Ariel

di Bloode
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** amici per sempre ***
Capitolo 2: *** l'ultimo compleanno insieme ***
Capitolo 3: *** sola ***
Capitolo 4: *** verso la foresta ***
Capitolo 5: *** l'elemento ***
Capitolo 6: *** Sbagliata ***
Capitolo 7: *** Occhi ***
Capitolo 8: *** Non voglio scappare ***
Capitolo 9: *** Il giorno dopo. ***
Capitolo 10: *** Blake ***
Capitolo 11: *** La voglia ***
Capitolo 12: *** La biblioteca ***
Capitolo 13: *** Fuoco ***
Capitolo 14: *** Convivenza ***
Capitolo 15: *** Ricordi d'estate e di baci ***
Capitolo 16: *** Questione di tempo ***



Capitolo 1
*** amici per sempre ***


Il caldo sole di giugno illuminava e riscaldava il prato sul quale Ariel e Cameron stavano giocando a rincorrersi.
Ariel scappava ridendo mentre Cameron la rincorreva e le gridava:
"Tanto ti prendo! non puoi sfuggirmi!"
Negli occhi azzurrissimi del bambino risplendeva l'allegria. Ariel intanto si voltò mentre correva per fargli una linguaccia, in quel momento allora inciampò nella scarpa sciolta e cadde a terra sbucciandosi un ginocchio. Cameron accelerò la corsa e la raggiunse
"Ti sei fatta male?"
Ariel scosse la testa e si asciugò il naso con la manica della maglia 
"No, si è solo sbucciato... possiamo andare in casa per favore?"
Cameron annuì e con delicatezza si caricò Ariel sulle spalle, e entrò in casa, facendola sedere sul divanetto; poi andò in cucina e prese l'acqua ossigenata dal mobiletto del pronto soccorso. Tornò da Ariel e con delicatezza iniziò a lavare via il sangue dal ginocchio. Di tanto in tanto la guardava e le ripeteva ogni due minuti 
"Se ti faccio male dimmelo ok?"
Dopo aver sentito per tredici volte questa frase nell'arco di dieci minuti, Ariel scoppiò a ridere e annuendo disse:
"Ok ti avviso ti avviso!"
Una volta finito di lavare e disinfettare la ferita, Cameron andò a posare la bottiglia dell'acqua ossigenata, poi tornò da Ariel con in mano una mela e gliela porse. La piccola la prese dalle mani di lui, che continuava a guardarla e a sorriderle mentre mangiava, così Ariel si fece più vicina e gli chiese:
"Cam posso chiederti una cosa?"
"Si, dimmi"
"Ma io e te saremo sempre amici, vero?"
"certo! te lo giuro! parola d'onore!"
"E... Non ci lasceremo mai, giusto Cam?"
"Mai, per nessuna ragione!"
Ariel gli sorrise e allora Cameron si lisciò i jeans e guardandosi le punte dei piedi disse:
"Ora vorrei chiederti una cosa io Ariel"
"Dimmi"
"Io e te siamo amici giusto? Beh gli amici si baciano?"
"Non lo so.. La mamma e il papà si baciano, la mamma e la sua amica no..."
In quel momento le labbra di Cameron premettero contro quelle di Ariel e lei non pensò alla sua mamma e alla sua amica, non pensò a nulla, se non a Cameron. Era un bacio innocente, un bacio da bambini, ma per loro in quel momento era una cosa importante. Una cosa da adulti. Non appena si staccarono Ariel lo guardò e con aria confusa gli chiese:
"Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato?"
"A me non sembrava sbagliato"
Rispose Cameron, stava per aggiungere qualcos altro, quando si sentì in lontananza la voce della mamma di Ariel che la chiamava e la avvisava che il pranzo era pronto.
"Ora devo andare"
disse la bambina guardando Cameron negli occhi
"Ci vediamo dopo?"
Cameron non fece in tempo a rispondere che Ariel gli diede un delicato bacio sulla guancia e poi corse via.

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Capitolo 2
*** l'ultimo compleanno insieme ***


era il quindici giugno, il compleanno di Ariel, i suoi genitori avevano deciso di organizzare una bella festa in giardino per lei, sotto la grande quercia erano stati disposti tavoli e sedie e tutti gli amici di Ariel sarebbero arrivati a momenti. Cam era già lì da un'ora. se ne stava seduto su un muretto, fra le mani stringeva un pacchetto avvolto da carta rossa, aspettando che Ariel si cambiasse e indossasse il vestitino della festa che la mamma le aveva comperato per l'occasione. Ed eccola scendere dalle scale e saltellare vicino a Cameron, aveva i lunghi capelli castani raccolti in una treccia, gli occhi verdissimi che brillavano sotto il sole estivo e aveva un prendisole di lino bianco con una stampa a fiorellini rossa. Cameron la vedeva sempre con tute, jeans e t-shirt e pensava sempre che fosse bellissima, a vederla così, diventò rosso come la carta del regalo che stringeva in mano. Ariel fece una piroetta sorridendo, poi un piccolo inchino e disse. "beh come sto?e non metterti a ridere!" "sembri una fata" rispose sinceramente Cameron, incapace di trattenersi. Questa volta fu Ariel ad arrossire. "grazie" Rimasero lì, senza sapere cosa dire, dal pomeriggio in cui c'era stato quel bacio innocente c'erano spesso questi momenti di silenzio, così stavolta fu Ariel a prendere l'iniziativa e gli diede un altro delicato bacio sulla guancia. Cameron divenne di tutti i colori, poi imbarazzato guardandosi i piedi allungò il pacchetto in avanti "questo è per te! tanti auguri!" "grazie mille Cam! Cos'è??" "aprilo e dimmi se ti piace" Con impazienza Ariel aprì il pacchetto e venne fuori una catenina con un piccolo pendente "è bellissima!" "si apre, guarda... così" e intanto aprì il medaglione, dentro c'era una foto di Cameron e Ariel, scattata due settimane prima e sull'altro lato un'incisione "Cam&Ariel amici per sempre" ''bella! Bella! Grazie!" Disse Ariel abbracciandolo. poi si girò e spostò la treccia di lato, Cameron le allacciò la collana e poi tirò fuori dalla t-shirt una piastrina con la stessa incisione "ora saremo uniti per sempre" disse infine. Poi si divisero. Stavano arrivando gli altri invitati. Il pomeriggio trascorse tranquillo c'erano una ventina di bambini circa sul prato, Ariel si divertiva come non mai e la signora Husbourn (la madre di Ariel) scattava foto e serviva tramezzini e torta salata ai piccoli invitati. verso le sette di sera tutti i bambini se ne erano andati. rimaneva solo Cameron, che non poteva andare via prima che lui e Ariel avessero fatto la tradizionale "conta dei regali" "come ti è andata quest'anno?" "abbastanza bene... ma il regalo migliore è qui appeso al mio collo!" disse Ariel sorridente, la treccia si stava sciogliendo e ciuffi scomposti le incorniciavano il viso. Cameron ne spostò uno dietro l'orecchio di Ariel e poi sorrise, lei arrossì e abbassò il capo. "beh fra meno di una settimana sarà il tuo compleanno! cosa vuoi Cam?" "niente... sto bene qui, così" Se ne stavano seduti sulla veranda e prima che Ariel potesse replicare dicendo che da lei avrebbe comunque ricevuto un regalo la porta della casa di Cam si aprì e la madre lo chiamò, facendogli segno con la mano di tornare "ora devo andarmene io ... domani solito posto, solita ora?" "si! ti porterò le foto che ha scattato la mamma oggi, ce n'è anche una nostra insieme! ne stamperò due copie così quando ricomincia la scuola potremmo infilarla nel diario! Notte Cam" "Buonanotte Ariel a domani" Urlò il bambino mentre si allontanava; quando Ariel vide la porta chiudersi alle spalle di Cameron salì le scale e se ne tornò in casa a sua volta, proprio mentre le prime stelle iniziavano a brillare in cielo.

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Capitolo 3
*** sola ***


Il sole fece capolino, illuminando così le pareti gialle della stanza della piccola Ariel, che si stiracchiò e scese dal letto, andò in bagno e si preparò per uscire. raccolse i capelli in una treccia fatta alla meno peggio, indossò dei pantaloncini di jeans e una t-shirt rossa. Corse giù per i gradini della villetta stringendo in mano una bustina ed andò a sistemarsi al solito posto. Erano le nove precise, ma di Cameron nessuna traccia. Li per lì la piccola rimase perplessa, non era mai capitato che Cameron si facesse aspettare, tuttavia era estate e l'estate si dormiva sempre fino a tardi, così Ariel si sedette sul muretto, si allacciò le scarpe sciolte e si lisciò i jeans, mentre aspettava Cameron. Passarono i minuti e Ariel si portò le ginocchia al petto, mentre guardava una farfalla svolazzare fra i fiori di campo che profumati spuntavano nei giardini delle villette a schiera nelle quali abitavano sia lei che Cameron. Fece scivolare lo sguardo fino alla casa del suo amico. Strano, erano le nove e mezza e solitamente la signora Black a quell'ora aveva già aperto le persiane e le finestre, dalle quali fuoriusciva sempre un delizioso profumo di torte di frutta appena sfornate. Poi c'era un innaturale silenzio che circondava la villetta rosa. Da tutte le altri abitazioni del quartiere fuoriuscivano rumori di varia natura, mentre da quella dei Black stamattina non arrivava alcun suono. Si erano fatte le nove e trenta, così la piccola Ariel decise di andare a bussare alla porta di Cameron. Strinse fra le manine la busta, con dentro la foto che la mamma di Ariel aveva scattato il pomeriggio precedente al compleanno della figlia. Ariel aveva pregato il papà di stamparne due copie, una per lei e una per Cameron. Era una bellissima foto, Ariel era sulle spalle del ragazzino ed entrambi sorridevano verso l'obbiettivo. sul retro con la sua grafia tondeggiante, Ariel aveva scritto "niente ci dividerà, amici per sempre Ariel e Cam" il tutto circondato da cuoricini e stelline. Saltellando sul selciato, Ariel raggiunse la porta della villetta numero 12, dove sulla porta c'era attaccata la targhetta in ceramica dipinta a mano con sopra scritto "Benvenuti in casa Black". Anche sulla porta della casa di Ariel c'era una targhetta, praticamente uguale a quella che stava fissando in quel momento. Era il lavoro di fine anno che lei e Cameron avevano portato a casa dopo il corso di tre mesi di ceramica che la signorina Tomphson, l'insegnante di arte della scuola aveva tenuto lo scorso anno. Ariel bussò alla porta. nessuna risposta, bussò di nuovo, ma non sentì i passi della signora Black avvicinarsi alla porta, nè senti lo scatto della serratura. si arrampicò su una cassetta e guardò da uno spiraglio della persiana socchiusa. la casa era vuota. buia. Sui mobili c'erano dei teli e delle milioni di foto che stazionavano sulla credenza di legno scuro oramai da quando i Black abitavano quella casa non c'era più traccia. Sembrava quasi che quella casa fosse stata sempre disabitata, eppure fino al giorno prima Cameron era lì dentro, insieme alla sorellina Jamie e ai suoi genitori. Confusa, la piccola Ariel corse via, si precipitò a casa sua e chiamò la madre con voce disperata "Non c'è più! Cam non c'è più! La casa è vuota! se ne sono andati". Claudia, la mamma di Ariel allargò le braccia e ci accolse la figlioletta dentro. "Amore mio... non so cosa sia successo, ma chiamerò Sonya e mi farò spiegare tutto!" disse la madre di Ariel. La piccola la guardò negli occhi, e asciugandosi le lacrime con le mani annuì; poi tornò a rintanarsi fra le braccia della madre. Non appena gli occhi di Ariel smisero di guardare il viso della madre, negli occhi di Claudia si vide un lampo di rimorso. Per la prima volta aveva mentito a sua figlia.

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Capitolo 4
*** verso la foresta ***


Tre squilli, poi la mano di Ariel arrivò al telefono
“Mmhh … si?”
Rispose assonnata, non era ancora mattina, dalla finestra della sua camera entrava una luce che iniziava a tingere l’alba di quel bel rosa pastello, ma della calda e gialla luce del sole non c’era ancora traccia.
“Dove sei? Dovevi essere qui già cinque minuti fa! È il giorno più importante della tua vita e tu che fai? Ritardi?? Muoviti Ari!”
Ogni traccia di sonno svanì dagli occhi di Ariel, che strinse con forza il cellulare mentre tentava di uscire dall’agglomerato di coperte che la intrappolavano.
“Dieci minuti e sono da te! Scusami arrivo subito!”
Mentre diceva queste parole era già in bagno, aprì il getto d’acqua nella doccia e legò i capelli in una coda, lasciò il cellulare in un angolo e si tolse il pigiama. Non aspettò nemmeno che l’acqua si scaldasse e si infilò nella cabina. Due minuti dopo era già fuori e mentre sgocciolava acqua in giro per tutta la casa tentava di asciugarsi e di trovare i vestiti che aveva preparato la sera prima. Guardò la radiosveglia: le sei e otto minuti, doveva sbrigarsi, infilò una felpa e dei pantaloni della tuta aderenti con delle scarpe da trekking nere; afferrò un zainetto e il cellulare e si precipitò giù per le scale. Percorse di corsa, pervasa dal nervosismo i trecento metri che separavano casa sua dal luogo dell’incontro. Era arrivato il grande giorno, oggi avrebbe scoperto il suo elemento per entrare a far parte della grande Famiglia delle Fate. Oramai per Ariel era tempo di diventare un membro attivo della Famiglia e per  esserlo doveva saper governare il suo elemento prima del suo diciassettesimo compleanno, ovvero in meno di cinque mesi. Non appena vide il fuoristrada nero iniziò a sbracciarsi per farsi vedere dai suoi amici
“Eccomi! Arrivo!”
“Oh bene, ce l’hai fatta, qui non abbiamo tempo da perdere, non è una scampagnata Ariel!”
Disse Leyla, una ragazza dai capelli lunghi, ricci e fulvi, mentre lanciava con i suoi occhi castani uno sguardo tagliente ad Ariel. Intanto, dietro di lei un ragazzo del quale Ariel non conosceva il nome le cingeva la vita con un braccio.
“Dai Leyla, sarà già abbastanza stressata per la questione del dominio, andiamo non ti ci mettere anche tu, e poi sono io il suo tutore se te lo fossi dimenticato”
Si intromise Trent, un ragazzone bruno dal sorriso perfetto, dopo aver risposto a Leyla guardò Ariel e le sorrise
“Tu ora muoviti e salta dentro, la foresta non è così vicina! E siamo già in ritardo!”
Mentre Ariel saliva sul lato passeggero e Leyla e quello che forse doveva essere il suo ragazzo montavano sui sedili posteriori Trent fece il giro dell’automobile e scivolò sul posto di guida.  Ariel si accoccolò sul sedile, portò le ginocchia al petto e strinse nella mano il suo ciondolo, cosa che faceva sempre quando era nervosa, poi premette la fronte contro il freddo vetro del finestrino e si incantò a guardare il paesaggio che scorreva veloce fuori dall’auto.
“Nervosa?”
Le fece Trent sempre concentrato sulla guida, aveva tutte e due le mani sul volante e il cappellino da baseball calato sulla fronte, Ariel si risvegliò dalla sua trance e si mise seduta composta.
“Emh … si diciamo”
“ Beh tranquilla, non è niente, fidati, io lo so!”
Era vero, Trent non solo aveva fatto l’iniziazione cinque anni prima, ma poi da tre anni a questa parte aveva anche fatto da tutore a quattro ragazzi per guidarli e aiutarli a diventare membri effettivi senza troppi intralci.  Era un gesto molto carino e altruista, ma Trent era così, buono d’animo e sempre desideroso di dare agli altri quello che lui non aveva potuto avere.
“Comunque … ti dicevo, stai tranquilla, entrare nella confraternita non è così difficile e poi abbiamo ancora cinque mesi! Te la caverai benissimo”
“Confraternita? Credevo fosse più una famiglia … o almeno questo è quello che mi hanno detto i miei genitori”
“Si… usano il termine ‘famiglia’ perché credono incuta meno terrore, ma tanto famiglia, confraternita, gruppo… il concetto rimane sempre quello. Che altro ti hanno detto i tuoi genitori?”
“Non molto … hanno parlato del veto di parola ai membri non iniziati comunque qualcosa so’”
Trent si girò verso Ariel con un sorriso, poi tornò con gli occhi sulla strada e cambiò la marcia aumentandola, prese un sorso di caffè dal portavivande posto fra i due sedili e rimise il bicchiere nel porta bicchieri.
“Si, il veto esiste… dimmi ciò che sai, vedrò, se posso, di chiarire alcune delle tue lacune”
“Mmh … dunque, so che non siamo umani, o almeno voi non lo siete, so di essere un’ibrida, perché mia madre ha infranto una regola, ovvero fare figli con un umano che è mio padre, che gli umani non devono scoprire che non siamo come loro. Mi hanno detto che quando compirò diciassette anni avrà luogo la mia iniziazione  diventerò membro attivo della famiglia delle Fate, e so che c’è una setta di umani sovra sviluppati che ci dà la caccia e che devo avere paura di loro”
“Beh… tua madre ti ha detto tutto il possibile; comunque il nome della nostra razza è Flhoryez e si, possiamo definirci fate; esatto, tua madre ha infranto una regola ma non preoccuparti, i membri della confraternita non ne attribuiranno una colpa a te, dopotutto tu sei solo il peccato e non la peccatrice. Si a diciassette anni diventerai membro attivo della confraternita e potrai poi concorrere per il titolo di Capo dei Flhoryez. E per ultimo si, ci sono degli umani, con dei sensi molto sviluppati che possono riconoscerci e tu devi stare molto attenta, perché potrebbero catturarti se scoprissero che sei una di noi; ma puoi star tranquilla, nessun membro della Setta dei Cacciatori sa che una colonia di noi si è stabilita in questa cittadina, la tua vita è al sicuro, ma sta attenta comunque.”
Ariel annuì decisa e strinse con più forza il ciondolo. Comunque ripensò alle parole di Trent “ tu sei solo il peccato, non la peccatrice” era davveto considerata un peccato e non un essere umano? Non fece in tempo a pensare ad altro perché la macchina si spense e le portiere si aprirono, istintivamente Ariel uscì e si ritrovò all’entrata di una foresta. L’odore di umido impregnava l’aria del mattino e il sole filtrava a malapena dal fitto fogliame, il terreno era tappezzato da foglie bagnate e schiacciate e tutt’intorno a lei si apriva un ventaglio di vegetazione che proponeva almeno una ventina di diverse gradazioni del verde. Ariel prese lo zainetto in spalla e seguì Trent e gli altri, mentre si avviavano con decisione nel sentiero. Ariel si guardava intorno, decisa a cogliere ogni particolare per poter poi compiere la strada a ritroso anche se sapeva che grazie a Trent non si sarebbe mai persa, lui conosceva a memoria quella foresta, avrebbe potuto tornare alla macchina con gli occhi bendati. Mentre era persa in queste considerazioni,  non si accorse che gli altri si erano fermati ed andò a sbattere contro la schiena del ragazzo di Leyla, che la guardò e poi le sorrise. Si erano fermati in una radura, dove i raggi del sole filtravano dalla fitta boscaglia e dove si poteva vedere un ritaglio di cielo che si stava tingendo con l’avanzare del mattino di una tonalità molto intensa di celeste, tutt’intorno c’erano alberi tagliati sui quali erano posti dei troni di legno intagliati dallo stesso tronco della pianta, uno specchio d’acqua e rocce ricoperte di muschio fresco , soffice e profumato. Un panorama bellissimo, completamente immerso nella natura, tuttavia c’era qualcosa di innaturale in tutta quella apparente perfezione: il silenzio. Non si sentiva nessun fruscio o scalpiccio provocato da qualche animale, nessun cinguettio, nulla. Così quando Trent parlò Ariel sobbalzò
“Siamo arrivati Ariel. Pronta a giocare?”

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Capitolo 5
*** l'elemento ***


Ariel era rimasta in piedi, quasi nascosta dietro Trent, mentre osservava, una nuvola di fumo bianco uscire dallo specchio dl’acqua situato al centro della radura. Mentre il fumo si diradava, Ariel riuscì a scorgere tre figure, coperte da lunghi mantelli avanzare verso i tre troni intagliati nei tronchi. Contemporaneamente le tre figure slacciarono i lunghi mantelli che caddero  terra, scivolando sui loro corpi. Non appena i mantelli caddero Ariel rimase a bocca aperta. Ali. Ali trasparenti e delicate, come quelle egli insetti, ali ricche di venature e dalla forma affusolata. Due donne e un uomo;  tutti e tre sulla trentina. Le donne avevano lunghi capelli lilla e azzurro chiarissimo, intrecciati fra di loro in trecce con dei fiori; e ricadevano morbidi sulle spalle fino a sfiorare la vita. Avevano una pelle immacolata, senza nessuna imperfezione e labbra perfette. Gli occhi avevano una forma allungata, erano di un colore indefinito, un grigio brillante, che si avvicinava quasi all’argento ed erano del tutto innaturali. Erano fasciate da abiti leggeri e fluttuanti, lunghi fino a terra, che lasciavano scoperte le spalle e le braccia. Erano scalze e le caviglie e i polsi erano ornati da bracciali e cavigliere ricchi di ciondoli tintinnanti, che rompevano il silenzio circostante a ogni movimento delle donne. Guardavano Ariel con occhi freddi. Poi andarono a sedersi  sui due troni laterali.                                      L’uomo invece era molto alto e longilineo, indossava pantaloni lunghi e svasati  di un verde ottanio; e una blusa bianca allacciata per metà che lasciava intravedere la pelli del petto. Il suo incarnato era di un colorito ambrato, che risaltava magnificamente sotto la camicia immacolata con il colletto alla coreana. Anche lui era scalzo ma a differenza delle donne le sue caviglie non erano ornate da ornamenti tintinnanti; indossava solamente un bracciale dorato, senza ciondoli, liscio, che non provocava alcun rumore. I capelli gli sfioravano le spalle ed erano raccolti in una morbida coda di cavallo e bloccati da un nastro verde,  alcune ciocche ribelli però sfuggivano alla coda e gli ricadevano sulla fronte, erano color cioccolato e incorniciavano quegli occhi castano dorati che scrutavano Ariel con curiosità e interesse; poi la sua bocca si incurvò in uno splendido sorriso e dalla blusa uscirono e si aprirono due grandi ali colorate da una miriade di sfumature arancioni e gialle, per poi richiudersi un secondo prima che l’uomo si sedesse sul trono centrale.
Ariel era a bocca aperta, e si nascondeva sempre più dietro l’imponente figura di Trent, che una volta accortosi della situazione si spostò e spinse leggermente Ariel in avanti, poi la raggiunse e si mise al suo fianco, si schiarì la voce, prese un respiro profondo e iniziò a camminare, seguito da una titubante Ariel, fino ad arrivare davanti ai tre troni.
“Signori buongiorno”
“Buongiorno Trent,  rieccoti qui. Com’è andato il viaggio?”
Fece la donna dai capelli lilla, sorridendo a Trent, che era diventato autoritario e più adulto, ma che sorrideva cortese alla donna, che sicuramente aveva un debole per lui.
“Buongiorno Kira, buongiorno Asha. Goide. Si il viaggio è andato piùc he bene, mi scuso per il ritardo, abbiamo avuto qualche problema con il fuori strada”
Fece Trent coprendo così il ritardo di Ariel, e sorridendo ai tre; che a quanto aveva capito Ariel dovevano essere degli esponenti della Confraternita. Gli occhi di Kira, la donna dai capelli lilla, smisero di essere dolci e le sue labbra smisero di sorridere quando spostò lo sguardo su Ariel
“E’ lei?”
Trent annuì e si spostò per permettere agli altri di guardare meglio Ariel
“Dunque… Ciao Ariel, emozionata?”
Fece Goide sorridendo ad Ariel, tanto che lei rilassò per un secondo le spalle e annuì, sorridendo leggermente.
“Goide. Ma cosa fai? Imparzialità!”
Lo riprese subito Kira, poi guardò Asha che continuò il discorso
“E ricordati che lei è la figlia di Claudia, non è nemmeno una di noi”
“Adesso basta! L’imparzialità. Ricordate? Sia da un senso che da un altro!”
Fece Goide alzando la voce e fulminando le due donne con uno sguardo inceneritore.
“Dunque ti dicevo, oggi scoprirai qual è il tuo elemento, tranquilla, non p un test e poi avrai cinque mesi di tempo per imparare a governarlo; per qualunque cosa noi siamo qui, ma da ora dovrai fare tutto da sola.”
Ariel annuì e i tre si alzarono, andando così al centro della radura, mentre Trent, Leyla e il suo ragazzo si spostavano ai margini di quest’ultima. Goide prese per mano Ariel, ma dovette lasciarla subito andare, visto che Kira e Asha lo strattonarono indietro.
“Allora adesso prendi questa, e ripeti dietro di me ‘elegit materiam, ut manus’ coraggio”
“elegit… materium, ut manus ?”
“No! Impegnati! Elegit Materiam Ut Manus!”
“Elegit … materiam … ut manus”
La pietra nelle mani di Ariel iniziò a vibrare, e dall’acqua, dalle rocce, dalla terra e dall’aria arrivarono vibrazioni che vagavano nell’aria fino a ricongiungersi tutte nel palmo aperto di Ariel. Poi tutto tacque e le vibrazioni cessarono e Ariel rimase mezza sbigottita nel centro della radura.
“Ma cosa diavolo succede?”
Fece Asha e tutti si guardarono fra di loro sbigottiti.
“Possibile che sia solo umana? No! Non può essere”
Mentre tutti si guardavano confusi e osservavano la radura, che era oramai tornata al suo innaturale silenzio.
“Io non capisco… eppure non è mai sembrata del tutto umana”
Fece Trent, visibilmente deluso. Asha, Kira e Goide non capivano cosa fosse successo; poi all’improvviso la terra tremò e si aprì un varco, dal quale uscì un getto di fuoco, tutti si spostarono e in una frazione di secondo Trent si buttò du Ariel per spostarla e subito la fiamma la seguì, non importava quanto lei, Trent e gli altri si spostassero, la fiamma li seguiva, e aumentava sempre più la velocità della sua corsa.
All’improvviso Ariel inciampò nel laccio della sua scarpa da trekking e la fiamma la raggiunse. Istintivamente Ariel allungò le mani davanti a se e le fiamme entrarono nelle sue mani.
“E’ … E’ … il fuoco il suo elemento”
Fece Goide incredulo mentre si avvicinava di nuovo ad Ariel. Gli altri uscirono dai loro nascondigli e tornarono alla radura.
“Incendiali!”
Disse Kira indicando i tre troni sotto lo sguardo di disapprovazione di Asha e quello sbigottito di Goide.
“Ma come faccio? Non so ancora usarlo”
“Fallo!”
Ariel allungò la mano e mandò una scarica che in un attimo incenerì solo il trono, lasciando tutta l’erba intorno perfettamente verde.
“E’ come Judith… una guerriera del fuoco… sa’ già anche governarlo… è meravigliosa!”
Fece Goide appoggiato da Trent e dall’entusiasmo di Leyla e del suo ragazzo
“E’ pericolosa! Come Judith! Dobbiamo avvisare subito il capo!”
“Il suo potere potrebbe aiutarci contro i cacciatori!”
“O potrebbe distruggerci tutti!”
Il diverbio fra Goide e Kira era diventata una vera e propria lite, tanto che la terra e l’aria iniziarono a fremere, Ariel intuì che stavano per usare i loro poteri ; ma poi all’improvviso tutti i tremori si placarono e Kira guardò Trent, poi Ariel e subito dopo di nuovo Trent
“Riportala a casa e non parlate di quanto è successo con nessuno. Ci faremo vivi noi a tempo debito”
Trent annuì deluso, poi cinse le spalle di Ariel con un braccio e la scortò verso la macchina, seguito da Leyla e dal suo ragazzo. Il viaggio di ritorno fu silenzioso fino a quando non arrivarono davanti al vialetto della casa di Ariel
“Nemmeno i tuoi genitori devono sapere Ariel… secondo Kira così sarà meglio per tutti”

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Capitolo 6
*** Sbagliata ***


Ariel si chiuse in camera sua, era scombussolata, confusa non riusciva ad elaborare tutto quello chele era successo quella mattina, non riusciva a togliersi dalla testa le parole di Kira  ‘è pericolosa’, o quelle di Trent  ‘sei solo il peccato, non la peccatrice’. Riusciva solo a fissare il soffitto e a giocherellare come un automa con il suo ciondolo, o a guardare la sua foto, quella scattata dieci anni prima insieme a Cameron. Non aveva più avuto sue notizie, non aveva più saputo nulla ne di lui, ne della sua famiglia; era semplicemente sparito e lei era rimasta sola, con un vuoto dentro e ogni volta che ripensava a Cameron le veniva solo voglia di piangere e ci volevano tutte le sue forze per rimandare quelle lacrime alla sorgente.
“Amore! C’è Gloove al telefono! Prendi la telefonata dal telefono in camera tua?”
La voce di Claudia arrivava attutita, data la porta chiusa e la faccia di Ariel premuta contro il cuscino.
“Parla Ariel”
“Hei tesoro! Stasera alle sei abbiamo le prove di danza! Mi vieni a  prendere tu vero? Non voglio farmi portare dai miei!”
“Perché dobbiamo fare le prove così tardi, finiremo per le undici come minimo!”
“Puoi lamentarti dopo? Dai vado che ho, anzi abbiamo, filosofia da finire di studiare!”
“Oh anche filosofia! Solo questa ci mancava! Se non stessi troppo bene per venire a danza?”
“No! Vieni punto e basta ci vediamo alle sei davanti casa mia! Bacio!”
Ariel non fece in tempo a replicare perché Gloove le aveva già riattaccato il telefono in faccia. Premette più forte la testa contro il cuscino e si sfilò la felpa, rimanendo solo con una maglietta grigia vecchia ed enorme, poi riprese a giocare con il ciondolo e fece appello a tutte le sue forze per non scoppiare a piangere. Nemmeno dieci minuti dopo si sentirono i familiari passi di Claudia salire le scale,per fermarsi proprio davanti la porta della stanza di Ariel.
“Ariel, c’è qui Trent, deve parlarti”
Ariel per tutta risposta si girò sul letto, dando le spalle alla porta, mentre quest’ultima si apriva, cigolando come al solito
“Hei Ari, posso entrare?”
Fece Trent, mentre entrava nella stanza e si sedeva sul letto di Ariel, che si inclinò sotto il suo peso, poi con la mano prese ad accarezzare il braccio edil fianco di Ariel
“Come ti senti?”
Era nettamente in imbarazzo, e faceva strano vederlo così, solo che lui,anche con cinque iniziazioni alle spalle, ora si ritrovava in una situazione del tutto nuova, mai nessuno dei suoi protetti aveva il potere sul fuoco, e lui si sentiva frustrato e impotente a non sapere cosa dire o cosa fare. Ariel si alzò di scatto e fece cadere la mano di Trent mentre scattava in avanti. Aveva i capelli arruffati , la maglia che le scopriva una spalla e gli occhi rossi, mentre nelle mani serrate, stringeva il ciondolo di Cam. Era sull’orlo di una crisi di pianto.
“Come vuoi che mi senta? Le vostre parole mi vorticano nella testa e non so come toglierle! ‘pericolosa’ o ‘errore’. Non so cosa sia successo stamattina, ho avuto paura di morire bruciata e non posso nemmeno permettermi il lusso di essere sotto shock, perché una volta finito con tutto il mondo delle fate devo tornare al mondo umano! Non riesco a conciliare tutto! E non mi sento a mio agio nella confraternita, ma sai qual è la cosa strana? Che nemmeno fra le persone normali, gli umani, mi sento a mio agio! Sono sbagliata? Io non lo so, non so più nulla Trent”
Le lacrime avevano iniziato a scorrere,uscivano senza che Ariel potesse più far nulla per fermarle, Trent allora le raccolse, accarezzandole le guance con il pollice, poi, la circondò con le braccia e la attirò a se.
“Hei, tranquilla Arie, è normale! Non devi avere paura, so’ come ti senti. Ho avuto anche io paura stamattina e no, non sei sbagliata! Sei perfetta! Stai tranquilla tra poco ti sembrerà già tutto più normale. Ci sono io con te!”
Disse Trent stringendola ancora di più a se, mentre Ariel continuava a piangere ed affondava il viso nell’incavo tra il collo e la spalla di Trent.
“Shh, stai calma”
Continuò Trent poggiando il mento sulla testa di Ariel e carezzandole i capelli con una mano. Ariel rimase premuta contro il grande petto di Trent per un tempo indefinito; poi non appena si staccò, Trent smise di accarezzarle i capelli e la guardò, sollevandole il mento con due dita e le chiese
“Va meglio ora?”
Lei annuì e asciugò l’ultima lacrima con il dorso della mano e inghiottì l’ultimo singhiozzo, poi abbassò lo sguardo sulla felpa bagnata di Trent, poi con voce piena di rimorso disse
“Oh scusami, guarda che macello ho combinato!”
“Oh non è nulla, Ari tranquilla, vuoi che rimanga fino a quando nonti senti meglio?”
Ariel annuì e allora Trent accese lo stereo, e una musica di pianoforte iniziò a risuonare per tutta la stanza, poi Trent si sistemò sul  divanetto e Ariel si accoccolò vicino a lui, sentendo il battito del cuore di Trent farsi sempre più lontano, fino a quando le palpebre di lei non divennero troppo pesanti e non si chiusero; così si addormentò, cullata dal pianoforte e dal battito regolare del cuore di Trent.

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Capitolo 7
*** Occhi ***


“Ari, sveglia, sei in ritardo per la lezione”
Fece Trent, scuotendo leggermente la spalla di Ariel per svegliarla.
“Mmmh che?”
Ariel era ancora assonnata e stava facendo leva sul petto di Trent per alzarsi e capire cosa stesse succedendo, nella stanza c’era una luce soffusa e aranciata che filtrava dalla tapparelle socchiuse e lo stereo era stato spento, si ricordava di essersi addormentata ma era come se avesse dormito per anni.
“La tua lezione di danza Ariel, devi andare, hai le prove!”
In un attimo Ariel scattò in piedi dal divanetto e quasi non cadde a terra per tutto lo slancio che si era data, poi afferrò un borsone rosso con sopra scritto “Royal” e iniziò a riempirlo, saltellando da una parte all’altra della stanza e prendendo qualcosa da ogni cassetto
“Deodorante, scarpette, salvapunta, acqua…. Dovrebbe esserci tutto, dunque devo solo infilare il body e…”
Era talmente presa dalla fretta che si sfilò la maglia senza nemmeno accorgersi che Trent era ancora nella stanza e che la guardava divertito
“Emh … ti dispiacerebbe uscire… o almeno voltarti”
Fece Ariel,coprendosi il petto con la maglietta, mentre Trent ridacchiava e alzava gli occhi al cielo, mentre si girava di schiena con le mani alzate in segno di resa. Non appena si fu girato, Ariel si infilò la calza convertibile ed il body, per poi metterci sopra un vecchio paio di pantaloni della tuta neri e una maglia a maniche lunghe grigia col cappuccio.
“Fatto puoi girarti”
Trent si girò mentre Ariel raccoglieva i capelli in uno chignon, bloccandoli solo con un paio di forcine, poi fece fare tre giri intorno al  collo alla sciarpa, afferrò il borsone rosso e il giaccone e salutò Trent con un bacio sulla guancia
“Grazie Trent, ci sentiamo presto!”
“Per qualsiasi cosa sono qui”
Ariel gli fece un occhiolino mentre si precipitava giù per le scale, poi diede un bacio leggero a sua madre
“Prendo lo scooter, passo a prendere Gloove, vado a danza e torno, finirò più o meno per le undici, ceno fuori… ti voglio bene mamma”
“Sicura di star bene?”
Chiese lei apprensiva come sempre, anche se in quel caso tutta la sua preoccupazione era giustificata.
“Si … non preoccuparti”
Fece Ariel con una scrollata di spalle, per poi prendere chiavi e casco e dirigersi fuori, verso lo scooter parcheggiato. Infilò il casco e partì a razzo mentre il sole tramontava dietro di lei. Cinque minuti dopo era davanti  al condominio dove abitava Gloove, eccola lì, la stava aspettando in portineria, uscì fuori avvolta da un giubbotto leopardato, con sotto i suoi pantaloni sportivi griffati color prugna. L’unica cosa che le accomunava era la borsa rossa della scuola.
“Ce l’hai fatta! Pensavo non venissi più! Stavo già per …”
“Chiamarmi… si lo so ,ti conosco! Dai monta su e andiamo!”
Gloove fece entrare lo chingon biondo sotto il suo caschetto rosa con i fiorellini sulla visiera e si sistemò dietro di Ariel, iniziando una lotta per far entrare anche il borsone in quello spazio risicato. Dopo un paio di minuti riuscirono a partire e Ariel diede gas, sfrecciando verso la scuola di danza, situata in un palazzo vecchio di almeno centodieci o centoventi anni nel cuore della città. Era un palazzo bellissimo, Ariel lo pensava ogni volta che parcheggiava lo scooter davanti al cancello d’entrata. Il muro di un giallino pallido ma oramai invecchiato e il cancello in ferro battuto un tempo dovevano essere veramente bellissimi, nei suoi anni di gloria quello doveva essere un palazzo ducale. Vicino al citofono c’era in bella vista una targa  in marmo bianco perfettamente lucidata sulla quale spiccavano sfacciate le lettere in oro tridimensionali, scritte in una bella grafia in corsivo che formavano le parole “Scuola di Ballo Royal” e sotto “da trentacinque anni forgiamo i ballerini reali” Ariel odiava quello slogan. Fatto sta che la Royal era considerata la migliore scuola della città e Brant era considerato il migliore insegnante in circolazione insieme a Madame Bressure,  una donna grassoccia che del fisico da ballerina aveva tenuto ben poco; erano due personaggi egocentrici ma c’era un motivo per il quale Ariel continuava ad andare in quella scuola di danza: Madame Giselle, una donna sulla sessantina che raccoglieva i lunghi e sottili capelli grigi in una morbida crocchia, era filiforme e vestiva sempre di nero, girava per la scuola come un fantasma e dispensava consigli preziosi e sorrisi. Era una fata ed era per questo che Claudia e il marito avevano deciso di iscrivere Ariel proprio lì; così che ovunque andasse a passare il proprio tempo in mezzo agli umani avesse sempre qualcuno appartenente alla confraternita che la controllasse. Ariel lo aveva ormai capito e non ci faceva più nemmeno caso, e poi Madame Giselle era così gentile e silenziosa che non potevi non volerle bene.
Ariel e Gloove entrarono nella sala con due colonne e tre pareti ricoperte di specchi, il parquet era di un elegante legno  scuro ben lucidato e Madame Bressure le aspettava burbera come al solito
“Ma guarda chi si è degnato di arrivare! In ritardo come sempre! Alla sbarra! Riprendiamo la sequenza di esercizi di riscaldamento sulle punte e poi con Brant vedremo il lavoro individuale al centro! Muoversi!”
Con aria afflitta Ariel iniziò a muoversi insieme alle altre dodici ragazze e per un ora non fece altro che eseguire gli ordini che quella despota di Madame Bressure le imponeva. Poi fu la volta di Brant, quel pazzo che insegnava sia classico che moderno.
“Ariel, al variazione, dai coraggio non ho tutto il giorno”
Ariel iniziò a ballare sulle note della Coda di Odile, ma era talmente frastornata da tutti gli avvenimenti accaduti quel giorno che sbagliò un passo dopo l’altro, tanto che Brant si sgolò a forza di riprenderla.
Alle dieci  e mezzo l’incubo era finito. Ariel si buttò sotto la doccia sfinita insieme alle altre, poi montò sullo scooter insieme a Gloove, il viaggio trascorse lento; la lasciò davanti casa e poi proseguì al strada per tornare a casa sua. A un certo punto una moto si affiancò allo scooter di Ariel; la ragazza fece finta di nulla, ma iniziò ad avere paura dopo che la moto la seguiva da ben due isolati. Una volta arrivata al semaforo rosso, Ariel vide il motociclista affiancarsi a lei e alzare la visiera del casco integrale. Due occhi azzurrissimi e intensi come il mare spiccarono nel buio della notte. Il semaforo scattò e Ariel riprese la strada verso casa, la moto si avvicinò ancora a lei e lei diede gas; il motociclista accelerò sua volta e la affiancò poi senza mai smettere di guardarla negli occhi, tamponò lo scooter di Ariel mandandola fuori strada. Lo scooter cadde e Ariel venne sbalzata via. Svenuta al ciglio della strada. Il motociclista scese dalla moto e si avvicinò a lei
“Tu e la tua razza pagherete! Giuro! Inizierò prendendo te e poi tutti voi”
Ariel battè le palpebre per capire cosa le stesse succedendo, ma sentì una voce in lontananza
“Lontano da lei brutto mostro!”
Ringhiò Trent, mentre si avvicinava di corsa all’aggressore di Ariel;mentre stava per raggiungerlo il motociclista risaltò in sella e accese la moto sparendo nella notte, così Trent si avvicinò al corpo di Ariel
“Stai bene? Ariel ti prego rispondimi!”
Fece Trent chinandosi su di lei e slacciandole il casco. Le scostò i capelli dal viso e dalla ferita sulla fronte, poi la prese fra le braccia e la cullò, fino a che Ariel non strinse gli occhi e non tossì, per poi dire con una vocina flebile:
“Trent …”
“Si! Sono qui! Dimmi che stai bene ti prego!”
“Quegli occhi Trent… li conosco …. Io lo conosco … ho paura, riportami a casa”
Fece Ariel in un momento di lucidità, poi si riabbandonò sul petto di Trent, che la prese in braccio e la portò a casa sua .

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Capitolo 8
*** Non voglio scappare ***


Una tempia che pulsava e la confusione più totale in testa, erano tutto quello che riusciva a ricordare Ariel, no, un dettaglio importante era rimasto impresso nel suo cervello:gli occhi del suo aggressore.  Sentiva delle voci in lontananza, ma non riusciva a capire chi parlasse o cosa stesse dicendo
“Credo si stia svegliando”
“Ariel .. stellina come stai?”
 “Scricciolo? Scricciolo che ti è successo?”
Domandarono contemporaneamente Trent, Claudia e Josh, il padre di Ariel. Lei per tutta risposta si portò una mano alla tempia fasciata e strizzò gli occhi per mettere tutto a fuoco.
“Mmmh mamma? Papà? Trent?”
“Si, siamo qui tesoro”
Fece Claudia visibilmente sollevata dal fatto che la figlia stesse meglio, poi le accarezzò una mano, gli occhi di Arielsi posarono su di lei, aveva il volto ancora teso ei capelli bruni e a caschetto erano leggermente schiacciati da un lato,segno che si stava addormentando sul divano insieme al marito. Intorno agli occhi neri da cerbiatta, il mascara era sbavato, segno che aveva pianto, e si era precipitata a casa di Trent indossando solo un cappotto, sotto sicuramente era in pigiama. Poi Ariel guardò suo padre, l’umano della situazione e si rese conto di quanto gli assomigliasse: gli stessi occhi grandi e di un colore indefinito, gli stessi lineamenti morbidi e quei capelli, oramai con qualche sfumatura argentata che li striava, che un tempo dovevano essere dello stesso colore di quelli di Ariel. Era decisamente figlia di suo padre, l’unica somiglianza con la madre erano le labbra, così sottili nel labbro superiore e leggermente più carnose in quello inferiore e le mani: le mani erano identiche, stesse dita lunghe e affusolate, l’unica differenza era che le unghie della madre di Ariel erano sempre colorate di una leggera tonalità di rosa cipria, una manicure sempre impeccabile e raffinata, mentre quelle di Ariel erano smangiucchiate, corte e senza smalto.
Poi infine Ariel guardò Trent, la carnagione olivastra e i capelli neri e riccioluti, che ricadevano sulla fronte e incorniciavano gli occhi castani. Era decisamente bello. Come tutte le fate del resto, c’era qualcosa nel loro DNA che le rendeva belle ed irresistibili. Le si poteva descrivere usando così tanti aggettivi contrastanti che alla fine non si riusciva mai a descriverle per davvero. Poi l’attenzione di Ariel tornò alla sua tempia pulsante e alle domande dei suoi familiari.
“Ariel sei con noi? Ricordi cos’è successo?”
Ariel si sistemò meglio sui cuscini, sedendosi e appoggiandosi alla parete, mentre Trent le sistemava i cuscini dietro la schiena e Claudia intanto era andata a prenderle un bicchiere d’acqua.
“Sono uscita dalla scuola insieme a Gloove, l’ho riportata a casa e… Gloove! È stata aggredita anche lei? Sta bene? Non le è successo nulla vero?!”
“Calma Ari! Sta bene, anzi, quando ha visto che non la chiamavi per avvertirla che eri arrivata e Claudia l’ha chiamata per chiedere dove fossi si è subito preoccupata, le ho assicurato che stai bene. Ora calmati e va’ avanti, ok?”
Fece Tren rassicurandola, intanto Ariel bevve un altro sorso d’acqua e poi proseguì il racconto, portandosi le mani alla testa e massaggiando piano
“Beh dicevo… ho riportato Gloove a casa e poi sono ripartita, dopo cinque minuti mi si è affiancata una moto.. Una Ducati nera, ne sono sicura di questo, la scritta argentata spiccava sulla carrozzeria nera; mi è stato dietro fino al semaforo, poi mi si è affiancato, io ho accelerato ma vuoi mettere uno scooter contro una ducati? E mi ha raggiunto di nuovo, ha alzato la visiera del casco e ho visto quegli occhi prima che mi mandasse fuori strada…. Li conosco quegli occhi, erano così familiari! Io non lo so poi… credo di aver battuto la testa e poi c’eri tu Trent… basta tutto nero… solo quegli occhi”
“Ok tesoro calmati! Ci siamo noi ora ok? Sta calma”
Ariel annuì a sua madre e si rintanò sotto il braccio di Trent che si era intanto seduto vicino a lei, mentre Josh le massaggiava piano la schiena.
Un’oretta dopo Ariel era in macchina con i suoi genitori e tornava a casa. I suoi genitori le chiedevano ogni dieci minuti come si sentiva e lei annuiva, era silenziosa e pensierosa.. Continuava a pensare a quegli occhi, intanto, come suo solito quando non si sentiva a suo agio, stringeva il ciondolo, il regalo di Cam. Si rintanò in camera sua e afferrò il pc per controllare la sua e-mail. Nulla. Quella giornata era stata frenetica, estenuante e ricca di emozioni solo per lei; sembrava quasi che il mondo e le persone che la circondavano non si fossero accorte di nulla, come se tutte le sue emozioni fossero rimaste semplicemente dentro di lei, senza essere espresse e colte da chi la circondava. Poi prese e si infilò una canottiera e dei pantaloni della tuta e sopra un maglione largo, e scese in cucina per prendere un bicchiere di succo di frutta; vide il padre in salotto e si andò a sedere sul divano vicino a lui
“Tutto ok papà?”
“Si certo scricciolo,riflettevo soltanto”
“Su cosa?”
“Sul fatto che pensavo potessi avere un’adolescenza normale e che avremmo litigato perché saresti uscita con un ragazzo che a me non sarebbe andato a genio e non che la tua vita sarebbe stata così incasinata perché sei una fata e io mi sento escluso dal tuo mondo…”
“Oh papà! La mia vita non è così difficile solo perché sono una fata! E tu non s ei escluso dal mio mondo, anzi sei quasi più presente della mamma”
Fece Ariel abbracciandolo e sorridendo sotto i baffi
“Si ma stasera… Avrei voluto poterti aiutare e invece… Sono solo un umano e se non ci fosse stato Trent coi suoi poteri chissà cosa sarebbe successo!”
“Aspetta papà…. L’aggressione non è legata alla mia vita da Fata, vero?”
“E’ tardi Ariel… va a dormire, sei così stanca Scricciolo. Vai che oggi ne hai passate tante, forse troppe. Devi riposare”
Si alzò e la spinse leggermente facendole imboccare le scale e guidandola in camera da letto. Non aveva però risposto alla sua domanda, ma Ariel non fece in tempo a farglielo notare che Josh le aveva già stampato un bacio sulla fronte e se ne era scappato in camera da Claudia.
Ariel allora si avviò e avvicinò al testa alla porta della camera dei genitori e dopo qualche istante iniziò a sentirli parlare
“E’ stato un cacciatore, vero Claudia?”
“Temo di si, Trent ha detto che aveva il ciondolo della Setta. E poi ha lasciato vicino lo scooter di Ariel la lama della Setta, quella con la quale avrebbe potuto…”
“Sta calma tesoro, non è successo nulla. Ho parlato con Trent, terrà lui sott’occhio Ariel e anche noi ci prodigheremo per proteggerla di più.  Ora sta solo calma ok?”
“Si… L’unica cosa che non riesco a spiegarmi è come abbiano fatto a trovarci! Temo dovremmo traslocare”
“NO!”
Fece Ariel entrando come una furia nella stanza, con gli occhi sbarrati e con una mano ancora premuta sulla porta che aveva sbattuto contro il muro presa da un attacco di adrenalina improvviso
“Noi non ci trasferiremo! Non voglio scappare! Ho la mia vita qui! Tutti i miei ricordi!” Vi prego”
“Ariel cosa stavi facendo? Che hai sentito?”
“Che mi ha aggredito un cacciatore, ma ne avevo già il sospetto…  prima di svenire mi ricordo delle parole come ‘eliminerò te e tutta la tua razza…. Dovete pagare…’ Ma noi non scapperemo! Starò attentissima ve lo giuro. Seguirò le vostre regole e starò sempre con Trent ma qui c’è tutta la mia vita!”
“Va bene cara. Ma se dovesse succedere di nuovo avviseremo il Consiglio dei Guardiani esaranno loro a dirci cosa fare. Ora vai a dormire tesoro.”
Ariel annuì e tornò incamera sua, si infilò sotto le coperte e guardò un’ultima volta la foto sua e di Cam. Se c’era un motivo per il quale non se ne voleva andare era lui… anche se era una speranza inutile, Ariel sperava che tornasse. Sapeva che era impossibile ma non voleva andarsene così. Se fosse tornato… o peggio, se andandosene da quel luogo lo avesse dimenticato? Con questi pensieri si addormentò. Stringendo sempre fra le mani il suo amato ciondolo.

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Capitolo 9
*** Il giorno dopo. ***


Il sole filtrò piano dalle tapparelle, Ariel strizzò gli occhi e si toccò la fronte, si sentiva così frastornata, le succedeva sempre quando dormiva troppo. Si sedette sul letto lasciando le gambe penzoloni e facendo scrocchiare le caviglie e le dita dei piedi, poi si stiracchiò la schiena, infine si alzò e girovagò per la stanza alla ricerca del cellulare o della radiosveglia che stranamente non era più sul suo comodino. Trovò il cellulare sulla scrivania, di fianco al portatile rosso; sullo schermo di quest’ultimo c’era appeso un bigliettino, un post-it rosa pastello, di quelli che usava sempre sua madre, infatti, su quel post-it, c’era scritto, con la svolazzante grafia di Claudia  “Buongiorno amore! Sono andata in ufficio, ci vediamo oggi pomeriggio, riposati. La colazione è nel microonde. Bacio Mamma.”
“Oh bene, casa libera”
Pensò fra se e se Ariel, poi afferrò il cellulare e guardò il display: le dieci e mezzo. Doveva aver dormito almeno dieci ore e questo spiegava lo scombussolamento e la confusione che aveva in testa. Poi andò nella cartella dei messaggi. Quattro nuovi messaggi, Ariel cliccò sopra la prima bustina gialla con sopra il nome di Gloove:
“come stai? Ho saputo! Se becco quello stronzo! Sicuramente era ubriaco! Passo domani dopo le prove di danza. Ti voglio bene Rel! Riprenditi. Bacioni G.”
Non sapendo la versione che Claudia aveva detto a Gloove,e non avendo nessuna voglia di risponderle, per dirle quello che avrebbe potuto dirle quella sera Ariel cliccò l’altra bustina con  sopra il nome di Trent
“Hei Ari… stai bene? Spero non ti sia spaventata troppo, a mezzogiorno esco per la pausa pranzo, se vuoi passo da te e ti faccio compagnia, visto che Claudia torna solo alle sei e tuo padre solo per ora di cena. Fammi sapere. Trent”
Voleva la compagnia di Trent? Ariel non lo sapeva, quindi decise di aspettare a rispondergli, tanto aveva ancora un’ora e mezzo, forse meno, non poteva decidere e avvisarlo a mezzogiorno meno dieci, almeno per correttezza. Prima però voleva finire di leggere i messaggi. Fece scorrere i messaggi e cliccò sulla terza icona. Samantha,la sua migliore amica, quel giorno non era andata a scuola, la domenica prima la aveva totalmente ignorata per tutto quello che era successo e non sapeva se i suoi l’avessero avvisata che era stata aggredita. Beh leggendo quel messaggio forse l’avrebbe capito. Cliccò sull’icona con sopra scritto Sammy e iniziò a leggere
“DOVE SEI????? Non eri al bar e non mi hai avvisato, ero sola come un cane a far colazione! Ti odio! No.. non è vero, sai che ti adoro troppo per essere arrabbiata con te! Ah ma non sai la cosa migliore! Abbiamo un nuovo ragazzo in classe, o meglio nelle ore di letteratura. È assolutamente BELLISSIMO. Non puoi capire, sembra un modello si chiama Blake forse, fa molto uomo del mistero… è così sexy non parla con nessuno ma è questo che lo rende così figo. Domani vedrai! Ora vado che la Jeskins di letteratura mi ha già richiamato otto volte. Ti chiamo dopo. Bacioniii”
Oh bene,  Sammy era così eccitata per l’arrivo del nuovo ragazzo e se il giorno dopo non si fosse dimostrata super entusiasta l’avrebbe placcata con una serie di domande assurde che alla fine le avrebbero fatto confessare tutto quello che era accaduto il giorno precedente. La prova dell’elemento, il rimanere quasi bruciata viva nella foresta, il resto della giornata quasi normale e poi l’aggressione la sera. L’aggressione, l’aggressore. Quegli occhi. I brividi presero a scorrerle lungo la schiena e istintivamente strinse il ciondolo, poi prima ancora di leggere l’ultimo messaggio andò nella rubrica del telefono e cercò il numero di Trent, cliccò il tasto chiama  e incollò il telefono all’orecchio, battendo il piede nervosamente a terra.     Tre squilli e Trent rispose subito
“Pronto? Ariel dimmi tutto”
“Pronto, ciao Trent.. si, vorrei che tu venissi qui appena stacchi dal lavoro, mi sento più sicura.. sempre se non ti scoccia. Ovviamente”
“Certo che no.  Appena stacco vengo a casa tua, ci vediamo dopo,  vuoi che mi fermi al cinese e che compri il pranzo?”
“No, stai tranquillo! Cucino io. Non preoccuparti. Troverai tutto pronto appena arrivi. Ci vediamo a mezzogiorno!”
“Tranquillo.. dimmi un po’ come posso esserlo se so’ che cucini tu? Dai scherzo Ari a dopo. Non combinare guai.”
Ariel rise e riattaccò. Poi andò in cucina e tirò fuori una fetta di torta di mele dal microonde e si scaldò una tazza di latte. Si sedette al tavolo e iniziò a girare il latte con il cucchiaino, poi afferrò il cellulare e controllò l’ultimo SMS rimasto da leggere, era di Bart, un ragazzo che aveva conosciuto l’estate prima ad una festa, erano rimasti buoni amici, anche se lui ci provava spudoratamente, a Ariel non dispiaceva, era un ragazzo in gamba, era due anni più grande di lei e uscire con lui era divertente, e Ariel non ci vedeva nulla di male a uscire con un ragazzo che la faceva stare bene, anche se erano solo amici. Aprì il messaggio
“ciao splendore, come stai? Ti va di vederci domani, magari passo a prenderti a scuola e ci facciamo un giro in centro se ti va?”
Ariel decise che era tempo di rispondere a tutti quei messaggi e incominciò proprio da quello di Bart.
“ciao.. Non sto troppo bene, ti scoccia se rimandiamo? Fammi sapere. A.”
Poi finì il suo latte e la torta di mele, portò la tazza e il piatto al lavandino e saltellò in bagno. Si guardò allo specchio ed esaminò il risultato di una notte di incubi post aggressione: gli occhi erano stanchi e i capelli arruffati, il viso magro e stanco, il taglio sulla tempia era fasciato, e aveva la spalla e il collo graffiati dalla sbandata sul cemento,si guardò il braccio, che era fasciato, la sera prima non se ne era neppure accorta. Aprì l’acqua nella doccia e tolse le fasciature, sotto la fascia c’erano alcuni lividi violacei e altri graffi e un taglio più profondo. Che, si vedeva, non era il risultato di una strisciata sull’asfalto; era un taglio che qualcuno le aveva procurato con un coltello o pugnale forse. Ariel distolse lo sguardo e tolse la fasciatura anche dalla fronte, poi si spogliò e si infilò nella cabina della doccia, rimase dieci minuti buoni sotto il getto d’acqua bollente, lasciando che l’acqua le scorresse sul viso e sul corpo, poi uscì dalla doccia e si avvolse in un asciugamano rosa. Arrivò in camera sua e legò i capelli, poi si infilò un paio di jeans chiari e slavati e un maglioncino bianco di lana. Poi fece una treccia e rimise tutte le fasciature al loro posto e scese in cucina. Aprì il frigo e si mise davanti a quest’ultimo fissandone il contenuto, poi buttò un’occhiata all’orologio, le undici e venti: era ora di iniziare a cucinare. Afferrò le verdure e si mise a tagliarle e a cuocerle. Poi prese dalla dispensa della pasta e intanto apparecchiò il tavolo. Poi mentre le verdure lessavano Ariel salì in camera e decise di truccarsi e di spazzolarsi i capelli. Provò a coprire qualche taglio con il correttore ma i risultato fu alquanto deludente, perciò prese una salviettina struccante e tolse tutto il prodotto sconsolata. Mise un  velo di crema idratante, un po’ di mascara e del burro di cacao, poi infilò gli anfibi e prese la spazzola e iniziò a spazzolare i capelli ancora un po’ umidi che erano  diventati mossi per via della treccia. Mise un po’ di spuma nei capelli per fissarli e sorrise incerta allo specchio. Passabile. Poi rifece il letto e diede una riordinata alla stanza in generale e scendendo in salotto riordinò anche quest’ultimo. Stava quasi per tornare in cucina quando il campanello suonò. Non era possibile era solamente mezzogiorno e cinque. Non poteva già essere Trent; Ariel andò ad aprire e si ritrovò la figura di Trent sulla porta. Era lì sorridente con una vaschetta di gelato in mano
“Sono uscito prima dallo studio, il mio capo ha capito e ti manda a salutare”
“Ma se mi ha visto solo una volta!”
“Beh si ricorda di te! Che dici, posso entrare ora?”
Fece Trent ridendo e alzando la vaschetta di gelato, Ariel si spostò di lato e gli permise di entrare con un sorriso. Trent entrò  in casa, si tolse la giacca di pelle e la gettò sul divano, poi guardò la pentola sul fuoco
“Cosa mangiamo di buono?”
“Emh … veramente devo ancora finire, sai pensavo ci mettessi almeno venti minuti ad arrivare e la pasta poi si sarebbe scotta …”
Fece Ariel imbarazzata, Trent allora andò in cucina, slacciò i polsini della camicia e la arrotolò sui gomiti, lasciando scoperti gli avambracci, poi si lavò le mani e tolse le verdure dal fuoco, prese un tagliere e iniziò a tagliarle, sotto gli occhi increduli di Ariel; mentre Trent affettava una carota,alzò gli occhi e sorrise
“Quando vivi da solo, devi imparare a cucinare per la sopravvivenza! Sai dopo tre settimane di pizza,hamburger e cinese il mio stomaco non ce la faceva più!”
“Ariel rise e accese il fuoco sotto la pentola della pasta, Trent una volta finito di tagliare le verdure si avvicinò all’angolo cottura e prese una padella e iniziò a soffriggere, poi toccò la schiena di Ariel
“Lascia, da ora faccio io, con quel braccio non potresti far molto”
“Oh vero…”
“Mi spiace, se fossi arrivato in tempo.. forse a quest’ora non saresti ridotta così”
Fece Trent toccandole prima la tempia ferita, poi il collo graffiato e infine il braccio fasciato. Ariel gli prese la mano e lo guardò negli occhi
“Se tu non fossi arrivato nemmeno sarei così! Sei stato fantastico, chissà cosa mi avrebbe fatto quel Cacciatore!”
“Aspetta! Lo sai? Claudia te l’ha detto che è stato un membro della setta?”
“Beh avevo già i miei sospetti che poi si sono confermati quando ho sentito i miei parlare fra loro”
Trent annuì e mise la pasta in padella per un paio di minuti con le verdure. Poi prese le pinze e la mise nei piatti
“Beh buon appetito!”
“Anche a te Trent!”
Il resto del pranzo e del pomeriggio trascorse tranquillo, dopo pranzo si spostarono in salotto dove fecero una partita alla play station e Ariel stracciò Trent, anche se lui rideva sotto i baffi e sicuramente l’aveva lasciata vincere, poi misero un film e Trent diede ad Ariel un antidolorifico per il braccio e la tempia, quindi lei si addormentò sulla sua spalla, come era già successo altre volte. A svegliarla un paio d’ore dopo fu lo spostamento che Trent effettuò per poter andare ad aprire la porta, seguito dalla squillante voce di Gloove
“Dov’è? Come sta? Tu chi sei? Però sei carino sai?”
“E’di la, dorme, o almeno dormiva, ma scommetto che le tue urla da dieci decibel l’avranno svegliata.. Ari c’è una ragazza bionda e tutta vestita di rosa,la conosci?”
“Mhhh è Gloove.. Vieni Gloove, sono di qui, sul divano!”
Gloove si precipitò sorpassando Trent e affrettandosi a raggiungere il divano. Non appena vide la faccia dell’amica le sue labbri con il lucidalabbra Pinky Shimmer si aprirono fino a formare una O perfetta
“Ma cosa ti è successo? Poverina! Questi ubriachi al volante li abolirei guarda! Ti fa tanto male?”
Chiese indicandole il braccio fasciato, Ariel scosse la testa, e si sedette meglio
“Ho preso un antidolorifico, tranquilla comunque.. non dovevi venire dopo le prove?”
“Oh beh son voluta passare prima! Non rispondi mai ai miei messaggi insomma, ero preoccupata! Pensi di rimetterti presto? Brant e la Bressure non saranno molto felici di sapere che ti sei fatta male, insomma devi fare quell’assolo al saggio di danza, è il momento chiave del saggio e poi ci lavori da tre mesi!”
“Digli che massimo dopodomani sarò di nuovo dei vostri. Non devono preoccuparsi di nulla! Madame Giselle piuttosto?”
“Oh è sempre lì.. girovaga per la scuola tutto il giorno, è così dolce, dovrebbe avere più polso però la Bressure la sgrida sempre per questo!”
“Sono le cinque e mezza, dovresti andare Glo! Sai come diventano quei due egocentrici se arrivi tardi e oggi non puoi dire che il mio scooter non partiva!”
“Hai ragione! Vado , volo! Ci sentiamo dopo ok? Riprenditi tesoro! Ciao cometichiami!”
Trent rimase a guardare Gloove uscire co n un sopracciglio alzato mentre Ariel se la rideva
“Cometichiami? Ma da dove l’hai tirata fuori questa eh Ari?”
“E’ carina dai! Sareste perfetti insieme!”
“non dire fesserie… senti io devo andare, non vorrei lasciarti sola ma a momenti arriverà tua madre, ti scoccia se ti lascio?”
“No, vai pure, ti chiamo non appena arriva la mamma”
“Tutto ok,sono già qui!”
Fece Claudia entrando; stracarica di borse e pacchetti, poi baciò la figlia sulla fronte e andò a posare i sacchetti della spesa in cucina.
“Com’è andata ragazzi? Trent te ne vai? Non rimani a cena con noi?”
“Bene, molto bene! No signora, non posso, devo cenare con i miei genitori stasera, è il compleanno di mio padre! Arrivederci Claudia. Ari ci sentiamo domani ok?”
“Ok ciao Trent! Grazie mille per oggi!”
Trent le fece l’occhiolino ed uscì. Ariel allora si alzò dal divano e andò in camera sua,prese il libro di Letteratura e iniziò a leggere la “vita di Dante” amava la letteratura italiana, aveva scelto quel corso proprio per studiare Dante e la sua Divina Commedia. Ma quella sera avrebbe preferito andarsene solo a dormire e non svegliarsi più. Rilesse il messaggio di Sammy e si chiese come fosse questo Blake.. il ragazzo nuovo, ma le sue riflessioni su di lui non durarono più di tre minuti, doveva trovare le parole giuste per spiegare a Sammy perché sembrasse un pugile dopo un incontro. Sicuramente l’avrebbe tempestata di domande com’era suo solito fare. Ma la adorava proprio per questo.
La cena si svolse tranquilla e quella sera Claudia non fece nemmeno sparecchiare Ariel, essere aggrediti aveva i propri vantaggi, poi la ragazza si rifugiò in camera sua e si mise il pigiama,lavò i denti, legò i capelli e si infilò sotto le coperte con il suo ciondolo fra le mani e si addormentò stringendolo.
 

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Capitolo 10
*** Blake ***


“Tesoro, Ariel, devi andare a scuola! Te la senti di andare oggi?”
Il piumone rosso si mosse e da sotto si udirono alcuni versi indistinti,poi un paio di braccia spuntarono fuori e Ariel si tirò su; si grattò la testa e fece penzolare i piedi fuori dal letto. Poi guardò la madre e annuì con gli occhi ancora chiusi
“Dai allora, vestiti! Io sono giù che preparo la colazione! Sbrigati Ariel!”
Ariel si alzò dal letto e si guardò allo specchio. Fortunatamente la tempia non si era gonfiata e il taglio si stava cicatrizzando in fretta. Evitò di coprire i graffi con il fondotinta, visto il patetico risultato del giorno prima; mise solo un po’ di crema idratante, della cipria e un tocco di mascara. Poi aprì l’armadio con il braccio buono e afferrò un paio di jeans neri, un maglione con scollo tondo bianco e i suoi anfibi. Poi andò in bagno e si pettinò i capelli in una treccia;poi afferrò la borsa e controllò che al suo interno ci fosse tutto: quaderno, libro di filosofia, portafogli, mp3, astuccio, agenda e astuccio delle emergenze. Infilò il cappello bianco e afferrò sciarpa e giacca a vento.
Scese le scale a due a due con la tracolla infilata, la sciarpa solamente appoggiata sul collo il cellulare e il suo ciondolo stretti in una mano e nell’altra stringeva un lembo della giacca a vento.
“Oh eccoti! Ma quanto sei carina Scricciolo?”
“Oh buongiorno papà”
Fece Ariel arrossendo e sedendosi a tavola, appoggiò la borsa a terra e afferrò il bicchiere con il succo e una fetta biscottata.
“Io non posso fare colazione qui... Sammy mi ha chiesto se facevamo colazione insieme ed io ho accettato.. papà mi accompagneresti al bar?”
Josh si alzò dal tavolo bevendo l’ultimo sorso di caffè e afferrando la giacca poggiata sulla spalliera della sedia.
“Certo. Tanto devo passare davanti al bar per andare al tribunale. Poi andate a scuola da sole?”
“Emh.. si perché?
“Josh! Non lascerai che vada da sola a scuola dopo quello che è successo! E se l’aggredissero di nuovo?”
“Ok.. invio un messaggio a Sammy e le dico che ci vedremo direttamente a scuola ok mamma? Ma non posso comportarmi da reclusa o da sorvegliata speciale solo perché sono stata aggredita. Da domani la mia vita tornerà normale. Chiaro?”
Claudia annuì leggermente e poi indignata se ne andò in salotto; allora Ariel prese il cellulare e iniziò a cercare il numero di Sammy, poi andò sulla voce “scrivi messaggio” e sullo schermo bianco iniziò a digitare
“non uccidermi.. non posso venire a fare colazione con te.. ti spiego appena arrivo a scuola. Ti adoro. A.”
Meno di un minuto dopo il cellulare trillò. Una bustina gialla comparve sul display con sopra scritto il nome Sammy; Ariel riusciva a percepire la rabbia dell’amica prima ancora di leggere il messaggio. La conosceva troppo bene.
“Cooooosa? Ma come puoi farmi questo? Due mattine di fila? Sei una frana! Uffa ti perdono solo perché ti adoro anche io. A dopo. Baci!”
Meno male, non se l’era presa; Samantha diventava insopportabile quando si offendeva. Fenomeno che si manifestava mediamente dalle quattro alle otto volte al giorno. Ariel finì la sua colazione e infilò la giacca a vento e la sciarpa, afferrò la borsa  e uscì fuori salutando sua madre, che si era relegata in salotto e faceva ancora l’offesa per prima, con un bacio sulla guancia.
“Vado ci vediamo stasera mamma, forse pranzo con Sammy o con Trent.. ti faccio sapere dopo”
“Stai attenta tesoro!”
Mentre Claudia diceva quelle parole, Ariel era già fuori la porta, e si stava infilando nell’auto del padre. Mentre Josh ingranava la marcia, Ariel allacciava la cintura e posizionava i piedi sul cruscotto
“Signorina?! Ti siedi composta?”
“Dai papà! Che fastidio ti danno i miei piedini su cruscotto?”
“Un fastidio visivo.. dai Scricciolo comportati bene..”
Ariel sbuffò e tirò giù i piedi dal cruscotto, poi lo guardò e incrociò le braccia sul petto
“Contento ora?”
“Decisamente si!”
Fece il padre di Ariel fermando la macchina davanti il liceo di Ariel e sporgendosi per darle un bacio sulla fronte
“Ti voglio bene Scricciolo!”
“Ok papà, anche io.. vado che sono già in ritardo”
Disse Ariel mettendo già una mano sulla maniglia della portiera e slacciandosi la cintura di sicurezza. Nel mentre però Josh la fermò
“Aspetta Ari..”
“Dai papà sono in ritardo! Dimmi veloce!”
“Stai attenta ok?”
“Ok! A stasera!”
Fece Ariel dandogli un bacio e battendogli un cinque, poi slacciò la cintura e uscì finalmente dalla macchina per avviarsi verso la sua scuola. Era una scuola superiore come tante altre, dall’aspetto squadrato e colorata di quel giallino triste e invecchiato, sulla parte anteriore c’era un giardino veramente molto curato, di un contrasto stridente a confronto delle pareti invecchiate dell’istituto. Su quel prato i ragazzi che contavano ci consumavano i pranzi nei giorni più assolati. Ariel entrò nell’edificio e imboccò il corridoio C dove c’era il suo armadietto; prese il libro di storia dell’arte e mise il cellulare in tasca, prima però controllò la casella dei messaggi, una lucina lampeggiava e sul display c’era un messaggio di Samantha
“La prof ci ha dato un progetto! Dove sei sta facendo le coppie! Muovi il culo che se no finisce male!”
Era tipico della professoressa dividere i ragazzi in coppie e affidargli pezzi di opere letterarie da analizzare e interpretare. D’un tratto nella mente di Ariel balenò l’idea di poter finire in coppia con Suzie Que, la smorfiosa della classe; allora Ariel sbattè la porta dell’armadietto e si precipitò in classe, aprì la porta di scatto e la professoressa la inchiodò subito
“Oh la signorina Britt lavorerà con il nostro nuovo arrivato; Ariel ti presento Blake Hook”
Ariel respirava ancora affannosamente, ma non più per la corsa, bensì perché seduto nel banco dietro il suo c’era un ragazzo che lei non aveva mai visto, ma le sembrava di conoscerlo da sempre. Era lì,seduto scomposto sulla sedia, con un braccio appoggiato sul banco, le gambe lunghe con dei jeans chiari che a stento riuscivano a stare sotto il banco. Indossava una felpa con la zip nera con sotto una maglietta di un gruppo rock, la felpa leggermente slacciata lasciava intravedere leggermente l’osso della clavicola. Le maniche tirate su fino ai gomiti mostravano gli avambracci e le mani forti, al polso destro portava una fascetta di pelle nera; le mani erano grandi, le dita affusolate e le vene sul dorso delle mani sporgevano appena e veniva l’insano impulso di toccarle e di percorrerle per tutta la loro lunghezza.         La pelle era candida e perfetta, tranne che per delle cicatrici sugli avambracci; era decisamente un ragazzo muscoloso, lo si poteva intuire anche con la felpa indosso. Poi gli occhi di Ariel salirono al viso di lui, i tratti del viso erano bellissimi,degli zigomi alti, la mascella ben delineata, il naso dritto e perfetto,la bocca carnosa e ben definita, gli occhi. Quegli occhi, di un blu come l’acqua del mare, avevano un taglio deciso, contornati da lunghe ciglia e da sopracciglia folte e ben definite. Aveva i  capelli come quelli dei surfisti australiani, lisci e biondo scuro, decisamente più scuri alla radice, per poi schiarirsi sulle punte. Era bellissimo. Ariel rimase impalata un attimo, poi andò a sedersi, si girò e guardò il nuovo arrivato,voleva dirgli qualcosa, come per esempio “ciao, piacere Ariel!” o “lavoreremo insieme, piacere di conoscerti!” e l’unica cosa chele venne in mente fu
“Ti chiami Blake, ne sei sicuro?”
Lui la guardò, ma non come se fosse una povera pazza o un’ochetta che provava patetici tentativi per attaccare bottone col nuovo ragazzo della classe. La guardava con interesse, ma senza sorridere; come se la stesse studiando.
“Si. Blake.”
“E.. ti sei trasferito qui da poco? È la prima volta che vieni qui insomma?”
“Si. Sono appena arrivato.”
“No perché.. ti sembrerà strano ma.. mi sembra di conoscerti”
“Impossibile.”
Quella strana conversazione venne interrotta dalla professoressa che iniziò ad assegnare le opere letterarie da analizzare alle coppie. La lezione trascorse tranquilla, poi non appena suonò la campanella Blake si alzò di scatto e raggiunse la porta come un razzo; poi guardò dentro l’aula, trovò lo sguardo di Ariel, lo sostenne per un paio di secondi e poi se ne andò, volatilizzandosi nel corridoio.
“Te l’avevo detto che era bellissimo no?”
“Che?”
“Oh dai! Ho visto come lo guardavi! Sembra un modello di Vogue! Magari gli piaci, ti ha fissata per tutta la lezione!”
“Oh.. no che dici.. mi ricorda Cameron.. un mio vecchio amico..”
“No, lui si chiama Blake e si è appena trasferito, l’ho sentito oggi mentre te lo diceva, ma mi sembra giusto ripetertelo, sembravi quasi in trance mentre lo guardavi.. ehi ma che hai fatto alla faccia??”
Samantha era talmente presa a parlare della new entry alla Gobeling High School che aveva quasi eclissato il viso e il collo graffiato di Ariel
“Sono caduta con lo scooter, un tizio con una moto mi ha mandato fuori strada. Nulla di grave Sammy!”
“Cosa?! Ma l’hai denunciato? La polizia che fa? Lo hanno preso?”
“Non lo so, non credo l’abbiano preso, non lo conoscevo e poi indossava un casco integrale, non l’ho visto in faccia”
“Oh lo prenderanno stai tranquilla Rel, ora andiamo che se no il prof di trigonometria ci interroga e non so tu ma io non ho studiato più di tanto!”
“Dov’è la novità Sammy?”
Fece Ariel ridendo e uscendo dall’aula insieme a Samantha. Il resto delle lezioni trascorse tranquillo, all’uscita Ariel si avvicino al parcheggio e per poco non le prese un colpo, vide una moto, nera, grossa, un Ducati per la precisione,con un graffio proprio dove Ariel si ricordava, il manubrio del suo scooter era andato a sbattere contro la moto del suo aggressore prima di finire fuori strada. Samantha guardò Ariel che era rimasta impietrita e poi provò a capire dove stesse guardando
“Ariel, andiamo io ho fame!”
“Devo vedere di chi è quella moto!”
Doveva assolutamente sapere chi la guidava per poi scoprire se era stato quel qualcuno a mandarla fuori strada, per scoprire se ora nella sua scuola c’era un Cacciatore. Non passò molto tempo che qualcuno uscì dal cancello della scuola e si avvicinò alla moto, afferrò il casco integrale e chiuse il giubbotto di pelle nera.     Prima che si infilasse il casco però Ariel lo vide e il cuore accelerò i battiti: era Blake.

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Capitolo 11
*** La voglia ***


Per tutto il resto del pomeriggio Ariel rimase in stato catatonico, nella testale frullavano milioni di domande:conosceva quel ragazzo? Se si dove si erano conosciuti? Se no, perché avere questa forte convinzione di conoscerlo già? Poteva essere stato lui ad aggredirla? Non poteva certo accusarlo solo perché aveva una moto nera e un casco integrale. E poi il volto di Blake occupava la sua mente, era così bello, aveva due occhi pazzeschi, che assomigliavano pericolosamente al ricordo degli occhi dell’aggressore che Ariel aveva relegato in un angolo della mente. Conosceva quegli occhi, li conosceva ma non come gli occhi del Cacciatore che voleva ucciderla.. lei sapeva di averli visti altrove, in un altro contesto, in un altro tempo. Arrivò a casa verso le sei quella sera. Aveva passato il pomeriggio a girovagare per la città da sola, andando contro le raccomandazioni della madre. Non era andata a danza come aveva promesso a Gloove, non aveva chiamato Trent e nemmeno Bart, aveva detto a Samantha che stava poco bene e che voleva stare da sola e tornarsene solamente a casa; invece aveva girato come un fantasma per tutte le vie della città alla ricerca di risposte, senza trovarle.
Tornò a casa e salì i gradini che la conducevano alla sua camera. Si infilò le punte e iniziò a fare fouettes fino a che le caviglie non iniziarono a cedere.  Poi una strana quanto familiare sensazione le invase il piede; tolse la scarpetta e il salvapunta e scoprì senza essere troppo sorpresa che un’unghia era andata, si avvicinò alla scrivania e aprì il terzo cassetto, dove teneva l’occorrente per disinfettare e fasciare e trovò qualcosa che non stava cercando ma che in un momento le diede una speranza che covava da tempo: una foto di Cameron, un primo piano, guardò i suoi occhi, il colore ed il taglio, identici a quelli di Blake,poi guardò la foto con attenzione, alla ricerca di altri dettagli che potessero provare che erano la stessa persona. Non sapeva perché ma sentiva che c’era un legame fra Cam e  quel ragazzo nuovo, con il quale aveva parlato solo mezza volta, che aveva guardato solo per quindici minuti al massimo e che sembrava non conoscerla. Non era mai stata così istintiva, così irrazionale ma stavolta c’era qualcosa dentro di lei che le diceva che non si stava sbagliando, che non importava quanto pazzo e impossibile potesse sembrare, doveva scoprire cosa c’era sotto lo sguardo così familiare di quel ragazzo, che poteva essere interpretato in milioni diversi di modi, che poteva essere descritto con tantissimi aggettivi tranne che con uno : normale.
Ariel continuò a scrutare la foto, dimenticandosi del piede sanguinante e del tappeto che si stava macchiando. E trovò quello che stava cercando, sul collo di Cam c’era una voglia perfettamente tonda, piccolissima ma perfettamente distinguibile, il giorno dopo Ariel avrebbe controllato anche il collo di Blake. Mentre faceva queste riflessioni il telefono trillò e lei per poco non si prese un colpo; era Sammy, non fece in tempo a dire pronto che Sammy attaccò subito a parlare
“ Oggi avevi una faccia quando hai visto Blake, e la tua espressione è peggiorata quando hai visto che la moto parcheggiata fuori dalla scuola era la sua! Allora prima di spiegarmi il perché di tutto ciò voglio darti la targa della sua moto, mi ringrazi dopo!”
“Cosa? La targa della sua moto? Ma perché lo hai fatto? E come poi?”
“Si, la sua targa, l’ho fatto perché ho visto la tua faccia e poi, mentre tu eri lì come un pesce lesso a guardare imbambolata ed impietrita lui e la sua moto io mi sono spostata leggermente verso destra e prima che partisse ho scattato una foto alla targa, semplice no?”
“Ti potrebbero arrestare lo sai si? Sei una pazza!”
“Oh prego, non c’è di che Rel..a che servono gli amici se no? Ora però devi spiegarmi tutto! E non accetto scuse, chiaro? Si da il caso che rischio la galera per te!”
“Grazie.. ma ora non posso spiegarti più di tanto.. devo finire di studiare e potrei scommetterci, fra meno di due minuti mia madre mi dirà che la cena è pronta. Domani ti dico tutto però, promesso.”
“Rinvii sempre! Ma che hai? Ultimamente sei così strana. Domani mattina da Harry’s Bar alle otto meno dieci! E non azzardarti a fare un minuto di ritardo!”
“Ti adoro tantissimo!”
“Si anch’io.. ritarda e sei morta!”
Quanto era difficile non poter spiegare alla sua migliore amica che oltre alla solita, e complicata vita di una normale adolescente,Ariel doveva gestire una seconda esistenza dove Fate, poteri e Cacciatori riempivano i momenti dove poteva godersi una pausa dai problemi delle comuni adolescenti. In più era nel codice di regole imposto dalla Corte: “nessuna fata deve per alcuna ragione rivelare la propria identità ad un essere umano”. Dire a Samantha che lei era una fata e che molto probabilmente il nuovo e bellissimo Blake era un cacciatore venuto nella loro scuola solo per togliere di mezzo Ariel era già complicato di suo; se si aggiunge il fatto che nella confraternita Ariel non era vista sotto un’ottima luce per così dire, la confessione della seconda identità di Ariel diventava direttamente impossibile.       Era un bel guaio. Ma ne sarebbe uscita. O almeno così sperava.
Il mattino seguente alle otto meno dodici minuti Ariel era da Harry’s Bar, seduta al loro  solito tavolo con una tazza di Acqua e limone e un cornetto integrale, davanti a lei c’era la cioccolata con panna e scaglie di cioccolato e il cornetto con crema pasticcera e fragole di Sammy, che entrò nel bar con le braccia incrociate, fingendosi arrabbiata, ma poi inciampò nel laccio della scarpa sciolta e Ariel scoppiò a ridere, così come un po’ tutte le persone presenti nel bar. Samantha si avvicinò al tavolo e afferrò la tazza quasi più grande di lei e mandò un’occhiata truce ad Ariel
“Non credere che questa semi-caduta tolga pathos alla mia entrata da donna molto risentita! Sia chiaro!”
“No.. per carità.. non ha minimamente intaccato la tua camminata trionfale!”
“Mhh.. bene ora dimmi tutto!”
Fece Samantha con ancora la bocca sporca di panna e cioccolata. Sembrava una bambina, così piccola e minuta, con i capelli un giorno di un colore e il giorno dopo di un altro raccolti in una coda bassa;la tipica acconciatura di chi quella mattina non voleva pettinarsi. Gli occhi da gatta erano contornati da un doppio strato di matita viola. Sul visetto da topino spuntava un sorrisetto mentre aspettava che l’amica svuotasse il sacco. Era seduta sulla sedia tenendo una gamba piegata con il piede appoggiato sulla seduta e l’altra penzoloni. Indossava dei jeans neri con le toppe colorate, delle scarpe con il rialzo fucsia e un dolcevita verde., rigorosamente fluo. Il tutto accompagnato dagli immancabili accessori: bretelle e cinture colorate, braccialetti a go go e collane di varia natura, sulla testa un cappellino col pompom che lasciava scoperte le orecchie cariche di orecchini.
“Vuoi almeno dare un morso al cornetto prima?”
Con la mano tintinnante di bracciale, due anelli alle dita e le unghie ognuna di un colore diverso, Samantha afferrò il suo sostanzioso cornetto e diede un bel morso, leccandosi poi le dita sporche di crema.
“Non ti eri messa a dieta Sammy?”
“Mai sentito parlare di diete ingrassanti? E poi mia madre dice sempre che sembro un’orfanella malnutrita, quindi non mangio così tanto solo perché mi piace!”
Fece lei toccandosi la pancia e addentando nuovamente il cornetto
“Dico solo che dovresti mangiare in modo più salutare! Sai per avere un buon fisico”
“Chi è la ballerina fra noi?”
“Io”
“E chi è la rock star?”
“Tu?”
“Hai mai sentito di Rock star attente alla linea? Loro bevono,fumano e mangiano torte alla panna per cena! Tu sei una ballerina e mangi acqua e limone a colazione! Ti ho mai detto qualcosa?”
“Veramente si.. tutti i giorni!”
“Ma per il tuo bene!”
“Credi che ti dica di mangiare più sano perché voglio vederti a trent’anni col colesterolo a mille?”
“No ma.. ehi! Signorina conosco il trucco! Vuoi sviare la conversazione! Non attacca! Tieni. Ora dimmi tutto su Blake e sulla sua moto!”
Fece Samantha allungando sul tavolo un foglietto con sopra scritto un numero di targa, un nome,un cognome e il modello della moto.
“Oh.. beh ti avevo già detto di essere stata aggredita da un pirata della strada no? Beh la moto di Blake assomiglia a quella del motociclista che mi ha mandato fuori strada.. ma una semplice coincidenza credo..”
Sul viso si Samantha si accese una luce e negli occhi una scintilla, il sorriso si ampliò sul suo volto quasi non rovesciò la cioccolata rimasta nella tazza per il salto che fece.
“Ma è  fantastico! Ci pensi io e te, un mistero da risolvere,e poi l’accusato è così sexy! Oh si!è decisamente la cosa migliore che potesse capitare!”
“Oh.. sono commossa nel vedere la tua preoccupazione verso i miei confronti. Comunque non se ne parla! Non andremo a investigare, darò solo il numero di targa ai miei genitori e loro sapranno che farci. Grazie!”
“Ma.. ma.. ma.. è l’avventura?”
“Bevi e andiamo che siamo in ritardo! Mi raccomando non una parola con nessuno di quello che ti ho detto”
Samantha annuì mogia e finì la cioccolata, poi lasciarono i soldi sul tavolo e si avviarono all’uscita. Percorsero i soliti cinquecento metri parlando del più e del meno e di come Sammy ritenesse che Bradly Castler fosse decisamente il suo tipo.   
A vederle così, nessuno avrebbe pensato che due ragazze così diverse potessero essere amiche per la pelle dalla quarta elementare fino al terzo liceo. Eppure da quando Sammy era arrivata nella scuola elementare e la signorina Tomphson aveva detto “Samantha, vicino ad Ariel c’è un posto libero, vai a sederti lì!” loro due si erano guardate, si erano sorrise ed avevano capito di essere destinate ad essere amiche. Certo la diversità sia fisica che caratteriale era decisamente notevole. Da un lato uno scricciolo che sembrava uscito da un cartone animato, dall’altro una ballerina normalissima all’apparenza, che indossava semplicemente jeans e golfini.
Arrivarono a scuola e notarono subito nel parcheggio la moto di Blake. Tutti gli studenti erano ancora fuori e non appena la campanella suonò Ariel e Sammy si divisero per andare a prendere i libri ai propri armadietti. Ariel imboccò il corridoio C dove c’era il suo, e vicino al numero 37, c’era un armadietto con lo sportellino aperto, non appena l’anta si chiuse Ariel lo vide. L’armadietto numero 38 era di Blake. Con noncuranza si avvicinò, anche se le tremavano le mani e lasciò il cappotto pesante nello scomparto più lungo. Blake si accorse di lei dopo circa un minuto, si girò, abbassò la testa e la guardò. Era decisamente alto. Ariel buttò lo sguardo a terra e guardò solamente i suoi anfibi neri e le scarpe da ginnastica di Blake, poi i suoi occhi salirono piano sui jeans blu scuri,poi sul maglioncino aderente grigio che indossava, aveva il collo alto e segnava perfettamente la sua figura.
“Ciao Ariel. Letteratura in prima?”
Annuì presa com’era da quegli occhi così familiari. Poi Blake le sorrise, in un modo assurdo; non da diciassettenne che sa di essere bello e che usa questo suo potere per ammaliare le ragazze. Le sorrise come un tempo le sorrideva un bambino. Un bambino che lei adorava e che se ne era andato senza lasciare alcuna traccia. Istintivamente strinse il ciondolo; gesto che Blake notò e, continuando a sorridere però, contrasse la mascella, come in un attacco di nervosismo.
“Cam.. oh Blake, si, letteratura. Anche tu presumo”
Fece Ariel indicando con un cenno della testa il libro che il ragazzo stringeva in mano. Vide le cicatrici e si ricordò quello che aveva visto il giorno precedente. Quella voglia sul collo di Cameron. Doveva controllare se anche Blake l’avesse sarebbe stata al prova regina. Abbassò gli occhi sul collo di Blake e .. indossava un maglione a collo alto. La solita fortuna. Blake la guardò, poi guardò l’orologio.
“Dovresti andare in classe”
“Dovremmo, sai anche tu sei uno studente!”
“Si.. ma va prima tu. Io arriverò dopo”
Stranita Ariel chiuse l’armadietto e si girò,salutando con un gesto della mano. Poi si avviò per il corridoio, prima di prendere le scale si girò e trovò Blake esattamente dove era rimasto. Che la fissava appoggiato agli armadietti; sembrava quasi che stesse sorridendo.
“Non mi sento troppo bene Mrs. Jeskins. Posso uscire?”
“Si vai cara, sei decisamente pallida oggi Ariel. Va a prenderti qualcosa al bar e poi torna. Vuoi che venga qualcuno con te?”
Ariel scosse la testa e si avviò verso la porta. Poi si girò prima di chiuderla. Blake la stava guardando. Chiuse la porta pervasa dai brividi e si rintanò in bagno. Passarono cinque minuti,andò al bar della scuola e prese una bottiglietta d’acqua; poi rientrò in classe. Dieci minuti dopo la campanella suonò. Ariel si alzò velocissima e urtò Blake, che alla stessa velocità stava scattando in avanti per uscire dall’aula.
“Mentre eri fuori la Jeskins ha detto che dobbiamo lavorare su Romeo e Giulietta di William Shakespeare. Ti porto la mia parte di lavoro entro dopodomani e tu fai la tua. Poi uniamo il tutto”
“Dovrebbe essere svolto insieme il lavoro. Sai si chiama di coppia!”
“Io lavoro da solo. Sempre.”
“Beh non stavolta! Non prenderò un’insufficienza perché tu vuoi fare il lupo solitario! Quindi, io sono libera il sabato pomeriggio dalle cinque alle otto. Se ci sei ci vediamo in biblioteca e iniziamo le ricerche”
Ariel non sapeva dove aveva trovato tutto quel coraggio. Ma si sentiva più forte senza sapere perché; Blake intanto, visibilmente sorpreso, infilò le mani in tasca e guardò un attimo a terra, poi rialzò gli occhi, si morse il labbro e  rispose
“Ok.. ci vediamo in biblioteca alle cinque.”
Poi senza nemmeno salutare se ne andò e Ariel riprese a respirare

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Capitolo 12
*** La biblioteca ***


Erano le quattro e mezzo circa, Ariel se ne stava coi capelli bagnati e indosso solo la biancheria intima a gironzolare per la sua stanza. Fra una mezz’oretta scarsa sarebbe dovuta andare in biblioteca con Blake per iniziare il progetto di letteratura. La musica dei Blink 182 invadeva la stanza e lei stava scegliendo cosa indossare. Non era un appuntamento ma, senza alcun motivo particolare desiderava vestirsi con cura e non indossare i soliti maglioni larghi e i jeans sotto. Voleva sembrare carina. Dal piano di sotto arrivavano i rumori tipici che sua madre faceva quando si dava alle abitudinarie pulizie del sabato pomeriggio. Ariel sbuffò, si legò i capelli e prese la busta attaccata dietro la porta; conteneva i capi che sua madre le aveva acquistato due giorni prima. Non aveva avuto occasione di guardare cosa ci fosse dentro, visti gli avvenimenti degli ultimi due giorni. Forse avrebbe trovato qualcosa di carino, qualcosa di adatto all’occasione. Un paio di jeans chiari con dei brillantini dorati e leggermente più slavati al centro delle cosce. Guardò la taglia: una 44, dovevano andare,li mise da parte e continuò ad esaminare il contenuto della busta nera; una gonna rosa con dei fiori leggermente più scuri e le balze sotto. Nuovamente Ariel controllò la taglia: 42.. avrebbe dovuto cambiarla; infine un golfino aderente di un colore neutro, abbinato alla gonna. provò la gonna. le calzava perfetta sui fianchi, doveva ricredersi,per una volta sua madre non le aveva preso delle taglie assurde. Decise di mettere delle calze nere, il golfino che le aveva preso la madre. Sopra un cardigan e la gonna sotto. Completò il tutto con degli stivaletti neutri. Dopodiché andò verso il bagno saltellando e si asciugò i capelli e poi mise un po’ di crema idratante e basta, visto che aveva ancora i graffi sul viso. mise un po’ di burro di cacao e del mascara, poi andò in camera sua, prese la tracolla con dentro i libri e infilò gli stivaletti invernali; scese le scale, urlò alla mamma che usciva e aprì la porta
“Hei.. andavi da qualche parte?”
“Trent! Oh emh si.. in biblioteca”
“Se vai da sola posso accompagnarti io”
Fece Trent sorridendo e alzando le chiavi del fuoristrada e facendole tintinnare
“Emh.. veramente vado a fare un lavoro con un ragazzo della mia classe di letteratura”
“Chi è? Cioè.. insomma lo conosco?”
“No, si è appena trasferito da non so dove, si chiama Blake”
“Ok.. sta attenta però, ok?”
“Certo! Sta tranquillo, ora devo proprio andare Trent.. mi spiace”
Ariel gli diede un leggero bacio sulla guancia e scappò via verso lo scooter parcheggiato di fronte casa sua; infilò il casco e partì. Durante la strada dovette concentrarsi più volte per non perdere la concentrazione. Sentiva il cervello pulsare e il cuore battere fortissimo. Non appena arrivò davanti alla biblioteca e spense il motore, si tolse il casco e prese un bel respiro. Entrò in biblioteca salendo i gradini uno alla volta e contandoli. Entrò in sala studio e lo trovò lì, seduto sulla sedia che leggeva assorto un libro che Ariel non riusciva a distinguere. I capelli gli cadevano sugli occhi e le mani voltavano le pagine quasi accarezzandole. Ariel si avvicinò alla sua schiena e lui non si mosse, era come se fosse sprofondato in un mondo tutto suo. Era dannatamente bello.
“Ciao”
“Oh.. ciao”
Disse Blake alzando gli occhi di scatto dal libro non appena sentì la voce di Ariel. Poi si girò e la guardò, squadrandola da capo a piedi, poi con un cenno del capo indicò la sedia di fronte a lui
“Coraggio, siediti e iniziamo a studiare. Abbiamo un sacco di roba da leggere, commentare e interpretare”
Ariel si sedette e prese il suo tascabile, Blake intanto si alzò e andò allo scaffale della letteratura inglese e prese un paio di libri abbastanza pesanti, il peso dei libri faceva flettere i suoi bicipiti sotto la stoffa sottile della felpa grigia. Posò i libri sul tavolo e Ariel guardò i suoi avambracci coperti di piccole cicatrici, chissà come se le era procurate; poi alzò gli occhi e vide che Blake la stava guardando, arrossì di colpo e abbassò gli occhi sul libro. Blake sorrise e si sedette aprendo a sua volta una copia del libro. Dopo quindici minuti di lettura e trascrizione dei punti salienti, Ariel alzò gli occhi e vide Blake con i gomiti poggiati sul tavolo e la testa appoggiata sulle mani, leggermente sporto in avanti, che la guardava. Abbassò di nuovo gli occhi sul libro e continuò a leggere e riscrivere; dieci minuti dopo rialzò gli occhi, Blake era ancora nella stessa posizione.
“Hai intenzione di fissarmi tutto il tempo? O vuoi anche studiare?”
“Pensavo avessi insistito tanto per lavorare insieme solamente per farmi qualche domanda su di me e sul mio passato, me ne sono accorto che ti interessa la mia storia..”
“E invece ti ho detto di venire a studiare per studiare! Nessun doppio fine, ora potresti studiare per favore?”
“Sei nata qui?”
“Cosa c’entra adesso dove sono nata?”
“Niente. Devo saperlo”
“Devi?!”
“Si. Devo. Sei nata qui?”
“Si. Ora però tocca a me fare una domanda.”
“Scordatelo. I tuoi sono di qui?”
“Pensi che ti risponda? No! Anche io voglio fare domande se tu hai intenzione di farmele!”
“Ti facevo più timida e silenziosa, sai?”
“Dove ti sei procurato quelle cicatrici?”
“Quali delle tante?”
“Tutte quelle sugli avambracci e sulle mani”
“Oh.. inconvenienti del mestiere”
Ariel lo guardò, ma prima che potesse controbattere con un’altra domanda, Blake si alzò in piedi e andò a prendere un altro volume. Non appena si risedette di fronte a lei Ariel continuò
“Inconvenienti del mestiere?”
Ripeté un po’ stupita, poi si legò i capelli con una matita e aspettò che Blake spiegasse, lui però la guardò sorridendo leggermente e inclinando un po’ la testa.
“Ma una via di mezzo no eh? O ti comporti da secchiona timida e tutta sulle sue oppure diventi più curiosa di una giornalista di gossip. Comunque non devi sapere niente di me. È meglio per te, fidati.”
“Ma cosa..”
“Ora, vuoi studiare? O rimaniamo qui senza combinare nulla fino alle otto di stasera? Io non avrei nemmeno nulla da fare, ma dubito che tu voglia passare il sabato sera in biblioteca”
“Si vede che non mi conosci..”
Concluse Ariel e poi si rimise a studiare, Blake fece lo stesso e dopo un’oretta finirono di buttare giù le relazioni. Ariel fece su le sue cose e fece per andarsene, ma appena passò di fianco a Blake, lui le prese il polso fermandola. Ariel si girò stupita e lui con l’altra mano prese il squadernino rosso che si era dimenticata sul tavolo, poi la guardò negli occhi e avvicinò la mano libera alla sua testa e afferrò la matita che aveva fra i capelli
“Non vorrai uscire con questa in testa?”
“No.. voglio solo uscire, lasciami andare per piacere.”
“Perché?”
“Non mi sento troppo bene. Voglio solo tornare a casa..”
“E pensi di guidare uno scooter se non ti senti troppo bene?”
“Mi verranno a prendere appunto. Ora chiamo”
“Ti riporto io se vuoi..”
Negli occhi di Blake c’era una luce nuova,qualcosa di.. aggressivo, Ariel se ne accorse e si liberò dalla sua presa, lui le riafferrò il braccio e strinse più forte, lei provò a divincolarsi ma lui non se la lasciò scappare
“Mi stai facendo male.. lasciami andare Blake, per favore”
“Non posso lasciarti andare.. non dopo quello che avete fatto alla mia famiglia!”
Blake era strano, la mano gli tremava, le pupille erano dilatate, stava sudando e sembrava febbricitante, come se dentro di lui stesse avvenendo una guerra.
“Blake.. che stai dicendo? Non ti conosco, non ho fatto nulla alla tua famiglia”
D’un tratto mollò la presa sul braccio di Ariel e si strinse la testa fra le mani;i suoi occhi tornarono normali e guardò Ariel stupito e confuso, poi sul suo volto si dipinse la paura e riuscì solo a sussurrare
“Non.. ti ho fatto.. del male, vero?”
Ariel scosse la testa ancora spaventata, e intanto inviò un messaggio a Trent, scritto alla meno peggio
“biblioteca. Vieni. Urgente.”
Poi Blake si guardò intorno, confuso, lasciò in terra la borsa con i libri e guardò Ariel un’ultima volta
“Non volevo.. devo.. devo andarmene! Prima che.. l’effetto ricominci. Stammi lontana! Verrò io.. devo andare via!”
Ariel rimase ammutolita, a guardarlo mentre si allontanava barcollando sulle gambe malferme. Per quanto Ariel fosse sensibile ai problemi altrui e aiutasse sempre chi stava male, in quel momento non riuscì a muovere un solo passo verso Blake, che intanto era sparito dal suo campo visivo.
Trent arrivò come una furia e prese Ariel fra le braccia
“Stai bene? Cos’è successo?”
“Si.. sto bene.. “
“Cosa è successo Ari? Dimmelo!”
“Blake.. il ragazzo.. è cambiato.. era strano.. mi ha fatto paura, poi se n’è andato dicendo che doveva allontanarsi prima che ‘l’effetto ricominciasse’ e io credo sia un cacciatore.. forse quello che mi ha aggredita l’altra notte”
“Sta lontana da lui. E la mattina ti porto io a scuola; ti verrò anche a riprendere ok? Mi informerò su di lui e ti farò sapere ma cerca di evitarlo per quanto puoi”
Ariel annuì e Trent le circondò le spalle con un braccio
“Dai Ari, andiamo a casa”
 

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Capitolo 13
*** Fuoco ***


“E’ il nemico! Devo ricordarti cos’ha fatto la sua razza a noi? Alla tua famiglia! Sembra che tu te ne sia dimenticato! Vedi di riprenderti!”
Blake era in terra e si teneva la testa, era riuscito a stento ad arrivare alla cascina dove viveva.
“Non posso.. è come se la conoscessi.. non è come gli altri..”
“Non l’hai mai vista prima! Chiaro?! Non costringermi ad usare le maniere forti!”
Fece la figura voltata di spalle, con voce minacciosa, Blake si raggomitolò. La figura si girò, era una donna,la metà di Blake se non meno, eppure gli incuteva un enorme timore. Nella stanzetta male illuminata non si riusciva a vedere molto, ma il profilo tagliente della donna spiccava nell’oscurità e i suoi occhi castano dorati dalla forma allungata e dallo sguardo minaccioso brillavano freddi nell’oscurità. Nonostante la paura Blake si tirò a sedere e poi cercò di mettersi in piedi sulle gambe malferme, cercando di incutere un po’ di timore a quella donna, dato che Blake era alto almeno venti centimetri più di lei. m
“Cassidy,  non ce l’ho fatta ad ucciderla! Io.. è come se la conoscessi e... non so cosa mi sta succedendo.. “
Cassidy gli tirò uno schiaffo in pieno viso, poi lo guardò con disprezzo e urlò
“Sei debole! Ecco perché! Sei debole! Ti è bastato parlarci per due giorni per affezionarti a lei? Hai già dimenticato la nostra missione?”
“No..”
“A me sembra di si! Dobbiamo iniettare altro fluido? Magari ti aiuta a tenere a mente l’obbiettivo”
Blake scosse la testa guardando il pavimento in segno di rimorso; a vederlo così Cassidy si infervorò ancora di più. Lo afferrò per il mento e lo costrinse a guardarla in quegli occhi taglienti e carichi di cattiveria.
“ A me sembra di si! Ma non posso continuare così! Devi essere tu a prendere l’iniziativa per una volta Blake! Sei il più debole del gruppo! Quando vorrai svegliarti un po’? Sono stufa di doverti sempre tenere sotto la mia ala protettiva se poi non ricevo nulla in cambio! Per stasera eviterò di farti un’iniezione. Ma rimarrai qui. E fra poco arriveranno anche gli altri. Spiegagli cosa hai fatto oggi!”
Detto questo chiuse il lucchetto della catena che teneva Blake per la caviglia e se ne andò fuori dal capanno, non appena richiuse la porta l’oscurità fu totale e Blake iniziò ad ansimare, aveva sempre avuto del buio dopo che i suoi genitori erano stati uccisi, la notte del quindici giugno di dieci anni prima. Era rimasto talmente traumatizzato che il suo corpo iniziò a tremare dopo una decina di minuti trascorsi nella più totale oscurità; per quanto la sua infanzia ed adolescenza fosse stata problematica dopo la morte dei genitori, aveva trovato una nuova famiglia nella Setta dei Cacciatori, Gwen, una donna che era parte della Setta già da molti anni, ma che nonostante fosse una spietata cacciatrice, sapeva essere anche un’affettuosa mamma; aveva preso Blake nella sua famiglia e lo aveva cresciuto come un figlio. rNon era stato semplice, Blake era sempre stato un bambino e un ragazzo problematico, ma Gwen si era affezionata a lui, e Blake, nel corso degli anni si era sempre applicato al massimo per diventare un ottimo membro della Setta ed essere all’altezza delle aspettative di Gwen; ma ora che era incatenato al buio si domandava se fosse davvero questo quello che voleva: essere un assassino e uccidere, perché era quello che la Setta si aspettava da lui o cercare di scoprire chi fosse prima di entrare nella Setta. Tutto giocava  a suo favore,era tornato nella sua città natale, dov’era cresciuto fino a quando i suoi genitori erano stati ancora in vita. O almeno questo era quello che Gwen gli aveva detto, e visto che ricordava pochissimo della sua vita prima di diventare orfano.
Mentre continuava con questi pensieri, la porta si aprì e comparvero tre figure slanciate, due ragazzi e una ragazza. Lo guardarono con un’espressione a metà fra il disprezzo e la pietà, poi la ragazza si chinò su di lui egli scostò i capelli dal volto mentre Blake ancora tremava e poi lo schernì
“Ma  guarda! Debole e ancora traumatizzato dal buio! Non cambi mai  eh? Non capisco perché tu non sia morto con i tuoi genitori! Sei solo un peso morto per la Setta!”
“Meg, lascialo stare. Ce ne occuperemo noi di quella mezza fata! L’unica cosa che non capisco è perché Cassidy non lo abbia già sbattuto fuori dalla Setta!”
Fece un ragazzone altissimo, l’altro annuì e Meg sghignazzò, poi si alzò e si allontanò da Blake, scuotendo la lunga chioma bionda all’indietro.
“Sarà divertentissimo ucciderla con le nostre mani!”
“Non vi azzardate a toccarla!”
Ringhiò Blake alzandosi di scatto e ferendosi le caviglie con le catene.
“Ah ora ti è spuntata la spina dorsale? Ma da che parte stai? Credo che sia ora di rinfrescarti la memoria! Tu sei un Cacciatore! Non devi difendere quei Flhoryez! Che ne dite ragazzi? Gli rinfreschiamo la memoria?”
La porta si chiuse e l’oscurità riempì di nuovo la stanza, l’unico rumore che si sentì furono dei colpi e le grida di Blake.
Il sole entrò nella stanza di Ariel e lei si stiracchiò, poi guardò la radiosveglia, le dieci del mattino, poi fece scorrere gli occhi per tutta la stanza, qualcosa non andava. C’era qualcosa di strano. C’era una persona che dormiva sul divanetto, Trent. Aveva le labbra socchiuse, e il petto si abbassava e si alzava ad un ritmo regolare; alcuni riccioli neri ricadevano sulla fronte e sugli occhi chiusi. Era decisamente bello, decisamente una fata. Era decisamente comico vedere quel bestione di Trent tutto accartocciato su quel divanetto rosso. Ariel si alzò dal letto e andò verso Trent, gli scosse delicatamente la spalla e lui batté gli occhi più volte, poi si alzò sui gomiti.
“Buongiorno Trent! Comodo il divanetto?”
Ironizzò Ariel mentre Trent si metteva a sedere inarcando la schiena. Poi le sorrise e si massaggiò il collo
“Comodissimo guarda. Credo di avere il torcicollo adesso! Tu hai dormito bene invece?”
“Si certo,perché? Ma soprattutto, perché tu dormivi sul mio divano?”
“Ieri sera eri così scossa da quello che era successo che sono rimasto con te visto che i tuoi erano a cena fuori, ti sei addormentata sul divano e ti ho portata a letto. Ma i tuoi non erano ancora arrivati e non volevo lasciarti sola.. così mi sono addormentato sul divanetto e tua madre non mi ha svegliato e ora eccomi qui col torcicollo!”
Ariel inclinò la testa e sorrise. Poi si mise a cavalcioni dietro Trent ed iniziò a massaggiargli piano il collo. Trent si lasciò scappare un sospiro di beatitudine e rilassò i muscoli contratti, poi girò la testa e sorrise ad Ariel
“Ah che bellezza.. ci voleva proprio, grazie Ari!”
“Di niente.. hai fame?”
Trent annuì e si alzò, poi tese la mano ad Ariel e lei l’afferrò e Trent l’aiutò ad alzarsi, con un movimento veloce la prese e la strinse a se, lei teneva le mani premute sul suo ampio torace, mentre Trent le cingeva la vita, poi la sollevò leggermente e Ariel piegò le gambe e le alzò per non andare a sbattere contro il divanetto. Entrambi ridevano e una volta arrivati nel punto più largo della stanza Trent mise giù Ariel, lei mise un finto broncio e lo guardò inclinando leggermente la testa verso sinistra
“Stavo così comoda lassù! Perché mi hai fatto scendere?”
Trent le sorrise e nei suoi occhi si accese una scintilla
“Rimediamo subito!”
Con un gesto repentino tanto quanto quello che aveva effettuato sul divano prese Ariel per mano e la portò vicino la rampa di scale, lei gli saltò sulla schiena e si attaccò al corpo muscoloso di Trent come una scimmietta. Scesero le scale di corsa, ridendo e arrivarono in cucina tutti trafelati, al che Claudia si girò dai fornelli, i suoi capelli neri a caschetto erano raccolti con un fermaglio e indossava un abito di cashmere a maniche lunghe color borgogna, stretto in vita da una cintura di pelle color cognac. Sotto le calze coprenti e decolté otto centimetri nere. Impeccabile, il classico trucco delicato e due orecchini di perle abbinate ad una collana. Erano solo le dieci di mattina ed era così perfetta. Ariel invece aveva i capelli ingarbugliati e il pigiama rosso con i pinguini e i residui di trucco colato le incorniciavano gli occhi in un penoso effetto panda.
“Buongiorno cari! Ariel tesoro, tutto bene? Trent, ho provato a svegliarti ieri sera ma.. non c’è stato modo! Dormivi come un sasso! Comunque sarete affamati! Venite il pudding e le frittelle sono pronti!”
I due ragazzi si sedettero a tavola e Trent molto cavallerescamente le spostò la sedia e fece sedere Ariel, avvicinando la sedia con un tempismo perfetto. Poi si sedette e girò il bicchiere per versarsi del caffè, ma Ariel lo precedette e riempì prima la sua tazza gialla con lo smile e poi quella di Trent
La colazione trascorse velocemente, Trent ed Ariel chiacchierarono e mangiarono frittelle. Mentre stavano finendo la colazione entrò Josh nella cucina, che diede un bacio sulla fronte di Ariel. Era veramente un bell’uomo, indossava una camicia Oxford e un cardigan blu nawy con o scollo a V. Sicuramente c’era qualche evento importante in vista, ma Ariel non aveva la minima idea di quale fosse.
“Buongiorno Scricciolo! Dormito bene?”
“Certo papà! Buona domenica!”
“Oh ciao Trent. Come stai?”
“Molto bene grazie signor Britt, lei?”
“Oh non c’è male… Ari tesoro cambiati veloce che dobbiamo andare a pranzo dagli Shiverman! Te ne eri dimenticata per caso?”
“Emh veramente si papà.. devo proprio venire?”
“Assolutamente sì! Non possiamo sempre presentarci solo io e tuo padre! Come se tu non fossi parte della famiglia!”
Esordì Claudia mettendosi teatralmente le mani sui fianchi e battendo nervosamente i tacco di vernice sul parquet del pavimento della cucina. Era perennemente stressata quando si parlava di uscire come famiglia. Era come se dovesse ostentare la perfezione della famiglia in ogni occasione possibile.
Abbattuta Ariel salutò Trent, che come al solito si offrì disponibile come autista, amico,guardia del corpo o qualunque cosa della quale Ariel avesse bisogno, lei lo congedò con un leggero bacio sulla guancia e lui se ne andò a bordo del suo fuoristrada nero. Ariel salì in camera e si mise dei jeans chiari,con un maglione grigio scuro lungo e i soliti stivaletti, i capelli mossi ricadevano sulle spalle e il taglio sulla fronte era quasi sparito del tutto. Scese le scale e non appena Claudia la vide scosse la testa e cominciò la solita ramanzina
“Ma non avevi nulla di più decente da metterti? Quel bel vestitino bianco per esempio! Magari sotto eviti di metterci queste scarpe da combattimento e sistemi anche quel cespuglio che hai in testa!”
“Nemmeno per sogno! O così o non vengo. Prendere o lasciare”
Ariel non era il tipo che si faceva mettere i piedi in testa facilmente. Era così cocciuta che Claudia per evitare di tirare troppo per le lunghe la litigata acconsentì e Ariel salì sulla Bmv con le sue scarpe da combattimento, estremamente felice di averla spuntata con sua madre.
Gli Shiverman abitavano in periferia, in un quartiere di persone benestanti. Tuttavia lì vicino c’erano cascine e capannoni industriali abbandonati e questo faceva calare un po’ lo splendore di quella zona residenziale, che però tuttavia rimaneva comunque  tranquilla e ospitava ville lussuosissime. Ariel e la sua famiglia arrivarono alla grande casa a due piani degli Shiverman, era proprio l’ultima casa prima che iniziasse la zona industriale. Ariel da piccola, quando andava con i genitori in quella casa adorava passare tutto il tempo in giardino. Era così silenzioso, c’era un salice piangente, e lei si rifugiava sempre sotto i suoi rami; poi adorava arrampicarsi sugli alberi dai rami più alti e a immaginare di essere una scimmietta. Non appena scesero dalla macchina Deliah Shiverman si presentò alla porta e accolse la famiglia Britt con il solito caloroso sorriso. Era una donna sulla cinquantina, molto curata, come tutte le fate d’altronde! Indossava un tailleur bianco e delle scarpe rosse con un tacco sottile. I capelli erano raccolti in una morbida crocchia sulla nuca.
“Ciao Claudia! Josh! Oh Ariel,ma quanto sei cresciuta! Entrate! Entrate!”
Il signor Shiverman era seduto nel soggiorno, sulla poltrona di pelle marrone, vicino al caminetto che fumava la pipa e leggeva un libro. Salutarono calorosamente anche lui e poi tutti insieme andarono nella sala da pranzo. Nella sala c’era una tavola con tanti piattini pieni di antipasti. Iniziarono così un pranzo tranquillo mentre Josh e Carter Shiverman discutevano animatamente delle questioni lavorative, visto che erano entrambi avvocati. Claudia e Deliah invece parlavano del fantastico periodo per andare a fare shopping e stavano già progettando un folle pomeriggio di compere, cercando di coinvolgere anche Ariel; quest’ultima però era restia allo shopping e poi non avrebbe mai voluto passare un pomeriggio intero con sua madre e una sua amica in giro a spendere soldi per comprare capi firmati. Finito il secondo piatto Ariel si alzò e disse
“Deliah, Carter, vi spiacerebbe se andassi un po’ in giardino?”
“No cara vai pure.. anche da piccola adoravi passare la il tuo tempo!”
“Tesoro sta attenta!”
Fece Claudia, Ariel alzò gli occhi al cielo e annuì, poi sgattaiolò fuori da quella reggia e si recò sul retro del giardino. Iniziò ad inspirare l’aria profumata ed ad ascoltare i rumori della natura circostante ad occhi chiusi. Poi sentì un cigolio, poi un altro e aprì gli occhi, in una cascina poco distante la porta si stava aprendo e da dentro venivano dei rumori. La bassa staccionata fu semplice da scavalcare, fortunatamente Ariel non aveva indossato un vestito come le aveva proposto Claudia, se no a quest’ora sarebbe ancora dall’altra parte della recinzione. Si avvicinò al capanno e sentì sempre più distintamente i rumori, c’era qualcuno dentro. Ariel sapeva che non erano affari suoi se qualcuno fosse in quella cascina, ma era una zona abbandonata e Ariel era notoriamente molto curiosa, quindi si avvicinò ancora e appoggiò la mano sulla maniglia della porta mezza scardinata e la spinse. Non appena entrò le mancò il fiato. Una figura di spalle stesa su una brandina da campeggio le dava le spalle e guardava il muro. Non appena Ariel si avvicinò e la figura si accorse di lei alzala testa e si girò di scatto. Per poco a Ariel non partì un urlo
“Blake? Che diavolo ci fai qui!?”
Indietreggiò confusa e  spaventata, visto che solo ieri Blake l’aveva aggredita
“Ariel!”
Fece Blake a sua volta alzandosi di scatto e piegandosi in due,sul suo viso comparve una smorfia di dolore e dalle labbra gli sfuggì un gemito.
“Che hai? Stai male?”
Chiese Ariel avvicinandosi  a lui e dimenticandosi per un momento tutto quello che era successo la sera precedente e tutta la confusione provata un minuto prima.
“Non avvicinarti ti prego..”
Le disse Blake, mentre si portava la mano sull’addome e sussultava per un’altra fitta. Ariel non lo ascoltò nemmeno e si avvicinò guardandolo negli occhi, lui indietreggiò sulla brandina, ma lei con delicatezza e con cautela, come si fa con un animale ferito e spaventato e gli prese la mano che aveva sull’addome. Poi alzò leggermente il lembo della maglia e scoprì gli addominali di Blake. Ariel rimase senza fiato: erano bellissimi, definiti e sodi; ma la cosa che lasciò Ariel senza fiato fu che quegli addominali erano cosparsi di lividi, grandi macchie nere e viola che dovevano fargli un male terribile.
“Come te lo sei procurato? Chi ti ha fatto questo? Chiamo subito un’ambulanza, potresti avere delle costole rotte”
Blake la fermò prima che potesse comporre il 911 con il cellulare, poi tossì e guardò Ariel negli occhi
“Sto bene.. devi andartene però ora..”
“Guarda un po’ chi c’è qui! La fatina..”
Fece la voce fredda di Meg, Ariel si girò di scatto e poi guardò di nuovo Blake che si alzò di scatto e così Ariel vide la catena che lo teneva legato alla brandina
“Meg! Sta lontana da lei!”
“Se no cosa fai? Non ti sono bastati i lividi di ieri sera? Ne vuoi ancora? Lasciami fare il lavoro sporco che tu non riesci a compiere adesso!”
La paura, la rabbia e tante altre emozioni diverse e contrastanti iniziarono a girare vorticosamente nel petto di Ariel, che sentì le gambe molli e le mani diventarono insensibili. Un calore la pervase da capo a piedi, si parò davanti a Blake e dal pavimento iniziarono a uscire scintille che zampillarono sempre di più fino a trasformarsi in una fiamma che divampò poi allargandosi a vista d’occhio. Meg imprecò qualcosa contro Ariel e uscì in fretta dal capanno.
Il fumo era ovunque, Blake iniziava ad essere stordito. Ariel era in stato catatonico. Nessuno dei due sapeva cosa fare
“Vai!”
Urlò Blake indicando la porta, Ariel girò la testa di scatto e lo guardò
“Non me ne vado se tu sei qui! Ce ne andremo insieme, devo solo riuscire a liberarti!”
Ariel si concentrò e le sue mani iniziarono a brillare e a scaldarsi, continuando a concentrarsi, Ariel poggiò le mani sulla catena, vicino la caviglia di Blake e strinse con forza. Il calore del fuoco fuse il ferro della catena sotto gli occhi sconcertati di Blake. I capelli erano appiccicati al volto sudato di Ariel mentre cercava di far sciogliere l’ultimo anello della catena. Le mani iniziarono a tremarle, il fumo rendeva l’aria irrespirabile, Blake le sistemò i capelli dietro le orecchie e con un ultimo sforzo Ariel riuscì a liberarlo. Poi perse i sensi. Blake la prese fra le braccia e si tolse la maglia, coprendole la testa e il volto perché non si bruciasse. Poi e iniziò a correre fra le fiamme fino ad arrivare alla porta.
Andò subito verso la casa degli Shiverman, con Ariel ancora svenuta fra le braccia.
“Aiutatemi!”
Urlò con la voce roca. In meno di un minuto i genitori di Ariel e i signori Shiverman si precipitarono fuori. Claudia per poco non urlò vedendo quel ragazzo a torso nudo con in braccio la figlia, entrambi sporchi di fuliggine e puzzolenti di fumo. Il signor Shiverman guardò a sinistra, dietro la casa e vide le fiamme. Subito chiamò i pompieri dando l’indirizzo, intanto Josh prese Ariel e Blake cadde in avanti per lo sforzo che aveva compiuto. In meno di dieci minuti i pompieri arrivarono e anche l’auto medica del 911. Blake e Ariel vennero sistemati nel salotto di casa Shiverman e dopo una decina di minuti Ariel riprese i sensi e facendo leva sul braccio destro si alzò dal divano. Nell’altra parte del salone Blake e due infermieri del 911 stavano litigando
“Andiamo è solo un prelievo!”
“No!non voglio il fluido! Ti prego basta! Basta!”
“Credo sia sotto shock, prima di fare il prelievo inietterei un tranquillante”
Blake si agitava e non bastavano due infermieri a tenerlo fermo. Si portava le mani alla testa e tremava. Ariel si alzò e si avvicinò a lui e gli prese le mani guardandolo dritto negli occhi e facendogli un sorrisino incerto. Blake rilassò i muscoli e l’infermiere riuscì in quel momento di iniettargli il tranquillante. Meno di un minuto dopo gli occhi di Blake persero lucidità e Ariel allora gli lasciò le mani e si sedette di fianco a lui.
“Grazie”
Disse l’infermiere guardandola negli occhi, poi la visitò velocemente e constatò che non c’erano traumi evidenti. Quindi andò in cucina a parlare con i signori Britt che erano agitati per la prognosi della figlia.
“Tutto a posto signora, sua figlia non ha riportato nemmeno un graffio,il ragazzo invece.. beh è pieno di contusioni e vorremo parlare con i suoi genitori, insomma è sotto shock. Non avete alcun recapito telefonico? Se no dovrà venire con noi al pronto soccorso.”
“Non ho mai visto quel ragazzo prima.. forse Ariel lo consoce ma ne dubito, non frequenta mai questo quartiere..”
“Si chiama Blake.. Blake Hook, viene a scuola con me. Si è appena trasferito qui in città ma non so altro..”
Disse Ariel una volta sbucata sulla porta. Guardava il padre implorandolo con gli occhi di fare qualcosa. Fu Claudia però a parlare
“Potete chiamare la segreteria del liceo. Lì sapranno di sicuro tutto sul suo conto”
Dieci minuti dopo Josh Britt era al telefono con la centralinista del liceo frequentato da Ariel e Blake. Spiegata la situazione e dopo aver ribadito almeno dieci volte che era un avvocato e voleva avvisare i genitori del ragazzo, la centralinista rilasciò l’indirizzo dove abitava Blake. Era proprio in quel quartiere. Due cascine dopo quella andata a fuoco. Appena Claudia lo seppe sbiancò, prese Ariel per un braccio e si chiusero in bagno.
“Cos’è successo la dentro Ari?”
“E’ arrivata una ragazza e ha detto che voleva farmi fuori, ha parlato di un ‘ lavoro sporco che lui non era riuscito a fare’ Trent presume che sia un cacciatore”
“Ariel devi stare lontana da quel ragazzo!”
“Perché mamma? Non ha fatto nulla! Ho dato io fuoco a quel capanno lo so! Per far scappare l’altra. Lui è buono! Poteva uccidermi in biblioteca! Non l’ha fatto! Il mostro fra i due sono io! E poi mi sembra di conoscerlo.. non so perché ma non posso stargli lontana”
“Non puoi conoscerlo.. è impossibile Ari”
Poi Claudia abbracciò la figlia. E le tornò negli occhi la stessa espressione che tanti anni prima si era presentata quando le aveva mentito il giorno in cui Cameron era sparito. 

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Capitolo 14
*** Convivenza ***


Ariel era seduta di fianco a Blake e lo guardava, lui intanto dormiva profondamente, ancora stordito dal sedativo, respirava piano, l’addome fasciato si alzava leggermente ogni volta che inspirava e a volte contraeva la mascella per qualche fitta di dolore. Nel suo braccio destro c’era una flebo per l’assunzione dei liquidi e nella mano destra un’altra che somministrava morfina, impedendo così a Blake di provare troppo dolore. Ariel fece scorrere lo sguardo sul suo corpo addormentato: era bello, anche in quelle condizioni. Le labbra socchiuse, il suo volto era rilassato, forse stava sognando qualcosa di bello, i capelli ricadevano in ciocche scomposte sulla fronte e sul collo, Ariel istintivamente iniziò a spostarle dalla fronte sudata, poi scostò anche delle ciocche dal collo e allora la trovò, lì era perfettamente visibile, la voglia tonda come una moneta. Ariel rimase a bocca aperta e in quel momento Blake si svegliò, batté gli occhi più volte e poi, con la voce debole che scemava per gli antidolorifici sorrise e disse
“Ciao.. stai bene.. dove siamo?”
“Ciao, si stiamo bene tutti e due.. al San Peter Hospital, sei qui per dei controlli”
“Oh.. Meg? Come abbiamo fatto a scappare, c’era il fuoco! E tu eri svenuta..”
“Mi hai portato fuori tu dalla cascina, non so dove sia Meg, ma di sicuro io e te dobbiamo parlare.. abbiamo diverse cose da chiarire..”
“Credo anche io.. solo che ora mi sento così strano..”
“E’ l’effetto del sedativo, fra poco svanirà.. hanno chiamato i tuoi genitori, fra poco verranno a prenderti”
“I miei genitori? Impossibile… come avete saputo dove vivo.. io non vivo con i miei genitori”
Ariel allora iniziò a spiegare nel dettaglio tutto quello che era successo durante il lasso di tempo nel quale Blake era stato incosciente. Lui annuiva e si sforzava di elaborare il tutto anche son la mente annebbiata dall’effetto della morfina. Dopo una decina di minuti di racconto si prese la testa fra le mani e si premette i palmi contro le orecchie, Ariel ci fece caso e ricordò un particolare, anche Cameron, quando i suoi genitori litigavano o era particolarmente sconvolto, come quando la sua sorellina Jamie si era rotta la gamba mentre giocavano tutti e tre insieme, aveva il vizio di premersi le mani sulle orecchie. Ariel avrebbe voluto chiamarlo Cam, avrebbe voluto chiedergli se fosse veramente lui, avrebbe voluto piangere per aver ritrovato il suo migliore amico e avrebbe voluto chiedergli perché cambiare nome, perché se ne fosse andato.. ma a vederlo così fragile pensò di aspettare che si riprendesse prima di tempestarlo di domande.
Entrarono nell’ambigua stanzetta d’ospedale due medici, i genitori di Ariel, Trent e un donna che Ariel non conosceva. Era minuta, con delle rughe che le solcavano il volto; i riccioli neri erano raccolti in una coda e un sorriso si aprì sul suo volto non appena vide Blake.
“Blaky! Stai bene! Oh che sollievo!”
“Gwen.. dobbiamo parlare.. ho delle cose importanti da dirti..”
Mentre Ariel era intenta ad osservare ed ascoltare la conversazione fra Blake e quella Gwen, molto probabilmente una tutrice. Non poteva essere sua madre! La madre di Blake era Sonya! Una donna bionda dagli occhi verdi, perché Blake, ne era sempre più sicura, era Cameron. Trent era arrivato dietro di lei e l’abbracciò piano; Ariel sobbalzò, poi girò leggermente la testa e si ritrovò gli occhi di Trent che la fissavano con dolcezza.
“Stai bene?”
“Si, non mi sono fatta nulla.. Trent il capanno.. sono stata io”
“Lo avevo intuito.. ma non è stata colpa tua! Toglitelo dalla testa ok?”
Ariel annuì, poi gli occhi di Trent si spostarono su Blake e tutta la dolcezza riservata ad Ariel svanì, guardava Blake con disprezzo e non appena gli occhi di quest’ultimo si spostarono su Ariel, Trent la strinse più forte senza mai staccare gli occhi da quelli di Blake.
“Scusateci.. io e Gwen dovremmo parlare in privato.. potete uscire tutti?”
Fece Blake sostenendo lo sguardo di Trent con lo stesso disprezzo, poi non appena Ariel scostò la testa dall’incavo del collo di Trent, dagli occhi dei due ragazzi scomparve qualsiasi traccia di odio, disprezzo o cattiveria. Ariel prese la mano di Trent e poi con l’altra accarezzò la guancia di Blake
“A dopo.. ricordati che anche io e te dobbiamo parlare..”
“Prima devo parlare con Gwen.. prima voglio altre risposte”
Fece Blake premendosi la mano di Ariel contro la guancia.
Trent allora circondò Ariel con un braccio e la spinse fuori dalla stanzetta insieme ai genitori di Ariel e ai due medici.
“Cos’hai fatto Blake?”
“L’ho salvata.. non so perché, ma non posso ucciderla!”
“Tu sei un cacciatore. Lei una fata. Tu devi ucciderla! Non vorrai che Cassidy ti torturi di nuovo. Sai che non potrei sopportare di nuovo tutto il dolore che ti ha fatto provare.. per me sei come un figlio, nessuna madre vuole veder soffrire il proprio figlio”
“Grazie Gwen.. ma io non sarò mai un cacciatore. Ora però devi dirmi una cosa. Sono state davvero le fate ad uccidere la mia famiglia?”
“Non lo so Blaky.. io ero in un altro squadrone quando ti hanno trovato..”
“E abitavo davvero qui prima che i miei venissero uccisi?”
“Si.. di questo ne sono sicura.”
“C’è una minima possibilità che io conoscessi Ariel, quella ragazza, prima di ora?”
“Non credo Blake.. non lo so.. io non ho mai saputo molto sulla vita che vivevi prima di entrare nella nostra famiglia.. ma stai lontano da quella ragazza ok?”
“Non credo di riuscirci.. è come se fosse parte di me..”
“Sai che ti voglio un gran bene Blake.. ma ci sono Jason e Tyla che sono piccoli e non posso rischiare di andare contro la Setta e mettere a repentaglio la loro vita.. quindi credo che le nostre strade si dividano qui.. a meno che tu non cambi idea”
“Aspetta Gwen.. dammi un po’ di tempo.. sono solo confuso. Non voglio lasciare te e la setta. Solo che non posso ucciderla! Non è come le altre fate. Non è come voi me le avevate descritte!”
“Blake.. devi decidere, non puoi essere latitante tutta la vita. Ma devi anche sapere che se andrai contro la Setta rischierai la vita e molto probabilmente ci sarà un altro cacciatore pronto ad ucciderla.”
“No..  aspetta. Non parlare con Cassidy di questa conversazione.. voglio prima capire chi sono e qui mi servi tu..ti prego Gwen!”
“ti do un mese di tempo per capire chi sei, chi eri e cosa provi per quella ragazza. Poi io me ne tiro fuori. Ho i miei due bambini da proteggere. Spero capirai.”
“Sì. Un mese è perfetto.”
“Sarebbe meglio andassi a vivere da qualche altra parte.. parlerò con Cassidy e le dirò che lo squadrone otto ti ha inviato a cercare notizie sul luogo più vicino dove le fate che abitano nei paraggi si riuniscono, visto come ti hanno ridotto Meg e gli altri potrà solo star zitta, visto che deve far si che nessuno nel suo squadrone crei problemi. Tu però devi decidere in fretta!”
“Lo so Gwen.. posso continuare a venirti a trovare però?”
Negli occhi della donna iniziò a comparire uno sguardo compassionevole, stava iniziando a scuotere la testa quando Blake le afferrò le mani e la guardò implorandola con quegli occhi blu profondi come il mare. Gwen non riuscì a finire il gesto, quindi inspirò e poi guardò Blake
“Solo quando te lo dirò io? Chiaro? Ho dei bambini io.. lo sai..”
“Certo Gwen! Stai tranquilla.. grazie mille! Sei proprio come una madre per me!”
“Perché lo fai Blake?”
“Cosa?”
“Metterti contro tutto e tutti per lei.. nemmeno la conosci..”
“E’ come se fosse qualcosa di saldo dentro di me..una parte che mi completa.. non so come spiegartelo.. dovresti provarlo Gwen, so’ solo che ora sto facendo la cosa giusta.. prima no”
Gwen lo accarezzò dolcemente e poi si alzò.
“Ti voglio bene Blake, sta attento. Trova un posto dove stare questo mese.. io ora devo scappare.. Jason sta uscendo ora da scuola!”
“Ciao Gwen.. ti farò sapere e verrò a prendere le mie cose in giornata”
La donna uscì dalla stanza e subito dopo entrò Ariel, che si avvicinò al letto, si sedette di fianco a Blake, lo guardò inclinando la testa e spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Allora?”
“Devo trovarmi un posto dove stare per prima cosa, e poi ti spiegherò tutto”
“Potresti stare da Trent! Vive solo! Due ragazzi, andiamo sarà divertente aspetta glielo chiedo!”
“No Ariel aspetta..”
Non fece in tempo a finire la frase che Ariel era già volata fuori dalla stanza per andare da Trent, che cambiò espressione in un millesimo di secondo non appena Ariel gli espose la situazione di Blake e gli propose la sua idea. Poi Trent entrò in camera, tallonato da Ariel, lui però la fermò e lei rimase fuori dalla porta con un’espressione un po’ delusa. Poi  Trent si chiuse la porta alle spalle e guardò Blake
“Perché dovrei ospitare un cacciatore in casa mia?”
“Non so se voglio davvero essere un cacciatore e poi ha fatto tutto Ariel io non le ho chiesto niente!”
“Se ti azzardi a  farle del male..”
“Allora ospitami da te, così portai controllarmi meglio”
Fece Blake con aria di sfida. Trent digrignò i denti e lo guardò sprezzante
“Per quanto?”
“Un mese per ora..”
“Un mese e basta! E dormi sul divano”
Si strinsero la mano e in quel momento la porta si spalancò, Ariel entrò tutta sorridente con tre succhi di frutta
“Oh sarete coinquilini che bello! Dai coraggio, brindiamo a questa convivenza!”
Fece porgendo i succhi a Trent e a Blake, i due presero le bottigliette e si guardarono fra di loro. Se solo Ariel non fosse stata così felice e così curiosa e avesse visto gli sguardi dei giovani avrebbe capito che quella sarebbe stata tutto meno che una convivenza tranquilla.

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Capitolo 15
*** Ricordi d'estate e di baci ***


“Emozionato?”
“Di cosa scusa?”
“Beh del fatto che oggi andrai a stare da Trent..”
“Oh si.. per quanto possa emozionarmi la cosa,  insomma”
La conversazione procedeva a rilento mentre Ariel  aiutava Blake a prendere le sue cose dalla stanza d’ospedale, Gwen gliele aveva portate la sera prima, dopo la loro conversazione e poi era sparita. Due scatoloni di vestiti e cianfrusaglie giacevano abbandonati sul linoleum chiaro dell’ospedale.
“E’ tutta la tua roba quella?”
“Si, mi piace viaggiare leggero..”
“Credo tu mi debba delle spiegazioni”
“Credo che anche tu debba darle a me.. ma non qui. Non ora.. In un posto più appartato magari..”
“Allora dov’è la roba da portare in macchina?”
“Qui! Vieni Trent”
Fece Ariel andandogli incontro e circondandogli il collo con le braccia, lui la sollevò leggermente e inspirò il profumo dei suoi capelli per un lungo istante. Poi lo sguardo seccato di Blake e un suo colpo di tosse lo fecero scostare da Ariel.
“Dai Trent, carichiamo questa roba sul fuori strada”
Fece Ariel, lui per tutta risposta prese, senza troppa delicatezza il primo scatolone e se lo caricò su una spalla. Poi si avviò verso la porta mentre Ariel iniziava a chiudere il secondo scatolone, intanto Blake si stava sfilando la camicia del pigiama, non appena Ariel si girò e lo vide a torso nudo arrossì leggermente, poi negli occhi di lei si dipinse la compassione. Era ancora cosparso si quei lividi spaventosi; sbucavano fuori dai lembi della fascia elastica che gli circondava il torace, visto che dalla lastre era venuto fuori che aveva due costole rotte e una incrinata. Ariel si avvicinò e gli toccò una spalla
“Ti fanno tanto male?”
Blake la guardò, sorrise e si portò la sua mano dalla spalla alla guancia, premendo con delicatezza, poi scrollò le spalle e infilò il maglione
“Non troppo. Se non respiro troppo forte è sopportabile”
Ariel lo aiutò ad alzarsi ma non appena Blake si mise in piedi entrò un’infermiera in camera con una carrozzella
“No no! Ragazzino per oggi ti becchi la Ferrari aziendale. Ti piacerà dai!”
Blake stava per dire qualcosa quando però mosse il primo passo e sentì le costole scricchiolare e gemere; Ariel gli avvicinò la sedia a rotelle e lui ci si sedette sopra con un tonfo, poi prima ancora che potesse allungare le mani oltre i braccioli per muoversi, Ariel era già dietro di lui e lo spingeva delicatamente. Blake alzò gli occhi e le sorrise, poi uscirono dalla stanza e si avviarono nel corridoio. Dopo dieci metri incontrarono il medico di  Blake
“Salve piccioncini, allora Blake, come ti senti?”
“Bene grazie”
“Oggi te ne torni a casa, ma devi stare attento; niente sforzi, rimani disteso il più possibile e.. ho già dato a quel ragazzo alto che sbraitava la prescrizione medica per prendere gli antidolorifici in farmacia.”
“Trent..”
Fece Ariel trattenendo una risata, Blake sorrise e poi tornò serio guardando il dottore
“Dovrò seguire cure particolari?”
“No tranquillo solo antidolorifici e una pomata che va applicata sui lividi… dubito che il ragazzone alto che sbraitava te la metterà però”
Concluse il dottore con una risata, poi strinse la spalla di Blake e salutò i ragazzi e continuò il suo percorso nel corridoio. Un paio di minuti dopo Ariel e Blake erano alla macchina e Trent se ne stava appoggiato al cofano con le chiavi in mano
“Allora,ce la diamo una mossa?”
“E dai Trent, stai un po’ tranquillo!”
Gli disse Ariel con un sorriso, lui le sorrise di rimando, poi con uno strattone non troppo amorevole aiutò Blake a sistemarsi nel sedile posteriore insieme ad uno scatolone mentre Ariel si sedeva sul  posto del passeggero e appoggiava i piedi sul cruscotto di Trent
“Ari.. i piedi!”
“Ma perché voi maschi tenete così  tanto alle vostre automobili? E poi, mica lo rovino il cruscotto, porto solo trentotto!”
“Ariel..giù quelle “scarpacce da combattimento”come le chiama tua madre dal mio cruscotto!”
Per tutta risposta Ariel sfilò gli anfibi e mise nuovamente i piedi sul cruscotto, poi guardò Trent con un sorrisetto
“Va bene ora?”
“Ah Ariel uno e lo.. ah si! Spilungone che borbottava zero!”
Fece Blake dal sedile posteriore
“Si da il caso che tu sia ospite dello “Spilungone che borbottava” e se non vuoi trovarti per strada evitiamo questo sarcasmo ok?”
“Eddai Trent! Su non essere così severo!”
“Non essere così severo? Ariel è pur sempre un cacciatore! A volte sembra che dimentichi questo dettaglio!”
“Non è come gli altri! Mi ha salvato la vita!”
“Ma due settimane fa ti ha quasi ucciso mandandoti fuori strada! Guardati i tagli del braccio se te lo stai per dimenticare!”
Nell’abitacolo calò il silenzio, che rimase fin quando Trent non parcheggiò sul vialetto d’accesso della palazzina in centro dove abitava.
“Scendete? Oh dai non voglio passare sempre per l’orco cattivo della situazione ma Ari, lo sai come la penso! Poi magari mi sto sbagliando ma un po’ di giudizio..”
Ariel non lo degnò di una risposta, così intervenne Blake, che le toccò una spalla e le sorrise, poi, piano le disse
“Non lo biasimo, nemmeno io mi fiderei subito.. ma cambierà idea vedrai! Mi impegnerò perché sia così!”
Ariel gli sorrise e poi guardò Trent,  rinfilò le scarpe e scese dalla vettura, poi mentre lei scaricava i due scatoloni dal cofano, Trent aiutava Blake a sistemarsi sulla carrozzella.
“Fortuna che hanno riparato ieri l’ascensore. Lasciami gli scatoloni Ari, tu porta su Blake.. terzo piano, 12b”
“Ok Trent, semmai ti aspettiamo all’ascensore!”
Rispose Ariel iniziando a spingere Blake. Intanto Trent aveva impilato gli scatoloni e li stava trasportando uno sopra l’altro verso l’interno del palazzo. Si posizionarono nell’ascensore e salirono fino all’appartamento di Trent.
“E’ un po’ spartano.. ma vivendo da solo non mi sono dedicato molto all’arredamento o al decoro”
Fece Trent prima di farli entrare in casa, poi aprì la porta di legno chiaro e li lasciò entrare. Un salotto semplicissimo, con un divano di pelle nera e un televisore attaccato al muro, una libreria grande quanto una parete, piena di libri e con due ante chiuse, dentro le quali doveva esserci la scorta di liquori di Trent.
Poi la porta di vetro scorrevole della cucina si aprì e una cucina di acciaio e laccata di un bel rosso carminio entrò nel campo visivo dei ragazzi. Infine Trent concluse il giro della casa con la sua camera da letto, il suo studio e il bagno e la stanzetta che lui usava come lavanderia, che ora era diventata una camera da letto per Blake
“E  questo è tutto”
Disse riconducendoli in cucina e aprendo il frigorifero per prendere qualcosa da bere. Ariel si sedette al tavolo e Blake passò dalla carrozzella alla sedia di plastica trasparente della cucina.
“Io fra dieci minuti devo andare in ufficio, quindi Ariel tu vieni con me e tu ti sistemi nella tua stanzetta.”
“Ma come possiamo lasciarlo qui solo? Dai e se si facesse male?”
“Non poso lasciarti sola con lui. Hai già dimenticato quello che ci siamo detti in macchina?”
“No però.. non possiamo dai.. e se facessi venire qualcun altro?”
“Tipo?”
Fece Trent perplesso inarcando un sopracciglio
“Tipo Gloove, quella ragazza che era venuta a trovarmi quando tu eri a casa con me! Ricordi Trent?”
“Si che ricordo e no! Assolutamente no! È svampita e non potrebbe mai proteggerti da un potenziale cacciatore! È escluso!”
“Chiama Leyla e il suo ragazzo allora!”
“Ecco forse loro già.. va bene ma qualunque cosa succeda incendia tutto se serve e chiamami!”
“Non darò fuoco a casa tua! Nemmeno se dovesse essere la prima cosa che mi viene in mente. Dai chiama!”
Un quarto d’ora dopo Trent stava scendendo per andare in ufficio e Leyla e il suo ragazzo salivano nell’appartamento di Trent
“Tranquillo ora ci pensiamo noi! Vai pure! Si, si, la controlliamo noi!”
Si sentiva Leyla rassicurare Trent per le scale. Poi non appena entrarono e videro Blake accasciato sul divano tutto fasciato e che iniziava a dimenarsi per il dolore, visto che gli antidolorifici stavano finendo il loro effetto, si guardarono e poi dissero
“E questo è il pericolosissimo cacciatore? Ma se anche un bambino potrebbe difendersi contro qualcuno così malmesso! Oh ciao Ariel! Ti ricordi di noi vero?”
“Si certo! Leyla e .. emh”
“Matt. L’altra volta non mi ero presentato! Piacere!”
“Oh piacere, lui è..”
“Blake, già lo sappiamo, Trent ci ha ripetuto il nome e le manovre di emergenza almeno diciotto volte al telefono e altre quindici mentre salivamo le scale anche se non mi sembra così pericoloso! Dunque che si deve fare?”
Ariel guardò il biglietto della prescrizione medica e poi alzò gli occhi verso Leyla e Matt
“Qui c’è scritto che l’antidolorifico va somministrato ogni due ore per via endovenosa, che la pomata invece va applicata più volte al giorno per alleviare il fastidio dei lividi e per schiarire l’ematoma”
“Avete già acquistato i farmaci?”
“Veramente no..”
“Ok, allora vado io, Matt tu rimani qui con Ariel e vedi se le serve una mano per sistemare gli scatoloni o altro. Torno subito amore!”
Fece Leyla baciandolo rapidamente prima di riprendere borsa e cappotto e riuscire velocemente.
“Come ti senti Blake?”
“Ho solo un po’ di dolore al torace.. ma è sopportabile”
“Forse è meglio metterlo a letto”
Suggerì Matt, che con delicatezza lo sollevò come una piuma e lo portò direttamente nella camera da letto, senza usare la carrozzina; era decisamente muscoloso, ma forse sotto c’era qualcos’altro.. qualcosa che aveva a che fare con la magia, visto che anche Blake era un bel bestione da sollevare, e neppure quel palestrato di Trent era riuscito sollevarlo così facilmente.                                                          Matt sistemò Blake sul letto e Ariel si andò a sistemare nella sua camera, mentre la sua fronte iniziava a cospargersi di goccioline di sudore.
“Posso fare qualcosa per te?”
“Acqua.. ho sete, per piacere”
“Si certo, vado subito a prenderti una bottiglietta d’acqua”
Disse mentre si allontanava per arrivare in cucina e prendere dal frigo di acciaio una bottiglietta d’acqua. Non ci mise più di un minuto, ma non appena tornò nella stanzetta di Blake lo trovò accartocciato sul letto, che sudava e aveva i denti stretti, la mascella serrata per il dolore.
“Oh calmo! Tranquillo, ora tornerà Leyla e vedrai che con l’antidolorifico tutto andrà meglio! Però ora resisti un attimo ok?”
Gli disse Ariel mentre gli accarezzava la fronte e i capelli, e spostava le ciocche sudate e scomposte dalla sua fronte . Blake annuì e provò a tirarsi su a sedere per prendere un sorso d’acqua, poi si rimise disteso e si rannicchiò, intanto Matt arrivò in camera bussando leggermente
“Tutto ok? Serve qualcosa? Ho portato questi scatoloni, li appoggio qui?”
“Si grazie Matt.. sai dov’è Leyla? La farmacia è proprio qui sotto e Blake non è al massimo.. insomma..”
“Sono sicuro che sarà di ritorno fra poco.. intanto..Blake, da quanto ti sei trasferito?”
“Tre settimane..”
Disse lui in un rantolo. Nonostante i vari tentavi di Matt e Ariel di far distrarre Blake dal dolore mentre aspettavano Leyla; il risultato fu scarso. Fortunatamente Leyla non tardò troppo nell’arrivare.
“Eccomi! Ce l’ho!”
Disse Leyla mentre riempiva, tirando lentamente lo stantuffo, la siringa con dentro l’antidolorifico. Non appena gli occhi di Blake incontrarono la siringa si riempirono di terrore e iniziò a ripetere
“No! Il fluido no ti prego!”
“Blake ti serve! Starai meglio appena ti daremo l’antidolorifico”
“No.. ti prego! Ti prego il fluido no... ti prego Cassidy!”
“Cassidy? E chi è questa ora?”
Fece Ariel mentre cercava di tranquillizzare Blake. Negli occhi di Matt e Leyla comparvero due sguardi che ne sapevano quanto Ariel; così i tre decisero di sorvolare e di riparlarne una volta sedato Blake. Matt si avvicinò e in un baleno immobilizzò Blake, mentre Ariel continuava a parlargli, Leyla, tentando di non fargli troppo male,  infilò l’ago della siringa nel braccio di Blake e iniziò a premere lo stantuffo. Intanto le grida di Blake si erano spente ed i suoi occhi si erano fatti vacui.
“Io avrei fame..”
“Matt! Sei sempre il solito!”
“No.. ragazzi andate in cucina e mangiate! Ci son dei panini nel frigo.. sicuramente non avrete pranzato, visto l’orario in cui Trent vi ha contattato!”
“Beh in effetti..”
“Su.. andate! Qui ci penso io, e poi ora è tranquillo”
Rispose Ariel guardando Blake e iniziando istintivamente ed accarezzargli i capelli sudaticci. Poi si alzò e accompagnò Leyla e Matt in cucina per fargli vedere dov’erano i panini e per prendere uno strofinaccio umido per tamponare la fronte sudata di Blake. Non appena tornò nella stanzetta addormentato con il viso rilassato. Si sedette di fianco a lui e iniziò a tamponare la fronte con lo strofinaccio umido e a spostargli indietro le ciocche scomposte che troneggiavano sulla sua fronte, poi la sua mano si spostò sulla sua guancia, sulla sua mandibola e poi sul collo, sulla voglia..
“Cam..”
“Ariel..”
Mugugnò lui nel sonno, poi aprì leggermente gli occhi. Ariel lo guardò sorpresa e provò a spostare la mano ma lui la prese e la premette sul suo collo
“Cam.. ricordi qualcosa? Ti dice qualcosa questo nome?”
Fece Ariel avvicinando il suo viso a quello di Blake. venti centimetri di distanza, venticinque al massimo.
“Le tue labbra.. Ariel le tue labbra.. sono così belle”
I visi si avvicinarono ancora. Dieci centimetri.
“Oh non dire questo ora! Ti ricorda qualcosa il nome Cam? Ti ricordi di me?”
“Era estate..c’era del sangue..le mele.. un bacio”
Cinque centimetri. Due. Uno.
“Ehi ma cosa succede qui?!”
La porta si aprì e Leyla quasi tuonò. Poi rimase sulla porta a fissarli. Immediatamente i due si ritrassero facendo così riapparire la distanza fra i due volti.
“Ariel potresti venire in cucina un secondo?”
Fu l’ultima cosa che disse prima di scostarsi dallo stipite e dirigersi verso la cucina. Ariel guardò Blake, poi si alzò e disse
“Devo andare, cinque minuti e torno da te.. dobbiamo parlare”
Blake annuì, anche se nessuno dei due aveva la minima idea di cosa dire.
 

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Capitolo 16
*** Questione di tempo ***


“Ariel.. cosa diavolo stavate facendo?”
“Leyla.. non lo so, era naturale! Lo conosco!”
“Da tre settimane! E sai che è un cacciatore! E stai quasi per baciarlo? Capisco Trent ora!”
“Non esagerare adesso.. comunque io credo che lui non sia un vero cacciatore.. insomma lui è Cam! Un mio amico! Giocavamo insieme da piccoli!poi un giorno è sparito e io.. non  ne ho più saputo nulla.. fino ad oggi almeno”
“Ne hai la certezza che questo ragazzo sia lo stesso bambino con il quale giocavi da piccola?”
“Si, cioè non del tutto, ha una voglia sul collo, dove l’aveva anche Cam ma.. non so se basti questo”
“No! Non basta! Non puoi andare a baciare un cacciatore solo per una voglia sul collo e perché questo ti ricorda il tuo amore d’infanzia! Appena avrai prove certe ne riparleremo. Fino ad allora stai comunque attenta e: mantieni le distanze! Sono stata chiara?”
“Si..”
Leyla allora scrollò le spalle e fece dietrofront per tornarsene in cucina. Ariel rimase ferma, in stato catatonico; senza sapere cosa fare. Poi un colpo di tosse proveniente dalla porta alla sua destra la fece trasalire, era Blake. Ne avevano di cose da dirsi, o almeno, lei aveva tante domande da fargli. Si avvicinò alla porta socchiusa e si prese un momento per se prima di poggiare la mano sulla maniglia. Il cuore le martellava  forte nel petto, sentiva un nodo nello stomaco e non riusciva a capacitarsi che da quella conversazione con quel ragazzo, piombato di prepotenza nella sua vita già scombussolata, sarebbe dipeso non solo il suo futuro, ma anche quello della sua famiglia e quelli che le stavano attorno. La mano era sulla maniglia. Una volta entrata lì dentro tutto sarebbe cambiato, e non sapeva se in meglio o in peggio, Ariel sapeva solo che non poteva continuare a vivere in questo continuo stato di incertezza che da troppo tempo caratterizzava la sua vita. Un respiro profondo e la maniglia si abbassa. Quanto coraggio ci vuole per compiere quel piccolo gesto che chissà quante volte non ci siamo nemmeno accorti di compiere nella quotidianità. Un piede nella stanza; un passo minuscolo, meno di mezzo metro, eppure quello era il primo passo per assumere una nuova consapevolezza di se e della sua vita.
“Blake?”
Lui girò la testa e lentamente aprì gli occhi, il volto ancora imperlato di sudore, ma l’espressione era più rilassata.
“Hei..”
“Senti, per quanto riguarda prima..”
“No.. ascolta, è meglio se parlo prima io”
Fece lui tirandosi su con uno sforzo che quasi pareva disumano. Mentre provava a mettersi seduto una smorfia di dolore si dipinse sul suo volto e Ariel dovette reprimere l’istinto di accarezzarlo, di toccarlo, di sentire il contatto fra i loro corpi.  Bisogno che ultimamente provava fin troppo spesso quando si trovava sola con Blake. Poi lui proseguì:
“Non voglio nascondermi dietro al sedativo, o dietro al dolore.. io ero consapevole di quello che stavo per fare, ero consapevole che stavo per baciarti e.. non credo sia la prima volta che succede. Io so che può sembrarci sbagliato, perché tu sei una fata ed io.. beh io non lo so che cosa sono.. ma sento il desiderio di baciarti.. ho bisogno di un tuo bacio.. perché ho come la sensazione che legato ad un tuo bacio ci sia un ricordo che adesso è offuscato, appannato.. che non riesco a vedere bene e sono quasi del tutto cer..”
Non fece in tempo a finire la frase. Ariel si sporse in avanti con un movimento repentino e appoggiò le sue labbra su quelle di Blake. Un bacio veloce. Una leggera pressione, che però scombussolò  Ariel ,tanto che quando si allontanò da Blake la testa le girava ed urtò per sbaglio contro uno scatolone appoggiato precariamente sul bordo della scrivania. Lo scatolone cadde e tutto il suo contenuto si rovesciò sulla moquette.
“Oh guarda che pasticcio ho combinato..”
Fece Ariel chinandosi per raccogliere tutti gli oggetti caduti e rimetterli nello scatolone. Li faceva passare velocemente fra le mani, rossa in viso e senza prestare troppa attenzione a quello che stava reinserendo nella scatola, fino a che le sue mani non toccarono qualcosa di liscio e freddo; una piastrina,che aveva un che di familiare, la prese fra le mani e la rigirò fino a trovare un’incisione. Velocemente la poggiò sul letto e si portò le mani dietro il collo e con un gesto repentino si slacciò la catenina che portava,poi riprese la targhetta e confrontò le incisioni “Ariel&Cam  amici per sempre” la stessa incisione.. era la piastrina che Cam indossava il giorno del compleanno di Ariel, la compagna del medaglione che lui le aveva regalato quel giorno, l’ultimo giorno trascorso insieme.
Subito Ariel si girò e si precipitò da Blake che la guardava confuso
“Che hai Ariel?”
“Cam.. ti ricordi?”
Fece lei mostrandogli i palmi delle mani aperti nei quali c’erano la piastrina ed il medaglione. Lui strizzò gli occhi e poi li riaprì, prese con dita tremanti le due collane e le esaminò. Ariel allora corse in salotto e recuperò il suo zainetto, dentro il quale c’era una cosa molto importante che lei portava sempre con se; tornò in camera e rovesciò il contenuto dello zaino sul letto, cercando convulsamente qualcosa che a quanto pareva doveva trovarsi proprio sul fondo di quest’ultimo.  Scavò convulsamente nello zaino e non appena trovò quel che stava cercando, Ariel lanciò un gridolino. Poi estrasse con cura da un quaderno rigido un rettangolo plastificato e lo girò verso Blake, era la loro foto. C’era una bambina sulle spalle di un bambino, entrambi sorridenti e felicissimi di essere amici. Ariel alzò gli occhi che brillavano per le lacrime e guardò Blake afferrare la foto ed ispezionarla con la fronte corrugata.
“Io.. io non so.. siamo noi?”
“Si! Siamo noi! Al mio settimo compleanno! Mi regalasti questa! Ricordi?”
Fece Ariel mostrandogli il suo medaglione e trattenendo a stento le lacrime. Blake la guardava confuso e scuoteva la testa.
“Ariel.. io sento di conoscerti ma ora.. non so cosa dirti.. non ricordo nulla.. solo quel tuo bacio..”
“Oh Cam.. sei tu! Sei tu! Sei lo stesso bambino che ha passato l’infanzia giocando con me! Tu devi ricordare!”
Fece Ariel, la sua supplica era disperata con le lacrime che oramai scendevano senza più nessun controllo. Blake ne raccolse una con il pollice, poi sollevò leggermente il mento di Ariel e guardandola negli occhi le disse:
“Ti prometto che farò di tutto.. anche l’impossibile per ricordarmi di te.. ora però non piangere, ti prego.. non voglio che tu pianga”
Ariel annuì e tirò su col naso, poi si alzò in piedi e guardò Blake. Nessuno dei due sapeva cosa dire, così lui le tese lamano e lei l’afferrò. Con uno strattone veloce Blake la tirò verso di se e lei cadde sul letto, finendo quasi distesa completamente su Blake. Lui corrugò la fronte preso da una fitta di dolore, ma poi sistemò il braccio dietro la testa di Ariel e lei si appoggiò sul suo petto, la testa nascosta nell’incavo del collo di Blake per nascondere le lacrime, mentre lui con la mano le accarezzava i capelli e respirava piano il suo profumo. Poi un rumore li scosse, dei passi avvicinarsi e Ariel con un movimento rapido si tirò su, poi guardò Blake e nei suoi occhi lesse il dispiacere
“Non voglio complicarti ancora la vita.. già Trent è molto schivo nei tuoi confronti.. non vorrei peggiorarti la vita quando me ne andrò da qui stasera, dimmi che capisci ti prego!”
Blake sorrise ed annuì, poi la porta si aprì e tutta la magia presente nella stanza si dissolse non appena Leyla entrò con due sandwich e fissò prima Ariel e poi Blake con uno sguardo interrogativo
“E allora? Cos’è state facendo le belle statuine? Vi ho portato il pranzo!”
Ariel e Blake sospirarono, poi Ariel prese il vassoio con i sandwich e le bottigliette d’acqua e lo appoggiò sulla scrivania,poi guardò Blake e lui si sedette meglio sul letto
“E ora che si fa?”
“Beh mangiamo! Non so tu ma io ho una certa fame!”
“Veramente vorrei sapere qualcosa di più sul tuo passato..”
“Oh Ariel ti prego.. ti prometto che ti dirò tutto non appena mi rimetterò!”
“Promesso?”
“Promesso!”
Il resto del pomeriggio trascorse lento. Blake si riappisolava ogni mezz’ora, vista la potenza del sedativo che aveva preso. Ariel intanto si limitava a guardarlo, a toccargli impercettibilmente i capelli con la punta delle dita e ad asciugare la fronte imperlata di sudore quando la sua pelle iniziava a luccicare. Una volta finito di accudire Blake, Ariel si diresse in cucina e si mise a preparare qualcosa per cena per lei, Blake e Trent, le dispiaceva che mangiasse sempre roba del fastfood. Non gli faceva bene, e visto che stava ospitando un ragazzo che non conosceva ma che detestava a prescindere solo per fare un favore a lei  le sembrava il minimo. Verso le sette e mezzo tornò Trent. Non appena sentì al serratura scattare, Ariel si precipitò in soggiorno e vide Trent. Lo salutò con slancio, come al solito e lui la sollevò leggermente da terra
“Hei Ari! Ciao com’è andata la tua giornata?”
Ariel decise di tralasciare le scoperte di quel giorno e il bacio con Blake, quindi scrollò le spalle e poi sorrise e disse
“Oh tutto normale! Una placida giornata passata in casa.. la tua invece?”
“Oh la solita routine in ufficio.. sai che non faccio il lavoro più interessante del mondo! Quello di la come sta?”
“Quello di la si chiama Ca.. emh Blake.. comunque meglio. Leyla gli ha fatto un’altra iniezione prima di andarsene, così fino a domani dovrebbe essere a posto.. io stavo preparando qualcosa per cena.. non voglio che tu cucini anche per noi due! Sarai stanco.. vai a toglierti questa cravatta e lasciami fare fra una decina di minuti dovrei aver finito”
“Sei consapevole del fatto che sembriamo una coppia sposata?”
Fece Trent ridendo di gusto e guardando teneramente Ariel negli occhi. Lei arrossì, ridacchiò ed abbassò lo sguardo, poi lo prese per le spalle e lo fece ruotare in direzione della camera da letto. Ovviamente Trent non oppose resistenza, poi lei lo spinse ridendo verso il corridoio e gli urlò dietro
“Va a cambiarti e sbrigati che se no si fredda tutto!”
“Si, tesoro!”
La prese in giro Trent mentre ridendo si avviava per il corridoio. Si era già tolto la cravatta e stava sbottonandosi la camicia, Ariel rimase un attimo imbambolata sui muscoli tesi della schiena di Trent, poi si scosse e andò in cucina, tirò fuori dal frigo una ciotola di verdure e si mise a sfilettare, poi prese una padella e buttò dentro il tutto, le verdure ripassate in padella erano semplici e facevano bene. Il piatto perfetto! Poi prese un’altra padella e ci mise dentro tre hamburger di macinato di manzo. Mentre cucinava canticchiava piano una canzone ed era talmente assorta nei suoi pensieri che non sentì Trent tornare in cucina, le arrivò dietro le spalle, le prese i capelli spostandoglieli di lato e avvicinò la testa al suo orecchio, a quel contatto Ariel sussultò, si girò e Trent la prese per la vita, lei si ritrovò schiacciata contro il bancone da cucina, con il corpo di Trent premuto addosso. Gli guardò le labbra. Erano così belle. Tutte lì da baciare. E se le avesse baciate? Cosa sarebbe successo? Il suo pensiero corse a Blake, nel letto, sudato, quel bacio così veloce.. poteva baciare Trent solo poche ore dopo aver baciato Blake? No.. non sarebbe stato corretto, quindi poggiò le mani sul petto di Trent e lo spinse leggermente indietro
“Trent aspetta”
“Che hai Ari? Mica avrai paura di me.. Sai che non devi”
“Non.. Non ho paura, mi serve solo tempo”
Trent la guardò con dolcezza e si scostò leggermente, poi disse
“Ok, se è tempo che vuoi, io non ti metterò fretta, sarò sempre qui e lo sai”
Lei per tutta risposta annuì, Trent si allontanò ancora e Ariel si rimise ai fornelli, prestando poca attenzione a quel che stava cucinando e sprofondando in pensieri ben lontani da hamburger e verdure. Con Trent si sentiva al sicuro, era al sicuro; avrebbe avuto tutto il tempo che voleva. Ma Blake era così diverso, così dolce un momento e così sfuggente quello dopo.. aveva dentro di lui la stessa spaccatura che si portava dentro Ariel: l’idea di appartenere a due mondi e non sentirsi realmente parte di nessuno dei due. Ariel era desiderosa di scoprire cosa potesse provare per Blake, o Cameron.. di dare un nome a quel sentimento strano e nuovo che le attanagliava il petto ogni qualvolta che lo vedeva. Solo che a differenza di Trent, lui non ci sarebbe stato per sempre.. aveva una scadenza: esattamente un mese.

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