Questi sono documenti importanti, se venissero rovinati o andassero persi sarebbe un disastro…

- Scusi, Sceriffo…- pigolò Paige.

- Scusa, Graham…- fece Henry.

Graham fece un mezzo sorriso, riponendo i fascicoli nel cassetto.

- D’accordo, per stavolta non vi mangerò…Ma voi due non mi convincete per niente, con il vostro comportamento - lo Sceriffo li guardò; i due bambini si strinsero istintivamente nelle spalle.

Graham prese una sedia e la spostò al centro della stanza, sedendosi a cavalcioni.

- Siete venuti qui dicendo che dovevate parlare con Emma, e mi sta bene; evidentemente quello che le volete dire è un segreto, e mi sta bene anche questo; ma voi due state cominciando a preoccuparmi - Graham si sporse verso di loro.- Emma è uscita più di tre ore fa, e voi siete ancora qui. Cos’avete da dire a Emma di così importante da non poter aspettare fino a domani mattina?

Paige guardò Henry, il quale si strinse nelle spalle. Gli dispiaceva di dover tenere nascosto tutto quanto a Graham, che pure era una brava persona e avrebbe certamente potuto aiutarli, ma c’erano in gioco troppe cose. Cose che forse nemmeno Emma avrebbe potuto risolvere…

Graham fece una piccola smorfia, quindi si sporse ancora di più verso di loro.

- So che non mi volete dire nulla, ma vi chiedo almeno di dirmi la verità: quanto è importante questo segreto?- chiese lo Sceriffo.- Si tratta di qualcosa di grave? Qualcosa che ha a che fare con la giustizia?- non ottenne risposta; i due ragazzini abbassarono lo sguardo. Henry notò che Paige aveva le lacrime agli occhi. Graham sospirò.

- Sentite, io non so che cos’avete in mente voi due, ma sappiate che con certe cose non è bene scherzare. Qualcuno si è fatto male? E’ successo qualcosa di grave a un vostro amico, o…

- Noi…- esordì Paige, con gli occhi pieni, ma venne interrotta dal rumore di una porta che si apriva.

- Graham, vieni a darmi una mano!- fece la voce di Emma dal corridoio.

Lo Sceriffo guardò brevemente i bambini, quindi uscì di corsa dalla stanza per andare incontro alla sua Vice. Henry e Paige balzarono verso la porta, sporgendosi per vedere meglio.

- Eccola, andiamo a dirglielo!- esclamò la bambina sottovoce.

- Shhht!- fece Henry, ritraendosi un poco.

I due bambini sgranarono gli occhi alla scena a cui si trovarono di fronte.

Anche Graham pareva sorpreso, ma si affrettò comunque ad aprire la porta della cella al cenno di Emma. La donna stava scortando all’interno della stanza un uomo: il signor Gold!

Henry si dimenticò per un attimo di respirare: il signor Gold era stato arrestato! Guardò Paige: anche la sua amica sembrava stupefatta. Il bambino la tirò per una manica del cappotto, in modo che si ritraesse insieme a lui. Henry si accucciò accanto alla porta, rimanendo nascosto ma non abbastanza da impedirsi di poter vedere meglio.

Emma tolse le manette ai polsi di Gold, quindi lo spinse gentilmente all’interno della celletta, chiudendo la porta. L’uomo si sedette, senza guardarla. Sembrava che non gliene importasse nulla di essere stato arrestato.

- Ma che cos’è successo? Che ha combinato?- Henry sentì sussurrare a Graham; anche a lui sembrava inverosimile che un tipo come il signor Gold avesse fatto qualcosa di così grave da finire in gattabuia.

- Ha aggredito un uomo. Maurice French, il fioraio.

Lo sguardo di Paige incrociò repentinamente quello di Henry. Il signor Gold aveva aggredito il padre di Isabelle. La situazione doveva essere ancora più complicata di quanto pensassero.

Videro Graham ed Emma scambiarsi ancora qualche parola, quindi lo Sceriffo uscire dalla stanza. Henry intercettò il suo sguardo interrogativo un attimo prima che si allontanasse, ma non uscì allo scoperto. Probabilmente, pensò, Emma pensava che loro due se ne fossero già andati.

Il Vicesceriffo si voltò nuovamente, guardando Gold.

- Resterà qui per tre giorni, signor Gold, giusto il tempo per un paio di procedure formali, quindi sarà libero di andarsene. Immagino che si renda conto di quanto la sua posizione sia grave: potrebbe rischiare un processo, lo sa?

Il signor Gold non rispose, stringendo convulsivamente l’impugnatura del suo bastone. Emma si guardò un attimo intorno, quindi proseguì.

- Chiaramente, tutto dipende dal signor French. Come le ho già detto, non sembra abbia riportato lesioni permanenti, ma potrebbe comunque decidere di denunciarla. Anche se per farlo dovrebbe rendere conto delle proprie azioni, dato che a suo carico avrebbe una violazione di domicilio. Ci sono buone speranze che tutta questa faccenda si concluda nel nulla e finisca nel dimenticatoio.

Di nuovo, Gold non rispose. Henry lo guardò; non avrebbe saputo dire se fosse arrabbiato o preoccupato. Quell’uomo aveva un volto quasi impossibile da decifrare, ma certo non sembrava importargli granché di essere finito in prigione. Pareva piuttosto…triste.

Emma sospirò, incrociando le braccia al petto.

- Ha diritto a una telefonata.

Stavolta, il signor Gold si volse a guardarla, il suo solito ghigno parzialmente ritrovato.

- Non sia ridicola, Vicesceriffo. Chi mai potrei chiamare?- chiese.

Emma sollevò le mani in segno di resa.

- Come preferisce. In ogni caso, si metta comodo. Stanotte ci terrà compagnia.

Il signor Gold finse di non aver sentito, e riprese a stringere convulsivamente l’impugnatura del bastone. Emma si sedette sulla scrivania, riprendendo a sfogliare alcuni fascicoli.

- Ehi!- Henry si sentì tirare per la manica del giubbotto mentre Paige lo chiamava sottovoce. Il bambino si ritrasse, sedendosi sul pavimento accanto a lei.

- Che stiamo aspettando?- fece la bambina.- Perché stiamo nascosti qui? Diciamo al Vicesceriffo quello che sta succedendo!

- Paige…- mormorò Henry, con la gola improvvisamente secca.- Paige…hai visto cos’è successo? Il signor Gold è stato arrestato!

- E allora?- fece Paige, perplessa.

Henry aprì la bocca per parlare, ma subito il rumore di una porta che si apriva lo interruppe. Il bambino fece una smorfia di fastidio. Stava diventando quasi una maledizione.

- Emma…- fece Graham, affacciandosi sulla soglia.- Emma, c’è una visita per il signor Gold.

- Oh!- fece la donna, fingendosi sorpresa.- Non ci posso credere: a questo mondo c’è ancora qualcuno che s’interessa di lei, signor Gold - balzò in piedi.- Di chi si tratta? E’ un serial killer o un comune aggressore?

Graham si passò una mano fra i capelli, imbarazzato. Si scostò, lasciando entrare Regina Mills.

Il sorriso ironico di Emma le morì sulle labbra; Henry e Paige trattennero il fiato.

- Buona sera, signorina Swann - fece Regina, senza sorridere.

Emma ricambiò il saluto con un cenno del capo; che accidenti voleva quella donna?

Graham lanciò una rapida occhiata a Henry, ancora accucciato nel suo ufficio accanto alla sua amica. Il bambino gli fece disperatamente segno di no con il capo. Lo Sceriffo lo guardò ancora per un istante, quindi si voltò, fingendo di non aver visto nulla. Capì al volo che la madre adottiva del bambino non sapeva che lui fosse lì, e nemmeno si preoccupava di dove si trovasse, dal momento che era venuta lì per una visita al signor Gold, e non per denunciarne la scomparsa come l’ultima volta.

Conosceva Regina Mills abbastanza per sapere che, se l’avesse scoperto lì, avrebbe scatenato l’inferno, e più che bene Emma per aspettarsi una reazione violenta in difesa di suo figlio. Se a ciò ci si aggiungeva anche il fatto che non sapeva cosa esattamente stessero nascondendo i due bambini, aveva motivazioni sufficienti per voler non scatenare un incontro di lotta libera nel suo ufficio.

- Avrei bisogno di scambiare due parole con il signor Gold - fece Regina, rivolta a entrambi.

- Posso concederle mezz’ora, signora Mills, non di più - disse Graham.

- Grazie, Sceriffo. Ma credo che sarà sufficiente molto meno di mezz’ora.

Graham fece cenno ad Emma di seguirlo; la donna ubbidì, senza smettere di fissare Regina prima di raggiungere la porta. Lo Sceriffo si scostò per lasciar passare la sua Vice, quindi scoccò un ultimo sguardo alla Mills. Rivolse un’occhiata di sottecchi a Henry prima di uscire chiudendo la forza.

Non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, ma sentiva di star facendo una grandissima stupidaggine.

 

***

 

Belle scattò seduta sul letto non appena udì la porta aprirsi.

- Ti ho portato la cena - disse Jefferson, entrando con un vassoio in mano.

- Grazie…- mormorò Belle, sforzandosi di sorridere mentre l’infermiere posava il vassoio sul comodino.- Jefferson!- chiamò all’improvviso.

- Sì?

- Non…non è venuto nessuno?- balbettò.- Intendo…nessuno ha chiesto di me?

Jefferson scosse il capo, cercando di sembrare convincente.

- No, nessuno.

- Sei sicuro?

- Certo. Se fosse venuto qualcuno, ti avrei avvisato.

Belle si morse il labbro inferiore, prendendo a fissarsi le ginocchia. Jefferson le versò dell’acqua in un bicchiere, guardandola di sottecchi. Si spostò di fronte a lei, prendendole il viso fra le mani.

- Ehi, che c’è?- chiese, sforzandosi di sorridere.- Che cos’hai?

- Nulla. Nulla, è solo che…- Belle si tormentò nervosamente una ciocca di capelli.- Mi avevano promesso che sarebbero venute…

- Chi?

- Le mie amiche. Ashley, Mary Margaret e Ruby. Avevano detto che sarebbero venute a trovarmi…

- Avranno avuto qualche imprevisto, può succedere. Non preoccuparti - aggiunse, vedendo che Belle non appariva convinta.- Vedrai che verranno presto.

Belle annuì, bevendo un sorso d’acqua. Guardò di nuovo Jefferson.

- Vorrei sapere quando potrò uscire da qui - disse.- Mi avevi detto che mi avrebbero fatto sapere al più presto, ma il dottor Whale non s’è fatto vivo…

- Il dottor Whale…il dottor Whale ha avuto molto da fare, oggi - disse Jefferson, cercando di non incontrare il suo sguardo. Non riusciva a sostenere quegli occhi azzurri.- Sai, con quel disastro ferroviario e tutto il resto…Verrà da te appena potrà, te l’assicuro.

Belle annuì di nuovo, ricambiando con un sorriso quando Jefferson le porse il vassoio con la cena. L’infermiere fece l’ennesimo sorriso forzato, quindi la salutò e uscì dalla stanza. Chiuse la porta a chiave. Sentiva di non farcela più; si chiese se Regina avesse calcolato che Belle facesse delle domande, che s’insospettisse. Era naturale, nella sua situazione: essere isolata da tutto e tutti, non ricevere visite, non avere contatti con altre persone all’infuori di lui…

Qualunque persona con un po’ di senno avrebbe fatto delle domande, e prima o poi Belle avrebbe compreso che qualcosa non quadrava. In cuor suo, Jefferson sperava che Regina si decidesse in fretta a farla finita una volta per tutte con quella storia. Con un po’ di fortuna, l’intera faccenda avrebbe potuto concludersi senza che Belle si accorgesse di nulla, ma le cose stavano andando troppo per le lunghe.

Presto quella poveretta avrebbe compreso tutto, e lui non avrebbe più saputo tenerla a bada.

Dio, ma che stava facendo?!

Jefferson ormai non dormiva più. Quella mattina, guardandosi allo specchio, gli era parso di trovarsi di fronte al mostro di Frankenstein; si chiese se Paige avesse notato questo cambiamento, e sperò con tutto il cuore di no.

Non ce la faceva più, pensò di nuovo. La sua coscienza, tutto se stesso gli urlava di aprire quella dannata porta, liberare quella ragazza e raccontarle tutta la verità. Sì, ma poi? C’era sua figlia in mezzo, e lui non poteva perdere Paige.

Ma non poteva nemmeno tenere rinchiusa Belle.

Si asciugò velocemente le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. Gli tremavano le mani. Estrasse velocemente il cellulare dalla tasca dei pantaloni, e compose un numero.

 

***

 

Henry e Paige si ritrassero ancora di più, accucciandosi dietro la scrivania di Graham. Il bambino valutò brevemente la situazione: in ballo ora non c’erano solo Jefferson, sua madre e Isabelle, ma anche Moe French e il signor Gold; Emma per il momento pareva non saperne ancora nulla, ma Graham non era stupido, e aveva certamente capito che stavano combinando qualcosa. Dovevano solo sperare che reggesse loro il gioco.

Cavoli, stavano rompendo le uova nel paniere a mezza Storybrooke!

Regina sorrise, incrociando lo sguardo del signor Gold. L’uomo rimase impassibile. Il sindaco fece per avvicinarsi alla cella, ma si bloccò non appena udì qualcosa vibrare nella sua borsa. Regina iniziò a rovistare, afferrando il cellulare.

Sul suo volto si dipinse una smorfia d’irritazione non appena lesse il nome sul display.

- Cosa c’è?- sibilò contro il telefono, voltandosi appena.

- C’è che la situazione sta degenerando!­- ringhiò la voce di Jefferson dall’altro lato della cornetta.- Per quanto dovrà ancora durare questa storia?!

- Non è affar suo - sillabò Regina, sottovoce.- Lei deve solo fare ciò che le ho detto.

- Io non ce la faccio più!- insistette Jefferson.- Non ce la faccio più, ha capito?! E poi Belle sta iniziando a sospettare qualcosa…Non riuscirò a dirle bugie ancora per molto…

- Beh, in tal caso, sa cosa fare - Regina sogghignò appena.- Non si preoccupi, la situazione non durerà ancora per molto…Se le cose si complicano, faccia ciò che le ho detto. E soprattutto, tenga bene a mente i termini del nostro accordo.

Regina riattaccò, imponendosi di calmarsi e voltandosi nuovamente verso Gold.

Si avvicinò alla cella, sorridendo, sedendosi di fronte a lui.

- Chiedo scusa - disse Regina.- Una chiamata di lavoro.

- Cosa le fa pensare che a me interessino i suoi affari, dearie?- replicò il signor Gold, sogghignando appena.

- In effetti, ha ragione. I miei affari non le interessano. Almeno, non tutti…- Regina sorrise, accomodandosi meglio sulla seggiola.- Mi dica, come ci si sente a stare dietro a delle sbarre?

Il signor Gold la guardò negli occhi; poteva immaginare perché Regina fosse lì, sapeva che era in una cella, ma non per questo aveva intenzione di lasciarsi calpestare da quella donna.

- C’è un motivo ragionevole per cui è qui, signor sindaco, oppure semplicemente la sua patetica inclinazione a godere delle disgrazie altrui le ha impedito di farsi gli affari suoi?

- Oh, vedo che la galera l’ha resa più scontroso del solito!- Regina rise brevemente.- Avrebbe dovuto pensarci, prima di aggredire in quel modo il signor French.

- Cosa ho fatto a French e perché non le interessa.

- No, è vero. Ma posso comprendere - Regina sogghignò.- Non me lo sarei mai aspettato da lei, signor Gold. Amare così tanto una donna da vendicarne la morte quasi uccidendone il padre. La povera Isabelle ne sarebbe colpita, suppongo…

Regina si ritrasse improvvisamente quando vide Gold scattare in piedi e aggrapparsi alle sbarre della cella, fissandola in cagnesco.

- Non si azzardi mai più a parlare di lei, sono stato chiaro?!- ringhiò Gold.

Regina si riprese velocemente, e sfoderò nuovamente il suo sorriso.

- Il dolore è ancora forte, non è vero?- chiese ironicamente, mentre Gold tornava a sedersi, senza smettere di guardarla.- Sa, so cosa significa. Anch’io ho amato e ho perso qualcuno. Non mi è rimasto nulla di lui, tranne un semplice anello. Certo, non è sufficiente a cancellare il dolore per la sua perdita, né mai lo sarà, ma è pur sempre un ricordo di lui. Qualcosa che mi aiuta a soffrire di meno…Il simbolo del nostro amore…- Regina sorrise, estraendo dalla borsa la tazzina bianca e blu dal bordo spezzato. Il signor Gold la guardò sorpreso, ma subito comprese tutto quanto, e tornò a fissare la donna con più odio di prima.- Era questa che rivoleva indietro da French, dico bene?

Il signor Gold guardò la tazzina. Il solo pensiero che Regina l’avesse toccata gli faceva venire voglia di strangolarla.

Io…mi dispiace…sono mortificata…si è scheggiata…si vede appena…

Non si era mai reso conto di quanto quell’oggetto significasse per lui, finché Belle non se n’era andata.

Il signor Gold spostò lo sguardo su Regina, rabbioso.

- Lei è una puttana!- ringhiò.

- E lei è un bastardo - replicò Regina, senza scomporsi.- Ma insultarci a vicenda non gioverà né all’uno né all’altra. Lei sa cosa voglio in cambio, non è vero?

Senza smettere di reggere la tazzina, Regina gli passò attraverso le sbarre un assegno compilato e una penna. Il signor Gold li prese, esitando un momento.

- Andiamo, dopo tutto ciò che ha fatto, non vorrà ancora darmi a bere di essere un uomo così venale e attaccato al potere?- il sindaco rise.- So che potrà sembrarle una cifra ben poco ragionevole per una misera tazza sbeccata, ma pensi al valore che ha - Regina sogghignò.- C’è qualcosa di più importante della persona amata? Qualcosa di più importante dell’unico ricordo che si ha di lei, dopo che se n’è andata per sempre?

Il signor Gold serrò le mascelle, stringendo la penna fra le mani. Guardò la cifra. Era il denaro che Regina gli aveva chiesto per mesi, e che lui non le aveva mai concesso, più per principio che per altro, dal momento che sarebbe stata una somma ininfluente per lui. Gli sembrava impossibile che quella donna si fosse spinta fino a quel punto solo per amore dei soldi. Ma ora lei aveva il coltello dalla parte del manico. E per quanto potesse sembrare patetico, lui non aveva nient’altro di Belle. Non una fotografia, non un suo oggetto. Gli restava solo quella tazzina dal bordo spezzato.

Firmò l’assegno con furia, restituendolo a Regina.

- Molto gentile, signor Gold- sogghignò il sindaco, soddisfatta.

Regina non smise di sorridere mentre avvicinava la tazzina sbeccata alle sbarre. Il signor Gold allungò una mano per prenderla, ma la donna la scostò leggermente appena prima che lui la sfiorasse, dandogli l’idea che fosse sul punto di lasciarla cadere, ripetendo il gesto più di una volta.

Alla fine Gold, con un gesto fulmineo, riuscì a strapparle la tazza di mano.

- Ora che ha ottenuto ciò che voleva, mi lasci in pace!- ringhiò l’uomo.

Regina avvicinò il proprio volto alle sbarre.

- Troppo semplice, signor Gold - sibilò.- Anzi, sa cosa le dico? Questo è solo l’inizio. Sa cos’ho rischiato per colpa sua? Tutto!- sillabò Regina.- Lei ha rischiato di rovinare la mia vita, e ora io rovinerò la sua. Non creda che una semplice somma di denaro mi basterà. Il carcere sarà solo il primo passo. Mi prenderò tutto ciò che ha, tutto ciò che ha costruito. E sarà lei a darmelo. A meno che non voglia perdere più di una misera tazza sbeccata.

- Che significa?- ringhiò Gold.- Come pensa di poter fare questo?

Regina non rispose, alzandosi dalla sedia.

- Arrivederci a molto presto, signor Gold.

Henry e Paige trattennero il fiato, udendo il rumore dei tacchi di Regina allontanarsi fino a uscire dall’ufficio.

Il signor Gold guardò la tazzina sbeccata. Ne tracciò il bordo con le dita, per poi racchiuderla in entrambe le mani, come se fosse stato il più prezioso dei tesori. Ripensò alle parole di Regina; cosa faceva credere a quella donna di avere qualcosa che lo interessasse a tal punto da costringerlo a cederle tutto ciò che aveva?

Non gli importava, né voleva pensarci in quel momento.

Belle aveva avuto ragione, anche quella volta.

Un giorno capirai che l’amore non è una debolezza. Ma sarà troppo tardi. Ti rimarranno solo un cuore vuoto…e una tazza dal bordo spezzato.

 

***

 

Per una volta, Michelle doveva convenire con se stessa che le ansie e le preoccupazioni vagamente rasentanti l’ipocondria delle sue zie riguardo alla sua salute non erano del tutto ingiustificate, e ringraziò mentalmente zia Sally per averla costretta a indossare quella sciarpa azzurra lavorata a maglia. Sin dal primo pomeriggio aveva iniziato a tirare un forte vento gelido, che faceva inclinare gli alberi più snelli e volare le foglie e le cartacce sparse lungo il marciapiede. Michelle indossò il cappotto, gettando un’occhiata all’orologio della farmacia: mancavano venti minuti alle dieci di sera.

Sospirò, sperando che zia Faye non fosse già corsa alla centrale di polizia a denunciare la sua scomparsa. Avrebbe già dovuto chiudere la baracca ed essere a casa da più di due ore, ma una consegna di Tylenol che aspettava per la settimana seguente le aveva scombinato parecchio i piani. A dare manforte ci aveva pensato anche uno dei cassetti dello scaffale dietro al bancone, che aveva pensato bene di cedere senza alcun preavviso spargendo una quantità di scatolette di aspirina e antidolorifici sul pavimento. Ci aveva messo più di un’ora per riuscire a sistemare di nuovo tutti i medicinali al loro posto, imprecando contro quel ciarlatano che le aveva venduto lo scaffale.

Si avvolse la sciarpa di zia Sally intorno al collo, ben decisa a chiudere quella giornata da dimenticare insieme alla porta della farmacia, tornarsene a casa il prima possibile, infilarsi sotto le coperte e restarci per tutta la durata del week-end.

Michelle uscì dalla farmacia e chiuse la porta, iniziando a rovistare nella borsa alla ricerca delle chiavi. Sbuffò, toccando con le dita qualcosa di freddo e appuntito. Estrasse le chiavi e tentò di infilarle nella serratura, ma queste le scivolarono di mano, cadendo tintinnando sul marciapiede.

- Merda!- imprecò, scostandosi dagli occhi i capelli biondi scompigliati dal vento e chinandosi per raccoglierle. Solo in quel momento si accorse di non essere sola.

- Va tutto bene?- fece una ragazza a pochi passi da lei, infagottata in un cappotto marrone scuro, con i capelli neri tagliati corti e un colorito così pallido che a Michelle per un attimo parve di trovarsi di fronte alla sposa di Frankenstein. La farmacista raccattò le chiavi da terra, abbozzando un sorriso di scuse.

- Sì…- mormorò, tornando in posizione eretta.- Scusami, ammetto di non essere il massimo della finezza, ma oggi non è proprio la mia giornata…

- A chi lo dici…- la ragazza ridacchiò nervosamente.- Ultimamente sembra essere divenuta una malattia endemica…

Michelle sorrise, guardandola meglio.

- Sei Mary Margaret Blanchard, non è vero? La maestra, l’amica di Ruby…- fece la farmacista.- Ci siamo incontrate ieri in ospedale…

Mary Margaret annuì, con un sorriso incerto.

- Sì, sono io. Ehm…mi chiedevo…- aggiunse, vedendo che Michelle si stava voltando per chiudere la porta a chiave.- Mi chiedevo se…se potessi darmi una consulenza…

Michelle si voltò a guardarla.

- Intendi, una consulenza medica?

- Sì. So che non è esattamente di tua competenza, ma visto che sei una farmacista…ecco…ho pensato che…insomma…che potessi darmi qualcosa…

Michelle sospirò, sentendo l’orologio della torre di Storybrooke suonare le dieci.

- Mi spiace, ma io per oggi ho finito…- mormorò.- Ma se torni domani, sarò ben felice di…

- E’ urgente!- insistette Mary Margaret.- E’…è praticamente un’emergenza…

Michelle sospirò nuovamente. Era stanca morta e non vedeva l’ora di tornarsene a casa, ma tanto ormai era in ritardo, pensò, mezz’ora in più o mezz’ora in meno non avrebbero fatto molta differenza. E poi, Mary Margaret aveva la stessa espressione di quando il fidanzato ti ha lasciata oppure hai perso il lavoro, e hai un gran bisogno di sfogarti con un’amica. Michelle si strinse nelle spalle, aprendo nuovamente la porta della farmacia.

Quando si era laureata nessuno l’aveva avvertita che farmacista e psicologa avrebbero avuto lo stesso significato, nel corso della sua carriera lavorativa, ma in fondo le andava bene così. Se poteva dare una mano a qualcuno, tanto meglio, no?

- D’accordo. Vieni, vediamo di che si tratta…

- Davvero?- fece Mary Margaret; sembrava incredula.

- Hai detto che è un’emergenza, no? Non voglio averti sulla coscienza solo perché sei venuta da me alle dieci di sera…- Michelle ridacchiò brevemente.- Forza, vieni dentro e raccontami tutto, vedremo che cosa possiamo fare…

 

***

 

- Come sarebbe a dire che non sapete dov’è?!

Ruby scattò in avanti, piantando i palmi delle mani sul bancone della reception dell’ospedale. Avrebbe voluto saltare addosso a quell’incompetente della responsabile, ma si costrinse a trattenersi. Sentiva lo sguardo di tutti puntato contro, ma non gliene importava niente.

L’infermiera, una donna sui quarantacinque anni dall’aria antipatica, con i capelli biondi raccolti in una crocchia e una ridicola crestina sul capo, le rivolse l’ennesimo sguardo di sufficienza, scribacchiando qualcosa su un foglio.

- Signorina, gliel’ho già detto una volta e glielo ripeto: la sua amica non è qui, e io non ho idea di dove si trovi.

- Ma questo che razza di ospedale è?!- gridò Ruby. - Com’è possibile che non vi siate accorti che una vostra paziente è sparita?!

- Signorina, qui nessuno è sparito - precisò l’infermiera, visibilmente irritata.- Semplicemente, la persona che lei sta cercando non è mai stata qui.

Ruby scosse il capo con vigore.

- Non è possibile - dichiarò.- Io l’ho vista, sono stata qui ieri. Era ricoverata qui, l’hanno trovata priva di sensi nel parcheggio, aveva una commozione cerebrale…

Ruby sentiva che c’era qualcosa che non andava, lo sapeva. Aveva visto Belle solo il giorno prima, aveva parlato con lei, e non le era sembrato che ci fosse nulla che non andasse. A parte la commozione cerebrale. E quello che era successo con suo padre. E la litigata con Gold. Ma niente di cui non avessero parlato e che non fosse risolvibile. E ora era scomparsa.

Ruby era tornata a trovarla quel pomeriggio stesso, ma aveva trovato il letto vuoto nella sua stanza d’ospedale. Aveva pensato che la stessero visitando, ed era ritornata quella sera, ma anche stavolta non aveva trovato Belle.

La sua amica era sparita.

E a quanto pareva nessuno si era accorto di niente.

- E’ possibile che l’abbiate dimessa?- insistette, aggrappandosi a una speranza che sapeva inesistente. Belle stessa le aveva detto che, una volta uscita da lì, non avrebbe avuto dove andare a vivere né un lavoro con cui mantenersi, quindi era impossibile che se ne fosse andata, senza contare che nelle sue condizioni non le sarebbe stato possibile. E poi, Belle non era il tipo da fare certi colpi di testa; se avesse voluto lasciare l’ospedale, avrebbe certamente avvisato qualcuno, lei, Ashley o Mary Margaret, per non farle stare in pensiero.

L’infermiera scosse il capo.

- No, se così fosse avrebbe dovuto firmare dei documenti, e qui non risulta nulla.

- E allora controlli i registri!- ringhiò Ruby. - Non può essere sparita nel nulla, porca puttana! Lei era qui, l’ho vista, da qualche parte deve pur esserci scritto che…

L’infermiera scattò improvvisamente in piedi, fulminandola con lo sguardo.

- Senta, signorina, glielo dico per l’ultima volta: ho controllato le cartelle cliniche e i registri dell’ospedale tre volte, e non risulta esserci nessuna Isabelle French! E ora, se non le dispiace, le devo chiedere di andarsene, ho del lavoro da fare…

- Ma…

- Esca immediatamente da qui, se non vuole che chiami la sicurezza!

Ruby si ritrasse, fissando l’infermiera in cagnesco. Poco più in là, il dottor Whale gettò un’occhiata alle due, per poi dar loro le spalle.

Ruby indietreggiò, dirigendosi lentamente verso l’uscita, lo sguardo di tutti i presenti puntati su di lei.

- Grandissima, schifosa troia!- sibilò, rivolta all’infermiera, prima di correre fuori dall’ospedale.

Ruby attraversò tutto il parcheggio di corsa, raggiungendo la propria auto e appoggiandosi pesantemente al cofano. Chiuse gli occhi, facendo dei respiri profondi per riacquistare un briciolo di autocontrollo.

Belle era sparita, trovò il coraggio di pensare. Belle era sparita, e nessuno si era reso conto di niente. Sui registri dell’ospedale non risultava il suo nome, era come se non fosse mai entrata lì. Ruby si passò una mano fra i capelli, tentando di ragionare. Belle non avrebbe potuto lasciare l’ospedale, non da sola, non con una commozione cerebrale ancora fresca. Non aveva più una casa né un lavoro, senza contare che, visto e considerato come l’aveva ridotta suo padre, avrebbe rischiato di ritrovarselo di fronte e incappare nuovamente nella sua ira. Non sarebbe stato saggio, da parte sua. Per un attimo, a Ruby balenò per la mente la possibilità che Belle si fosse rivolta al signor Gold, ma subito scartò quell’idea. Stando a quanto le aveva raccontato la sua amica, loro due avevano litigato, e di brutto anche. Gold aveva dichiarato di non volerla vedere mai più, e Belle le era parsa ancora troppo ferita per poter cercare l’aiuto e la pietà di quel bastardo…

Ruby si rese conto che le mani le tremavano. Belle era sparita, pensò nuovamente. E non per sua scelta. La cameriera non avrebbe saputo dire cosa stava succedendo, ma di certo c’era qualcosa sotto, e qualcuno doveva aver provveduto a far sparire Belle.

Ruby montò in macchina, accendendo il motore. Doveva fare qualcosa, si disse, doveva trovarla.

Ma avrebbe avuto bisogno di aiuto…

 

***

 

Paige fece una smorfia di fastidio, accorgendosi che le sue gambe si erano addormentate. Guardò Henry, chiedendosi se anche lei avesse la stessa espressione sconvolta del suo amico. E così, pensò, Regina Mills aveva costretto suo padre a rinchiudere Isabelle solo perché potesse ricattare il signor Gold! Era da psicopatici…ma, se non altro, ora erano finalmente venuti al pettine più nodi di quanti ne conoscessero all’inizio. Paige si domandò perché Henry non avesse voluto uscire allo scoperto quando era stato il momento e raccontare tutto al Vicesceriffo Swann. Se c’era un momento per farlo, era quello, quando anche il signor Gold era presente insieme a Regina, così che l’uno sapesse la verità e l’altra venisse arrestata.

Le pareva quasi di aver perso un’occasione irripetibile.

Paige sentì Henry che le dava dei colpetti su un braccio. Il bambino le fece cenno di seguirlo.

I due sgattaiolarono fuori dall’ufficio di Graham, gattonando fino alla scrivania di Emma per non farsi vedere da Gold. L’uomo, in ogni caso, sembrava assorto nei suoi pensieri, e aveva occhi solo per quella tazzina sbeccata che Regina gli aveva consegnato. Henry fece un altro cenno a Paige; la bambina gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma lo seguì senza dire nulla.

I due bambini scivolarono fino al corridoio senza essere visti, e solo allora Paige provò il sollievo di poter tornare finalmente in posizione eretta. Henry si massaggiò la schiena, riprendendo contemporaneamente fiato.

- Perché non hai voluto dire niente a Emma?- bisbigliò Paige.

- Perché…

- Voi due!

Sobbalzarono non appena udirono la voce di Graham; Henry si sentì improvvisamente a disagio quando si rese conto della differenza di stazza che c’era fra loro due. Lo Sceriffo era in piedi di fronte a loro, le braccia incrociate al petto. Henry si sentì impaurito per la prima volta, in sua presenza.

Tutti in città sapevano che, benché fosse Graham Hunter lo Sceriffo, più che lui c’era da temere la sua Vice. Graham era sì la legge, a Storybrooke, ma era anche un bonaccione, uno che non stava tanto a fare il puntiglioso per ogni cosa, tanto che, se gli capitava di arrestare qualche teppista, a meno che non ci fosse una taglia sulla sua testa come quell’Ethan “Tramp” Cooper, spesso si limitava a un semplice sta’ lontano dai guai, la prossima volta, e lo lasciava andare.

Invece, quella sera, Graham pareva essere veramente arrabbiato, con loro. Henry si accorse che Paige aveva indietreggiato di un passo.

- Dove…dov’è Emma?- balbettò Henry.

- Fuori, c’è stata una segnalazione di un problema a Toll Bridge…- rispose Graham, sbrigativo.- Temo che per stasera dovrete rinunciare a parlare con lei…

- Ehm…va bene, allora…- mormorò il ragazzino, afferrando Paige per una manica del cappotto. Fece per trascinarla via lungo il corridoio, ma Graham si parò loro di fronte.

- Toglietemi una curiosità - disse, rimanendo serio.- Voi due state combinando qualcosa di pericoloso e non volete dirmelo, oppure semplicemente vi divertite a prendermi in giro e a farmi fare la figura dello scemo del villaggio?

- Ehm…no, Graham…- mormorò Henry.

- A dire il vero, Sceriffo…ehm…- iniziò Paige, ma intercettò lo sguarda implorante di Henry.- Noi…noi volevamo…Henry aveva promesso di farmi vedere cosa facevano i poliziotti…- concluse miseramente, sperando che lo Sceriffo ci cascasse.

Graham si massaggiò il mento, guardandoli dall’alto in basso. Non appariva troppo convinto.

- Beh, come avrai certamente notato, niente a che fare con film polizieschi e serie TV da quattro soldi…- disse dopo qualche istante, con voce piatta.- E la prossima volta, Henry, ti sarei grato se mi rendessi partecipe in anticipo dei tuoi progetti per un giro turistico.

- Va bene, Graham. Scusa - Henry tirò di nuovo Paige per una manica.- Ciao…

I due bambini corsero fuori dalla centrale. Graham si voltò appena a guardarli.

Proprio come aveva immaginato: si divertivano a farlo passare per lo scemo del villaggio.

Quei due stavano nascondendo qualcosa. Meglio tenerli d’occhio…

 

***

 

Paige ansimò, rallentando la corsa e costringendo Henry a fermarsi nel mezzo del marciapiede.

- Si può sapere perché non hai voluto dire niente a Emma?!- la bambina quasi urlò. - Era il momento giusto per farlo…Perché non le hai raccontato la verità?

- Perché…- Henry si passò una mano fra i capelli, cercando di trovare le parole adatte.- Perché…perché ho pensato che in fondo non fosse la cosa giusta da fare…

- Che cosa?!- Paige era incredula.- Henry, ma non hai sentito? Hai sentito cosa stava dicendo tua madre al signor Gold? Henry, tua madre sta minacciando il mio papà…

- Lo so!- si affrettò a dire Henry.- Lo so, ma…Paige, non abbiamo riflettuto abbastanza…

- Che intendi dire?

Henry prese a fissarsi le scarpe.

- Paige, io…io credo che se raccontassimo tutto a Emma, non riusciremo comunque a salvare tuo padre…

- Cosa? Perché?

Henry guardò la sua amica. Paige pareva sull’orlo delle lacrime; non avrebbe voluto farlo, ma a quel punto era giusto che anche lei sapesse come stavano le cose.

- E’ come alla televisione - spiegò.- Tuo padre è come se fosse…in un certo senso…ecco, un complice di mia madre - Henry s’interruppe, quindi proseguì.- Lui ha rapito Belle French. So che è stato costretto, ma l’ha fatto comunque. E, beh, se Emma arresta mia madre…allora è probabile che arresti anche lui…

Paige lo guardò ancora per un istante, quindi prese a fissare il marciapiede. Henry la sentì tirare su con il naso, quindi la vide asciugarsi gli occhi con una manica della giacca. Il ragazzino si sentì invadere dal panico.

- No, no, no!- disse, in fretta, prendendola per le spalle.- No, per favore, non piangere! Ho un’altra idea…- aggiunse, sperando che questo scongiurasse il rischio di un secondo diluvio universale.

- Quale…quale idea?- balbettò Paige, e a Henry parve che si fosse un poco ripresa.

- Racconteremo tutto al signor Gold!- disse il ragazzino, tentando di apparire entusiasta e sicuro di sé.

Paige smise di piange all’istante, e il suo viso assunse un’espressione perplessa e sconcertata.

- Al signor Gold?- fece, inarcando un sopracciglio. Henry annuì, sorridendole.

- Lui libererà Belle French, così mia madre non avrà più nulla con cui ricattare tuo padre, e lui uscirà illeso da tutta la faccenda - spiegò Henry.

- Ma…ma il signor Gold è in prigione…- obiettò Paige.

- Non hai sentito cos’ha detto Emma? Fra tre giorni uscirà. Dobbiamo solo aspettare.

- E…pensi che ci crederà?- insistette Paige; l’idea di dire tutto al signor Gold non la convinceva. Henry poteva averci visto giusto, questo sì, ma ciò non toglieva nulla al fatto che quell’uomo la terrorizzava.

- Deve farlo. D’altronde, lui è innamorato di Belle French - Henry abbozzò un sorriso.

- Allora ci credi!- ridacchiò Paige.

Il ragazzino si strinse nelle spalle, imbarazzato.

- Se ci credi tu…

Paige fece un altro lieve sorriso quindi, senza che Henry potesse in alcun modo prevederlo, gli gettò le braccia al collo, abbracciandolo. Il bambino divenne repentinamente del colore di un pomodoro maturo, irrigidendosi per l’imbarazzo.

- Ho paura, Henry…- pigolò Paige.- Io voglio stare con il mio papà.

- Lo so…Ho paura anch’io…- fece il ragazzino, senza azzardarsi a toccarla.- Ma adesso dobbiamo fare la cosa più coraggiosa…

Henry la sentì annuire contro la sua spalla. Già, pensò, la cosa più coraggiosa…

Più facile a dirsi che a farsi.

Poteva capire che Paige volesse rimanere con suo padre. Lui avrebbe fatto la stessa cosa per poter continuare la sua vita insieme a entrambe le sue mamme, Emma e Regina, ma sapeva che non sarebbe potuto essere così. Regina aveva sbagliato, e doveva pagare.

E lui doveva scegliere.

Henry, ancora una volta, desiderò di essere più grande. Avrebbe certamente saputo che cosa fare, se lo fosse stato. Avrebbe saputo fare la cosa più coraggiosa.

 

***

 

- Ricapitolando: hai nausee continue, soprattutto durante le ore del mattino, frequenti capogiri e sei svenuta due volte…- fece Michelle, voltandosi verso lo scaffale della farmacia e aprendo uno dei cassetti.

- Sì…- soffiò Mary Margaret.- La prima volta David è riuscito a prendermi in braccio, ma la seconda non è arrivato in tempo e ho sbattuto una capocciata contro il pavimento…- aggiunse, a mezza voce.

- Credo di avere quello che fa per te…- disse la farmacista, trattenendo a stento un sorriso. Porse una scatoletta a Mary Margaret; la maestra la prese, guardandola incuriosita. Subito tornò a puntare gli occhi su Michelle, e nel suo sguardo si leggeva incredulità mista a puro terrore.

- Stai scherzando?!- fece, quasi urlando, e la sua voce assunse una nota isterica.- Non puoi davvero pensare che io…

- Lo stabilirà il contenuto di quella scatoletta, se sto scherzando o no - replicò Michelle.

La maestra fece per ribattere, quando la porta della farmacia si aprì di colpo. Mary Margaret nascose istintivamente la scatoletta di Michelle nella borsa.

La farmacista sgranò gli occhi, nel vedere una Ruby trafelata comparire sulla soglia.

- Michelle…Mary Margaret…- ansimò la cameriera.- Ho…ho bisogno di aiuto…

- Cos’è successo?- chiese Michelle, allarmata.

Ruby inspirò a fondo, guardando negli occhi prima l’una poi l’altra.

- Belle è sparita.

 

***

 

Le mancava l’aria.

Belle voltò lentamente il capo nel vedere i raggi del sole filtrare attraverso la finestrella della stanza. Non aveva un orologio, con sé, e le sembrava quasi che il tempo si fosse fermato, o che le ore scorressero con più lentezza.

Aveva dormito male, svegliandosi di continuo a causa di incubi claustrofobici. Nel sogno, le sembrava quasi di soffocare, che le pareti si stringessero intorno a lei fino a schiacciarla, e la sensazione di soffocamento era tanto forte che Belle non riusciva a scacciarla nemmeno da sveglia.

Odiava quella stanza. Da quanto tempo era lì dentro? Due giorni?

Belle sentiva di non farcela più. Un paio di volte aveva temuto di avere degli attacchi di panico, a causa del senso di claustrofobia che le dava quella camera. Non riusciva più a rimanersene ferma tutto il giorno a fissare una parete. Non riusciva più a stare sola. Ormai le pareva di riprendere a respirare solo quando Jefferson veniva da lei.

Già, Jefferson era stata l’unica persona che aveva visto da quando l’aveva portata lì dentro. Non un medico, non un altro infermiere, non le sue amiche.

Sempre e soltanto Jefferson.

Belle ora era sicura che ci fosse qualcosa che non andava. Né Ruby, né Ashley né MM si erano più fatte vive, né il dottor Whale era venuto a visitarla come aveva promesso. Come Jefferson le aveva detto che aveva promesso.

Belle non era mai uscita da lì, non aveva più ricevuto cure né medicine. Tutto questo non era normale. E poi, perché Jefferson chiudeva sempre la porta a chiave, quando se ne andava?

La ragazza si mise seduta sul letto non appena udì lo scatto della serratura. Jefferson entrò, reggendo in mano un vassoio.

- Ti ho portato il pranzo…- mormorò, sorridendole. A Belle quel sorriso parve forzato, troppo forzato. Jefferson era strano. L’aveva notato anche il giorno in cui l’aveva portata lì, ma lei non ci aveva fatto troppo caso, attribuendo la sua stranezza a malumore o stanchezza.

Ma ora quelle occhiaie e quel pallore stavano diventando sospetti.

- Grazie - rispose Belle, senza sorridere, mentre Jefferson posava il vassoio sul comodino. La ragazza si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta, barcollando lievemente a causa del mal di testa ora più lieve, ma ancora presente. Jefferson le si parò di fronte.

- Che cosa fai?- le chiese, e a Belle parve che stesse tremando, ma non si lasciò commuovere.

- Voglio uscire - gli rispose, guardandolo negli occhi.- Le mie amiche non si sono più fatte vive, dev’essere successo qualcosa…

Fece per superarlo, ma l’infermiere la bloccò per un braccio.

- Ma cosa vuoi che sia successo?- le chiese, sforzandosi di sorriderle e di apparire rincuorante.- Avranno avuto qualche imprevisto, nulla per cui allarmarsi. Sta’ tranquilla, appena si fanno vive te lo farò sapere…

Belle lo guardò, seria, poco convinta.

- Jefferson, perché tu sei l’unico infermiere a occuparsi di me?

- Te l’ho detto, è per via di quel deragliamento…

- Ormai dovrebbero aver già provveduto…

- A quanto pare le cose vanno per le lunghe.

Belle non rispose, e tentò nuovamente di raggiungere la porta. Jefferson la fermò nuovamente.

- Dove vai?

- Te l’ho detto: voglio uscire - rispose Belle.- Non ce la faccio più a stare qui dentro, ho bisogno d’aria…

- Non puoi allontanarti da qui.

- Faccio solo una passeggiata in corridoio.

- Non è il caso, non nelle tue condizioni.

- Sto benissimo, Jefferson.

- Il dottor Whale ha detto…- iniziò l’infermiere; Belle si fece improvvisamente attenta. Jefferson approfittò del momento di distrazione della ragazza per farla sedere nuovamente sul letto.- Il dottor Whale ha detto che presto potrai tornare a casa - concluse.

Belle parve illuminarsi, a quella notizia, ma subito il suo sguardo tornò dubbioso.

- Come fa a dirlo, se non è mai venuto?

- L’ho tenuto informato sulle tue condizioni - Jefferson le sorrise. Belle lo vide estrarre una scatoletta dalla tasca della camicia.- Ha detto che sarai dimessa fra un paio di giorni. Ma vuole che tu per ora prenda queste - Jefferson versò dell’acqua in un bicchiere di plastica, quindi vi lasciò cadere dentro un paio di pillole. Belle le vide sciogliersi formando una nuvoletta bianca.

Jefferson le porse il bicchiere.

- Sono per il mal di testa - le sorrise.

Belle prese il bicchiere dalla sue mani, sorridendo a sua volta, già dimentica delle sue paranoie. La notizia che presto sarebbe potuta uscire l’aveva rasserenata non poco.

Belle sorrise nuovamente a Jefferson, quindi bevve il contenuto del bicchiere.

In un attimo, tutto intorno a lei iniziò a girare, e la vista le si annebbiò.

 

Angolo Autrice: So che mi starete odiando sia per il ritardo sia perché continuo a menarla per le lunghe, ma non temete, nel prossimo capitolo avremo una vera svolta nella vicenda. Due paroline sul capitolo: l’accenno alla taglia sulla testa di alcuni criminali e a Ethan “Tramp” Cooper sono presi dalla long Lady and the Tramp in Storybrooke di LadyAndromeda, che ringrazio per la concessione. In seguito troverete altri riferimenti alla sua long, che verranno opportunamente segnalati.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio chi la aggiunto questa storia alle seguite, alle ricordate e alle preferite, chi legge soltanto e parveth89, jarmione, oOBlackRavenOo, nari92, Samirina, LadyAndromeda, 1252154, Ginevra Gwen White, NevilleLuna, Capinera, Lety Shine 92, Eruanne, kagura, historygirl93, Avly e Sylphs per aver recensito.

Ciao, al prossimo capitolo!

Dora93

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Capitolo 16
*** Missing ***


Missing

 
Le tremavano le gambe. Belle si aggrappò al bordo del letto per non cadere rovinosamente a terra, e solo quando fu sicura che le forze l’avrebbero retta si azzardò a staccare le dita dal materasso e a muovere qualche passo. Allungò istintivamente le braccia in avanti nel tentativo di mantenere l’equilibrio; nella sua testa, era come se stesse correndo, ma tutto ciò che riusciva a fare era avanzare lentamente, con passi incerti e barcollanti.
Incespicò, finendo riversa a terra. Nella caduta, il suo busto picchiò contro il comodino, trascinandolo sul pavimento insieme a lei; udì il fracasso del metallo e degli oggetti che vi erano posti sopra scontrarsi con il marmo della cella. Belle emise un gemito sollevando il capo e puntellando i palmi a terra, facendosi forza per risollevarsi. Cercò a tentoni il vassoio su cui prima erano posti il suo pranzo e quelle dannate medicine – se di medicine effettivamente si trattava –, afferrandolo con forza non appena lo trovò. Si sollevò sulle ginocchia, raggiungendo strisciando la porta e piantando una spalla contro la parete per rimettersi in piedi. Appoggiò la schiena al muro, inspirando profondamente e stringendosi il vassoio di metallo al petto. Non era molto come arma di difesa – e, perché no?, anche di attacco – ma era tutto ciò che si poteva permettere. Jefferson le aveva sottratto coltelli e forchette che non fossero di plastica, e non c’era nessun altro oggetto là dentro che avrebbe potuto aiutarla. Sospirò, sperando di avere forza a sufficienza.
Barcollava; tutt’intorno vedeva annebbiato, e gli oggetti erano sdoppiati. Le pareti, il letto, l’intera stanza le girava intorno agli occhi come un vortice impazzito. Aveva la nausea, le veniva da vomitare. Qualunque cosa Jefferson le stesse somministrando da quasi tre giorni, ormai, doveva essere veramente forte, dato che il suo effetto non era svanito neppure dopo una giornata di astinenza.
Quella mattina, quando l’infermiere le aveva cacciato in bocca quelle pillole perché le ingurgitasse, lei aveva solo finto di ingoiarle, sputandole non appena lui se n’era andato. Ormai, Belle aveva compreso cosa stesse facendo Jefferson, anche se il perché la tenesse rinchiusa lì e la drogasse per farla stare buona le era ancora oscuro; ma ora che aveva capito ciò che stava succedendo, era avvantaggiata. Sapeva cosa le faceva male, e come evitarlo. Per quasi due giorni non aveva fatto altro che ripeterselo.
Non mangiare quel cibo, Belle. Non bere quell’acqua. Non prendere quelle pillole. Ti fanno stare male.
Aveva digiunato e si era rifiutata di ingurgitare alcunché per quanto aveva potuto, ma Jefferson era comunque riuscito a infilarle in bocca qualcosa. Fortunatamente, non era ancora passato alle flebo, ma lei rimaneva in ogni caso un bersaglio debole e inerme, completamente indifesa e alla mercé delle sue mani, finché l’effetto di quei tranquillanti persisteva.
Doveva uscire da lì. Quella era la sua occasione. Non doveva fare errori, se voleva salvarsi la pelle.
 

***

 
- Ma Ashley dove cazzo sta, quando c’è bisogno di lei?- ringhiò Ruby, scoccando un’occhiata di fuoco a Mary Margaret. La maestra, seduta sul sedile posteriore dell’auto, scosse il capo, riattaccando il cellulare.
- Non risponde. Credo che sia ancora impegnata con i preparativi per il matrimonio…- mormorò.
- Ma sono io l’unica a cui frega qualcosa di Belle?!- sbottò l’altra.- Una delle sue migliori amiche è sparita nel nulla e lei pensa alla torta nuziale?!
- Sai com’è suo suocero. Probabilmente sarà tanto terrorizzata da lui da non avere neppure il coraggio di accendere il telefono.
- E in ogni caso, Ruby, non penso che Ashley potrebbe fare molto per aiutarci - dichiarò Michelle, risoluta, nel tentativo di mettere pace. La cameriera borbottò qualcosa sottovoce, incrociando le braccia al petto e abbandonandosi contro lo schienale del sedile.
- Si può sapere perché stiamo girando senza meta da un’ora?- ringhiò poco dopo, rivolta alla farmacista.- Michelle, stiamo cercando Belle da sole da quasi tre giorni! Il tempo per una denuncia di scomparsa è passato, perché non andiamo alla polizia?
- Perché non abbiamo prove che sia effettivamente scomparsa, stando a quanto mi hai detto - rispose Michelle, stringendo le dita attorno al volante e fissando la strada. Era da quasi due ore che lei e le altre due ragazze giravano per tutta Storybrooke a bordo della vecchia Kia di zia Faye; non avevano una meta precisa, ma a Michelle Wood pareva quasi che guidare le desse meno l’idea di non fare niente.
Ancora non riusciva a capire perché si fosse lasciata trascinare in quella storia. In fondo, a malapena la conosceva, questa Isabelle French! L’aveva incontrata una volta in ospedale, prima di allora l’aveva solo conosciuta di vista. Sapeva di chi era figlia – zia Faye e zia Florence sospiravano spesso piene di compassione quando si parlava della figlia dell’ubriacone, mentre zia Sally iniziava a lanciare in direzione di Moe insulti e improperi che sarebbero stati in grado di far arrossire uno scaricatore di porto –, e aveva scambiato con lei due parole, ma tutto ciò non era sufficiente perché loro due potessero dire di conoscersi bene, né tantomeno che fossero amiche. Ma Michelle era amica di Ruby; e sin da piccola le avevano sempre insegnato che quando una persona a cui tieni ha bisogno di aiuto, allora era tuo dovere darle una mano.
Purtroppo, così come per Ruby e Mary Margaret, in quel momento a Michelle non pareva di essere molto d’aiuto.
La farmacista inspirò a fondo, aumentando la stretta intorno al volante.
- Cerchiamo di ragionare - disse ad alta voce. - La vostra amica non è nel al Bed & Breakfast di Granny, né al convento delle suore, e da quello che mi avete raccontato non può essere neppure a casa del signor Gold…- Michelle non poté impedirsi di trattenere una smorfia, al pensiero.
Ruby le aveva raccontato per filo e per segno tutta la faccenda; alla farmacista pareva impossibile – no, beh, impossibile forse no, ma quanto meno piuttosto bizzarro – che una ragazza dolce e ingenua come le era sembrata Isabelle – anche se tanto ingenua non doveva essere, considerata la situazione! – fosse stata in grado di innamorarsi e di far innamorare di sé il signor Gold.
Michelle Wood viveva a Storybrooke sin da piccola, e naturalmente conosceva il signor Gold e la sua fama; sapeva che la maggior parte dei cittadini aveva paura di lui, ma lei si dissociava da questo. Non aveva niente contro il signor Gold, tantomeno lo temeva, anche se non poteva dire che le stesse simpatico.
Lei e le sue zie, come la maggior parte dei cittadini di Storybrooke, dovevano pagargli l’affitto ogni mese; a dire il vero, la spada di Damocle che gravava sulle loro teste era nettamente più leggera rispetto ad altre persone, dal momento che la farmacia, fortunatamente, era di loro proprietà. Ma restava comunque l’affitto per l’appartamento, che non era uno scherzo…Senza contare che, da qualche anno, Michelle si era volontariamente accollata le spese per riprendersi un vecchio arcolaio di famiglia che sua zia Florence aveva dovuto cedere al signor Gold quando lei aveva cinque o sei anni e non avevano i mezzi per tirarla su.
Tutte queste cose sommate insieme erano sufficienti per far desiderare a Michelle di prenderlo a calci nel fondoschiena per tutta la via principale…anche se, a volte, quando lo vedeva seduto da solo da Granny’s, o lo scorgeva fra le vie della città, non poteva fare a meno di chiedersi se si sentisse mai solo,  se avesse mai amato qualcuno…e ora, Ruby e Mary Margaret avevano risposto alle sue domande, rendendole meno strano e più accettabile il sentimento che lo legava a Belle, sebbene mai si sarebbe immaginata una cosa del genere.
- Io dico che l’ha presa suo padre!- intervenne Ruby. - Quello schifoso l’ha ridotta in fin di vita, potrebbe anche averla portata via dall’ospedale…
Michelle scosse il capo con vigore.
- No, non gli sarebbe stato possibile. L’ultima volta che avete visto Belle era in ospedale…Se Moe French avesse cercato di portarla via con sé avrebbe certamente attirato l’attenzione di qualcuno…Senza contare…- Michelle si concesse un mezzo sorriso, pregustando la reazione di Ruby.- Senza contare che il padre di Belle è stato ricoverato due sere fa, così mi ha detto il dottor Whale. Ematomi ed escoriazioni diffusi, più fratture multiple in diverse parti del corpo, a quanto pare.
- Che cosa?!- fecero Ruby e Mary Margaret in coro, sgranando gli occhi.
- A quanto pare il signor Gold e il suo bastone lo hanno conciato per le feste - continuò Michelle, noncurante.
- Il signor Gold ha…picchiato French?- fece Mary Margaret, sporgendosi dal sedile posteriore.
- Così sembra.
- Non ci credo…- boccheggiò Ruby, passandosi una mano fra i capelli.- Non ci credo…non posso credere che il bastardo abbia…preso a legnate il bastardo!- la cameriera sembrava sotto shock.
- Ora, tornando al punto - riprese Michelle, appena in tempo per evitare la raffica di domande di Ruby. - L’ultima volta che una di voi ha visto Belle è stato in ospedale, dopodiché è sparita…Quel vagone è ancora lì a ostruire le vie di comunicazione fra la città e l’esterno, quindi non può essersene andata da Storybrooke…Questo restringe il campo…- mormorò Michelle, ma subito la sua razionalità la smentì.
Non era vero che il campo era ristretto, per nulla. Avevano cercato Belle in tutti i posti più ovvi e plausibili, ma c’erano ancora un mucchio di altri luoghi che dovevano passare al setaccio.
A dispetto di ciò che molti credevano, Storybrooke non era così piccola come poteva apparire. Né così tranquilla ed esente dai pericoli.
Fortunatamente, Michelle non aveva mai avuto a che fare con certe realtà o certi individui poco raccomandabili, ma non era stupida. Sapeva che Storybrooke non era soltanto il Bed & Breakfast della nonna di Ruby o i quartieri alti di High Avenue; recentemente, il sindaco aveva varato alcuni provvedimenti affinché venissero catturati e incarcerati alcuni elementi considerati pericolosi e su cui già gravava una taglia. Uno dei più famosi era un certo Ethan “Tramp” Cooper, dedito a piccoli furti, ma ce n’erano anche di peggio…come un certo Rod, che era appena un ragazzo ma una specie di John Dillinger se si trattava di rapine o furti in banda.
Alla periferia della città sorgeva un’immensa baraccopoli dove criminalità, violenza e spaccio di droga erano all’ordine del giorno…e poi, c’era la foresta. Michelle aveva sentito delle storie inquietanti su quel luogo. Stando alle voci e alle chiacchiere di paese, pareva che la foresta che circondava Storybrooke fosse teatro di una specie di gioco – se di gioco si poteva effettivamente parlare. Era una sorta di roulette russa; veniva chiamata la caccia. Ringraziando il cielo, Michelle conosceva queste cose solo per sentito dire, ma ciò che le era stato raccontato non aveva nulla di rincuorante. La famigerata caccia era un gioco di gruppo, e consisteva nel ritrovarsi di notte, nella foresta, e sparare a un bersaglio, mobile o fisso che fosse, nel tentativo di colpirlo.
Non serviva una laurea in farmacia per capire che, incappando in una simile idiozia, anche chi non c’entrava nulla rischiava di farsi male, o peggio.
Insomma, dovevano sbrigarsi a trovare quella ragazza, se non volevano davvero finire alla polizia, e per una cosa ben più orribile di una scomparsa.
- Ma dove potrebbe essere?- intervenne Ruby, dando voce ai pensieri di Michelle.- L’abbiamo cercata in lungo e in largo, e non si trova…E poi, dannazione!, aveva una commozione cerebrale! Non aveva più una casa, non aveva un lavoro…Dove accidenti sarebbe potuta andare, in quelle condizioni?
- Hai detto che il suo nome non risulta sui registri dell’ospedale, vero?- incalzò Michelle.
- Così mi ha detto quella troia…- borbottò Ruby. - Ma com’è possibile? Belle era lì! Come diamine fa il suo nome a non comparire da nessuna parte?!
- Forse qualcuno ha provveduto per questo…- mormorò Michelle, aggrottando le sopracciglia.
Il suo cervello aveva preso a lavorare a tutta velocità. Era certa che Belle non se ne fosse andata da sola; non le sarebbe stato possibile, stando a quanto aveva detto Ruby. E il suo nome non compariva su nessun documento dell’ospedale. Qualcuno doveva aver provveduto per farlo sparire.
La cosa, effettivamente, non la stupiva più di tanto. L’ospedale di Storybrooke era già un casino di per sé, e con il subbuglio causato dall’incidente ferroviario il viavai di persone era aumentato, così come la confusione. Registri e cartelle cliniche passavano da una mano all’altra che neanche le figurine dei giocatori del football; chiunque avrebbe potuto manomettere i registri senza venire notato.
No, un attimo. Non chiunque. Gli archivi non erano aperti a tutti. Chi aveva cancellato il nome di Isabelle French doveva essere un interno all’ospedale…
Michelle sgranò gli occhi.
Quel tuo amico infermiere, quel Jefferson Hatter, l’ha portata via in fretta e furia senza dire niente a nessuno, senza uno straccio di spiegazione…Quella poveretta era più sorpresa di me…
Le parole di zia Florence le ritornarono alla mente in un flash.
Michelle piantò il piede contro il freno, inchiodando la Kia tanto bruscamente che i freni lanciarono uno stridore acuto e lasciarono il segno dei pneumatici sull’asfalto. Mary Margaret fece un salto in avanti, inchiodandosi fra i due sedili anteriori, e fu solo grazie alla cintura di sicurezza che Ruby non si schiantò contro il parabrezza dell’auto. Michelle ansimò, mentre i molteplici suoni dei clacson delle macchine alle sue spalle rivelavano tutto ciò che gli autisti pensavano di lei.
Mary Margaret sganciò la cintura di sicurezza, sporgendosi dal finestrino.
- Calma, calma!- gridò, nel tentativo di mettere pace, ma ricevette in risposta solo una serie di imprecazioni e di insulti. Sospirò, ritornando all’interno della vettura.
- Michelle, se osi ancora lamentarti per come guido, parola mia che ti spingo giù dalla macchina!- gridò Ruby, con le gambe che tremavano.- Ma sei pazza?! Perché hai inchiodato in quel modo? Devo ricordarti che hai altre due persone a bordo? Anzi, forse due e mezza?- ringhiò, accennando a Mary Margaret, la quale arrossì.
- Scusate…- soffiò Michelle, cercando di riprendersi.- Scusate, io…
- Ma che ti è preso? Si può sapere che hai?- insistette Ruby.
Jefferson, pensò Michelle. Come diamine aveva fatto a non pensarci prima?! Il suo amico era stato l’ultimo a vedere Belle…e per quel poco che le aveva detto zia Florence poteva anche darsi che…
No. Non era possibile. Jefferson non poteva davvero aver…non poteva essere coinvolto in…
I mozziconi dei suoi pensieri vennero interrotti bruscamente da Toxic di Britney Spears.
Mary Margaret cominciò ad affannarsi alla ricerca del proprio cellulare.
- Che altro c’è, adesso?- gemette Ruby, abbandonando il capo contro lo schienale. Michelle si voltò.
- E’ Ashley - annunciò Mary Margaret, guardando lo schermo del telefono.- Che faccio? Le dico che…
- Dille che ci troviamo di fronte alla farmacia fra dieci minuti - rispose Michelle, in fretta.- Devo dirvi una cosa…
Ruby e Mary Margaret la guardarono.
- Forse ho una pista…
 

***

 
Gaston venne avvertito da un click che i proiettili nella pistola erano terminati. Si tolse i paraorecchi mentre la ricaricava, gettando un’occhiata soddisfatta al poligono di tiro. Era sempre stato bravo a sparare, e anche se una volta aveva ferito un ragazzo, quando partecipava alla caccia, non aveva mai mancato il bersaglio.
Puntò nuovamente la pistola, riprendendo a fare fuoco.
Sì, forse, quell’esercitazione era davvero superflua…
 

***

 
- Caffè?- propose Graham, entrando in ufficio. Emma parve risvegliarsi da uno stato d’ipnosi, sollevando di scatto il capo dai fascicoli che stava esaminando.
- Sì, per favore…- disse con la voce impastata, prendendo uno dei bicchieri di plastica dalle mani dello Sceriffo.- E’ quello che mi ci vuole…
Emma bevve un piccolo sorso, senza staccare gli occhi dai documenti. Aveva l’aria parecchio concentrata, notò Graham. Lo Sceriffo gettò una breve occhiata alla cella vuota.
- Il signor Gold è stato rilasciato?- chiese; Emma annuì.
- L’ho riaccompagnato a casa un’ora fa…- mugolò, senza smettere di leggere. Graham si sporse verso di lei.
- Che stai facendo? Ancora con Regina?
- No, con Gold - rispose Emma, scuotendo il capo. Allontanò un poco il fascicolo da sé, senza smettere di leggere, e appoggiò il dorso contro lo schienale della sedia.- Stavo cercando di scoprire perché se l’è presa in quel modo con French…
- Affitto in arretrato, immagino. Gold sarebbe capace di questo e altro, per i soldi.
- Era quello che pensavo anch’io, così mi sono fatta consegnare tutti i documenti che registravano versamenti in banca, transazioni di denaro, e così via…E ho scoperto una cosa molto interessante…- Emma sorrise, facendogli cenno di avvicinarsi. Graham si sedette sul bordo della scrivania, sporgendosi verso di lei. La donna gli mostrò i documenti che teneva in mano.
- Queste carte segnano una transazione di denaro avvenuta circa un anno fa - Emma fece un sorrisetto.- E indovina un po’ a chi Gold ha prestato dei soldi?- ammiccò.
Graham inarcò un sopracciglio.
- Regina Mills?
- Bravo, caro il mio Sceriffo, dieci e lode!
Emma balzò in piedi con un sorriso soddisfatto.
- E Moe French?- incalzò Graham.- Su di lui hai scoperto qualcosa? Anche lui doveva del denaro a Gold?
- Non saprei dirlo - ammise Emma, tornando pensierosa.- Dai documenti sembra che fra French e Gold fosse tutto regolare. Non un centesimo fuori posto, niente di niente. Anche se…- aggiunse Emma, sottovoce.- Ora che ci penso, quando ho impedito per un pelo che gli facesse la pelle, ho sentito Gold accusare French di qualcosa…continuava nominare una certa lei, ma non ha pronunciato il nome…
- Pensi a una sorta di triangolo?
Emma fece uno sbuffo divertito, iniziando a ridacchiare.
- Gold e French che si ammazzano per una donna? Dio, mi vengono i brividi solo a pensarci…
Graham fece un mezzo sorriso, ma subito ritornò serio. Guardò Emma negli occhi.
- Forse ho io la soluzione al dilemma…- mormorò; sotto lo sguardo attonito del Vicesceriffo, Graham si alzò dalla sedia e si diresse verso la propria scrivania. Emma lo seguì, incuriosita. Lo Sceriffo aprì un cassetto e ne estrasse un fascicolo, gettandolo in bella mostra sul ripiano di legno con un sorrisetto furbo.
Emma lo prese fra le mani, sfogliandolo con attenzione.
- E’ il caso French, questo!- disse. Graham annuì, senza smettere il suo sorriso; Emma si batté una mano sulla fronte.- Che idiota che sono! Mi ero completamente dimenticata di questo…- la donna sfogliò ancora il fascicolo.- Isabelle French è stata trovata priva di sensi in mezzo a una strada la notte seguente a quella di San Valentino…Nessuno sa come sia arrivata lì, nessuno sa chi l’abbia ridotta in quello stato…
- …nessuno s’è preso la briga di approfondire la questione…- la punzecchiò Graham.
Emma roteò gli occhi, sospirando esasperata.
- Scusami, ero troppo assorbita da Regina. E poi, scusa, non potevi pensarci tu?- ringhiò subito, ritrovando la propria verve.
- Se non ricordo male, avevamo stabilito che tu dovessi occuparti di quel caso. Quanto a me…scusami, ma ero troppo assorbito dal fatto che tu fossi troppo assorbita da Regina…
Emma sbuffò.
- Va bene, colpa mia!- si arrese.- Comunque, hai ragione. Questa potrebbe essere la chiave per spiegare il mistero…anche se non capisco cosa possa avere a che fare il signor Gold con Isabelle…
- Io credo di saperlo - dichiarò Graham.- Negli ultimi mesi aveva iniziato a lavorare per lui, ricordi?
- Sì, ma che cosa c’entra?
- E ricordi anche le chiacchiere che giravano su loro due?- incalzò Graham.- C’eri anche tu la sera dell’Epifania, no? E, guarda caso, Isabelle French è stata ritrovata in quello stato la sera dopo il giorno di San Valentino…- Graham sogghignò.- Se a tutto ciò ci aggiungi il caratteraccio di French e la scenata di Gold, direi che la ricetta è bella che servita…
- Non mi starai dicendo che tutte le voci erano vere?!- Emma sgranò gli occhi, incredula.- Secondo te, Gold e la French avevano davvero una storia?
- Che altre alternative vedi? Mi pare abbastanza ovvio…Perché la cosa ti sconvolge tanto?
- Ma…ma…perché…Gold!- sbottò Emma.
- E’ un essere umano anche lui, no? Anche lui ha un cuore.
- Credevo se lo fosse mangiato Hannibal the Cannibal una ventina d’anni fa…e che magari avesse pure fatto indigestione…
- E invece no. Credo che il bastardo della città si sia innamorato…- Graham sogghignò, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi contro la parete.- Pensandoci bene, la cosa potrebbe avere dei risvolti positivi…
Emma sospirò, scuotendo il capo e tornando a guardare il fascicolo.
- E così, il cerchio si chiude…- mormorò.
- Già. Ma per esserne certi, sarebbe il caso di fare una visita alla signorina French - disse Graham.- Lei è l’unica a poter dire veramente come stanno le cose. Con un po’ di fortuna, troverà il coraggio di denunciare quel porco di suo padre, e così potremmo chiudere anche questo caso. Nonché salvare la faccia…- aggiunse a mezza voce.
Emma fece una smorfia di scherno, quindi raccolse i documenti di Gold dalla scrivania.
- Va bene, mentre tu vai dalla signorina French a salvare la reputazione del corpo di polizia, io faccio una piccola perquisizione nell’ufficio di Regina e nell’archivio…- annunciò, avviandosi verso la porta.
- Ehi, ehi, ehi, aspetta un attimo!- la bloccò Graham, raggiungendola di corsa.- Cosa significa questo? Emma, il signor Gold e Regina Mills sono forse le persone più ricche e importanti di questa città, non ci vedo niente di strano che fra di loro ci sia qualche affare…
- Sì, ma niente che sia venuto alle orecchie della polizia e soprattutto mie!- replicò Emma; guardò Graham negli occhi per un istante, cogliendone tutto lo scetticismo. La donna sospirò.- Graham, per favore…- implorò Emma. - So che ti sembrerà assurdo, ma io sento di avere in mano qualcosa per incastrare Regina! Ti prego…- aggiunse, alla vista della smorfia contrariata dello Sceriffo.- Se anche questa volta non troverò niente, prometto che lascerò perdere…
- Non farmi promesse in cui è coinvolto anche tuo figlio, Emma.
- Per favore, Graham!
Lo Sceriffo sospirò, indietreggiando di un passo.
- Ti occorre un mandato, lo sai.
Emma si aprì in un sorriso di furbizia e ringraziamento insieme.
- Facciamo finta che tu me l’abbia concesso, okay? Ciao, ci aggiorniamo stasera per il caso French!
Lo Sceriffo stette a guardare la sua Vice mentre usciva di corsa dall’ufficio; sospirò nuovamente, raccattando il fascicolo riguardante Isabelle Charlotte French. Graham scorse brevemente alcune righe senza leggerle, sollevano appena un angolo della bocca.
Mai come in quel momento si era sentito sollevato per non aver accennato a Emma di suo figlio e della sua amica. Sarebbe andata ancora più fuori di testa di quanto non fosse già.
Graham non era cieco, aveva visto chiaramente che Henry e l’altra bambina stavano rovistando nelle cartelle che riguardavano la figlia di French, senza contare che le loro spiegazioni in merito al loro strano comportamento non l’avevano convinto affatto.
Dopo quello che il signor Gold aveva fatto a Moe, e ora che saltavano fuori delle connessioni anche con il sindaco – Regina gli aveva fatto visita in cella, non doveva dimenticarlo –, Graham era certo al 99,9 % che la faccenda fosse più complicata di quanto apparisse. Il ricovero in ospedale di Isabelle, le percosse che il signor Gold aveva inflitto a Moe, e ora saltava fuori anche una transazione di denaro fra lui e il sindaco Mills…ora che considerava meglio l’intera situazione, gli sembrava evidente che le tre vicende fossero collegate, ma era come se mancassero dei tasselli, come se quello fosse stato un puzzle non terminato.
Graham posò il fascicolo, indossando la sua giacca; Isabelle French aveva aspettato per tanti giorni, avrebbe potuto aspettare ancora qualche ora. Quella storia mancava decisamente di alcuni tasselli…e per metterli insieme, lo Sceriffo avrebbe dovuto rivolgersi a due piccoli Sherlock Holmes e John Watson d’eccezione.
 

***

 
Henry sbuffò, ricevendo l’ennesimo spintone da parte di Paige.
- Su, entra!- bisbigliò la bambina, accompagnando l’esortazione con un altro spintone. Henry scosse il capo con forza, correndo a nascondersi dietro le spalle dell’amica.
- Entra tu!- ribatté, dandole una spintarella.
- L’idea è stata tua!- protestò Paige, afferrandolo per un braccio.
- Sì, ma è per tuo padre che lo stiamo facendo!
Paige sbuffò, incrociando le braccia al petto e guardandolo con aria severa. Henry roteò gli occhi.
- Insieme, okay?- propose.
Paige annuì, un po’ incerta.
- Insieme - concesse.
Entrambi si voltarono, fissando la porta del negozio del signor Gold come se si trovassero di fronte a un passaggio per l’Oltretomba. Henry trattenne a stento l’impulso di aggrapparsi al braccio di Paige.
Erano stati i tre giorni più brutti della sua vita. Sospettava che sua madre fosse soddisfatta di come le cose stavano procedendo, dato che l’aveva vista più volte aggirarsi per casa camminando a sei metri sopra il pavimento; ma Belle non era stata liberata, e ciò voleva dire che Regina non aveva ancora finito di mettere in atto il suo piano.
Paige, da parte sua, era stata ancora peggio. Suo padre si sforzava disperatamente di mostrarsi allegro e gentile come al solito, ma il suo sorriso era sempre tirato e lei lo vedeva vagare per la casa con l’espressione vuota di uno zombie. Non riusciva a pensare ad altro se non a suo padre, a Regina Mills e a quella poveretta rinchiusa nei sotterranei dell’ospedale. Non era più nemmeno riuscita a leggere la favola.
Il signor Gold era l’unico in grado di far cessare quell’inferno.
Henry prese un respiro profondo, quindi si fece avanti per primo, aprendo la porta del negozio. Il tintinnio del campanello gli parve stranamente acuto, come se avesse dovuto far sapere a tutto il mondo che loro due erano appena entrati.
Paige gli zampettò appresso, sentendo un tuffo al cuore quando il signor Gold alzò lo sguardo su di loro.
Era stato rilasciato dopo solo tre giorni in cella, ma sembrava che vi avesse trascorso tre mesi. Non che presentasse cambiamenti esteriori molto evidenti rispetto al solito, a parte un insolito pallore del volto, ma aveva un’aria stanca e distrutta che i due bambini non gli avevano mai visto.
Perfino il suo ghigno non sembrò loro più la stessa smorfia cattiva di un tempo, quando si accorse della loro presenza e si voltò a guardarli.
- Buongiorno. Non che non mi faccia piacere vedervi, ma credo abbiate sbagliato negozio…- disse; aveva tutta l’aria di volersi sbarazzare di loro al più presto.
Paige deglutì, scoccando un’occhiata all’amico; Henry si schiarì la voce, prendendo un po’ di coraggio.
- Ehm…noi veramente cercavamo proprio lei, signor Gold…- gracchiò.
L’uomo parve un po’ sorpreso, ma non lo diede troppo a vedere.
- In tal caso…- mormorò, afferrando il suo bastone e superando il bancone del negozio, andando loro incontro.- Cosa posso fare per voi?
Henry boccheggiò, sentendo che le parole gli erano morte in gola. Cavolo, non poteva bloccarsi proprio adesso! Quell’uomo gli faceva un effetto strano…sì, in fondo era un essere umano come tutti gli altri, probabilmente era molto simile alla Bestia buona della favola, e non doveva essere così cattivo come dicevano, se si era innamorato di quella ragazza, ma…accidenti, quell’uomo lo terrorizzava!
Paige notò la sua espressione da salmone alla griglia e gli diede una spinta per spronarlo a continuare.
- Noi…noi…- balbettò Henry, sentendosi le gambe molli.
- Noi dobbiamo dirle una cosa…- pigolò Paige, correndo in aiuto dell’amico; la bambina sapeva che quello che stavano facendo era la cosa giusta, ma in quel momento aveva una gran voglia di girare i tacchi e scappare via più veloce del vento.
Il signor Gold arretrò un poco, inarcando un sopracciglio. Henry lo interpretò come un invito a continuare.
- Noi…noi…dobbiamo dirle che…- il bambino deglutì.- La…la ragazza che lavorava qui…lei è viva - sputò fuori tutto d’un fiato.
Entrambi crederono di morire non appena videro la reazione di Gold. Il volto dell’uomo, un attimo prima sorpreso e lievemente incuriosito, s’indurì di colpo, e gli occhi divennero simili a due fessure. Henry indietreggiò istintivamente non appena lo vide serrare le mascelle, e andò a sbattere contro Paige, la quale sentiva sempre più forte il desiderio di scappare.
Non avevano messo in conto una reazione negativa. A dire il vero, non avevano messo in conto nessun tipo di reazione. Nelle loro proiezioni mentali c’erano semplicemente loro due che gli dicevano la verità e se la filavano un secondo dopo; non avevano messo in conto la possibilità che il signor Gold non gli credesse.
- Uscite immediatamente da qui!- ringhiò l’uomo, livido di rabbia.- Fuori, subito!
- No!- soffiò Paige.- No, la prego, ci ascolti…
- Lei non è morta…
- Andatevene fuori da qui, ho detto!
- No, per favore!- Henry piantò le mani avanti come per proteggersi.- La prego, deve ascoltarci…mia madre le ha mentito…le ha detto che era morta, ma in realtà l’ha rapita…
Il signor Gold scattò in avanti, chinandosi verso di loro e afferrando Henry per una spalla.
- Stammi bene a sentire, ragazzino!- sibilò fra i denti.- Se siete venuti qui per qualche scherzo idiota, sappiate che avete sbagliato persona!
Paige scosse il capo con violenza, e lo stesso fece Henry.
- No, glielo giuro…- mormorò il bambino.- Lei è viva…
- Suo padre l’ha uccisa!- insistette Gold.- L’ha ridotta in coma, a quest’ora lei…
I due scossero il capo. Il signor Gold lasciò la presa.
- No…- fece Paige.- Il sindaco Mills le ha detto una bugia. Moe ha solo picchiato sua figlia, ma non l’ha ridotta in coma…
Henry riacquistò un poco di coraggio nel vedere che l’espressione sul volto di Gold era mutata. Ora, l’uomo appariva più sconvolto e incredulo che arrabbiato; probabilmente stava cercando di collegare i fili della situazione, probabilmente era ancora incerto se credergli o no, ma se non altro li stava ascoltando.
- Mia madre l’ha rapita - disse il bambino.- Non so perché l’abbia fatto, ma lei ora è prigioniera…
- Il sindaco Mills ha ordinato a mio padre di rinchiuderla…- soffiò Paige.
- Jefferson Hatter?- incalzò il signor Gold.- Lui sa dove si trova Belle?
- Sì, lui…
Il signor Gold non la stette più a sentire; superò velocemente i due bambini, afferrando il pomello della porta. Si voltò un attimo a guardarli, l’espressione ancora sconvolta e incredula.
- Grazie - mormorò, con voce atona.- E ora, andate a casa.
- No, aspetti!- provò a fermarlo Paige, ma l’uomo era già uscito.
 

***

 
Jefferson superò velocemente la reception dell’ospedale, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento per non incrociare quello pungente dell’infermiera. Non sapeva cosa Regina le avesse detto o che stratagemma avesse impiegato per convincerla a passare dalla sua parte, ma certo era che quella donna, da cui aveva ritirato le chiavi della cella lo stesso giorno in cui era iniziato quel calvario, ora non gli dava pace. Gli pareva quasi che lo spiasse, che controllasse le sue mosse, i suoi spostamenti, e forse era proprio così; Regina Mills voleva essere certa che lui non tentasse di fregarla.
Come se tenerlo in pugno utilizzando sua figlia non fosse una garanzia più che sufficiente…
Jefferson entrò nell’ascensore, credendo di morire di claustrofobia nei due minuti che questo ci mise per raggiungere i sotterranei dell’ospedale. Quando le porte si aprirono, uscì dalla cabina come una furia, ma la sensazione che il fiato gli mancasse si attenuò un poco senza sparire.
Jefferson raggiunse a grandi passi la porta della cella, tastandosi la tasca dei pantaloni dove erano contenute le pillole di sonnifero e la siringa con il flacone di morfina; quest’ultima sperava davvero di non doverla mai utilizzare, comunque. Era già straziante continuare a drogare quella poveretta facendole ingoiare delle pillole con l’inganno, sperava di non doversi spingere oltre.
Dannazione, ma che voleva ancora Regina?! Perché non lasciava in pace lui e non liberava quella povera disgraziata?!
Jefferson inspirò a fondo, inserendo la chiave nella serratura. Udì lo scatto della molla, quindi aprì.
Non appena mosse un passo all’interno della cella, sentì qualcosa colpirlo con violenza alla nuca, e perse l’equilibrio. Jefferson lanciò un gemito di dolore, accasciandosi a terra. Il colpo era stato forte, ma quasi come se fosse stato ovattato, come se la forza che l’aveva scagliato fosse stata notevolmente ridotta; se così non fosse stato, gli avrebbe fatto come minimo perdere i sensi.
Jefferson si portò una mano all’altezza della nuca, gemendo. Udì dei passi strascicati e incespicanti superarlo e raggiungere la porta. Sgranò gli occhi per il terrore, iniziando a ricollegare tutto.
- Cazzo!- imprecò, tentando di rialzarsi. Si puntellò sulle ginocchia, voltando il capo appena in tempo per vedere una figura scivolare via oltre la porta della cella.
Belle si aggrappò disperatamente alla parete, tentando di mettersi a correre; l’effetto della droga non era ancora svanito, e lei si sentiva peggio che mai. Lo spavento e l’adrenalina per la fuga non avevano fatto altro che accentuare il malessere provocato dalle pasticche; il corridoio sembrava un’onda impazzita che andava su e giù, a destra e a sinistra, sdoppiandosi e triplicandosi senza un filo logico.
Belle sentiva le gambe pesanti; mosse qualche passo che voleva essere una corsa, ma la sua vista annebbiata e confusa la tradì, facendola incespicare; la ragazza finì riversa a terra, con le tempie che pulsavano e mille oggetti che le sfilavano di fronte agli occhi.
Belle si sollevò disperatamente con il busto, cercando di far forza sulle braccia, e strisciò per qualche metro. Si sollevò sulle ginocchia, rimettendosi in piedi in prossimità dell’ascensore. Iniziò a picchiettare convulsivamente il palmo della mano alla ricerca del tasto di apertura. Lo trovò quasi per miracolo, premendolo con furia.
Belle cadde nuovamente a terra, le gambe che non la reggevano; tentò di raggiungere strisciando le porte dell’ascensore, ma d’improvviso si sentì afferrare per le caviglie. Lanciò un singhiozzo di disperazione non appena la presa si spostò sui suoi fianchi.
Jefferson le avvolse le braccia intorno alla vita, cercando di risollevarla da terra. Belle prese a dimenarsi come una furia.
- No!- strillò, scalciando e agitando le braccia nel tentativo di liberarsi, ma stava iniziando a sentire le forze venirle meno. Jefferson la sollevò da terra, prendendola in braccio. Belle continuò a scalciare e a tentare di divincolarsi per tutto il breve tragitto che li separava dalla sua cella. Strinse i pugni e cercò di colpire Jefferson, ma vedeva ancora doppio.
Lentamente, la testa iniziò a divenirle più pesante, il pulsare alle tempie si accentuò; la vista le si annebbiò ancora di più, e a malapena Belle si accorse che l’infermiere l’aveva rimessa distesa sul suo letto.
Jefferson iniziò a rovistare nelle proprie tasche con le mani che tremavano; la nuca gli faceva male, forse addirittura sanguinava, ma non gli importava. Estrasse la siringa con la morfina, afferrando il braccio di Belle, ormai semicosciente.
- Mi dispiace…- mormorò, con la voce incrinata; s’impose di far cessare il tremore alle proprie mani mentre infilava l’ago nella vena. - Mi dispiace…- ripeté, facendo entrare la morfina nel sangue della ragazza.
Mi dispiace…
Belle fece appena in tempo a udire quelle parole lontane e indistinte, prima che di fronte ai suoi occhi tornasse l’oscurità.
 
Angolo Autrice: Preciso che non sono per niente convinta di questo capitolo, ma ho deciso di pubblicarlo ugualmente perché 1, ero in ritardo pauroso (scusate!!!) e 2, perché nonostante abbia cercato di rivederlo e aggiustarlo più e più volte, questo sembra essere il massimo che la mia vena di fanwriter ultimamente frustrata è in grado di produrre. Quindi, se ci sono eventuali obbrobri, non esitate a farmelo sapere.
E’ in buona parte incentrato su Michelle Wood (e quindi un doppio scusa va a parveth89), che spero di continuare a rendere il più fedele possibile all’originale creato dalla suddetta…A proposito di quella parte, le citazioni di Ethan “Tramp” Cooper, di Rod e della caccia sono tratte – su gentile concessione di LadyAndromeda – dalla ff Lady and the Tramp in Storybrooke.
Ora, comunicazione di servizio. Ho fatto un paio di conti e come avevo già anticipato a NevilleLuna questa storia avrà in totale 20 capitoli (21 al massimo, se mi accorgerò che qualcosa non quadra). Dal prossimo ricominceremo ad avere la Rumbelle in senso proprio, anche se pochina, l’apice si avrà dal 18 in poi…
Dunque, ringrazio chi ha aggiunto la storia alle seguite, alle ricordate, alle preferite e Ele 95, parveth89, LadyAndromeda, NevilleLuna, jarmione, kagura, historygirl93, nari92, 1252154, Paibak, Valentina_P, Eruanne, Lety Shine 92, oOBlackRavenOo, Avly, Belleaiken, Lady Deeks e Sylphs per aver recensito.
Ciao, al prossimo capitolo!
Un bacio,
Dora93

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Capitolo 17
*** The Moment of Truth ***


The Moment of Truth

 
Entrare di notte nell’ufficio di Regina le era sembrata la soluzione migliore: una volta neutralizzato il sistema d’allarme, avrebbe avuto tutto il tempo per agire in tranquillità e trovare quello che le serviva. Emma si era illusa di poter portare a termine il suo lavoro con calma, ma ora le tremavano le mani dall’ansia e dalla fretta. Puntò la torcia contro l’ennesimo cassetto della scrivania; aveva già passato al pettine l’intero archivio senza trovare nulla di consistente, e così era stato per tutti gli altri documenti su cui era riuscita a mettere le mani. Stava cominciando a temere di non essere giunta a nulla, che anche quella pseudo spedizione fosse destinata a concludersi in un buco nell’acqua.
Eppure, il suo istinto le suggeriva che era vicina alla soluzione; conosceva sia Robert Gold sia Regina Mills sufficientemente per dichiarare che, di tutti gli affari che quei due conducevano, almeno i tre quarti nascondevano qualcosa di losco o illegale: insieme, erano una mina pronta a esplodere.
La somma che Regina doveva al signor Gold era grossa, molto grossa; un documento di così grande importanza, certamente non poteva trovarsi alla mercé di tutti. Non sarebbe stato nello stile del sindaco, lasciarsi infinocchiare tanto facilmente. Sicuramente doveva tenere quelle carte al sicuro, in un luogo privato e accessibile solo a lei.
E cosa c’era di più privato della propria scrivania in un ufficio personale?
Emma aprì il cassetto, tenendo la torcia puntata al suo interno e iniziando a scorrere velocemente i fascicoli. La maggior parte erano solo scartoffie burocratiche, più qualche lettera personale e una marea di bollette; Emma non si perse d’animo, e continuò a rovistare.
Proprio sul fondo del cassetto, sepolta da tutta quella marea di fogli, c’era una cartelletta giallognola; Emma la toccò inavvertitamente con una mano: era rigida, liscia, e all’apparenza piena.
La estrasse senza pensarci due volte, posandola sul ripiano della scrivania; il Vicesceriffo si sedette alla sedia girevole, aprendo la cartelletta.
Emma iniziò a leggere; più proseguiva con la lettura, più i suoi occhi s’illuminavano.
 

***

 
- Cioè…Jefferson Hatter sarebbe l’ultima persona ad aver visto Belle, allora?- fece Mary Margaret.
Michelle annuì, mordendosi l’interno della guancia.
- Mia zia ha detto che è entrato nella camera d’ospedale e ha prelevato Belle, prima che lei scomparisse…
- E perché?- incalzò Ruby. - Perché l’ha portata via? Doveva forse fare qualche visita?
- Questo non lo so, Ruby…
- Allora andiamo a parlargli!- proruppe Ashley.- Magari lui può darci delle informazioni utili.
- Ho paura che non sia così semplice…
- Perché? Che intendi dire, Michelle?
Michelle evitò di rispondere, continuando a mordicchiarsi l’interno della guancia e puntando lo sguardo dritto sulle piastrelle della farmacia. Era incredibile come, entrata in una situazione che non la riguardava più di tanto, ora ci si fosse ritrovata improvvisamente immersa fino al collo.
Tutto tornava. O meglio, quasi tutto. Mancavano alcune parti fondamentali – del tipo, dove diavolo si trovasse Belle in quel momento e perché fosse scomparsa –, ma ora molte cose erano più chiare.
Per quanto una parte di se stessa si ostinasse a non volerlo ammettere, la sua razionalità le imponeva di non continuare a ficcare la testa sotto la sabbia come uno struzzo e guardare in faccia la realtà.
E la realtà, che le piacesse o meno, era che Jefferson era il filo conduttore di tutta quella storia. Michelle questo l’aveva compreso; ma fra comprendere qualcosa e accettarla, beh, c’era di mezzo un oceano. Specie se in ballo c’era una persona a cui volevi bene.
Conosceva Jefferson da…una vita, più o meno. Lui aveva una decina d’anni più di lei, eppure questo non aveva impedito loro di conoscersi e porre le basi per un’amicizia che, alla prova del tempo e dei fatti, si era rivelata solida e sincera. Si era sempre trovata a proprio agio con lui, in qualsiasi situazione, fosse stato bere un caffè insieme da Granny, fare quattro chiacchiere oppure confidenze più profonde.
Michelle aveva scoperto solo diverso tempo dopo averlo conosciuto che quel ragazzo così simpatico e gentile era già vedovo e aveva una bambina piccola.
La moglie di Jefferson, Alice, era morta in un incidente d’auto quando Paige, sua figlia, aveva due anni. Da allora, Jefferson era rimasto solo con sua figlia.
Questo particolare non aveva fatto altro che aumentare la diffidenza e l’antipatia delle zie nei suoi confronti.
Eh, già: per quanto il loro carattere dolce e naturalmente gentile potesse in qualche modo trarre in inganno, zia Florence, zia Faye e zia Sally non avevano mai visto di buon occhio Jefferson e la sua amicizia con Michelle. La farmacista non aveva un’idea precisa di cosa pensassero o temessero in particolare – e sospettava che neppure loro in fondo lo sapessero –, ma aveva un paio di supposizioni in merito. I continui borbottii di zia Florence riferiti al conto in banca non esattamente florido e quasi costantemente in rosso di Jefferson, unite alle accuse – perlopiù rimaste infondate, almeno fino a quel preciso momento – di zia Sally sul fatto che fosse un poco di buono che non aveva mai combinato nulla nella vita, se non mettere incinta – e di conseguenza far cacciare di casa dalla sua ricca e bigotta famiglia – la povera Alice Liddle quando aveva vent’anni, nonché le continue raccomandazioni e i mille messaggi sul cellulare che Michelle si ritrovava ogni qualvolta si lasciava sfuggire che sarebbe uscita con lui, le avevano fatto guadagnare la certezza che le zie temessero che fra la loro adorata nipotina e quel disgraziato ci fosse qualcosa di più di un’amicizia, o che questa, un giorno, si trasformasse un sentimento più profondo.
Zia Faye era l’unica ad avere il tatto di non esprimere giudizi in merito e a cercare in qualche modo di rabbonire zia Florence e zia Sally, ma a poco serviva. Le tre zie non erano mai state sposate, e avevano cresciuto la nipote come fosse figlia loro, permettendole di studiare e di crescere serena: ragionevole che, date queste premesse, sperassero un giorno di vederla felice con l’uomo giusto – l’uomo giusto, certo, ma un bel punto a suo favore sarebbe stato senza dubbio il titolo e le sostanze di un ricco affarista o simile.
L’immagine di Michelle che lavorava come una disperata per portare a casa i soldi e mantenere uno squattrinato di marito che non era in grado di offrirle altro se non una catapecchia in cui vivere, e per di più matrigna di una bambina di dieci anni, era un pensiero che avrebbe come minimo causato un infarto a tutt’ e tre.
Michelle non sapeva bene cosa pensare, in merito; all’inizio, la sua unica preoccupazione era stata far sì che Jefferson non si offendesse troppo per la freddezza mista – nel caso di zia Sally – ad aggressività repressa contro cui si scontrava ogni volta che le loro strade incrociavano quella delle tre zie, e aveva riso bonariamente degli assurdi timori di Florence, Faye e Sally. Il vero problema si era presentato quando queste ultime avevano vanamente tentato di combinarle una serie di appuntamenti con il dottor Whale, e a quel punto Michelle si era appellata ai suoi quasi ventisei anni di vita uniti alla sua indipendenza economica, minacciando di andarsene di casa se non l’avessero piantata immediatamente.
Da quel momento, ricordava, aveva sempre più spesso iniziato a ribadire che lei e Jefferson erano solo amici, ma non era più come prima; lo dichiarava con forza sempre maggiore, quasi esagerata, e ogni volta si sentiva come se dovesse difendersi da qualcosa.
La verità era che, in quel momento, nemmeno lei sapeva se lei e Jefferson fossero davvero solo amici, oppure se i timori delle zie fossero giustificati da atteggiamenti reali, di cui forse Michelle non era consapevole. Semplicemente, aveva sempre rifiutato di pensarci, ma in quel momento non poteva sfuggire alla sua coscienza.
Non le era ancora chiaro se Jefferson rappresentasse per lei più di un amico, ma ciò di cui era sicura era che lo stesso, molto probabilmente, non sarebbe valso per lui.
Michelle sapeva che, paranoie a parte, avrebbe dato un dolore alle zie, se avesse deciso di stare con lui; il lavoro duro non la spaventava, ma sapeva che non sarebbe stato per nulla facile tirare avanti con solo il lavoro suo e quello di Jefferson; e poi, c’era Paige. Michelle era tutt’altro che incline a fare discorsi moralisti, e abbastanza intelligente per ammettere la realtà dei fatti…e la realtà dei fatti era che, Dio!, Paige era un problema.
Non che considerasse la figlia di Jefferson come un animaletto fastidioso, o si ponesse di fronte a lei come ogni matrigna delle favole che si rispetti avrebbe fatto; nell’eventualità in cui Paige fosse divenuta la sua figliastra, Michelle sapeva che l’avrebbe cresciuta come se fosse stata sua figlia…ma sarebbe rimasta pur sempre una matrigna, una matrigna a cui la bambina avrebbe anche potuto reagire con ostilità; e lei, in ogni caso, non avrebbe mai potuto sostituire sua madre.
Così come non sarebbe mai completamente riuscita a prendere il posto di Alice nel cuore di Jefferson.
Non è che parlasse molto della moglie; Michelle sospettava che fosse una ferita non ancora del tutto rimarginata. In compenso, Jefferson stravedeva per Paige: avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
Qualsiasi cosa.
Anche rapire una ragazza di diciannove anni, se fosse stato necessario…
- Michelle?
Ruby la guardò seria per un momento, quindi le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla.
- Michelle, se sai qualcosa ce lo devi dire…
- Io non so nulla, ragazze. Per me questa faccenda rimane un mistero almeno quanto per voi…- la farmacista sospirò, volgendo lo sguardo al soffitto e passandosi le mani fra i capelli per calmarsi.- Ma almeno ora abbiamo una pista…- disse infine.- Ashley ha ragione: dobbiamo andare a parlare con Jefferson. Lui è senza dubbio l’ultima persona ad aver visto Isabelle, sicuramente saprà dirci qualcosa…
Non è ancora detta l’ultima parola, Michelle, si ripeté mentalmente mentre le ragazze uscivano dalla farmacia, salivano a bordo della Kia di zia Faye e lei si metteva al volante. Imballò tre volte l’auto prima di riuscire ad accendere il motore e a partire.
Michelle guidò in silenzio, sentendosi lo sguardo di Ruby addosso.
Non è ancora detta l’ultima parola, Michelle.
Stentava a credersi. Una parte, una minuscola parte del suo cuore si ostinava ancora a credere che Jefferson non c’entrasse più di tanto in quella storia, ma anche quella flebile speranza si andava affievolendo man mano che si avvicinava al quartiere dove lui viveva.
Jefferson era coinvolto nella sparizione di Belle. Non aveva idea di quali motivi l’avessero spinto fino a quel punto, ma certo era che era dentro a quella faccenda fino al collo. I registri ospedalieri modificati ne erano una prova: solo un interno all’ospedale avrebbe potuto accedervi e mettervi mano senza dare nell’occhio, e Jefferson lavorava come infermiere là dentro da dieci anni.
E’ il momento della verità, Michelle Wood.
 

***

 
Jefferson si sciacquò il volto, incontrando subito dopo il riflesso delle sue occhiaie nello specchio del lavandino. Peggiorava di giorno in giorno; era passata poco più di una settimana da quando aveva rapito Isabelle French, e da allora doveva aver dormito sì e no un paio d’ore.
La sua coscienza non gli dava pace, soprattutto ora: fino a che Isabelle era stata lucida, lui aveva davvero creduto che se la sarebbe potuta cavare con poco, raccontandole bugie e lasciandola andare quando Regina l’avesse stabilito. Senza che nessuno si facesse male.
E invece, ora tutto stava precipitando. A Jefferson pareva quasi di stare tirando una fune che gli scivolava sempre di più dalle dita, graffiandogli la pelle e facendolo sanguinare.
Dall’esatto momento in cui si era visto costretto a drogare Belle per farla stare buona, aveva compreso di aver imboccato una strada senza ritorno. Regina gli aveva dato quelle pasticche, in caso di emergenza: le usi, nel caso la puledrina dovesse iniziare a scalciare, gli aveva detto. E si ricordi sempre di sua figlia.
Regina sapeva quello che stava facendo? Sapeva che drogare quella ragazza significava compiere un gesto non solo spregevole, ma anche ultimo, finale, senza via di scampo? Quando lui avesse smesso di somministrare a Belle French quella porcheria, lei avrebbe certamente compreso tutto, una volta riacquistata la propria lucidità. Voleva dire che sarebbe stata in grado di riconoscerlo, di accusarlo. Voleva dire che tutto sarebbe venuto a galla. Voleva dire galera, ecco cosa voleva dire!
Voleva dire che non avrebbe più rivisto Paige, in ogni caso…
A meno che Regina non avesse deciso un finale diverso per quella storia. A meno che il sindaco Mills non gli avesse ordinato di somministrare a Belle una maggiore quantità di pasticche, oppure pillole di un genere diverso, magari un mix di medicine o una flebo di insulina o di sangue di un gruppo diverso. Sarebbe bastato davvero poco perché Belle…
Jefferson si sentì quasi sollevato quando il suono del campanello, seguito immediatamente da dei violenti colpi alla porta, lo distrasse da quei cupi e claustrofobici pensieri, e trascorse una consistente manciata di secondi prima che si domandasse chi era. Paige era uscita quella mattina per andare a scuola e gli aveva detto che si sarebbe fermata a cena da un amico; Regina aveva detto chiaramente che gli avrebbe fornito tutte le istruzioni per via telefonica; a Jefferson passò brevemente per la testa il pensiero che potesse trattarsi di Michelle – gli sembrava che fosse trascorsa una vita dall’ultima volta che l’aveva vista, prima che tutta quella storia avesse inizio.
I colpi alla porta si fecero più forti e violenti, quasi volessero sfondare l’entrata; Jefferson scosse il capo come per riprendersi, quindi corse al piano di sotto per aprire.
Tutto avvenne molto in fretta.
Jefferson non fece in tempo ad aprire la porta che un pugno lo colpì violentemente all’altezza del labbro, facendolo barcollare e indietreggiare pericolosamente. Prima che riuscisse a metabolizzare ciò che era appena accaduto o a guardare in faccia il suo aggressore, un altro colpo lo raggiunse sullo zigomo, mandandolo al tappeto. Jefferson si ritrovò disteso sul pavimento, la mano destra premuta contro il labbro sanguinante.
- Dov’è?!- ringhiò una voce.
Jefferson boccheggiò, guardando stralunato l’uomo di fronte a sé. Un violento colpo di un bastone lo raggiunse all’altezza della spalla sinistra, strappandogli un gemito di dolore.
- Dov’è? Che cosa le hai fatto?!
Jefferson cercò di risollevarsi da terra, ma il suo aggressore lo precedette, afferrandolo per il bavero della camicia fino a tirarlo in piedi; l’infermiere si sentì sbattere violentemente contro il muro. Un attimo dopo, il suo sguardo incontrò quello furioso del signor Gold.
- Che cosa le hai fatto, maledetto bastardo?!
Jefferson boccheggiò, un attimo prima che Gold gli piantasse il manico del bastone contro la gola.
- Gold…- ansimò Jefferson, stralunato. Lo stava soffocando.
- Che ti ha detto quella puttana per convincerti a fare una cosa del genere?! Cosa ti ha dato Regina? Dov’è Belle? Dimmi dov’è, o giuro che non ti lascerò uscire vivo da qui!
- Fermo!
Gold si sentì afferrare per entrambe le braccia e tirare via con forza da Jefferson. Il bastone gli cadde di mano, liberando l’uomo dalla stretta; Jefferson prese a tossire, barcollando nel tentativo di rimanere in piedi. Il signor Gold ringhiò furiosamente, pronto a spingere lontano da sé chi stava cercando di fermarlo; si bloccò quando incrociò il volto della signorina Wood.
 

***

 
Le quattro ragazze avevano compreso cosa stava succedendo quando avevano scorto in lontananza la Cadillac del signor Gold parcheggiata a pochi metri dalla casa di Jefferson, e la porta di quest’ultimo aperta. Michelle e Ruby si erano precipitate giù dall’auto per prime, e la farmacista quasi era inciampata sulla soglia per la fretta di entrare in casa.
Quando avevano visto cosa stava succedendo, lei e Ashley si erano lanciate sui due nel tentativo di dividerle; Mary Margaret era rimasta in disparte: non aveva ancora fatto il test di gravidanza, e quindi la possibilità che fosse incinta rimaneva ancora appunto una possibilità – sebbene non poi così remota – e temeva che anche solo uno spintone dato inavvertitamente avrebbe potuto fare del male all’eventuale bambino. Ruby, invece, pareva aver perso tutta la sua ferocia da leonessa che aveva mantenuto sino a mezz’ora prima, e ora se ne rimaneva a guardare la scena in disparte come se stesse assistendo a un film.
- Basta!- ansimò Michelle, tirando Gold verso di sé per allontanarlo da Jefferson e nel contempo continuando a guardare l’amico di fronte a sé.
- Così lo uccide…- soffiò Ashley.
Il signor Gold si liberò della presa delle due ragazze con un gesto innervosito, ma si aggrappò subito alla superficie del tavolo accanto a lui per riuscire a rimanere in piedi. Mary Margaret si avvicinò timorosa, raccogliendo il bastone da terra e porgendoglielo; lui glielo strappò di mano con furia, senza ringraziarla. Michelle vide Jefferson ansimare, scuotendo il capo come per riprendersi oppure per metabolizzare ciò che era appena accaduto. Si appoggiò alla parete alle sue spalle, il labbro che ancora sanguinava. La farmacista lo guardò: era pallido, con gli occhi cerchiati, era dimagrito e pareva essere invecchiato di dieci anni dall’ultima volta che l’aveva incontrato. Temette che stesse per svenire da un momento all’altro, e corse in suo aiuto, afferrandolo per un braccio.
Gold non la smetteva di guardarlo come se volesse ucciderlo. Michelle afferrò una sedia poco distante, facendo sedere Jefferson.
- E ora, vediamo di chiarire questa storia…
 

***

 
- Pensi che gli starà facendo male?- Paige si morse il labbro inferiore, scoccando un’occhiata preoccupata a Henry. Il bambino lasciò che le corde dell’altalena su cui era seduto si sciogliessero completamente, facendogli terminare il giro su se stesso, prima di rispondere.
- No, sta’ tranquilla - disse, cercando di apparire convincente.- In fondo, il signor Gold è una persona ragionevole.
- Se lo dici tu…- mormorò Paige, dondolandosi appena sull’altalena. Quel giorno il parco giochi di Storybrooke era stranamente deserto, ma a nessuno dei due dispiaceva. Non erano molti i luoghi in città che conoscevano o a cui avevano accesso, e con tutto quello che stava succedendo avevano bisogno di ragionare con calma e senza essere disturbati.
Henry prese a fischiettare nervosamente.
- E ora, cosa credi che succederà?- incalzò Paige.
- Beh, sicuramente il signor Gold libererà Belle…- fece Henry.- E poi, si vedrà…
- Credi che il mio papà non sarà accusato?
- Penso di no. In fondo, può sempre spiegare tutto al signor Gold. Se fossimo andati alla polizia, invece…
- Se foste andati alla polizia, allora questa storia si sarebbe risolta molto prima!
I due bambini sobbalzarono; Paige scese dall’altalena, scattando in piedi. Entrambi si sentirono morire quando si ritrovarono di fronte lo Sceriffo Graham Hunter, con un’espressione e uno sguardo che lasciavano intendere tutto tranne che fosse di buon umore. A Henry la sua figura parve più alta e imponente del solito. La sua ombra li sovrastava.
- Sapevo che voi due stavate nascondendo qualcosa, e ora so anche di che cosa si tratta - proseguì Graham, facendo una smorfia.
- Graham, ascolta…noi…noi non…- balbettò Henry.
- Ci lasci spiegare…- implorò Paige.
- Oh, ma certo! Certo che vi lascerò spiegare. Ma mi spiegherete tutto in centrale - Graham prese Henry per un braccio e lo spinse gentilmente in avanti, quindi tese la mano a Paige. Guidò entrambi fino all’auto parcheggiata a pochi metri di distanza, facendoli sedere sul sedile posteriore e accomodandosi quindi al posto di guida. Graham li spiò entrambi dallo specchietto retrovisore: avevano le stesse facce di due condannati a morte.
- E stavolta non voglio bugie, sono stato chiaro?
 

***

 
Michelle vide che a Jefferson tremavano le mani mentre si portava alle labbra l’ennesimo bicchiere d’acqua; sembrava quasi sotto shock. Ma la farmacista dubitava che ciò fosse dovuto all’aggressione di Gold. Era la sua coscienza, pensò, che lo tormentava.
- Sappiamo che cosa hai fatto, Jefferson - esordì.- A dire il vero, speravamo che tu non c’entrassi nulla in questa storia, ma dopo quanto è successo…beh, direi che di dubbi ne restano ben pochi…
- Perché l’hai fatto?- incalzò Ruby. - Sei stato tu a rapire Belle! Perché? Che cosa vuoi da lei?
- Credo che lui non voglia niente da Belle, signorina Lucas - sibilò Gold, senza staccare gli occhi da Jefferson.- E’ stata Regina Mills a ordinargli di rapirla. Non è così, Hatter?
Jefferson annuì lentamente, senza guardare negli occhi nessuno dei presenti, ma concentrato solo su un punto indistinto sul pavimento di fronte a sé.
- Sì. E’ stato il sindaco Mills a ordinarmelo.
- Perché?- fece Mary Margaret.- Che cosa vuole da Belle?
- Non lo so. Lei mi ha detto che dovevo rinchiuderla e così ho fatto - la voce di Jefferson s’incrinò.- Ha detto…lei ha…lei mi ha minacciato di portarmi via Paige, se non l’avessi fatto…- sollevò il capo, guardando negli occhi Ashley, Mary Margaret, Ruby e Michelle, soffermandosi su quest’ultima.- Mi dispiace. Io non…- guardò il signor Gold.- Io non volevo farle del male, ve lo giuro…Ma…Paige…per favore…
Michelle si passò una mano fra i capelli, sospirando. Le cose stavano esattamente come aveva intuito. Jefferson era un bravo ragazzo, e lei lo sapeva. Ma sapeva anche che non avrebbe esitato a mettere da parte tutti i suoi buoni principi, se di mezzo c’era sua figlia.
- Ma che diavolo vuole Regina Mills da Belle?- proruppe Ashley.- Io non capisco…Perché rapirla? Che cosa sperava di ottenere?
- Questo forse lo so io, signorina Boyd - sibilò Gold, fra i denti, stringendo l’impugnatura del suo bastone.- Ma questo non è il momento di discuterne - tagliò corto, tornando a rivolgersi a Jefferson.- Dov’è Belle, adesso?
- All’ospedale…nel vecchio manicomio…- soffiò l’uomo. - Ma non sono il solo a saperlo. Regina ha ingaggiato una delle infermiere. Mi controlla, spia tutto ciò che faccio. Se si accorgesse di qualcosa, avviserebbe subito Regina…
- E crede che io mi lascerò spaventare da quelle due?!- ringhiò Gold.
Ruby lo guardò di sottecchi: doveva ammettere di sentirsi veramente confusa, a riguardo. Sin da piccola, aveva sempre temuto e odiato il signor Gold, considerandolo un uomo malvagio e senza cuore. Complice anche l’affitto da strozzino che pretendeva da lei e da sua nonna, il suo astio non aveva fatto altro che crescere negli anni. Quando aveva saputo che Belle, la sua migliore amica di sempre, si era innamorata di lui, l’aveva vissuto come un tradimento personale e l’aveva allontanata. Quando poi la sua coscienza aveva iniziato a scalciare e aveva deciso di farsi perdonare, le mille domande su cosa Belle ci avesse trovato in lui avevano comunque continuato a persistere, insieme all’intima convinzione che, prima o poi, la storia sarebbe inevitabilmente degenerata e la sua amica si sarebbe pentita amaramente della sua decisione di stare con quel bastardo, e che lei, Ruby, avrebbe dovuto aiutarla e proteggerla. Questa convinzione, per lei, equivaleva a un dato di fatto. Era solo questione di tempo, prima che accadesse.
E invece, Gold in quel momento stava abbattendo tutte le sue certezze ad una ad una, e l’effetto domino stava avendo dei risvolti scioccanti. Prima il fatto che avesse quasi ammazzato French per quello che aveva fatto a Belle, e ora quella sua foga mista a disperazione nel volerla ritrovare…
Certo, l’antipatia nei suoi confronti era dura a morire e probabilmente non sarebbe mai sparita del tutto, ma in quel momento il suo comportamento la stava davvero spiazzando. E facendo un poco ricredere.
- Ora lei mi porterà da Belle. Subito.
 

***

 
Come tutte le cose positive, anche il suo buon umore di quel giorno era destinato a non durare. Regina questo lo sapeva ma, se avesse potuto scegliere, di certo non sarebbe stata Emma Swann a guastarglielo.
Quando l’aveva vista scendere da quel suo assurdo e ridicolo maggiolino giallo e incamminarsi lungo il vialetto di casa sua, aveva accarezzato l’idea di fingere di non essere in casa, e l’aveva portata avanti fino al terzo, insistente, snervante squillo del campanello. A quel punto, vedendo che quella donna irritante non aveva alcuna intenzione di andarsene, si era detta che tanto valeva tagliare la testa al toro e vedere cosa diamine volesse.
- Buongiorno, signorina Swann - l’accolse, con un sorriso tanto cordiale quanto gelido.- Posso fare qualcosa per lei? Se è qui per Henry, beh, l’avverto, mio figlio non è in casa…e se anche lo fosse, non potrebbe vederlo in ogni caso.
- A dire il vero, signor sindaco, sono qui per lei - replicò Emma, senza scomporsi.
- Oh, davvero?- fece amabilmente Regina.- E potrei sapere cosa vuole da me, signorina Swann.
- Devo chiederle di seguirmi.
- Oh! E a che titolo?
Emma sospirò, estraendo le manette dalla tasca dei jeans.
- La dichiaro in arresto, signora Mills.
Il sorriso di Regina le morì sulle labbra; le parve quasi che il sangue avesse smesso di fluirle nelle vene.
- In arresto? E per che cosa?- si ritrasse di un passo.- Con che diritto lei…?
Emma non attese oltre, e le ammanettò i polsi.
- Io sono il Vicesceriffo, signora Mills, e ho il diritto di arrestarla. Quanto alla motivazione…- Emma la guardò negli occhi.- Beh, credo che se le accennassi a una grossa falla nelle finanze della città lei mi capirebbe, non è vero?
Regina boccheggiò, rabbrividendo al contatto delle manette fredde contro la pelle calda.
- Ha il diritto di rimanere in silenzio.
 
Angolo Autrice: So che avevo promesso Rumbelle in questo capitolo, ma mi sono resa conto che, se avessi inserito le scene che mi ero prefissata, allora sarebbe venuta fuori una pergamena di capitolo, e dividerlo più avanti nel tempo sarebbe stato poco pratico e anche poco estetico. Comunque, non temete, nel prossimo avremo quel pochino di Rumbelle che avevo promesso, mentre l’apice lo avremo nel 19 – ah, per la cronaca, i capitoli sono in tutto 21. Chiedo scusa a tutti per il ritardo, e se non ho risposto a tutte le recensioni. Il punto è che non ho proprio avuto tempo e farlo ora mi sembra inutile, dal momento che credo vi siate pressoché dimenticati di ciò che avete scritto. Comunque, ci tengo a ringraziare tutti quanti per i loro consigli, complimenti, critiche costruttive e per avermi seguito fino a qui, facendo raggiungere a questa storia quota 212 recensioni! Davvero, ragazzi, grazie :)! Siete fantastici! Prometto che in futuro cercherò di rispondere a tutte le recensioni, ma non abbandonatemi, per favore! Dunque, riguardo a questo capitolo…le cose stanno iniziando a risolversi, e nel prossimo capitolo avremo il salvataggio di Belle...Regina è stata arrestata, ma non cantate vittoria troppo presto…non vi siete dimenticati del caro Gaston, vero? ;).
Due paroline su Michelle e il suo rapporto con Jefferson…dunque, inizialmente in questa storia avevo intenzione di farli rimanere amici per il fatto che Michelle appartiene a parveth89, la quale, per quel che ne sapevo, avrebbe anche potuto non gradire una love story fra loro due e denunciarmi per plagio. Tuttavia, in cuor mio, già shippavo questa coppia anche grazie alle vostre recensioni, in cui erano molto gettonati…fino a che, non molto tempo fa, meraviglia delle meraviglie!, parveth89 inizia una long che mi sta alquanto esagitando, ovvero Two sisters, in cui rende finalmente possibile una storia d’amore fra Jefferson e Michelle. Quindi, oltre a ringraziare profondamente parveth89 per questa sua idea, comunico a lei e a tutti quanti che mi sono sentita autorizzata a inserirla anche nella mia long…spero non dispiaccia a nessuno!
Bene, detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Vi lascio solo con una domanda: sinceramente…c’è qualcuno a cui piace questa nuova Lacey?
E con questo, passo e chiudo.
Ciao!
Dora93

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Capitolo 18
*** I'm With You ***


I’m With You

 
- Okay…qualcuno ha qualche idea?- chiese Michelle, tormentandosi una ciocca di capelli con le dita.
Sospirò, forse per la centesima volta quel giorno; l’intera faccenda le era sembrata una specie di crociata al salvataggio della principessa prigioniera, ma ora che si trovavano a un passo dal tirare finalmente Belle fuori da lì, sembrava che tutti avessero perso il proprio fuoco.
Tutti tranne il signor Gold, forse, ma di certo anche lui si rendeva conto che la situazione non era così facile come appariva. Come se lo fosse mai stata, d’altra parte…
Il viaggio in auto per tutto il tragitto che li separava dalla casa di Jefferson all’ospedale di Storybrooke era stato…estenuante. Per tutti. Nessuno escluso.
Michelle aveva continuato stoicamente a guidare stringendo il volante della Kia come se temesse che le stesse per sgusciare via di mano da un momento all’altro, imponendosi di concentrarsi sulla guida e a lanciare a Jefferson solo qualche breve occhiata di sottecchi.
Così, giusto per controllare che non tentasse di suicidarsi lanciandosi dal finestrino.
Jefferson se ne era rimasto seduto accanto a lei in silenzio tombale per tutto il tragitto. Effettivamente, aveva più volte pensato Michelle, sembrava davvero uscito da una tomba. Il pallore, se possibile, si era accentuato, le occhiaie erano più marcate, e la farmacista aveva notato che faticava a trattenere un furioso tremore alle mani. Prima o poi sarebbe scoppiato a piangere, ne era sicura.
Ashley, seduta sul sedile posteriore, sembrava estremamente a disagio, come se avesse desiderato essere in qualunque altro luogo tranne che lì. Michelle pensava addirittura che rimpiangesse non solo la compagnia di Sean e di Alexandra, ma perfino quella di suo suocero!
L’ambiente all’interno della Cadillac di Gold non era meno teso, tutt’altro. Il proprietario guidava furiosamente, le mascelle serrate e l’espressione di chi ha tutta l’intenzione di investire il primo che gli fosse capitato a tiro, e aveva imboccato un paio di curve a una velocità tale che Mary Margaret, fra probabile gravidanza e tutto, per un attimo aveva davvero temuto di dare di stomaco sui sedili foderati di pelle. Stava iniziando a chiedersi che razza di idea perversa le fosse passata per la mente quando aveva deciso di salire in auto con lui, invece di scapicollarsi in uno dei posti liberi nella Kia di Michelle. Tanto più che il signor Gold già non era una persona gradevole in condizioni normali…ora che avevano scoperto cos’era successo a Belle, stare in sua compagnia era peggio che mai.
Ruby, da parte sua, non aveva fatto una piega, anche se non poteva dire di trovarsi a suo agio. Si era imposta di tenere gli occhi puntati sulla strada e di non incrociare mai lo sguardo del guidatore al suo fianco, sebbene ogni tanto si azzardasse a lanciargli qualche sbirciatina. Sembrava davvero preoccupato per Belle, e ben deciso a tirarla fuori da quel posto; a Ruby lui ancora non piaceva e, la ragazza ne era certa, non sarebbe mai riuscita a sopportarlo del tutto, ma di certo, se aveva pensato che i suoi sentimenti per Belle non fossero sinceri, ora si doveva ricredere.
E poi, doveva ammetterlo: l’aver conciato Moe per le feste era un bel punto a suo favore.
Un paio di volte Ruby si era chiesta se non fosse il caso di complimentarsi con Gold per questo, ma si era trattenuta.
- Che idea vuole avere, signorina Wood?- ringhiò Gold.- Entriamo e tiriamo Belle fuori da lì…
- Non è così semplice…- soffiò Jefferson. A Michelle parve stupefacente il fatto che possedesse ancora l’uso della parola.- Ve l’ho detto, c’è quell’infermiera…Lavora per Regina, lei di sicuro cercherà d’impedircelo, o chiamerà Regina.
- E io le ho già detto che quelle due arpie non mi spaventano!
- Chiamiamo la polizia!- s’intromise Ruby. - E’ la cosa migliore da fare. Lo Sceriffo risolverà tutto…
- Sì, è vero - convenne Mary Margaret.- E’ l’unica cosa che possiamo fare…
- No!- protestò Michelle, a cui non era sfuggito l’improvviso aumento del tremore alle mani di Jefferson non appena Ruby aveva pronunciato la parola polizia.
- Perché no?- fece Ashley, perplessa.
- Perché…perché…- Michelle boccheggiò.- Perché in questa storia ci sono molte più vittime di quanto non sembri, e se chiamassimo la polizia…beh, non credo che in questo caso la parola giustizia sarebbe adatta…
La farmacista chinò il capo; le tre ragazze la guardarono, senza capire. Gold inarcò un sopracciglio, spostando istintivamente lo sguardo prima su Jefferson quindi su Michelle.
- Ma…- iniziò Mary Margaret.
- Dobbiamo trovare un’altra soluzione - dichiarò Michelle, ripresasi.- Dobbiamo far uscire Belle da quel sotterraneo da soli, ma senza che nessuno se ne accorga.
- E come credi di fare?- s’informò Ruby.
Gold non diede tempo a Michelle di rispondere.
- Hatter!- chiamò l’uomo.- Lei ci lavora, là dentro…c’è un’altra entrata che possiamo utilizzare? Una che ci porti direttamente all’interno del vecchio manicomio senza che nessuno ci veda…
- Ce n’è una, ma può essere aperta solo dall’interno - soffiò Jefferson.- Potremmo casomai utilizzarla come via d’uscita, ma il modo più veloce per entrare è il corridoio che conduce all’ascensore…e per raggiungerlo, bisogna passare di fronte alla reception - l’infermiere indicò con un cenno del capo l’infermiera che aveva assoldato Regina, e che ora se ne stava seduta dietro il bancone scrutando la sala d’aspetto con occhi di falco.
- Maledizione!- imprecò Gold, fra i denti.
- Quindi, in qualunque maniera la mettiamo, saremmo costretti a passare comunque di fronte alla complice di Regina…- mormorò Mary Margaret.
- Davvero, signorina Blanchard? E cosa glel’ha fatto intuire?- ironizzò Gold.
- Avviserà immediatamente la Mills - fece Ruby.- Il sindaco da sola non è una grave minaccia, ma non mi fido di lei. Chissà, non vorrei che ci riserbasse qualche sorpresa…
- E’ quello che temo anche io, signorina Lucas. Regina di certo non ha lasciato nulla al caso, saprà come fermarci.
- Ci occorre un diversivo - dichiarò Michelle, risoluta.
- Un…diversivo?- fece eco Ashley, perplessa.
La farmacista annuì.
- Qualcosa che distragga quell’infermiera, che l’allontani dalla hall il tempo necessario perché noi possiamo entrare. Dopo che avremo liberato Belle, potremmo andarcene dall’uscita secondaria.
- E cosa avresti in mente, di preciso?- chiese Jefferson.
Michelle fece un sorrisetto, voltando il capo.
D’un tratto, Mary Margaret si sentì chiamata in causa da tutti, e arrossì violentemente.
 

***

 
- E che dovrei dire, con esattezza?- bisbigliò Mary Margaret, mentre Ashley l’accompagnava al bancone della reception tenendola per le braccia come se temesse che la maestra stesse per fuggire da un momento all’altro.
Timore non del tutto ingiustificato, in effetti.
- La verità: che sei incinta - le sussurrò Ashley di rimando.
Mary Margaret le rivolse un’occhiataccia.
- A parte che non è ancora detto…se le dico così, lei potrebbe anche rispondermi con un “congratulazioni, signorina!”, e rispedirci da dove siamo venute!
- Beh, allora dille che…
- Posso fare qualcosa per voi, signorine?
Mary Margaret trasalì; non si era neppure accorta che lei e Ashley erano arrivate di fronte all’infermiera, la quale ora le stava guardando con espressione scocciata e un sopracciglio alzato, a indicare quanto fosse spazientita.
- Ehm…- la maestra boccheggiò, sentendo che era arrossita di nuovo.- Noi…
- Voi?
- Noi…non avremmo bisogno di…di…
- La mia amica ha prenotato una visita ginecologica!- intervenne Ashley.
L’infermiera fece una smorfietta, increspando le labbra e inforcando gli occhiali, prendendo a scorrere i registri dell’ospedale.
- Nome, prego?
- Mary Margaret Blanchard.
- Un attimo solo…Ma l’avverto, signorina, che il suo medico potrebbe non essere qui a causa di quell’incidente ferroviario. Nel caso, dovrà accontentarsi del dottor Whale.
- Che cosa?!
Ashley le sferrò una gomitata. La maestra la guardò in cagnesco.
- Che cosa c’è?!
- Non fare la scema! Ricorda che lo stiamo facendo per Belle!- le bisbigliò Ashley tra i denti.
- Io non faccio la scema, ma non voglio nemmeno che Whale metta le sue manacce…
- Qual è il problema?! Siete anche usciti insieme!
- Appunto!
- Mi spiace, ma non riesco a trovare nessuna signorina Mary Margaret Blanchard da nessuna parte - dichiarò l’infermiera, con aria freddamente cordiale.
- Controlli meglio, ci deve essere - l’incitò Ashley.
L’infermiera roteò gli occhi.
- Sentite, signorine…a parte che mi sembra inverosimile che le abbiano prenotato una visita di quel genere soprattutto in questi giorni, le posso assicurare che…
Mary Margaret emise improvvisamente un gemito strozzato, afferrandosi il ventre con una mano e piegandosi in due sulle sue ginocchia, mentre il suo volto assumeva un’espressione sofferente.
- Oh, mio Dio! Si sente bene?!- esclamò l’infermiera.
- Ehm…credo di dovermi sdraiare un attimo…- soffiò Mary Margaret. Ashley trattenne un sorrisetto compiaciuto, imponendosi di assumere un’aria preoccupata, e afferrò l’amica per le spalle fingendo di sostenerla.
- Oh…ehm…certamente. Venga, l’accompagno…- l’infermiera lasciò il suo posto dietro al bancone, affrettandosi a raggiungere le due ragazze e a sostenere Mary Margaret.- Ce la fa a camminare?
 

***

 
Il signor Gold stringeva convulsivamente l’impugnatura del suo bastone, visibilmente impaziente. Jefferson camminava su e giù da dieci minuti ininterrotti, mentre Michelle aveva mollato la corda e si era seduta su un gradino poco distante, in attesa.
Ruby si sollevò sulle punte per vedere meglio oltre il vetro: finalmente, scorse Ashley e Mary Margaret allontanarsi accompagnate dall’infermiera. Si voltò, intercettando lo sguardo di Michelle.
Via libera!
 

***

 
Jefferson non fece in tempo ad aprire la serratura che Gold lo allontanò dall’entrata con uno spintone, spalancando la porta ed entrando come una furia nella stanza. Ruby lo seguì di corsa, ma si arrestò a pochi passi dalla soglia quando si trovò di fronte a quella scena.
Belle giaceva distesa su di un lettino disfatto, con addosso la stessa camicia da notte dell’ultimo giorno in cui l’avevano vista prima che scomparisse, e tutta la sua figura trasmetteva un abbandono che le diede i brividi; i capelli erano sciolti, sparsi sul cuscino in modo da formare quasi una corona intorno al suo capo. Teneva gli occhi chiusi, ed era terribilmente pallida, cianotica. Era immobile. Troppo immobile…
Ruby si accorse di aver ripreso a respirare solo quando Belle, forse disturbata dal rumore o dalla luce che era filtrata nella stanza, emise un debolissimo gemito a fior di labbra.
Michelle si fece strada arrancando e superando Jefferson, che se ne restava appoggiato allo stipite della porta come se fosse aggrappato all’ultimo sostegno rimastogli prima di sprofondare in un abisso. La farmacista fece appena in tempo a scoccargli un’ultima, inquietata occhiata, prima di tornare a guardare Gold. L’uomo era stato l’unico ad avere abbastanza sangue freddo per raggiungere la ragazza e cercare di rianimarla.
-Belle!- chiamò l’uomo, scuotendola delicatamente per le spalle. A Ruby diede l’impressione di starsi contenendo, probabilmente per via della loro presenza, ma era chiaro che se avesse potuto si sarebbe messo a urlare.
- Belle, svegliati!- ripeté Gold; le passò dolcemente una mano sulla fronte, scostandole una ciocca di capelli.- Belle! Sono io…mi senti?
Quasi in risposta a quella domanda, la ragazza aprì lentamente le palpebre, incrociando lo sguardo di Gold. Ma non era uno sguardo chiaro e lucido, il suo. Pareva stesse ancora dormendo, o che non riuscisse a mettere a fuoco l’immagine.
- Belle!- chiamò Gold. Michelle non fece troppa fatica a notare il tono sollevato della sua voce.
- R-Robert?- boccheggiò la ragazza.
Ruby parve risvegliarsi da uno stato di trance, e corse a fianco di Gold.
- Belle! Come ti senti?- gridò quasi.
La ragazza scosse il capo, come se fosse stata tremendamente confusa o non riuscisse a ricordare qualcosa. Aveva la fronte bagnata, tremava e sudava freddo.
- Ru…by?- soffiò. La cameriera annuì, azzardando un piccolo sorriso.
Belle sbatté le palpebre con poca forza, quindi puntò i gomiti sul materasso, tentando di mettersi a sedere. Gold l’aiutò passandole una mano dietro le spalle, e Ruby le prese un braccio. Belle riuscì a sollevare un poco il busto, ma era evidente che non stava affatto bene. L’attaccatura dei capelli era appiccicata alla fronte, grondava di sudore, il pallore pareva essersi accentuato e il tremore aumentato.
Belle si piegò in avanti, portandosi una mano alla bocca, scossa da conati di vomito.
Ruby si gettò verso di lei, afferrandole le spalle; la ragazza tremava come una foglia, e i conati non cessavano, ripetendosi uno dietro all’altro con sempre più frequenza.
Michelle raggiunse il terzetto, aiutando Ruby a rimettere Belle in piedi; la farmacista non fece in tempo a spalancare con un calcio deciso una porticina alla loro sinistra – un bagno che era stato aggiunto come stanza alla celletta – e a entrarci dentro insieme alle altre due ragazze, che tutt’e tre finirono in ginocchio di fronte alla tazza; Belle ne afferrò il bordo con le mani, piegandovisi sopra e iniziando a dare di stomaco. Ruby le accarezzò il dorso, prendendole i capelli e scostandoglieli all’indietro.
Michelle si rialzò a fatica dal pavimento.
- Lasciala fare…!- soffiò, rivolta a Ruby. - E’ meglio così…se vomita, espellerà tutte le sostanze nocive nel suo corpo…
- Sostanze nocive?! Che cosa le hai dato, maledetto figlio di puttana?!
Michelle vide Gold guardare Jefferson come se volesse davvero ucciderlo; temette che stesse per assalirlo come un paio d’ore prima in casa sua, invece l’uomo raggiunse velocemente Ruby e s’inginocchiò a fianco di Belle, accarezzandole i capelli.
La ragazza inspirò a fondo, con gli occhi che le lacrimavano; i conati erano passati, ma il pallore e il tremore permanevano.
Jefferson mosse qualche passo incerto per raggiungere Belle, Ruby e Gold, ma Michelle si parò di fronte a lui; la farmacista lo afferrò per un braccio, trascinandolo fuori dalla stanzetta.
- Che cosa stai facendo?- fece Jefferson, stralunato.
- Tanto per cominciare, sto tentando di evitarti la spiacevole situazione di ritrovarti con un bastone ficcato non stiamo a dire dove…- ringhiò Michelle, sottovoce per non farti sentire.- In secondo luogo, cerco di tirarti fuori dal casino in cui ti sei messo. Hai modificato tu quelle cartelle cliniche, vero?
Jefferson la guardò per un attimo, incerto, quindi annuì, passandosi nervosamente una mano fra i capelli.
- Sì, io…è stata Regina a dirmelo, Michelle. Te lo giuro.
La sua voce era carica di disperazione; una disperazione sincera, acuta. Michelle si sentì stringere il cuore.
- Ti credo, Jefferson…- soffiò la farmacista.- Ma forse possiamo ancora fare qualcosa - aggiunse, risoluta.- Così come hai fatto sparire il nome di Belle da tutti i documenti, puoi sempre rimettercelo. Se l’intera faccenda dovesse giungere alla polizia, Regina non potrà fare più di tanto per trascinarti nel fango insieme a lei. Non se non ci sono prove che dimostrino che sei coinvolto nei fatti. Ti consiglio vivamente di darti una mossa, Jefferson…- aggiunse, a mezza voce.
L’infermiere annuì, rivolgendole uno sguardo grato, ma subito quello stesso sguardo tornò a essere carico di paura e ansia.
- E Belle?- boccheggiò.- Lei sa che cosa ho fatto…saprà riconoscermi, se…
- Le spiegheremo tutto, le diremo come sono andate le cose. Ammetto di non conoscerla molto bene, ma mi pare una ragazza ragionevole. Capirà, vedrai…- aggiunse, un po’ per convincere Jefferson e un po’ per tranquillizzare se stessa.
Jefferson annuì nuovamente, quindi le voltò le spalle e uscì dal sotterraneo.
Michelle sospirò, sperando con tutto il cuore che la faccenda si risolvesse veramente per il meglio. Tornò a guardare Ruby, ancora inginocchiata a fianco di Belle e Gold, ma leggermente allontanatasi da questi ultimi. Belle aveva smesso di vomitare, e ora il pallore del viso si alternava alle guance arrossate, mentre gocce di sudore le scivolavano giù dalla fronte.
La ragazza chiuse gli occhi, sentendosi la testa pesante come un macigno. Le pareva che le pareti della stanza le stessero girando intorno e che il pavimento ballasse sotto le sue ginocchia, ma in compenso il malessere causato dalle pasticche si era un poco attenuato.
Ma aveva freddo; terribilmente freddo, e tremava da capo a piedi. Boccheggiò, sentendo le mani di Gold intorno alle sue spalle.
- Non preoccuparti, Belle. Ci sono io con te.
L’uomo le fece appoggiare il capo contro il suo petto. Belle non oppose resistenza, ma anzi chiuse gli occhi e si abbandonò a quella piacevole sensazione. La sensazione che si prova quando ci si risveglia da un brutto incubo.
 

***

 
- Ecco…ce la fai a camminare?- domandò premurosamente Mary Margaret, aiutando Belle a scendere dalla Kia di Michelle. La ragazza annuì, rivolgendole un breve sorriso e accettando la mano che l’amica le offriva. Scese dall’auto, assicurandosi che le gambe la reggessero.
Stando a quanto aveva detto Michelle, avrebbe dovuto andare in ospedale per accertarsi che i farmaci somministratele da Jefferson non avessero avuto effetti collaterali, ma Belle, pur sapendo che la farmacista aveva ragione, ne aveva abbastanza di ospedali, e non avrebbe mai ringraziato tanto i suoi amici per averla tirata fuori da quella cella.
Gold smontò dalla propria auto, raggiungendo Mary Margaret e aiutandola a far scendere Belle.
La ragazza tenne esclusivamente lo sguardo puntato sulla maestra; quando fu in piedi e Mary Margaret trovò finalmente il coraggio di lasciarla, Belle si volse verso Gold. L’uomo le sorrise debolmente, tentando di abbracciarla; la ragazza si irrigidì, alzando una mano di fronte a lei e frapponendola tra di loro. Gold arretrò; sapeva cosa voleva dire quel gesto: all’ospedale, Belle si era stretta a lui perché stava male, ancora frastornata e intontita dai farmaci, ma adesso che era lucida, tutto ciò che le aveva detto quella sera al negozio dei pegni era bene impresso nella sua mente.
E come avrebbe potuto essere il contrario?
Con quel gesto, aveva evitato categoricamente un contatto fra di loro; lo stava allontanando.
Ruby sbuffò, lanciandosi il borsone da ginnastica su di una spalla e chiudendo con un colpo secco il baule della Kia.
- Ti occorre una mano?- s’informò Ashley.
- No, lascia stare…Michelle, che hai messo qui dentro, un cadavere?!- gridò in direzione della farmacista. Michelle non si curò di rispondere, troppo impegnata a guardare di sottecchi Jefferson. L’infermiere era ancora seduto sul sedile anteriore dell’auto, e la sua espressione persa e vuota non era cambiata di molto. Sebbene ora i documenti fossero stati modificati a dovere, non si sentiva ancora tranquillo. Avevano raccontato a Belle per filo e per segno tutto ciò che era accaduto e perché Jefferson aveva compiuto quel gesto; la ragazza pareva aver compreso le sue motivazioni e, anche se non aveva detto di non voler sporgere denuncia, sembrava abbastanza intenzionata a tenere la bocca chiusa.
Ma Jefferson non era ancora tranquillo.
Ruby si avvicinò a Belle, posando il borsone a terra.
- Sicura di volerlo fare?- le bisbigliò per non farsi udire da Gold.
Belle sorrise, stringendosi nelle spalle.
- E’ l’unica soluzione, Ruby. Almeno finché non risolveremo questo pasticcio.
La ragazza sospirò; le pareva impossibile di essersi trovata invischiata in una simile situazione. Il sindaco Mills, Jefferson, Gold…e lei non si era mai accorta di nulla. Ora che ci pensava, avrebbe dovuto insospettirsi quando Regina le si era presentata da amica e le aveva detto quelle cose…
Ma ora, rimuginare sul passato era inutile. Aveva un’altra sfida da affrontare, ora.
Grazie ai consigli di Michelle, e ad alcuni medicinali che si era portata dietro, era riuscita a ristabilirsi abbastanza in fretta. Ruby e la farmacista le avevano spiegato cosa era accaduto, di come lei non fosse altro che una pedina nella scacchiera della Mills che mirava solo a salvarsi la pelle e a vendicarsi di Gold, del fatto che Jefferson si fosse schierato dalla sua parte solo per tenere con sé sua figlia…
E ora, si presentava il problema di dove andare a stare, almeno temporaneamente. Michelle non aveva ritenuto saggio lasciarla da sola, non in quel momento e non con Regina ancora a piede libero. Belle aveva ingerito una dose spaventosa di pasticche, ed era probabile che potesse avere altri problemi legati a quelle porcherie. Era meglio che avesse qualcuno a fianco che l’assistesse.
E poi, aveva soggiunto la farmacista, Regina era ancora a piede libero, e visto quello che aveva fatto sarebbe stata capace di chissà che cosa, sapendo che lei era libera.
Si presentava dunque il problema di dove sistemarla. Ashley era stata fin da subito scartata: con in casa una bambina piccola da accudire, un matrimonio da preparare e tutto il resto, Belle sapeva che lei sarebbe stata solo un peso. Non poteva tornare a casa sua, non dopo ciò che era successo con suo padre…e, ormai, Belle era certa di aver completamente tagliato i ponti con Moe.
Mary Margaret condivideva l’appartamento con Emma Swann e, a parte i problemi di spazio, non era prudente coinvolgere la polizia finché la situazione non fosse stata chiara. Restavano Ruby e Michelle.
Ma il Bed & Breakfast era un porto di mare, con un viavai continuo di gente curiosa, e per di più Granny nascondeva un doppio lato pettegolo e curioso che non avrebbe giovato a nessuno. Quanto a Michelle…per quanto fosse una cara ragazza, lei e Belle si conoscevano appena. La ragazza si sarebbe sicuramente trovata a disagio, in casa sua, senza contare che le sue tre zie erano una presenza tutt’altro che discreta.
Ed ora, eccola lì, pensò Belle con una punta di amarezza, guardando la casa di Gold di fronte a lei. Ripensò a quando vi era entrata la prima volta quella mattina di Natale, e avvertì una morsa intorno al cuore. Non avrebbe voluto arrivare fino a quel punto, ma non c’era altra soluzione: Gold, se non altro, avrebbe potuto proteggerla da Regina.
Quanto al resto…lei non voleva saperne niente. Lui doveva lasciarla in pace.
Uno spiffero di vento si fece sentire più freddo degli altri, e Belle si strinse nella giacca marrone chiaro indossata sopra la camicia da notte, prestatale da Ashley. Ruby le porse il borsone in cui erano sistemati alcuni abiti di Michelle. Lei e la farmacista avevano più o meno la stessa taglia, e la sua nuova amica era stata così gentile da prestarle qualche suo vestito, almeno finché non fosse riuscita a rimettere piede in casa sua e a riappropriarsi dei propri, di vestiti.
- Ascolta, se non te la senti possiamo trovare qualche altra soluzione…- insistette Ruby, scoccando un’occhiataccia a Gold. Stava iniziando a ricredersi su di lui, ma rimaneva ancora diffidente; d’altronde, tutto quello che era successo era in parte colpa sua, e ancora non si fidava del tutto a lasciare Belle in sua compagnia.
- Davvero, Ruby, va tutto bene…- le rispose Belle, con un sorriso di rassicurazione.
- Va bene…- sospirò la cameriera.- Comunque, io tengo il cellulare acceso. Se dovessero esserci problemi, chiamami immediatamente. Il tempo di procurarmi una mannaia e sono da te.
- Grazie, ma non credo che ce ne sarà bisogno…- ridacchiò Belle. Si volse a guardare tutte quante:- Grazie di tutto, ragazze…vi chiamo domattina per farvi sapere, okay?
- Certo, mi raccomando…- le sorrise Michelle.
- In bocca al lupo!- augurò Ruby, dandole una pacca su una spalla e seguendo la farmacista verso la sua auto.
 

***

 
- Dite che abbiamo fatto bene a lasciarla lì?- bisbigliò Mary Margaret.- Non mi sembra la soluzione migliore, dopo quello che è successo fra di loro…
- Forse non sarà stata la soluzione migliore, ma non ne avevamo altre - rispose Michelle con ovvietà.
- Se lo dite voi…
Michelle guardò di nuovo Jefferson, ancora seduto in auto, quindi si rivolse alle tre ragazze.
- Che dite, vi do un passaggio?- propose.
- Grazie, Michelle, ma David sta venendo a prendermi - rispose Mary Margaret.- Ashley, se vuoi possiamo riaccompagnarti noi, la strada è la stessa…
- Grazie, MM.
- E tu, Ruby?- fece Michelle.
La cameriera si strinse nelle spalle, guardandosi attorno.
- Ti ringrazio, Michelle, ma credo che farò due passi. E poi, ho un appuntamento.
- Davvero? Con chi?
- Con Archie…cioè, volevo dire, il dottor Hopper. Beh, a dire il vero non è un appuntamento, è piuttosto che…insomma, ho promesso di raccontargli la fine di una storia, e…
- Tranquilla, ricevuto!- la bloccò Michelle, con un sorrisetto malizioso.
Ruby sospirò, alzandosi il bavero della felpa.
- Comunque, stasera sono di turno fino alle dieci. Se passi al locale, ti offro un caffè…
- No, Ruby, grazie ma stasera mi sa che ho un impegno…- Michelle guardò Jefferson.- Devo stare con un amico…
 

***

 
Belle seguì Gold in silenzio, sentendo che il cuore aveva accelerato i suoi battiti. Alzò lo sguardo: il sole stava tramontando.
Ma che stava facendo?
 
 
Angolo Autrice: So che dopo tutto questo tempo avrei potuto partorire qualcosa di meglio di questa schifezza, ma non mi è venuto altro. Perdono.
Ringrazio chi legge, chi recensisce e chi ha aggiunto la storia alle seguite/ricordate/preferite.
Nel prossimo capitolo...Rumbelle a volontà!
Ciao!
Beauty

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Capitolo 19
*** Here On This Night ***


Here On This Night

 
- Signora Mills, vista la sua situazione, le consiglierei di procurarsi un buon avvocato…
Regina strinse i denti, allacciando ancora di più le dita delle mani intorno alle sbarre; aveva sempre odiato ammettere la propria sconfitta, ma stavolta Emma Swann aveva dannatamente ragione: era con le spalle al muro.
Nella sua mente iniziavano a intrecciarsi diverse domande, tutte diverse e nessuna con una risposta chiara: chi aveva fatto la spia?; come aveva fatto la Swann a scoprire la verità?; possibile che Gold avesse parlato?; quella ragazzina non era poi così importante per lui, allora…; oppure era stato Jefferson?; ma no, quell’idiota era nella merda fino al collo esattamente quanto lei, aveva troppa paura di perdere sua figlia per azzardarsi a spifferare qualcosa…; e allora, com’era potuto succedere?; che ne sarebbe stato di lei, ora?; calma, Regina, calma, tu qui sei il sindaco, non una qualsiasi poveraccia, in qualche modo riuscirai a cavarti fuori da questa porcata…; e se invece no?; che sarebbe successo?; ci sarebbe stato un processo, poco ma sicuro, e se la Swann aveva tutti i documenti che la incriminavano…; diavolo, sarebbe finita in carcere!; l’avrebbero portata a Boston, a centinaia di chilometri da Storybrooke?; sarebbe finita dietro le sbarre, e chissà quando ne sarebbe uscita…; e Henry?; Dio, il suo bambino!...
- Signora Mills.
Regina aumentò ancora di più la presa intorno alle sbarre, rialzando lentamente il capo fino a incrociare lo sguardo del Vicesceriffo; si sarebbe aspettata di scorgere un sorrisetto maligno, o quantomeno una scintilla di trionfo negli occhi scuri della donna…e invece, Emma Swann appariva impassibile, molto tranquilla come loro due se si trovassero nel salotto di casa sua a parlare di pettegolezzi, invece di stare per iniziare un preliminare di interrogatorio.
- Signora Mills, so che in questo momento desidera tutto tranne il mio consiglio…
- Per l’appunto. Se lo tenga per sé - ringhiò Regina; forse presto sarebbe stata costretta ad andarsene in giro con una specie di pigiama a righe bianche e nere, ma conservava sempre una sua dignità. Emma Swann i suoi consigli poteva benissimo ficcarseli in quel posto.
- …ma forse dovrebbe ascoltarmi - proseguì imperterrita il Vicesceriffo, con un impercettibile sospiro di rassegnazione.- Potrebbe aiutarla.
- Aiutarmi?! Signorina Swann, se crede di prendermi per i fondelli, sappia che ha sbagliato persona - sibilò Regina.- Lei si offre di aiutarmi, quando mi ha appena sbattuto in una cella?! Quando entrambe sappiamo benissimo che lei sta già pregustando la sua vittoria?!
Emma sospirò, afferrando una sedia e ponendola di fronte alla celletta dell’ufficio prima di sedersi stancamente. Si chiese dove diamine fosse finito Graham. L’aveva sentito rientrare mezz’ora prima dal retro della centrale, poi si era chiuso nel suo ufficio senza dire una parola, senza nemmeno farsi vedere.
E ora, quella gatta da pelare se la doveva godere lei.
Emma si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia divaricate.
- Regina - disse, chiamando la donna per nome. - Regina, non sto scherzando. Lungi da me prenderla per i fondelli, come ha detto lei. Si rende perfettamente conto che la sua situazione è grave. Quasi sicuramente verrà ritenuta colpevole, ma forse se mi ascolta potremo fare qualcosa per limitare la pena.
- Ah, sì?- la beffeggiò Regina, scoprendo i denti in un ghigno cattivo e amaro allo stesso tempo.- Perché dovrei abbassarmi a contrattare con lei, signorina Swann? Sa, mi riesce veramente difficile credere che la donna che si prenderà il mio bambino voglia aiutarmi…- la voce le si incrinò, ma sostenne comunque lo sguardo del Vicesceriffo.
- Proprio per questo dovrebbe fidarsi di me - replicò Emma. - Se lei verrà arrestata, le verrà tolta la potestà genitoriale su Henry, e lui verrà affidato al parente più prossimo: io. Mi creda, ho vissuto in un istituto per anni e ho cambiato almeno tre famiglie affidatarie: so quanto soffre un bambino nel venire separato dai genitori. Lei è la sua madre adottiva; lo ha cresciuto per dieci anni e lui le vuole bene. Se si ostina a fare di testa sua, rischierà di non vederlo più, e Henry non lo sopporterebbe. Nessuna di noi due vuole vederlo soffrire…ma se fa come le dico io, allora forse questo non succederà, e lei se la potrebbe cavare con poco…
Regina ridusse la labbra a due fessure, ponderando le parole della donna. Slacciò le dita dalle sbarre; senza staccare lo sguardo dal volto del Vicesceriffo, si sedette lentamente sulla cuccetta all’interno della cella.
- L’ascolto - mormorò, con voce ferma ma incolore.
Emma si schiarì la voce, passandosi nervosamente una mano fra i capelli.
- Innanzitutto, deve dirmi con esattezza che cosa ha combinato - esordì.- Abbiamo una falla nelle finanze della città grande come una casa…
- L’ho riempita - ribatté Regina.- Circa tre giorni fa.
- Parzialmente. E con denaro non del tutto pulito - Emma la guardò.- Esaminando i suoi documenti sono risalita alla data in cui la falla è stata aperta. Risulta una transazione di denaro sul conto di Robert Gold.
- Lui verrà accusato?
- Temo di no. Non abbiamo prove per dimostrare che lui sapesse qualcosa di questa speculazione, e se anche così fosse, Gold non ha commesso nessun reato se non accettare dei soldi che, comunque, gli spettavano di diritto. Piuttosto…- Emma inspirò a fondo.- Il denaro mancante era parecchio; ben poche persone sarebbero riuscite a permettersi tutti quei soldi, in questa città…fra quei pochi, c’è appunto il signor Gold - Emma si sporse verso di lei.- Questo scambio di denaro non è poi così aperto, vero? E’ stato Gold a darglielo, non è così?
Regina non rispose, ed Emma interpretò il suo silenzio come una risposta affermativa.
- Come ha fatto a convincerlo?
- Ha importanza?- la sfidò Regina.
- Sì, se vuole salvare quel che resta del suo fondoschiena. Avevamo messo in chiaro di dirci la verità, se non ricordo male…- Emma la guardò, quasi a sfidarla a contraddirla.- Conosco il signor Gold: non è il tipo che si fa intimidire o corrompere facilmente. Se, come penso, lo ha minacciato, deve aver trovato un capro espiatorio molto convincente…
Il sindaco Mills non rispose, continuando a guardarla; Emma sospirò, rassegnata a ficcarle le parole in bocca.
- Il suo capro espiatorio era Isabelle French, dico bene?
A quel punto, Regina sgranò gli occhi per la sorpresa, indietreggiando un poco sulla cuccetta.
- Come sa di Gold e della figlia di French?- sibilò.- Gold le ha detto qualcosa, forse?
- No. Semplici voci. A volte i pettegolezzi tornano utili anche in questo lavoro…- Emma si strinse nelle spalle, prima di proseguire.- La signorina French è stata ritrovata in fin di vita abbandonata nel parcheggio dell’ospedale di Storybrooke. Nessuno sa chi l’abbia conciata così, e a quanto pare lei dice di non ricordarsi nulla - Emma evitò accuratamente di dire che non aveva ancora provveduto ad approfondire il caso French.- E’ stata lei, per caso?
- Io non c’entro niente con quello che è successo a Isabelle!- si difese Regina; intuì che Emma Swann non doveva sapere nulla di quanto era accaduto in realtà. Era vero, non era stata lei a gonfiare Isabelle come una zampogna; ma aveva ordinato a Jefferson di tenerla rinchiusa in modo da poter fare di lei la sua wild card contro Gold quando fosse giunto il momento opportuno. Se la Swann l’avesse saputo, allora di certo non avrebbe esitato a tirare in ballo la faccenda. Ma non ne aveva fatto menzione, e non aveva lo stile e la classe necessari da indurre qualcuno a confessare con una sola occhiata. Era chiaro che non ne sapeva niente.
Beh, pensò, non sarebbe stata certo lei a rivelarglielo. Al diavolo la sincerità, i capi d’accusa su di lei iniziavano a diventare troppi, l’ultima cosa che le serviva era un’incriminazione per sequestro di persona…Ma dov’era ora, Isabelle? Ancora nel sotterraneo? Jefferson non l’avrebbe liberata senza il suo consenso…Che ne sarebbe stato di lei?
Non lo sapeva e nemmeno le importava. Per quello che la riguardava, poteva anche marcire in quell’ex manicomio. Sarebbe stato meglio, così niente sarebbe venuto a galla…Jefferson non avrebbe berciato, no. Anche lui era coinvolto nel rapimento.
Questo, comunque, avrebbe potuto giocare a suo favore se Isabelle fosse stata liberata…dividere una colpa in due era sempre meglio che accollarsela totalmente.
Emma sospirò, rialzandosi in piedi.
- Lo spero per lei, signora Mills…- soffiò.- Bene, vediamo di fare il punto - disse un attimo dopo, incrociando le braccia al petto.- Al suo attivo abbiamo frode fiscale e minaccia. Come minimo si beccherà vent’anni…
Regina si sentì morire; vent’anni…quanti anni avrebbe avuto Henry, per allora? Trenta? E lei non lo avrebbe visto crescere…
Si sentì salire le lacrime agli occhi, ma non ebbe la forza di frenarle.
- Ma - la bloccò inaspettatamente Emma Swann, tanto che Regina alzò lo sguardo su di lei, sorpresa.- Ma…potremmo togliere la voce “minaccia” dal capo d’accusa…
- Davvero?- soffiò Regina, un po’ scettica.- E come?
- Gold non ha mai avuto le mani pulite, forse meno di lei, ma di certo anche lui ha i suoi loschi affari. Se è intelligente…e lo è…non sporgerà accusa contro di lei, se vuole evitarsi guai ben più grossi…Scenderemmo così a sedici anni…
- Gran bella consolazione!- ironizzò amaramente Regina.
- In più, la falla ora è molto meno grande di com’era all’inizio. Mi basterà non mostrare alcuni documenti e riusciremmo a tirare la pena fino a quattordici anni.
Quattordici anni…; Regina ci rifletté attentamente. Erano comunque un’eternità, un’eternità lontana da suo figlio, ma di certo molto meno di venti.
- Se inventiamo la piccola bugia sul suo essersi volontariamente costituita, scendiamo a tredici o dodici - proseguì Emma.- E poi, ci sono le attenuanti. Lei ha sempre avuto una fedina penale intonsa, e questo è un bel punto a suo favore. Poi c’è la buona condotta, e se la sorte ci aiuta, forse riusciremo a trovare un giudice clemente. In tutto, farebbe solo otto o dieci anni di carcere. Alcuni dei quali potrebbero essere convertiti in libertà vigilata o arresti domiciliari. Se collabora e siamo fortunati, se la caverà con poco.
- E Henry?- incalzò Regina.
Emma sospirò, incrociando le braccia al petto.
- Henry resterà con me. Lei mi cederà ogni diritto su di lui. In cambio, le prometto che potrà farle visita una volta al mese e un paio di giorni o tre a settimana quando uscirà. Questo è quanto, Regina. Prendere o lasciare.
Regina si sentì improvvisamente il capo molto leggero, quasi come se stesse sognando. Emma Swann le stava offrendo la possibilità di salvarsi, per quanto poteva…Prendere o lasciare, aveva detto; che si aspettava, quella stupida? Certo che prendeva, ovvio che avrebbe preso, che altro avrebbe potuto fare?! C’era in gioco la sua vita, la sua reputazione, suo figlio
Henry. Era per lui che accettava l’accordo. In quel momento, si rese conto che non le importava più niente di nulla, e se non ci fosse stato il suo bambino di mezzo avrebbe certamente urlato in faccia alla Swann rigettandole addosso tutta la sua umiliazione.
Ma ora non poteva fare altrimenti. Così, avrebbe potuto continuare a vedere Henry, seppure una volta al mese, e il bambino sarebbe stato affidato a qualcuno che, comunque, si sarebbe preso cura di lui e lo avrebbe amato. Sempre meglio che lasciarlo finire in un istituto. Sempre meglio che essere separati per sempre.
Regina Mills abbassò lentamente il capo sulle proprie ginocchia; si rese conto solo in quel momento, quando una lacrima le cadde sulla gonna del tailleur, che stava piangendo, ma lasciò che le lacrime continuassero a scorrere, e annuì.
- Abbia cura del mio bambino, signorina Swann…
 

***

 
C’era un po’ più luce rispetto a quella mattina di Natale – Dio, quanto tempo era passato, da quel giorno? –, ma l’interno restava comunque molto buio. Si stava avvicinando il tramonto, e la luce del sole calante che s’infrangeva contro le finestre proiettava delle ombre scure sul pavimento e sulle pareti. Belle si sentì per un attimo mancare il respiro quando varcò la soglia della porta d’ingresso, ma subito riprese il suo contegno quando udì i passi di Gold accompagnati dal suo bastone seguirla all’interno della casa.
La ragazza si strinse nella giacca di Ashley, più per un naturale istinto di autodifesa che per il freddo. Aumentò la presa delle dita intorno al manico del borsone, muovendo ancora un paio di passi nell’atrio semibuio.
Sentì Gold richiudere la porta alle sue spalle, quindi lo schiocco secco della maniglia. Sei in trappola, ragazza!, sussurrò una ridacchiante vocina maligna nella sua testa, ma Belle s’impose di non ascoltarla.
Il silenzio si fece immediatamente pesante. Belle poteva quasi sentire il velo di tensione che avvolgeva l’intera stanza, come un muro invisibile ma dannatamente reale che divideva lei dall’uomo. All’inizio della loro conoscenza, quando erano solo lui un datore di lavoro un po’ bastardo e lei una dipendente non pagata e per niente felice di lavorare al negozio di pegni, quel genere di situazioni si erano verificate molto spesso. Ma mai così. Belle si sentiva in imbarazzo quando questo capitava – di solito perché aveva combinato qualche disastro –, ma trovava sempre il modo di uscirne, in qualche maniera. Fosse stato anche arrossire fino alla punta dei capelli, saltellare nervosamente da un piede all’altro, lasciarsi sfuggire una risatina forzata o, negli ultimi tempi, una battuta per rompere il ghiaccio, era sempre riuscita a dare un taglio a quella tensione.
Invece, in quel momento no. Si rese conto di essere rimasta per chissà quanto tempo immobile, rigida e ferma in mezzo alla stanza. Era a disagio, ma non trovava neppure la forza di schiarirsi la voce e dire qualcosa.
Eppure, lo sapeva, prima o poi loro due avrebbero dovuto parlare. Oh, sì. Sì, avrebbero dovuto, e molto probabilmente sarebbero stati dolori.
Il silenzio venne rotto – grazie a Dio! – dal rumore di un altro passo del signor Gold; Belle prese un profondo respiro per trovare il coraggio necessario, e si voltò lentamente a guardare l’uomo. Si sarebbe aspettata che dicesse qualcosa; invece, sembrava più in difficoltà di lei.
- Belle…- soffiò alla fine, in un maldestro esordio.- Belle, io…
- Dove dormo?- lo bloccò lei, forse un po’ troppo bruscamente, si rese conto un attimo dopo. La sua voce squillante ed esageratamente alta risuonò sulle pareti. Belle si concesse un istante per riflettere su ciò che aveva appena fatto: lo aveva deliberatamente interrotto, quasi come se non volesse sentire ciò che lui aveva da dirle. Beh, in fondo era così. Moriva dalla voglia di sapere se Gold avesse cambiato idea, ma ora non si sentiva pronta. Era stanca, sporca, e l’effetto delle pasticche ancora non era del tutto scomparso. E poi, aveva paura. Paura di un altro rifiuto…o di una giustificazione.
Se aveva intenzione di attaccare con un discorso volto a convincerla del perché loro due non potessero stare insieme…allora no, grazie.
Gold comprese al volo; si guardò per un attimo intorno, a disagio.
- Sì…certo…vieni, ti faccio strada…- la superò, facendole cenno di seguirlo su per le scale.
Belle non aveva mai visto il piano superiore, ma non è che fosse molto diverso dal resto. La casa di Gold era molto grande, semibuia, riempita con oggetti antichi e preziosi. Non era eccessivamente lussuosa o di cattivo gusto, ma era chiaro che era stata arredata in modo che i rari visitatori avessero un’ulteriore prova di chi fosse il proprietario: il padrone della città.
Gold la guidò senza dire nulla di fronte a una camera poco distante dalle scale, e ne aprì la porta. Belle mosse qualche passo all’interno, seguita dall’uomo: era una stanza da letto, grande, probabilmente mai utilizzata, con un letto a una piazza e mezza posto al centro, un armadio sulla destra accanto a una poltrona e una finestra dalle tende tirate sulla sinistra.
- Può andar bene?- chiese Gold.- Ti…ti piace?
Belle entrò con più decisione, chinandosi a posare il borsone sul tappeto.
- Sì, grazie. E’ perfetta - disse infine. Si rialzò, voltandosi nuovamente a guardarlo negli occhi.- Se non ti dispiace, avrei bisogno di farmi una doccia…
Si era da poco accorta di avere un aspetto pietoso. Era da una settimana che non si faceva un bagno completo, la camicia da notte era sporca, lei madida di sudore e con i capelli appiccicati al cranio.
Aveva un bisogno impellente di acqua e sapone.
Gold annuì, e la condusse verso quello che era il bagno, poco lontano dalla sua stanza da letto.
- Hai fame?- le chiese dopo poco.
Belle chinò il capo, e non rispose. Se aveva fame? Aveva una fame da lupo, erano tre giorni che non mangiava, ma in quel momento le sembrava quasi che ogni parola di più fosse un peccato imperdonabile.
- Sì, un po’…- mormorò alla fine.
- Non so cosa ci sia in casa, ma…ma cercherò comunque di prepararti la cena…- disse Gold, piano.- Tu fai pure con comodo. Quando te la senti, scendi pure…
- Va bene. Grazie.
 

***

 
Il percorso doccia-camera da letto-vestiti puliti si era esaurito tutto sommato abbastanza in fretta. Forse troppo, data la situazione.
Belle aprì il borsone da ginnastica, estraendone alcuni abiti prestategli da Michelle, optando alla fine per un paio di jeans e un pullover rosso lavorato a maglia che le arrivava a metà coscia. Ringraziò mentalmente che fosse stata la farmacista, e non Ruby, a prestarle i vestiti: a parte che le taglie adatte al fisico da top model della sua amica erano lontane anni luce dalle sue, ma il guardaroba della cameriera era composto principalmente da minigonne, shorts e magliette scollate all’inverosimile.
L’ultima cosa che le ci voleva, in quel momento.
Belle si lasciò cadere pesantemente sul letto, prendendo a fissare il soffitto; aveva i capelli bagnati, ma decise di lasciarli asciugare da soli. Aveva ben altri problemi, in quel momento.
Inspirò a fondo, cercando di ragionare.
Che doveva fare, adesso? Non sarebbe potuta uscire da quella casa per almeno qualche giorno, questo lo sapeva. Ancora non riusciva a capacitarsi di ciò che le era successo, e dire che se n’era accorta solo alla fine!; aveva deciso di non denunciare Jefferson quando Michelle e le altre le avevano spiegato le motivazioni che aveva avuto per imprigionarla e drogarla, ma ancora restava da risolvere il problema Regina Mills. Mary Margaret le aveva assicurato che le avrebbero fatto sapere al più presto, ma Belle aveva il sospetto che ne sarebbe passato, di tempo, prima che trovassero un modo per incastrare il sindaco…era ovvio che non volevano che il coinvolgimento di Jefferson venisse a galla.
Ma nemmeno che lei corresse altri pericoli finché la donna era in circolazione.
E ora, lei era lì. Aveva vomitato altre due volte, mentre era in bagno, e aveva il forte sospetto che le porcherie iniettatele da Jefferson le avrebbero causato altri problemi, nei giorni seguenti. Si poteva quasi dire che dovesse disintossicarsi. Espellere le sostanze nocive nel suo corpo. In più, non era libera di uscire e di andare dove voleva finché la Mills restava impunita. Non aveva più un lavoro. Era certa al 99,9% che lei e suo padre avessero definitivamente tagliato i ponti – anche se quest’ultimo punto non era poi così negativo, a pensarci bene; era costretta a indossare dei vestiti che le erano stati prestati perché per il momento non poteva riavere indietro i suoi; non aveva un soldo; aveva rotto le scatole a mezzo mondo solo per la sua sfortuna cronica; e – ciliegina sulla torta – era costretta a rimanere in casa dell’uomo che amava ma che non molto tempo prima le aveva detto chiaro e tondo che lei per lui non contava niente.
Ci sarebbe stato da spararsi.
Belle strizzò gli occhi, scuotendo il capo e rimettendosi a sedere.
Una cosa alla volta, Isabelle French. Ora devi pensare a come risolvere questa situazione, il resto verrà dopo, e potranno aiutarti Ruby, MM e Ashley. Adesso devi tirare fuori gli attributi e uscire da questa camera. Chissà per quanto tempo ancora dovrai stare qui. Non puoi continuare a fingere che lui non esista. Dopotutto, lui ti ha offerto ospitalità. Prima o poi dovrete parlare, e lo sai, è inutile che continui a scappare dal tuo destino. Se resterai qui, allora dovrai convivere con lui, anche se ti ha rifiutata. Ora vai di sotto e cerchi di comportarti in maniera civile. E se vuole ritornare sul discorso? E se vuole chiarire? Cosa c’è da chiarire?! Ti ha urlato in faccia che non ti vuole, che altro c’è da spiegare? E se ha cambiato idea? No! No, non farti illusioni. Smetti di fare la patetica, bambina, e affronta la realtà: lui non ti ama, punto e stop. E’ inutile che continui a rimuginarci sopra. Sì, ma se per caso ha cambiato idea? Beh, anche tu allora l’hai cambiata! Ci tieni così tanto a farti umiliare, vero? Non hai fatto altro per tutta la vita, con tuo padre, almeno adesso cerca di non farlo anche con lui. Non essere ingenua, e sii spietata. Non cedere di nuovo. Ti sei già umiliata una volta, non serve ripetere l’esperienza. Se lui prova a dirti qualcosa, tu rispondigli che hai cambiato idea e non lo ami più! In così poco tempo? Beh, a lui ci è voluto anche meno! Forza, ora alzati e vai!
 

***

 
Gaston svoltò l’angolo, percorrendo velocemente lo spazio che lo separava dall’inizio del marciapiede fino all’incrocio oltre il quale terminava la via. Ci voleva un’ora buona dalla casa di suo padre fino ai confini della città, e un’altra mezz’ora prima di giungere dove abitava il signor Gold.
Aveva bevuto sette boccali di birra e due bicchieri di tequila e ora si sentiva…sciolto. Calmo. Quasi allegro. Ghignò, battendosi una mano sulla tasca dei pantaloni in cui aveva nascosto la calibro 38.
Ancora mezz’ora di strada…venti minuti, se si sbrigava.
 

***

 
Belle scese le scale a piedi scalzi, attenta anche a ogni minimo scricchiolio. La porta della cucina era appena a qualche metro dalla rampa; era aperta, e la luce fuoriusciva nel corridoio buio. Belle si aggrappò con entrambe le mani alla ringhiera di legno lucido, sporgendosi un poco per vedere, ma non riuscì a scorgere niente.
Aveva una paura del diavolo.
- Puoi…puoi entrare, se vuoi…- la voce di Gold sopraggiunse quasi in un sussurro, ma tale da farla sobbalzare. Belle sospirò, rassegnata.
Ecco, ora non poteva più fare marcia indietro.
Prese un profondo respiro e si decise a scendere gli ultimi gradini che la separavano dal piano terra. Zampettò fino alla porta della cucina, affacciandosi sulla soglia. Gold le dava le spalle, ma si voltò non appena la sentì.
- Ti…ti senti un po’ meglio, adesso?- le chiese, abbozzando un incerto sorriso che però morì immediatamente. Belle si torse nervosamente una ciocca di capelli, annuendo a capo chino. Mosse qualche passo all’interno della stanza.
Di nuovo, tornò a calare quell’insostenibile velo di tensione.
- Avrei voluto prepararti qualcosa di caldo, ma…mi sono reso conto di non avere molto, in casa…- iniziò a dire Gold, velocemente, come se sentisse il bisogno di riempire quel silenzio. In effetti, anche Belle lo voleva; l’uomo si scostò appena, rivelandole alcuni barattoli posati sul ripiano della cucina: c’erano alcune fette di pane, poi delle confezioni che dovevano essere qualcosa di simile a marmellata, burro di arachidi, miele, zucchero, più un rettangolo di burro…
- Mi dispiace…- continuò Gold.- Spero che non…
- Va bene - lo bloccò Belle, di colpo; si rese presto conto di essere stata di nuovo troppo brusca e tentò di addolcire il tono. - Va bene…- ripeté, più dolcemente.- Un po’ di pane con la marmellata sarà perfetto…
La ragazza vide l’espressione di Gold farsi decisamente sollevata, e increspò le labbra in un sorriso. L’uomo si voltò velocemente, iniziando ad armeggiare con i barattoli. Belle mosse un altro passo.
- Siediti pure…- le disse Gold.- Io…faccio in un attimo…
Belle ubbidì; si sedette velocemente, rimanendo rigida e immobile sulla seggiola.
Gold ci mise davvero un attimo: si voltò, porgendole gentilmente un piatto su cui erano poste cinque fette di pane con burro e marmellata d’albicocche. Belle avvertì un piccolo brivido quando, nel prenderlo dalle sue mani, le proprie dita sfiorarono accidentalmente quelle dell’uomo, ma s’impose di mantenere un contegno.
- Grazie…- mormorò, dando un piccolo morso a una fetta di pane. - Tu non mangi?- chiese, dopo qualche istante.
Gold parve preso in contropiede dalla domanda, ma si riscosse presto.
- No. Io…non ho molta fame, a dire il vero.
- Non mi piace mangiare da sola…- mormorò Belle. In tanti anni, con suo padre sempre ubriaco, era successo molte volte, ma non ci aveva mai fatto l’abitudine.- Perché non ti siedi...?
Gold sembrò essere felice dell’invito, e annuì. Nello stesso istante, Belle si rese conto di come si stava comportando: e che cavolo, si era ripromessa di fare la sostenuta, di non farsi umiliare più, e invece ora che stava…?
Gold scostò una sedia, ma per errore urtò un bicchiere d’acqua posato sul ripiano del tavolo: il bicchiere si rovesciò, spargendo il suo contenuto sul legno e sul pavimento. Alcune gocce finirono anche sui jeans di Belle.
- Scusami, io…mi dispiace…- disse l’uomo, in fretta, afferrando uno straccio e cercando di asciugare l’acqua.- Davvero, non volevo…
- Non fa niente…- provò a dire Belle, ma non servì a nulla. Gold strinse nervosamente lo straccio fra le mani, con una smorfia contrita.
- Scusa…- soffiò alla fine.
Belle rimase attonita, guardandolo stupefatta mentre lasciava la cucina senza aggiungere altro.
 

***

 
Lo ritrovò in salotto, seduto su un divano, al buio.
Forse quella scena avrebbe dovuto ispirarle tenerezza, ma Belle in quel momento si sentì soltanto saltare i nervi. Erano arrivati a questo punto, dunque?! Erano arrivati al punto da non riuscire più a stare nella stessa stanza per due minuti consecutivi, a non parlarsi più, a fingere che tutto andasse bene e a entrare in crisi al minimo errore?! Che intendeva dirle, con questo? Che si sentiva in colpa? O forse no, semplicemente voleva sgravarsi la coscienza per essere stato la causa del suo rapimento, la trattava come una persona da risarcire con un po’ di gentilezza, mentre non vedeva l’ora di darle un calcio e spedirla il più lontano da sé non appena fosse stato possibile?!
- Sai che ti dico?!- gridò quasi, puntandogli contro uno sguardo pieno di rancore.- Io domani mattina levo le tende, così forse sarai contento!
Gold alzò lo sguardo su di lei; nonostante la penombra, la ragazza notò che aveva gli occhi cerchiati.
- Belle…- soffiò.- Belle, ti prego…
- Non voglio ascoltarti!
- Belle…- Gold si alzò in piedi.- Belle, per favore, parliamo…lasciami spiegare…
- Ho detto che non voglio sentire niente da te!- strillò la ragazza.- Quello che mi dovevi dire me l’hai già detto una settimana fa, non c’è bisogno che ora cerchi di gettarci zucchero sopra! Ti ringrazio per l’ospitalità, ma domani mattina io me ne vado!- la voce le si incrinò senza speranza, e un secondo dopo Belle si trovò a maledirsi a causa delle sue lacrime.- Andrò…andrò da Ruby…non importa se correrò dei rischi, lei…lei sarà felice di ospitarmi…
Non riuscì a continuare. Le lacrime non si frenavano.
Belle si odiò con tutto il cuore; si premette una mano sulla bocca, e corse velocemente al piano di sotto.
Un attimo dopo, Gold la sentì sbattere la porta della sua camera.
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Sono sicura che dopo questo capitolo mi odierete, sia per il ritardo sia per tutta la tristezza e la possibile ansia (vedi Gaston che si avvicina) che può contenere, ma se vi può consolare la parte fluffosa della Rumbelle arriverà nel prossimo capitolo…Che, per la cronaca, sarà anche il terzultimo di questa storia. Un po’ mi dispiace di averla quasi terminata, ma ho intenzione di finirla prima del 29 settembre. Nel prossimo capitolo ci sarà un tanto atteso inizio di chiarimento nella Rumbelle (con una notevole possibilità di fluff, se ci riuscirò…non mi vengono mai troppo bene queste cose…) e l’intervento di Gaston. Il capitolo 21 vedrà invece diversi personaggi, quali Gold, Belle, Emma, Graham, Ruby, Archie, Paige, Henry, Ashley, Sean, Mary Margaret, David, Michelle, Jefferson e Regina. E poi, nel capitolo 22, finalmente l’epilogo.
Ringrazio chi legge e chi recensisce. Chiedo scusa a LadyAndromeda per non essere ancora riuscita a recensire il nuovo capitolo della sua storia sulla Bella Addormentata, ma le assicuro che domani sera stessa cascasse il mondo provvederò, e a parveth per non essermi fatta trovare molto spesso su facebook in questi giorni ma ho avuto dei turni di lavoro improponibili. In risposta alla domanda di gelb_augen sui sintomi riportati da Belle: sì, mi sono data un’infarinatura di queste cose…quando si ingerisce un certo tipo di pasticche, si hanno capogiri, sudorazione e malessere diffuso, e l’unico modo per star meglio è espellere tali sostanze vomitando.
Ciao a tutti, al prossimo capitolo (che spero di poter pubblicare quanto prima)!
Un bacio,
Beauty

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Capitolo 20
*** Because I Love Him ***


Because I Love Him
 
Graham ci aveva impiegato più di un’ora a cercare di far calmare quei due bambini, e un’altra per riuscire a decifrare ciò che avevano appena raccontato. Il risultato era stato un gran mal di testa e parecchio sconcerto.
Più stava a sentire Henry e Paige, e più si sentiva idiota e impotente.
Quante cose gli erano capitate sotto il naso in tutto quel tempo che lui aveva speso a stare dietro a Emma e alle sue mattane?
Paige diceva una parola ogni due o tre singhiozzi, mentre Henry continuava a parlare a raffica, quasi avesse i secondi contati. Graham non ci stava capendo niente. Tutto ciò che era riuscito a carpire riguardava Isabelle French e il signor Gold, ma il nesso che c’era fra i due non era del tutto chiaro. Dalle parole di Henry, la figlia del fioraio aveva avuto dei problemi, c’entrava Regina Mills, e adesso Gold l’aveva liberata. Graham aveva la sensazione neanche poi tanto surreale che quei due stessero cercando di dargli a bere una mezza verità, tenendo nascosti dei dettagli fondamentali.
- Allora…vediamo di ricapitolare…- sospirò, appoggiando stancamente il dorso allo schienale della sedia; sentiva le tempie pulsargli come dei tamburi.- Isabelle French e il signor Gold stanno…insieme, mi pare di aver capito?
- Beh, questo noi non lo sappiamo con certezza…- borbottò Henry.- Diciamo che lui è la Bestia e lei la Bella…
- Eh?
- Come nella favola - pigolò Paige, soffiandosi il naso con uno dei kleenex che Graham le aveva allungato per disperazione.- Ha presente, Sceriffo, quando…
- Fermi!- la bloccò l’uomo. - Per favore, niente favole e cose simili. Attenetevi alla realtà. Mi stavate dicendo…?
- Supponiamo che la figlia di French e il signor Gold stiano insieme…- borbottò il bambino, serio.- Lei è stata rapita, ma ora non c’è più niente da temere perché lui l’ha liberata…o almeno credo, a quest’ora dovrebbe già…
- Un attimo: che intendete dire con rapita?- Graham strabuzzò gli occhi, sporgendosi verso di loro.- Isabelle French è stata rapita?
I due bambini si scambiarono una rapida occhiata, quindi annuirono. Lo Sceriffo si sentì gelare il sangue, e scattò istintivamente in piedi, rischiando di rovesciare la sedia.
- Mio Dio…!- mormorò, stralunato.- Com’è possibile? Dovrebbe essere ancora in ospedale…
- E’ proprio lì che è stata rinchiusa- spiegò Henry.- Nei sotterranei.
- E da chi?
A quel punto, Henry e Paige si strinsero nelle spalle; nessuno dei due rispose, ma Graham intercettò lo scambio di sguardi fra i due. Era come se la bambina stesse implorando silenziosamente il suo amico di tenere la bocca chiusa, e lui si trovasse parecchio in difficoltà riguardo a quest’ultimo punto.
Lo Sceriffo stava iniziando a innervosirsi: prima di assumere l’incarico a Storybrooke, aveva lavorato a Boston come agente semplice. Era stato un periodo tutto sommato breve, ma gli era bastato per farsi le ossa: molti dei suoi superiori gli avevano spesso fatto i complimenti per come sapesse gestire gli interrogatori e mettere sotto torchio un indiziato. Graham stesso aveva un’alta considerazione di sé, in questo campo: erano rare le volte in cui non era riuscito a estorcere la verità a qualcuno.
Il fatto che ora due bambini di dieci anni lo stessero mettendo in seria difficoltà non era altro che un colpo di fucile alla sua già debilitata autostima. Per non parlare delle conseguenze ben più gravi che avrebbe potuto avere una bugia inventata da dei ragazzini: si rendevano conto di quanto fosse grave ciò che stavano affermando?
Tornò a sedersi, avvicinando la sedia a quelle su cui erano appollaiati Henry e Paige.
- Sentite - esordì, mantenendo la voce calma e ferma, ma senza distogliere lo sguardo da loro.- Quello che mi state raccontando è molto grave. Vi rendete conto di questo, vero?
I due annuirono, ma non smisero il loro mutismo. Graham sospirò, senza demordere.
- Un rapimento non è una cosa su cui scherzare. Innanzitutto, dovete spiegarmi come avete fatto a sapere che, stando a quanto mi avete detto, Isabelle French è stata rinchiusa nei sotterranei dell’ospedale contro la propria volontà…
- Noi…- Paige si morse il labbro inferiore, con gli occhi così pieni di lacrime che Graham avrebbe potuto arricchirsi se avesse scommesso che stesse per scoppiare di nuovo in singhiozzo.
- L’abbiamo…sentito dire - buttò lì Henry, in un ultimo gesto disperato.
- Perdonatemi, ma non ci credo neppure un po’- insistette Graham.- Il rapimento di una ragazza di solito non è un argomento da chiacchiere di fronte a un caffè. Ma mettiamo che sia così: da chi, l’avete sentito dire?
- Ma che importa?!- saltò su la bambina.- Gliel’abbiamo detto, Sceriffo: abbiamo raccontato tutto al signor Gold, e ora ogni cosa è risolta.
- E’ stato il signor Gold a rapire Isabelle French?
- No!- si affrettò a dire Paige.- No, non è stato lui! Lui…lui la ama, e ora l’ha liberata. Che importanza ha adesso, se è stata rapita?
- Beh, ce l’ha, piccola - spiegò Graham.- Lascia che ti spieghi: tu sai che quando qualcuno rapisce una persona commette un reato, vero? Bene, anche se quella persona viene poi trovata e liberata, questo non cancella il fatto che è stato commesso un crimine, e che chi l’ha perpetrato debba venire punito secondo la legge. Perciò, se sapete chi è stato, allora me lo dovete dire. A meno che…e spero veramente per voi che non sia così…non mi stiate raccontando una bugia…
- Noi non…
- Ehi, che succede qui?
Tutti e tre si voltarono non appena udirono aprirsi la porta dell’ufficio e la voce di Emma Swann raggiungerli, sorpresa e anche un po’ irritata. Graham si alzò in piedi non appena vide la sua collega.
- Henry?- la donna inarcò le sopracciglia, guardando suo figlio.- Che è successo? Che ci fate qui tu e la tua amica?
Il bambino la guardò: la sua madre biologica, più che sorpresa o arrabbiata, sembrava piuttosto preoccupata. Fece per rispondere, ma Emma non gliene diede il tempo, e fece cenno a Graham di avvicinarsi a lei. I due uscirono dall’ufficio.
- Aspettate qui un attimo, per favore…- disse frettolosamente la donna, prima di chiudere la porta.
Una volta nel corridoio, Emma tirò a sé Graham, invitandolo con lo sguardo a fare silenzio.
- Che cosa ci fa Henry qui?- bisbigliò.
- Ancora non l’ho capito…- borbottò lo Sceriffo.- Che succede, Emma?
- E’ Regina - spiegò la donna, a bassa voce. - E’ di là. L’ho arrestata questo pomeriggio.
- Che cosa?!
Emma lo strattonò per la giacca, redarguendolo con un secco shhht!; Graham si liberò dalla presa, esibendo una smorfia contrariata. La donna gettò una rapida occhiata alla porta, sperando che i due bambini non avessero sentito.
- Arrestata?!- bisbigliò lo Sceriffo, esterrefatto.- Emma, ma che cosa hai…
- Ho le prove, stavolta - si difese Emma. - Ho i documenti, se vuoi controllare. C’è una falla nelle finanze grande come il Gran Canyon. Ha confessato poco fa.
- Henry lo sa?
- No. Per questo ti ho trascinato fuori. Non volevo che lo venisse a sapere in modo così brutale. Provvederò io a spiegarglielo, più tardi…Ma perché lui e quella bambina sono qui?
- Una faccenda assurda…- Graham sbuffò, sentendosi stanco e spossato.- Era da qualche giorno che si comportavano in modo strano, così ho chiesto loro di venire qui e spiegarmi che diamine stava succedendo. Credevo avessero combinato qualche marachella, sai, quelle cose che fanno i bambini…e invece, se ne sono usciti con una storia assurda riguardo a Isabelle French…
- Isabelle French?!- Emma parve essersi ricordata improvvisamente di una questione importante e improrogabile. Sgranò gli occhi, arretrando come se Graham l’avesse appena schiaffeggiata.- Dio santo, me ne ero completamente dimenticata!
Lo Sceriffo rimase a guardare attonito la sua collega e/o fidanzata e/o amante occasionale a seconda della situazione scattare come un’ossessa e arraffare cuffia e giubbotto; Emma si assicurò la pistola d’ordinanza alla cintura, chiudendo la fondina, mentre si avviava verso l’uscita della centrale quasi di corsa.
- Mi ero dimenticata di quel caso!- si giustificò.- Merda, diranno che ce la spassiamo tutto il giorno, qui…Vado in ospedale, forse sono ancora in tempo per salvarci la reputazione…
- No, Emma!- Graham scattò in avanti, bloccandola per un braccio.- Era di questo che ti volevo parlare: Henry mi ha detto che quella ragazza è stata sequestrata per tutto il tempo del suo ricovero in ospedale - spiegò l’uomo.
- Come sarebbe a dire sequestrata?!
- Henry e la sua amica non sono stati molto chiari. Mi hanno detto che qualcuno, non si sa bene chi, l’ha rapita, ma che il signor Gold ora l’ha salvata, sempre stando alle loro parole…
- Quindi…ora lei è a casa di Gold?- Emma aggrottò le sopracciglia.
- Non lo so, ma suppongo di sì.
La donna incrociò le braccia al petto, pensierosa. Presa com’era dal voler arrestare Regina Mills, aveva lasciato perdere quel caso, confidando nel fatto che sarebbe stato Graham a occuparsene. Invece, lui aveva preferito stare dietro a suo figlio, ma non era quello il punto. Emma non aveva avuto modo di approfondire al meglio il caso French, ma ricordava che questo, sulle prime, aveva avuto tutta l’aria di essere un’aggressione, sebbene anomala. Isabelle French, detta Belle, la figlia di Moe il fioraio ubriacone, era stata ritrovata priva di sensi nel parcheggio dell’ospedale di Storybrooke. Dai primi dati ricevuti, Emma ricordava che erano stati constatati sul corpo della ragazza diversi lividi e delle escoriazioni, senza contare che Belle aveva subito un trauma cranico. Nessuno aveva sentito grida o altro, nulla che facesse pensare che l’aggressione fosse avvenuta nel luogo dove era stata ritrovata, e d’altra parte era piuttosto improbabile.
Isabelle non aveva con sé nulla, né denaro né patente, era impossibile che fosse arrivata lì da sola…era ovvio che qualcuno dovesse avercela portata, magari in auto, e con ogni probabilità lei doveva essere già svenuta. Comunque, Emma era venuta a sapere che si era ripresa il mattino dopo, ma non aveva ricevuto nessuna denuncia da parte sua.
E ora, spuntava fuori questo fantomatico rapimento, nonché lo zampino di Gold. Emma aveva avuto a che fare con lui, in passato, e ora che ci pensava ricordava anche che la ragazza aveva lavorato per qualche tempo al negozio di quell’uomo, che non era esattamente un santo. All’epoca giravano parecchie chiacchiere su di loro. Lei non se n’era mai interessata, ma se davvero Gold era coinvolto in quella storia…chi poteva saperlo, magari era stato proprio lui a ridurla in quello stato, forse per via di un rifiuto, e conoscendo il tipo non era neanche troppo improbabile che ora la stesse tenendo chiusa in casa sua per ottenere chissà che cosa…
Il suo cervello era partito in una marea di supposizioni, una peggiore dell’altra.
- Vado da Gold - annunciò, aprendo la porta della centrale.
Graham strabuzzò gli occhi.
- Dov’è che vai?!
- Vado da Gold - ripeté Emma.- La French è da lui, no? Beh, è un buon punto da cui partire. Chi può saperlo, magari è lui il fantomatico rapitore…
- No. Henry ha detto che Gold e Isabelle stanno…insieme, in un certo senso.
- Secondo chi? Magari è solo Gold che ha quest’idea…
- Fammi almeno venire con te.
- No, tu riporta a casa quei due.
- No, Emma…
La donna non l’ascoltò più, e uscì in tutta fretta, sbattendogli la porta in faccia. Graham rimase sconcertato a fissare l’uscita chiusa per degli istanti che gli parvero eterni. Ma aveva per caso scritto scemo in fronte?!
Si voltò, ritornando alla stanza dove erano rimasti Henry e Paige. Emma poteva fare la dura e l’indipendente quanto voleva, l’aveva sempre fatto, ma stavolta lui non era disposto a lasciarla fare di testa sua. Aprì la porta dell’ufficio: i due bambini erano ancora seduti al loro posto, come fossero state delle bambole inanimate, ma sollevarono lo sguardo verso di lui.
- Ehi…- chiamò, con un sorriso d’incoraggiamento.- Venite con me, dobbiamo andare in un posto…se fate i bravi, mettiamo pure la sirena…
 
***
 
Non aveva neppure voluto accendere la lampada sul comodino, preferendo rintanarsi nel buio. In quel momento non voleva sentire né vedere niente, voleva solo che la maledetta porta di quella dannata stanza se ne restasse chiusa – accidenti, non aveva neppure potuto chiuderla a chiave! –, così da lasciarla in pace mentre cercava di soffocare i singhiozzi nel cuscino.
Invano.
Belle si raggomitolò ancora di più sul materasso, piegando le ginocchia e stringendosele al petto. Si sentiva come una bambina capricciosa e isterica, ma non poteva farci nulla. Per quanto si ostinasse a mordersi le labbra e l’interno delle guance nel tentativo di smettere di piangere una volta per tutte, non ci riusciva in alcun modo, e continuava a singhiozzare miseramente.
Non era ciò che avrebbe dovuto fare, lo sapeva. Avrebbe dovuto reagire con più forza, essere la ragazza coraggiosa che aveva sempre desiderato diventare, comportarsi come una di quelle amanti abbandonate dei libri, in maniera orgogliosa, convincendosi che lei era molto meglio di lui e che non meritava di soffrire per uno stronzo simile. Non avrebbe neppure dovuto attendere la mattina per fare le valigie un’altra volta e andarsene da Ruby – avrebbe fatto così, ormai aveva deciso –, non avrebbe neppure dovuto umiliarsi a trascorrere una sola notte in quella casa…Eppure, era ancora lì.
E per quanto cercasse di imporsi di odiarlo, non riusciva a provare alcun sentimento di rabbia nei confronti di Robert. Solo dolore e un acuto, pungente risentimento per tutto ciò che le stava facendo passare. Avrebbe dovuto capirlo, fin da subito: quell’uomo aveva sempre vissuto del dolore delle persone, e ora stava facendo la stessa cosa con lei. Come aveva anche solo potuto pensare che anche lui l’amasse, che lei sarebbe stata in grado di cambiarlo?
Stupida, stupida, stupida!
Udì dei colpi sulla porta.
Belle sollevò pesantemente il capo dal cuscino, sbirciando in direzione dell’entrata della camera. Non aveva bisogno di domandarsi chi fosse, dannazione!
- Belle?- chiamò infatti Gold dal corridoio.- Belle, per favore, apri…
- Non voglio più avere niente a che fare con te!- strillò la ragazza, sollevandosi a sedere sul materasso.- Hai sentito che cosa ti ho detto? Lasciami in pace, domattina levo le tende!
- Per favore, lasciami spiegare…
- Ti sei già spiegato benissimo! Non ho bisogno della paternale, vattene!
- Voglio solo parlarti…
- Ho detto di andartene!
- Per favore…- ripeté; Belle riuscì a udire un sospiro triste e rassegnato da oltre la porta chiusa. In quel momento, provava una gran voglia di alzarsi da quel letto, spalancare la porta e mettergli le mani addosso, riempirlo di schiaffi e insulti, ma sapeva che non lo avrebbe mai fatto. Non per mancanza di coraggio – si sentiva come una leonessa, in quel momento, era sicura che se Regina Mills le si fosse presentata davanti, avrebbe avuto la forza e la furia necessari per pestarla a sangue –, ma perché non voleva sembrare ancora più patetica di quanto già non fosse. E soprattutto, non voleva mandare al diavolo tutto quanto facendo qualche stupidaggine. Tipo scoppiare a piangere mentre inveiva contro di lui. O gettargli le braccia al collo. O baciarlo.
I suoi pensieri stavano prendendo una piega a dir poco pericolosa…
Belle si afferrò il capo con entrambe le mani, lasciandosi ricadere sul letto e affondando di nuovo il volto nel cuscino, maledicendosi. Si morse con rabbia il labbro inferiore per non rimettersi a piangere.
Credette di morire quando sentì la maniglia d’ottone della porta abbassarsi con un lieve cigolio.
- Belle?- Gold la chiamò un’altra volta, e la sua voce era un mormorio, cauto e ansioso allo stesso tempo.- Belle, sto entrando…
Un debole fascio di luce penetrò nella stanza; l’uomo socchiuse la porta alle sue spalle, lasciando aperto un piccolo spiraglio. Belle sentiva i battiti del suo cuore aumentare mano a mano che i passi di Gold si avvicinavano la letto.
L’uomo si sedette ai bordi del materasso, vicino alle gambe della ragazza. Belle non disse nulla, né si mosse. Gold sospirò, voltando il capo nella sua direzione.
- Belle…- chiamò, allungando una mano nella sua direzione.- Belle, ti prego…
La ragazza sobbalzò quando Gold le sfiorò una spalla con una mano, ritraendosi istintivamente. Strinse le labbra in una smorfia rabbiosa, scattando a sedere. Gli puntò contro i suoi occhi azzurri che avrebbero voluto apparire arrabbiati e minacciosi ma che, si rese conto, erano soltanto tristi e gonfi di pianto. E disperati.
- Ma capisci ciò che dico quando ti parlo?!- ringhiò.- Ho detto di lasciarmi in pace! Da questo momento in avanti mi devi stare lontano!
- No.
La risposta la lasciò talmente spiazzata che Belle per un attimo si dimenticò della propria rabbia. Lo sguardo le divenne incredulo, il volto perse improvvisamente quell’espressione dura che poco le si addiceva. Si scostò una ciocca di capelli dietro un orecchio. Gold continuava a guardarla, impassibile.
- Come hai detto?- mormorò, spiazzata.
- Ho detto di no - ripeté l’uomo. - Non posso starti lontano, Belle.
- Ma che cosa stai…
- Non ci riesco - Gold distolse lo sguardo; la voce gli si era un poco incrinata.- Non ce la faccio a starti lontano, Belle. Non più.
La ragazza ormai si era quasi completamente dimenticata non solo della sua voglia di vendetta e del suo rancore, ma anche di tutto ciò che le stava intorno. In quel momento c’erano solo loro due, lei e Robert.
- Regina Mills mi aveva detto che tuo padre ti aveva ridotta in fin di vita - spiegò Gold, in un soffio.- Che ti avevano portata a Boston, ma che eri destinata a morire. Non puoi neanche immaginare come mi sono sentito, al pensiero che non ti avrei rivista più - la voce gli si incrinò di nuovo.- Quindi, non provare a chiedermi di separarmi da te di nuovo. Non voglio perderti un’altra volta. Non lo sopporterei.
Belle non rispose, ma non distolse lo sguardo da lui. La testa le doleva, sentiva le tempie pulsarle furiosamente per il troppo piangere. Iniziò a tremare, mentre, quasi senza che lei se ne accorgesse, due lacrime le sfuggirono dalle ciglia, rigandole le guance. Se le asciugò velocemente con un lembo di una manica del pullover, ma subito queste vennero sostituite da altre.
- Ma che cosa ho fatto?- pigolò, con la voce incrinata, prendendo a fissarsi le ginocchia.- Perché mi sta succedendo questo? Una settimana fa sembrava che andasse tutto bene…e adesso…Dio, è un incubo…
Gold la guardò, e fu una delle poche volte nella sua vita in cui si sentì impotente. Sin dal primo momento in cui l’aveva incontrata, quando aveva preteso da lei quell’accordo che li aveva portati a tutto questo, aveva sempre pensato che Isabelle fosse una ragazza forte. Non importava come potesse apparire agli occhi degli altri, o del fatto che tutti la compatissero: Belle era sempre stata una ragazza forte e coraggiosa, che per anni aveva resistito in compagnia di un padre che non era nient’altro che un bruto, che non si era mai lasciata abbattere da tutti i colpi che la vita le aveva riserbato, che non aveva avuto paura di lui, il mostro di Storybrooke.
Che, alla fine, era riuscita a essere la vera eroina di tutta quella storia. E a far innamorare la bestia.
Ora, invece, Belle era lì di fronte a lui, pallida e spettinata, tremante di paura e in lacrime, raggomitolata su se stessa come a proteggersi. Gli era già successo di vederla piangere, o di soccorrerla mentre era in difficoltà, ma mai come in quel momento si era sentito così: sentiva il bisogno di abbracciarla, di proteggerla, di tenerla fra le braccia e dirle che sarebbe andato tutto bene.
- Belle…- sussurrò.- Vieni qui.
La ragazza si torse una ciocca di capelli, scuotendo il capo con forza. Gold non demorse; allungò una mano nella sua direzione: per un attimo aveva temuto che Belle si ritraesse, che lo respingesse come avrebbe meritato, invece lei non si oppose alla carezza che le posò sul viso, piano, dolcemente.
- Vieni qui…- sussurrò di nuovo, implorandola.
Stavolta, Belle non se lo fece ripetere di nuovo, e si gettò fra le braccia aperte di Gold. La ragazza lo abbracciò con tutto l’amore e la disperazione che provava in quel momento, circondandogli le spalle con le braccia e affondando il capo contro la sua spalla, singhiozzando. L’uomo la strinse a sé, cercando di trasmetterle protezione e amore, sussurrandole piano qualche parola.
- Shhh…- soffiò, nel tentativo di calmarla, accarezzandole piano i capelli.- Mi dispiace tanto per tutto quello che è successo, tesoro…- sussurrò, abbracciandola con più vigore, quasi temesse che quello fosse solo un sogno e Belle stesse per svanire da un momento all’altro.- Ti prego, perdonami…è colpa mia se ti hanno fatto del male…perdonami…Prometto che non ti accadrà più nulla, ci sono io adesso…
Belle chiuse gli occhi, inspirando a fondo per far cessare il pianto, ma non sciolse l’abbraccio.
- Ma perché?- sussurrò contro la spalla dell’uomo. - Che cosa ho fatto di sbagliato, quella sera?- si staccò piano da lui, guardandolo negli occhi.- Perché hai reagito così?- chiese.- Non…non intendevo fare nulla di male, io non…
- Male?- ripeté Gold. - Tu non hai fatto niente di male, Belle.
- E allora perché prima hai ricambiato il mio bacio e poi ti sei arrabbiato?- insistette.
Gold abbassò lo sguardo, concedendosi qualche istante prima di rispondere.
- Non volevo ferirti, amore - disse infine.- Te lo giuro. Non avrei voluto farti del male, e mi dispiace, mi dispiace tanto. E’ solo che…ecco…- esitò.- Devi capire che…che per me è stato molto difficile accettarlo.
- Che cosa?
- Il fatto che tu mi amassi.
- Che cosa c’era di difficile?- Belle si avvicinò a lui.- Certo che ti amavo! Forse…forse ho sbagliato il modo in cui dimostrartelo, ma…
- Tu non hai fatto niente di sbagliato - l’interruppe Gold.- Sono io, Belle. Non tu.
- Non capisco…
Gold sospirò, prendendole una mano fra le proprie.
- Non riuscivo a credere che tu, giovane, bella, intelligente e piena di vita potessi veramente amare…me - accennò a se stesso con aria di sufficienza.- In passato, ero già stato vittima di quest’illusione, e non volevo soffrire di nuovo.
- Intendi…che qualcun’altra ha finto di…?
Gold annuì. Belle esitò un poco, quindi si decise a parlare.
- Tu sei stato sposato, vero?- incalzò, ricordando alcune delle dicerie che circolavano in città. Sapeva, dalle chiacchiere al Granny’s, che Robert Gold, molti anni prima, era stato anche sposato, ma che non era andata bene. Nessuno sembrava ricordare la ex signora Gold, né si sapeva con esattezza a cosa fosse stata dovuta la rottura del matrimonio. Certo, come su ogni cosa che riguardava l’usuraio di Storybrooke, c’erano sempre i soliti simpaticoni che sostenevano che la poveretta avesse fatto una fine orribile – tipo essere stata sbranata viva dal marito, o che Gold le avesse strappato il cuore dal petto, o che l’avesse sgozzata e avesse gettato il cadavere nel fiume da Toll Bridge, oppure occultato in cantina insieme a tutto il suo oro, come Barbablù.
Di fatto, nessuno era in grado di dire qualcosa di più oltre a queste spiritosaggini.
L’uomo annuì nuovamente.
- Sì. Per un paio d’anni. Ma Milah…mia moglie…ecco, lei è rimasta giusto il tempo necessario per procurarsi quanto le occorreva per scappare con il suo amante…- Gold si strinse nelle spalle con una rassegnazione che a Belle fece quasi pena: come a dire che era destino, che era stato qualcosa di inevitabile.
Beh, non lo era.
Avvertì una stretta al cuore, resa ancora più acuta quando Gold proseguì.
- Poi, c’è stata un’altra uguale a lei. Si chiamava Cora, lavorava in una filanda…Avevamo progettato di andare a vivere insieme, ma poi lei si è resa conto che il suo capo poteva offrirle molto più di me.
Di nuovo, Gold accompagnò la spiegazione con quel gesto carico di rassegnazione. Belle provò l’impulso di gettargli le braccia al collo e baciarlo, ma si trattenne.
- Mi dispiace…- riuscì a soffiare.
- Ogni volta m’illudevo che fosse sincera, e poi andava sempre a finire nello stesso modo. Sempre. Così, quando hai nominato Regina Mills e il debito che aveva con me, io…- non riuscì a continuare.
La ragazza non disse nulla, ma rimase a guardarlo in silenzio, per un lungo istante; infine, lentamente, gli prese il capo fra le mani, accarezzandogli dolcemente il volto.
- Dicevano tante cose brutte su di te - sussurrò piano.- All’inizio, sono stata anch’io tanto stupida da crederci. Ma poi…ho scoperto che erano solo bugie - lentamente, Belle accostò la propria guancia a quella dell’uomo, sentendosi sciogliere quando lui l’abbracciò.- Sei un uomo buono e gentile, e io non farei mai niente per ferirti…- Belle si staccò un poco da lui, quanto bastava per guardarlo negli occhi.
Gold non disse nulla, ma lentamente sulle sua labbra si disegnò un sorriso che, da incerto, divenne rapidamente più dolce e sicuro. Belle sorrise a sua volta, avvicinando il proprio volto a quello dell’uomo.
Sentì un tuffo al cuore quando Gold, inaspettatamente, le cinse la vita con dolcezza, passando un braccio intorno ai suoi fianchi. Istintivamente, Belle si avvicinò ancora di più a lui, fino a sfiorare il suo volto con il proprio. Si sentiva strana, un misto di paura e desiderio insieme; proprio come quella sera di una settimana prima – Dio, era passata solo una settimana? Sembravano cent’anni… –, quando era ritornata tardi al banco dei pegni, con un gran peso sul cuore e una voglia matta di superare il limite, di annullare ancora quel residuo di barriera fra di loro.
Ma stavolta, aveva una certezza: sarebbe andato tutto bene.
Increspò le labbra in un timido sorriso, accarezzando con la punta delle dita una guancia dell’uomo. Gold avvicinò ancora di più le sue labbra a quelle della ragazza.
- Ti amo, Belle…- sussurrò.
La ragazza si sporse in avanti, decisa a premere le labbra contro quelle dell’uomo, ma d’un tratto un improvviso e fortissimo schianto la fece sobbalzare, ritraendosi di colpo. Guardò Gold: anche lui l’aveva sentito.
Proveniva dal piano di sotto.
- Cosa…- Belle deglutì.- Cosa è stato?
L’uomo non si rispose, ma si voltò in direzione della porta socchiusa. Immediatamente, dal piano inferiore, iniziarono a provenire diversi rumori. Passi pesanti e strascicati, roba che veniva rovesciata, vetri che s’infrangevano sul pavimento, mugolii e frasi spezzate.
Belle si sporse a guardare oltre lo spiraglio, allarmata. Gold si alzò in piedi, impugnando il bastone. Fece per uscire dalla stanza, ma la ragazza lo trattenne per un braccio.
- No!- lo bloccò; aveva parlato bisbigliando, ma la voce le era uscita troppo alta a causa della paura.- Che fai?!
- C’è qualcuno in casa - le rispose l’uomo, con ovvietà.
- Lo so, appunto per questo!- Belle si alzò in piedi, senza smettere di trattenerlo per un braccio.- Robert, ascoltami: so come funzionano queste cose. Con mio padre era un continuo irrompere in casa di persone ubriache o di creditori che volevano…
- Chiunque sia, non lascerò che ti faccia del male!- Gold la guardò negli occhi.- Ne hai già passate troppe per colpa mia, Belle, non ho nessuna intenzione di…
- Chiamiamo la polizia!- insistette la ragazza.- Chiamiamo lo Sceriffo, è la cosa migliore da…
- Ehi, Gold!
Quell’urlo strascicato proveniente dabbasso fu in grado di farle gelare il sangue. Belle interruppe la frase a metà, sentendo il cuore saltarle fino alla gola. Conosceva quella voce. L’aveva sentita tante volte, anche quando il suo possessore era ubriaco.
Non è possibile…
- Gaston…- si lasciò sfuggire dalle labbra, inavvertitamente.
Ma che cavolo ci fa qui?!
I rumori si fecero più forti. Belle udì chiaramente qualcosa andare in mille pezzi.
- So che ci sei, maledetto figlio di puttana! Vieni fuori, fatti vedere!
Santo cielo, doveva essere ubriaco come mai lo era stato in vita sua…
Gold si divincolò dalla sua stretta, avviandosi velocemente verso la porta della camera e uscendo in corridoio. Belle gli andò dietro, velocemente, sentendo le gambe tremarle così tanto che temette di stare per crollare in ginocchio.
- No!- bisbigliò di nuovo, abbastanza forte da essere udita, ma l’uomo non le badò, e raggiunse il corrimano delle scale. Si voltò a guardarla.
- Tu resta qui - era un ordine, non una richiesta.- Non preoccuparti, quell’idiota lo caccio fuori da qui in un attimo.
Belle si sentì infinitamente impotente quando lo vide scendere le scale; stette ancora un attimo incerta in mezzo al corridoio, guardandosi nervosamente intorno come se la soluzione potesse cascarle addosso da un momento all’altro.
Infine, puntò lo sguardo di fronte a sé, nel punto dove fino a un attimo prima c’era Robert. Strinse brevemente i pugni lungo i fianchi, quindi scese velocemente al piano di sotto.
 
***
 
Gold trovò uno sfacelo al piano di sotto. Soprammobili, alcuni quadri, e oggetti vari erano sparsi sul pavimento, alcuni ancora interi altri completamente in frantumi.
L’uomo mosse solo qualche passo fino a portarsi di fronte all’entrata del salotto. In piedi in mezzo alla stanza c’era Gaston Prince.
A Gold bastò una sola occhiata per capire che doveva essere completamente ubriaco. Il figlio del senatore teneva le spalle ricurve, rendendo il suo corpo massiccio da sportivo imponente e grottesco a causa della postura; pur essendo fermo, si vedeva benissimo che faticava a stare in piedi e barcollava; i capelli erano sporchi e unti, appiccicati al cranio, il volto arrossato e la divisa della squadra di football di Storybrooke chiazzata di macchie d’alcool.
Gold si lasciò sfuggire una smorfia appena percettibile. Gaston Prince non gli aveva mai fatto paura, l’aveva mandato al tappeto già due volte e non aveva alcun timore di farlo anche una terza, ma non era così stupido da volargli addosso come il suo istinto gli suggeriva di fare.
Un ubriaco era dieci volte più forte e più violento di un uomo sobrio, e il fatto che fosse irrotto in casa sua non equivaleva certo a una dichiarazione di non belligeranza. Meglio andarci cauti.
La logica avrebbe voluto che desse ascolto al consiglio di Belle e chiamasse lo Sceriffo, ma il telefono era proprio in salotto, alle spalle di Prince, e il suo cellulare si trovava chissà dove. Doveva riuscire a mandarlo fuori da casa sua da sé.
Mosse qualche altro passo nella sua direzione, fino a trovarsi sulla soglia della porta del salotto. In quel momento, Gaston alzò gli occhi arrossati e iniettati di sangue a causa dell’alcool su di lui, sollevando un lato delle labbra in un sorrisetto sghembo.
- Buona sera, stronzo…- biascicò, muovendo un passo in direzione di Gold.- Non disturbo, vero?- ghignò.- Ho forse interrotto il tuo amplesso con quella puttana? Dov’è la cara Belle, adesso?
- Questo non è affar tuo, ragazzo - lo freddò Gold, mantenendo la voce ferma.- Che cosa ci fai qui?
- Vecchio storpio…!- borbottò Gaston.- Certo che questi sono i fottuti affari miei! Belle è la mia ragazza, e non mi va che qualcuno che non sono io se la scopi al mio posto…
- Belle non appartiene a nessuno, a te meno che mai - ringhiò l’uomo, avvicinandosi ancora di più a lui.- Senti, lo dico per il tuo bene: ti concedo dieci secondi per uscire da qui, e forse potrei considerare attentamente la possibilità di non denunciarti…
Per tutta risposta, Gaston gli scoppiò a ridere in faccia.
- Denunciarmi?- ripeté, con un sorriso sghembo, malsano.- Denunciarmi? Quando avrò finito con te, non avrai più nemmeno la forza di reggerti in piedi. Ammesso che tu ne abbia ancora la possibilità…
Gold lo vide avvicinarsi, a passo barcollante ma deciso. S’impose di mantenere la calma.
- Io e te ci siamo già trovati in questa situazione, e ho sempre avuto la meglio io - rispose tranquillamente.- Gaston, te lo ripeto per l’ultima volta: esci da qui e non importunare più né Belle né me, e farò finta che tutto questo non sia mai successo.
- Stavolta il tuo fottuto bastone non ti servirà a niente!- bofonchiò il ragazzo, fingendo di non aver sentito – ma era proprio sicuro che avesse sentito? Ubriaco com’era, non si sarebbe stupito del contrario. Continuò ad avvicinarsi.
Gold notò che, all’altezza della tasca destra dei jeans, c’era un evidente rigonfiamento, e riuscì a distinguere senza troppa difficoltà il calcio di una pistola che fuoriusciva dalla stoffa. L’uomo si sentì gelare, ma mantenne la calma, arretrando lentamente di un passo. Fece scorrere lo sguardo al di sopra della propria spalla: si trovava proprio di fronte alla cassettiera in cui teneva la sua calibro 38. I cassetti erano chiusi, segno che l’arma non era stata rimossa: Gaston doveva essersela portata dietro appositamente.
A quel punto, rimanevano ben pochi dubbi su quali fossero le sue intenzioni.
Gold si costrinse a mantenere il sangue freddo, arretrando ancora. Se fosse riuscito a raggiungere il cassetto, allora…
Gaston avanzò nella sua direzione; ora aveva iniziato a ridacchiare, piano, sommessamente. La stessa risata di un folle. Gold arretrò, aprendo una mano lungo un fianco nella speranza di poter sentire sul palmo il legno della cassettiera, ma questa era ancora troppo lontana. Gli occorreva tempo.
- Senti…- provò a dire.- Io non voglio che nessuno si faccia male, d’accordo? Esci da qui, non…
- Io non me ne vado da nessuna parte, cazzo!- urlò Gaston.- Non me ne vado finché non avrai capito con chi hai a che fare, bastardo!
- Sei sicuro di quello che stai facendo?- incalzò Gold.- Pensaci: hai vent’anni, sei troppo giovane per buttare via così la tua vita. E la galera non è un bel posto dove stare, te lo posso garantire…
- La prigione non mi spaventa. Mio padre ha delle conoscenze, sarò fuori in men che non si dica.
- Non sai quello che stai dicendo, Gaston. Non si tratta delle tue solite bravate, se non la smetti subito…
- Anche se dovessi finire in gattabuia non me ne frega un cazzo!- urlò Gaston, portandosi una mano alla tasca. Ne estrasse velocemente la pistola, puntando la canna in direzione del torace di Gold.- Se dovrò marcire dietro le sbarre, non importa: avrò comunque la soddisfazione di vedere quella troia piangere sul tuo cranio sfondato.
Gold arretrò, sbattendo contro la cassettiera. Ora avrebbe potuto estrarre con facilità la calibro 38 dal cassetto, ma anche il movimento più fulmineo sarebbe stato insufficiente, dato che ormai Gaston gli stava premendo la canna della rivoltella contro l’addome.
- Sei innamorato di lei, bestia?- incalzò il ragazzo.- Davvero credevi che avrebbe voluto te, quando avrebbe potuto avere me?
- No!
Gold si sentì raggelare, mentre Gaston sobbalzò quando una terza voce s’intromise nel dialogo.
Entrambi volsero lo sguardo, l’uno inorridito, l’altro lievemente stupefatto, in direzione delle scale.
Belle era immobile in mezzo alla rampa, paralizzata. Era pallida, lo sguardo preoccupato, era atterrita.
La ragazza si fece coraggio, scendendo un altro gradino.
- Gaston, per favore…- soffiò, allungando un braccio con una mano aperta come per calmarlo.
Il ragazzo scoprì i denti sporchi e ingialliti in una risata soddisfatta.
- Ah, eccoti qui!- esclamò.- Sapevo che c’eri anche tu…Sei venuta a goderti lo spettacolo?
- Belle, torna di sopra…!- disse Gold, ma Gaston sollevò la canna della pistola, puntandola contro il suo torace, all’altezza del cuore.
- No, lei non va da nessuna parte!- ribatté il ragazzo.- Forza, avanti! Scendi, vieni a farci compagnia…!
- Gaston…- soffiò Belle.- Gaston, no…Gaston, ti prego, non lo fare…
- Ho detto di venire qui! Subito!- abbaiò l’altro.
- Ti prego…
- Muoviti!
Belle guardò prima Gaston poi Gold, infine si decise a scendere velocemente, affiancandosi a quest’ultimo. Il ragazzo sfoderò un sorriso compiaciuto, allontanandosi da loro di qualche passo senza abbassare la rivoltella, in modo così da tenerli entrambi sotto tiro.
Belle si sentì infinitamente stupida, ma subito si disse che non aveva fatto niente di sbagliato: se avesse fatto la brava bambina come al solito, Gaston si sarebbe accanito su Robert. Invece, preferiva beccarsi lei una pallottola, piuttosto che venisse colpito lui.
Aveva iniziato a tremare; Gold le strinse piano un polso per rassicurarla, ma servì a ben poco.
Gaston li squadrò entrambi, senza abbassare la pistola.
- Che carini…!- ridacchiò.
- Gaston, per favore…- provò a dire Gold.- Lasciala stare, va bene? Tu ce l’hai con me, se la ami allora…
- Io non me la faccio con le puttane!- ringhiò il ragazzo, puntando lo sguardo su Belle.- Avresti dovuto pensarci, prima di darti a questa bestia!
- Gaston, ascolta…- Belle ritrovò un briciolo del suo coraggio.- Gaston, per favore, cerca di capire…
- E che cosa dovrei capire?!- urlò Gaston.- Hai preferito lui a me!
- No, Gaston…io…
- Lei non ha fatto niente!- s’intromise Gold.- Lei non c’entra, lasciala stare…
- Tu sta’ zitto!- ululò il ragazzo.- Zitto, hai già fatto abbastanza! Mi hai umiliato, mi hai reso lo zimbello della città, me l’hai portata via!- accennò a Belle.- Meritate di pagare, tutti e due!
- Gaston, ti prego!- urlò Belle, sull’orlo delle lacrime.- Io lo amo, lo vuoi capire?!
Il ragazzo la guardò per degli istanti che parvero eterni, stupefatto, quasi in stato di trance. Belle boccheggiò, sentendosi il sangue alla testa. Gold si girò velocemente, aprendo il cassetto ed estraendone la pistola.
Gaston si riprese, e puntò la canna dritta contro i due.
 
***
 
Emma Swann aveva compreso che c’era qualcosa che non andava sin da prima di accostare l’auto. In lontananza, le luci della villa del signor Gold erano accese, ma non appena il Vicesceriffo si era avvicinata aveva notato che la porta d’ingresso era spalancata, e che all’interno, al piano terra, c’era parecchio trambusto.
Emma spense il suo maggiolino giallo a pochi metri dal cancello d’entrata, smontando dall’auto. All’interno dell’abitazione giungevano alcune voci, ma non riusciva a capire cosa stessero dicendo. Questo non fece altro che insospettirla ancora di più. Percorse velocemente il vialetto che conduceva all’entrata, assicurandosi che la pistola d’ordinanza fosse ben salda alla cintura.
Alzò lo sguardo in direzione di una delle finestre, arrestandosi nel bel mezzo del vialetto.
All’interno dell’abitazione c’era un uomo, che non era il signor Gold: Emma riconobbe in lui Gaston Prince, il figlio del senatore, quello scapestrato che aveva rilasciato di prigione neanche una settimana prima. Sembrava agitato, parlava a raffica, probabilmente era anche un po’ brillo…e teneva una pistola puntata di fronte a sé.
Ma che accidenti sta…?
Emma non ci stette a riflettere troppo, e prese a correre in direzione dell’entrata. Sfoderò la pistola, impugnandola saldamente, e salì velocemente i gradini che conducevano alla porta d’ingresso, entrando
in casa.
- …io lo amo, lo vuoi capire?!
- Ma che sta succedendo qui?!
Emma fece appena in tempo a vedere Gaston voltarsi nella sua direzione strabuzzando gli occhi, prima che il ragazzo si riprendesse e spostasse la canna della pistola da Gold e Isabelle French a lei. La donna si scansò istintivamente, andando a sbattere il dorso contro la parete e finendo inginocchiata sul pavimento, mentre lo scoppio della pistola venne seguito a tutta velocità da una pallottola che andò a infrangere il vetro di una finestra.
Emma sentì le gambe tremarle, e impugnò saldamente la pistola fra le mani.
Gaston era arretrato a causa del rientro del colpo della pistola; questo aveva dato a Gold tempo sufficiente per puntare addosso a lui una calibro 38, estratta da chissà dove.
Il ragazzo strabuzzò nuovamente gli occhi.
- Metti giù quell’affare…!- sibilò Gold.
- Bastardo...
- Falle del male e io ti…
- Ora basta!- sbottò il Vicesceriffo, rialzandosi in piedi e puntando a sua volta la pistola d’ordinanza.- Tutti e due, adesso, fatela finita! Gold, metta giù quella pistola…Prince, anche lei…Fate i bravi, e vedrò di…
- Zitta, troia!- urlò Gaston.- Tu sta’ zitta! Puttana, la farò pagare anche a te…
- Gaston, basta! Sei ubriaco!- strillò Belle, muovendo un passo avanti. La ragazza alzò le mani quasi in segno di resa, ma la sua intenzione era un’altra: voleva almeno provare a far ragionare Gaston; a evitare che tutta quella faccenda degenerasse. Era lei che aveva combinato tutto quel casino: spettava a lei metterlo a posto.
- No, io non sono mai stato così sobrio in vita mia!- ribatté il ragazzo, ghignando in direzione di Gold.- Avevi detto che ne avremmo riparlato da sobrio, vero? Bene, eccomi qui…
- Belle, allontanati…
- Signorina French, lasci fare a me…
- No!- ribatté Belle, tornando a guardare Gaston negli occhi.- Gaston, per favore, ascoltami…- soffiò.- Io non…non avevo nessuna intenzione di farti un torto, te lo giuro…- deglutì, facendosi forza.- Davvero, io…non avrei mai voluto farti del male, ma devi capire che…che…che io sono innamorata di lui - concluse infine.- Mi spiace, Gaston, ma è così. Per favore…
Emma trattenne il fiato.
 
***
 
Graham aveva guidato come un folle per mezza Storybrooke, tanto quasi da dimenticarsi dei due bambini seduti sul sedile posteriore dell’auto. Henry e Paige non avevano detto una parola per tutto il tragitto dalla centrale di polizia alla casa del signor Gold, e in fondo Graham preferiva così.
Non sapeva bene il perché si fosse lanciato in quella specie di inseguimento alle calcagna della sua Vice nonché compagna – o amante? O fidanzata? Neanche lui sapeva bene come chiamarla –, ma in qualche modo sentiva di doverlo fare. Si era sempre fidato di Emma, delle sue capacità, del suo intuito e perfino del suo superpotere, come lo chiamava lei – la presunta capacità di saper riconoscere i bugiardi –, ma stavolta non era disposto a lasciarla andare da sola.
Doveva starle vicino, continuava a ripetersi.
Ebbe la certezza che le sue non fossero solo paranoie quando vide il maggiolino giallo parcheggiato di fronte alla casa del signor Gold senza la proprietaria al suo interno o nelle vicinanze, una finestra della villa rotta, le luci accese e un gran baccano all’interno.
Graham accostò, spegnendo il motore, quindi si girò a guardare i due bambini seduti sul sedile posteriore.
- Restate qui, okay?- disse, con il tono di voce più rassicurante che riuscì a sfoderare.- Io faccio in un attimo…
Lo spero tanto…!
Lo Sceriffo smontò in tutta fretta dall’auto, avviandosi di corsa in direzione della porta d’ingresso.
Senza riflettere, spalancò la porta.
- Emma…- boccheggiò.
Graham fece appena in tempo a vedere la sua Vice e le altre tre persone all’interno della stanza, prima che Gaston si voltasse nella sua direzione. Il ragazzo perse di nuovo la testa: senza pensare, sparò un altro colpo di pistola, diretto verso il poliziotto.
Lo Sceriffo fu abbastanza rapido da scansarsi, ma la pallottola lo colpì a un braccio, ferendolo di striscio. Graham emise un urlo soffocato, premendosi la mano sul braccio mentre cadeva a terra.
Emma si gettò verso di lui, afferrandogli una spalla. Era solo una ferita superficiale, ma il sangue aveva già iniziato a imbrattargli la giacca e la camicia, colando sul pavimento.
- Ora basta!- strillò il Vicesceriffo.- Prince, metta giù quella pistola!
Gaston l’ignorò, voltandosi verso Belle. La ragazza si sentì improvvisamente fragile, piccola e indifesa, inerme mentre lui le puntava la pistola contro.
- Gaston…- boccheggiò.- Gaston, no…
- Metta giù la pistola, ho detto!
- Ti prego, Gaston…
- Prince!
Il ragazzo non diede segno di aver udito, e portò l’indice al grilletto.
Gold allungò un braccio verso Belle, spostandola di lato e frapponendosi fra lei e Gaston. Aveva ancora la calibro 38 in mano.
 
***
 
All’esterno dell’abitazione, raggomitolati sul sedile posteriore dell’auto di Graham, Henry e Paige udirono un secondo sparo. La bambina si strinse istintivamente al cappotto dell’amico, mentre il silenzio che seguì si fece carico di tensione.
Poco dopo, Henry e Paige udirono provenire dalla casa un suono, molto simile a un pianto.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Concordo con voi sul fatto che avrei potuto fare di meglio, ma sto scrivendo direttamente dal lazzaretto di Milano de I promessi sposi, non so se mi spiego, e sono parecchio inzuccata sebbene di febbre non ne abbia più, e meno male! Detto questo, ivi (???) abbiamo il terzultimo capitolo, un po’ mediocre ma non ho saputo fare di meglio, chiedo venia…
Riguardo alla menzione di Milah e Cora...beh, so che sembra un po' improvvisa, ma avendo iniziato questa storia già durante la season 1 (il che mi porta a pensare...ma da quanto tempo è che ci lavoro?!) non ho potuto fare nulla prima, ma ho voluto inserirle avvalendomi del fatto che questa ff è in gran parte scritta con il PoV di Belle.
Ci ho messo un po’ a pubblicarlo, lo so, ma non sarà lo stesso anche con gli altri. Ho infatti deciso di sospendere temporaneamente tutte le mie altre storie – esclusa un’originale – in favore di questa, che ho intenzione di terminare quanto prima.
Nel prossimo capitolo sapremo cosa è successo veramente in tutto ‘sto casino, e ci saranno diverse coppie – devo portare a conclusione anche le altre storie in questa storia :P.
Ciao a tutti, al prossimo (e penultimo!) capitolo!
Un bacio,
Beauty
 
P. S. Un grazie enorme a tutti per avermi aiutato a raggiungere quota 300 e più recensioni in questa storia! Siete fantastici!

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Capitolo 21
*** 'Cause I Can't Believe This is How the Story Ends... ***


‘Cause I Can’t Believe This is How the Story Ends…
 
Il leggero ronzio della macchinetta automatica si confondeva con il brusio generale nella sala d’attesa dell’ospedale. Emma rimase ad aspettare per ancora qualche istante, quindi diede una pesante manata al marchingegno nella speranza che la tazza di caffè si riempisse più velocemente.
Si chinò, prendendo con cautela il contenitore di cartone con all’interno il liquido fumante. Emma si era rammaricata che non ci fosse l’opzione con la cannella, ma aveva comunque tentato di compensare selezionando una tripla aggiunta di zucchero. Forse sarebbe riuscito a renderla un po’ più dolce.
Emma si allontanò dalla macchinetta, soffiando sul caffè bollente; scoccò prima un’occhiata alle due figurine infagottate sedute una accanto all’altra su due seggiole della sala d’aspetto: Henry teneva lo sguardo mogio sulle proprie ginocchia, rigirandosi i pollici – la donna aveva approfittato dell’attimo di calma che era seguito a tutto quel macello per informarlo della nuova situazione, sua, loro e di Regina; il bambino aveva pianto, come si era aspettata, ma esaurite le domande sul come e sul quando avrebbe potuto vederla, e avendo trovato le risposte di suo gradimento, Henry aveva accettato il nuovo stato delle cose senza piagnistei eccessivamente drammatici –; accanto a lui, la sua amica Paige Hatter aveva il visino pallido e gli occhi cerchiati, e continuava a far vagare lo sguardo da lui, al viavai delle infermiere e dei medici, agli altri ospiti e – quando si sentiva un po’ più audace – alla donna raggomitolata su di un’altra seggiola di plastica, ma più lontana da loro, in fondo al corridoio di fronte a una delle stanze.
Emma seguì l’esempio di Paige, sporgendosi un poco per scoccare una rapida occhiata a Isabelle French: il volto della ragazza era praticamente nascosto dalla massa spettinata dei riccioli castani, anche se il Vicesceriffo poteva tranquillamente indovinare che avesse gli occhi cerchiati di pianto, o che, probabilmente, stava ancora piangendo. Belle teneva le ginocchia strette al petto, raggomitolata su se stessa in una maniera così penosa che Emma dovette distogliere lo sguardo per impedirsi da correre da lei e avvolgerle un braccio intorno alle spalle.
Sarebbe stato veramente inopportuno e, per com’era lei, poco abituata alle coccole e alle smancerie, sicuramente sarebbe scoppiato un disastro.
Emma bevve un sorso del suo caffè, ripercorrendo con la memoria gli avvenimenti delle ultime cinque ore. Più ci pensava, più si malediva per non essere stata abbastanza pronta ad agire.
Ma d’altronde, che avrebbe dovuto fare? Sparare a Prince? Se lo sarebbe meritato, indubbiamente, ma l’etica professionale non lo prevedeva…neppure in situazioni simili.
Si sarebbe quasi potuto dire che fosse colpa dell’etica, se Robert Gold ora era in quello stato.
Dopo che Gaston aveva sparato a Graham, Emma aveva pericolosamente abbassato la guardia, tutto per gettarsi accanto al suo uomo – il suo…uomo? E da quando lo era diventato? Da quando si era fatto sparare addosso, certo, per quelli come lei la verità arrivava sempre in extremis! – che giaceva a terra sanguinante, e aveva permesso che Gold e Prince rimanessero momentaneamente soli a fronteggiarsi.
Forse non sarebbe successo tutto questo, se Isabelle non si fosse frapposta in mezzo a loro due, ma Emma sapeva che non era giusto dare la colpa a lei. Forse, l’unico ad avere veramente una colpa era Prince, o forse no…in ogni caso, ormai quel che era successo era successo.
Gold si era messo in mezzo per difendere la ragazza, e Prince gli aveva sparato.
Era accaduto tutto così in fretta che quasi non se n’era resa conto. Aveva realizzato tutto quando aveva visto il corpo di Gold a terra, in un lago di sangue. Prince l’aveva colpito all’altezza del fianco.
Emma aveva temuto che stesse per puntare la pistola contro qualcun altro, e invece non era stato così: un secondo dopo aver sparato, Gaston si era accasciato a terra, in preda alle lacrime e a una crisi isterica. Anche se quella veramente disperata, in quel momento, era Isabelle French.
L’ambulanza era arrivata con un notevole tempismo, appena in tempo, si sarebbe potuto dire.
Emma aveva ammanettato Prince e aveva chiamato la centrale affinché qualcuno venisse a prelevarlo. Era stato portato a Boston quella notte stessa, con appresso suo padre che dichiarava la sua carica di senatore ai quattro venti, ribadendo di avere delle conoscenze e che suo figlio non sarebbe rimasto in galera ancora a lungo mentre tutti loro se ne sarebbero pentiti.
Emma aveva preferito lasciare che il senatore Prince scoprisse da sé che Gaston in gattabuia ci avrebbe passato almeno cinque anni, con tutto quel che aveva fatto.
Ora, dopo tre ore di sala operatoria e cinque tazze di caffè per lei, trenta punti di sutura per Graham, minuti infernali per Belle French, e una colossale sfuriata al suo superiore per essere stato tanto idiota e incosciente da portarsi dietro due bambini – uno dei quali era suo figlio, aveva rimarcato Emma in un momento in cui si sentiva particolarmente propensa all’omicidio aggravato da torture e sadismo –, mezz’ora fa il vice primario dell’ospedale di Storybrooke, il dottor Whale, aveva annunciato loro che Robert Gold si sarebbe ripreso.
- E’ ancora molto debole…- aveva aggiunto, guardando a turno lei e Belle.- La pallottola si era conficcata parecchio in profondità. Ha rischiato grosso, ma se la caverà.
- Fra quanto potrà uscire?- aveva chiesto Belle.
- Difficile dirlo. Una settimana, forse due…Preferisco tenerlo ancora un po’ sotto controllo.
- Posso…posso vederlo?
- Certo, signorina, ma le chiedo di avere pazienza ancora per un po’. Come le ho detto, è ancora molto debole, è meglio non stancarlo…
E ora, eccoli lì. Lei, una ragazza che ne aveva passate di tutti i colori, il bastardo della città ferito da un colpo di pistola, due bambini che Iddio solo sapeva che diamine c’entrassero in quella storia, Graham con un braccio fasciato e un’emicrania che non avrebbe fatto altro che peggiorare.
Emma sospirò, allontanandosi dalle macchinette: svoltò l’angolo, quasi rischiando di andare a sbattere contro il suo collega, appoggiato a una parete. Graham aveva un braccio fasciato intorno al collo.
Il Vicesceriffo bevve un altro sorso di caffè, quindi esibì una smorfia disgustata, gettando la tazza di plastica nel primo bidone della spazzatura che le capitò a tiro.
- Questo caffè fa schifo…- dichiarò, a mezza voce.
- Non si direbbe, dato che è la sesta tazza che bevi…- ridacchiò Graham.
Emma chiuse gli occhi, passandosi le mani fra i capelli, quindi puntò lo sguardo assonnato su Henry e Paige. Si volse verso Graham.
- Come stai?- chiese.
Lo Sceriffo fece spallucce.
- E’ solo un graffio. In un paio di giorni sarò di nuovo in carreggiata…
- Uhm…- Emma saltellò nervosamente da un piede all’altro, tornando a guardare i due bambini.- Hai scoperto, alla fine, che c’entrano loro due in tutto questo?
- No. Ma credo che sia stato solo un falso allarme.
- Che intendi dire?
- Qualunque cosa gli chieda, non fanno altro che parlarmi di una favola. Penso sia stato solo un gioco, o qualcosa di simile…
- Credi che dovremmo approfondire? Anche quando Gold si rimetterà…dovremmo fargli qualche domanda…
- E dove sta scritto?- fece Graham.- Emma, dammi retta, è meglio lasciar perdere.
- Tu dici?
- Le cose si sono risolte da sé, non credo che andando avanti riusciremo a cavare fuori qualcosa di più di quanto già non sappiamo…
Emma ci pensò un po’ su, quindi annuì, appoggiandosi pesantemente alla parete accanto a Graham. Lo Sceriffo si avvicinò un poco a lei.
- Gliel’hai detto?- domandò.- A Henry…Gliel’hai detto di Regina?
- Sì…- soffiò Emma, guardandolo negli occhi.- L’ha presa meglio di quanto credessi…
- Che farai, adesso?
- Beh, rispetterò i patti. Henry potrà vederla una volta al mese, come le ho promesso. D’altronde, anche lei è sua madre, è giusto che continui ad avere rapporti con Regina…
- E nel frattempo?- insistette Graham.- Che farete tu ed Henry? Avete intenzione di cacciarvi tutti e due a vivere in quel tugurio insieme a Mary Margaret?
- Per il momento non vedo altra alternativa, anche se non durerà a lungo. Già da qualche giorno Mary Margaret continua ad accennarmi di voler far venire a vivere anche David nel suddetto tugurio, e in quattro la convivenza sarebbe impossibile…Chissà, magari dopo tutto questo casino Gold mi avrà presa in simpatia e si limiterà a spennarmi solo metà stipendio d’affitto, invece che prendersi tutta la mensilità…
- In effetti, qui a Storybrooke i contratti d’affitto solo parecchio infimi, senza contare che con un bambino le spese triplicheranno… - disse Graham, prima che sulle sue labbra si disegnasse un sorriso sornione.- Sai che ti occorrerebbe?
- Una vincita alla lotteria?
- Non male. Anche se io, a dire il vero, pensavo a un coinquilino…
Emma lo guardò, ammutolita, inarcando le sopracciglia.
- Ti ho già detto che Mary Margaret…
- …sta progettando di andare a vivere con il suo principe ranocchio, sì - la bloccò Graham.- Ma a Storybrooke non è l’unica a cui farebbe comodo dividere l’appartamento. E, se ti può interessare…- lo Sceriffo ridacchiò.- Io sono alla disperata ricerca di qualcuno che mi aiuti a sbarcare il lunario.
Emma sgranò gli occhi, drizzandosi in piedi. Boccheggiò, guardandolo come se si trovasse di fronte a un alieno.
- Tu…tu…- balbettò, ancora incredula.- Tu…Graham, non dirmi che è quello che penso…
- E invece ho paura che dovrò dirtelo…
- Mi stai…mi stai proponendo di…andare a vivere insieme?!- sbottò Emma, ad alta voce.
- Se vuoi mettere i manifesti, fai pure, ma sappi che non sarebbe il massimo della discrezione…
La donna si mise le mani nei capelli, a metà fra l’incredulo e lo sconvolto.
- Non posso crederci…tu…tu vuoi davvero che…
- Emma!- la bloccò Graham, sollevando la mano con il braccio sano per calmarla.- Emma, è tutto okay. Non è la fine del mondo. Basta che tu mi dica solo o no. Senza rancore.
La donna inspirò a fondo, cercando di calmarsi. Chiuse gli occhi, maledicendo se stessa per essersi messa in corpo tutta quella caffeina. Prese altri due o tre bei respiri, quindi tornò a guardare Graham.
- Ne…ne sei sicuro?- domandò infine.- Voglio dire, sei certo che per te vada bene? Tu, io ed Henry?
- Sì - Graham si strinse nelle spalle.- Io in genere non parlo tanto per dare aria alla bocca, Emma. Tu, io ed Henry, insieme. Certo, ci dovremo dare una calmata, io e te, se capisci cosa intendo…e, se posso darti un consiglio, ti suggerirei caldamente di sbarazzarti di quel vibratore con quella scritta oscena che…
Emma annuì con forza, lasciandosi sfuggire una risatina. Graham le tese la mano non fasciata.
- Andata?- ammiccò.
- Andata…- Emma sorrise, ma subito il sorriso si estinse. Non strinse la mano a Graham, ma anzi, gli puntò contro uno sguardo truce. Lo Sceriffo sbatté le palpebre, perplesso.
- Che…che cosa c’è?- domandò, con un filo di voce, ottenendo come risposta un violento pugno all’altezza del braccio fasciato, tale da farlo piegare in due e gemere di dolore. Subito, un altro pugno lo raggiunse alla spalla, stavolta fortunatamente quella sana.
- Emma…- boccheggiò Graham.- Ma che fai?!
- Con te non ho ancora finito!- ringhiò Emma, tirandogli degli schiaffi poco energici all’altezza del petto.
- Ma che…ahi!...Emma…Emma, te l’ho detto, mi dispiace, hai ragione, non avrei dovuto portare Henry e la sua amica a…
- Non mi sto riferendo a quello!- sibilò la donna.- Che diavolo ti è saltato in mente, eh?! Senza neanche la pistola, imbecille! Fallo un’altra volta e ti sistemo anche l’altro braccio!
- Volevo…volevo aiutarti…
- Non…non ti azzardare…- Graham ricevette gli schiaffetti sempre più flebili di Emma sul torace, senza opporsi, vedendo gli occhi della donna riempirsi di lacrime e sentendo la sua voce incrinarsi.- Non ti azzardare più a farmi prendere uno spavento del genere, hai capito?!
Un secondo dopo, Graham si ritrovò con le braccia di Emma intorno al collo.
Lo Sceriffo fece un mezzo sorriso, avvolgendole il braccio sano intorno alla vita per ricambiare goffamente l’abbraccio.
- Allora te ne frega qualcosa di me…- ridacchiò.- Ero convinto che mi considerassi solo un oggetto sessuale…
- Fottiti.
- Appunto…
Emma si asciugò velocemente le lacrime dagli occhi, abbracciandolo e affondando il volto contro la sua spalla.
 
***
 
Henry aveva assistito con sconcerto alle effusioni di sua madre con Graham, ma in fondo più che infastidito era perplesso: Emma non era mai stata il tipo per certe cose.
Ma in fondo, che male c’era?
E poi, qualunque cosa ora l’aiutava a non pensare a Regina…
- Mi dispiace per la tua mamma, Henry…
Il bambino si voltò, guardando Paige negli occhi. Era come se la sua amica gli avesse letto nel pensiero. Si sforzò di non abbracciarla, e si strinse nelle spalle.
- Grazie. Beh, però, in fondo qualcuno in questa storia doveva pur essere il cattivo - disse, appellandosi alla poca filosofia che i suoi dieci anni gli concedevano.- Ha sbagliato, lo so. Ma Emma ha detto che potremmo continuare a vederci quando vorrò, e che per come stanno le cose non resterà in prigione per molto tempo. In fondo, non è andata poi così male…
Paige annuì, quindi appoggiò il capo contro la spalla dell’amico, sentendosi le palpebre pesanti.
- Mi spiace - ripeté.- Per salvare il mio papà, tua madre…
- Va tutto bene - la rassicurò Henry.- Tuo padre non ha fatto niente. Mia madre, invece…beh, diciamo che lei era un po’ come le due sorelle cattive della Bella…- buttò lì tanto per sdrammatizzare.
- Che?!- Paige scattò seduta a guardarlo.- Hai continuato senza di me?!
- L’ho finita, a dire il vero…- ammise il bambino, pieno di vergogna.
- Henry!- la piccola sbuffò, incrociando le braccia al petto con aria indispettita.- Henry, insomma, avevamo detto che…
- Scusa, scusa! Se vuoi, ti posso raccontare come va a finire…- propose, in segno di pace. E poi, raccontare la favola a Paige sarebbe stato un buon diversivo per non incappare nei suoi pensieri riguardanti Regina.
La bambina valutò un attimo la proposta, quindi annuì.
- Okay, ma sarà meglio per te se la racconti bene - lo avvertì.- Eravamo arrivati che la Bestia lasciava andare la Bella perché tornasse dalla sua famiglia, ma doveva ritornare al castello entro…quanto era?
- Sette giorni, mi pare…
- Sì. E poi? Che hai detto riguardo alle due sorelle cattive?
 
***
 
Ashley aveva ninnato Alexandra per mezz’ora, prima che la neonata si decidesse ad addormentarsi. La ragazza la mise delicatamente nella culla, scoccando un’occhiata all’orologio. Era mezzanotte. L’ora dei vampiri, pensò. O l’ora di Cenerentola, ancora meglio.
Ma, in cima alla lista, era l’ora in cui finalmente Sean avrebbe staccato dal turno di notte e sarebbe tornato a casa da loro. Da lei e da Alexandra.
Ashley sospirò, uscendo dalla cameretta di sua figlia e iniziando ad avviarsi lungo il corridoio in direzione della cucina. Aveva tutta l’intenzione di prepararsi una tisana in attesa che Sean tornasse a casa, ma quasi involontariamente si bloccò di fronte all’involucro di plastica appeso all’attaccapanni dietro la porta. La ragazza sorrise, facendo scorrere lo sguardo sognante sul suo abito da sposa.
Meno di tre mesi al matrimonio…
 
***
 
Regina appoggiò stancamente il capo contro la parete della celletta, chiudendo gli occhi.
In quel momento si chiedeva che cosa avrebbe dovuto provare nei confronti di Emma Swann: insopprimibile desiderio di metterle le mani addosso oppure profonda e sincera gratitudine?
Aveva appena terminato il colloquio con quello che, stando a quanto le aveva indicato il Vicesceriffo, sarebbe stato il suo avvocato per tutta la durata del processo e anche dopo. Tale Albert Spencer, bastardo di prima categoria che, tuttavia, era anche uno dei migliori professionisti in circolazione.
Regina era in genere molto restia a fidarsi alla cieca degli sconosciuti, ma se le parole di Emma Swann l’avevano rincuorata, quelle dell’avvocato erano state in grado di rassicurarla definitivamente: Albert Spencer le si era subito presentato come un osso duro, esordendo con un non si preoccupi, signora Mills, la tirerò fuori di qui prima ancora che lei si renda conto di essere dietro le sbarre, e prendendo a elencarle tutte le attenuanti che aveva intenzione di sfoderare in sede di processo, assicurandole che non avrebbe ceduto fino a che non fosse riuscito a tirare la massima lunghezza della pena a cinque anni. Tre, se come pensava un certo giudice rammollito avrebbe presidiato al processo.
Regina non sapeva se crederci o no, dato che tutto quell’ottimismo le suonava un po’ storto, ma era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi, in quel momento, per non cadere nella disperazione. Quello, insieme a…
La donna abbassò istintivamente lo sguardo sulle proprie mani: fra le dita teneva saldamente una fotografia che gli agenti avevano sfilato dal suo portafogli e consegnato. Erano lei e Henry, a otto anni, che sorridevano in primo piano, abbracciati. All’anulare sinistro, Regina indossava l’anello di Daniel.
Aveva gli occhi gonfi a causa del pianto, ma in quel momento trovò la forza di sorridere.
Dopotutto, anche se era in carcere, non aveva perso tutto.
Aveva quella fotografia. Aveva l’anello di Daniel. Aveva l’affetto del suo bambino e le promesse di Emma Swann – non le avrebbe mentito, no. E aveva la speranza che presto sarebbe riuscita a rivedere Henry.
Era tutto ciò che le serviva per andare avanti.
 
***
 
Quando l’orologio a cucù del salotto suonò la mezzanotte, con un rapido calcolo mentale David Nolan riuscì a dichiarare ufficialmente sette ore consecutive trascorse seduto sul pavimento a implorare di fronte alla porta del bagno.
Sospirò, facendo l’ennesimo disperato tentativo e bussando alla porta.
- Mary Margaret!- chiamò, con voce stanca e strascicata.- Mary Margaret, per favore, esci da lì…
- No!
David appoggiò il capo contro il legno, cominciando veramente a perdere la pazienza.
- Ti prego…- ritentò.
- Ho detto di no!
- Dimmi almeno se è positivo!- sbottò David.
Udì con orrore alcuni singhiozzi provenire da dentro la stanza.
- Ma che domande fai?! Se non fosse positivo secondo te sarei chiusa qui?!
- Allora sei incinta!- David sentì l’euforia montare dentro di sé, scattando in piedi e bussando con più vigore contro la porta.- Sei incinta! Amore, è meraviglioso…!
- Meraviglioso?! Ma ti sei impazzito?!
Inaspettatamente, la maestra spalancò la porta del bagno, così che David si ritrovasse muso a muso con lei. La sua fidanzata era ancora più pallida del solito, aveva gli occhi arrossati di pianto e i capelli arruffati. Sembrava quasi la strega di Biancaneve, pensò David.
- Meraviglioso, dici?- ringhiò Mary Margaret.- David, hai capito che cosa sta succedendo?! Sono incinta! Sai cosa vuol dire o devo farti il discorso delle api e del polline?!
- Lo so, lo so…- tentò di calmarla David.- Ma non capisco cosa c’è che non va. Mary Margaret, saremo genitori!- esultò.- Era quello che volevamo, no? Ti ricordi? Quante volte abbiamo parlato di come sarebbe stato avere dei bambini e…
- Sì, certo, me lo ricordo. Anche io voglio diventare mamma, ma…diavolo, non potevamo scegliere un momento più inopportuno!- la maestra si mise le mani nei capelli.- David, tu devi ancora divorziare da Kathryn, non siamo sposati, non viviamo nemmeno nella stessa casa, i miei genitori probabilmente ci ammazzeranno tutti e due, e…e…e io ho paura!- sbottò infine, scoppiando in lacrime. David Nolan sospirò, scuotendo il capo e abbracciandola.
- Kathryn ha promesso che firmerà i documenti quanto prima - spiegò, pacatamente.- Per il matrimonio, non appena sarà nato il bambino provvederemo; per la casa, avevamo dei progetti e li metteremo in pratica; i tuoi genitori dovranno farsene una ragione…- David fece una smorfia al pensiero dei suoi quasi futuri suoceri.
Mary Margaret era l’unica figlia di Leopold ed Eva Blanchard, una coppia che era riuscita a darla alla luce dopo anni e anni di matrimonio senza più speranze di avere dei bambini. L’avevano cresciuta come un gioiellino, dandole sempre il meglio ma nel contempo imponendole un’educazione religiosa molto rigida. L’avevano presa malissimo quando Mary Margaret, anziché rimanere nella casa paterna fino al matrimonio, aveva affittato quel piccolo appartamento a Storybrooke quando aveva ricevuto l’incarico di insegnante elementare, arrivando a minacciare di diseredarla nel momento in cui avevano scoperto che aveva una storia con un uomo sposato.
Leopold ed Eva non l’avevano mai potuto soffrire, e ora il fatto che avesse messo incinta la loro bambina senza essere legalmente sposati non era certo un punto a suo favore. Ma avrebbero dovuto accettarlo, concluse.
- …e infine: credimi, anche io ho paura - David la guardò negli occhi, sorridendole. Mary Margaret ricambiò il sorriso, un po’ rincuorata mentre lui le accarezzava i capelli.- Ma sono sicuro di una cosa: sarai una madre splendida, stanne certa…
 
***
 
Sarebbe stato tutto perfetto, se non fosse stato per lo sguardo da aquila assassina di Granny, ma tutto sommato poteva anche passarci sopra. Non le andava di farsi rovinare la serata dalle paranoie di sua nonna che, poverina!, ancora la credeva una pura e innocente verginella. No, proprio no. Non adesso che andava tutto bene.
Ruby ringraziò silenziosamente che la quasi totale mancanza di clienti, quella sera, le avesse concesso la possibilità di prendersi una pausa e sedersi a uno dei tavoli di fronte al dottor Hopper, invece che parlare con lui da oltre il bancone. Si sporse un poco in avanti, bevendo la sua tazza di cappuccino con aria sorniona, gustandosi l’espressione sconcertata di Archie.
L’uomo boccheggiò, cercando di mettere a fuoco ciò che gli aveva appena raccontato.
- Questa storia ha dell’assurdo…- mormorò infine; Ruby si chiese cosa avrebbe pensato se lei non avesse omesso i particolari di Jefferson e del rapimento di Belle.- Chiamami bigotto, ma non riesco a capacitarmi che una ragazza come Belle French si sia davvero innamorata del signor Gold…
- Beh, se tu sei bigotto, io sono una puritana della peggior specie. Potrei unirmi a una comunità di Amish!- sussurrò Ruby, ridacchiando.- Ricordi quando sono venuta da te, la settimana scorsa? Sembravo un’isterica!
- No. Eri solo un po’ confusa…- Archie le sorrise gentilmente, in quel modo in cui solo lui riusciva a sorridere senza darle l’idea di volerla accontentare.- E dimmi: ora come vanno le cose? Tu e Belle avete fatto pace?
- Direi di sì - Ruby sorrise, guardandolo negli occhi. Gli prese una mano. - E per questo, ti devo ringraziare. Credo che le starei ancora tenendo il muso se non ci fossi stato tu…
- Davvero, Ruby, non serve. Io ho fatto solo il mio dovere.
- Consolarmi, dici? Era dovere anche la sera di San Valentino?
A quell’allusione, Archie divenne del colore dei suoi capelli.
- Ehm…io…credevo…credevo che fosse una questione chiusa, quella - balbettò, infine, cercando senza risultati di darsi un contegno.- Mi dispiace per…
- Per avermi dato un bacio?- ammiccò Ruby.
- Sì…cioè, no…Non…insomma, voglio dire…Mi dispiace di essere stato così invadente, io di solito non…
- Oh, ma a me non è dispiaciuto nemmeno un po’!- esclamò Ruby, facendosi un po’ più vicina.- E, se non ricordo male, sono stata io a baciarti per prima. Tu mi hai seguito.
- Già…
Ormai Archie si era impappinato senza alcuna speranza di uscirne. Ruby ridacchiò, sporgendosi verso di lui.
- E devo ammettere che uno di questi giorni non mi dispiacerebbe ripetere l’esperienza…
- In effetti, se per te va bene, anche io sarei…
- Dottor Hopper!- la voce di Granny giunse con la stessa intensità di una sirena dei vigili del fuoco, facendoli sobbalzare entrambi.- Dottor Hopper, mi scusi, ma stiamo per chiudere…- ringhiò la donna.- Ruby, ti spiacerebbe sollevare le sedie?
- Sì, nonna…- sbuffò la ragazza, alzandosi in piedi. Fece l’occhiolino ad Archie, allontanandosi.
Non poté trattenersi dal ridacchiare di contentezza.
Stava andando tutto bene.
 
***
 
Michelle afferrò un fazzoletto fra le mani per non scottarsi, sollevando attentamente la teiera e versando del thé fumante in entrambe le tazze posate sul tavolo. Ci aggiunse un cucchiaino di zucchero per lei e ne mise tre in quello di Jefferson, con anche una piccola fetta di limone.
Sapeva che al suo amico piaceva così, molto dolce.
La farmacista voltò il capo, scoccando l’ennesima occhiata a Jefferson: il fatto che tutto quanto fosse finito non era altro che un bene, e l’averlo rassicurato sul fatto che nessuno l’avrebbe denunciato né tantomeno gli avrebbe portato via Paige era stato di parecchio conforto, ma era evidente che non si sentiva ancora tranquillo. Michelle non poteva dargli torto: nelle sue condizioni, qualsiasi essere umano sarebbe crollato miseramente, era già una gran cosa che non gli fosse venuto un esaurimento nervoso.
E poi, Regina Mills era ancora impunita: finché era in circolazione, nessuno poteva dire di essere veramente tranquillo.
Michelle guardò negli occhi cerchiati di Jefferson, sfoderando il miglior sorriso di rassicurazione che riuscì a trovare, porgendogli una delle due tazze.
- Ecco qui. Con tanto zucchero come piace a te!- provò a scherzare. Con suo grande sollievo, Jefferson le regalò un sorriso sghembo, prendendo la tazza dalle mani della farmacista.
- Grazie, Michelle…- soffiò, ancora pallido in volto.
- Di niente. E’ solo un thé.
- Non mi riferivo solo a questo…- Jefferson bevve un sorso prima di continuare.- Ti ringrazio per tutto. Per avermi tirato fuori dai guai e per…beh, per essere rimasta - l’infermiere abbassò lo sguardo.- Non pensavo che qualcuno volesse ancora avere a che fare con un rapitore…
- E io invece pensavo fossi più intelligente - lo rimbrottò Michelle, sedendosi al tavolo e accavallando le gambe, innervosita.- Sappiamo tutti quanti come sono andate le cose, Jefferson. Un padre per sua figlia farebbe questo e altro. E io sono tua amica…ti pare che ti mollerei proprio adesso?
- Se le tue zie venissero a saperlo, farebbero lo scalpo a me e rinchiuderebbero in una torre te…
- Nessuno all’infuori di chi era presente oggi verrà a sapere nulla di quanto è successo, sta’ tranquillo.
Jefferson esitò un attimo, quindi annuì. Michelle vide che gli tremavano le mani, e provò l’impulso di andare da lui e stringergliele fra le proprie. Si morse l’interno di una guancia, bevendo a forza un sorso del suo thé.
- Vuoi…vuoi che vada io a prendere Paige?- propose infine.
- No, ti ringrazio. Stamattina mi ha detto che si fermava a dormire da un amico. E’ meglio così, in effetti…non voglio che mi veda in questo stato…- la voce di Jefferson s’incrinò pericolosamente.- Piuttosto…- boccheggiò.- Ti…ti andrebbe di restare ancora un altro po’? Solo dieci minuti…
- Resto anche tutta notte, se vuoi…- ridacchiò Michelle.
Jefferson rise, ma subito la sua risata si trasformò in un pianto liberatorio. La farmacista scattò in piedi, avvicinandosi a lui e prendendogli il volto fra le mani.
- Ehi…- sussurrò, con un sorriso.- E’ finita, hai capito? E’ finita, Jefferson…
L’uomo annuì, asciugandosi le lacrime. Michelle esitò un attimo, quindi si sollevò sulle punte, decisa a dargli un bacio su una guancia. O almeno, quelle erano le sue intenzioni. La farmacista non seppe dire se fosse stata lei a prendere male la mira oppure Jefferson a spostare inavvertitamente il capo, fatto sta che, anziché su una guancia, finì col baciarlo all’angolo della bocca.
Michelle sgranò gli occhi, staccandosi da lui mentre il suo cervello iniziava a lavorare a tutta velocità, cercando disperatamente un modo per scusarsi. Jefferson, comunque, pareva non essersi neppure accorto di ciò che era successo, e l’abbraccio.
La farmacista non disse niente, ancora frastornata, ma ricambiò l’abbraccio.
 
***
 
Belle credette di morire quando il dottor Whale aprì la porta alla sua sinistra, uscendo dalla stanza dell’ospedale. La ragazza scattò istintivamente sulla sedia, voltandosi a guardarlo.
- Come…come sta?- riuscì a soffiare.
- Come le ho già detto, si riprenderà, ma è ancora debole. Una pallottola nel torace non è uno scherzo.
- Posso vederlo?
- Certo, ma le posso concedere solo pochi minuti. E mi raccomando, signorina, non deve stancarsi…
Belle annuì, alzandosi in piedi. Il dottor Whale si scansò un poco per lasciarle accesso libero alla porta, quindi le scoccò un’ultima occhiata prima di allontanarsi.
La ragazza esitò un poco, prendendo un profondo respiro. Già il solo pensiero le faceva venire una gran voglia di piangere, ma s’impose di essere forte. Spinse piano la porta, sbirciando brevemente all’interno della stanza prima di entrare e richiudere l’uscio dietro di sé.
Il cuore le si strinse quando alzò lo sguardo.
Gold era disteso sul letto, le coperte tirate fino al petto per nascondere la ferita causata dalla pallottola di Gaston e dall’operazione. Teneva gli occhi chiusi, sembrava tranquillo; Belle dedusse che stesse dormendo.
La ragazza si avvicinò piano al letto, attenta a non fare rumore, senza smettere di guardarlo. Dio, era così pallido…
Quando Belle fu abbastanza vicina, inaspettatamente, Gold socchiuse gli occhi, guardandola. Si aprì in un debole sorrisetto sghembo.
- Ciao, dearie…- soffiò, debolmente.
Belle fece un mezzo sorriso nel risentire quel nomignolo, ma subito tornò seria.
- Ciao…- mormorò, sentendo la propria voce incrinata. Si fece forza, imponendosi di riacquistare quel poco di autocontrollo le era rimasto. Lentamente, allungò una mano verso di lui, posando il palmo aperto contro il suo petto. Gold trovò la forza di sollevare un braccio e stringere la mano della ragazza fra le proprie dita, sorridendole.
- Come stai?- le domandò.
Belle fece una breve risatina, sentendosi gli occhi pieni di lacrime.
- Ma dovrei essere io a chiederlo a te…!- esclamò; piano, con delicatezza, gli scostò una ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi, accarezzandogli dolcemente una guancia.- Ti…ti fa molto male?- balbettò.
- Ho sopportato di peggio - rispose Gold con noncuranza.
Belle sentì che non ce l’avrebbe fatta a trattenersi ancora a lungo; si chinò, posandogli un bacio sulla fronte, quindi scese giù con le labbra lungo lo zigomo e la guancia, fino a raggiungere la sua bocca. Lo baciò con delicatezza, quasi temendo di fargli male, senza fretta; in quel momento, il mondo al di fuori di quella stanza non esisteva più: non c’erano più né il Vicesceriffo né Gaston, né suo padre né Regina Mills. Solo loro due, ed era questo che contava.
Gold sollevò le dita tremanti ad accarezzarle il volto, sorridendo.
- Il dottor Whale…- soffiò Belle.- Il dottor Whale ha detto che devi riposarti. Posso restare solo per qualche minuto.
- Allora non sprechiamoli - Gold accennò allo spazio vuoto nel letto accanto a sé. - Perché non vieni qui?
- Ho paura…ho paura di farti male - ammise Belle, con un sorriso imbarazzato. L’uomo scosse il capo, e le fece cenno di avvicinarsi. La ragazza si distese con cautela accanto a lui; Gold le circondò le spalle con un braccio, facendole poggiare il capo contro il suo petto, accarezzandole piano i capelli.
Belle chiuse gli occhi: era stanchissima, ma non voleva dormire. Non voleva perdersi neanche un istante di quel momento.
Robert era salvo, pensò. Nessuno avrebbe più fatto del male né a lui né a lei. Tutto sarebbe andato a posto.
E stavolta, Belle aveva la certezza che sarebbe davvero andato tutto bene.
 
***
 
- Quindi, la Bestia non muore? Ti prego, dimmi di no!
- No, non muore. La Bella va da lui, gli dice che lo ama e si trasforma in un bel principe.
- E guarisce?
- Sì, era sottinteso.
- Meno male. Almeno quello…Sai, non credo che il signor Gold si trasformerà in un principe.
- No, nemmeno io.
- Allora, vissero per sempre felici e contenti?
- Suppongo di sì. Tutte le favole finiscono così…
- E questa è la fine della favola?
- Forse…
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Ho dovuto trattare più storie in questo capitolo per via del contenuto dell’epilogo. Spero che alcune parti – specialmente quella su Henry e Paige – non siano risultate troppo stucchevoli o superficiali. Forse sono scivolata un po’ nell’OOC per quanto riguarda Emma e Gold, ma quello che ho cercato di fare è stato prendere alcuni loro tratti in determinate situazioni e accentuarli.
I ringraziamenti veri e propri avverranno in maniera completa nel prossimo – e ultimo – capitolo, ma nel frattempo ci tengo a ringraziare Sylphs per aver segnalato questa storia per l’inserimento nelle scelte del sito. Messaggio per annachiara27: tranquilla, non mi sono dimenticata della mia promessa, non appena avrò scritto e pubblicato l’epilogo di questa storia ci darò dentro con le OS che mi hai richiesto ;). E grazie ancora per il video, dearie, è fantastico e tu sei meravigliosa :)
Messaggio per tutti coloro a cui devo ancora una o più recensioni: ABBIATE FEDE! CE LA FARO’ PRIMA O POI! XD. Sorry, guys…:(.
Dopo che avrò terminato questa storia, beh…okay, inutile dirlo, ho una marea di progetti in mente e vi romperò le scatole ancora a lungo *risata diabolica*, ma credo che, mentre mi complicherò la vita con altre storie, darò la precedenza a Titanic in questo fandom.
Ciao a tutti, al prossimo capitolo!
Un bacio,
Beauty

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Capitolo 22
*** The Library ***


The Library
 
Sei mesi dopo
 
- Dove mi stai portando?- Belle chiese forse per la centesima volta in un’ora, scoccando un’occhiata all’uomo seduto accanto a lei a bordo dell’auto, al posto di guida. Gold aveva mantenuto un sorrisetto sghembo e sornione sin dal momento in cui avevano lasciato il negozio, e per tutta la durata del viaggio si era limitato a rispondere alle insistenti domande della fidanzata solo con monosillabi e allusioni che definire poco chiare sarebbe stato un cortese eufemismo.
- Vedrai…- le rispose, senza smettere di guidare.
- Continui a dirmi così. Un indizio?- incalzò Belle.
- Mi spiace, dearie, ma non posso rivelare nulla. Per il momento accontentati di avere pazienza.
Belle sbuffò, incrociando le braccia al petto e fingendo un broncio con i fiocchi, ma in realtà le veniva da ridere, pur non sapendo bene a cosa attribuire quell’ilarità. Era per metà impaurita ed eccitata, ma di certo quando Robert, quel pomeriggio, le aveva annunciato che avrebbero chiuso il negozio un po’ in anticipo perché aveva una sorpresa per lei, non era salita sulla sua Cadillac con la stessa, strana e inspiegabile paura che aveva avvertito quel pomeriggio di sei mesi prima, quando Jefferson l’aveva spinta sulla sedia a rotelle fino ai sotterranei dell’ospedale, nel vecchio manicomio di Storybrooke.
Ora si sentiva al sicuro, come mai in vita sua: sapeva di potersi fidare di chi le stava intorno, Robert primo fra tutti.
Quel pensiero la riportò inevitabilmente alla consapevolezza che non sempre era stato così. Anzi, quasi mai, nella sua vita, dopo la morte di sua madre aveva potuto dire di fidarsi completamente di qualcuno, ad eccezion fatta per le sue amiche. Belle sospirò, sforzandosi di seguire il consiglio dell’uomo e vivere nell’ignoranza senza scalpitare troppo; no, decisamente la sua vita non era stata delle più tranquille e sicure che si potessero desiderare, ma ora poteva affermare con certezza che, con Robert e le sue amiche accanto, non avrebbe mai più avuto nulla da temere.
Certo, ci era voluta una gran brutta esperienza per arrivare sino a quel punto.
Belle sospirò nuovamente, abbandonandosi contro il sedile foderato in pelle della Cadillac, mentre Gold continuava a guidare, in silenzio: era come nelle favole, pensò; dopo la notte buia e tempestosa, il mattino dopo arrivava sempre il sereno. Anche se quella storia, sul principio, era stata veramente lontana dal classico e vissero per sempre felici e contenti.
Il peggio era passato, ma ancora non potevano smettere di combattere, nessuno di loro.
Come aveva promesso il dottor Whale, Gold si era ristabilito abbastanza in fretta, anche se la convalescenza era stata tutto un brontolio in risposta alle moine della ragazza – brontolio che comunque non tardava a trasformarsi in tenerezza di fronte alle cure di Belle.
Gaston alla fine non era riuscito a scampare alla sua punizione, nonostante il denaro del senatore Prince per un attimo fosse parso abbastanza sufficiente da tirarlo fuori di prigione. Tuttavia, gli avvocati profumatamente pagati e tutte le attenuanti avevano avuto poco successo: Gaston aveva una fedina penale ancora più sporca della sua coscienza, costellata da una serie di piccoli crimini accumulati negli anni, da piccole multe e ritiri di patente per guida in stato di ebbrezza, fino a uno stato di fermo per il possesso non autorizzato di droghe leggere e diverse denunce per aggressione, rissa e resistenza a pubblico ufficiale. Era stato abbastanza per screditarlo ancora di più agli occhi della giustizia: Belle aveva accettato di testimoniare durante il primo processo a suo carico, e fra non molto avrebbe dovuto farlo anche nel secondo. Il suo avvocato le aveva detto che, con un po’ di fortuna, quest’ultimo avrebbe condotto a una sentenza definitiva, e che Gaston Prince si sarebbe beccato almeno dieci anni, con tutto quello che aveva fatto.
Più lunga invece sarebbe stata la faccenda che riguardava Regina Mills: Belle, Ruby, Ashley, Michelle e Mary Margaret si tenevano costantemente informate sul suo caso da Emma. Il Vicesceriffo aveva preso parecchio a cuore la questione per via di suo figlio, e a quanto pareva stava facendo di tutto per dare una mano all’ex sindaco di Storybrooke. Stando a quanto raccontava Mary Margaret, Emma continuava a sfoderare un sacco di attenuanti con l’avvocato difensore, Albert Spencer – un mastino della legge, una specie di Terminator dei tribunali, tanta era la sua determinazione e la sua fama per il gran numero di cause vinte, specialmente penali –, il quale non tardava a sbandierarle in sede di processo. Con un po’ di fortuna, diceva Emma Swann, Regina Mills se la sarebbe cavata con cinque anni, i quali sarebbero potuti anche essere convertiti in arresti domiciliari o lavori socialmente utili.
Belle si era ben guardata dallo spifferare tutta la verità riguardo al suo rapimento, essenzialmente perché, dopo aver appreso i motivi per cui Regina voleva il denaro di Gold, pur non giustificandola l’aveva compresa, e in secondo luogo perché la stessa cosa era accaduta con Jefferson.
L’infermiere si era scusato con lei più e più volte, e spesso e volentieri era stato sul punto di scoppiare a piangere per il rimorso: continuava a ripetere che gli dispiaceva, che non avrebbe voluto farle del male, che era stata Regina Mills a obbligarlo, e che aveva fatto tutto per timore di perdere sua figlia. Alla fine, Belle aveva deciso che tenere la bocca chiusa era la cosa più giusta da fare, per chiunque e, sebbene i primi tempi temesse che Gold volesse ammazzarlo, con il tempo i rapporti fra lei e Jefferson si erano evoluti fino a diventare, se non amichevoli, abbastanza rilassati.
Complice anche la sua nuova amicizia con Michelle Wood.
Belle si lasciò sfuggire una risatina: ancora, le pareva quasi che quella fosse come una favola.
E in ogni favola che si rispetti, non manca mai la storia d’amore. O le storie d’amore.
In quel senso, tutte loro, chi più e chi meno, in un modo o nell’altro avevano avuto il loro lieto fine.
Visto e considerato che, dopo la separazione da sua moglie, il suo fidanzato non poteva continuare ad alloggiare – più o meno a scrocco, come bisbigliava Ruby – al Granny’s, e a maggior ragione ora che c’era un bambino in arrivo, Mary Margaret aveva deciso di aprire le porte del suo appartamento a David Nolan, e i due avevano iniziato a vivere insieme da qualche mese. L’ultima volta che Belle era stata a trovarli, le pareti della camera da letto erano state ridipinte, i mobili spostati in modo da fare più spazio e il vecchio sgabuzzino dove la maestra e la sua precedente coinquilina tenevano gli abiti estivi sgombrato e verniciato con un bel rosa chiaro. Mary Margaret aveva già iniziato a fare compere per il piccolino in arrivo: aveva dichiarato che, per ora, fino a che Kathryn non si fosse decisa a firmare le pratiche per il divorzio – e Leopold ed Eva, pur essendo entusiasti dell’arrivo di un nipotino, non fossero riusciti a guardare in faccia il futuro genero – avrebbe accantonato le varie spese volte all’acquisto dell’abito da sposa e del matrimonio per dedicarsi a comprare il necessario per il nascituro.
Le sue amiche le davano una mano: in particolare, Belle e Ruby erano riuscite, unendo parte delle due mensilità, a regalarle una carrozzina che la maestra aveva etichettato come un amore.
Ora, il momento del parto si avvicinava e Mary Margaret, nonostante i nervi a fior di pelle causati dallo stress e dagli ormoni, era sempre più contenta e impaziente: dalle ecografie era emerso che sarebbe stata una femmina, il che avrebbe dato modo alla maestra di farsi perdonare battezzando sua figlia con lo stesso nome della sua ex coinquilina, sfrattata in nome del Vero Amore.
Anche se, Belle pensava, Emma Swann non era stata poi tanto dispiaciuta di lasciare l’appartamento di Mary Margaret: sebbene inizialmente riluttante e di carattere decisamente poco incline al sentimento e alle romanticherie in generale, il Vicesceriffo aveva alla fine deciso di accettare la proposta di Graham e trasferirsi a vivere da lui, trascinandosi dietro anche suo figlio. A quanto diceva Emma, il piccolo Henry si era adattato abbastanza bene alla situazione: era sereno, aveva un buon rapporto con Graham ed era felice di poter andare fino a Boston una volta al mese per poter incontrare la madre adottiva.
Emma non riteneva che il carcere fosse un luogo adatto per un bambino di neanche undici anni, per ora non pareva esserci altra soluzione, almeno fino a che Regina non avesse avuto accesso agli arresti domiciliari. In ogni caso, non le sarebbe più stato possibile svolgere le mansioni di sindaco di Storybrooke…carica che, sei settimane dopo il suo arresto, era stata rivestita dietro regolari elezioni da nientemeno che il dottor Archibald Hopper.
Era stato uno shock per tutti – il diretto interessato in primis, dato che mai si sarebbe aspettato di vincere –, ma mai quanto per Granny Lucas quando aveva scoperto che sua nipote la spiantata era la ragazza del nuovo sindaco della città. Ruby aveva fatto il tifo per Archie con entusiasmo pari solo a quello di una grupie durante tutta la durata delle elezioni – Belle e Michelle sghignazzavano spesso dicendo che, se il dottor Hopper era stato eletto, questo era avvenuto solo per sfinimento di tutti coloro che avevano la sfortuna di incorrere nelle chiacchiere della cameriera – e, quando l’uomo aveva vinto al ballottaggio con Sydney Glass, per più di due settimane se n’era andata in giro atteggiandosi come la nuova Michelle Obama.
Poi, ringraziando il cielo, a furia di suppliche da parte loro e minacce di Granny armata di battiscopa, Ruby si era decisa ad abbassare un po’ la cresta. Lavorava tranquillamente nel locale di sua nonna come aveva sempre fatto, aveva preso a uscire regolarmente con Archie e, a quanto pareva, da un po’ di tempo a quella parte stava iniziando a prendere dimestichezza con i libri dei conti.
Granny si lamentava sempre più spesso di essere anziana, di volersi finalmente godere la pensione e la vecchiaia, motivo per il quale doveva fare in fretta a istruire sua nipote, se non voleva che la tavola calda andasse inesorabilmente a catafascio quando lei avesse deciso di ritirarsi – sebbene Ruby dichiarasse di essere ancora troppo giovane per mettere la testa a posto.
Chi invece aveva messo la testa a posto, tre mesi prima, era stata Ashley, ora diventata ufficialmente la signora Herman. Lei e Sean si erano sposati: era stato un rito civile, breve e sobrio, anche se non erano mancati un bell’abito da sposa e tante risate. Belle si era ritrovata a fare da damigella insieme a Ruby e a Mary Margaret, nonché baby-sitter d’eccezione della piccola Alexandra durante il rinfresco tenutosi al Granny’s e, sebbene sorbirsi tutte le lamentele del padre dello sposo sul fatto che quello non fosse il posto adatto per un ricevimento non fosse stato affatto piacevole, a fine giornata aveva comunque avuto la consolazione di poter stare un po’ con Robert, che era riuscita a trascinarsi dietro nonostante le proteste iniziali.
Il matrimonio di Ashley, in effetti, era stata l’occasione buona per tutte di presentarsi accompagnate dai rispettivi cavalieri: la sposa e Sean, naturalmente, ma anche lei e Gold, Mary Margaret e David, Ruby e Archie, Emma e Graham…e Michelle con Jefferson.
Sì, alla fine tutte le supposizioni su loro due erano state confermate. Michelle aveva detto che lei e l’infermiere erano ancora in fase di conoscenza, anche se il rapporto che si era creato fra loro due e la piccola Paige lasciava intendere che ci fosse qualcosa di più solido rispetto a una semplice cotta. La farmacista aveva dichiarato che lei e Jefferson si vedevano regolarmente, alla luce del sole; aveva inoltre assicurato che non era stata diseredata, che zia Faye aveva accettato la cosa a denti stretti, che zia Florence non aveva avuto un colpo apoplettico come aveva temuto, e che zia Sally non aveva imbracciato il bazooka, anzi, si dimostravano molto affettuose con la figlia del suo ragazzo.
Quanto a lei…beh, Belle era felice che tutto quel pasticcio si fosse risolto per il meglio, ma era anche consapevole che, presto o tardi, si sarebbe dovuta tirare su le maniche. E così aveva fatto.
Come aveva previsto, i rapporti con suo padre si erano interrotti del tutto: lei e Moe non si erano più parlati, da quella furiosa litigata. Anzi, saputo ciò che era accaduto e quali fossero ora i rapporti della ragazza con Gold, l’uomo aveva iniziato ad evitarla, quasi come se nutrisse nei suoi confronti un timore reverenziale: per strada fingeva di non vederla, a volte cambiava addirittura marciapiede.
Si vedeva che aveva la coscienza sporca, ma per Belle quello era solo comportarsi da vigliacco.
All’inizio ci aveva sofferto, ma poi, ritornando con la memoria al passato e al fatto che da suo padre non aveva ricevuto niente se non botte e umiliazioni, si era decisa a farsi forza e a guardare avanti.
Sebbene Gold si fosse offerto di ospitarla a casa sua, Belle aveva preferito trasferirsi da Ruby in attesa che le acque si calmassero: aveva vissuto per un paio di settimane a casa dell’amica, sotto l’ala protettiva di Granny, fino a che non si era accordata con quest’ultima per una stanza al Bed & Breakfast, pagando l’affitto alla donna una volta al mese. Poi, era arrivata la spinosa questione del lavoro: Belle aveva racimolato qualche cosa aiutando il dottor Hopper a traslocare dal suo vecchio appartamento ai nuovi alloggi del sindaco e facendo da baby-sitter ad Alexandra, Henry e Paige, poi aveva preso a lavorare regolarmente e stipendiata al banco dei pegni di Gold, come commessa. La sera, tre volte a settimana, andava al Granny’s e indossava la divisa da cameriera, dando una mano a Ruby e alle altre ragazze. Era dura, ma Belle non se ne lamentava: per la prima volta in vent’anni, sentiva di avere in mano la sua vita. Di essere felice.
Anche se, in quel momento, Gold stava facendo di tutto per smorzare la sua felicità continuando a tenerle nascosto dove la stava portando e quale fosse questa fantomatica sorpresa. Belle aveva cercato di indovinarlo in tutti i modi: non erano usciti da Storybrooke, ma questo era ben poco da cui partire. Stava per tornare all’attacco chiedendogli dove stessero andando, quando Gold si voltò verso di lei, dicendole di chiudere gli occhi. Per Belle, quello fu il segnale che erano in dirittura d’arrivo: ubbidì, coprendosi gli occhi con i palmi delle mani.
Trattenne il fiato quando Gold accostò, spegnendo il motore dell’auto.
- Dove…dove siamo?- balbettò Belle, chiedendosi se dovesse guardare o no.
- Abbi pazienza ancora un poco, presto lo vedrai…
- Posso aprire gli occhi?
- No.
Belle sbuffò, scalpitando, cominciando ad agitarsi sul sedile. Gold scese dalla Cadillac, raggiungendo il posto del passeggero e aprendo la portiera alla ragazza. Belle scese a tentoni, aiutata dall’uomo, con ancora gli occhi chiusi. Gold la guidò in avanti, facendole fare pochi passi sul marciapiede fino ad arrestarsi.
- D’accordo. Ora puoi aprire gli occhi, se vuoi.
Se voleva? Belle non aspettava altro.
La ragazza abbassò le mani, sbattendo le palpebre. Quel che vide la lasciò perplessa: si trovavano di fronte a una porta a due battenti, verniciata di bianco, collocata sotto un portico a colonne. Belle rimase interdetta: era quella la sorpresa di cui le aveva parlato? Ci doveva essere qualcos’altro sotto…
- Ehm…carina - buttò lì, in attesa di una spiegazione che non tardò ad arrivare. Gold si lasciò sfuggire una risatina, prendendo a rovistare in una tasca della giacca.
- Un’altra donna mi avrebbe come minimo ricoperto d’insulti, ma ti ringrazio per non averlo fatto…- Belle lo vide estrarre dalla tasca una scatolina rettangolare, prendendola dalle sue mani quando gliela porse. La osservò per un lungo istante, incerta.
- Che cos’è?
- Beh, aprila…- ammiccò Gold.
Belle non se lo fece ripetere due volte, e aprì la scatola: dentro c’era una chiave. Sogghignò.
- Immagino che occorra ad aprire la porta…
- Immagino di sì…
Belle ubbidì, divenendo di secondo in secondo sempre più curiosa. Si sentiva come la protagonista di un romanzo, Alice nel Paese delle Meraviglie, dove la bambina doveva aprire una porta con una chiave. E in effetti, quello che vide fu più grande di ogni meraviglia.
La prima cosa che riuscì a mettere a fuoco furono i libri.
Libri e libri, pile di volumi riposti ordinatamente in fila su ripiani, banconi, scaffali, tutti in ordine di genere, titolo e autore. Belle rimase a bocca aperta, muovendo come ipnotizzata alcuni passi all’interno della stanza. Si trattava di uno stanzone di chissà quanti metri quadri, con un bancone stile reception contro una parete su cui erano posti un computer, una stampante con scanner e tutto l’occorrente per una scrivania: tutt’intorno, spuntavano scaffali ricolmi di libri da ogni dove, alti fino al soffitto. Belle realizzò dove si trovava, dandosi della stupida per non averlo compreso prima: era la vecchia libreria, la biblioteca che era rimasta abbandonata per anni, inutilizzata, sigillata da assi di legno e lasciata a sé stessa, in rovina. Ora, invece, appariva grande e luminosa, pulita e ordinata, e tutt’intorno c’era odore di vernice fresca. Belle avvertì un capogiro per lo stupore, e si voltò a guardare Gold: l’uomo se ne stava sulla soglia della porta, con un sorriso incerto sulle labbra.
- Questa…- boccheggiò la ragazza.- Questa…questa è…
- La vecchia biblioteca, sì - confermò Gold.- La sorpresa di cui ti avevo parlato…Ti piace?
- E’…- sulle labbra di Belle stava iniziando a spuntare un gran sorriso, ma era ancora frastornata.- E’ per me?- quasi non le sembrava vero.- Vuoi dire che…
Gold annuì.
- Per quanto fossi felice che tu stessi insieme a me, da un po’ di tempo avevo iniziato a pensare che fossi sprecata a lavorare in quel posto polveroso che è il mio negozio - spiegò.- Mi dispiaceva vederti faticare così, fare mille lavori…Poi, la signorina Lucas mi ha parlato di una conversazione che avete avuto voi due su cosa ti sarebbe piaciuto fare…
- Ruby sapeva di tutto questo?- Belle inarcò le sopracciglia, incredula.
- Sì. Lei, la signorina Blanchard, la signora Herman, il Vicesceriffo e anche la signorina Wood…- disse Gold.- Io ho semplicemente accordato il permesso di poter utilizzare il locale, e loro mi hanno dato una mano a rimetterlo in ordine. La signorina Wood sosteneva che la polvere spuntasse fuori da ogni dove e il Vicesceriffo Swann si è rovesciata un secchio di vernice sulla testa, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. E’ da diverso tempo che questa città ha bisogno di una libreria, e soprattutto di una brava bibliotecaria che la sappia gestire. E chi meglio di una ragazza dolce e intelligente come te che ama i libri? C’è anche un appartamento per te, sul retro. Spero che…
Gold non riuscì a terminare la frase, vedendosi Belle gettargli le braccia al collo e prendere a baciarlo con così tanto entusiasmo da rischiare di soffocarlo.
- Grazie…!- riuscì a esclamare la ragazza fra un bacio e l’altro.- Grazie, grazie, grazie…!- continuò a ripetere, abbracciandolo. Riprese a baciarlo, senza sosta.- Ti amo! Grazie, non potevi farmi un regalo più bello…!
Gold sorrise, abbracciandola.
- Di tanto in tanto ne faccio una giusta, allora…
- Scemo…!- Belle rise, dandogli un ultimo bacio prima di staccarsi da lui e prenderlo per mano. - Dai, diamo un’occhiata in giro…!
L’uomo trattenne una risata di contentezza vedendo la fidanzata prendere a saltellare a destra e a sinistra nel tentativo di osservare tutto a suo piacimento senza perdere neppure un secondo di tempo, curiosando in ogni dove.
- Spero solo che questo posto non rimarrà chiuso a causa del troppo impegno della bibliotecaria nel leggere i suoi libri…
- Ehi, dove sta il bello nel gestire una libreria se non puoi leggere?- sghignazzò Belle, sollevando lo sguardo su uno degli scaffali e puntandolo su uno dei volumi. Era un libro molto spesso, posizionato un po’ obliquamente rispetto al resto della fila. La ragazza si sollevò sulle punte, prendendolo fra le mani.
Sorrise quando vide di cosa si trattava.
- Guarda qui!- esclamò, mostrando il libro a Gold. - Ne avevo trovata una copia identica nel tuo negozio, qualche mese fa. Ti ricordi? Era un libro di favole, quello che stavo leggendo il giorno dopo che…sì, insomma…che mi hai presa al volo quando sono caduta dalle scale…
- Sì, mi ricordo. E ricordo anche la conversazione che era seguita…
- Ti riferisci a quella storia della favola preferita? Mi avevi detto che la tua era Rumpelstiltskin.
- E tu invece no.
- Come?
- Se non ricordo male, non mi avevi dato una risposta - spiegò Gold.- E adesso? Sai dirmi qual è la tua favola preferita?- ammiccò, scherzosamente.
Belle non rispose, abbozzando un sorrisetto malizioso. Aprì il libro e prese a scorrerlo ostentando noncuranza. In realtà, stava cercando una favola ben precisa e, quando la trovò, scoprì che era come la ricordava: una storia che parlava della bellezza interiore e di chi sapeva scorgerla, andando oltre le apparenze; una storia d’amore, che si concludeva con un bel lieto fine.
- Hai trovato quello che cercavi?
La voce di Gold le giunse così dolcemente che alla ragazza si sciolse il cuore nell’udirla.
Belle sbirciò l’uomo che amava da sopra il libro aperto, sorridendo.
- Oh, sì. Certo che l’ho trovato…
Ma non si riferiva alla sua favola preferita.
Si stava riferendo a quella favola. La loro storia. Solo loro, e di nessun altro.
E in quel momento, Belle comprese che quella era la sua favola.
Non la storia di una Bella e di una Bestia. Non la storia di una ragazza sfortunata e di un uomo cinico. Semplicemente, la storia sua e di Robert.
E quello era ciò che Belle aveva sempre desiderato.
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Ho finito la mia storia.
Ho…finito…la…mia…storia! E adesso che faccio?!
*va nel panico e si abbandona alla disperazione*
Okay, scherzi a parte, non sono così disperata. Certo, mi dispiace, c’è sempre un po’ di malinconia quando si conclude una storia, ma ho un sacco di altri progetti e non tarderò a tornare a rompere le scatole a tutti voi, in questo fandom compreso (sì, è una minaccia XD).
Inizialmente, questo capitolo era stato pensato in tutt’altro modo, ma alla fine ho deciso di optare per questa versione. Non so dire obiettivamente come mi sia venuta, so solo che ho fatto del mio meglio. Forse Gold è risultato un po’ OOC, ma mi sono ispirata un po’ al sogno che Belle fa nella 2x04; l’ultima parte è un po’ sdolcinata, lo so, ma…che ci posso fare? Mi è venuta così…ù_ù.
Detto questo, passiamo ai ringraziamenti. Un enorme grazie a:
-  tutti coloro che mi hanno aiutato ad arrivare a quota + 330 recensioni;
- le 16 persone che hanno aggiunto questa storia alla lista delle ricordate: 1252154, annachiara27, Capinera, cara_meLLo, charlotte lewis, Chihiro, Christine_Heart, Emi16, GaaRamaru, Ginevra Gwen White, miticabenny, NevilleLuna, Rayne, theplatypus_, WhoCaresGirl;
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- tutti i lettori silenziosi.
Un grazie particolare va a:
annachiara97, per il suo splendido video;
- historygirl93, per la sua storia Beauty and the Dark One;-parveth, per avermi concesso i diritti su Michelle Wood;
LadyAndromeda, per avermi concesso i diritti sulla sua storia Lady and the Tramp in Storybrooke;
Sylphs, per aver segnalato questa storia come candidata alle scelte del sito.
Non mi resta che salutarvi tutti e darvi appuntamento alla prossima follia, se vorrete :).
Grazie a tutti, un abbraccio e un bacio dalla vostra
Beauty

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