Amnesia

di aasil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lies ***
Capitolo 3: *** Pain ***
Capitolo 4: *** Virus ***
Capitolo 5: *** Dream ***
Capitolo 6: *** Discovery ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


AMNESIA

 

 

PROLOGO

 

 

Là in fondo al prato

c'è un salice ombroso, un manto d'erba

che culla il riposo.

 

 

 

I rumori gli giungevano ovattati a causa dell'ingente numero di medicinali che gli avevano somministrato.
Sembrava che la sua pelle, un tempo bellissima, si fosse ridotta ad una massa informe di pongo;
corde di pelle nera gli trattenevano le mani, legandole ai suoi fianchi. Odiava sentirsi in trappola, e un sentimento di paura iniziò ad espandersi attraverso lo stomaco fino a risalire verso l'alto.

Verso il cuore.

Dopo numerosi tentativi, riuscì ad aprire gli occhi, il mondo gli apparve sfuocato, troppe luci confondevano la scena. Riuscì ad intravedere un soffitto candido, la coperta stropicciata che lo avvolgeva, anch'essa bianca, gli fece riaffiorare uno strano ricordo.
Schiuma bianca, quella che appare quando il mare si schianta contro gli scogli.
Non riusciva a capire da dove venisse quell'immagine, lui non aveva mai visto il mare.
Non aveva mai visto niente.
L'unica certezza che aveva era un nome: Annie.
Ma chi era Annie? Pur pensando a quel nome, non compariva alcuna immagine nella sua mente.
Sbatté più volte le palpebre cercando di fare chiarezza, qualcosa spingeva verso le pareti del suo cervello, qualcosa di ovvio, che tentava di venire a galla.
Si aggrappò a quel nome come fosse la sua ancora di salvezza, ma non fece altro che confonderlo ancora di più.
Vide passare qualcuno davanti alla piccola porta a vetri della sua stanza, si trovava in un'ospedale. Un bip periodico di cui non si era accorto scandiva i battiti del suo cuore, confermando che era vivo.
Una ragazza dai capelli rossi e gli occhi color cioccolato si precipitò da lui con le lacrime agli occhi e gli gettò le braccia al collo, provocando scosse di dolore in tutto il corpo del ragazzo del distretto 4.
«Ti sei svegliato finalmente!» Affermò lei scompigliandogli i capelli biondi.
Non riusciva a riconoscerla, per un attimo sperò che fosse colei che portava il nome che tanto lo tormentava, ma qualcosa gli diceva che non era così.
«Chi sei?» Riuscì a sussurrare con una voce che non riconobbe come sua.
«Non ti ricordi di me Finnick?» Si lamentò, piagnucolando.
Era quello il suo nome quindi? Quante cose non sapeva di sé stesso?
«No, mi dispiace.» Era rammaricato di vedere le lacrime vive in quegli occhi marroni, la ragazza gli era sembrata così speranzosa, ma non riusciva a trovare una soluzione per quella situazione spiacevole.
«Io sono Rosalie, tua moglie» Sorrise, aspettandosi senz'altro di essere riconosciuta da lui, ma quando il ragazzo non proferì parola e rimase semplicemente con gli occhi sbarrati lei continuò «I dottori avevano detto che avresti potuto perdere la memoria, ma ora ci sono io a prendermi cura di te.» Si sedé sul letto vicino a lui e prese ad accarezzargli i capelli dolcemente, gli fece piacere sentire un po' di calore umano sulla sua pelle.
Ripeté fra sé e sé le nuove informazioni che aveva ricevuto:

 

Mi chiamo Finnick.

Sono sposato.

Mia moglie si chiama Rosalie.

 

«Perchè sono legato?» Chiese, ansioso di poter staccare quelle dannate cinture che gli facevano pizzicare la pelle, impedendogli anche di mettersi a sedere.
«Le hanno messe perchè tu non ti staccassi i tubi durante il sonno. Se vuoi adesso posso togliertele.»
Finnick annuì riconoscente, notando dei piccoli tubicini trasparenti infilati sotto pelle.
Non sentire più la pressione delle cinghie ai polsi lo fece stare immediatamente meglio.
Guardò le proprie braccia, ricoperte di cicatrici e di brandelli di pelle non suoi, tutti ricuciti insieme a formare una trama mostruosa.
La mano sinistra martoriata, gli mancavano l'anulare e il mignolo.
«Cosa mi hanno fatto?» Chiese sconvolto, desideroso di avere risposte per tutte le domande che lo tormentavano.
Dopo un lungo sospiro Rosalie iniziò a raccontare.
«Eri in missione. Ti sei infiltrato fra i ribelli per scoprire i loro piani, tu volevi salvare Capitol City da una fine certa. Loro hanno capito chi eri, sono così crudeli Finnick, hanno lasciato che gli ibridi ti dilaniassero e poi ti hanno lanciato una bomba. Sei salvo per miracolo, i corpi degli ibridi ti hanno protetto.» Troppe informazione tutte insieme. Missione? Ribelli? Capitol City?

 

Mi chiamo Finnick.

Sono sposato.

Mia moglie si chiama Rosalie.

Ero in missione per Capitol City, i ribelli hanno tentato di uccidermi.

 

Un uomo col camice bianco si affacciò alla porta, aveva il viso scarno e capelli unticci appiccicati alla fronte.
«Ragazzo, ti sei svegliato finalmente. Abbiamo bisogno di te.»
L'unica cosa che Finnick voleva era dormire, dormire e non svegliarsi più. Uscire da quell'incubo in cui non capiva niente.
Forse per i troppi farmaci ricevuti, o per lo shock, il ragazzo del distretto 4 perse i sensi di nuovo.

 

 

***

 

 

Angolo Autrice

 

Eccomi qua, con questo prologo che mi è venuto in mente dal nulla oggi pomeriggio.
So che come capitolo è proprio cortino, perdonatemi, però non avevo molto tempo per scrivere e le idee mi si scontravano nella testa.
Personalmente ho odiato la morte di Finnick mi ero affezionata tanto a lui e il pensiero che la povera Annie è incinta mi faceva stare male ancora di più.
Così ho pensato che avrei potuto farlo sopravvivere in qualche modo.
Quindi la mia storia praticamente inizia dopo una lunga convalescenza di Finnick, in seguito all'incidente nella fogna.
Sono passati tre mesi da quando Capitol City è stata distrutta e i ribelli hanno vinto.
Non so se questa fan fiction continuerà, dipende anche da quante persone si interesseranno a questo capitolo. Please non lasciatemi senza recensioni, ditemi qualcosa, qualsiasi cosa, accetto tutto anche le critiche; anzi, quelle sono le più importanti perchè aiutano a migliorarsi e a non commettere gli stessi errori.

Detto questo vi saluto.

Much love xx

 

Lisa

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Capitolo 2
*** Lies ***


AMNESIA

 

 

Lies

 

 

 

 

 

Il profumo di mare, gli riempiva l'anima come se bastasse il salmastro a rinvigorire il suo corpo ormai portato allo stremo da eventi che non riusciva proprio a ricordare.
Il vento gli scompigliava i capelli biondi, dandogli una sensazione di freschezza sul viso.
Passeggiava, raccogliendo le conchiglie dalle varie forme e colori, ne annusò una aspirando l'odore di quel posto che gli risultava estremamente familiare.
Si sedé sulla sabbia umida, accarezzandola fra le mani, tastando ogni granello.
Il mare calmo lo invitava a tuffarsi, era un richiamo irresistibile; immerse i piedi nell'acqua fresca e avanzò senza pensarci.
Un'onda gli investì in pieno la faccia e per la prima volta da quando aveva memoria, rise.
Tornò alla realtà e vide un paio di mani pallide e affusolate che gli cambiavano una pezza bagnata sulla fronte.
Sentì una sensazione di delusione risalirgli dallo stomaco quando si rese conto di essere ancora all'ospedale.
«Devi smetterla di farmi prendere certi spaventi.» Disse dolcemente Rosalie.
«Mi dispiace.» Fu tutto quello che Finnick riuscì a dire. Ma non era vero, non gli dispiaceva per niente, le sensazioni che aveva provato sulla spiaggia l'avevano fatto sentire vivo.
«Perchè sorridi?» Chiese incuriosita la ragazza dai capelli rossi.
«Ho fatto un sogno.» Sussurrò con un filo di voce, lo sguardo ancora perso in quelle immagini idilliache
«Ti sei ricordato qualcosa?» L'espressione sul volto della ragazza divenne indecifrabile, quasi spaventata.
«Ero su una spiaggia. Vorrei vedere il mare, possiamo andarci?» Chiese speranzoso.

«Tu odi il mare Finnick, hai sempre avuto paura di nuotare.» La confusione nel suo cervello aumentava, come poteva ritrovare sé stesso se ogni cosa che gli dicevano gli risultava del tutto estranea?
Decise che era giunto il momento di alzarsi, non ce la faceva più a stare sdraiato.
Sentiva i muscoli delle gambe indolenziti e pesanti e improvvisamente si chiese da quanto tempo era che non usciva da quello scomodo letto d'ospedale.
«Quanto tempo è passato dal mio “incidente”?» Chiese a Rosalie che era visibilmente contraria che lui si scostasse le coperte.
«Sono passati tre mesi da quando i ribelli ti hanno attaccato. I dottori hanno fatto miracoli su di te, in condizioni normali avrebbero potuto fare anche di meglio. Ma i distretti hanno preso il sopravvento e ci hanno quasi sterminato, costringendoci a fuggire da Capitol City. Riattaccare le tue dita era troppo costoso Finnick.» Disse, notando che lo sguardo del ragazzo era corso alla mano mutilata.
«Se non siamo a Capitol City dove siamo?» Il ragazzo non sapeva nemmeno cosa fosse Capitol City, immaginò una città pacifica, in cui i bambini giocano felici fra i vicoli. I ribelli, uomini grossi e potenti che con la loro crudeltà spazzano via quel paradiso per impadronirsi delle sue ricchezze.
«Siamo fuggiti per mare, abbiamo attraversato l'oceano e siamo finiti in un continente sconosciuto. Qui non c'è niente, la poca tecnologia che siamo riusciti a portarci dietro funziona male, le risorse alimentari sono poche, stiamo morendo.» Sussurrò con gli occhi lucidi.

Ammise a sé stesso che la ragazza era veramente bellissima, i capelli raccolti in una crocchia bassa, da cui usciva scomposto qualche filamento ramato a incorniciarle il volto punteggiato da lentiggini.

Gli occhi grandi e marroni erano bassi, persi in chissà quale ricordo.
Gli dispiacque vederla triste, gli sembrava una brava persona; doveva pur averla sposata per qualche motivo.
Finnck scese dal letto reggendosi alla sponda e a Rosalie che lo guidò aiutandolo a fare qualche passo.

Una dottoressa bassa e dagli arruffati capelli biondi si affacciò alla porta con un sorriso a trentadue denti.
«Il ragazzo sta meglio?» Chiese rivolgendosi a Rosalie, invece che a lui.
«Si, credo che sia in grado di venire in riunione.» Asserì in tono complice.
«Vuoi che ti faccia portare una sedia a rotelle o cammini da solo?» Disse la donna dolcemente rivolgendosi finalmente a lui.
«Voglio provare a camminare da solo, grazie.» Gracchiò.

Rosalie lo strinse a sé affondando il viso nel suo collo e si allontanò solo per dargli un intenso bacio sulle labbra. La dottoressa si schiarì la voce contrariata ma dopo pochi secondi si lasciò andare ad una risata compiaciuta.
«Scendete al piano terra appena avete finito voi due.» Disse ancora ridacchiando.

Finnick sperava di provare qualche genere di emozione, e anche se non percepì alcun brivido gli piacque baciare Rosalie.

Si sentì in colpa per quel pensiero, gli sembrava completamente sbagliato baciare qualcuno che non conosceva, perchè, anche se lei gli aveva detto di essere sua moglie, lui non riusciva proprio né a ricordarlo né a sentirsi del tutto a suo agio vicino a lei.

La ragazza, soddisfatta, lo sorresse e lo trascinò fino all'ascensore, pigiò una combinazione di tasti, e iniziarono a scendere.
«Finalmente sento che stai tornando in te, mentre ti baciavo ho riconosciuto il ragazzo che amo.» Sussurrò dolcemente al suo orecchio.
«Abbiamo qualche foto del nostro matrimonio? Potrebbero aiutarmi a ricordare meglio..» Chiese lui incerto.
«Certo, dopo la riunione potrai vedere tutte le foto che vuoi.» Sorrise e lo prese a braccetto.

Un leggero bip li avvertì che le porte stavano per aprirsi.
Uscirono e si trovarono in una grande stanza completamente bianca, come tutto il resto.

Il pavimento di marmo lucido risplendeva delle piccole luci attaccate al muro che incorniciavano la stanza. Si sentì come se lo avessero privato dell'ossigeno, non gli piaceva quel posto e quella fantomatica “assemblea” di cui aveva sentito parlare non gli sembrava niente di buono.
Si lasciò guidare in silenzio da Rosalie, che si fermò davanti ad un'imponente porta di legno pesante, l'unico colore diverso dal bianco che era presente in tutto l'edificio.
La ragazza spinse la porta con facilità e lo fece entrare per primo, si trovò in un'ampia sala nel centro della quale era situato un tavolo rettangolare circondato da sedie. In fondo vi era una parete a vetri che mostrava l'interno di un'altra stanza.

Contò all'incirca una ventina di persone, Rosalie prese posto accanto ad un ragazzo dai capelli corvini e gli occhi marroni e fece cenno a Finnick di raggiungerla.
Gli sguardi di tutti erano puntati su di lui, una donna sulla sessantina aveva la pelle chiazzata d'arancione e innumerevoli piercing sul viso, rimase poi sconvolto nel notare gli occhi dell'uomo vicino a lei, le iridi cambiavano colore a seconda di cosa guardava. Un altro esibiva grandi orecchie da topo e una gran quantità di tatuaggi sul corpo mezzo nudo.
Decise che era meglio smettere di guardare quegli strani individui e si affrettò a raggiungere Rosalie. Il ragazzo dai capelli corvini si alzò in piedi appena lui li raggiunse e gli strinse la mano in modo educato.
«Ben tornato Finnick Odair. Un tempo eravamo molto amici, sono Tiberius Snow il mio nome ti dice niente?» Scandì le parole con voce mielosa.
Il ragazzo del distretto 4 scosse la testa, convinto di non aver mai sentito quel nome, in contrario però il cognome gli risultò familiare anche se non seppe spiegarsi il perchè.
«Senz'altro ti starai chiedendo cosa ci fai qui vero? Ebbene noi vogliamo darti tutte le risposte che stai cercando, anche se credo che le cose essenziali te le abbia già dette mia sorella. Vero Rosalie?»
La ragazza sorrise in modo complice al fratello e lui parve soddisfatto.
«Dobbiamo vendicarci Finnick, i ribelli hanno ucciso mio padre e tutte le nostre famiglie, hanno sterminato i nostri concittadini e reso schiavi i pochi superstiti rimasti. Non voglio vivere in questa terra inospitale, voglio tornare nella nostra patria, a casa. Per fare questo sto chiedendo il tuo aiuto, sei stato un grande combattente in passato.»
Gli occhi di tutti erano incollati a lui, doveva dare una risposta.
«Come posso aiutarvi nella condizione in cui mi trovo? Non mi ricordo niente di ciò che sono stato, di chi sono..» Rispose incerto.
«Di questo non dovrai preoccuparti, ti aiuteremo noi a ritrovare la memoria. Non ti stiamo chiedendo di scendere in battaglia, vogliamo che tu sia il nostro simbolo, per i ribelli sarà un duro colpo vederti ancora vivo.» Vide il fuoco negli occhi di Tiberius, tutta quella foga lo spaventò un po'.
«Se hai detto che siamo così in pochi, chi combatterà?» Iniziò a pulsargli la testa per lo sforzo di seguire i pensieri del giovane.
«Abbiamo già un piano per questo, ma prima di raccontartelo voglio mostrarti qualcosa.» Scambiò un intenso sguardo d'intesa con Rosalie che si alzò e accompagnò Finnick nella sala adiacente a quella in cui si teneva la riunione.
«Siediti qui.» Disse impaziente, indicandogli una sedia al centro della stanza.
Lui fece come gli era stato ordinato, e la rossa tornò indietro, nella sala della riunione.
Si sedé di nuovo sulla comoda poltrona accanto a quella del fratello e osservò attraverso il vetro l'espressione sul volto di Finnick.



 

***


 

 

Angolo autrice:

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ci tengo a ringraziare tutte le persone che hanno letto e recensito quello precedente, vi adoro! ♥
Credo che alcuni dei dubbi che potevano nascere dal prologo si siano sciolti, sto cercando di scrivere in modo chiaro e comprensibile ma di lasciare comunque un alone di mistero su alcune parti, in modo che la lettura dei prossimi capitoli sia più interessante.

Tutti i personaggi che non conoscete sono frutto della mia immaginazione, nel libro non esiste alcun Tiberius Snow e tanto meno sua sorella Rosalie Snow.
Voglio ricordare a che punto del libro siamo, sono passati tre mesi dalla caduta di Capitol City, Katniss sta male ed è depressa ma è comunque tornata a vivere nel distretto 12, è da poco tornato anche Peeta.
Annie invece è tornata nel distretto 4 ed è incinta di Finnick.
Se avete qualsiasi dubbio sulla storia chiedete pure :3
Adesso torno a studiare matematica (domani ho la verifica :S ) e spero di trovare le vostre recensioni, sono davvero importanti per me.

 

Much love ♥♥♥
-Lisa

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Capitolo 3
*** Pain ***


AMNESIA

 

 

Pain

 

 

 

 

 

 

 

La luce filtrò dalla tenda azzurro cielo appesa alla grande finestra, della camera da letto.
Sentì un gorgoglio all'altezza dello stomaco e corse in bagno, consapevole che anche quella mattina il suo corpo le ricordava di essere incinta.
Si guardò allo specchio, il gonfiore alla pancia ormai era ben visibile, quel bambino era tutto ciò che le rimaneva.

Sperò che avesse gli occhi di Finnck, gli mancavano così tanto quelle due pozze d'acqua cristallina.

Quello sguardo dolce era l'unica cosa capace di riportarla alla realtà quando si perdeva nel suo mondo, cosa che ormai accadeva sempre più spesso.
Molte volte si sdraiava sotto la palma davanti a casa sua, nella parte del villaggio dedicata ai vincitori, e sognava di vederlo tornare, anche se in fondo al suo cuore sapeva che non sarebbe mai potuto accadere.
Lo aveva saputo da Katniss, non erano servite parole. Lo sguardo della Ghiandaia Imitatrice si era abbassato quando aveva incontrato il suo e Annie aveva capito che qualcosa non andava. Era corsa fra la gente, cercando Finnick ma non era riuscita a trovarlo.

La ragazza del distretto 12 l'aveva abbracciata stringendola forte, mentre Annie aveva preso a singhiozzare, con il cuore a pezzi.
Lui era la sua famiglia, la sua ancora, la sua medicina, era l'unica persona capace di comprenderla e a cui riusciva ad affidare la sua fiducia.

Lo aveva scongiurato di non andarsene, di mandare avanti gli altri, non voleva perderlo; era successo già troppe volte che gli eventi li separassero.
Finnick Odair voleva salvare il mondo, e c'era riuscito a costo di sacrificare la propria vita.

A quei giorni nessuno dei due sapeva che sarebbero presto stati genitori, se ne fosse stato a conoscenza forse non sarebbe partito.
Osservò le proprie lacrime scendere copiose dagli occhi azzurro chiaro, le sembrava che si fossero sbiaditi nel tempo, proprio come la sua pelle che non era più color sabbia come quella degli abitanti del suo distretto, bensì di un bianco giallastro.

Il suo sole personale si era spento, non avrebbe più potuto sentirsi in pace col mondo.
Aveva pensato al suicidio, ma l'idea di uccidere anche il bambino che cresceva dentro di lei era insopportabile, aveva scelto di combattere per lui.
Immaginò di veder entrare Finnick dalla porta, in mano un cesto di frutti di mare appena pescati,

I capelli biondi ancora umidi e appiccicati alla fronte e gli occhi, più luminosi che mai. Le sue mani ad accarezzare dolcemente la pancia gonfia e il suo respiro dolce sul collo, a schiarire i suoi pensieri a volte turbati.
Si sostenne al lavandino per non crollare di nuovo come aveva già fatto molte volte e si decise a scendere a mangiare qualcosa.
Sentì suonare il campanello, come ogni giorno alla stessa ora era arrivato Marcus, suo zio. L'unica persona che avesse un minimo di legame con lei.
Gli portò un po' di pesce fresco e qualche notizia dal villaggio.
«Tutti si chiedono che fine hai fatto Annie, ti va di uscire un po' di casa?» Chiese sedendosi al tavolo di legno in cucina.

«Per alimentare i pettegolezzi sulla vedova pazza e incinta?» Guardò le proprie mani congiunte sul grembo, come una protezione.
«Nessuno pensa questo di te.. Sai anche tu che Finnick non approverebbe questo tuo comportamento, ti spronerebbe a uscire. A vivere.»
Sapeva che era vero, aveva sempre cercato di mantenerla in vita, a partire dai suoi Hunger Games. Si era fatto in quattro per convincere gli sponsor a farle avere tutto quello di cui aveva bisogno.
Rammentò la piccola conchiglia che le aveva mandato col paracadute argentato, il simbolo del loro distretto, per ricordarle chi era in un momento in cui non riusciva a trovare sé stessa. La teneva ancora con sé, appesa al collo come fosse un talismano capace di proteggerla dal mondo.
«Non sono più capace di parlare con le persone.» Sussurrò lei dondolandosi sulla sedia.
«Ricordi la tua amica Susie? Mi ha chiesto se stasera hai voglia di andarla a trovare.»
All'inizio quel nome non le disse niente ma poi, lentamente apparve ai suoi occhi l'immagine della ragazza dai capelli castani e le lentiggini sul naso, che era stata per tanti anni la sua migliore amica.
Non si vedevano dal funerale di Finnick.
Ai tempi della scuola passavano molto tempo insieme, si rincorrevano sulla spiaggia e facevano grandi nuotate. Avevano condiviso i segreti dell'adolescenza e i dolori dei primi amori, ma il loro rapporto cambiò dopo il ritorno di Annie dagli Hunger Games.
Tutta una serie di eventi, oltre al trauma dell'arena, si erano abbattuti sulla giovane vincitrice. Suo padre era morto durante una nottata di pesca poco prima del suo ritorno a casa, e sua madre già malata da tempo si era spenta un paio di mesi dopo.
L'unica persona al suo fianco era Finnick, e lei si era adagiata in quella condizione, ritrovando lentamente la felicità nelle piccole cose quotidiane. L'amicizia con Susie era quindi diminuita anche se avevano continuato a vedersi per le feste di paese o quando le capitava di andare in centro per qualche compera. Tutto questo fino alla Settantacinquesima edizione dei giochi però.
«Ci devo pensare.» Ammise qualche minuto dopo.
«Non sei obbligata, ma penso che ti farebbe bene. Se non vuoi farlo per te fallo per il tuo bambino, dovrai essere forte quando nascerà.» Annie si decise a guardare suo zio negli occhi, un moto di gratitudine si espandeva dal suo cuore.
«Grazie zio.» Sussurrò, all'anziano signore dai capelli bianchi che la osservava con i suoi dolci occhi blu.
«Per cosa?» Chiese stupito.
«Per non avermi abbandonato.» Il vecchio sorrise, e le accarezzò la spalla in modo affettuoso prima di andarsene, lasciandola immersa nei suoi pensieri.

 

 

***

 

Vide entrare la dottoressa bionda, poco dopo che Rosalie fu uscita. Gli iniettò qualcosa nel braccio, prima che lui potesse opporre resistenza e immediatamente Finnick sentì uno strano torpore spandersi nei muscoli. I suoi arti si afflosciarono sulla sedia, e rimase completamente immobilizzato. Tentò in ogni modo di muoversi, di staccarsi gli aghi che la dottoressa gli stava inserendo nelle mani, sentiva gocce di sudore freddo scendergli lungo la schiena e una sensazione di paura si fece spazio nel suo petto.
Poteva muovere solo gli occhi, guardò verso il vetro nella speranza che Rosalie facesse qualcosa, che lo aiutasse, ma non riuscì a vedere nulla.
Il volto di una ragazza apparve sullo schermo davanti a lui, una parte della sua mente riconobbe quel viso anche se non riuscì a formularne il nome. Due occhi grigi lo fissavano, una treccia solitaria di capelli castani sulle spalle. Una prima scossa atroce attraversò il suo corpo tramite i piccoli elettrodi applicati alle mani.
La ragazza sparì e fu sostituita dal volto di un giovane, i capelli scuri gli incorniciavano il viso e aveva un paio di occhi molto simili a quelli della ragazza.
Una terza immagine fu quella di un altro ragazzo, dai capelli biondi e gli occhi azzurri.
Le tre foto vennero trasmesse ad intermittenza mentre le luci nella stanza si abbassavano. Ogni volta che l'immagine cambiava una scossa gli percorreva tutto il corpo fino alle punte dei capelli, se avesse potuto usare la voce avrebbe urlato di dolore.
Si sentiva come un cane in trappola, tutto il suo corpo tentava invano di reagire.

Dopo alcuni minuti, alle immagini dei tre ragazzi si intervallarono quelle di un essere mostruoso. Non era un animale esistente, sembrava una grande lucertola grottescamente modificata. La sequenza delle immagini sempre più veloce costringeva Finnick a guardare senza riuscire a staccare gli occhi dalle fotografie.
All'improvviso lo schermo si spense per pochi secondi lasciandolo senza fiato. Sperò che quella tortura fosse finita, sapeva chi erano quelle persone, ma mancava un collegamento nel suo cervello che gli permettesse di capire il perchè riusciva a riconoscerle.
Poco dopo la tortura ricominciò e un'altra serie delle stesse immagini, accompagnata dalle scariche elettriche, ricomparve davanti a lui.
Finnick notò che il viso più ricorrente era quello della ragazza con la treccia e si accorse che con il passare del tempo la foto del mostro era sempre più frequente.
Rimase incollato alla sedia per infinite ore fino a quando si svegliò disteso nel suo letto d'ospedale.
Sentiva il sangue pulsare forte nella sua testa, mentre dolori allucinanti gli percorrevano il corpo.
Quando aprì gli occhi non trovò la bella Rosalie a vegliare su di lui, bensì il fratello Tiberius.
«Come ti senti Finnick?» Chiese con voce mielosa.
Il ragazzo non rispose si limitò ad un grugnito indignato.
«Cosa ricordi?» Continuò con la stessa voce fintamente dolce.
Pensò a quelle parole e si concentrò, cercando di scavare nella sua memoria. Vide scorrere di nuovo davanti a sé i volti di tre persone, i mostri, il dolore.
«Devo andarmene da qui.» Sussurrò più a sé stesso che a Tiberius.
«Perchè?» Chiese lui.
«Devo uccidere Katniss Everdeen.»





Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Mi sono impegnata a scrivere abbastanza velocemente, nella speranza che qualcuno di voi avesse voglia di leggere questo capitolo!
Sinceramente non mi piace molto come mi è uscito, preferivo i precedenti...
Comunque, ho inserito una parte iniziale su Annie, perchè dovete vedere in parallelo le storie dei due protagonisti.
Spero che vi piaccia il mio lavoro e che mi lascerete qualche recensione, sono molto importanti per me.
Se avete bisogno di qualche chiarimenti contattatemi su twitter, mi chiamo @herondaleslove.
Infine voglio ringraziare le nove persone che hanno recensito il capitolo precedente, siete tutti fantastici **

 

Much love.

-Lisa

 

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Capitolo 4
*** Virus ***


AMNESIA

Virus

 

A SugarCuber, per avermi ridato l'ispirazione.
Grazie.

 

 

 

 

 

 

Gli permisero di sedere insieme agli altri per assistere all'assemblea.
Finalmente era riuscito a rimettere insieme alcuni pezzi della sua vita, si sentì soddisfatto di essere certo sul da farsi. Odiava non essere padrone delle proprie azioni come lo era stato in quei giorni in cui aveva perso sé stesso.
Riportare a galla quei ricordi tanto nascosti era stato estremamente doloroso, se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire la scarica elettrica attraversargli il corpo, ma ne era valsa la pena.

I ribelli, che si definivano protettori della libertà, lo avevano lasciato morire nel modo peggiore.
Si trovava in fondo alla fila, gli ibridi sempre più vicini alle sue calcagna, sentiva l'odore dei loro corpi putridi invadere l'aria. Katniss era riuscita a trovare un'apertura per uscire in superficie e con lei era riuscito a mettersi in salvo anche Peeta, dopo di lui Gale. Si era aspettato che l'aiutasse, che gli tendesse una mano e invece aveva solamente detto alla ragazza che non c'era più niente da fare. A quel punto la ghiandaia imitatrice, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo gli aveva lanciato la bomba che lo aveva quasi ucciso.
Desiderava vendetta.
Soprattutto dopo aver saputo quello che avevano fatto ai poveri abitanti di Capitol City. Gli era stato raccontato da Rosalie che centinaia di bambini innocenti erano stati uccisi, famiglie intere trucidate nelle loro abitazioni e i superstiti erano divenuti schiavi dei ribelli.
Dopo molto tempo in cui non aveva potuto muovere un dito Finnick Odair voleva fare qualcosa, per la sua gente.
Sarebbe partito anche subito se glielo avessero permesso. Avrebbe cercato la Ragazza di Fuoco, l'anima ribelle della sanguinosa rivolta, e l'avrebbe uccisa con le sue stesse mani.
Riconsegnando ai fratelli Snow il potere che gli spettava.

L'unico interrogativo che gli era rimasto in mente era quel nome, che continuava apparirgli in sogno senza un volto: Annie.
Una notte però era addirittura riuscito a vederne gli occhi, due splendenti pietre preziose color verde mare, ravvivate da pagliuzze dorate. Lo avevano colpito nel profondo ma non aveva ancora avuto il coraggio di chiedere spiegazione a Rosalie, aveva paura di ferirla parlandogli degli occhi di un'altra donna.
«Bene, vedo che siamo arrivati tutti. E' arrivato il momento di agire.» Annunciò a gran voce Tiberius.
«Sebastian vai a prendere il BVS, sbrigati!» Un uomo dalla pelle leopardata si alzò velocemente al suono delle parole squillanti di Rosalie e sparì dietro una porta scorrevole.
Finnick si chiese che cosa fosse l'oggetto che aveva quel nome, ma aveva la sensazione che non portasse niente di buono.
Pochi minuti dopo l'uomo tornò dentro la sala e appoggiò una valigetta d'acciaio davanti a Tiberius che fece immediatamente scattare la serratura e l'aprì.
«Miei cari signori, questa è la chiave per riappropriarci di Panem e di Capitol City.» Mostrò al pubblico una boccetta contenente un liquido verdognolo.
Con un osservazione più approfondita però Finnick poté notare che la sostanza si muoveva, quasi fosse viva.
«So che vi state chiedendo cosa sia questo ben di Dio, ebbene voglio che sia la sua creatrice a spiegarvelo, è senz'altro più competente di me.» Sussurrò con un ghigno che non aveva niente di gentile.
La donna seduta a fianco dell'uomo dalla pelle leopardata si alzò e si posizionò vicino a Tiberius. Aveva i capelli raccolti profonde rughe sul viso. Sembrava molto vecchia, e spessi occhiali da vista gli donavano l'aria da intellettuale che senz'altro gli spettava.
«La sostanza che avete davanti si chiama BVS dall'unione di tre dei più pericolosi batteri esistenti sulla faccia della terra: il Bacillus anthracis, il Vibrio Cholerae e la Salmonella.
Sono tutte e tre mortali singolarmente e devo ammettere che non è stato semplice unirli, si divoravano l'uno con l'altro. Ho velocizzato il tempo di incubazione, venendo a contatto con il virus si hanno tre minuti prima che i sintomi si facciano vivi e sette minuti prima della morte.» Pronunciò l'ultima parola con fare disinteressato.
«Ovviamente, intimeremo ai ribelli di ritirarsi. Il BVS sarà l'ultima cosa che useremo per riappropriarci di Capitol City.» Spiegò Tiberius, con voce melensa.
Finnick voleva vendicarsi di Katniss Everdeen e dei suoi amici, ma non aveva pensato alle conseguenze per tutta la popolazione. Sapeva che era inevitabile un grande spargimento di sangue, ma sentiva che era sbagliato prenderli alle spalle e ucciderli in sette minuti con un virus.
«In che modo avverrà il contagio?» Chiese una ragazza dai capelli viola e gli occhi dorati.
«Lo immetteremo nell'impianto di areazione di Capitol City e lo sganceremo nei distretti con delle bombe.» La voce di Rosalie era troppo sicura e determinata.
«Perchè infettare anche i distretti? Se uccidiamo tutti, a cosa servirà prendere il potere? Chi comanderemo?» Domandò l'uomo dalla pelle leopardata.
«Nei distretti sganceremo una forma meno pericolosa. Le persone infettate avranno due giorni prima che il virus attacchi gli organi vitali.» Continuò Tiberius.
«Continuo a non capire.. Anche se gli diamo due giorni, a cosa gli serviranno? Moriranno comunque.»Finalmente Finnick si decise ad aprire bocca e a prendere parte all'assemblea.
«Caro, noi abbiamo gli antidoti. Appena gli abitanti si sottometteranno e ci giureranno eterna fedeltà li cureremo.» Rispose Rosalie, che non avendo gradito la sua domanda gli lanciò un'occhiata stizzita.
Finnick non era molto convinto, sentiva che qualcosa sarebbe andato storto. Se doveva combattere voleva essere in prima linea, andare in battaglia, non aspettare che le persone si sottomettessero perchè infettate da un virus letale.
«A questo punto entri in gioco tu, ragazzo.» Disse Tiberius indicandolo.
«Io? Non so niente di virus e batteri..» L'incertezza era dipinta sul suo volto.
«Non essere sciocco, ho persone molto competenti in quell'ambito non ho bisogno di te per quello. Tu sarai il nostro simbolo, rappresenterai le antiche generazioni di Capitol City e chiederai ai ribelli di arrendersi.» A Finnick dava fastidio il tono di superiorità nella voce del giovane Snow, cosa pretendevano da lui che non sapeva quasi niente di sé stesso?
«Perchè proprio io? Come potrei riuscire a convincerli ad arrendersi?» Lo sguardo di Rosalie stavolta era del tutto spazientito, lo trafisse con gli occhi.
«Non ti devi preoccupare di questo. Fidati di noi e basta.» Esclamò quasi urlando.
Sempre più confuso si costrinse a tacere, si sentiva come un burattino nelle mani di un burattinaio troppo esperto.

 

 

 

 

***


 

 

Alla fine non era andata a trovare Susie, aveva impiegato tutta la buona volontà che aveva trovato dentro sé stessa per alzarsi ma non era stata abbastanza.
Stava seduta sul pavimento freddo, ai piedi del letto. Una foto di Finnick stretta sul cuore e lacrime silenziose sgorgavano dai suoi occhi, persi in un altro tempo.
Si era ripromessa che ogni giorno avrebbe revocato un ricordo del suo amato per non dimenticarne mai il suono della voce, o i riflessi sui capelli biondi bagnati dall'acqua salata.
Ogni dettaglio di lui era immensamente importante.
Ripensò al dolore che leggeva nel suo sguardo ogni anno alla Mietitura, le parole di consolazione che le aveva dedicato, pur non conoscendola, quando era stata chiamata come tributo.
Le infinite ore sul treno diretto a Capitol City, in cui le aveva spiegato i trucchi per rimanere in vita, assicurandole che avrebbe fatto tutto il possibile per conquistarle un gran numero di sponsor.
La prima volta che le aveva fatto andare il cuore in gola, soffocandola quasi: era la sera prima del suo ingresso nell'arena, Finnick era passato a trovarla per augurarle buona fortuna e quando l'aveva trovata in lacrime si era fermato con lei, cullandola fra le braccia tutta la notte. Al suo risveglio lo aveva trovato ancora lì, beatamente addormentato con i capelli scompigliati. Aveva impresso quell'immagine nella sua mente, sicura di non aver mai visto niente di più bello al mondo.
Invidiò le donne che lo avevano avuto, avrebbe dato qualsiasi cosa per rimanere lì ad osservarlo per sempre. Ma troppo presto Monique Beauty aveva bussato alla porta, riportandoli entrambi alla realtà. Odiava vedere il rapporto che c'era tra lei e Finnick, solo al suo ritorno come vincitrice aveva scoperto tutti i sacrifici che lui aveva dovuto fare per mantenerla in vita, non facendole mai mancare il necessario.
Le aveva dato un motivo per vivere.
Qualcuno da cui tornare, qualcuno per cui lottare.

 

 

 

 

 

Angolo autrice:
Voglio parlarvi a cuore aperto, amo questa storia perchè almeno qui Finnick è ancora vivo, ma con il tempo che scarseggia e la marea di impegni che ho per me è molto difficile portarla avanti.
Ho anche paura che non ci sia nessuno di davvero interessato a quello che scrivo, se sbaglio qualcosa ditemelo per favore.
Secondo voi devo continuare? Aiutatemi please, ditemi cosa ne pensate.

Much love

-Lisa
 

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Capitolo 5
*** Dream ***


AMNESIA

 

 

Dream

 

 

 

 

 

 

Il mare brillava del luccichio del tramonto.

Si avvicinò lentamente al bagnasciuga, desideroso di toccare l'acqua cristallina; si immerse fino alle ginocchia e chiuse gli occhi. Inspirò a pieni polmoni, adorava quel profumo di salmastro.
Voleva rimanere in quel luogo, a cui era certo di appartenere, non voleva essere il simbolo di nessuno. Lì si sentiva a casa, felice.
Sentì un guizzo e degli schizzi, spalancò gli occhi ma non vide niente, solo qualche increspatura sul pelo dell'acqua. Si concentrò meglio, e poté notare una figura che nuotava in lontananza. Si avvicinò fino ad avere l'acqua all'altezza della vita.
All'improvviso la creatura saltò fuori e si mostrò in tutto il suo splendore. Aveva una coda di pesce che brillava dei colori del crepuscolo, i capelli lunghi e scuri erano attaccati al corpo snello, e quegli occhi così azzurri lo folgorarono.
Rimase a bocca aperta mentre rifletteva su ciò che stava vedendo, quella che aveva davanti non solo era una sirena, ma era anche la ragazza più bella che avesse mai visto.
Istintivamente si avvicinò a lei, cercando di raggiungerla, sentiva che erano suoi gli occhi che lo tormentavano giorno e notte.
«Finalmente sei tornato.» Disse lei, quando l'ebbe raggiunta. La voce cristallina come l'elemento che li avvolgeva, era musica per le sue orecchie.
Da vicino era ancora più bella, gocce d'acqua le scorrevano sul viso e sui capelli, risplendendo come pietre preziose.
Riconobbe quelle iridi del colore del mare e un nome si affacciò alla sua mente.
«Annie..» Sussurrò.
Quel nome era l'unica cosa che aveva portato con sé dalla sua vita precedente, tutto il resto lo aveva appreso dagli altri, era la sua unica certezza.
La bellissima figura davanti a lui scoppiò in lacrime. Finnick ne rimase sconvolto, non riusciva a vederla triste, doveva trovare un modo per calmarla, per farle sapere che andava tutto bene. La prese fra le braccia e appoggiò il mento sulla sua testa, cullandola.
I loro corpi aderirono perfettamente, come fossero due metà separate per troppo tempo, che finalmente si ricongiungevano.
«Perchè piangi?» Chiese respirando il profumo dei suoi capelli. La pelle di lei, sotto le sue mani era liscia come la seta; la sentì rabbrividire quando le accarezzò la schiena.
«Perchè so che presto andrai via e mi lascerai di nuovo sola.» La voce era rotta dai singhiozzi, mentre si avvinghiava sempre più stretta a lui.
Si scostò dalla ragazza quel tanto che bastava per guardarla negli occhi.
«Io non ti lascerò mai.» Suonava come una promessa, ma lui sarebbe stato in grado di mantenerla?
Lei allungò una mano e gli poggiò morbidi polpastrelli sulla guancia, accarezzò la barba corta e ispida che gli era spuntata sul viso, percorrendo i suoi lineamenti dolci.
«Annie..» Disse di nuovo lui, sull'orlo della commozione. Gli piaceva ripetere quel nome, gli dava un senso di sicurezza che non aveva mai provato.
Lei affondò la testa nel suo petto, reggendosi alle spalle forti di lui, poi formò degli schizzi con la bellissima coda da sirena che occupava metà del suo corpo.
Gocce fresche e salate ricaddero sui due ragazzi ancora abbracciati.
«Continua a ripetere il mio nome per favore, Finnick.» La voce attutita dal corpo di lui.
«Annie.. Annie.. Dolce Annie..» Sussurrava al suo orecchio. Si sentì completo e all'apice della felicità. Non sapeva perchè quella ragazza riuscisse a fargli provare sensazioni così intense, ma non gli importava. Sentiva che era la cosa giusta, nel profondo del suo cuore qualcosa gli diceva che era lì che doveva essere.

Al mare con la sua sirena.
«Cosa stai dicendo Finnick?» Una voce diversa, troppo squillante, ruppe l'idillio.
Il ragazzo si svegliò di soprassalto, vittima dell'ennesimo sogno, questa volta oltre agli occhi era riuscito a vederla tutta, a parlarci, ad abbracciarla.
Il panico prese posto sul suo viso, quando si accorse di aver vissuto solo una bellissima illusione e che la ragazza che ora aveva davanti aveva ben poco a che fare con la sirena dagli occhi azzurri.
Aveva pronunciato il suo nome a voce alta? Probabilmente si a giudicare dall'espressione adirata sul volto di Rosalie. Avevano dormito nello stesso letto, lei lo aveva addirittura abbracciato mentre dormiva ma continuava a percepirla come un'estranea.
«Credo che tu debba sapere qualcosa su Annie.» Continuò con voce troppo alta e stizzita.
La ragazza lo fissava con gli intensi occhi scuri carichi di risentimento, come poteva conoscere la sua sirena?
«Annie era tua sorella, è stata uccisa dai ribelli durante la rivoluzione.» Un ghigno apparve sul bel volto di Rosalie.
Il mondo si sbriciolò sotto i suoi piedi, mentre tentava di realizzare quella verità così inconcepibile.
Non poteva essere sua sorella, quello che aveva provato in sua compagnia non aveva niente a che fare con l'amore fraterno era qualcosa di molto più intenso e decisamente meno casto.
Inorridì al pensiero di aver fantasticato in quel modo su una persona che condivideva il suo stesso sangue. Com'era possibile che non lo avesse percepito? Non gli somigliava per niente, anche gli occhi erano di una tonalità di azzurro diversa.
Un peso gli si depositò sul cuore quando realizzò che quello non era il problema principale.

Annie era morta.
Non avrebbe mai saputo per certo se era sua sorella o no, non avrebbe mai potuto toccare la sua pelle se non in un sogno.
I ribelli gli avevano portato via tutto, la sua memoria, la sua casa e perfino sua sorella.
«Quando iniziamo le riprese per l'annuncio?» Chiese a Rosalie, che rilassò visibilmente i muscoli a quella domanda.
«Se ti senti pronto, possiamo iniziare anche questo pomeriggio..» Si avvicinò a lui e gli schioccò un sonoro bacio a stampo sulle labbra.
«Continuo a sognare il mare..» Disse lui sottovoce.
«E' ricorrente sognare le proprie paure. Fidati di me Finnick, non c'è niente che tu odi più del mare.» La sua fronte era di nuovo corrugata.
«Si, c'è una cosa che io odio più del mare. I ribelli.» Pronunciò l'ultima parola con astio.
«Bene allora andiamo, voglio mostrarti un po' di cose.» Scostò la coperta impreziosita da motivi dorati e lo prese per mano, portandolo vicino alla grande finestra della lussuosa camera in cui avevano dormito.
Per la prima volta vide l'esterno del palazzo in cui alloggiava e in cui si era svegliato una settimana prima.
Il cielo era scuro e sembrava in arrivo una tempesta, doveva essere mattina inoltrata, ma non vide nessuno nella zona.
Notò varie tende e un accampamento più grande a breve distanza da dove si trovavano loro.
«I superstiti abitano in quel tendone, la nostra gente non è abituata a questo tipo di vita. Il cibo scarseggia, non riusciamo a fare più di cinque pasti al giorno, l'acqua calda va usata a turno e l'elettricità non sempre funziona. Non ci sono negozi di vestiti e stilisti a creare nuove tendenze. Non vengono più organizzate feste e balli. Voglio tornare alla normalità Finnick.» Si lamentò la ragazza.
«Quante persone sono rimaste?» Chiese lui.
«Sono scappate circa un migliaio di persone. Se penso che eravamo infinitamente di più mi viene da piangere, questo mondo è così ingiusto.» Sussurrò dispiaciuta.
Scesero le scale per la colazione, si trovarono davanti una grande tavolata imbandita.
«Non avevi detto che ci manca il cibo?» Finnick era sconcertato non aveva mai visto così tanto cibo tutto insieme, o forse si. Avere incertezze anche sulle cose più piccole lo logorava.
«Questo è niente confronto a quello che avevamo a Capitol City.» La risposta gli giunse da Tiberius che sedeva come capotavola.
Si sedé alla sua destra e divorò tutto ciò che gli passava sotto mano; erano giorni che non mangiava decentemente, solo pasti d'ospedale.
«Abbiamo sistemato la scenografia per il tuo annuncio, non abbiamo più stilisti che possano truccarti e prepararti, quindi dovremo arrangiarci come possiamo.» Disse il giovane Snow.
«Non ha bisogno di essere truccato, è già perfetto così. Basterà un po' di colore alle guance, è un po' troppo bianco.» Constatò Rosalie, parlando di lui come se fosse un semplice oggetto d'arredamento.
«Questo è il tuo copione, imparalo a memoria per oggi pomeriggio.» Tiberius gli allungò un foglio, scritto a mano in grafia elegante.
«Come trasmetterete il mio discorso?» Chiese Finnick.
«Per fortuna si è salvato uno dei nostri migliori tecnici di telecomunicazione. Ci penserà lui a farlo arrivare nelle televisioni di tutto Panem»
Alla fine della colazione, Finnick si decise a leggere quello che gli era stato consegnato..

 

Sono Finnick Odair.
Mi trovo qui di fronte a tutto Panem come esempio, per mostrarvi che sono vivo, che le vostre bombe non sono state in grado di uccidermi.
Dovete abbandonare Capitol City e rimettervi sotto al potere dei legittimi eredi di quell'autorità che avete rubato.
Voi che difendete la libertà, siete stati i primi ad aver aggredito quel diritto fondamentale e dovuto a ciascun individuo. Avete ucciso i nostri bambini e reso schiavi i nostri concittadini, che per molti anni avevano guidato in modo pacifico e giusto tutto il paese.
Mi rivolgo a te Ragazza di Fuoco, a te che hai acceso la scintilla che ha distrutto migliaia di persone: non sei riuscita ad uccidermi come non sei riuscita ad uccidere i più tenaci di noi.
Stiamo per tornare a riprenderci ciò che è nostro, come difensori della pace vi stiamo dando la possibilità di arrendervi ed evitare un altro spargimento di sangue.
Avete tre giorni per comunicarci la vostra decisione.

 

 


 



Angolo Autrice:

 

Lo so, lo so. Apparentemente c'è una grande confusione, non so se qualcuno di voi ha già capito che piega sta per prendere la storia e quali siano i veri piani dei fratelli Snow.
In ogni caso tutto verrà spiegato nei prossimi capitoli. La storia è tutta nella mia testa anche se mano a mano che scrivo ho sempre nuove idee, quando ho iniziato a scrivere questa fan fiction non avevo minimamente pensato di arrivare a questo punto.
Mi scuso, per l'ultima parte che lascia un po' a desiderare, ma non sono molto brava in questo genere di discorsi..
Ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, i vostri consigli mi sono stati davvero utili, e anche tutti i lettori silenziosi.

Much love

 

-Lisa

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Capitolo 6
*** Discovery ***


AMNESIA

 

 

Discovery

 

 

 

 

 

 

 

 

Annie sentiva che qualcosa non andava, si tastò la pancia cercando di capire se quel malessere era dovuto alla sua gravidanza di ormai tre mesi, ma non si accorse di niente di strano.
Si sentiva in allarme, come quando sta per succedere una catastrofe.
Era sempre stata capace di capire in anticipo quando sarebbe successo qualcosa di brutto, le avevano detto che era la sua pazzia che faceva viaggiare la sua mente su un'altra frequenza.
Attraversò il salotto, lanciò uno sguardo alla cucina e le cadde l'occhio sui barattolini delle spezie appoggiati sul ripiano. Ne mancava uno, il pepe, lo aveva rotto Finnick poco prima che venissero richiamati per l'edizione della memoria. Non aveva avuto il coraggio di ricomprarlo, aveva lasciato quello spazio per lui, per ricordarlo in ogni momento della sua vita. Si affacciò alla finestra scostando la tenda color sabbia. Capì che tutto ciò che sentiva non era frutto della sua fantasia quando vide un'ingente gruppo di persone ammassate nel suo giardino.
I loro volti erano strani, si guardavano l'un l'altro indecisi sul da farsi. Riconobbe Gale, l'amico di Katniss Everdeen.
Che ci faceva lì? Avevano parlato poche volte, alla mensa del Distretto tredici, non potevano di certo definirsi amici.
Inoltre Annie aveva sentito dire, che lui e la ragazza di fuoco non erano più in buoni rapporti, perchè proprio lui che l'aveva sempre aiutata a sostenere la sua famiglia, aveva fatto l'errore di uccidere la piccola e dolce Primrose.
Lei e Katniss erano molto più simili di quanto pensassero.
Entrambe erano riuscite a vincere i giochi, non senza conseguenze, e avevano perso persone per loro immensamente importanti.
Provò solidarietà verso la ghiandaia imitatrice, era sempre stata gentile con lei, non trattandola da pazza come facevano tutti gli altri, in più voleva bene a Finnick.
Il suo amato ragazzo dagli occhi del colore del mare.
Suonarono alla porta, era indecisa se far finta di non essere a casa o aprire.
Era troppo tempo che non vedeva così tanta gente tutta insieme, non se la sentiva di far entrare quelle persone, non promettevano niente di buono.
Bussarono di nuovo, più forte.
La ragazza intimorita si avvicinò e aprì.
Davanti a lei c'era Plutarch Heavensbee, con i capelli scompigliati e gli occhi cerchiati di nero, segno che non aveva dormito.
«Annie, non aver paura, possiamo entrare?» La ragazza non fiatò ma si mise da parte e fece un cenno affermativo.
Varcarono la soglia solo Plutarch e Gale, che si accomodarono in salotto.
«Hai acceso la televisione di recente Annie?» Parlava con voce lenta scandendo bene le parole, convinto come tutti gli altri che lei fosse del tutto pazza e incapace di capire.
Perchè voleva sapere se aveva guardato la TV? Cosa poteva essere successo di così importante in un momento di pace come quello?
«No.» Si limitò a dire la ragazza, diffidente nei confronti dei due uomini.
«Allora dobbiamo parlare di un po' di cose, è meglio che ti sieda.» Continuò Gale senza guardarla negli occhi. Sembrava il fantasma di sé stesso, non era più il giovane ribelle che aveva conosciuto al Distretto tredici.
Annie fece come le era stato detto e si sedé sulla poltrona di velluto rosato, su cui era solita leggere la sera dopo cena.
«So che può sembrare assurdo, ma Finnick è ancora vivo.» Sussurrò Plutarch osservandola attentamente.
Le parole non ebbero un collegamento immediato nel suo cervello, all'iniziò pensò che la stessero prendendo in giro, come le persone che la deridevano chiamandola pazza.
Poi una piccola speranza germogliò all'altezza del suo stomaco e tentò di espandersi in tutto il suo corpo. La ragazza la estirpò immediatamente, sapeva che non era possibile una cosa del genere, si sarebbe solo fatta del male lasciandosi convincere da quelle parole.
Strinse gli occhi, e si prese la testa fra le mani, dondolandosi sulla poltrona. Aveva bisogno dell'unica persona di cui si fidava, necessitava le sue braccia intorno al suo corpo a confortarla ad aiutarla a capire cos'era giusto e cosa sbagliato. Ma lui non c'era, doveva cavarsela da sola.
«Annie, sto dicendo sul serio, tuo marito è ancora vivo.» La ragazza non si mosse, i due uomini si scambiarono un altro sguardo e Gale si avvicinò al televisore inutilizzato da tempo e l'accese.
Comparve il volto di Finnick, i capelli pettinati all'indietro in modo innaturale, in stile Capitol City. Annie subito si raddrizzò sulla poltrona e ascoltò le parole dell'amato.


Sono Finnick Odair.
Mi trovo qui di fronte a tutto Panem come esempio, per mostrarvi che sono vivo, che le vostre bombe non sono state in grado di uccidermi.
Dovete abbandonare Capitol City e rimettervi sotto al potere dei legittimi eredi di quell'autorità che avete rubato.
Voi che difendete la libertà, siete stati i primi ad aver aggredito quel diritto fondamentale e dovuto a ciascun individuo. Avete ucciso i nostri bambini e reso schiavi i nostri concittadini, che per molti anni avevano guidato in modo pacifico e giusto tutto il paese.
Mi rivolgo a te Ragazza di Fuoco, a te che hai acceso la scintilla che ha distrutto migliaia di persone: non sei riuscita ad uccidermi come non sei riuscita ad uccidere i più tenaci di noi.
Stiamo per tornare a riprenderci ciò che è nostro, come difensori della pace vi stiamo dando la possibilità di arrendervi ed evitare un altro spargimento di sangue.
Avete tre giorni per comunicarci la vostra decisione.


L'uomo davanti a lei nel televisore non poteva essere Finnick.
Aveva i suoi occhi, i suoi lineamenti, il suo corpo, ma lo sguardo era spento e il suo comportamento inusuale. Il suo Finnick non avrebbe mai detto quelle cose, non dopo tutto quello che aveva fatto per salvare i Distretti.
Annie non sapeva cosa pensare, la disperazione l'assalì.
Doveva essere felice? Quello era davvero suo marito? Stava per iniziare una nuova guerra?
Iniziò a dolerle la testa nel cercare di capire quel messaggio, non l'aveva nominata, non aveva minimamente accennato a lei in alcun modo. Eppure quello sguardo le smuoveva qualcosa dentro, le sembrava una richiesta d'aiuto.
«Abbiamo motivo di ritenere che lo abbiano depistato, proprio come avevano fatto con Peeta.» Disse Plutarch.
«Dobbiamo salvarlo! Dobbiamo andarlo a prendere subito! Devo parlare con lui! Gli farò cambiare idea!» Annie iniziò ad agitarsi, stava lentamente realizzando che esisteva ancora una speranza per lei e Finnick. Si sentì invadere da una nuova energia, avrebbe affrontato qualsiasi ostacolo pur di riaverlo con sé.
Non le importava se gli avevano fatto il lavaggio del cervello, se non la amasse più, o se perfino volesse ucciderla. Quello era l'uomo che amava e lei sarebbe riuscita ad aiutarlo, sarebbero di nuovo stati felici, e loro figlio avrebbe avuto il padre che meritava.
«Calmati Annie, prima di correre a salvarlo dobbiamo organizzarci. Minacciano di scatenare una nuova guerra, e questo non possiamo permettercelo.» La voce di Gale era calcolata e fin troppo calma. Annie fece una smorfia contrariata, la salvezza di Finnick era tutto ciò che contava per lei.
«La presidente Paylor ha messo tutti i Distretti in allerta, il vero problema è che non sappiamo se gli ex capitolini si schiereranno con noi o se decideranno di appoggiare i fratelli Snow.» Continuò Plutarch.
Annie era consapevole che a differenza di quello che aveva detto Finnick, quelli che un tempo erano gli abitanti di Capitol City non erano stati né sterminati né schiavizzati. Si erano sparpagliati nei vari Distretti e avevano preso a vivere come le persone normali. Ormai in ogni parte di Panem circolava cibo in abbondanza e condizioni igieniche dignitose, ma soprattutto non vi era più quell'alone di paura per gli Hunger Games, che erano stati definitivamente aboliti.
«Per prima cosa dobbiamo trovare Katniss Everdeen e convincerla ad aiutarci. Lei è stata l'unica che in passato è riuscita a riunire tutte quelle persone per dar vita alla rivolta.» Quando sentì quel nome sulle labbra di Plutarch, Gale fissò il bordo del tappeto con espressione addolorata. Era impossibile non notare quanto soffrisse per quello che aveva fatto, ma nessuna scusa sarebbe mai stata abbastanza per discolparsi. Al posto di Katniss era sicura che lo avrebbe odiato, quindi non poteva biasimarla se aveva deciso di interrompere ogni rapporto con lui.
Annie fece le valige con le poche cose che le servivano e salì sull'overcraft insieme a Plutarch e Gale, il suo giardino era ancora affollato dei suoi concittadini, curiosi di vedere cosa avrebbe fatto la pazza, ora che aveva scoperto che suo marito era ancora vivo.
Non le importava ciò che pensavano, sentiva il cuore più leggero e una forte speranza che poco a poco la possedeva e si fondeva nelle sue ossa.
Ora aveva una missione ben precisa e quello la rendeva più sicura di sé.
La sua rotta puntava verso il Distretto dodici, verso la Ghiandaia Imitatrice.



 




Angolo autrice:

 

Chiedo umilmente perdono per avervi fatto aspettare quasi una settimana per questo capitolo, ma come ben sapete prima delle vacanze si concentrano tutte le verifiche e interrogazioni.
Tornando alla storia, le cose stanno iniziando a smuoversi e si può dire che stiamo entrando nella vicenda vera e propria.
Ho tante idee per il prossimo capitolo e vi prometto che con le vacanze di Natale i miei aggiornamenti saranno più regolari e cercherò di scrivere capitoli più lunghi.
Questo l'ho scritto la sera dopo aver studiato tutto il pomeriggio quindi scusatemi se non è proprio il meglio che avete letto.
Spero che recensiate e mi facciate sapere cosa ne pensate, mi fa molto piacere leggere le vostre parole.
Vorrei anche ringraziare tutte le persone che seguono questa storia, siete tutti molto importanti, grazie!

 

Much love

 

Lisa

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