Perchè noi siamo la vita

di Martina Sapientona
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Il caldo umido ti arriva fino alle ossa ***
Capitolo 2: *** 2.Principe e principessa ***
Capitolo 3: *** 3. Giochi d'estate ***
Capitolo 4: *** 4. Odiavo Halloween già da bambina ***
Capitolo 5: *** 5. Ok... Forse un po' mi piace ***
Capitolo 6: *** 6. Fumo ***
Capitolo 7: *** 7. Era troppo perfetto per essere vero ***
Capitolo 8: *** 8. Lametta. Dannata lametta. ***
Capitolo 9: *** 9. Forse questo è troppo ***
Capitolo 10: *** 10. Lettere ***
Capitolo 11: *** 11. L'ultima volta che lo vidi ***



Capitolo 1
*** 1.Il caldo umido ti arriva fino alle ossa ***


1. Il caldo umido ti arriva fino alle ossa


Lo guardai negli occhi per un’ultima volta. La mia mente tornò indietro nel tempo ma la bloccai velocemente. Non volevo che vedesse la mia tristezza, non lui. La campanella suonò senza fare rumore, senza disturbare i miei pensieri; ero disposta a tutto pur di non perderlo ma allora perché gli avevo detto che non volevo aver mai più a che fare con lui? Misi i libri dentro la cartella silenziosamente e tornai a casa a piedi. Durante la strada cercavo di capire perché facesse così terribilmente caldo e tutto ad un tratto mi ricordai che era il 7 di giugno. A quel pensiero il vento caldo tornò ad alzarmi i capelli e il caldo umido arrivarmi fino alle ossa. I miei amici mi dicevano che ero strana, non li biasimavo. Durante l’intervallo, mentre loro giocavano al gioco della bottiglia, io me ne stavo in silenzio in un angolo a leggere un libro. Forse era per questo che piacevo così tanto ai professori, un altro motivo per il quale i miei compagni mi odiavano e mi credevano pazza: trattavo i professori come persone normali. Io mi trovavo normale, la mia vita era felice, io mi sentivo felice: avevo una famiglia meravigliosa e degli amici stupendi. Sarebbe stata una vita rose e fiori se non fosse stato per lui. La serratura scattò con un clic secco ed entrai in casa. Portai lo zaino in camera e fui inondata da un milione di ricordi. Mi distesi sul letto, mi accorsi che avevo sonno. Sognai.

POSTILLA DELL'AUTRICE

Questa storia su Logan e Alexandra sarà mooolto triste. Ah dimenticavo... Alexandra e Logan in questa storia hanno la stassa età!!!! Buona lettura. Martina Sapientona

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Capitolo 2
*** 2.Principe e principessa ***


2.Principe e principessa


Avevo due anni e correvo per le scale della casa vecchia. Gridavo perché avevo paura che il mostro mi prendesse. Stavamo giocando alle favole, io, il mio papà e lui. Il mio papà mi afferrò e iniziò a farmi il solletico. Mi disse che mi avrebbe rinchiuso nella prigione dell’eterno solletico e che sarei stata la sua prigioniera. Poi arrivo lui con la spada di gomma e un vestito da principe azzurro e iniziò a colpire le ginocchia di mio papà con la spada di gomma. Papà mi lasciò andare e lui mi portò nel suo castello sotto la scrivania e mi disse che saremmo vissuti per sempre felici e contenti. Mia mamma ci chiamò per fare merenda, scendemmo le scale vittoriosi come se avessimo appena vinto la guerra e andammo in cucina a fare merenda. Pane e cioccolata. Cosa c’era di meglio della cioccolata per sporcarsi tutti? Niente. Io e lui ci sporcammo il naso di cioccolata e poi iniziammo a fare naso contro naso per sporcarci ancora di più. Tra le risate dei miei genitori e una lavata di faccia con il sapone era arrivata ora di cena. Andammo a casa sua per mangiare la pizza. Adoravo la pizza quasi quanto la cioccolata. Dopo cena noi due birichini andammo a vedere i cartoni. In un batter d’occhio ci ritrovammo addormentati. I nostri genitori per non svegliarci ci lasciarono lì a dormire. Ci usavamo a vicenda come orsacchiotti e così vincemmo la paura del buio. Un lampo di luce. La scena cambiò.

POSTILLA DELL'AUTRICE

Scusate per i capitoli brevi ma vi prometto che i prossimi saranno più lunghi. Un bacio. Martina Sapientona

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Capitolo 3
*** 3. Giochi d'estate ***


3. Giochi d’estate

Avevo cinque anni e stavo andando a casa sua. Abitava sotto di me allora. Avevo un costumino verde che mi aveva regalato mia nonna per il compleanno, lo adoravo. Arrivai davanti alla porta, arrivavo al campanello un punta dei piedi e suonai. L’odore di agrumi mi accolse come al solito. Corsi fuori nel cortile e lo trovai con la gomma in mano. Iniziò a spruzzarmi l’acqua fredda e io iniziai a correre da una parte all’altra del cortile. Era divertente avere un amico così. Ci sedemmo nella piscinetta gonfiabile nel retro del giardino e iniziammo a raccontarci delle storie. Storie vere e finte, cose che succedevano alla scuola materna e cose che succedevano nei nostri sogni. Si era fatta sera e noi non volevamo uscire dall’acqua, eravamo già testardi allora. Eravamo così simili che le nostre mamme si chiedevano come facevamo ad andare d’accordo. Quella era proprio una bella domanda. Anni più tardi scoprii che noi non andavamo d’accordo proprio per niente ma allora non lo sapevo e non lo potevo immaginare. Mi divertivo con lui, era tutto meraviglioso come le bolle di sapone che scoppiammo dopo esser usciti dalla piscina. Il sole che tramontava dava alle bolle un colore roseo, etereo, ma a noi non ci importava molto di che colore fossero le bolle, ci bastava inseguirle e correre nel vento. Un soffio di vento più forte degli altri e le bolle scomparvero. La scena cambiò di nuovo.


POSTILLA DELL'AUTRICE

Spero che la storia vi stia appassionando. Baci. Martina Sapientona.

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Capitolo 4
*** 4. Odiavo Halloween già da bambina ***


4. Odiavo Halloween già da bambina

Stavo andando alla festa di Halloween della città. Odiavo quella festa già quando avevo otto anni ma l’importante era che non ci andavo da sola. Veniva anche lui. Cosi, io vestita da strega e lui da vampiro iniziammo a correre per le strade della città facendo dolcetto scherzetto a chiunque ci capitasse a tiro.  Arrivati ai giardinetti i nostri genitori ci comprarono le castagne. Seduti su una panchina, sembravamo un po’ più grandi di quello che eravamo ma ci piaceva giocare come a qualunque bimbo di otto anni. Annunciarono al microfono che entro dieci minuti avrebbero bruciato la strega. Il freddo pungente della sera iniziò a farsi sentire e la felpa arrivò puntuale con mia mamma. Iniziavo a sentire lo scoppiettio del fuoco. Non mi interessava più di tanto, ero già diversa dagli altri allora solo che quando si è piccoli si mettono da parte le differenze e si guarda l’aspetto interiore di quella persona e non solo se è bella oppure no. La sua mano afferrò la mia e mi trascinò a vedere la strega che bruciava. Un’ondata di fiamme illuminò i miei occhi la mia mente. Sparimmo per poi ritrovarci davanti alle scuole medie.                                                    
  Amo il primo giorno di scuola perché nessuno mi conosce e posso farmi una nuova reputazione. Quel giorno fu il migliore di tanti altri. Mi sedetti con calma in un banco di mezzo, lui si avvicinò, un po’ timoroso e mi chiese se poteva sedersi vicino a me. Acconsentii con un cenno rapido della testa, contenta di rivederlo dopo due anni, dopo che aveva cambiato casa. Il silenzio tra noi era imbarazzante, quasi finto. I nostri genitori parlavano allegramente mentre noi ci guardavamo con delle occhiate intimorite e leggermente preoccupate. Non sapevo che sarebbe stato l’inizio di un’avventura meravigliosa. Iniziò a piovere. Mi trovavo ai giardinetti, seduta sull’altalena. 

POSTILLA DELL'AUTRICE

Beh... Le cose stanno per cambiare. Spero vi piaccia. Commentate. Un bacio. Martina sapientona

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Capitolo 5
*** 5. Ok... Forse un po' mi piace ***


5. Ok… Forse un po’ mi piace

Seduta sull’altalena mi dondolavo come a ritmo di una musica leggera che non esisteva, stavo parlando con lui. Mi disse che mi voleva bene e che senza di me non sapeva cosa fare. Eravamo cresciuti insieme e oramai, dopo 14 anni, eravamo diventati quasi come fratelli. Iniziò a piovere, a dirotto, uno di quei temporali estivi, era il tramonto e c’era il sole. Appena il tempo di renderci conto che si era messo a piovere ed eravamo lavati dalla testa ai piedi e con i capelli incollati alla faccia. Iniziammo a correre mano nella mano verso casa sua. Arrivati sulla porta, bagnati come pulcini entrammo bagnando tutto il pavimento. Ad un tratto pensai che non avevo niente di asciutto da mettermi. Quando mi accorsi di averlo detto un po’ troppo forte era già troppo tardi, mi stava trascinando su per le scale, in camera sua, per darmi qualcosa di caldo ed asciutto da mettermi. Lui era più alto di me di almeno 5 centimetri ed era magro ma i suoi vestiti mi andavano lunghi e larghi tant’è che assomigliavo ad un budino informe. Quando mi vide uscire dal bagno mi squadrò dalla testa ai piedi e iniziò a ridere. Iniziai anche io a ridere e lui, correndomi in contro iniziò a farmi il solletico. Lo sapeva che lo soffrivo e iniziai a dimenarmi, ridendo, dicendogli di smetterla. Dopo dieci minuti ci ritrovammo sdraiati sul letto, io con la testa appoggiata sulla sua pancia e lui che arrotolava sulle dita i miei lunghi, o come diceva lui chilometrici, capelli neri. Fu quella volta che mi accorsi quanto mi piaceva. Il cuore iniziò a battere forte, come non aveva mai fatto prima. Avevo le farfalle nello stomaco ogni volta che i suoi occhi verdi cercavano i miei azzurri. La testa si riempiva di pensieri sconnessi quando ci accoccolavamo sul divano tutti vicini e lui mi riempiva di carezze e attenzioni. Decisi di non dire nulla. Tutti mi consideravano strana, lui compreso ma mi accettava per come ero e mi voleva bene con le mie stranezze. Inoltre lui era già fidanzato. Non potevo pensare cosa più sbagliata… 

POSTILLA DELL'AUTRICE

Spero che vi piaccia il capitolo. Ne metterò subito un altro. Baci. Martina Sapientona.

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Capitolo 6
*** 6. Fumo ***


6. Fumo.

La scuola era iniziata già da un po’ e nell’aria si sentiva l’odore dell’inverno. Freddo. Ghiacciato. Tutto andava bene tra noi. Un giorno di scuola, uno qualunque stavo entrando, portando a fatica lo zaino. Entrai in classe esausta e iniziai a seguire la lezione più interessata del solito. Si vedeva che non avevo altro a cui pensare. Ero nel primo banco, la mia compagna non c’era e questo mi faceva sembrare ancora più diversa. I miei voti era i più alti di tutta la classe, le attività extra-didattiche erano il mio forte e lo sport, io adoravo lo sport. La danza. Andavo a danza quasi ogni giorno. Un altro motivo per essere presa in giro. Io amavo la danza ma in quella scuola o facevi calcio e pallavolo o altrimenti non eri nessuno. Cosa ci potevo fare, non ero quel tipo di ragazza che si faceva condizionare dagli altri e da quello che pensavano. Io avevo la mia famiglia. E avevo lui. Era un po’ che non ci sentivamo. E quel giorno a scuola non c’era. Pensai fosse malato.
Uscii da scuola e l’aria fredda mi riempì i polmoni. Era molto piacevole. Camminando lungo il marciapiede passai vicino alla fermata del pullman, avevo deciso di fare il giro corto quel giorno, da sola. Le mie amiche non avevano voglia di passare per quella strada e lui abitava dall’altra parte del quartiere.
Sbadatamente girai la testa e lo vidi lì, con altri ragazzi, sicuramente più grandi di lui con una sigaretta in mano. Fumava. Le lacrime iniziarono a sgorgarmi dagli occhi, prima bollenti poi gelate a rigarmi il volto. Mi vide. Vide i miei occhi. Mi girai e iniziai a correre verso casa, arrivai e con le mani gelate aprii la serratura. Lanciai lo zaino vicino al divano e corsi su per le scale. Ricominciai a piangere. Quasi non mi accorsi del cellulare che vibrò, visualizzai il messaggio, era lui. Tu non hai visto niente, stai zitta. Ti prego. Lanciai il cellulare a terra e piansi tutte le mie lacrime.

POSTILLA DALL'AUTRICE

Al prossimo capitolo. Un abbraccio. Commentante!!! Martina Sapientona.

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Capitolo 7
*** 7. Era troppo perfetto per essere vero ***


7. Era troppo perfetto per essere vero

Il giorno dopo tornò a scuola e io lo guardai con disprezzo un paio di volte. Alla fine si decise a venire da me. Mi disse che quei ragazzi lo avevano fatto provare ma a lui non era piaciuto e che non avrebbe mai più frequentato quella gente. Io gli dissi che andava bene ma che doveva promettermi che non lo avrebbe mai più rifatto. Mi disse che andava bene e che gli dispiaceva. Mi abbracciò e mi disse che non voleva mai più farmi piangere. Promessa non mantenuta. Mi fece piangere tante di quelle volte. Il pomeriggio, mentre facevo i compiti mi arrivò una chiamata da lui. Risposi. Mi chiese se poteva venire a casa mia perché mi doveva parlare. Acconsentii. Arrivò, la neve gli arrivava alle ginocchia e il freddo gli faceva diventare tutte le guance rosse. Non mi diede neanche il tempo di chiudere la porta che si lanciò tra le mie braccia piangendo; mi disse che i suoi genitori avevano avuto un’incidente stradale e che suo padre era morto e sua madre solo ferita. Non sapevo che dirgli. Provai a consolarlo come faceva lui quando ero triste io ma non ci riuscivo. Volevo dirgli qualche cosa ma non avevo idea di che cosa, il suo dolore era troppo grosso per un ragazzo di sedici anni. Rimasi lì, in silenzio ad ascoltare i suoi singhiozzi, il suo respiro irregolare e il battito del suo cuore. A quel punto non riuscii a prevederlo, le sue mani accarezzarono il mio volto, la sua mano copriva una parte del mio viso, calda. Mi alzai sulle punte dei piedi. Ci baciammo. La mia mente si riempì di pensieri, ma senza senso. Le sue lacrime avevano un sapore salato ma amaro vicino al mio cuore. Mi riabbracciò, questa volta con delicatezza, come se fossi di porcellana e mi potessi rompere. Ancora non riuscivo a comporre un pensiero coerente quando le sue lacrime tornarono a bagnarmi la spalla. Allora se ne era accorto che mi piaceva? E ricambiava. Mi aveva detto che aveva lasciato la sua ragazza ma non mi aveva detto perché. Iniziai a sospettare che fossi io il motivo, ma ora non c’era tempo di pensare a queste cose, dovevo trovare un modo per farlo stare meglio. Mio padre era via per lavoro, mia madre ad una cena. La chiamai e le spiegai la situazione, le chiesi se poteva dormire a casa nostra e acconsentì turbata. Glielo dissi e lui con occhi tristi e voce spezzata mi disse di sì. Quella notte dormii poco, andammo a dormire verso le undici ma alle due e mezza i suoi singhiozzi. Andai nel suo letto e con delle carezze riuscii a calmarlo, si addormentò, mi addormentai anche io. Avevamo freddo. Tremavamo.
POSTILLA DELL'AUTRICE
Capitolo tristeeeeeee.... spero vi piaccia. Martina Sapientona

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Capitolo 8
*** 8. Lametta. Dannata lametta. ***


8. Lametta. Dannata lametta.


La settimana dopo tornò a scuola, tutti iniziarono a dirgli che per la sua situazione emotiva doveva socializzare e smetterla di stare solo con me. Ogni volta che lo sentivo dire era come una pugnalata per me, per lui. Di quel bacio non se ne parlò più, soprattutto a scuola. Tra noi si creo un imbarazzo strano. Iniziammo a frequentarci meno. Tutte le ragazze che a scuola che gli andavano dietro gli si incollarono come sanguisughe a suon di “poverino ha perso il padre”, ma quelle non capivano che facendo cosi, ricordandoglielo sempre, avrebbero solo peggiorato la situazione. E fu per colpa loro che iniziò. Iniziò a tagliarsi. Me lo disse tramite un bigliettino, a scuola, durante storia. La mia sorpresa era grande quanto me e sconvolta non gli chiesi più nulla. Io non ne parlavo con nessuno. Non volevo che le ragazzine che gli sbavavano dietro avessero un altro motivo per prenderlo in giro.
Un giorno, mentre attraversavo i corridoi per andare a fare le fotocopie lo vidi, in bagno con la lametta in mano e la maglietta verde macchiata di sangue. Non dissi niente, corsi giù per le scale arrivando al tavolo delle bidelle con il fiatone e gli chiesi del disinfettante e delle bende. Corsi su alla velocità della luce e mi fiondai verso il bagno. Lo trovai seduto in un angolo, che mi guardava con occhi vacui e pieni di lacrime. Il mio sogno era quello di fare il medico. Gli disinfettai i tagli e glieli bendai. Intanto la professoressa spaventa per la mia assenza prolungata venne a cercarmi. Quando mi vide, li china su di lui, intenta a fasciargli il braccio, per poco non svenne. Ci mandò immediatamente dallo psicologo della scuola. Lui, pallido come un cencio non riuscì a dirmi nulla tranne un grazie. Non si reggeva in piedi. Lo portai un po’ di peso un po’ lo lasciai camminare ma non mi fidai a lasciarlo andare da solo. Facevo bene.
Arrivati nello studio, lui ancora gocciolante di sangue dal braccio per lo sforzo, con la maglietta sporca quanto la mia per averlo portato lo feci sedere. Lo psicologo capì in un secondo. Mi chiese di aiutarlo a stenderlo sul lettino. Una volta li, lui prese la mia mano, più forte di quanto mi aspettassi e non la mollò. Gli spiegai con delicatezza che dovevo tornare a fare lezione ma lui non mollò la presa. Lo psicologo, Marc, ci disse che avrebbe spiegato lui alla professoressa e ci lasciò soli dentro la stanzetta dai colori spenti. Andò ad accendere i registratori e tornò in un batter d’occhio. Mi chiese che cosa era successo e io gli spiegai, intanto la sua stretta ti irrigidì e diventò sempre più forte. Quando finii di parlare si rilassò e lasciò la stretta un po’ più molle. Marc gli chiese il perché di questo gesto e lui gli disse che avrebbe parlato solo e solamente con me. Marc, da bravo psicologo uscì dalla stanza e spense i microfoni, sicuro che io poi gli avrei raccontato tutto. Lui mi disse che il suo dolore era troppo grande e che si sentiva solo ora che noi ci eravamo staccati. Che aveva provato a farsi altri amici ma nessuno riusciva ad essere come me. E che quando era molto solo e arrabbiato si puniva per cose che non faceva, tagliandosi. Lo faceva con qualunque cosa, sua mamma non ne era al corrente ma pensava che avesse visto qualche cosa mentre dormiva. Mi fece vedere il braccio. Pieno di tagli. E poi un tentativo di mettere fine a tutto, una linea verticale. Gli dissi che potevamo tornare come prima, che io gli volevo ancora bene, molto. Che doveva smetterla perché mi faceva stare male solo il pensiero di vederlo così. Mi disse che non poteva. Che non ci riusciva. Tornò a casa. Sua mamma, capì tutto aiutata da me e dallo psicologo.
Le voci correvano a scuola, tutti lo prendevano in giro per questa nuova debolezza. Una volta mi chiamarono e iniziarono ad insultarlo davanti a me. Solitamente sono una che si tiene tutto dentro e subisce senza dire nulla. Questa volta no. Iniziai a dire a bassa voce di smetterla. Continuavano. Iniziai ad alzare la voce, dicendo che dovevano smetterla perché così lo facevano stare ancora più male. Qualcuno smise. Altri continuarono, imperterriti a prendere in giro me e lui. Iniziai a gridare che erano degli idioti e che non sapevano nulla. E che se non avevano niente di meglio da dire era meglio che si cucissero la bocca. La notizia di questa scena arrivò anche a lui a casa. Mi ringraziò per averlo difeso. Era la prima volta che facevo vedere il mio carattere.

POSTILLA DELL'AUTRICE

Commentate e ditemi cosa ne pensate. Martina Sapientona.

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Capitolo 9
*** 9. Forse questo è troppo ***


 

9. Forse questo è troppo


Gli stavo accanto ogni momento che potevo, i miei genitori non avevano nulla in contrario. Sapevano cos’era successo e anche loro supportavano sua mamma. Gli portavo gli appunti da scuola, i compiti li faceva. I professori iniziarono a preoccuparsi ma io li rassicuravo dicendo che sarebbe tornato. Tornò. I miei genitori divorziarono. La notizia arrivò come la ciliegina sulla torta. Avevo tanti di quei problemi che non riuscivo più a capire di che cosa preoccuparmi. Gliene parlai. Mi disse che tutto si sarebbe sistemato. Io non volevo che i miei genitori divorziassero. Avevo sedici anni, d’accordo, ma ero ancora troppo piccola per affrontare tutti quei problemi insieme, nessuno era grande abbastanza per farci i conti. Mio padre si traferì in Inghilterra per lavoro. Fu un durissimo colpo per me e pensai fosse colpa mia, del mio carattere, del mio voler essere eterea. Eterea. La parola che mi perseguitò per tre lunghissimi mesi. Iniziai a dimagrire. Mi vedevo brutta rispetto al mondo esterno. Volevo essere bella e felice. Essere eterea era la mia felicità. Persi cinque chili di colpo ma nessuno se ne accorse, ero già magrolina di mio, solo qualche commento nello spogliatoio nelle lezioni di ginnastica. Altri sei chili, se ne accorsero tutti, tutti mi chiedevano ma io non rispondevo. Da quando avevo preso questa decisione non avevo più parlato con lui. Avevo paura di essere giudicata anche da lui. Ogni tanto lo vedevo che mi scrutava, con le braccia fasciate. Sapevo che non aveva smesso. La scuola andava bene come al solito e le mie abitudini erano sempre le stesse. I miei capelli erano sempre gli stessi, i miei occhi sempre gli stessi, le mie lentiggini sempre le stesse. Ero sempre io, con qualche chilo in meno. Altri quattro chili. Mia mamma mi portò dal medico. Disse a mia mamma che ero affetta da anoressia nervosa. Fu un brutto colpo per mia mamma. Non riuscivo più ad andare a danza. Ogni cosa era diventata un enorme fatica. Tutto pesava. Io compresa, pesavo troppo. Troppo. Anche le mie palpebre iniziarono a pesare, la testa a ciondolare. Svenni. Quando mi svegliai mi trovai in un letto di ospedale, intubata. La sua mano stringeva la mia, appoggiate sulla mia pancia. L’altra mia mano accarezzava il mio viso, non magro come il resto del corpo ma ancora rotondo e liscio come al solito. Mi pregava di svegliarmi, di tornare da lui. Mi pregava di smetterla. Io mi girai dall’altra parte. Lui se ne andò, rassegnato. Aveva capito che doveva smetterla anche lui se voleva che la smettessi anche io. Mio padre tornò dall’Inghilterra. Preoccupati, i miei genitori collaborarono per farmi guarire, questo mi fece sentire meglio. Iniziai ad accettare, un po’ in contro voglia il cibo che mi davano, sempre attenta a non superare le quantità che mi imponevo. Tornai a scuola, facevo una verifica quando arrivò una telefonata. Mia madre che mi diceva che sarebbe tornata con papà perché avevano capito che insieme affrontavano meglio i problemi e con il bene che si volevano potevano superare qualunque cosa. Si amavano ancora. Quel pomeriggio ci fu il ritiro del divorzio. Io ancora non mangiavo, il mio peso vagava intorno a quello di quando ero uscita dall’ospedale. Lui si era trovato altri amici. Non aveva smesso. Mi chiedeva di fargli i compiti, però. Un giorno che venne a chiedermi una versione di latino mi incavolai e gli dissi che non volevo avere più niente a che fare con lui. Lo guardai negli occhi un’ultima volta. Non volevo fargli vedere che soffrivo. Che mi mancava e che lo rivolevo vicino. Era il 7 di giugno. Tornavo a casa, il vento caldo mi scompigliava i capelli e poi… mi svegliai di colpo.

POSTILLA DELL'AUTRICE

Spero vi piaccia... commentate e ditemi cosa ne pensate... Martina Sapientona

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Capitolo 10
*** 10. Lettere ***


10. Lettere

Ero sempre io, avevo solo fatto un viaggio nei miei ricordi. Un viaggio che si concludeva ad oggi. Mi alzo, mi guardo allo specchio. Scheletrica, come sempre. Non riesco a mandar giù niente, neanche quando ho fame per davvero. Trovo sei chiamate perse. Due di mia mamma, quattro sue. Le dita, automatiche, chiamano mia mamma per rassicurarla che va tutto bene. Risponde, in preda dal panico. Le spiego che mi ero addormentata e che stavo bene. Tira un sospiro di sollievo. Mi dice di non farle mai più scherzi così. Che mi vuole bene. Chiama mio papà. Gli dico che è tutto ok. Mi manda un bacio. Le altre quattro chiamate le elimino. So cosa vuole, la versione di latino. Quel pensiero mi fa venire le lacrime agli occhi e mi fa ribollire di rabbia. E pensare che fino a qualche settimana prima ero disposta a fare di tutto per lui. Mi accorsi che l’amavo ancora, nonostante tutto quello che era successo e tutti gli sbagli che aveva fatto. Lo amavo. Sì, era quella la verità. Suonò il campanello, guardai. Nessuno. Pensai al postino, andai a prendere la posta. I cataloghi delle vacanze, quelli del supermercato. Le solite cose.
Una busta verde con scritto sopra: per te.

Cara Alex,
La nostra vita è cambiata rispetto a quando eravamo piccoli. Conserviamo la nostra innocenza e i nostri ricordi. Sì, i nostri ricordi. Perché sono nostri e basta, come noi. Ci apparteniamo. Facciamo parte uno dell’altro. Capisco che tu, ora, sia arrabbiata con me e non ti biasimo ma ho davvero bisogno di te. Mi fa male vederti ogni giorno a scuola e sapere che tu non mi vuoi. O forse hai paura della mia reazione? In ogni caso mi fa male vederti in quelle condizioni e sapere che è colpa mia perché sì, è colpa mia. Io ti voglio ancora bene. E te ne voglio davvero tanto e senza di te mi sento perso. Tu sei diversa da tutte le altre ed è questo che amo di te perché io non ho mai smesso di amarti. E ti amerò sempre e occuperai per sempre un posto speciale nel mio cuore, il più speciale. La mia vita è più vuota senza di te. Sto cercando di smettere di tagliarmi. È difficile ma voglio provarci, ci sto provando ma ho bisogno di te. Anche tu devi guarire e io sento che noi dobbiamo provarci, insieme. Perché insieme siamo più forti di tutto. Dobbiamo aggiungere un altro ricordo felice al nostro album. Mi sento terribilmente in colpa per averti lasciato da sola, per averti lasciato andare. Ero confuso. Capisco che non sia una scusa valida per giustificare il mio comportamento ma voglio che tu ci pensi. Anche solo per un attimo. Vorrei dirti che io non ho mai smesso di pensare a te ed è grazie a questa motivazione che sto smettendo. Sei tu la mia motivazione. Il vederti ogni giorno a scuola è come un rinforzo per me ma anche come scagliarmi altro dolore perché so che tu oramai sei irraggiungibile per me. Io ti amo Mel. Non so più come fartelo capire. Sei una parte di me. Ti ho lasciato scivolare via come l’acqua dalle mani, come granelli di sabbia. Ora vorrei riprenderti per custodirti con me, per sempre. So che forse è tardi perché tu non mi amerai più ma io ci tengo a fartelo sapere e se vuoi, a gridarlo forte, a tutto il mondo. Ti amo. È la speranza a portarmi avanti, tu ti meriti il meglio e non il dolore che stai infliggendoti. L’anoressia è il tuo mostro, l’autolesionismo il mio. Ci hanno spaventato, ci hanno rovinato la vita ma se ci uniamo sono sicuro che riusciremo a batterli. Ti prego, non riesco a vederti così.  Mi verrebbe da piangere ogni volta che ti vedo stare così male e sopra tutto sapendo che posso fare qualche cosa. Ci ho messo molto tempo a scrivere questa lettera. Ogni lettera, ogni parola, ogni frase è sigillata dalle mie lacrime. Lacrime di tristezza, di sconforto. Vorrei rivederti con i miei vestiti larghi e rifarti il solletico, vorrei inseguire di nuovo le bolle di sapone e correre sotto la pioggia con te. Vorrei riabbracciarti quando sei triste e sentire il tuo profumo, il tuo respiro. Vorrei riarrotolare i tuoi meravigliosi capelli e vorrei dirti che c’è un lieto fine in ogni cosa perché un lieto fine ci può essere. Il lieto fine siamo io e te. Ti amo. Mi manchi. Ti prego. Il tuo Logan.
Lacrime. Tante.

POSTILLA DELL'AUTRICE

Il mio capitolo preferito. Spero vi piaccia. Un bacione. Al prossimo capitolo. Martina Sapientona.

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Capitolo 11
*** 11. L'ultima volta che lo vidi ***


11. L’ultima volta che lo vidi

Il campanello suonò di nuovo. Sapevo chi era. Aprii la porta. Ci abbracciammo, a lungo. Le nostre lacrime si unirono come la bolla di solitudine, di paure che ci eravamo creati. E risentii la vecchia fiamma, non ancora spenta, ardere di nuovo. Sempre più forte e vivace. Mi alzai sulle punte dei piedi e lo baciai delicatamente, per fargli capire che io non me ne ero mai andata. La porta non era chiusa, fuori aveva iniziato a piovere. Ci ritrovammo nel cortile, abbracciati più forte che mai. Mi baciò anche lui. Il suo bacio era strano, diverso. Suscitava in me emozioni sconfinate, come se in me si fosse rotta una diga e ora il lago d’acqua stava uscendo. Continuammo a baciarci, non ci importava della pioggia battente che ci bagnava, noi ci amavamo. Un amore che andava al di là di ogni cosa, di ogni difetto e di ogni problema. Rimanemmo li abbracciati sotto la pioggia per ore. Quando mia mamma arrivò ci fece entrare e ci guardò. Si mise a ridere. Eravamo due giovani che si amavano, davvero. Andammo in camera mia e rilessi la lettera in sua presenza. Gli dissi che gli volevo bene e che lo amavo anche io. Che potevamo affrontare tutto insieme. Anche i nostri problemi. Le sue labbra sfiorarono la mia fronte. Ecco un altro ricordo da aggiungere alla nostra collezione fatta di attimi felici e momenti tristi. Guarimmo. Tutti e due. Supportati nei momenti difficili uno dall’altro. Dopo un anno di scuola era arrivato il momento delle vacanze. Avevamo più tempo per noi. Passammo interi pomeriggi insieme. Ritornai a casa sua e mi fece rimettere i suoi vestiti che mi andavano ancora più larghi rispetto agli anni precedenti, ma avevano lo stesso meraviglioso profumo. Passavamo pomeriggi accoccolati sul divano. Lui aveva ripreso ad arrotolarmi i capelli. Mi piaceva quando li accarezzava con delicatezza dicendomi che erano i più belli del mondo. Quando mi diceva che mi avrebbe dato un bacio per ogni lentiggine che avevo e quando sarebbero finite avrebbe ricominciato. Andava tutto bene, finalmente. L’anno dopo mi trasferii in America. Non volevo dirgli addio. Non ora che ci eravamo ritrovati. Non ora che ci amavamo. Dovetti salutarlo. Venne con me all’aeroporto. Questo rese le cose ancora più difficili. Arrivati all’imbarco mi abbracciò. Forte. Le sue labbra bagnate di lacrime si avvicinarono alle mie, le sfiorarono delicatamente e mi riprese fra le sue braccia. Sentii il suo battito regolare come il respiro, le sue lacrime che scendevano silenziose come le mie. Arrotolò i capelli sul dito un’ultima volta e mi sussurrò all’orecchio: ti amo. Mi imbarcai. L’aereo partì. Mi ricordai di avere la sua lettera infilata nella tasca dei jeans. La rilessi un paio di volte. La misi via. Era l’unica cosa che mi riconnetteva a lui. Tranne i ricordi, i nostri ricordi. Parte di noi. Per sempre. Rinfilai la lettera nella tasca e arrivai in America in un batter d’occhio. Studiai all’università di Boston. Esercitavo come medico. Operavo ma non mi dimenticai mai di quando, al liceo, gli fasciai le braccia. Mi sposai con una persona meravigliosa che amavo. Jack. Ebbi due gemelli. Lily e Logan. Aveva i suoi occhi. Azzurri come sempre. Amavo Jack ma una piccola parte di me, rimase innamorata di lui. Di quello che era stato il mio principe azzurro, quello con cui avevo corso sotto la pioggia, quello con qui avevo affrontato gioie e dolori della vita. Perché lui era stato la mia vita. Noi eravamo la vita.

POSTILLA DELL'AUTRICE

Fine. Ditemi cosa ne pensate del capitolo e della storia in generale. Un abbraccione. Martina Sapientona.

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